Per una sociologia empirica della letteratura del siglo de oro 9788862273138, 9788862273145

La "Pícara Justina" è considerata un'opera oscura e complessa. Non sono soltanto le difficoltà lessicali,

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Per una sociologia empirica della letteratura del siglo de oro
 9788862273138, 9788862273145

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I MARTINO SOCIOLOGIA coperta
II MARTINO SOCIOLOGIA coperta

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PE R UNA SO C IO LO G IA E M P I R I C A DE L L A L E T T E R AT U R A DE L SIG LO D E O RO Tentativo di ricostruzione del contesto sociale, ‘ideologico’ e letterario della Pícara Justina vo lu m e i A LB E RT O M A RT IN O COLLANA DI TEST I E S TU D I I SP A N I C I ii · s ag g i 10.

P I S A · RO M A FA B RI Z I O SERRA E D I TO R E MMX

C OL LA N A D I T E S T I E S T UD I IS PAN IC I i i · s ag g i 10 .

CO LLA N A D I T E S T I E S T UD I IS PAN IC I i i · s aggi Fondata da Guido Mancini e diretta da Loreto Busquets, la Collana di testi e studi ispanici si articola in: Sezione i · Testi critici Sezione ii · Saggi Sezione iii · «Studi Ispanici» Sezione iv · Ricerche bibliografiche (dir. L. Busquets, A. Martino, M. Santoro) Sezione v · Studi e testi di letteratura religiosa del Cinque-Seicento

PE R UNA SO C IO LO G IA E M P I R I C A DE L L A L E T T E R AT U R A DE L SIG LO D E O RO Tentativo di ricostruzione del contesto sociale, ‘ideologico’ e letterario della Pícara Justina vo lu m e i A LB E RT O M A RT IN O

P I S A · RO M A FA B RI Z I O SERRA E D I TO R E MMX

Sono rigorosamente vietati la riproduzione, la traduzione, l’adattamento, anche parziale o per estratti, per qualsiasi uso e con qualsiasi mezzo effettuati, compresi la copia fotostatica, il microfilm, la memorizzazione elettronica, ecc., senza la preventiva autorizzazione scritta della Fabrizio Serra editore®, Pisa · Roma. Ogni abuso sarà perseguito a norma di legge. Proprietà riservata · All rights reserved © Copyright 2010 by Fabrizio Serra editore®, Pisa · Roma. Uffici di Pisa: Via Santa Bibbiana 28, I 56127 Pisa, tel. +39 050 542332, fax +39 050 574888, [email protected] Uffici di Roma: Via Carlo Emanuele I 48, I 00185 Roma, tel. +39 06 70493456, fax +39 06 70476605, [email protected] www.libraweb.net isbn 978-88-6227-313-8 isbn elettronico 978-88-6227-314-5

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Frontespizio della princeps della Pícara Justina: Medina del Campo 1605.

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In ricordo di Guido Mancini e di Silvio Pellegrini, i venerati Maestri che oltre mezzo secolo fa m’introdussero allo studio della Letteratura Spagnola e della Filologia Romanza

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SOMMARIO VOLUME I Prefazione

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Capitolo i. La paternità della Pícara Justina. Un problema irrisolto Il problema della paternità della Pícara Justina. Tre autori per una sola opera a) Fray Andrés Pérez O. P. b) Francisco López de Úbeda c) Fray Baltasar Navarrete O. P.

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Capitolo ii. Un’opera ‘oscura’. Le interpretazioni della pícara justina Da Gregorio Mayáns y Siscar ad Alberto del Monte. Oltre due secoli di incomprensione Il primo tentativo di comprensione ‘storica’ : l’interpretazione di Marcel Bataillon a) Francisco López de Úbeda, un convertito di origine ebraica b) Ritratto dell’autore c) La Pícara Justina come strumento di propaganda pro-calderoniana c1) Incompatibilità della tesi di Marcel Bataillon con il contenuto ‘ideologico’ dell’opera c2) La Pícara Justina un attentato letterario contro il favorito del favorito ? I nemici del Duca di Lerma e di Don Rodrigo Calderón d) La Pícara Justina come satira della ossessione genealogica dei cortigiani d1) Incongruenze della interpretazione di Marcel Bataillon a) Montañesa, cioè hidalga ? b) Ossessione genealogica dei cortigiani ? La composizione della Corte Le interpretazioni della Pícara Justina dopo Marcel Bataillon : i suoi seguaci. i La dottrina nobiliare e l’immagine della nobiltà nel Siglo de Oro. Una digressione Le interpretazioni della Pícara Justina dopo Marcel Bataillon : i suoi seguaci. ii Le interpretazioni ‘carnevalesche’ della Pícara Justina Justina e la religione. Una digressione Le confutazioni della interpretazione di Marcel Bataillon

55 55 58 63 66 75













Capitolo iii. Cosa era Don Rodrigo Calderón nel 1604 ? Un grande signore o un semplice ayuda de Cámara ? Secretario de la Cámara del Rey ? L’esaltazione di Don Rodrigo nella dedica della Pícara Justina e la sua discrepanza con la realtà concreta Un’ipotesi azzardata : Don Rodrigo Calderón Vargas y Camargo è Vargas-Machuca ?  









Capitolo iv. Fra emarginazione e integrazione. La condizione dei conversos nella società toledana Francisco López de Úbeda, un medico converso ? Il processo di integrazione sociale, di assimilazione culturale e religiosa e di amalgamazione biologica dei conversos nella città di Toledo Problematicità dei tentativi di tracciare una tipologia dei convertiti di origine ebraica a) Le tipologie dei conversos elaborate dagli studiosi moderni b) Stereotipi coniati, o testimoniati, dagli scrittori del XV-XVII secolo  

83 93 104 117 117 129 145 154 179 201 236 250 259 259 265 276 284 299 299 313 334 336 340

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sommario

Capitolo v. Gli Estatutos de limpieza de sangre. il piú grave problema della società spagnola ? Il dibattito sugli Estatutos de limpieza de sangre Marginalità del problema della purezza di sangue I concreti, reali e gravi problemi della società spagnola  

349 349 380 396

VOLUME II Capitolo vi. Mobilità sociale, integrazione, assimilazione e amalgamazione. Una società ‘aperta’ La mobilità sociale Integrazione sociale, assimilazione culturale e religiosa, amalgamazione biologica. Una società ‘aperta’ Mobilità sociale e genesi della picaresca

425 425 470 505

Capitolo vii. Una società apicarada Il potere del denaro La Corte a Valladolid (1601-1606) La ‘conversazione’ delle dame castigliane Comportamenti trasgressivi della nobiltà : risse, duelli, episodi ‘picareschi’

539 539 554 564 586

Capitolo viii. Il contesto letterario della Pícara Justina Libri di facezie, repertori di ‘burle’, di buffonerie, di motti e di arguzie, novelle I trattati italiani del comportamento e l’ideale del cortigiano ‘faceto’ Le lettere facete La poesia giocosa e burlesca Lirica popolare intessuta nella Pícara Justina La letteratura celestinesca Entremeses e farse Letteratura misogina Letteratura del gioco e dell’intrattenimento. Letteratura satirica degli umanisti. Letteratura folklorica. Letteratura carnevalesca. Commedia dell’Arte Geroglifici ed emblemi I discorsi e gli elogi burleschi delle Università e delle Accademie letterarie La diffusione del costume di motejar, apodar, dar matraca, echar pullas, dar vayas, fisgar e burlar La lettura a Valladolid e a Salamanca Le corrispondenze fra la Pícara Justina e il Buscón : affinità spontanee o gioco intertestuale ? Letteratura agiografica e oratoria sacra

603 607 611 617 621 642 645 649 653

699 727

Conclusione

777

Bibliografia

781

A. Bibliografie. Cataloghi di biblioteche. Lessici. Raccolte di proverbi. Enciclopedie letterarie. Dizionari storici, sociologici, biografici e genealogici B. Edizioni della Pícara Justina C. Traduzioni della Pícara Justina

781 785 786



659 662 664 677 681





sommario D. Fonti manoscritte E. ‘Documenti’ manoscritti vari (documenti anagrafici, ruoli municipali di contribuenti, autobiografie, memorie, memoriali, decreti, etichette di Corte, pareri, genealogie, ‘prove genealogiche’, diari, ‘discorsi’, ‘colloqui’, ‘dialoghi’, ‘libri verdi’, pamphlets, letteratura religiosa, lettere, carteggi, relazioni, ‘gazzette’, cronache, annali, petizioni, atti di Accademie, atti notarili, atti giudiziari, ecc.), editati dal 1855 ad oggi F. Cronache. Storie di città. Relazioni. Libelli. Miscellanee. Autobiografie. Biografie. Agiografie. Dottrina nobiliare. Filosofia morale. Precettistica grammaticale, stilistica, retorica e poetica. Trattati del comportamento. Letteratura religiosa, giuridica, storiografica, politica, pedagogica, misogina, economica, scientifica, emblematica, ecc. G. Lirica. Narrativa. Teatro. Satira. ‘Gallos’. ‘Vejámenes’. Raccolte di ‘detti’, facezie, arguzie, aneddoti e sentenze. Letteratura burlesca e folclorica H. Studi (Storia e critica della letteratura. Storia della lettura e del libro. Storia della tipografia. Storia politica, finanziaria, economica e sociale. Storia delle istituzioni. Storia delle élites. Storia delle Corti. Storia degli Ordini Militari. Storia delle città. Storia del diritto. Storia della nobiltà. Storia della borghesia. Storia della povertà e della emarginazione. Storia della criminalità. Storia degli ebrei. Storia dei moriscos. Storia dell’agricoltura. Demografia. Sociologia. Antropologia. Storia delle idee e delle mentalità. Storia della scienza. Storia della Chiesa, dell’Inquisizione e dei movimenti spirituali. Storia della cultura. Storia dell’arte, ecc.)

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PREFAZIONE mi è parso piú conveniente andare dreto alla verità effettuale della cosa che alla immaginazione di essa. Machiavelli

S

eppure con quattro anni di ritardo – ritardo causato dall’aver voluto scrivere, per le Festschriften offerte ad alcuni Colleghi, i saggi su il Rinconete y Cortadillo, la Garduña de Sevilla e il Vitae humanae proscenium, e dall’aver dovuto investire molto tempo nella revisione dei saggi della miscellanea La ricezione della Commedia dell’Arte nell’Europa Centrale –, posso ora, finalmente, presentare la monografia sulla Pícara Justina, la cui pubblicazione avevo annunciato, in Mein Weg zur Komparatistik. Fragmente einer Autobiographie, con molto ottimismo per il 2006. L’analisi del Libro de entretenimiento e delle sue interpretazioni mi ha offerto l’occasione di approfondire e ampliare quelle ricerche sul contesto sociale e ‘ideologico’ della narrativa picaresca i cui primi risultati erano stati illustrati nella monografia sul Lazarillo de Tormes (1999) e nei saggi su El Buscón (2001) e La Garduña de Sevilla (2005). Mediante l’elaborazione di numerosi documenti e della copiosissima letteratura storiografica ho voluto verificare empiricamente la fondatezza delle idee correnti – soprattutto, ma non solo, nella critica letteraria – sulla società spagnola del Siglo de Oro : società di ‘caste’, società totalmente chiusa e assolutamente priva di mobilità ascendente e di capacità d’integrazione sociale, di assimilazione culturale e religiosa e di amalgamazione biologica, società della emarginazione e della discriminazione razziale, società ‘sclerotizzata’ dall’ossessione collettiva della ‘purezza di sangue’. Con una massa forse addirittura eccessiva di dati concreti ho dimostrato la falsità di queste idee. Ho infatti documentato che l’indice di mobilità sociale ascendente nella Spagna del XVI e dei primi decenni del XVII secolo era elevato, che la sua società non era affatto immobile e ‘tibetizzata’, ma ‘aperta’ – sicuramente piú ‘aperta’ della società francese, inglese e tedesca della stessa epoca –, e che l’influsso dei famosi Estatutos de limpieza de sangre sulla vita degli spagnoli, alle prese con problemi ben piú gravi e vitali di quelli relativi alla possibilità di potere soddisfare o meno la vanità di fregiarsi delle insegne di un Ordine Militare o di essere accolti in una confraternita o in una corporazione esclusive, era del tutto trascurabile, essendo limitatissimo il loro campo di applicazione ‘teorica’ e quasi nulla la loro reale efficacia pratica. Si rivela cosí del tutto inconsistente e addirittura assurda la diffusissima interpretazione ‘sociologica’ della novela picaresca come rappresentazione letteraria della chiusura ermetica della società, della assoluta impossibilità dei roturiers di realizzare un’ascesa sociale e, in particolare, della completa emarginazione dei conversos. In realtà la letteratura picaresca nasce e si sviluppa proprio come reazione alla disgregazione della tradizionale stratificazione della società – divenuta fluida e permeabile per il potere sempre piú assoluto del denaro –, come reazione al fenomeno della eccessiva mobilità sociale e della eccessiva proliferazione delle nobilitazioni, autentiche o usurpate, e, infine, come reazione alla vistosa, rapida ascesa sociale di un gran numero di convertiti di origine ebraica. Con questa ricerca ‘empirica’, basata sulla elaborazione di dati tratti da fatti verificati e verificabili e da indicatori sociali rappresentativi, spero di poter contribuire – cosí  

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prefazione

come ho fatto in passato per la letteratura tedesca con la pubblicazione di diversi libri e saggi e, soprattutto, con la fondazione della rivista Internationales Archiv für Sozialgeschichte der deutschen Literatur (Tübingen : Niemeyer 1976 sgg.) e della collana Studien und Texte zur Sozialgeschichte der deutschen Literatur (Tübingen : Niemeyer 1981 sgg.) – al rinnovamento della sociologia della letteratura spagnola del Siglo de Oro, prigioniera troppo spesso di astratte speculazioni, di aprioristici schemi ideologici, di postulati dogmatici e di idee preconcette, che fanno velo alla ‘verità effettuale delle cose’. So naturalmente, per antica ed anche recente esperienza, come le idées reçues siano dure a morire e come la ‘repubblica delle lettere’, che pur dovrebbe essere ‘democratica’ e aperta a tutte le voci, sia spesso chiusa e tenda a ignorare i lavori di chi non appartiene né a ‘scuole’, né a gruppi di potere scientifico o ideologico. Tuttavia, sia pur con lentezza, il conformismo perde inevitabilmente terreno e l’onesta e libera ricerca supera, prima o dopo, ogni ostracismo. I risultati della ricerca storica sulle élites (in particolare, sulle oligarchie urbane), sui ceti, sulle istituzioni, sulla mobilità sociale e sui complessi processi di trasformazione della società ad essa correlati – penso, per esempio, agli studi di Enrique Soria Mesa, Francisco José Aranda Pérez, Raphaël Carrasco, Vincent Parello, Jaime Contreras, José Ignacio Fortea Pérez, Jean-Pierre Dedieu, Henry Kamen, Bartolomé Yun Casalilla, Ignacio Atienza Hernández, Francis Brumont, Linda Martz, Ruth Pike, María Del Pilar Rábade Obradó –, resi possibili da una profonda innovazione della storiografia, che in questi ultimi anni ha saputo superare “numerosi ostacoli, ideologici, mentali ed anche politici” (Raphaël Carrasco) e giungere cosí a esaminare con serenità e obiettività la storia della Spagna del XVI e XVII secolo, non potranno non modificare in futuro la critica e la storiografia letteraria. Qualche rara, quanto coraggiosa inversione di tendenza – ricordo, per fare un esempio, gli studi di Nicasio Salvador Miguel sulla Celestina – si osserva già ora. Naturalmente auspico l’affermazione di questa inversione di tendenza e spero anche di poter contribuire un poco ad essa, ritengo però che desideri e speranze ed ogni altro moto dell’animo non debbano influire sul lavoro scientifico. Lo studioso ha solo il dovere di svolgere bene e onestamente la sua attività di ricerca, senza curarsi minimamente del ‘successo’ e senza nulla concedere ai conformismi e alle mode imperanti, e di contrastare quella finalità utilitaristica e quella ‘commercializzazione’ che tanto vengono raccomandate – se non addirittura imposte – alla scienza e all’Università da poteri economici, mediali e politici spesso ostili alla scienza ‘pura’ e all’Università e, soprattutto, alla loro libertà.  



Senza l’aiuto delle Biblioteche menzionate nella Bibliografia, la realizzazione di questa vasta monografia, basata sullo studio di un gran numero di manoscritti e di rari testi a stampa, non mi sarebbe stata possibile. Esprimo pertanto qui la mia piú viva riconoscenza a tutte queste istituzioni e al loro personale. Particolarmente grato sono ai funzionari della Sammlung von Handschriften und alten Drucken della Österreichische Nationalbibliothek, della Fernleihe della Universitätsbibliothek e dello Haus,- Hof- und Staats-Archiv di Vienna. Profondissima è, infine, la gratitudine che nutro per gli impiegati della Sección de Reprografía della Biblioteca Nacional di Madrid che sempre, e con estrema quanto rara sollecitudine, hanno soddisfatto tutte le mie richieste di microfilm, o di fotocopie, di manoscritti, di libri e di saggi di riviste. Vienna, 24 aprile 2010

Alberto Martino

La nave de la vida pícara.

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Capitolo I LA PATERNITÀ DELLA PÍCARA JUSTINA. UN PROBLEMA IRRISOLTO Sommario : Il problema della paternità della Pícara Justina. Tre autori per una sola opera : a) Fray Andrés Pérez. b) Francisco López de Úbeda. c) Fray Baltasar Navarrete.  



L

a Pícara Justina è considerata un’opera, oscura, 1 ambigua 2 ed enigmatica, 3 complessa e inintelligibile. 4 Non sono soltanto le difficoltà lessicali, i ‘concetti’, le allegorie e i ‘geroglifici’ (simboli, emblemi, empresas), le agudezas, i giochi di parole, i neologismi, gli idiotismi e i modi di dire popolari a rendere l’opera, ideata e scritta negli anni in cui la Corte di Filippo III risiedette a Valladolid, 5 “uno de los libros más difíciles del Siglo de Oro”, 6 ma anche – soprattutto, anzi – la complessità del suo contesto sociale, ‘ideologico’ e letterario.  











1   Marcelino Menéndez Pelayo ha scritto che la Pícara Justina è un “libro estrafalario, oscuro y fastidioso”, un “rompecabezas”. Cfr. Marcelino Menéndez Pelayo : Una nueva conjetura sobre el autor del « Quijote » de Avellaneda. Al Sr. D. Leopoldo Rius y Lloséllas (1905). In : M. M. P. : Estudios y discursos de crítica histórica y literaria. Edición preparada por D. Enrique Sánchez Reyes. I (= Edición Nacional de las Obras Completas de Menéndez Pelayo. Dirigida por D. Miguel Artigas, VI). Madrid : C. S. I. C. – Santander : Aldus 1941, pp. 365-420 ; qui p. 377. Cfr. anche Eugenio Asensio : La España imaginada de Américo Castro. Barcelona : EL ALBIR 1976, p. 105 (“Hay libros que uno siente erizados de alusiones oscuras – pensemos en La Pícara Justina, en la Vida de Gregorio Guadaña”). 2   Sulla oscurità e ambiguità della Pícara Justina cfr. Bruno M. Damiani : Disfraz en La Pícara Justina. In : Actas del Séptimo Congreso de la Asociación Internacional de Hispánistas. Publicadas por Giuseppe Bellini. Vol. I. Roma : Bulzoni 1982, pp. 335-343. – Antonio Rey Hazas : La compleja faz de una pícara : Hacia una interpretación de la « Pícara Justina ». In : Revista de Literatura, Tomo XLV, N.° 90 ( Julio-Diciembre de 1983), pp. 87-109. ( Il saggio è stato riprodotto in : Antonio Rey Hazas : Deslindes de la novela picaresca. Málaga : Universidad de Málaga 2003, pp. 205-231.) – Antonio Rey Hazas : El bestiario emblemático de La Pícara Justina. In : Edad de Oro 20 (2001), 119-145 ; qui p. 119. – Sulla ‘ambiguità’ della Pícara Justina cfr. inoltre José Miguel Oltra : Casuistica estructural en « La Pícara Justina » de Francisco López de Úbeda. In : Estudios Humanísticos. Universidad de León. Facultad de Filosofía y Letras 5 (1983), 55-67 ; qui pp. 57-58. 3   Marcel Bataillon : Urganda entre Don Quijote y La Pícara Justina (1960). In : M. B. : Pícaros y picaresca. La Pícara Justina. Versión castellana de Francisco Rodríguez Vadillo (= Persiles, 73). Madrid : Taurus Ediciones 1982 (Primera edición revisada por el autor, 1969), pp. 47-78 ; qui p. 47 (“La Pícara Justina ... libro ambiguo y travieso...”). In un altro saggio Marcel Bataillon definisce la Pícara Justina come una “obra enigmática”. Cfr. Marcel Bataillon : Una visión burlesca de los monumentos de León en 1602 (1961). In : M. B. : Pícaros y picaresca, pp. 103-113 ; qui p. 104. 4   Francisco Rico scrive che il Libro de entretenimiento de la pícara Justina è “complejísimo” e “a menudo tan ininteligible”. Cfr. Francisco Rico : La novela picaresca y el punto de vista. Barcelona : Seix Barral 1982, p. 116 e p. 120. 5   La Corte risiedette a Valladolid dal 9 febbraio del 1601 al 20 febbraio del 1606. Il 4 marzo 1606 fecero la loro entrata in Madrid il Re e la Regina. Cfr. Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614. Por Don Luis Cabrera de Córdoba, criado y cronista del Rey Don Felipe II. Publicadas de Real Orden. Madrid : Imprenta de J. Martín Alegría 1857 (ed. facs. Salamanca : Junta de Castilla y León 1997), p. 95, p. 271, p. 274. – Antonio de León Pinelo : Anales de Madrid (desde el año 447 al de 1658). Transcripción, notas y ordenación cronológica de Pedro Fernández Martín (= Biblioteca de Estudios Madrileños, XI). Madrid : Instituto de Estudios Madrileños 1971, p. 175 e p. 185. – José Martí y Monsó : Los Calderones y el Monasterio de Nuestra Señora de Portaceli. In : Boletín de la Sociedad Castellana de Excursiones, Valladolid, Año VI (1908), « Proemio » : pp. 449-450 ; « Parte primera. Noticias de Don Rodrigo Calderón y de su familia » : pp. 472-485, 503-516 ; qui p. 506. – José Antonio Escudero : El traslado de la Corte a Valladolid. In : J. A. E. : Administración y Estado en la España Moderna. Junta de Castilla y León 2002, pp. 255-273. 6   M. Bataillon : Una visión burlesca de los monumentos de León en 1602, p. 104.  



















































































































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capitolo i

Tenteremo pertanto di ricostruire questo contesto, la cui conoscenza è, a nostro parere, assolutamente necessaria per una corretta lettura della Pícara Justina. Ma prima di dedicarci a questa ricostruzione dobbiamo affrontare l’irrisolto, sino ad oggi, problema della paternità della Pícara Justina ed esporre le interpretazioni che dell’opera sono state date finora (esposizione che comunque ci offrirà già l’opportunità di illustrare alcuni aspetti del suddetto contesto). Il problema della paternità della Pícara Justina . Tre autori per una sola opera a) Fray Andrés Pérez O. P. Contrariamente ad una diffusa opinione, 7 non fu Nicolás Antonio ad attribuire la Pícara Justina ad Andrés Pérez, il monaco domenicano nato a León ed autore della Historia de la vida y milagros del glorioso san Raymundo de Peñafort (Salamanca 1601), dei Sermones de Qvaresma (Valladolid 1621) e dei Sermones de los Santos (Valladolid 1622). Nella sua Bibliotheca Hispana Nova Nicolás Antonio, raccogliendo evidentemente una tradizione orale, ricorda semplicemente che Fray Andrés Pérez era ritenuto dai confratelli del suo Ordine l’autore della Pícara Justina : “Fertur apud suos auctor esse & illius libelli, quem Francisco Ubedae Toletano typi adjudicant, La Picara Justina nuncupatum, cum liceret sic per aetatem insanire.” 8 Ad attribuire decisamente l’opera ad Andrés Pérez fu, molto più tardi, il maggiore erudito spagnolo del Settecento. In un primo tempo Gregorio Mayáns y Siscar si era espresso con prudenza sul problema della paternità del Libro de Entretenimiento. Infatti, in una lettera scritta a Miguel Egual nel 1731, nella quale discorreva di libri di incerta attribuzione, Gregorio Mayáns y Siscar si limitava a ricordare che secondo una vaga e diffusa tradizione la Pícara Justina era considerata opera di Andrés Pérez. 9 Ma pochi anni dopo, nella sua « Noticia del verdadero Autor de la vida de Justina Diez », premessa all’edizione della Pícara Justina pubblicata nel 1735, Gregorio Mayáns y Siscar presentò, con grande sicurezza, l’attribuzione ad Andrés Pérez come certa. 10 La prova addotta in  













7   Scrive, per esempio, Joseph L. Laurenti : “[Nicolás Antonio] afirma que Andrés Pérez es autor de La pícara Justina y que López de Úbeda es puro pseudónimo”. Cfr. Joseph L. Laurenti : Catálogo bibliográfico de la literatura picaresca, siglos XVI-XX. Kassel : Edition Reichenberger 1991, p. 283. 8   Bibliotheca Hispana Nova Sive Hispanorum Scriptorum Qui Ab Anno MD. Ad MDCLXXXIV. Floruere Notitia. Auctore D. Nicolao Antonio Hispalensi I. C. Recognita Emendata Aucta Ab Ipso Auctore. Tomus Primus. Matriti Apud Joachimum De Ibarra Typographum Regium MDCCLXXXIII, p. 82 (« F. ANDREAS PEREZ »). Nell’articolo dedicato a Francisco de Úbeda si legge quanto segue : “FRANCISCUS DE UBEDA, Toletanus, auctor libro cuidam inscribitur, cujus hic titulus : La Picara Justina. Bruxellis 1608. 8. ac nescio an alibi prius. Ad imitationem nempe Guzmanii Alfaraciensis, cuius libri a Mathaeo Alemano recens editi magna tunc erat famae celebritas, ut germanam ei conjugem daret. Audio tamen Dominicani cujusdam sodalis hunc librum esse prolem” (Bibliotheca Hispana Nova. Tomus Primus, p. 494). 9   “[...] Propterea etiam libellus inscriptus La Picara Justina, qui prodiit sub nomine Francisci de Ubeda dicitur esse proles Andreae Perezii Dominicani sodalis. Ea fama vagatur.” Cfr. « GREG. MAJANSIUS MICHAELI EGUALI, AMIco suo dulcissimo, S. D. – Valentiae. VI. Kal. Aprilis, Anni MDCCXXXI ». In : GREGORII | MAJANSII, | GENEROSI | ET ANTECESSORIS VALENTINI, | EPISTOLARUM | LIBRI SEX. | [Vignetta] | SUPERIORUM PERMISSU. | [Linea tipografica] | VALENTIAE EDETANORUM, | Typis Ant. Bordazàr de Artâzu, Anno M.DCC.XXXII. (Wien, Österreichische Nationalbibliothek : BE. 11. M. 18), pp. 321-325 ; qui p. 324. 10   [Gregorio Mayáns y Siscar :] « Noticia del verdadero Autor de la Vida de Justina Diez, i juicio de esta novela ». In : LA PICARA | MONTAÑESA, | LLAMADA | JUSTINA, | EN EL QUAL, | DEBAJO DE GRACIOSOS DISCURSOS, | se encierran provechosos avisos. | Al fin de cada numero veràs un discurso, que te muestra como te has | de aprovechar de esta letura para huir los engaños que | oy dia se usan. | ES JUNTAMENTE ARTE POETICA, | QUE CONTIENE CINQUENTA Y UNA DIFERENCIAS | de versos, hasta oy nunca recopilados, cuyos nombres, y | numeros hallaràs en su Indice. | COMPUESTO | POR EL LICENCIADO FRANCISCO LOPEZ  































la paternità della pícara justina

21

favore della paternità di Andrés Pérez, che ancora nelle prime righe della « Noticia del verdadero Autor » veniva definita come voce sorta nell’ambito dell’Ordine domenicano (“los Dominicos dicen...”), era in verità molto fragile. 11 Tuttavia l’attribuzione ad  





DE UBEDA, | natural de Toledo. | CORREGIDA Y AUMENTADA | conforme à la primitiva impression. | CON LICENCIA. | [Linea tipografica] | En MADRID por JUAN DE ZUÑIGA. Año de 1735. | A costa de Francisco Manuel de Mena : Se hallarà en su Libreria, Ca- | lle de Toledo, junto à la Porteria de la Concepcion Geronima (Madrid, Biblioteca Nacional : U-3.242), fo. A 2r - A 3r. Gregorio Mayáns y Siscar si è definito lui stesso come autore della « Noticia del verdadero Autor de la Vida de Justina Diez » in una lettera del 14 maggio 1764 indirizzata al frate domenicano Luis Galiana. In questa lettera Gregorio Mayáns y Siscar, parlando di Andrés Pérez, dichiara infatti : “Yo di noticias de este Autor en la impresión de la Pícara Justina que se hizo en Madrid por Juan de Zúñiga, año 1735 y aquella mi prefación se reimprimió en mis Cartas morales, militares, civiles y literarias de varios autores [españoles], impresas en Madrid [por Don Francisco Asensio], año 1756, pág. 244.” Cfr. Vicente Castañeda y Alcover : Cartas familiares y eruditas del padre Luis Galiana, domínico, a Don Gregorio Mayans y Siscar, con las respuestas de éste. In : Boletín de la Real Academia de la Historia 85 (agosto-octubre de 1924), pp. 210-213 [cit. da Fr. Maximiliano Canal, O. P. : El padre fray Andrés Pérez de León O. P., autor de « La pícara Justina » y del falso « Quijote ». In : La Ciencia Tomista, Madrid, 34 (1926), 320-348 ; qui p. 328 nota]. La « Noticia » fu riprodotta anche in : CARTAS | MORALES, | MILITARES, CIVILES, | I LITERARIAS | DE VARIOS AUTORES | ESPAÑOLES, | RECOGIDAS, I PUBLICADAS | POR DON GREGORIO MAYANS | i Siscàr, del Consejo del Rei Nuestro | Señor, i Alcalde Honorario de su | Real Casa i Corte. | TOMO SEGUNDO. | [Marca tipografica] | CON LICENCIA. | En Valencia : Por Salvador Faulì. Año 1773 (Wien, Österreichische Nationalbibliothek : *38. Dd. 55), pp. 312-318 (« LIII. Carta De Don Gregorio Mayàns i Siscàr, o Noticia del verdadero Autor de la Vida de Justina Diez, i Juìcio de esta Novela, que sirviò de nueva Prefacion al Libro intitulado, La Picara Justina, reimpresso en Madrid por ....... Año 1735. en 4. »). Non è quindi vero che George Ticknor (History of Spanish literature. In three vols. London : J. Murray 1849, III, p. 62, n. 12) e James Lyman Whitney (Catalogue of the Spanish Library and of the Portuguese Books bequeathed by George Ticknor to the Boston Public Library. Boston : Printed by Order of the Trustees 1879, p. 264 : « Andrés Perez ») abbiano attribuito senza fondamento a Gregorio Mayáns y Siscar la paternità della « Noticia del verdadero Autor de la Vida de Justina Diez », come sostengono R. Foulché-Delbosc e Julio Puyol y Alonso. Cfr. R. Foulché-Delbosc : L’auteur de la Pícara Justina. In : Revue Hispanique 10 (1903), 236-241 ; qui p. 237, n. 2. – Julio Puyol y Alonso : « Estudio crítico de la Pícara Justina ». In : Licenciado Francisco López de Úbeda : La Pícara Justina. Tomo III. Estudio crítico, Glosario, Notas y Bibliografía por J. P. y A. Madrid : Sociedad de Bibliófilos Madrileños 1912, pp. 5-95 ; qui p. 50. 11   Gregorio Mayáns y Siscar fonda la sua ‘dimostrazione’ su questo passo della Pícara Justina : “Solo os pido, que si llegare vn Perez de Guzman el bueno, os rindays a su grandeza, acompañada de su hidalga [« Noticia » : de hidalga] intencion, y noble proceder, que ni por Perez tendra pereza, en hazeros [« Noticia » : hablaros !] bien, ni por Guzman le sera nueuo, el vsar de cortesia” (Libro de entretenimiento, de la Picara Ivstina. 1605, « INTRODVCCION GENERAL, PARA TODOS los tomos y libros. Escrita de mano de Iustina. Intitulada la Melindrosa Escriuana. DIVIDESE ESTA INTRODVCCION en tres numeros. Numero segundo [tercero !]. Del melindre a la culebrilla ». pp. 31-32). Da queste righe l’autore della « Noticia » trae – con l’aiuto della piccola modificazione del testo messa in rilievo – questa deduzione : “Palabras que parece dan à entender, que Perez es el que habla ; Perez, digo de Guzman el Bueno, esto és en buen Romance, i sin rodeo, Fraile Dominico. Fué pues atencion à su santo instituto, ocultar su nombre en este juguete (segun él le llama) que hizo siendo Estudiante en Alcalà a ratos perdidos“. R. Foulché-Delbosc definì queste righe della « Noticia » come “déductions ... vraiment déconcertantes” (R. Foulché-Delbosc : L’auteur de la Pícara Justina, p. 237). Julio Puyol y Alonso ritenne invece che il passo della Pícara Justina trascritto da Gregorio Mayáns y Siscar contenesse “algún misterio” : “Si el Pérez de Guzmán fué el apellido del autor ó si la segunda parte de este apellido se refiere á Santo Domingo de Guzmán (de la stirpe de Guzmán el Bueno, como es sabido, y fundador de la Orden de Predicadores), extremo es dífícil de determinar ; pero creemos indudable : primero, que hay señales de alusión en el párrafo precedente [il passo della Pícara Justina trascritto da Gregorio Mayáns y Siscar : “Solo os pido...”], puesto que nada tiene que ver con el relato ; y segundo, que es muy verisímil que aquella [alusión] fuese dedicada á los que entonces podian estar en el secreto del verdadero autor de la novela” (« Estudio crítico de la Pícara Justina », p. 51). Più tardi gli argomenti di Gregorio Mayáns y Siscar vennero considerati validi anche da Maximiliano Canal, O. P. (El padre fray Andrés Pérez de León O. P., autor de « La pícara Justina » y del falso « Quijote », p. 329). Forse il mistero di cui parla Julio Puyol y Alonso si dissiperebbe se si tenessero presenti le glosse al margine del passo (“Capta la beneuolencia a los corteses”. – “Perez de Guzman”) e si ricordassero i nomi completi di Don Alonso Pérez de Guzmán el Bueno, VII Duca di Medina-Sidonia, e di suo figlio Don Manuel Alonso Pérez de Guzmán el Bueno, X Conte di Niebla. Nella sua Historia de la vida y milagros del glorioso sant Raymundo de Peñafort Andrés Pérez scrive : “Es hijo [S. Raymundo] de la hija legitima de nuestra Castilla la vieja : digo hijo de la religion de sancto Domingo, fundada por vn Castellano viejo que entre los Illustrissimos Guzmanes fue sancto : y entre los sanctos, Guzman.” Cfr. HISTORIA | DE LA VIDA Y MILAGROS | del glorioso sant Raymundo de Pe- | ñafort, frayle de la  











































































































































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capitolo i

Andrés Pérez – favorita da alcuni versi del Viaje del Parnaso (1614) di Cervantes che sembrano indicare un chierico come autore della Pícara Justina 12 – s’impose, incontestata, universalmente. 13 Anche dopo la scoperta, effettuata da Cristóbal Pérez Pastor, di due documenti notarili che provavano in maniera irrefutabile l’esistenza storica del medico Francisco López de Úbeda 14 e sui quali R. Foulché-Delbosc richiamò con forza l’attenzione sostenendo  





orden de | Predicadores. | COMPVESTA POR EL PADRE F. | Andres Perez, Theologo, Maestro de estudiantes del in| signe conuento de S. Vicente de Plasencia natural | de la ciudad de Leon. De la orden de | Predicadores. | DIRIGIDA A D. ISABEL DE | Acuña Castro Manrique. | [Scudo dell’Ordine dei Predicatori] | CON PRIVILEGIO. | En Salamanca en casa de Pedro Lasso. Año de. 1601. (Madrid, Biblioteca Nacional : R/ 31273), pp. 2-3. 12   Miguel de Cervantes Saavedra : Viaje del Parnaso. Edición y comentarios de Miguel Herrero García (= Clásicos Hispánicos. Serie IV, Vol. V). Madrid : C. S. I. C. 1983, pp. 294-295 (Cap. VII, vv. 220-225 : “Haldeando venía y trasudando / El autor de La Pícara Justina, / Capellán lego del contrario bando, / Y, cual si fuera de una culebrina, / Disparó de sus manos su librazo, / Que fue de nuestro campo la ruina.”). Questi versi sembrano evocare la figura di un chierico. Spesso però anche i dottori indossavano abiti simili a quelli dei religiosi. Nei Diálogos de apacible entretenimiento di Gaspar Lucas Hidalgo, per esempio, si legge : “Este Dotor, aunque era casado, traya siempre habito largo como Eclesiastico”. Cfr. DIALOGOS | DE APACI- | BLE ENTRETENIMIEN- | TO, QVE CONTIENE VNAS | Carnestolendas de Castilla. Diuidido en | las tres noches, del Domingo, Lunes, | y Martes de Antruexo. | COMPVESTO POR GASPAR | Lucas Hidalgo, vezino de la Villa | de Madrid. | PROCVRA EL AVTOR EN | este libro entretener el Letor con varias | curiosidades de gusto, materia permitida | para recrear penosos cuydados a to- | do genere de gente. | [Piccolo ornamento tipografico] | CON LICENCIA. | [Linea tipografica] | En Bercelona, en casa de Sebastian de | Cormellas al Call, Año. 1605. (Madrid, Biblioteca Nacional : R-10.464), fo. 11r (nell’officina di Sebastián de Cormellas, come avremo occasione di ricordare più avanti, furono stampate nel 1605 due edizioni dei Diálogos : una costituita di 108 fogli, l’altra di 129 fogli ; l’edizione da noi utilizzata è quella di 108 fogli). Si ricordi, inoltre, il proverbio “Médicos de Valencia, haldas largas y poca ciencia”, registrato da Fray Antonio de Guevara e da Gonzalo Correas. Cfr. Libro primero de las Epístolas familiares de Fray Antonio de Guevara. Edición y prólogo de José María de Cossío. I (= Real Academia Española. Biblioteca Selecta de Clásicos Españoles. Segunda serie. Vol. X). Madrid : Aldus 1950, p. 357. – Gonzalo Correas : Vocabulario de refranes y frases proverbiales (1627). Edición de Louis Combet. Revisada por Robert Jammes y Maïte Mir-Andreu (= Nueva Biblioteca de Erudición y Crítica, 19). Madrid : Castalia 2000, p. 513. Sui versi di Cervantes citati sopra cfr. M. Bataillon : Urganda entre Don Quijote y La Pícara Justina (1960), pp. 50-53. – Bruno Mario Damiani : « Introducción Biográfica y Crítica » a : La pícara Justina. Edición de B. M. D. Madrid : José Porrúa Turanzas 1982, pp. 1-20 ; qui p. 1-3. 13   Cfr. – per esempio – Eugenio de Ochoa : « Introducción » a : Tesoro de novelistas españoles antiguos y modernos, con una introducción y noticias de Don E. de O. (= Colección de los mejores autores españoles, XXXVI). Paris : Baudry 1847, p. 1. – George Ticknor : History of Spanish literature. In three vols. Boston : J. R. Osgood 1872 (1ª ed. 1849), III, p. 120. – Eustaquio Fernández Navarrete : Bosquejo histórico sobre la novela española (1854). In : Novelistas posteriores a Cervantes. Tomo Segundo (= Biblioteca de Autores Españoles, 33). Madrid : Atlas 1950, pp. V-C ; qui p. XCII. – Pedro Salvá y Mallen : Catálogo de la Biblioteca de Salvá. Tomo II. Valencia : Imprenta de Ferrer de Orga 1872, p. 157. – Karl von Reinhardstöttner : Aegidius Albertinus, der Vater des deutschen Schelmenromans. In : Jahrbuch für Münchener Geschichte 2 (1888), 13-86 ; qui p. 17. – James Fitzmaurice-Kelly : The Life of Miguel de Cervantes Saavedra. London 1892, p. 211. – Adam Schneider : Spaniens Anteil an der Deutschen Litteratur des 16. und 17. Jahrhunderts. Straßburg i. E. : Schlesier & Schweikhardt 1898, pp. 231-233. – Frank Wadleigh Chandler : Romances of Roguery. An Episode in the History of the Novel. The Picaresque Novel in Spain (1899). New York : Burt Franklin Reprints 1974, p. 66, pp. 233-234 e p. 286. – Narciso Alonso Cortés : Noticias de una corte literaria [1906]. Valladolid : Ayuntamiento de Valladolid 2003, p. 69, p. 97. 14   Si tratta dei documenti seguenti : « Capitulación de dote entre el Licenciado Francisco López de Úbeda, médico, natural y vecino de la ciudad de Toledo, hijo de Luis López de Úbeda y de María de Contreras, y D.a Jerónima de Loaisa, hija de Diego Ortíz de Canales y de Leonor Núñez de Loaisa, difuntos. – Madrid 2 Febrero 1590 (Protocolo de Juan Calvo, 1590, fol. 164) ». – « Carta de pago de dote otorgada por el Licenciado Francisco López de Úbeda en favor de D.a Jerónima de Loaisa. – Madrid 6 Abril 1590 (Protocolo de Juan Calvo, 1590, fol. 554) ». Cfr. Cristóbal Pérez Pastor : La imprenta en Medina del Campo. Madrid : Establecimiento Tipográfico « Sucesores de Rivadeneyra » 1895, p. 478. Oltre a queste scritture firmate davanti al notaio madrileno Juan Calvo, disponiamo ora di altri documenti, trovati da Mercedes Agulló y Cobo, su Francisco López de Úbeda : « Partida de bautismo de su hijo Maximiliano. 27. XII. 1586 ». – « Partida de defunción de su primera esposa, Isabel de Barrientos. 15. XI. 1589 ». – « Partida de bautismo de su hijo Francisco. 13. X. 1593 ». Cfr. Mercedes Agulló y Cobo : Documentos sobre escritores de los siglos XVI y XVII. In : Anales del Instituto de Estudios Madrileños 6 (1970), 173-174 (« Francisco López de Úbeda »).  

























































































































la paternità della pícara justina

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che l’autore della Pícara Justina era “bien réellement le médecin tolédan”, 15 si continuò a ritenere il monaco domenicano di León come autore o, perlomeno, come probabile autore dell’opera. Marcelino Menéndez Pelayo – in una lettera a D. Leopoldo Rius y Lloséllas 16 – opinò che i documenti trovati da Cristóbal Pérez Pastor non fossero sufficienti a invalidare l’attribuzione, fondata su una antica tradizione, ad Andrés Pérez. Nel suo « Estudio crítico », annesso alla eccellente edizione della Pícara Justina, Julio Puyol y Alonso dichiarò di condividere l’opinione del grande poligrafo 17 e credette di poter contribuire a rafforzare l’ipotesi della attribuzione al frate domenicano con la scoperta della somiglianza – in realtà, come vedremo, per lo piú abbastanza vaga – esistente fra alcune note marginali e alcuni passi della Historia de la vida y milagros del glorioso sant Raymundo de Peñafort, frayle de la orden de Predicadores di Fray Andrés Pérez e alcune note marginali e alcuni passi della Pícara Justina. 18 Con l’attribuzione della Pícara Justina ad Andrés Pérez è connessa la tesi, illustrata diffusamente da Julio Puyol y Alonso, 19 che l’opera sia stata composta negli anni intorno al 1580 20 e poi soltanto ‘ritoccata’ qua e là dopo la pubblicazione del Guzmán de Alfarache. È vero che l’autore afferma, nel « Prologo al Lector », di aver composto l’opera quando era studente ad Alcalá de Henares (“me he determinado à sacar a luz este juguete, que hize siendo estudiante en Alcala, a ratos perdidos, aun que algo aumentado despues que salio a luz el libro del Picaro, tan reciuido”) 21 e che scrive iperbolicamente, nel « Numero tercero » della « Introdvccion General », di averla composta mille anni prima (“Mil años ha que hize esta obrecilla”). 22 Queste affermazioni sono però in netto contrasto con quanto si legge nella dedica, nella quale lo stesso autore dichiara di aver composto l’opera per svagare un poco Don Rodrigo Calderón, oberato di gravosi affari di Stato. Ma soprattutto sono in contrasto con la storia letteraria. Negli anni 1577-1582, gli anni in cui presumibilmente l’autore avrebbe frequentato l’Università di Alcalá (degli studi  































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  R. Foulché-Delbosc : L’auteur de la Pícara Justina, p. 241.   M. Menéndez Pelayo : Una nueva conjetura sobre el autor del « Quijote » de Avellaneda, pp. 376-378. A proposito dei documenti scoperti da Cristóbal Pérez Pastor e dell’articolo di R. Foulché-Delbosch, Marcelino Menéndez Pelayo scrive : “No creo que por este hallazgo pueda rechazarse de plano la antigua tradición consignada por Nicolás Antonio. La Pícara Justina deja en el ánimo de todo el que la lee la impresión de que el autor era leonés, no precisamente por el lenguaje, sino por el conocimiento profundo que manifiesta de las costumbres de aquella tierra” (p. 378 n.). Cfr. inoltre Marcelino Menéndez Pelayo : Orígenes de la novela. Edición preparada por D. Enrique Sánchez Reyes. III (= Edición Nacional de las Obras Completas de Menéndez Pelayo. Dirigida por D. Miguel Artigas, XV). Madrid : C. S. I. C. – Santander : Aldus 1943, pp. 454 n. - 455 n. 17   J. Puyol y Alonso : « Estudio crítico de la Pícara Justina », p. 56. 18   J. Puyol y Alonso : « Estudio crítico de la Pícara Justina », pp. 62-89. 19   J. Puyol y Alonso : « Estudio crítico de la Pícara Justina », pp. 6-17. 20   Sono gli anni in cui poteva essere ancora vivo, secondo Julio Puyol y Alonso, il ricordo di alcuni famosi professori dell’Università di Salamanca ai quali si allude nella Pícara Justina e che tutti morirono fra il 1560 e il 1577. Lo studioso ritiene impossibile che l’autore dell’opera, se questa fosse stata composta veramente poco prima della sua pubblicazione, si sarebbe ricordato di questi professori morti da tanti decenni. Anche la cultura storica e classica dell’autore della Pícara Justina e gli autori della letteratura spagnola da lui citati, molto di moda nei primi due terzi del XVI secolo e quasi dimenticati ormai all’inizio del XVII secolo, farebbero datare la composizione dell’opera intorno agli anni 1575-1580. Cfr. J. Puyol y Alonso : « Estudio crítico de la Pícara Justina », pp. 6-14. Miguel Herrero García datava, nella sua Carta a un académico, la composizione della Pícara Justina intorno al 1582. Cfr. Francisco Sánchez-Castañer : Alusiones teatrales en « La Pícara Justina ». In : Revista de Filología Española 25 (1941), 225-244 ; qui p. 226. – Antonio Rey Hazas : « Introducción » a : la pícara justina. 1. Edición preparada por A. R. H. Madrid : Editora Nacional 1977, pp. 9-45 ; qui p. 14. 21   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, fo. [A6v- A7r]. 22   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « INTRODVCCION GENERAL, PARA TODOS los tomos y libros. Escrita de mano de Iustina. Intitulada la Melindrosa Escriuana. DIVIDESE ESTA INTRODVCCION en tres numeros. Numero segundo [tercero !]. Del melindre a la culebrilla », p. 30.  

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capitolo i

universitari di Andrés Pérez nulla si sa 23), non si erano ancora sviluppati il conceptismo e il culteranismo, 24 la voga dei ‘geroglifici’, il gusto per il grottesco, il deforme, il ripugnante, l’artificioso, il bizzarro e il macabro, la predilezione per la caricatura e per la parodia e la burla di stili, di temi e di figure della antichità classica, che tanto concorrono a plasmare lo stile e la stessa struttura della Pícara Justina. 25 Inoltre il Guzmán de Alfarache (1599) non ha offerto alla composizione della Pícara Justina solo dei semplici elementi aggiuntivi puramente occasionali, come vuol far credere l’autore. La Pícara Justina nasce come ‘risposta’, o reazione, al “libro del Picaro”. Il rapporto intertestuale della Pícara Justina con il Guzmán de Alfarache è quindi non solo complesso e profondo, ma addirittura genetico. Prima del 1599 la Pícara Justina non è neppure immaginabile, non esistendo né il contesto intertestuale letterario, né le circostanze politiche (Don Rodrigo Calderón, nato nel 1576 – secondo una fondata congettura di Marcel Bataillon 26 –, o nel 1578 – secondo altri –, 27 entra, nell’aprile del 1589, al servizio, come paggio, di Don Francisco Gómez de Sandoval y Rojas, V Marchese di Denia, Grande di Spagna ; 28 settembre 1598 : morte di Filippo II e ascesa al trono di Filippo III, immediata privanza di Don Francisco Gómez de Sandoval y Rojas, creato Duca di Lerma nel 1599), che l’hanno generata. Essa è stata quindi sicuramente composta fra il 1602/1603 e la primavera del 1604 (il ‘privilegio’ è datato 22 agosto 1604). 29 Difficilmente immaginabile è sembrato poi che uno scrittore leonese, legatissimo alla sua “cara Patria”, 30 alla quale dedica i Sermones de Qvaresma, 31 celebrandone le bel 









   









23   Cfr. Fr. M. Canal, O. P. : El padre fray Andrés Pérez de León O. P., autor de « La pícara Justina » y del falso « Quijote », pp. 322-323 e p. 331. 24   L’autore della Pícara Justina formula una teoria – sulla quale ci soffermeremo diffusamente nell’ultimo capitolo di questo lavoro – della superiorità dell’ornamento sulla sostanza che lo accomuna molto di piú a Góngora o a Quevedo che non ad Antonio de Guevara, che sarebbe il modello stilistico di Andrés Pérez secondo i sostenitori della paternità del frate domenicano, costretti a fissare la redazione dell’opera intorno al 1580. Cfr. Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « TERCERA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO De la Picara Romera. Capitulo 4. de la partida de Leon. Numero tercero, de los trajes de Montañeses y Coritos », pp. 180-181. – « INTRODVCCION GENERAL, PARA TODOS los tomos y libros. Escrita de mano de Iustina. Intitulada la Melindrosa Escriuana. DIVIDESE ESTA INTRODVCCION en tres numeros. Numero segundo, Del melindre a la mancha », p. 21 ; Numero segundo [tercero !]. Del melindre a la culebrilla », pp. 25-26. 25   Sullo stile della Pícara Justina cfr. Bruno M. Damiani : Francisco López de Úbeda (= Twayne’s World Authors Series, 431). Boston : Twayne Publishers 1977, pp. 93-134. – Bruno M. Damiani : Aspectos barrocos de La Pícara Justina. In : Actas del Sexto Congreso Internacional de Hispanistas. Publicadas bajo la dirección de Alan M. Gordon y Evelyn Rugg. Toronto : Department of Spanish and Portuguese, University of Toronto 1980, pp. 198-202. – Bruno Mario Damiani : Notas sobre lo grotesco en La Pícara Justina. In : Romance Notes 22 (1982), 341-347. 26   M. Bataillon : Pícaros y picaresca, pp. 84-85. 27   Cfr. Julián Juderías : Un proceso político en tiempo de Felipe III. Don Rodrigo Calderón, Marqués de Siete Iglesias. Su vida, su proceso y su muerte. In : Revista de Archivos, Bibliotecas y Museos, 3.a época, tomo XIII (1905), 334-365 ; tomo XIV (1906), 1-31 ; qui p. 337. – J. Martí y Monsó : Los Calderones y el Monasterio de Nuestra Señora de Portaceli. Noticias de Don Rodrigo Calderón y de su familia, p. 511. 28   Cfr. J. Juderías : Un proceso político en tiempo de Felipe III. Don Rodrigo Calderón, Marqués de Siete Iglesias, p. 338. – José Martí y Monsó : Los Calderones y el Monasterio de Nuestra Señora de Portaceli. In : Boletín de la Sociedad Castellana de Excursiones 6 (1908), p. 503. 29   Sulla data di composizione cfr. M. Bataillon : Redescubrimiento de una obra literaria. In : M. B. : Pícaros y picaresca, pp. 29-45 ; qui p. 30 e pp. 39-40. – Antonio Rey Hazas : « Introducción » a : la pícara justina, pp. 14-15. 30   Cfr. Fr. M. Canal, O. P. : El padre fray Andrés Pérez de León O. P., autor de « La pícara Justina » y del falso « Quijote », pp. 321-322. 31   SERMONES DE QVARESMA | COMPVESTOS POR EL PADRE PRESS.do | FRAY ANDRES PEREZ PREDICADOR DE | EL CONVENTO DE .SS. THOMAS DE | MADRID DE LA ORDEN DE SAN | CTO DOMINGO. | Dirigido A la Nobilissima Ciudad De Leon su cara Patria. | REGNVM REGNORVM CIVITATVM PARENS | Ciuitas Legionensis | [Sotto queste due righe latine in corsivo, lo scudo della Città di León : una coro 



















































































la paternità della pícara justina

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lezze naturali e artistiche, 32 possa aver scritto un’opera che schernisce gli usi e i costumi di León 33 (città ricca di storia e di bellezze artistiche, ma all’inizio del XVII sec. povera e inospitale 34) e il campanilismo dei suoi abitanti, 35 qualifica come “antiguallas” il Monasterio de San Isidro e il suo Panteón Real, 36 uno dei gioielli piú splendidi dell’arte romanica, definisce “taça de vidrio” la Cattedrale, un capolavoro dell’arte gotica, meraviglioso per le sue vetrate luminose e la sua aerea struttura, e la paragona ad un “carro del dia del Corpus, adornado de varios gallardetes y vanderolas” ; 37 un’opera che si burla della piú famosa festa della città, la festa delle cantaderas, celebrata nel mese di agosto a ricordo della (leggendaria) vittoriosa battaglia di Clavijo, grazie alla quale i cristiani si libera 









   

na – con la scritta, nel cerchio, « CHRISTI FIDES ANTIQVA » – collocata sopra un grande campo con la figura di un leone coronato ; ai lati dello scudo due colonne poggiate su un plinto : la colonna di destra con il sole nel capitello – accanto la scritta : TOM. 2 – e sei stelle nel fusto ; la colonna di sinistra con la luna nel capitello – accanto la scritta : DETEMP (de tempora) e sei stelle nel fusto ; appeso al centro della colonna a destra dello scudo un ‘cartiglio’ con la scritta : « Vidi Solem, et Lunam | et Stellas un decim,| adorareme, Genesis 37 » ; il ‘cartiglio’ della colonna a sinistra dello scudo reca la scritta : « Padre Y m.e Y. 12 Hijos | Luna Sol Y estrellas son que adoran este leon »] | IMPRESO EN VALLADOLID | por francisca de los Rios Viuda de | Fran.co de Cordoba Año 1621. | A costa de Anto Bazquez [Antonio Vázquez de Velasco]. Mercader de libros (Madrid, Biblioteca Nacional : 3/54301), fo. 2v-4r (« EL PRESENTADO FRAY ANDRES PEREZ | Predicador del Conuento, y Collegio de sancto Thomas de | Madrid, a la Real ciudad de Leon »). Nel frontespizio dell’esemplare registrato da Mariano Alcocer y Martínez figura il nome di un diverso editore : “A costa de Antonio Rizo mercader de libros”. Cfr. Mariano Alcocer y Martínez : Catálogo razonado de obras impresas en Valladolid, 1481-1800. Valladolid : Imprenta de la Casa Social Católica 1926, p. 262, nro. 666. Evidentemente, come talvolta usava, due diversi mercaderes de libros avevano finanziato la stampa dell’opera, diviso la tiratura in base al loro apporto finanziario e fatto apporre il proprio nome sul frontespizio degli esemplari di loro proprietà. Su Antonio Vázquez de Velasco e Antonio Rizo, poco attivi come editori e quindi poco conosciuti, cfr. Anastasio Rojo Vega : Impresores, libreros y papeleros en Medina del Campo y Valladolid en el siglo XVII. Junta de Castilla Y León 1994, p. 184, p. 204. 32   Cfr. Andrés Pérez : Sermones de Qvaresma, fo. 4r. 33   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO DE la Picara Romera. Capitulo quarto [segvndo !] del fullero burlado. Numero primo de la del penseque », pp. 26-35. 34   Cfr. M. Bataillon : Una visión burlesca de los monumentos de León en 1602, pp. 104-105. 35   Si vedano i capitoli dedicati al viaggio a León e alla descrizione della città. In questi capitoli Justina dice tra l’altro : “No he visto hombres mas moridos de amores por su pueblo : y es de manera, que donde quiera que se halla vn Leones, le parece que la mitad de la conuersacion en que se halla, se deue de justicia a la corona y coronica de Leon, en esto todos tienen vna pega. Pareceles a los Leoneses, que alabar otro pueblo y no à Leon, es delicto contra la corona Real” (Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO DE la Picara Romera. Capitulo. I. De la jornada de Leon. Numero primero, Del afeyte mal[em]pleado », pp. 4-5). È vero che, ad un certo punto, Justina ritratta quanto ha detto di male su León (“Quanto dixe de mal en la primera entrada fue dissimulo, que el que quiere bien vna cosa siempre anda por extremos, quando diziendo mucho bien, quando mucho mal. Pero siguiendo el picaral estylo que professo acudire a lo vno y a lo otro. Solo vayan con lectura, que lo bueno se tome por veras, y lo que no fuere tal, passe en donayre, porque lo contrario seria sacar de las flores veneno, y de la triaca, que hago contra sus melancolias, tosigo para el coraçon.”), ma poi lascia la città con una osservazione velenosa (“Aunque sali de Leon por la misma parte que entre, y dixe mal de las entradas, me parecieron bien las salidas, que las tiene Leon muy buenas, mucho mucho, entiendese si las salidas son para no tornar jamas, como yo lo he hecho”). Cfr. Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « TERCERA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO De la Picara Romera. Capitulo primero. De la mirona gustosa. Numero primero. De la Mirona fisgante [il titolo corrente, con una sola eccezione, reca : « De la gustosa mirona conuentual » !] », p. 123. – « TERCERA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO De la Picara Romera. Capitulo 4. de la partida de Leon. Numero 2. del desenojo astuto », p. 172. Sulla descrizione burlesca di León fatta da Justina, cfr. M. Bataillon : Una visión burlesca de los monumentos de León en 1602, pp. 103-113. 36   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « TERCERA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO De la Picara Romera. Capitulo primero. De la mirona gustosa. Numero 2. del barbero embobado », p. 133. 37   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO DE la Picara Romera. Capitulo quarto [segvndo !] del fullero burlado. Numero primo de la del penseque », p. 30.  

























































































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rono del vergognoso tributo ‘delle cento donzelle’ ; un’opera, infine, che non risparmia i suoi motteggi neppure al grandioso Monasterio-Hospital de San Marcos dell’Ordine di Santiago e alla sua magnifica facciata plateresca, 38 che deride monumenti e giardini come la Puente del Castro (“vna gentil antigualla de guijarro pelado, mal hecha” 39) e la Huerta del Rey, 40 tanto vantati dai leonesi, che dice tutto il male possibile del clima della città, caratterizzato dal “rigor del frio, y melancolia de las lluuias y humedades”, e che accusa i suoi abitanti di mancanza di carità. 41 Ma i pareri del famoso erudito di Santander e di Julio Puyol y Alonso – il curatore della piú dotta e rigorosa edizione commentata della Pícara Justina, ancor oggi un ausilio prezioso sia per il chiarimento di difficoltà linguistiche e di allusioni a riti, preghiere, costumi e feste della regione di León, sia per l’identificazione di persone, avvenimenti, edifici, canzoni popolari e opere letterarie – si imposero. Narciso Alonso Cortés scrisse che la Pícara Justina era stata pubblicata da Andrés Pérez, “ocultándose bajo el nombre de Francisco López de Ubeda”. 42 Rodolfo Schewill e Adolfo Bonilla elogiarono le “buenas razones” di Julio Puyol y Alonso. 43 Fray Maximiliano Canal riprese gli argomenti di Marcelino Menéndez Pelayo e di Julio Puyol y Alonso e li ampliò. 44 Ludwig Pfandl considerò la questione della paternità di Francisco López de Úbeda o di Andrés Pérez come non ancora chiaramente decisa. 45 Miguel Herrero asserí che l’autore della Pícara Justina era “un fraile”. 46 Ángel Valbuena Prat affermò, nella sua diffusissima e continuamente ristampata raccolta La novela picaresca española, che la “argumentación de Foulché-Delbosc ... no era muy fuerte” e giudicò la “posición” di Julio Puyol y Alonso come “más solida”. 47 Germán Bleiberg dichiara – nelle quattro righe del suo Diccionario de Literatura Española dedicate al medico toledano – che Francisco López de Úbeda “firma la Pícara Justina en la primera edición”, ma che “la paternidad de este presunto autor” non è provata. 48  























38   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « TERCERA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO De la Picara Romera. Capitulo primero. De la mirona gustosa. Numero primero. De la Mirona fisgante », pp. 119-120. 39   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO : De la Picara Romera. Capitulo I. De la jornada de Leon. Numero tercero. de la entrada de Leon », p. 19. 40   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « TERCERA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO De la Picara Romera. Capitulo primero. De la mirona gustosa. Numero 2. del barbero embobado », pp. 130-131. 41   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO DE la Picara Romera. Capitulo. I. De la jornada de Leon. Numero primero, Del afeyte mal[em] pleado », p. 4 e p. 8 (“como me dezian que Leon era pueblo frio, temi que la caridad leonina no tuuiesse la misma propiedad”). Andrés Pérez loda, invece, proprio la generosità dei leonesi : “La gente, de inclinacion alegre, beneuola, y cortes, inclinada al culto diuino, magnanima, dadiuosa, y liberal por extremo” (Andrés Pérez : Sermones de Qvaresma, fo. 4r). 42   Narciso Alonso Cortés : Noticias de una corte literaria [1906], p. 69. 43   Rodolfo Schevill y Adolfo Bonilla : « Notas » a : Miguel de Cervantes Saavedra : Viage del Parnaso. Edición publicada por R. Sch. y A. B. Madrid : Gráficas Reunidas 1922, pp. 135-201 ; qui p. 190. 44   Fr. Maximiliano Canal, O. P. : El padre fray Andrés Pérez de León O. P., autor de « La pícara Justina » y del falso « Quijote », pp. 327-335. 45   Ludwig Pfandl : Geschichte der spanischen Nationalliteratur in ihrer Blütezeit. Hildesheim : Georg Olms 1967 (1.ª ed. Freiburg i. B. : Herder 1929), pp. 280-281. 46   Miguel Herrero : Nueva interpretación de la Novela Picaresca. In : Revista de Filología Española 24 (1937), 343-362 ; qui p. 352. 47   Ángel Valbuena Prat : « Estudio preliminar » a : La novela picaresca española. Estudio preliminar, selección, prólogos y notas de A. V. P. Tomo I (Septima edición. Primera reimpresión). Madrid : Aguilar 1978 (1.ª ed. 1943), pp. 9-95 ; qui p. 65. 48   Germán Bleiberg : « López de Úbeda, Francisco ». In : Diccionario de Literatura Española, dirigido por G.  















































































la paternità della pícara justina

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Anche dopo la pubblicazione degli importanti saggi di Marcel Bataillon sulla Pícara Justina e il suo autore, apparsi singolarmente dal 1959 al 1964 e poi riuniti nel 1969 nel libro Pícaros y Picaresca, si continuò a mettere in dubbio la paternità di Francisco López de Úbeda o si considerò ancora valida l’attribuzione ad Andrés Pérez. Cosí, per esempio, The Oxford Companion to Spanish Literature asserisce : “Despite Bataillon’s support for the thesis that López de Úbeda is the author, the attribution remains unproven”. 49 Nel Kindlers Literatur Lexikon viene considerata ancora valida l’attribuzione di Julio Puyol y Alonso. 50 La ristampa anastatica della Landstörtzerin Ivstina Dietzin (Hildesheim : Georg Olms 1975) fu pubblicata sotto il nome di “Andrea Perez [i. e. Francisco López de Úbeda]”. Jean Peeters-Fontainas intese il nome di Francisco López de Úbeda come “Pseudonyme de Andres Perez de Leon”. 51 Franz-Rütger Hausmann, parlando della traduzione italiana della Pícara Justina, scrisse nel 1992 : “Erster weiblicher Pícaro-Roman, der heute nicht mehr dem Toledaner Arzt López de Ubeda, sondern dem Dominikanermönch Pérez zugeschrieben wird”. 52 Vi sono anche delle divertenti contaminazioni. Cosí, per esempio, Franz-Rütger Hausmann trasforma – come già aveva fatto Alberto del Monte 53 – il medico Francisco López de Úbeda in un monaco dell’Ordine dei Predicatori (“Francisco de Ubeda OP”), 54 mentre José Manuel Losada Goya crea un “Francisco Pérez de Úbeda” ! 55  

















   

b) Francisco López de Úbeda Non sarebbe stata, in realtà, neppure necessaria la scoperta dei documenti notarili fatta da Cristóbal Pérez Pastor, per avere la certezza della esistenza storica di Francisco López de Úbeda. Nel frontespizio della Pícara Justina sono indicati il titolo accademico, il nome (Francisco de Úbeda) e il luogo di nascita :  

LIBRO DE | ENTRETENIMIENTO, DE | LA PICARA IVSTINA, EN EL | qual debaxo de graciosos discursos, se | encierran prouechosos auisos. | Al fin de cada numero veras vn discurso, que te muestra | como te has de aprouechar desta lectura, para huyr los | enganos, que oy dia se vsan. | Es juntamente ARTE POETICA, que contiene cincuenta | y vna diferencias de versos, hasta oy

B. y Julián Marías. Cuarta edición, corregida y aumentada. Madrid : Ediciones de la Revista de Occidente 1972, p. 538. 49   The Oxford Companion to Spanish Literature. Edited by Philip Ward. Oxford : Clarendon Press 1978, p. 464 (« Pícara Justina »). Nell’articolo « López de Úbeda, Francisco » si trovano queste succinte informazioni : “A doctor whose name appears on the title-page of La pícara Justina and who is believed by some scholars, including Bataillon, to be the author despite widespread doubts” (p. 338). 50   Kindlers Literatur Lexikon. Band IV. Zürich : Kindler Verlag 1968, coll. 1355-1356 (« Libro de entretenimiento de la pícara Justina »). 51   Jean Peeters-Fontainas : Bibliographie des impressions espagnoles des Pays-Bas Méridionaux. Mise au point avec la collaboration de Anne-Marie Frédéric, attachée à la Bibliothèque royale de Belgique. I. A-L. Nieuwkoop / Pays-Bas : B. De Graaf 1965, p. 389. Francisco López de Úbeda viene definito da Clara Louisa Penney come “possibly pseud. of Andrés Pérez”. Cfr. Printed Books (1468-1700) in The Hispanic Society of America. A Listing by Clara Louisa Penney. New York : The Hispanic Society of America 1965, p. 316 ( a p. 416 viene registrato Andrés Pérez come “possible author” della Pícara Justina). 52   Frank-Rutger Hausmann : Bibliographie der deutschen Übersetzungen aus dem Italienischen von den Anfängen bis 1730. Bd. I/1 : A - Magini. Tübingen : Niemeyer 1992, p. 90. 53   Cfr. Alberto del Monte : Itinerario del romanzo picaresco spagnolo. Firenze : Sansoni 1957, p. 77 (“Nicolás Antonio, riferendosi a López de Úbeda, dice d’aver udito dire che era un domenicano...” !). 54   Frank-Rutger Hausmann : Bibliographie der deutschen Übersetzungen aus dem Italienischen von den Anfängen bis 1730. Bd. I/1, p. 89. 55   José Manuel Losada Goya : Bibliografie critique de la littérature espagnole en France au XVIIe siècle. Présence et influence (= Travaux du Grand Siècle, 9). Genève : Librairie Droz 1999, p. 307.  











































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nunca recopilados, cuyos | nombres, y numeros estan en la pagina siguiente. | DIRIGIDA 56 A DON RODRIGO | Calderon Sandelin, de la Camara de su | Magestad. Señor de las Villas de la | Oliua y Plasençuela. &c. | COMPVESTO POR EL LICENCIADO | Francisco de Vbeda, natural de Toledo. | [Scudo di D. R. C.] | CON PRIVILEGIO. | [Linea tipografica] | Impresso en Medina del Campo, por Christoual | Lasso Vaca. Año, M.DC.V. (Paris, Bibliothèque Nationale : Rés. p. Y2 231 – Wien, Österreichische Nationalbibliothek : 74. H. 96) 57  







56   Rosa Navarro Durán crede che si tratti di un errore del compositore e propone una diversa lettura : “En la portada de la obra, se dice « dirigida a don Rodrigo Calderón Sandelín », lo cambio por « dirigido » ya que habla del libro, no del arte poética.” La studiosa corregge, tacitamente, la parola enganos. Cfr. Rosa Navarro Durán : « Introducción » a : Francisco López de Úbeda (Baltasar Navarrete) : Libro de entretenimiento de la Pícara Justina (= Novela picaresca, III. Edición de R. N. D.). Madrid : Biblioteca Castro 2007, pp. XI-XLIX ; qui, p. LXXXI. 57   Nell’esemplare della Bibliothèque Nationale manca la famosa incisione « LA NAVE DE LA VIDA PICARA » di Juan Baptista Morales, che fu anche sottratta all’esemplare con la segnatura R/9128 in possesso della Biblioteca Nacional di Madrid. L’esemplare della Österreichische Nationalbibliothek è invece completo. « LA NAVE DE LA VIDA PICARA » non si trova di contro al frontespizio, L’incisione su rame non è assolutamente l’antiporta o il frontespizio inciso, ma una illustrazione inserita fra le pagine preliminari del libro. Essa ha lo scopo di chiarire sia la funzione morale (la nave della vita picaresca, che issa il gagliardetto con l’iscrizione “El gusto me lleba”, veleggia, pilotata dal tempo, sul “Rio del Olvido” verso il porto della morte, che tiene nella mano lo specchio del “desengaño”), sia i più importanti rapporti intertestuali del romanzo (“la picara Justina” – in piedi al centro della nave, con in mano un libro sul cui piatto anteriore si legge il primo verso di una canzone popolare “Ola que me lleba la ola” – è rappresentata fra la figura della “Madre Celestina”, che ha in testa una specie di galero e porta occhiali dello stesso tipo di quelli portati da Quevedo, e la figura del “Picaro Alfarache”, mentre Lazarillo, con il “Toro de Salamanca”, rema su una barca che rimorchia la nave). La subscriptio recita così : “Los libros de la Picara Justina que son la nata de todos los graciosos pintando al uiuo el engaño y desengaño de uida ociosa en un nauio do sin sentir el tiempo lleba a los ocios alegres por el Rio del oluido al Puerto del desengaño. 1605.” Questa è la posizione esatta dell’incisione nella successione dei fogli compresi fra frontespizio e testo del romanzo : [A 1r] : Frontespizio, [A 1v] : bianco, [A 2r] : « TABLA DESTA ARTE POETICA », [A 2v – A 3v] : « PRIVILEGIO REAL », [A 3v] : « APROVACION », [A 4r] : « A DON RODRIGO CALDERON », [A 4v] : « ERRATAS » e « TASSA », [A 5r] : bianco, [A 5v] : « LA NAVE DE LA VIDA PICARA », [A 6r - A 8v] : « PROLOGO AL LECTOR », [A 9r - A 9v] : « Prologo summario de ambos los tomos, de la Picara Iustina », [Pag. 1] : inizia il testo. Questa è la posizione dell’incisione su rame nell’esemplare in possesso della Österreichische Nationalbibliothek e questa è la sua posizione secondo le descrizioni che dell’editio princeps hanno fatto sia Cristóbal Pérez Pastor (La imprenta en Medina del Campo, p. 360), sia Bartolomé José Gallardo (Ensayo de una Biblioteca Española de libros raros y curiosos. Tomo tercero. Madrid : Imprenta y Fundición de Manuel Tello 1888, col. 508). Anche nell’esemplare della Biblioteca Nacional di Madrid (R/ 8723) della collezione Sedó (MC. 3-39 Cerv. Sedó), usato da Rosa Navarro Durán per la sua recentissima edizione della Pícara Justina (Madrid : Biblioteca Castro 2007), l’incisione precede il « Prologo al Lector ». Marcelino Menéndez Pelayo (Orígenes de la novela. Edición preparada por D. Enrique Sánchez Reyes. III, p. 455n.) scrive però che “la lámina alegórica va al frente” della princeps e lo stesso affermano B. M. Damiani (Francisco López de Úbeda, p. 137), Alexander A. Parker (Literature and the Delinquent. The Picaresque Novel in Spain and Europe, 1599-1753. Edinburgh : The University Press 1977 – 1ª. ed. 1967 –, p. XII), J. R. Jones (“Hieroglyphics” in La Pícara Justina, p. 424), che definisce l’incisione “a full-page emblem”, e Richard Bjornson (The Picaresque Hero in European Fiction. Madison, Wisconsin : The University of Wisconsin Press 1977, p. 69). Esistono esemplari de La Pícara Justina nei quali l’incisione è inserita di contro al frontespizio ? Vistosa è la somiglianza esistente fra « LA NAVE DE LA VIDA PICARA » e l’illustrazione che orna il frontespizio del Retrato de la Loçana andaluza (Venezia 1528) di Francisco Delicado, opera che forse ha fornito qualche spunto all’autore della Pícara Justina (cfr. B. M. Damiani : Francisco López de Úbeda, pp. 137-149). L’incisione di Juan Baptista Morales ricorda, naturalmente, anche la silografia intitolata « Das schluraffen schiff », che orna Das Narren Schyff (Basel : Bergmann von Olpe 1494) di Sebastian Brant e raffigura la nave dei pazzi diretta “Ad Narragoniam”, come specifica un cartiglio sotto il quale si trovano note musicali e le parole “Gaudeam. omnes”, issando un gagliardetto con la testa di un pazzo/buffone dal ‘berretto’ a sonagli. Come ha notato Lucas Torres, l’incisione di Juan Baptista Morales ricorda anche il quadro La nave dei pazzi (Paris, Louvre) di Jeroen Bosch, pittore ammirato dall’autore della Pícara Justina (Cfr. Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « TERCERA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO : De la Picara Romera, Capitulo 4. de la partida de Leon. Numero tercero, de los trajes de Montañeses y Coritos », p. 181. – Julio Puyol y Alonso III, pp. 317-318). Cfr. Lucas Torres : Emblemática y Literatura : El caso de La Pícara Justina. In : Actas del XIII Congreso de la Asociación Internacional de Hispanistas. Madrid. 6-11 de Julio de 1998. I. Medieval. Siglos de Oro. Edición de Florencio Sevilla y Carlos Alvar. Madrid : Editorial Castalia 2000, pp. 780-789 ; qui pp. 782-783. Per una minuziosa e approfondita descrizione e interpretazione dell’incisione di Juan Baptista Morales cfr. Alexander A. Parker : Literature and the Delinquent. The Picaresque Novel in Spain and Europe, 1599-1753, p. XII (trad. spagnola. : Alexander A. Parker : Los pícaros en la literatura. La novela picaresca en España y Europa, 1599-1753. Madrid :  









































































































































   





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Il « PRIVILEGIO REAL », datato 22 agosto 1604 e firmato “por mandado del Rey” da Juan de la Mezquita, 58 è concesso al “Licenciado Lopez de Vbeda”, che ha “compuesto vn libro intitulado libro de Entretenimiento, de la Picara Iustina, que tenia dos to 





Gredos 1971, p. 32). – J. R. Jones : “Hieroglyphics” in La Pícara Justina, pp. 424-426. – R. Bjornson : The Picaresque Hero in European Fiction, pp. 69-71. – Paloma López de Tamargo : El grabado del frontispicio de “La Pícara Justina”. In : Boletín de la Academia Puertorriqueña de la Lengua Española, San Juan (Puerto Rico), 8 (1980 [1983]), 149-158. Per il verso “Ola que me lleba la ola”, cfr. Cancionero Sevillano de Nueva York. Prólogo de Begoña López Bueno. Edición de Margit Frenk, José J. Labrador Herraiz, Ralph A. DiFranco. Sevilla : Universidad de Sevilla 1996, p. 68 (nro. 34). – Poesías de Fray Melchor de la Serna y otros poetas del siglo XVI. Códice 22.028 de la Biblioteca Nacional de Madrid. Edición de José J. Labrador Herraiz, Ralph A. DiFranco, Lori A. Bernard. Prólogo de José Lara Garrido (= Analecta Malacitana. Anejo XXXIV de la Revista de la Sección de Filología de la Facultad de Filosofía y Letras). Málaga : Universidad de Málaga 2001, pp. 261-265 (nro. 204-207). – Lope de Vega : El viaje del alma. In : Lope Félix de Vega Carpio : Obras escogidas. Estudio preliminar, biografía, bibliografía, notas y apéndices de Federico Carlos Sainz de Robles. Tomo III. Teatro**. Madrid : Aguilar 1967, pp. 8-18 ; qui p. 16. – Margit Frenk : Nuevo Corpus de la antigua lírica popular hispánica (siglos XV a XVII). Volumen I [- II]. México, D. F. : Fondo de Cultura Económica 2003, pp. 655-656. La fonte immediata del verso che figura sul libro che Justina tiene fra le sue mani sollevandolo verso l’alto, è forse proprio il Viaje del alma. In questa “representación moral”, inserita da Lope de Vega nel romanzo El peregrino en su patria, pubblicato a Siviglia a1l’inizio del 1604, si trova questa didascalia : “Corrieron a este tiempo una cortina, descubriéndose la nave del Deleite, toda la popa dorada y llena de historias de vicios [...], encima de la cual estaban muchas damas y galanes comiendo y bebiendo, y alrededor de las mesas muchos truhanes y músicos. Los siete pecados mortales estaban repartidos por los bordes, y en la gavia del árbol mayor iba la Soberbia en hábito de brumete, y finalmente cantaron así : ¡Hola ! que me lleva la ola : / ¡Hola ! que me lleva la mar. [...]”. Data la rassomiglianza fra la “nave del Deleite” e la « Nave de la vida picara », non ci appare del tutto inverosimile l’ipotesi che l’auto sacramental di Lope de Vega possa aver fornito qualche suggerimento all’autore della Pícara Justina. 58   Marcel Bataillon ha creduto che si trattasse di Juan de Amézqueta, : “El Privilegio real – ¿broma o negligencia ? – va firmado Juan de la Mezquita en lugar de Amezqueta” (Urganda entre Don Quijote y La Pícara Justina, p. 52). Juan de Amézqueta, che firma il privilegio concesso al Don Quijote il 26 settembre 1604 e che aveva firmato il privilegio concesso il 22 gennaio 1603 alla Historia de las Antigvedades de la Civdad de Salamanca di Gil González Dávila, era segretario del Presidente del Consejo Real de Castilla, D. Juan de Zúñiga Avellaneda y Cárdenas, Conte di Miranda del Castañar, e titolare della “secretaria de Justicia”, incarico che lascerà nell’estate del 1605 per divenire titolare della “secretaria de la Camara [de Castilla, o Consejo de la Real Cámara]” (cfr. Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 259). Un segretario di Filippo III dal nome Juan de Mezquita è però attestato in un documento del 12 settembre 1605 (cfr. José Antonio Escudero : Los secretarios de Estado y del Despacho. Madrid : Instituto de Estudios Administrativos 1976, tom. I, p. 231, nota nro. 787 ; tom. II, p. 423, nota nro. 423) e – pur con una leggera deformazione ortografica ( Juan de Muezqueta) – in un documento del 14 maggio 1608 (cfr. Agustín G. de Amezúa : Introducción al Epistolario de Lope de Vega Carpio. In : Lope de Vega en sus cartas. II. Madrid : Real Academia Española 1940, pp. 1-732 ; qui p. 308 n.). Luis Cabrera de Córdoba (Filipe II, Rey de España. II. Edición José Martínez Millán, Carlos Javier de Carlos Morales. Junta de Castilla y León 1998, p. 847, p. 850) ci documenta inoltre l’esistenza di un capitano dal nome Pedro de Mezquita. Don Luis de Cadorniga y Pimentel era “Señor de la Inclita Casa de la Mezquita en el Reyno de Galicia, Marques de Robledo…” (cfr. Mariano Alcocer y Martínez : Catálogo razonado de obras impresas en Valladolid, 1481-1800, p. 389, nro. 1.032). Appartenevano alla Casa portoghese di Filippo II i seguenti fidalgos : Francisco de Mesquita, Lucas de Mesquita, Pedro de Mesquita, Manuel de Mesquita, Fernão de Mesquita de Brito, Francisco de Mesquita Pimentel (cfr. La Monarquía de Felipe II : La Casa del Rey. Directores : José Martínez Millán - Santiago Fernández Conti. Volumen II : Oficiales, Ordenanzas y Etiquetas. Madrid : Fundación MAPFRE TAVERA 2005, pp. 606-607, p. 612). Il cognome Mezquita esisteva quindi. E allora, o Juan de Amézqueta si firmava anche con il nome di Juan de la Mezquita, oppure sono esistiti due segretari dal nome simile. Poiché Luis Cabrera de Córdoba ricorda nelle sue Relaciones (p. 150, p. 259, p. 326, p. 336, p. 349.) Juan de Amézqueta sempre e ripetutamente con il nome di Juan de Amezqueta e con lo stesso nome lo ricordano la Relación del juramento del serenissimo Principe de Castilla don Felipe quarto deste nombre e la relazione intitolata El iuramento que la señora Infanta doña Ana, por si, y en nombre del señor Infante don Carlos, y la señora Infanta doña Maria sus hermanos hizieron al Principe don Felipe nuestro señor (in : Relaciones breves de actos públicos celebrados en Madrid de 1541 a 1650. Edición de José Simón Díaz. Madrid : Instituto de Estudios Madrileño 1982, pp. 56-60, pp. 61-69), l’ipotesi che la stessa persona firmasse con due nomi ci pare poco verosimile. Nell’edizione barcellonese del 1605 si riproduce, come vedremo, la « Aprovacion » della princeps con la stessa firma : Iuan de la Mezquita. Se si fosse trattato di una svista del compositore, l’errore sarebbe stato probabilmente corretto. In ogni caso il nome Juan de la Mezquita non rappresenta né una negligenza del tipografo, né una burla !  



















































































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mos”. 59 Nella « APROVACION », che non è firmata, ma è stata sicuramente composta da Thomás Gracián (Dantisco), 60 come risulta dallo stesso « PRIVILEGIO REAL », 61 è scritto che poteva essere concessa l’autorizzazione di stampa, richiesta dall’autore, il Licenciado Francisco López de Úbeda. 62 La dedica ha questa intestazione : « A DON RODRIGO CALDERON, Y Sandelin, de la Camara de su Magestad, Señor de las villas de la Oliua y Plasençuela. El Licenciado Francisco Lopez de Vbeda, que sus manos besa ». 63 Difficilmente questo Licenciado Francisco López de Úbeda che, seguendo l’iter burocratico prescritto, 64 presenta il manoscritto della Pícara Justina al Consejo de la Real Cámara e supplica il Re di concedergli l’autorizzazione a pubblicare il suo libro, 65 avrebbe potuto essere un ‘fantasma’.  



























c) Fray Baltasar Navarrete O. P. Il problema della paternità della Pícara Justina sembrava ormai sostanzialmente risolto a favore di Francisco López de Úbeda – anche se il consenso sull’attribuzione al medico toledano non era unanime –, quando Anastasio Rojo Vega, professore di Storia della Scienza presso la Facoltà di Medicina dell’Università di Valladolid e profondo conoscitore degli archivi vallisoletani, come dimostrano diverse sue pregevoli monografie, 66 rimise tutto in discussione con la pubblicazione di un importantissimo documento da lui scoperto nell’Archivo Histórico Provincial de Valladolid. Il 18 aprile del 1605 due mercaderes de libros comparvero davanti al notaio vallisoletano Juan Ruiz per firmare il seguente contratto :  



Sepan quantos esta carta de poder en causa propia y zesión y lo que de yuso será conthenido bieren, como yo Diego Pérez, mercader de libros vezino de la villa de Medina de Campo, residente en esta ciudad de Valladolid, Corte de su majestad, digo que por quanto yo tengo derecho y action para imprimir y bender un libro intitulado la pícara, que le compré del padre presentado 67 fray Baltasar Navarrete de la orden del señor santo domingo, según consta de la escritura  

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  Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, fo. [A 2v].   Tomás Gracián Dantisco era “Secretario de Lenguas de Felipe III, traductor y autor de un tratado sobre el arte de escribir cartas” (Margherita Morreale : « Estudio preliminar » a : Lucas Gracían Dantisco : Galateo Español. Estudio preliminar, edición, notas y glosario por Margherita Morreale. Madrid : C.S.I.C. 1968, pp. 1-63 ; qui p. 9). 61   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, fo. [A 2v]. 62   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, fo. [A 3v]. 63   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, fo. [A 4r]. 64   Cfr. la Pragmática sobre la impression y libros del 7 settembre 1558. In : Fermín de los Reyes Gómez : El libro en España y América. Legislación y Censura (Siglos XV-XVIII). II. Madrid : Arcos/Libros 2000, pp. 799-804. 65   Il manoscritto, con la relativa richiesta di licenza di stampa (contemporaneamente veniva quasi sempre richiesto il ‘privilegio’, che abitualmente – come nel caso della Pícara Justina – era concesso per dieci anni), veniva presentato al Consejo de la Real Cámara (o Cámara de Castilla) per essere sottoposto all’esame di uno o due censori. La licenza di stampa ed il ‘privilegio’ erano concessi, in nome del Re, dal Consejo de la Real Cámara e firmati da un escribano de la Cámara o da qualche segretario. Cfr. D. Agustín G. de Amezúa y Mayo : Como se hacía un libro en nuestro Siglo de Oro. In : D. A. G. de A. y M. : Opúscolos histórico-literarios. Tomo I. Madrid : C.S.I.C. 1951, pp. 331-373. – Fermín de los Reyes Gómez : El libro en España y América. Legislación y Censura (Siglos XV-XVIII). I. Madrid : Arcos/Libros 2000, pp. 29-39. 66   Anastasio Rojo Vega : Ciencia y cultura en Valladolid. Estudio de las bibliotecas privadas de los siglos XVI y XVII. Valladolid : Universidad de Valladolid 1985. – Impresores, libreros y papeleros en Medina del Campo y Valladolid en el siglo XVII. Junta de Castilla Y León 1994. – El siglo de Oro. Inventario de una época. Junta de Castilla Y León 1996. – Fiestas y comedias en Valladolid. Siglos XVI-XVII. Valladolid : Ayuntamiento de Valladolid 1999. 67   “PRESENTADO. Título que se dá en algunas Religiones al Theólogo, que ha seguido su carrera, y acabadas sus lecturas está esperando el grado de Maestro. Lat. Ad magisterium presentatus.” Cfr. Real Academia Española : Diccionario de Autoridades. Edición facsímil. Madrid : Gredos 1984, Tomo Quinto (Madrid 1737), p. 364. Verso la fine del contratto Fray Baltasar Navarrete è definito “maestro” ! 60













































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de conpra, asiento y conzerto que con él hize, que está otorgada ante Cristóbal de Santiago, escribano real vecino desta dicha ciudad, ques notoria y a que me refiero, por tanto agora yo el dicho Diego Pérez de mi boluntad y por causas y justos respectos que a ello me mueben, otorgo y conozco por esta carta que hago y otorgo dejazión, çesión, renunziazion y traspaso en bos Gerónimo Obregón, mercader de libros vezino desta dicha ciudad de todo el derecho que tengo adquirido en virtud de la sobredicha escritura y conforme a ella para poder inprimir y bender el dicho libro intitulado la picara y de oy en adelante podais bos el dicho Gerónimo Obregón o quien vuestro poder tubiere inprimir el dicho libro y benderle a la persona o personas que quisiéredes y vuestro gusto y boluntad fuere, en esta Corte o fuera de ella y en las partes que buestra voluntad fuere y cobreis las quantias de maravedís que prozederen de la tal benta o bentas o hiziéredes de qualquier cantidad o cantidades de cuerpos del dicho libro, husando para todo ello de la misma çesion benta y derecho que en mi favor tiene fecha y otorgada el dicho padre maestro fray Baltasar Navarrete… y yo el dicho Gerónimo Obregón, que estoy presente, aceto esta dicha escritura y conforme a ella me obligo que durante el tiempo de la dicha escritura de benta de la inpresión del dicho libro cunpliré y pagaré al dicho fray Baltasar Navarrete todo aquello a que vos el dicho Diego Pérez estais en ella obligado y de todo os sacaré a paz y a salvo e indemne… 68.  

Questo contratto di trasmissione dei diritti sulla Pícara Justina da Diego Pérez, “mercader de libros vezino de la villa de Medina de Campo, residente en esta ciudad de Valladolid”, a Gerónimo Obregón, anch’egli “mercader de libros” domiciliato nella Corte, documenta in maniera incontrovertibile che Fray Baltasar Navarrete aveva venduto il libro e i relativi diritti ad un libraio-editore con una scrittura stipulata davanti al notaio vallisoletano Cristóbal de Santiago. 69 Ne era l’autore ? Anastasio Rojo Vega osserva che “a la hora de tratar de dineros no hay anónimos, tapados ni escondidos que valgan”, 70 come sa chi è abituato a maneggiare documenti notarili, e ritiene quindi che Fray Baltasar Navarrete sia effettivamente l’autore della Pícara Justina. Secondo dati biografici che Anastasio Rojo Vega trae dalla Historia de la Universidad de Valladolid (Valladolid : Cuesta 1930), scritta da Mariano Alcocer Martínez quando era direttore della Biblioteca del Collegio di Santa Cruz e della Biblioteca dell’Università di Valladolid 71 e “cronista” dell’Archivio di questo Ateneo, 72 Fray Baltasar Navarrete nacque a Valladolid e qui ricevette l’abito dell’Ordine domenicano nel Convento  











68   Valladolid : Archivo Histórico Provincial, protocolos, leg. 697, fols. 638v-639v. Trascritto da : Anastasio Rojo Vega : Propuesta de nuevo autor para « La pícara Justina » : fray Bartolomé [Baltasar !] Navarrete O. P. (15601640). In : Dicenda. Cuadernos de Filología Hispánica 22 (2004), 201-228 ; qui pp. 214-215. 69   “Los protocolos de este escribano”, annota Anastasio Rojo Vega, “no se encuentran al presente en Valladolid, lo que es una desgracia, ya que sabemos que con él trabajaba Cervantes” (Propuesta de nuevo autor para « La pícara Justina », p. 214 n.). 70   A. Rojo Vega : Propuesta de nuevo autor para « La pícara Justina », p. 215. Non possiamo giudicare quanto sia valida, nella sua generalità, questa osservazione di Anastasio Rojo Vega. Nel caso specifico sembra però essere particolarmente pertinente. Un documento conservato nell’Archivo Universitario di Valladolid documenta, infatti, quanto Fray Baltasar Navarrete fosse attaccato al denaro : nel settembre del 1620 il domenicano denunciò tre dottori dell’Università perché non l’avevano avvisato della cerimonia di dottorato e così aveva perso “las propinas y colación” che i dottorandi dovevano offrire ai membri del Claustro quando veniva loro conferito il grado. Questa “carta de denuncia”, con la quale Fray Baltasar Navarrete chiedeva il risarcimento per la perdita subita, contiene anche un dato che Anastasio Rojo Vega considera, come vedremo, di grande importanza : il domenicano, non essendo stato informato della cerimonia di laurea, si era assentato da Valladolid per recarsi al Monasterio de Santa María de Trianos (A. Rojo Vega : Propuesta de nuevo autor para « La pícara Justina », p. 216 e p. 218). 71   M. Alcocer y Martínez : Catálogo razonado de obras impresas en Valladolid, 1481-1800, p. 5 (« Prólogo »). 72   A. Rojo Vega : Propuesta de nuevo autor para « La pícara Justina », p. 216.  

















































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di San Pablo. 73 Il 30 ottobre 1583 Fray Baltasar Navarrete “juró por Trianos”. 74 Altri dati :  





Hizo sus estudios en el Colegio de San Gregorio de Valladolid y en la Universidad Pinciana se graduó de Maestro de Teología, 75 disciplina que así mismo explicó con grande crédito en el Colegio de su Orden en Salamanca. Leyó Artes y fue Maestro de estudiantes en San Pablo de Valladolid. Lector de Teología de Nieva, del Colegio de Santo Tomás de Alcalá y de San Pablo de Valladolid. 1599. Graduole la Provincia de Presentado en el Capítulo celebrado en Ávila. 1607. Graduado de Maestro en el Capítulo de Palencia. 1611. Fue nombrado primer catedrático de Prima de Teología de Santo Tomás por el Duque de Lerma, fundador de dicha Cátedra. 1621. Nombrado Definidor Provincial de la Orden en el Capítulo de Toledo. 1635. Nombrado Definidor Provincial de la Orden en el Capítulo de Toro. 76  



Per ben tre volte fu Priore del Convento di San Pablo di Valladolid ; una volta lo fu del Convento di Santo Tomás di Madrid. 77 Fray Baltasar Navarrete pubblicò varie opere – in particolare sono da ricordare le Controversiae in Divi Thomae et eius scholae defensionem (Tomus primus. Valladolid : Pedro Laso, In conventu S. Pauli, 1605. – Tomus secundus. Valladolid : Cristóbal Laso Vaca, In conventu S. Pauli, 1609. – Tomus tertius : Juan de Rueda, In conventu S. Pauli, 1634). Fra i dati biografici raccolti da Mariano Alcocer Martínez nell’Archivio dell’Università di Valladolid sopra elencati, Anastasio Rojo Vega dà particolare importanza a quello del 30 ottobre 1583 relativo al Monasterio de Santa Maria de Trianos. Questo dato costituisce, secondo lo studioso, “la clave definitiva que permite atribuir la paternidad de La Pícara a Fray Baltasar Navarrete, sin ningún género de dudas”, 78 perché trova il suo riscontro nelle seguenti righe del romanzo :  













Pero si algun hombre sin prouecho vi en el mundo, fue vn vachillerejo algo mi pariente, que aunque me pesò se me pegò, al tornarme de la romeria a Leon. Este en virtud de ciertos cursos interpolados, que auia tenido en el Colesio [Colegio] de los Dominicos de Trianos 79  

73   In questo Convento “había leido “ – e “leía ... aun el 9 de enero de 1601” – Fray Andrés Pérez, che pochi mesi dopo passerà ad insegnare al Convento di San Vicente di Plasencia (Fr. Maximiliano Canal, O. P. : El padre fray Andrés Pérez de León O. P., autor de « La pícara Justina » y del falso « Quijote », p. 323 e p. 323 nota nro. 3). Cfr. anche J. Puyol y Alonso : « Estudio crítico de la Pícara Justina », p. 77 n. Il passaggio di Fray Andrés Pérez dal Convento di San Pablo di Valladolid al Convento di San Vicente di Plasencia avvenne tra il 9 gennaio 1601 – data del « Precepto », nel quale Fray Andrés de Caso definisce Fray Andrés Pérez “lector de nuestro conuento de S. Pablo de Valladolid” – e il 5 agosto 1601 – data della « Summa del Priuilegio », concesso al “P. Fr. Andres Perez, Maestro de estudiantes de el conuento de S. Vicente de Plasencia”. Cfr. Andrés Pérez : Historia de la vida y milagros del glorioso sant Raymundo de Peñafort, frayle de la orden de Predicadores, fo. [2r] (« PRECEPTO DE EL MUY REVE- | rendo Padre Prouincial de España, de la | orden de S. Domingo, al author ») e fo. 2v (« Summa del Priuilegio »). 74   A. Rojo Vega : Propuesta de nuevo autor para « La pícara Justina », p. 215. 75   Le Facoltà di Giurisprudenza e di Medicina concedevano il titolo di Dottore ; le Facoltà di Teologia quello di Maestro. I titoli erano quindi identici. Per ottenere il titolo di Maestro o di Dottore era necessario aver prima conseguito quello di Licenciado. Cfr. Ana María Carabias Torres : Colegios Mayores : Centros de poder. Los Colegios Mayores de Salamanca durante el siglo XVI (= Acta Salmanticensia. Historia de la Universidad, 46). Salamanca : Ediciones Universidad de Salamanca - Diputación Provincial de Salamanca 1986, 3 voll. ; qui II, p. 899. 76   A. Rojo Vega : Propuesta de nuevo autor para « La pícara Justina », p. 215. 77   A. Rojo Vega : Propuesta de nuevo autor para « La pícara Justina », p. 215. 78   A. Rojo Vega : Propuesta de nuevo autor para « La pícara Justina », p. 216. 79   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO De la Picara Romera. Capitulo IIII. de la romera de Leon. Numero 5. del engaño meloso », p. 108. Il passo, che noi trascriviamo dalla princeps e del quale Anastasio Rojo Vega cita solo le prime righe, continua così : “[Dominicos de Trianos,] lleuaua vn pujo de dezir necedades, como si vuiera tomado alguna purga con 









































































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Queste righe, cosí come la “carta de denuncia” del 1620 ricordata in nota, testimoniano, scrive Anastasio Rojo Vega, la “relación intima de Navarrete con el Monasterio de Santa Maria de Trianos, en Villamol (León)” 80 – in questo Monastero domenicano fecero tappa, come vedremo, Filippo III e il suo seguito nel viaggio a León del gennaio del 1602 –. La dettagliatissima conoscenza della Tierra de Campos, rivelata dalla lunga serie di toponimi menzionati nella Pícara Justina (Arenillas de Cisneros, Arenillas de Campos, Arenillas de Valderaduey, Berrueces, Campos, Cea, Ceinos de Campos, Cisneros, Frómista, Guaza de Campos, Mansilla de las Mulas, Mayorga de Campos, Medina de Rioseco, Villarente, Sahagún, Trianos, Valencia de don Juan, Villada, Villamañán, Villamartín), fa poi supporre allo studioso che il frate domenicano fosse originario di questa regione. 81 Fondandosi su questi elementi e su altri riferimenti sparsi nel testo, Anastasio Rojo Vega crede addirittura che Fray Baltasar Navarrete sia nato, come la protagonista del romanzo, a Mansilla de las Mulas, 82 verso il 1560 (la data di nascita si deduce con buona approssimazione da un testamento alla cui apertura il domenicano aveva assistito in qualità di testimone). 83 Fray Baltasar Navarrete era ben introdotto negli ambienti della aristocrazia, come dimostrano alcuni documenti notarili conservati nell’Archivo Histórico Provincial di Valladolid, scoperti da Anastasio Rojo Vega. 84 Secondo questi documenti il frate domenicano fu, infatti, esecutore testamentario di Don Antonio de Luna, Conte di Fuentidueña, 85 nel 1605 ; nello stesso anno firma il testamento di Donna Antonia de Ulloa, Contessa di Salinas. 86 Il 19 gennaio 1606, Fray Baltasar Navarrete “es testigo del testamento” del  















fecionada de ojas de Calepino de ocho lenguas, y diez y seys onças de disparates de Pero Grullo, y trezientas cosas mas. Yua tan disparatado en el dezir, que sino fuera por mi respecto, quantos passauan le inchieran la cara de dedos : porque en achaque de dezir gracias, les dezia lastimas, y si replicaua, les dezia necedades desaforadas : y daua la pernada que desmostalaua la gente. Vn padre de San Francisco le respondio a el como merecia. Yua el frayle, en vn pollino, y el bachillerejo en otro, no le faltaua sino yr tan fuera de si. Assi que mi bachiller en viendole, dixo assi. Padre, en tiempo de nuestro padre San Francisco, no andauan los frayles a cauallo. El frayle le respondio, hermano, es porque entonces no auia tantos asnos como aora.” Di questo “bobo”, suo “primo”, Justina si libera con una burla crudele. 80   A. Rojo Vega : Propuesta de nuevo autor para « La pícara Justina », p. 216. 81   A. Rojo Vega : Propuesta de nuevo autor para « La pícara Justina », pp. 217-220. 82   Nicolás Antonio (Bibliotheca Hispana Nova Sive Hispanorum Scriptorum. Tomus Primus, p. 183) definisce però Fray Baltasar Navarrete “Pincianus”. Anche secondo Mariano Alcocer y Martínez il domenicano sarebbe nato a Valladolid (cfr. A. Rojo Vega : Propuesta de nuevo autor para « La pícara Justina », p. 215). 83   A. Rojo Vega : Propuesta de nuevo autor para « La pícara Justina », pp. 220-221. 84   A. Rojo Vega : Propuesta de nuevo autor para « La pícara Justina », p. 226. 85   Don Antonio de Luna era “capitan de los contínuos”, cioè delle guardie della Casa Reale, e Conte di San Esteban de Gormaz. Nel 1601 aveva sposato la sorella di Don Álvaro de Bazán, Marchese di Santa Cruz, ed era stato fatto Conte di Fuentidueña. Cfr. Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 111 e p. 128. 86   Non ci è chiaro quale sia questa D. Antonia de Ulloa, Contessa di Salinas. D. Aña Sarmiento de Villandrando y de la Cerda, V Contessa di Salinas e Ribadeo, seconda moglie di Don Diego de Silva y Mendoza (con il matrimonio il figlio della famosa principessa di Éboli si impegnò ad assumere il nome di D. Diego Sarmiento de la Cerda y Villandrando e il titolo di Conte di Salinas), morí prima del 1599. La sorella, D. Marína Sarmiento de Villandrando, VII Contessa di Salinas e Ribadeo per la morte del Conte D. Pedro, suo nipote, sposò il cognato Don Diego de Silva y Mendoza nel 1599 e morì alla fine di marzo/inizio aprile 1600, dopo aver dato alla luce il figlio Rodrigo (il futuro Don Rodrigo Sarmiento de Silva, Conte di Salinas, Marchese di Alenquer e Duca di Híjar, protagonista della famosa ‘congiura’ contro Filippo IV). Nell’indice dei nomi propri approntato dal curatore della edizione delle Relaciones di Luis Cabrera de Córdoba, si trova però alla voce “Salinas, condesa de” (p. 618), riferita alla notizia della morte di D. Marína Sarmiento de Villandrando, VII Contessa di Salinas e Ribadeo, data dal cronista nel testo della sua opera (p. 64), questo rinvio : “V. Ulloa y Sarmiento”. Alla voce Ulloa (Sarmiento è sparito) si legge : “Ulloa (doña Antonia de), condesa de Salinas” (p. 652). Parrebbe allora che la Contessa di Salinas si chiamasse anche Doña Antonia de Ulloa, ma questa muore nella primavera del 1600,  







































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Conte di Ayala. 87 Nel 1611 divenne titolare, come abbiamo visto, della Cattedra di “Prima de Teología de Santo Tomás” dell’Università di Valladolid su designazione del Duca di Lerma, fondatore di questa Cattedra riservata ai domenicani del Convento di San Pablo. Il domenicano godeva quindi della protezione del favorito ! Ulteriore prova, questa, “de su introducción en la nobleza”. 88 Fray Baltasar Navarrete sarà, infine, confessore del principe Felipe (IV). 89  







Il documento scoperto da Anastasio Rojo Vega ha certamente un grandissimo valore ed è infinitamente piú importante di molte sottili elucubrazioni fatte sulla Pícara Justina e la ‘razza’ del suo autore. Non risolve però definitivamente il problema della paternità dell’opera. L’affermazione del libraio Diego Pérez Cortés di possedere i diritti di proprietà (“yo tengo derecho y action 90”) su un libro “intitulado la pícara, que le compré del padre presentado fray Baltasar Navarrete de la orden del señor santo domingo”, è perentoria. Altrettanto perentorie sono le affermazioni seguenti : a) questi diritti li certifica “la escritura de conpra, asiento y conzerto”, stipulata con Fray Baltasar Navarrete davanti al regio notaio Cristóbal de Santiago ; b) questa scrittura era “notoria”, era, cioè, noto a tutti, a Valladolid, che Fray Baltasar Navarrete aveva venduto con regolare contratto notarile al libraio Diego Pérez Cortés il libro intitolato “la pícara”. Solo l’autore del libro aveva la facoltà giuridica di stipulare un tale contratto. Ma se Fray Baltasar Navarrete era – come risulta chiaramente dal contratto di trasmissione dei diritti sulla Pícara Justina da Diego Pérez a Gerónimo Obregón – l’autore del libro, perché la richiesta della licenza di stampa e la richiesta del privilegio erano state fatte da Francisco López de Úbeda ? Nel « Privilegio Real » si legge infatti :  













POR quanto por parte de vos el Licenciado Francisco Lopez de Vbeda, nos fue fecha relacion, que auiades compuesto vn libro de Entretenimiento, de la Picara Iustina, que tenia dos tomos, el qual os auia costado mucho trabajo, y estudio, y era muy vtil y prouechoso, y contenia cosas muy curiosas, acerca de la moralidad, y de las buenas costumbres, y nos pedistes y suplicastes os mandassemos dar licencia para lo poder imprimir, y priuilegio por termino de veynte años, o como la nuestra merced fuesse lo qual visto por los de nuestro consejo, y como por su mandado se hizieron las diligencias, que manda la premetica [prematica], por nos vltimamente fecha sobre la impression de los libros, 91 fue acordado que deuiamos de mandar dar esta nuestra cedula en  

mentre Fray Baltasar Navarrete firma il testamento di “Doña Antonia de Ulloa, condesa de Salinas” nel 1605 ! Sui matrimoni di Don Diego de Silva y Mendoza, cfr. Luis Rosales : La vida de Don Diego de Silva, Conde de Salinas y Marqués de Alenquer. In : L. Rosales : Obras completas. Volumen 5 : La obra poética del Conde de Salinas. Edición de Antonia María Ortiz Ballesteros. Madrid : Trotta 1998, pp. 25-116 ; qui pp. 35-36. 87   Si tratta quasi sicuramente di Don Antonio de Fonseca y Toledo, creato Conte di Ayala nel dicembre 1601 e morto nel dicembre del 1605. Cfr. Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 128 e p. 266. 88   A. Rojo Vega : Propuesta de nuevo autor para « La pícara Justina », p. 215 e pp. 224-225. 89   A. Rojo Vega : Propuesta de nuevo autor para « La pícara Justina », p. 215. 90   “ACCION. En lo forense significa el derecho que uno tiene à alguna cosa, para pedirla en juicio, segun y como le pertenece”. Cfr. Real Academia Española : Diccionario de Autoridades. Edición facsímil. Madrid : Gredos 1984, Tomo Primero (Madrid 1726), p. 41. 91   L’unica prammatica sulla stampa dei libri alla quale Filippo III può riferirsi, è la seguente : PREMATICA En que se prohibe a qualesquier personas, assi naturales destos Reynos, como estrangeros, que traxeren o metieren en ellos qualesquier libros impressos, no los puedan vender sin que primero sean tasados. EN MADRID, En casa de Pedro Madrigal. Año M.D.XCVIII. Vendese en casa de la biuda de Blas de Robles, y Francisco de Robles su hijo, librero del Rey nuestro señor. Cfr. Yolanda Clemente San Román : Tipobibliografía madrileña. La imprenta en Madrid en el siglo XVI (1566-1600). III. Kassel : Edition Reichenberger 1998, pp. 919-920, nro. 810. Il testo della prammatica è riprodotto in : Fermín de los Reyes Gómez : El libro en España y América. Legislación  









































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la dicha razon, y nos tuuimos lo por bien, por lo qual vos mandamos dar licencia y facultad para que por tiempo de diez años cumplidos primeros siguientes que eran, y se cuentan desde el dia de la data desta nuestra cedula en adelante, vos, o la persona [que] contra ello vuestro poder huuiere, y no otra alguna podays imprimir el dicho libro que de suso se haze mencion, con las enmiendas en el puestas por Thomas Gracian que es la persona a quien por nos se mando viesse y enmendasse el dicho libro, y por la presente damos licencia y facultad a qualquier Impressor destos nuestros Reynos, que vos nombraredes para que durante el dicho tiempo le puedan imprimir por el original que en el nuestro consejo se vio, que va rubricado cada plana y firmado al fin del de Francisco Martinez nuestro secretario de Camara, y vno de los que en nuestro consejo residen, con que antes que se venda le tragays ante ellos, con el dicho original, para que se vea si esta dicha impression esta conforme a el [...], y mandamos que durante el dicho tiempo, persona alguna, sin vuestra licencia no le puedan imprimir, ni vender sopena que el que lo imprimiere, o vendiere, aya perdido, y pierda qualesquier libros, moldes, y aparejos, que del tuuiere, y mas incurra en pena de cincuenta mil marauedis, por cada vez que lo contrario hiziere [...]. 92  

Il « Privilegio Real » non solo certifica che la richiesta della ‘licenza’, cioè della autorizzazione a stampare, e la richiesta del ‘privilegio’, cioè dell’esclusiva e della protezione da edizioni pirata, erano state fatte da Francisco López de Úbeda, ma anche – come si vede – che questi aveva composto il Libro de Entretenimiento, de la Pícara Justina. Questi dati sono incontrovertibili, non escludono però la possibilità che l’autore vero della Pícara Justina fosse veramente Fray Baltasar Navarrete e che Francisco López de Úbeda sia stato un semplice prestanome. Sono documentati diversi casi di autori che pubblicarono le loro opere sotto il nome di una persona reale, non fittizia. Si pensi, per esempio, a Miguel Sabuco, che pubblicò la sua Nueva filosofia de la naturaleza del hombre (Madrid : Pedro Madrigal 1587) sotto il nome della figlia, Doña Oliva Sabuco, la quale a proprio nome chiese ed ottenne il « Privilegio Real » per l’opera, 93 da lei offerta con una lunga « Carta Dedicatoria » a Filippo II ; 94 a Baltasar Gracián, che pubblicò le sue opere  















   

y Censura (siglos XV-XVIII). II, pp. 832-834. La prammatica, che si ricollega alle disposizioni generali sulla stampa contenute nella Pragmática-sanción del 7 settembre 1558 (“Bien sabeys, que por leyes destos nuestros Reynos esta prohibido imprimir libros sin licencia nuestra, y dada la orden que se ha de tener y guardar en darla, y que no se puedan vender en estos nuestros Reynos antes de tassarse por los del nuestro Consejo...”), fu emanata da Filippo II un mese prima della sua morte (“Fecha en san Lorenço, a doze dias del mes de Agosto, de mil y quinientos y nouenta y ocho años”), ma firmata dal figlio (“YO EL PRINCIPE”). L’unico decreto riguardante la stampa emanato da Filippo III prima del 22 agosto 1604, è la Cédula sobre nuevo rezado del 24 settembre 1602. 92   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, fo. [A 2v-3r]. Il testo di questo « PRIVILEGIO REAL » è simile a quello premesso a tante altre opere. Si veda – per esempio – La TRADVZION DEL INDIO DE LOS TRES Dialogos de Amor de Leon Hebreo, hecha de Italiano en Español por Garcilasso Inga de la Vega (EN MADRID, En casa de Pedro Madrigal. M.D.XC.), il CANCIONERO DE LOPEZ MALDONADO (Impresso en Madrid, en casa de Guillermo Droy, Impressor de Libros. Acabose a cinco de Febrero. Año de. 1586.) o EL INGENIOSO HIDALGO DON QVIXOTE DE LA MANCHA (EN MADRID. Por Iuan de la Cuesta. 1605). Nel privilegio concesso a Cervantes si specifica però la sua limitazione ai Regni di Castiglia (“en todos nuestros Reynos de Castilla”). Nei Regni della Corona di Aragona vigeva una diversa legislazione sulla stampa. Con la Real cédula del 17 dicembre 1716, Filippo V estese la legislazione castigliana sulla stampa, costituita essenzialmente dalla Pragmática-sanción del 7 settembre 1558, ai Regni di Aragona. Cfr. Jaime Moll : Implantación de la legislación castellana del libro en los Reinos de la Corona de Aragón. In : J. M. : De la imprenta al lector. Estudios sobre el libro español de los siglos XVI al XVIII. Madrid : Arco/Libros 1994, pp. 89-94. 93   Il « Privilegio Real a favor de Oliva Sabuco por plazo de 10 año », firmato “por mandado de su Magestad” da Juan Vázquez, è datato “San Lorenzo, 23 de julio de 1586”. Cfr. Yolanda Clemente San Román : Tipobibliografía madrileña. La imprenta en Madrid en el siglo XVI (1566-1600). II. Kassel : Edition Reichenberger 1998, pp. 427-429, nro. 369. 94   Doña Oliva Sabuco de Nántes Barrera : « Carta dedicatoria, al Rey Nuestro Señor » In : Obras escogidas de filósofos. Con un Discurso preliminar del excelentísimo e ilustrísimo señor Don Adolfo de Castro (= Biblioteca de Autores Españoles, 65). Madrid : Atlas 1953, pp. 329-330.  





























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sotto il nome del fratello Lorenzo Gracían, 95 sebbene la Pragmática di Filippo IV del 13 giugno 1627 – seguendo sostanzialmente quanto aveva stabilito la Pragmática-sanción del 7 settembre 1558, emanata su sollecitazione dell’Inquisitore generale Fernando de Valdés 96 – avesse ribadito la proibizione di “variar” o di “suponer los nombres” degli autori ; 97 o, infine, a José Francisco de Isla, che fece figurare Don Francisco Lobón y Salazar, parroco di Villagarcía de Campos, come autore della sua Historia del famoso predicador Fray Gerundio de Campazas. Trascriviamo qui di seguito le prime righe del privilegio concesso l’8 settembre 1757 da Fernando VI a Don Francisco Lobón y Salazar perché sono molto simili a quelle dell’inizio del privilegio concesso a Francisco López de Úbeda da Filippo III :  



   



Por cuanto, por parte de don Francisco Lobón de Salazar, presbítero, beneficiado de preste en 95   Lorenzo Gracián non solo figura come autore sul frontespizio di varie opere, ma anche come la persona cui vengono concessi la licenza di stampa e il ‘privilegio’. Cfr. El Heroe de Lorenzo Gracian infanzon. En esta Segunda Impression nueuamente corregido. Con Licencia. En Madrid, Por Diego Diaz. Año M.DC.XXXIX. (Ed. facs. Zaragoza : Institución “Fernando el Católico” 2001), « Licencia ». – El Político D. Fernando el Catolico de Lorenzo Gracian. Con Licencia, y Privilegio. En Zaragoça, por Diego Dormer. Año M.DC.XL. (Ed. facs. Zaragoza : Institución “Fernando el Católico” 1985), « Censvra del Dotor Ivan Francisco Andres de Vstarroz », « Suma del Privilegio ». – El Discreto de Lorenzo Gracian, que publica Don Vincencio Ivan de Lastanosa. Con licencia. Impresso en Huesca, por Iuan Nogues, Año 1646 (Ed. facs. Zaragoza : Institución “Fernando el Católico” 2001), « Aprovacion del Doctor Ivan Francisco Andres ». – Oracvlo Manval, y Arte de Prvdencia. Sacada de los aforismos que se discvrren en las obras de Lorenço Gracian. Con licencia : Impresso en Huesca, por Iuan Nogues. Año 1647 (Ed. facs. Zaragoza : Institución “Fernando el Católico” 2001), « Aprobacion del Doctor Ivan Francisco Andres, Chronista del Reino de Aragon ». – Agvdeza y arte de ingenio... Por Lorenço Gracian. Avmentala El mesmo Autor en esta segunda impression, con vn tratado de los Estilos... Impresso en Huesca, por Ivan Nogves. Año M.DC.XLVIII. (Ed. facs. Zaragoza : Institución « Fernando el Católico » 2007), « Aprovacion del P. M. Fr. Gabriel Hernandez, de la Orden de San Agustin », « Censvra del Doctor Ivan Francisco Andres, Chronista del Reino de Aragon ». Per Miguel Romera-Navarro, Miguel Batllori e Evaristo Correa Calderón Lorenzo Gracián è uno pseudonimo, secondo molti altri studiosi (a partire da Nicolas Antonio) è un fratello di Baltasar Gracián (i cui fratelli si chiamavano Pedro, Juan, Felipe, Francisco, Lorenzo e Raimundo). Belén Boloqui ha definitivamente dimostrato documentalmente l’esistenza di Lorenzo e tutti gli studiosi – come recentemente Emilio Blanco e Aurora Egido, che ha prologato le edizioni in facsimile or ora elencate – la ritengono un dato definitivamente acquisito della biografia di Baltasar Gracián. Cfr. M. Romera-Navarro : « Introducción » a : Baltasar Gracián : El Criticón. Edición crítica y comentada por M. R.-N. Tomo Primero. Philadelphia : University of Pennsylvania Press 1938, pp. 3-88 ; qui pp. 13-14. – Miguel Batllori S. I. : Gracián y el Barroco. Roma : Edizioni di Storia e Letteratura 1958, p. 90. – E. Correa Calderón : Baltasar Gracián. Su vida y su obra. Segunda edición aumentada (= Biblioteca Románica Hispánica. II. Estudios y Ensayos, 52). Madrid : Gredos 1970, p. 80. – Belén Boloqui Larraya : Al hilo de San Pedro Arbués en su V Centenario. Lazos de parentesco entre el Inquisidor, los Condes de Aranda, el P. mercedario Juan Gracián y Salaverte y los hermanos Lorenzo y Baltasar Gracián. In : Homenaje al Prof. Ángel Sancho Blánquez. Zaragoza : Universidad de Zaragoza 1985, pp. 101-149. – Belén Boloqui : Baltasar Gracián. Datos familiares inéditos, 1563-1667. In : Segundo Encuentro de Estudios Bilbilitanos. II. Calatayud : Centro de Estudios Bilbilitanos 1989, pp. 277-287. – Belén Boloqui : Niñez y adolescencia de Baltasar Gracián. In : Suplementos Anthropos 37 (marzo 1993), 5-62, 139-144. – Aurora Egido : « Prólogo » a : Oracvlo Manval, y Arte de Prvdencia, pp. VII-XL ; qui p. VII (“Con el nombre de su hermano Lorenzo ... Baltasar Gracián publicó ... el Oráculo manual...”). – Aurora Egido : « Prólogo » a : El Heroe, pp. VII-XXV ; qui p. XVI-XVII. – Aurora Egido : « Prólogo » a : El Discreto, pp. IX-XXXVI ; qui p. XV (“Como en sus obras anteriores Baltasar Gracián escondió su nombre propio en el de su hermano Lorenzo...”). – Emilio Blanco : « Introducción » a : Baltasar Gracián : Oráculo manual y arte de prudencia. Madrid : Cátedra 2007, pp. 15-73 ; qui pp. 17-18. 96   Cfr. Pragmática-sanción de Felipe II y en su nombre la princesa Da Juana, sobre la impresión y libros (Valladolid, 7. septiembre 1558). In : Fermín de los Reyes Gómez : El libro en España y América. Legislación y Censura (siglos XV-XVIII). II, pp. 799-804 ; qui p. 802 (“que en principio de cada libro, que … se imprimiere se ponga la licencia y la tassa y priuilegio si le ouiere, y el nombre del auctor y del impressor y lugar donde se imprimió”) . – Memorial del Inquisidor general Fernando de Valdés a Felipe II sobre censura de libros (2 giugno 1558). In : F. de los Reyes Gómez : El libro en España y América. Legislación y Censura (Siglos XV-XVIII). II, pp. 1252-1254 (“Que los impresores no impriman cosa alguna, en latín ni en romance, sin que se ponga el auctor de la obra que imprimieren, el lugar do se imprime, y nombre del impresor”). 97   Pragmática de Felipe IV sobre impresión con licencias (Madrid, 13 junio 1627). In : Fermín de los Reyes Gómez : El libro en España y América. Legislación y Censura (Siglos XV-XVIII). II, pp. 846-848.  











































































































































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las villas de Aguilar y Villagarcía de Campos, cura de la parroquial de San Pedro de dicha villa y opositor a cátedras en la universidad de Valladolid, se representó al mi Consejo tenía compuesto y deseaba imprimir una obra, cuyo título era Historia del famoso predicador Fray Gerundio de Campazas, Tomo Primero, y, para poderlo ejecutar sin incurrir en pena alguna suplicó se sirviese concederle su licencia y privilegio por tiempo de diez años para su impresión, así para este tomo como para los demás que se vayan presentando, remitiéndolo a la censura de la persona que conviniese. Y visto por los de mi Consejo y cómo, por su mandado, se hicieron las diligencias que por la pragmática últimamente promulgada sobre la impresión de libros se dispone, 98 se acordó expedir esta mi cédula. Por la cual concedo licencia y facultad al expresado don Francisco Lobón de Salazar para que, sin incurrir en pena alguna, por tiempo de diez años primeros siguientes, que han de correr y contarse desde el día de la fecha de ella, el susodicho u la persona que su poder tuviere, y no otra alguna, pueda imprimir y vender la referida obra intitulada Historia del famoso predicador Fray Gerundio de Campazas […]. 99  



Come si vede, nonostante le vigenti disposizioni di legge che proibivano la pubblicazione di un’opera sotto falso nome e l’uso di prestanomi, una persona reale chiede e ottiene la licenza di stampa e il regio privilegio per un libro che non aveva composto – sebbene le venga ufficialmente attestato di averlo fatto (“tenía compuesto…”) – e che sarà pubblicato con il suo nome come autore. Era successa la stessa cosa con la Pícara Justina ? Francisco López de Úbeda si era prestato ad occultare la paternità letteraria di Fray Baltasar Navarrete ? E se era stato effettivamente disposto a fare da prestanome, perché l’aveva fatto ? Non è possibile dare alcuna risposta concreta a questi interrogativi e neppure è possibile formulare ipotesi di qualche verosimiglianza. Alcuni indizi ricavabili dall’analisi dei dati disponibili sui librai che acquistarono i diritti sulla Pícara Justina e sul tipografo che la stampò, ci permettono però di avanzare un paio di congetture forse non del tutto prive di fondamento. Il libraio Diego Pérez Cortés aveva iniziato la sua carriera a Medina del Campo come commesso nella grande libreria di Juan Boyer ; alla morte di questi (1599) aveva messo su una propria libreria nella stessa città e svolto una importante attività editoriale, finanziando, tra l’altro, la stampa della Historia General de la India Oriental (En Valladolid por Luis Sanchez, a costa de Diego Perez, mercader de libros. Año de 1603) del monaco benedettino Antonio de San Román, e comprando importanti quantità di “papel blanco de Génova”. 100 Nel 1601 Diego Pérez Cortés aveva finanziato la pubblicazione del Lexicon Ecclessiasticvm latino-hispanicum di Didacus Ximénez Arias, stampato nella officina di Cristóbal Lasso Vaca (Metimnae a Campo. In aedibus Christophori Lasso Vacca. Expensis Didaci Perez Bibliopolae. Anno M.D[C]I.) 101 e nel 1603 aveva concertato con lo stesso tipografo la stampa della Política para corregidores di Jerónimo Castillo de Bovadilla (l’opera fu effettivamente stampata da Cristóbal Lasso Vaca, ma uscì – fu l’ultimo libro stampato nel XVII secolo a Medina del Campo – soltanto nel 1608 e senza alcuna indicazione che la stampa fosse stata finanziata da Diego Pérez Cortés). 102 Nel 1605 Diego Pérez Cortés chiuse la libreria di Medina del Campo per installarsi a Valladolid, dove comprò case e fondi per il suo negozio di libraio che gli costarono 3.000 ducati. Nella  













98   Si riferisce quasi sicuramente alla Instrucción … sobre el modo, y methodo con que los Censores … deberán examinar, y dar su Censura en los Libros del 19 luglio 1756. Cfr. Fermín de los Reyes Gómez : El libro en España y América. Legislación y Censura (Siglos XV-XVIII). II, pp. 997-999.. 99   José Francisco de Isla : Historia del famoso predicador Fray Gerundio de Campazas alias Zotes. Edición crítica de José Jurado (= Biblioteca Románica Hispánica. IV. Textos, 21). Madrid : Gredos 1992, p. 81. 100   Cfr. Cristóbal Pérez Pastor : La imprenta en Medina del Campo, p. 474, nro. 254. 101   Cfr. Cristóbal Pérez Pastor : La imprenta en Medina del Campo, p. 319, nro. 249. 102   Cfr. Anastasio Rojo Vega : Impresores, libreros y papeleros en Medina del Campo y Valladolid en el siglo XVII, p. 130 e p. 175. – Cristóbal Pérez Pastor : La imprenta en Medina del Campo, pp. 363-364, nro. 280.  













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città del Pisuerga aveva incominciato la sua attività in grande stile, ma molto presto si trovò in gravi difficoltà finanziarie. 103 Furono probabilmente queste difficoltà finanziarie, causate forse dall’acquisto delle case e dei fondi, che spinsero Diego Pérez Cortés a cedere i suoi diritti sulla Pícara Justina a Jerónimo de Obregón. Dell’attività editoriale di questo mercader de libros non vi è traccia alcuna nel Catálogo razonado de obras impresas en Valladolid, 1481-1800 di Mariano Alcocer y Martínez. Anastasio Rojo Vega ha potuto però scoprire alcuni dati su Jerónimo de Obregón : fino al 1605 era “el encargado de vender y distribuir los libros del nuevo rezado en Valladolid” 104 e di tali vendite “dió cuentas a fray Martín de Villanueva, fraile del rezo”, proprio nell’anno 1605 ; nel 1609 vendette una serie di opere a Jerónimo de Yepes e nell’anno successivo comprò una certa quantità di libri a Pierre Landri. 105 I rapporti fra Diego Pérez Cortés e Cristóbal Lasso Vaca, il rappresentante piú importante di una famiglia di stampatori attiva a Medina del Campo, Valladolid e Salamanca, risalivano almeno al 1601, all’epoca in cui entrambi operavano ancora a Medina del Campo, e sono ben documentati. Documentati sono anche i rapporti fra Fray Baltasar Navarrete e Cristóbal Lasso Vaca. Sia il primo che il secondo tomo delle Controversiae in Divi Thomae et eius scholae defensionem sono stati stampati nell’officina tipografica del Convento domenicano di San Pablo di Valladolid (di questo Convento Fray Baltasar Navarrete sarà, come abbiamo già ricordato, priore per tre volte) : il primo tomo (1605) da Pedro Lasso Vaca, fratello di Cristóbal Lasso Vaca ; 106 il secondo tomo (1609) dallo stesso Cristóbal Lasso Vaca, il tipografo che stampa la princeps della Pícara Justina. L’autore della Pícara Justina – tanto interessato ad una rapida pubblicazione della sua opera da affidare la composizione delle sue parti o dei suoi ‘libri’ a due diversi compositori (quasi sicuramente di due diverse officine, come fa supporre la diversità dei materiali tipografici impiegati) che lavorarono simultaneamente, pratica non rara quando le opere erano voluminose 107 – fece stampare la sua opera a Medina del Campo e non a Valladolid, dove vi erano non solo tante librerie, ma anche numerose tipografie efficienti, come quelle di Juan del Bostillo, di Juan Godínez de Millis, di Andrés Merchán, di Sebastián de Cañas, di Francisco Fernández de Córdoba, di Juan Íñiguez de Lequerica (Herederos) e di Luis Sánchez (quando la Corte abbandonó Madrid, il noto stampatore madrileno impiantò a Valladolid una filiale – affidandone la conduzione a sua fratello Lucas –, che divenne la piú attiva delle officine vallisoletane negli anni 1602-1606). 108  











   





103   Cfr. A. Rojo Vega : Impresores, libreros y papeleros en Medina del Campo y Valladolid en el siglo XVII, pp. 174-176. 104   Sulla stampa, vendita e distribuzione dei libri del Nuevo Rezado (“breviarios, diurnales, misales, oficios y horas de Nuestra Señora”), affidate da Filippo II al Monasterio de El Escorial e al suo al Priore con la Real Cédula del 15 luglio 1573 (il ‘privilegio’ concesso al Monastero sarà confermato nel 1603 da Filippo III), cfr. Fermín de los Reyes Gómez : El libro en España y América. Legislación y Censura (Siglos XV-XVIII). I, pp. 211-227. 105   Cfr. A. Rojo Vega : Impresores, libreros y papeleros en Medina del Campo y Valladolid en el siglo XVII, p. 165. 106   Cfr. A. Rojo Vega : Impresores, libreros y papeleros en Medina del Campo y Valladolid en el siglo XVII, p. 129. 107   Cfr. M. Bataillon : Redescubrimiento de una obra literaria (1958-1960), pp. 31-32. – M. Bataillon : Relaciones literarias, p. 223. – R. M. Flores : The Compositors of the first and second Madrid Editions of Don Quixote. Part I (= Publications of the Modern Humanities Research Association, 7). London : The Modern Humanities Research Association 1975, p. 13, nota nro. 2. – José María Micó : Prosas y prisas en 1604 : El Quijote, el Guzmán y la Pícara Justina. In : Hommage à Robert Jammes (= Anejos de Criticón, 1). Toulouse : Presses Universitaires du Mirail. Université de Toulouse-Le Mirail 1994, vol. III, pp. 827-848 ; qui pp. 831-832. 108   Per notizie sugli stampatori e i librai di Valladolid e di Medina del Campo, cfr. Cristóbal Pérez Pastor : La imprenta en Medina del Campo. – Mariano Alcocer y Martínez : Catálogo razonado de obras impresas en Valladolid, 1481-1800, pp. 12-17. – A. Rojo Vega : Impresores, libreros y papeleros en Medina del Campo y Valla 































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Perché ? Forse l’autore della Pícara Justina aveva allacciato rapporti con Cristóbal Lasso Vaca quando questi, prima di trasferirsi a Medina del Campo, operava a Valladolid (16011602), nella tipografia del Collegio di San Gregorio e del Convento domenicano di San Pablo (dove tornerà a lavorare verso il 1608/1609). Si potrebbe formulare anche l’ipotesi che la seconda officina nella quale furono stampate parti della Pícara Justina, sia stata quella del Convento domenicano di San Pablo dove lavorava Pedro Lasso. Si potrebbe altresí supporre che Fray Baltasar Navarrete abbia conosciuto Pedro Lasso quando insegnava al Collegio di Santo Domingo di Salamanca, città nella quale il fratello di Cristóbal Lasso Vaca svolse una intensa attività tipografica stampando piú di cento opere, fra le quali – oltre a tutta una serie di scritti accademici – El caballero determinado di Olivier de la Marche (En Salamanca. En casa de Pedro Laso. 1573), Los quatro libros primeros del inuencible cauallero Amadís de Gaula (En Salamanca. En casa de Pedro Lasso. A costa de Lucas de Junta. 1575), la Floresta española di Melchor de Santa Cruz de Dueñas (En Salamanca. En casa de Pedro Lasso. 1576), la Selva de aventuras di Jerónimo de Contreras (En Salamanca, por Pedro Lasso. 1580), El cortesano di Baldassar Castiglione (En Salamanca. En casa de Pedro Lasso. 1581), le Historias tragicas exemplares di Matteo Bandello (En Salamanca, por Pedro Lasso impressor. A costa de Iuan de Millis Godínez. 1589) e le Silvae di Angelo Poliziano (Salmanticae, Excudebat Petrus Lassus. 1596). 109 Una delle ultimissime opere stampate a Salamanca da Pedro Lasso è stata la già ricordata Historia de la vida y milagros del glorioso sant Raymundo de Peñafort (1601) di Fray Andrés Pérez. (Circostanza, questa, non priva forse d’interesse.) Quando Pedro Lasso – verso la fine del 1601, o verso l’inizio del 1602 – si trasferì a Valladolid, per lavorare nella officina del Convento di San Pablo, avrebbe potuto far conoscere a Fray Baltasar Navarrete il fratello Cristóbal Lasso Vaca. Nella editio princeps della Pícara Justina non figura né il nome di Diego Pérez, né il nome di Jerónimo de Obregón, e manca del tutto la rituale formula A costa de …, mercader de libros. Perché ? Quando Diego Pérez Cortés e Jerónimo de Obregón firmano davanti al notaio Juan Ruiz il loro contratto, Cristóbal Lasso Vaca aveva già stampato la Pícara Justina ? Le espressioni usate da Diego Pérez per rinunziare al diritto acquisito “para poder inprimir y bender el … libro intitulado la picara” e trasferirlo a Jerónimo de Obregón (“de oy en adelante podais bos el dicho Gerónimo Obregón o quien vuestro poder tubiere inprimir el dicho libro..”), fanno chiaramente intendere che al momento della firma del contratto il Libro de entretenimiento non era stato ancora stampato. Altrimenti Diego Pérez non si sarebbe limitato a riferirsi al diritto acquisito di stampare e vendere la Pícara Justina, ma avrebbe dovuto anche ricordare esplicitamente che l’opera era già stata stampata (a sue spese) e che l’edizione constava di tot esemplari, in parte già venduti, in parte ancora da vendere. E se la Pícara Justina era già stata stampata, che interesse avrebbe avuto Jerónimo de Obregón a comprare i diritti per approntare una seconda edizione dell’opera a poche settimane soltanto dalla pubblicazione della prima ? Ma se la cessione fatta da Diego Pérez era, come è del tutto evidente, esclusivamente una cessione di diritti, il 18 aprile 1605 la Pícara Justina non era stata ancora stampata.  









dolid en el siglo XVII. Alle “tendas dos livreiros” di Valladolid accenna fugacemente Thomé Pinheiro da Veiga. Cfr. Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia. Reprodução em fac-símile da edição de 1911 da Biblioteca Pública Municipal do Porto. Prefácio de Maria de Lurdes Belchior. Madrid : Imprensa Nacional - Casa da Moeda 1988, p. 266. 109   Cfr. Lorenzo Ruiz Fidalgo : La imprenta en Salamanca (1501-1600). Madrid : Arco/Libros 1994, 3 voll. ; qui I, pp. 94-95 ; II, p. 755, nro. 846, p. 794, nro. 898A, p. 824, nro. 938, p. 884, nro. 1019, p. 897, nro. 1038 ; III, p. 1075, nro. 1266, p. 1210, nro. 1431. – Juan Delgado Casado : Diccionario de impresores españoles (siglos XV-XVII). Madrid : Arco/Libros 1996, 2 voll. ; qui I, pp. 378-379.  



















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La sua stampa dovette però iniziare subito dopo e fu eseguita, come sappiamo, in gran fretta. (Il 19 giugno 1605 Girolamo da Sommaia riceve “in presto il Libro della Picara”, sicuramente fresco di stampa, dal libraio di Salamanca Juan Comán. 110). I rapporti fra Diego Pérez Cortés e Cristóbal Lasso Vaca, fra Fray Baltasar Navarrete e Diego Pérez Cortés, fra Fray Baltasar Navarrete e Cristóbal Lasso Vaca, sono ben documentati. Nulla sappiamo, invece, dei rapporti fra Francisco López de Úbeda e Diego Pérez Cortés, o Jerónimo de Obregón. Quanto ai rapporti fra Francisco López de Úbeda e Cristóbal Lasso Vaca essi sono naturalmente attestati dalla edizione stessa della Pícara Justina. Non sappiamo però se il medico – indipendentemente dal suo ruolo di autore o di prestanome – organizzò e seguì la stampa dell’opera, perché la sua presenza a Valladolid non è documentata. Anastasio Rojo Vega afferma di non aver trovato traccia di Francisco López de Úbeda “en ninguna parte de los protocolos vallisoletanos” e – mettendo anche in rilievo come tutti i documenti relativi al medico toledano sinora reperiti lo mostrino sempre “a orillas del Manzanares” – ritiene addirittura che il medico toledano non si sia mai mosso da Madrid e che nulla dimostri “su talante « turístico » y viajero”. 111 La mancanza di tracce documentarie sulla presenza di Francisco López de Úbeda a Valladolid costituisce certamente un indizio da non sottovalutare (si deve però considerare che la Corte vi risiedette solo cinque anni e che Anastasio Rojo Vega, per quanto gran conoscitore dei documenti conservati negli Archivi vallisoletani, non può averli esaminati tutti, come – in un’altra occasione – egli stesso ammette 112). Non è invece da sopravvalutare il fatto che tutti i documenti rinvenuti sinora su di lui testimonino unicamente la sua residenza a Madrid, perché tali documenti sono degli anni 1586-1593, anni ben lontani da quelli (1601-1606) in cui la Corte ebbe sede sulle rive del Pisuerga. Non si può quindi escludere affatto che Francisco López de Úbeda abbia abitato per un certo periodo a Valladolid. 113 (E se non a Valladolid, dove si sarebbero incontrati Fray Baltasar Navarrete e Francisco López de Úbeda per accordarsi sulla pubblicazione della Pícara Justina ? Forse a Madrid ?) Una cosa è però certa : una conoscenza cosí profonda del lessico e delle espressioni idiomatiche leonesi, 114 della geografia e toponomastica della Tierra de Campos, dei san 



















110   Diario de un estudiante de Salamanca. La crónica inédita de Girolamo da Sommaia (1603-1607). Edición e introducción de George Haley (= Acta Salmanticensia. Historia de la Universidad, 27). Salamanca : Universidad de Salamanca 1977, p. 365. L’opera, datagli chiaramente ‘in visione’ dal libraio, Girolamo da Sommaia l’acquisterà, come vedremo, il 29 ottobre 1605 (p. 419). Sul Diario di Girolamo da Sommaia cfr. l’ampia « Introducción » di George Haley (pp. 9-87) alla sua edizione. Quanto sia grande la sua importanza documentaria lo dimostrano le molte pagine de La sociedad española en el Siglo de Oro (Segunda edición revisada y aumentada. Madrid : Gredos 1989, 2 tomi ; qui II, pp. 818-847) di Manuel Fernández Álvarez basate sulle annotazioni di Girolamo da Sommaia. 111   A. Rojo Vega : Propuesta de nuevo autor para « La pícara Justina », p. 213. 112   A. Rojo Vega : Impresores, libreros y papeleros en Medina del Campo y Valladolid en el siglo XVII, p. 9. 113   Secondo un inventario di libri redatto nel 1608 post-mortem, era esistito a Plasencia un medico di nome Francisco López che aveva posseduto una biblioteca molto ampia, nella quale, oltre ai libri di medicina, figuravano numerose opere di letteratura spagnola, italiana, latina e greca. Era forse questo Francisco López il nostro Francisco López de Úbeda ? Cfr. Ricardo Luengo Pacheco : Libros y lectores en Plasencia (siglos XVIXVIII). Cáceres : Universidad de Extremadura 2002, pp. 143-144 e pp. 360-371 (queste pagine contengono l’inventario della biblioteca di Francisco López). 114   Scrive Julio Puyol y Alonso : “A los que hemos nacido en aquella tierra, la lectura de la obra nos produce casi el convencimiento pleno de que su autor era leonés de la vieja cepa, no ya por el minucioso conocimiento que demuestra de la capital, de sus cercanías y del carácter y costumbres de sus moradores, sino por el uso de los vocablos, giros y modismos locales con los que, si no imposible, es por lo menos muy difícil que llegue á familiarizarse el natural de otra region. Por leonés, ciertamente, le reputamos al verle usar locuciones que, ó son provincialismos, ó que se emplean en León con mayor frecuencia que en cualquiera otra comarca, tales como abertiz (portillo de un prado), agabanza (mastranzo), apuñar (recoger), fresco (pescado en general), bim 

























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tuari, pellegrinaggi e conventi, della situazione di privilegio o di dipendenza giurisdizionale di alcune località, 115 e della topografia, dei monumenti e degli usi e costumi di León non si acquisisce, come crede Marcel Bataillon, con la breve esperienza “turística” 116 di un viaggio di pochi giorni, quale fu quello eventualmente effettuato nel gennaio del 1602 (ma quando Justina si reca a León “era por Agosto, y muy cercanas las fiestas Agostizas, que se celebran en aquel pueblo con muchos atabales” 117) da Francisco López de Úbeda al seguito di Don Rodrigo Calderón, o di qualche altro cortigiano. (Alcuni riferimenti, come quelli all’ “arroyo de berruezes” e a “san Andres”, 118 e le allusioni di Justina alla “Audiencia” 119 di Medina di Rioseco 120 e all’ “Almirante mi señor”, 121 sono  













bre (mimbre), cañada (tuétano), cínife (mosquito de trompetilla), costera (armadura lateral del carro), chinchón (chichón), desgañarse (desgañitarse), gargüelo (garguero), pardal (gorrión), leonera (nombre que aún hoy se da festivamente á la capital de la provincia), mazcar (masticar), pillitero (pellejero), pinganillo (carámbano), pita ciega (gallina ciega), tosta (tostada de pan), tresnar (estrenar), etc., etc.” (« Estudio crítico de la Pícara Justina ». In : Licenciado Francisco López de Úbeda : La Pícara Justina. Tomo III, pp. 62-63). 115   Cfr. – per esempio – : “Es Arenillas, vn pueblo que cae junto a Cisneros, donde ay la vehetria…” (Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO SEGVNDO INTITVLADO LA PICARA Romera. En que se trata la jornada de Arenillas. CAPITVLO PRIMERO, de la Romera Baylona. Numero primero. De la castañeta repentina », p. 118). La behetría di Arenillas de Cisneros e la behetría di Cisneros – nel caso che l’autore della Pícara Justina si riferisca, come crede Julio Puyol y Alonso (III, p. 277) e come fa in realtà supporre la glossa “Cisneros, y la vehetria”, a Cisneros e non ad Arenillas – sono ripetutamente ricordate da Carlos Estepa Díez : Las behetrías castellanas. Junta de Castilla y León. Consejería de Cultura y Turismo 2003, (Arenillas) tomo I, p. 157 n., p. 349 n., p. 357, p. 431 n. ; tomo II, p. 115, p. 127 ; (Cisneros) tomo I, p. 53 n., p. 57 n., p. 69 n., p. 75, p. 235 n., p. 262 n., p. 348 n., p. 357, p. 363 ; tomo II, p. 127, p. 172, p. 244, p. 244 n., p. 264, p. 264 n., p. 331, p. 336, p. 346, p. 361, p. 370, p. 378, p. 384. Sulla behetría e i señoríos de behetría, cfr. Ernesto Mayer : Historia de las instituciones sociales y políticas de España y Portugal durante los siglos V a XIV. Tomo I. Madrid : Publicaciones del « Anuario de Historia del Derecho Español » 1925, pp. 127-168. – Luis de Valdeavellano : Curso de historia de las Instituciones españolas. De los orígenes al final de la Edad Media. Madrid : Ediciones de la Revista de Occidente 1970, pp. 341-343. – Carlos Estepa Díez : Las behetrías castellanas. I, pp. 39-229. Dello stato giuridico di Mansillas de las Mulas parleremo qualche riga più avanti. 116   M. Bataillon : Pícaros y picaresca, p. 105. 117   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO DE la Picara Romera. Capitulo. I. De la jornada de Leon. Numero primero, Del afeyte mal[em] pleado », pp. 3-4. 118   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO TERCERO DE LA PICARA PLEYTISTA. Capitulo segundo, de la Marquesa de las Motas », p. 202. A. Rojo Vega (Propuesta de nuevo autor para « La pícara Justina », pp. 212-213) documenta l’esistenza – negata da Marcel Bataillon (Pícaros y picaresca, pp. 116-118) – del “arroyo de Berrueces” e della Chiesa di San Andrés (de Arroyos). 119   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO TERCERO DE LA PICARA PLEYTISTA. Capitulo segundo, de la Marquesa de las Motas », p. 198. 120   Originariamente città di realengo, Medina de Ríoseco fu “lugar solariego” degli Enríquez, discendenti dei Trastámara, e successivamente divenne “ciudad de señorío” della famiglia degli Ammiragli di Castiglia. Il 22 aprile 1538 Medina de Ríoseco venne elevata a Ducato ; il primo Duca fu Don Fernando Enríquez, fratello ed erede di Don Fadrique Enríquez. Sulla città di Medina di Ríoseco i Duchi possedevano “jurisdicción, señorío y vasallaje”, il che significa che nelle loro mani stava “casi todo lo referente a impuestos, justicia y administración pública”. In pratica gli Ammiragli avevano il diritto di nominare il “corregidor, seis regidores, tres justicias, un escribano de ayuntamiento y catorce escribanos públicos”. I diritti signorili, accompagnati spesso da prevaricazioni e soprusi (così, per esempio, Don Fadrique Enríquez si era impadronito di un “término en Berrueces … considerado proprio por la villa de Medina de Ríoseco”), contrastavano con il diritto consuetudinario e l’antico status di realengo della città. Talvolta ne nascevano pertanto conflitti e addirittura vere rivolte, come quella del 1538, giustificata dagli insorti con la volontà di non subire “inpusiçión” del Duca e “de defender nuestras costunbres y libertades”. Cfr. Juan Bautista de Avalle-Arce : El Almirante Don Fadrique Enríquez. Esbozo biográfico, pp. 13-14, 26-28, 169-177. – Joseph Pérez : La revolución de las Comunidades de Castilla, 1520-1521. Madrid : siglo veintiuno editores 1981, p. 243. – Enrique de Ocerín : Una ciudad de realengo en Castilla sin distinción de estados : Medina de Ríoseco. In : Hidalguía, Año V (Noviembre-Diciembre 1957), N.° 25, pp. 909-918. – Pedro Girón : Crónica del Emperador Carlos V. Edición de Juan Sánchez Montes. Madrid : C.S.I.C. 1964, pp. 239-248 (qui è riprodotta la relazione del famoso alcalde Rodrigo Ronquillo fatta al Cardinale Fray García de Loaysa del Consejo de Castilla sul “tumulto que hubo en Medina de Rioseco contra el Almirante de Castilla”). 121   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO TERCERO DE LA PICARA PLEYTISTA. Capitulo primero de la hermana perseguida », p. 294 (in realtà : 194).  













































































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rimasti oscuri al grande ispanista francese, 122 il quale ha potuto cosí formulare l’ipotesi che la Medina di Rioseco della Pícara Justina fosse, in realtà, Madrid e Berrueces un suo quartiere. 123 La villa di Mansilla de las Mulas – il luogo di nascita di Justina, conosciuto e cosí nominato “por la feria de ganado mular que allí se verificaba en el mes de Noviembre” 124 –, che secondo Marcel Bataillon “encubre a Valladolid”, 125 faceva parte negli ultimi decenni del XIV secolo del, poi dissolto, Ducato di Benavente, creato per Don Fadrique Enríquez, figlio bastardo di Enrique II e di D. Beatriz Ponce de León ; 126 a partire dal XV secolo apparterrà agli ‘stati’ degli Enríquez, Ammiragli di Castiglia. Agli Enríquez fu “adscrita”, sino al 1492, anche la aljama di Mansilla de las Mulas, una delle numerose aljamas leonesi “adscritas a los nobles”. 127 Poiché su Mansilla de las Mulas gli Enríquez, Duchi di Medina di Rioseco, “tenían ... jurisdicción y audiencia”, 128 a ragione la Pícara poteva dirsi loro suddita.) Anche la conoscenza di alcuni cattedratici dell’Università di Salamanca appartenenti all’Ordine domenicano come Fray Domingo de Soto, Fray Juan Gallo e Fray Juan de la Peña, 129 morti fra il 1560 e il 1577, 130 di teologi come Pedro de Palude e Miguel Palacios 131  







   











122   “Así como López de Ubeda no nos pinta a Justina una vez llegada ante « el Almirante su señor », tampoco se preocupa de explicarnos cómo el duque de Medina de Rioseco era « señor » de aquella moza, hija de un ventero de Mansilla de las Mulas. Sin embargo, ello poco importa...”. Cfr. Marcel Bataillon : ¿En qué « Rioseco » estaba la morería de La Pícara Justina ? (1962). In : M. B. : Pícaros y picaresca, pp. 115-125 ; qui p. 116. 123   M. Bataillon : Marcel Bataillon : ¿En qué « Rioseco » estaba la morería de La Pícara Justina ? (1962), pp. 116120. E ancora : “Rioseco no sería mal apodo de la capital del Manzanares … por lo seco de su río” (p. 118). – “el « Rioseco » en que se instala la heroína en un medio morisco no es Medina de Rioseco, sino … un pseudónimo en burla del propio Madrid” (Marcel Bataillon : La picaresca. A propósito de La Pícara Justina. In : M. B. : Pícaros y picaresca, pp. 145-164, qui p. 154). 124   Julio Puyol y Alonso : « Notas ». In : Licenciado Francisco López de Úbeda : La Pícara Justina. Tomo III. Estudio crítico, glosario, notas y bibliografía por J. P. y A., pp. 261-324 ; qui p. 272, nota nro. 18. Nella “feria de Mansilla” ha comprato Luján le belle mule che il Comendador de Ocaña regala a Peribáñez. Cfr. Lope Félix de Vega Carpio Obras escogidas. Estudio preliminar, biografía, bibliografía, notas y apéndices de Federico Carlos Sainz de Robles. Tomo I. Teatro*. Madrid : Aguilar 1969, p. 762. 125   M. Bataillon : Pícaros y picaresca, p. 154. 126   Cfr. Luis Suárez Fernández : Nobleza y Monarquía. Puntos de vista sobre la Historia política castellana del siglo XV (= Departamento de Historia Medieval. Estudios y Documentos, 15). Valladolid : Universidad de Valladolid 1975, p. 25. 127   J. M.a Monsalvo Anton : Teoría y evolución de un conflicto social. El antisemitismo en la Corona de Castilla en la Baja Edad Media. Madrid : Siglo XXI de España Editores 1985, p. 74. 128   Anastasio Rojo Vega : Propuesta de nuevo autor para « La pícara Justina », p. 212 e p. 218. 129   [Nota marginale : “Nombres de Catedraticos de Salamanca.”] “Pero dexado esto para los Sotos, frescos, para los Gallos briosos, y para las Peñas fuertes (que son los floridos de nuestra Salamanca) concluyo a mi proposito…” (Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO SEGVNDO INTITVLADO LA PICARA Romera. En que se trata la jornada de Arenillas. CAPITVLO SEGVNDO DE LA Vigornia burlada. NVMERO SEGVNDO DEL parlamento loco », p. 165). 130   Cfr. Julio Puyol y Alonso : « Estudio crítico de la Pícara Justina », pp. 6-7. – Anastasio Rojo Vega : Propuesta de nuevo autor para « La pícara Justina », p. 221. 131   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO De la Picara Romera. Capitulo IIII. de la romera de Leon. Numero 5. del engaño meloso », p. 114 (“Mas ella asiendo del latigo torno a hazer segunda impression de palude y palaços sobre el cuarto derecho delantero”). È stato Julio Puyol y Alonso (« Estudio crítico de la Pícara Justina », pp. 86-87 ; « Notas », p. 305) a decifrare l’allusione ai due teologi Miguel de Palacio (Disputationes theologicae in quartum librum Sententiarum. Salmanticae. Ex typographia Ildefonsi a Neyla, 1577) e Petrus de Palude, o Petrus Paludanus. Il nome di quest’ultimo Julio Puyol y Alonso lo ha identificato grazie alla Historia de la vida y milagros del glorioso sant Raymundo de Peñafort di Andrés Pérez, nella quale vengono citati il Patriarca di Gerusalemme e la sua opera In quartum Sententiarum scriptum. Le Sententiae di Petrus Lombardus (ca. 1095-1160) ebbero una grande diffusione e furono spesso commentate : Sententiarum libri IV. Norimberga : Anton Koberger 1481. – Sententiarum libri IV cum conclusionibus Henrici de Gorichem . Basilea : Nikolaus Kessler 1487 (Basilea : Nikolaus Kessler 1488. – Venezia : Bonetus Locatellus 1489. – Basilea : Nikolaus Kessler 1492. – Basilea : Nikolaus Kessler 1498). – Sententiarum libri IV. Cum disputatis S. Bonaventurae. Norimberga : Anton Koberger 1500. Di Petrus Paladanus erano  

























































































































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(questi era stato professore di Filosofia e di Teologia dell’Università di Salamanca ; moltissime sue opere furono stampate nelle officine di questa città fra il 1572 e il 1593), 132 di opere come il Breviloquium de intelligentia scripturae et fidei christianae e la Vita seu legenda maior s. Francisci di San Bonaventura da Bagnoregio 133 e la Summa Theologica di San Tommaso d’Aquino, delle quali la Pícara Justina imita la struttura esteriore, 134 di agiografie come la Historia de la vida y milagros del glorioso sant Raymundo de Peñafort del domenicano Fray Andrés Pérez, di repertori usati dai predicatori come la Summa de exemplis et similitudinibus rerum (Venezia : De Gregoriis 1487. – Anversa 1597) del frate domenicano Giovanni da Sangimignano (Giovanni Gorini), 135 di opere mistiche di carattere autobiografico  











diffuse diverse opere : Sermones Thesauri novi quadragesimales (Strasburgo : Martin Flach 1488). – Sermones Thesauri novi de sanctis (Strasburgo 1485. – Strasburgo : Martin Flach 1489. – Strasburgo : Martin Flach 1491. – 1493). – Sermones Thesauri novi de tempore (Strasburgo 1486. – Strasburgo : Martin Flach 1487. – Strasburgo : Martin Flach 1493). 132   Cfr. Bibliotheca Hispana Nova Sive Hispanorum Scriptorum Qui Ab Anno MD. Ad MDCLXXXIV. Floruere Notitia. Auctore D. Nicolao Antonio Hispalensi I. C. Recognita Emendata Aucta Ab Ipso Auctore. Tomus Secundus. Matriti Apud Viduam et Heredes Joachimi De Ibarra Typographi Regii MDCCLXXXVIII, p. 143 (« Michael de Palacios »). – L. Ruiz Fidalgo : La imprenta en Salamanca (1501-1600), vol. III, p. 1335. 133   “Diganos, madre Berecinta, si a caso es su intencion, traspalarnos su vida, a embiones de capitulos, y sorbetones de numeros, como si fueran las obras del buen S. Buenauentura...” (Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO PRIMERO, INTITVLADO LA PICARA Montañesa. CAPITVLO PRIMERO, de la Escriuana fisgada. Numero primero. Del fisgon medroso », p. 39). 134   Julio Puyol y Alonso – secondo il quale “el autor de la Pícara parece no conocer de Medicina y de las ciencias naturales más que aquello que pertenecía al dominio del vulgo” – scrive : “la observación atenta de la obra nos persuade de que el fondo de su educación era eminentemente teológico. Ya la externa disposición de aquella, dividida en libros, los libros en partes, las partes en capítulos y los capítulos en números, indica que el autor debía de hallarse familiarizado con la Summa Theologica y con sus clasificaciones esquemáticas en partes, cuestiones, artículos, números, sed contras y respondeos ; hay en la novela capítulos enteros que más bien que á un libro de recreación, dijérase que pertenecían á un tratado de dialéctica y que proclaman con toda elocuencia lo mucho en que tenía el autor el arte de la argumentación y aun lo que se jactaba de poseerlo […]. […] el autor de la Pícara […] conocía, sin duda de ningún género las [obras] de San Buenaventura, y aun hay razones para sospechar que conservaba de ellas el recuerdo de vigilias, quizás de la edad estudiantil, pasadas sobre sus páginas […]. Las alusiones á los teólogos y á las materias objeto de sus polémicas son frecuentísimas en la novela, y leyendo con cuidado algunos de tales pasajes […] convéncese cualquiera de que la mente de donde salieron estaba avezada á los asuntos y á los procedimientos de los que entonces cultivaban aquella rama del saber” (« Estudio crítico de la Pícara Justina », p. 60 e pp. 63-64). Joseph R. Jones ritiene che la complicata struttura formale della Pícara Justina, articolata in libri, capitoli e numeri, sia modellata su quella di opere teologiche, in particolare su quella del Breviloquium e della Vita seu legenda maior s. Francisci di San Bonaventura da Bagnoregio (Giovanni Fidanza), il Doctor Seraphicus ricordato, come abbiamo appena visto, esplicitamente nel romanzo. Cfr. Joseph R. Jones : “Hieroglyphics” in La Pícara Justina. In : Estudios literarios de hispanistas norteamericanos dedicados a Helmut Hatzfeld con motivo de su 80 aniversario. Compilados y editados por : Josep M. Solà-Solé, Alessandro Crisafulli, Bruno Damiani. The Catholic University of America. Barcelona : Ediciones Hispam. Colección LACETANIA. 1974, pp. 415-429 ; qui pp. 420-421. 135   “Donde va S. Geminiano, con sus similes ? [Glossa marginale : Similes del consejo dado a caso]” (Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO PRIMERO, INTITVLADO LA PICARA Montañesa. CAPITVLO SEGVNDO DEL abolengo alegre. Numero Primero. Del abolengo parlero », p. 54). Sicuramente errata è la identificazione di S. Geminiano con il martire di questo nome decapitato nel IV secolo, fatta da Bruno Mario Damiani (La pícara Justina. Edición de Bruno Mario Damiani. Madrid : José Porrúa Turanzas 1982, p. 102, nota nro. 222). L’allusione di Justina alla Summa di Giovanni da Sangimignano è stata invece correttamente decifrata da Luc Torres : Discours festif et parodie dans La Pícara Justina de Francisco López de Úbeda, Thèse présentée et soutenue publiquement le 5 Janvier 2001. Preparée sous la direction de M. le Professeur Augustin Redondo. Université de Paris III. Sorbonne Nouvelle. Lille : Atelier national de reproduction des thèses 2003, pp. 62-63. Sull’uso (ben limitato) dell’exemplum, spesso confuso con la similitudine o comparazione, da parte dei predicatori spagnoli del XVI e XVII secolo, cfr. Robert Ricard : Aportaciones a la historia del “exemplum” en la literatura religiosa moderna. In : R. R. : Estudios de literatura religiosa española. Madrid : Gredos (Biblioteca Románica Hispánica) 1964, pp. 200-226 (a p. 208 e a p. 215, nota nro. 24, è ricordata la Summa de exemplis et similitudinibus rerum di Giovanni da Sangimignano).  





























































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come quelle di Santa Teresa de Jesús, 136 di un episodio ben poco conosciuto della storia della Chiesa del secondo secolo come quello della eresia gnostica valentiniana (“como los hereges Valentinianos lo afirmaron...” 137) ; l’uso burlesco di formule della liturgia, intessute – come vedremo – numerose nel romanzo ; la frequente menzione dell’Ateneo salmantino (“ nuestra Salamanca” ; 138 “dezia vn papelista de aqui de Salamanca…” ; 139 “Alla en Salamanca le declararan este latin” ; 140 “hablauan varias lenguas, sin ser Trilingues en Salamanca” 141 – allusione al Colegio Trilingüe 142) e dell’Ateneo complutense (“este juguete, que hize siendo estudiante en Alcala…” 143), Atenei nei quali Fray Baltasar Navarrete aveva insegnato (e studiato), e di due Collegi dei Domenicani (“Colesio [Colegio] de los Dominicos de Trianos” 144 – strettamente legato alla vita di Fray Baltasar Navarrete –, “Colegio de los Dominicos de Sahagun” 145), cosí come certe espressioni (“Consulte este libro con algunos hombres spirituales, a quien tengo sumo respeto…” ; 146 “Yo el Theologo…” ; 147 “yo no me quiero meter en historias diuinas, no porque las ignoro, sino por 







   

   

   











   

   

136   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO PRIMERO, INTITVLADO LA PICARA Montañesa. CAPITVLO PRIMERO, de la Escriuana fisgada. Numero primero. Del fisgon medroso », p. 37 (“Que madre Teresa, para escriuir sus ocultos, cestasis [extasis], raptos, y deuociones ?”). 137   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « INTRODVCCION GENERAL. Numero segundo [tercero !]. Del melindre a la culebrilla », p. 27. 138   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO SEGVNDO INTITVLADO LA PICARA Romera. En que se trata la jornada de Arenillas. CAPITVLO SEGVNDO DE LA Vigornia burlada. NVMERO SEGVNDO DEL parlamento loco », p. 165. Secondo Luc Torres, “Salamanca y su Universidad son [...] el referente inmediato del autor [de La Pícara Justina] en el episodio de la Bigornia”. Sia il “carro enramado de la Bigornia” sia la “intronización ampulosa y paródica” del ‘vescovo’ Perogrullo, “el disfraz eclesiástico de sus acompañantes” e “las cédulas y cancionen cazurras que pregonan”, non sono altro, infatti, secondo lo studioso, che – rispettivamente – una contraffazione della festa della “barca enramada donde los estudiantes de Salamanca iban a buscar a las mujeres de buen vivir el Lunes de Agua”, alla fine della Quaresima, e una contraffazione della “fiesta del Obispillo”, celebrata anch’essa, con una processione burlesca per le vie di Salamanca, dagli studenti dell’Università salmantina. Cfr. Luc Torres : La Pícara Justina entre Salamanca, León, Madrid y Valladolid. Espacio paródico y corografía burlesca. In : L’imaginaire du territoire en Espagne et au Portugal (XVIe-XVIIe siècles). Études réunies et présentées par François Delpech (= Collection de la Casa de Velázquez, 105). Madrid : Casa de Velázquez 2008, pp. 243-253 ; qui pp. 245-247. Anche la precisa conoscenza delle feste goliardiche salmantine costituirebbe – una volta verificata la completa fondatezza delle congetture, che invero appaiono molto solide, di Luc Torres – un ultriore indizio a favore della attribuzione della Pícara Justina a un autore che aveva abitato per lunghi periodi a Salamanca. 139   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO : De la Picara Romera. Capitulo I. De la jornada de Leon. Numero tercero. de la entrada de Leon », p. 23. 140   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO DE la Picara Romera. Capitulo. III. De las dos cartas graciosas », p. 60. 141   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO QVARTO. DE LA PICARA NOBIA. CAPITVLO QVINTO DE LA boda del meson », p. 41. 142   Nella fondazione del Colegio Trilingüe, ideata nel 1538 e più concretamente progettata a partire dal 1551, ma non ancora ultimata nel 1575, svolse un ruolo importante il celebre giurista, ricordato nella Pícara Justina, Fray Domingo de Soto. Cfr. R. P. Vicente Beltrán de Heredia, O. P. : Domingo de Soto. Estudio biográfico documentado (= Biblioteca de Teólogos Españoles, 20). Salamanca : Instituto de Cultura Hispánica 1960, pp. 317-331. 143   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, fo. [A6v]. 144   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO De la Picara Romera. Capitulo IIII. De la romera de Leon. Numero 5. del engaño meloso », p. 108. 145   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO SEGVNDO INTITVLADO LA PICARA Romera. En que se trata la jornada de Arenillas. CAPITVLO PRIMERO, de la Romera Baylona. NVMERO TERCERO DEL Conuite alegre, y triste », p. 141. 146   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « PROLOGO AL LECTOR. EN EL QVAL DEclara el Autor el intento de todos los tomos, y libros, de la Picara Iustina », fo. [A 7v]. 147   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO PRIMERO, INTITVLADO LA PICARA Montañesa. CAPITVLO PRIMERO, de la Escriuana fisgada. Numero primero. Del fisgon medroso », p. 34.  

























































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que las adoro” ; 148 “En llegando, me sacaron del carro, a hombros, como a oppositor de catedra, o por mejor dezir como a catedra de opositor” ; 149 “el estado ecclesiastico, cuyo minimo professor y acolito quadragenario soy” ; 150 “ser Cathedratico, y enseñar a pecar desde la Cathedra…” 151), possono costituire importanti indizi a favore della ipotesi della paternità del frate domenicano, considerato recentemente non solo come sicuro autore della Pícara Justina, 152 ma anche come possibile o, addirittura, sicuro autore del Quijote apocrifo 153 (opera che Fray Maximiliano Canal – convinto del “dominicanismo” di Avellaneda – riteneva fosse stata scritta da Fray Andrés Pérez 154). Pure la stampa della edizione di Barcellona del 1605 nella officina di Sebastián de Cormellas rappresenta, forse, una circostanza non priva di significato. Il noto tipografo-libraio intratteneva infatti eccellenti relazioni con l’Ordine dei Predicatori, come dimostrano i molti libri di frati domenicani stampati nella sua officina. 155 Un ulteriore indizio a favore di Fray Baltasar Navarrete è costituito dalla tradizione che attribuiva a un domenicano la paternità della Pícara Justina. Gli stessi famosi versi, già ricordati, del Viaje del Parnaso (“Haldeando venía y trasudando / El autor de La Pícara Justina, / Capellán lego del contrario bando...”) potrebbero ora essere definitivamente valutati come una importante prova della appartenenza al clero dell’autore del Libro de entretenimiento. 156 Non è, forse, del tutto priva d’interesse anche la circostanza che il « Precepto », con il quale “el muy reverendo Padre Provincial de España, Fray Andres de Caso”, dell’Ordine di San Domenico, ordinava di pubblicare la Historia de la vida y milagros del glorioso sant Raymundo de Peñafort di Fray Andrés Pérez, sia stato firmato “en el conuento de S. Maria la Real de Trianos a 9 de Enero de el año de 1601”. 157 Altre circostanze della vita di Fray    

   

   



















148   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO PRIMERO, INTITVLADO LA PICARA Montañesa. CAPITVLO SEGVNDO [TERCERO !] DE LA vida de el meson. Numero primero. De el mesonero consejero », p. 72. 149   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO SEGVNDO INTITVLADO LA PICARA Romera. En que se trata la jornada de Arenillas. CAPITVLO SEGVNDO DE LA Vigornia burlada. NVMERO SEGVNDO DEL parlamento loco », p. 169. 150   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO DE la Picara Romera. Capitulo III. De las dos cartas graciosas », p. 62. 151   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « PROLOGO AL LECTOR », fo. [A 8r]. 152   Javier Blasco : Baltasar Navarrete, posible autor del Quijote apócrifo (1614). El Nacimiento del Quijote. Valladolid, 19-21 de enero de 2005 (Congreso). Segovia : Instituto Castellano y Leonés de la Lengua 2005 (= Beltenebros Minor. Avances, 2). – Rosa Navarro Durán : « Introducción » a : Francisco López de Úbeda (Baltasar Navarrete) : Libro de entretenimiento de la Pícara Justina, pp. XIII-XVI. 153   Cfr. Javier Blasco : Avellaneda en la corte literaria (Valladolid, 1605). In : El nacimiento del Quijote. “A las riberas del Pisuerga bellas”. Congreso Internacional, Valladolid, 19, 20 y 21 de enero de 2005. Valladolid : Instituto Castellano y Leonés de la Lengua – Universidad de Valladolid 2005. – Javier Blasco : Baltasar Navarrete, posible autor del Quijote apócrifo (1614). – Javier Blasco : La lengua de Avellaneda en el espejo de La Pícara Justina. In : Boletín de la Real Academia Española 85 (2005), 53-109. – Rosa Navarro Durán : Datos sobre Avellaneda en el texto del Quijote. In : Boletín de la Real Academia Española 85 (2005), 505-527. – Rosa Navarro Durán : « Introducción » a : Francisco López de Úbeda (Baltasar Navarrete) : Libro de entretenimiento de la Pícara Justina, pp. XXIV-XXXII. 154   Fr. Maximiliano Canal, O. P. : El padre fray Andrés Pérez de León O. P., autor de « La pícara Justina » y del falso « Quijote », pp. 335-348. 155   Javier Blasco : Baltasar Navarrete, posible autor del Quijote apócrifo, p. 7, nota nro. 3 (lo studioso si fonda sulla bibliografia di José Simón Díaz : Dominicos de los siglos XVI y XVII : escritos localizados. Madrid : Universidad Pontificia de Salamanca 1977, numeri 234, 318, 324, 626, 628, 629, 630, 631, 632, ecc. ecc.). 156   Cfr. Rosa Navarro Durán : « Introducción » a : Francisco López de Úbeda (Baltasar Navarrete) : Libro de entretenimiento de la Pícara Justina, pp. XIV-XV. 157   Andrés Pérez : Historia de la vida y milagros del glorioso sant Raymundo de Peñafort, frayle de la orden de Predicadores, fo. [2r] (« PRECEPTO DEL MUY REVErendo Padre Prouincial de España, de la orden de S. Domingo, al author »).  



























































































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Andrés Pérez sembrano intrecciarsi con i dati della biografia di Fray Baltasar Navarrete sopra esposti : Fray Andrés Pérez, “Maestro de estudiantes” come Fray Baltasar Navarrete, era – come abbiamo visto – nel 1601 “lector” nel Convento di San Pablo di Valladolid e aveva frequentato “la corte de Valladolid” 158 quando – nel 1599-1600 – scriveva la Historia de la vida y milagros del glorioso sant Raymundo de Peñafort ; nel 1621 lo troviamo a Madrid come predicatore del Convento domenicano di Santo Tomás ; 159 trascorse – anche per la sua attività di predicatore – periodi della sua lunga vita, oltre che a León, dov’era nato, a Palencia, Salamanca, Valladolid, Toledo, Madrid, e in altre città. 160 È quindi molto verosimile che i due domenicani, che erano piú o meno della stessa età, 161 si siano conosciuti e frequentati (degli eventuali rapporti tra Fray Baltasar Navarrete e Fray Andrés Pérez torneremo a parlare nell’ultimo capitolo di questo lavoro). Un indizio contro l’attribuzione della Pícara Justina ad un autore frate domenicano sarebbe costituito – secondo Luc Torres, che pensa naturalmente a Fray Andrés Pérez – da “une certaine aversion” che l’autore dell’opera sembra provare nei confronti dei domenicani. Alcuni personaggi che avevano studiato in Collegi di domenicani – osserva lo studioso – sono stati “dépeints de façon négative” : Antón Pintado, il protagonista dell’episodio intitolato El engaño meloso, aveva studiato nel “Colesio [Colegio] de los Dominico de Trianos” ; 162 gli studenti che ballano con Justina in occasione del pellegrinaggio ad Arenillas sono del Collegio domenicano di Sahagún (“Entrô el estudiante, dando mil brincos, y cabriolas en el ayre. Y yo a pie quedo, como lo baylo menudito, y de lo bien cernido y reposado, le cansê a el ; y a otra trinca de compañeros suyos, que dezían ser del Colegio de los Dominicos de Sahagun. Mas a lo que yo alli vi, ella es gente floxa, para el oficio. Deuelo de hazer, que es muy humeda aquella tierra ; y mejor para criar nabos, que bayladores.” 163). A questo si aggiungerebbe “la critique burlesque du couvent de Santo Domingo, à León”. 164 La rappresentazione degli ex allievi di Collegi di domenicani – fra i quali Luc Torres annovera, erroneamente, gli studenti della Bigornia 165 – è scherzosa, ironica e burlesca, ma non può certamente costituire la prova di una avversione dell’autore per l’Ordine. Quanto al Real Convento de Santo Domingo – Justina non ne precisa il nome 166 e la sua identificazione si deve a  





   







   













158   Andrés Pérez : Historia de la vida y milagros del glorioso sant Raymundo de Peñafort, frayle de la orden de Predicadores, p. 5. 159   Risulta dal frontespizio, sopra trascritto, dei Sermones de Qvaresma compvestos por el Padre press.do Fray Andres Perez predicador de el Convento de .SS. Thomas de Madrid de la Orden de Sancto Domingo. 160   Nelle brevi righe rivolte « Al Lector », Fray Andrés Pérez scrive : “VEynte y seys años continuos ha que predico quaresmas : y quando menos, a cinco sermones cada semana, y siempre en pueblos y ciudades principales : especialmente en Leon, Palencia, Soria, Plasencia, Pamplona, Segouia, Salamanca, Toledo, Madrid, Siuilla, y Valladolid, sin otros insignes lugares” (Sermones de Qvaresma, fo. 2r). Cfr. anche J. Puyol y Alonso : « Estudio crítico de la Pícara Justina », p. 78. 161   Secondo J. Puyol y Alonso (« Estudio crítico de la Pícara Justina », p. 78 n.) Andrés Pérez era nato fra il 1556 e il 1561. 162   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO DE la Picara Romera. Capitulo IIII. De la romera de Leon. Numero 5. del engaño meloso », p. 108. 163   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO SEGVNDO INTITVLADO LA PICARA Romera. En que se trata la jornada de Arenillas. CAPITVLO PRIMERO, de la Romera Bayolona. NVMERO TERCERO DEL Conuite alegre, y triste », p. 141. 164   Luc Torres : Discours festif et parodie dans La Pícara Justina de Francisco López de Úbeda, p. 258 e p. 258 nota nro. 8. 165   Luc Torres : Discours festif et parodie dans La Pícara Justina de Francisco López de Úbeda, p. 258 nota nro. 8 (“les étudiants de la Bigornia sont originaires du collège dominicain de Sahagún”). 166   “LLegue hazia otro conuento : que esta junto a la puerta por donde entre en la ciudad y no tuue poca gana de entrar dentro de la Iglesia, siquiera a la puerta a tomar agua bendita, [...] pareciome el monasterio  



































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Julio Puyol y Alonso 167 (Marcel Bataillon ritiene però che si tratti del Convento de San Francisco, dove era stato alloggiato Filippo III il 1° febbraio del 1602 168) –, è vero che la sua descrizione è burlesca, ma è anche vero che da un punto di vista artistico l’edificio “carecía absolutamente de importancia” 169 e che, soprattutto, alla descrizione burlesca segue una appassionata, seppure ambigua apologia del Convento e dei frati. 170 Comunque anche considerando questi indizi come contrari all’ipotesi di paternità di un frate domenicano – che pur potrebbe divertirsi a camuffare la propria identità e a fuorviare il lettore con qualche innocua ironia su Conventi e allievi di Collegi del suo Ordine (ed anche sulle calzature dei domenicani ! 171) –, rimane sorprendente la conoscenza che l’autore della Pícara Justina ha dei Collegi, dei Conventi e delle opere di domenicani. È immaginabile che un medico toledano avesse una conoscenza cosí intima dell’Ordine dei Predicatori ?  







   



Ma se Fray Baltasar Navarrete, che vivrà sino al 1640 e continuerà a pubblicare opere perlomeno sino al 1634, era l’autore della Pícara Justina – ipotesi ritenuta “bastante fundamendada” da Javier Salazar Rincón, gran conoscitore dell’ambiente letterario della Valladolid dei primi anni del Seicento 172 –, perché non ne pubblicò il secondo tomo ? Naturalmente si potrebbe pensare che Francisco López de Úbeda, che indubbiamente aveva firmato la richiesta della licenza di stampa e del ‘privilegio’, sia stato il vero autore della Pícara Justina e che Fray Baltasar Navarrete abbia unicamente svolto la  



graue y bien edificado, mas quiso mi desgracia, que aunque vi la Iglesia y el monasterio por de fuera, no entrè dentro, porque jamas pude columbrar ni diuisar la puerta de la Iglesia, o si la vi no la conoci, porque vna que alli se descubria, era agrauio manifiesto pensar que por ella se entraua : por menos inconueniente tuue pensar que en aquella Iglesia se entraua por minas como en la ciudadela de Pamplona, o por el texado con garruchas, como en algunos castillos, que pensar que por tan poca puerta, vieja y baxa, astrosa y estrecha, auian de entrar, porque pensar que era casa encantada y con puerta inuisible, es pensar que somos esdrujulos. [...] Con esta ocasion pasè de largo sin ver el monasterio mas que por defuera. Solo pude echar de ver que aquel monasterio tiene mas tierra que el Escorial. Entiendese en las tapias” (Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « TERCERA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO De la Picara Romera. Capitulo primero. De la mirona gustosa. Numero primero. De la Mirona fisgante », pp. 123-124). 167   Julio Puyol y Alonso : « Notas », pp. 309-310. 168   M. Bataillon : Pícaros y picaresca, pp. 110-112. 169   Julio Puyol y Alonso : « Notas », p. 310. 170   Un sacerdote “muy aficionado a los frayles de aquella orden”, che ha ascoltato le “gracias” di Justina, così la redarguisce : “Hermana, si estos padres no tienen gran puerta de Iglesia, es porque ni han menester mucha puerta para salir ellos, ni para que vos entreys, que lo primero les viene de su mucho recogimiento, y lo segundo de su poca codicia, tan conocida en el mundo. [...] Es puerta chica, como de castillo, porque los conuentos de religiosos, son castillo de sabiduria, muro de sciencia, alcaçar de sabiduria, y como castillo de vniuersal armeria Christiana, tiene la puerta estrecha”. L’apologia è ambigua perché il sacerdote è rappresentato come uno sciocco privo di spirito, che sentendo le “gracias” di Justina, così reagisce : “Començo a dar vozes, diziendo. Aqui de la Inquisicion que murmura de los conuentos de Dios, aqui del Rey, que dize mal de los monasterios reales...”. Alla fine della sua lunga difesa dei frati e del loro convento, Justina commenta : “No vees que necio, miren de que se enojò de oyrme dezir gracias. Como si mis donayres fueran bombardas, que mal sabia este buen señor que no ay mejor rato que vn poco de gusto” (Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « TERCERA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO De la Picara Romera. Capitulo primero. De la mirona gustosa. Numero primero. De la Mirona fisgante », p. 226 [126 !], p. 128). 171   “[...] y los pies, (con traherlos errados de ramplon, con vn çapato de frayle Dominico) los meneaua, como si fueran de pluma...” (Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO SEGVNDO INTITVLADO LA PICARA Romera. En que se trata la jornada de Arenillas. CAPITVLO PRIMERO, de la Romera Baylona. Numero primero. De la castañeta repentina », p. 112). 172   Cfr. Javier Salazar Rincón : El escritor y su entorno. Cervantes y la Corte de Valladolid en 1605. Junta de Castilla y León. Consejería de Cultura y Turismo 2006, p. 275. In precedenza lo studioso aveva scritto che la Pícara Justina “debió de ser escrita por fray Baltasar Navarrete ... según ha intentado demostrar, con abundancia de pruebas, Anastasio Rojo Vega” (p. 216).  





































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funzione di intermediario presso editori e tipografi e di prestanome per firmare il contratto con l’editore Diego Pérez Cortés e incassare i diritti d’autore. È però strano che Francisco López de Úbeda, che non esita a dichiarare di essere l’autore della Pícara Justina nella richiesta della licenza di stampa e del ‘privilegio’, nella dedica a Don Rodrigo Calderón e nel frontespizio stesso dell’opera, sia ricorso ad un prestanome per vendere i suoi diritti a Diego Pérez. Inoltre, se sono noti casi – come quelli sopra esposti – in cui il vero autore occulta la paternità di una sua opera servendosi di un prestanome, casi di autori che manifestano la paternità delle loro opere nei documenti necessari per ottenere la concessione della licenza di stampa e del ‘privilegio’, nei frontespizi e nelle dediche, ma che la occultano nel contratto con l’editore o con il tipografo, non ne conosciamo. 173 Indizi a favore della attribuzione a Francisco López de Úbeda non mancano. A partire dalla scoperta fatta da Cristóbal Pérez Pastor della già ricordata « Capitulación de dote entre el Licenciado Francisco López de Úbeda, médico, natural y vecino de la ciudad de Toledo... » del 1590, 174 sappiamo che il Licenciado Francisco López de Úbeda aveva studiato medicina (gli studi li aveva completati probabilmente intorno al 1580/1583 : nel 1586 già è sposato, nel dicembre di quest’anno viene infatti battezzato suo figlio Maximiliano ; nel 1589 muore la sua prima moglie 175). Ebbene, nella Pícara Justina i riferimenti alla professione medica e gli elogi fatti a Doña Oliva, 176 la supposta autrice della Nueva filosofía de la naturaleza del hombre, opera che faceva del piacere, della contentezza e dell’allegria il fondamento della salute, 177 sono frequenti e potrebbero essere considerati come la controprova della autenticità della paternità dichiarata nel frontespizio, nel  

















173   In simili casi, almeno noi, non ci siamo mai imbattuti. Abbiamo anche riesaminato attentamente la ricca documentazione offerta da Cristóbal Pérez Pastor in appendice alla Bibliografía Madrileña de los siglos XVI y XVII (Tomo III : 1621 al 1625. Amsterdam : Gérard Th. van Heusden 1971, pp. 321-523 : « Documentos ») e a La imprenta en Medina del Campo (pp. 419-478 : « Documentos »), ma senza successo. 174   Anche nella « Partida de Bautismo de su hijo Francisco » del 13. X. 1593 si specifica la professione di medico : “francisco hijo de el licenciado francisco Lopez de ubeda medico...” (cfr. M. Agulló y Cobo : Documentos sobre escritores de los siglos XVI y XVII, p. 174). 175   Cfr. M. Agulló y Cobo : Documentos sobre escritores de los siglos XVI y XVII, pp. 173-174. 176   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « TERCERA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO De la Picara Romera. Capitulo primero. De la mirona gustosa. Numero primero. De la Mirona fisgante », p. 129 (“Lo demas que falta, digalo Doña Oliua, que libra en el gusto salud refrigerio, y vida, esta si que era discreta...”). Nella Nueva Filosofia de la Naturaleza del hombre (Madrid : Pedro Madrigal 1587) di Miguel Sabuco si legge : “El placer, contento y alegría, son la principal causa porque vive el hombre y tiene salud, y el pesar y descontento, por que muere”. Cfr. Doña Oliva Sabuco de Nántes Barrera : Coloquio del conocimiento de sí mismo. In : Obras escogidas de filósofos. Con un Discurso preliminar del excelentísimo e ilustrísimo señor Don Adolfo de Castro (= Biblioteca de Autores Españoles, 65). Madrid : Atlas 1953, pp. 332-372. L’autore della Pícara Justina cita ancora, scientemente a sproposito, D. Oliva come autrice di un libro sul duello (“el libro del duelo che compusso D. Oliua, y trata la vengança que pueden tomar los hombres, de las mugeres, que le offenden”). Cfr. Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « TERCERA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO De la Picara Romera. Capitulo 4. de la partida de Leon. Numero 2. del desenojo astuto », p. 174. Infine D. Oliva è ricordata nelle « Sextillas vnisonas de nombres y verbos cortados » (“Soy la Reyn de Picardi, / mas que la Rud conoci, / Mas famo que doña Oli, / Que don Quixo y Lazari, / Que alfarche y Celesti...”). Cfr. Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « TERCERA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO De la Picara Romera. Capitulo 4. de la partida de Leon. Numero tercero, de los trajes de Montañeses y Coritos », p. 180. Sulla medicina psicosomatica di Miguel Sabuco cfr. Guillermo Serés : Estoicismo, medicina y literatura : La Nueva filosofías de la naturaleza del hombre, de Miguel Sabuco. In : Edad de Oro 27 (2008), 295-327. Le strofe di varie forme che precedono i ‘numeri’ della Pícara Justina sono considerati da Rafael de Cózar “artificios difíciles” e “rarezas”. Cfr. Rafael de Cózar : Poesía e imagen. Formas difíciles de ingenio literario. Sevilla : Ediciones El Carro de la Nieve 1991, pp. 282-284. 177   M. Bataillon : Pícaros y picaresca, p. 38. I riferimenti alla Nueva Filosofia de la Naturaleza del hombre (Madrid : Pedro Madrigal 1587) di Miguel Sabuco – pubblicata sotto il nome di sua figlia, Oliva Sabuco – non devono però essere sopravalutati. Anche un giurista come Thomé Pinheiro da Veiga conosceva, come vedremo, l’opera.  

































































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« Privilegio Real », nella « Aprovacion » e nella dedica a Don Rodrigo Calderon. Ecco i riferimenti alla professione medica :  









[...] vsando de lo que los medicos platicamos, los quales de vn simple venenoso, hazemos medicamento vtil, con añadirle otro simple de buenas calidades : y desta conmustion, sacamos vna perfecta medicina, purgatiua, o preseruatiua, mas o menos segun el atemperamento, o conmistion, que es necessaria. 178 Vnos me diran buena esta la picarada señor licenciado, otro dira, gentil picardia, otro o que picaro libro : otro dira buena esta la Iustinada, otros bueno es el concetillo, agudo pensamiento, ganasela a Celestina, y al Picaro. [...]. Dizenme que esta muy bueno el librito Picarero, y que se holgaran con el. Vayays norabuena, librito mio, que mas cuestan los naypes, y valen menos. Si ello el libro esta bueno, buen prouecho les haga, y si malo, perdonen, que mal se pueden purgar bien los enfermos, si yo me pongo aora muy de espacio a purgar la Picara. Mas ay, que se me oluidaua, que ero muger, y me llamo Iustina. 179 [...] aunque esta Iglesia mirada con ojos medicos (quales son los mios) parece que esta al reues [...]. 180 [...] que tiene que ver hablar poco, con ser buen medico : como si el ser medico consistiera en abogar en el tribunal de las parcas, para que de hilanderas se tornaran en ser cocheras, para traspalar gentes de muerte, a vida [...]. 181  













Anche la descrizione dei sintomi della sifilide rivela, secondo un recentissimo studio, precise conoscenze mediche. 182 (Queste conoscenze erano però facilmente acquisibili attraverso i numerosi trattati in circolazione sulla malattia venerea. Nello stesso anno in cui fu pubblicata la Pícara Justina uscì dalla officina vallisoletana di Luis Sánchez l’opera di Andrés de León intitolata Practico de morbo gallico, en el cual se contiene el origen y conocimiento desta enfermedad y el mejor modo de curarla, dedicata al Conte di Lemos. 183 Vi è inoltre da considerare che Fray Baltasar Navarrete, nell’ipotesi che sia stato lui l’autore  



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  Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « Prologo al Lector », fo. [A 7r].   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « INTRODVCCION GENERAL, PARA TODOS los tomos y libros. Escrita de mano de Iustina. Intitulada la Melindrosa Escriuana. Numero segundo [tercero !]. Del melindre a la culebrilla », pp. 30-31. 180   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « TERCERA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO : De la Picara Romera. Capitulo primero. De la mirona gustosa. Numero primero. De la Mirona fisgante », p. 121. 181   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « TERCERA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO De la Picara Romera. Capitulo 4. de la partida de Leon. Numero primero de la despedida de Sancha », p. 166. Frequenti sono anche i riferimenti alla letteratura medica. Li ha evidenziati e commentati José Miguel Oltra Tomás, al quale “parece indudable la cultura médica que exhibe el nuestro autor [Francisco López de Úbeda]”. Cfr. José Miguel Oltra Tomás : La parodia como referente en La Pícara Justina. León : Institución “Fray Bernardino de Sahagún”, Excma. Diputación Provincial de León, C.S.I.C. (CECEL) 1985, pp. 31-36. Julio Puyol y Alonso (« Estudio crítico de la Pícara Justina », p. 61), convinto – come sappiamo – che l’autore fosse Fray Andrés Pérez, spiega le chiare allusioni alla professione medica dell’autore del romanzo come una strategia “para desorientar a los lectores y dar de este modo visos de verdad á la ficción del nombre con que el libro se presentaba al público.” 182   Regula Rohland de Langbehn : Das Spiel mit der Krankheit : die Syphilis in der Pícara Justina. In : Frank Degler / Christian Kohlroß (Hrsg.) : Epochen / Krankheiten. Konstellationen von Literatur und Pathologie. St. Ingbert : Röhrig Universitätsverlag 2006, pp. 169-184. 183   Il Practico de Morbo gállico era incluso, con frontespizio e paginazione autonomi, anche nei Tratados de Medicina, Cirugia y Anatomia (Valladolid : Luis Sánchez 1605), dedicati al Marchese di Astorga, di Andrés de León. Cfr. Bartolomé José Gallardo : Ensayo de una Biblioteca Española de libros raros y curiosos. Tomo Tercero. Madrid : Manuel Tello 1888, col. 372, nro. 2673 e nro. 2674. – Mariano Alcocer y Martínez : Catálogo razonado de obras impresas en Valladolid, 1481-1800, pp. 207-208, nro. 494-495. Sul Practico de morbo galico cfr. Javier Salazar Rincón : El escritor y su entorno. Cervantes y la Corte de Valladolid en 1605, pp. 141-142. Un Tratado sobre las pestiferas buuas aveva inserito Francisco López de Villalobos nel suo Sumario de la medicina en romançe trouado, pubblicato a Salamanca nel 1498 a spese del libraio Antonio de Barreda.  

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della Pícara Justina, conoscenze mediche di vario tipo le poteva facilmente acquisire assistendo, com’era suo diritto e dovere e come concretamente sappiamo dal piú volte ricordato documento del 1620, agli esami di dottorato in medicina.) Si trovano però nella Pícara Justina anche diverse espressioni poco lusinghiere sui medici :  

[...] las bolsas, y alforjas de los recueros, y azeyteros, que son mas suzias, que ojos de medico, y nidos de oropendola [...]. 184 Que auia que hazer sino pedir à la tierra, que pues cubre tantos yerros de medico, y purga, cubriesse vno de vn cauallero, y vn medio celemin ? 185 [...] los esgrimidores, son como los medicos, que buscan terminos esquisitos para significar cosas que por ser tan claras tienen berguença, de nombrarlas en canto llano, y assi les es necessario, hablarlas, con terminos desusados, que parecen de junciana, o jacarandina. 186 [...] les puse ojos de medico con vna tan mala vision [...]. 187 Y a fè que he oydo yo consultas de buenos medicos, que en graues enfermedades yuan con menos tiento que yo en esta ocasion [...]. 188 Assi mismo entre los hombres, vnos ay de notable prouecho, como si dixessemos, los buñoleros, figones, ojaldistras, y sobre todo la familia picaral. Otros por extremo desaprouechados, y sin jugo, como si dixessemos los medicos, y voticarios, y sobre todo los escriuanos sin numero. 189  

   









Ma soprattutto si trova nel romanzo una vera e propria parodia della professione medica e delle pratiche terapeutiche piú frequentemente usate : il salasso (non vi era infermità o indisposizione dei membri della famiglia reale che – come si apprende leggendo le Relaciones di Luis Cabrera de Córdoba – non venisse curata con un buon salasso, anche nei casi di evidente stato di forte debilitazione del malato 190) e il cataplasma 191 (nel corso  





184   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO PRIMERO, INTITVLADO LA PICARA Montañesa. CAPITVLO SEGVNDO [TERCERO !] DE LA vida de el meson. NVMERO SEGVNDO DE LA Mesonera Astuta », p. 92. 185   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO PRIMERO, INTITVLADO LA PICARA Montañesa. CAPITVLO SEGVNDO [TERCERO !] DE LA vida de el meson. NVMERO TERCERO DE LA muerte de los Mesoneros », p. 98. Cfr. anche « CAPITVLO SEGVNDO [TERCERO !] DE LA vida de el meson. Numero primero. De el mesonero consejero », p. 82 (“Que estos yerros, son como los de los medicos. Y aun mejores, que aquellos los cubre la tierra, y a estos el pan, que es cara de Dios, como dizen los niños”). 186   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO DE la Picara Romera. Capitulo. IIII. De la romera de Leon. Numero segundo del asno perdido », p. 81. 187   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO DE la Picara Romera. Capitulo. IIII. De la romera de Leon. Numero tercero de la romera enuergonzante », p. 96. 188   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « TERCERA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO De la Picara Romera. Capitulo 2. de la vizma de Sancha Gomez. Numero. 2. De la vizna [vizma] pegajosa », p. 149. 189   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO De la Picara Romera. Capitulo IIII. de la romera de Leon. Numero 5. del engaño meloso », p. 108. 190   In una sua lettera dell’agosto 1599 il barone Conrad von Bemelberg scriveva : “Dios libre a cualquier hombre honrado de las enfermedades de España y de sus Medicos, querria decir asnos, pues la primera Medicina que harán es sangrar a una persona, y sacarle tanta sangre del braço como si no fuera hombre, sino un buey, o otro animal gruesso”. Cfr. Conrad von Bemelberg : A un Caballero aleman españoliçado (De Boloña, y de Augusto año de 1599). In : Arturo Farinelli : Viajes por España y Portugal. Desde la Edad Media hasta el siglo XX. Divagaciones bibliográficas. Madrid : Centro de Estudios Históricos 1920, pp. 158160 ; qui p. 159. 191   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « TERCERA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO De la Picara Romera. Capitulo 2. de la vizma de Sancha Gomez. Numero 1. de la enfermedad, de Sancha la gorda ; Numero. 2. De la vizna [vizma] pegajosa », pp. 136-145, pp. 146-155.  



















































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dell’opera vengono continuamente menzionate anche le purghe, la cura, forse, in assoluto piú spesso prescritta 192). Per formulare tutte le ipotesi possibili, si potrebbe, infine, supporre che Fray Baltasar Navarrete e Francisco López de Úbeda abbiano scritto insieme la Pícara Justina e ne siano coautori. (L’alternarsi di espressioni come quelle sopra citate – Yo, el teologo…” ; “el estado eclesiastico, cuyo minimo profesor y acolito cuadragenario soy” ; “vsando de lo que los medicos platicamos” ; “con ojos medicos, quales son los mios” –, che sembrano testimoniare la presenza contemporanea nel testo di due voci di autore, quella di un autore medico e quella di un autore teologo, conferiscono una certa forza a questa ipotesi.) L’accordo, in questo caso, avrebbe previsto una divisione degli ‘utili’ : la ‘gloria’ letteraria a Francisco López de Úbeda, i diritti d’autore a Fray Baltasar Navarrete (“yo … Gerónimo Obregón … pagaré al dicho fray Baltasar Navarrete todo aquello a que vos … Diego Pérez estais … obligado”), che – come rivela la lite per le propine del settembre 1620 – era uomo molto interessato. Delle tre ipotesi, qual’è la piú fondata ? Il contratto scoperto da Anastasio Rojo Vega conferisce alla ipotesi di attribuzione della Pícara Justina a Fray Baltasar Navarrete un forte fondamento. Ma solo il rinvenimento del contratto, stipulato davanti al notaio vallisoletano Cristóbal de Santiago, con il quale Fray Baltasar Navarrete aveva venduto il manoscritto della Pícara Justina e il diritto di stampare e vendere il libro al mercader de libros Diego Pérez Cortés, potrebbe, forse, risolvere definitivamente il problema della attribuzione del romanzo, poiché in simili scritture venivano, abitualmente, precisate con tutta chiarezza la paternità dell’opera e le modalità di pagamento dei diritti d’autore. 193 È però verosimile l’attribuzione di un libro “tan sabiamente obsceno” 194 ad un frate domenicano ? Giovanni Brevio, autore di licenziose novelle, era canonico ; Agnolo Firenzuola, traduttore dell’Asino d’oro di Apuleio (tradotto integralmente in castigliano dall’arcediano di Siviglia Diego López de Cortegana e ricordato due volte nella Pícara Justina 195) e autore dei Ragionamenti, era monaco ; Giovanni della Casa, autore dei licenziosi Capitoli del Forno, era sacerdote e divenne arcivescovo e nunzio pontificio ; Matteo Bandello, autore delle celebri e diffusissime Novelle, era frate domenicano ; Francisco Delicado, autore del Retrato de la Loçana andaluza, era sacerdote ; Fernán Xuárez, traduttore della « Terza Giornata : Vita delle puttane » della Prima parte dei Ragionamenti dell’Aretino (Coloquio de las damas. Sevilla : Juan de León 1547), era beneficiado ; Fray Melchor de la Serna, che Marcelino Menéndez Pelayo definiva “autor de las obras de burlas más desvergonzadas  







































192   Gonzalo Correas registra questo refrán : “Sangrarle y purgarle ; si se muriere, enterrarle”. E spiega : “Contra la ordinaria cura de médicos, que es « purgar y sangrar » ; como : « Azotes y galeras »”. Sotto il proverbio “Azotes y galeras” aveva scritto : “Condenación ordinaria que hacen los jueces a ladrones ; y trasládase a las curas de los médicos ordinarias : sangrar y purgar, que a esto condenan al enfermo” (Vocabulario de refranes y frases proverbiales. Edición de Louis Combet. Revisada por Robert Jammes y Maïte Mir-Andreu, p. 724, p. 115). 193   Cfr. – per esempio – il contratto stipulato fra il Dr. Miguel Martínez e il “mercader Librero” Alejo de Herrera, riprodotto da Cristóbal Pérez Pastor (La imprenta en Medina del Campo, pp. 429-430, nro. 41). 194   Francisco Rico : La novela picaresca y el punto de vista, p. 120. 195   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « Prologo summario de ambos los tomos, de la Picara Iustina », fo. [A 9r] (“no ay enredo en Celestina, chistes en Momo, simpleças en Lazaro, elegancia en Gueuara, chistes en Eufrosina, enredos en Patranuelo, cuentos en Asno de oro : y generalmente, no ay cosa buena en romancero, comedia, ni poeta Español cuya nata aqui no tenga : y cuya quinta essencia no saque”). – Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO DE la Picara Romera. Capitulo. IIII. De la romera de Leon. Numero segundo del asno perdido », p. 85 (“como el otro que se canso de tratar del asno, que llamo de oro”).  





































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capitolo i

que se conocen en nuestro Parnaso” 196 – i sonetti osceni inseriti assieme alle ancor piú oscene Novela del cordero e Novela de las madejas nel Cancionero manoscritto (compilato fra il 1582 e il 1600) del Bachiller Jhoan Lopez, 197 la Sátira a las monjas e la Sátira en que habla vna casada con las monjas, che figurano nel Cancionero manoscritto del 1628 conservato nella Biblioteca Universitaria di Zaragoza, 198 e El sueño de la viuda, trasmessoci dal ms. 2803 della Biblioteca Real di Madrid 199 e, come le altre composizioni or ora ricordate, da molti altri Canzonieri manoscritti, 200 giustificano pienamente il giudizio del grande erudito –, era monaco benedettino del Convento di S. Vicente di Salamanca (per questo alcune sue composizioni sono presentate come opera “del Vicentino”). 201 Stato ecclesiastico e letteratura erotica – e talvolta apertamente pornografica – non erano, come si vede, affatto incompatibili. Si deve poi tener presente che, a confronto delle opere sopra nominate, l’erotismo nella Pícara Justina è trattato “a la ligera” 202 – come dichiara programmatica 













196   Marcelino Menéndez Pelayo : Orígenes de la novela. Edición preparada por D. Enrique Sánchez Reyes. Tomo III, p. 187. Cfr. anche Menéndez Pelayo : Biblioteca de traductores españoles. Edición preparada por Enrique Sánchez Reyes (= Edición Nacional de las Obras Completas, LVII). Tomo IV. Santander : Aldus 1953, pp. 244-245. 197   Cfr. Cancionero del Bachiller Jhoan Lopez. Manuscrito 3168 de la Biblioteca Nacional de Madrid. Edición, Estudio, Bibliografías e Indices por Rosalind J. Gabin. Madrid : José Porrúa Turanzas 1980, 2 tomi ; qui I, pp. 114-115 (nro. LXXIX), pp. 121-122 (nro. LXXXI) ; II, pp. 377-386 (nro. CCXI), pp. 391-396 (nro. CCXII). La Novela de las madejas, trasmessaci sia dal Ms. 3168 sia dal Ms. 3915 (fo. 302r-306v : Quento de las madejas) della Biblioteca Nacional di Madrid, era già stata editata da Yvan Lissorgues : Obras de burlas de Fray Melchor de la Serna : LA NOVELA DE LAS MADEJAS. In : Criticón, Toulouse-Le Mirail, 3 (1978), 1-27 ; qui pp. 15-27. Entrambe le novelle, in versi, di Fray Melchor de la Serna derivano da modelli italiani. La fonte più immediata de la Novela de las madejas è costituita, probabilmente, dal Canto XXV de Il Mambriano (Mantova : Bondeno 1509) di Francesco Bello e forse anche dalla novella nona della settima giornata del Decameron. Fonti lontane sono rappresentate dal fabliau intitolato Les trois dames qui trouvèrent l’annel e dall’esempio nro. 236 del Libro de los exemplos (cfr. Yvan Lissorgues : Obras de burlas de Fray Melchor de la Serna, pp. 2-4). La materia de la Novela del cordero si trova frequentemente nella novellistica italiana. Cfr. – per esempio – Giovanni Sercambi : Novelle. A cura di Giovanni Sinicropi. Volume secondo. Bari : Laterza 1972, pp. 576-579 (Novella CXXVIIII : « De pauco sentimento in juvene »). – Pietro Fortini : Le giornate delle novelle dei novizi. A cura di Adriana Mauriello. Tomo I (= I Novellieri Italiani, Vol. 28-1). Roma : Salerno Editrice 1988, pp. 216-231 (Seconda giornata. Novella X : « Un depintore per gelosia depinto uno agnellino a la donna, ella con sua maestria lo fece doventare un montone »). 198   Cfr. Cancionero de 1628. Edición y estudio del Cancionero 250-2 de la Biblioteca Universitaria de Zaragoza por José Manuel Blecua (= Revista de Filología Española : – Anejo XXXII). Madrid : C.S.I.C. 1945, p. 69. Purtroppo José Manuel Blecua non riproduce le due Satire per la loro “procacidad” ! 199   Cancionero de poesías varias. Manuscrito 2803 de la Biblioteca Real de Madrid (= Cancioneros Reales). Prólogo de Maxime Chevalier. Edición de José J. Labrador Herraiz [y] Ralph A. DiFranco. Madrid : Editorial Patrimonio Nacional 1989, pp. 206-221. Su El sueño de la viuda cfr. José Ignacio Díez Fernández : Imágenes de la sodomía en los poemas de los siglos de oro. In : Javier Huerta Calvo, Emilio Peral Vega y Jesús Ponce Cárdenas (Editores) : Tiempo de burlas. En torno a la literatura burlesca del Siglo de Oro. Madrid : Verbum 2001, pp. 119-143 ; qui pp. 130-133. 200   Sull’ampia diffusione manoscritta delle composizioni di Fray Melchor de la Serna cfr. José J. Labrador Herraiz, Ralph A. DiFranco, Lori A. Bernard : « Estudio preliminar » a : Poesías de Fray Melchor de la Serna y otros poetas del siglo XVI. Códice 22.028 de la Biblioteca Nacional de Madrid, pp. XXI-LVIII ; qui pp. XXVIIIXXXVIII. 201   Un esastico latino di Fray Melchor de la Serna in lode di Fray Athanasio de Lobera si trova nelle pagine preliminari della Historia de las grandezas de León. Cfr. Historia de las grandezas de la mvy antigua y insigne ciudad, y Iglesia de Leon. Recopilada por Fray Athanasio de Lobera, Monge de sant Bernardo, de la obseruancia de España. En la Ciudad de Valladolid, por Diego Fernandez de Cordoua, Impressor del Rey nuestro señor. Con Preuilegio. 1596 (Edición facsímil. León : Ediciones Lancia 1987), fo. 2r. L’autore della Pícara Justina conosceva Fr. Athanasio de Lobera, o almeno la sua Historia de las grandezas de León, che costituisce una fonte di alcune pagine del suo romanzo. Fray Melchor de la Serna conosceva Fray Athanasio de Lobera. Conosceva anche l’autore della Pícara Justina ? 202   “[...] no es mi intencion, ni hallaras que he pretendido, contar amores al tono del libro de Celestina : antes si bien lo miras, he huydo de esso totalmente : porque siempre que de esso trato, voy a la ligera, no contando lo que pertenece a la materia de deshonestidad, sino lo que pertenece a los hurtos ardidosos de Iustina” (Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « Prologo al Lector », fo. [A 7r]).  





















































































la paternità della pícara justina

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mente lo stesso autore – o, comunque, è sempre ‘cifrato’, mai aperto ed esplicito. Infine, se gli stessi frati dell’Ordine dei Predicatori attribuivano a un confratello la paternità della Pícara Justina – circostanza, questa, che, indirettamente, aggiunge, come abbiamo già notato, verosimiglianza all’ipotesi che il suo autore sia stato Fray Baltasar Navarrete, un domenicano come Fray Andrés Pérez – e se un frate dello stesso Ordine, il celebre erudito Francisco Diago, 203 censore dell’Inquisizione, poteva tranquillamente approvare l’edizione barcellonese del romanzo, si può ben essere sicuri che le ‘oscenità’ del testo non scandalizzavano affatto i padri domenicani, i quali – non dimentichiamolo – erano, come Inquisitori Generali, inquisitori, consiglieri, ispettori e calificadores, i principali custodi del Santo Ufficio, da quando era stato istituito, e gli specialisti, per così dire, dell’ortodossia ! 204 (Non solo i frati domenicani, ma anche frati di altri Ordini si dilettavano con la lettura del romanzo picaresco : Fray Antonio Folch de Cardona, francescano, aveva nella sua biblioteca un esemplare della editio princeps ; 205 i frati agostiniani della Abbaye Sainte-Geneviève di Parigi conservavano nella loro biblioteca un esemplare della edizione della Pícara Justina stampata a Bruxelles nel 1608 nella officina di Olivero Brunello ; 206 i frati del “Conuent de Nazareth a Paris” 207 possedevano un esemplare de La Narqvoise Ivstine – Paris : Pierre Bilaine 1636.) Naturalmente l’ipotesi dell’attribuzione della Pícara Justina a Francisco López de Úbeda, che prima della scoperta di Anastasio Rojo Vega era considerato dalla maggior parte degli studiosi l’autore indiscusso dell’opera, non può essere scartata. Allo stato attuale delle cose noi la consideriamo però meno solida della ipotesi di attribuzione a Fray Baltasar Navarrete, fondata su un autentico documento notarile. Poco probabile, ma non inverosimile, è, infine, l’ipotesi che l’opera sia stata composta in collaborazione da Fray Baltasar Navarrete e Francisco López de Úbeda.  

   



   

   





203   Fray Francisco Diago aveva accusato di plagio – come vedremo – il confratello Fray Andrés Pérez per aver trascritto, senza indicazione della fonte, nella sua Historia de la vida y milagros del glorioso sant Raymundo de Peñafort alcune pagine che egli aveva dedicato al Santo nella Historia de la provincia de Aragon de la orden de Predicadores, pubblicata a Barcellona nel 1599 presso Sebastián de Cormellas. Raymund de Peñafort era stato canonizzato il 29 aprile 1601 da Clemente VIII “a ynstancia” di Filippo III (cfr. Don Gerónimo Gascón de Torquemada : Gaçeta y nuevas de la Corte de España desde el año 1600 en adelante. Continuada por su hijo Don Gerónimo Gascón de Tiedra. La publica Alfonso de Ceballos-Escalera y Gila. Madrid : Real Academia Matritense de Heráldica y Genealogía 1991, p. 20). Per la canonizzazione di Raymund de Peñafort Filippo II aveva donato 6.000 ducati (cfr. El Pasatiempos de Jehan Lhermite. Memorias de un Gentilhombre Flamenco en la corte de Felipe II y Felipe III. Estudio : Jesús Sáenz de Miera. Traducción : José Luis Checa Cremades. Aranjuez (Madrid) : Ediciones Doce Calles 2005, p. 413). In occasione di un certamen per la canonizzazione del Santo, Quevedo scrisse un sonetto in portoghese. Cfr. Francisco de Quevedo : Obra poética. Edición de José Manuel Blecua. I. Madrid : Castalia 1969, pp. 330-331 (nro. 180). 204   Cfr. Historia de la Inquisición en España y América. Obra dirigida por Joaquín Pérez Villanueva y Bartolomé Escandell Bonet. I. El conocimiento científico y el proceso histórico de la Institución (1478-1834). Madrid : Biblioteca de Autores Cristianos 1984, p. 286, pp. 301-303, p. 331, p. 446, p. 481, p. 744. 205   Cfr. Catálogo de la Biblioteca de Fray Antonio Folch de Cardona. In : Miguel Nieto Nuño : Fondos hispánicos en la Biblioteca Nacional de Viena. Tesis Doctoral. Universidad Complutense de Madrid. Departamento de Filología Española II. Tomo II. Madrid : Editorial de la Universidad Complutense de Madrid 1989, pp. 219622 ; qui p. 388, nro. 2652. 206   Cfr. Odette Bresson : Catalogue du fonds hispanique ancien (1492-1808) de la Bibliothèque Sainte-Geneviève de Paris. Préface d’Augustin Redondo (= Textes et Documents du « Centre de Recherche sur l’Espagne des XVIe et XVIIe siècles », IV). Paris : Publications de la Sorbonne. Presses de la Sorbonne Nouvelle 1994, p. 185, nro. 440. 207   Annotazione a penna sull’esemplare della Bibliothèque Nationale di Parigi recante la segnatura Y2. 11223.  































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Capitolo II UN’OPERA ‘OSCURA’. LE INTERPRETAZIONI DELLA PÍCARA JUSTINA Sommario : Da Gregorio Mayáns y Siscar ad Alberto del Monte. Oltre due secoli di incomprensione. – Il primo tentativo di comprensione ‘storica’ : l’interpretazione di Marcel Bataillon. a) Francisco López de Úbeda, un convertito di origine ebraica. - b) Ritratto dell’autore. - c) La Pícara Justina come strumento di propaganda pro-calderoniana. - c1) Incompatibilità della tesi di Marcel Bataillon con il contenuto ‘ideologico’ dell’opera. c2) La Pícara Justina un attentato letterario contro il favorito del favorito ? I nemici del Duca di Lerma e di Don Rodrigo Calderón. d) La Pícara Justina come satira della ossessione genealogica dei cortigiani. - d1) Incongruenze della interpretazione di Marcel Bataillon. a) Montañesa, cioè ‘hidalga’ ?- b) Ossessione genealogica dei cortigiani ? La composizione della Corte. – Le interpretazioni della Pícara Justina dopo Marcel Bataillon : i suoi seguaci. I. – La dottrina nobiliare e l’immagine della nobiltà nel Siglo de Oro. Una digressione. – Le interpretazioni della Pícara Justina dopo Marcel Bataillon : i suoi seguaci. II. – Le interpretazioni ‘carnevalesche’ della Pícara Justina. – Justina e la religione. Una digressione. – Le confutazioni della interpretazione di Marcel Bataillon.  













Da Gregorio Mayáns y Siscar ad Alberto del Monte. Oltre due secoli di incomprensione

N

el « Juicio » premesso alla edizione della Pícara Justina del 1735, Gregorio Mayáns y Siscar dà una valutazione negativa dell’opera che, con diverse variazioni, è stata sostanzialmente accettata per oltre due secoli. Dopo aver affermato che l’autore aveva tentato di imitare alcuni “Libros de entretenidas ficciones que con tanta aplicacion se leìan entonces”, quali il Patrañuelo, il Lazarillo de Tormes, la Celestina, la Comedia Eufrosina e, in particolare, il Guzmán de Alfarache, il grande poligrafo scrive :  





Si el Autor huviera procurado entresacar de dichas Obras lo mas discreto, i lo huviera ordenado, como Miguel Cervantes, en una forma apacible ; ciertamente en este genero de Fabulas, no havrìa mas que desear. Pero su invencion fue mui estraña ; i su imaginacion tan fecunda, que la misma abundancia le es nociva. Escriviò quanto pensò ; i por su propia confession vino à componer en gran parte un Libro de vanidades. Su designio fuè raro : porque intentò formar un buen Libro de malos materiales [...]. [...] En quanto al estilo me parece este el primer Español, que dejando la propiedad, i gravedad de nuestra lengua, abriò el nuevo camino de inventar por capricho, no solo vocablos, sino modos de hablar. Licencia que ha llegado à tal estado, que parece que podemos hablar dos lenguas totalmente diversas. Bien aya pues el Autor que dejò de imprimir otros muchos tomos que tenia escritos prosiguiendo la Vida de Justina Diez ; pues no se pierde la noticia de algunas grandes virtudes ; i los Academicos estàn libres del trabajo de añadir muchas voces al Diccionario Español. 1  













Oltre un secolo dopo, intorno alla metà dell’Ottocento, con la sola eccezione di Eugenio de Ochoa che ne loda la rappresentazione di tipi sociali e di costumi, 2 la Pícara Justi 

1   [Gregorio Mayáns y Siscar] : « Noticia del verdadero Autor de la Vida de Justina Diez, i juicio de esta novela », fo. A 2v - A 3r. 2   Eugenio de Ochoa : « Introducción » a : Tesoro de novelistas españoles antiguos y modernos, con una introducción y noticias de Don E. de O. (= Colección de los mejores autores españoles, XXXVI). Paris : Baudry 1847, pp. XIV-XV.  















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capitolo ii

na è giudicata con eguale severità : Buenaventura Carlos Aribau la considera “uno de los mas vivos ejemplos de la corrupcion del gusto en su época” ; 3 George Ticknor definisce il suo stile affettato e dubbiosa la sua moralità ; 4 Eustaquio Fernández Navarrete ripete, quasi alla lettera, il giudizio di Gregorio Mayáns y Siscar. 5 Alla fine del XIX secolo non cambia la valutazione del Libro de entretenimiento. Fonger De Haan afferma che “the work ... is a monument of Spanish literature mainly for the reason that it is the earliest important specimen of the wretched taste that was soon to prevail” e che le sue avventure sono “uninteresting in the extreme”. 6 Frank Wadleigh Chandler ricorda il giudizio di Gregorio Mayáns y Siscar sull’autore della Pícara Justina “as the first corruptor of Spanish prose” e scrive che “the involved and eccentric style of Pérez renders his narrative fatiguing” e che “the incidents of Pérez’s novel were commonplace and deficient in ingenuity”. 7 All’inizio del Novecento Marcelino Menéndez y Pelayo definisce la Pícara Justina un “monumento de mal gusto”, un “libro estrafalario, oscuro y fastidioso”, tanto colmo di “garambainas, paranomasias, retruécanos, idiotismos, proloquios familiares, alusiones enmarañadas y pedanterías de todo género” da convertirsi in “un rompecabezas”. Per il grande erudito la Pícara Justina, che pur contiene descrizioni “muy curiosas ... de la vida popular en León y comarcas limítrofes”, è una “interminable charada novelesca”, al cui confronto “lo más tenebroso de Quevedo y Gracián parece diáfano”. L’autore dell’opera, Marcelino Menéndez y Pelayo lo giudica cosí :  

   

   









era hombre de poca inventiva, de perverso gusto y de ningún juicio, y en este concepto mereció la sátira de Cervantes, pero poseía un caudal riquísimo de dicción picaresca, y una extraña originalidad de estilo, en la cual cifraba todos sus conatos, esforzándose siempre por decir las cosas del modo más revesado posible, con mucho lujo de colores chillones y de abigarradas y grotescas asociaciones de ideas y de palabras, atento siempre a sorprender más que a deleitar, y más a lucir el ingenio que a interesar al lector con el insulso cuento de las aventuras de su heroína. [...] a ratos [el libro] parece escrito en otra lengua diversa de la castellana, no ciertamente porque el autor la ignorase, sino al revés, porque sabiéndola demasiado (si en esto cabe exceso), pero careciendo de discreción y gusto para emplearla, derrama a espuertas su diccionario, y quiere disimular su indigencia de pensamiento con el tropel y la orgía de las palabras. Era lo que hoy llamaríamos un decadente, pero tuvo la desgracia de nacer antes de tiempo y no formó escuela. 8  

Il giudizio critico negativo – ma non privo di acute intuizioni e osservazioni – di Marcelino Menéndez y Pelayo è pienamente condiviso da Julio Puyol y Alonso. 9 Ma pur es 

3   Buenaventura Carlos Aribau : Sobre la primitiva novela española (1846). In : Novelistas anteriores a Cervantes (= Biblioteca de Autores Españoles, 3). Madrid : Atlas 1975, pp. VII-XXXVI ; qui p. XXIV. 4   G. Ticknor : History of Spanish literature (1849), III, pp. 65-67. 5   “A tener el autor acierto y gusto suficiente para tomar lo mejor de los libros que imitaba, á saber combinar su fábula, y borrar en vez de dar rienda suelta á su imaginacion, diciendo todo lo que le venia á la pluma, y en fin, si hubiese respetado mas las leyes del lenguaje y del estilo, habria acertado á escribir un libro. Entonces podria decir con razon que Justina habia nacido para casarse con Guzman de Alfarache ; y la novia seria digna del novio. Sus defectos gravísimos no fueron sin embargo, impedimento para que el libro se tradujese al francés y al italiano” (Eustaquio Fernández Navarrete : Bosquejo histórico sobre la novela española. 1854, p. XCII). 6   Fonger De Haan : An Outline of the History of the Novela Picaresca in Spain. Dissertation presented to the Board of University Studies of the Johns Hopkins University at Baltimore. May 1895. The Hague - New York : Martinus Nijhoff 1903, pp. 19-20. 7   Frank Wadleigh Chandler : Romances of Roguery, pp. 238-240. 8   M. Menéndez Pelayo : Una nueva conjetura sobre el autor del « Quijote » de Avellaneda (1905), pp. 377-378. 9   J. Puyol y Alonso : « Estudio crítico de la Pícara Justina », pp. 32-45. A pag. 39 scrive : “[...] ni siquiera en su dicción y estilo hállase en [la Pícara Justina] [...] cosa recomendable. Si es cierto que el fondo se refleja en la forma, hay que convenir en que nada hubiera habido más adecuado que el ingente y estrepitoso galimatías de la Pícara para expresar aquellos conceptos mazorrales y pedestres cuya afectación se manifiesta hasta en los epí 

































le interpretazioni della pícara justina

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sendo “de escasísimo valor” letterario, la Pícara Justina ha, secondo lo studioso, “grande interés lexicológico” per “la riqueza de su vocabulario”. 10 I giudizi negativi sul valore estetico dell’opera si succedono nei primi decenni del Novecento. Sia Ernest Mérimée (Précis d’histoire de la littérature espagnole. Paris 1908) che Julio Cejador y Frauca (Historia de la lengua y literatura castellana. Madrid 19151922), sia José Rogerio Sánchez (Resumen de historia de la lengua y literatura españolas. Madrid 1918) che Juan Hurtado e Ángel González Palencia (Historia de la literatura española. Madrid 1921), valutano negativamente il romanzo picaresco. 11 Secondo Ludwig Pfandl la Pícara Justina – essa stessa “ein Produkt entartenden Geschmacks” – esalta “die Degeneration einer immer weitere Kreise umfassenden Gesellschaftsklasse”. Il romanzo è “eine ermüdende, langweilige Sache” : le avventure narrate sono prive di ogni originalità, gli episodi “locker verknüpft”, le figure tratteggiate debolmente ; esagerata è la sua “Geschwätzigkeit”, eccessivo l’uso di giochi di parole, di “überraschende Wendungen”, di “kühne Wortbildungen” e di “Worthäufungen”. 12 Ancora nel 1967/1970 Juan Luis Alborg farà proprio il giudizio negativo di Marcelino Menéndez y Pelayo sulla Pícara Justina e gli darà grande rilievo trascrivendolo integralmente nella sua monumentale Historia de la Literatura Española. 13 Solo alcuni studiosi hanno tentato di ‘salvare’ qualche aspetto particolare dell’opera e di formulare un giudizio piú differenziato. Cosí Mireya Suárez ha scritto che il romanzo offre interesse “sólo por la descripción de algunos cuadros populares, por el vocabulario, de gran riqueza picaresca, y por la originalidad de estilo extraño” ; 14 mentre Ángel Valbuena Prat, pur valutando negativamente l’opera nel suo insieme, ha avuto parole molto elogiative per alcune sue peculiarità :  











   



Para hallar algún gusto en esta novela hay que recrearse con los vocablos y frases, con los juegos de intención y malicia verbales, y a lo sumo con algunos ambientes pintorescos, bien interpretados, como los referentes a tierras y costumbres de León. [...] Curiosísima la obra por su peculiar estilo, por las rarezas en las alusiones y su carácter especial, compensará en el encanto del habla y de su detalles su evidente incapacidad o fracaso como acción, interés o agilidad narrativa. Pero aun así, es curiosa como lejano ensayo del tempo lento, en una narración de los albores del XVI [XVII !]. Las descripciones de lugares y costumbres de León y sus cercanías son muy curiosas, así como alguna figura o detalle aislado, como el de la vieja morisca. De todos modos, su habla en sí ofrece peculiar encanto, y, junto a los vulgarismos leoneses, revela una cuidada y consciente elaboración.15  

Oltre a Mireya Suárez e Ángel Valbuena Prat, anche Miguel Romera-Navarro (Historia de la Literatura Española. Boston 1928) e Julio Torri ( Literatura Española. Méjico 1952) grafes de los capítulos ; aquellos chistes execrables que consisten en jugar del vocablo sin gracia ninguna, pero con infantil más bien que con meditada presunción, y aquellos símiles completamente inocentes y candorosos, groseros á veces, pero glosados hasta el fin, con insistencia de patán, que demuestra la singular delectación que el autor recibía al trasladarlos al papel, reputándolos como gallardo testimonio de su ingenio y sin darse cuenta que estaba poniendo de su parte todo lo posible para hacer la triste figura ante los lectores.” 10   J. Puyol y Alonso : « Estudio crítico de la Pícara Justina », p. 94. 11   Cfr. B. M. Damiani : Francisco López de Úbeda, p. 23. 12   L. Pfandl : Geschichte der spanischen Nationalliteratur in ihrer Blütezeit (1929), p. 281. 13   Juan Luis Alborg : Historia de la Literatura Española. Época barroca. Segunda edición (1970). Madrid : Gredos 1980 (si tratta della terza ristampa della seconda edizione, pubblicata nel 1970 ; la prima edizione era uscita nel 1967), pp. 473-474. 14   Mireya Suárez : La novela picaresca y el pícaro en la literatura española. Madrid : Imprenta Latina (1926), p. 122. 15   Ángel Valbuena Prat : « Prólogo explicativo » (premesso alla sua edizione de La Pícara Justina). In : La novela picaresca española. Estudio preliminar, selección, prólogos y notas de A. V. P. Tomo I (Septima edición. Primera reimpresión). Madrid : Aguilar 1978 (1.ª ed. 1943), pp. 877-878.  































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mostrano una certa comprensione per il Libro de entretenimiento, 16 ma i tentativi di giudicare l’opera con maggior obiettività e di superare, almeno parzialmente, le tradizionali valutazioni negative sono rari. Ancora negli anni cinquanta del XX secolo si ripetono, sostanzialmente, i giudizi di Gregorio Mayáns y Siscar e di Marcelino Menéndez y Pelayo. Cosí, per addurre un esempio solo, ma molto vistoso, riproduciamo il giudizio critico sulla Pícara Justina espresso da Alberto del Monte nel suo Itinerario del romanzo picaresco spagnolo (1957) :  



La Pícara Justina è l’opera oziosa di un formalista forsennato che adotta un contenuto ispido e bruciante soltanto come pretesto, spogliato di ogni attualità storica e di ogni problematica morale, per un frigido e fatuo esercizio di scrittura adiposa e ibrida, soporifera mescidanza di espressioni popolari, di provincialismi e d’idiotismi, e di concetti ingegnosi, di metafore stravaganti, di giochi verbali, monumentale documento di cattivo gusto e di vacua retorica. Quelle che saranno poi le peculiarità della prosa barocca si rinvengono qui in una embrionalità invertebrata e amorfa, non dominate da una consapevolezza artistica, straripante nella futile compiacenza di un troppo agevole gioco : opera, questa, che tutt’al più può presentare materia di lavoro per il lessicografo. 17  



Una cosí totale incapacità di saper leggere ‘storicamente’ un testo – incapacità vanamente mascherata con un fuoco d’artificio di vuoti aggettivi – stupisce. Certamente è determinata da una lettura frettolosa e superficiale dell’opera 18 e, forse, anche dagli anatemi lanciati da Benedetto Croce contro il Barocco (“una sorta di brutto artistico”, “un peccato estetico, ma anche un peccato umano”, “perversione artistica”, “falsa arte”, “negazione ... di quel che è propriamente arte e poesia” 19), che ancora negli anni Cinquanta del secolo scorso nulla avevano perduto, purtroppo, della loro efficacia.  



Il primo tentativo di comprensione ‘storica’ : l’interpretazione di Marcel Bataillon  

Negli anni 1958-1964 Marcel Bataillon sviluppò, in una serie di corsi universitari e di saggi, una interpretazione innovativa e originale dell’opera, una “interpretación históri-

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  Cfr. B. M. Damiani : Francisco López de Úbeda, pp. 24-25.   Alberto del Monte : Itinerario del romanzo picaresco spagnolo. Firenze : Sansoni 1957, pp. 78-79. Con qualche modifica il giudizio è ripetuto in : Alberto del Monte : « Introduzione » a : Il romanzo picaresco. A cura di A. d. M. (= Collana di Letterature Moderne, 1). Napoli : Edizioni Scientifiche Italiane 1957, pp. 1-38 ; qui p. 28. 18   Il brevissimo e schematico riassunto dell’opera. che precede immediatamente il giudizio critico sopra trascritto, rivela con tutta chiarezza una lettura frettolosa e, molto probabilmente, incompleta dell’opera. Due soli esempi. Contrariamente a quanto afferma Alberto del Monte, Justina a Rioseco non è “ridotta in miseria” e neppure “diventa serva di una moresca”. Justina, pur avendo molti gioielli (“tenia conmigo pieças y joyas [...], y en la presente sazon andaua mas enjoyada, que tienda Milanesa”), si traveste da povera hilandera (“Recogi mis joyas, corales, y sartas, mis sayuelos y mis sayas, mi manto y rebociños, y quedeme, como representante desnudo, con solo vna sayta parda y corta, vna mantillina blanca, mi çapato mocil, en fin a lo hilandero”). Quindi va, in compagnia della vecchia morisca che la ospitava (“Yo viuia en vna calle donde morauan muchas hilanderas que hilauan lana de torno, y tambien mi posada era en casa de vna viejecita, que el rato que le sobraua de hazer los exercicios que abaxo veras, lo gastaua en hilar lana de torno.”), a chiedere ad un cardatore lana da filare (“Puesta pues como picara pobre, aunque no rota, fuy vna o dos vezes a pedir lana para hilar, en compañia de la vieja mi huespeda, y trayamosla de casa de vn cardador, que viuia junto a San Andres.”), che poi faceva filare alle vicine (“Yo traya la lana, y encargaua a las vezinas que la hilassen delgada, ygual, lasa, y a prouecho.” Questa era l’attività – attività di intermediaria – di Justina, non di serva della “vieja morisca” ! Cfr. Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO TERCERO DE LA PICARA PLEYTISTA. Capitulo segundo, de la Marquesa de las Motas », p. 200, pp. 201-202, p. 204. 19   Benedetto Croce : Storia dell’età barocca in Italia. Pensiero. Poesia e letteratura. Vita morale. Bari : Laterza 1967 (1.ª ed. 1929), p. 25, p. 33, p. 34, p. 37, pp. 38-39.  

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le interpretazioni della pícara justina

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ca” 20 che fu certamente resa possibile, se non addirittura direttamente occasionata, dalla scoperta del lavoro di José Martí y Monsó su Los Calderones y el Monasterio de Nuestra Señora de Portaceli (1908-1911), 21 che Julio Puyol y Alonso e gli altri studiosi della Pícara Justina avevano ignorato. Sia pur non sistematicamente, l’illustre studioso tentò di individuare i tratti essenziali della identità morale e professionale di Francisco López de Úbeda – considerato da lui, come già ricordato, l’autore del romanzo –, di determinare il contesto storico e letterario nel quale la Pícara Justina deve essere inserita e di scoprire quale sia stata la funzione ‘estetica’, ‘politica’ e ‘ideologica’ dell’opera, che egli ritiene nata come “réponse burlesque” 22 al Guzmán de Alfarache (opinione, che con qualche variazione, sarà universalmente condivisa dalla critica 23) e definisce “une insolente burla cortesana, se rattachant à la tradition des bouffons de cour”, 24 un “divertissement offert aux courtisans de 1605”. 25 Data l’estrema scarsità di dati certi, Marcel Bataillon si è però affidato troppo frequentemente alla sua intuizione e alla sua ‘immaginazione’ 26 e ha operato, talvolta, con una serie di fragili ipotesi concatenate. Uno degli elementi fondamentali della interpretazione di Marcel Bataillon è l’ipotesi – considerata dal grande studioso una certezza – che la Pícara Justina costituisca “una crónica burlesca” del viaggio che Filippo III aveva intrapreso nel gennaio-febbraio del 1602 per andare a prendere possesso di un canonicato della Cattedrale della città di León. Al seguito di Don Rodrigo o di qualche altro signore, Francisco López de Úbeda avrebbe partecipato a questo viaggio e ne sarebbe diventato il “cronista burlesco”. 27  















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  M. Bataillon : Los asturianos de La Pícara Justina (1964), p. 127.   José Martí y Monsó : Los Calderones y el Monasterio de Nuestra Señora de Portaceli. In : Boletín de la Sociedad Castellana de Excursiones, Valladolid, Año VI (1908), « Proemio » : pp. 449-450 ; « Parte primera. Noticias de Don Rodrigo Calderón y de su familia » : pp. 472-485, 503-516 ; Año VII (1909), pp. 1-13, 71-76, 86-97, 101-105 ; « Parte segunda. El Monasterio de Nuestra Señora de Portaceli » : pp. 164-168, 179-184, 207-210, 271-283 ; Año VIII (1910), « Documentos » : pp. 293-299, 322-333, 352-359, 379-388, 400-405, 431-434, 454-459, 486-488, 491-496, 528-536, 554-560, 565-576 ; Año IX (1911), pp. 41-48, 82-89 ; « Relación alfabética de las personas que se han mencionado en los DOCUMENTOS » : pp. 260-265, p. 315, pp. 334-336, 357-358, 433-436, 546-547. 22   Marcel Bataillon : Les nouveaux chrétiens dans l’essor du roman picaresque. In : Neophilologus 48 (1964), 283-298 ; qui p. 294. Nella traduzione spagnola del saggio : “burlesca réplica”. Cfr. Marcel Bataillon : Los cristianos nuevos en el auge de la « novela picaresca » (1964). In : M. B. : Pícaros y picaresca. La Pícara Justina, pp. 177-199 ; qui p. 196. 23   Come una “réplica paródica” definisce Antonio Rey Hazas la Pícara Justina ; come “a baroque and burlesque parody of the picaresque novel”, oppure come una „travesty“ del Guzmán de Alfarache, la definiscono Walter L. Reed e Peter N. Dunn, mentre per Alexander A. Parker essa è “an implicit satire on the aims and structure of Guzmán de Alfarache”. Cfr. Antonio Rey Hazas : « Introducción » a : la pícara justina. 1, p. 26. – Walter L. Reed : An Exemplary History of the Novel. The Quixotic versus the Picaresque. Chicago & London : The University of Chicago Press 1981, p. 99) – Peter N. Dunn : The Spanish Picaresque Novel (= Twayne’s World Authors Series. Spain, 557). Boston : Twayne Publishers 1979, p. 117. – Alexander A. Parker : Literature and the Delinquent. The Picaresque Novel in Spain and Europe, 1599-1753. Edinburgh : The University Press 1977 (1ª. ed. 1967), p. 50. Cfr. inoltre B. Damiani : Francisco López de Úbeda, pp. 51-60. – José Miguel Oltra Tomás : La parodia como referente en La Pícara Justina. – Ysla Campbell : López de Úbeda y la teoría picaresca. In : Actas del X Congreso de la Asociación Internacional de Hispanistas. Tomo I. Barcelona : PPU 1992, pp. 381-388. – Katharina Niemeyer : « ¿Quién creerá que no he de decir más mentiras que letras ? » El Libro de entretenimiento de la pícara Justina, de Francisco López de Úbeda (Medina del Campo, 1605). In : Klaus Meyer-Minnemann (Eds.) : La novela picaresca. Concepto genérico y evolución del género (siglos XVI y XVII). Madrid : Iberoamericana 2008 (= Biblioteca Áurea Hispánica, 54), pp. 193-221. 24   Marcel Bataillon : “La picaresca”. À propos de La pícara Justina. In : Wort und Text. Festschrift für Fritz Schalk. Frankfurt am Main : Vittorio Klostermann 1963, pp. 233-250 ; qui p. 244. 25   M. Bataillon : Les nouveaux chrétiens dans l’essor du roman picaresque, p. 290. 26   Cfr. M. Bataillon : Urganda entre Don Quijote y La Pícara Justina, pp. 77-78. 27   M. Bataillon : Redescubrimiento de una obra literaria (1958-1960), p. 32. – M. Bataillon : Una visión burlesca de los monumentos de León en 1602, pp. 104-105, pp. 112-113.  

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capitolo ii

Prima di procedere nella esposizione della interpretazione del romanzo sviluppata da Marcel Bataillon, non è quindi inopportuno ricordare qui quel poco che sappiamo del viaggio di Filippo III a León. Nelle sue Relaciones Luis Cabrera de Córdoba, costantemente informato sul viaggio del Re da qualche persona del seguito, riferisce quanto segue :  

De Valladolid á 9 de Febrero 1602. Sus Magestades partieron para Leon á los 18 del pasado [Enero], deteniéndose cinco dias en Ampudia, 28 que es del duque de Lerma, y en llegar allá hasta la víspera de Nuestra Señora que se hizo la entrada de la Reina en silla, y S. M. á caballo á su lado, yendo los dos debajo del palio. El dia siguiente amanesció la Reina con calentura de achaque del preñado, que dicen está en dos meses, y asi fue solo S. M. á la iglesia mayor ; al cual estaban esperando el Obispo y cabildo á la puerta, donde juró de guardar los estatutos, y de alli fue al coro á asentarse en su silla, tomando la posesión de canónigo, que es la preeminencia antigua que tienen los Reyes de Leon. 29 Despues se pasó á sus cortinas, cabe el altar mayor, y el cabildo le llevó la vela para andar en la procesion ; la cual acabada se quedó en la capilla del coro, y el marqués de Astorga en otra, que también es canónigo por descender de la casa que ganó de los moros el tributo de las cien doncellas que les daban por parias los cristianos de aquel reino antiguamente ; y un canónigo, acompañado de los demas, llevó á S. M. en una salvilla las destribuciones de aquel dia, que eran 10 reales ; los cuales mandó dar á su limosnero mayor, y al marqués de Astorga le dieron otros tantos, el cual los echó en su bolsa. Aquella tarde salió S. M. á visitar algunos monasterios, y entre otros el de San Isidro, donde estan enterrados los Reyes de Leon, y á San Marco, convento de la órden de Santiago muy principal ; aunque por algunas razones los años pasados se mudó la residencia del prior y fraires á Mérida, y en el último capítulo se ha tratado de volverlos alli. 30 Tambien vió lo que mas era digno de verse en la ciudad.  















28   Al breve soggiorno del Re e della Regina ad Ampudia e al viaggio a León accenna Jehan Lhermite nelle sue memorie. Il gentiluomo fiammingo rimase due giorni ad Ampudia, ma non accompagnò i Sovrani a León. Cfr. El Pasatiempos de Jehan Lhermite. Memorias de un Gentilhombre Flamenco en la corte de Felipe II y Felipe III. Estudio : Jesús Sáenz de Miera. Traducción : José Luis Checa Cremades. Aranjuez (Madrid) : Ediciones Doce Calles 2005, pp. 593-595. 29   Sull’antico diritto dei Re leonesi e dei loro successori e dei Marchesi di Astorga ad un canonicato della Cattedrale di León, cfr. Historia de las grandezas de la mvy antigua y insigne ciudad, y Iglesia de Leon. Recopilada por Fray Athanasio de Lobera, Monge de sant Bernardo, de la obseruancia de España. Dirigida a don Iuan Alonso de Moscoso, Obispo de Leon, y al Dean y Cabildo de la sancta Iglesia. En la Ciudad de Valladolid, por Diego Fernandez de Cordoua, Impressor del Rey nuestro señor. Con Preuilegio. 1596 (Edición facsímil. León : Ediciones Lancia 1987), fo. 212r-215r, fo. 262r-263r. La Historia di Fr. Athanasio de Lobera contiene anche un’ampia descrizione della “ceremonia de las donzellas cantaderas” (fo. 215r-224r), che – come ha dimostrato in maniera convincente Antonio Rey Hazas (la pícara justina. 2, p. 400, nota nro. 59, pp. 402-406, note nro. 64-66, 69-70, 72) – l’autore della Pícara Justina “sigue directamente” nella sua descrizione burlesca della festa, celebrata a León il 14 e il 15 agosto di ogni anno. Sulla Historia di Fr. Athanasio de Lobera come fonte delle pagine della Pícara Justina dedicate alla festa delle cantaderas, aveva richiamato l’attenzione Julio Puyol y Alonso (« Notas », pp. 293299). Marcel Bataillon (Pícaros y picaresca, p. 106) aveva accennato alla Historia de las grandezas de León come possibile fonte delle pagine della Pícara Justina sulla festa agostana delle cantaderas, alla quale Francisco López de Úbeda non poteva aver assistito perché la Corte aveva soggiornato a León solo alcuni giorni dell’inverno del 1602. Nell’opera di Fr. Lobera si trova anche questo riferimento ad un canonico di nome Andrés Pérez : “Yo auia escrito al doctor Andres Perez canonigo de la magistral de aquella sancta Iglesia, persona tan graue, y docta, como lo saben los que lo son en España, pidiendole, me embiasse relacion de las fiestas, y ceremonias, con que aquella sancta Iglesia, y ciudad solenniza este diuino triumpho. Lo qual el hizo con tanta correspondencia al delicado ingenio, de que lo doto el cielo, y al desseo, que tiene de la honra, y authoridad de su yglesia, que pudiera yo escusar todo lo mas, que no era trasladarlo. Mas por auerme yo despues hallado presente, y como testigo de vista poder dar fee, me a aparecido referir al modo de mi aldea, solamente lo que yo vi, y por que orden, el año de mil, y quinientos, y nouenta y cinco” (fo. 215v). Questo canonico non è però lo stesso Andrés Pérez al quale è stata attribuita la Pícara Justina (cfr. Julio Puyol y Alonso : « Estudio crítico de la Pícara Justina », pp. 89-93). 30   Sul trasferimento della residenza del Priore e dei frati dell’Ordine di Santiago a Mérida e sul loro ritorno a  



















le interpretazioni della pícara justina

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Al otro dia que era domingo, hubo una máscara y torneo de caballeros de la ciudad, de poca costa, porque estan muy pobres y necesitados, y se salieron muchos á las aldeas por no esperar á S. M. y no poder regalar á los cortesanos ; y asi hubo muy poca gente en la ciudad, de parte de la cual se vino á advertir de ello á S. M. aquí antes que partiese, declárandole su pobreza y que no lo podian recebir con la demostracion que debian ; lo cual ha esprimentado, y muy grande frio y falta de mantenimientos ; y así salieron al otro dia lunes, camino de Zamora, donde dicen entrarán esta tarde y saldrán al lunes adelante para Toro, y el domingo de Carnestolendas estarán en Tordesillas, y el dia de Ceniza se hallarán aquí, si otra cosa no dispusieren entretanto : van buenos sus Magestades, á Dios gracias. De Valladolid 23 de Febrero 1602. De Leon fueron sus Magestades á Zamora donde entraron lunes á las 11 de este, la Reina en silla y S. M. á caballo á su lado, ambos debajo del palio con la autoridad y acompañamiento acostumbrado ; y se apearon en las casas del conde de Alba [Diego Enríquez de Guzmán, V Conde de Alba de Liste], que son muy buenas y las tenian muy bien aderezadas, y estuvieron muy bien aposentados en ellas. El dia siguiente S. M. dió el tuson al dicho conde de Alba, con lo cual se comenzó á confirmar lo que se habia dicho, que dejaba el cargo de mayordomo mayor de la Reina por su mucha edad y poca salud [...]. [...] Detuviéronse sus Magestades en Zamora hasta el viernes, y en estos dias se les corrieron toros y hubo juego de cañas y torneo, y salieron á visitar los cuerpos de San Ilefonso, arzobispo de Toledo, que está en aquella iglesia, y de San Atilano obispo de ella, y los mozos de coro les representaron una comedia, que dicen fue de mucho gusto. El viernes se partió el Rey á caza á Caravajales, donde ha estado otras dos veces, seis leguas de allí, quedando la Reina en la cama indispuesta, con órden de salir el domingo para Toro, y que S. M. la alcanzaria en el camino, que son cinco leguas de la una á la otra ciudad ; y en este tiempo llegó el desengaño del preñado, de manera que se conoció no estarlo porque le vino su costumbre. El lunes 18 fue la entrada de sus Magestades en Toro, con la solemnidad que se habia hecho en Zamora, donde se les corrieron toros y hubo juego de cañas y torneo, y partieron de allí el jueves y llegaron á Tordesillas que son seis leguas, y descansaron ayer. Esta tarde entraron en esta ciudad (Valladolid) [...]. 31  













Altre poche notizie sulla visita di Filippo III a León – visita che il Re aveva annunciato alla città con una lettera del 17 agosto 1600 32 – le fornisce, traendole da una relazione contemporanea scritta dal canonico leonese Don Pedro de Quevedo, Fray Manuel  

León, cfr. Henar Pizarro Llorente : El Consejo de Órdenes. In : La Monarquía de Felipe III : La Corte (volumen III). Directores : José Martínez Millán, Maria Antonietta Visceglia. Madrid : Fundación MAPFRE - Instituto de Cultura 2008, pp. 300-372 ; qui pp. 358-365 (« Restitución del Convento de San Marco a León »). La decisione di ritornare a León, alla quale si riferisce Luis Cabrera de Córdoba, fu presa dal Capitolo Generale dell’Ordine di Santiago l’8 novembre 1600. Il ritorno a León si realizzò il 30 dicembre 1602. 31   Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, pp. 129-130, pp. 134-135. 32   “El Rey : Concejo, Justicia, Regidores, Caballeros, Escuderos, Oficiales, é hombres buenos de la muy noble ciudad de Leon : Esa mi ciudad, y sus naturales entre todos mis vasallos siempre se han aventajado tanto en servir á los señores Reyes mis progenitores de gloriosa memoria, que han merescido muy particulares favores, y mercedes, y estimando yo quanto vuestra gran fidelidad, y amor meresce, he acordado de hacerosla en visitar esa mi ciudad juntamente con la Reyna mi muy cara, y amada muger, de que he querido avisaros, por el gran contentamiento, que sé que general, y particularmente habeis de rescibir, y espero os mostrareis tan agradecidos, como se debe á la que os hago, y en lo demás me remito á lo que el Conde de Miranda os ha escrito. De Valladolid á 17. de Agosto de 1600. = Yo el Rey. = Don Pedro Franqueso.” In : HISTORIA | DE LA CIUDAD Y CORTE | DE LEON, | Y DE SUS REYES. | SU AUTOR | EL P. Mtro. Fr. MANUEL RISCO, | del Orden de San Agustin. | [Piccolo ornamento] | MADRID : | EN LA OFICINA DE DON BLAS ROMAN, | IMPRESOR DE LA SECRETERÍA DE LA REAL JUNTA GENERAL | DE COMERCIO Y MONEDA. | AÑO M.DCC.XCII. (Wien, Österreichische Nationalbibliothek : *38 G 4), p. 127.  



























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capitolo ii

Risco nella Historia de la Ciudad y Corte de León y de sus Reyes (1792) e nella Iglesia de León, y Monasterios antiguos y modernos de la misma Ciudad (1792) :  

Salió [...] Don Felipe III. de Valladolid para Leon acompañado de la Reyna, del Duque de Lerma, del Marques de Velada, y otros señores. Llegó á Trianos, y se hospedó en el Convento de santo Domingo. Hallábanse entonces los Prebendados de esta Iglesia [Catedral de León] excomulgados por el Nuncio, porque no querian admitir por coadjutor á cierta persona. Por esta causa el Obispo Don Juan Alonso de Moscoso se partió á Trianos para suplicar al Rey, escribiese al Nuncio por la absolucion. Jueves último dia de Enero llegaron el Rey, y la Reyna á Leon, y se apearon en el Convento de san Francisco con ánimo de entrar en la ciudad el dia siguiente, si venia á tiempo la absolucion. Esta se recibió efectivamente, y así pudieron el Obispo, y Prebendados recibir al Rey con la solemnidad, que correspondia, en el dia primero de Febrero. 33 En el año de 1602. Felipe III. salió de Valladolid acompañado de la Reyna, del Duque de Lerma, del Marques de Velada, y otros señores, y llegó á Leon en el dia primero de Febrero. El dia segundo, en que se celebra la Purificacion de nuestra Señora, fue muy festivo, y glorioso para esta santa Iglesia, pues en él tomó el Rey posesion de su Canonicato, y recibió la distribucion que le tocaba por su asistencia al Coro, y fue de 10. reales y 20. maravedís. De todo este suceso se halla en el Archivo una relacion hermosamente escrita, y autorizada por el Licenciado Don Pedro de Quevedo, Canónigo de Leon, firmada en 8. de Marzo de dicho año de 1602. En el mismo dia que Felipe III. tomó posesion tambien de su Canonicato el Marques de Astorga, cuya casa ha tenido siempre por una de las prerogativas, que mas ennoblecen, la de ser sus herederos Canónigos de Leon. [...] El Convento de san Francisco tiene en favor de su antigüedad las mismas pruebas que el de santo Domingo, á que se añade, que en el año de 1258. se reputaba ya por cabeza de la Custodia del reyno de Leon. [...] En el año de 1469. padeció este Convento un incendio tan funesto, que le reduxo casi enteramente á cenizas. Su reedificacion se atribuye al Rey Don Enrique IV. En el [año] de 1600. [1602 !], se hospedó en él Felipe III. que fue á Leon desde Valladolid acompañado de la Reyna, como escribí en la historia de la ciudad. Su fábrica es bastante buena, y ha quedado mas asegurada en estos años, en que con las nuevas obras que se han hecho junto á ella se han quitado los pantanos, y humedades, que la perjudicaban, y hacian enfermas, é ingratas las habitaciones de los Religiosos. La Iglesia, que era antes de dos naves, acaba de hacerse nueva [...]. 34  





Queste scarne notizie nulla contengono che possa costituire un sia pur vago indizio della partecipazione di Don Rodrigo Calderón – e tantomeno di Francisco López de Úbeda – al viaggio compiuto da Filippo III da Valladolid a León. 35 Il Re, normalmente, si faceva accompagnare nei suoi frequentissimi viaggi, per motivi logistici ed economici, solo da un piccolo seguito. 36 Il suo soggiorno a León – arrivo in città : venerdí 1°  



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  Fr. Manuel Risco : Historia de la Ciudad y Corte de León, pp. 127-128.   IGLESIA | DE LEON, | Y MONASTERIOS | ANTIGUOS Y MODERNOS | DE LA MISMA CIUDAD. | POR | EL P. Mtro. Fr. MANUEL RISCO, | de la Orden de San Agustin. | [Piccolo ornamento] | MADRID : | EN LA OFICINA DE DON BLAS ROMAN. | AÑO M.DCC.XCII. (Wien, Österreichische Nationalbibliothek : *38 G 4), p. 41, pp. 180-181. 35   L’unica persona – oltre al Duca di Lerma e al Marchese di Velada, menzionati da Manuel Risco – della quale sappiamo che faceva parte del seguito, è Diego de Guzmán, che accompagnò i Sovrani in qualità di cappellano. Cfr. La Monarquía de Felipe III : La Casa del Rey. Volumen II. Directores : José Martínez Millán, Maria Antonietta Visceglia. Madrid : Fundación MAPFRE - Instituto de Cultura 2008, p. 311. 36   Il 22 giugno 1605 Thomé Pinheiro da Veiga annota nel suo diario : “Partio-se el Rey [para Burgos aos 21, tersa feira] na forma ordinaria, sem aparato nenhum nem levar comsigo mais que os meninos ou fidalgos que o acompanham á Corte e Damas que sempre nestes caminhos acham mais aventuras ; e mais que ás Damas não lhe dão mais que meya carga para o seu fato, e, se querem levar criadas ou criados, he necessario que acudam os tributarios [...]. Foy El-Rey por Ventozilha, que he do Duque, e dali a Lerma, que o Duque [...] quer fazer segunda Roma”. Cfr. Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia. Reprodução em fac-símile da edição de 1911 da Biblioteca Pública Municipal do Porto. Prefácio de Maria de Lurdes Belchior. Madrid : Imprensa Nacional Casa da Moeda 1988, p. 166, p. 168. 34





















le interpretazioni della pícara justina

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febbraio, alla vigilia della festa della Candelòra (2 febbraio) ; partenza : lunedí 4 febbraio – fu comunque cosí breve – per le ragioni esplicitamente accennate da Luis Cabrera de Córdoba nelle sue Relaciones (freddo, povertà della nobiltà leonese, scarsezza di viveri) e per quelle desumibili da quanto scrive Fray Manuel Risco nella sua Iglesia de León, y Monasterios (il Real Convento de San Francisco Extramuros, 37 nel quale furono ospitati i Sovrani e il loro seguito, era allora un edificio piuttosto modesto, umido e malsano) – da non permettere a nessuno di acquisire una conoscenza tanto profonda e dettagliata della topografia della città come quella che, con tutta evidenza, possedeva l’autore della Pícara Justina.  





a) Francisco López de Úbeda, un convertito di origine ebraica Un ruolo importante nel lavoro ermeneutico di Marcel Bataillon, che certamente è stato notevolmente influenzato dalle idee di Américo Castro, 38 l’ha indubbiamente svolto  

37   L’alloggiamento dei Sovrani e del loro seguito in questo Convento è documentato anche da un “Certificado del 12 de dicembre de 1777, firmado por el Notario Mayor de las Iglesias de León y su Obispado”, pubblicato dal Rev. Padre Marcos de Escobeda dell’Ordine dei Cappuccini negli Anales de León dell’ottobre del 1920 (pp. 804-814) e ricordato da María Gema Bartolomé Mateos : El licenciado López de Úbeda : el enigma de su personalidad y la autoría de La Pícara Justina. In : Anales Toledanos 35 (1998), 127-138 ; qui p. 138. 38   José Antonio Maravall afferma che i lavori raccolti in Pícaros y picaresca sono stati scritti “bajo la deformante influencia del américo-castrismo”. Cfr. José Antonio Maravall : La literatura picaresca desde la historia social (Siglos XVI y XVII). Madrid : Taurus 1987, p. 536. Israël Salvator Révah, nella sua dura polemica contro le “fracassantes théories”, le “fumeuses théories” di Américo Castro, sostiene che Marcel Bataillon si differenzia dall’autore di España en su historia e “se tient constamment sur le terraine solide des textes et des documents”. Il che è certamente vero per Erasme et l’Espagne, scritto del resto prima che Américo Castro elaborasse le sue nuove ‘teorie’ sulle tre ‘caste’ e sulla storia e la cultura spagnola. Per quanto riguarda invece i lavori sulla picaresca usciti negli anni 1959-1964, lo stesso Marcel Bataillon ammette la coincidenza delle sue osservazioni sulla importanza dei conversos per la formazione e lo sviluppo della picaresca con i punti di vista del suo “vieil ami Américo Castro” (“La picaresca”. À propos de La pícara Justina, p. 250, nota nro. 41). È vero poi, come nota I. S. Révah e come ricorderemo noi più avanti, che M. Bataillon si distanzia dalle dubbiose e problematiche ‘ricerche’ biografiche del “suo vecchio amico”, ma è anche vero che ancora nel 1973, nel saggio Relaciones literarias, richiamandosi ad Américo Castro (Cervantes y los casticismos españoles. Madrid-Barcelona : Alfaguara 1966, p. 44) e parlando di Mateo Alemán e di Miguel de Cervantes, scrive : “Los dos escritores pertenecen a la clase social de los conversos”. Orbene, l’ascrizione di Cervantes alla “classe sociale dei convertiti” rientra in quelle peculiari ‘ricerche biografiche’ di A. Castro fondate sui ‘presentimenti’ e non sui documenti, dalle quali M. Bataillon si era distanziato nel 1964. Si deve inoltre tener presente che Marcel Bataillon aveva ‘scoperto’ già in Erasme et l’Espagne (1937) il fondamentale ruolo culturale dei conversos e formulato la tesi della loro importanza decisiva per la ricezione e diffusione dell’erasmismo (Américo Castro questa tesi, ancora nel 1940, l’aveva confutata !). Cfr. Collège de France. Chaire de Langues et Littératures de la Péninsule Ibérique et de l’Amérique Latine. Leçon Inaugurale, faite le Jeudi 8 Décembre 1966 par M. I. S. Révah. [Nogent-le-Rotrou,] 1967 [= Collège de France. Collection des Leçons inaugurales, n° 46], p. 15. – Israël Salvator Révah : Réplica al señor Américo Castro. In : Les Langues Neo-Latines, 183-184 (1968), 1-7. – I. S. Révah : Gil González de Ávila et les Statuts de pureté de sang. In : Studia Hispanica in honorem R. Lapesa. II. Madrid : Gredos 1974, pp. 493518 ; qui p. 497. – Marcel Bataillon : Relaciones literarias. In : Suma cervantina. Editada por J. B. Avalle-Arce y E. C. Riley. London : Tamesis 1973, pp. 215-232 ; qui p. 227. – Américo Castro : Lo hispánico y el erasmismo. In : Revista de Filología hispánica 2 (1940), 1-34 ; 4 (1942), 1-66 ; qui, in particolare, 2 (1940), pp. 4-5. Recentemente l’ascrizione di Cervantes alla “classe sociale dei convertiti” è stata riproposta da Francisco Márquez Villanueva. Lo studioso, che afferma che il “linaje semítico” di Cervante fu “tan visible como aun a siglos de distancias hoy se nos perfila”, fonda, sostanzialmente, la sua prova su questi ‘indizi’ : a) Cervantes era discendente di un “no muy presentable abuelo, el licenciado Juan de Cervantes, hijo a su vez del trapero cordobés Ruy Díaz de Cervantes – un colega pues de Antón de Montoro –.” ; b) “la dedicación de Cervantes a tareas administrativas y hacendísticas en la etapa de sus casi tres lustros sevillanos a partir de 1587, que es lo mismo que mencionar el espacio más tradicional para los judeoconversos en la sociedad de la época” ; c) “las mujeres de la inmediata familia de Miguel de Cervantes se dedican todas a la prostitución”, perché non avevano – come le donne di “sangre conocidamente maculada” – alcuna chance di trovare marito. Se dalle attività o dalle professioni si potesse automaticamente stabilire l’appartenenza etnica, si potrebbe allora sostenere che Cervantes, avendo intrapreso la carriera delle armi, specifica degli spagnoli, era sicuramente cristiano-viejo ! Vi erano però anche  





















































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la sua convinzione – accolta, pur non essendo stata sostenuta da alcuna prova documentale, come una verità irrefutabile da quasi tutti gli studiosi 39 – che Francisco López de Úbeda fosse un convertito di origine ebraica. Negli anni 1958-1960, all’inizio delle sue ricerche sulla Pícara Justina, Marcel Bataillon aveva oscillato fra una ipotesi di probabilità (“López de Úbeda [...] cuya « impureza » de sangre es muy probable...”. – “El licenciado Francisco López de Úbeda, que muy probablemente era de familia « conversa », como Villalobos...”) e l’asserzione decisa, categorica : “La ironía de López de Ubeda (toledano originario de la Andalucía, donde imperaba también la mezcla de sangres), dirigida contra leoneses, montañeses y asturianos es la de un hombre que se ríe de su propia impureza en las mismas barbas de una minoría seudo selecta que reivindica el monopolio de la pureza para monopolizar honores y prebendas”. 40 (Nel 1961 l’origine andalusa non è piú certa, ma soltanto probabile : “Francisco  















tanti soldati discendenti da famiglie conversas, mentre in una attività come quella dell’appalto e della esazione di tasse, ritenuta erroneamente monopolio esclusivo di ebrei e di conversos, gli appaltatori ed esattori di imposte (almojarifes, recabdadores, arrendadores) di origine ebraica controllavano, in realtà, solo circa la metà degli appalti e delle esazioni (cfr. Angus MacKay : Popular Movements and Pogroms in Fifteenth-Century Castile. In : Past and Present 55, February 1972, pp. 33-67 : qui p. 42). Quanto ai traperos o roperos, vi era anche “entre ellos gente muy honrada, y de muy buena sangre”, come scrive Gaspar Lucas Hidalgo nei suoi Diálogos de apacible entretenimiento (Barcelona : Sebastián de Cormellas 1605, fo. 29r). Affermare, infine, che le donne di origine ebraica non avevano possibilità di sposarsi ed erano quindi condannate a condurre una vita ‘libera’, significa ignorare del tutto quell’intenso processo di fusione biologica e di “mescolanza” che proprio Francisco Márquez Villanueva aveva acutamente analizzato nel suo fondamentale saggio su Conversos y cargos concejiles en el siglo XV (1957) e che noi diffusamente illustreremo in uno dei capitoli di questo lavoro. Cfr. Francisco Márquez Villanueva : La cuestión del judaísmo de Cervantes. In : F. M. V. : Cervantes en letra viva. Estudios sobre la vida y la obra. Barcelona : Reverso Ediciones 2005, pp. 151-168, 330-345 ; qui p. 152, p. 158, pp. 159-164. Sulla inconsistenza della ipotesi della ascendenza ebraica di Cervantes cfr. Jaime de Salazar Acha : La limpieza de sangre. In : Revista de la Inquisición, Madrid, 1 (1991), 289-308 ; qui p. 298. Lo studioso nota che se Cervantes “se burló de los cristianos viejos, mucho más cruel fue con los judíos en sus bromas y desprecios”, e afferma che le teorie di Américo Castro “están ciertamente superadas”. Anche Jean Canavaggio afferma che sinora non è mai stata dimostrata la supposta raza di Cervantes. Cfr. Jean Canavaggio : Hacia la nueva biografía de Miguel de Cervantes. In : J. C. : Cervantes, entre vida y creación (= Biblioteca de Estudios Cervantinos, 7). Alcalá de Henares : Centro de Estudios Cervantinos 2000, pp. 17-31 ; qui p. 27. 39   Ulrich Stadler scrive : “Úbeda selbst zählte zu den Neuchristen”. Cfr. Ulrich Stadler : Parodistisches in der Justina Dietzin Picara. Über die Entstehungsbedingungen und zur Wirkungsgeschichte von Úbedas Schelmenroman in Deutschland. In : Arcadia 7 (1972), 158-170 ; qui p. 168. Anche Philippe Berger non ha dubbi : “Mateo Alemán et López de Úbeda sont deux conversos...” (Philippe Berger : À propos de la genèse du Buscón. In : Études d’histoire et de littérature ibéro-américaines. Paris : Presses Universitaires de France 1973, p. 8 n.). Un poco piú prudente è Bruno Damiani (Francisco López de Úbeda, p. 18) : “The Author was probably of Andalusian ancestry and, very likely, of converso background”. Come se fosse un dato di fatto documentato, Alán Francis (Picaresca, decadencia, historia. Aproximación a una realidad histórico-literaria. Madrid : Gredos 1978, p. 72 n.) definisce López de Úbeda come “autor converso”. Con eguale sicurezza parla Antonio Rey Hazas del “cristiano nuevo López de Úbeda” (Antonio Rey Hazas : Parodia de la retórica y visión crítica del mundo en « La Pícara Justina ». In : Edad de Oro 3, 1984, pp. 201-225 ; qui p. 219. Il saggio è stato riprodotto in : A. Rey Hazas : Deslindes de la novela picaresca, pp. 253-281) e di “conversos de clase media, como Mateo Alemán [...], como Francisco López de Úbeda, médico chocarrero al servicio de Rodrigo Calderón, próximo, pues, a los grandes y aceptado, en cierta medida” (Antonio Rey Hazas : Poética comprometida de la « novela picaresca ». In : Nuevo Hispanismo 1, 1982, pp. 55-76 ; qui p. 57). Peter N. Dunn, in un primo tempo, considera la discendenza ebraica come semplice probabilità (“The author may have been a converso...”), ma subito dopo la dà per acquisita. Infatti, parlando della critica dei pregiudizi effettuata da Francisco Lòpez de Úbeda, scrive : “All of this indicates that the ‘converso mind’ is not as monochrome as it is often represented” (Dunn Peter N. Dunn : The Spanish Picaresque Novel, p. 118). Per Francisco Márquez Villanueva (La identidad de Perlícaro. In : Homenaje a José Manuel Blecua. Ofrecido por sus Discípulos, Colegas y Amigos. Madrid : Grados 1983, pp. 423-432 ; qui p. 431) è un fatto attestato e incontrovertibile, sul quale neppure è necessario soffermarsi, che Francisco López de Úbeda sia converso. Jürgen Jacobs scrive che Francisco López de Úbeda è uno di quegli importanti autori di romanzi picareschi che “nachweislich aus neuchristlichen Familien stammen” ( Jürgen Jacobs : Der deutsche Schelmenroman. München und Zürich : Artemis 1983, p. 33). Dove sono questi Nachweise ? 40   M. Bataillon : Redescubrimiento de una obra literaria (1958-1960). In : M. B. : Pícaros y picaresca. p. 30, p. 38  



































































































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López de Úbeda, probablemente de ascendencia andaluza...”. 41) Già a partire dal 1962 Marcel Bataillon non ha però piú dubbi sulla origine di Francisco López de Úbeda e nel saggio dedicato alla morería, descritta nel terzo libro dell’opera, scrive : “[...] La Pícara Justina, libro cuyo autor, procedente sin duda, de « cristianos nuevos », era particularmente sensible a todos los problemas heredados de la España de las tres religiones”. 42 (Strana sensibilità, però, questa di Francisco López de Úbeda, che – se l’autore del romanzo è lui e non, come è pur ben probabile, Fray Baltasar Navarrete – proprio in questo « Libro Tercero » deride attraverso la rappresentazione della vecchia strega i moriscos, una minoranza etnica e religiosa perseguitata e discriminata ancor piú di quella formata dai convertiti di origine ebraica, e li denuncia come – in gran parte – finti cristiani e ostinati musulmani !43 Anche la costante rappresentazione negativa degli ebrei e dei loro discendenti è difficilmente armonizzabile con questa asserita sensibilità.) Per il grande ispanista l’appartenenza di uno scrittore “a la clase social de los conversos” 44 diventa la chiave fondamentale di interpretazione della sua opera. Lo dichiara lui stesso in un saggio del 1963 : “Il n’est pas indifférent ... que le père de Guzmán et celui de Justina soient deux cristianos nuevos, d’ailleurs différemment situés dans cette société hantée par l’impossible pureté de sang”. 45 E in nota, dopo avere evidenziato che le sue osservazioni coincidevano con la concezione di Américo Castro sulla “place originale des hispanojudíos dans la société et dans la littérature de l’Espagne”, scriveva che era diventato impossibile occuparsi del problema dell’onore e della limpieza de sangre nella letteratura spagnola del Siglo de Oro “sans penser au drame social des conversos et à ses répercussions”. 46 Solo nel saggio Les nouveaux chrétiens dans l’essor du roman picaresque (1964), l’ultimo 47 dei saggi dedicati al genere picaresco, Marcel Bataillon si distanzia un poco da queste posizioni di Américo Castro, il quale aveva stabilito “un rapport de cause à effet entre la situation des conversos d’origine juive et la tonalité propre à la picaresca” 48 e attribuito, senza una sicura base documentale, il Lazarillo ad un convertito. Lo fa per evitare “de nous cantonner dans les recherches biographiques pour lequelles notre documentation est incertaine et que risqueraient de tomber dans une sorte de racisme  



























e p. 34. In un saggio del 1960 M. Bataillon parla degli “ascendientes de un médico cuyo apellido evoca una villa andaluza donde tantos cristianos nuevos han venido arraigando” e ricorda “la gran persecución de los « cristianos nuevos » en Úbeda en 1549” (M. Bataillon : Urganda entre Don Quijote y La Pícara Justina, p. 74 e p. 74 n.). 41   M. Bataillon : Una visión burlesca de los monumentos de León en 1602 (1961), p. 103. 42   Marcel Bataillon : ¿En qué « Rioseco » estaba la morería de La Pícara Justina ? (1962), p. 124. 43   “No niego que pueda auer y aya muchos Moriscos, buenos Christianos, mas cosa notable es, que los mas no quieran casarse con Christianos viejos, quien duda sino que dan sospecha, de que quiero callar, por no me acordar del cuento del que castigaron, y yo conoci, que antes que bautizasse vn hijo, o el hiziesse alguna aparencia de Christiano, dezia : perdonar Mahoma, que no poder mas so pena de caraña [caloña]” (Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO TERCERO DE LA PICARA PLEYTISTA. Capitulo tercero de la vieja Morisca », p. 210). 44   M. Bataillon : Relaciones literarias, p. 227. 45   M. Bataillon : “La picaresca”. À propos de La pícara Justina, pp. 249-250. Cfr. anche la traduzione spagnola e quella tedesca del saggio : Marcel Bataillon : La picaresca. A propósito de La Pícara Justina (1963). In : M. B. : Pícaros y picaresca, pp. 145-164. – Marcel Bataillon : La picaresca. Gedanken zu López de Úbedas La pícara Justina. In : Pikarische Welt. Schriften zum europäischen Schelmenroman. Herausgegeben von Helmut Heidenreich (= Wege der Forschung, Bd. CLXIII). Darmstadt : Wissenschaftliche Buchgesellschaft 1969, pp. 412-437. 46   M. Bataillon : “La picaresca”. À propos de La pícara Justina, p. 250 n. 47   Les nouveaux chrétiens dans l’essor du roman picaresque rappresentano il testo di una “conférence faite à l’Université d’Amsterdam le 25 mai 1964”, redatta sicuramente dopo il saggio su Les Asturiens de La Pícara Justina, uscito a Washington nel 1964 nei Linguistics and Literary Studies in Honor of Helmut A. Hatzfeld. 48   M. Bataillon : Les nouveaux chrétiens dans l’essor du roman picaresque, p. 284 (M. Bataillon : Los cristianos nuevos en el auge de la « novela picaresca », p. 179).  

















































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rétrospectif, animé, il est vrai, d’un esprit de réparation envers les castes autrefois persecutées”. 49 Riconosciuta, pensando a Quevedo, 50 la fragilità dell’uso dell’origine razziale degli autori come chiave ermeneutica 51 e intuito il rischio di cadere, sia pur a fin di bene, in una specie di “razzismo retrospettivo”, Marcel Bataillon concentra ora la sua ricerca sulla purezza e sulla impurezza di sangue dei personaggi delle opere picaresche. La chiave ermeneutica conversa non viene quindi assolutamente abbandonata, ma semplicemente applicata ai personaggi e non piú agli autori. La prudente ‘correzione’ di posizione non incide affatto sulla sua esegesi del romanzo picaresco. Anzi ! I conversos e il relativo problema della purezza di sangue vengono ora considerati come il fulcro, il tema centrale del romanzo picaresco dell’epoca di Filippo III. Se Marcel Bataillon avesse potuto realizzare quello studio piú completo della Pícara Justina annunciato nel 1968, 52 avrebbe ampliato, arricchito e approfondito l’interpretazione dell’opera elaborata negli anni 1959-1963, ma non “encore achevée”. Sicuramente non ne avrebbe però modificato i punti essenziali.  









b) Ritratto dell’autore Stabilita intuitivamente la ‘razza’ di Francisco López de Úbeda, lo studioso ha cercato di fissare i tratti fondamentali della identità morale e professionale dell’autore della Pícara Justina. Cosí, nelle lezioni tenute nel Corso del 1959/1960, afferma che l’ingegno di Francisco López de Úbeda, “médico doméstico de los grandes”, lo apparenta “con la tradición de los bufones palaciegos” e che il suo “sentido del humor es el mismo de don Francesillo de Zúñiga”, un “cristiano nuevo, lleno de malicia como Justina”. 53 Nel saggio Urganda entre Don Quijote y La Pícara Justina (1960) Marcel Bataillon, dopo aver citato i famosi versi del Viaje del Parnaso (“Haldeando venía y trasudando / El autor de La Pícara Justina, / Capellán lego del contrario bando...”), li interpreta in questa maniera :  



[...] la caricatura cervantina apuntaba a este médico [Francisco López de Úbeda] y [...] lo denunciaba como desempeñando en algún palacio un papel de médico para todo, papel comparable al de los capellanes estigmatizados por Covarrubias 54 por hacer a su señor, a la sombra de su hábito eclesiástico, servicios « incompatibles con la dignidad sacerdotal ». Se sabe que Lope de Vega hizo servicios celestinescos al duque de Sessa, cuyo secretario era, antes y después de su ordenación.  





49   M. Bataillon : Les nouveaux chrétiens dans l’essor du roman picaresque, p. 285 (M. Bataillon : Los cristianos nuevos en el auge de la « novela picaresca », p. 180). 50   “Le sombre Mateo Alemán était nouveau chrétien. Quevedo, qui distille après lui l’amertume picaresque, était un vieux chrétien fier de sa croix de Santiago” (M. Bataillon : Les nouveaux chrétiens dans l’essor du roman picaresque, p. 285). Paradossalmente proprio Américo Castro si era servito del caso rappresentato da Quevedo per confutare la tesi di Marcel Bataillon sull’importanza del “semitismo” nella cultura spagnola. Cfr. Américo Castro : Lo hispánico y el erasmismo. In : Revista de Filología hispánica 2 (1940), pp. 4-5. 51   Henry Kamen scriverà : “el método de emplear antecedentes raciales como medio de crítica literaria, es excesivamente frágil”. Cfr. Henry Kamen : Una crisis de conciencia en la Edad de Oro en España : Inquisición contra “Limpieza de sangre”. In : Bulletin Hispanique 88 (1986), 321-356 ; qui p. 331 n. 52   Nel « Prólogo » premesso a Pícaros y picaresca, datato “Paris, junio de 1968”, Marcel Bataillon aveva scritto a proposito della Pícara Justina : “Sin presumir de resolver todos sus enigmas, abrigo la esperanza de reanudar la exégesis de este singular libro para ofrecer de él, un día, un comentario meno incompleto” (p. 13). 53   M. Bataillon : Redescubrimiento de una obra literaria, p. 34. 54   Parlando dei “capellanes” Covarrubias, che era “Capellan de su Magestad”, aveva scritto : “La vanidad del mundo ha introducido que los señores, y aun los que no lo son, y las señoras reciban clérigos en su servicio, y los llamen sus capellanes, y quieran que los acompañen y se ocupen en ministerios incompatibles con la dignidad sacerdotal”. Cfr. Sebastián de Covarrubias Orozco : Tesoro de la lengua castellana o española. Edición de Felipe C. R. Maldonado revisada por Manuel Camarero. Segunda edición corregida (= Nueva Biblioteca de Erudición y Crítica, 7). Madrid : Castalia 1995, art. « Capilla », p. 263.  









































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El verbo « haldeando » evocaba a la vez a la Celestina, las faldas de Justina con las que el autor se había disfrazado, y sin duda la amplia capa con que los médicos realzaban su importancia doctoral. 56  







Marcel Bataillon ritiene certo che Cervantes considerasse Francisco López de Úbeda uno di quegli scrittori chocarreros “que adulaban a los grandes y llevaban una vida de parásitos y bufones profesionales” e giudicasse “graznidos, en lo físico y en lo moral, los laboriosos ejercicios versificados que condensan las aventuras de Justina”. 57 Fonda questa sua opinione sia sul verso del Viaje del Parnaso nel quale si dice che la fazione dei poeti nella quale milita l’autore della Pícara Justina “trae un cuervo en su estandarte”, 58 sia sull’articolo « Cuervo » del Tesoro de la lengua española. In questo articolo Sebastián de Covarrubias Orozco ricorda che gli egiziani paragonarono, nei loro geroglifici, “los aduladores a los cuervos”, osserva che è cosa vergognosa “que ya no se favorezca la virtud, ni las letras y sólo medren con los príncipes los chocarreros y hombres de placer”, e qualifica “los poetas que hoy día se usan en la Corte, especialmente los que hacen sus poesías y ellos mesmos se las cantan”, come “hombres sin letras, sin entendimiento, puros romancistas, copleadores de repente y trovadores de pensado y en todo tiempo ignorantes”. 59 I versi del Viaje del Parnaso non giustificano le deduzioni di Marcel Bataillon. Perché il verbo “haldeando” dovrebbe evocare anche Celestina, e non esclusivamente l’ampia cappa dei medici (o dei religiosi) ? In quanto al corvo, si potrebbe osservare che avendo i buoni poeti nel loro stendardo il cigno come insegna, altra insegna non potevano avere i cattivi poeti se non il corvo. Per quel che riguarda poi gli adulatori, non vi è scrittore dell’epoca – Cervantes compreso 60 – che non aduli, nelle dediche premesse alle sue opere (e nelle lettere private 61), qualche illustre aristocratico o qualche influente perso 















55   M. Bataillon si riferisce a quanto dice Lucrecia vedendo arrivare Celestina : “¿Quién es esta vieja que viene haldeando ?” Cfr. Fernando de Rojas (y « Antiguo Autor ») : La Celestina. Tragicomedia de Calisto y Melibea. Edición y estudio de Francisco J. Lobera y Guillermo Serés, Paloma Díaz-Mas, Carlos Mota e Íñigo Ruiz Arzálluz, y Francisco Rico (= Biblioteca Clásica, 20). Barcelona : Crítica 2000, p. 113. 56   M. Bataillon : Urganda entre Don Quijote y La Pícara Justina, p. 51. In un saggio successivo Marcel Bataillon scriverà che Francisco López de Úbeda aveva forse intrapreso a Madrid, cittá nella quale si era sposato, prima del 1600 “una carrera de médico factotum entre los grandes”. Cfr. Marcel Bataillon : ¿En qué « Rioseco » estaba la morería de La Pícara Justina ? (1962), p. 120. 57   M. Bataillon : Urganda entre Don Quijote y La Pícara Justina, p. 52. 58   M. de Cervantes Saavedra : Viaje del Parnaso, p. 291 (Cap. VII, v. 92). 59   S. de Covarrubias Orozco : Tesoro de la lengua castellana o española, art. « Cuervo », pp. 380-381. 60   Si vedano, per fare due soli esempi – la « Dedicatoria al Illustrissimo señor Ascanio Colona, Abbad de sancta Sofía », premessa alla Galatea, e la dedica « A don Pedro Fernández de Castro, Conde de Lemos », premessa a Los trabajos de Persiles y Sigismvnda, Historia Setentrional. Cfr. Obras completas de Miguel de Cervantes Saavedra : La Galatea. Tomo I. Edición publicada por Rodolfo Schevill y Adolfo Bonilla. Madrid : Imprenta de Bernardo Rodríguez 1914, pp. XLV-XLVI. – Obras completas de Miguel de Cervantes Saavedra : Persiles y Sigismunda. Tomo I. Edición publicada por Rodolfo Schevill y Adolfo Bonilla. Madrid : Imprenta de Bernardo Rodríguez 1914, pp. LV-LVI. Sui rapporti di Cervantes con il Conte di Lemos cfr. Isabel Enciso Alonso-Muñumer : Nobleza, Poder y Mecenazgo en tiempos de Felipe III. Nápoles y el Conde de Lemos. San Sebastián de los Reyes, Madrid : Editorial ACTAS 2007, pp. 722-734. 61   Si vedano – per esempio – le lettere di Lope de Vega a D. Luis Fernández de Córdoba, Conte di Cabra (dal 1606, VI Duca di Sessa), di Quevedo a Don Pedro Téllez Girón, III Duca di Osuna, a Don Alonso Portocarrero, Marchese di Villanueva del Fresno e Barcarrota, a D. Antonio Juan Luis de la Cerda, VII Duca di Medinaceli, e a D. Rodrigo Díaz de Vivar Sandoval Hurtado de Mendoza de la Vega y Luna, VII Duca del Infantado, e di Góngora a D. Pedro Fernández de Castro, Conte di Lemos. Cfr. Epistolario de Lope de Vega Carpio, que por acuerdo de la Real Academia Española pública Agustín G. De Amezúa. [III-IV]. Madrid : Artes Gráficas « Aldus » 1941-1943. – Luis Astrana Marín : Epistolario completo de D. Francisco de Quevedo-Villegas. Edición crítica. (Con extensas anotaciones, apéndices, documentos inéditos y una acabada bibliografía). Madrid : Instituto Editorial Reus 1946. – Nuevas cartas de la última prisión de Quevedo. Estudio, edición crítica y anotaciones  





























































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na, cosí come aveva fatto (forse maliziosamente, come vedremo) l’autore della Pícara Justina. Non scorgiamo insomma alcun rapporto fra le opinioni espresse da Sebastián de Covarrubias Orozco sui cappellani e sul corvo e il Viaje del Parnaso e non ci sembra filologicamente corretto usare queste opinioni per suffragare una interpretazione che i versi del poemetto in nessun modo consentono, se si vuol rispettare quel ‘senso letterale’ delle opere che il grande ispanista difenderà in un suo bel discorso. 62 Dove si trova la prova che l’autore della Pícara Justina sia stato il chocarrero di grandi signori ? Sebastián de Covarrubias Orozco definisce così il chocarrero e il truhán :  





Chocarrero. El hombre gracioso y truhán, cuasi iocarrero, a IOCO, porque es hombre de burlas, y con quien todos se burlan ; y también se burla él de todos, porque con aquella vida tienen libertad y comen y beben y juegan ; y a veces medran más con los señores que los hombres honrados y virtuosos y personas de letras. Dicen que los palacios de los príncipes no pueden pasar sin éstos. Truhán. El chocarrero burlón, hombre sin vergüenza, sin honra y sin respeto ; este tal, con las sobredichas calidades, es admitido en los palacios de los reyes y en la casa de los grandes señores, y tiene licencia de decir lo que se le antojare, aunque es verdad que todas sus libertades las viene a pagar, con que le maltratan de cien mil maneras y todo lo sufre por su gula y avaricia, que come muy buenos bocados, y cuando le parece se retira con mucha hacienda. 63  







Perché Francisco López de Úbeda, che come licenciado e come medico aveva una decorosa posizione sociale, avrebbe dovuto assumere un ruolo così umiliante, di uomo “senza vergogna, senza onore e senza rispetto”, e accettare, per poter burlare gli altri, di subire burle e maltrattamenti crudeli ? 64 Per poter bere, mangiare e giocare ? Ma non abbiamo nessun indizio, sia pur fragile, per poter sostenere che Francisco López de  





de James O. Crosby (= Colección Támesis. Serie B : Textos, 47). Woodbridge, Suffolk : Tamesis 2005. – Luis de Góngora : Epistolario completo. Edición de Antonio Carreira. Concordancias de Antonio Lara (= Hispanica Helvetica, 11). Zaragoza : Libros Pórtico 2000. 62   Marcel Bataillon : Défense et illustration du sens littéral. The Presidential Address of the Modern Humanities Research Association. 1967. Published by the Modern Humanities Research Association. 63   S. de Covarrubias Orozco : Tesoro de la lengua castellana o española, p. 392 e p. 939. Per una vasta analisi lessicale dei due termini cfr. Monique Joly : La bourle et son interpretation. Recherches sur le passage de la facétie au roman (Espagne, XVIe – XVIIe siècles). Thèse presentée devant l’Université de Montpellier III le 28 juin 1979. Lille : Atelier National de Reproduction des Thèses de l’Université de Lille III 1982, pp. 283-317. 64   Luis Zapata racconta, nel paragrafo della sua Miscelánea intitolato « De burlas hechas a hombres, agradables », queste due burle crudeli giocate a un buffone del Duca d’Alba e a un buffone dell’Ammiraglio di Castiglia : “En la casa de Alba que auía grandes maestros destas burlas, enzeróse un toro en una casa yerma para ensogarle aquella noche y correrle otro día. Hazen entender mozos de aquella casa a un chocarrero, que estaua allí vna buena moza enzerrada. Ban con hachas allá, métenle dentro y échanle la llabe encima. Y porque se viese él y el toro, métenle por vna gatera hachas. Pues quedóse ; el toro va bramando para él. Sacan la luz luego, queda el toro envelesado devaxo de un albarda. Y ansí alumbrando y dexando escura la pieza no lo mató el toro, hasta que vbieron por vien dar oýdos a sus plegarias y lágrimas de sacarle. Mas la más pesada burla de todas fué la que hizo el almirante de Castilla a un chocarrero que, yendo a ver con vnos caballeros vna huerta en verano, le dió veinte escudos porque se pusiese por arcaduz en vna noria que traía vn asno, con condiçión que abía de dar tres bueltas y no más. Pónese como para nadar en la noria, quitan dos o tres arcaduzes della y pónese en su lugar. Comienza a andar el yngenio en nombre de Dios bien despaçio ; y entra debajo del agua el arcaduz grande, tarda en salir vn rrato, que era muy pesado el bagaxe, y sale cada bez muy travado. Y ya bolvía los veinte escudos porque le quitasen, mas no los quisieron ; y estando debaxo del agua, cae el asno y estubo él en gran peligro, que no se pudo levantar. Cortan las querdas de presto, todos caminan con la anoria, que si no la llevaran hombres de presto, él se quedara ahogado ; y quando después le daban matraca, deçía que si él auía sido arcaduz, abían sido grandes asnos los caballeros.” Cfr. Luis Zapata : Varia Historia (Miscelánea). I, Proefschrift ter verkrijging van den graad van Doctor in de Letteren en Wijsbegeerte aan de Rijks-Universiteit te Utrecht, […] openbaar te vertedigen op Vrijdag 27 September 1935 […] door Gertruida Christine Horsman, geboren te Baarn. Amsterdam : H. J. W. Becht 1935, p. 98. Più avanti ricorderemo una burla non meno crudele giocata al buffone della regina Margherita d’Austria.  

































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Úbeda amasse gozzovigliare e fosse dedito al gioco ! Per poter farsi un piccolo patrimonio ? Ma Francisco López de Úbeda esercitava una professione redditizia e, per giunta, apparteneva – come vedremo – ad una delle più ricche e importanti famiglie della classe borghese toledana. Non avrà Marcel Bataillon fatto eccessivo uso di quella “imaginación” alla quale, secondo lui, gli studiosi della Pícara Justina dovrebbero piú frequentemente ricorrere ? 65 (L’immaginazione è pur utile e feconda nella ricerca, sempre però che le ipotesi ‘immaginate’ abbiano un concreto fondamento e siano poi sottoposte alla rigorosa verifica storica e filologica ! Altrimenti sono pure fantasticherie. Non è stata comunque tanto l’immaginazione, quanto – come abbiamo già osservato – la solida documentazione offerta da José Martí y Monsó nel suo lavoro sulla famiglia Calderón a permettere al grande studioso una innovatrice interpretazione della Pícara Justina.) In altre occasioni Marcel Bataillon, in parte, ripeterà quanto aveva detto nel saggio Urganda entre Don Quijote y La Pícara Justina, in parte, aggiungerà qualche particolare e qualche nota di colore al suo ritratto di Francisco López de Úbeda. Nelle lezioni del Corso del 1960/1961 egli definisce l’autore della Pícara Justina “médico bufón” 66 e lo inquadra nella “línea de médicos chocarreros”, 67 come Francisco López de Villalobos, e dei buffoni di Corte, come Don Francesillo de Zúñiga (“Su sentido del humor es el mismo de don Francesillo de Zúñiga” 68). Nel saggio La picaresca. A propósito de La Pícara Justina (1963) Francisco López de Úbeda è definito “agresor ... de la sociedad en que vive”. 69 Nel saggio Los asturianos de La Pícara Justina (1964) lo scrittore è descritto come medico che “tiene sus puntas y collar de bufón de palacio”, 70 come factotum e buffone di potenti signori. 71 Le sue ‘burle’ posseggono, secondo lo studioso, l’aggressività delle ‘burle’ dei buffoni e dei medici chocarreros di Corte di origine conversa :  























Las burlas del autor [Francisco López de Úbeda], como las de sus heroínas [ !], poseen a menudo el estilo y la agresividad de las burlas de los bufones de la Corte, una de cuyas variedades es la de los médicos « cristianos nuevos » que sirven a los grandes. [...] Don Francesillo de Zúñiga […] gusta de bromear con el tema de su propia ascendencia judaica y con el de los conversos del mismo origen que se tratan unos a otros de judíos, aunque él, por cómica antífrasis, diga (en vez de « judíos ») « asturianos o vizcaínos ». 72  















65   “¡Ojalá la firma de Urganda la Desconocida … estimule la imaginación de los sabios a trabajar para comprender ! Esa imaginación hace ya demasiado tiempo que no se fatiga sobre La Pícara Justina” (M. Bataillon : Urganda entre Don Quijote y La Pícara Justina, pp. 77-78). 66   M. Bataillon : Redescubrimiento de una obra literaria, p. 40. 67   M. Bataillon : Redescubrimiento de una obra literaria, p. 38. 68   M. Bataillon : Redescubrimiento de una obra literaria, p. 34. Francisco Márquez Villanueva, richiamandosi a Marcel Bataillon, osserverà che la comicità di Francisco López de Úbeda è “heredera de la sátira bufonesca de Francesillo y Villalobos”. Cfr. Francisco Márquez Villanueva : La identidad de Perlícaro, p. 423. 69   M. Bataillon : La picaresca. A propósito de La Pícara Justina, p. 160. – M. Bataillon : “La picaresca”. À propos de La pícara Justina, p. 246 (“agresseur et non peintre de la société où il vit”). 70   M. Bataillon : Los asturianos de La Pícara Justina (1964), p. 144. 71   “Francisco López de Úbeda, médico al servicio de poderosos señores como D. Rodrigo Calderón, a quien él dedica su libro, sirviendo a sus amos de secretario factótum y, al mismo tiempo, de bufón” (M. Bataillon : Los asturianos de La Pícara Justina, p. 128). 72   M. Bataillon cita, di seguito, questi due passi della Crónica : “El cual Doctor Villalobos riñendo un día con Alonso Gutiérrez de Madrid, teniente de contador mayor, entre otras palabras, se llamaban asturianos, vizcainos, é llegando yo, les dije : popule meus, non sint quaestiones inter vos, fratres enim sumus ; y visto esto y oído, cesaron.” – “Este mismo año, don Alfonso Enríquez de Sevilla, de livianos cascos, é Ventura Beltran, hijo del dotor Beltran, hubieron batalla en palacio. Quieren decir algunos contemplativos que hubo entre ellos mojicones, é demás de esto, se llamaron asturianos. Si yo allí me hallara, yo les dijera : Populus meus quare rixatis ?” Cfr. Crónica de don Francesillo de Zúñiga. In : Curiosidades bibliográficas. Colección escogida de obras raras de amenidad y erudicción. Con apuntes biográficos de los diferentes autores. Por D. Adolfo de Castro  































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[...] El doctor Villalobos, médico judío converso, se pone en escena a sí mismo en un curioso diálogo con su señor, el Duque de Alba, que le reprocha que, como todos sus congéneres, es rebelde al dogma de la Santísima Trinidad. Villalobos se defiende bien, pero luego, al tratarle de chocarrero, o sea de bufón, el médico le replica, a su vez, que gracias a sus chocarrerías, él, su paciente, goza de buena salud. Le indica, luego, un régimen y le prohíbe tomar vino […]. A lo que el Duque replica en seguida : « ¡Como se quiso vengar luego el hidalgo ! » 73 Las burlas de « Justina la hidalga », detrás de quien se esconde el médico palaciego López de Úbeda, sólo cobran su fuerza por referencia a esta tradición. Hay pocas dudas de la ascendencia judía de nuestro autor, y si por azar no la tuviera, habría que admitir que se asemeja burlonamente a uno de esos « conversos » médicos y a la vez bufones de los grandes, que reivindicaban con jovial agresividad la ascendencia impura con que los motejaban aquellos que creían que su propia « pureza » estaba por encima de toda discusión. 74  









   











Nel saggio Les nouveaux chrétiens dans l’essor du roman picaresque (1964) Marcel Bataillon continuerà a definire lo scrittore “médecin bouffon de palais” e ad affermare che “chez López de Ubeda, médecin amuseur des grands”, rivive “la tradition des bouffons de cour du XVIème siècle, et notamment des médecins bouffons, chocarreros, qui plaisantaient déjà de façon cocasse sur les conversos parmi lesquels ils se rangeaient d’ailleurs eux-mêmes avec une joviale aggressivité”. 75 Esempi di questa agressività di cristianos nuevos sarebbero Don Francesillo de Zúñiga e Francisco López de Villalobos, gli unici buffoni conversos citati esplicitamente da Marcel Bataillon come precursori di Francisco López de Úbeda. 76 Ma è proprio vero che Don  



(= Biblioteca de Autores Españoles, 36). Madrid : Atlas 1950, pp. 9-62 ; qui p. 36a, p. 52a. Il primo passo manca del tutto nella moderna edizione della Crónica curata da José Antonio Sánchez Paso. Il secondo passo si legge, in questa edizione, così : “En este año don Alonso Enríquez de Sevilla, onbre de libianos caxcos, y Bentura Beltrán, hijo del dotor Beltrán, tubieron batalla en palaçio ; quieren dezir algunos contenplatibos que se dieron de moxicones.” Cfr. Don Francés de Zúñiga : Crónica burlesca del Emperador Carlos V. Edición, introducción y notas de José Antonio Sánchez Paso (= Acta Salmanticensia. Estudios históricos y geográficos, 64). Salamanca : Universidad de Salamanca 1989, p. 144. 73   Este es el transunto de un diálogo entre un grande deste reino de Castilla, estando con el frío de la cuartana, y el doctor de Villalobos, que estaba allí con él, en presencia de sus hijos y de la noble juventud de su casa. In : Curiosidades bibliográficas. Colección escogida de obras raras de amenidad y erudicción. Con apuntes biográficos de los diferentes autores. Por D. Adolfo de Castro (= Biblioteca de Autores Españoles, 36). Madrid : Atlas 1950, pp. 443-449 ; qui pp. 444b-445b. 74   M. Bataillon : Los asturianos de La Pícara Justina, p. 129 e pp. 134-135. 75   M. Bataillon : Les nouveaux chrétiens dans l’essor du roman picaresque, p. 289 e p. 294. 76   Secondo Francisco Márquez Villanueva – il quale nel saggio Literatura bufonesca o del “loco” sostiene che nello sviluppo della letteratura buffonesca “el judaísmo se hallaba siempre en primer plano”, essendo essa quasi esclusivamente specifica di conversos (un sottocapitolo del suo saggio è intitolato : « Bufonería y judaísmo ») –questo genere letterario è rappresentato dai buffoni conversos Juan Alfonso de Baena, Juan de Valladolid, Antón de Montoro, Francisco López de Villalobos, Don Francesillo de Zúñiga (a questi nomi lo studioso affianca anche quello di Fray Antonio de Guevara, definito “un segundón sin fortuna, con su dosis de sangre conversa”) e dagli autori (ovviamente conversos) del Lazarillo de Tormes, della Pícara Justina e dell’Estebanillo González (terminando questa elencazione, scrive : “Permanece con ellos lo judaico en un primer plano”). Cfr. F. Márquez Villanueva : Literatura bufonesca o del “loco”. In : Nueva Revista de Filología Hispánica 34 (1985-86), 501-528 ; qui pp. 505-506, p. 517 e p. 522. In un saggio successivo lo studioso aggiunge ai nomi sopra elecati di buffoni conversos quello di Sebastián de Horozco. Cfr. Francisco Márquez Villanueva : Sebastián de Horozco y la literatura bufonesca. In : Literatura de la época del Emperador. Edición dirigida por Victor García de la Concha (= Acta Salmanticensia. Academia Literaria Renacentista, 5). Salamanca : Universidad de Salamanca 1988, pp. 131-163. Cfr. inoltre Francisco Márquez Villanueva : « Locos » judíos en la España del siglo XV (1982). In : F. M. V. : De la España judeoconversa. Doce estudios. Barcelona : Edicions Bellaterra 2006, pp. 175-201. L’elenco di Francisco Márquez Villanueva non è molto rigoroso. L’autore del Lazarillo è sconosciuto e quindi non ne conosciamo l’origine famigliare e l’appartenenza etnica. L’autore dell’Estebanillo González o è sconosciuto, e quindi nulla si sa – ovviamente – della sua origine famigliare, o è, secondo Jesús Antonio Cid, il più profondo conoscitore dell’opera, Gabriel de la Vegas, del quale non possediamo dati biografici verificabili (lo studioso rifiuta però la diffusa tesi secondo la quale il manifesto e vistoso antigiudaismo dell’autore dell’Estebanillo González costitui 





















































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Francés de Zúñiga, Francisco López de Villalobos e Francisco López de Úbeda ridessero della loro “propia impureza en las mismas barbas de una minoría seudo selecta” ? Si deve osservare che dal testo della Pícara Justina non risulta affatto che Francisco López de Úbeda – sempre ammesso che sia proprio lui l’autore – rida della sua ascendenza ‘impura’ (oggetto di risa e di derisione sono, nell’opera, esclusivamente coloro che, pur essendo di sangue ‘impuro’, vogliono far credere di discendere de los godos). Documenti biografici in grado di rivelare la sua posizione sul problema della ‘purezza di sangue’ e il suo comportamento di fronte ai cortigiani, non ne conosciamo alcuno. Quanto a Francisco López de Villalobos – medico del Duca d’Alba, di Fernando il Cattolico, di Don Fadrique Enríquez y Cabrera, Ammiraglio di Castiglia, del Marchese di Priego, di Carlo V e della Imperatrice –, egli era sí “médico donoso”, come lo definiva Don Francés de Zúñiga, 77 come confessava lui stesso 78 e come lo rappresentavano il Libro de chistes di Luis de Pinedo 79 e la Floresta española, 80 ma non buffone di Corte. Proprio nel Diálogo sopra ricordato da Marcel Bataillon, Francisco López de Villalobos reagisce con irritazione quando il Duca (Don Fadrique Álvarez de Toledo y Enríquez) lo chiama “gran chocarrero” e, ritorcendo la malignità, gli dice addirittura di avere imparato ad esserlo in casa sua, dai suoi figli e da lui stesso. 81 Il famoso medico accettava  











rebbe la prova … della sua origine ebraica !). Cfr. Antonio Carreira y Jesús Antonio Cid : « Introducción » a : La vida y hechos de Estebanillo González, hombre de buen humor. Compuesto por el mesmo. I (= Letras Hispánicas, 309). Madrid : Cátedra 1990, pp. IX-CCXIII ; qui pp. LXXXVI-CXXXVI (questa sezione è stata scritta da J. A. C.) e pp. 249-250, nota nro. 131 (sulle crudeli burle giocate da Estebanillo a degli ebrei, definita “gente que siempre engañan”, cfr. I, pp. 247-250 ; II, pp. 65-67, 93-95). Quanto a Fray Antonio de Guevara, che si vanta di discendere dalla “más limpia sangre de Castilla”, la sua ascendenza conversa – solamente per parte della nonna paterna – è, secondo A. Redondo, il maggior studioso della vita e dell’opera del vescovo di Mondoñedo, solo una ipotesi (e comunque come potrebbe il sangue di una sola ascendente conversa trasformare in converso il discendente di una antichissima e nobilissima famiglia di cristianos viejos, originaria della provincia di Álava, dal foltissimo albero genealogico ?). Cfr. Libro primero [Segundo !] de las Epístolas familiares de Fray Antonio de Guevara. Edición y prólogo de José María de Cossío. II (= Real Academia Española. Biblioteca Selecta de Clásicos Españoles. Segunda serie. Vol. XII). Madrid : Aldus 1952, p. 267 (v. anche p. 440 : “la sangre limpia do desciendo”). – Augustin Redondo : Antonio de Guevara (1480 ? - 1545) et l’Espagne de son temps. De la carrière officielle aux oeuvres politico-morales (= Travaux d’Humanisme et Renaissance, CXLVIII). Genève : Droz 1976, pp. 19-58. 77   Don Francés de Zúñiga : Crónica burlesca del Emperador Carlos V. Edición, introducción y notas de José Antonio Sánchez Paso, p. 145. 78   La lettera al “Secretario Samano”, sulla quale ci soffermeremo più avanti, iniziava così : “MUY magnífico señor : Yo he dicho en este mundo algunos donayres, mas nunca hize ninguno, porque dezir y hazer no es para todos, y por esso acordé, ántes que muriese, de hazer un donayre de que se ria toda la gente, y mi fée saluando honor, caseme con una moça…” (Algunas obras del doctor Francisco López de Villalobos. Publícalas La Sociedad de Bibliófilos Españoles. Madrid. MDCCCLXXXVI, p. 137). 79   Luis de Pinedo : Libro de chistes. In : Sales españolas o Agudezaz del ingenio nacional. Recogidas por Antonio Paz y Melía. Segunda edición de Ramón Paz (= Biblioteca de Autores Españoles, 176). Madrid : Atlas 1964, pp. 97-117 ; qui p. 100, p. 103, pp. 111-112, p. 112, p. 114, p. 117. Antonio Paz y Melía non aveva trascritto completamente i cuentecillos del ms. 6960 della Biblioteca Nacional di Madrid. Oltre cento (104) cuentecillos figurano ora in : Pinedo : Liber facetiarum (manuscrito 6960). In : Más de mil y un cuentos del Siglo de Oro. Edición e introducción de José Fradejas Lebrero (= Biblioteca Áurea Hispánica, 53). Madrid : Iberoamericana 2008. pp. 225-246. 80   “El doctor Villalobos estaba delante del emperador diciendo gracias…”. Cfr. Melchor de Santa Cruz : Floresta Española. Edición, prólogo y notas de María Pilar Cuartero y Maxime Chevalier. Con un estudio preliminar de Maxime Chevalier. Barcelona : Crítica 1997, p. 215. L’aneddoto che segue è preso dal Transunto de un diálogo entre un grande deste reino de Castilla, estando con el frío de la cuartana, y el doctor de Villalobos (p. 445a). 81   “[…] puédole decir que, aunque yo tenia ya buen natural, la mayor parte de las burlas he aprendido en vuestra casa, de los hijos della, y aun del padre dellos, que en verdad aquí hay una buena escuela desta profesion [de chocarrero]” (Este es el transunto de un diálogo entre un grande deste reino de Castilla, estando con el frío de la cuartana, y el doctor de Villalobos, que estaba allí con él, en presencia de sus hijos y de la noble juventud de su casa, p. 445a). Il Libro de chistes di Luis de Pinedo raccoglie questa feroce battuta del medico : “Dijo el Duque de Alba, D. Fadrique, al doctor Villalobos : – Parésceme, señor doctor, que sois muy gran albéitar –.  



























































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sí le allusioni scherzose e velenose di Don Fadrique Enríquez y Cabrera alla sua origine ebraica – allusioni delle quali comunque si vendicava chiamando judío, sia pur in forma velata, l’Ammiraglio di Castiglia 82 –, ma non rideva affatto della sua ascendenza ‘impura’. 83 Si legga, per esempio, la lettera in versi scritta proprio a Don Fadrique Enríquez, nella quale Francisco López de Villalobos, lamentandosi di essere stato allontanato dal servizio dell’Imperatore per il suo “linaje”, forse per istigazione del confessore di Carlo V, fa una dolorosa allusione agli statuti di limpieza de sangre (“Nunca hizo en sus ouejas / apartamiento el Señor”), 84 oppure la lunga lettera, colma di amarezza, indirizzata al Generale dei Francescani, Fray Vicente Lunel, che aveva introdotto nell’Ordine uno statuto di purezza (il medico definisce lo statuto “feo y escandaloso y … contrario á la doctrina evangélica” e i propugnatori della discriminazione “hombres apasionados, indignos, idiotas, villanos, expúreos, brutos”). 85 Come poteva ridere della propria impureza chi aveva sofferto ingiuste discriminazioni, chi era stato addirittura incarcerato dall’Inquisizione ? Ancor meno Francisco López de Villalobos, che scherniva un bachiller di Salamanca invitandolo a darsi al commercio all’ingrosso “pues teneis vuestras puntas y collar de judío”, 86 ostentava – a giudicare dai documenti a noi noti – di essere un confeso. Nella lettera del 3 agosto 1542 inviata da Medina del Campo al “Secretario Samano”, 87 dopo aver raccontato che ha sposato nella sua vecchiaia “una moça fresca y forastera ; … hijadalgo”, per evitarle di essere messa in convento, e che questa sua giovane moglie “nunca haze sino dezirme en secreto mucho mal de los confesos, y que no los puede ver más que al diablo”, così continua :  

















Respondió el doctor : - Tiene V. S.ª razón, pues curo a un tan gran asno” (p. 100). Come abbiamo visto, anche Luis Zapata ricorda, nel paragrafo della sua Miscelánea intitolato « De burlas hechas a hombres, agradables », che la “casa de Alba … auía grandes maestros destas burlas”. Cfr. Luis Zapata : Varia Historia (Miscelánea). I. Proefschrift, p. 98. 82   Si veda la lettera scritta da Zafra il 10 maggio 1525 all’Ammiraglio di Castiglia. L’allusione al sangue ‘macchiato’ dell’Ammiraglio è ripetuta nella lettera in versi alla quale stiamo per fare riferimento (in : Algunas obras del doctor Francisco López de Villalobos, pp. 71-73). 83   Luis de Pinedo ha raccolto questi due chistes nei quali il medico esplicitamente dichiara la sua ascendenza ‘impura’ : “Siendo pequeño el Príncipe D. Felipe, corrían unos toros en la Corredera de Valladolid ; y como arremetiese un toro tras un hombre frontero de la ventana do él estaba, hobo miedo y estremecióse. La Emperatriz, muy congojada dijo : – Por cierto que temo que este niño ha de ser cobarde. – Respondió el Doctor Villalobos : – No tenga Vuestra Majestad miedo, que en verdad cuando yo era pequeño que era el mayor judihuelo de la vida, y de cada cosa temía, y ahora ya veis lo que hago, que no dejo nadie que no mate,” – “El doctor Villalobos, estando la corte en Toledo, entró en una iglesia a oir misa y púsose a rezar en un altar de la Quinta Angustia, y a la sazón que él estaba rezando, pasó por junto a él una señora de Toledo que se llama Doña Ana de Castilla, y como le vio, comienza a decir : – Quitáme de cabo este judío que mató a mi marido – ; porque le había curado en una enfermedad de la que murió. Un mozo llegóse al Doctor Villalobos muy de prisa, y díjole : – Señor, por amor de Dios, que vays, que está mi padre muy malo, a verle –. Respondió el Doctor Villalobos : – Hermano, vos no véis que aquella que va allí va vituperándome y llamándome judío porque maté a su marido ? – Y señalando al altar : – Y esta que está aquí está llorando y cabizbaja porque dice que le maté a su hijo, ¿y queréis vos que vaya ahora a matar a vuestro padre ?” (Libro de chistes, pp. 111-112, p. 112). 84   Cfr. Algunas obras del doctor Francisco López de Villalobos, pp. 89-91. 85   Cfr. Algunas obras del doctor Francisco López de Villalobos, p. 166, p. 170. 86   Carta del doctor Villalobos, en respuesta de vna carta que le escriuio vn bachiller de Salamanca en vn pedaço de papel. In : Ramón Menéndez Pidal : Cartapacios literarios salmantinos del siglo XVI. In : Boletín de la Real Academia Española 1 (1914), 43-55, 151-170, 298-320 ; qui pp. 154-157 (le parole citate si trovano alla pagina 156). 87   Si tratta sicuramente di Juan de Samano, “Secretario del Consejo de las Indias”. Cfr. Pedro Girón : Crónica del Emperador Carlos V. Edición de Juan Sánchez Montes. Prólogo de Peter Rassow. Madrid : C.S.I.C. 1964, p. 113. – Luis García Cubero : Las alegaciones en derecho (Porcones) de la Biblioteca Nacional. Tocantes a mayorazgos, vínculos, hidalguías, genealogías y títulos nobiliarios. Con un índice de personas, geográfico y de títulos nobiliarios. Madrid : Biblioteca Nacional 2004, p. 816.  















































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Yo dígole que tiene razon, porque son tan judíos el dia de hoy como el dia que nacieron. En este artículo se pareçe mucho á v. m., quando deuancábades con la calentura y me rogábades que yo solo tomase el cargo de la cura, porque no os fiábades del Doctor de Almaçan 88 ni de hombre que fuese confeso. Para esta inocencia de mi mujer, yo he mandado á dos amigos que la desengañen porque no se destemple tanto, y nunca se lo han osado dezir […]. 89  



Non solo una giovane donna “forastera”, ma anche un uomo come Juan de Samano, segretario del Consiglio delle Indie, persona quindi che viveva a Corte e la Corte ben conosceva, non sapeva che il medico di Carlo V era un confeso ! La cosa non sarebbe stata certamente possibile se Francisco López de Villalobos avesse avuto l’abitudine di ostentare la sua origine ebraica e di ridere della sua “impureza en las mismas barbas” dei cortigiani. Venendo, infine, a Don Francés de Zúñiga, si deve notare che non è tanto certo che il buffone di Carlo V amasse ridere della sua ascendenza ebraica e del suo sangue ‘impuro’. Pur non negando la sua origine, “porque esta negra sangre donde la ay no se puede negar”, 90 il buffone, che aveva ottenuto nel 1522 da Carlo V il permesso di istituire un maggiorasco 91 e che nutriva un forte desiderio di integrazione e di ascesa sociale, era dominato piuttosto da “un afán ocultista respecto a su pasado”. 92 Nella più recente edizione moderna della Crónica burlesca una sola volta Don Francés de Zúñiga, che in alcune delle lettere giocose qui inserite si firma “el conde don Francés” (rivelando così il suo “afán … de parecer lo que no es” 93), fa esplicito riferimento alla sua origine ebraica 94 (abbiamo visto sopra che nella poco affidabile edizione ottocentesca di Adolfo de Castro, utilizzata da Marcel Bataillon, si trovano due altri riferimenti). Nell’Epistolario pubblicato da Adolfo de Castro e nelle lettere scoperte da Juan Menéndez Pidal nella Biblioteca del Colegio de Santa Cruz di Valladolid, “el conde don Francés” si esercita addirittura nella mistificazione genealogica. Dichiara infatti di discendere, per linea paterna,  











88   Nella Crónica (p. 187) di Pedro Girón, e più precisamente negli appunti relativi all’anno 1536, il “dotor Almaçán” è menzionato come uno dei medici di Carlo V. 89   Algunas obras del doctor Francisco López de Villalobos, pp. 137-140 ; qui pp. 137-138. 90   Lettera del giugno del 1526 alle dame della regina Leonora d’Austria, sorella di Carlo V e vedova del re Emmanuele di Portogallo, pubblicata da Juan Menéndez Pidal : Don Francesillo de Zúñiga, bufón de Carlos V. Cartas inéditas. In : Revista de Archivos, Bibliotecas y Museos, Madrid, 20 (1909), 182-199 ; 21 (1909), 72-95, 190 ; qui p. 95 (le Cartas inéditas occupano le pp. 75-95). In questa lettera Don Francesillo estende comunque la sua “negra sangre” al Condestable di Castiglia, Don Íñigo Fernández de Velasco, II Duca di Frías, IV Conte di Haro, chiamandolo “mi pariente” ! 91   Cfr. José Antonio Sánchez Paso : « Introducción » a : Don Francés de Zúñiga : Crónica burlesca del Emperador Carlos V, p. 18, nota nro. 40. 92   José Antonio Sánchez Paso : « Introducción » a : Don Francés de Zúñiga : Crónica burlesca del Emperador Carlos V, p. 15. 93   José Antonio Sánchez Paso : « Introducción » a : Don Francés de Zúñiga : Crónica burlesca del Emperador Carlos V, p. 14. 94   Il Cap. XLVII, nel quale Don Francés de Zúñiga ricorda una serie di avvenimenti dell’anno 1527, termina con questo passo : “Y dexado esto aparte, sucedió luego el benimiento del ynbictísimo Enperador en Ytalia [1529], en el qual yo no me hallé presente ; y la cabsa fue quando su Magestad partió de Toledo yo estaba enfermo en la carne, y del espíritu nada pronto para tal jornada, porque desde niño me cabsa catarro el olor de la pólbora, y todo tronido, y el sobresalto me haze mal ; allende desto, el dotor Villalobos, hermano mío en armas, y médico donoso de su Magestad, me aconsejó que no me alexase de Toledo, porque si en el reyno no obiese alguna rebuelta pudiésemos faboresçer el arçobispo de Sebilla, Ynquisidor Mayor, y a la fe católica, porque ya no era tiempo de Maricastaña, quando se pasaba la mar en enjuto. Y demás desto, [de] una herida que obe quando niño en el prepucio me quedaron tales reliquias que quando es tiempo [que en mudando el tiempo] parezco ánima de purgatorio.” (Don Francés de Zúñiga : Crónica burlesca del Emperador Carlos V. Edición, introducción y notas de José Antonio Sánchez Paso, p. 145.) Le varianti fra parentesi quadra le abbiamo tratte da : Crónica de don Francesillo de Zúñiga. In : Curiosidades bibliográficas, p. 53.  





















































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dagli Zúñiga (“por honrrado me tengo en venir de los Çuñiga”) 95 – di appartenere, cioè, alla famiglia dei Duchi di Béjar, della quale aveva molto probabilmente assunto il nome, 96 seguendo l’usanza diffusa fra i conversos di prendere il nome dei loro aristocratici padrini e protettori – e, per linea materna, dalla famiglia dei Leyva (a D. Antonio de Leyva, il brillante comandante delle forze imperiali in Italia dopo la morte di D. Fernando de Ávalos, scriveva : “cuánta honra habeis dado en la casa de vuestro padre, donde yo vengo por partes de mi madre…” 97). Afferma inoltre di essere imparentato con la famiglia dei Marchesi di Pescara (al celebre generale imperiale D. Fernando de Ávalos, scriveva : “Yo digo que soy vuestro, y que lo entiendo de probar”. – “Inexpugnable señor primo : Tengo en tanto vuestra persona, que por honrado me tengo en que tengais deudo conmigo”. – “Bendito sea Dios porque me dió deudo con vuestra señoría, tan valerosa persona” 98). Comunque, ridessero o non ridessero della loro impureza (per stabilirlo definitivamente sarebbe necessaria una moderna edizione critica di tutte le opere e lettere del medico e del buffone di Carlo V), Don Francesillo de Zúñiga era morto nel 1532, Francisco López de Villalobos nel 1549. I tempi erano molto cambiati e, come osserva occasionalmente in un saggio del 1964 lo stesso Marcel Bataillon, la posizione della aristocrazia sul problema della purezza di sangue era mutata dall’epoca di Carlo V a quella di Filippo II e di Filippo III. 99 Nella seconda metà del Cinquecento – e ancor piú nei primi decenni del Seicento – le persone di origine conversa tutto facevano per cancellare la loro origine e integrarsi pienamente, con varie mistificazioni, nella società cristiano-vieja. Chi mai rideva della propria ‘impurezza’ in anni in cui tutti volevano essere considerati cristianos viejos e in cui chi aveva qualche antenato giudeo, o convertito, era ossessionato – come sostengono Albert A. Sicroff e numerosi altri seguaci di Américo Castro – dall’angoscia di ‘tener raça’ 100 e, come Don Pablos de Segovia, 101 tutto faceva per “negar la sangre”, 102  















  



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  Juan Menéndez Pidal : Don Francesillo de Zúñiga, bufón de Carlos V. Cartas inéditas, p. 84.   Secondo Juan Menéndez Pidal “cabe conjeturar fundadamente que el pueblo del padre, y acaso el del propio truhán, fue Zúñiga, en Navarra, y de ahí el sobrenombre ó apellido que usó” (Don Francesillo de Zúñiga, bufón de Carlos V. Cartas inéditas, pp. 184-185). 97   Comienza el epistolario del famoso coronista Don Francés, y son cartas enviadas á diversas ilustres personas. In : Curiosidades bibliográficas. Colección escogida de obras raras de amenidad y erudicción. Con apuntes biográficos de los diferentes autores. Por D. Adolfo de Castro (= Biblioteca de Autores Españoles, 36). Madrid : Atlas 1950, pp. 55-62 ; qui p. 60b. 98   Comienza el epistolario del famoso coronista Don Francés, y son cartas enviadas á diversas ilustres personas, p. 57a, p. 57b, p. 58a. 99   M. Bataillon : Les nouveaux chrétiens dans l’essor du roman picaresque, pp. 286-287 (M. Bataillon : Los cristianos nuevos en el auge de la « novela picaresca », p. 183). 100   Sul “souci de pureté de sang”, sulla “obsession de pureté” in Ispagna – più avanti torneremo diffusamente sull’argomento –, cfr. Albert A. Sicroff : Les controverses des Statuts de « pureté de sang » en Espagne du XVe au XVIIe siècle. Paris : Didier 1960, pp. 263-270. Marcel Bataillon cita il libro di Albert A. Sicroff in nota a questa frase con la quale termina il saggio sul soggiorno di Justina a Medina de Rioseco (città che secondo lo studioso designa, come abbiamo già ricordato, umoristicamente Madrid, cosí come Mansilla de las Mulas, il luogo natale della picara, designerebbe Valladolid) : “López de Úbeda desahoga las inquietudes de la España de Felipe III, obsesionada y exasperada por las encuestas de « limpieza de sangre » al ofrecerle como diversión esta agria ficción picaresca, en la que una descendiente de judíos hace su agosto explotando a los sobrios y laboriosos hijos del Islam” (M. Bataillon : ¿En qué « Rioseco » estaba la morería de La Pícara Justina ?, p. 125). 101   Francisco de Quevedo : La vida del Buscón llamado Don Pablos. Edición crítica y estudio preliminar de Fernando Lázaro Carreter. Segunda edición. Salamanca : Ediciones Universidad de Salamanca 1980, p. 148. 102   Commentando le false dichiarazioni sull’origine della loro famiglia fatte risolutamente da alcuni notori convertiti toledani davanti al Tribunale dell’Inquisizione, Linda Martz scrive : “The sturdy denial of their origins by Toledo conversos in the face of those who had written records of their lineage is baffling. No doubt they felt it was worth a try until disproved. Possibily some did convince themselves of the veracity of their  

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per cancellare questa ‘macchia’ e integrarsi nella società fondata sui valori dei cristianos viejos ? 103 Molti affrontavano i costosi e pericolosi procedimenti delle informaciones de limpieza de sangre (o pruebas genealógicas) per cercare di ottenere, superate le prove, un expediente de limpieza de sangre che apriva la via agli onori e metteva la famiglia al sicuro da malelingue. 104 Scrive Ricardo Sáez :  







Autour des années 1580-1600, lorsque se profilent à l’horizon les premiers signes tangibles de la crise et l’inévitable reflux démographique, les couches supérieures – noblesse et bourgeoisie – se lancent dans la quête mythique des ancêtres fondateurs. Une véritable inflation généalogique s’empare de la conscience assiégée du groupe dominant. On « refabrique » des généalogies suspectes, on se livre à des manipulations qui visent à gommer toute trace d’infamie. 105  





Ma di questi problemi ci occuperemo diffusamente più avanti. Il ritratto di Francisco López de Úbeda tracciato da Marcel Bataillon è costruito con eterogenei materiali ‘letterari’ ed è piuttosto schematico e riduttivo. Non rappresenta, non raffigura, ma deforma. Appartiene piú al genere della caricatura, che non alla ritrattistica. Inoltre è il risultato di un sistema di ipotesi (o intuizioni) concatenate fra loro, che vicendevolmente si legittimano e sorreggono, ma di nessuna delle quali lo studioso ha dimostratato documentatamente la fondatezza. c) La Pícara Justina come strumento di propaganda pro-calderoniana Marcel Bataillon interpreta la Pícara Justina come un’opera di propaganda pro-calderoniana, come una pedina di quella strategia che tendeva a fare di Don Rodrigo Calderón “un noble o simplemente un hidalgo « por los cuatro costados »”. 106 A questa strategia Francisco López de Úbeda avrebbe contribuito con i riferimenti alla nobiltà del favorito del Duca di Lerma contenuti nel frontespizio e nella dedica della Pícara Justina e con l’inserimento dello scudo di Don Rodrigo Calderón nel frontespizio dell’opera. Questi sono i riferimenti alla nobiltà del favorito del Duca di Lerma contenuti nel frontespizio e nella dedica della Pícara Justina :  







Dirigida a Don Rodrigo Calderon Sandelin, de la Camara de su Magestad. Señor de las Villas de la Oliua y Plasençuela. &c. 107 [...] la illustre sangre que v. m. heredó del señor Francisco Calderon, capitan de la guardia  

fabricated lineage, yet when confronted by the incriminating documents guarded by the Holy Office, their memory is quickly refreshed. But if the conversos were willing to deny their origins before the Holy Office, they were certainly willing to do the same thing before more gullible audiences. For this reason, much of the genealogical information of this period found in other documents is highly suspect.” Cfr. Linda Martz : Converso Families in Fifteenth- and Sixteenth-Century Toledo : The Significance of Lineage. In : Sefarad, Madrid, 48 (1988), 117-196 ; qui p. 160. 103   Anche J. M. Oltra Tomás (La parodia como referente en La Pícara Justina, p. 39) ha fatto notare che era “suicida”, e quindi ben improbabile, che qualcuno, se anche coraggioso, si mettesse a “proclamar a los cuatro vientos la ascendencia impura” . 104   Sul valore degli hábitos come mezzo di promozione sociale, problema che tratteremo ampiamente più avanti, cfr. Antonio Domínguez Ortiz : Valoración de los hábitos de las Órdenes Militares. In : Las Órdenes Militares en la Península Ibérica. Volumen II. Edad Moderna. Coordinador : Jerónimo López-Salazar Pérez. Cuenca : Ediciones de la Universidad de Castilla-La Mancha – Cortes de Castilla-La Mancha 2000, pp. 1157-1176. 105   Ricardo Sáez : Aperçus sur les parentés réelles et sur les parentés fictives en Espagne aux XVIe et XVIIe siècles, à travers les archives ecclésiastiques de l’Archevêché de Tolède. In : Autour des parentés en Espagne aux XVIe et XVIIe siècles. Histoire, mythe et littérature. Études réunies et présentées par Augustin Redondo (= Travaux du « Centre de Recherche sur l’Espagne des XVIe et XVIIe siècles », 3). Paris : Publications de la Sorbonne 1987, pp. 11-29 ; qui p. 18. 106   M. Bataillon : Urganda entre Don Quijote y La Pícara Justina, p. 56. 107   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, fo. [A 1r].  





























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Española, padre de v. m. cuyas conocidas virtudes y modestia han esmaltado la antigua nobleza de los Calderones, y Arandas, sus antecessores, linajes tan antiguos, como nobles, y tan nobles como antiguos : a quien dignamente se juntô la clara sangre de los nobilissimos caualleros Sandelines, Olandeses, progenitores de v. m. 108  



Lo scudo, che solo appare nel frontespizio della princeps e non è più riprodotto nei frontespizi della edizione ‘pirata’ di Barcellona dello stesso anno 109 e di tutte le edizioni  

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  Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, fo. [A 4r].   Il Privilegio, della durata di dieci anni, il Re l’aveva concesso per i “nuestros Reynos” e intimava a “todas las ciudades villas y lugares de los nuestros Reynos y señorios” di farlo rispettare (Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, fo. [A 2v-A 3v]). Il Privilegio sembrerebbe valere, a prima vista, anche per i territori della Corona d’Aragona, compreso il Principato di Catalogna. In realtà la sua validità era circoscritta, come abbiamo già osservato, ai Regni di Castiglia ; nel Regno di Aragona e nel Principato di Catalogna i ‘privilegi’ non avevano efficacia. La Pragmática-sanción del 7 settembre 1558 considerava i libri “impresos en los Reynos de Aragón, Valencia, Cataluña y Navarra” come libri stranieri, che per la loro introduzione in Castiglia necessitavano di “licencia firmada” del Re e del suo Consejo (Pragmática-sanción de Felipe II y en su nombre la princesa Da Juana, sobre la impresión y libros, p. 801). I tipografi aragonesi e catalani potevano ristampare libri pubblicati in Castiglia e protetti da un privilegio regio, o addirittura – come vedremo a proposito della decisione presa nel 1625 dal Consejo de Castilla, su proposta della Junta de Reformación, di non concedere piú licenze per la stampa di commedie, romanzi e novelle – stampare libri che in Castiglia erano proibiti. Per stampare un libro nel Principato di Catalogna la prassi era questa : “En el siglo XVII, toda obra que se imprimiera en Cataluña necesitaba la licencia del Ordinario, que encargaba la censura para otorgarla. Si el libro había sido editado previamente en Castilla o en cualquier otro reino español, lo más común era reproducir sus aprobaciones y licencias, aunque no el privilegio. Muchas impresiones de Sebastián de Cormellas y otros editores de la Corona de Aragón reproducen la certificación de la tasa del Consejo de Castilla, aunque suprimían el número de pliegos y el precio si no coincidían los datos. La finalidad era facilitar la circulación de dichas ediciones por Castilla pues … no podían hacerlo sin esos requisitos” (Fermín de los Reyes Gómez : El libro en España y América. Legislación y Censura. I, p. 254). Nella edizione ‘pirata’ della Pícara Justina manca il « Privilegio Real ». Anche la « Tassa » è stata soppressa. Le ‘approvazioni’ sono tre. La prima « Aprovacion » (“10. de Iulio. 1605”) è firmata dal “Maestro fray Francisco Diago de la Orden de Predicadores, Calificador de la santa Inquisicion” ; la seconda « Aprovacion » (“12. de Julio. 1605”) è firmata dal “Doctor Miguel Palmerola, Abad de Nuestra Señora de la Iau, Canonigo de la Iglesia Mayor de Girona, Oficial y Vicario general por el muy Illustre y Reuerendissimo señor don Raphael de Rouirola Obispo de Barcelona y del consejo de su Magestad” ; la terza « Aprovacion », che reca la firma di Juan de la Mezquita, riproduce – fatta eccezione di una piccola variante (“debaxo de graciosos efectos” invece di “debaxo de gracias façetas”) e del cambiamento dell’ultima riga – il testo della « Aprovacion » di Thomás Gracián. L’ultima riga (“y puede vuestra Alteza dar la licencia y priuilegio que suplica”) dell’approvazione è stata cambiata cosí : “y assi es muy justo teniendo tan buen estilo salga a luz, y sea Impresso” (fo. A 2v). Il titolo ha subito alcune modificazioni e recita cosí : LA PICARA | MONTAÑESA | LLAMADA IVSTINA, | EN EL QVAL DEBAXO DE | graciosos discursos, se encierran | prouechosos auisos. | Al fin de cada numero veras vn discurso, que te muestra | como te has de aprouechar desta lectura, para | huyr los engaños, que oy dia se vsan. | Es juntamente Arte Poetica, que contiene cinquenta | y vna diferencias de versos, hasta oy nunca re- | copilados, cuyos nombres, y numeros | estan en la pagina siguiente. | Dirigido a Don Rodrigo Calderon Sandelin, de la Ca- | mara de su Magestad, señor de las Villas de | la Oliua, y Plasençuela. &c. | COMPVESTO POR EL LICENCIADO | Francisco Lopez de Vbeda natu- | ral de Toledo. | [Piccolo ornamento] | CON LICENCIA. | [Linea tipografica] | Impresso en Barcelona en casa Sebastian de Cor- | mellas, al Call. Año, M.DC.V. | Vendense en la mesma Emprenta (Madrid, Biblioteca Nacional : R. 11169). Il « Prologo al Lector » è stato omesso. Anche il « Privilegio » concesso due anni dopo a Olivero Brunello per una ristampa della Pícara Justina dimostra come il « Privilegio Real » ottenuto da Francisco López de Úbeda avesse una validità geografica limitata. Cfr. “PRIVILEGIO. LOs Serenißimos Principes ALBERTO, YSABEL, CLARA-EVGENIA, Duques de Brabante, &c. Mandan (so las penas contenidas en el Priuilegio dado à Oliuero Brunello en su consejo de Bruçelas, en 7. de Nouemb. de 1607.) Que ninguno imprima ni venda este libro intitulado, Libro de entretenimiento de la Picara Iustina, Por espacio de 6. Años, sin liçençia de Oliuero Brunello. Subsign. PIERMANS. GRIMALDY.” In : LIBRO | DE ENTRETE- | NIMIENTO, DE LA PI- | CARA IVSTINA, EN EL | QVAL DEBAXO DE GRACIO- | sos discursos, se encierran pro- | uechosos auisos. | AL FIN DE CADA NVMERO VERAS VN | discurso, que te muestra como te has de aprouechar desta | lectura, para huyr los engaños, que oy dia se vsan. | Es juntamente ARTE POETICA, que contiene | cincuenta diferencias de versos, hasta oy nun- | ca recopilados, cuyos nombres, y numeros | estan en la pagina siguiente. | DIRIGIDO | A DON ALONSO PIMENTEL | Y ESTERLICQ DEL CONSEJO DE GVERRA | de su Magestad, y su Capitan de lanças Espa- | ñoles en estos Estados de Flandes. | COMPVESTO POR EL LICENCIADO | Francisco de Vbeda, natural de Toledo. | [Piccolo motivo ornamentale] | EN 109























































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successive, dava pubblicità – secondo Marcel Bataillon – alle pretese araldiche di Don Rodrigo, che il 17 ottobre 1604 aveva fatto domanda per essere accolto nella Cofradía del Real Hospital de Nuestra Señora Santa María de Esgueva di Valladolid, 110 affrontando cosí la prima delle sei pruebas genealogiche alle quali, dal 1604 al 1611, il favorito del Duca di Lerma si sottopose, assieme ai suoi famigliari, 111 per ottenere, infine, il tanto sospirato hábito dell’Ordine Militare di Santiago. 112 Le prove di purezza di sangue, che terminarono il 25 novembre 1604 (Don Rodrigo aveva allora, come abbiamo già ricordato, ventisei o ventotto anni, essendo nato nell’anno 1576 113 o 1578 114), risultarono – pur con lacune e ambiguità sospette – positive, ma non documentavano né la nobiltà della famiglia paterna, né della famiglia materna (a proposito di questa i testimoni si limitarono a dichiarare che i Sandelin e gli Aranda vivevano ad Anversa nobilmente e che erano considerati e trattati come nobili). 115 Né la potevano documentare perché in entrambe le famiglie non appariva nessun cavaliere e nessun hidalgo. Il nonno paterno, Rodrigo Calderón, del favorito del Duca di Lerma era un mercante (“yo soy onbre de negozios y ... tengo mercaderias y cobranzas”, “yo tengo negocios y mercaderias” 116), cosí come  













BRVCELLAS, | En casa de Oliuero Brunello, en la Fuente | de oro. Año M.D.C.VIII. (Wien, Österreichische Nationalbibliothek : 38.W.23. – Wien, Universitätsbibliothek : I - 183292 A), fo. A 1v. 110   « Pruebas para admitir D. Rodrigo Calderón en la Cofradía del Real Hospital de Nuestra Señora Santa María de Esgueva. Peticion de don R.o Calderon en 17 de oct.e de 1604. » In : J. Martí y Monsó : Los Calderones y el Monasterio de Nuestra Señora de Portaceli. Documentos. In : Boletín de la Sociedad Castellana de Excursiones, Año VIII, Núm. 85 (Enero de 1910), pp. 296-297 (Doc. Núm. 3 - 1604). Può diventare cofrade del “Hospital de Nuestra Señora Santa María de Esgueba” – scriveva Gregorio de Tovar – solo chi è “limpio por todos diez y seis costados, de toda mala raza de judíos, o moros, o penitenciados por el Santo Oficio de la Inquisición”. Ogni candidato deve superare “rigurosas informaciones” ; il numero dei cofrades, “los mejores y de más limpia sangre de Valladolid”, era limitato a trenta. Per il suo estremo esclusivismo “muchos nobles ... cobdician esta cofradía”. Cfr. G. Tovar : Vida y memoria del Licenciado Gregorio de Tovar, Cavallero natural de Valladolid (Madrid, Biblioteca Nacional : Ms. 19344), fo. 28 (cit. da Claude Chauchadis : Les modalités de la fermeture dans les confréries religieuses espagnoles, p. 102, nota nro. 30). Sulla Cofradía del Real Hospital de Nuestra Señora Santa María de Esgueva, cfr. Narciso Alonso Cortés : Los cofrades de Santa María de Esgueva (= Miscelánea Vallisoletana, 6.ª serie). Valladolid : Librería Santarén 1940. 111   Cfr. J. Martí y Monsó : Los Calderones y el Monasterio de Nuestra Señora de Portaceli. I documenti relativi alle informazioni genealogiche sono i seguenti : « Pruebas para admitir D. Rodrigo Calderón en la Cofradía del Real Hospital de Nuestra Señora Santa María de Esgueva » (1604) ; « Pruebas de la Orden de Santiago. D. Rodrigo Calderón » (1611) ; « Pruebas de la Orden de Santiago. Francisco Calderón (Padre de D. Rodrigo) » (1609) ; « Pruebas de la Orden de Santiago. Juan de Aranda Sandelín (Hermano de la madre de D. Rodrigo Calderón » (1609) ; « Pruebas de la Orden de Alcántara. Don Francisco Calderón Vargas y Camargo. – De dos años escasos de edad. – (Primogénito de D. Rodrigo), 1605-1606 » ; « Pruebas de la Orden de Calatrava. Don Juan Calderón Vargas y Camargo. – De tres años próximamente de edad. – (Segundo hijo de D. Rodrigo) » (1611). Questi documenti sono riprodotti, rispettivamente, alle pagine 296-299 (Doc. Núm. 3), alle pagine 322-327 (Doc. Núm. 4), alle pagine 327-330 (Doc. Núm. 5), alle pagine 330-333 (Doc. Núm. 6), alle pagine 352-355 (Doc. Núm. 7), alle pagine 355-356 (Doc. Núm. 8). Cfr. anche M. Bataillon : Urganda entre Don Quijote y La Pícara Justina, pp. 56-57. 112   M. Bataillon : Urganda entre Don Quijote y La Pícara Justina, p. 59. – M. Bataillon : El protector de La Pícara : Don Rodrigo Calderón, antuerpiense (1959). In : M. B. : Pícaros y picaresca, pp. 79-102 ; qui p. 80 e pp. 86-88. 113   M. Bataillon : Pícaros y picaresca, pp. 84-85. 114   Cfr. Julián Juderías : Un proceso político en tiempo de Felipe III. Don Rodrigo Calderón, Marqués de Siete Iglesias, p. 337. – J. Martí y Monsó : Los Calderones y el Monasterio de Nuestra Señora de Portaceli. Noticias de Don Rodrigo Calderón y de su familia, p. 511. 115   Cfr. « Pruebas para admitir D. Rodrigo Calderón en la Cofradía del Real Hospital de Nuestra Señora Santa María de Esgueva » (1604), pp. 296-299 (Doc. Núm. 3). 116   Cosí dichiarava lo stesso Rodrigo Calderón, rispettivamente, il 13 e il 14 luglio 1551. Cfr. « Pleito entre Francisco Fanega y Rodrigo Calderón, abuelo de D. Rodrigo, y por muerte del segundo, con la viuda y los hijos » (1551-1556). In : J. Martí y Monsó : Los Calderones y el Monasterio de Nuestra Señora de Portaceli. Documentos, pp. 295-296 (Doc. Núm. 2). – M. Bataillon : El protector de La Pícara : Don Rodrigo Calderón, antuerpiense (1959), p. 81, p. 94 e p. 102.  



































































































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lo era suo nonno materno, Juan de Aranda, un converso 117 che aveva sposato María Sandelín ; 118 la madre, María de Aranda y Sandelín, apparteneva a una famiglia di mercanti di Anversa 119 di piú che dubbia limpieza ; 120 il padre, il capitano Francisco Calderón, divenuto – per “merced” del Re e per rinunzia di Pedro de Aranda – regidor di Valladolid il 17 aprile 1589, 121 era anche lui privo di una ejecutoria de hidalguía 122 (era considerato però e trattato come hidalgo 123). Non a caso, nel corso delle prime tre pruebas genealogiche  

   

  

   







117   Cfr. Ruth Pike : The Converso Lineage of Rodrigo Calderón. In : Malcolm R. Thorp and Arthur Slavin : Politics, Religion and Diplomacy in Early Modern Europe. Kirksville, Missouri : Sixteenth Century Journal Publishers 1994, pp. 219-229. – Ruth Pike : Linajudos and Conversos in Seville. Greed and Prejudice in Sixteenthand Seventeenth-Century Spain (= American University Studies. Series IX : History, Vol. 195). Bern : Peter Lang 2000, pp. 71-79. 118   M. Bataillon : El protector de La Pícara : Don Rodrigo Calderón, antuerpiense (1959), p. 89, nota nro. 22, pp. 94-96, p. 99 e p. 102. 119   Cfr. Hilario Casado Alonso : Las “Castillas fuera de Castilla”. Las colonias castellanas en Europa. In : H. C. A. : El triunfo de Mercurio. La presencia castellana en Europa (siglos XV y XVI). Burgos : cajacírculo 2003, pp. 71-134 ; qui p. 100. 120   M. Bataillon : El protector de La Pícara : Don Rodrigo Calderón, antuerpiense (1959), pp. 86-96. 121   Cfr. J. Martí y Monsó : Los Calderones y el Monasterio de Nuestra Señora de Portaceli. Noticias de Don Rodrigo Calderón y de su familia, p. 483 ; « Documentos », p. 380 (Doc. Núm. 15). 122   In una lettera datata “Valladolid y Otubre 9 de 1605” – J. Martí y Monsó (Los Calderones y el monasterio de Nuestra Señora de Portaceli.Noticias de Don Rodrigo Calderón y de su familia, pp. 514-516) la pubblica pur considerandola apocrifa ; M. Bataillon (El protector de La Pícara : Don Rodrigo Calderón, antuerpiense, p. 99, nota nro. 46) la ritiene autentica – il capitano Francisco Calderón aveva rimproverato al figlio le sue ambizioni nobiliari, timoroso che le prove di limpieza de sangre da lui sollecitate potessero risultare fatali all’onore di tutta la famiglia. Cfr. « Carta que se ha supuesto escribió D. Francisco Calderón a su hijo D. Rodrigo ». In : J. Martí y Monsó : Los Calderones y el monasterio de Nuestra Señora de Portaceli. « Documentos », pp. 454-455 (Doc. Núm. 41). Sia per il generale tono profetico (preannuncio della sicura caduta di Don Rodrigo a causa della sua “soberuia y hinchazon”), sia perché in essa D. Francisco Calderón esprime il rifiuto netto di donare al figlio i suoi beni, beni che in realtà gli aveva donato già nel 1601 (cfr. alle pagine 403-405 il documento nro. 33 : « D. Francisco Calderón renuncia sus bienes, con ciertas condiciones, en favor de su hijo D. Rodrigo »), la lettera sembra anche a noi non autentica. Tuttavia non è, come pensa J. Martí y Monsó, del tutto priva di valore perché documenta, come le due lettere di Lope de Vega che ricorderemo piú avanti, i dubbi che circolavano sulla ‘purezza di sangue’ della famiglia Calderón. 123   Nelle prove per la concessione delle insegne di cavaliere dell’Ordine di Santiago al padre di Don Rodrigo, il regidor di Valladolid Cristóbal de Cabezón dichiarava : “el dicho pretendiente es al presente Cofrade de la Cofradia del los Caualleros escuderos, hijos dalgos desta ciudad, a donde no pueden entrar ninguno que no sea hijodalgo notorio” (« Pruebas de la Orden de Santiago. Francisco Calderón. 1609 », p. 328). Come poteva venire concesso un hábito di Santiago a Francisco Calderón – figlio di Rodrigo Calderón, “onbre de negozios”, e nipote (supposto) di Francisco Ortega, “mercadero” –, quando nelle informazioni genealogiche si doveva provare, per poter diventare cavaliere dell’Ordine, che né il pretendente, né suo padre “an sido o son mercaderes o cambiadores, o ayan tenido algun oficio en lo mecanico” ? (V. il catalogo di domande alle quali dovevano rispondere i testimoni in : « Pruebas de la Orden de Santiago. D. Rodrigo Calderón. 1611 », pp. 322-323). Nelle prove per la concessione delle insegne di cavaliere dell’Ordine di Santiago a Don Rodrigo, il testimone Don Francisco Pimentel rispondeva cosí alla quarta domanda (“... que no le toca mezcla de judio ni moro ni conuerso en ningun grado”) : “a francisco calderon le tiene por hombre noble Hijo dalgo ... y es del habito de santiago y tuuo el de san juan y sabe que don Rodrigo Calderon su hijo es cofrade de esgueua y familiar del santo oficio y saue que un nieto suio hijo del pretendiente es del habito de Alcantara Para los quales actos se hacen siempre informacion de nobleça y limpieça... y Juan de Aranda hermano de la dicha doña maria de aranda madre de don Rodrigo es del habito de Santiago” (« Pruebas de la Orden de Santiago. D. Rodrigo Calderón. 1611 », p. 324). La strategia perseguita da Don Rodrigo (come da tanti altri aspiranti a simili onori e onorificenze) è chiara. Divenuto confratello di una Cofradía esclusiva e ‘familiare’ della Inquisizione (la nomina è del 23 aprile 1610) e fatto avere, grazie al suo potere, un hábito dell’Ordine di Alcántara a suo figlio (quasi ancora in fasce) e un hábito dell’Ordine di Santiago a suo padre e a suo zio materno, il favorito del Duca di Lerma aveva costruito quella rete di precedenti ai quali comodamente i testimoni potevano richiamarsi (Don Rodrigo, dicono questi, non poteva entrare nella Cofradía se non era nobile e limpio, suo figlio, suo padre e suo zio non potevano ricevere insegne degli Ordini Militari se questi requisiti non fossero dati...). Il primo ostacolo, entrare nella Cofradía del Real Hospital de Nuestra Señora Santa María de Esgueva, Don Rodrigo l’aveva facilmente superato – nonostante la fragilità della documentazione presentata e delle testimonianze sulla genealogia – non solo grazie al Duca di Lerma, suo alto e onnipotente protettore, ma anche grazie ai meriti che lui e suo padre avevano acquisito  

















































































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affrontate da membri della famiglia Calderón mai si fece riferimento ad alcuna ejecutoria (solo nel 1609, come vedremo, un testimone accennó alla ejecutoria de hidalguía di Francisco Ortega). E tanto meno si fece riferimento, nelle prove dell’autunno del 1604, a blasoni appartenenti all’uno o all’altro ramo della famiglia di Don Rodrigo. 124 Ma già nelle pruebas iniziate il 18 dicembre del 1605 – la Pícara Justina era uscita nella tarda primavera di quest’anno – e concluse il 7 gennaio 1606 per conferire le insegne dell’Ordine di Alcántara al piccolo Francisco Calderón Vargas y Camargo 125 (il primo figlio maschio del favorito del Duca di Lerma e di sua moglie D. Inés de Vargas era stato battezzato il 7 agosto 1604 – prima di lui era nata Maria, battezzata il 9 gennaio 1603 126), i testimoni si riferiscono alle armi di Don Rodrigo come ad un fatto di pubblica notorietà. Esse ornavano, infatti, i reposteros (panni quadrati con le armi del principe o del signore, che servivano “para poner sobre las cargas de las Azémilas, y tambien para colgar en las antecámaras”127) e gli scudi posti nella facciata delle case di Don Rodrigo.128 Ed ornavano il frontespizio della Pícara Justina, che, come strumento della “orquestación literaria de la ascensión de don Rodrigo”,129 aveva – con il pretesto di porre il libro sotto la  





nei confronti dell’Ayuntamiento di Valladolid e di tutta la città nell’operazione di trasferimento della Corte. (L’Ayuntamiento di Valladolid aveva concesso il 12 novembre 1604 – fra il 14 e il 25 novembre dello stesso anno saranno ascoltati i testimoni per le prove relative all’ammissione nella Cofradía – a Don Rodrigo, che era regidor della città, l’uso perpetuo di un balcone del Consistorio per assistere a feste e cerimonie proprio “considerando las muchas buenas obras y beneficios” ricevuti dal favorito del Duca di Lerma. Anche Don Diego Sarmiento de Acuña, corregidor di Valladolid negli anni 1602-1605 (nel 1617 sarà nominato Conte di Gondomar), ricorderà “las obligaciones grandes que esta ciudad tenia al señor don rrodrigo calderon”, quando propose all’Ayuntamiento di concedergli di prelevare da una conduttura d’acqua del Comune due “pajas de agua” (= 240 cm3 di acqua al minuto). Cfr. « El Ayuntamiento de Valladolid concede á D. Rodrigo Calderón un balcón del Consistorio para que vea las fiestas que se celebren en la plaza » ; « El Ayuntamiento de Valladolid concede á D. Rodrigo Calderón que introduzca dos pajas de agua en su casa de las Aldabas » ; « Se nombra á D. Rodrigo Calderón familiar del Santo Oficio de la Inquisición en Valladolid ». In : J. Martí y Monsó : Los Calderones y el Monasterio de Nuestra Señora de Portaceli. Documentos, p. 432 (Doc. Núm. 35), p. 434 (Doc. Núm. 39), p. 458 (Doc. Núm. 45). Sul ruolo giocato da Don Rodrigo e da Francesco Calderón nelle trattative per il trasferimento della Corte da Madrid a Valladolid, cfr. J. Martí y Monsó : Los Calderones y el Monasterio de Nuestra Señora de Portaceli. Noticias de Don Rodrigo Calderón y de su familia, pp. 505-506 ; Documentos, pp. 384-386 (Doc. Núm. 24-25). 124   Cfr. « Pruebas para admitir D. Rodrigo Calderón en la Cofradía del Real Hospital de Nuestra Señora Santa María de Esgueva » (1604). – M. Bataillon : Urganda entre Don Quijote y La Pícara Justina, p. 60. 125   Luis Cabrera de Córdoba annota nella sua cronaca (24 dicembre 1605) : “Han hecho merced al hijo de don Rodrigo Calderon, de un hábito de Alcántara, que aun no es de un año y se ha tenido por mucha merced para él” (Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 267). 126   Cfr. J. Martí y Monsó : Los Calderones y el Monasterio de Nuestra Señora de Portaceli. Noticias de Don Rodrigo Calderón y de su familia, p. 512 ; « Documentos », pp. 433-434 (Doc. Núm. 38). 127   Real Academia Española : Diccionario de Autoridades. Edición facsímil. Madrid : Gredos 1984, Tomo Quinto (Madrid 1737), p. 583. Cfr. anche Anastasio Rojo Vega : Fiestas y comedias en Valladolid. Siglos XVI-XVII, p. 201. – Anastasio Rojo Vega : El Siglo de Oro. Inventario de una época, p. 355. 128   Nella dichiarazione fatta il 18 dicembre 1605 da Cristóbal de Cabezón, regidor, si legge : “y en cuanto a las armas de los susodichos padres y aguelos del dicho don francisco dixo que sabe que las tienen de arandas y calderones y otros apellidos en sus executorias a las quales se remite y a los escudos de sus cassas y de sus Reposteros”. La questione delle armi è cosí sintetizzata da due commissari (si tratta di don Pedro Pacheco, cavaliere dell’Ordine di Alcántara, e del Licenciado Fray don Antonio de Valencia, cappellano dello stesso Ordine) : “Parece por los escudos de las cassas del capitan francisco calderon y de tres executorias de sus aguelos y tios del dicho capitan a que los mas de los testigos se remiten en cuanto a las armas de los aguelos paternos del dicho don francisco calderon Vargas y Camargo que las Armas de los Calderones son dos calderas en campo dorado y las de los ortegas que ansimismo le tocan al dicho don francisco calderon son cinco flores de lis en campo azul y un leon arrimado a un arbol en campo roxo, con ocho cruces Por orla / y las de los arandas son un castillo en campo azul con ocho cruces coloradas en campo amarillo por orla Las de los Sandelines son tres gallos en campo rojo”. Cfr. « Pruebas de la Orden de Alcántara. Don Francisco Calderón Vargas y Camargo », pp. 352-354. – M. Bataillon : Urganda entre Don Quijote y La Pícara Justina, pp. 60-61. 129   M. Bataillon : Urganda entre Don Quijote y La Pícara Justina, p. 66.  



























































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protezione dello scudo del favorito del Duca di Lerma130 –, secondo Marcel Bataillon, la funzione, appunto, di propagare il blasone usurpato. Questo “escudo publicitario” 131 era composto, in gran parte, di elementi (la cornice con le otto croci di Sant’Andrea, il leone appoggiato ad un albero, i cinque fiordalisi) provenienti dallo scudo degli Ortega, famiglia con una modesta ejecutoria de hidalguía 132 con la quale Don Rodrigo Calderón non aveva nessun rapporto di parentela 133 (si suppone che lo scudo fosse passato alla  





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  M. Bataillon : El protector de La Pícara : Don Rodrigo Calderón, antuerpiense, p. 87.   M. Bataillon : Urganda entre Don Quijote y La Pícara Justina, p. 61 n. 132   Questa ejecutoria de hidalguía fu rilasciata il 15 febbraio 1511 dalla Real Chancillería di Valladolid, con “una sentencia interlocutoria”, a “francisco ortega mercadero” su sua richiesta. Cfr. : « Ejecutoria de hidalguía de Francisco Ortega, segundo abuelo de D. Rodrigo Calderón ». In : J. Martí y Monsó : Los Calderones y el Monasterio de Nuestra Señora de Portaceli. Documentos, pp. 293-295 (Doc. Núm. 1). 133   J. Martí y Monsó nota che né “francisco ortega mercadero”, né alcuno dei suoi ascendenti si chiamava Calderón e che non si sa quando e perché venisse unito al nome di Ortega quello di Calderón. Ritiene che l’enigma possa essere spiegato con “la verdadera anarquía que respecto á los apellidos existió en los anteriores siglos”. Pur con qualche dubbio e consapevole di certe incongruenze e di “algunos puntos obscuros”, lo studioso considera però Francisco Ortega bisavolo paterno di Don Rodrigo. J. Martí y Monsó, mosso costantemente da fini apologetici, tende a voler dimostrare a tutti i costi la nobiltà della famiglia Calderón e delle famiglie ad essa congiunte (non rifugge da esagerazioni come quella di definire – proprio come aveva fatto l’autore della Pícara Justina – “nobilísima familia holandesa” quella di María Sandelín), confonde l’essere nobili con il ‘vivere nobilmente’ – ostentando lusso – di tanti mercanti ricchi e prende per oro colato le dichiarazioni dei testimoni interrogati durante le prove d’informazione genealogica (cfr. Los Calderones y el Monasterio de Nuestra Señora de Portaceli. Noticias de Don Rodrigo Calderón y de su familia, p. 474, p. 476, p. 473 e p. 477). Tutti gli storici sanno quanto poco credibili erano – o potevano essere – queste testimonianze. E tutti sanno che spesso l’anarchia nell’uso dei nomi era voluta e sfruttata per fini ben precisi : nomi venivano sostituiti per nascondere svantaggiosi legami di parentela, nomi venivano aggiunti per far supporre inesistenti, ma utili e talvolta prestigiosi rapporti genealogici. J. Martí y Monsó non si chiede come mai non figuri il nome Ortega nella genealogia allegata da Don Rodrigo alla sua « Peticion » del 17 ottobre 1604 : “Mi padre se llama el Capitan francisco Calderon [...] vezino de Valladolid. Sus padres y mis aguelos se llamaron Rodrigo Calderon vezino de Valladolid y doña maria de Aranda ansimismo de Valladolid. [...] mi madre se llamo doña maria de Aranda natural de enveres. Sus padres fueron Juan de Aranda nacido en Valladolid y maria sandelin flamenca y natural de la aya en Olanda” (« Pruebas para admitir D. Rodrigo Calderón en la Cofradía del Real Hospital de Nuestra Señora Santa María de Esgueva », pp. 296-297). Eppure in questo primo tentativo di avvicinamento alla nobiltà gli sarebbe stato di grande utilità documentare la hidalguía della famiglia paterna. Ma soltanto nel 1609 si mette in relazione diretta, in un documento ufficiale, Francisco Ortega e i Calderón. Nella genealogia da lui presentata, il padre di Don Rodrigo scrive : “ABUELOS PATERNOS. – Francisco Ortega Calderon vino de la ciudad de Auila a la de Vall.d y Maria Rodriguez vez.a de Vallid”. E il regidor di Valladolid Cristóbal de Cabezón, il già ricordato compiacente testimone delle prove genealogiche del 1605 fatte per la concessione delle insegne di cavaliere dell’Ordine di Alcántara al piccolo Francisco Calderón Vargas y Camargo, dichiara ora di sapere “que fran.co ortega Calderon ... saco carta executoria en esta Real chancilleria, el año de diez o de doce ... de hijo dalgo”. Cfr. « Pruebas de la Orden de Santiago. Francisco Calderón (Padre de D. Rodrigo) », pp. 327-328. Ricordiamo di nuovo che nella documentazione relativa alla ejecutoria de hidalguía rilasciata dalla Real Chancillería di Valladolid a Francisco Ortega, questi mai veniva chiamato Ortega Calderón ! Suo padre era Alvaro Ortega, sposato con María Núñez, e suo nonno paterno era Ruy González de Ávila, sposato anch’egli con una donna di nome María Núñez. J. Martí y Monsó non si chiede, inoltre, perché Cristóbal de Cabezón non aveva menzionato nel 1605 né Francisco Ortega, o Francisco Ortega Calderón, né la sua hidalguía. È evidente che Francisco Ortega non era il bisnonno paterno di Don Rodrigo. Il nome Ortega figurava però in un ramo della famiglia Calderón. Nella causa intentata contro Rodrigo Calderón, il 26 luglio 1555 Francisco Fanega presentò come testimone a suo favore “francisco hortega calderon v.o de V.d de 20 años sobrino del dho rrodrigo calderon hijo de un hermano del que se dezia Juan Hortega Calderon difunto”. Essendogli stata contraria la dichiarazione di questo nipote, Rodrigo Calderón presentò il 3 settembre una serie di domande da fare ai testimoni per dimostrare l’inimicizia che Francisco Ortega nutriva nei suoi confronti. Ne trascriviamo due : “si conocen a fr.co ortega testigo presentado por el dho fanega contra el dho rrodrigo Calderon... y si tienen noticia de los trabajos y enojos que a tenido el dho R.o calderon por criar y dotrinar al dho fr.co ortega desde antes que muriese Juan de hortega calderon su padre y despues aca que murio que abra seys o siete años que lo tiene en su casa. = que el dho rr.o calderon por ser su sobrino el dho fr.co ortega le tubo en su casa el dho tienpo dandole de comer y bestir y calçar y enponiendole en buenas costumbres y en los libros y negocios de mercader y el dho fr.co ortega siendo bicioso de juego y otros bicios de moço y Ruines compañeros y no aplicarse a los estudios no se queria Refrenar y a esta causa muchas bezes el dho rr.o calderon riño con el y por ello el dho fr.co ortega le  

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famiglia Calderón attraverso l’acquisto di una casa degli Ortega la cui facciata era ornata dalle loro armi 134). Le quattro fasce ondulate o onde (le fajas ondadas, fajas ondeas o, semplicemente, ondas erano, generalmente, azzurre – come nello scudo dei Vargas-Machuca – per suggerire il mare 135) derivavano invece dallo scudo della famiglia di D. Inés de Vargas y Carvajal, la moglie di Don Rodrigo. 136 Le due calderas – quelle calderas che saranno schernite crudelmente dal Conte di Villamediana 137 –, separate da una banda, che ornano il quarto superiore sinistro (destro per l’osservatore posto di fronte) dello scudo, più che proprie delle armi dei Calderón, 138 sembrano derivare anch’esse dalle armi della famiglia della moglie di Don Rodrigo, e precisamente da quelle dei Camargo 139 (Don Miguel de Vargas y Camargo era il padre di D. Inés). Non siamo esperti di araldica, cosí come non lo era Marcel Bataillon, e pertanto auspichiamo, cosí come lo auspicava il grande studioso, che lo scudo che orna la Pícara Justina venga esaminato da un araldista. 140 Sfogliando però l’edizione ottocentesca della Nobleza de Andalucía di Gonzalo Argote de Molina e il Nobiliario genealógico de los Reyes y Títulos de España (1622) di Alonso López de Haro, abbiamo scoperto che le aspas – croci di Sant’Andrea, la cui origine è spiegata da Bernabé Moreno de Vargas nei suoi Discursos de la nobleza de España 141 – dello scudo di Don Rodrigo figuravano anche negli scudi di  















queria mal y decia muchas palabras de amenaças contra el dho Ro calderon [...]”. Cfr. « Pleito entre Francisco Fanega y Rodrigo Calderón, abuelo de D. Rodrigo, y por muerte del segundo, con la viuda y los hijos ». In : Los Calderones y el Monasterio de Nuestra Señora de Portaceli. DOCUMENTOS, pp. 295-296. Nelle pruebas del novembre del 1604 il capitano Francisco de Oviedo aveva dichiarato di non aver conosciuto Rodrigo Calderon, ma di essere stato “muy intimo amigo de Juan de ortega su hijo h.no del ... capp.an Calderon”. Nelle stesse pruebas il padre del capitano Francisco Calderón era stato menzionato con il nome di “Rodrigo Calderon y ortega” e “R.o ortega calderon” dai testimoni Bartolomé de Palacio e Juan de la Concha. Cosa strana perché il nonno di Don Rodrigo si era sempre chiamato soltanto Rodrigo Calderón. Cfr. « Pruebas para admitir D. Rodrigo Calderón en la Cofradía del Real Hospital de Nuestra Señora Santa María de Esgueva », pp. 297-298. Verosimilmente il nome Ortega Calderón è ricordato e poi inserito nella genealogia dei Calderón solo quando si scopre l’esistenza di un Francisco Ortega, “mercadero” di Valladolid come Rodrigo Calderón, ma hidalgo de ejecutoria. Si sfruttava cosí la parziale omonimia esistente fra Francisco Ortega e Francisco Ortega Calderon per documentare in qualche modo la hidalguía della famiglia del favorito del Duca di Lerma. Anche M. Bataillon (Urganda entre Don Quijote y La Pícara Justina, pp. 60-61 e p. 60, nota nro. 26. – El protector de La Pícara : Don Rodrigo Calderón, antuerpiense, pp. 88-89 e p. 88, nota nro. 21) ritiene inesistente un diretto rapporto di parentela fra i Calderón e Francisco Ortega. 134   Cfr. M. Bataillon : Urganda entre Don Quijote y La Pícara Justina, p. 61. 135   Cfr. Martín de Riquer : Heráldica castellana en tiempos de los Reyes Católicos. Barcelona : Quaderns Crema 1986, pp. 103-104. 136   Nello scudo dei Vargas figuravano “unas ondas azules en campo dorado”. Cfr. « Pruebas de la Orden de Alcántara. Don Francisco Calderón Vargas y Camargo. – De dos años escasos de edad. – (Primogénito de D. Rodrigo), 1605-1606 », p. 354. 137   “Caldero a dorar madama, / y llaves viejas pregona, / un calderero que entona / bien su bolsa y mal su fama ; / Calderón, dicen, se llama, / pues ha venido a tener, / después de tantas coladas, / sus calderas tan quebradas / que no pueden ser soldadas / si el Rey no lo supo hacer”. Cfr. Conde de Villamediana : Poesía inédita completa. Edición de José Francisco Ruiz Casanova. Madrid : Cátedra (Letras Hispánicas) 1994, p. 112 (v. anche il nro. XXXVII, a pag. 320, e nro. XX, a pag. 292). Cfr., inoltre, Juan de Tassis, Conde de Villamediana : Poesía impresa completa. Edición de José Francisco Ruiz Casanova. Madrid : Cátedra. Letras Hispánicas 1990, p. 950, nro. 496 (“por estar el Rey pobre, / de vuestra caldera el cobre / quiere Calderón fundir. / [...] Tiznáronse tus calderas / al fuego de la ambición”). 138   Cfr. « Pruebas de la Orden de Alcántara. Don Francisco Calderón Vargas y Camargo », p. 354 (“las Armas de los Calderones son dos calderas en campo dorado”). – M. Bataillon : Urganda entre Don Quijote y La Pícara Justina, pp. 60-61. – M. Bataillon : El protector de La Pícara : Don Rodrigo Calderón, antuerpiense, p. 88. 139   « Pruebas de la Orden de Alcántara. Don Francisco Calderón Vargas y Camargo », p. 354 (“las armas de ... los Camargos son unas calderas en campo dorado con unos armiños a la redonda negros”). 140   Cfr. M. Bataillon : Urganda entre Don Quijote y La Pícara Justina, p. 61, nota nro. 28. 141   “Las Aspas que muchos Caualleros, è hijosdalgo traen en sus escudos de armas, tuuieron principio de aquella batalla que ganaron de los Moros que estauan sobre Baeça día de San Andres, lleuando por su C[a]pitan  















































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moltissime famiglie di antica nobiltà. 142 Egualmente compaiono negli scudi di famiglie di antica nobiltà le calderas, ma – essendo la caldera, in origine, esclusivamente “insignia de ricos hombres” 143 (tener pendón y caldera significava il diritto di possedere un esercito privato 144) – molto più raramente. 145 Fra le casate di antica nobiltà (Núñez de Lara : Conti di Mayorga ; Manrique : Conti di Castañeda ; Manrique : Conti di Osorno, Duchi di Galisteo ; Benavides : Conti di Santisteban del Puerto ; Guzmán : Conti di Orgaz ; Giron y Pacheco : Conti della Puebla de Montalbán ; Pacheco : Duchi di Escalona ; Guzmán y Zúñiga : Marchesi di Ayamonte ; Benavides : Marchesi di Flomesta ; Herrera : Marchesi di Auñón) che avevano nello scudo le calderas (da due a quattordici !), vi era la casata Calderón (cinque calderas e otto croci di Sant’Andrea), che si era particolarmente illustrata nel XIII secolo. 146 Insomma, lo scudo che si era confezionato Don Rodrigo Calderón mettendo insieme fasce ondulate, croci di Sant’Andrea, leone rampante, fiordalisi, calderas, tutte figure ricorrenti negli stemmi di casate nobiliari del XIII, XIV e XV secolo, 147 era molto pretenzioso e ambizioso – vuol far supporre, in particolare, un legame con i ricoshombres, cioè con la più alta nobiltà medievale, 148 e servizi resi alla Casa Reale di  





















































General a Don Lope Díaz de Haro, en tiempo del Rey don Fernando el Tercero : y assi en memoria de auerse hallado en ella, pusieron por armas las Aspas, que son insignias del glorioso Apostol San Andres”. Cfr. DISCVRSOS | DE LA NOBLEZA | DE ESPAÑA. | Por Bernabe Moreno de Vargas. | Regidor perpetuo de la | Ciudad de Merida. | Coregidos i añadidos por el mismo Autor. | AL ILLVSTRISSIMO SEÑOR | ARZOBISPO, OBISPO DE LA | CIVDAD DEL CVZCO. | En Madrid, en Casa de Maria de Quiñones. | Año de 1636. | A costa de Pedro Garçia de Zodruz, Mercader de Libros (Wien, Österreichische Nationalbibliothek : *44.H.61), fo. 97r-v. La prima edizione dei Discursos è del 1622 (Madrid : Biuda de Alonso Martin). Dopo l’edizione del 1636, della quale è stata fatta una riproduzione (Valladolid : Editorial Lex Nova 1997), l’opera fu pubblicata ancora due volte (Madrid : Ioseph Fernandez de Buendia 1659. – Madrid : Imprenta de A. Espinosa 1795). 142   Cfr. Nobleza de Andalucía, que dedicó al Rey Don Felipe II Gonzalo Argote de Molina. Nueva edición ilustrada con unos quinientos grabados intercalados en el texto ; corregida, anotada y precedida de un discurso crítico del Señor Doctor Don Manuel Muñoz y Garnica. Jaén : Francisco López Vizcaíno 1866 (Ed. facs. Jaén : Riquelme y Vargas Ediciones 1991. – 1.ª ed. Sevilla : Fernando Díaz 1588), p. 120, p. 133, p. 148, p. 153, p. 193, pp. 200-201, p. 205, p. 208, p. 212, pp. 216-217, p. 221, pp. 224-225, p. 229, pp. 236-237, pp. 240-241, p. 244, p. 249, p. 252, pp. 256-257, p. 260, ecc. 143   Gonzalo Argote de Molina : Nobleza de Andalucía, p. 110, p. 343.. 144   “PENDON Y CALDERA. Privilegio que daban los Reyes à los Ricos-hombres de Castilla, quando venían en su socorro con sus gentes à la guerra, que era traher como divisa suya un pendón ò estandarte, en señal de que podian levantar gente, y la caldera era insignia de que la mantenian à su costa” (Diccionario de Autoridades. Tomo V, p. 203). 145   Cfr. Nobleza de Andalucía, p. 121, p. 144, p. 148, pp. 224-225, p. 281, p. 308, p. 432, p. 435, p. 438, p. 444, p. 461, p. 528, p. 656, pp. 672-673. – NOBILIARIO | GENEALOGICO | DE LOS REYES | Y TITVLOS DE ESPAÑA. | DIRIGIDO A LA MAGESTAD DEL REY | Don Felipe Quarto nuestro señor. | COMPVESTO POR ALONSO LOPEZ | de Haro, criado de su Magestad, y Ministro en su Real | Consejo de las Ordenes. | [Scudo di Filippo IV] | CON PRIVILEGIO. | En Madrid por Luis Sanchez Impressor Real. | [Linea tipografica] | Año M.DC.XXII. (Madrid, Biblioteca Nacional : R 38.792), p. 90, p. 92, p. 176, p. 320, p. 541. – SEGVNDA | PARTE DEL | NOBILIARIO GENEALOGICO | DE LOS REYES | Y TITVLOS | DE ESPAÑA. | DIRIGIDO A LA MAGESTAD DEL REY | don Felipe Quarto deste nombre. | COMPVESTO POR ALONSO LOPEZ DE | Haro, criado de su Magestad, y Ministro en su Real | Consejo de las Ordenes. | Año [Scudo di Filippo IV] 1622 | CON PRIVILEGIO. | [Linea tipografica] | EN MADRID, Por la viuda de Fernando Correa de Montenegro. (Madrid, Biblioteca Nacional : R 38.793), p. 174, p. 179, p. 285, p. 383, p. 427, p. 487. 146   Cfr. Gonzalo Argote de Molina : Nobleza de Andalucía, p. 158 e p. 308. 147   Cfr. Martín de Riquer : Heráldica castellana en tiempos de los Reyes Católicos, pp. 99-106, pp. 134-136, pp. 168-179, pp. 199-202, pp. 211-213, pp. 377-403. 148   Sulla rica-hombría cfr. Salvador de Moxó : De la nobleza vieja a la nobleza nueva. La transformación nobiliaria castellana en la baja Edad Media. In : Cuadernos de Historia. Anexos de la revista Hispania. Vol. III. Madrid : Instituto Jerónimo Zurita, C. S. I. C. 1969, pp. 1-210. Las Siete Partidas definiscono cosí i ricoshombres : “RIcos omes segund costumbre de España, son llamados los que en las otras tierras dizen, condes, o barones” (Quarta Partida, Título XXV, Ley X ). Nelle fonti latine le denominazioni abituali per i grandi signori erano : principes, duces, comites, potestates terrae, optimates, proceres, magnates. A partire dal 1179 appare la denominazione richi-homines. La denominazione ricos-omes o ricos-hombres (= hombres poderosos) appare per la prima volta in  







































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Francia ! 149 –, non modesto come avevamo pensato in un primo momento, ignorando l’originario significato araldico della caldera, che poi abbiamo trovato illustrato, oltre che nella Nobleza de Andalucía, nella Politica para Corregidores y Señores de Vassallos (1597) di Jerónimo Castillo de Bobadilla, 150 nei Discursos de la nobleza de España, 151 nel Tesoro de la Lengua Castellana 152 e nella Heráldica Castellana di Martín de Riquer. 153    









c1) Incompatibilità della tesi di Marcel Bataillon con il contenuto ‘ideologico’ dell’opera La funzione di propaganda pro-calderoniana della Pícara Justina messa in rilievo da Marcel Bataillon attraverso l’analisi del frontespizio e della dedica appare – a prima vista – tanto evidente, quanto incontestabile. Altrettanto evidente ed incontestabile è però la contraddizione esistente fra questa funzione di propaganda pro-calderoniana dell’opera e il suo contenuto ‘ideologico’. La Pícara Justina è un’opera che deride costantemente l’aspirazione alla nobilitazione dei parvenus, smaschera la pratica diffusissima della falsificazione delle genealogie 154 e  

Navarra, nel Fuero de Miranda de Arga concesso da Sancho VI el Sabio nel 1162. Cfr. Ángela García Rives : Clases sociales en León y Castilla (Siglos X-XIII). In : Revista de Archivos, Bibliotecas y Museos. Tercera época. Año XXIV, Tomo XLI, Enero a Dicembre de 1920. Madrid 1921, pp. 233-252, pp. 372-393 ; qui pp. 372-379. – Luis de Valdeavellano : Curso de historia de las Instituciones españolas. De los orígenes al final de la Edad Media. Segunda edición corregida y aumentada. Madrid : Ediciones de la Revista de Occidente 1970, p. 319. Sui ricohombres cfr. inoltre Carlos Estepa Díez : Las behetrías castellanas. I, pp. 271-321. 149   “[...] las Flordelises, que muchos en España traen en sus escudos, [...] procedieron de mercedes, y gracias que los Reyes de Francia hizieron à algunos Españoles que valerosamente les siruieron, ò por otra causa procedida de la misma Casa Real de Francia, adonde es antiquíssima esta diuisa”. Cfr. Bernabé Moreno de Vargas : Discursos de la nobleza de España. Madrid 1636, fo. 100v. 150   Jerónimo Castillo de Bobadilla, dopo aver spiegato che “en Castilla Ricos omes se han llamado los que el dia de oy tienen calidad de Grandes en España, y son despues del Rey los mas principales”, scrive che “pendon y caldera no se dava sino al que fuesse rico hombre” e che “el pendon significava el poder hazer gente, y la caldera el poder mantenerla”. Cfr. Jerónimo Castillo de Bobadilla : Politica para Corregidores y Señores de Vassallos, en tiempo de paz, y de guerra. Tomo primero. En Amberes, En casa de Juan Bautista Verdussen, Impressor y Mercader de Libros, 1704 [1ª ed. 1597]. Con gracia y Privilegio (Edición facsimil. Editada por el Instituto de Estudios de Administración Local. Madrid, 1978), Lib. II, Cap. XVI, num. 37, pp. 453-454. 151   “Las calderas que ponen los Manriques de Lara, Pachecos, y otros Caualleros de Castilla, en sus escudos de armas tuuieron origen del pendon, y caldera, insignias que los Reyes dauan à los Caualleros, que querían hazer Ricoshombres, y Grandes del Reino [...] : y estos linages traen la diuisa de calderas, en memoria de que aquellos de donde vienen fueron de los antiguos Ricoshombres de pendon, y caldera” (Bernabé Moreno de Vargas : Discursos de la nobleza de España. Madrid 1636, fo. 98v). Nella Dorotea (II, 6) di Lope de Vega si trova questo dialogo : “GERARDA : [...] montañés será tu marido. – CELIA : ¿Cosa que sea destos que venden agua ? – GERARDA : Pues qué querías ? ¿Que tuviese solar, pendón y caldera ?” (Lope de Vega : Prosa, II. Madrid : Biblioteca Castro 1998, p. 653). 152   “Antiguamente concedían en España los reyes a los ricos hombres que les acompañaban y servían en la guerra, pendón y caldera ; con el pendón acaudillaban los suyos, y la caldera servía de cocerles la comida, y ésta era muy gran honra y particular” (Covarrubias Orozco : Tesoro de la Lengua Castellana, « Caldera », p. 235). 153   Martín de Riquer : Heráldica castellana en tiempos de los Reyes Católicos, pp. 211-213 (si veda inoltre la tavola 14, nro. 9 delle « Ilustraciones »). 154   Enrique Soria Mesa, il più profondo e il più dotto studioso del vastissimo fenomeno della falsificazione delle genealogie, praticata dai parvenus, scrive : “La Genealogía ... se convirtió en una de las principales palancas del ascenso social. No por que lo provocara, sino porque lo justificó. Sirvió para ocultar las trayectorias de los recién llegados, para extender un velo acerca de los ínfimos orígenes de muchos de los triunfadores que ingresaban en el sistema por la puerta grande. La Genealogía fue una realidad cotidiana en la España del Antiguo Régimen, mucho más de lo que se puede pensar a simple vista. Y en buena parte lo fue porque cumplía una función social que nosotros, alejados de los patrones culturales que sustentaban esa época, hemos ignorado por completo. No fue casual, en modo alguno, que se convirtiera en una de las claves culturales del momento ; su valor era enorme.” Cfr. Enrique Soria Mesa : Genealogía y poder. Invención de la memoria y ascenso social en la España moderna. In : Estudis 30 (2004), 21-55 ; qui p. 22.  





























































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celebra la sincerità della protagonista che è animata sí dall’ansia di elevarsi socialmente, di divenire hidalga (per “salir de la nada”, dichiara la stessa Justina, “en que me crie” 155), ma non vuole occultare – come facevano gli arrivisti e gli ‘uomini nuovi’ dominati dallo stesso afán de medro – le “macchie” del suo lignaggio e della sua persona, 156 anzi ostenta la sua genealogia infame e la sua ascendenza ebraica 157 e si dichiara esplicitamente “con 





155   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO QVARTO DE LA PICARA NOBIA. CAPITVLO QVARTO DE LAS obligaciones de amor », p. 34. 156   “Mas entended, que no pretendo (como otros historiadores) manchar el papel, con borrones de mentiras, para por este camino, cubrir las manchas de mi linage y persona. Antes pienso, pintarme tal qual soy, que tambien se vende vna pintura fea (si es con arte) como vna muy hermosa y bella. [...] No quiero (pluma mia) que vuestras manchas, cubran las de mi vida, que (si es que mi historia ha de ser retrato verdadero, sin tener que retratar de lo mentido) siendo picara, es forçoso, pintarme con manchas y mechas, picò y picote, venta, y monte, a vso de la mandilandinga” (Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « INTRODVCCION GENERAL, PARA TODOS los tomos y libros. Escrita de mano de Iustina. Intitulada la Melindrosa Escriuana. DIVIDESE ESTA INTRODVCCION en tres numeros. Numero primero, Del melindre al pelo de la pluma », pp. 3-4). – “Mas que hago ? Historia de linaje, (y linaje proprio) he de escriuir ? Quien creera que no he de decir mas mentiras que letras ? Que si el pintar (que es poco mas que acaso) es al tanto del querer, el hazerse vno honrado (que es cosa tan pretendida) quien abra que no lo ajuste con su gusto, aunque sea necessario desbastar la verdad, para que venga al justo ?” (Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO PRIMERO, INTITVLADO LA PICARA Montañesa. CAPITVLO SEGVNDO DEL abolengo alegre. Numero Primero. Del abolengo parlero », p. 54.) 157   Gli ascendenti di Justina non solo esercitano mestieri bassi, ma sono anche ladri, borsaioli, bari, imbroglioni, ruffiani. Come ha scritto Pablo Javier Ronquillo (Hacia una definición de la pícara del siglo XVII en España. Phil. Diss. The Louisiana State University 1970, p. 36), sono “individuos semicriminales que salen todos del hampa española”. E tutti sono di origine ebraica. Il nonno paterno era “suplicacionero” (barquillero) –, ma più che cialdonaio ambulante era baro (“le llamauan por mal nombre, el de Barajas”. – “En los puntos de los naypes, tenia notables cifras, y auia buenos discipulos de cifra”) ; fu affogato da un ruffiano con il quale era venuto a diverbio. Il bisavolo era “titerero”, “gran parlero” e donnaiolo (“dio en aparearse, y agarrarse tanto, a hembras, que despues de auerle comido los dineros, vestidos, mulos, titeres, y retablo, le comieron la salud y vida, y le dexaron hecho titere, en vn ospital”) ; morì fracassandosi la testa contro una croce di pietra e rivelando così la sua origine conversa (“Quando quiso tomar y morirse, dio en frenetico, y desenfrenose tanto, que vn dia se le antojô, que era toro de titeres, y que las auia con vna cruz de piedra, que auia en el zaguan del hospital : y despues de hechas algunas suertes en su camisa, y en otra de la hospitalera, enuistio con la cruz de piedra, diziendo, A pêra que te aqueno [Espera, que te acuerno]. Y emuiste con mi cruz tan fuertemente, que se quedô alli, al pie de la letra. La espitalera era simple y bonaza, y viendole morir assi dezia. Ay el mi bendito. Al pie de la cruz murio, hablando con ella. Este abuelo nos dexò vn pesar, y es que algunos bellacos, por hazer mal a sus sucessores, nos dizen que nuestro abuelo se mato en la cruz”). Non meno infamante e rivelatrice era stata la morte del “terterabuelo tropelista de masicoral” (Tesoro de villanos : “TROPELISTA : embaucador que comete tropelías para estafar a su víctima”. – Diccionario de germanía : “Masicoral : ladrón de bolsas”), prestidigitatore ladrone e imbroglione sposato ad una “bolteadora” (Tesoro de villanos : “BOLTEADOR : ladrón que sube con garabato”) : morí bruciato dal “sol de Guadalupe ... en la higuera” (l’allusione al rogo della Inquisizione è trasparente : higuera-hoguera). Il riferimento all’origine ebraica degli avi paterni – e di quelli materni ! – è ancor più esplicito alla fine del numero : “De los otros abuelos de parte de padre, no se otra cosa, mas de que eran vn poco mas alla del monte Tabor, y vno se llamô Taborda. Y assi, si no se hallaren en este catalogo, hallarse han en el que hizo el presidente Cirino, que ellos, y los chuçones, estan en vna misma oja. Los parientes de parte de madre, son Christianos, mas conocidos, que no ay niño que no se acuerde de quando se quedaron en España, por amor que tomaron a la tierra, y las muestras que dieron de Christianos, y con que gracia respondian al cura, a quanto les preguntaua. Luego los vesaras las manos” (Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO PRIMERO, INTITVLADO LA PICARA Montañesa. CAPITVLO SEGVNDO DEL abolengo alegre. Numero Primero. Del abolengo parlero », pp. 60-64). Nel numero successivo Justina specifica le professioni degli avi materni : “el padre de mi madre [...] era barbero [...]. Iamas hizo la barba a hombre que le faltasse cuento. [...] Muerto por comedias. Y como muerto ? en Malaga, saliendo a representar la figura de mostoles, cayô vna teja, de vn tejado, que le desmostolô. Mi bisabuelo era mascarero, y aun mas que carero, que era carissimo. Viuia en Plasencia, donde ganô en alquileres, de mascaras, cascaueles, y adereços de farsas, muy buenos reales. En lo que el solia echar mucho clavo, era en la cuenta de los cascaueles que daua a los dançantes, de las aldeas, porque los buenos de los labradores, como venian con gran prisa, de lleuar los vestidos, para ponerse galanes, malcontauanse, porque al lleuar, contauanse a lo sordo, y al traher, contauanse de sorna, y con esto pagauan la cascauelada. Su muger, a ratos perdidos hazia aloja, y por darsela vn dia a su marido, en otro rato perdido, perdio el marido, porque por darsela muy fria de nieue, la aloja le  





















































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fessa” 158 (in una occasione si definisce però christiana vieja ! 159), si gloria di essere “picara de ocho costados”, una picara ab initio, “una picara de amacha martillo”, 160 una “picara  

   



alojò el anima desta vida a la otra [...]. Mi tertarabuelo materno, fue gaitero y tamboritero, vezino de vn lugar de Estremadura ; que llaman Malpaatida [Malpartida] [...]. No auia moça que no gustase de tenerle contento, y ser su parroquiana, teniendo muy en la memoria aquel refran que dize : A ruydo de gaytero erame yo casamentero. No le olgaua miembro. Con la boca hazia el son al bayle y al de el matrimonio con los ojos. [...] Por cierto con mas propriedad le pudieran llamar a mi abuelo muñidor de matrimonios, que tamborilero. [...] Este murio de desgracia. Y fue, que yendo va [vn] dia de Corpus, como capitan, de mas de dozientos tamborileros, que se juntan en Plasencia, a tamborilar la procession, tañendo su flauta, y tamborino, bien deuoto, (a lo menos bien descuydado de lo que podia succeder) succedio, que andaua de bardança en la procession, vn hidalguete, de los de la casa de doña Nufla, el qual (de pesadumbre, que mi viejo le auia desentablado vna amistad de vna diezyochena, para acensuarla a otro parroquiano suyo, por dos años, o como la su merced fuesse) viendole descuydado, le dio vna gran puñada en la hondonada de la flauta, y atestosela en el garguero. Deuia de tener el pasapan estrecho, y atorò la gayta, como si se la huuieran encolado con las vias del garguelo. Y lo peor fue, que al entrar se lleuò de man comun, tras si, los dientes, que encontrô en el camino, como si la gayta no supiera entrar sin aposentadores. Esta fue gayta, esta fue cuña, esta fue diablo de Palermo, que nunca quiso salir, hasta que de vn estirijon se la saco de el cuerpo vn tabernero, pareciendole que lo mismo era sacar vna gayta de aquel cuerpo, que sacar vn embudo de vn quero empegado. Y tambien, como mas amigo, quiso ser verdugo, en trance semejante. En fin de aquel embion saliô la gayta, y junto a ella rebuelta aquella animita, saltadera trotadera, brincadera, bayladera, sotadera, que parecia vn azogue, Murio en su officio, y su officio murio en el...” (« LIBRO PRIMERO, INTITVLADO LA PICARA Montañesa. CAPITVLO SEGVNDO DEL abolengo alegre. NVMERO SEGVNDO DEL Abolengo festiuo », pp. 67-70). I genitori di Justina scelsero il mestiere di “mesoneros”. Entrambi erano ladri (“mis padres no sabian otros giroblificos, sino jacarandina, ni otras sciencias, sino conjugar a rapio rapis, por meus, mea, meum.”) ; la madre era, oltre che ladra, prostituta e mezzana (“otra Celestina”), che prostituiva le proprie figlie. Cfr. Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO PRIMERO, INTITVLADO LA PICARA Montañesa. CAPITVLO SEGVNDO [TERCERO !] DE LA vida de el meson. Numero primero. De el mesonero consejero », p. 74 ; « NVMERO SEGVNDO DE LA Mesonera Astuta », p. 92 [90 !]), p. 87 [85 !]. I dati bibliografici completi dei dizionari del gergo della malavita sopra citati sono questi : César Hernández Alonso – Beatriz Sanz Alonso : Diccionario de germanía (= Biblioteca Románica Hispánica. V. Diccionarios, 24). Madrid : Gredos 2002, pp. 339-340. – María Inés Chamorro : Tesoro de villanos. Lengua de jacarandina : rufos, mandiles, galloferos, viltrotonas, zurrapas, carcaveras, murcios, floraineros y otras gentes de la carda. Barcelona : Herder 2002. 158   “Y confiesso (si ya por tanto confessar no me llaman confessa) que los pelos que de ordinario traygo...” (Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « INTRODVCCION GENERAL, PARA TODOS los tomos y libros. Numero primero, Del melindre al pelo de la pluma », p. 5). Successivamente Justina fa un altro riferimento esplicito alla sua origine ebraica : “Yo estaua recostada en el suelo, a la vsança de los combites de los Hebreos (y no me faltaua razon)...” (« LIBRO SEGVNDO INTITVLADO LA PICARA Romera. En que se trata la jornada de Arenillas. CAPITVLO PRIMERO, de la Romera Baylona. NVMERO TERCERO DEL Conuite alegre, y triste », p. 132). Ancora molto più avanti Justina scrive : “temia, que en cogiendo la [la vieja morisca] el menor real, me auia de espantar como el Cid al judiguelo, que le tiro de la barba estando muerto, no lo digo por la semejança, que con el Cid tenia en lo bueno, sino por la que yo tenia con el judiguelo” (« LIBRO TERCERO DE LA PICARA PLEYTISTA. Capitulo quarto, de la heredera inserta », p. 216). Jonas Andries van Praag, che ritenne, con ragione, di essere stato il primo studioso ad aver notato che gran parte dei picari e delle picare erano “de raza no aria”, scrisse che Justina “es hija de un cristiano nuevo (morisco, por más señas) y de una alcahueta”. Cfr. Jonas Andries van Praag : La pícara en la literatura española. In : The Spanish Review, New York, 3 (1936), 63-74 ; qui p. 66. Come abbiamo visto, tutti gli avi di Justina sono di origine ebraica. Solo per essersi spacciata per nipote della “vieja morisca” assume Justina una fittizia identità di conversa di origine araba. 159   Nella lettera a Marcos Méndez Pavón, Justina, che ripetutamente schernisce il fullero come giudeo, scrive : “Aora bien, vnas buenas nueuas le quiero dar, [y] son que los Christianos viejos le damos licencia, para que pueda traer al cuello vna cruz de palo...” (Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO DE la Picara Romera. Capitulo III. De las dos cartas graciosas », p. 68). 160   “Ea Iustina, ya que no quieren veros nacer monda y redonda, sino que vays con rayzes y todo, para que adonde quiera que os planten deys fruto, dezid vuestra prosapia, vean que soys picara de ocho costados, y no como otros, que son picaros, de quien te me enojô Isabel, que al menor repiquete de broquel, se meten a ganapanes. Vna gente que en no hallando a quien seruir, catale picaro, y puesto en el oficio, viue forçado, y anda triste contra todo orden de picardia. Yo mostrarê como soy picara desde labinicion (como dizen los de las gallaruças.) Soy picara de a macha martillo” (Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo  

































































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bien apicarada”, 161 e proclama il principio deterministico della ereditarietà biologica (“la picardia es herencia”. 162 – “Las hija[s] heredan de los padres, todo quanto en ellos ay.” 163 – “Qual el arbol, tal la fru[ta], / Pu[ta], la ma[dre] y pu[ta] la hi[ja]” 164), che rende vano il tentativo dei parvenus di trasformare il loro sangue plebeo e ‘macchiato’ in sangue nobile. La Pícara Justina – scritta in un’epoca in cui la genealogia era materia di lettura e di conversazione alla moda negli ambienti della nobiltà e del patriziato 165 – è un’opera che ridicolizza le falsificazioni degli scudi nobiliari 166 (“Abuso de poner armas” – “Con quan poco fundamento se ponen armas” 167) e l’usurpazione dei nomi piú illustri dell’alta nobiltà – come Enríquez, Mendoza, Hurtado, Manrique, Girón, Guzmán, ecc. 168 – (“Los  















1605, « LIBRO PRIMERO, INTITVLADO LA PICARA Montañesa. CAPITVLO SEGVNDO DEL abolengo alegre. Numero Primero. Del abolengo parlero », p. 58). “Quién te me enojó, Ysabel”, è il primo verso di una Cancion en la Germanía molto popolare, raccolta, per la prima volta, nell’edizione del 1557 del Cancionero general (Anvers : Martin Nucio 1557, fo. CCCXCv). Cfr. Cancionero General. Recopilado por Hernando del Castillo (Valencia, 1511). Sale nuevamente a luz reproducido en facsímile por acuerdo de la Real Academia Española con una introducción bibliográfica, índices y apéndices por Antonio Rodríguez-Moñino. Madrid 1958, pp. 75-77. – Margit Frenk : Nuevo Corpus de la antigua lírica popular hispánica (siglos XV a XVII). Volumen I, pp. 323-324. L’espressione è stata registrata da Gonzalo Correas : “Es de los de « ¿Quién te me enojó, Isabel ? ». Por : valiente y arrogante”. Cfr. Gonzalo Correas : Vocabulario de refranes y frases proverbiales. Edición de Louis Combet. Revisada por Robert Jammes y Maïte Mir-Andreu (Nueva Biblioteca de Erudición y Crítica, 19). Madrid : Editorial Castalia 2000., p. 936). 161   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO PRIMERO, INTITVLADO LA PICARA Montañesa. CAPITVLO SEGVNDO DEL abolengo alegre. Numero Primero. Del abolengo parlero », p. 59. 162   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO PRIMERO, INTITVLADO LA PICARA Montañesa. CAPITVLO SEGVNDO DEL abolengo alegre. Numero Primero. Del abolengo parlero », p. 54. 163   La frase costituisce la glossa marginale a queste righe : “TENGO por aueriguada cosa, que los hijos [...] heredamos de nuestros padres los malos originales, y los bienes naturales...” (Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO PRIMERO, INTITVLADO LA PICARA Montañesa. CAPITVLO SEGVNDO DEL abolengo alegre. NVMERO SEGVNDO DEL Abolengo festiuo », p. 65). Poco più avanti si trovano queste affermazioni : “biexo y nueuo, natural y accesorio, todo lo heredan los hijos” (p. 65). – “de los padres, madres, y lechonas (digo de las que nos dan leche) chupamos, a bueltas de la sangre, los humores y costumbres, como si fueramos los hijos espojas [esponjas] de nuestros ascendientes” (p. 65 [66 !]). 164   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO PRIMERO, INTITVLADO LA PICARA Montañesa. CAPITVLO SEGVNDO [TERCERO !] DE LA vida de el meson. NVMERO SEGVNDO DE LA Mesonera Astuta », p. 87 [85 !] (« REDONDILLAS De pies cortados »). Accanto ai versi si trova questa glossa marginale : “Cuenta las costumbres, de la madre de la Picara y dize que tal fue, la hija, como la madre”. Gonzalo Correas (Vocabulario de refranes y frases proverbiales, p. 665) registra il proverbio “Puta la madre, puta la hija, y puta la manta que las cobija”. 165   “Como toda la nobleza, y en especial sus clases más elevadas, el patriciado urbano disfrutaba con la dedicación genealógica. Como nos consta de multitud de testimonios, la lectura de las principales obras dedicadas a este tema fue enormemente frecuente. Y no sólo su lectura, sino su comentario público, objeto de multitud de conversaciones. Los abolengos estaban de moda en una sociedad enferma de honor. En los corros se discutía acerca de las ascendencias propias y ajenas, los linajudos tenían su razón de existir, se mostraban las ejecutorias, se copiaban escudos de armas...”. Cfr. Enrique Soria Mesa : El cambio inmóvil. Transformaciones y permanencias en una élite de poder (Córdoba, SS. XVI-XIX). Córdoba : Ayuntamiento de Córdoba (Ediciones de La Posada. Colección Díaz del Moral) 2000, p. 149. 166   “Nadie ay que tenga licencia para pintar armas en su casa, que no ponga un castillo, y un león. Que para esto, basta ser Castellano, o Leonés” (Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO PRIMERO, INTITVLADO LA PICARA Montañesa. CAPITVLO SEGVNDO DEL abolengo alegre. Numero Primero. Del abolengo parlero », p. 54). 167   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO PRIMERO, INTITVLADO LA PICARA Montañesa. CAPITVLO SEGVNDO DEL abolengo alegre. Numero Primero. Del abolengo parlero », pp. 54-55 (glosse marginali). 168   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO PRIMERO, INTITVLADO LA PICARA Montañesa. CAPITVLO SEGVNDO DEL abolengo alegre. Numero Primero. Del abolengo parlero », p. 58.  











   























































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ridiculos fundamentos que ay para tomar los hombres apellidos honrados”169) e di stemmi di famiglie gentilizie (“Abusos en tomar blasones de linajes”) – usurpazione, questa, commessa specialmente dai picari !170 – ; un’opera che ridicolizza, insomma, tutto quel vasto “proceso de recreación de los orígenes y de invención de un pasado mítico”171 che migliaia e migliaia di famiglie (quasi sempre di modesta, se non addirittura di umilissima origine sociale e, spesso, di sangue ‘macchiato’) poterono attuare grazie alla loro ricchezza e alla fitta rete di relazioni famigliari e clientelari e che fu denunciato con profonda amarezza ed ironia e stigmatizzato con forza già nel Diálogo entre Laín Calvo y Nuño Rasura (1570).172 Eppure una tale opera è stata dedicata ad una persona che per realizzare la propria aspirazione alla nobilitazione affrontò e fece affrontare a membri della sua famiglia, fra il 1604 e il 1611, ben sei inchieste genealogiche ; ad una persona che per conseguire il suo fine falsificò documenti e corruppe testimoni, 173 ad una persona che usurpò il blasone degli Ortega con piú o meno lo stesso procedimento satireggiato nell’aneddoto del sarto “natural de la prouincia de Picardia”, che, diventato ricco, “puso en la portada de su casa, vn muy fanfarron escudo de piedra, y en el, las armas de los Pimenteles”. 174 (A  









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  Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO PRIMERO, INTITVLADO LA PICARA Montañesa. CAPITVLO SEGVNDO DEL abolengo alegre. Numero Primero. Del abolengo parlero », p. 58 (glossa marginale). 170   “Assi que todos se salen con poner las armas que pueden pagar, en especial los que son de la mi prouincia de Picardia” (Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO PRIMERO, INTITVLADO LA PICARA Montañesa. CAPITVLO SEGVNDO DEL abolengo alegre. Numero Primero. Del abolengo parlero », p. 55). 171   Enrique Soria Mesa : Genealogía y poder. Invención de la memoria y ascenso social en la España moderna, p. 52. Cfr. inoltre Enrique Soria Mesa : El cambio inmóvil. Transformaciones y permanencias en una élite de poder (Córdoba, SS. XVI-XIX), pp. 149-158. 172   Ecco quanto vi si legge a proposito della diffusa pratica della usurpazione e falsificazione degli stemmi : “NUÑO. No tienes, amigo, raçon de estar quejoso, ni decir que no está ennoblecida esta ciudad [Burgos], pues no veras cassa, aunque sea del mas pobre mercadercillo y tratante, que no esté llena de armas a la puerta, i blasones antiguos ; i el tener blasones i armas solo es de caualleros y nobles. Porque aqui, en cada casa de ellos allaras i veras con mil labores en piedra blanca de Hontorya mill blasones, flor de lises i cruces, armiños, robles, leones, osos, tigres, lobos, cadenas, vandas, prinelas, uiseras, y espadas en aire combatiendose en llamas de fuego, como las hallo Cipion quando conquisto a Calahorra, segun las antiguas historias ; aqui veras aguilas, cisnes, aspas, penachos, sierpes, lunas, estrellas uajadas de el cielo. Pues agote saber, que aunque andes a toda España, ni por el libro de linaxes, ni en el bezerro, no allaras tantas diferencias de armas, ni blasones ; y esto es tenellos entre nobles y caualleros que los ganaron a hierro de lança y hechos heroicos. LAIN. Es la verdad que no ay ciudad de tantos blassones, y aun hasta las iglesias, vanderas, i dargas, i paueses ; llenos estan templos y tumulos ; pero desengañote, que esos blassones no los ganaron ellos ni sus abuelos a lança y escudo acerado en los Gelues ni Berueria, ni en el tiempo del buen Pelaio y el infame Abila, ni en la batalla de Cueuadonga, ni en el campo de el negro dia contra Muça y Tarif, ni en Malaflor ; sino en Londres, Burdeos, Rochela, Flandes, Brujas, Florençia, Genoua, i de los fardeles i mercançias, tratos y mohatras, que de alla relançan. Llegados aca estienden sus blasones y la cruz, encima Jesus, y alli imbian a sus hijuelos a que se ensaien a pelear i escaramuçar contra el doblon, y aprendelle en la escaramuça de comprar i vender ; i en estos son astutos guerreros mas que nacion del mundo, porque como los mas son de la lei cansada, temen mucho al fuego, y todos hechan al juego de por oros y renuncian las espadas. Y de el despojo de esta guerra veras en un dia de comprar y vender hacerse riquillos, i luego quererse hacer caualleros de el Tuson, y que los llamen caualleros, y a sus hijos y mugeres de Don y Doña tal.” Cfr. Dialogo entre Lain Caluo, i Nuño Rasura, jueces de Castilla i veçinos de Vijueces, sobre el estado de la ciudad de Burgos que al pressente tiene, y antiguamente tuuo. 1570. In : Revue Hispanique 10 (1903), 160-183 ; qui pp. 163-164. 173   Cfr. M. Bataillon : Urganda entre Don Quijote y La Pícara Justina, pp. 55-67. – J. M. Oltra Tomás : La parodia como referente en La Pícara Justina, pp. 54-58. Come sappiamo, la base documentaria di M. Bataillon – ed anche quella di J. M. Oltra Tomás – su Don Rodrigo Calderón e le informaciones genealógicas è costituita dall’ampio lavoro di José Martí y Monsó su Los Calderones y el Monasterio de Nuestra Señora de Portaceli e dai documenti relativi alle informazioni genealogiche lì riprodotti e già da noi elencati. 174   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO PRIMERO, INTITVLADO LA PICARA Montañesa. CAPITVLO SEGVNDO DEL abolengo alegre. Numero Primero. Del abolengo parlero », pp. 54-55.  







































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proposito di queste usurpazioni scriveva Bernabé Moreno de Vargas : “no son pocos los que refieren largas patrañas del origen de sus armas, y principio de sus apellidos, como lo vemos en los libros manuscritos desta materia, à quienes han seguido algunos Autores, que han impresso, oluidandose vnos y otros delos principios generales y ciertos, que en las historias verdaderas se hallan.” 175) Strane incongruenze sembrano queste. Ed egualmente strana è la menzione che si fa, nella dedica, alla “clara sangre de los nobilissimos caualleros Sandelines, Olandeses, progenitores de v.[uestra] m.[erced]”. 176 Infatti lo scoglio forse maggiore per la certificazione della purezza di sangue di Don Rodrigo era costituito proprio dalla sua famiglia materna, i Sandelín, che – come tutti sapevano – non erano nobilissimi cavalieri, ma appartenevano alla borghesia commerciale di Anversa. 177 Sorprendente è pure la celebrazione della “rara clemencia, y mansedumbre” del dedicatario, 178 quando era notissimo che era uomo vendicativo, arrogante e orgoglioso sino al delirio, crudele e sanguinario. 179 Anche gli attacchi contro l’Ordine di Santiago, pervertitosi in una istituzione “para enseñar a trepar” 180 – in istrumento, insomma, per ascendere nella scala di status sociale, usato dagli spregiudicati arrivisti, che consideravano l’hábito di cavaliere dell’Ordine un mezzo efficace per introdursi nella aristocrazia e per far carriera 181 –, e i suoi mem 















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  Bernabé Moreno de Vargas : Discursos de la nobleza de España. Madrid : 1636, fo. 3v (« PROLOGO »).   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, fo. [A 4r]. 177   In una lettera del 1° agosto 1618 a Don Luis Fernández de Córdoba Cardona y Aragón, V Duca di Sessa, Lope de Vega ricorda con scherno l’avo materno di Don Rodrigo Calderón (nominato da Felipe III Conde de la Oliva nel 1613 e Marqués de Siete Iglesias nel 1614) : “Artus Sandalon, burgomaestre de Santerdam, aguelo de Siete Iglessias” (Epistolario de Lope de Vega Carpio, que por acuerdo de la Real Academia Española pública Agustín G. De Amezúa. IV. Madrid : Artes Gráficas « Aldus » 1943, p. 18). Già in una lettera del 30 aprile 1610 al Duca di Sessa, Lope de Vega aveva fatto una maligna allusione al ‘sangue’ di Don Rodrigo Calderón : “el señor grande puede hazer (como deçia una muger que conoçi) los menudos, pero no dar la sangre, y assi vemos que lo más ocupa la cebolla y anda la villa a bueltas del olor de las espeçias : ¡qué cruel comparacion !” (Epistolario de Lope de Vega Carpio, que por acuerdo de la Real Academia Española pública Agustín G. De Amezúa. III. Madrid : Artes Gráficas « Aldus » 1941, p. 19). Sull’origine poco ‘pura’ di Don Rodrigo scrisse una Letrilla satírica Góngora (“Hijo de una pobre fuente, | nieto de una dura peña, | a dos pasos los desdeña | tu mal nacida corriente…”). Cfr. Luis de Góngora : Letrillas. Edición, introducción y notas de Robert Jammes. Madrid : Clásicos Castalia 1980, pp. 102-104 (XX : « Contra un privado »). 178   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, fo. [A 4r]. 179   Cfr. Quevedo : Grandes anales de quince días (1621). In : Don Francisco de Quevedo : Obras completas. Estudio preliminar, edición y notas de Felicidad Buendía. Obras en prosas. Madrid : Aguilar 1979, pp. 816-855 ; qui pp. 835-843. – Cfr. ora anche la nuova edizione del testo in : Francisco de Quevedo : Obras completas en prosa. Volumen tercero. Dirección de Alfonso Rey (= Nueva Biblioteca de Erudición y Crítica, 24). Madrid : Castalia 2005, pp. 57-115 ; qui pp. 88-101. 180   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « TERCERA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO : De la Picara Romera. Capitulo primero. De la mirona gustosa. Numero primero. De la Mirona fisgante », p. 121. Sia che trepar significhi “voltear”, come ritiene il Tesoro de la lengua castellana (p. 935), sia che significhi “subir à algun lugar alto, áspero, ù dificultoso, valiendose, y ayudandose de los pies, y las manos”, come ritiene il Diccionario de Autoridades (Tomo VI, p. 350), è scoperto l’attacco a coloro che con tutti i mezzi – volteggiando, o arrampicandosi – tentavano di elevarsi e salire nella scala di status sociale. Nel romance satirico Trepan los gitanos, composto a Valladolid nel 1603, Góngora rappresenta come zingari volteggiatori i cortigiani, opportunisti ipocriti pronti a fare mille piroette, avidi di onori e di denaro : “Trepan los gitanos | y bailan ellas : | otro nudo a la bolsa | mientras que trepan. | Gitanos de corte, | que sobre su rueda | les mostró Fortuna, | a dar muchas vueltas, | si en un costal otros | han dado cien trepas, | en un zurrón estos | darán cuatrocientas. | …”. Cfr. Luis de Góngora : Romances. I. Edición crítica de Antonio Carreira. Barcelona : Quaderns Crema 1998, pp. 133-145. 181   Effettivamente, dopo la incorporazione dei Maestrazgos nella Corona, l’Ordine di Santiago e gli altri Ordini Militari avevano perduto progressivamente la loro originaria funzione militare e subito una profonda trasformazione. Le commende e le insegne di cavaliere degli Ordini Militari il monarca le concede ormai per ricompensare servizi (finanziari, burocratici, militari) resigli per rafforzare il suo potere politico, per raccogliere denaro. Cfr. José Ignacio Ruiz Rodríguez : Organización política y económica de la Orden de Santiago en el siglo XVII (Los hombres, la economía y las instituciones en el Campo de Montiel). Ciudad Real : Diputación de  

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bri, 182 sembrano davvero fuori luogo in un’opera che fosse di propaganda a favore di Don Rodrigo Calderón e che avesse il fine di legittimare le sue aspirazioni nobiliari. Notoriamente, infatti, il favorito del Duca di Lerma faceva di tutto per ottenere un hábito di un Ordine Militare per vari membri della sua famiglia e, in particolare, quello dell’Ordine di Santiago per sé. (Lo otterrà solo nel dicembre del 1611 e sarà una distinzione ardentissimamente desiderata, 183 perché avrebbe posto fine, come scrive Marcel Bataillon, “a toda posible controversia sobre la « limpieza » de su ascendencia” e costituito la “base para hacerse otorgar un título nobiliario”. 184) Inopportuno (in un’opera di propaganda calderoniana, naturalmente) è, senz’altro, anche il ricordare che “en materia de linajes, ay tantas opiniones como mezclas” 185 e che le numerosissime mescolanze di sangue, cioè i matrimoni di nobili cristianos viejos con donne appartenenti a famiglie di convertiti ricchi, erano state causate dalla avidità di denaro. 186 Non meno inopportuna è la riproduzione delle calderetas, che ornano lo scudo di Don Rodrigo Calderón, nella cornice dell’incisione « LA NAVE DE LA VIDA PICARA ». In questa cornice sono raffigurati, infatti, i vari ‘attrezzi’ (carte da gioco, dadi, strumenti musicali) e utensili di cucina (bicchieri, brocche, imbuti) che formano « EL AXVAR DE LA VIDA PICARESCA ». 187 Con il lenzuolo di Rouen (Ruán) 188 – len 

























Ciudad Real 1993, pp. 17-18 e 163-166. – Martine Lambert-Gorges : L’apport des Ordres Militaires à la construction de l’État Moderne dans l’Espagne des XVe-XVIIe siècles. In : Las Órdenes Militares en la Península Ibérica. Volumen II. Edad Moderna. Coordinador : Jerónimo López-Salazar Pérez. Cuenca : Ediciones de la Universidad de Castilla-La Mancha – Cortes de Castilla-La Mancha 2000, pp. 1665-1702. – José Ignacio Ruiz Rodríguez : Órdenes Militares, Administración y Corona en la época de los Austrias. In : Las Órdenes Militares en la Península Ibérica. Volumen II. Edad Moderna. Coordinador : Jerónimo López-Salazar Pérez. Cuenca : Ediciones de la Universidad de Castilla-La Mancha – Cortes de Castilla-La Mancha 2000, pp. 1703-1717. 182   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « TERCERA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO : De la Picara Romera. Capitulo primero. De la mirona gustosa. Numero primero. De la Mirona fisgante », pp. 119-123. 183   Matías de Novoa scrive che Don Rodrigo desiderò “el hábito de Santiago […] más que ninguna cosa desto mundo”. Cfr. Memorias de Matías de Novoa, Ayuda de Cámara de Felipe IV. Primera Parte. Hasta ahora conocida bajo el título de Historia de Felipe III por Bernabé de Vivanco. Publicadas por vez primera por los señores Marqués de Fuensanta del Valle y D. José Sancho Rayon. Con un prólogo del Excmo. Sr. D. Antonio Cánovas del Castillo, individuo de número de las Reales Academias Española y de la Historia y Presidente del Consejo de Ministros. Tomo II. Madrid : Imprenta de Miguel Ginesta 1875, p. 115. 184   M. Bataillon : Urganda entre Don Quijote y La Pícara Justina, p. 55. 185   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO PRIMERO, INTITVLADO LA PICARA Montañesa. CAPITVLO SEGVNDO DEL abolengo alegre. Numero Primero. Del abolengo parlero », p. 56. 186   “[...] la codicia del dinero es mondonguera, y haze morzillas de sangre de toda broza, por ser toda de vn color. Y cierto, que no es de espantar, que aya tantas opiniones de vn linaje, porque despues que en vna casa entran quatro, o cinco mugeres, cada qual de su suerte, como pan de diezmo, o como morzilla rellena, quien atinarâ qual es lo gordo, qual es lo magro, qual es el piñon, o qual es el ajo, o alcarabea” (Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO PRIMERO, INTITVLADO LA PICARA Montañesa. CAPITVLO SEGVNDO DEL abolengo alegre. Numero Primero. Del abolengo parlero », p. 56). Antonio Rey Hazas (la pícara justina. 1. Edición preparada por A. R. H. Madrid : Editora Nacional 1977, I, p. 167) e Bruno Mario Damiani (La pícara Justina. Edición de B. M. D. Madrid : José Porrúa Turanzas 1982, p. 104) scrivono nelle loro edizioni : “con pan de diezmo, o con morzilla rellena”. Julio Puyol y Alonso (La Pícara Justina. Tomo I, p. 75) conserva “como pan de diezmo o como morzilla rellena”. 187   Sono stati Enrique Tierno Galván (Sobre la novela picaresca y otros escritos. Madrid : Tecnos 1974, p. 85 n.) e J. M. Oltra Tomás (La parodia como referente en La Pícara Justina, p. 58) a ravvisare le calderetas fra gli utensili di cucina raffigurati nella cornice. 188   “[Machuca] se vistio vna sauana de ruan mia, la qual yo auia dado a lauar a su madre” (Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO QVARTO DE LA PICARA NOBIA. CAPITVLO SEGVNDO Del pretensor disciplinante », p. 12). Un “andrajo de Ruán”, usato da una prostituta, è menzionato da Quevedo nella Jacarandina nota come La Cuexca de Alcalá (“Estábase el padre Ezquerra…”). Cfr. Francisco de Quevedo : Obra poética. Edición de José Manuel Blecua. III. Madrid : Castalia 1971, pp. 344-347 (nro. 864, v. 90).  

















































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zuolo che non sarebbe stato “purificato” neppure se fosse stato bruciato nel fuoco 189 e che era stato tessuto in un centro commerciale dove si erano notoriamente insediati molti mercanti spagnoli conversos e ‘marrani’ 190 e dove risiedeva anche un ramo della famiglia Aranda 191 –, nel quale si avvolge Machuca, “hidalgo nueuo” 192 pretendente di Justina, l’autore della Pícara Justina fa poi sia una inopportuna e crudele allusione ai roghi inquisitoriali e ai cortigiani che si ‘coprono’ con uno degli hábitos degli Ordini Militari per nascondere la completa mancanza di hidalguía, sia un ancor meno opportuno velato accenno al pluriennale soggiorno nella città francese di María Sandelín, 193 suocera e zia del capitano Francisco Calderón e nonna di Don Rodrigo Calderón. 194 Come si spiegano questi fatti sconcertanti ? A Marcel Bataillon è sfuggita l’evidente contraddizione che esiste fra la dichiarata volontà di rendere omaggio a Don Rodrigo Calderón – con la dedica dell’opera e la riproduzione sul frontespizio del suo (piú che dubbioso) scudo nobiliario – e il concreto contenuto ‘ideologico’ dell’opera, la quale può essere letta, similmente al Buscón, come una invettiva contro gli arrampicatori sociali e contro le usurpazioni di nobiltà e di nomi di nobili stirpi. Eppure lo stesso Marcel Bataillon, che si chiede perché lo scudo sparì dal frontespizio delle successive edizioni della Pícara Justina, 195 mette in relazione l’aneddoto del sarto usurpatore dello scudo dei Pimentel, la famosa casata dei Conti di Benavente, con l’usurpazione dello scudo degli Ortega compiuta da Don Rodrigo, 196 considera la storia della nobilitazione del favorito del Duca di Lerma come “la más sabrosa historia de ennoblecimiento” dell’epoca, epoca in cui “los poetas se burlan de la degradación de los honores”, e paragona, infine, la formula della Pícara Justina sui due unici lignaggi (“tener ... y ... no tener” 197) con i conosciuti versi di Góngora (“Dineros  



















– Francisco de Quevedo : Jácaras (Edition critique). Thèse présentée et soutenue publiquement par Emmanuel Marigno. Directeur de thèse : Madame le Professeur Marie Roig Miranda. Université de Nancy II. Campus Lettres et Sciences Humaines. 2000 (Lille : Atelier national de reproduction des thèses), pp. 331-339 (nro. 15, v. 90). 189   “[...] si se le antoja morir quemado, como suele el Auefenix, no querria me quemase essa sauana de ruan que di a su madre para lauarmela, y como sea verdad, que essa sauana no se corto de la tela del mantel de Plinio, el qual se lauaua y purificaua con el fuego, no querria que pensasse su madre, que quedara lauada mi sauana quemandola el con el fuego que promete” (Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO QVARTO DE LA PICARA NOBIA. CAPITVLO SEGVNDO Del pretensor disciplinante », p. 14). 190   Cfr. Julio Caro Baroja : Los Judíos en la España Moderna y Contemporánea. Tomo I. Madrid : Ediciones ISTMO 1978, pp. 275-276. 191   Cfr. H. Casado Alonso : Las “Castillas fuera de Castilla”. Las colonias castellanas en Europa, p. 111. 192   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO QVARTO DE LA PICARA NOBIA. CAPITVLO SEGVNDO Del pretensor disciplinante », p. 14. 193   Cfr. M. Bataillon : El protector de La Pícara : Don Rodrigo Calderón, antuerpiense, p. 84. 194   Su questa allusione cfr. J. M. Oltra Tomás : La parodia como referente en La Pícara Justina, p. 69 e p. 73. – Francisco Márquez Villanueva : La quinta langosta de ‘La pícara Justina’. In : Boletín de la Real Academia Española 79 (1999), 355-376 ; qui pp. 359-360. Il soggiorno di María Sandelín a Rouen è ricordato da uno dei testimoni delle prove di purezza di sangue sentiti per l’ammissione di Don Rodrigo nella Cofradía di Santa María de Esgueva. Si tratta di Juan Pascual, cavaliere dell’Ordine di Santiago, il quale dichiara che aveva conosciuto “maria sandelin su aguela en la ciudad de Ruan en el reyno de Francia donde vibieron juntos en una cassa mas de dos años” e che “la vio sienpre y hoyo tratar por muger noble ... porque siempre oyo decir a muchos olandeses y flamencos que hera de las mas nobles en calidad y linpieza de aquella probincia”. Cfr. « Pruebas para admitir D. Rodrigo Calderón en la Cofradía del Real Hospital de Nuestra Señora Santa María de Esgueva » (1604). In : J. Martí y Monsó : Los Calderones y el Monasterio de Nuestra Señora de Portaceli. Documentos, pp. 298-299 (Doc. Núm. 3 : « Pruebas para admitir á D. Rodrigo Calderón en la Cofradía del Real Hospital de Nuestra Señora Santa María de Esgueva »). 195   M. Bataillon : Urganda entre Don Quijote y La Pícara Justina, p. 53. 196   M. Bataillon : Urganda entre Don Quijote y La Pícara Justina, p. 61. 197   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO PRIMERO, INTITVLADO LA PICARA Montañesa. CAPITVLO SEGVNDO DEL abolengo alegre. Numero Primero. Del abolengo parlero », p. 56.  





















































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son calidad...”) e di Quevedo (“Poderoso caballero es Don Dinero...”). 198 Lo studioso nota anche che Francisco López de Úbeda dedica il suo libro a Don Rodrigo Calderón proprio “au moment où ce personnage venait de faire une trop facile información de hidalguía et croyait toucher au port de l’anoblissement”, e giudica questa coincidenza come “une ironie du sort” 199 (tale parere contraddice quanto Marcel Bataillon aveva affermato sulla funzione propagandistica pro-calderoniana della Pícara Justina, funzione strategica che poteva essere assolta solo grazie a questa coincidenza, ed è ben poco razionale ; forse la coincidenza è da attribuirsi non ad una ironia della sorte, ma ad una occulta volontà di danneggiare il favorito del Duca di Lerma). Ammette inoltre che il suo “bromear con una insistencia feroz sobre el tema de la impureza de sangre” si sarebbe potuto ritorcere contro il suo protettore, la purezza di sangue della cui ascendenza era tutt’altro che al disopra di ogni sospetto. 200 Non poteva allora essere l’intenzione dell’autore della Pícara Justina quella di schernire e non di celebrare Don Rodrigo, parvenu usurpatore di nobiltà e di blasoni, falsificatore di genealogie ? Se i versi de cabo roto 201 del Don Quijote (“No indiscretos hierogli- / estampes en el escu-”) si riferiscono – come crede Marcel Bataillon, 202 che avanza anche l’ipotesi che questi versi possano essere stati scritti da Gabriel Lasso de la Vega o da Pedro de Medina Medinilla, 203 oppure da qualche altro poeta amico di Cervantes 204 – non a Lope de Vega, 205  



















198   M. Bataillon : Urganda entre Don Quijote y La Pícara Justina, p. 67. Già Juan Rufo aveva dedicato alcuni versi al potere trasformatore del denaro : “Dignidades da el dinero : / Al que es nada hace algo, / Hace al villano hidalgo, / Y al hidalgo caballero, / Pues si el no tener lastima, / Y el tener tanto se estima, / Que grandes suele hacer, / No se debe de tener, / Quien tuviere, en poca estima.” Cfr. Las Seiscientas Apotegmas y otras obras en verso de Juan Rufo, Jurado de Córdoba. (Ed. de Agustín G. de Amezúa.) Publícalas La Sociedad de Bibliófilos Españoles. Madrid 1923, p. 58. 199   M. Bataillon : “La picaresca”. À propos de La pícara Justina, p. 240. 200   M. Bataillon : Urganda entre Don Quijote y La Pícara Justina, p. 74. 201   Su questo tipo di versi cfr. Regula Rohland de Langbehn : Los versos de “cabo roto” en el Quijote y su uso por Francisco López de Úbeda. In : Alicia Parodi, Julia D’Onofrio, Juan Diego Vila (Editores) : El Quijote en Buenos Aires. Lecturas cervantinas en el cuarto centenario. Buenos Aires : Universidad de Buenos Aires 2006, pp. 517-524. 202   M. Bataillon : Relaciones literarias, pp. 224-226. – M. Bataillon : Urganda entre Don Quijote y La Pícara Justina, pp. 67-75. 203   Il Medinilla del Viaje del Parnaso è stato identificato da alcuni studiosi con Baltasar Elisio de Medinilla (cfr. Rodolfo Schevill y Adolfo Bonilla : « Notas » a : Miguel de Cervantes Saavedra : Viage del Parnaso. Madrid : Gráficas Reunidas 1922, p. 153), da altri con Pedro de Medina Medinilla (cfr. Miguel de Cervantes Saavedra : Viaje del Parnaso. Edición crítica y anotada por Francisco Rodríguez Marín. Madrid : Imprenta de C. Bermejo 1935, p. 192 e p. 359. – Miguel de Cervantes Saavedra : Viaje del Parnaso. Edición y comentarios de Miguel Herrero García. Madrid : C.S.I.C. 1983, p. 500). Juan Bautista de Avalle-Arce (Enciclopedia Cervantina. Alcalá de Henares : Centro de Estudios Cervantinos 1997, p. 303) riferisce la prima menzione che Cervantes fa di Medinilla (Viaje del Parnaso II, vv. 196-201) a Pedro de Medina Medinilla, la seconda (Viaje del Parnaso VII, vv. 227-228) a Baltasar Elisio de Medinilla. M. Bataillon (Urganda entre Don Quijote y La Pícara Justina, p. 50 n.) segue Francisco Rodríguez Marín. 204   M. Bataillon : Urganda entre Don Quijote y La Pícara Justina, pp. 76-78. 205   Francisco Rodríguez Marín scrive che i versi di « Urganda la desconocida », premessi alla prima parte del Don Quijote, “están cuajados de alusiones a Lope de Vega” e che “harto ciego será quien no viere por tela de cedazo”. Per quanto riguarda specificatamente gli “indiscretos jeroglíficos”, essi schernirebbero la vanità di Lope de Vega che nell’Arcadia (Madrid : Luis Sánchez 1599), ne La hermosura de Angélica (Madrid : Pedro Madrigal 1602) e ne El peregrino en su patria (Sevilla : Clemente Hidalgo 1604) aveva fatto stampare un suo ritratto (riprodotto ben due volte ne La hermosura de Angélica) inciso su legno e racchiuso in una cornice ovale ornata di un teschio cinto d’alloro e di un blasone con diciannove torri, ostentazione derisa da Góngora in un sonetto (“Por tu vida Lopillo, que me borres / las diez y nueve torres del escudo, / porque, aunque todas son de viento, dudo que tengas viento para tantas torres”). Cfr. Miguel de Cervantes Saavedra : El ingenioso hidalgo Don Quijote de la Mancha. Nueva edición crítica con el comento refundido y mejorado y más de mil notas nuevas. Dispuesta por Francisco Rodríguez Marín. Tomo I. Madrid : Atlas 1947, p. 43 n. e p. 48 n. – Cristóbal Pérez Pastor : Bibliografía Madrileña. Tomos II : 1601-1620. Amsterdam : Gérard Th. van Heusden 1971, pp. 31-34. – José  

































































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ma a Francisco López de Úbeda, 206 questi, allora, con la “divulgación del flamante blasón” 207 avrebbe contribuito, in concreto, non a celebrare, ma ad esporre Don Rodrigo allo scherno (secondo il compianto Maestro fu forse questo il motivo per cui si ritenne prudente eliminare lo scudo dalla edizione di Barcellona 208). Ma uno scrittore che – su posizioni sostanzialmente non dissimili da quelle di Quevedo, 209 il quale in un crudele sonetto invitava, pare proprio Don Rodrigo, a non rivoltare le ossa sepolte e a non moltiplicare le “informaciones” e le “pruebas” per non imbattersi in antenati arsi nei roghi della Inquisizione 210 – deride le mistificazioni genealogiche e le usurpazioni dei simboli di nobiltà compiute dagli arrampicatori sociali, è veramente il “chocarrero adulador” 211 di uno scandaloso parvenu ? Non essendoci noto quasi nulla della vita di Francisco López de Úbeda (ammesso che sia lui, e non Fray Baltasar Navarrete, l’autore della Pícara Justina), non è possibile dare una spiegazione certa alla vistosa contraddizione esistente fra la volontà apologetica espressa nei fogli preliminari dell’opera (scudo, dedica) e il suo contenuto ‘ideologico’. È questa contraddizione frutto di una ingenuità del medico toledano ?212 O Don Rodrigo  















María Micó : Prosas y prisas en 1604 : El Quijote, el Guzmán y la Pícara Justina, p. 835. – Luis de Góngora : Sonetos completos. Edición, introducción y notas de Biruté Ciplijauskaité. Madrid : Castalia 1982, p. 261. 206   La maggior difficoltà che presenta la tesi di Marcel Bataillon è di ordine cronologico. Nel Don Quijote la « Tassa » è datata Valladolid 20 dicembre 1604, il « Testimonio de las Erratas » Alcalá 1.° dicembre 1604, la licenza di stampa e il ‘privilegio’ Valladolid 26 settembre 1604. L’opera di Cervantes fu pubblicata secondo Pérez Pastor nei primi giorni del gennaio 1605 (secondo R. M. Flores la sua stampa non poteva essere stata ultimata prima del 1.° dicembre o prima del 20 dicembre 1604). La Pícara Justina, il cui « Privilegio Real » è datato 22 agosto 1604, uscí – come sappiamo – dopo il 18 aprile del 1605. Come poteva Cervantes conoscerne il frontespizio ? (Cfr. Miguel de Cervantes : Don Quijote de la Mancha. Facsímil de la primera edición. Tomo I. Madrid : Real Academia Española 1976, fo. 2r - 3v. – Cristóbal Pérez Pastor : Bibliografía Madrileña. Tomos II : 1601-1620, pp. 84-85. – R. M. Flores : The Compositors of the first and second Madrid Editions of Don Quixote, Part I. London : The Modern Humanities Research Association 1975, p. 2. – Javier Salazar Rincón : El escritor y su entorno. Cervantes y la Corte de Valladolid en 1605, p. 275 – José María Micó : Prosas y prisas en 1604 : El Quijote, el Guzmán y la Pícara Justina, p. 835). Vi è inoltre da considerare un altro problema. L’attacco di Cervantes sarebbe stato rivolto solo apparentemente contro l’autore della Pícara Justina. In realtà il vero bersaglio dello scherno sarebbe stato il favorito del Duca di Lerma. Poteva Cervantes permettersi il lusso di un cosí pericoloso attacco ? E quali motivi l’avrebbero spinto a questa azione rischiosa ? Una cosa era una faida puramente letteraria fra scrittori, un’altra un attacco contro chi, in quel momento, era il privado di chi deteneva il potere politico. 207   M. Bataillon : Relaciones literarias, p. 225. 208   M. Bataillon : Urganda entre Don Quijote y La Pícara Justina, p. 68. 209   Alcuni punti della affinità ‘ideologica’ esistente fra il Buscón e la Pícara Justina sono stati messi in rilievo da José Antonio Maravall : La literatura picaresca desde la historia social (Siglos XVI y XVII), pp. 290-291. Importante punto in comune fra gli autori delle due opere è anche la denuncia del potere del denaro, che costituisce “un tema fondamentale” della Pícara Justina, come ha giustamente messo in rilievo Loreta Rovatti (Sul picarismo de La Pícara Justina. In : Il picaro nella cultura europea. A cura di Italo Michele Battafarano e Pietro Taravacci. Gardolo di Trento : Luigi Reverdito Editore 1989, pp. 141-172 ; qui p. 165). 210   “Solar y ejecutoria de tu abuelo / es la ignorada antigüedad sin dolo ; [...] / No revuelvas los huesos sepultados ; / que hallarás más gusanos que blasones, / en testigos de nuevo examinados. / Que de multiplicar informaciones, / puedes temer multiplicar quemados, / y con las mismas pruebas, Faetones.” (Francisco de Quevedo : Obra poética. Edición de José Manuel Blecua. I. Madrid : Castalia 1969, p. 213.) Il sonetto è stato incluso da Antonio Pérez Gómez in appendice al suo Romancero de Don Rodrigo Calderón (Valencia 1955, p. 127). Marcel Bataillon (Urganda entre Don Quijote y La Pícara Justina, p. 57 n.) considera verosimile l’ipotesi che il sonetto di Quevedo sia diretto contro Don Rodrigo. 211   M. Bataillon : Relaciones literarias, p. 225. 212   Commentando l’espressione “no hay sino solo dos linajes : el uno se llama el tener, y el otro no tener”, Hans Gerd Rötzer scrive : “Dies verstehe ich zum einen als chiffrierte Aufforderung des Autors an seinen Gönner, sich nicht weiter dem tradierten Vorurteil zu unterwerfen, daß die Blutreinheit über die gesellschaftliche Reputation des einzelnen bestimme ; zum anderen ist es eine Wiederaufnahme der Behauptung von Alemán, daß gegen Ende des 16. Jahrhunderts in Wirklichkeit nur noch die finanzielle Solvenz den sozialen Status bestimmte, aber nicht mehr die pureza de sangre – sie bestand als bloßes ideologisches Schutzprivileg der Orthodoxen gegen die überlegenen conversos weiter.” L’autore della Pícara Justina sarebbe stato veramente uno sprovveduto se avesse voluto esortare a superare il tradizionale pregiudizio sulla purezza di sangue proprio  







































































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cadde in una ‘trappola’ tesa dai suoi nemici ? Fu vittima di una ‘congiura’ ordita per ordine o con la complicità di qualche rappresentante dell’alta aristocrazia ? La riproduzione dello scudo e la dedica avrebbero una funzione diversa da quella apparente ? Alluderebbe lo scudo all’usurpazione araldica commessa dal favorito del favorito ? Schernirebbe la dedica, a prima vista devota e adulatoria, in realtà sanguinosamente Don Rodrigo, notoriamente né hidalgo – e tantomeno discendente di “nobilissimos caualleros” –, né di “clara sangre” ?  









c2) La Pícara Justina un attentato letterario contro il favorito del favorito ? I nemici del Duca di Lerma e di Don Rodrigo Calderón  

Marcel Bataillon stesso, che non doveva essere convinto completamente della sua tesi di fondo e che nel saggio sul protettore della Pícara Justina aveva definito l’opera “libro canallesco”, 213 fa notare come la epistola dedicatoria, che occupa una sola pagina, possa essere stata aggiunta (come anche lo scudo) all’ultimo momento, ultimata la stampa del romanzo. Non sarebbe quindi da escludersi che solo allora l’autore della Pícara Justina avesse cercato (o finto di cercare) la protezione del favorito del Duca di Lerma. Era al servizio di qualche altro signore ? 214 Questa ipotesi sarebbe resa plausibile da quel già ricordato riferimento a Pérez de Guzmán el Bueno che si trova verso la fine della « Introdvccion General » (“Solo os pido, que si llegare vn Perez de Guzman el bueno, os rindays a su grandeza…”) 215 e che costituisce sicuramente – afferma Marcel Bataillon – “un homenaje a la familia ducal de Medina Sidonia” 216 (nel 1605 era Duca di Medina Sidonia Don Alonso Pérez de Guzmán el Bueno, 217 Capitán General del mar Océano dal 1595 ; 218 suo figlio, Don Juan Manuel Pérez de Guzmán el Bueno, X Conte di Niebla, dal 1603 General de las Galeras de España, 219 era genero del Duca di Lerma, avendone sposato la figlia, D. Juana de Sandoval, nel 1598, 220 e sarà VIII Duca di Medina Sidonia alla morte del padre, avvenuta nel 1615). L’illustre studioso richiama inoltre l’attenzione sulle due allusioni di Justina “al Almi 















   





colui che tutto faceva per dimostrare di possedere questa qualità. La sua esortazione avrebbe avuto inoltre il significato di una dichiarazione – pari ad una accusa – che Don Rodrigo era ‘impuro’. Cfr. Hans Gerd Rötzer : “Novela picaresca” und “Schelmenroman”. Ein Vergleich. In : Literatur und Gesellschaft im deutschen Barock. Aufsätze (GRM-Beiheft 1). Heidelberg : Winter 1979, pp. 30-76 ; qui pp 47-48. 213   M. Bataillon : El protector de La Pícara : Don Rodrigo Calderón, antuerpiense (1959), p. 87. 214   Nel saggio intitolato Una visión burlesca de los monumentos de León en 1602 (p. 105) Marcel Bataillon scrive che Francisco López de Úbeda aveva partecipato al viaggio alla città di León, intrapreso da Filippo III nel gennaio del 1602, “formando parte del séquito de Don Rodrigo Calderón, o del de algún otro gran señor”. 215   Libro de entretenimiento, de la Picara Ivstina. Medina del Campo 1605, pp. 31-32. 216   M. Bataillon : Urganda entre Don Quijote y La Pícara Justina, p. 75. 217   Alonso López de Haro : Nobiliario genealógico, p. 62 218   Sullo sfortunato Generale della Armada Invencible, che – contrariamente a quanto sostenuto dalla storiografia tradizionale – era un esperto e coraggioso marinaio, un energico organizzatore ed un grande conoscitore di tutto quanto concerneva sia la costruzione, l’armamento e l’approvvigionamento delle navi, sia la fortificazione delle coste, cfr. Luisa Isabel Álvarez de Toledo y Maura, XXI Duquesa de Medina Sidonia : Alonso Pérez de Guzmán, General de la Invencible. Cádiz : Universidad de Cádiz 1995, 2 voll. 219   Cfr. Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 133. Luisa Isabel Álvarez de Toledo (Alonso Pérez de Guzmán, General de la Invencible. Libro 1°, p. 220 n. ; Libro 2.° p. 51) scrive che il Conte di Niebla fu nominato General de las Galeras de España il 29 gennaio 1603, succedendo a D. Pedro Álvarez de Toledo Osorio y Colonna, V Marchese di Villafranca del Bierzo, caduto in disgrazia. 220   Cfr. Santiago Martínez Hernández : El Marqués de Velada y la Corte en los reinados de Felipe II y Felipe III. Nobleza cortesana y cultura política en la España del Siglo de Oro. Junta de Castilla y León 2004, p. 394.  

























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rante mi señor”, 221 il Duca di Medina di Ríoseco Enríquez, 222 fatte forse per “halagar a la poderosa familia de los Almirantes hereditarios”, 223 e invita gli studiosi che volessero trovare nuove tracce di Francisco López de Úbeda a indagare in questa direzione. 224 (A quale Duca, a quale Ammiraglio allude Justina ? Don Luis Enríquez de Cabrera, IV Duca di Medina de Rioseco, Conte di Melgar e di Módica, fu – dal 1596 al 17 agosto 1600, giorno in cui morì a Valladolid, a soli 36 anni 225 – l’ottavo Almirante de Castilla. Suo figlio Juan Alfonso, al quale Filippo III concesse, per particolare grazia, il titolo di Almirante de Castilla poche settimane dopo la morte del padre, aveva solo cinque anni nel 1600 ; 226 ne avrà quindi dieci quando uscirà la Pícara Justina. La madre di Juan Alfonso era Vittoria Colonna Ursino, figlia di Marco Antonio Colonna, Duca di Pagliano e Principe di Tagliacozzo, e sorella del cardinale Ascanio Colonna, Viceré di Aragona). Erano allora i Pérez de Guzmán, Duchi di Medina Sidonia, i più opulenti fra i Grandes di Spagna, 227 i veri protettori dell’autore della Pícara Justina ? O lo erano gli Enríquez (famiglia di sangue reale, ma notoriamente manchada, 228 che alla fine del XVI secolo era – con 170.000 ducati di rendita annuale – la più ricca e potente di Valladolid, avendo superato la famiglia dei Conti di Benavente, l’antica rivale, che godeva di una rendita di ‘soli’ 120.000 ducati 229), Duchi di Medina de Rioseco, la città nella quale sono ambientati  











   









221   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO TERCERO DE LA PICARA PLEYTISTA. Capitulo primero de la hermana perseguida », p. 294 [194 !]. L’Ammiraglio era stato menzionato già in precedenza da Justina : “Sabra padre, que vn criado del Almirante muy gentil hombre y cauallero, Corregidor de cierto pueblo suyo aqui cerca, que ha venido aqui a Leon [...]. El en oyendo Corregidor de cerca de Leon, criado del Almirante : luego sospechò [...] si era el de Mansilla...” (« SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO DE la Picara Romera. Capitulo quarto [segvndo !] del fullero burlado. Numero tercero de la burla del hermitaño », pp. 55-56). 222   M. Bataillon : Urganda entre Don Quijote y La Pícara Justina, p. 75. 223   M. Bataillon : ¿En qué « Rioseco » estaba la morería de La Pícara Justina ?, pp. 115-116. 224   M. Bataillon : Urganda entre Don Quijote y La Pícara Justina, p. 75. 225   Cfr. Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, pp. 79-80. 226   Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 83 e p. 80. 227   Luis Salas Almela : Medina Sidonia. El poder de la aristocracia, 1580-1670. Madrid : Marcial Pons 2008, p. 151. 228   Cfr. Fernán Díaz de Toledo : Instrucción del Relator para el obispo de Cuenca, a favor de la nación Hebrea. Año de 1449. In : D. Alonso de Cartagena, Obispo de Burgos : Defensorium Unitatis Christianae (Tratado en favor de los judíos conversos). Edición, prólogo y notas por el P. Manuel Alonso, S. J. (= Consejo Superior de Investigaciones Científicas. Instituto Arias Montanos. – Escuela de Estudios Hebraicos, Serie B. Núm. 2). Madrid : C. S. I. C. 1943, pp. 343-356. – El Tizón de la Nobleza de España. « Discurso de algunos linages de Castilla, & Aragon, Portugal y Navarra, sacados de la relación, quel el Cardenal Arzobispo de Burgos D.n Francisco de Mendoza, y Bobadilla, dió a la Magestad de Felipe Segundo en la sazon de haverle negado dos mercedes de havitos para sus sobrinos hijos de el Marqués de Cañete su hermano, por decirse no eran limpios, y por el qual quiso significar quantos linages muy yllustres se hallan con el mismo impedimento sin que hayan sido causa para negarles las gracias de havitos en las ordenes militares, y aun otras maiores dignidadess como en este Discurso se verá por extenso ». In : Julio Caro Baroja : Los Judíos en la España Moderna y Contemporánea. Tomo III. Madrid : Ediciones ISTMO 1978, pp. 315-327. La Biblioteca Nacional di Madrid possiede numerose copie manoscritte del Tizón. Ne abbiamo consultato alcune (Mss. 3239 ; Mss. 3274 ; Mss. 7061). Del Tizón esiste inoltre il facsimile di una delle diverse edizioni pubblicate nell’Ottocento : El Tizón de la Nobleza Española ó Máculas y Sambenitos de sus Linajes. Por el Cardenal D. Francisco Mendoza y Bovadilla, Obispo de Burgos, Arzobispo de Valencia, etc. etc. Barcelona : La Selecta 1880 (ed. facs. : Valencia : Librerias “Paris-Valencia S. L.” 2005). Sia Francisco López de Villalobos che Don Francesillo de Zuñiga allusero apertamente al sangue ebraico di Don Fadrique Enríquez. Cfr. Juan Bautista de Avalle-Arce : « El Almirante Don Fadrique Enríquez. Esbozo biográfico ». In : Juan Bautista de Avalle-Arce : Cancionero del Almirante Don Fadrique Enríquez. Barcelona : Quaderns Crema 1994, pp. 11-269 ; qui pp. 56-57. 229   Cfr. Bartolomé Bennassar : Valladolid en el Siglo de Oro. Una ciudad de Castilla y su entorno agrario en el siglo XVI. Valladolid : Ayuntamiento de Valladolid 1989, p. 124.  



















































































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alcuni episodi della Pícara Justina ? 230 Il Duca di Medina Sidonia, consuocero del Duca di Lerma, che l’aveva fatto nominare Consigliere di Stato, 231 ma poi non ne favorí, e forse - addirittura - ne ostacolò il successo a Corte, 232 aveva soggiornato solo brevemente a Madrid e dalla primavera del 1599 in poi era vissuto sempre a Sanlúcar e, per brevi soggiorni, in qualche altra località dell’Andalusia ; 233 il figlio, Don Juan Manuel Pérez de Guzmán, Cazador Mayor e Gentil-hombre de la Cámara dal 1599, 234 trascorreva invece lunghi periodi alla Corte, anche quando essa risiedette a Valladolid, essendo “de profesión cortesano”. 235 Sarebbe quindi ben possibile che avesse intrattenuto dei rapporti con l’autore della Pícara Justina. Di carattere suscettibile e impulsivo, spesso in conflitto con gli stessi genitori ed altri famigliari, suoceri compresi, si inimicò molte persone ; egoista e interessato, prodigava il denaro a piene mani, ostentando una grande generosità. 236 Per quanto riguarda il Duca di Medina de Rioseco, questi era, all’epoca, ancora un bimbo. Inoltre era stata progettata una alleanza matrimoniale fra la famiglia del Duca di Lerma e quella del Duca di Rioseco. Quando Juan Alfonso Enríquez de Cabrera y Colonna aveva appena cinque-sei anni era stato infatti combinato il suo matrimonio con la figlia di Don Cristóbal de Sandoval y Rojas, Marchese (poi Duca) di Cea, primogenito del Duca di Lerma ; la promessa sposa morì poco dopo, e allora divenne promessa sposa del Duca di Medina de Rioseco un’altra figlia del Marchese di Cea. Lo sposalizio fra il giovanissimo Ammiraglio di Castiglia e la nipote del Duca di Lerma fu celebrato nella Cappella del Palazzo Reale il 28 novembre 1612 dal Cardinale di Toledo, zio del favorito.  







   











230   La scelta di Medina de Rioseco (con la quale, secondo M. Bataillon, come abbiamo visto, l’autore della Pícara Justina intendeva significare Madrid) potrebbe avere forse qualcosa a che fare con la particolarissima condizione giuridica della città. Era l’unica città in cui la divisione sociale fra hidalgos, esonerati dal pagamento delle imposte, e pecheros, soggetti a queste, era stata abolita da tempo immemoriale, su richiesta del Municipio, dalla Corona, che – considerato il grande sviluppo economico della città – voleva ulteriormente promuoverne il benessere. Così nel censire la popolazione municipale per l’imposizione degli oneri fiscali non si distingueva fra gli ‘stati’. Di conseguenza, nella composizione del Consiglio municipale non si faceva più alcuna differenza sociale. Scrive Guillermo Lohmann Villena : “Plus de discrimination entre « hidalgos » et « pecheros » ; plus d’antagonisme entre le patriciat et l’artisanat à cause du paiement des tributs. Du même coup, disparaissait l’un des principaux obstacles qui retenait les patriciens de se consacrer à une activité commerciale : le préjugé [...] qui rejetait dans une catégorie sociale inférieure les hommes d’affaire, les marchands et les négociants. Ainsi, tout Ríosecan, échappant aux entraves des conventions sociales sans risque d’encourir quelque déshonneur légal, pouvait faire valoir ses aptitudes et s’adonner aux négoces lucratifs”. Cfr. Guillermo Lohmann Villena : Les Espinosa. Une famille d’homme d’affaires en Espagne et aux Indes à l’époque de la colonisation (= École Pratique des Hautes Études – VIe Section. Centre de Recherches Historiques. Affaires et gens d’affaires, XXXII). Paris : S.E.V.P.E.N. 1968, pp. 26-27. Su Medina de Rioseco si trova nel diario di Girolamo da Sommaia, che in occasione di un suo viaggio a Valladolid si fermò a desinare nella città il 26 ottobre 1603, questa annotazione : “lugar dell’Almirante di 2 mila uezinos, uale 20 mila Scudi d’Entrata all’Almirante”. Cfr. Diario de un estudiante de Salamanca. La crónica inédita de Girolamo da Sommaia (1603-1607), p. 303. 231   Cfr. S. Martínez Hernández : El Marqués de Velada y la Corte en los reinados de Felipe II y Felipe III, p. 371. 232   Cfr. Luisa Isabel Álvarez de Toledo y Maura, XXI Duquesa de Medina Sidonia : Alonso Pérez de Guzmán, General de la Invencible. Libro 2.°, pp. 18-19. 233   Cfr. Luisa Isabel Álvarez de Toledo y Maura, XXI Duquesa de Medina Sidonia : Alonso Pérez de Guzmán, General de la Invencible. Libro 2.°, pp. 15-23, pp. 107-119, pp. 135-137, p. 147. 234   Cfr. Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 52. 235   Luisa Isabel Álvarez de Toledo y Maura, XXI Duquesa de Medina Sidonia : Alonso Pérez de Guzmán, General de la Invencible. Libro 1°, p. 220 n. Su Don Manuel Alonso cfr. l’Elogio (1625) e il Panegírico (1629) di Pedro Espinosa (in : Pedro Espinosa : Obra en Prosa. Edición, prólogo y notas de Francisco López Estrada. Málaga : Diputación Provincial de Málaga 1991, pp. 229-322, pp. 325-370). Sui Duchi VII e VIII di Medina Sidonia e i loro rapporti con la Corte cfr. anche Luis Salas Almela : Medina Sidonia. El poder de la aristocracia, 1580-1670, pp. 225-272, pp. 273-307. 236   Cfr. Luisa Isabel Álvarez de Toledo y Maura, XXI Duquesa de Medina Sidonia : Alonso Pérez de Guzmán, General de la Invencible. Libro 2°, pp. 15-18, p. 23. pp. 51-55.  







































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Padrini erano stati Filippo III e sua figlia Ana, Regina di Francia. La sposa aveva appena compiuto dodici anni. 237 Le alleanze ‘politiche’ o i legami di parentela con il Duca di Lerma non rendono naturalmente impossibile che un membro della famiglia dei Duchi di Medina Sidonia o dei Duchi di Medina de Rioseco odiasse, per suoi particolari e personali motivi, Don Rodrigo Calderón. Il favorito del favorito era, per esempio, inviso alla influentissima sorella del Duca di Lerma, D. Catalina de Zúñiga y Sandoval, Contessa di Lemos. Nel caso che la traccia indicata da Marcel Bataillon non fosse però quella giusta, si dovrebbe cercare il vero protettore dell’autore della Pícara Justina fra gli appartenenti all’alta nobiltà che avversarono il Duca di Lerma sin dall’inizio del regno di Filippo III. Nel 1602 fu addirittura scoperta, all’interno dello stesso Palazzo Reale, l’esistenza di un gruppo di opposizione colpevole di aver organizzato una cospirazione politica contro il valimiento di Don Francisco Gómez de Sandoval y Rojas. Erano implicati in questa cospirazione D. Magdalena de Guzmán, Marchesa del Valle, sua nipote D. Ana de Mendoza, D. Beatriz Ramírez de Mendoza, Contessa di Castellar, D. Juan Fernández de Velasco y Guzmán, V Duca di Frías e VII Condestable di Castiglia, D. Juan de Zúñiga Avellaneda y Cárdenas, VI Conte di Miranda, Presidente del Consiglio di Castiglia, D. Juan Hurtado de Mendoza, Marchese di San Germán. 238 D. Magdalena de Guzmán, vedova di D. Martín Cortés, II Marchese del Valle de Oaxaca, fu esiliata – assieme a sua nipote – dalla Corte nel 1603 sotto l’accusa di aver voluto “matar o descomponer al Duque con el Rey”, 239 di “traición en Palacio”, di aver tramato cioè, con altri nobili scontenti, contro il Duca di Lerma. 240 Il Conte di Miranda e il Marchese di San Germán si riconciliarono in qualche modo con il Duca di Lerma, del quale erano entrambi parenti. Il Duca di Frías fu inviato come ambasciatore alla Corte di Giacomo I per negoziare la pace con l’Inghilterra. A questa cospirazione aveva probabilmente partecipato la stessa Regina, apertamente e notoriamente ostile al Duca di Lerma. Margarita d’Austria aveva, nonostante la giovane età, una chiara visione delle nefaste conseguenze della disastrosa ‘politica’ clientelare e di rapina del favorito 241 e incoraggiava pertanto tutte le iniziative volte a minarne  









237   Cfr. Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 97, p. 263, p. 502. 238   Antonio Feros : El Duque de Lerma. Realeza y privanza en la España de Felipe III. Madrid : Marcial Pons 2002, pp. 182-183. – Patrick Williams : El favorito del Rey : Francisco Gómez de Sandoval y Rojas, V Marqués de Denia y I Duque de Lerma. In : La Monarquía de Felipe III : La Corte (Volumen III). Directores : José Martínez Millán, Maria Antonietta Visceglia. Madrid : Fundación MAPFRE - Instituto de Cultura 2008, pp. 185-269 ; qui pp. 208-209. 239   Sucesos del Reinado de Felipe III. (Manuscrito 2.577 de la B. Nacional de Madrid, por el P. Fray Jerónimo de Sepúlveda, religioso jerónimo en San Lorenzo el Real de El Escorial). XII (1603). In : La Ciudad de Dios, CXXX/2 (5 Julio 1922), pp. 15-25 ; qui pp. 16-20. 240   A. Feros : El Duque de Lerma. Realeza y privanza en la España de Felipe III, pp. 182-184. 241   Hans Khevenhüller, ambasciatore cesareo – prima di Massimiliano II e poi di Rodolfo II – a Madrid dal 1574 fino alla sua morte (5 maggio 1606), riferì nella “relación secreta” del 1° gennaio 1606 inviata all’Imperatore di un colloquio con la Regina. In questo colloquio Margarita d’Austria, che più volte disse al vecchio Conte di Frankenburg “que quisiera más ser monja en vn conuento de Goricia que reyna de España”, così si espresse sul Duca di Lerma : “el duque quiere vsurpar al rey sus reynos y estados pues trata de empobrezerle a él y a todos los suyos y de enrriquezerse a sí, a sus deudos y aliados y a estos da todos los oficios, cargos, gouiernos y virreynatos deponiendo dellos los ministros y criados antiguos y beneméritos, quitando al rey so color de descansarle el manejo de los negocios, atribuyéndose a sí solo el despacho dellos, haziendo en todo a su gusto y albedrío, de forma que por él se puede dezir y con razón : sic volo sic iubeo. [...] tal es el duque que gastando muy de ordinario dos mil ducados al día en fábricas y obras, siempre están llenos de tesoro y riquezas sus cofres y escritorios y los de sus hijos y deudos y amigos, agotando y consumiendo los del rey, y yo, el rey y sus criados passamos necessidad, faltando en palacio muchos días lo necessario para el gasto ordinario”. Cfr. Diario  





























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il prestigio e l’autorità. 242 Anche molte persone del suo entourage erano, naturalmente, ostili al Duca di Lerma. Facevano parte di questo entourage : D. Diego Enríquez de Guzmán – V Conte di Alba de Liste, Mayordomo Mayor della Regina e cugino del Marchese di Velada –, che morí nel 1604 ; D. Antonio Folch y Cardona, IV Duca di Sessa, Mayordomo Mayor della Regina, che morí nel gennaio del 1606 ; 243 D. Juan de Borja, I Conte di Mayalde e Ficalho, Mayordomo (dal 1606 Mayordomo Mayor) della Regina ; D. Pedro Lasso de la Vega, I Conte di Arcos, Mayordomo della Regina (era fratello di Don Rodrigo Niño de Guevara, Conte di Añover, e nipote del Cardinale Fernando Niño de Guevara, Inquisitore Generale e Arcivescovo di Siviglia) ; D. Pedro Carrillo de Mendoza, VIII Conte di Priego, Mayordomo della Regina ; D. Lope Moscoso Osorio, VI Conte di Altamira ; D. Gonzalo Chacón y Ayala, I Conte di Casarrubios, Mayordomo della Regina ; D. Pedro de Guzmán, 244 fratello di Enrique de Guzmán, II Conte di Olivares ; D. Luis de Guzmán, Marchese di Ardales e della Algaba ; 245 D. Catalina de Zúñiga y Sandoval, Contessa di Lemos, sorella del Duca di Lerma, Camarera Mayor della Regina ; D. Vittoria Colonna Ursino, Duchessa di Medina de Rioseco ; D. Ana de Mendoza, Duchessa dell’Infantado ; 246 D. Magdalena de Guzmán, Marchesa del Valle, ricordata sopra ; D. Maria Sidonia Riederín, Dama della Regina, divenuta nel 1603 Contessa di Barajas sposando Don Diego de Zapata de Mendoza, II Conte di Barajas, perseguitata dal Duca di Lerma per la predilezione che le mostrava Margarita d’Austria ; 247 D. Antonia de Toledo y Colonna e D. Vittoria Colonna y Aragón, Dame della Regina, rispettivamente, figlia minore e nipote del Marchese di Velada, e molte altre nobili dame ; 248 Richard Haller S. J., confessore della Regina. Fu proprio Margarita d’Austria, che impose il ritorno della Corte a Madrid, a fare arrestare per corruzione D. Pedro Franqueza, divenuto Conte  





   















   





   



   

   

de Hans Khevenhüller, embajador imperial en la Corte de Felipe II. Estudio introductorio de Sara Veronelli. Transcripción y edición de Félix Labrador Arroyo. Madrid : Sociedad Estatal para la Conmemoración de los Centenarios de Felipe II y Carlos V 2001, pp. 615-616. 242   Cfr. S. Martínez Hernández : El Marqués de Velada y la Corte en los reinados de Felipe II y Felipe III, pp. 415-416. – Patrick Williams : El favorito del Rey : Francisco Gómez de Sandoval y Rojas, V Marqués de Denia y I Duque de Lerma, pp. 220-222, pp. 231-232. 243   Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 208, p. 264 e pp. 268-269. – Diario de Hans Khevenhüller, embajador imperial en la Corte de Felipe II, p. 614. 244   Cfr. Simón Contarini : Estado de la Monarquía Española a principios del siglo XVII (Manuscrito del siglo XVII). Estudio preliminar de Joaquín Gil Sanjuán. Málaga : Editorial Algazara 2001, p. 75. 245   Cfr. Relacion, de todos los Consejos, Presidentes Consejeros, que Su Mag.d tiene al presente, en su Real Corte, en la Ciudad de Balladolid, con otra relacion delos officios, mas principales y Caualleros, que le siruen, en su Real Palacio, con las Damas de la Reyna (Wien, Haus,- Hof- und Staats-Archiv : Spanien, Varia, conv. G, fo. 352r-355v). Il manoscritto della Relación è stato recentemente pubblicato – con qualche lieve modifica della ortografia e un paio di sviste (Marqués de Farcas – errore presente nella Relacion e non corretto – invece di Marqués de Falces [Don Jacques – o Diego – de Croy y Peralta, Capitano della Guardia Reale degli Arcieri] ; guardabas invece di guardamas [guardadamas]) – da José Antonio Escudero : La Corte de España en Valladolid : Los Consejos de la Monarquía a principios del siglo XVII. In : J. A. E. : Administración y Estado en la España Moderna. Junta de Castilla y León 2002, pp. 483-511 ; qui pp. 506-511. 246   Cfr. Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 231. 247   Diario de Hans Khevenhüller, embajador imperial en la Corte de Felipe II, p. 557 e p. 615. 248   L’elenco completo delle Dame e delle Dueñas de honor della Regina negli anni del soggiorno della Corte a Valladolid si trova nella sopra citata Relación de todos los Consejos, Presidentes, Consejeros, que Su Magestad tiene al presente en su Real Corte en la Ciudad de Balladolid, fo. 352r-355v. Ora si può conoscere piú dettagliatamente l’entourage completo della Regina, negli anni 1599-1611, grazie alle relazioni sulla Casa di Margarita d’Austria recentemente pubblicate : « Relación alfábetica de criados de la Casa de la Reina Margarita de Austria (1599-1611 ». – « Casa de la Reina Margarita de Austria por oficios (1599-1611) ». In : La Monarquía de Felipe III : La Casa del Rey. Volumen II. Directores : José Martínez Millán, Maria Antonietta Visceglia. Madrid : Fundación MAPFRE Instituto de Cultura 2008, pp. 781-929, pp. 930-944.  















































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capitolo ii

di Villalonga, 249 e il licenciado Alonso Ramírez de Prado, due dei favoriti del Duca di Lerma, e a provocare cosí la prima grave crisi del lermismo. 250 La Regina voleva che si procedesse per corruzione anche contro Don Rodrigo Calderón, ma questi riuscì a salvarsi. Il 7 giugno del 1607 ottenne infatti, grazie al Duca di Lerma, da Filippo III una Real Cédula – più avanti la trascriveremo – con la quale il Re ordinava “perpetuo silencio” a coloro che perseveravano nell’accusare il favorito del favorito (tuttavia la Regina ordinò a Gregorio López Madera, Alcalde de Corte, d’intraprendere nuove indagini sulle attività di Don Rodrigo Calderón 251). Anche l’Imperatrice María, che morí il 26 febbraio 1603, e sua figlia, suor Margarita de la Cruz, erano preziose alleate di Margarita d’Austria nella sua lotta contro il Duca di Lerma, 252 che tentava di isolarle dal Re e dalla Regina 253 e che per raggiungere questo scopo aveva fatto addirittura trasferire la Corte a Valladolid, 254 provocando la rovina di Madrid. 255 Nella sua lotta contro il favorito la Regina poteva contare sull’appoggio dell’ambasciatore cesareo a Madrid Hans Khevenhüller von Frankenburg, Conte dell’Impero, e sul confessore del Re, Fray Diego de Mardones. Anche Fray Francisco de Castroverde, predicatore di Corte, avversava il Duca di Lerma e per aver predicato contro la corruzione nella concessione di uffici e benefici e affermato che “los Príncipes deben ser cabezas y sustancias de las comunidades, aunque en estos tiempos son meras sombras de un hombre privado que gobierna a todos y todo”, 256 fu esiliato da Valladolid, con altri predicatori, nel dicembre del 1605. 257 Oltre a quelli dell’entourage della Regina, il favorito del Re aveva molti altri nemici  

















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507.

  Cfr. S. Martínez Hernández : El Marqués de Velada y la Corte en los reinados de Felipe II y Felipe III, p.  

250

  Cfr. A. Feros : El Duque de Lerma, pp. 312-335.   Cfr. J. Juderías : Un proceso político en tiempo de Felipe III. Don Rodrigo Calderón, Marqués de Siete Iglesias, pp.353-357. – S. Martínez Hernández : El Marqués de Velada y la Corte en los reinados de Felipe II y Felipe III, p. 507. 252   Cfr. Ciriaco Pérez Bustamante : La España de Felipe III (= Historia de España. Dirigida por Ramón Menéndez Pidal. Tomo XXIV). Madrid : Espasa-Calpe 1983, pp. 101-107. 253   Diario de Hans Khevenhüller, embajador imperial en la Corte de Felipe II, p. 615 e pp. 618-619. 254   Cfr. C. Pérez Bustamante : La España de Felipe III, pp. 104-106. – Ricardo García Cárcel : « Prefacio » a : Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614. Prefacio R. G. C. Junta de Castilla y León 1997, pp. 9-42 ; qui p. 31. 255   Nei suoi Anales de Madrid Antonio de León Pinelo scrisse : “Madrid quedó de modo, que no solo daban las casas principales debalde á quien las habitase, sino que pagaban inquilinos porque las tuviesen limpias y evitar asi su ruina y menoscabo. El bastimento era tan barato, por falta de gastadores, que no pasaba de la mitad del valor que antes tenía. En algunas cosas de dotaciones, memorias y obras que tenian rentas fijas, se conservó la grandeza, aunque las rentas todas bajaron ; pero las que consistian en limosnas, como se fué la gente perecieron. Era la caja proporcionada á la joya de la Corte, quitaronsela dejando en su lugar, una corta presea, y asi era mucho lo vacio, y poco lo que servia” (p. 175). E quando la Corte tornó a Madrid, Antonio de León Pinelo annotò : “Estaba la Corte fuera de su centro, que si bien Valladolid, mi patria, es de los excelentes lugares de España, no todo lo bueno es bueno para todo. Reconociose menos acertada la mudanza á aquella ciudad de lo que se entendió porque hay inconveniente que solo le descubre la ejecucion no el mandato, la practica no la teorica. Alcanzó Madrid la disposicion que tenia la materia y embió á su Corregidor acompañado de cuatro Regidores que dieron calor á la resolucion y para facilitarla ofreció ayudar la costa de la vuelta con doscientos y cincuenta mil ducados, que pareció eran bastantes para mudar á esta Villa la Casa Real. Aceptó su Magestad el servicio y resolvió que la Corte desterrada de Madrid volviese a deshacer su tristeza y a poblar su soledad, lo cual se publico en feliz dia, que fué el de N. Señora de la Paz, á veinte y cuatro de Enero [1606]. El Sello Real entró aqui el trece de Abril, con el acompañamiento y ceremonias que se acostumbran” (p. 185). 256   Queste parole di Fray Francisco de Castroverde sono tratte da una lettera che Sir Charles Cornwallis, ambasciatore del Re d’Inghilterra Giacomo I presso la Corte spagnola, inviò nel dicembre del 1605 al Conte di Salisbury (cfr. A. Feros : El Duque de Lerma. Realeza y privanza en la España de Felipe III, pp. 306-307). 257   Cfr. Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 56, pp. 266-267, p. 362. – Diario de un estudiante de Salamanca. La crónica inédita de Girolamo da Sommaia, 1603-1607, p. 208. – Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, p. 231.  

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fra i membri dell’alta nobiltà. In primo luogo quelli che avevano goduto di una forte posizione di potere negli ultimi anni ed erano stati emarginati, 258 più o meno elegantemente, subito dopo la morte di Filippo II : 259 Don Gómez Dávila y Toledo, Marchese di Velada, imparentato con gli Enríquez de Guzmán (Conti di Alba de Liste), gli Álvarez de Toledo (Duchi d’Alba ; Don Antonio Álvarez de Toledo y Beaumont, V Duca d’Alba, era suo nipote), gli Álvarez de Toledo (Conti di Oropesa) e gli Álvarez de Toledo Osorio (Marchesi di Villafranca del Bierzo) ; Don Cristóbal de Moura, Marchese di Castelo Rodrigo ; Don Diego Fernández de Cabrera y Bobadilla, Conte di Chinchón (muore il 23 settembre 1608) ; Don Francisco de Rojas, Marchese di Poza. 260 Oppositori del Duca di Lerma, che più di tutti temeva il Marchese di Velada (questi aveva conservato la carica di Mayordomo Mayor, l’ufficio principale della Casa del Re secondo il cerimoniale della Corte di Borgogna, e raccolto intorno a sé gli avversari del valido 261), erano anche il già ricordato Don Juan Fernández de Velasco y Guzmán, V Duca di Frías, Condestable de Castilla, nipote del VI Duca di Medina Sidonia e fratello di D. Juana de Velasco, VI Duches 

   













258   Non sopravvissero all’emarginazione e morirono, amareggiati, poco tempo dopo l’ascesa al trono di Filippo III : D. García de Loaysa Girón, membro del Consejo de Estado e del Consejo de Inquisición, precettore del principe Filippo, arcivescovo di Toledo ; D. Pedro de Ayala y Manrique de Lara, Conte di Fuensalida, Mayordomo Mayor di Filippo II e membro del Consejo de Estado ; D. Pedro de Portocarrero y Manuel, figlio dei Marchesi di Villanueva del Fresno, Inquisitore Generale e Vescovo di Cuenca ; D. Rodrigo Vázquez de Arce, presidente del Consejo Real de Castilla. 259   Nella ricordata ‘relazione segreta’ inviata a Rodolfo II, Hans Khevenhüller scriveva : “El gouierno destos reynos se halla al presente en este estado. Después que faltó el rey viejo, faltó la estimación a los consejeros y ministros viejos, a los quales fueron preferidos otros que no tienen noticia de los negocios, ni del manejo y modo de tratarlos (y plugiera a Dios que solamente en la intención discrepassen de los primeros), de que se an seguido varios absurdos y inconuenientes de manera que no a auido orden ni modo en el gouierno ni en cosa alguna, trabucándolo todo de piez a cabeza. Particularmente la hazienda real, que es el nieruo de la paz y de la guerra, de tal suerte es gouernada que amenaza esta monarquía vn naufragio y total ruina. Porque los nueuos ministros no contentos con las muchas y grandiosas mercedes que el rey cada día les haze, andando en esto pródigo y exorbitante con ellos, con medios illícitos y persuasiones cansadas, medio por fuerza, violentando su voluntad, le sacan extraordinarias aiudas de costa a quenta de su propia hazienda, consignándoselas en sus propias rentas quitándole (como dizen) el bocado de la boca, de tal manera que aun para el gasto ordinario de su cassa le haze falta, y para cumplir con las dichas aiudas de costa le obligan a buscar el dinero prestado con intereses excessiuos, obligando a la paga del principal los efectos de las rentas más ciertas y seguras que tiene y consignando en sus pagas los réditos y intereses. Jubilan los ministros antiguos dándoles satisfación de sus seruicios a costa de la hazienda real, y si a caso por el bien de la república, seruicio de su rey, o por su propia reputación rehuzan en açeptar la jubilación o no consienten con mucho gusto y voluntad les obligan con amenazas a dejar la corte y ausentarse como lo hizieron con el arçobispo de Toledo [D. García de Loaysa y Girón] y con don Christoual de Mora [Moura, Marqués de Castel-Rodrigo], en quienes su magestad del rey don Felipe segundo tenía fundada la assistencia con todo a su hijo, y estos dos, aunque forçados, huuieron de irse contra su voluntad, con harto sentimiento y lágrimas de los bien intencionados, el vno a su arçobispo y el otro a ser virrey de Portugal. Velada, Chinchón y [Juan de] Idiáquez se conseruan todavía aunque sin autoridad alguna ni manejo de papeles ni negocios. Los ministros zelosos del bien de la república (aunque pocos), a los quales las promessas, ofrecimientos y mercedes no an podido atapar las bocas, ni obligar a passar por este modo de gouierno, dando vozes contra él pronostican su total ruina, y estos tales son perseguidos, desterrados y tratados afrentosamente.” Cfr. Diario de Hans Khevenhüller, embajador imperial en la Corte de Felipe II, p. 614. 260   Cfr. Santiago Martínez Hernández : El Marqués de Velada y la Corte en los reinados de Felipe II y Felipe III, pp. 374-392. – Santiago Fernández Conti : La nobleza cortesana : Don Diego de Cabrera y Bobadilla, tercer Conde de Chinchón. In : José Martínez Millán (Dir.) : La Corte de Felipe II. Madrid : Alianza 1999, pp. 229-270. – Santiago Martínez Hernández : Los cortesanos. Grandes y títulos frente al régimen de validos. In : La Monarquía de Felipe III : La Corte (Volumen III). Directores : José Martínez Millán, Maria Antonietta Visceglia. Madrid : Fundación MAPFRE - Instituto de Cultura 2008, pp. 435-581, qui pp. 538-542. 261   José Antonio Escudero distingue giustamente fra privado (il Re poteva avere simultaneamente più privados) e valido (il valido è sempre unico e solo). Siccome, nel caso specifico, il Re aveva un solo privado, il Duca di Lerma, valido e privado coincidevano. Usiamo perciò indifferentemente i due termini. Cfr. José Antonio Escudero : Introducción. Privados, Validos y Primeros Ministros. In : J. A. E. (Coordinador) : Los validos. Madrid : Universidad Rey Juan Carlos 2004, pp. 15-33 ; qui pp. 18-21.  









































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sa di Gandía ; 262 Don Enrique de Guzmán, Conte di Olivares, parente e amicissimo del Condestable ; Don Pedro de Castro y Bobadilla, fratello del VI Conde di Lemos e nipote del Conte di Chinchón, (muore il 22 agosto 1606) ; Don Pedro Álvarez de Toledo Osorio y Colonna (V Marchese di Villafranca del Bierzo, II Duca di Fernandina, II Principe di Montalbán, Conte di Peña Ramiro), odiato dal Duca di Lerma e grande amico del Marchese di Velada ; Don García de Toledo y Figueroa (muore nel 1608) ; Don Francisco Ribera Barroso, Marchese di Malpica ; Don Pedro Enríquez, fratello di Don Fernando Enríquez de Ribera, Marchese di Villanueva del Río, (muore nel 1602) ; Don Martín de Alagón, Marchese di Calanda ; Don Álvaro de Córdoba (muore nel 1602) ; Don Fernando de Toledo, Commendatore dell’Ordine di Alcántara, fratello del Marchese di Velada, (muore nel 1602) ; Don Juan Luis de la Cerda y Aragón, VI Duca di Medinaceli, che sposerà il 21 agosto 1606 D. Antonia de Toledo y Colonna, figlia del Marchese di Velada ; D. Juana de Velasco, VI Duchessa di Gandía, sorella del Condestable di Castiglia, scelta da Filippo II per l’ufficio di Camarera Mayor della Regina, ma costretta a rinunziare dal favorito, che fece nominare per tale ufficio prima sua moglie, D. Catalina de la Cerda, e poi sua sorella, D. Catalina de Zúñiga y Sandoval, VI Contessa di Lemos. Fra gli oppositori del Duca di Lerma vi erano anche i confessori del Re : Fray Gaspar de Cordóba (morì il 12 giugno 1604), uno dei principali alleati della Regina ; il suo successore, il già ricordato Fray Diego de Mardones, che ebbe violentissimi alterchi con il favorito e ammonì il Re che sarebbe andato all’inferno se non avesse posto rimedio alla grave situazione finanziaria della Monarchia combattendo la corruzione dilagante 263 (fu costretto a ritirarsi nel novembre del 1606 ; per mascherare la rimozione, voluta dal Duca di Lerma, fu nominato vescovo di Córdoba) ; 264 Fray Luis de Aliaga, succeduto nel novembre del 1608 a Fray Jerónimo Xavierre (morto nel settembre del 1608), che intratteneva ottimi rapporti con il Marchese di Velada ed era acerrimo nemico di Don Rodrigo. Non nemico del Duca di Lerma, di cui era segretario personale, ma sí dei suoi due principali collaboratori e favoriti, era Íñigo Ibáñez de Santa Cruz, che nell’aprile del 1603 fu arrestato per aver consegnato a Fray Gaspar de Córdoba, confessore del Re, un memoriale nel quale scriveva che “convenía quitar de los negocios al secretario Franqueza y á don Rodrigo Calderón, porque si no se remediaba esto iba perdido el gobierno, segun vendian los oficios y se dejaban cohechar”. 265 Fra i nemici dichiarati del Duca di Lerma e di Don Rodrigo Calderón vi era l’Almirante de Aragón, Don Francisco de Mendoza, Marchese di Guadalest, 266 fratello del Duca dell’Infantado e del Marchese di Mondéjar (questi muore    





























   





262   Cfr. Simón Contarini : Estado de la Monarquía Española a principios del siglo XVII (Manuscrito del siglo XVII). Estudio preliminar de Joaquín Gil Sanjuán, p. 58. 263   Cfr. C. Pérez Bustamante : La España de Felipe III, p. 125. – Josep M. Torras i Ribé : Poder i relacions clientelars a la Catalunya dels Àustria. Pere Franquesa (1547-1614). Vic : Eumo 1998 (= Referències, 24), pp. 187-189. 264   Cfr. Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 294. 265   Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 173. Su Íñigo Ibáñez de Santa Cruz, che in un primo tempo fu condannato a morte, ma poi perdonato, cfr. – oltre alle Relaciones di Luis Cabrera de Córdoba (p. 48, pp. 55-56, p. 60, p. 84, p. 173, p. 192, p. 236, p. 243, p. 301, p. 413) – Antonio Feros : El Duque de Lerma, p. 127, p. 128, pp. 132-134, p. 309. 266   “Escogió [Don Rodrigo Calderón] por oficio acusar los virtuosos, y en este ejercicio libró los acrecentamientos de su codicia ; entre otros muchos a quien procuró disfamar con delitos postizos, fue el marqués de Camarasa y el almirante de Aragón. Al marqués procesole de hechicero, y al almirante, de traidor, y para esto se valió de Silva de Torres, alcalde que él hizo a medida de sus designios” (Quevedo : Grandes anales de quince días. In : F. de Q : Obras completas en prosa. Volumen tercero. Dirección de Alfonso Rey, p. 89. – Quevedo : Grandes anales de quince días. In : F. de Q : Obras completas. Estudio preliminar, edición y notas de Felicidad Buendía. Obras en prosas, p. 836).  



























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il 1° novembre 1604), 267 che aveva iniziato una dura campagna contro Don Rodrigo Calderón e fatto giungere a Filippo III nel 1608 un memoriale, redatto dal padre Sebastián Hernández S. J., nel quale si denunziavano gli abusi del privado e del suo favorito. 268 L’Ammiraglio d’Aragona, che già nel novembre del 1606 era stato arrestato – con grande meraviglia di tutti i cortigiani – per una lite con i domestici del Conte di Villalonga (Pedro Franqueza), 269 fu arrestato a Guadalajara il 20 maggio 1609 con l’accusa pretestuosa di tradimento (furono arrestati anche dei suoi domestici, il suo grande amico Don Luis de Castilla e il cronista Antonio de Herrera y Tordesillas) e rimase in carcere sino alla primavera del 1613, quando per l’intercessione della figlia della defunta regina Margarita gli fu concessa una limitata libertà (una libertà più ampia gli fu poi concessa nella primavera del 1614). 270 Il fratello stesso dell’Ammiraglio d’Aragona, Don Juan Hurtado de Mendoza y de la Vega, VI Duca dell’Infantado, non era proprio “de la devoción de don Rodrigo” 271 (non è forse privo d’interesse ricordare qui che l’autore della Pícara Justina rende omaggio alla famiglia dei Duchi dell’Infantado nel capitolo « De los trajes de Montañeses y Coritos » 272). L’avversione dei Mendoza per il favorito e il favorito del  















267   Don Francisco de Mendoza aveva ereditato il titolo di Almirante de Aragón dal suocero, Don Sancho de Cardona, avendone sposato la figlia, Maria Folch de Cardona, Marchesa di Guadalest. Aveva studiato ad Alcalá e a Salamanca. Era stato Mayordomo della Casa de Borgoña dal 1595 al 1598, ambasciatore in Polonia, Francia e Ungheria. Aveva combattuto in Fiandra durante il governo degli Arciduchi. Tra il 1600 a il 1602 era stato prigioniero di Maurizio di Nassau. Liberato, riprese a combattere. Nel 1602 fu destituito dal suo posto di comandante della cavalleria spagnola in Fiandra per non aver potuto impedire la presa di Grave, richiamato in patria ed esiliato nei suoi possedimenti con proibizione di avvicinarsi alla Corte. Don Francisco de Mendoza aveva quindi più di un motivo di odiare il Duca di Lerma e i suoi accoliti per avergli inflitto una umiliazione che era ingiusta e che aveva irritato anche gli Arciduchi Alberto e Isabel Clara Eugenia. Cfr. Alonso López de Haro : Nobiliario genealógico, p. 371. – Paul C. Allen : Felipe III y la Pax Hispanica, 1598-1621. El fracaso de la gran estrategia. Versión de José Luis Gil Aristu. Madrid : Alianza Editorial 2001, pp. 117-144. 268   Cfr. Antonio Rodríguez Villa : D. Francisco de Mendoza, Almirante de Aragón. In : Homenaje a Menéndez y Pelayo en el año vigésimo de su profesorado. Estudios de erudición española. Con un prólogo de D. Juan Valera. [Tomo] II. Madrid : Librería General de Victoriano Suárez 1899, pp. 487-610. 269   Cfr. Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 294 e p. 296. 270   Cfr. Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, pp. 370-371, p. 384, p. 423, p. 444, pp. 493-494, p. 497, p. 513, p. 555. – S. Martínez Hernández : El Marqués de Velada y la Corte en los reinados de Felipe II y Felipe III, p. 501, p. 505, p. 507. 271   Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 461. Cfr. anche Patrick Williams : El favorito del Rey : Francisco Gómez de Sandoval y Rojas, V Marqués de Denia y I Duque de Lerma, p. 231. 272   “Yo gustara ser vna Duquesa de Alua, Vejar, ò Feria (y mas aora que las tres hermanas son las mismas tres gracias, sobre vna misma inclita, è illustre naturaleza)…”. Cfr. Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « TERCERA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO : De la Picara Romera, Capitulo 4. de la partida de Leon. Numero tercero, de los trajes de Montañeses y Coritos », p. 181. Come viene spiegato nella glossa posta al margine delle righe trascritte, si allude qui alle “Señoras de la casa del Infantado”, e precisamente a tre figlie di D. Iñigo López de Mendoza y Mendoza, V Duca dell’Infantado, che erano diventate sposandosi, grazie ai buoni uffici di Don Francisco de Mendoza, Almirante de Aragón, “celebrado casamentero” (S. Martínez Hernández), tutte e tre duchesse : Doña Mencía de Mendoza Enríquez de Cabrera, moglie di Don Antonio Álvarez de Toledo y Beaumont, V Duca d’Alba ; Doña Isabel de Mendoza, moglie di Don Lorenzo Suárez de Figueroa, II Duca di Feria ; Doña Juana López de Mendoza y Enríquez, moglie di Don Alonso de Zúñiga Sotomayor y Mendoza, VI Duca di Béjar. Essendo i figli maschi di Don Íñigo López de Mendoza y Mendoza, V Duca dell’Infantado, tutti deceduti in giovane età, la figlia maggiore, D. Ana de Mendoza (1554-1633), era destinata ad ereditare il titolo e i feudi della casata e a divenire VI Duchessa dell’Infantado. Per volontà di suo padre dovette rinunziare alla sua profonda vocazione religiosa e sposare nel 1583 Don Rodrigo de Mendoza, che era figlio di Don Diego Hurtado de Mendoza, Conte di Saldaña (il primogenito del IV Duca dell’Infantado, morto prima di poter ereditarne il Ducato), e fratello di Don Íñigo López de Mendoza y Mendoza e quindi zio di D. Ana de Mendoza. Morto Don Rodrigo de Mendoza nel 1587 e, poco dopo, l’unico figlio maschio nato dal matrimonio, D. Ana de Mendoza fu costretta da suo padre a sposare, nel 1593, Don Juan Hurtado de Mendoza de la Vega y Luna, settimo figlio del Marchese di Mondéjar e “primo hermano” del V Duca dell’Infantado. Alla  



































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favorito aumentò quando alla morte, avvenuta nel 1604, di Don Iñigo de Mendoza, Marchese di Mondéjar, fratello maggiore del Duca dell’Infantado e dell’Ammiraglio d’Aragona, fu loro tolta la “tenencia de la Alhambra de Granada y de la compañía de la Costa”, in ‘possesso’ della grande famiglia dal 1492, e data da Filippo III al Duca di Cea, Don Cristóbal Gómez de Sandoval y Rojas, primogenito del Duca di Lerma. 273 Anche Don Antonio Álvarez de Toledo y Beaumont, che fu Duca d’Alba dal 1585 al 1639 e che, grazie a suo zio, il Marchese di Velada, era stato nominato gentilhombre de la Cámara del Rey nel novembre del 1602, non era certamente favorevole al Duca di Lerma, come non lo era tutto il clan dei Toledo, che aveva subito l’emarginazione politica a partire dalla morte di Don Fernando Álvarez de Toledo y Pimentel, il famoso Gran Duca d’Alba. 274 Il favorito non era neppure amato da Don Francisco de los Cobos y Luna, Marchese di Camarasa, al quale – servendosi delle calunnie e delle macchinazioni di Don Rodrigo Calderón, ricordate, come abbiamo visto, da Quevedo nei Grandes anales de quice días – voleva togliere l’Adelantamiento Mayor de Cazorla per impadronirsene. 275 Probabilmente il Duca di Lerma era inviso anche a Don Diego de Silva y Mendoza, Conte di Salinas, Duca di Francavilla, Marchese di Alenquer, che durante il soggiorno della Corte a Valladolid “teve muitos disgostos com o Duque” a causa della costruzione di una galleria che passava attraverso le sue case per unire il Palazzo Vecchio al Palazzo Nuovo. 276 Come appare da questo elenco, pur largamente incompleto, i nemici del Duca di Lerma e di Don Rodrigo Calderón, che già per la sua sola condizione di advenedizo attirava – come Pedro Franqueza – l’odio di non pochi membri dell’alta nobiltà e che, inoltre, per la sua arroganza, neppure cercava di farsi degli amici, 277 erano numerosi. 278 Ed erano numerosi sin dagli anni in cui la Corte risiedette a Valladolid, come dimostrano i pasquines apparsi nell’estate del 1602 e nel gennaio del 1603 a Madrid e a Valladolid. (A Madrid, all’alba del 17 luglio 1602, tre libelli contro il Duca di Lerma erano stati collocati in “una de las puertas de Palaçio en la menor y en la de Guadalajara y en las puertas de la Cárçel”. Essi incitavano i popoli a ribellarsi con queste parole : “O pueblos  













morte di Don Íñigo López de Mendoza y Mendoza, avvenuta il 29 settembre 1601, D. Ana divenne VI Duchessa dell’Infantado e suo marito VI Duca dell’Infantado. Cfr. Alonso López de Haro : Nobiliario genealógico, p. 253. – Santiago Martínez Hernández : El Marqués de Velada y la Corte en los reinados de Felipe II y Felipe III, p. 156, pp. 177-178. – Santiago Martínez Hernández : Los cortesanos. Grandes y títulos frente al régimen de validos, pp. 444-445. – Luis-Alfonso Vidal de Barnola : Los títulos nobiliarios concedidos a los Álvarez de Toledo. In : María del Pilar García Pinacho (Ed.) : Los Álvarez de Toledo. Nobleza viva. Junta de Castilla y León 1998, pp. 53-89 ; qui p. 61. – Adolfo Carrasco Martínez : La construcción problemática del yo nobiliario en el siglo XVII. Una aproximacón. In : Dramaturgia festiva y cultura nobiliaria en el Siglo de Oro. Coordinado por Bernardo J. García García - María Luisa Lobato. Madrid : Iberoamericana - Vervuert 2007, pp. 21-44 ; qui pp. 39-42. 273   Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, pp. 229-230. – S. Martínez Hernández : El Marqués de Velada y la Corte en los reinados de Felipe II y Felipe III, p. 505. 274   Cfr. S. Martínez Hernández : El Marqués de Velada y la Corte en los reinados de Felipe II y Felipe III, pp. 432-460, 493-559. 275   Cfr. S. Martínez Hernández : El Marqués de Velada y la Corte en los reinados de Felipe II y Felipe III, p. 505 e pp. 524-525. Cfr. inoltre Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, pp. 463-464, p. 476, p. 510, p. 514. 276   Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, p. 67. Cfr. anche Luis Rosales : La vida de Don Diego de Silva, Conde de Salinas y Marqués de Alenquer, pp. 50-51. 277   Nella sua breve relazione dell’arresto di Don Rodrigo, Gil González D’Ávila osserverà : “como el Marques en tiempo de su fortuna, no tratò en ganar amigos ; en este de su cayda no los tuuo, que al fin como se siembra se coje”. Cfr. Gil González D’Avila : Teatro de las grandezas de la Villa de Madrid, Corte de los Reyes Católicos de España. Facsímil de la edición de Madrid 1623. Madrid : Publicaciones ABELLA. El Consultor de los Ayuntamientos. 1986, p. 110 (« Prison de don Rodrigo Calderon, Marques de Siete-Iglesias »). 278   Cfr. C. Pérez Bustamante : La España de Felipe III, p. 137.  

















































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y jentes miserables despaña quésperays a remediar las Ynsolençias de un pribado tirano cuyo libre y inorante gobierno os tiene a bos y a ese que aze papel de Rey en último punto de miseria, que durará con el peligro asta que os benga a sojuzgar la Lis”. 279 Nel gennaio del 1603 fu collocato “a las puertas de palacio … [un pasquín] que decía : Un Rey insipiente y un Duque insolente y un Confesor absolviente traen perdida toda la gente”. 280 Negli stessi giorni apparve a Valladolid un libello contro il Re, il Duca e la Duchessa di Lerma, il Marchese di Velada e il vescovo Juan Bautista de Acevedo. 281) Non sarebbe quindi facile cercare negli archivi delle nobili casate sopra menzionate un qualche documento che ci permetta di identificare chi, tra i nemici di Don Rodrigo, aveva teso una trappola ‘letteraria’ al favorito del favorito (nel caso, naturalmente, che sia fondata l’ipotesi di considerare la Pícara Justina un’opera non pro-, ma anti-calderoniana). Qualche traccia utile a chiarire i rapporti fra Pícara Justina, Don Rodrigo Calderón e un eventuale protettore dell’autore della Pícara Justina, potrebbe essere forse contenuta in uno dei tanti memoriali e pamphlets che circolavano manoscritti 282 e che erano diretti contro certi potenti o membri della loro famiglia. Cosí, per esempio, il diario di Gerolamo da Sommaia ci documenta che a Salamanca circolavano nel luglio del 1605 dei “Pasquini”, nel novembre 1605 un “Pasquino”, nel marzo del 1606 “una memoria sopra la Condesa de Villalonga” (in seguito viene annotata “una memoria sopra Doña Gabriella” e “una memorita circa de parenti di Doña Gabriella Condessa de Villalonga” ; probabilmente vi veniva schernita, per le sue modeste origini sociali, 283 la moglie di Pedro Franqueza, Ana Gabriel, figlia di Pedro Gabriel, un ricco proprietario rurale 284), nel maggio del 1606 un “Memoriale della Duquessa di Medina del Rio seco” 285 e nel febbraio del 1607 “la Relatione di Franchezza” e uno “scritto contra [Alonso] Ramirez [de Prado]”. 286 Una annotazione del diario, datata 19 agosto 1605, sembra riferirsi addirittura a un pamphlet su Don Rodrigo Calderón : “Don Ioan Bodeckero mi  





















279   Madrid : Biblioteca Nacional, Ms. 12179, fol. 109r : Consultas originales de Estado. « Pasquines que aparecieron en Madrid, año 1602, notificados al Duque de Lerma por el Consejo » [cit. da Bernardo José García García : La sátira política a la privanza del Duque de Lerma. In : Francisco Javier Guillamón Álvarez y José Javier Ruiz Ibáñez (Editores) : Lo conflictivo y lo consensual en Castilla. Sociedad y poder político, 1521-1715. Homenaje a Francisco Tomás y Valiente. Murcia : Universidad de Murcia 2001, pp. 261-295 ; qui pp. 280-281]. 280   Fray Jerónimo de Sepúlveda : Sucesos del Reinado de Felipe III, XII, 1603, p. 15. 281   “En estos días pusieron en Valladolid un pasquin terrible, en que fingían que todas las virtudes y vicios venían de fuera y pedían posada, y a muchas de ellas despidieron. Llegó a pedir posada la Justicia en palacio, y llamó, y la respondió el Rey que allí no posaba sino la Inocencia e Ignorancia, y que donde hay Ignorancia no es menester la Justicia. La Avaricia en casa del duque de Lerma la aposentaron. La Alegría en casa del obispo. La Paciencia en casa del marqués de Velada la dieron posada. La Soberbia en casa de la duquesa de Lerma, y ansí fueron aposentados los demás” (Fray Jerónimo de Sepúlveda : Sucesos del Reinado de Felipe III, XII, 1603, p. 15). 282   Sulla circolazione di libelli manoscritti cfr. Fernando Bouza : Corre manuscrito. Una historia cultural del Siglo de Oro. Madrid : Marcial Pons 2001, pp. 109-135. 283   Thomé Pinheiro da Veiga (Fastigimia, pp. 170-171), fondandosi forse su uno di questi libelli, scrive che il padre della moglie di Pedro Franqueza era un sarto arricchitosi nelle Indie Occidentali. 284   Cfr. Josep M. Torras i Ribé : Poder i relacions clientelars a la Catalunya dels Àustria. Pere Franquesa (1547-1614), pp. 85-88. 285   Il 25 ottobre 1603, trovandosi a Valladolid, Girolamo da Sommaia aveva parlato di “Scritture contra l’Almirante”. Si riferisce all’Ammiraglio d’Aragona o al Duca di Rioseco, menzionato nella annotazione ricordata del 27 ottobre 1603 ? Cfr. Diario de un estudiante de Salamanca. La crónica inédita de Girolamo da Sommaia (1603-1607), p. 302. Il “Memoriale della Duquessa di Medina del Rio seco” è però, quasi sicuramente, il seguente : Memorial que la Duquesa de Medina de Rioseco tiene dado al Rey sobre el desempeño de la casa del Almirante de Castilla. Valladolid : Luis Sánchez 1605 (cfr. M. Alcocer y Martínez : Catálogo razonado de obras impresas en Valladolid, 1481-1800, p. 207, nro. 493). 286   Cfr. Diario de un estudiante de Salamanca. La crónica inédita de Girolamo da Sommaia (1603-1607), p. 373, p. 375, p. 425, p. 481, p. 486, p. 490, p. 503, p. 595, p. 598, p. 590.  



































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uisitò, et mi rese le scritture [che] haueua di mio, solo gli resto il Calderone” 287 (con la parola scritture Girolamo da Sommaia designa, normalmente, relazioni, memorie, lettere, memoriali, pamphlets e pasquini che circolavano manoscritti e per i quali il patrizio fiorentino e i suoi conoscenti mostravano un vivo interesse). La cronaca di Luis Cabrera de Córdoba testimonia che nel luglio del 1608 “amanecieron en la puerta de Palacio, en la de Guadalajara, en la de la cárcel Real y del Sol, ciertos papeles á modo de libello ó pasquin con tales ó semejantes palabras, provocando á los pueblos que despertasen, porque un privado tirano que gobernaba, tenia al Rey y reino en el último punto”. 288 I pasquines contro Lerma e i suoi favoriti si moltiplicarono dopo l’arresto di Pedro Franqueza e Alonso Ramírez de Prado, 289 responsabili – fra l’altro – delle manipolazioni attuate dalla cosiddetta Junta del Desempeño General, istituita il 5 maggio 1603 per mettere ordine nelle disastrate finanze pubbliche. 290  







d) La Pícara Justina come satira della ossessione genealogica dei cortigiani Marcel Bataillon interpreta sin dal Corso del 1958 e da quello del 1959, 291 la Pícara Justina come una satira della ossessione genealogica di cui soffrivano i cortigiani e lo stesso Don Rodrigo. 292 Gran parte della Pícara Justina, scrive il grande ispanista nel saggio Los asturianos de La Pícara Justina (1964), “transparenta a cada momento una sátira bastante feroz de la obsesión genealógica en la que la tiranía de las discriminaciones raciales sumergía entonces a las familias nobles o en trance de ennoblecerse, como la de D. Rodrigo Calderón” ; e alcune pagine piú avanti indica ancora nella ossessione genealogica “el tema capital de las preocupaciones de los cortesanos de aquella época”. 293 Nel saggio Les nouveaux chrétiens dans l’essor du roman picaresque, anch’esso pubblicato nel 1964, Marcel Bataillon afferma che la Pícara Justina è stata generata dal desiderio di Francisco López de Úbeda di burlarsi della universale preoccupazione ge 







287

  Diario de un estudiante de Salamanca. La crónica inédita de Girolamo da Sommaia (1603-1607), p. 390.   Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, pp. 344-345. Sulla critica politica espressa in memoriali, libelli e satire, che circolavano per lo più manoscritti, cfr. Luis Rosales : Algunas reflexiones sobre la poesía política en tiempo de los Austrias (1944). In : L. R. : Obras completas. Volumen 3. Estudios sobre el Barroco. Edición de Félix Grande, Antonio Hernández y Guadalupe Grande. Madrid : Editorial Trotta 1997, pp. 149-175. – Mercedes Etreros : La sátira política en el siglo XVII. Madrid : Fundación Universitaria Española 1983. – Bernardo José García García : La sátira política a la privanza del Duque de Lerma, pp. 261-295. 289   Cfr. B. J. García García : La sátira política a la privanza del Duque de Lerma, pp. 281-286. 290   Cfr. Josep M. Torras i Ribé : Poder i relacions clientelars a la Catalunya dels Àustria. Pere Franquesa (15471614), pp. 173-189. – Carlos J. de Carlos Morales : Política y finanzas. In : La Monarquía de Felipe III : La Corte (Volumen III). Directores : José Martínez Millán, Maria Antonietta Visceglia. Madrid : Fundación MAPFRE Instituto de Cultura 2008, pp. 749-865 ; qui pp. 767-792 (« La Junta del Desempeño General »). 291   “La obsesión de la limpieza de sangre que reina alrededor del difícil ennoblecimiento de don Rodrigo Calderón es uno de los temas capitales de López de Ubeda...”. – “[...] las páginas consagradas por Justina a la muerte de sus padres y el frenesí con que en ellas se entrega a la broma sobrepasan, con mucho, los más amargos sarcasmos del Buscón. El héroe de Quevedo es capaz de sentir vergüenza. Justina, en cambio, ha llevado hasta el absurdo la objetividad tradicional con que los pícaros, desde Pármeno y Lazarillo, hablan de la ignominia de sus padres. El innoble horror de aquellos funerales mesoneriles parece, en realidad, una trasposición ultrarrealista de las negaciones y los ultrajes a que se veían expuestas algunas familias pendientes de expediente de limpieza de sangre, cuando en frase entonces consagrada, les « desenterraban los muertos »” (Marcel Bataillon : Pícaros y picaresca, p. 30, p. 36). 292   M. Bataillon : Pícaros y picaresca, p. 34 (“[...] la camarilla de cortesanos a los que obsesionaban los mil obstáculos puestos en su camino hacia los honores nobiliarios por la tiranía de la limpieza de sangre, y no olvidemos el caso de don Rodrigo Calderón”). 293   M. Bataillon : Los asturianos de La Pícara Justina, p. 129, p. 133. 288















































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nealogica delle famiglie emergenti e del bisogno generalizzato di cancellare le tracce di ascendenti impuri :  

[...] le souci universel de généalogie qui tourmentait les familles montantes de l’Espagne, le besoin généralisé d’effacer les traces d’ascendants impurs, avaient inspiré à López de Ubeda l’envie de s’en moquer dans une facétie de style fort peu réaliste. [...] Elle [Justina] va consacrer ... de nombreuses pages à évoquer ses ascendants en remontant quatre générations. C’est une généalogie burlesque, dont la règle du jeu parodie celles des ‘pruebas’ [...]. 294  

Interpretazione convincente e da noi pienamente condivisa, che è però in evidente contrasto con la funzione di propaganda pro-calderoniana assegnata da Marcel Bataillon all’opera. Come poteva burlarsi Francisco López de Úbeda di quella ossessione genealogica che tormentava lo stesso Don Rodrigo Calderón ? Come poteva burlarsi Francisco López de Úbeda di quelle falsificazioni genealogiche alle quali attendeva con tanto impegno lo stesso dedicatario della sua opera, opera che era essa stessa, secondo lo studioso, parte di una raffinata strategia di falsificazione genealogica ? All’inizio delle sue ricerche sulla Pícara Justina Marcel Bataillon aveva scritto – come abbiamo già ricordato più volte – che l’ironia di Francisco López de Ubeda è “dirigida contra leoneses, montañeses y asturianos” ed è l’ironia di un uomo “que se ríe de su propia impureza en las mismas barbas de una minoría seudo selecta que reivindica el monopolio de la pureza para monopolizar honores y prebendas”. 295 Il monopolio della purezza di sangue era notoriamente rivendicato dai cristianos viejos ed in particolare dagli hidalgos de la montaña, cristiani da tempo immemoriale. Tali erano i “leoneses, montañeses y asturianos” contro i quali era diretta, secondo M. Bataillon, l’ironia di Francisco López de Úbeda. Alla fine delle sue ricerche sulla Pícara Justina, nel saggio Les nouveaux chrétiens dans l’essor du roman picaresque (1964), Marcel Bataillon, dopo aver ripetuto che vizcaíno, montañés e asturiano sono usati come sinonimi, corrispondendo tutti questi termini al significato comune di hidalgo ipso facto, scrive :  







Cette créature étrange [Justina] commence seulement à être intelligible quand on aperçoit qu’il ne s’agit pas d’une figure imitée du réel, mais d’un être fabriqué par la fantaisie débridée d’un bouffon, que l’épithète de montañesa qui lui est appliquée n’a pas son sens géographique littéral mais celui de hidalga depuis toujours, et qu’il y a dans les mots pícara montañesa une sorte de défi burlesque dans lequel l’heroïne se targue d’unir la bassesse par définition et la noblesse par définition. 296  

Se l’autore della Pícara Justina si fosse riferito ai cosiddetti hidalgos de la montaña, 297 ca 

294   M. Bataillon : Les nouveaux chrétiens dans l’essor du roman picaresque, p. 290. – M. Bataillon : Los cristianos nuevos en el auge de la « novela picaresca », p. 189 (“[...] la preocupación universal por la genealogía que atormentaba a las familias de España en trance de ennoblecerse y el general deseo de borrar toda huella de ascendencia impura, eran los procesos sociales que habían inspirado a López de Úbeda el deseo de burlarse de ellos en una obra jocosa, de estilo muy poco realista”). 295   M. Bataillon : Redescubrimiento de una obra literaria (1958-1960). In : M. B. : Pícaros y picaresca, p. 34. 296   M. Bataillon : Les nouveaux chrétiens dans l’essor du roman picaresque, p. 290. – M. Bataillon : Pícaros y picaresca, p. 188 (“Sólo comienza a sernos inteligible aquella extraña criatura [Justina] cuando nos damos cuenta de que no se trata de una figura imitada de la realidad, sino de un ser fabricado por la fantasía desbocada de un bufón, cuando apreciamos que el epíteto de montañesa que se le aplica no tiene su sentido geográfico literal, sino el de persona que tiene hidalguía inmemorial, y cuando se descubre que en las palabras pícara montañesa hay una especie de desafío burlesco con el cual la heroína se jacta de unir la bajeza por definición con la nobleza, también por definición”). 297   La Montaña – anche : las Montañas de León – era formata da parte della Galizia, dalle Asturias de Oviedo e dalle Asturias de Santillana.  



















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tegoria sociale inflazionata 298 e quindi oggetto di frequente scherno nella letteratura 299 ( Justina scrive, parlando delle Asturie, che questa “tierra tiene las noblezas a segunda azadonada” 300), avrebbe condiviso la sua avversione sia con gli hidalgos ricchi, i señores de vasallos, i cavalieri e i señores de título, sia con i pecheros benestanti e, in particolare, i labradores ricos. Tutti questi ritenevano, infatti, assurda la pretesa di hidalguía da parte di chi non aveva denaro per sostenerla vivendo nobilmente e si beffavano degli hidalgos de la montaña 301 e, in generale, di tutti gli hidalgos poveri. 302 La posizione dell’autore della  









298   Di condizione hidalga era il 76% della popolazione asturiana. In grandissima parte si trattava di hidalgos rurales, che per lo più non possedevano la terra che essi stessi lavoravano e che vivevano in condizione di quasi povertà. Scrivono María Ángeles Faya Díaz e Lidia Anes Fernández : “la población del Principado, durante la Edad Moderna, estaba integrada en una gran parte por hidalgos rurales cuya fuente de recursos era la tierra, llevada en arriendo toda la que trabajaban las mas de las veces. Pagadas las rentas, diezmos y demás cargas, apenas les quedaba lo imprescindible para vivir. La situación económica de estas gentes rayaba en la pobreza en situaciones normales, y caía en ella de forma decidida ante cualquier contratiempo que hiciese disminuir la misera cantidad de grano que podían llevar a sus graneros”. Le terre coltivate da questi hidalgos contadini appartenevano a caballeros, señores de vasallos, hidalgos notorios o de solar conocido, che formavano una nobiltà di second’ordine, non molto numerosa e, per lo più, di modeste risorse economiche, costretta, per mantenere o migliorare la propria condizione, ad abbracciare la carriera militare, burocratica o ecclesiastica e, soprattutto, a cercare fortuna nelle Indie. Nelle Asturie del XVI e dell’inizio del XVII secolo non esisteva una “nobleza titulada” (cfr. María Ángeles Faya Díaz - Lidia Anes Fernández : Nobleza y poder en las Asturias del Antiguo Régimen. Oviedo : KRK Ediciones 2007, p. 21, pp. 79-97, p. 154). La percentuale degli hidalgos era superiore solo nella Cantabria - 86% - e in Guipúzcoa e Vizcaya, dove la hidalguía era, secondo il Fuero Nuevo de Vizcaya del 1526, ‘universale’. La stessa Justina accenna ironicamente alla povertà e al gran numero di hidalgos biscaglini laddove scrive : “era mi marido loçano en el echo, y en el nombre, pariente de algo, y hijo de algo. Y preciauase tanto de serlo, que nunca escupi sin encontrar con su hidalguia, podia ser que lo hiziesse de temor que no se nos oluidasse de que era hidalgo. Y no le faltaua razon, porque su pobreza era bastante a enterrar en la huessa de el oluido mas hidalguias que ay en Vizcaya” (Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO QVARTO DE LA PICARA NOBIA. CAPITVLO QVARTO DE LAS obligaciones de amor », pp. 29-30). Nelle Montañas de Burgos, il numero di hidalgos costituiva il 50-70% della popolazione [cfr. José Ramón Díaz de Durana Ortiz de Urbina : La otra nobleza. Escuderos e hidalgos sin nombre y sin historia. Hidalgos y hidalguía universal en el País Vasco al final de la Edad Media (1250-1525). Bilbao : Universidad del País Vasco 2004, p. 19]. Tutte queste erano percentuali enormemente superiori a quella media del Regno di Castiglia. Infatti, nel Regno di Castiglia – secondo il censimento del 1591, eseguito per stabilire la ripartizione dell’imposta sul consumo (servicio de millones) e utilizzato da Felipe Ruiz Martín, che lo ha integrato con altri documenti – vi erano 1.148.674 vecinos pecheros (= – applicando il coeff. 5 – a 5.743.370 ab.) e 133.476 vecinos hidalgos (= 667.380 ab. ca.). Gli hidalgos costituivano, quindi, il 10,4% della popolazione totale – il 10,2%, secondo i calcoli di A. Molinié-Bertrand, che registra 134.223 vecinos hidalgos e applica il coeff. 4,5 per ogni vecino – (cfr. Felipe Ruiz Martín : Demografía eclesiástica hasta el siglo XIX. In : Diccionario de Historia eclesiástica de España. Dirigido por Quintin Aldea Vaquero, Tomas Marín Martínez, José Vives Gatell. II : CH-MAN. Madrid : C. S. I. C. 1972, pp. 682-726 ; qui p. 690. – Annie Molinié-Bertrand : Les ‘hidalgos’ dans le royaume de Castille à la fin du XVIe siècle. Approche cartographique. In : Revue d’histoire économique et sociale 52, 1974, 51-82 ; qui pp. 62-63). La provincia di León, formata da 1.361 pueblos, aveva nel 1591 una popolazione totale di 69.563 vecinos, così suddivisi : 42.079 pecheros ; 24.313 hidalgos (= ca. 35%) ; 2.226 clérigos ; 945 religiosos (cfr. Valentina Fernández Vargas : Población urbana y población rural en León en el siglo XVI. In : La Ciudad Hispánica durante los siglos XIII al XVI. Madrid : Universidad Complutense 1985, tomo I, pp. 617-623 ; qui p. 620). 299   Cfr. Miguel Herrero García : Ideas de los españoles del siglo XVII. Madrid : Gredos (Biblioteca Románica Hispánica) 1966, pp. 226-248. 300   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « TERCERA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO : De la Picara Romera, Capitulo 4. de la partida de Leon. Numero tercero, de los trajes de Montañeses y Coritos », p. 185. Nel Diálogo entre Laín Calvo y Nuño Rasura (1570), Nuño, parlando dei cavalieri di Burgos dice a Laín : “a dos açadadas en los mas estirados que presumen ser de los godos hallarias agua turbia” (p. 166). 301   Le professioni e i mestieri esercitati nella Capitale da moltissimi asturiani, ‘hidalgos’ o no che fossero, erano tutt’altro che nobili : lavoravano, infatti, comunemente come lacchè, venditori ambulanti, barquilleros (suplicacioneros), cocchieri, esportilleros, arrotini, ‘escuderos’, acquaiuoli e demandaderos. 302   Cfr. Marie-Claude Gerbet : La nobleza en la Corona de Castilla. Sus estructuras sociales en Extremadura, 1454-1516. Salamanca : Institución Cultural « El Brocense » 1989, pp. 59-61. – Pedro L. Lorenzo Cadarso : Los conflictos populares en Castilla (siglos XVI-XVII). Madrid : Siglo XXI de España Editores 1996, p. 32, p. 46. Cfr.  









































































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Pícara Justina, che degli “hidalgos pobres” dice “que de ordinario trahen la bolsa tan llena de soberuia, quan vazia de moneda”, 303 sarebbe stata allora identica a quella del pubblico di cortigiani per i quali scriveva. Ma secondo l’illustre ispanista – lo accenna già nel Corso del 1959, 304 lo afferma poi con decisione nei saggi « La picaresca ». À propos de La Pícara Justina (1963) 305 e Les nouveaux chrétiens (1964) 306 e lo ‘dimostra’, infine, diffusamente nel saggio Los asturianos de La Pícara Justina (1964) – i “leoneses, montañeses y asturianos” attaccati da Francisco López de Úbeda non sono gli hidalgos de la montaña, ma i membri della Corte, i cortigiani. I cortesanos, scrive Marcel Bataillon, erano coloro ai quali il Re prodigava gli hábitos degli Ordini Militari e i titoli di Grande di Spagna 307 (certamente non li prodigava agli hidalgos de la montaña, 308 troppo poveri per poter sostenere le spese delle informazioni genealogiche e vivere con il decoro e la dignità richiesti a un cavaliere, 309 e tantomeno ai contadini, anche se essi erano cristianos viejos per antonomasia, in quanto “encarnación simbólica de la limpieza de sangre” 310). I cortesanos, scrive ancora, erano coloro che monopolizzavano onori e prebende. 311 (In realtà gli hábitos degli Ordini Militari erano concessi anche ai ricchi mercanti o ai loro figli 312 e, in particolare, agli appartenenti alle  























inoltre Alberto Martino : Il Lazarillo de Tormes e la sua ricezione in Europa (1554-1753). Volume I. L’opera. PisaRoma : Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali 1999, pp. 538-544. 303   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « INTRODVCCION GENERAL, PARA TODOS los tomos y libros. Numero primero, Del melindre al pelo de la pluma », p. 11. Sugli “hidalgos pobres” Justina stessa, per giustificare la sua trasformazione in “romera envergonzante”, osserva : “Ay hermanito, quantos hidalgos honrados ay, que en achaque que piden para pobres envergonçantes, piden sin verguença para si ?” (« SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO DE la Picara Romera. Capitulo. IIII. De la romera de Leon. Numero tercero de la romera enuergonzante », p. 94.) 304   M. Bataillon : Redescubrimiento de una obra literaria, pp. 34-35. 305   M. Bataillon : “La picaresca”. À propos de La pícara Justina, p. 246 (“La pícara de López de Úbeda, sous couleur de décrire de rustiques faucheurs des Asturies rencontrés au retour de León, se moque de la moisson des honneurs dont la cour est le théâtre pour les nobles...”). 306   M. Bataillon : Les nouveaux chrétiens dans l’essor du roman picaresque, p. 290 (“les faucheurs asturiens [...] sont une transposition cocasse des aristocrates qui récoltaient les croix des ordres militaires et les titres de noblesse grâce à leur hidalguía immémoriale d’asturianos”). – M. Bataillon : Los cristianos nuevos en el auge de la « novela picaresca », pp. 188-189 (“los segadores asturianos ... son una cómica transposición de los nobles que cosechan los hábitos de las Órdenes militares y los títulos de nobleza gracias a su inmemorial hidalguía de « asturianos »”). 307   M. Bataillon : Redescubrimiento de una obra literaria, p. 34. 308   Sullo scarsissimo numero di veri e propri hidalgos de la montaña fra i Cavalieri di Santiago, cfr. Martine Lambert-Gorges : Basques et Navarrais dans l’Ordre de Santiago (1580-1620). Paris : Éditions du C.N.R.S. 1985 (= Collection de la Maison des Pays Ibériques, 14). 309   Cfr. María Ángeles Faya Díaz - Lidia Anes Fernández : Nobleza y poder en las Asturias del Antiguo Régimen, p. 27. 310   F. Márquez Villanueva : Sebastián de Horozco y la literatura bufonesca, p. 163 n. 311   Cfr. M. Bataillon : Redescubrimiento de una obra literaria, pp. 34-35. – M. Bataillon : “La picaresca”. À propos de La pícara Justina, p. 246 – M. Bataillon : Les nouveaux chrétiens dans l’essor du roman picaresque, p. 290. – M. Bataillon : Los cristianos nuevos en el auge de la « novela picaresca », pp. 188-189. 312   Cfr. Antonio Domínguez Ortiz : Comercio y blasones. Concesiones de hábitos de Órdenes Militares a miembros del Consulado de Sevilla en el siglo XVII. In : Anuario de Estudios Americanos 33 (1976), 217-256. – Elena Postigo Castellanos : Honor y privilegio en la Corona de Castilla. El Consejo de las Órdenes y los Caballeros de Hábito en el s. XVII. Junta de Castilla y León. Consejería de Cultura y Bienestar Social 1988, p. 157, p. 119 n., pp. 177-179. – Guillermo Lohmann Villena : Los americanos en las órdenes nobiliarias. Tomo I. 2.ª Edición. Preámbulo de Francisco de Solano. Madrid : C.S.I.C. 1993, pp. LVII-LVIII. – L. P. Wright : Las Órdenes Militares en la sociedad española de los siglos XVI y XVII. La encarnación institucional de una tradición histórica. In : John H. Elliott, ed. : Poder y sociedad en la España de los Austrias. Barcelona : Editorial Crítica 1982, pp. 15-56 ; qui pp. 51-55. Lo stesso Marcel Bataillon (El protector de La Pícara : Don Rodrigo Calderón, antuerpiense, p. 101) scrive : “[...] los caballeros de las Órdenes militares de Santiago, Calatrava y Alcántara [...] ya no se reclutan en el siglo XVI, y muchos menos a comienzos del XVII, entre los combatientes de la frontera contra  













































































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oligarchie municipali – fenomeno questo particolarmente vistoso a Toledo, 313 dove vi era una delle maggiori concentrazioni di caballeros de hábito della Penisola Iberica 314 –, spesso sí di origine conversa, ma in grado di comprare gli hábitos e i testimoni per le prove di limpieza de sangre, di fare falsificare le proprie genealogie 315 e di sostenere le spese elevatissime che tutto il procedimento – e specialmente le ‘informazioni’, che potevano rendere necessari costosi viaggi dei commissari degli Ordini Militari incaricati di eseguirle e durare anni – comportava. 316 La stratificazione sociale era infatti determinata, già a partire dalla fine del Medioevo, 317 sempre piú fortemente dal denaro, 318 il cui potere  











los moros. Constituyen, en parte, una orden de caballería cortesana y ciudadana, entre cuyos neófitos existen, en cierta proporción, hombres que proceden del mundo de los negocios y que consiguen, empero, empleando una táctica aún insuficentemente estudiada, probar que sus antepasados eran limpios de sangre y sin relación alguna con las profesiones mercantiles”. 313   Cfr. Francisco José Aranda Pérez : Caballeros de hábito y oligarquías urbanas. In : Las Órdenes Militares en la Península Ibérica. Volumen II. Edad Moderna. Coordinador : Jerónimo López-Salazar Pérez. Cuenca : Ediciones de la Universidad de Castilla-La Mancha – Cortes de Castilla-La Mancha 2000, pp. 2049-2088 ; qui pp. 2061-2074. Non molto diversa era la situazione in altre città. A Madrid, alla fine del regno di Filippo II, che sempre si era opposto alle pressioni volte ad ottenere che si aumentasse la concessione di hábitos e che questi fossero concessi non solo per meriti militari, trentadue regidores (= 18,7%) erano cavalieri di un Ordine Militare. Cfr. Ana Guerrero Mayllo : Familia y vida cotidiana de una élite de poder. Los regidores madrileños en tiempos de Felipe II. Madrid : Siglo veintiuno de españa 1993, p. 21. I cavalieri di Ordini Militari appartenenti alle oligarchie municipali erano numerosissimi a Siviglia, dove moltissimi erano i veinticuatros di origine ebraica e dove diverse famiglie conversas – come la famiglia Alcázar, la famiglia De la Fuente, la famiglia Díaz de Herrera, la famiglia Solís, e tante altre – erano vere e proprie accaparratrici di veinticuatrías e talvolta di hábitos di Santiago, Alcántara, San Juan, Calatrava. Cfr. Juan Gil : Los conversos y la Inquisición sevillana. Volumen III. Ensayo de Prosopografía. Sevilla : Universidad de Sevilla 2001, pp. 194-204. – Juan Gil : Los conversos y la Inquisición sevillana. Volumen IV. Ensayo de Prosopografía. Sevilla : Universidad de Sevilla 2001, pp. 100-107 e pp. 219-221. – Juan Gil : Los conversos y la Inquisición sevillana. Volumen V. Ensayo de Prosopografía. Sevilla : Universidad de Sevilla 2001, pp. 331-338. – Ruth Pike : Aristocrats and Traders. Sevillian Society in the Sixteenth Century. Ithaca and London : Cornell University Press 1972, pp. 22-52, pp. 99-129. – Ruth Pike : Linajudos and Conversos in Seville. Greed and Prejudice in Sixteenth- and Seventeenth-Century Spain (= American University Studies. Series IX : History, Vol. 195). Bern : Peter Lang 2000. 314   Sulla procedenza geografica dei cavalieri degli Ordini Militari cfr. E. Postigo Castellanos : Honor y privilegio en la Corona de Castilla. El Consejo de las Órdenes y los Caballeros de Hábito en el s. XVII, pp. 203-205. Negli anni 1600-1699 la città dalla quale procedeva il maggior numero di cavalieri di Ordini Militari era Madrid (799), seguita da Siviglia (331), Toledo (259), Valladolid (199), Córdoba (171), Guipúzcoa (163), Burgos (154). 315   Cfr. Alberto Martino : Il Lazarillo de Tormes e la sua ricezione in Europa (1554-1753). Volume I. L’opera, pp. 483-496. – Alberto Martino : Der deutsche Buscón (1671) und der literatursoziologische Mythos der Verbürgerlichung des Pikaro. In : Daphnis 30 (2001), 219-332 ; qui pp. 286-293. Scriveva Agustín Salucio : “En las informaciones passa como en otras cosas umanas : que el que tiene enemigos, aunque no tenga raça conoscida de judio, ni moro, ni ereje, se dilata su pretension por algunos años, con el enojo y coraje que se dexa entender ; y aunque tenga falta notoria, por falta de enemigos, ò por sobra de amigos y buena diligencia, en fin salen muchos con su pretension como si fueran limpios. Y bien se vè que es negocio espuesto al peligro de testigos falsos ; y que donde ay facilidad de perjurarse, se puede hazer pintada qualquiera informacion”. Cfr. DISCVRSO HECHO | por Fray Augustin Salucio Mae- | STRO EN SANTA TEOLOGIA, DE LA | Orden de santo Domingo, acerca de la justicia y buen | govierno de España, en los estatutos de limpieza | de sangre : y si conviene, o no, alguna | limitacion en ellos. [1599] (Madrid, Biblioteca Nacional : R. 30055), fo. 5v. 316   Sulle procedure stabilite per la concessione delle insegne di cavaliere e sui costi degli hábitos e delle procedure, cfr. Martine Lambert-Gorges : Basques et Navarrais dans l’Ordre de Santiago (1580-1620), pp. 33-49. – E. Postigo Castellanos : Honor y privilegio en la Corona de Castilla, pp. 144-155, pp. 172-176. – Francisco Fernández Izquierdo : La Orden Militar de Calatrava en el siglo XVI. Infrastructura institucional. Sociología y prosopografía de sus caballeros (= Biblioteca de Historia, 15). Madrid : C.S.I.C. 1992, pp. 226-232. 317   Marie-Claude Gerbet : La nobleza en la Corona de Castilla. Sus estructuras sociales en Extremadura, 1454-1516, pp. 59-61, p. 136. – José Angel García de Cortázar : La sociedad rural en la España medieval. Madrid : Siglo XXI de España Editores 1990, pp. 157-163, p. 177, pp. 242-251. – Luciana de Stefano : La sociedad estamental de la Baja Edad Media española a la luz de la literatura de la época. Caracas : Universidad Central de Venezuela. Facultad de Humanidades y Educación. Instituto de Filología « Andrés Bello » 1966, p. 128. 318   Sulla importanza – sempre crescente già a partire dal XV secolo – del denaro come fattore della stratificazione, della mobilità e della differenziazione sociale, cfr. Julio Caro Baroja : Honor y vergüenza. Examen hi 

















































































le interpretazioni della pícara justina

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“como destructor de jerarquías preestablecidas” – ha scritto Antonio Domínguez Ortiz – “se reveló irresistible”. 319 Gli Statuti di purezza di sangue, che “siempre podían ser bur 

stórico de varios conflictos. In : J. G. Peristiany : El concepto del honor en la sociedad mediterránea. Barcelona : Editorial Labor 1968, pp. 77-126 ; qui p. 96, pp. 102-105. – José Antonio Maravall : Estado moderno y mentalidad social (siglos XV a XVII). Madrid : Ediciones de la Revista de Occidente, S. A. 1972, 2 voll. ; qui II, pp. 37-46, pp. 80-86. – José Antonio Maravall : Poder, honor y élites en el siglo XVII. Madrid : Siglo Veintiuno Editores 1979, p. 57 n., p. 106, pp. 116-134, pp. 162-163, pp. 218-237, p. 256, p. 298. – John Lynch : España bajo los Austrias. II. España y América (1598-1700). Barcelona : ediciones península 1975, pp. 182-186. – Antonio Domínguez Ortiz : El Antiguo Régimen : los Reyes Católicos y los Austrias. Madrid : Alianza Editorial Alfaguara 1981, p. 108, pp. 138-139. – Marie-Claude Gerbet - Janine Fayard : Fermeture de la noblesse et pureté de sang dans les concejos au XVème [XVIème !] siècle : à travers les procès d’hidalguía. In : La ciudad hispánica durante los siglos XIII al XVI. I. Madrid : Universidad Complutense 1985, pp. 443-473 ; qui pp. 464-465, p. 472. – Vicente Montojo Montojo : El Siglo de Oro en Cartagena (1480-1640) : Evolución económica y social de una ciudad portuaria del Sureste español y su comarca. Cartagena : Ayuntamiento de Cartagena - Real Academia Alfonso el Sabio - Universidad de Murcia 1993, pp. 79-86. – Marie-Claude Gerbet : La nobleza en la Corona de Castilla. Sus estructuras sociales en Extremadura, 1454-1516, pp. 57-61. – Cfr. inoltre A. Martino : Il Lazarillo de Tormes e la sua ricezione in Europa (1554-1753). Volume I. L’opera, pp. 470-496. Innumerevoli sono le testimonianze ‘letterarie’ sul denaro percepito come principale fattore della stratificazione della società, come fonte del prestigio sociale, dell’onore e della nobiltà. Ne ricordiamo alcune : Santa Teresa de Jesús : Camino de perfección. In : Obras completas. Madrid : Aguilar 1982, p. 295 (“Tengo para mi que honras y dinero casi siempre andan juntos, y que quien quiera honra, no aborrece dineros ; y que quien los aborrece, que se le da poco de honra.”). – [Alonso] López Pinciano : Philosophia antigua poética [1596]. Edición de Alfredo Carballo Picazo (= Biblioteca de antiguos libros hispánicos, Serie A : Vol. XIX-XXI). Madrid : C.S.I.C. 1973, 3 voll. ; qui I, p. 19 (“El dinero es el precio de todas las cosas ; con la riqueza seré honrado…”). – Hernando de Soto : Emblemas Moralizadas (1599). Edición e Introducción de Carmen Bravo-Villasante. Madrid : Fundación Universitaria Española 1983, fo. 13v-15r. – Lope de Vega Carpio : Comedia La Orden de Redención, y Virgen de los Remedios ; La dama boba ; La Comedia Famosa de Dineros son calidad. In : Obras de Lope de Vega. Publicadas por la Real Academia Española (Nueva edición). Obras dramáticas. Tomo VIII. Madrid 1930, p. 679 (“entre la gente de nombre, / no tiene más honra el hombre / que la hacienda que tiene”) ; Tomo XI. 1929, p. 597 (“el sol del dinero / va del ingenio adelante / [...] No hay en el nacer agravio, / por notable que haya sido, / que el dinero no lo encubra”) ; Tomo XII. Madrid 1930, pp. 58-59. – Lope de Vega : El villano en su rincón ; Querer la propia desdicha. In : Lope Félix de Vega Carpio Obras escogidas. Tomo I. Teatro*, p. 1180 (“Ducados hacen ducados…”) ; p. 1617 (“No hay más sustancia / ni calidad que el dinero…”). – Lope de Vega Carpio : A mis soledades voy. In : Romancero español. Madrid : Aguilar 1968, pp. 1059-1062 (“la mejor sangre el dinero”). Ne La prueba de los amigos Lope de Vega fa dire ad un personaggio : “No dudes que el dinero es todo en todo ; / es príncipe, es hidalgo, es caballero, / es alta sangre, es descendiente godo” ; e ad un altro personaggio : “sólo el tener / es la perfecta hidalguía”. In : Obras de Lope de Vega publicadas por la Real Academia Española. Nueva Edición. Obras dramáticas. Tomo XI. Madrid 1929, p. 113, p. 124). – Miguel de Cervantes : La guarda cuidadosa (Entremés). In : Obras completas. Madrid : Aguilar 1960, p. 569 b. – Don Joaquín Setanti : Centellas de varios conceptos (1614). In : Obras escogidas de filósofos (= Biblioteca de Autores Españoles, 65). Madrid : Atlas 1953, pp. 523-538 ; qui p. 527 (nro. 171, 172), p. 530 (nro. 303, 304), p. 534 (nro. 401), p. 536 (nro. 447). – Tirso de Molina : Marta la piadosa. In : Comedias escogidas de Fray Gabriel Téllez (= Biblioteca de Autores Españoles, 5). Madrid : Atlas 1944, p. 445. In una « Letrilla satírica : Dineros son calidad » del 1601 Góngora scrive : “Cruzados hacen cruzados, / escudos pintan escudos. / [...] Todo se vende este día, / todo el dinero lo iguala” (Luis de Góngora : Letrillas. Edición, introducción y notas de Robert Jammes, p. 94). In una letrilla attribuita, senza fondamento, a Góngora figura questo estribillo : “No ay más bien que tener / ni maior mal / que tener neçesidad.” Cfr. Antonio Carreira : Nuevos poemas atribuidos a Gongora (letrillas, sonetos, décimas y poemas varios). Prólogo de Robert Jammes. Barcelona : Quaderns Crema 1994, pp. 140-142. – Romancero general (1600, 1604, 1605). I. Edición, prólogo y índices de Ángel González Palencia (= Clásicos Españoles, III). Madrid : C.S.I.C. 1947, pp. 209-210 (nro. 313, vv. 19-20), pp. 308-309 (nro. 474, vv. 131-132), pp. 467-468 (nro. 701, vv. 45-60), pp. 471-472 (nro. 706, vv. 49-120). – Gonzalo Correas : Vocabulario de refranes y frases proverbiales (1627). Edición de Louis Combet, p. 267 (“El dinero es caballero”, “El dinero todo lo puede y vence”, “Todo lo puede el dinero”, ecc.). Verso la fine del terzo capitolo del quarto libro Justina dice : “Es el dinero el plus vltra : con quien todo crece, y passa adelante”. – “el aranzel con que oy se miden las qualidades, y partes humanas, es el dinero”. – “Tanto crece el amor, quanto la pecunia crece, / Que oy dia todo a el se rinde, y todo le obedece” (Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO QVARTO DE LA PICARA NOBIA. CAPITVLO TERCERO DE LOS Pretendientes, que ni quiero, ni creo », p. 24 ; « CAPITVLO QVARTO DE LAS obligaciones de amor. EXAMETROS Españoles », 26). Sulle invettive di Quevedo contro il denaro e il suo potere diabolico, cfr. A. Martino : Der deutsche Buscón (1671) und der literatursoziologische Mythos der Verbürgerlichung des Pikaro, pp. 317-318. 319   Antonio Domínguez Ortiz : La sociedad española en el siglo XVII. I. (= Monografías histórico-sociales, Vol. VII.) Madrid : C. S. I. C. 1963, p. 42.  









































































































































































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capitolo ii

lados por el dinero y los contactos sociales”, funzionavano – come è stato recentemente osservato – nella maggior parte dei casi “más como un filtro de clase que de religión, o raza”. 320 Il tener, insomma, apriva tutte le strade, il no tener le chiudeva. Lo dice, come già sappiamo, cinicamente Justina : “en España, y aun en todo el mundo, no ay si[no] solos dos linajes, el vno se llama el tener. Y el otro no tener.” 321 E lo dice lo stesso Marcel Bataillon nel saggio del 1963 a proposito degli hábitos degli Ordini Militari. 322 Più avanti tratteremo ampiamente questi problemi.) Se però il bersaglio della ironia dell’autore della Pícara Justina erano, come sostiene Marcel Bataillon, i cortesanos – i “lectores iniciados” 323 per il cui divertimento questo romanzo à clefs, era stata scritto 324 –, come si può pensare che lo scrittore volesse schernire ferocemente i suoi propri protettori, i suoi lettori, rappresentandoli come figure ridicole e grottesche ? Si legga la descrizione degli asturiani :  















[...] estos Asturianos encontre en diuersas tropas, o piaras con tales figuras, que parecian soldados del Rey longaniça, ò mensajeros de la muerte de hambre, lo qual creyera qualquiera que los viera, flacos, largos desnudos, y estruxados, y con guadañas al hombro : vi tambien que lleuauan vnas espaditas de madero en la cinta, pareme a pensar que podia ser aquello porque dezir que  

320   Teófilo F. Ruiz : Historia social de España, 1400-1600. Barcelona : Crítica 2002, p. 117. Il ‘mito’ della purezza di sangue era certamente rimasto, come tale, piú o meno intatto. I. S. Révah ha scritto : “le mythe de la pureté de sang ne subit aucune atteinte, même lorsque, après plus d’un siècle de fraudes et de falsifications, l’action discriminatrice réelle des statuts fut réduite à néant”. Cfr. I. S. Révah : La controverse sur les Statuts de pureté de sang. Un document inédit : « Relacion y consulta del Cardenal Guevara sobre el negocio de Fray Agustin Saluzio » (Madrid, 13 Août 1600). In : Bulletin Hispanique 73 (1971), 263-306 ; qui p. 268. 321   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO PRIMERO. CAPITVLO SEGVNDO DEL abolengo alegre. Numero Primero. Del abolengo parlero », p. 56. In un’altra occasione Justina affermava : “todos nuestros bienes los hallamos juntos en el oro, miralo tu los bienes son en tres maneras, honesto, vtil, y deleytable : en el oro hallamos honra y stima, que es mona del premio del bien honesto : en el oro tenemos el interes, y el prouecho que es el bien vtil. Tenemos gusto, hermosura, y gala, que es bien deleytable” (« SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO DE la Picara Romera. Capitulo. IIII. De la romera de Leon. Numero tercero de la romera enuergonzante », p. 89). La stessa espressione usata da Justina nel numero « Del abolengo parlero », si trova nel Don Quijote (Parte Segunda, Cap. XX) : “Dos linajes solos hay en el mundo, como decía una agüela mía, que son el tener y el no tener” (Miguel de Cervantes Saavedra : El ingenioso hidalgo Don Quijote de la Mancha. Nueva edición crítica con el comento refundido y mejorado y más de mil notas nuevas. Dispuesta por Francisco Rodríguez Marín. Tomo V. Madrid : Atlas 1948, pp. 121-122). L’espressione era molto diffusa. La usava, secondo la testimonianza di Thomé Pinheiro da Veiga, lo stesso Filippo II : “no ay mas liñages que tener, ò no tener, como dezia El-Rey viejo” (Fastigimia, p. 227). Francisco Rodríguez Marín ricorda, nel suo commento alla frase di Cervantes, Tanto es lo de más como lo de menos di Tirso de Molina : “Dos linajes solamente / en el mundo puede haber, / que es tener y no tener” (Tirso de Molina. Obras completas, III. Madrid : Biblioteca Castro 1997, p. 1030). Già nella Genealogia valde antiqua et bona neophitorum antiquorum qui conversi fuerunt (conosciuta come Libro Verde de Aragón), scritta nel 1507 da un assessore ( Juan de Anchías ?) della Inquisizione di Huesca e di Lérida, è registrata l’espressione (la usa una conversa appartenente alla ricca famiglia valenziana dei Santángel) : “Esta honrrada Sabina Santangel suele dezir que ya no ay sino dos generos de linajes, que son tener y no tener ; como quien dize : el que tiene es de principal linaje, y el que no tiene de ruin linaje, con lo qual pretiende escurecer el bueno y mal linaje” (Sevilla, Biblioteca Capitular y Colombina : Ms. 56-6-15, fo. 44r. In : El Libro Verde de Aragón. Introducción y transcripción : Monique Combescure Thiry. Presentación y estudio preliminar : Miguel Ángel Motis Dolader. Zaragoza : Libros Certeza 2003, p. 176 a.). Nel Fiel desengaño contra la ociosidad, y los juegos (Madrid : Miguel Serrano de Vargas 1603) Francisco de Luque Faxardo esclama : “por mal del mundo, no hay más padre ni madre que escudos y reales”. Cfr. Francisco de Luque Faxardo : Fiel desengaño contra la ociosidad, y los juegos. Edición y prólogo de Martín de Riquer (= Biblioteca Selecta de Clásicos Españoles. Serie II, Vol. XVI). Madrid : Real Academia Española 1955, 2 voll. ; qui II, p. 135. 322   “La distribution des hábitos de Santiago, d’Alcántara ou de Calatrava, qui classaient un homme caballero et lui permettaient de briguer un titre nobiliaire, avait des côtés scandaleux en raison de la facilité avec laquelle un homme riche ou simplement habile pouvait substituer ses témoins à ceux qui risquaient de dévoiler son ascendance juive ou marchande” (M. Bataillon : “La picaresca”. À propos de La pícara Justina, p. 239). 323   Marcel Bataillon : Pícaros y picaresca, p. 129. 324   Cfr. Marcel Bataillon : Pícaros y picaresca, p. 30, p. 136.  

















































































le interpretazioni della pícara justina

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auia enemigos que no podian morir sino es con puñal de madera era negocio dificil de entender, sino es creyendo que eran enemigos encantados como los de don Veluanis 325 imaginè si era batalla de sopas en la qual se suele hazer la guerra con madera, pero esso fuera si las espadillas tuuieran forma de cucharas, en fin no atinando la causa me resolui de aguardarlo a saber en el otro mundo. Miren si es por ay la gente corita, pues lleuan armas incomprehensibles, que agotan el entendimiento, los que yuan, yuan sin sombreros, y casi desnudos, los que venian trayan dos sombreros, y mucho paño enrollado : De manera qua [que] imagine si acaso yuan a la Isla de los sombreros, y alli los segauan con aquellas guadañas, en lo del paño tuue enuidia porque las mugeres somos grandes personas de andar empañadas, y de los sombreros tuue curiosidad assi con toda mi inocencia pregunte a un asturiano lo siguiente. Hermano dezidme, quanto ay desde aqui a la Isla de los sombreros donde segays, y desde aqui a la Isla pañera donde hos aueys empeñado [empañado] ? [...] Mil gracias me dixo el Asturiano, preguntele, que porque los de su tierra no tenian coquote, y dixome, señora en Asturias, entre dos hombres tienen vna cabeça partida por medio, y para que se junten como medias naranjas, estan assi sin coquote para estar lisas, y juntar. 326  







Come figure non meno ridicole e grottesche sono rappresentate le asturiane – “mugeres ruynes”, “negras” e “feas” –, tutte brutte da far spavento, tutte vestite e calzate nella maniera più orripilante :  

No te he dicho del traje de las Asturianas. Oye, vnas trahian vnos tocados redondos, que parecian reburojon de trapos en empujo de melecina. Otras los trahian, que parecian turbantes de moro, otras (las mas galanas) azafranados, como cabeça de pito, otras de tanto bolumen, y de tal echura, que parecia texado lleno de nieue, vi tantas differencias dellos, como echuras de pan de offrenda. En aquella sazon trahian todos luto per vna persona de la casa Real, y era cosa de risa ver los lutos de las Asturianas. Vna vi que por luto trahia vna soleta de calça parda pressa con dos alfileres sobre el tocado. Puramente me parecio, que las animas de aquellas Asturianas, deuian de ser de casta de truchas empanadas en pan de centeno, porque quien viera vn rostro negro, vna mantilla atras, y otra adelante, no podia pensar sino que alli viuian empanadas las animas, no encorporadas, ni humanadas. Pues las diferencias de los calçados no eran donosas ? vnas trahian vnos çapatos de madera, que llamauan : abarcas, con vnas puntas de madero, que parecian cola de ternero retozon. [...] Otras vsan vnas sandalias, que llaman çapato de apostol, estas son de cuero, o pellejo, y las traen atadas con vn cordel tan fuertemente, que despues de calçadas pueden en las soplantas hazer son como pandero, y creo lo hazen a vezes a falta de tempano. Otras traen vnos çapatos de baca, no cosidos, sino clauados con tan fuerte clauaçon, como si fuera postigo de fortaleça, y aun algunas para vestir tan al proprio como al prouecho, traen echados tacones de erraduras viejas. [...] Todas estas visiones lleuara en paz, y en haz de mi gusto, si encontrara alguna de buena cara, pero tenianla todas tan mala, tan negra y abominable, que yo imagine que eran seluajes escamados, y que quitados los pelos y zerdas, auian quedado ansi las caras sin baruas. 327  





Chi poteva riconoscere i gentiluomini e le gentildonne della Corte, celebrati in tutte le cronache e relazioni di quegli anni per la loro sfarzosa eleganza, in questi grotteschi e miseri fantocci, più simili a spaventapasseri che non a figure umane ? Che senso, che funzione hanno la satira e la critica sociale se rendono assolutamente irriconoscibile il loro bersaglio ?  



325   Jerónimo Fernández : Don Belianís de Grecia. (Partes I-II) Burgos : Martín Muñoz 1547. – Jerónimo Fernández : Don Belianís de Grecia. (Partes III-IV). Burgos : Pedro de Santillana 1579. 326   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « TERCERA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO De la Picara Romera, Capitulo 4. de la partida de Leon. Numero tercero, de los trajes de Montañeses y Coritos », pp. 183-184. 327   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « TERCERA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO De la Picara Romera, Capitulo 4. de la partida de Leon. Numero tercero, de los trajes de Montañeses y Coritos », pp. 185-188 [186 !].  

















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A sostegno della sua tesi Marcel Bataillon mette in risalto, nel saggio Los asturianos de La Pícara Justina, il riferimento ai famosi arazzi fiamminghi La conquista di Tunisi, L’Apocalisse di San Giovanni e Le tentazioni di Sant’ Antonio, tessuti al telaio con fili di lana, seta e oro sul modello di cartoni disegnati da Jan Cornelisz Vermeyen, da Barend van Orley e da Jeroen Bosch e Pieter Bruegel : 328    

Yo gustara ser vna Duquesa de Alua, Vejar, ò Feria (y mas aora que las tres hermanas son las mismas tres gracias, sobre vna misma inclita, è illustre naturaleza) quisiera como digo ser vna Duquesa, para hazer destos trajes vna tapizeria tan costosa como la de Tunez, tan graciosa como la de los disparates, tan fresca como la del Apocalipsis. Enfin fuera tapizeria tan varia, y de tanto gusto, que su variedad te escusara vn Aranjuez, su riqueza vnas Indias, su gusto los mil plazeres, dezia (y dezia bien) vna dama discreta. No soy amiga de tapizerias de seda, brocado terci[o]pelos, ni damascos, porque estas son colgaduras de pobres, y probaualo, porque estas son telas de repuesto, para que faltando dinero para saya, puedan seruir de lo que les mandaren. La que es propio ornato para tapizeria es, la que tiene figuras, porque estas tienen mucho prouecho y gusto. En iuierno arropan, en soledad acompañan, en tristeça diuierten, en necessidad adornan [...]. Assi que si yo fuera Duquesa, es sin duda que yo mandara hazer vna tapizeria destos trajes de los montañeses, y montañesas de mi tierra y coritos y coritas, que te diera muy grande gusto. 329  

Marcel Bataillon commenta : “Así, pues, nuestra « Justina la hidalga », pícara muy conocedora de las alianzas matrimoniales de la grandeza, aspira a igualar con su pintura de los asturianos lo más pintoresco y vistoso de las series de tapices más famosos que eran el orgullo de los palacios reales”. 330 Lo studioso afferma poi che Francisco López de Úbeda “para recordar bien a sus lectores cortesanos la clase de asturianos a que se refiere, recurre a subrayar la variedad de « tocados de las asturianas »” 331 e ad accennare al lutto portato dalle asturiane per la morte di una “persona della Casa Reale” (l’Imperatrice Maria d’Austria, vedova di Massimiliano II, morta alle quattro del mattino del 26 febbraio 1603 nel Monasterio de las Descalzas Reales di Madrid 332). Il riferimento agli arazzi, esposti in occasione di molte solennità dinastiche, 333 e l’accenno al lutto portato dalle asturiane per la morte dell’Imperatrice possono certamente costituire allusioni al  

















328   Cfr. Julio Puyol y Alonso : « Notas », pp. 317-318, nota nro. 97. – M. Bataillon : Los asturianos de La Pícara Justina, p. 137. L’arazzo La conquista di Tunisi è un lavoro del tessitore brusselese Guillaume de Pannemaker (cfr. A. Wauters : Les tapisseries bruxelloises. Bruselas 1878, pp. 75 e sgg.). 329   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « TERCERA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO : De la Picara Romera, Capitulo 4. de la partida de Leon. Numero tercero, de los trajes de Montañeses y Coritos », pp. 181-287 [182 !]. 330   M. Bataillon : Los asturianos de La Pícara Justina, p. 137. 331   M. Bataillon : Los asturianos de La Pícara Justina, p. 137. 332   Antonio de León Pinelo : Anales de Madrid (desde el año 447 al de 1658), pp. 179-181. 333   In occasione del battesimo della Principessa Ana María Mauricia (7. 10. 1601), la Chiesa del Monastero di San Pablo “estaba cubierta con los más ricos tapices que tiene Su Majestad, y entre otros estaba allí la que llaman la Jornada o el viaje de Túnez, que es el más rico y mejor hecho que jamás se halla visto y que es, además, el que se tiene en más grande estima” (El Pasatiempos de Jehan Lhermite. Memorias de un Gentilhombre Flamenco en la corte de Felipe II y Felipe III, p. 584). In occasione del battesimo del Principe Filippo – il rito fu celebrato la sera di domenica 29 maggio 1605 nella Chiesa vallisoletana di San Pablo dal Cardinale Arcivescovo di Toledo –, furono esposti gli arazzi della Conquista di Tunisi e della Apocalisse di San Giovanni : “las paredes estaban colgadas de la tapiceria de la jornada de Tunez” (Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 246). – “a Igreja se armou de panos de Tunes” (Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, p. 76). – “La iglesia estaba colgada con ricos paños de Arrás, de seda y oro, del Apocalipsi, y otros ...” [Relación de lo sucedido en la Ciudad de Valladolid, desde el punto del felicísimo nacimiento del príncipe don Felipe Dominico Víctor nuestro señor, hasta que se acabaron las demostraciones de alegría que por él se hicieron. Al Conde de Miranda. Año 1605. Con Licencia, en Valladolid, por Juan Godínez de Millis, véndese en casa de Antonio Coello en la librería. Edición Patricia Marín Cepeda (= Libros Singulares, 9). Fundación “Instituto Castellano y Leonés de la Lengua” – Junta de Castilla y León 2005, p. 115].  





























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mondo della Corte. Ma come si può conciliare la celebrazione della bellezza delle tre figlie dei Duchi dell’Infantado, le Duchesse d’Alba, di Béjar e di Feria, “las mismas tres gracias”, con la raffigurazione delle asturiane – cioè, secondo Marcel Bataillon, delle dame di Corte – come donne orrende, dal viso non solo brutto e nero, ma addirittura “abominable” ? Sempre nel saggio Los asturianos de La Pícara Justina, Marcel Bataillon sostiene inoltre che le tre isole fantastiche menzionate nell’episodio non sono altro che “representaciones de la Corte, como feria de vanidades y honores”. Specificatamente, la “Isla Pañera” rappresenterebbe l’allegoria della “transfiguración que opera el monarca cuando hace un caballero « grande » de España diciéndole simplemente : « Cubríos » porque el estar cubierto delante del Rey es privilegio exclusivo de la grandeza”, mentre la “Isla de los Sombreros” sarebbe “la propia Corte, que es donde se otorgan los títulos de nobleza” (Marcel Bataillon crede che si possa identificare il “mucho paño enrollado”, di cui sono ben provvisti gli asturiani, con gli hábitos degli Ordini Militari). 334 Il significato della terza isola, quella del corno, il grande ispanista lo illustra cosí :  















[...] la Isla del Cuerno sólo significaba que el honor conyugal en ocasiones puede servir para pagar unos « honores ». Basta para ello que el ofendido se defienda de la ligereza de su esposa sólo con esta « espadita de madera », o dicho de otra manera, que acepte el ser « cornudo y contento », y lo más gracioso del caso es que con esta arma rústica lo que se quiere evocar es toda una clase social en cuyo traje entra siempre como componente una espada colgada al cinto. 335  













Non solo quindi, secondo Marcel Bataillon, i cortigiani – o, addirittura tutta la nobiltà (“toda una clase social...” !) 336 – sarebbero stati rappresentati dall’autore della Pícara Justina come figure ridicole e grottesche fisicamente, ma anche come persone moralmente ignobili, pronte a prostituire, per ottenere ‘onori’ e favori, le mogli (altrettanto ignobili dei mariti, essendo disposte a prostituirsi per aiutarli a soddisfare le loro ambizioni). L’autore della Pícara Justina avrebbe scelto i mietitori asturiani come portatori di “múltiples símbolos « de los honores » y de la pérdida del « honor »”, spinto da  











un maligno deseo de sugerir, bajo un rústico disfraz, el tema capital de las preocupaciones de los cortesanos de aquella época, o sea el pretender hábitos y titulos de nobleza, a través de azarosas « pruebas » genealógicas. Este tema lo ilustrará pronto la difícil ascensión de D. Rodrigo Calderón a los honores de caballero de Santiago, Comendador de Ocaña, Conde de la Oliva y Marqués de Siete Iglesias. Tema que nos lleva al que es fundamental de La Pícara Justina si advertimos que Justina, pícara montañesa, aldeana falsa, urde una monumental burla acerca de su propia genealogía, insinuando, siempre que tiene ocasión, que sus orígenes son judaicos, coqueteando con el hecho de sus tratos continuos con los moriscos y haciendo trizas sin piedad la pseudo hidalguía de aquellos que pretenden su mano, presentando finalmente su matrimonio como de un hidalgo  



334   M. Bataillon : Los asturianos de La Pícara Justina, pp. 132-133. Cfr. anche M. Bataillon : Redescubrimiento de una obra literaria, p. 34. 335   M. Bataillon : Los asturianos de La Pícara Justina, p. 133. 336   Se non come un attacco contro tutta la nobiltà, il traduttore francese della Pícara Justina aveva interpretato l’opera come un discorso satirico e burlesco su una parte di questa classe sociale. Formando un capitolo con le prime pagine del numero I (sino, circa, a “Nacio mi padre...”) del capitolo II del libro I (Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO PRIMERO. CAPITVLO SEGVNDO DEL abolengo alegre. Numero Primero. Del abolengo parlero », pp. 53-59), il traduttore francese lo aveva, infatti, intitolato “LA GENEALOGIE ridicule. Discours Satyrique sur quelques grands d’Espagne, se moquant des fragiles fondements de plusieurs Nobles : comme außi des Roturiers ennoblis. Cfr. LA | NARQVOISE | IVSTINE. | LECTVRE PLEINE DE RECREA- | tiues auentures, & de morales railleries, | contre plusieurs conditions humaines. | [Marca tipografica] | A PARIS, | Chez PIERRE BILAINE, rue Sainct | Iacques, prés S. Yue à la bonne Foy. | [Linea tipografica] | M.DC.XXXV. | AVEC PRIVILEGE DV ROY (Besançon, Bibliothèque Municipale : 244799), p. 60.  













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con una hidalga, cuando se casa con una especie de rufián u hombre de armas, jugador incorregible y « amigo de pollitas ». 337  





Ancora una volta si presenta spontanea la stessa obiezione. Com’è conciliabile l’interpretazione della Pícara Justina come strumento della strategia pubblicitaria in favore di Don Rodrigo e come opera scritta “para divertir a un público de cortesanos”, 338 con il “maligno deseo”, la “maligna intención” 339 del suo autore di schernire il desiderio dei cortigiani e dello stesso dedicatario dell’opera di ricevere insegne di Ordini Militari e titoli di nobiltà per mezzo di falsificazioni genealogiche ? Se la Pícara Justina era stata scritta per favorire il successo della tappa iniziale della carriera di Don Rodrigo, perché il suo autore, invece di gioire della ascesa di Don Rodrigo, alla quale lui stesso stava contribuendo, è animato dal “maligno desiderio” di smascherarne i fraudolenti fondamenti ? Se l’opera era stata scritta per divertire un pubblico di lettori formato di gentiluomini e di dame di Corte, come era possibile che il suo autore li volesse offendere sanguinosamente rappresentandoli come figure fisicamente ridicole, laide e grottesche, e moralmente ignobili ? L’interpretazione del grande studioso è chiaramente del tutto priva di verosimiglianza e di coerenza logica. Se veramente gli asturianos “raffiguravano” i cortigiani – ipotesi della cui fondatezza è lecito dubitare fortemente –, l’autore della Pícara Justina mirava sicuramente a colpire non tutti i cortigiani, ma fra i cortigiani, solo quel piccolo gruppo, marginale, di arrivisti e di parvenus che non erano né nobili, né di sangue puro. Esempio piú vistoso degli appartenenti a questo piccolo gruppo era però proprio quel Don Rodrigo Calderón a cui la Pícara Justina era dedicata ! Altra ipotesi possibile sarebbe l’identificazione di queste “tropas, o piaras” (piara – spiega il Diccionario de Autoridades – è la “manáda de cerdos”, e per “extension se dice de las yeguas, mulas, &c.”), di questi branchi di asturiani con la folla dei ‘pretendenti’ che assediavano la Corte per sollecitare qualche favore o ‘mercede’.  











Senza attendere l’ascesa di Don Rodrigo, che non si realizzerà tanto presto (1611 : cavaliere di Santiago ; 1612 : commendatore di Santiago e di Calatrava ; 1613 : Conte de La Oliva ; 1614 : Marchese di Siete Iglesias 340), “il tema capitale delle preoccupazioni dei cortigiani di quell’epoca” era stato illustrato già da alcune vertiginose ascese sociali. Per limitarci solo agli anni immediatamente precedenti alla composizione della Pícara Justina, ricorderemo i due casi più clamorosi e noti negli ambienti della Corte. Juan Pascual, hombre de negocios di umili origini, 341 era divenuto, grazie alla protezione del Duca di Lerma, Tesorero general e membro del Consejo de Hacienda, 342 cavaliere di Santiago, 343  



















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  M. Bataillon : Los asturianos de La Pícara Justina, p. 133.   M. Bataillon : Los asturianos de La Pícara Justina, p. 128. 339   M. Bataillon : Los asturianos de La Pícara Justina, p. 138. 340   Don Gerónimo Gascón de Torquemada (Gaçeta y nuevas de la Corte de España desde el año 1600 en adelante, p. 33 e p. 36) annota però che Don Rodrigo Calderón ricevette il titolo di Conte de La Oliva il 12 gennaio del 1612 e quello di Marchese di Siete Iglesias il 13 luglio del 1613. 341   C. Pérez Bustamante : La España de Felipe III, p. 48. 342   Cfr. Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 38, p. 164. – Carlos Javier de Carlos Morales : El Consejo de Hacienda de Castilla, 1523-1602. Patronazgo y clientelismo en el gobierno de las finanzas reales durante el siglo XVI. Junta de Castilla y León 1996, p. 217. – C. Pérez Bustamante : La España de Felipe III, p. 56, p. 136. 343   Il 26 agosto del 1600 Luis Cabrera de Córdoba annota : “A Juan Pascual dió el hábito de Santiago en las Descalzas don Juan de Borja, el dia de Nuestra Señora, acompañándole toda la Córte, y dicen que muy en breve será marqués de Viandrina, que es cierto feudo que en un asiento ha dado S. M. á Marco Stritonio Júdici con título de marqués” (Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 80). 338

















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Conte di Villabrágima e, pare, anche Marchese di Viandrina. 344 L’altro caso, forse ancor più ‘chiacchierato’ negli ambienti della Corte, era quello di Pedro Franqueza, il principale collaboratore del Duca di Lerma nei primi anni della sua privanza. Pedro Franqueza, che discendeva da una “familia de notaris d’Igualada”, nel 1555 era stato “col.locat com a aprenent d’escrivà a l’escrivania de Jeroni Gasssol, resident a Barcelona” ; nel 1571 passò ad occupare “una plaça d’escrivà de registre del Consell Suprem d’Aragó”, ufficio molto modesto, ma che pur rappresentava “l’accés al primer graó de la carrera com a oficial reial” ; il 1° dicembre 1586 acquistò per 800 ducati una regiduría dell’Ayuntamiento di Madrid, che rivendette nel 1590 per 1.930 ducati ; nel 1587 sposò Ana Gabriel, figlia di Pedro Gabriel, ricco proprietario terriero imparentato con banchieri e commercianti, e di Ana Romaní (la dote della sposa fu un censo di 8.000 ducati, che dava una rendita annuale di 250.000 maravedíes, sui señoríos del Duca di Francavilla) ; nel 1588 divenne segretario del Consiglio d’Aragona per gli affari di Valencia 345 e, in questa funzione, esercitata sino all’ottobre del 1597, 346 entrò in contatto con il Marchese di Denia, Viceré del Regno di Valencia dal 1592 al 1597, e seppe conquistare la fiducia del futuro Duca di Lerma. E così questo “oscuro secretario” 347 iniziò la sua folgorante e rapida carriera. All’inizio dell’anno 1600 – essendo già, come osserva Luis Cabrera de Córdoba, “el mas privado del duque de Lerma, y mas introducido por esta razon en todos los negocios de gobierno y hacienda que todos los demas ministros que hay al presente de papeles” 348 – gli fu affidata la “Secretaría de Estado de Italia” ; il 10 luglio 1601 il Segretario di Stato fu nominato anche Segretario del Re ; 349 nel 1602 gli fu concesso, grazie all’abituale manipolazione delle ‘prove’ d’accesso (fu testimoniata una inesistente nobiltà), il cavalierato dell’Ordine di Montesa, il 18 settembre 1603 fu creato Conte di Villalonga. 350 Il figlio primogenito, Martín Valerio Franqueza, nato il 9 febbraio 1587, era paggio del Re ed ottenne il 21 settembre 1600 le insegne di cavaliere dell’Ordine di Santiago, 351 nonostante l’origine ‘borghese’ della famiglia paterna e materna (cancellata, naturalmente, con la consueta usurpazione di nobiltà) ; nel 1603 sposò D. Catalina de la Cerda y Mendoza, sorella 352 di D. Lorenzo Suárez de Mendoza, VI Conte di La Coruña, nipote del Marchese di Santa Cruz e di D. Juan de Zúñiga Avellaneda y Cárdenas, VI Conte di Miranda e I Duca di Peñaranda, presidente del Consiglio di Castiglia, 353 imparentandosi così con la  



















   











344   Cfr. Cristóbal Pérez de Herrera : Amparo de pobres. Edición, introducción y notas de Michel Cavillac (= Clásicos Castellanos, 199). Madrid : Espasa-Calpe 1975, p. 233 n. 345   Josep M. Torras i Ribé : Poder i relacions clientelars a la Catalunya dels Àustria. Pere Franquesa (15471614), p. 33, p. 36, p. 66, p. 82, pp. 85-90. 346   Josep M. Torras i Ribé : Poder i relacions clientelars a la Catalunya dels Àustria. Pere Franquesa (15471614), p. 128. 347   Francesco Benigno : La sombra del rey. Validos y lucha política en la España del siglo XVII. Versión española de Esther Benítez. Madrid : Alianza 1994, p. 66. 348   Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 92. 349   Cfr. José Antonio Escudero : Los secretarios de Estado y del Despacho. Madrid : Instituto de Estudios Administrativos 1976, tom. I, pp. 227-229. 350   Josep M. Torras i Ribé : Poder i relacions clientelars a la Catalunya dels Àustria. Pere Franquesa (15471614), p. 86, pp. 101-104, p. 110. 351   Il 4 gennaio 1601 Luis Cabrera de Córdoba annota : “Dióse el hábito de Santiago, por el duque de Lerma, al hijo del secretario Franqueza, que es paje del Rey, el dia de Nuestra Señora 21 de Setiembre [1600]” (Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 92). 352   Luis Cabrera de Córdoba la definisce “hermana tercera del conde de Coruña” (Relaciones, p. 188), Josep M. Torras i Ribé “filla de Lorenzo Suárez de Mendoza, comte de la Corunya” (Poder i relacions clientelars a la Catalunya dels Àustria, p. 107). 353   Il 6 settembre 1603 Luis Cabrera de Córdoba, dopo aver descritto il matrimonio di D. Diego Gómez de Sandoval y Rojas, Conte di Saldaña, scrive : “Y el jueves antes se habia hecho el desposorio del hijo de don Pedro  























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casata dei Mendoza, una delle più nobili e potenti della Monarchia spagnola, e con un gran numero di altre famiglie dell’alta nobiltà. Il 30 giugno 1606 il figlio di Pedro Franqueza divenne, infine, regidor dell’Ayuntamiento di Madrid. 354 Queste vertiginose ascese sociali suscitavano sicuramente in gran parte dell’alta e antica nobiltà di sangue reazioni di sdegno e risentimento, anche se, diplomaticamente, non venivano manifestate o erano addirittura mascherate con un atteggiamento adulatorio verso il potente favorito del Duca di Lerma. Tanto più fortemente le suscitavano poiché questi parvenus non solo ottenevano onori e titoli, ma nuotavano letteralmente nell’oro grazie alla concussione e a varie operazioni truffaldine. Quando, nel febbraio del 1605, il Tesorero general, Conte di Villabrágima, morí, fu scoperto un ammanco di 16 milioni di ducati, nel quale pare fosse coinvolto anche Don Rodrigo Calderón 355 ( Juan Pascual che, come abbiamo ricordato, aveva testimoniato a favore della limpieza de sangre di María Sandelín, aveva anche messo in rilievo, in quella occasione, “la mucha comunicacion” che intratteneva da molti anni con Don Rodrigo e con la sua famiglia 356). Delle enormi ricchezze accumulate dal Conte di Villalonga e di quelle che già stava accumulando Don Rodrigo Calderón parleremo diffusamente più avanti. Lo sdegno e il risentimento di tanti nobili era accresciuto poi da un’altra circostanza. Alcune delle molte grandi casate nobiliari fortemente indebitate erano costrette a cedere terre, señoríos, domini e intere contee proprio a questi arrampicatori sociali. Così, per esempio, Pedro Franqueza il 7 gennaio 1603 aveva comprato dai Borja, Duchi di Gandía, per 75.000 lliures (ca. 71.500 ducati) le terre della Contea di Villalonga (Vilallonga de la Safor), approfittando delle loro difficoltà economiche, che si erano fatte insostenibili a partire dal 1590 e sfociarono, infine, in un processo per debiti. 357 (L’anno precedente Pedro Franqueza aveva acquistato “la baronia de Vilamarxant, situada a la comarca del Camp del Túria”, del valore di 80.826 lliures. 358 Nel 1606 comprerà, per 19.050 ducati, le “terres, deveses i jurisdicció sobre Acequilla i Casasola”, 359 appartenute al Marchese d’Auñón, morto indebitato il 20 febbraio 1600 lasciando al suo erede “pleitos sobre su hacienda”, 360 e messe all’asta giudiziaria. Dei guai finanziari dell’erede del  













Franqueza en casa del conde de Miranda, con hermana tercera del conde de Coruña, y por ella el marqués de Santa Cruz su tio ; á donde fue acompañado de toda la Córte, y vino el duque de Lerma, y en presencia de todos dijo á don Pedro que S. M. le hacia merced de título de conde de Villalonga, que le gozase su Señoría muchos años, y los demas le dieron la enhorabuena. Y con esto se le ha hecho merced de 3.000 ducados de renta por su vida y de su hijo, en el cual se hace mayorazgo de todos los bienes que tiene y tuviere al adelante, que dicen son agora mas de 20.000 ducados de renta, y desde entonces los condes de Miranda llaman sobrino al desposado por serlo la dama ; la cual está en Guadalajara con su madre, y se llama doña Catalina de la Cerda y Mendoza” (Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 188). 354   Josep M. Torras i Ribé : Poder i relacions clientelars a la Catalunya dels Àustria. Pere Franquesa (15471614), pp. 86-87, p. 90, pp. 100-101, pp. 107-109. 355   Cfr. Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 236. – C. Pérez Bustamante : La España de Felipe III, p. 136. 356   Cfr. « Pruebas para admitir D. Rodrigo Calderón en la Cofradía del Real Hospital de Nuestra Señora Santa María de Esgueva » (1604). In : J. Martí y Monsó : Los Calderones y el Monasterio de Nuestra Señora de Portaceli. Documentos, pp. 298-299 (Doc. Núm. 3). 357   Cfr. Josep M. Torras i Ribé : Poder i relacions clientelars a la Catalunya dels Àustria. Pere Franquesa (15471614), p. 110-113. Sull’indebitamento dei Duchi di Gandía, che nel 1604 ammontava a 504.509 lliures, cfr. James Casey : The Kingdom of Valencia in the Seventeenth Century. Cambridge : Cambridge University Press 1979, pp. 130-153. 358   Cfr. Josep M. Torras i Ribé : Poder i relacions clientelars a la Catalunya dels Àustria. Pere Franquesa (15471614), pp. 113-114. 359   Josep M. Torras i Ribé : Poder i relacions clientelars a la Catalunya dels Àustria. Pere Franquesa (15471614), pp. 116-117. 360   Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 61.  





























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Marchese d’Auñón Pedro Franqueza volle approfittare anche per impadronirsi fraudolentemente di un altro suo señorío : “la villa de Verlinches”. 361)  



Ma torniamo a Los asturianos de La Pícara Justina. In un passo, sopra citato, del saggio, Marcel Bataillon afferma che la Crónica burlesca di Don Francés de Zúñiga documenta l’uso dei vocaboli asturianos e vizcáinos come antifrasi comica di judíos. 362 Ma allora i cortigiani a caccia di un titolo di nobiltà, o delle insegne di cavaliere di un Ordine Militare, sarebbero non ‘i cortigiani’, ma gli arrampicatori sociali di origine ebraica ! Perché il grande ispanista ha lasciato perdere questa traccia da lui stesso scoperta e ha preferito operare con una categoria tanto generica e indistinta quale ‘i cortigiani’ ? (I ‘veri’ cortigiani, quelli che, come vedremo, costituivano la Corte, di titoli di nobiltà ne avevano a iosa, per sé, per i figli primogeniti e, talvolta, anche per i cadetti, e se questi ultimi non ne avevano li potevano sempre acquisire sposando nobildonne eredi di grandi casate. Quanto ai semplici cavalierati di Santiago, Calatrava, Alcántara e Montesa, i ‘veri’ cortigiani non avevano certamente alcuna difficoltà ad ottenerli – più difficile, per il loro numero limitato, era semmai ottenere le encomiendas degli Ordini Militari, specialmente quelle ricche.) E veniamo ora a questa affermazione contenuta nel saggio Los asturianos de La Pícara Justina (1964) : “« Vizcaíno », « asturiano », « montañés » eran otros tantos sinónimos del « hidalgo » por excelencia que no admite que duden de su ascendencia.” 363 È proprio vero ?  



























d1) Incongruenze della interpretazione di Marcel Bataillon a) Montañesa , cioè hidalga ?  

Contrariamente a quanto afferma Marcel Bataillon, il matrimonio non è di un hidalgo con una hidalga, ma di un “pariente de algo, y hijo de algo”, orgoglioso della sua “hidalguia”, 364 con una villana. Solo dopo essere stata dal curato con il suo “esposo”, 365 incomincia Justina “a cobrar brio de hidalga”. Prima si considera villana, chiama i suoi fratelli e le sue sorelle “gente de condicion villana” 366 e si definisce “moça villana” 367 (alcuni dei suoi stessi compaesani chiamano Justina, dopo la sua vittoria sugli studenti della Bigornia, “la villana de las burlas” 368) di vile “estofa” e di basso “esta 









361   Cfr. Josep M. Torras i Ribé : Poder i relacions clientelars a la Catalunya dels Àustria. Pere Franquesa (15471614), p. 117. 362   M. Bataillon : Los asturianos de La Pícara Justina, p. 134. 363   M. Bataillon : Los asturianos de La Pícara Justina, p. 136. 364   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO QVARTO DE LA PICARA NOBIA. CAPITVLO QVARTO DE LAS obligaciones de amor », pp. 29-30. 365   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO QVARTO DE LA PICARA NOBIA. CAPITVLO QVARTO DE LAS obligaciones de amor », p. 36. 366   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO TERCERO DE LA PICARA PLEYTISTA. Capitulo primero de la hermana perseguida », p. 192. 367   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO TERCERO DE LA PICARA PLEYTISTA. Capitulo primero de la hermana perseguida », p. 190. Una sola volta, parlando di Machuca, hidalgo tanto falso quanto povero, Justina si definisce hidalga : “era tan poderoso para con el la descendencia de los Machucas, que forcejaua contra la tempestad de sus trapos y pobreza, pretendiendo arribar al talamo de Iustina la hidalga” (« LIBRO QVARTO DE LA PICARA NOBIA. CAPITVLO SEGVNDO Del pretensor disciplinante », p. 11). 368   Libro de entretenimiento. Medina del Campo 1605, « LIBRO SEGVNDO INTITVLADO LA PICARA Romera. En que se trata la jornada de Arenillas. CAPITVLO SEGVNDO DE LA Vigornia burlada. NVMERO TERCERO DE LOS Beodos burlados », p. 181.  































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do”, 369 “pobre mesoneruela”. 370 Non per nulla decide di diventare “cauallera, y muger de algo” per mezzo del matrimonio : “Mi presumpcion no era poca, pues casando con hijo de algo auia de salir de la nada en que me crie” 371 (è chiaro che il suo tentativo di diventar “cauallera” è destinato a fallire, come quello di Don Pablos de Segovia, perché un pícaro, cioè un parvenu non può eludere la pre-determinazione della sua genealogia infame). Justina, che dedica una digressione alla naturale “enemiga que tienen los villanos a los hijos de algo” 372 – inimicizia tanto forte che “el villano, con recibir de vn hidalgo hombre de armas honra, y prouecho : siempre le aborrece, y persigue” 373 –, ricorda, per dare un’idea di dove possa giungere l’odio che nutrono i villanos contro gli hidalgos (di questo odio antico 374 si occuparono anche le Cortes nella sessione del 30 agosto 1618 375), che quando un giorno rivelò la sua intenzione di sposare Lozano al fratello minore, questi le rispose che avrebbe invocato su di lei la maledizione di Dio se l’avesse fatto. 376 È evidente che Justina e i suoi fratelli si considerano, come è d’altronde logico, villanos. La corrispondenza montañés-hidalgo e quindi l’antitesi pícara-montañesa non si può stabilire in questo contesto. (Si potrebbe pensare anche che l’autore della Pícara Justina abbia voluto suggerire l’associazione montañesa-ramera. Fernán Xuarez si burla, nella sua traduzione della « Terza Giornata : Vita delle puttane » della Prima parte dei Ragionamenti dell’Aretino, del lignaggio ostentato dalle puttane : “[las rameras] publican luego que en las montañas o en Asturias tienen solar conocido”. 377 Ancor più probabile  





























369   Riferendosi al tempo che precede la burla da lei giocata alla Bigornia, Justina scrive : “ya se auia passado el tiempo quando queria yo mas vno de çaraguelles blancos, con una pluma de pauo en el sombrero, o carapuça quarteada, que a los mil narcisos de Corte con todos sus alfeñiques, y perfilados. Ya se auia passado el tiempo, en que yo estimaua mas que vno destos me prometiesse vna libra de lino, o azumbre de leche, o vello en jugo, o vn cordero hurtado a su abuela, que si vn cortesano me ofreciera vna cadena o cabestrillo de oro. [...] El mayor presente que por entonces pensaua yo que se podia hazer a vna muger de mi estofa, era vna sortija de laton Morisco, y a lo sumo de plata, y quando llegaua a ser sobredora[da] venia a perder la senda de la consideracion, y pensaua que era el finis terrae, de los presentes que como dize el refran en estomago villano, no cabe el pauo. Passose este solia. Y a tal tiempo me traxo mi entono engomadero, que no estimaua yo entonces vn faldellin de grana de poluo con franjones de oro, mas que si nacieran los fa[l]dellines entre las cercas, o entre los cuernos del rastro. Y todo esto vino de que [...] la passada vitoria sacò mis pensamientos de quicio, y mi persona, de mi estado” (Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO DE la Picara Romera. Capitulo. I. De la jornada de Leon. Numero primero, Del afeyte mal[em]pleado », pp. 2-3). 370   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO QVARTO DE LA PICARA NOBIA. CAPITVLO TERCERO DE LOS Pretendientes, que ni quiero, ni creo », p. 23. 371   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO QVARTO DE LA PICARA NOBIA. CAPITVLO QVARTO DE LAS obligaciones de amor », p. 34. Già in precedenza Justina aveva espresso la sua aspirazione a nobilitarsi attraverso il matrimonio. Ai fratelli che l’accusavano di essere una vagabonda, una “pieça suelta”, rispondeva infatti : “que sabeys vosotros, si con esto grangeare yo vn casamiento, con que honre a mi linaje, y sea nuestro meson casa solariega, y se llame la casa de los diezes, o de los Iustinos. [...] Creed que antes ser pieça suelta me ha de hazer a mi mucho prouecho, y quiça a vosotros” (« LIBRO TERCERO DE LA PICARA PLEYTISTA. Capitulo primero de la hermana perseguida », p. 190). 372   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO QVARTO DE LA PICARA NOBIA. CAPITVLO QVARTO DE LAS obligaciones de amor », pp. 35-36. 373   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO QVARTO DE LA PICARA NOBIA. CAPITVLO QVARTO DE LAS obligaciones de amor », p. 35. 374   Sull’antica contrapposizione fra villanos - o rustici - (labradores) e hidalgos, cfr. Ernesto Mayer : Historia de las instituciones sociales y políticas de España y Portugal durante los siglos V a XIV. Tomo I, pp. 43-45. 375   Cfr. Noël Salomon : Lo villano en el teatro del Siglo de Oro. Madrid : Castalia 1985, pp. 707-708. 376   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, Libro IV, Cap. IV, p. 36 (“Mira hasta donde llega el odio de villanos é hidalgos. Es tanto que vn dia de burlas se lo dixe a Nicolasillo mi hermano menor y me dixo, que la maldicion de Dios vuiesse si me casasse con hombre hidalgo.”). 377   Coloquio de las Damas agora nueuamente corregido y emendado. MDXLVIII. In : Orígenes de la Novela. Tomo IV por D. M. Menéndez y Pelayo. Con una introducción de D. A. Bonilla y San Martín (= Nueva Biblioteca de Autores Españoles, 21). Madrid : Bailly/Bailliere 1915, pp. 250-277 ; qui p. 270. Sul testo base italiano usato  







































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è che l’autore della Pícara Justina abbia giocato sul doppio senso della parola montañesa. Nel gergo della malavita montaña significava, infatti, mancebía e monte bordello, derivati da monte di Venere, pube. 378 Neppure si deve dimenticare che la stessa parola pícara significava anche prostituta, ramera, 379 e che quindi pícara montañesa poteva avere il significato di prostituta di bordello.) In Justina non si realizza l’idea, che secondo Marcel Bataillon avrebbe concepito Francisco López de Úbeda, “de fondre en une seule personne pícara, la condition la plus méprisée, et montañesa, le prestige de la hidalguía immémoriale”. 380 Nella Pícara Justina infatti il termine montañés è usato – quasi sempre con una connotazione dispregiativa – come indicazione del luogo di origine di persone o cose, oppure come sinonimo di villano :  







[...] vna moça montañesa, tosca, bronca, çafia, y pesada, encogida, lerda, y tosca [...]. 381 No se acabauan [los de la Vigornia] de santiguar de la villana de las borlas, y de las burlas (que ambos nombres me llamauan ellos, de las borlas, por las que lleuaua al cuello, como montañesa, quando me encestaron, a lo menos quando lo pensaron : de las burlas, por las que les hize desde que les puse en cueros [...]. 382  





dal traduttore (“Agora nueuamente traduzido de lengua toscana en castellano : por el Beneficiado Fernan Xuarez” : Hernán, Ferdinando Suárez o Juarez) e le numerose edizioni del Coloquio (la princeps è del 1547), cfr. Alberto Martino : Die italienische Literatur im deutschen Sprachraum. Amsterdam : Rodopi 1994, pp. 311-312. Ben nota era l’abitudine delle prostitute di porsi nomi ‘nobili’ e altisonanti. Anche Francisco López de Villalobos ricorda, in una sua lettera scritta fra il 1535 e il 1540, il vezzo delle “rameras” di scegliersi “linajes” e “apellidos” nobili, come Mendoza, Osorio, Quiñones (Conti di Luna) e Guzmán. Cfr. « Carta XLV. El Doctor Villalobos al General de la Órden de San Francisco ». In : Algunas obras del doctor Francisco López de Villalobos. Publícalas La Sociedad de Bibliófilos Españoles. Madrid. MDCCCLXXXVI, pp. 165-177 ; qui pp. 171-172. Negli ultimi due anni del suo lungo soggiorno di studio a Salamanca Girolamo da Sommaia ebbe rapporti sessuali con una prostituta che si faceva chiamare Doña Isabella de Guzmán. Cfr. Diario de un estudiante de Salamanca. La crónica inédita de Girolamo da Sommaia (1603-1607), p. 477, p. 478, p. 480, p. 494, p. 508, p. 591, p. 592, p. 594. Nell’operetta satirica Premáticas y aranceles generales, composta prima del 1603, Quevedo scrive : “[Mandamos] Asimismo, que los Mendozas, Enríquez, Guzmanes y otros apellidos semejantes que las putas y moriscos tienen usurpados, se entienda que son suyos, como la Marquesilla en las perras, Cordobilla en los caballos y César en los extranjeros” (F. de Q. : Obras completas. Edición de Felicidad Buendía. Obras en prosa, pp. 75-81 ; qui p. 81). Nella poesia satirica A cierta dama cortesana Quevedo fa il ritratto di una prostituta di nome Juana, che nel corso di una fortunata ‘carriera’ assunse diversi nomi e, alla fine, recatasi a Corte e trasformatasi in ricca ed elegante dama cortesana, “se llamó doña Julia de Mendoza” (Francisco de Quevedo : Obra poética. Edición de José Manuel Blecua. II. Madrid : Castalia 1970, pp. 107-108, nro. 633). Cfr. inoltre Francisco de Quevedo : La polilla de Madrid. In : F. de Q. : Obra poética. Teatro y traducciones poéticas. Edición de José Manuel Blecua. IV. Madrid : Castalia 1981, pp. 111-122. – Francisco de Quevedo : Pragmática que han de guardar las hermanas comunes. In : F. de Q. : Obras completas. Edición de Felicidad Buendía. Obras en prosa, pp. 95-97. Altri testimoni in : Francisco Delicado : La Lozana Andaluza. Edición de Bruno Damiani. Madrid : Clásicos Castalia 1981, p. 104. – Alonso de Castillo Solórzano : Las Harpías en Madrid. Edición de Pablo Jauralde Pou. Madrid : Clásicos Castalia 1985, p. 51. – Luis Vélez de Guevara : El Diablo Cojuelo. Edición, introducción y notas de Ángel Raimundo Fernández González [y] Ignacio Arellano. Madrid : Clásicos Castalia 1988, pp. 105-106. – Baptista Remiro de Navarra : Los peligros de Madrid. Edición de María Soledad Arredondo (= Clásicos Madrileños). Madrid : Editorial Castalia – Comunidad de Madrid 1996, p. 57, p. 85, p. 95, p. 120, p. 121, p. 135, p. 148, pp. 160-161. Sulla diffusa abitudine delle prostitute di adottare nomi nobiliari cfr. José Luis Alonso Hernández : El lenguaje de los maleantes españoles de los siglos XVI y XVII : La Germanía (Introducción al léxico del marginalismo. Salamanca : Ediciones Universidad de Salamanca 1979 (= Actas Salmanticensia. Filosofia y Letras, 108), pp. 277-278. 378   César Hernández Alonso – Beatriz Sanz Alonso : Diccionario de germanía, pp. 339-340. – María Inés Chamorro : Tesoro de villanos, pp. 592-593. 379   Cfr. José Luis Alonso Hernández : El lenguaje de los maleantes españoles de los siglos XVI y XVII : La Germanía, p. 72. – César Hernández Alonso – Beatriz Sanz Alonso : Diccionario de germanía, p. 384. – María Inés Chamorro : Tesoro de villanos, p. 384. 380   M. Bataillon : “La picaresca”. À propos de La pícara Justina, p. 246. 381   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO SEGVNDO INTITVLADO LA PICARA Romera. En que se trata la jornada de Arenillas. CAPITVLO PRIMERO, de la Romera Baylona. Numero primero. De la castañeta repentina », p. 112. 382   Libro de entretenimiento. Medina del Campo 1605, « LIBRO SEGVNDO INTITVLADO LA PICARA  



















































































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[...] yo ... siempre tuue humos de cortesana, o corte enferma, y cosa de montaña, no me daua godeo. 383 [...] comencê a cobrar brio de hidalga : mas no por esso mi hermanos me tenian mas respeto : mal aya el nacer villana y montañesa, que nunca sale la persona de capotes. 384 Ya yo era dama, ya las cosas de montaña y de Mansilla (que todo es vno) me olia a azeyte de alacranes [...]. – [Glosa :] Condicion de las simples donzellas de montaña. 385 Son las labradoras y Montañesas como la loba, que en tiempo de brama huelen todos los lobos, y siempre escogen el peor y mas flaco. 386 Viendome pues encapada y ensombrerada, [...] se me puso en la cabeça salir de Aldeana, y Montañesa, y dar de subito en ciudadana. Resoluime en dar vna pauonada en la ciudad de Leon por ver si se me pegaua en ella algo de lo ciuil, ya que de lo criminal yo era maestra. 387 [...] vebamos la corrobla (como dizen los Montañeses de mi tierra) [...]. 388  

















Il termine montañés come sinonimo di villano l’autore della Pícara Justina lo usa anche in esplicito contrasto con los godos, i veri rappresentanti della “hidalguía immémoriale” : “Las frutas nunca digays que son vezinas de Mansilla, que es dezir que son villanas, y montañesas, sino que vinieron de Bretaña, con los godos”. 389 Il significato normale e corrente di montañés era del resto quello di originario della Montaña, 390 così come corito era sinonimo di montañés. (Con il termine di montañés venivano denominati anche gli abitanti di tante località della provincia leonese che pur – come Mansilla de las Mulas – erano situate in pianura ! 391) Mai con la sola parola mon 





   

Romera. En que se trata la jornada de Arenillas. CAPITVLO SEGVNDO DE LA Vigornia burlada. NVMERO TERCERO DE LOS Beodos burlados », p. 177. 383   Libro de entretenimiento. Medina del Campo 1605, « LIBRO SEGVNDO INTITVLADO LA PICARA Romera. En que se trata la jornada de Arenillas. CAPITVLO SEGVNDO DE LA Vigornia burlada. NVMERO TERCERO DE LOS Beodos burlados », p. 181. 384   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO QVARTO DE LA PICARA NOBIA. CAPITVLO QVARTO DE LAS obligaciones de amor », p. 37. 385   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO DE la Picara Romera. Capitulo. I. De la jornada de Leon. Numero primero, Del afeyte mal[em] pleado », p. 2. 386   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO DE la Picara Romera. Capitulo. I. De la jornada de Leon. Numero primero, Del afeyte mal[em] pleado », p. 2. 387   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO DE la Picara Romera. Capitulo. I. De la jornada de Leon. Numero primero, Del afeyte mal[em] pleado », p. 3. 388   Libro de entretenimiento. Medina del Campo 1605, « LIBRO SEGVNDO INTITVLADO LA PICARA Romera. En que se trata la jornada de Arenillas. CAPITVLO SEGVNDO DE LA Vigornia burlada. Numero primero. De la entretenedora astuta », p. 156. Julio Puyol y Alonso (« Notas », p. 148) spiega : “Corrobla : Alboroque. Los Diccionarios traen corrobra y robra, pero en León se dice robla ó corrobla, sin excepción alguna.” 389   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO PRIMERO, INTITVLADO LA PICARA Montañesa. CAPITVLO SEGVNDO [TERCERO !] DE LA vida de el meson. Numero primero. De el mesonero consejero », p. 81. 390   Cfr. Hernán Núñez : Refranes o proverbios en romance. Con sus glosas y numerados según el orden en que fueron escritos en la edición príncipe, con indicación del folio. Edición crítica de Louis Combet, Julia Sevilla Muñoz, Germán Conde Tarrío y Josep Guia i Marín. Tomo I. Madrid : Guillermo Blázquez 2001, p. 90 (nro. 2787 : “El montañés, por defender una necedad, dize tres”). – Melchor de Santa Cruz : Floresta Española. Edición, prólogo y notas de María Pilar Cuartero y Maxime Chevalier, p. 104 (“Preguntando en Valladolid un hidalgo a un montañés que venía de su tierra…”). – Real Academia Española : Diccionario de Autoridades. Edición facsímil. D-Ñ. Madrid : Gredos 1984, Tomo IV, p. 600 (“Montañés : Lo que toca ò pertenece à las Montañas, es nacido ò trahe su origen de ellas. – Por antonomasia se entiende el de las Montañas de Burgos”). 391   Scrive Julio Puyol y Alonso : “Mansilla no es pueblo de Montaña, pues está situado en uno de los lugares llanos de la provincia de León, y de las montañas de Boñar, que son las más cercanas, dista unos veinte kilómetros aproximadamente ; pero en tierra de Campos, no han dejado todavía de llamarse montañeses á los habitantes de todos los pueblos situados entre la confluencia de los ríos Bernesga y Torío en el Esla (Palanquinos) y el Norte” (« Notas », p. 274).  





























































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tañés – o corito – veniva indicata la qualità di hidalgo. Quando un montañés era hidalgo questo status veniva specificato esplicitamente : “ser de la montaña y hidalgo”, “hidalgo montañés”, “montañés hidalgo”, “hidalgo corito”. 392 E quando qualcuno asseriva, come fa il lacchè biscaglino della continuazione apocrifa del Guzmán de Alfarache di Juan Martí, che “bastaua dezir Vizcayno, para que se tuuiesse por hidalgo, porque valia la consecuencia, Vizcayno, luego hidalgo”, 393 l’asserzione – alla quale Marcel Bataillon si richiama per suffragare la sua tesi – veniva confutata facendo riferimento ai due più autorevoli esperti di diritto nobiliario del XVI secolo : Juan Arce de Otálora e Juan García de Saavedra. Juan Arce de Otálora, citato ampiamente dallo stesso Juan Martí, 394 sostiene ripetutamente nel capitolo ottavo della terza parte del suo trattato De nobilitatis & inmunitatis Hispaniae Causis (Granada 1553. – Summa nobilitatis hispanicae. Salamanca 1559. – Salamanca 1570. – Madrid 1613) che colui che vuole essere dichiarato nobile non può limitarsi a provare di godere della esenzione fiscale, se è originario di città e territori – come Valladolid, Toledo e il Regno di Granada – i cui abitanti sono esonerati dalle tasse. Un abitante di queste città, o territori, che voglia farsi riconoscere la nobiltà, deve necessariamente, secondo le leggi vigenti (Legge del 1398, emanata a Toro da Enrico III e incorporata nella Pragmática di Tordesillas del 1403, e Pragmática di Córdoba del 1492), dimostrare che suo padre e i suoi avi godevano della “comun reputacion y opinion de hidalgos” :  











392   Nel Libro de chistes di Luis de Pinedo, uno dei sei chistes nei quali figura Francisco López de Villalobos inizia così : “El. Dr. Villalobos tenía un acemilero mozo y vano, porque decía ser de la montaña y hidalgo” (p. 103). In un apoftegma di Juan Rufo – per esempio – si legge : “Dijo entonces cierto hidalgo montañés…” ( J. Rufo : Las Seiscientas Apotegmas y otras obras en verso, p. 48). In Querer la propia desdicha di Lope de Vega, Tello si definisce “montañés hidalgo” (Lope Felix de Vega Carpio : Obras escogidas. Tomo I. Teatro*. Madrid : Aguilar 1969, p. 1607). In Alonso, mozo de muchos amos di Jerónimo de Alcalá si trova un cuentecillo su un “montañés hidalgo”. Cfr. Doctor Jerónimo de Alcalá Yáñez y Ribera : Alonso, mozo de muchos amos (Primera y Segunda parte). Estudio, edición y notas de Miguel Donoso Rodríguez (= Biblioteca Áurea Hispánica, 24). Universidad de Navarra – Iberoamericana – Vervuert 2005, p. 320. In una Epístola indirizzata dal Principe di Esquilache (Don Francisco de Borja y Aragón) a Bartolomé Leonardo de Argensola figura questa terzina : “Si el otro que es discreto por escrito / Se precia de razones mas rodadas / Que previlegio de hidalgon corito…”. Cfr. Poetas líricos de los siglos XVI y XVII. Colección ordenada por Don Adolfo de Castro. Tomo segundo (= Biblioteca de Autores Españoles, XLII). Madrid : Atlas 1951, pp. 316-317. Fray Antonio de Guevara, pur sostenendo, orgogliosamente, che quasi tutti i nobili erano originari della Montaña, non si spinge ad affermare che tutti i montañeses erano nobili : “Bien estoy yo con lo que decía Diego López de Haro, es a saber, que para ser uno buen hombre, había de ser nascido en la Montaña y traspuesto en Castilla ; mas pésame a mi mucho que aquellos de mi tierra se les apega poco de la criança que tenemos y mucho de la malicia que usamos. Cuando preguntamos a un vecino del Potro de Córdoba, del Çocadover de Toledo, del Corrillo de Valladolid, o del Azoguejo de Segovia, que de dónde es natural, luego dice que es verdad haber él nascido en aquella tierra, mas sus abuelos vinieron de la Montaña por manera que en el tener quieren ser castellanos, y en el linaje quieren ser vizcaínos. [...] A los que somos montañeses no nos pueden negar los castellanos que cuando España se perdió, no se hayan salvado en solas las montañas todos los hombres buenos, y que después acá no hayan salido de allí todos los nobles. Decía el buen Íñigo López de Santillana que en esta nuestra España que era peregrino, o muy nuevo, el linage que en la Montaña no tenía solar conoscido” (Libro primero de las Epístolas familiares de Fray Antonio de Guevara. Edición y prólogo de José María de Cossío. I, p. 245). 393   SEGVNDA PARTE | DE LA VIDA | DEL PICARO | Guzman de Alfarache. | Compuesta por Mateo Luxan de | Sayauedra, natural vezino | de Seuilla. | [Piccolo ornamento tipografico.] | Con licencia, | EN MADRID, | En la Imprenta Real. | [Linea tipografica.] | M.DC.III. | Vendese en casa de Francisco Lopez librero (London, British Library : 12489.a.8), Libro Segundo, Cap. VIII, p. 202. La prima edizione della continuazione apocrifa di Juan Martí (Mateo Luján de Sayavedra è lo pseudonimo) fu pubblicata nel 1602 (Impresso en Valencia, por Pedro Patricio Mey, junto a S. Martin. MDCII. A costa de Francisco Miguel mercader de libros a la calle de Caualleros), ma di questa edizione non è conosciuto alcun esemplare. 394   Mateo Luxan de Sayauedra ( Juan Martí) : Segvnda parte de la vida del picaro Guzman de Alfarache. Madrid 1603. Libro Segundo, Cap. VIII, pp. 206-207.  























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[…] sicut in locis vbi soluuntur tributa, distinguuntur nobiles à plebeis per non solutionem, & per eam probatur nobilitas : ita in locis liberis debet probari per communem reputationem. [Y ansi la pragma. de Cordoua dize, que prueuen auer estado el y su padre y abuelo en reputacion de hijos dalgo. Y no auer pechado.] Quae verba debet referri singula singulis, el no auer pechado quando ay pechos y la reputacion quando no los ay […].  

Quindi Juan Arce de Otálora ricorda che nel 1545 e nel 1550 alla Cancelleria di Granada (della quale egli stesso fu fiscal dal 1540 al 1550 e poi, dal 1551 al 1558, oidor ; dal 1559 al 1561, anno della sua morte, ricoprì lo stesso ufficio a Valladolid) e alla Cancelleria di Valladolid era stato chiesto dall’Imperatore  

an illae personae quae domicilium habent vel habuerunt in Cantabriae locis, quibus non soluuntur tributa [como son en la prouincia de Guipuzcua y otras partes de Vizcaya donde son essentos de pechos, o no los ay, a lo menos no se pagan por repartimiento, si las tales personas probando esta possession, o immunidad, podran gozar de hidalguia en possession o propriedad fuera de aquella tierra : y fue respondido por el acuerdo que no pudiessen gozar, si no probassen otros adminiculus, y actos positiuos, y calidades, en que se differenciassen los nobles y hidalgos de los villanos y pecheros.] 395  



Rispondendo al chiaro e specifico quesito posto da Carlo V, la Cancelleria di Granada e la Cancelleria di Valladolid negarono nettamente, come si vede, la validità del postulato “Vizcayno, luego hidalgo”. Il postulato “Vizcayno, luego hidalgo”, o “Vizcaynos, ergo hidalgos”, 396 fu ancor più radicalmente confutato da Juan García de Saavedra, giurista formatosi come Juan Arce de Otálora a Salamanca e divenuto fiscal della Corona a Valladolid. Nel suo Tractatvs de Hispanorum Nobilitate, et Exemptione, Sive ad Pragmaticam Cordvbensem (1.ª ed. : Pinciae anno 1588 : Apud heredes Bernardini de Sancto Domingo, Typographi Regii. Excudebat Martinus Arze. – 2.ª ed. : Compluti, Ex Officina Ioannis Gratiani, apud viduam. A costa de Iuan De Sarria mercader de libros. Anno 1597. – 3.ª ed. : Matriti, Apud viduam Ferdinandi Correa. Anno 1622), Juan García de Saavedra dimostrò la falsità del principio stesso della hidalguía collettiva, negò che in uno stesso territorio tutti potessero essere hidalgos e, basandosi sulla legislazione vigente (la Pragmática di Córdoba del 3 maggio 1492, che era stata emanata dai Re Cattolici per porre rimedio agli abusi e alle usurpazioni di hidalguía, causa di una sensibile riduzione delle entrate fiscali regie e municipali,397 e  









395   SVMMA NOBI | LITATIS HISPANICAE, ET IMMVINITATIS REGIORVM TRI | butorvm, causa, jus, ordinem, iudicium, & excusationem breuiter | complectens : nunc postremò recognita, atque infinitis pro- | pè locis emendata, nouisque additio- | nibus aucta. | Authore Ioanne ab Otalora olim quidem in Granatensi, nunc verò | in Vallisoletana curia Senatore Regio. | Cui accessit rerum & verborum Index copiosissimus. | [Marca del libraio Juan Moreno.] | SALMANTICAE. | Excudebat Ioannes baptista à Terranoua. | Anno Domini M.D.LXX. | CVM PRIVILEGIO. | Expensis Ioannis Moreni Bibliopolae (Wien, Österreichische Nationalbibliothek : 37. C. 5.), p. 128, p. 130 (queste due pagine sono riassunte e in parte trascritte, abbastanza fedelmente, da Juan Martí). La prima edizione dell’opera di Juan Arce de Otálora, stampata a Granada nel 1553 nell’officina dei Lebrija, aveva – come abbiamo visto – un titolo diverso : De nobilitatis & immunitatis Hispaniae Cavsis (quas hidalguía apellant) de que Regalium tributorum (quos pechos dicunt) iure, ordine, iudicio & excusatione summa seve tractatus. Una seconda edizione, quasi identica alla successiva del 1570, fu stampata a Salamanca nel 1559 nell’officina di Andrea de Portonariis. Nel 1613 verrà approntata a Madrid un’ultima edizione dal celebre stampatore-editore Luis Sánchez. Juan Arce de Otálora era morto nel 1561. 396   Mateo Luxan de Sayauedra ( Juan Martí) : Segvnda parte de la vida del picaro Guzman de Alfarache. Madrid 1603. Libro Segundo. Cap. IX, p. 232. 397   “[...] ha acaecido, que contendiendo el Concejo [del Común] con su vezino, que se dize hijodalgo, sobre la possession solamente, o sobre la possession y propiedad de su hidalguia, ante los Alcaldes [de los hijosdalgo] y Notarios [de las Prouincias], se dà sentencia por ellos, en fauor del que se dize hijodalgo, y el Concejo viendose fatigado ... o por alguna colusion que se haze, no apela, o suplica su Procurador [y Fiscal] de la tal  







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aveva fissato le condizioni necessarie per ottenere il riconoscimento della hidalguía398), affermò che i biscaglini non potevano essere considerati tutti hidalgos e che non era sufficiente provare l’origine basca per ottenere la hidalguía :  

[...] ni es de afirmar, que qualquiera casa sita en montaña ... sea de solar de hijosdalgo, si faltan los ... requisitos [...], quia ex d. l. 7. & l. 27. & lege nostra, & ex Bartolus & Innocentio, & Ripa, & reliquis [...] si absit distinctio abest probatio verae nobilitatis possessoriae [...]. Alij vero [...] aiunt que basta costumbre guardada, y obseruada, de no pechar, ni pagar pechos, y que esto basta para verdadera probança de todos los que viuen, y son originarios, porque en efeto es dezir, que todos los originarios de Valladolid, y de otros pueblos libres son hijosdalgo, argumento indigno de buenos ingenios [...]. [...] Y afirmamos, que ay algunas casas en Vizcaya, en las quales concurren las calidades que diximos ser necessarias [...], de cuya hidalguia no se puede dudar. Y aunque los Vizcaynos pretenden que tienen fuero, y pretenden por el, que prouando, solamente ser originarios Vizcaynos, sean pronunciados por hijosdalgo, y que este fuero ha de ser guardado en toda España, real y verdaderamente no tienen tal fuero, porque la l. 16 en el fuero de Vizcaya, que ellos alegan, no es ley, antes es vna simple peticion que se dio a su Magestad año de 50. sobre que (al parecer) cayò la consulta, y respuesta del acuerdo de Valladolid, como consta de Otalora d. 3. p. c. 8. n. 9. folio 130. y el compilador del fuero de Vizcaya puso aquella peticion simple sin respuesta por ley, no lo siendo ; y allende que esto consta claramente de la dicha l. 16. ibi : Pedian y suplicauan a su Magestad, y vese mas claramente, del tenor de todas las otras leyes, que todas ellas comiençan por estas palabras. Otrosi dixeron, que auian de fuero, franqueza y libertad, y establescian por ley, sola la l. 16. comiença como peticion, otrosi dixeron, que todos, ni haze al caso la l. 3. tit. 16. del fuero de Vizcaya, porque essa no los haze hidalgos, dales essa exempcion que por ser Vizcaynos, no se les puedan executar los bienes en ella contenidos, y que para esse effecto, no valga la renunciacion de la hidalguia, est enim intelligenda, de eo, qui legitime fuerit nobilis, probata nobilitate ad hunc effectum, iuxta ea quae diximus supra glos. 1. à nu. 28. & obiter nota, quod ex illa l. 3. en Vizcaya, non est locus illi disputationi, an nobilis possit renuntiare effectibus nobilitatis, quos in fauorem nobilium ius inducit, de qua quaestione egimus supra glos. 6. numer. 19. igitur vbicumque non est distinctio nobilis, & plebei, ò en paga, ò oficio, ò llieua, ò carruage, ò huesped, o en otra manera, como sisa, carniceria, certe non potest probari nobilitas iuxta leges Hispanas. 399  





sentencia, o no prosigue apelando, o suplicando, y el que es dado por hijodalgo, saca la carta executoria con sola vna sentencia, y que con estas formas que en estos negocios se han tenido, dizque del dicho tiempo [15 de Setiembre de 1464] aca, son pronunciados algunos en propiedad, otros muchos en possession de hijosdalgo, no lo seyendo, y que como estos por discurso de tiempo han hijos y nietos, y otros decendientes, todos estos pretenden gozar de la dicha sentencia : por manera, que si assi huuiesse de passar, muy pocos quedarian pecheros en breue tiempo en nuestros Reynos, y assi no auria quien pagasse los [...] nuestros pechos y contribuciones Reales y Concejales, saluo hombres pobres, y personas que no tuuiessen quien tornasse por ellos, lo qual dizque redundaria en graue cargo de nuestras conciencias, y en diminucion y detrimento de los pechos y derechos a nos deuidos, y en gran daño de los pecheros nuestros subditos y naturales”. Cfr. Pragmatica Cordubensis. Fernandus & Elisabeth, Reges Hispaniae, Cordubae, anno millesimo quadragentesimo nonagesimo secundo, Maij trigesima die. In : Juan García de Saavedra : Tractatvs de Hispanorvm nobilitate et exemptione. Matriti, Apud viduam Ferdinandi Correa. Anno 1622, [fo. 3v-7r ; qui fo. 4v]. 398   “[...] si alguno dixere que està en possession de hijodalgo, [...] este tal sea tenudo de prouar la possession de su hidalguia, prouando la exempcion y inmunidad de su padre y de su abuelo, que todas tres personas el seyendo casado, y viuiendo sobre si, y su padre y abuelo estuuieron pacificamente en reputacion y possession de hombres hijosdalgo en los lugares donde viuieron, por veinte años continuos y cumplidos, y que como a tales hijosdalgo los dexauan los Concejos, donde viuian de empadronar, y prendar en los pechos Reales y Concejales, y no por otra razon alguna, y que se ayuntauan en sus ayuntamientos con los otros hijosdalgo, en los lugares donde viuian” (Pragmatica Cordubensis, [fo. 5r]). 399   TRACTATVS | DE HISPANORVM NOBILI- | TATE, ET EXEMPTIONE, SIVE | ad pragmaticam Cordubensem, quae est l. 8. | tit. II. lib. 2. nouae Recopilat. | PER IOANNEM GARSIAM A SAAVE- | dra Gallecum I. C. Hispanum, in Senatu Pintiano olim, in causis in- | uictissimi Regis nostri Philippi, & eius Fisci Regium | Aduocatum, & defensorem. | HAC POSTREMA EDITIONE A MENDIS, QVIBVS | vsq ; adhuc scatebat, repurgatus,  









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Juan García de Saavedra, il quale ricorda come non tutti i ‘goti’ fossero nobili (“yerran los que pensan que todos los Godos eran nobles, pues entre ellos auia hidalgos Godos, y Godos villanos” 400) – di conseguenza il proverbio “venir de los godos”, usato come equivalente di “venir de alto linaje”, 401 non è veritiero (“el refran que vulgarmente se dize, es de los Godos, ... no se funda en mucha verdad” 402) –, riconosce però, riferendosi esplicitamente proprio agli hidalgos della montaña, quelli autentici, che quando la hidalguia “es natural, y de sangre, y perpetua”, essa “no se pierde ... por el oficio baxo” :  







[...] aunque el hijodalgo exerça qualquier oficio, por vil que sea en España, en donde mas particularmente, que en otra nacion se entiende la nobleza natural, [...] no se puede perder la hidalguia, ni es razon que se pierda por el exercicio de oficio mecanico, porque en las montañas de Santander, quatro villas, Vizcaya, Prouincia, Alaba, Asturias, Galicia, Leon, ay hidalgos muy notorios, que por la calidad de la tierra, y pobreza della, les es forçado vivir de oficio baxos, y algunos de los que los exercen son harto mas hidalgos, que los que mucho se precian de hidalgos, y por este exercicio, no degeneran de su hidalguia, [...] y seria iniquidad, si por el exercicio de oficio mecanico se pusiesse falta alguna en su hidalguia, la qual no se puede perder por ser natural, y de linage, y de sangre perpetua, como diximos, quae nec tempore deficit, nec loco circunscribitur. 403  

Il regio Fiscal fondava le sue tesi sulla inesistenza di una hidalguía collettiva dei biscaglini e sulla inestinguibilità della hidalguía de sangre, non solo sulla dottrina nobiliaria, ma naturalmente anche sulle sentenze in materia pronunciate dalla Cancelleria di Granada e, in particolare, dalla Cancelleria di Valladolid, alla quale egli stesso – come abbiamo ricordato – apparteneva. Lo stesso Fuero Nuevo de Vizcaya del 1526, pur contenendo una serie di norme che gli storici hanno interpretato come la proclamazione della generalizzazione della hidalguía per tutta la popolazione del Señorío (Título I, Ley XIII : “los … vizcaynos son hombres hijos-dalgo, y de noble linaje, è limpia sangre” ; Ley XVI : “todos los naturales, vecinos, è moradores de este … Señorío de Vizcaya, Tierra-Llana, Ciudad, Encartaciones, è furan 





additus, & maiori cura illustratus per D. | Ioannem Garciam à Saauedra, authoris filium, vtriusq ; I. professo| rem, & in ciuitate Guadalaxara Regium Praetorem. | Anno [Stemma Reale] 1622. | CVM LICENTIA. | [Linea tipografica] | Matriti, Apud viduam Ferdinandi Correa. | Expensis Cornelij Martinij Belgae (Madrid, Biblioteca Nacional : 2/ 56667), fo. 100r. Sulla questione giuridica relativa alla hidalguía collettiva dei biscaglini, cfr. José Ramón Díaz de Durana Ortiz de Urbina : La otra nobleza. Escuderos e hidalgos sin nombre y sin historia. Hidalgos y hidalguía universal en el País Vasco, p. 55. – P. Fernández Albaladejo - J. M. Portillo Valdés : Hidalguía, fueros y constitución política : El caso de Guipúzcoa. In : Hidalgos & Hidalguía dans l’Espagne des XVIe-XVIIIe siècles. Théories, pratiques et représentations (= Collection de la Maison des Pays Ibériques, 37). Paris : C.N.R.S. 1989, pp. 149-165 ; qui pp. 153-154. 400   Juan García de Saavedra : Tractatvs de Hispanorum Nobilitate, et Exemptione, Sive ad Pragmaticam Cordvbensem, fo. 12v. Juan García de Saavedra basa la sua affermazione sul Fuero Juzgo (Tit. I, Cap. II e Cap. VIII) : “el rey ... deve ser esleido con concello de los obispos, ó de los ricos omnes de la corte, ó del poblo, et non deve ser esleido de fora de la cibdat, nen de consello de pocos, nen de villanos de poblo”. – “Quando el rey morre, nengun non deve tomar el regno, non facerse rey, nen nengun religioso, nen otro omne, nen servo, nen otro omne estrano, se non ye omne de linage de los godos, et fillo dalgo, et noble” (Fuero Juzgo en Latín y Castellano, cotejado con los mas antiguos y preciosos códices. Por La Real Academia Española. Madrid : Por Ibarra, impresor de Cámara de S. M. 1815, p. [III], p. [VIII]). Citando nuovamente, verso la fine del Tractatvs, questi due passi del Fuero Juzgo, Juan García de Saavedra ribadisce : “Deste lugar se colige, que no todos los Godos eran solo por ser Godos hijosdalgo, y que entre ellos auia villanos, y hijosdalgo” (fo. 149r). 401   Gonzalo Correas : Vocabulario de refranes y frases proverbiales (1627). Edición de Louis Combet, p. 1102. 402   Juan García de Saavedra : Tractatvs de Hispanorum Nobilitate, et Exemptione, Sive ad Pragmaticam Cordvbensem, fo. 12v. 403   Juan García de Saavedra : Tractatvs de Hispanorum Nobilitate, et Exemptione, Sive ad Pragmaticam Cordvbensem, fo. 28r.  





























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gueses, eran notorios hijosdalgo”. – Título XVI, Ley III : “en Vizcaya todos los vizcaynos son homes hijosdalgo, y por tales conocidos, tenidos, havidos, y comunmente reputados, è han estado, y están en esta possession, velquasi, de ser homes hijosdalgo, no solamente de padre, y abuelo ; pero de todos sus antecessores y de immemorial tiempo acá”), aveva riconosciuto l’impossibilità di provare, secondo la Pragmática di Córdoba del 1492, la hidalguía come negli altri territori della Corona. 404 Nel 1588 le Juntas Generales de Vizcaya, reagendo al trattato di Juan García de Saavedra, tentarono di dimostrare che per i biscaglini non valevano le norme stabilite dalla Pragmática di Córdoba del 1492 e sostennero che la nobiltà è configurata in maniera differente nel diritto basco e nel diritto castigliano, essendo in Castiglia gerarchica e fondata storicamente sulla concessione di terre e feudi e sulla separazione perpetua di nobili e pecheros, in Biscaglia, terra che mai conobbe né feudi né vassallaggio, universale e primitiva. 405 Le loro tesi non furono però riconosciute valide. Se le Cancellerie di Valladolid e di Granada non accettarono il principio della universale hidalguía e l’identificazione di hidalgo e vizcaíno, ancor meno fu disposta l’opinione pubblica castigliana a riconoscere le pretese di nobiltà degli abitanti della Provincia de Guipúzcoa, del Señorío de Vizcaya e del Principado de Asturias. Essi erano anzi disprezzati per i lavori umili, sopra ricordati, che svolgevano nelle città della Castiglia, scherniti per la loro presunzione di nobiltà, ritenuta ancor più ridicola perché era abitualmente accompagnata dalla povertà, e burlati per il modo con cui storpiavano il castigliano. 406 Nel Teatro Universal de Proverbios di Sebastián de Horozco si trovano questi versi :  











En mas tiene el vizcayno / ser un hombre hijo de algo / y christiano biejo y fino / que rico siendo enjuino [« con sangre u origen judío »] / aunque mas pobre que un galgo / Por no tener que pechar / esta libre de pagar / y con esto esta muy ancho / assi que revienta Sancho / de hidalgo de solar. 407  





La gente non associava davvero alla parola biscaglino, o montañés, l’idea di nobiltà, ma quella di mestieri molto umili. Si ricordi il passo già citato de La Dorotea (II, 6) di Lope de Vega :  

GERARDA : [...] montañés será tu marido. – CELIA : ¿Cosa que sea destos que venden agua ? – GERARDA : Pues qué querías ? ¿Que tuviese solar, pendón y caldera ? 408  









   

Al postulato enunciato dal biscaglino (“Vizcayno, luego hidalgo”), l’andaluso Guzmán de Alfarache ribatte : “Vizcaíno, luego burro”. 409 La letteratura del Siglo de Oro docu 



404   Cfr. José Ramón Díaz de Durana Ortiz de Urbina : La otra nobleza. Escuderos e hidalgos sin nombre y sin historia. Hidalgos y hidalguía universal en el País Vasco, pp. 107-110. 405   Cfr. José Ramón Díaz de Durana Ortiz de Urbina : La otra nobleza. Escuderos e hidalgos sin nombre y sin historia. Hidalgos y hidalguía universal en el País Vasco, pp. 55-57. 406   Cfr. – per esempio – Miguel de Cervantes Saavedra : El ingenioso hidalgo Don Quijote de la Mancha. Nueva edición crítica con el comento refundido y mejorado y más de mil notas nuevas. Dispuesta por Francisco Rodríguez Marín. Tomo I. Madrid : Atlas 1947, pp. 263-265. – Francisco de Quevedo : La culta latiniparla. Edición de Antonio Azaustre Galiana. In : F. de Q. : Obras completas en prosa. Volumen primero. Tomo primero. Dirección de Alfonso Rey. Madrid : Castalia 2003, pp. 79-117 ; qui p. 111. – Francisco de Quevedo : Libro de todas las cosas y otras muchas más. Edición de Antonio Azaustre Galiana. In : F. de Q. : Obras completas en prosa. Volumen segundo. Tomo primero. Dirección de Alfonso Rey. Madrid : Castalia 2007, pp. 429-477 ; qui p. 456. – Francisco de Quevedo : Romance en que se maltrata a una dama que supone ser hija de boticario (“No al son de la dulce lira...”). In : F. de Q. : Obra poética. Edición de J. M. Blecua. III, pp. 179-183, nro. 790, vv. 37-40. 407   Sebastián de Horozco : Teatro Universal de Proverbios. Edición, introducción, índices y glosario de José Luis Alonso Hernández (= Obras de referencia, 22). Salamanca : Universidad de Salamanca 2005, p. 570, nro. 2736. 408   Lope de Vega : Prosa, II. Madrid : Biblioteca Castro 1998, p. 653. 409   Mateo Luxan de Sayauedra ( Juan Martí) : Segvnda parte de la vida del picaro Guzman de Alfarache. Madrid 1603. Libro Segundo. Cap. VIII, p. 202.  











































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menta ampiamente la poca considerazione nella quale erano tenuti guipuzcoanos, vizcaínos e montañeses e la loro conclamata ‘hidalguía’. 410 La rappresentazione grottesca che l’autore della Pícara Justina offre degli asturiani corrisponde pienamente agli stereotipi correnti. Soprattutto ricorda la descrizione realistico-grottesca degli abitanti della “villa de Tormaleo” e delle loro case, fatta, in una delle sue Cartas, da Eugenio de Salazar, che si era recato in quella località delle Asturie e vi aveva soggiornato per qualche tempo in qualità di “Juez Pesquisidor” : 411  

   

De çerro en çerro, de puerto en puerto y de peña en peña vine a estas cumbrosas Asturias, donde alguna vezes me hallo tan vezino de las nubes, que me regalo con ellas y pongo mi cabeça en sus regaços. Después que he visto esta tierra, no me marauillo de hauer oydo dezir que los asturianos tiraban lanças al çielo ; porque le tienen tan çerca de sus casas quanto lexos de sus coraçones. Yo estoy en la insigne çiudad de Tormaleo, que quiere dezir tormento malo, donde al presente resido ; cuyo sitio y disposiçión y moradores querría describir, si açertase mi desatino a desatinar como conuiene para significar tan desatinada çiudad y gente. […] Las casas […] son redondas, porque para que quepa la ruindad de los moradores la figura redonda es la más capaz. […] Veese a ratos […] vn fidalgo de solar conosçido, con vna espada al lado y vn broquel al rabo, vn puñal pendiente, lança y azcona al hombro, y vna ballesta en la mano, con çinco o seys saetas espetadas entre el collar del sayo y gorjal de la camisa ; y con este rosario de quentas va a rezar a la Iglesia […]. En las dichas casas no ay sala ni quadra ni retrete ; toda la casa es vn solo aposento redondo como ojo de compromiso ; y en él estan los hombres, los puercos y los bueyes, todos pro indiuiso, assí porque todos son herederos de la tierra, como porque ni aun en las costumbres se diferençian. A un mismo tiempo habla el hombre y gruñe el puerco y brama el buey ; y tengo los oydos tan confusos con la diuersidad de zumbidos, que al hombre tengo muchas vezes por la bestia y al animal por el hombre ; y quando en esto estoy más engañado, creo me engaño menos. […] Todas las casas son insulanas, ninguna se pega con la otra : assí son las voluntades de los vezinos. Estas casas tienen llenas de tantas baratijas, armadijos, trastos, petrechos, bastimentos, instrumentos y muniçiones, que no tenía tantas la madre Çelestina para fabricar hechizos y reformar virgos. Las castañas tienen en alto, sobre vnas bimbres texidas pendientes de vnas sogas, en las quales miran y contemplan como los moros en el zancarrón de Mahoma ; porque no ay sustento que les dé más gusto, ni que ellos tanto amen, exçepto el vino, al qual tienen tanto amor que siempre le trahen metido en lo intimo de sus entrañas. Habitan esta lustrosa çiudad illustres hidalgos de lança mohosa, cuchillo cachicuerno, auarca peluda, pierna desnuda, capotín de dos faldas, caperuçeta antigua sobre largas coletas. Es gente de tanta punta, que comen y beben en platos y escudillas de palo por no comer ni beber en platos de Talauera, ni vidrio de Veneçia, que dizen que es suçio y que se haze de varro. Pan de trigo no lo pueden ver ni carne fresca, la que se muere de landre, modorra o sanguiñuelo, ésa les es saludable y gustosa. […] Y pues he dicho de los galanes desta çiudad, no será justo dexar de pintar las damas della. Y no trato de pintar viudas ni casadas ; porque a éstas tratáronlas y trátanlas sus maridos, y buena pro les haga la ganançia del suçio trato. Ni llego a las muchachas de doze años abajo, porque éstas allá se andan por los montes tras sus cabrillas, donde no sé quién se les llega, que alguna vez, suppliendo la maliçia a la edad, vueluen con chibatillos en los vientres. Tocará pues mi pinzel a las damas que no traen toca, ni cofia, ni garbín, ni aun aluanega ; antes andan con su cabello suelto hasta los hombros, que paresçen figuras de tapiz antiguo y ahumado ; las quales son las donzellas  























410   Cristóbal de Castillejo dedica addirittura quattro composizioni ai biscaglini, ridicolizzandone il modo di parlare e rappresentandoli come oltremodo paurosi, avari e … confessos, e come ubriaconi di umile “condición y de baxos pensamientos” ! Cfr. Cristóbal de Castillejo : Obra completa. Madrid : Biblioteca Castro 1999, pp. 284285 (A un vizcaíno pidiendo aguinaldo : “Servido no ge lo tienes…”) ; p. 285 (El mismo : “El Navidad es passado…”) ; pp. 309-313 (Sobre un desastre que aconteció a un confesso : “Mandad, señor bachiller…”) ; pp. 327-331 (Transfiguración de un vizcaíno, gran bevedor de vino : “Uvo un hombre vizcaíno…”). Cfr. inoltre i numerosi documenti raccolti da Miguel Herrero García : Ideas de los españoles del siglo XVII, pp. 226- 274. 411   Cfr. Bartolomé José Gallardo : Ensayo de una Biblioteca Española de libros raros y curiosos. Tomo cuarto. Madrid : Manuel Tello 1889, col. 325.  

























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de doze y diez y seys arriba […]. Son, pues, estas damas mal sacadas de cuerpo, leuantadas de hombros, cortas de cuello, grandes de cabeça, angostas de frente, çeñudas de çejas, hendidas de ojos, anchas de narizes, largas de boca, copiosíssimas de tetas, abundantíssimas de nalgas, leuantadas de barriga, espaçiosas de çintura, gruessas de pelo, toscas de manos y abiertas de pata. El color de las caras es muy graçioso y de buen lustre, entre verde y morenico, y vn poquito de amarillo que se mete a perfilar ; la tez muy linda y asentada, como de roçin sarnoso. Vsan vn çierto género de basquiñas, no de mezclas de Inglaterra, no de granas de poluo ni de cofolla, no rasos de Valençia ni terçiopelos de Génoua, sino de vna çierta tela delgada, bien paresçiente y muy semejante a ésta de que hazen las aluardas. Hazen las basquiñas angostas, porque se señale la copia nalgar, y no pasan de media pierna, porque descubran las pantorrillazas, que son como timones de ruedas de hazeñas. Calçan vnos botinicos abrochados, altos de cuello, no de cordobán muy suelto, sino de vaca mal curtida, que también siruen de çuecos ; porque el más mal çimentado dellos está fundado sobre vna dozena de suelas ; y quando es menester para dar vna coz, suplen por herraduras, porque son herrados por bajo de tal manera que quando alguna de las damas anda más menudico, paresçe frisón reçién herrado que corre por calle empedrada. […] Son muy medidas y cautas en el hablar ; por marauilla hablan con los hombres aunque algunas vezes obran con ellos ; hablan más con las bestias […]. Es gloria ver las perlas que despiden por aquellas bocas quando no regüeldan. En el comer son muy templadas ; no comen caldo ni sopas sino dos vezes al día, en leuantándose de la cama y quando se van a acostar, por no hazer barriga ; y cada vez poquillo y bueno : vna escudillica de palo que allá seruiría de artesuela para jabonar, llena de caldo de agua, y nabos, y hojas de nabos, y poco de manteca, espetadas en ella vn çiento de sopas de pan de çenteno, cada vna tan grande como losa de sepultura ; y con vna serenidad lo embusan, que no paresçe que abren las bocas ; y a vuelta de cabeça veréys el dornillo más varrido por de dentro que fregado por defuera ; y estando comiendo se les ve visiblemente yr hinchando las panças y renes poco a poco, como quando el botero hincha el odre con el soplo. Yo las digo que cómo pueden comer tanta sopa y nabo, que es ventoso ? y respóndenme que por esso dió Dios respiraderos a la cuba, porque no rebiente. Y en començando a herbir las ollas del mal coçinado de sus estómagos, passa su respirar de tal manera, que si tuuiera qualquiera dellas mil troneras, por todas tronara y para ninguna faltaran muniçiones ni balas que soltar. […] Y por çerrar con las abiertas en cabello, digo que son hermosas como el Huerco, dispuestas como el puerco, sacadas como el erizo, derechas como la çepa, çeñidas como la cuba, ayrosas como el asno, graçiosas como el buey, auisadas como la mosca, limpias como la araña, olorosas como el regüeldo, fieles como el gato, desembueltas como el galápago, delicadas como el roble, blandas como la carrasca, apaçibles como el çierço, y agradables a los ojos como el humo de la çebolla. 412  

























Queste pagine, che – assieme ad altre di Eugenio de Salazar 413 – preannunciano i ritratti burlesco-grotteschi di Quevedo e dell’autore della Pícara Justina, rispecchiano, pur considerando le deformazioni ed esagerazioni burlesche proprie delle “cartas de donaires”, 414 il poco conto che l’opinione pubblica castigliana faceva degli asturiani e della  



412   Eugenio de Salazar : Carta al licenciado Augustín Guedeja, entonçes Relator del Consejo y de la Cámara de Su Magestad, y agora su Fiscal en la Real Audiençia de Galiçia, en que se describe la villa de Tormaleo, que es en el conçejo de Ibias, de las quatro sacadas de Asturias ; y se trata algo de la gente della. ~ Escribíola el author estando en vna comisión en aquel pueblo. In : Cartas de Eugenio de Salazar. Las reproduce en facsímile La Sociedad de Bibliófilos Españoles. Madrid 1966, pp. 112-125. 413   Cfr. Eugenio de Salazar : Carta para una vieja tripera y partera que se preçiava de hermosa, y se jactaua de muchos seruidores. In : Cartas inéditas de Eugenio de Salazar (1570). In : Sales españolas o Agudezaz del ingenio nacional. Recogidas por Antonio Paz y Melía. Segunda edición de Ramón Paz (= Biblioteca de Autores Españoles, 176). Madrid : Atlas 1964, pp. 273-292 ; qui pp. 285-288. 414   In una lettera destinata ai figli, che era allegata al manoscritto delle sue opere e nella quale dava alcune indicazioni e raccomandazioni per la loro stampa, Eugenio de Salazar, a proposito della pubblicazione delle Cartas, scriveva : “Las tres Cartas, la de la Corte, y la de la Mar se pueden imprimir, porque parece traen alguna utilidad comun. La de los Cata-riberas, ni la de las Asturias, ni otra alguna no se impriman, porque aunque tienen agudeza y erudicion, son cartas de donaires, y no se puede sacar otro fruto dellas, mas que el gusto de las razones.” Cfr. B. J. Gallardo : Ensayo de una Biblioteca Española de libros raros y curiosos. Tomo cuarto, col. 329.  



















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loro hidalguía (non dimentichiamo che il madrileno Eugenio de Salazar aveva studiato diritto ad Alcalá de Henares, Salamanca e Sigüenza ; negli anni successivi alla sua missione a Tormaleo farà una notevole carriera, divenendo “Gobernador a Canarias”, “Oidor de la Isla de Santo Domingo”, “Fiscal de la Audiencia de Guatemala”, poi “Oidor” della “Audiencia de Mexico” e, infine, “Consejero de Indias” 415). Lo stesso autore della Pícara Justina, che inserisce nella sua opera uno dei chascarillos tradizionali aventi un biscaglino come protagonista (quello sulla “mula enfrenada del Vizcayno” 416), ridicolizza i ‘fumi’ di nobiltà dei biscaglini nel fare il ritratto fisico e morale del vizcaino alavés Maximino de Umenos, il primo pretendente di Justina, un impostore di bassa estrazione e di vili mestieri, che ha intenzione di prostituire la futura moglie per vivere senza lavorare. Si presenta cosí : “Hidalgo como el gauilan, que soy Mendoça, Guzman, Cabrera, y de ay arriba quanto mandare, soy Vizcaíno, Alabes, linda res, y moço que no me duermo en las pajas”. 417 Riprendendo l’ipotesi, sopra ricordata, di Marcel Bataillon sull’uso dei vocaboli asturianos e vizcáinos come antifrasi comica di judíos (“Don Francesillo de Zúñiga […] gusta de bromear con el tema de su propia ascendencia judaica y con el de los conversos del mismo origen que se tratan unos a otros de judíos, aunque él, por cómica antífrasis, diga – en vez de « judíos » – « asturianos o vizcaínos »418), si potrebbe addirittura pensare che l’autore della Pícara Justina volesse deridere le pretese di nobiltà degli ebrei, che notoriamente - si consideravano tutti nobili.  

















Non essendo vizcaíno e asturiano e neppure montañés sinonimi di hidalgo – e tanto meno dell’hidalgo per eccelenza, quello di immemoriale hidalguía –, in Justina non si realizza l’idea, che secondo Marcel Bataillon avrebbe concepito Francisco López de Úbeda, della fusione in una sola persona di pícara, la condizione piú disprezzata, e di montañesa, il prestigio della hidalguía immemoriale. E se Justina è, in realtà, una “villageoise”, una “aldeana”, l’attacco dell’autore del Libro de entretenimiento – oltre che contro i parvenus di oscura e dubbia ascendenza – è, forse, diretto, come ha osservato fuggevolmente lo stesso Marcel Bataillon, 419 contro i villanos (intesi qui come paesani, villani, campagnoli, contadini, rustici ; come abitanti della campagna, come vecinos del estado llano – quindi non nobili e non hidalgos – di paesi, borghi, villaggi e villas), che erano considerati e si consideravano, per il loro sangue assolutamente ‘puro’, cristianos viejos per eccellenza (non essendosi gli ebrei, popolazione quasi esclusivamente urbana, mai insediata nelle campagne e mai dedicata ai lavori agricoli). 420 La villana Justina si (auto)rivela, infatti, non di sangue puro, non di immemoriale ascendenza cristianovieja, ma come il vaso di ogni impurità, come il frutto di ogni contaminazione, come l’incarnazione di ogni infamia ancestrale (gli antenati le hanno infatti trasmesso sia l’infamia derivante dal  





415

  Cfr. B. J. Gallardo : Ensayo de una Biblioteca Española de libros raros y curiosos. Tomo cuarto, col. 326.   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « TERCERA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO De la Picara Romera. Capitulo 2. de la vizma de Sancha Gomez. Numero. 2. De la vizna [vizma] pegajosa », p. 147. 417   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO QVARTO DE LA PICARA NOBIA. CAPITVLO PRIMERO, del pretendiente tornero, llamado Maximino », p. 3. 418   M. Bataillon : Los asturianos de La Pícara Justina, p. 134. 419   “Les prétentions des villanos à la limpieza, tantôt prises au sérieux, tantôt moquées, expliquent la gageure facétieuse de López de Ubeda : sa pícara montañesa est villageoise” (M. Bataillon : Les nouveaux chrétiens dans l’essor du roman picaresque, p. 297, nota nro. 24. – Los cristianos nuevos en el auge de la « novela picaresca », p. 191, nota nro. 22). 420   Cfr. in proposito Américo Castro : De la edad conflictiva. Crisis de la cultura española en el siglo XVII. Cuarta edición. Madrid : Taurus 1976 (1.ª ed. 1963), pp. 175-187.  

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sangue ebreo – enormemente accresciuta, questa infamia, dall’essere stato uno degli antenati arso nei roghi dell’Inquisizione –, sia l’infamia connessa all’esercizio di mestieri vilissimi). I villanos – rappresentati qui da Justina – non sarebbero quindi ‘vecchi cristiani’ por los cuatros costados, come si vantavano d’essere, ma discendevano da un sangue infettato da tutte le contaminazioni, da gente bassa e immonda. Esattamente questo sostenevano, come vedremo, alcuni degli avversari degli Estatutos de limpieza e, in particolare, Fray Agustín Salucio nel suo Discurso sobre los estatutos de limpieza de sangre (1599) e l’autore del pamphlet manoscritto intitolato Del origen de los Villanos a que llaman christianos viejos (attribuito allo stesso domenicano, ma anche al cardinale Don Francisco de Bobadilla y Mendoza e a Juan de Mariana) !  

b) Ossessione genealogica dei cortigiani ? La composizione della Corte  

Come è possibile pensare che proprio il “público de cortesanos”, 421 proprio i cortigiani assillati da “preocupaciones nobiliarias” 422 e ossessionati dal timore che le informazioni genealogiche, alle quali si sottoponevano per ricevere le insegne degli Ordini Militari, rivelassero la loro impurezza di sangue, potessero divertirsi con le burle dell’autore della Pícara Justina ? Come potevano divertirsi con queste burle i parvenus e gli arrivisti alla Don Rodrigo Calderón, ai quali stranamente sempre si riferisce Marcel Bataillon quando parla delle “preocupaciones de los cortesanos de aquella época” per le pruebas genealogiche 423 o della “aristocracía acaparadora de honores y de lucrativas mercedes reales” 424 e “de los nobles que sacrifican su honor conyugal para conquistar honores y riquezas”, 425 oppure quando parla dei “lectores cortesanos” 426 per i quali era stata scritta la Pícara Justina, opera di “carácter « cortesano »” 427 ? Come potevano divertirsi i nobili che sacrificavano l’onore coniugale per ottenere onori e ricchezze con le burle sulle loro corna ? E se le domande 428 che fanno gli asturiani – cioè, secondo Marcel Bataillon, “los cortesanos” – per evitare di errare e di essere interrogati loro, costituiscono un “malicioso recuerdo de los cuestionarios prudentemente orientados que servían de base para las encuestas genealógicas”, 429 come potevano mai divertirsi i cortigiani con le maligne allusioni alle loro ossessioni, alle loro paure e ai loro trucchi per orientare a proprio favore le informazioni genealogiche ? In realtà, i cortigiani, quelli ‘veri’, erano ben altra cosa. La Corte non era composta di parvenus, di pretendenti e di arrivisti di dubbiosa prosapia e di ancor piú dubbioso ‘sangue’. 430 Queste persone costituivano l’elemento più insignificante e marginale della  































421

  M. Bataillon : Los asturianos de La Pícara Justina, p. 128.   M. Bataillon : Los asturianos de La Pícara Justina, p. 136. 423   M. Bataillon : Los asturianos de La Pícara Justina, p. 133. 424   M. Bataillon : Los asturianos de La Pícara Justina, p. 138. 425   M. Bataillon : Los asturianos de La Pícara Justina, p, 139. 426   M. Bataillon : Los asturianos de La Pícara Justina, p. 137. 427   M. Bataillon : Los asturianos de La Pícara Justina, p. 136. 428   “Preguntele que porque hablauan siempre en tonillo de pregunta, y dixo que como tienen fama de que yerran mucho, preguntando siempre puedan dezir, que quien pregunta no yerra, sino es que pregunte lo otro, que ya me entiendes, tambien dixo, que hablauan en tono de pregunta, porque como estan lejos de corte, siempre lleuan de acarreo respuestas” (Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « TERCERA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO : De la Picara Romera, Capitulo 4. de la partida de Leon. Numero tercero, de los trajes de Montañeses y Coritos », p. 185). 429   M. Bataillon : Los asturianos de La Pícara Justina, p. 139. 430   Sulla composizione della Corte di Filippo II e di Filippo III, cfr. Santiago Fernández Conti : La nobleza castellana y el servicio palatino. In : La Monarquía de Felipe II : La Casa del Rey. Directores : José Martínez Millán - Santiago Fernández Conti. Volumen I : Estudios. Madrid : Fundación MAPFRE TAVERA 2005, pp. 422



































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Corte, un gruppo situato appena al di sopra dei servitori. Nella cronaca di Corte di Luis Cabrera de Córdoba si usano queste diverse espressioni per indicare i vari gruppi che costituivano la Corte : “señores, caballeros y gentiles-hombres”, “señores y caballeros”, “señores y títulos”, “grandes y señores”, “grandes y caballeros”, “señores, títulos y caballeros”, “grandes, señores títulos y caballeros”, “grandes, títulos y caballeros”, “títulos y caballeros”. 431 Secondo la Relación del battesimo della Infanta Ana Mauricia – la cerimonia ebbe luogo il 4 ottobre 1601 –, i gruppi che formavano la Corte erano i seguenti : grandes, títulos, primogénitos de señores, pajes del Rey, gentiles-hombres, caballeros. 432 Secondo la Relación del giuramento di fedeltà prestato il 13 gennaio 1608 al Principe Filippo nel Convento di San Jerónimo di Madrid, questi erano i gruppi che componevano la Corte : “los grandes” (denominati anche ricos-hombres), “los comendadores mayores” degli Ordini Militari, “los titulos”, “los primogénitos” dei grandes e dei títulos, “los títulos, criados de los Reyes”. 433 Erano “los grandes señores, y Titulados” a costituire, secondo Jerónimo Castillo de Bobadilla, la ferma ossatura della Monarchia e del suo governo (“los huessos y la firmeza del Estado Real, y parte del cuerpo del Rey y de su Consejo”). 434 I Grandi di Spagna, 435 i Duchi degli altri regni e territori della Corona, i Marchesi, i Conti, i Visconti, gli Almirantes di Castiglia e di Aragona, i Condestables, gli Adelantados e i Priori dell’Ordine Cavalleresco di San Juan (Ordine di Malta), costituivano il gruppo dei señores e dei títulos. I Maggiordomi della Casa del Re e i gentiles-hombres, che formavano un gruppo che godeva di particolari prerogative e preminenze, erano i criados del Re.  















545-645. – Santiago Martínez Hernández : Los cortesanos. Grandes y títulos frente al régimen de validos. In : La Monarquía de Felipe III : La Corte (Volumen III). Directores : José Martínez Millán, Maria Antonietta Visceglia. Madrid : Fundación MAPFRE - Instituto de Cultura 2008, pp. 435-581. 431   Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 118, p. 120, p. 129, p. 179, p. 246, p. 250, p. 251, p. 336, p. 408, pp. 434-435, pp. 438-439, p. 448, pp. 440-441, p. 467, p. 481, p. 482, p. 483, p. 484, p. 488, p. 493, p. 499, p. 511, p. 513, p. 516, p. 519, p. 520, p. 521, p. 523, p. 534, p. 536, p. 546, p. 553, p. 554, p. 561. 432   Relación del cristianismo de la Srma. Infanta y de lo demás que se ofrece, hasta 12 de Octubre de 1601. In : Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, pp. 119-122. Cfr. anche la descrizione che della cerimonia fa Jehan Lhermite nelle sue memorie : El Pasatiempos, pp. 584-589. 433   Relacion de la manera que se hizo el juramento del Principe Nuestro Señor por los grandes, títulos y sus primogénitos, caballeros y procuradores de estos reinos, á los 13 de Enero 1608, domingo por la mañana en la iglesia del monasterio de San Gerónimo de esta villa de Madrid. In : Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, pp. 325-329. Si vedano anche le tre Relaciones di questa cerimonia pubblicate da José Simón Díaz (in : Relaciones breves de actos públicos celebrados en Madrid de 1541 a 1650. Madrid : Instituto de Estudios Madrileño 1982, pp. 49-60). Cfr. inoltre : Memorias de Matías de Novoa, Ayuda de Cámara de Felipe IV. Primera Parte. Hasta ahora conocida bajo el título de Historia de Felipe III por Bernabé de Vivanco. Publicadas por vez primera por los señores Marqués de Fuensanta del Valle y D. José Sancho Rayon. Con un prólogo del Excmo. Sr. D. Antonio Cánovas del Castillo, individuo de número de las Reales Academias Española y de la Historia y Presidente del Consejo de Ministros. Tomo I. Madrid : Imprenta de Miguel Ginesta 1875, pp. 374-376. 434   Jerónimo Castillo de Bobadilla : Politica para Corregidores y Señores de Vassallos, en tiempo de paz, y de guerra. Amberes : Juan Bautista Verdussen 1704 [1ª ed. 1597], Tomo I, Lib. II, Cap. XVI, num. 226, p. 488. 435   Scrive, nel 1605, Thomé Pinheiro da Veiga (Fastigimia, p. 24) che sono Grandes “todos os Duques de Hespanha, porque os de Italia e outras Provincias não são Grandes sem particular mercê. Entre os Marquezes são Grandes : O Marquez de Sarria, o Marquez de Villena, o Marquez de Denia, o Marquez de Malagon, o Marquez del Basto, o Marquez de los Veles, o Marquez de Mondejar, o Marquez de Astorga, o Marquez de Pescara, o Marquez de Castel Rodrigo, o Marquez de Flechillas, D. Duarte. [Entre os] Condes : O Conde de Lemos, Marquez de Sarria, o Conde de Benavente, o Conde de Fuentes, o Conde de Miranda, o Conde de Oropesa, o Conde de Alva de Lista.” Sulla origine e le prerogative della Grandeza cfr. Enrique Soria Mesa : La nobleza en la España moderna. Cambio y continuidad. Madrid : Marcial Pons Historia 2007, pp. 55-74.  









































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La già ricordata Relacion, de todos los Consejos, Presidentes Consejeros, que Su Mag.d tiene al presente, en su Real Corte, en la Ciudad de Balladolid, con otra relacion delos officios, mas principales y Caualleros, que le siruen, en su Real Palacio, con las Damas de la Reyna, redatta, forse per la Corte di Rodolfo II, tra l’aprile e il settembre del 1602 – José Antonio Escudero la definisce “una fotografía bastante completa de la Corte en su conjunto” 436 –, elenca nella rubrica « Cavalleros Criados del Rey Nuestro señor, que al presente siruen al Rey en su Real Palacio » le seguenti persone :  







El Duque de Lerma, sumiller de Corps y Cauallerizo Mayor Mayordomo Mayor es El Marques de Velada Los otros mayordomos El Conde de Orgaz – El Marques delas Naues – El Conde de Villalonga Don P.o Portocarrero Don Luis Enriquez – Don Esteuan de Mendoza El Marques de Laguna El Conde de Nieua

Nella rubrica « Gentiles Hombres dela Camara » compaiono le seguenti persone :  





Don Diego de Espinosa, Aposentador Mayor Don Garcia de Figerroa – Don Martin de Alagon Don Diego de Guzman – Don Albaro de Cordoua Don Enrique de Guzman – El Marques de Cea El Conde de Lemos – El Comendador Mayor de Montesa 437 El Marques de Villa Vizar, hermano del Duque de Lerma Gentilhombre de la Camara y primer Cauallerizo despues el Duque El Marques de Loriana – Don Pedro de Castro El Marques de s German – El Duque de Medina Celi El Conde de Gelues – El Conde de Niebla y el dicho Conde de Niebla es Caçador Mayor de su Mag.d Don Juan de Tassis Correo Mayor y tiene llaue dorada.  

I Maggiordomi della Regina erano :  

El Conde de Alba de Liste Mayordomo Mayor El Conde de Alta Mira – El Conde de Casa Rubias El Conde de Arcos – El Conde de Pliego Ruy Mendez de Vasconcelle[o !]s – Don Juan Nino de la Vega 438  



Si tratta, anche laddove manca il titolo, di nobili titolati, oppure di figli o parenti di nobili titolati. Cosí – per esempio – Rui Mendes de Vasconcelos era Conte di Castel Melhor ; Don Luis Enríquez era Conte di Villaflor (Portogallo), membro del Consiglio di Guerra, Maestre de campo di Napoli, genero della Contessa di Uceda ; Don Pedro Portocarrero, figlio di Luis Fernández Portocarrero, II Conte di Palma, era V Conte di Medellín ; 439  



   

436   Cfr. José Antonio Escudero : La Corte de España en Valladolid : Los Consejos de la Monarquía a principios del siglo XVII, pp. 484-485. 437   Si tratta di Don Francisco de Borja y Aragón (cfr. El Pasatiempos de Jehan Lhermite. Memorias de un Gentilhombre Flamenco en la corte de Felipe II y Felipe III, p. 564), II Conte di Mayalde e V Principe di Esquilache, discendente dei Re d’Aragona. 438   Relacion, de todos los Consejos, Presidentes Consejeros, que Su Mag.d tiene al presente, en su Real Corte, en la Ciudad de Balladolid, fo. 354r-v. 439   La Monarquía de Felipe II : La Casa del Rey. Directores : José Martínez Millán - Santiago Fernández Conti. Volumen II : Oficiales, Ordenanzas y Etiquetas, pp. 370-371, p. 681.  









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Don Esteban de Mendoza era figlio del Conte di Orgaz ; Don Martín de Alagón, figlio del Conte di Sástago, sarà Marchese di Calanda ; Don Pedro de Castro (y Bobadilla) era figlio del V Conte di Lemos e di D. Teresa de Bobadilla, sorella del Conte di Chinchón, e fratellastro di Fernando Ruiz de Castro, VI Conte di Lemos, e zio di Don Pedro Fernández de Castro, VII Conte di Lemos, genero del Duca di Lerma ; 440 Don García de Figerroa (Figuerroa), cioè Don García de Toledo y Figueroa, Cavaliere dell’Ordine di Santiago e Commendatore di Villafranca, era parente del Marchese di Velada ; 441 Don Enrique de Guzmán (Don Enrique Dávila y Guzmán), I Marchese di Povar e “clavero de la Orden de Alcántara”, era figlio del II Marchese de las Navas e cugino del Marchese di Velada ; 442 Don Álvaro Fernández de Córdoba y Aragón (fratello di D. Francisca de Aragón, figlia di D. Álvaro de Córdoba, caballerizo mayor di Filippo II, e moglie di Juan de Acuña, Conte di Buendía), Commendatore Maggiore dell’Ordine di Santiago, nel 1594, aveva sposato Ippolita, la figlia del Barone Adam von Dietrichstein, maggiordomo dell’Imperatrice e cavaliere di Calatrava, 443 alla quale Filippo II diede graziosamente diecimila ducati di dote. 444 Fra i maggiordomi e i gentiluomini del Re e i maggiordomi della Regina vi è un unico parvenu : il Conte di Villalonga (Pedro Franqueza). Anche negli anni seguenti tutti i maggiordomi e tutti i gentiles-hombres de la Cámara de el Rey e i gentiles-hombres de la boca de el Rey erano Duchi, Marchesi e Conti – come il Duca d’Alba, il Duca dell’Infantado, il Duca di Taurisano, il Duca di Medinaceli, il Marchese di Calanda, il Marchese di San Germán, il Marchese di Povar, il Marchese di Loriana, il Marchese della Provera, il Marchese di Villamizar, il Conte di Lemos (e Marchese di Sarría), il Conte di Lerma, il Conte di Saldaña, il Conte di Mayalde (e Principe di Esquilache), il Conte di Paredes, il Conte di Gelves, il Conte di Aguilar, il Conte di Palma, ecc. ecc. –, o figli cadetti di Duchi, Marchesi e Conti ; oppure appartenevano a rami collaterali delle casate ducali, marchionali e comitali ed erano cavalieri privi di propri titoli nobiliari – questa differenza all’interno del gruppo dei gentiles-hombres appare evidenziata chiaramente nella espressione “títulos y caballeros de la Cámara”, 445 usata occasionalmente da Luis Cabrera de Córdoba. L’ultimo, anche gerarchicamente, gruppo era composto dai caballeros.  



   

   

   











440   Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 10, p. 14, p. 139, p. 181, p. 223, p. 286. – Santiago Martínez Hernández : El Marqués de Velada y la Corte en los reinados de Felipe II y Felipe III, p. 436, pp. 440-444, p. 459 n. – La Monarquía de Felipe II : La Casa del Rey. Directores : José Martínez Millán - Santiago Fernández Conti. Volumen II : Oficiales, Ordenanzas y Etiquetas, p. 101. – Isabel Enciso Alonso-Muñumer : Nobleza, Poder y Mecenazgo en tiempos de Felipe III. Nápoles y el Conde de Lemos, pp. 44-60. 441   La Monarquía de Felipe II : La Casa del Rey. Directores : José Martínez Millán - Santiago Fernández Conti. Volumen II : Oficiales, Ordenanzas y Etiquetas, p. 457. 442   El Pasatiempos de Jehan Lhermite. Memorias de un Gentilhombre Flamenco en la corte de Felipe II y Felipe III, p. 600. – Santiago Martínez Hernández : El Marqués de Velada y la Corte en los reinados de Felipe II y Felipe III, p. 441, p. 538 n. – La Monarquía de Felipe II : La Casa del Rey. Directores : José Martínez Millán - Santiago Fernández Conti. Volumen II : Oficiales, Ordenanzas y Etiquetas, p. 131. 443   Cfr. Francisco Fernández Izquierdo : La Orden Militar de Calatrava en el siglo XVI. Infrastructura institucional. Sociología y prosopografía de sus caballeros, p. 413. 444   El Pasatiempos de Jehan Lhermite. Memorias de un Gentilhombre Flamenco en la corte de Felipe II y Felipe III, p. 249, p. 430, p. 563, p. 602. – Luis Cabrera de Córdoba : Historia de Felipe II, Rey de España. Edición José Martínez Millán – Carlos Javier de Carlos Morales. Junta de Castilla y León 1998, 3 tomi ; qui II, p. 13, p. 64, p. 1415, p. 1435, p. 1506. – Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 66, p. 143. – Diario de Hans Khevenhüller, embajador imperial en la Corte de Felipe II, p. 429. – Santiago Martínez Hernández : El Marqués de Velada y la Corte en los reinados de Felipe II y Felipe III, pp. 441-443. 445   Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 155.  





































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Essendo i gentiles-hombres, o criados del Rey, in gran parte, Grandi, Duchi, Marchesi, Conti, ed essendo sia i Grandes sia i nobili titolati señores, i gruppi, sostanzialmente, si riducevano a due : “señores y caballeros”. 446 Ed è proprio questa espressione la più frequentemente impiegata da Luis Cabrera de Córdoba, che a volte usa anche la semplice espressione caballeros pur riferendosi a membri dell’alta nobiltà (in certi documenti si trova anche l’espressione “Caualleros de Titulo” 447), o, collettivamente, ai cortigiani di ogni ordine e grado. 448 Cosa sono però i caballeros ? Nel famoso Gran Memorial – nel quale il Conte-Duca Olivares illustra, tra le altre cose, a Filippo IV la società castigliana – il favorito del giovane Re afferma che la “nobleza se compone de los infantes, grandes, señores [titulados], caballeros y hidalgos”. Poi, dopo aver parlato delle prime tre classi della nobiltà, il ConteDuca Olivares, venendo a trattare dei caballeros, scrive :  











La cuarta clase de la nobleza son los caballeros particulares, en que no cuento los hermanos de grandes ni los hijos mayores de los señores, segundos ni terceros, porque aunque es cierto que no se pueden nombrar con otro nombre, por la dependencia tan cercana de las casas de sus hermanos defieren en algunas circunstancias de los otros aunque no en todo. Divido […] los caballeros en dos clases. La una la de los caballeros señores de casas y estados, de que ha quedado muy poco después que se alargó la mano en hacer títulos. 449 La otra clase es caballero sin casa, dependientes destos pero no cercanos en parentesco a los grandes y señores. Los primeros han sido muy estimados en Castilla y muy lucidos en ella, conservando emulación y competencia en todo con los señores de título, y algunos hubo tan estimados que la tuvieron con los grandes. Esto ha descaecido mucho por la razón dicha […]. La segunda clase […] es de la que se compone la mayor parte del reino y la que V. Majd. debe servirse de esforzar mucho y traella muy favorecida y alentada, procurando encaminar la mayor parte della a la guerra donde es utilísima ; y en esta profesión conviene al servicio de V. Majd. traellos muy validos, así en la mar como en la tierra, y que crean y esperen que su proceder los ha de adelantar a conseguir con su valor y servicios los primeros puestos honrosos militares, sin que se los arrebaten los grandes señores si no hubieren caminado por sus sendas. 450  





446   Juan Cristóbal Calvete de Estrella (El felicísimo viaje del muy alto y muy poderoso Príncipe Don Felipe. I. Madrid : Sociedad de Bibliófilos Españoles 1930, pp. 13-14, p. 25) usa le espressioni : “Señores y caballeros”, “Grandes, Señores y caballeros”, “Grandes y caballeros”. Girolamo da Sommaia parla di “Signori et Caualieri” ed usa il termine “Signori di Spagna” come sinonimo di “Titolati di Spagna” (Diario de un estudiante de Salamanca. La crónica inédita de Girolamo da Sommaia, 1603-1607, p. 187, p. 192). 447   PRAGMATICA | DE TRATAMIENTOS, | y cortesias, y se acrecientan las penas | contra los transgresores de | lo en ella con- | tenido. | [Stemma reale] | EN MADRID | Por Iuan de la Cuesta. Año de 1611. | [Linea tipografica] | Vendese en casa de Francisco de Robles, librero del Rey | nuestro Señor. (Wien, Österreichische Nationalbibliothek : 390.472-C Alt.), fo. 4r. 448   Si legga, per esempio, il seguente passo : “Han hecho general de las galeras de Nápoles al marqués de Santa Cruz [Don Álvaro de Bazán, II Marqués de Santa Cruz], y al Adelantado [Don Juan de Padilla Acuña, Conde de Santa Gadea y de Buendía y Adelantado Mayor de Castilla] de las de Sicilia : que así estas como las de España que se proveyeron en el conde de Niebla [Manuel Alonso Pérez de Guzmán], las tienen caballeros bien mozos”. Oppure il seguente : “La mañana de San Juan salió S. M. en una encamisada con sesenta caballeros, y el duque de Lerma á su lado, que corrieron delante la casa del Duque donde estaba la Reina, y despues anduvieron por muchas calles de la ciudad, hasta volver á correr donde estaba la Reina” (Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 176, p. 104). 449   Nel 1603 Agustín de Rojas Villandrando scriveva che nel Regno di Toledo vi erano diversi “señores particulares que tienen mucha renta y no son títulos, aunque pudieran serlo”. Cfr. Agustín de Rojas Villandrando : El viaje entretenido. Edición, introducción y notas de Jean Pierre Ressot. Madrid : Clásicos Castalia 1972, p. 283. 450   Memoriales y cartas del Conde Duque de Olivares. Tomo I. Política interior : 1621 a 1627. John H. Elliott, José F. de la Peña. Madrid : Alfaguara 1978, p. 52 e pp. 57-58.  





















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La cavalleria era dunque composta, secondo il Conte-Duca Olivares, di “caballeros particulares”, di cavalieri senza titolo di nobiltà, ed era suddivisa nella classe dei “caballeros señores de casas y estados”, ormai molto poco numerosi, e dei cavalieri “sin casa”. Pur non includendoli nella classe dei “caballeros particulares”, il valido afferma che anche i fratelli cadetti dei Grandi e i figli dei nobili titolati non possono essere chiamati con altro nome che quello di cavalieri. Secondo Bernabé Moreno de Vargas la “Cauallería … de los nobles de España ha sido y es de tres maneras”, le seguenti :  

La primera, y mas principal, es la que llaman de Espuela dorada : la qual dieron, y conceden los Reyes a hombres que fuessen hijosdalgo : los quales por la calidad de su linages, y por sus hechos valerosos, y particulares seruicios, la merecieron. Y la forma, y orden que tenían en dar esta Cauallería […] era, que hauiendo el hijodalgo velado las armas toda vna noche en la Iglesia ò otra parte que le era señalada, le ceñía el Rey, ò otro Cauallero con su especial poder la espada, mandandole calçar las Espuelas doradas […]. […] La segunda manera, y diferencia de Cauallería, es aquella que en Castilla se daua por solo aluala, carta, ò priuilegio Real, sin actual ceremonia, ni solemnidad alguna, y esto indistintamente, ansi a hombres nobles y hijosdalgo, como a hombres llanos y pecheros. 451 […] La tercera Cauallería, es de aquellos que dizen Caualleros Pardos […], la qual no se ha dado, ni da, sino a hombres llanos, pecheros : y por ella se les concede priuilegio, para que teniendo armas y cauallos, sean escusados de pechar […]. Otra Cauallería ay en España, que llaman de Caualleros Quantiosos, la qual no contiene en si exempcion, ni calidad alguna, antes es pecho, y carga personal : porque por algunas leyes del Reino, està establecido y mandado, que los vezinos que fueron moradores de las fronteras de la Andaluzía, que tuuieren tanta cantidad de hazienda, sean obligados à tener armas y cauallos, y salir à los alardes, para la defensa, y guarda del Reino […]. 452  











Sia i Caballeros de Espuela dorada – “la hidalguia mas perfeta”, la definisce Juan García de Saavedra 453 –, sia i Caballeros pardos 454 e i Caballeros qüantiosos 455 costituivano ormai più un ricordo storico, che una realtà sociale, come lo stesso Bernabé Moreno de Vargas ben sapeva. Vi erano, infine, i Caballeros de hábito, che Bernabé Moreno de Vargas menziona, ma non come classe o gruppo particolare della cavalleria o della nobiltà. Le insegne di cavaliere degli Ordini di Santiago, Calatrava, Alcántara, Montesa (Aragona) e Cristo (Portogallo), erano infatti, secondo l’autore dei Discursos de la Nobleza de España, una distinzione concessa unicamente a “Hijosdalgo, Titulados, Grandes, y Infantes  





451   Su questa “segunda caualleria” cfr. anche Juan García de Saavedra : Tractatvs de Hispanorum Nobilitate, et Exemptione, Sive ad Pragmaticam Cordvbensem, fo. 27r-v. 452   Bernabé Moreno de Vargas : Discursos de la nobleza de España. Madrid 1636, fo. 46r-v, 48r-v. Sul processo di differenziazione all’interno della nobiltà e sui tre tipi di caballería cfr. Rafael Sánchez Saus : Caballería y linaje en la Sevilla Medieval. Estudio genealógico y social. Sevilla : Diputación Provincial de Sevilla – Cádiz : Universidad de Cádiz 1989, pp. 31-53. 453   Juan García de Saavedra : Tractatvs de Hispanorum Nobilitate, et Exemptione, Sive ad Pragmaticam Cordvbensem, fo. 26v. 454   “El tercero genero de caualleria, es de los caualleros pardos a fuer de Leon, el priuilegio destos caualleros pardos al fuero de Leon [...] concede a qualquiera que mantuuiere cauallo, y armas para yr en hueste, exempcion de pecho, y en cierta forma, de huespedes, de gente de guerra, esta caualleria prueua pecheria por presuncion de derecho, la razon es, que pues libra de los cargos a que los hijosdalgo no son obligados, bien se colige, que el que la recibe, no lo es” ( Juan García de Saavedra : Tractatvs de Hispanorum Nobilitate, et Exemptione, Sive ad Pragmaticam Cordvbensem, fo. 27v). 455   Sui Caballeros villanos, pardos, qüantiosos o de premia, cfr. Luis de Valdeavellano : Curso de historia de las Instituciones españolas. De los orígenes al final de la Edad Media, pp. 326-329, p. 616.  















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del Reino”, 456 cioè a persone che già appartenevano a determinate classi della nobiltà. (L’hábito accresceva il prestigio di chi lo riceveva, ma non ne mutava lo status sociale). Bernabé Moreno de Vargas aveva naturalmente chiara consapevolezza del fatto che, in realtà, le insegne degli Ordini Militari venivano, già da molti decenni, concesse anche a chi poteva comprarle, o a membri delle oligarchie municipali e a ufficiali inferiori della Corte (Luis Cabrera de Córdoba ricorda, per esempio, i molti casi in cui a ricevere gli hábitos furono segretari ed altri criados 457), che il Re voleva ricompensare per qualche merito o servizio. Cosí come non ignorava che il titolo di cavaliere era frequentemente usurpato :  





[…] ningun hijodalgo, por calificado y rico que sea, se puede verdadera y propiamente llamar Cauallero, sino fuere estando armado por tal, ò teniendo Orden Militar […]. Mas yà abusivamente, como dize Pedro Mexia, llamamos Caualleros à los hijosdalgo notorios de casa antigua, y apellido conocido, que tienen su estado mas eminente y rico que los otros hijosdalgo. 458  

Ma il titolo di cavaliere, nota Bernabé Moreno de Vargas – e lo noterà anche Fr. Benito de Peñalosa y Mondragon 459 –, se veniva usurpato da chi non aveva il diritto di fregiarsene, era anche ostentato da chi apparteneva alle più alte classi della nobiltà. Infatti, grazie al prestigio della “Cauallería de espuela dorada”,  

ha venido a cobrar tal valor este nombre de Cauallero, que los mismos Principes y Grandes señores, aunque no sean armados desta Cauallería [de espuela dorada], se llaman y precian deste nombre de Caualleros, que parece lo estiman en mas que los otros titulos, y dignidades que tienen. 460  

Se i “caballeros sin casa”, o per privilegio regio, costituivano – come membri delle oligarchie urbane – il gruppo più numeroso della cavalleria, a Corte la cavalleria non era 456

  Bernabé Moreno de Vargas : Discursos de la nobleza de España. Madrid 1636, fo. 47v.   Cfr. – per esempio – Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 511 : “Al secretario Juan de Cirizar, ha hecho S. M. merced de un hábito de Santiago, y al secretario Tomás de Angulo, y á [Hernando de] Espejo guarda-joyas y guarda-ropa y á otros cuatro criados del Duque [de Lerma], ha dado hábitos S. M.” 458   Bernabé Moreno de Vargas : Discursos de la nobleza de España. Madrid 1636, fo. 47v-48r. Bernabé Moreno de Vargas si riferisce a queste pagine del terzo capitolo della quarta parte della Silva : “Y llamarse los nobles y principales hijosdalgo en España cavalleros, tengo cierto que uvo origen y ha sido a ymitación del estado de los équites en Roma, que era un estado de nobles entre el pueblo y los que eran patricios […]. Assí, acá llamamos cavalleros a los nobles y principales hijosdalgo que tienen un estado y lugar eminente sobre todo lo que es común y cibdadano, pero no tan alto que yguale con el de los príncipes y grandes. Y aun ha venido en tanta estima y valor este nombre, que los mismos príncipes y grandes se llaman y precian nombrar cavalleros, puesto que, de rigor del vocablo, cavallero paresce se devía de llamar el que es armado cavallero por el rey o por quien tuviere su poder para ello” (Pedro Mexía : Silva de varia lección. II. Edición de Antonio Castro. Madrid : Cátedra 1990, pp. 331-332). 459   LIBRO DE LAS CINCO | EXCELENcias | DEL ESPAÑOL QVE | DESPVEBLAN A ESPAÑA | PARA SV MAYOR POTENCIA | Y DILATACION.| PONDERANSE PARA QVE MEIOR SE | aduiertan las causas del despueblo de España : y para | que los lugares despoblados della, se | habiten, y sean populosos. | Por el M. Fr. Benito de Peñalosa y Mondragon, Monge Benito, | Professo de la Real Casa de Nagera. | Dedicado al Rey nuestro Señor Filipo IIII. | Año [Stemma Reale] 1629 | CON LICENCIA. | Impresso en pamplona, por Carlos de Labàyen, Impressor | del Reyno de Nauarra (Wien, Österreichische Nationalbibliothek : 60. J. 25.), fo. 90r : “Oy ningun Hijodalgo por calificado y rico que sea, se puede verdadera, y propiamente llamar Cauallero, sino fuere estando armado por tal, o teniendo orden militar. Mas ya abusiuamente (como dizo Pedro Mexia) llamamos Caualleros, a los Hijosdalgo notorios de casa antigua y apellido conocido, que tienen sus Estados mas eminentes y ricos que los otros Hijosdalgo” (il passo è stato trascritto – come si può constatare – pari pari dai Discursos de la nobleza de España). 460   Bernabé Moreno de Vargas : Discursos de la nobleza de España. Madrid 1636, fo. 47r-v. Bernabé Moreno de Vargas ripete qui – in parte – le righe sopra citate della Silva di Pedro Mexía !  

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rappresentata da loro, ma quasi esclusivamente da quei cadetti o da quei membri dei rami collaterali delle famiglie dell’alta nobiltà che erano privi di titoli nobiliari propri. Quando Luis Cabrera de Córdoba parlando dei cortigiani li differenzia in “señores y caballeros”, comprende nella categoria dei signori tutti i nobili titolati e in quella dei cavalieri tutti i nobili che appartenevano alla casate nobiliari, ma che come cadetti o come membri dei rami collaterali non possedevano un titolo nobiliare, e forse anche qualcuno dei “caballeros señores de casas y estados” non ancora assorbiti nella nobiltà titolata, ricordati dal Conte-Duca Olivares. Sicuramente non comprende, invece, nel secondo dei due gruppi che costituivano la Corte, i cavalieri di “albalá, carta, o privilegio Real”, o “sin casa”, la classe dei “caballeros particulares” che, nei progetti di riforma del ConteDuca, avrebbe dovuto fornire una nuova élite militare. Infatti, le rare volte in cui parla dei cavalieri che facevano parte del patriziato urbano, Luis Cabrera de Córdoba usa espressioni esplicite : “hubo una máscara y torneo de caballeros de la ciudad [de León], de poca costa, porque estan muy pobres y necesitados” ; “caballeros de Madrid” ; “los […] caballeros particulares […] que han entervenido en la Córtes [de Valencia]” ; “los […] caballeros que aquí [en Valladolid] hay muy galanes y bien aderezados” ; “caballero […] bien conocido en esta ciudad y regidor de ella”. 461  











Erano i grandi signori a dominare la scena, a dar lustro alla Corte, come documentano le Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614 di Luis Cabrera de Córdoba, Les Passetemps di Jehan Lhermite, la Fastigimia di Thomé Pinheiro da Veiga, la Relación de lo sucedido en la Ciudad de Valladolid, desde el punto del felicísimo nacimiento del príncipe don Felipe Dominico Victor (1605) e le relazioni di feste e cerimonie raccolte e pubblicate da José Simón Díaz. 462 Gli ‘attori’ di tutte le grandi cerimonie e di tutte le feste di Corte, al cui centro si trovavano, naturalmente, il Re e la Regina, erano – accanto ai Principi di Stati stranieri eventualmente presenti alla Corte (come i Principi di Savoia, nipoti di Filippo III, che vissero per un lungo periodo alla Corte di Valladolid 463), al Nunzio Apostolico, all’ambasciatore cesareo e agli altri ambasciatori, ai Cardinali (il Cardinale-Arcivescovo di Toledo, Primate di Spagna ; il Cardinale di Siviglia), agli Arcivescovi, ai Vescovi, all’Inquisitore Generale, al Patriarca delle Indie, al Generale dell’Ordine dei Domenicani e ai Generali di altri Ordini, ai Presidenti dei vari Consigli – i membri delle famiglie della Grandeza e dell’alta aristocrazia : i Duchi di Lerma, di Cea (poi : Uceda), d’Alba, di Frías, di Medina de Rioseco, di Medina Sidonia, di Medinaceli, dell’Infantado, di Alburquerque, di Béjar, di Sessa, di Pastrana, di Alcalá de los Gazules, di Arcos, di Escalona, di Maqueda e Nájera, di Osuna, di Montalto, di Gandía, di Taurisano, ecc. ; i Marchesi di Velada, di Aguilar, di Mondéjar, di Montesclaros, di Cuellar, di Montemayor, di Priego, di Povar, di Sarriá, di Astorga, di Poza, di Loriana, di Alcañices, di Aytona, di Moya, del Carpio, di San Germán, di Mirabel, di Barcarrota, della Laguna,  











461   Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 130, p. 200, p. 208, p. 249, p. 257. 462   Relaciones breves de actos públicos celebrados en Madrid de 1541 a 1650. Edición de José Simón Díaz. Madrid : Instituto de Estudios Madrileño 1982. 463   I figli di Carlo Emanuele di Savoia e di Doña Catalina, sorella di Filippo III, giunsero alla fine di agosto del 1603 a Valladolid, accompagnati dal loro precettore Giovanni Botero. Erano : Filippo Emanuele (1586-1605) – morirà a Valladolid il 9 febbraio 1605 di vaiolo –, Vittorio Amedeo (1587-1637) e Emanuele Filiberto (1588-1624). Vittorio Amedeo, divenuto alla morte del fratello, erede di Carlo Emanuele e Emanuele Filiberto, Gran Priore dell’Ordine di San Juan nei Regni di Castiglia e León e futuro Viceré di Sicilia, lasciarono Madrid il 14 luglio 1606 per tornare a Torino. Cfr. Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 185, p. 187, p. 222, pp. 234-235, p. 382, p. 490, p. 495. – Don Gerónimo Gascón de Torquemada : Gaçeta y nuevas de la Corte de España desde el año 1600 en adelante, pp. 23-25, p. 27.  









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di Malpica, di los Vélez, di Fromesta, di Fuentes, del Valle, di Camarasa, di Santa Cruz, di Almazán, di Távara, di Viana, di Bañeza, ecc. ; i Conti di Alba de Liste, di Benavente, di Olivares, di Mayalde, di Monterrey, di Gelves, di Cabra, di Montijo, di Lumiares, di Miranda, di Salazar, di Lemos, di Saldaña, di Fuensalida, di Salinas, di Villamediana, di Villaverde, di Villamor, di La Coruña, di Paredes, di Medellin, di Niebla, di Haro, di Casarrubios, di Altamira, di Almanza, di Oropesa, di Puñonrostro, di Chinchón, di Orgaz, di Oñate, ecc. Orbene, questi grandi señores non temevano certamente le informazioni genealogiche (non le temevano neppure quelle famiglie della Grandeza e dell’alta aristocrazia che erano notoriamente ‘macchiate’ 464) e per ottenere onori e ricchezze non dovevano davvero prostituire le loro mogli. E a chi, del resto, avrebbero dovuto prostituirle ? Il Re, di salute cagionevole, era innamoratissimo della moglie, alla quale era fedele 465 e alla quale rimase sempre fedele anche dopo la sua morte prematura 466 (un vero “santarello” – cosí lo definiva il Nunzio Apostolico, Antonio Caetani, arcivescovo di Capua, in una lettera del 24 aprile 1613 al Cardinale Borghese 467 –, che amava assistere a messe e visitare Conventi ; la sua più grande passione era andare a caccia per i boschi ; 468 forte era anche la sua passione per il gioco delle carte e della pelota, la danza e l’equitazione). Il Duca di Lerma, anziano, sofferente di gotta e afflitto da ricorrenti crisi di “melancolía”, 469 era intento esclusivamente ad accumulare ricchezze, a realizzare un ambizioso e sfarzoso complesso architettonico a Lerma e a edificare a La Ventosilla, a Valladolid e a Madrid ville e palazzi suntuosi ornati di splendidi giardini (tutti progetti nei quali quotidianamente investiva enormi somme di denaro), 470 ad accaparrare dignità e a rafforzare il potere e l’influenza della sua famiglia, dei suoi favoriti, delle sue hechuras e dei suoi ‘clienti’. Naturalmente poteva esserci qualcuno della sua famiglia, o del suo entourage, che non era insensibile al fascino femminile – come dimostra l’episodio scandaloso, sul quale torneremo, che ebbe come protagonisti Don Cristóbal Gómez de Sandoval y Rojas, primogenito del Duca di Lerma, Don Juan de Tassis, la Marchesa Del Valle, il Marchese del Valle, il Marchese di San Germán ed altri nobili – e che avrebbe potuto fare da tramite per procurare a qualche marito compiacente la protezione del valido. Sicuramente nella ‘Corte’, città di residenza del Re, la corruzione era – come vedremo – vasta e numerosi erano i mariti che prostituivano le mogli, o che accettavano che  













   





464   Cfr. su questo punto Antonio Domínguez Ortiz : La sociedad española en el siglo XVII. I, p. 198. Lo stesso Marcel Bataillon (Pícaros y picaresca, p. 152) riconosce che l’alta nobiltà era “menos obsesionada por su « honra » porque era reconocida por todos”. 465   Cfr. Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, p. 39. 466   Cfr. C. Pérez Bustamante : La España de Felipe III, p. 34. 467   Cfr. C. Pérez Bustamante : La España de Felipe III, p. 145. 468   Sulla passione di Filippo III per la caccia, ben documentata nelle Relaciones di Luis Cabrera de.Córdoba, cfr. Margaret Rich Greer : La caza del poder y la cultura nobiliaria en tiempos de El Quijote. In : Dramaturgia festiva y cultura nobiliaria en el Siglo de Oro. Coordinado por Bernardo J. García García - María Luisa Lobato. Madrid : Iberoamericana - Vervuert 2007, pp. 115-130 ; qui pp. 122-126. 469   Cfr. Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, pp. 210-212, p. 216, p. 299, p. 446, p. 475. – Simón Contarini : Estado de la Monarquía Española a principios del siglo XVII (Manuscrito del siglo XVII), pp. 52-54. – Diario de Hans Khevenhüller, embajador imperial en la Corte de Felipe II, p. 618. – C. Pérez Bustamante : La España de Felipe III, p. 73. 470   Sui programmi edilizi del Duca di Lerma cfr. Luis Cervera Vera : El conjunto palacial de la villa de Lerma. Lerma : Ediciones Aldecoa 1996, 2 voll. – Javier Pérez Gil : El Palacio de la Ribera. Recreo y boato en el Valladolid cortesano. Valladolid : Ayuntamiento de Valladolid 2002. – Javier Pérez Gil : El Palacio Real de Valladolid, sede de la Corte de Felipe III (1601-1606). Valladolid : Universidad de Valladolid - Cuarta Subinspección General del Ejército 2006 (= Arquitectura y Urbanismo, 60), pp. 159-224. – Patrick Williams : El favorito del Rey : Francisco Gómez de Sandoval y Rojas, V Marqués de Denia y I Duque de Lerma, pp. 203-205, pp. 239-241.  









































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esse si prostituissero. (Sia che ‘Corte’ fosse Valladolid sia che lo fosse Madrid, essa era – come scriveva Quevedo – un “centro de sufridos”. 471 Si era pur sempre nel “siglo del cuerno” ! 472) Ed anche a Corte, nell’entourage dei Sovrani, non mancavano certamente nobildonne frivole e mariti compiacenti. Ma sarebbe assurdo generalizzare ed ancor più assurdo è pensare che l’autore della Pícara Justina potesse osare schernire i membri dell’alta aristocrazia, rappresentandoli come mariti cornuti e consenzienti, e che questi si divertissero ad essere dileggiati sanguinosamente. Don Rodrigo Calderón, allora non ancora nobile (non solo era privo di titolo nobiliare, ma neppure era caballero o hidalgo), era – come annotano Jehan Lhermite nelle sue Memorias relative all’anno 1600, 473 Simeone Contarini nella sua Relación, scritta (a quanto pare, in lingua spagnola 474) alla fine della sua missione diplomatica, che durò dal 24 dicembre 1601 al 26 aprile 1604, 475 e Thomé Pinheiro de Veiga nella sua Fastigimia, diario o cronaca di avvenimenti, il 22 giugno 1605 476 – semplicemente “ayuda de Cámara” (più precisamente “ayuda-gentilhombres de la cámara del rey” 477) ed era, nel 1604, ancora ben lungi dall’essere, come ritiene erroneamente Marcel Bataillon, “uno de los personajes más poderosos de la corte después del duque de Lerma” e “omnipotente”. 478 Gli ayudas-gentilhombres de la Cámara, i segretari e gli “oficiales del servicio de la casa” sono semplici ‘comparse’ sulla scena del Gran Teatro che è la Corte e vengono, normalmente, menzionati collettivamente, come gruppo. Con il loro nome di famiglia vengono menzionati solo in occasione di una promozione, di una nomina, di un trasferimento ad un’altra funzione oppure dell’affidamento di un particolare incarico. Don Rodrigo Calderón, che sarà colui che come favorito dell’onnipotente favorito “redujo la monarquía a su voluntad”, 479 non è mai menzionato nella Relación de lo sucedido en la Ciudad de Valladolid, desde el punto del felicísimo nacimiento del príncipe don Felipe Dominico Victor (1605), nella quale sono elencati centinaia di cortigiani che parteciparono alle varie fe 

   















471   Francisco de Quevedo : Capitulaciones matrimoniales. - Vida de Corte y oficios entretenidos en ellos. In : F. de Q. : Obras completas. Edición de Felicidad Buendía. Obras en prosa, pp. 53-65 ; qui p. 58. 472   Francisco de Quevedo : Carta de un cornudo a otro, intitulada El siglo del cuerno. In : F. de Q. : Obras completas. Edición de Felicidad Buendía. Obras en prosa, pp. 101-102. 473   El Pasatiempos de Jehan Lhermite. Memorias de un Gentilhombre Flamenco en la corte de Felipe II y Felipe III, p. 564. 474   Sono in lingua spagnola tutte le numerose copie manoscritte pervenuteci della Relación conservate nella Biblioteca Nazionale di Madrid, nella Biblioteca Nazionale di Parigi, nella Biblioteca Marciana di Venezia e nel Museo Correr di Venezia (sul manoscritto conservato in questo Museo ha effettuato la sua traduzione italiana il Conte Dometo). Cfr. Joaquín Gil Sanjuán : « Estudio preliminar » a : Simón Contarini : Estado de la Monarquía Española a principios del siglo XVII (Manuscrito del siglo XVII), pp. 9-36 ; qui pp. 19-20. 475   Cfr. Simón Contarini : Estado de la Monarquía Española a principios del siglo XVII (Manuscrito del siglo XVII), p. 70. 476   Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, p. 173. 477   El Pasatiempos de Jehan Lhermite. Memorias de un Gentilhombre Flamenco en la corte de Felipe II y Felipe III, p. 564. 478   M. Bataillon : Pícaros y picaresca, p. 48 (cfr. anche p. 50 : “este hombre [Don Rodrigo] tan poderoso” ; p. 87 : “aquel hombre [Don Rodrigo] tan poderoso” ; p. 128 : “Francisco López de Úbeda, médico al servicio de poderosos señores como D. Rodrigo Calderón”), p. 116 (“La Pícara Justina, dedicada al omnipotente don Rodrigo Calderón…”) e p. 153 (“López de Úbeda dedicó su libro a Don Rodrigo Calderón, omnipotente « brazo derecho » del Duque de Lerma…”). Pur non essendo “onnipotente”, Don Rodrigo Calderón poteva naturalmente, grazie ai suoi stretti rapporti con il Duca di Lerma, influire su molte pratiche. Nella sua Fastigimia Thomé Pinheiro da Veiga annota, il 22 giugno 1605, parlando di D. Rodrigo Caldeyrão, che “se alcançam muytas couzas por su valia” (p. 173). 479   Quevedo : Grandes anales de quince días. In : F. de Q. : Obras completas en prosa. Volumen tercero. Dirección de Alfonso Rey, p. 90. – Quevedo : Grandes anales de quince días. In : Obras completas. Estudio preliminar, edición y notas de Felicidad Buendía. Obras en prosas, p. 836.  























































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ste, cerimonie e tornei organizzati per la nascita dell’erede al trono ; 480 la Gaçeta di Don Gerónimo Gascón de Torquemada mai lo nomina negli anni 1600-1605 (incomincerà a menzionarlo solo a partire dal gennaio 1612). Nelle Relaciones di Luis Cabrera de Córdoba, il minuzioso cronista della vita di Corte, Don Rodrigo Calderón è ricordato, nel periodo compreso fra il gennaio del 1599 e il novembre del 1605, solo poche volte : una prima volta, in occasione della nomina di suo padre a capitano della guardia spagnola, come “muy privado del duque de Lerma” ; una seconda volta per essere stato – avendo per padrini “el duque de Medinaceli y el marqués de Cea y otros caballeros” – “mantenedor” di un torneo (in questo ruolo di mantenitore – svolto normalmente da membri dell’alta aristocrazia, come Don Cristobál Gómez de Sandoval y Rojas, Marchese di Cea, Don Juan de Mendoza, Marchese di San Germán, e Don Gómez Suárez de Figueroa, III Duca di Feria, 481 o da Principi, come il Principe di Piemonte Filippo Emanuele, nipote di Filippo III 482 – Don Rodrigo, sviluppando una chiara strategia di ascesa sociale grazie all’aiuto del Duca di Lerma, che sostenne le spese del torneo, 483 e del futuro Duca di Cea - poi di Uceda -, 484 che era stato già padrino delle sue nozze, figura come la persona più importante del torneo e si presenta, senza esserlo, come un caballero, tra gli altri, della Corte) ; una terza volta per essere stato inviato dal Duca di Lerma a Denia a visitare la Contessa di Lemos ; una quarta volta per essere stato accusato – come già sappiamo – da Íñigo Ibañez de Santa Cruz di corruzione ; una quinta volta per la sua intenzione di costruirsi a Valladolid, “en cierta calle que allí llaman de la Sangre”, una casa per esaudire un desiderio del Duca di Lerma ; una sesta volta nel contesto di un tentativo di truffa commesso da un “oficial de la secretaria de Hacienda” ; un’ultima volta, infine, per essere stato oggetto di un tentativo di attentato. 485 Filippo III concede, di preferenza, ai membri delle famiglie dell’alta nobiltà e dei rami    

























480   Così, per esempio, alla sfarzosissima “máscara”, finanziata dalla città di Valladolid, parteciparono 97 cortigiani – fra i quali molti gentiluomini della Cámara del Re –, ma fra essi non figura Don Rodrigo Calderón. Cfr. Relación de lo sucedido en la Ciudad de Valladolid, desde el punto del felicísimo nacimiento del príncipe don Felipe Dominico Víctor nuestro señor, hasta que se acabaron las demostraciones de alegría que por él se hicieron. Al Conde de Miranda. Año 1605. Con Licencia, en Valladolid, por Juan Godínez de Millis, véndese en casa de Antonio Coello en la librería. Edición Patricia Marín Cepeda, pp. 75-88. 481   Cfr. Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 159, p. 388. 482   Il Principe di Piemonte, con i suoi fratelli, fu mantenedor del torneo svoltosi a Valladolid il 18 luglio 1604 e descritto nella Relacion de las Fiestas qve delante de sv Magestad, y de la Reyna nuestra señora, hizo, mantuuo el Principe de Piamonte, en Valladolid, Domingo diez y ocho de Iulio, de mil y seis cientos y quatro años (En Valladolid. Por los herederos de Juan Iñiguez. Año 1604). Cfr. Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 222. – Bartolomé José Gallardo : Ensayo de una Biblioteca Española de libros raros y curiosos. Tomo Primero. Madrid : Manuel Tello 1863, col. 748, nro. 656. – Santiago Martínez Hernández : Fragmentos del ocio nobiliario. Festejar en la cultura cortesana. In : Dramaturgia festiva y cultura nobiliaria en el Siglo de Oro. Coordinado por Bernardo J. García García - María Luisa Lobato. Madrid : Iberoamericana - Vervuert 2007, pp. 45-87 ; qui pp. 76-87. 483   Jehan Lhermite scrive nelle sue memorie che, a Valladolid, nel gennaio del 1602 “se hizo un torneo o combate de a pie ejecutado por los ayuda gentilhombres de la cámara del rey, y el mantenedor de este torneo fue don Rodrigo Calderón, quien no hacía mucho había sido hecho miembro de la cámara por intermediación y favor del duque de Lerma, de quien era favorito, y este duque hizo para este menester los gastos requeridos y como todo se ejecutó siguiendo sus órdenes y bajo su autoridad puedo aventurarme a decir que fue uno de los más aplaudidos y mejor aceptados actos de fiesta que jamás he visto celebrar en esta corte”. Cfr. El Pasatiempos de Jehan Lhermite. Memorias de un Gentilhombre Flamenco en la corte de Felipe II y Felipe III, p. 593. 484   Il marchese di Cea Don Cristóbal Gómez de Sandoval y Rojas, figlio del Duca di Lerma, sarà creato Duca di Cea nell’aprile del 1604 e Duca di Uceda il 16 febbraio 1610. Cfr. Don Gerónimo Gascón de Torquemada : Gaçeta y nuevas de la Corte de España desde el año 1600 en adelante, p. 24, p. 30. 485   Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 109, p. 131, p. 145, p. 173, p. 192, p. 224, p. 225, p. 227.  



















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cadetti delle grandi casate, come documenta quasi ogni pagina delle Relaciones de las cosas sucedidas en la Corte de España, le sue mercedes : titoli nobiliari, grandezas, Toisón de Oro, alte dignità della Corte, alte cariche dello Stato, alti comandi militari, presidenze delle Audiencias, ambasciate, vicereami, ricche commende degli Ordini Militari, rendite, generose pensioni, doti, preziosi regali, pingui arcivescovati, vescovati, 486 decanati (delle Chiese Cattedrali), abbazie, prebende e ‘benefici’ vari, 487 e addirittura titoli nobiliari da vendere 488 e “hábitos [degli Ordini Militari] para criados”. 489 Filippo III e Margarita d’Austria partecipano personalmente ai matrimoni e ai battesimi dei membri dell’alta nobiltà. (A sua volta l’alta nobiltà, per lo più in gravi difficoltà finanziarie 490 nonostante le altissime rendite annuali di cui godeva, 491 accresce il proprio indebitamento – ipotecando, con licenze speciali concesse dal Monarca, i maggioraschi, gravando la proprietà 492  















486   Cfr. Ignasi Fernández Terricabras : Al servicio del Rey y de la Iglesia. El control del episcopado castellano por la Corona en tiempos de Felipe II. In : Francisco Javier Guillamón Álvarez y José Javier Ruiz Ibáñez (Editores) : Lo conflictivo y lo consensual en Castilla. Sociedad y poder político, 1521-1715. Homenaje a Francisco Tomás y Valiente. Murcia : Universidad de Murcia 2001, pp. 205-232 ; qui p. 223 (durante il regno di Filippo III il 24% dei “nombramientos episcopales” è a favore di membri dell’alta nobiltà, “en su mayoría parientes o clientes del Duque de Lerma”). 487   Sui vari ‘benefici’ ecclesiastici e i beneficiari cfr. Maximiliano Barrio Gozalo : La Iglesia y los eclesiásticos en la España del Seiscientos. Beneficios y beneficiados. In : José Alcalá-Zamora - Ernest Belenguer (Coordinadores) : Calderón de la Barca y la España del Barroco. Volumen I. Madrid : Centro de Estudios Políticos y Constitucionales 2001, pp. 361-400. 488   Nel 1601 al Conte di Niebla, figlio dei Duchi di Medina Sidonia e genero del Duca di Lerma, fu fatta “merced de dos títulos de duque en Italia para venderlos, de que podrá sacar 24.000 ducados” ; nel 1603 fu dato a Don Antonio Folch y Cardona, Duca di Sessa, ambasciatore a Roma, “un título de Duque en Italia, para que lo pueda vender por ayuda de costas para venir á España á servir el cargo de mayordomo mayor de la Reina” ; nel 1606 fu fatta “merced al conde de Fuentes [Pedro Enríquez de Acevedo, Conde de Fuentes de Valdepero], del feudo de Boguera, en el estado de Milan, con título de marqués para que lo pueda vender, del cual dicen que sacará mas de 100.000 ducados” ; nel 1608 il Re fece a Don Pedro Téllez Girón, III Duca de Osuna, “merced del tuson y de dos títulos de Duque en Nápoles, por ayuda de costa” ; nel 1609, a Don Pedro de Toledo, ritornato da una delicata missione diplomatica a Parigi, si fece “merced de dos títulos de Duque en Nápoles, por ayuda de costa” ; nel dicembre del 1611, quando Don Rodrigo Calderón fu nominato ambasciatore presso la Repubblica di Venezia, gli furono concessi “8.000 ducados en un título de Marqués en Italia” (Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 112, p. 165, p. 285, p. 345, p. 365, p. 457). 489   Cfr. Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 112, p. 309, p. 321. 490   Baltasar Álamos de Barrientos scriveva nel 1598 : “los más de los grandes y señores están pobres y necesitados”. Cfr. Baltasar Álamos de Barrientos : Discurso político al Rey Felipe III al comienzo de su reinado. Introducción y notas de Modesto Santos (= Textos y Documentos, 7). Barcelona : Anthropos 1990, p. 26. Martín González de Cellorigo considerava l’indebitamento della nobiltà titolata come uno dei gravi mali della società spagnola ai quali il Re doveva urgentemente porre rimedio cancellando, totalmente o in parte, i suoi debiti e imponendole di abbandonare la Corte e di risiedere nei suoi feudi. Cfr. Martín González de Cellorigo : Memorial de la política necesaria y útil restauración a la República de España y Estados de ella, y desempeño universal de estos Reinos (1600). Edición y estudio preliminar de J. L. P. de A. Madrid : Instituto de Estudios Fiscales 1991, pp. 180-188. 491   Un elenco di dati sulle rendite annuali delle principali famiglie titolate del Regno di Castiglia intorno al 1600 si trova in : Bartolomé Bennassar : La España del Siglo de Oro. Barcelona : Editorial Crítica 1983, pp. 196200. – Ignacio Atienza Hernández : Aristocracia, poder y riqueza en la España Moderna. La Casa de Osuna, siglos XV-XIX. Madrid : Siglo XXI de España Editores 1987, pp. 350-351. 492   Scrive Thomé Pinheiro da Veiga nella sua Fastigimia (pp. 217-218) : “tem muytas cozinhas de alguns senhores suma grandeza e he que em todo o tempo se acha en ellas tudo quanto se dezeja, e lá vão vender tãobem de fora as couzas extraordinarias, como os sôlhos, salmão, vitella, veado, uvas e frutas fóra do tempo e couzas semilhantes de que estão providas, e destas cozinhas ha mais de 150 em Valhadolid ; e tudo he necessario para gastar as immensas rendas que tem e para crer que gastam 200.000 cruzados, e ainda se empenham, como todos fazem, pois estão devendo muytos milhões, como o de Medina Sidonia com 300.000 cruzados de renda, o de Ossuna com 150.000 e todos os mais que tem pouco menos que parece que he necessario para os gastar a invenção dos reys do Egito em fabricar Piramides […] : e dizem que El-Rey velho foy o que fès individar a todos  

























































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fondiaria con censos – per ‘rappresentare’, 493 per ostentare il potere e la grandezza della  

os Grandes de Espanha, para que com a falta de dinheyro lhes não fervesse o sangue.” Girolamo da Sommaia annota, nel suo diario, il 12 aprile 1604, a proposito di Don Antonio Alvarez de Toledo, V Duca d’Alba : “Paga di censo 30 mila et piu Scudi. Tiene di Entrata intorno a 100 mila Scudi” (Diario de un estudiante de Salamanca. La crónica inédita de Girolamo da Sommaia, 1603-1607, pp. 169-170). Quando morì, nel 1607, Don Juan Bautista de Tassis, I Conte di Villamediana, lasciò “empeñada su casa en 25.000 ducados de censo” ; quando morì, nel 1610, Don Francisco Arias Dávila y Bobadilla, IV Conte di Puñonrostro, lasciò “su casa muy necesitada” ; nello stesso anno Francisco de Borja, Duca di Gandía, si trovava “tan empeñado” (Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 316, p. 398, p. 400). 493   Rovinose per le finanze dell’alta nobiltà erano i soggiorni alla Corte e, soprattutto, le ambasciate, le missioni diplomatiche, i viaggi intrapresi per prendere possesso di vicereami o per ricevere regine. Il 29 novembre 1603 Luis Cabrera de Córdoba annota nelle sue Relaciones (p. 198) : “ Los duques del Infantado [Ana de Mendoza, VI Duquesa del Infantado ; Juan Hurtado de Mendoza de la Vega y Luna, VI Duque del Infantado] partieron á los 19 de este [noviembre] de aquí con toda su casa para Guadalajara, con fin de quedar allí la Duquesa y sus hijas y volver el Duque á seguir á S. M., porque la estancia de aquí les era muy costosa con tanta casa como tenian ; á quien dicen que cuesta la venida mas de 60.000 ducados, despues que salieron de Guadalajara”. E il 27 novembre 1604 il cronista (Relaciones p. 230) scrive : “Ha venido á residir aquí el duque Alba con la Duquesa y sus hijos, de que tenia poca necesidad su casa segun está empeñada ; y para la venida se le ha dado facultad de tomar 30.000 ducados á censo sobre ella.” Nel luglio del 1611 Don Francisco de Moncada, Duca di Montalto, si era recato a Madrid “con toda su casa” ; due anni dopo abbandonava la Corte “para embarcarse en Cartagena en las galeras de la religion de San Juan”, lasciando “mas de 100.000 ducados de deudas” (Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones p. 445, p. 531). Il Duca di Sessa, Don Antonio de Cardona y Córdoba, si era rovinato con l’ambasciata a Roma e alla sua morte lasciò debiti per 80.000 ducati (Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones p. 268). Alla morte della Imperatrice Maria, Don Juan de La Cerda, Duca di Medinaceli, fu incaricato di recarsi a Praga “á dar el pésame al Emperador de parte de sus Magestades”. Avendo bisogno per il viaggio di 60.000 ducati e avendone ricevuto solo 12.000 come “ayuda de costa”, il Re gli concesse “para los demas facultad con que tomarlos á censo sobre su estado”. Ma, saggiamente, alla fine il Duca di Medinaceli rinunziò all’oneroso onore. Compromise invece le sue finanze Don Pedro de Toledo Osorio y Colonna, V Marchese di Villafranca del Bierzo, dominato per anni e anni dal desiderio ossessivo di diventare Grande di Spagna, accettando di recarsi come ambasciatore in Francia per mostrare la sua gratitudine al Re, che finalmente gli aveva rivolto il fatidico invito a ‘coprirsi’. Per poter intraprendere la sua missione diplomatica fu costretto, nel maggio-giugno del 1608, a prendere a prestito 45.000 ducati da “Juan Felipe Salucio, hombre de negocios”, che per concedere il prestito esigette la garanzia di Don Rodrigo Calderón ! Al suo ritorno da Parigi, nella primavera del 1609, Luis Cabrera de Córdoba annotò nelle sue Relaciones quanto segue : “Vino don Pedro de Toledo de Francia y han tenido satisfaccion de lo que ha negociado y de como ha procedido allá ; el cual se quiere ir á recoger á Villafranca por dos ó tres años, para repararse de los gastos que ha hecho”. Nel 1610 si concesse a Don Pedro Téllez-Giron, Duca di Osuna, nominato viceré di Sicilia, “facultad para tomar […] [20.000 ducados] sobre su estado”, per poter finanziare il suo viaggio a Palermo. Per poter partire – accompagnato da “algunos títulos y caballeros deudos suyos” – per la Corte francese, Don Gómez Suárez de Figueroa, III Duca di Feria, incaricato di presentare le condoglianze dei suoi Sovrani per la morte di Enrico IV, dovette procurarsi 60.000 ducati. Don Ruy Gómez de Silva y Mendoza, Duca di Pastrana, inviato a Parigi nel 1612 “á dar la enhorabuena de los casamientos” dei Principi di Spagna e di Francia – missione diplomatica rifiutata da Don Juan Alfonso Pimentel y Herrera, Conte di Benavente, che “se disculpó con la necesidad á que habia venido su casa con los gastos que ha hecho con el Rey pasado, y despues con S. M. [Felipe III]” –, preventivò di spendere in questa missione 200.000 scudi ; fu poi ricompensato per le enormi spese sostenute soltanto con l’ufficio di “cazador mayor” (Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 172, p. 183, p. 365, p. 401, p. 409, p. 472, pp. 496-497, p. 501). Quando D. Francisco Arias Dávila y Bobadilla, IV Conte di Puñonrostro, morì (nel gennaio del 1610) lasciò “su casa muy necessitada” (L. Cabrera de Córdoba : Relaciones, p. 398). Don Francisco López de Zúñiga y Sotomayor, IV Duca di Béjar, incaricato da Filippo II di ricevere la regina Anna d’Austria a Santander e di accompagnarla sino a Madrid, spese in questa missione 230.000 ducati. Cfr. Anastasio Rojo Vega : El Duque de Béjar, Cervantes y Juan de Navas. In : El mecenazgo literario en la Casa Ducal de Béjar durante la época de Cervantes. Edición de J. Ignacio Diez (= Libros Singulares, 10). Fundación “Instituto Castellano y Leonés de la Lengua” – Junta de Castilla y León 2005, pp. 211-262 ; qui pp. 222-223. Naturalmente le cause dell’indebitamento dell’alta nobiltà erano diverse. Oltre ai doveri di ‘rappresentazione’, alle ambasciate e agli aiuti militari al Re, causavano grandi spese funzioni pubbliche, come quella di viceré o di governatore, e gli alti comandi militari. Cause rilevanti dell’indebitamento erano, spesso, anche le doti da assegnare alle figlie. Il Sovrano compensava però, in misura variabile, con svariate mercedes (terre, feudi, giurisdizioni, uffici, dignità, onori, rendite, pensioni, benefici, doti, denaro in contante, titoli di nobiltà, hábitos e encomiendas degli Ordini Militari) le spese sostenute dall’alta nobiltà per servirlo o per aumentare lo splendore della sua Corte. Sull’indebitamento dell’alta nobiltà cfr. Antonio Domínguez Ortiz : La sociedad española en el siglo XVII. I, pp. 223-252 (oppure :  













































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propria casata, 494 per accrescere il prestigio del Re e della sua Corte con il proprio sfarzo – alla cerimonia del giuramento prestato al principe Filippo “auia grande y señor que trahia cien mil ducados encima” ; 495 in occasione di una festa con “toros” e “juego de cañas”, organizzata nel marzo del 1609 e presieduta dal Re e dalla Regina, Don Pedro Téllez Girón, III Duca di Osuna, entrò nella Plaza Mayor di Madrid “con doscientos lacayos de librea” ; 496 nel novembre dello stesso anno Don Gómez Suárez de Figueroa, III Duca di Feria, per una analoga festa, svoltasi sempre nella Plaza Mayor di Madrid, spese 30.000 ducati come mantenedor della giostra dell’anello 497 –, per offrire feste – Don Ettore Pignatelli, Duca di Monteleone, spese 10.000 ducati per organizzare una máscara “en Palacio” 498 –, divertimenti e ospitalità ai Sovrani, per fare splendidi regali ai loro ospiti stranieri di gran riguardo o agli ambasciatori, per partecipare alle cerimonie e agli atti pubblici, per accompagnare i Monarchi o i Principi durante i loro viaggi, per presentare donativi – talvolta di decine di migliaia di ducati – e fornire aiuti militari alla Corona. 499) In contrasto con la politica di Filippo II, che aveva preferito appoggiarsi alla media e bassa nobiltà, ai letrados e alle élites urbane 500 e aveva voluto indebolire i ‘Grandi’ costringendoli ad indebitarsi, 501 Filippo III volle infatti assicurare ai membri dell’alta ari 

   

   











Antonio Domínguez Ortiz : Las clases privilegiadas en el Antiguo Régimen. Madrid : Ediciones ISTMO 1979, pp. 87-119). – Charles Jago : The Influence of Debt on the Relations between Crown and Aristocracy in Seventeenth-Century Castile. In : The Economic History Review, Second Series, Vol. XXV (1972), 218-236. – Charles Jago : La « crisis de la aristocracia » en la Castilla del siglo XVII (1979). In : John H. Elliott, ed. : Poder y sociedad en la España de los Austrias. Barcelona : Editorial Crítica 1982, pp. 248-286. – James Casey : The Kingdom of Valencia in the Seventeenth Century. Cambridge : Cambridge University Press 1979, pp. 127-153. – Ignacio Atienza Hernández : La « quiebra » de la nobleza castellana en el siglo XVII. Autoridad Real y poder señorial. El secuestro de los bienes de la Casa de Osuna. In : Hispania, Madrid, 44 (1984), 49-81. – B. Bennassar : Valladolid en el Siglo de Oro. Una ciudad de Castilla y su entorno agrario en el siglo XVI, pp. 247-253. – Ignacio Atienza Hernández : Aristocracia, poder y riqueza en la España Moderna, pp. 327-353. – Bartolomé Yun Casalilla : La situación económica de la aristocracia castellana durante los reinados de Felipe III y Felipe IV. In : La España del Conde-Duque de Olivares. Valladolid : Universidad de Valladolid 1990, pp. 519-551. – Bartolomé Yun Casalilla : Felipe II y el endeudamiento de la aristocracia. Un avance (1999). In : B. Y. C. : La gestión del poder. Corona y economías aristocráticas en Castilla (siglos XVI-XVIII). Madrid : Akal 2002, pp. 137-161. – Santiago Fernández Conti : La nobleza castellana y el servicio palatino, pp. 642-643. 494   Quando, il 17 maggio 1610, Don Pedro Fernández de Castro y Zúñiga, VII Conte di Lemos, nominato viceré del Regno di Napoli, e sua moglie lasciarono la Corte per recarsi in Italia, uscirono da Madrid – scrive Luis Cabrera de Córdoba – “con grande acompañamiento […], con mucha demostracion de grandeza” (Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 408). 495   Relación verdadera, en que se contiene todas las ceremonias y demás actos que passaron en la jura que se hizo al Serenissimo Principe nuestro señor don Phelipe quarto, en el monesterio de san Geronymo (Toledo. En casa de Thomás de Guzmán, que sea en gloria. 1608). In : Relaciones breves de actos públicos celebrados en Madrid de 1541 a 1650, pp. 54-56. 496   Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 363. 497   Cfr. Don Gerónimo Gascón de Torquemada : Gaçeta y nuevas de la Corte de España desde el año 1600 en adelante, p. 30. 498   Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 159. 499   Cfr. Antonio Domínguez Ortiz : La sociedad española en el siglo XVII. I, pp. 228-241. – Antonio Domínguez Ortiz : Política y Hacienda de Felipe IV. Madrid : Ediciones Pegaso 1983, pp. 279-287. 500   Cfr. La Monarquía de Felipe II : La Casa del Rey. Directores : José Martínez Millán - Santiago Fernández Conti. Volumen I : Estudios, pp. 636-697. 501   Nel Gran Memorial, le istruzioni ‘politiche’ del 25 dicembre 1624 scritte per Filippo IV, il Conte Duca de Olivares scriveva : “Llegó, señor, el poder de los grandes en tiempo de los señores reyes antecesores de V. Majd. a estado que alguna vez dio cuidado, y pudo con razón ; y aunque el señor rey don Felipe el segundo, abuelo de V. Majd., se halló en estado que pudo descuidar justamente deste inconveniente, todavía le pareció bien bajarlos más, y siguiendo el ejemplo del señor Rey Católico en la institución de los letrados, les puso togas, dio autoridad y mano en el gobierno y en la justicia, de manera que, a unos con embajadas y ocasiones de gastos y  











































































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stocrazia (di preferenza, naturalmente, a quelli appartenenti al clan del Duca di Lerma, che tutto controllava e tutto proponeva), spesso indipendentemente dai loro meriti 502 e dalle loro reali capacità (“cuydam” – commentava con amarezza Thomé Pinheiro da Veiga – “que basta ser Conde, Marquês, ou Grande, para tudo saberem” 503), un maggior peso nel governo, soprattutto facendoli entrare nel Consejo de Estado. 504 Ai membri della media e piccola nobiltà, ai funzionari della amministrazione statale, ai parvenus, che gravitavano intorno alla Corte, venivano concesse mercedes inferiori : titoli di consigliere, importanti segreterie, hábitos. Solo molto raramente un titolo nobiliario (come nel caso, ricordato, di Pedro Franqueza, Juan Pascual e Rodrigo Calderón). Al di fuori del chiuso mondo della Corte, Filippo III concedeva però generosamente insegne degli Ordini Militari e titoli nobiliari agli appartenenti al patriziato urbano, alla piccola e media nobiltà, ad alti funzionari e a ricchi banchieri e mercanti dei vari Regni che componevano la Monarchia. Ecco due esempi. In occasione delle Cortes del Principato di Catalogna, che si tennero dal 2 giugno al 6 luglio del 1599 e che votarono un ‘servizio’ di un milione di ducati al Re e di 100.000 ducati alla Regina, Filippo III, riconoscente, concesse un titolo di marchese e tre titoli di conte, diede hábitos di Santiago, Calatrava e Alcántara a molti cavalieri, onorò altri con “título de nobleza” e armò molti cavalieri, “todos naturales del Principado”. 505 In occasione delle Cortes del Regno di Valencia, che si tennero dal 9 gennaio al 20 febbraio del 1604 e che votarono un ‘servizio’ di 400.000 ducati in contanti e varie imposte, Filippo III espresse la sua gratitudine alla oligarchia locale concedendo un titolo di duca (e quindi la ‘grandezza’) ad un marchese, un titolo di marchese ad un conte, 4 titoli di conte, 42 hábitos di Ordini Militari (Santiago, Alcántara, Calatrava, Montesa), nobilitando 40 persone e armando 21 cavalieri. 506  











a otros con la mano destos ministros, los redujo a tan gran carga de hacienda que aunque su heredada lealtad y muchas obligaciones no les obligaran a la sumisión, observancia y puntualidad en obediencia a las reales órdenes, les fuera forzoso el no alzar cabeza por la falta de hacienda grande a que se redujeron. Esta se ha ido continuando con las ocasiones de gastos que se ofrecen siempre y las fiestas grandes y continuas, y parece que no sea mala materia de estado esta en lo que mira al gobierno interior por los inconvenientes grandes que se experimentaron cuando esto no estaba en este estado y por los que hoy se experimentan en otras provincias donde están poderosos ; y en Inglaterra con este recelo les quitaron enteramente todos los vasallos y jurisdicciones. En este debe tener V. Majd. gran atención y procurar atajar la sobra de hacienda de cualquiera por lo medios mismos que, como he dicho a V. Majd., lo hizo el señor rey don Felipe el segundo y el señor Rey Católico, pero esta atención [intención] no ha de mostrar V. Majd., ni darlo a entender a ninguna persona ni ministro por ningún accidente, porque por ventura se argüirá ha sobrado recato, pero en el gobierno político ningún cuidado es afectación” (Memoriales y cartas del Conde Duque de Olivares. Tomo I. Política interior : 1621 a 1627, pp. 54-55). 502   Nella sua Historia de Felipe II Luis Cabrera de Córdoba, dopo aver ricordato che il Re concedeva “dignidades, honras y oficios” secondo i meriti, fa questa riflessione : “La distribución, instrumento importante para el arte de reinar, si no es justa en el repartir las honras y proporcionar las cargas, es en la paz injusto el príncipe, y en la guerra imprudente con su peligro y ofensa. La escaseza del útil ofende a la gente baxa ; mas el inconsiderato distribuir de las honras llevan tan mal los ánimos grandes, que el dar un grado al favor y no al merecimiento apartó los beneméritos tanto, que no hicieron caso de la propia calamidad, por más que estuviese envuelta con la de su príncipe, sólo por retirarle de la inconsiderata elección y distribución injusta” (Luis Cabrera de Córdoba : Historia de Felipe II, Rey de España. II. Edición José Martínez Millán – Carlos Javier de Carlos Morales, p. 818). La critica al modo seguito da Filippo III nel concedere dignità, onori e uffici, è trasparente. 503   Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, p. 54. 504   Cfr. S. Martínez Hernández : El Marqués de Velada y la Corte en los reinados de Felipe II y Felipe III. Nobleza cortesana y cultura política en la España del Siglo de Oro, pp. 371-373. – Francesco Benigno : La sombra del rey. Validos y lucha política en la España del siglo XVII, pp. 49-65. 505   Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 31. 506   Cfr. Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 213.  



















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La Pícara Justina è stata scritta sí – come Marcel Bataillon e tutti gli studiosi che si sono occupati dell’opera sostengono – per i cortigiani. Ma questo gruppo sociale era formato – come abbiamo visto – in grandissima parte da Grandi di Spagna, dai loro primogeniti ed eredi, “las personas más aparentes y cualificadas de la corte”, 507 e dalla nobiltà titolata (i parvenus come Pedro Franqueza, Juan Pascual e, più tardi, Don Rodrigo Calderón costituivano, all’interno del gruppo, una esigua minoranza marginale, numericamente quasi irrilevante). Le famiglie alle quali rende apertamente omaggio Justina sono quelle dei Guzmán, Duchi di Medina Sidonia, degli Enríquez, Duchi di Medina de Rioseco, dei Mendoza, Duchi dell’Infantado, degli Álvarez de Toledo, Duchi d’Alba, dei Suárez de Figueroa, Duchi di Feria, dei Zúñiga y Sotomayor, Duchi di Béjar. Tutte queste famiglie appartenevano alla Grandeza ed erano fra le più antiche, illustri, importanti e potenti della Monarchia spagnola. L’opera, come ha osservato acutamente Antonio Rey Hazas, rivela un “fuerte aristocratismo” 508 e “se burla de la picaresca, de los pícaros y de cuantos en la sociedad española pretenden acceder a la nobleza y dicen tener honra, siendo de la más abyecta y baja condición”. 509 Marcel Bataillon stesso ha scritto – come abbiamo ricordato – che Francisco López de Úbeda aveva voluto burlarsi della generale preoccupazione genealogica che tormentava le famiglie in ascesa e dei loro tentativi di cancellare nei procedimenti delle informaciones de limpieza de sangre, o pruebas genealógicas, le tracce di ascendenti ‘impuri’. Il grande ispanista ha anche ravvisato nella denuncia del potere del denaro il tema fondamentale di tutta la materia picaresca 510 e messo in rilievo l’importanza che nella Pícara Justina ha il tema della usurpazione di status sociale, tema trattato con predilezione da Quevedo. 511 Ma se la Pícara Justina è permeata, con tutta evidenza, di una ideologia ‘conservatrice’, ostile alla mobilità sociale e avversa agli arrivisti e agli ‘uomini nuovi’, di una ideologia simile a quella del ‘reazionario’ Quevedo, insomma ; se è rivolta, apertamente, contro i roturiers nobilitati e i falsi nobili, come fu possibile che Don Rodrigo Calderón ne accettasse la dedica ? Come fu possibile che il favorito del Duca di Lerma non si accorgesse che l’opera scherniva sanguinosamente proprio i falsificatori di genealogie e di blasoni, gli usurpatori di status sociale come lui ? Il virulento attacco contro i parvenus e gli usurpatori di nobiltà sarebbe saltato agli occhi di qualsiasi lettore, anche il piú ingenuo, della Pícara Justina. A un lettore smaliziato della Corte l’opera poteva addirittura apparire come uno specifico attacco diretto proprio contro Don Rodrigo Calderón, il piú in vista, in quel momento, fra i parvenus intenti ad introdursi fraudolentemente nella nobiltà. Il favorito del Duca di Lerma fu piú ingenuo dei lettori piú ingenui – cosa difficilmente immaginabile – o pensó che il suo scudo nobiliare sul frontespizio della Pícara Justina e la dedica avrebbero reso impossibile ogni lettura malevola dell’opera ? Avrebbe finto di cadere nel tranello per neutralizzarlo mostrandosi tanto sicuro della  

















507   El Pasatiempos de Jehan Lhermite. Memorias de un Gentilhombre Flamenco en la corte de Felipe II y Felipe III, p. 585. 508   la pícara justina. 1. Edición preparada por Antonio Rey Hazas. Madrid : Editora Nacional 1977, p. 130, nota nro. 96. 509   Antonio Rey Hazas : El bestiario emblemático de La Pícara Justina, p. 131. 510   Cfr. M. Bataillon : L’honneur et la matière picaresque. In : Annuaire du Collège de France 63 (1963), 485490 ; qui p. 487 (“… la dénonciation de la puissance de l’argent, thème fondamental de toute la matière picaresque…”). 511   “L’usurpation de qualité sociale, thème développé avec prédilection par Quevedo, mais touché de façon burlesque par l’auteur de La Pícara Justina (la pícara novia) joue un rôle très important dans la « novela cortesana » de matière picaresque” (M. Bataillon : L’honneur et la matière picaresque, pp. 488-489).  















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sua posizione e della sua hidalguía da poter egli stesso ridere degli attacchi contro i parvenus e gli usurpatori di nobiltà ? Certamente lo scudo esibito sul frontespizio e la dedica avrebbero potuto trarre in inganno i lettori piú ingenui. Ma ai lettori piú smaliziati della Corte proprio lo scudo nobiliare e la dedica avrebbero fatto supporre che il Libro de entretenimiento si burlava di Don Rodrigo Calderón. La presenza delle calderetas – contrapposte alle calderas insegne dei ricoshombres nello scudo del frontespizio – fra i vari ‘attrezzi’ che formano « EL AXVAR DE LA VIDA PICARESCA », nella incisione « LA NAVE DE LA VIDA PICARA », avrebbe poi fornito a questi lettori smaliziati la prova incontrovertibile della fondatezza della loro supposizione (forse proprio per evitare una immediata e troppo facile identificazione del bersaglio della burla l’incisione non era stata posta – contrariamente ad ogni consuetudine tipografica ed anche ad ogni logica considerazione –, come illustrazione d’antiporta, di fronte al frontespizio). Essendo ben improbabile che ad un uomo intelligente ed astuto come Don Rodrigo potesse rimanere oscuro ciò che sarebbe risultato chiaro a molti, si è costretti a pensare che dedica e scudo – o perlomeno l’incisione – siano stati inseriti a sua insaputa e che siano essi stessi parte della burla.  









Le interpretazioni della Pícara Justina dopo Marcel Bataillon : i suoi seguaci i.  

Data “la enorme capacidad de sugestión” posseduta da Marcel Bataillon 512 e documentata, tra l’altro, dalla storia della ricezione del suo Erasme et l’Espagne nella critica e nella storiografia letterarie, molti dei cui cultori sono troppo frequentemente affetti da pigrizia (non solo intellettuale), 513 non sorprende constatare che la sua interpretazione della Pícara Justina diventasse, per cosí dire, ‘canonica’. Bruno Mario Damiani, riprendendo nella sua monografia su Francisco López de Úbeda l’interpretazione della Pícara Justina come satira della ossessione genealogica sviluppata da Marcel Bataillon, al quale dedica significativamente il suo libro, considera l’opera come una “satire of the social obsession with the purity of blood”. La Pícara Justina ridicolizza frequentemente la dottrina della purezza di sangue – afferma lo studioso – “in order to call attention to the injustice inherent in a system in which so much importance is given to genealogical background”. 514 Oltre che la dottrina della purezza di sangue, il romanzo satirizza “the false Nobility”, 515 gli amministratori della giustizia, i medici, gli osti e i locandieri, le donne, le streghe, l’ignoranza del volgo, superstizioso e rozzo, gli studenti universitari 516 e la Chiesa, “for its ritualistic formalities and material wealth”, 517 realizzando cosí una ampia funzione di “social criticism”, che non risparmia  











512   Alvaro Huerga : Erasmismo y alumbradismo. In : El erasmismo en España. Ponencias del Coloquio celebrado en la Biblioteca de Menéndez Pelayo del 10 al 14 de junio de 1985. Edición de : Manuel Revuelta Sañudo, Ciriaco Morón Arroyo. Santander : Sociedad Menéndez Pelayo 1986, pp. 339-356 ; qui p. 340. 513   Parlando dell’influsso esercitato da Erasme et l’Espagne su coloro che si sono occupati degli alumbrados, Antonio Márquez scrive : “El enorme prestigio de la obra de Bataillon y la excelsa posición que se le concede en ella a los alumbrados corre el peligro, entre otros, de que sus conclusiones se tomen poco menos que dogmáticamente, especialmente por los holgazanes, planta abundante entre nuestros litterati.” Parole sacrosante ! Cfr. Antonio Márquez : Los alumbrados. Orígenes y filosofía (1525-1559). Segunda edición, corregida y aumentada. Madrid : Taurus 1980, p. 134. 514   B. M. Damiani : Francisco López de Úbeda, pp. 76-77. 515   B. M. Damiani : Francisco López de Úbeda, pp. 78-81. 516   B. M. Damiani : Francisco López de Úbeda, pp. 81-85. 517   B. M. Damiani : Francisco López de Úbeda, pp. 85-91.  

























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i convertiti – sia quelli di origine ebraica, sia quelli di origine araba –, che vengono “portrayed in a negative light”. 518 Anche Alán Francis, che segue molto da vicino l’interpretazione di Marcel Bataillon, sostiene che il primo libro della Pícara Justina si dedica “casi exclusivamente a poner en ridículo lo absurdo de las normas de limpieza de sangre” 519 e che Francisco López de Úbeda conduce con la sua opera, definita un “« desafío a la sociedad » de la época”, 520 una campagna contro il “cáncer social del honor...”. 521 Lo studioso ritiene inoltre che fra Francisco López de Úbeda e Quevedo vi sia una somiglianza formale ed una opposizione ‘ideologica’ (“fuera de ciertos aspectos formales – ingeniosidad verbal en sentido positivo, caracterización unidimensional en sentido negativo –, yo veo un problematismo socio-religioso en La Pícara Justina que, de veras, pone en ridículo el tipo de propaganda « castista » que representa la base ideológica del Buscón” 522). La tesi di Marcel Bataillon sulla Pícara Justina come strumento di propaganda procalderoniana è ripresa da Antonio Rey Hazas. Nella introduzione alla sua edizione – il nome dell’autore non compare sul frontespizio sebbene la paternità di Francisco López de Úbeda sia considerata certa – lo studioso definisce, infatti, il romanzo “obra servilista y propagandística” e sostiene che la “finalidad propagandista”, la “intencionalidad publicitaria” pro-calderoniana “presidió la primera salida al mundo de La Pícara Justina”. 523 Altra finalità del Libro de entretenimiento è – secondo Antonio Rey Hazas, che fa sua la definizione dell’opera come “burlesca réplica” del Guzmán de Alfarache formulata da Marcel Bataillon 524 – quella burlesca. La Pícara Justina si burla di tutto e di tutti, la “ridiculización, la chanza y la caricatura alcanzan prácticamente a todos los elementos constituyentes del libro”. Ma la “técnica burlesca”, la “óptica deformadora y burlona” di Francisco López de Úbeda nasconde, “so capa de humor y comicidad”, dure critiche a valori fondamentali della società spagnola quali l’onore e la purezza di sangue. 525 Riallacciandosi, ancora una volta, alla interpretazione della Pícara Justina di Marcel Bataillon – in particolare, a quella dell’episodio degli asturiani 526 –, Antonio Rey Hazas scrive :  



























Es muy significativo que una obra que coadyuva al ennoblecimiento de un falso hidalgo, exponga simultáneamente sátiras agraces contra estos prejuicios de clase y casta. Las muestras de esta crítica son muy abundantes ; basta con detener la atención en la descripción de los asturianos – que los estudiosos habían interpretado tradicionalmente como meramente costumbrista –, para observar la censura (eso sí, cómica) de los afanes cortesanos por conseguir títulos nobiliarios o hábitos de órdenes militares, ante los cuales sacrifican incluso su propio honor conyugal. La propia pícara, mediante su ascendencia y actos, realiza una burla de las trabas sociales que suponían los estatutos de limpieza de sangre, pues ella se jacta de ser simultáneamente « montañesa » – sinónimo de hidalga – y de origen judío, y no tiene inconveniente en hacerse pasar por morisca,  



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  B. M. Damiani : Francisco López de Úbeda, p. 85.   Alán Francis : Picaresca, decadencia, historia. Aproximación a una realidad histórico-literaria (Biblioteca Románica Hispánica. II. Estudios y ensayos, 274). Madrid : Gredos 1978, p. 68. 520   Alán Francis : Picaresca, decadencia, historia, p. 74. 521   Alán Francis : Picaresca, decadencia, historia, p. 71. 522   Alán Francis : Picaresca, decadencia, historia, p. 74 n. 523   Antonio Rey Hazas : « Introducción » a : la pícara justina. 1. Edición preparada por A. R. H. Madrid : Editora Nacional 1977, pp. 9-45 ; qui pp. 17-19. 524   “[...] La pícara Justina no es un calco, ni mucho menos, del Guzmán, sino que constituye más bien una réplica burlesca” (Antonio Rey Hazas : « Introducción » a : la pícara justina. p. 28. Cfr. M. Bataillon : Pícaros y picaresca, p. 196 : “la Pícara de 1605 es uns burlesca réplica al pícaro Guzmán de 1598 y 1604”). 525   Antonio Rey Hazas : « Introducción » a : la pícara justina, pp. 29-31. 526   Nelle note alla sua edizione dell’opera (la pícara justina, pp. 617-620, note nro. 79-84), Antonio Rey Hazas accoglie completamente l’interpretazione che dell’episodio degli asturiani dà Marcel Bataillon.  

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con lo que resume en sí propia los conflictos de la España de las tres castas y las tres religiones, y se autoconstituye en comentario burlesco a esas graves trabas sociales. 527  

In un saggio posteriore, intitolato La compleja faz de una pícara (1983), Antonio Rey Hazas, pur considerando ancora importanti, per la comprensione dell’opera, giudicata di “magistral factura”, 528 gli aspetti relativi alla ossessione genealogica e ai problemi dell’onore e della purezza di sangue, ravvisa nell’attacco “furibundo contra el sexo débil” il “tema obsesivo y predominante” del Libro de entretenimiento, il cui antifemminismo è “absoluto y constante”. 529 Attraverso la rappresentazione della doppia personalità di Justina – apparentemente vergine, ma in realtà puttana 530 (putidoncella) –, Francisco López de Úbeda fa una dura critica della società spagnola, nella quale “lo importante ... no es la vida honesta, sino la aparencia de honradez”. 531 L’ambiguità della Pícara, che rispecchia la “misma ambigüedad entre realidad y apariencia que regía los destinos de los españoles”, ha la funzione di parodiare le “estructuras sociales” e le “creencias dominantes”, puramente superficiali e fondate sulla apparenza. 532 Si deve osservare però che l’ambiguità di Justina non esiste, perché nonostante le sue reiterate affermazioni di essere vergine, 533 la Pícara – come ha del resto illustrato ampiamente anche lo stesso Antonio Rey Hazas 534 – è chiaramente e inequivocabilmente una puttana. Esplicita è la sua confessione di essere puta e di esserla stata già quando serviva nel mesón sotto la guida della madre, “otra Celestina” ; quindi, durante gli anni precedenti alla morte dei genitori – Perlícaro afferma addirittura che Justina aveva cominciato a prostituirsi “desde los diez años” 535 – e alla sua decisione di andarsene “de romeria en romeria” : 536  

















   

Pareceme que te leo los labios (hermano Letor) y que me preguntas, y me mandas que te diga, muy en particular, el discurso de mi vida y auenturas, del tiempo que fuy mesonera con tutores, y biui con mi madre. O necio, quien tal preguntas. Que vida quieres que cuento, sabiendo que baylaua al son que me hazia mi madre ? Ea, dexame. No me importunes. Gentil disparaton. No pienses que lo dexo porque es de echar a mal, que cosas hize, que pudieran entrar con letra  

527

  Antonio Rey Hazas : « Introducción » a : la pícara justina, p. 31.   Antonio Rey Hazas : La compleja faz de una pícara : Hacia una interpretación de la « Pícara Justina ». In : Revista de Literatura, Tomo XLV, N.° 90 ( Julio-Diciembre de 1983), pp. 87-109 ; qui p. 92. 529   Antonio Rey Hazas : La compleja faz de una pícara, p. 92. 530   Anche Loreta Rovatti (Sul picarismo de La Pícara Justina, pp. 157-161) e Regula Rohland de Langbehn (Das Spiel mit der Krankheit : die Syphilis in der Pícara Justina, p. 184) non credono alla castità di Justina. 531   Antonio Rey Hazas : La compleja faz de una pícara, p. 106. 532   Antonio Rey Hazas : La compleja faz de una pícara, p. 106 e p. 108. 533   La stessa frequenza – sei volte, per esempio, in tre pagine di un solo ‘numero’ (Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO SEGVNDO INTITVLADO LA PICARA Romera. En que se trata la jornada de Arenillas. CAPITVLO SEGNDO DE LA Vigornia burlada. Numero primero. De la entretenedora astuta », pp. 154-156) – con la quale la “enterissima Iustina” afferma la sua “entereza”, non è altro che un malizioso quanto scoperto gioco di ammiccamento con il lettore, perfettamente consapevole della completa falsità dell’affermazione. 534   Antonio Rey Hazas : La compleja faz de una pícara, pp. 98-104. 535   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO PRIMERO, INTITVLADO LA PICARA Montañesa. CAPITVLO PRIMERO, de la Escriuana fisgada. Numero primero. Del fisgon medroso », p. 39 (glossa marginale, a spiegazione della indicazione cronologica, un poco oscura, contenuta nel testo in questa frase di Perlícaro : “Harele vna tabla, señalando en ella, los lugares comunes de su vida, y legenda : que todos lo han sido, desde que su edad encontrô con cero, y con la tabla, le harê vn par de cornucopias, no malas”). 536   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO SEGVNDO INTITVLADO LA PICARA Romera. En que se trata la jornada de Arenillas. CAPITVLO PRIMERO, de la Romera Baylona. Numero primero. De la castañeta repentina », p. 117.  

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colorada en el Kalendario de Celestina : pero no quiero, que se cuente por mio, lo que hize a sombra de mi madre. 537  



Il racconto dei costumi della madre (“Cuenta las costumbres, de la madre de la Picara y dize que tal fue, la hija, como la madre”), Justina lo inizia cosí :  

Yo (hermano Lector) ya aduino, que en oyendo quien fue mi madre, te has de santiguar de mi, como de la Bermuda. 538 Que quieres ? Dierasme tu otro molde, y saliera yo mas amoldada. Soy fruta de aquel arbol, y terron de aquella vena, que me pides ? Escucha, y oyras las hazañas de otra Celestina, a lo mechanico. 539  







In una pagina precedente Justina aveva detto chiaramente quale attività svolgeva con le sorelle nel mesón :  

Mi padre, y mi madre, no quisieron tener oficios tan trafagones, como sus antecessores, porque (como eran barrigudos) quisieron ganar de comer a pie quedo. Pusieron meson en manzilla, que despues se llamô de las mulas [...]. Verdad es que no assentô de todo punto el meson, hasta que nos vios a sus hijas buenas moças y rezias para seruir, que vn meson muele los lomos a vna mujer, sino ay quien la ayude a lleuar la carga. El dia que assentô el meson, eramos tres hermanas buenas moças, y de buen fregado (otras tres gracias) bien auenidas en lo publico, aunque en lo secreto, cada qual estornudaua como el humor la ayudaba. 540  

In queste righe Justina allude prima, velatamente, alle attività erotiche, necessarie alla prosperità della locanda, della mesonera (“muele los lomos...”, “lleuar la carga...”), poi, con tutta chiarezza, a quelle delle figlie definendole “buenas moças, y de buen fregado” 541 (più tardi anche le cugine, che saranno sue compagne alla romería fatta ad Arenillas, saranno definite “vnas primillas mias de buen fregado” 542). Infatti la ragazza, o la donna, de buen fregado – espressione che non si riferisce minimamente a lavori domestici –, altro non era se non la puttana, come documenta il Tesoro (1611) di Sebastián de Covarrubias : “Muger de buen fregado, la deshonesta que se refriega con todos”. 543 Anche il Tesoro  







537   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO PRIMERO, INTITVLADO LA PICARA Montañesa. CAPITVLO SEGVNDO [TERCERO !] DE LA vida de el meson. NVMERO TERCERO DE LA muerte de los Mesoneros », pp. 106-107. 538   Allusione alle Isole Bermudas e al terrore che provocavano nei naviganti le violente tempeste delle loro coste. Cfr. Julio Puyol y Alonso : « Glosario », p. 126. 539   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO PRIMERO, INTITVLADO LA PICARA Montañesa. CAPITVLO SEGVNDO [TERCERO !] DE LA vida de el meson. NVMERO SEGVNDO DE LA Mesonera Astuta », p. 87 [85 !]. Piú avanti Justina dirà che “las hijas son esponjas de las madres”. E ancora : “Señores los mis señores, compadèceos desta pobre, que tales alajas de inclinaciones heredô de aquella que la pario vna vez y mil la tornô al vientre, para renouar las marañas, que en mi esculpio al principio” (« NVMERO TERCERO DE LA muerte de los Mesoneros », pp. 108-109). 540   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO PRIMERO, INTITVLADO LA PICARA Montañesa. CAPITVLO SEGVNDO [TERCERO !] DE LA vida de el meson. Numero primero. De el mesonero consejero », p. 74. 541   Nella risposta a Marcos Méndez Pavón Justina darà al fullero questo consiglio : “quando viere vna moça de buen fregado como yo carilucia barbiponiente, pieça suelta, sin tio ni sobrino al lado, y sin can que la ladre, sino solo con su borrico, y su picarico, y su baldeo, y moça de la jabega y a Dios que me mudo, no la crea santiguese della [...], conjurela, y por reluzir que vea las cosas, no piense que son oro, aunque se lo diga vn platero de oro, o vn orero de plata, que debaxo de vn bolsito de tela ay mil telas, y mil engaños” (Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO DE la Picara Romera. Capitulo III. De las dos cartas graciosas », p. 67). Come spiega María Inés Chamorro (Tesoro de villanos, p. 505), che cita proprio questo passo della Pícara Justina, moza de jábega significa “pícara, ladrona, manceba”. 542   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO SEGVNDO INTITVLADO LA PICARA Romera. En que se trata la jornada de Arenillas. CAPITVLO PRIMERO, de la Romera Baylona. NVMERO TERCERO DEL Conuite alegre, y triste », p. 131. 543   S. de Covarrubias Orozco : Tesoro de la lengua castellana o española, art. « Fregar », p. 559. Anche il Diccio 















































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de las dos Lenguas Francesa y Española (1.ª ed. Paris : Marc Orry 1606) di César Oudin registra l’espressione mujer de buen fregado e la spiega cosí : “une femme deshonneste, qui a affaire à tout chacun”. 544 Nella stessa Pícara Justina è illustrato chiaramente il significato dell’espressione laddove è narrata la lite della protagonista con le “bordionas” (rameras 545) incontrate al Santuario de la Virgen del Camino : “Por pocas se aluorotara el bodegon, porque como dixe de bordionas, y estauan alli tres romeras de no mal fregado [...], sobre que mente bordionas, por poco me bordonearan los ocicos con sus bordoncicos...”. 546 Il significato osceno dell’espressione, sfuggito ai curatori delle moderne edizioni della Pícara Justina e ad altri studiosi dell’opera, è comunque evidente (si pensi anche alle parole latine fricare, frictrix, frictura e al verbo italiano fregare). Quale fosse l’attività di una mesonera (o ventera), automaticamente associata alla figura della ramera e della alcahueta, 547 e di una “moça de meson”, quasi sinonimo di prostituta, o perlomeno di donna di facili costumi, 548 era d’altronde immediatamente  















nario de Autoridades, alla voce FREGADO, registra l’espressione : “Muger de buen fregado. Se llama la que es de buen rostro y tiene desembarazo y despejo. Lat. Nitida mulier, expeditaque. PIC. JUST. f. 44. Eramos tres hermanas, buenas mozas y de buen fregado” (Diccionario de la Lengua Castellana. Tomo III. Madrid 1732, p. 793). 544   Cit. da José Luis Alonso Hernández (El lenguaje de los maleantes españoles de los siglos XVI y XVII : La Germanía, p. 25), che ha utilizzato il facsimile (Paris : Ed. HispanoAmericanas 1968) della edizione del Tesoro del 1675. Il Tesoro di César Oudin ha sicuramente ripreso la definizione dal Tesoro di Sebastián de Covarrubias. Nell’edizione del Tesoro di César Oudin del 1616 essa non figura ancora. Vi figurerà, se non già in edizioni posteriori (Paris 1625, 1642, 1645. – Bruxelles 1625, 1650, – Paris 1660), sicuramente nell’edizione del 1675 (Lyon : Jean-Baptiste Bourlier et Laurent Aubin), nel cui frontespizio si dichiara esplicitamente che il Tesoro di César Oudin è stato “enriquecido de muchos vocablos, frasis, proverbios o sentencias sacadas del Tesoro de Covarruvias”. Cfr. Alejandro Cioranescu : Bibliografía francoespañola (1600-1715). Madrid 1977 (= Anejos del Boletín de la Real Academia Española, Anejo XXXVI), p. 493 (nro. 3477 e 3478). – TESORO | DE LAS DOS LENGVAS | FRANCESA Y ESPAÑOLA. | THRESOR DES DEVX | LANGVES FRANÇOISE ET ESPAGNOLLE : | AVQVEL EST CONTENVE L’EXPLICATION | de toutes les deux respectiuement l’vne par | l’autre : Diuisé en deux parties. | Par CESAR OVDIN, Secretaire Interprete du Roy és langues | Germanique, Italienne & Espagnolle, & Secretaire | ordinaire de Monseigneur le Prince de Condé. | Reueu, corrigé, augmenté, illustré & enrichy en ceste seconde Edition d’vn | grand nombre de Dictions & Phrases & d’vn Vocabulaire des mots | de jargon en langue Espagnolle, par le mesme Autheur. | [Vignetta] | A PARIS, | Chez la Vefve MARC ORRY, ruë sainct Iacques, à l’enseigne du Lyon Rampant. | [Linea tipografica] | M.DC.XVI. | [Linea tipografica] | AVEC PRIVILEGE DV ROY. (Madrid, Biblioteca Nacional : R-i/ 32). 545   César Hernández Alonso – Beatriz Sanz Alonso : Diccionario de germanía, p. 86. – María Inés Chamorro : Tesoro de villanos, p. 163. 546   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO DE la Picara Romera. Capitulo. IIII. De la romera de Leon. Num. 4. del pleyto de la Romera con Iustina », p. 101. 547   Nella Crónica burlesca di Don Francés de Zúñiga si trova, per esempio, questa frase : “Quiteria de Burgos, ramera vieja que por sus méritos es ya mesonera” (Crónica burlesca del Emperador Carlos V. Edición, introducción y notas de José Antonio Sánchez Paso, p. 94). Nella Farça de Salomon si legge che le rameras “a la vejez alcahuetas / o venteras rremanesçen”. Cfr. Recopilación en metro del Bachiller Diego Sánchez de Badajoz (Sevilla, 1554). Reproducida en facsímile por la Academia Española. Madrid : Tipografía de Archivos 1929, p. XXXIXv. Nella commedia La Lena (1602) di Alfonso Velázquez de Velasco s’incontra questo proverbio : “siempre la Ramera, Tercera, Muere, ò Mesonera”. Cfr. [Alfonso Velázquez de Velasco :] LA LENA. | POR | D. A. D. V. | Pinciano. | Al Illustriss. y Excellentiss. S. D. Pedro Enri- | quez de Azebedo, Conde de Fuentes, d’el | Consejo d’Estado, Gouvernador del de | Milan y Capitan general en | Italia, por el Rey Cato- | lico N. S. | [Marca tipografica] | [Linea tipografica] | EN MILAN, | Por los herederos del quon. Pacifico Poncio, & | Iuan Baptista Picalia compañeros. 1602. | [Linea tipografica] | Con licencia de los Superiores. (Madrid, Biblioteca Nacional : R/ 13633), p. 12. María, la protagonista de La mesonera del cielo, diventa, dopo esser stata sedotta e abbandonata da Alejandro, “mesonera” e naturalmente “ramera” (Antonio Mira de Amescua : Teatro completo. Volumen II. Edición coordinada por Agustín de la Granja. Granada : Universidad de Granada - Diputación de Granada 2002, p. 524, p. 528, p. 546, p. 548, p. 554). 548   Sebastian de Horozco registra il proverbio “La poma en el sequero / y la moça en el meson / maduran antes de saçon“ e lo glossa cosí : “Es ya cosa muy usada / que en qualquier meson la moça / es de todos pellizcada / retoçada y arrimada / y es ruin quien no la retoça. / Y assí dicen con raçon / que la poma en  







































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chiaro al lettore. Justina, che già nel Libro I aveva dedicato un’ampia descrizione alle moças de meson, 549 illustra all’inizio della seconda parte del Libro II ancor più chiaramente l’attività svolta da queste giovani donne, chiamate ora “moçitas de munición”, cioè prostitute 550 (o, come spiega più dettagliatamente Antonio Rey Hazas, “mujeres publicas por cuenta del mesón para el equipamiento de los huéspedes” 551). La loro attività è identica a quella a cui si dedicavano Justina stessa e le sue sorelle, con abilità molto superiore però grazie alla guida sapiente della madre, definita “Circe”, cioè “ramera” 552 :  









Diome gusto que vi, bien proueydo el meson : y sin duda lo estaua mejor que el mio (digo) de alajas, mas no de astucias : que a las moçitas de municion, se les via el juego a legua, parecian todas sus traças hijas de clerigo, segun se traslucian ellas de intencion bien pecadoras, mas faltauales, la sal y el saber, faltauanles [faltauales !] el consejo de vna buena madre que yo tuue, la qual con media espolada de ojos, nos hazia andar a las quinze sino es que la mano de su relox anduuiesse de posta, que para esto caso, no auia regla cierta, si era necessario, con vn mesmo candil nos hazia alumbrar, y deslumbrar. Era ella vna Circe : y mi padre, otro Estabulario, tal que no les faltaua sino conuertir a los huespedes en mulas : y si hizieran, si no temieran, que siendo todos mulas, todos comieran la ceuada, y ninguno la pagara. Yo no se como no fundaron vna vniuersidad de mesoneros, que otras ha auido de menos consideracion, a lo menos, prouecho, assi que las moçitas deste meson, eran en grado superlatiuo boquirruuias, cuytaditas, no tenian maestra, que auian de hazer ? quien tuuiera lugar, para hazerles buena obra ? lastima les tuue. El otro para llamar siempre a vno dezian el señor fulano muchas vezes come sin plato, yo se lo  













el sequero / y la moça en el meson / maduran ante saçon / siendo de todos terrero.” La glossa al proverbio “Moça de meson / entra sin miedo y guarda el / volson” è ancor più cruda : “Quando ya la moça va / a servir en un meson / clara cosa y cierto esta / que puede qualquiera ya / jugar con ella al choclon [joder]. / No le sera ya forçado / que con ella se requiebre / pues que quando alli a llegado / deve de aver desculado / mas de ciento y un pesebre...” (Sebastián de Horozco : Teatro Universal de Proverbios. Edición, introducción, índices y glosario de José Luis Alonso Hernández, p. 323, nro. 1507 ; p. 405, nro. 1919). Hernán Núnez cita questi proverbi : “La poma en el sequero y la moça en el mesón, maduran antes de sazón”. – “Figa verdal y moça de hostal, palpan[do] se madura. El valenciano : Higo verde y moça de mesón, pellizcando maduran” (Hernán Núñez : Refranes o proverbios en romance. Edición crítica de Louis Combet, Julia Sevilla Muñoz, Germán Conde Tarrío y Josep Guia i Marín. Tomo I, p. 135, nro. 4196 ; p. 433, nro. 3312). Il secondo proverbio è riprodotto anche da Gonzalo Correas (“Figa verdal y moza de hostal, palpándose madura”), che annota pure questi : “La liebre búscala en el cantón, y la puta en el mesón”. – “Ni moza de mesonero, ni costal de carbonero. Sin agujero”. – “No compres asno de recuero, ni te cases con hija de mesonero”. Cfr. Gonzalo Correas : Vocabulario de refranes y frases proverbiales (1627). Edición de Louis Combet, p. 357, p. 424, p. 552, p. 560. 549   “La moça del meson ; esto es en conclusion. En andar, gonçe : en pedir, pobre. De dia, borrega : de noche, mega. En prometer, larga : en cumplir, manca. Antes de mesa, perrilla : despues de mesa, grifa. En enredos, hilo Portugues : al fallo, puerco montes. Lo empeñado, todo : lo vendido, nada, o poco. Vna alforja de baylar : y otra de trabajar. En la bolsa, municion : en la cara siempre vncion : cumplir, con todos : amistad, con los mas bouos. Lo pagado passe : lo rogado no vale. De ordinario, alegria : y siempre, tapagija. Y ayres volan, y a Dios, que es esquila, que con dezir, viene mama, y rascar la cofia, se auientan los nublados, y no deuo mas” (Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO PRIMERO, INTITVLADO LA PICARA Montañesa. CAPITVLO SEGVNDO [TERCERO !] DE LA vida de el meson. NVMERO TERCERO DE LA muerte de los Mesoneros », p. 107). Sull’immagine della mesonera e della moza de mesón nella letteratura del Siglo de Oro cfr. Monique Joly : La bourle et son interpretation, pp. 394-446. 550   María Inés Chamorro : Tesoro de villanos, p. 586. 551   la pícara justina. 2. Edición preparada por Antonio Rey Hazas, p. 389, nota nro. 45. 552   Los Emblemas de ALCIATO traducidos en rhimas Españolas (por Bernardino Daza Pinciano). En Lyon por Gvillielmo Rovillio 1549 (Ed. facs. preparada por Rafael Zafra. Barcelona : José J. de Olañeta 2003), p.171 (Alciatus, Embl. 85, « CAUENDUM A MERETRICIBUS » : “Indicat illustri meretricem nomine Circe). L’emblema di Alciatus è ricordato da Sebastián de Covarrubias : Suplemento al Tesoro de la Lengua Española Castellana. Edición de Georgina Dopico y Jacques Lezra. Madrid : Ediciones Polifemo 2001, pp. 172-173 (art. « Circe »). Nella sua Declaracion magistral sobre las Emblemas de Andres Alciato (Najera : Iuan de Mongaston 1615) Diego López definisce Circe “grande ramera”. Cfr. Antonio Bernat Vistarini – John T. Cull : Enciclopedia de Emblemas Españoles Ilustrados (= Akal/Diccionarios, 23). Madrid : Akal 1999, p. 256.  











































































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dixe a las bobillas, por ver si auian aportado a la prouincia de pulla, siquiera de barbabento : y me respondieron, si el pan, y pensaron que auian hilado beatillas. Estando pues contemplando profundamente, la someria destas parbolitas, y examinando vna dellas que segun me dio a entender pretendia sacar carta de examen : y para poder publicamente hazer su labor (digo de mesonera) sin temer malsines, quiso mi buena suerte... [...]. 553  





Justina è una romera instancabile. Intraprende numerose romerías subito dopo la morte dei suoi genitori e, in particolare, dopo il suo ritorno da Rioseco (“di en hazer las romerias cosarias, que son yr a las mas lexos” 554). Ebbene, come testimoniano i trattati morali 555 e numerosi proverbi, romera e ramera erano quasi sinonimi (“Ir romera y volver ramera” ; “Moza muy disantera, o gran romera o gran ramera” ; “Muchas van en romería que paran en ramería” 556). Pero Grullo annuncia ai compagni della Bigornia il suo connubio – “la boda de picara y picaro” 557 poi non si realizzerà – con Justina con queste parole : “vuestro Monarca se casa con su marca”. 558 Il bachiller Marcos Méndez Pavón scrive a Justina : “te digo, que Marcos te llama Marca, de mas de marca” 559 ( Justina stessa scrive “yo era mesonera mayor de marca”, 560 giocando sul doppio senso dei due sostantivi). La marca – come la  





















553   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO : De la Picara Romera. Capitulo I. De la jornada de Leon. Numero tercero. de la entrada de Leon », pp. 25-26. 554   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO TERCERO DE LA PICARA PLEYTISTA. Capitulo sexto, de la partida de Rioseco », p. 230. 555   Nel Libro intitvlado, Vida politica de todos los estados de mugeres, Fray Juan de la Cerda, padre francescano, raccomanda alle madri di non inviare le figlie “con siruientes, ni escuderos a deuociones y romerias rebueltas, tapadas y hechas cocos, porque no acaezca que vayan romeras, y bueluan rameras”. Cfr. LIBRO | INTITVLADO, | VIDA POLITICA DE TODOS LOS ES- | tados de mugeres : en el qual se dan muy prouechosos y Chri- | stianos documentos y auisos, para criarse y conseruarse | deuidamente las Mugeres en sus | estados. | Diuidese este libro en cinco Tratados. El primero es, del estado de las Don- | zellas. El segundo, de las Monjas. El tercero, de las casadas. El quarto, de | las Biudas. El quinto, contiene diuersos capitulos de | Mugeres en general. | Con vn Indice Alphabetico muy copioso de materias, que siruen de | lugares comunes. | Compuesto por el P. F. Iuan de la Cerda, natural de Tendilla, de la | Orden de S. Francisco, y de la Prouincia de Castilla. | DIRIGIDO A SV ALTEZA DE LA | Infanta Doña MARGARITA de AVSTRIA, Monja en | el santo Monesterio de las Descalças de Madrid. | [Vignetta : Madonna col Bambino] | Con priuilegio de Castilla y Aragon. | Impresso en Alcala de Henares, en casa de Iuan Gracian, | que sea en gloria. | [Linea tipografica] | Año. M.D.XC.IX. (Madrid, Biblioteca Nacional : R/ 28425), fol. 17r. Secondo Pedro de Luján le romerías erano occasione di rovina anche per gli uomini sposati : “Andar en los pasos que andáis, ir a las romerías o ramerías que is, no puede traer esto provecho sino daño de vuestra honra, disipación de vuestra casa, perdimiento de vuestra hacienda, porque a la hora que una mujer vee que no se puede con vos casar, no ha de procurar sino de os pelar.” Cfr. Coloquios matrimoniales. [Sevilla : Dominico de Robertis 1550.] Edición de Asunción Rallo Gruss. (= Anejos del Boletín de la Real Academia Española. Anejo XLVIII). Madrid 1990, pp. 141-142. In uno dei suoi sermoni burleschi (« Domingo de ramos. A unos estudiantes ») Don Amaro ( José Amaro Sánchez. – Don Amaro Rodríguez) afferma che non vi era pellegrinaggio e sagra dove non si trovassero studenti : “No hay romería donde estos colegiales no se hallen ; en todas partes están, como la mala ventura” (Sermones predicables del loco Don Amaro. Edición y notas Introductorias, por Luis Estepa. Madrid : Mayo de Oro 1987, p. 223). 556   Gonzalo Correas : Vocabulario de refranes y frases proverbiales (1627). Edición de Louis Combet, p. 401, p. 530, p. 533. Da tener infine presente che romería aveva anche il significato di “lugar de rameras” (María Inés Chamorro : Tesoro de villanos, p. 715). 557   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO SEGVNDO INTITVLADO LA PICARA Romera. En que se trata la jornada de Arenillas. CAPITVLO SEGVNDO DE LA Vigornia burlada. NVMERO SEGVNDO DEL parlamento loco », p. 167. 558   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO SEGVNDO INTITVLADO LA PICARA Romera. En que se trata la jornada de Arenillas. CAPITVLO SEGVNDO DE LA Vigornia burlada. NVMERO SEGVNDO DEL parlamento loco », p. 163 (si v. anche p. 161, « ESTANCIAS DE CONSONANCIA DOBLE en vn mismo verso » : “Amigos ... Oy se casa el Monarca, con su Marca”). 559   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO DE la Picara Romera. Capitulo. III. De las dos cartas graciosas », p. 63. 560   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « TERCERA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO De la Picara Romera. Capitulo 4. de la partida de Leon. Numero 2. del desenojo astuto », p. 178.  













   







































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marcada, la marquida, la marquisa e la marquesa 561 ( Justina : Marquesa del Gasto, Marquesa de Trapisonda, 562 Marquesa de las Motas, Marquesa 563) – altro non è che la prostituta, la mujer pública 564 (Quevedo scrisse una jácara “A la salud de las marcas” 565). In una certa occasione Justina scrive che procurava di ribattere alle pullas “con el mejor consonante que podia destilar mi alquitara”. 566 La parola alquitara (alcatara, alquitarre) significa sia alambique che “coño” e soprattutto “el coño de la prostituta” (poi per sineddoche la parola passa a significare la prostituta stessa). 567 In un’altra occasione Justina si definisce “descosida”, 568 vocabolo che significa sia “mujer que ha perdido la virginidad”, sia prostituta o “prostituta de baja categoría”. 569 Dopo l’avventura della Bigornia, Justina annota : “Despues que reposê en mi casa, y se me assento la cosera, hize libro nueuo.” ! 570  





















   

561   Nei Romances de Germania pubblicati da Juan Hidalgo le parola marca, marcas, marquida e marquisa ricorrono con frequenza. Cfr. ROMANCES | DE | GERMANÍA | DE VARIOS AUTORES, | CON EL | VOCABULARIO | POR LA ORDEN DEL a. b. c. | para declaracion de sus términos y lengua. | COMPUESTO | POR | JÚAN HIDALGO : | EL DISCURSO DE LA EXPULSION DE LOS GITANOS, | que escribió el Doctor Don Sancho de Moncada, | Catedratico de Sagrada Escritura en la Universidad | de Toledo, | Y LOS ROMANCES DE LA GERMANIA | QUE ESCRIBIÒ DON FRANCISCO DE QUEVEDO. | CON LICENCIA. | [Doppia linea tipografica] | EN MADRID, POR DON ANTONIO DE SANCHA. | AÑO DE M.DCC.LXXIX. | [Linea tipografica] / Se hallará en su Libreria en la Aduana vieja (facs. Sevilla : Extramuros Edición 2007), p. 10 (qui la Méndez è detta “Marca de Arte Mayor”), p. 11, p. 16, p. 17, p. 19, p. 20, p. 22, p. 26, p. 31, p. 35, p. 38, p. 46, p. 48, p. 52, p. 53, p. 54, p. 59, p. 60, p. 61, ecc. ecc. 562   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO PRIMERO. CAPITVLO SEGVNDO DEL abolengo alegre. Numero Primero. Del abolengo parlero », p. 57. 563   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO TERCERO DE LA PICARA PLEYTISTA. Capitulo segundo, de la Marquesa de las Motas », p. 197, p. 207. 564   Cfr. José Luis Alonso Hernández : El lenguaje de los maleantes españoles de los siglos XVI y XVII : La Germanía p. 36, pp. 63-64, p. 71, p. 152. – César Hernández Alonso – Beatriz Sanz Alonso : Diccionario de germanía, p. 321, p. 323. – María Inés Chamorro : Tesoro de villanos, pp. 566-567, pp. 570-571. 565   Cfr. Francisco de Quevedo : Obra poética. Edición de José Manuel Blecua III, pp. 335-339 (nro. 861). 566   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO : DE la Picara Romera. Capitulo. I. De la jornada de Leon. Numero segundo de la pulla del fullero », p. 16. 567   José Luis Alonso Hernández : El lenguaje de los maleantes españoles de los siglos XVI y XVII : La Germanía, p. 51. Cfr. anche María Inés Chamorro : Tesoro de villanos, pp. 75-76, p. 84. Nella Lozana andaluza è documentata la parola alcatara : “[Lozana] No quiero que de mí se diga puta de todo trance, alcatara a la fin”. – “[Sagüeso :] ... aquel acemilón de su criado es causa que pierda yo ... el susidio d’esta alcatara de putas y alcancia de bodas y alambique de cortesanas” (Francisco Delicado : La Lozana Andaluza. Edición de Bruno Damiani, p. 172, p. 199). Ricordiamo anche questi versi di Quevedo : “Las putas cotorreras y zurrapas, / alquitaras de pijas y carajos, / habiendo culeado los dos mapas, / engarzadas en cuernos y en andrajos, / cansadas de quitar salud y capas, / llenaron esta boda de zancajos”. – “Tras esta alquitara rubia / truje a don Cosme penando ...”. Cfr. Francisco de Quevedo : Obra poética. II. Edición de José Manuel Blecua, p. 55, nro. 594 (“Casóse la Linterna y el Tintero”) ; pp. 264-270, nro. 687 (Confisión que hacen los mantos de sus culpas, en la Premática de no taparse las mujeres : “Allá van nuestros delitos...”). Il Diccionario de Autoridades cita questo verso di Quevedo : “Erase una alquitára pensativa” (Tom. I, p. 243, voce « ALQUITARA »). 568   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO DE la Picara Romera. Capitulo IIII. De la romera de Leon. Numero primero de la romera dormida y dispierta », p. 79. 569   César Hernández Alonso – Beatriz Sanz Alonso : Diccionario de germanía, pp. 183-184. – María Inés Chamorro : Tesoro de villanos, p. 325. 570   Libro de entretenimiento. Medina del Campo 1605, « LIBRO SEGVNDO INTITVLADO LA PICARA Romera. En que se trata la jornada de Arenillas. CAPITVLO SEGVNDO DE LA Vigornia burlada. NVMERO TERCERO DE LOS Beodos burlados », p. 180. María Inés Chamorro (Tesoro de villanos, p. 278), dopo aver spiegato che cosera è l’ “órgano sexual femenino”, cita la frase di Justina e cosí la commenta fondandosi sul Diccionario de Autoridades (II, p. 637) e sul « Glosario » di Julio Puyol y Alonso (La Pícara Justina III, p. 148) : “« Cosera es la suerte ó porción de tierra que se riega con el agua de una tanda » (Aut.). Y « así se dice que se asienta la cosera, cuando transcurrido algún tiempo desde que fué regada, va filtrándose el agua y asentándose la tierra removida por el riego » (Puyol y Alonso). En el ejemplo expuesto es una alusión metafórica de tipo sexual. Parece  















































































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Sempre il bachiller Marcos Méndez Pavón dà – questa volta velatamente – della prostituta a Justina, scrivendole : “Menos inconueniente fuera dar en otro vicio menos costoso, en quien aunque lleuara carga, pero no de restitucion. No le declaro el vicio, porque de esse menester se le intiende mucho. [...] el vicio que yo digo y el hurto, son grandes camaradas.” 571 L’inganno al quale la “Princesa de la trampa” 572 ricorre nella prima notte di nozze per evitare che al marito Lozano sorgessero dubbi sulla sua virginità, costituisce la prova certa che Justina la sua tanto proclamata entereza da buon tempo l’aveva perduta :  







Yo bien sabia mi entereça, y que mi virginidad daria de si señal honrosa, esmaltando con los corrientes rubies, la blanca plata de las sauanas nuptiales, pero sabiendo algunos engaños, y malas suertes que han sucedido a moças honradas me preuine. Que si esto vuieran echo algunas mugeres casadas con maridos tomines, no vuieran padecido tantos trabajos con sus maridos incredulos, y proteruos, que les parece que no ay virginidad carboniçada que le baste para serlo ser confesadera sino que por fuerça ha de ser martile sanguinolenta, y morcillera. Y engañanse que ay tiempos en que el auer precedido de proximo abundancia causa esterilidad. Lo otro que ay sujetos auertizes como prados concegiles, y otras tienen otras escusas mas para dichas entre sopa y brindes, que para escritas en papel. Yo se que mi marido no se quexarâ de mi en esta materia, quanto y mas que ingenio tenia yo para si quisiera andar a engañar motolitos, vender quebrado por sano. Mas no me de Dios tal dicha. Con todo esso amigo auison que las inuenciones de las mugeres para en semejantes casos, son raras, porque tienen la experiencia por maestra, la necessidad por repetidora, y la inclinacion por libro. 573  

Non dimentichiamo, infine, che Justina confessa di essere, già prima di intraprendere il viaggio alla città di Léon, maestra “de lo criminal”. 574 Ma torniamo alle interpretazioni di Antonio Rey Hazas. Approfondendo in Parodia de la retórica y visión crítica del mundo en « La Pícara Justina » (1984), i rapporti, ai quali aveva già accennato nel saggio La compleja faz de una pícara, 575 del Libro de entretenimiento con la retorica, lo studioso afferma che Francisco López de Úbeda critica burlescamente nel suo romanzo picaresco 576 la dottrina deterministica contenuta in opere come la Rhetorica en lengua Castellana (Alcalá de Henares : Juan de Brocar 1541) di Fray Miguel de Salinas  











querer decir que después de mucho realizar el acto sexual se tranquilizó.” Lo stesso significato di cosera ha la parola coso. Nella Lozana Andaluza si legge : “En el coso te tengo, la garrocha es buena, no quiero sino vérosla tirar.” – “Andá, entrá, y empleá vuestra garrocha. Entrá en coso, que yo’s veo que venís como estudiante que durmió en duro, que contaba las estrellas”. Cfr. Francisco Delicado : La Lozana Andaluza. Edición de Bruno Damiani, p. 75, p. 106. 571   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO DE la Picara Romera. Capitulo. III. De las dos cartas graciosas », p. 60. 572   Libro de entretenimiento. Medina del Campo 1605, « LIBRO SEGVNDO INTITVLADO LA PICARA Romera. En que se trata la jornada de Arenillas. CAPITVLO SEGVNDO DE LA Vigornia burlada. NVMERO TERCERO DE LOS Beodos burlados », p. 173 (« OCTAVA DE CONSONANTES. hinchados, y difficiles »). 573   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO QVARTO. DE LA PICARA NOBIA. CAPITVLO QVINTO DE LA boda del meson », pp. 45-46. 574   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO DE la Picara Romera. Capitulo. I. De la jornada de Leon. Numero primero, Del afeyte mal[em] pleado », p. 3. 575   Antonio Rey Hazas : La compleja faz de una pícara, pp. 108-109. 576   Sulla indubbia appartenenza della Pícara Justina al genere picaresco Antonio Rey Hazas ha scritto il saggio, già ricordato, intitolato : Precisiones sobre el género literario de La Pícara Justina. Cfr. inoltre María Soledad Arredondo : Pícaras. Mujeres de mal vivir en la narrativa del Siglo de Oro. In : Dicenda. Cuadernos de Filología Hispánica, n.° 11, Madrid 1993, pp. 11-33 ; qui p. 15 e p. 27. – Katharina Niemeyer : « ¿Quién creerá que no he de decir más mentiras que letras ? » El Libro de entretenimiento de la pícara Justina, de Francisco López de Úbeda (Medina del Campo, 1605), pp. 193-221. – Juan Antonio Garrido Ardila : El género picaresco en la crítica literaria (= Colección « Estudios Críticos de Literatura », 34). Madrid : Biblioteca Nueva 2008, p. 146.  



































   











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o Los seis libros de la Retórica eclesiástica di Fray Luis de Granada. 577 La “crítica burlesca contra las normas retóricas” è – scrive Antonio Rey Hazas –, nello stesso tempo, una “[crítica burlesca] contra los principios ideológicos imperantes en la época, conforme a los cuales, la herencia y el ambiente determinaban inapelablemente a los hombres”. La critica delle norme retoriche relative alla ereditarietà e all’ambiente implicherebbe anche la critica della “novela picaresca, en la que el determinismo es condición sine qua non, a causa del obligado linaje vil del antihéroe”. 578 La ragione per la quale Francisco López de Úbeda rifiuta il determinismo sarebbe questa :  





El converso Francisco López de Úbeda, médico bufonesco al servicio de otro converso ennoblecido (– Rodrigo Calderón, futuro marqués de Siete Iglesias y valido del valido – [...]), no podía compartir el determinismo del linaje que propugnaban los preceptos retóricos y los cánones ideológicos de la hidalguía, simultáneamente, porque eso implicaba aceptar su propia situación de marginado. Frente a Quevedo, por ejemplo, que, desde su atalaya nobiliaria, proyectaba todo su genio verbal portentoso contra las que a él le parecían grotescas pretensiones ennoblecedoras del pícaro converso Pablos de Segovia, de vil ascendencia ; López de Úbeda, por las mismas fechas, hacía justo lo contrario : reírse descaradamente de la supuesta marca que imprimía la herencia, del teórico estigma que comportaba la sangre adquirida al nacer. Por eso construía en paródica contradicción su novela, presentando a una ramera en el exordio que luego iba a vivir en olor de santidad sexual, o acentuando los rasgos que, aparentemente, la definían como buscona, mediante abundantísima carga de todas las circunstancias conducentes a ello, a fin de, a la postre, mostrarla pura como una vestal, casta como Lucrecia. De ese modo, la ingeniosa parodia arrojaba sus envenenados dardos tanto contra las reglas retóricas, como contra las normas sociales y morales rectoras de su sociedad : las de la nobleza. 579  







Le argomentazioni di Antonio Rey Hazas, che – come abbiamo visto – aveva messo acutamente in rilievo il “forte aristocraticismo” della Pícara Justina e il suo burlarsi di coloro che essendo di “bassa condizione” sociale pretendono accedere alla nobiltà, appaiono piú sottili che solide. Le “norme retoriche” sulla ereditarietà biologica e l’influsso dell’ambiente non erano, infatti, formulate in maniera assoluta, come pretende lo studioso. Nello stesso passo da lui trascritto dalla Rhetorica en lengua Castellana di Fray Miguel de Salinas si precisa che soltanto “por la mayor parte, los hijos son como sus padres”, mentre nel passo trascritto da Los seis libros de la Retórica eclesiástica sono state omesse queste righe : “Y de aquí tambien tomamos motivo para amplificar la maldad de los que degeneraron de esta nobleza”. 580 Insomma, né tutti i figli erano come i padri, né il sangue nobile ereditato rendeva impossibile, come già aveva scritto Aristotele nella sua Retorica, 581 la degenerazione.  





La dottrina nobiliare e l’immagine della nobiltà nel Siglo de Oro . Una digressione In tutto il dibattito sulla ‘vera nobiltà’ svoltosi nel XIV e nel XV secolo – da Dante Ali577   Antonio Rey Hazas utilizza la traduzione spagnola – effettuata per iniziativa di José Climent, vescovo di Barcellona, e pubblicata in questa città nel 1770 – dell’opera di Fray Luis de Granada : Ecclesiasticae Rhetoricae, sive de ratione concionandi libri sex. Olysippone, Excudebat Antonius Riberius, expensis Ioannis Hispani Bibliopolae. Anno Domini. 1576. Com Privilegio. 578   Antonio Rey Hazas : Parodia de la retórica y visión crítica del mundo en « La Pícara Justina ». In : Edad de Oro 3 (1984), pp. 201-225 ; qui p. 216. 579   Antonio Rey Hazas : Parodia de la retórica y visión crítica del mundo en « La Pícara Justina », p. 218. 580   Fray Luis de Granada : Los seis libros de la Retórica eclesiástica, o de la manera de predicar. In : F. L. de G. : Obras. Tomo tercero (= Biblioteca de Autores Españoles, XI). Madrid : Atlas 1945, pp. 488-642 ; qui p. 514. 581   Cfr. Aristote : Rhétorique. Tome deuxième (Livre II). Texte établi et traduit par Médéric Dufour. Paris : Société d’Édition « Les Belles Lettres » 1960, p. 96 (1390 b).  



































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ghieri a Rodericus Sánchez de Arévalo, da Coluccio Salutati 582 a Poggio Bracciolini 583 e a Cristoforo Landino, 584 da Fernando del Pulgar 585 a Francesco Patrizi 586 – era stato affermato che la nobiltà “non cade in ischiatta, cioè in stirpe, ma cade ne le singulari persone”, 587 che la trasmissione biologica della nobiltà era impossibile (“nobilitas a parentibus transferri non potest” 588) e che la nobiltà deriva dalla virtù individuale e non dal sangue degli antenati. 589 Nel corso del Cinquecento e all’inizio del Seicento idee analoghe a quelle dei trattatisti del XIV e XV secolo sulla negazione della trasmissione biologica della nobiltà e sulla identificazione della nobiltà con la virtù si ritrovano – per fare alcuni esempi – nella Introductio ad sapientiam (Lovanio 1524) di Juan Luis Vives, 590 nella Silva de va 

















582   Coluccio Salutati : De nobilitate legum et medicinae (1399). A cura di Eugenio Garin (= Edizione Nazionale dei Classici del Pensiero Italiano, 8). Firenze : Vallecchi 1947, p. 8 (“Vera … nobilitas, non in cognatione vel sanguine, sed in virtutibus est”). 583   AD INSIGNEM OMNIQVE LAVDE PRE | stantissimum virum GERARDUM CUMANUM / POGGII | Florentini DE NOBILITATE LIBER [1440]. In : POGGII FLORENTINI ORATORIS | CLARISSIMI AC SEDIS APO. | SECRETARII OPERVM. | Primae partis contenta. | Historia disceptatiua de AVARICIA. | Historiae disceptatiuae CONVIVALES tres. | DE NOBILITATE liber disceptatorius | [...] | 1513 | [Col. : ARGENTINAE | Impensis prouidi IOANNIS | KNOBLOVCHI : litterario praelo | IOANNIS SCHOT | pressum hoc opus | POGGII sub annum Dñi. | MDXIII. Kaleñ. | Septembris] (Wien, Österreichische Nationalbibliothek : *46.E.40), fo. 25r-32r ; qui fo. 30v (“Est enim nobilitas quasi splendor quidam ex virtute progrediens : qui suos possessores illustrat ex quacumque conditione emergentes”). Cfr. ora Poggio Bracciolini : De vera nobilitate. A cura di Davide Canfora (= Edizione Nazionale dei Testi Umanistici, 6). Roma : Edizioni di Storia e Letteratura 2002, p. 31. 584   Cristoforo Landino : De vera nobilitate. Kritisch herausgegeben und eingeleitet von Manfred Lentzen. Genève : Droz 1970, p.72 (la virtù è la “sola atque unica datrix” della vera nobiltà). 585   Cfr. Fernando del Pulgar : Letras. Edizione critica, introduzione e note a cura di Paola Elia (= Collana di Studi Ispanici. I. Testi critici, 3). Pisa : Giardini 1982, « Letra XIV », p. 70 (“Muchos de los que opinamos de noble sangre veemos pobres e rahezes [bajos, humildes], a quien ni la nobleza de sus primeros pudo quitar pobreza ni dar autoridad ; donde podemos claramente veer que esta nobleza que opinamos, ninguna fuerça natural tiene que la faga permanecer de unos en otros, sino permanesciendo la virtud, que da la verdadera nobleza”). 586   Francisci Patricii senensis pontifi | cis caietani de Institutione Reipublicae libri nouem, hystoriarum | sententiarumque varietate refertissimi, hactenus nunquam | impraessi (...) | [Marca tipografica] | Venales prostant in aedibus honesti viri Galioti a prato Bibliopo | lae Parrhisiensis super divae mariae virginis ponte, & pro columna se- | cunda secus sacellum in palatio Parrhisiensi. | Cum gratia et Priuilegio. (Col. : PARRHISIIS ... ad decimum calendas Decembris. anno a partu virgineo. Milesimo quingentesimo decimooctauo.), Lib. VI, fo. LXXXIIr (Paris, Bibliothèque Nationale : Rés.*E.93). 587   Dante : Convivio. In : Opere di Dante Alighieri. A cura di Fredi Chiappelli. Milano : Mursia 1967, pp. 127291 ; qui p. 266. Pensiero analogo è espresso da Fernando del Pulgar nelle sue Letras : “Dios fizo ommes e no fizo linajes”. Cfr. Fernando del Pulgar : Letras, p. 70 (« Letra XIV »). Niccolò Machiavelli noterà : “È pare, [...] cosa maravigliosa che tutti coloro coloro o la maggiore parte di essi che hanno in questo mondo operato grandissime cose, e intra gli altri della loro etá siano stati eccellenti, abbino avuto il principio e il nascimento loro basso e oscuro”. Cfr. Niccolò Machiavelli : La vita di Castruccio Castracani da Lucca (1520), In : N.M.: Opere. III. A cura di Corrado Vivanti. Torino : Einaudi (Biblioteca della Pléiade) 2005, pp. 277-302 ; qui p. 277. 588   (Rodrigo Sánchez de Arévalo) Speculum vitae humanae | In.quo discutiuntur commoda & incommoda / | dulcia & amara / solatia & miseriae / prospera | & aduersa / laudes & pericula omnium statuum. | Auctor nobilissimi huius libri fuit dominus Rodericus | Episcopus Zamorensis Castellanus / & Referen- | darius Papae Pauli. II. In theologia / vtroque Iure | & omnibus alijs litteris doctissimus | Summus christianae religionis cultor | & defensor / Feruentissimusque & | constantissimus salutis | animarum | Zela | tor (Col. : Johannes prys Ciuis Argentinus in aedibus lustri vulgo zum Thiergarten impressit. [...] Anno salutis. MDVII.), Lib. I, cap. 5-8, fo. VII-XIII ; qui fo. XIv – glossa marginale – (Wien, Österreichische Nationalbibliothek : + 44.P.17). L’editio princeps dell’opera era stata pubblicata a Roma nel 1468. 589   Sul dibattito sulla ‘vera nobiltà’ cfr. A. Martino : Il Lazarillo de Tormes e la sua ricezione in Europa (15541753). Volume I. L’opera, pp. 279-283 e – soprattutto – Claudio Donati : L’idea di nobiltà in Italia. Secoli XIVXVIII. Roma-Bari : Laterza 1995. 590   “Viniendo á la nobleza, ¿qué otra cosa es venir de nobles padres, sino una suerte que os cupo en el nacer ? ó tomando la nobleza como comunmente la toman, ¿qué otra cosa es, sino una opinion sacada de la locura del pueblo, pues vemos muchas veces por cuán malos caminos semejantes noblezas han sido ganadas ? La verda 















































































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capitolo ii

ria lección (Sevilla : Dominico de Robertis 1540) di Pedro Mexía, 591 nel De nobilitate civili (1542) di Jerónimo Osório de Fonseca, 592 nel Libro contra la ambición y codicia desordenada de aqueste tiempo (1556) di Bernardino de Riberol, 593 nel Diálogo entre la cabeza y la gorra di Gutierre de Cetina (1520-1557), 594 nel Diálogo de los pajes (1573) di Diego de Hermosilla, 595  











dera y firme nobleza nace de la virtud ; y es muy gran locura, quien es malo y con sus ruines obras escurece y mengua su ilustre linaje, preciarse que viene de buenos. Deshagámonos de nuestras vanidades, miremos la realidad de la verdad. Todos nuestros cuerpos son hechos de una masa, todos de unos mismos elementos, pues de nuestros ánimos verdaderamente sólo Dios es nuestro padre. No se burle nadie ; que menospreciar la bajeza del linaje es en cierta manera encubiertamente culpar á Dios, que es única causa y verdadero autor de nuestro nacimiento. [...] La honra que no nace de virtud es dañosa y mala ; y si nace de virtud, la misma virtud que la ganó la menosprecia ; que no se puede llamar virtud la que, dejando su verdadero fin, busca el precio en la honra, la cual no buscándola ella misma, de suyo sigue á la virtud. Las que ordinariamente se llaman dignidades, ¿cómo se podrán llamar así si vienen á personas indignas, que no las mereciendo, las ganaron con engaño, con ambicion, con soborno, con premios y otras malas artes ?”. Cfr. Juan Luis Vives : Introducción a la sabiduria [trad. di Diego Astudillo]. In : Obras escogidas de filósofos (= Biblioteca de Autores Españoles, 65). Madrid : Atlas 1953, pp. 239-260 ; qui p. 241. 591   Pedro Mexía : Silva de varia lección. I. Edición de Antonio Castro. Madrid : Cátedra 1989, p. 770 (“de muy sabios y buenos, muchas vezes salen hijos viciosos y viles”). 592   HIERONYMI | OSORII LVSITANI | DE NOBILITATE | CIVILI LIBRI II. | EIVSDEM DE NOBILITATE | CHRISTIANA LIBRI III. | Ad Ludouicum Principem Clariß. Emanuelis | Lusitaniae Regis F. | [Stemma reale] | FLORENTIAE MDLII. | Apud Laurentium Torrentinum. | Cum Priuilegio. (Wien, Österreichische Nationalbibliothek : 48.T.5), pp. 51-52 (“quoniam nihil est in hac vita firmum, stabile & diuturnum : sed omnia sunt fluxa, caduca, & fragilia : fieri non potest, vt hoc generis ornamentum in perpetuum permaneat. Est itaque nobilitas mortalis, vt sunt pleraque bona mortalium. Perinde igitur vt aliarum rerum, sic etiam nobilitatis est quidam flos, & iuuenta : quam deinde maturior aetas excipit, & senium deinde consequitur : mors postremo sic occupat, vt ne vestigium quidem vllum appareat priscae nobilitatis. Alias itaque familias videmus ad laudem excitari, & incendi, quae prius ignotae fuerant : alias maiorum gloriam vix tueri : alias magis, magisque labi : deinde praecipites ad ima deuolui : postremo sempiterna obliuione deleri.”). 593   “El mundo honra y alaba a los que buscan riquezas por qualesquier vias : porque [...] no pregunta nadie sino si tienes. Y no de donde lo ouiste. Pero Dios solamente alaba al que siguiendo su consejo, de rico se haze pobre por amor del : y al que vsa de tal templança, que sin buscar mas, biue contento con su mediania. Dizen [...] que hago caer de su estado al linage y hidalg[u]ia. Lo qual no dirian, si conociessen que la hidalg[u]ia mas consiste en el animo y buenas obras del hombre, que en la sangre ni descendencia. Y aquel es verdaderamente noble, que es virtuoso. Dios hizo hombres, y no hizo linages en que se escogiessen. A todos los hizo nobles en su nascimiento. La vileza o escuridad de la sangre con sus manos la toma el que dexa el camino de la virtud, y se va tras los vicios. Y pues a ninguno se dio election de linage quando nascio : y a todos se da election de costumbres mientras que biuen : cosa seria muy fuera de razon : ser el bueno priuado de honra, y el malo tenerla : aunque sus antepassados la ayan tenido”. Cfr. Bernardino de Riberol : Libro contra la ambición y codicia desordenada de aqueste tiempo : llamado alabanza de la pobreza (Edición facsímil de la primera edición. Sevilla : Martín de Montesdoca 1556). Excma. Mancomunidad de Cabildos de Las Palmas 1980, fo. XLv-XLIr. 594   In questo Diálogo Gutierre de Cetina, riecheggiando Poggio Bracciolini, scrive : “Nobleza es un resplandor nacido de la propia virtud ; así, que quien no tiene virtud no puede dar de sí resplandor ; y si alguno muestra, no es suyo, sino de sus pasados y antecesores. De aquí se sigue que cualquier virtuoso méritamente es llamado noble ; y si bien fuese nacido de bajísima sangre”. Un paio di pagine prima Gutierre de Cetina aveva criticato la nobiltà come ceto per la sua oziosità e ignoranza : “¿Qué quieres que sepa hacer [un noble] ? ¿Ha de ser mecánico un noble ? ¿No sabes que, entre nosotros, los nobles no saben hacer nada, no estudian, ni aprenden nada ? Antes lo tienen por cosa baja y plebeya ; mas estándo siempre ociosos, ó vanse á pasear cuando quieren ; alguna vez van á caza y la mayor ocupación que tienen y su mayor recreación es ver la cuenta de su mayordomo de casa ó la del que mira por su hacienda en el campo”. Cfr. Gutierre de Cetina : Diálogo entre la cabeza y la gorra. In : Obras de Gutierre de Cetina. Con introducción y notas del Doctor D. Joaquín Hazañas y la Rua. Tomo II. Sevilla : Imp. De Francisco de P. Díaz 1895, pp. 163-206 ; qui pp. 186-187 e p. 184. 595   “LORCA. – Quereis sentir, señor Godoy, lo que yo acostumbro a deçir de las ydalguias, que a mi paresçer prinçipalmente no consisten en la livertad de los pechos y tributos, sino en la virtud y magnifiçençia de los coraçones, y en las obras heroycas con que ellas se adquirieron ; y los que agora quieren estribar y presumir dellas, faltandoles nobleza, con que sus pasados las ganaron y se an de sustentar, llámolos yo libres, mas no hidalgos : quiero deçir, que goçan de la libertad de hidalgos, pero yndignamente, pues no tienen los hechos. GODOY. – De esa vuestra opinion creo yo que nasçió el proueruio de que « hese es ydalgo que haze las obras »”. Cfr. Diálogo de la vida de los Pajes de Palacio. Compuesto por Diego de Hermosilla, Capellán Del Emperador D. Carlos V. Año 1573. Edited, with an Introduction and Notes by Donald MacKenzie (= Publications of the  





























































































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nella Civil conversazione (1574) di Stefano Guazzo, 596 nelle Comparaciones o símiles para los vicios y virtudes (1584) di Juan Pérez de Moya 597 e nella Nueva Filosofia de la Naturaleza del hombre (Madrid : Pedro Madrigal 1587), pubblicata pochi anni dopo la Ecclesiastica Rhetorica, di Miguel Sabuco, 598 nei Discvrsos Morales di Juan de Mora (1589), 599 nel Tratado de Nobleza (Madrid : Viuda de Alonso Gómez 1591) di Fray Juan Benito Guardiola, 600 nelle  













University of Pennsylvania. Series in Romanic Languages and Literatures, No. 7). Valladolid : Montero 1916, pp. 37-38). 596   Stefano Guazzo : La civil conversazione. A cura di Amedeo Quondam. I. Testo e appendice. Modena : Franco Cosimo Panini 1993, pp. 124-136. 597   “A cada uno haze sus obras bueno o malo. Buena es la nobleza, pero muy infame y vil al que no es virtuoso, porque la nobleza del hombre es el ánimo generoso, y la suma nobleza es ser illustre en virtudes. Perece la nobleza en aquel cuya alabança está en sólo su origen y linaje ; mejor es ser virtuoso que, siendo vicioso, venir de los godos. Argumento da de poco valor el que con los buenos hechos de sus passados, sin ningunos proprios, quiere enriquezerse, porque los hechos de los passados no hazen a uno más illustre de lo que sus proprias obras le hizieren. Y pues la nobleza del linaje necessita a los nobles a seguyr la virtud de los suyos, sé virtuoso y començará en ti la nobleza, aunque tus antecessores no la hayan tenido ; que más vale ser principio de nobleza que fin della, más es començar estado que acabarle. Procura, por tanto, la virtud, si eres noble y quieres que te tengan por tal, porque si, siendo bien nacido, eres pecador y baxo en tus costumbres escurecerás la nobleza de tu sangre. La naturaleza a todos hizo yguales [...]. [...] cada día acontece de un mismo padre proceder dos hijos, uno virtuoso y otro vicioso. [...] de una madre puede nacer el noble y el hijo vil” ( Juan Pérez de Moya : Comparaciones o símiles para los vicios y virtudes. – Philosophia secreta. Edición y prólogo de Consolación Baranda. Madrid : Biblioteca Castro 1996, pp. 168-169). 598   “Habeis de saber que la virtud y perfeccion del hombre no desciende ni se propaga en su generacion, como en las plantas, porque aquí solamente basta la simiente de uno, y allí es necesaria la simiente de dos, que si no concurren las dos simientes de varon y mujer, no se engendra ; y da esta mistura de dos se hace una cosa tercera, que ni es ésta ni aquélla, como de vino y agua se hace una tercera cosa, que ni es vino ni es agua ; y así comunmente salen los hijos mezclados, que ni parecen al padre ni á la madre [...]. Y por esto vemos de sabios salir tontos, y de fuertes, cobardes, y de magnánimos y valerosos hombres salir hijos apocados y pusilánimos [...]”. Cfr. Miguel Sabuco : Coloquio de las cosas que mejoran este mundo y sus Repúblicas (1587). In : Obras escogidas de filósofos (= Biblioteca de Autores Españoles, 65). Madrid : Atlas 1953, pp. 372-376 ; qui p. 375. È noto che il Coloquio fa parte dell’opera Nueva Filosofia de la Naturaleza del hombre, pubblicata – come abbiamo già ricordato – sotto il nome di Oliva Sabuco. 599   Il Licenciado Juan de Mora, toledano, dopo aver asserito che la “nobleza verdadera es hija de la virtud”, “que sin virtud no ay nobleza, y que esse es noble el que es virtuoso”, scriveva : “vna cosa es muy cierta […], que el noble y generoso à de estriuar en el firme fundamento de la virtud, porque que aprouecha ser vno generoso y noble, sino tiene virtud : este tal, llamarlehia enmascarado con figura de nobleza, y dissimulado con la sombra de hidalguia : y al fin digo, que en la persona que no ay virtud, verdad, y justicia, tampoco ay cosa que honre à Dios, pues nobleza sola ninguna cosa vale para la diuina Magestad, y para el mundo, que suele mirar con mas atencion las esteriores representaciones, aprouecha muy poco”. Cfr. DISCVRSOS | MORALES. | COMPVESTOS POR IVAN | De Mora, natural de la ciudad | de Toledo. | Dirigidos a Garcia de Loaysa Giron, Maestro | de su Alteza, Capellan, y Limosnero mayor | del Rey don Felipe nuestro señor, Arcediano | de Guadalajara y Canonigo en la Santa ygle | sia de Toledo. | Tratase come biuiran los hombres en las Republicas, y | casas de Reyes, y grandes señores, sin ser mal quistos, | o embidiados : no faltando a lo que es pulicia y honra | Christiana. Y assi mismo se dan muchos auisos | vtiles para conseruar la quietud del | animo en esta vida. | [Piccolo ornamento floreale ] | EN MADRID, | En casa de Pedro Madrigal, | [Linea tipopgrafica] | 1589 (Wien, Österreichische Nationalbibliothek : *44. F. 131.), fo. 87v, fo. 91v, fo. 92r. 600   “[...] la perfecta nobleza es la virtud […], no consiste el ser vno noble en nacer de padres nobles, sino en apacentar bien su alma con el pasto de la virtud. Esta es la verdadera nobleza, y en esto consiste : y engañase el vulgo en juzgar y tener aquel por noble, que hereda la nobleza de sus antepassados, pues es mas honrosa y mejor la que alcançan otros con sus proprias virtudes”. Cfr. TRATADO DE | NOBLEZA, Y DELOS TITV | los y Ditados que oy dia tienen | los varones claros y grandes | de España. | COMPVESTO POR FRAY IVAN | Benito Guardiola monje professo del Monasterio | de Sant Benito el Real de Sahagun. | DIRIGIDO AL PRINCI- | pe Don Philippe hijo del Catho- | lico Rey Don Philippe | nuestro Señor. | [Scudo Reale] | CON PRIVILEGIO. | En Madrid, por la viuda de Alonso Gomez. | Año de M.D.XCI. (Wien, Österreichische Nationalbibliothek : 48. T. 12), fo. 5v. Fray Juan Benito Guardiola crede però alla ereditarietà della virtù : “vemos por experiencia que por la mayor parte de padres buenos nacen buenos hijos, y assi al hombre aprouecha la nobleza de sus antecessores por ciertos secretos, principios y simiente de virtud, que van siempre con la generacion de mano en mano, mayormente quando el principio fue bueno, que parece que es bastante, y tiene fuerça para produzir y engendrar hombres de bien” (Tratado de Nobleza, fo. 62r).  









































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Excelencias de la Monarchia y Reyno de España (Valladolid : Diego Fernández de Córdoba 1597) di Gregorio López Madera, 601 nella Politica para Corregidores y Señores de vassallos (1597) di Jerónimo Castillo de Bobadilla, 602 nel Discvrso acerca de la justicia y buen govierno de España, en los estatutos de limpieza de sangre (1599) di Fray Agustín Salucio, 603 nel Fiel desengaño contra la ociosidad, y los juegos (1603) di Francisco de Luque Faxardo 604 e nel Don Quijote. 605 Si deve anche tener presente che la teologia cattolica – quella posttridentina, in particolare – non poteva accettare il principio del determinismo biologico perché contrastava con la libertà di scegliere e di volere (libero arbitrio), fondamento della responsabilità morale individuale. 606 La negazione della trasmissione biologica della nobiltà e l’identificazione della nobiltà con la virtù vengono, inoltre, fondate spesso in Ispagna, anche per influenza di Erasmo, sulla concezione della forza rigeneratrice del battesimo, che trasforma tutti i fedeli in membri eguali e di pari dignità della comunità del corpo mistico di Cristo, e s’inquadrano, talvolta, nella polemica contro l’idea della limpieza de sangre e i tentativi di emarginare i conversos. Nel suo Enchiridion militis christiani (1501, 1.ª ed. 1503) – l’influsso dell’opera è particolarmente forte in Castiglia, dove fra il 1526 e il 1550 furono pubblicate undici edizioni della sua traduzione spagnola, effettuata da Alonso Fernández de Madrid e intitolata Enquiridio o manual del cauallero christiano 607 –, fondato sulla dottrina paolina del corpo mistico di Cristo, 608 Erasmo aveva negato la nobiltà di nascita (“omnes ignobiles nascimur”), sostenuto che la vera nobiltà consiste nel disprezzare la vana nobiltà (“Vera nobilitas est inanem contemnere nobilitatem”) e che l’essere rinato in Cristo è l’unica, somma nobiltà (“reputa unicam ac summam esse nobilitatem in Christo renatum esse”), 609 e rappresentato estesamente la futilità  



















601   Gregorio López Madera : Excelencias de la Monarquía y Reino de España. Edición y Estudio Preliminar José Luis Bermejo Cabrero. Madrid : Centro de Estudios Políticos y Constitucionales 1999, pp. 69-70. 602   “[…] y pues à ninguno dieron eleccion de linage quando nacio, y à todos se dio eleccion de costumbres quando viven, no parece fuera de razon, ser el bueno admitido à la honra, y el malo privado de tenella, aunque sus primeros los ayan tenido. Muchos de los que reputamos ser nobles de sangre, vemos pobres y viles, a quien ni la nobleza de sus mayores pudo quitar probreza, ni dar autoridad : de donde podemos claramente ver que èsta que juzgamos nobleza, ninguna fuerça natural tiene que la haga permanecer de unos en otros, sino permanece la virtud que da la verdadera nobleza, y la aptitud para el govierno publico y particular” ( Jerónimo Castillo de Bobadilla : Politica para Corregidores y Señores de vassallos, en tiempo de paz, y de guerra. Tomo primero. Amberes : Juan Bautista Verdussen 1704, Lib. I, Cap. IV, num. 9-10, p. 52 ; cfr. anche num. 30-32, pp. 58-59). 603   Fray Augustin Salucio : Discvrso, fo. 31-35, fo. 39, fo. 40r. 604   Francisco de Luque Faxardo : Fiel desengaño contra la ociosidad, y los juegos, I, p. 117. 605   Miguel de Cervantes Saavedra : El Ingenioso Hidalgo Don Qvixote De La Mancha. Madrid : Iuan de la Cuesta 1605, Cap. XXXVI, fo. 216v (“la verdadera nobleza consiste en la virtud”). 606   Sulla libertà dell’uomo secondo la teologia cattolica, cfr. Hubert Jedin : Geschichte des Konzils von Trient. Band I : Die erste Trienter Tagungsperiode 1545/47. Freiburg : Herder 1957, pp. 139-164. – Melquiades Andrés Martín : Pensamiento teológico y vivencia religiosa en la reforma española. In : Historia de la Iglesia en España. III-2.° La Iglesia en la España de los siglos XV y XVI. Dirigido por José Luis González Novalín. Madrid : La Editorial Católica 1980, pp. 269-361 ; qui pp. 323-326. 607   Cfr. Dámaso Alonso : La traducción del Enchiridion de Erasmo por el Arcediano del Alcor (1932). – Las ediciones del Enquiridion castellano (1932). In : D. A. : Obras completas. Tomo II. Estudios y ensayos sobre literatura. Primera parte. Madrid : Gredos 1973, pp. 563-596 e pp. 597-614. Sulla ricezione di Erasmo in Ispagna cfr. la celeberrima monografia di Marcel Bataillon : Erasmo y España. Estudios sobre la historia espiritual del siglo XVI. México-Madrid-Buenos Aires : Fondo de Cultura Económica 1983. 608   Cfr. Erasmus von Rotterdam : Enchiridion militis christiani. Handbüchlein eines christlichen Streiters. Übersetzt, eingeleitet und mit Anmerkungen versehen von Werner Welzig (= E. v. R. : Ausgewählte Schriften. Ausgabe in acht Bänden. Lateinisch und Deutsch, 1. Bd.). Darmstadt : Wissenschaftliche Buchgesellschaft 1968, pp. 272-277. 609   Erasmus von Rotterdam : Enchiridion militis christiani, p. 252.  





















































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e vanità dell’onore mondano (l’unico vero onore sarebbe quello che deriva dalla virtù, ma anche questo deve essere tenuto in poco conto). 610 Così, per esempio, la negazione della possibilità di una trasmissione biologica della nobiltà e la condanna della discriminazione dei conversos, il frate francescano Francisco de Osuna le fonda – nella Primera parte del libro llamado Abecedario Espiritual (Sevilla : Juan Cromberger 1528), dedicata a Don Juan Téllez de Girón, Conte di Ureña, alla cui casa il grande mistico e la sua famiglia erano strettamente legati 611 – proprio sulla concezione della forza rigeneratrice del battesimo e del corpo mistico di Cristo :  







Una nobleza ay natural, que consiste en buena complexión y en devida proporción de umores ; esta nobleza también se halla en los animales. Otra nobleza ay sobrenatural, y es don celestial y gracia que no procede de las fuerças umanas [...]. Otra es nobleza de oficio o dignidad o privança con grandes señores, porque a todos estos dezimos nobles. Otra es nobleza de virtud, alcançada por trabajo, y ésta es más de loar y más propria al hombre. Otra es nobleza de linage, ésta es la que más comúnmente se llama nobleza y de la que más cuenta haze el mundo ciego. Como, según verdad, esta nobleza sea muy apartada del hombre a quien se atribuye, y descienda no dél, sino de sus antepassados, y le sea a él advenediza, prestada y postiza, y le venga muy de lexos, esta nobleza es pluma y ropa de compostura prestada que no sale de lo proprio de la persona, sino viene como agua corriente de otra parte a nos como a estanque y balsa donde muy peor está que en fuente, y a las vezes totalmente se corrompe y hiede el agua que en su fontezica estava buena. La nobleza del linage en los passados, como en fuente, fue buena ; en los descendientes, como estanque y balsa, se corrompe por sobervia queriendo detener y apropriar a sí mismos lo que no es suyo, y piensan que sólo aquello les basta no buscando en sí mesmos ni procurando nobleza de propria virtud. [...] La sangre toda de Adán era sangre de traydores agenos y no merecedores de nobleza ; traydores no a los hombres solamente, mas también a Dios. Nuestros primeros padres nos fueron traydores, pues nos quitaron la nobleza original que Dios en don de justicia nos avía dado ; fueron traydores a nosotros y a Dios, al qual también en esto ofendieron. Tanta, empero, fue la nobleza de Christo que ni por esto dexó de ennoblecer a nosotros y a ellos con su sangre. Esta nobleza y divino parentesco participamos en el sacro baptismo [...]. [...] los baptizados en la sangre de Christo todos son de parte del Sacramento igualmente noblecidos, y quedan igualmente parientes de Christo, por qualquier parte que vengan, y quedan hechos, como dixo el Apóstol, linage de Dios recebidos en la comunión y ayuntamiento de los Sanctos hechos miembros de Christo, y [...], según católica teología, no se puede tener aborrecimiento ni malquerencia, ni rencor, ni acepción o apartamiento con todo un linage o gente sin que el tal que lo tiene peque mortalmente. Muy lícito es examinar las personas y las sospechosas  







610   Erasmus von Rotterdam : Enchiridion militis christiani, p. 348 e pp. 352-356. Idee analoghe si ritrovano nel Colloquio de la honra di Antonio de Torquemada. Cfr. Antonio de Torquemada : Obras completas. I. Madrid : Biblioteca Castro 1994, pp. 357-402 (in partic. p. 361). Nella Eufrosina si legge : “Somos Cristãos. Nenhuma cousa tanto deuemos trazer ante os olhos como estar pelos estatutos que professamos. Esta es a caualaria, esta he a honrra, esta he a nobreza verdadeyra. Ora iuos ao inferno por honrras falsas do mundo, que he assi hum bico de junco” ; “[...] aquelle he de claro sangue que as virtudes o fazem claro”. Cfr. Jorge Ferreira de Vasconcellos : Comedia Eufrosina. Texto de la edición príncipe de 1555 con las variantes de 1561 y 1566. Edición, Prólogo y Notas de Eugenio Asensio. Tomo I (= Biblioteca Hispano-Lusitana, I). Madrid : C.S.I.C. 1951, pp. 356-357, p. 359. 611   Francisco de Osuna : Primer Abecedario Espiritual. Introducción y edición de José Juan Morcillo Pérez (= Místicos Franciscanos Españoles, III). Madrid : Editorial Cisneros 2004, p. 121 (“Como yo dende niño me aya criado a vuestras migajas y mis antecessores ayan sido criados familiares de vuestra casa, parecióme cosa justa ofrecer mi primer fruto donde recebí el favor de mi tierna edad.”). La Tercera Parte del Abecedario, la prima ad esser stata stampata – a Toledo nel 1527 nell’officina di Ramón de Petras –, è dedicata a Don Diego López Pacheco, Duca di Escalona, Marchese di Villena e Conte di Sant Estevan, noto per i suoi stretti rapporti con gli alumbrados. Fray Francisco de Osuna ha dedicato a Don Diego López Pacheco anche Norte de los estados (Sevilla : Bartolomé Pérez 1531). All’Ammiraglio di Castiglia Don Fadrique Enríquez de Cabrera, cognato del Duca di Escalona, Fray Francisco de Osuna ha dedicato il Gracioso Combite de las gracias del Sancto Sacramento del altar (Sevilla : Juan Cromberger 1530).  





















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apartarlas de nosotros, porque allí no se aparta principalmente sino el vicio ; empero, con odio o por qualquiera vía que sea, apartarse a sabiendas de todo un linage como necessariamente en él ha de aver muchos buenos no puede ser sin pecado mortal, pues dello al otro le viene gran perjuyzio, el qual eres obligado a evitar. [...] no creo que [Christo] terná en algo a los parientes de los guzmanes, ni de los mendoças, ni a los christianos viejos, si las virtudes no les dan favor. Dizes que eres christiano viejo y cortas los pinpollos que de nuevo nacen en Christo con el bestial aborrecimiento que les tienes. Si eres siquiera buen christiano – digo siquiera porque no pienses que, sin tener universal amor a todo miembro de Christo y dándole favor en lo que pudieres, serás ni buen religioso, ni buen letrado, ni buen perlado, ni buen señor, ni buen cavallero, ni buen hidalgo, ni buen hombre – ; si eres, pues, siquiera buen christiano, conoce que nuestras ánimas todas son hijas y criadas del universal Padre Dios. [...] Pues que uno es nuestro principio y uno nuestro fin, necedad es hazer tanta diferencia en el medio camino, pues al principio todos fuymos iguales, y de una manera emos de salir del mundo todos los humanos. [...] después de muertos tanto hiede el cuerpo del christiano viejo como el del nuevo, y tanto el cuerpo del noble como el del villano. [...] la Yglesia [...] tiene en sí dos pueblos, que son el pueblo judiego y el gentílico, los quales [...] nunca están en paz. Y el más ruin, que según sant Pablo prueva, es el pueblo gentílico, se lleva la ventaja y la honra teniéndose por mejor ; pero bien sería que, como hermanos, tuviessen la paz que Christo les dexó, pues, en fin, son hermanos, fijos de Christo y de la Iglesia. [...] Todas las hidalguías [...] se fundan en tiranías y riquezas mal ganadas, y por uso y antigüedad de tiempo venimos a dezir que este linage es mejor de aquél. [...] Esta mejoría pienso, sin duda, que se a de reduzir a fantasía, assí que dezir que un linaje es mejor que otro quiera dezir que tiene más fantasía que otro. Salvo si los de mejor linage no quieren bolver por sí diziendo que no quiere dezir aquello sino que un linage ser mejor que otro quiera dezir que es en más tenido que otro, y si dan este sentido a aquella razón, muestran que la nobleza no está en ellos, sino en los que los estiman, porque cosa clara es que la honra más está en el que la haze que no en el que la recibe, según dize el filósofo. Ni querría que alguno se asiesse a aquella razón de Atanasio que dize : Qual es el padre, tal es el hijo, y assí viniesse a concluir que, si de padre noble deciende, ha de ser noble. No es assí, porque aquella razón solamente tiene verdad en las personas divinas y no en las umanas, porque Salomón fue sabio y Roboam, su fijo, muy necio y loco ; y Jonatás fue bueno, y Saúl, su padre, malo. De manera que muchas vezes difieren mucho el padre del fijo y el fijo del padre en las personas umanas, assí que el remate desta mejoría sea aquel dicho de Séneca : Ninguno es más noble que otro sino el que tiene más derecho ingenio y más aparejado para las buenas artes. Si un filósofo viene a dezir esto, un christiano, que tiene lumbre de fe, más avía de dezir, y si Séneca pone la mejoría en la lumbre natural del ingenio, aunque allí esté mejor puesta que en el linage, nosotros no la pongamos sino en la amistad de Dios y en la gracia del Espíritu Sancto, la qual se comunica más a los viles y menospreciados que no a los presuntuosos y altivos. 612  













Nella Primera parte de las diferencias de libros que ay en el vniuerso (Toledo : Juan de Ayala 1540) e nella Breve declaración de las sentencias y vocablos de la Agonía del tránsito de la muerte (Toledo : Juan de Ayala 1543), Alejo Venegas sferra un duro attacco ai nobili per la loro albagia e mancanza di carità, per la loro insensibilità sociale, che si manifesta nel disprezzare, maltrattare e sfruttare gli umili, per la loro superbia, che li rende incapaci di stimare i virtuosi, per il loro falso concetto dell’onore, per la loro oziosità, per i loro vizi. Ma il grande umanista erasmista stigmatizza dei nobili soprattutto la stolta presunzione che li spinge a credere che l’antichità del lignaggio sia superiore al sacramento del battesimo e quindi a dispregiare i convertiti, rendendosi così colpevoli di scisma, di dividere l’indivisibile corpo mistico di Cristo, il più grave e imperdonabile dei peccati mortali :  





612   Francisco de Osuna : Primer Abecedario Espiritual. Introducción y edición de José Juan Morcillo Pérez, pp. 469-479 (Tratado XVII, Cap. II-III).  

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[...] sobre todos son de reyr los que buscan a dios en la nobleza de su linaje : [...] los que [...] se precian de su linage : que no sea para que los incite a virtud y nobleza : y para emplear el fauor que del tienen : fauoreciendo con el a los pobres de christo : sino solamente se precian del : para encastillarse en el / y dende el hazer guerra a los menores / maltratando a los vnos : y menospreciando a los otros : no seria nobleza : sino tirania ser de linage : como si ya que la nobleza de su linage fuera de su cosecha : la vuieran adquirido para armarse con ella contra las virtudes de sus inferiores : y lo peor es : que la antiguedad del linage tiene osadia a tener competencia contra el sacramento del sancto baptismo : y tiniendo por el sacro euangelio : que el baptismo es la puerta primera del christiano : tiene tanta osadia el estribon del linage de menospreciar a los hombres de nueua familia [ : los conversos] : que a los que dios ayunto en vna yglesia por la virtud del baptismo : el engreymiento del antiguo linage se atreue a desuiarlos de si con injuria : como si fuessen redemidos por otro dios menos antiguo : y estuuiessen en otra yglesia menos sancta : y participassen de otros sacramentos de menos valor / que los nobles. Y sobre todo estan tan contentos : que debaxo de su nobleza tienen vn breue con que (segun dize Job) Breuemente yran al infierno. Porque con titulo de hidalgos tienen tanta soberuia : que menosprecian a los que son menos que ellos. Con titulo de hidalgos no quieren pagar lo que deuen y tienen mal vsurpado. Con titulo de hidalgos tienen facultad de molestar las mugeres agenas : sin que les osen dezir los maridos : que queriades a tales horas. Con titulo de hidalgos tienen por honra vengar las injurias : y poner vandos en sus republicas. Con titulo de hidalgos tienen licencia de no ayunar las vigilias : y comer carne en quaresma. Con titulo de hidalgos tienen osadia para dezir mal de todos los buenos : que por esso en su boca son malos / porque no son de solar conocido. Del qual ellos hazen mas caudal que del sacro baptismo. Con titulo de hidalgos tienen facultad de leuantarse a las onze / y leuantarse de la cama a la mesa / y dende ay a la ociosidad / y dende aquella al maldezir y al mal obrar y peor perseuerar. Por cierto que me parece : que yerran estos mas que todos los otros [gli ambiziosi, gli avari, i lussuriosi, i crapuloni, gli iracondi, gli invidiosi, gli oziosi, ecc.] : porque a los otros la consciencia les es tormento : y vn dia que otro podran salir del peccado : mas los Scismaticos que se atreuen a diuidir la vestidura inconsutil de Christo : que tormento les quedara : para que instimulados de su consciencia salgan del ordinario pecado mortal : con que se acuestan y se leuantan : todo el tiempo que tienen por malos a los que vienen de otra linea que la gentilica : de donde los que hazen caudal de la sangre jactan que vienen. Plega a la immensa misericordia de Dios : que nunca permita : que yo me acueste vna noche con pensamiento de tanta blasfemia : qual es tener en mas la antiguedad de la sangre : que la virtud diuina : que se da en el sacro baptismo. 613  























































































Así como hay orden en los miembros del cuerpo humano, y los dedos de la mano no son iguales, así es mucha razón que los hombres no sean todos iguales. Mas no por eso se sigue que los mayores han de ser mayores para encastillarse en su honra y dende ella, como dende fortaleza, hacer guerra á sus inferiores. Dende este castillo presume el rico desordenado hacer guerra al pobre ; el que tiene mando al plebeyo ; el letrado al ignorante ; y la guerra más cruenta de todas es la que presume hacer el sobervio hidalgo al villano ó al de nueva familia [ : al converso] [...]. [...] entre todas las excelencias que humanamente los hombres pueden tener, la que menos ocasión tiene de fantasía [ : presunción] es el linaje, por eso, dejadas las otras singularidades, amonestamos á los que son hidalgos que no nieguen por obra lo que por nombre profesan. [...] la hidalguía antigua no era nobleza ni virtud, sino dinero y hacienda [...]. Plega á Dios que los hidalgos de nuestra era no sean de los ociosos que reprehende el sacro Evangelio, que estavan cuasi toda la vida ociosos, sin ir á labrar en la viña de la Iglesia. Qué les aprovecha estar más cevados y apastados del rancio de su linaje si no fueren sellados con el sello de la caridad del prójimo, que es la mayor señal de la salvación del cristiano ? Estos caudalejos que los hombres vanos suelen hacer de sus hacendillas,  











613   Alexio Venegas : Primera parte de las diferencias de libros que ay en el vniuerso. Aora nueuamente emendada y corregida por el mismo autor. (Toledo : Juan de Ayala 1546). Ed. facs. Prólogo de Daniel Eisenberg (= Biblioteca Hispánica Puvill. Sección Literatura, 3). Barcelona : Puvill Libros 1983, fo. cxxijr-v.  





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titulillos, letrillas y linajuelos nacen de la modorra y profundo sueño con que enroncan en su vigilia. 614  

In Avisos y reglas cristianas (1556), San Juan de Ávila – l’Apostolo dell’Andalusia è, con Alejo Venegas, 615 fra gli scrittori spirituali spagnoli, “el que mayor resonancia da”, secondo Marcel Bataillon, alla dottrina di derivazione paolina del corpo mistico 616 –, dopo aver citato un lungo passo di San Gerolamo e in particolare le parole “La nobleza del linaje no la da la igualdad de naturaleza, mas la ambición de la codicia ; y ninguna diferencia puede haber entre aquellos a los cuales el segundo nacimiento engendró...”, scrive :  







¡Oh vanidad para burlar de los que de linaje presumen !, pues que todas las ánimas Dios las cría, que no se heredan, y la carne que se hereda, es cosa para haber vergüenza y temor. [...] No seáis ciega, esposa de Cristo, ni desagradecida. La estima en que Dios os tiene no es por vuestro linaje, mas por ser cristiana ; no por nacer en sala entoldada, mas por tornar a nacer en el santo baptismo. El primer nacimiento es deshonra, el segundo es honra. El primero, de desnobleza ; el segundo, de nobleza. El primero, de pecado ; el segundo, de justificación de pecados. El primero, de carne que mata [...] ; el segundo, de espiritu que aviva. Por el primero somos hijos de hombres ; por el segundo, hijos de Dios. Por el primero, aunque somos herederos de nuestros padres, cuanto a su hacienda, somos herederos cuanto a ser pecadores y llenos de muchos trabajos ; mas por el segundo somos hechos hermanos de Cristo, y juntamente herederos del cielo con él [...] : de presente recebimos el Espíritu Santo y esperamos ver a Dios cara a cara. 617  

















La diffusa concezione della società come comunità del corpo mistico, costituita di membri aventi eguale dignità spirituale, e del potere purificatore e palingenetico del 614   Alexio Venegas : Breve declaración de las sentencias y vocablos de la Agonía del tránsito de la muerte (Toledo : Juan de Ayala 1543). In : Escritores Místicos Españoles. Tomo I (= Nueva Biblioteca de Autores Españoles, 16). Madrid : Bailly/Bailliére 1911, pp. 259-318 ; qui pp. 293-294. 615   Frequenti sono i richiami alla dottrina paolina del corpo mistico nelle opere di Alejo Venegas. Cfr. Alexo Venegas : Agonía del tránsito de la muerte con los avisos y consuelos que cerca della son provechosos (1544). In : Escritores Místicos Españoles. Tomo I (= Nueva Biblioteca de Autores Españoles, 16). Madrid : Bailly/Bailliére 1911, pp. 105-258 ; qui pp. 118-119, pp. 234-236. – Alexio Venegas : Primera parte de las diferencias de libros que ay en el vniuerso. Toledo 1546, fo. clxjv. Parlando dell’Agonía del tránsito de la muerte, Marcel Bataillon (Erasmo y España, p. 566) scrive che la metafora del corpo mistico “está sobreentendida en todas sus páginas”. 616   Cfr. M. Bataillon : Erasmo y España, p. XV. In realtà la risonanza che San Juan de Ávila dà alla dottrina del corpo mistico è incomparabilmente più vasta e profonda di quella che le dà Alejo Venegas ! Sulla concezione del corpo mistico di Juan de Ávila cfr. Francisco Carrillo : El Cuerpo Místico en la Doctrina del Apóstol de Andalucía. In : Manresa. Revista de Ascética y Mística, Barcelona, Año XVII, Marzo 1945, Núm. 62, pp. 202-235. Juan de Ávila illustra la sua concezione del corpo mistico soprattutto nei Sermones del Santisimo Sacramento. Cfr. Obras completas del Santo Maestro Juan de Ávila. Edición crítica. II. Sermones : Ciclo temporal. Edición iniciada por el doctor don Luis Sala Balust. Nueva edición, revisada y continuada por el doctor Francisco Martín Hernández. Madrid : Editorial Católica 1970, pp. 493-497, p. 628 (“Tiene Cristo dos cuerpos : uno el que recibió de la Virgen, y otro somos nosotros”), p. 631 (“miembros suyos [...], partes de su sagrado Cuerpo Místico”), 633-637, p. 791, p. 793-794 (“tenemos una Cabeza que es Dios, y seamos una persona mística con El. [...] La cabeza es de una mesma naturaleza con el cuerpo, y Jesucristo nuestro Señor, por la parte que es hombre, es de una mesma naturaleza con nosotros”), pp. 802-814 (“Una misma persona mística con Cristo”), p. 816 (“quiso Él, siendo Dios y hombre, abajarse a unirnos consigo en unidad de persona mística”), p. 823, p. 933 (“Cristo, el cual es el cuerpo místico de la Iglesia, y todos somos miembros de este cuerpo. Así como la mano es parte del cuerpo y vive y se sustenta en él, así tú tienes parte de Cristo y vives y te sustentas en él, y te encorporas por la comunión en Cristo, como el miembro en el cuerpo”). 617   Avisos y reglas cristianas para los que desean servir a Dios, aprovechando en el camino espiritual. Compuestas por el Maestro Ávila sobre aquel verso de David : « Audi, filia, et vide, et inclina aurem tuam » (Alcalá de Henares : Luys Gutierrez 1556). In : San Juan de Ávila : Obras completas. Nueva edición crítica. I. Introducciones, edición y notas de Luis Sala Balust y Francisco Martín Hernández. Madrid : Biblioteca de Autores Cristianos 2000, pp. 405-532 ; qui p. 511. Cfr. anche il capitolo 99 (« De la vanidad de la nobleza del linaje, y que no se deben gloriar de él los que quieren ser del linaje de Cristo ») della seconda edizione di Audi, filia (Toledo : Juan de Ayala 1574) in : San Juan de Ávila : Obras completas. Nueva edición crítica. I, pp. 752-754.  



























































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battesimo, che trasformando gli uomini in figli di Dio e fratelli di Cristo cancellava ogni diversità legata alla eredità della ‘carne’, era incompatibile con le idee di una diversità biologica, trasmessa dal sangue, delle persone (non era invece incompatibile con la concezione organicistica, gerarchica della società 618) e vanificava ogni tentativo di dare un fondamento o una giustificazione ‘razziale’ alle discriminazioni sociali. Il principio della limpieza de sangre, oltre ad essere inconsistente e riprovevole dal punto di vista della dottrina cristiana, era politicamente molto dannoso : impediva, infatti, di premiare il merito personale e privava perciò lo Stato del sostegno di servitori capaci, condannandolo cosí irrimediabilmente alla decadenza. Questa è la tesi illustrata – per esempio – da Fray Benito de Peñalosa y Mondragón nel suo Libro de las cinco excelencias del Español (1629). Il benedettino, il quale inizia la parte dell’opera dedicata alla nobiltà affermando che “todos somos vnos, y tenemos vna mesma descendencia, y calidad de sangre” e che al principio “todas las cosas fueron comunes, sin que huuiesse diferencia en los linages, estados, ni hazienda”, 619 paragona la limpieza de sangre al “gusano que se cria en el arbol, y le come, y roye hasta que se seca” 620 e asserisce che essa sarà la causa della decadenza della Spagna, perché soffoca le aspirazioni dello spagnolo alla nobiltà. 621 Si deve pertanto eliminare questo ostacolo che impedisce al Re di ricompensare liberamente chi lo serve, vuoi con le armi, vuoi con la scienza. Coloro ai quali vengono affidati alti incarichi dal Re devono diventare automaticamente “Hijosdalgo, limpios, y […] nobles” e i loro discendenti “Idoneos de todas las honras, habitos, y dignidades que ay establecidas para nobles en estos Reynos”. In questa maniera – opina Fray Benito de Peñalosa y Mondragón, che propugna una società ‘aperta’, nella quale l’ascesa sociale sia determinata dai meriti personali e non dalla ricchezza o dalla nobiltà ereditata 622 –  











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  Cfr. A. Martino : Il Lazarillo de Tormes e la sua ricezione in Europa (1554-1753). Volume I. L’opera, pp. 452-462.   Fr. Benito de Peñalosa y Mondragon : Libro de las cinco excelencias del español, fo. 73r-v. 620   Fr. Benito de Peñalosa y Mondragon : Libro de las cinco excelencias del español, 102r. 621   Nel capitolo XIV (fo. 101r-105r), intitolato « Como son ocasionadas las informaciones secretas de limpieça para el deslustre de la Nobleça de España, y para que aya muchos Malsynes », Fray Benito de Peñalosa y Mondragon scrive : “Aduiertese mucho esto, que si al Español le menoscauan la honra que tanto apetece, y suda por ella, ni aura valor, ni hechos insignes entre ellos, y la virtud se marchitarà, y la Monarquia padecerà quiebra. Porque sin duda vno de los principales Apoyos, y fundamentos suyos, y las murallas fortissimas de ella, es la gran nobleça, honra, y presumpcion generosa del Español : y quien procurare auatirle, y derriuarle della, es enemigo que dà vateria, y asalto a los Castillos roqueros, y fuerças mas valientes desta gran Monarquia : y por el consiguiente estos malsines, y polillas de las honras de España, son espias dobles que nuestros enemigos tienen en ella : y gente pagada por los embidiosos de la honra y nobleça de nuestra nacion. Estas probanças secretas auren puerta, para que las personas maldicientes roedoras, y robadoras de honras agenas, puedan hazer vn daño irreparable, vaciando su ponçoña a su saluo. Lo qual se ha de presumir que haran, o por odio que tengan con el pretendiente, o con cosas suyas, o por costumbre de dezir mal de todos, o por odio de la nobleça Española, como por nuestros pecados ay hartos que tengan esta inclinacion : o lo haran por inducimiento de otros que sean enemigos de los pretendientes del honor. Tambien por inducimiento, y malicia de los informantes : o por ignorancia de los testigos, o por equiuocacion. Y como saben que jamas se ha de ver lo que dixeron (para que lo sepan las personas contra quien malsinaron, y que ellos son los autores de la Nota) dexan sin honra al que quisieron quitarselas, y el desdichado se halla sin ella, y no sabe por dicho de quien la ha perdido : y con esta seguridad alargan las lenguas, y dizen lo que no saben, lo que no passò, y lo que jamas oyeron : y ansi viene a quedar honrado, no el que es mas noble muchas vezes, sino el que es mas dichoso” (Libro de las cinco excelencias del español, fo. 102r-v). 622   “[…] pues ya faltan en España los caminos que se tenian antes para adquirir nobleça […] conforme a la proporcion destos tiempos, se han de buscar otros, para el premio de la virtud de estos siglos : para que todos tengan premio : y sauiendo que no se les cierra las puertas, y que en España pueden conseguir nobleça y honra (que tanto el Español apetece y procura) no vaya a buscarla fuera. […] oy con mas facilidad ocupan los premios del honor, la sangre mas dichosa por carecer de enemigos : la sangre menos conocida por no conocerse su antiguedad, la sangre mas holgada con el ocio de la Corte. La sangre mas alegre, y sagaz con la adulacion de los poderosos. Y la sangre mas lucida, con el fausto de la hazienda” (Fr. Benito de Peñalosa y Mondragon : Libro de las cinco excelencias del español, fo. 98r).  

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i più cercheranno di ottenere onori e nobiltà con le opere e i meriti e non di procurarsi “hazienda para introducirse, y suplir con ella, lustre y nobleça.” 623 Sulla concezione della società come comunità del corpo mistico di Cristo, della completa libertà – del libero arbitrio – dell’uomo e della virtù come origine e fondamento della nobiltà, era fondata anche la pedagogia della fine del XVI secolo. Si veda – per esempio – il Libro de la buena educación y enseñança de los nobles (Madrid : Viuda de Pedro Madrigal 1595) di Pedro López de Montoya. Il Libro non è tanto un trattato per l’educazione della nobiltà, come può far pensare il titolo, quanto un trattato per l’educazione alla nobiltà. Nel « Prologo al Lector », che inizia con un richiamo alla concezione paolina del corpo mistico, lo stesso Montoya precisa : “tomé por fin y por título deste libro, la enseñança de los nobles, porque a ellos procura siempre imitar la demás gente, y también porque el más cierto camino que los padres pueden tomar para hazer nobles a sus hijos es enseñarlos bien, y assí parece que esta dotrina es comúnmente vtil para todos, pues ha de seruir para que los que tienen nobleza de sus mayores, la conseruen y lleuen adelante, y los que no la tienen, la adquieran, con abraçar y seguir, desde niños, la virtud.” 624  











Non erano solo mistici, moralisti e pedagoghi a negare il principio, il fondamento stesso – quello biologico – della nobiltà di sangue. Lo negavano, dal XV al XVII secolo, anche importanti trattatisti della dottrina nobiliare che – riallacciandosi alla concezione della nobiltà politica e civile (“politica et civilis nobilitas”) del famosissimo giurista Bartolo da Sassoferrato, secondo il quale la fonte della nobiltà è il Principe (“Apud Deum est nobilis, quem Deus sua gratia sibi gratum facit, ita in foro nostro ille est nobilis quem Princeps sua gratia vel lex sibi gratum vel nobilem facit”. – “[Nobilitas politica est] qualitas illata per principatum tenentem, qua quis ultra honestos plebeios acceptus ostenditur”) 625 – sostenevano la tesi che la nobiltà procedeva unicamente dal Principe e non dal sangue. Cosí, verso la fine del XV secolo, Mosén Diego de Valera, nel Capitolo IV (« De la nobleza civil ») del suo Espejo de verdadera nobleza, scrive, citando Bartolo, che “es noble aquel a quien el principe o la ley fazen noble”, mentre nel Capitolo VIII (« En el qual el abctor redarguye e reprueba la opinión que el pueblo o gente vulgar cerca de la nobleza o fidalguía tiene »), dopo aver affermato che l’onore “solamente es devido a la virtud”, ribadisce che la nobiltà viene “de los príncipes, o dignidades por ellos dadas”, e respinge con sdegno l’opinione volgare – espressa nel detto “puede el rey fazer cavallero, mas no fijodalgo” – che la nobiltà sia soltanto quella trasmessa dal sangue. 626 Alla fine del XVI secolo, Fray Juan Benito Guardiola, nel suo Tratado de Nobleza (Madrid : Viuda de Alonso Gómez 1591), dopo aver citato anch’egli Bartolo da Sassoferrato (“nobleza ... es vna calidad, concedida por el mas principal : mediante la qual se demuestra accepto y agradable, mas que todos los honestos plebeyos”), scrive :  

















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  Fr. Benito de Peñalosa y Mondragon : Libro de las cinco excelencias del español, fo. 97v-98r.   Pedro López de Montoya : Libro de la buena educación y enseñança de los nobles en que se dan muy importantes auisos a los padres para criar y enseñar bien a sus hijos. In : Emilio Hernández Rodríguez : Las ideas pedagógicas del Doctor Pedro López de Montoya. Madrid : C.S..I.C. 1947, pp. 235-419 ; qui pp. 251-252. 625   Sulla concezione della nobiltà di Bartolo da Sassoferrato, che il celebre giurista illustra nel suo commento al libro XII (« De dignitatibus ») del Codice di Giustiniano e che influenzerà la trattatisica nobiliare sin oltre il XVII secolo, e la sua celebre tripartizione delle nobilitates (teologica, naturale, politica e civile), cfr. Claudio Donati : L’idea di nobiltà in Italia. Secoli XIV-XVIII, pp. 3-7 (a pagina 4 si trovano le righe da noi citate del « De dignitatibus »). 626   Cfr. Mosén Diego de Valera : Espejo de verdadera nobleza. In : Prosistas castellanos del siglo XV. I. Edición y estudio preliminar de D. Mario Penna (= Biblioteca de Autores Españoles, 116). Madrid : Atlas 1959, pp. 89-116 ; qui p. 92 e pp. 100-101.  

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ninguno se puede atribuyr titulo y priuilegio de nobleza de su propria authoridad [...], sino que el titulo de la nobleza, ha de venir de mano de quien es proprio concederla, como es el que tiene principado y mando. Y debaxo destas palabras se comprehende el Emperador como principe vniuersal. Tambien el Rey, o el Principe que dellos prouiene la nobleza [...] y ennoblezen a quien quieren [...]. Finalmente pueden conceder nobleza algunos Marqueses Duques y Condes, por respecto del poderoso gouierno y mando que tienen en prouincias de Reynos estraños. Esto mesmo es licito a Señorias algunas de pueblos, como lo es la de Venecia, pues que pueden estatuyr leyes. 627  

Bernabé Moreno de Vargas, richiamandosi esplicitamente, come aveva fatto Fray Juan Benito Guardiola, alla definizione e alla concezione della nobiltà politica e civile di Bartolo e polemizzando contro coloro che – come Alonso de Cartagena (“Fidalguía es nobleza que viene a los omnes por linaje” 628), Feranto Mexía (“Nobleza es vna fidalgja que viene a los onbres por linaje” 629) e Juan Arce de Otálora (“Fidalguia es nobleza que viene a los hombres por linaje” 630) – ritenevano, ricollegandosi alla concezione formulata nelle Siete Partidas (“Hidalguia es nobleza que viene a los omes por linaje” 631), che la  







627   Fray Juan Benito Guardiola : Tratado de Nobleza, fo. 6v-7r, fo. 7v-8r. Pochi anni prima di Fray Juan Benito Guardiola, Fray Juan de Pineda, nel solco della tradizione dottrinaria di Bartolo e di Diego de Valera, aveva scritto : “la nobleza es una cualidad concedida del Príncipe, por lo cual alguno merece ser más honrado que la gente común y plebeya”. Cfr. Juan de Pineda, O. F. M. : Diálogos familiares de la agricultura cristiana (1589). Estudio preliminar y edición por el P. Juan Meseguer Fernández, O. F. M. (= Biblioteca de Autores Españoles, 161-163, 169-170). Madrid : Atlas 1963-1964, 5 tom. ; qui I, p. 97. Sulla dottrina nobiliare di Fray Juan Benito Guardiola cfr. José Antonio Guillén Berrendero : La idea de nobleza en Castilla durante el reinado de Felipe II (= Estudios y Documentos, 62). Valladolid : Universidad de Valladolid 2007, pp. 97-180. 628   Alonso de Cartagena : Doctrinal de los cavalleros. Edición de José María Viña Liste. Santiago de Compostela : Universidade de Santiago de Compostela 1995, p. 24. 629   Libro jn titulado : nobiliario perfeta | mente copylado e ordenado por el on | rrado cauallero Feranto Mexia veyn / | te quatro de Jahen ec. [Colofon : Acabose la presente obra sabado | xxx. de junio. año dela jncarnaçion : | de milly.cccc.xcij. años. En la muy | noble y lleal çibdad d’ seujlla jmpres- | sa por llos onrrados varones maes | tros. Pedro brun. Juan gentil. fiel | e verdaderamente corregida ec.] (Wien, Österreichische Nationalbibliothek : Ink. 17. E. 20), Libro I, Cap. xlviij. (i fogli non sono numerati). 630   E ancora : “essentia & proprietas nobilitatis … nullo modo potest concedi per Principem … quia impossible est [que si yo soy villano pechero de nacion y casta, que el Principe me pueda mudar la sangre, y condicion, y hazer me noble, y hijo dalgo : aunque por su priuilegio pueda hazer me exempto, y dar me que goze delas honrras, y franquezas de hijo dalgo]”. – “Tamdem & principaliter nobiles priuilegiantur à natura, vt abundent, & polleant pluribus, & ferè omnibus virtutibus moralibus, & theologalibus...”. – “subtilis enim & clarus sanguis, quo nobiles ad plurimum abundant, subtiliores procreat in eis spiritus...”. Cfr. Juan Arce de Otálora : Summa nobilitatis hispanicae, et immunitatis regiorum tributorvm, causa, jus, ordinem, iudicium, & excusationem breuiter | complectens. Salmanticae 1570, p. 25, p. 354, p. 355. Nei Coloquios de Palatino y Pinciano la concezione di Juan Arce de Otálora sulla nobiltà è un poco meno rigida. Dopo aver affermato che il Re non puó creare i nobili e che la nobiltà “para ser buena ha de ser nativa, que descienda de los mayores, no dactiva ni adquirida”, Pinciano ammette “que la mejor nobleza es la de la virtud […] y que el más virtuoso es más noble”. Subito dopo attenua però questa ammissione facendo coincidere, fondandosi sul determinismo biologico (“naturaleza y buena simiente”), nobiltà di sangue e virtù : “por la mayor parte y casi siempre, los de buena casta son virtuosos” ; “en ellos [los nobles y escuderos] es natural la virtud y valor”. Relativizza, infine, il valore della nobiltà e delle distinzioni sociali con il richiamo alla morte che tutti uguaglia : “En esta vida, todos los estados y oficios de la república son necessarios para sustentación, unos más y otros menos. Al salir della y al paradero, caballeros y escuderos y oficiales y hombres buenos, labradores y señores, hijosdalgos y villanos, todos seremos iguales, et in cinerem reverteremur”. Verso la fine della « Jornada Séptima », parlando dei caratteri, Pinciano afferma che “la buena o mala condición por la mayor parte se saca del vientre de la madre”. Cfr. Juan Arce de Otálora : Coloquios de Palatino y Pinciano. Tomo I. Jornada primera a Jornada séptima. Madrid : Biblioteca Castro 1995, pp. 238-242, p. 589. 631   Las Siete Partidas del sabio Rey don Alonso el nono, nueuamente Glosadas por el Licenciado Gregorio Lopez del Consejo Real de Indias de su Magestad. Impresso en Salamanca Por Andrea de Portonaris, Impressor de su Magestad. Año M.D.L.V. Con priuilegio Imperial. Esta tassado el pliego a cinco marauedis (Edición facs. Madrid : Boletín Oficial del Estado 1985), Tomo I, Segvnda Partida, Titulo XXI, Ley III, p. 71. Con questa  















































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nobiltà fosse consustanziale al sangue e che, essendo tale, non potesse venire concessa dal Principe, scrive quanto segue nei suoi Discursos de la nobleza de España (Madrid : Biuda de Alonso Martín 1622) :  



La Nobleza ciuil, o política es vna calidad concedida por el Principe, con la qual el que la tiene se muestra mas acepto y auentajado, que los buenos hombres, y honestos plebeyos. Esta difinicion es de Bartulo, y dizela por estas palabras : Nobilitas est qualitas per principatum tenentem illata, qua quis vltra honestos plebeios acceptus ostenditur, la qual es recibida de los Dotores. [...] Esta calidad de la nobleza es necessario, que sea concedida por el Principe, como se dize en la difinicion : porque ninguno por sola su autoridad, aunque mas merecimientos tenga, se la puede atribuir a si propio [...]. [...] solo el Principe no reconociente superior, es quien puede conceder nobleza, y hidalguia, y dezir lo contrario es casi sacrilegio [...]. [...] Otalora, y otros algunos Autores dan diferente difinicion a la nobleza […] y dizen ser vna calidad de linage, que viene à los hombres de sus mayores, y para ello se valen de una ley de la Partida, que dize : Fidalguia es nobleza, que viene à los hombres por linage, y de aqui coligen, que las noblezas concedidas por los Reyes, no son verdadera nobleza, sino priuilegios della, lo qual parece, que repugna à la difinicion de Bartulo, y à lo que en su declaracion auemos resuelto. Para declaracion pues desta dificultad, y de lo que acerca della tan confusamente escriuen Otalora, Mexia, y otros que les siguen [...], se debe assentar por conclusion verdaderissima, que la nobleza politica (de que voy tratando) que es la que haze distinguir al noble del plebeyo, es sola vna, y su principio juridico y verdadero es tomado, y produzido de la aceptacion, y gracia del Rey, y Príncipe, no reconociente superior, como queda prouado [...] : y de tal manera es esto verdad, [...] que todas las noblezas del mundo, para que lo sean, han de tener, y tuuieron este principio : porque el hombre a quien el Rey con palabras expressas, ò tacitas hiziere noble, y hijodalgo consigue essencialmente la calidad de la nobleza e hidalguia, sin que sea necessario auer nacido de padres nobles, e hijosdalgo [...]. [...] Bien es verdad, que el hombre a quien el Rey concedio nobleza, è hidalguia, si de su nacimiento era plebeyo, hijo de padres obscuros, no mudò aquella su naturaleza y sangre, porque el Rey no le pudo quitar lo preterito, y lo que meramente era natural : pero pudo mudarle la condicion, y estado, y lo politico, y ciuil, que es lo que basta para obtener la calidad, y dignidad de la nobleza, y hidalguia, por ser como es de derecho positiuo, y no natural. […] […] quando el Rey a vn plebeyo haze noble, è hijodalgo, no es visto absolutamente darle de nueuo nobleza, sino solo restituirle en la antigua, que el se tenia : porque al principio del mundo todos los hombres tuuieron vn nacimiento igual, y comun, teniendo vna misma cognacion y parentesco, como hijos, y descendientes de vn padre, y de vna madre, que fueron nobles. 632 […]  















definizione inizia il lungo articolo dedicato da Hugo de Celso a « Hidalgos y hidalguias » : “hidalguia es nobleza que viene por linage”. Cfr. Hugo de Celso : Reportorio Vniversal de todas las leyes destos Reynos de Castilla, abreuiadas y reduzidas en forma de reportorio decisiuo. En Medina del Campo, por Iuan Maria da Terranoua, y Iacome de Liarcari. 1553. Con preuilegio (Ed. facs. : Estudio Preliminar de Javier Alvarado Planas. Madrid : Centro de Estudios Políticos y Constitucionales - Boletín Oficial del Estado 2000), fo. clxix v. 632   In pagine precedenti Bernabé Moreno de Vargas aveva scritto : “Cosa cierta es, que todos los hombres son, y fueron vnos, formados de vna massa, engendrados de vnos mismos padres, y siendo por naturaleza yguales, la virtud, y valor personal de los vnos los hizo, y haze ser conocidos y nobles, y la malicia, vicio, y negligencia de los otros quedar plebeyos, y ignobiles, que es lo mismo que no ser conocidos [...]. Si Adan, y Eua son nuestros padres, y del [de ellos] venimos todos, [¿] porque todos [no] somos en la nobleza iguales.[ ?] Mas los vnos con sus vicios degeneraron de la nobleza de sus mayores, y se hizieron inferiores, y obscuros. Y los otros con su virtud la conseruaron y consiguieron : porque la virtud es la que leuanta, y ennoblece el linage. [...] Mas como esta distincion, y nobleza de los hombres es cosa mortal y caduca, como lo son las demas cosas del mundo […], ha sucedido y sucederà, que […] al principio del mundo, y de las Republicas, que en el ha auido se diferenciaron los hombres, o por la virtud, o por el vicio […]. Y despues los que de su cosecha eran ya descendientes de linages obscuros, se dieron a conocer, y se hizieron nobles por sus valerosos hechos y virtudes : y por el contrario, de los otros que descendian de padres nobles, ha auido muchos, que se oscurecieron por sus ruines designios, y torpes hechos, lo qual ha passado, y passarà cada día en el mundo, pues no ay cosa estable, ni permanente en el” (Discursos de la nobleza de España. Madrid 1636, fo. 3v-5r).  



















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Assentada pues por resolución llana, como lo es, que la nobleza, y hidalguía es aquella que los Reyes conceden, es muy facil (haziendo buen discurso) venir en conocimiento de la nobleza, que prouiene por linage, porque los hijos, y descendientes por líneas de varon legitimas, ò naturales, de aquellos a quienes primeramente los Reyes hizieron hijosdalgo, y les dieron essencialmente la honra, y dignidad de la nobleza, y hidalguia para ellos, y para su posteridad, son assimismo nobles por ser sus descendientes, a cada vno de los quales en cabeça del primero se les hizo la misma gracia, y no porque les venga la nobleza por naturaleza, aunque mas, y mas antiguedad tengan : porque es de saber, que lo natural es la filiacion, la sangre, y el parentesco, y no la nobleza, que esta fue vna calidad abstracta dada por el Principe, y assí no es natural, ni cosa que se introduxo por propagacion, ni se infundio con la sangre, y sustancia de los padres, sino que meramente es ciuil, y vn priuilegio, y merced del Principe, que passa à todos los descendientes de vna familia, por línea de varon, y no de hembra, como heredad vinculada, que se dio para el, y para sus descendientes, los quales por derecho de serlo suceden a sus mayores [...]. 633  



La negazione del principio che la nobiltà venisse trasmessa dal sangue e fosse quindi inerente al lignaggio, non poteva essere più netta e decisa. La nobiltà è di origine puramente giuridica, non ‘naturale’, essendo gli uomini per natura tutti eguali ; deriva esclusivamente da una grazia e da un privilegio concessi dal Principe, non viene ‘infusa’ e propagata con il ‘sangue’ e la ‘sostanza’ biologica dei padri. Non vi è alcuna traccia di determinismo biologico, di ideologia della ‘razza’, o della ‘casta’, in questi Discursos de la nobleza de España, che furono, nel XVII secolo, una delle opere più autorevoli e di maggior influsso e che costituiscono, oggi, una delle fonti più importanti per conoscere la dottrina nobiliare del Barocco. Bernabé Moreno de Vargas conclude la sua opera con queste parole : “es cierto, que quando la nobleza mundana se halla desnuda de valor y virtud, y estuuiere vestida de hinchazon y soberbia, no es nobleza, sino vanidad de vanidades”. 634  





Insomma, non vi era una ideologia nobiliare omogenea. Il determinismo assoluto del lignaggio non era affatto universalmente accettato (del resto la stessa ‘immagine’ che il nobile – avviato a mutarsi da cavaliere guerriero a cavaliere cortigiano 635 – aveva di sé, la sua coscienza di sé e della propria identità e individualità, la sua ‘mentalità’ e la concezione della sua funzione nella società si stavano fortemente trasformando 636). Anche per un convinto sostenitore della preminenza della nobiltà e del suo ‘naturale’ diritto al  



633   Bernabé Moreno de Vargas : Discursos de la nobleza de España. Madrid 1636, fo. 6r-7v, fo. 8v, fo.9v, fo. 10r-v. 634   Bernabé Moreno de Vargas : Discursos de la nobleza de España. Madrid 1636, fo. 134r. 635   Luis Milán adombra indirettamente la necessità per i nobili di adattarsi alle nuove circostanze, mutandosi da guerrieri in cortigiani, nella dedica del suo Cortesano (1561) a Filippo II, dove scrive : “el caballero armado virtuoso es la mejor criatura de la tierra, y para tener perfecta mejoría debe ser cortesano”. Il processo di mutazione della funzione del nobile, iniziatosi sotto i Re Cattolici e già largamente progredito al tempo della Corte vicereale valenziana di Don Fernando di Aragona, Duca di Calabria, e della regina Germana de Foix, nella quale è ambientata l’opera di Luis Milán, era naturalmente pienamente concluso all’epoca di Filippo II. Cfr. Libro intitulado El Cortesano, compuesto por D. Luis Milan. Libro de motes de damas y caballeros, por el mismo (= Colección de libros españoles raros ó curiosos, VII). Madrid : Imprenta y Estereotipía de Aribau y C.ª (Sucesores de Rivadeneyra) 1874, p. 2. 636   Cfr. Adolfo Carrasco Martínez : Herencia y virtud. Interpretaciones e imágenes de lo nobiliario en la segunda mitad del siglo XVI. In : Las sociedades ibéricas y el mar a finales del siglo XVI. Congreso Internacional. Tomo IV. La Corona de Castilla. Madrid : Sociedad Estatal para la conmemoración de los centenarios de Felipe II y Carlos V 1998, pp. 231-271. – Antonio Alvarez-Ossorio Alvariño : Corte y cortesanos en la Monarquía de España. In : Educare il corpo educare la parola nella trattatistica del Rinascimento. A cura di Giorgio Patrizi e Amedeo Quondam (= « Europa delle Corti ». Centro studi sulle società di antico regime / Biblioteca del Cinquecento, 80). Roma : Bulzoni 1998, pp. 297-365. – Adolfo Carrasco Martínez : La construcción problemática del yo nobiliario en el siglo XVII, pp. 21-44.  

























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dominio, al “señorio sobre los otros”, 637 quale era Jerónimo Castillo de Bobadilla, non è cosa certa, ma solo verosimile che “de los buenos nazcan los buenos, y de los mejores los mejores”. 638 Il pensiero che identificava la nobiltà con la virtù e il merito personale era certamente più diffuso dell’idea della trasmissione biologica della nobiltà. 639 (Anche Filippo II apprezzava più il merito personale che il sangue ereditato. 640) La filosofia morale abbracciata dalla stessa alta nobiltà era d’altronde quella neostoica e il neostoicismo (o stoicismo cristiano) era fondato sul concetto di virtú (areté). 641 In diverse opere – come, per esempio, il Diálogo en alabança de Valladolid 642 di Da 











637   Jerónimo Castillo de Bobadilla : Politica para Corregidores y Señores de Vassallos, en tiempo de paz, y de guerra. Amberes : Juan Bautista Verdussen 1704 [1ª ed. 1597], Tomo I, Lib. I, Cap. I, num. 17, p. 9. 638   Jerónimo Castillo de Bobadilla : Politica para Corregidores y Señores de Vassallos. Amberes : Juan Bautista Verdussen 1704, Tomo I, Lib. I, Cap. IV, num. 22, p. 57. 639   Cfr. Miguel Herrero García : Ideología española del siglo XVII : La nobleza. In : Revista de Filología Española 14 (1927), 33-49, 161-175. – Alfonso García Valdecasas : L’idalgo e l’onore. Roma : Giovanni Volpe 1975 (ed. orig. : El hidalgo y el honor. Madrid : Ed. Revista de Occidente 1958). – Antonio Domínguez Ortiz : La sociedad española en el siglo XVII. I. (= Monografías histórico-sociales, Vol. VII.) Madrid : C. S. I. C. 1963, pp. 311-322. – José Antonio Maravall : Poder, honor y élites en el siglo XVII, pp. 41-61. – Michel Cavillac : Gueux et marchands dans le Guzmán de Alfarache (1599-1604). Roman picaresque et mentalité bourgeoise dans l’Espagne du Siècle d’Or. Bordeaux : Institut d’Études Ibériques et Ibéro-Américaines de l’Université de Bordeaux 1983, pp. 231-245. – Claude Chauchadis : Honneur, morale et société dans l’Espagne de Philippe II. Paris : Editions du CNRS 1984. Manca purtroppo un’ampia e documentata monografia sulla dottrina nobiliare spagnola del Siglo de Oro. Una tale monografia dovrebbe non solo illustrare sistematicamente le idee sulla nobiltà formulate nel corso del XVI e XVII secolo, ma accertare anche se vi siano state idee sulla nobiltà predominanti e generalmente accettate, o se le idee e le opinioni variavano secondo i diversi gruppi e strati sociali. Necessario è anche l’esame di tutte le leggi relative ai privilegi e alle esenzioni goduti dalla nobiltà, tenendo sempre presente il divario fra teoria e pratica. (Facciamo un esempio. Una premática promulgata a Valladolid nel 1523 stabiliva “Que no se den hidalguias ni priuilegios dellas por dineros : y los dados sin justa causa se reuoquen”. Già nel 1553 – l’anno in cui Hugo de Celso accoglieva questa legge nel suo Reportorio Vniversal de todas las leyes destos Reynos de Castilla (fo. clxx r-v) – la disposizione legislativa era completamente inefficace e obsoleta. Infatti lo stesso Carlo V, che l’aveva dettata, la disattendeva mettendo in vendita – su proposta di don Juan Suárez de Carvajal, vescovo di Lugo e presidente del Consejo de la Hacienda – proprio nel 1553, 172 hidalguías al prezzo di 3000 ducati l’una.) Solo quando disporremo di una storia e di una sociologia delle idee e delle disposizioni legislative sulla nobiltà (necessario sarebbe anche l’esame delle sentenze emanate dalle Reales Chancillerías), potremo conoscere veramente l’ideologia nobiliare spagnola. 640   “Daba [don Filipe] a la sangre vertida antes que a la heredada, y por esto tomó el hábito de Santiago Julián Romero sin información de sus calidades, aunque las tenía” (Luis Cabrera de Córdoba : Historia de Felipe II, Rey de España. II. Edición José Martínez Millán – Carlos Javier de Carlos Morales, p. 818). 641   Non è necessario soffermarci qui sulla diffusione dello stoicismo e del neostoicismo – in particolare del De constantia (1584) e dei Politicorum seu civilis doctrinae libri sex (1589) di Justus Lipsius – in Ispagna. Per il particolare problema dell’influsso esercitato dal neostoicismo sull’alta nobiltà, cfr. Adolfo Carrasco Martínez : El estoicismo, una ética para la aristocracia del Barroco. In : José Alcalá-Zamora - Ernest Belenguer (Coordinadores) : Calderón de la Barca y la España del Barroco. Volumen I. Madrid : Centro de Estudios Políticos y Constitucionales 2001, pp. 305-330. 642   Damasio de Frías y Balboa, poeta vallisoletano di una certa fama (fu lodato anche da Cervantes nel « Canto de Caliope » inserito nel sesto libro de La Galatea) del XVI secolo, scrive non solo che la “nobleza de animo” è “commun a todos los hombres y naciones, puede nacer con ella el Judio ygualmente que el christiano, el negro que el blanco, el esclauo assi tambien como el señor”, ma precisa addirittura che molti figli di re possono nascere senza questa nobiltà naturale e che da padri nobili e molto virtuosi possono nascere figli malvagi e viziosi, mentre, al contrario, si vede continuamente nascere “hijos de gran nobleza y virtud” da padri vili. Come se queste affermazioni non fossero già abbastanza radicali, Damasio de Frías, che conosceva molto bene per esperienza diretta l’aristocrazia e la Corte avendo per lunghi anni servito come criado nella casa degli Enríquez, Duchi di Medina de Rioseco e Almirantes di Castilla, sottolinea che nella distribuzione della nobiltà d’animo “a cada paso prefiere natura un baxo hombre y de humilde nacimiento” e dichiara, infine, perentoriamente, che la “naturaleza no engendra hidalgos ni villanos, sino hombres”. Cfr. Damasio de Frías : Diálogo en alabança de Valladolid. Prólogo de Narciso Alonso Cortés. In : Boletín de la Sociedad Castellana de Excursiones, Valladolid, 16 (1918), 208-218, 248-255 ; 17 (1919), 24-39, 58-70, 100-107 ; qui 17 (1919), pp. 59-60 e p. 62. Il Diálogo en alabança de Valladolid è contenuto, con altri Diálogos di Damasio de Frías y Balboa, in un manoscritto che appartenne prima a D. Antonio López de Calatayud, regidor di Valladolid, e successivamente al Conte-Duca di Olivares. Questo è  



























































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masio de Frías, El Perfeto Señor. Sueño politico (1626), 643 Heraclito i Democrito (1641) 644 e le Paradoxas racionales (1654) 645 di Antonio López de Vega (António Lopes da Veiga), Los hidalgos del aldea e El caballero de Illescas di Lope de Vega, 646 il Sueño del Infierno e il Marco Bruto di Quevedo, 647 autori, questi due ultimi, considerati fra i massimi esponenti della  









il titolo del codice, che ora si trova nella Biblioteca Nacional (Ms. 1172) di Madrid : Diálogos de diferentes materias hechos por Damasio de Frias y Balboa, de mano, y son de don antonio lopez de calatayud. – MDLXXXIJ. 643   Nella dedica « A LOS SEÑORES », premessa a quest’opera, Antonio López de Vega parla della “desigualdad tan contraria a la comun Naturaleza”. Cfr. El PERFETO | Señor. | Sueño Politico. | POR ANTONIO LOPEZ DE | Vega, Secretario del | EXCELENTISSIMO SEÑOR | D. Bernardino Fernandez de Velasco i | Touar, Condestable de Castilla i de Leon, | Camarero i Copero mayor del Rey nues- | tro señor, Duque de la Ciudad de Frías, | Conde de Haro i de Castilnouo, Marques | de Berlanga, Señor de la Casa de los | siete Infantes de Lara, &c. | [Piccolo ornamento tipografico] | CON PRIVILEGIO. | [Linea tipografica] | EN MADRID, Por Luis Sanchez, | Año M.DC.XXVI. (Wien, Österreichische Nationalbibliothek : 33. N. 48), fo. [6v]. 644   In quest’opera Antonio López de Vega considera la disuguaglianza sociale “tan vergonçosa a la comun naturaleza” e parla della “natural igualdad” degli uomini. Cfr. HERACLITO | I DEMOCRITO | DE NVESTRO SIGLO. | Descrivese su legitimo Filosofo. | DIALOGOS MORALES, | Sobre tres materias, La Nobleza, La Riqueza, | i las Letras. | DIRIGIDOS | A DON MANVEL ALVAREZ PINTO | i Ribera, Cavallero del Habito de Santiago, Fidalgo de la | Casa del Rey nuestro señor en la de Portugal, Señor de | la Villa de Chilueches, i de los Lugares de | Albolleque, i la Celada. | POR ANTONIO LOPEZ DE VEGA. | [Ornamento tipografico] | CON PRIVILEGIO. | [En Madrid.] POR DIEGO DIAZ DE LA CARRERA. | Año M.DC.XLI. | A costa de Alonso Perez. Librero de su Magestad (Wien, Österreichische Nationalbibliothek : *44. F. 108.), p. 12 e p. 29. 645   Antonio López de Vega : « Paradoxa 2.ª. Diálogos del género activo entre un Cortesano y un Filósofo. Diálogo 1.° Argumento. La diferencia de la sangre i de los nacimientos, ni tiene verdad en la naturaleza ni es más que una vanidad ridícula al verdadero filósofo ». In : Antonio López de Vega : Paradoxas racionales, escritas en forma de diálogos del género narrativo la primera, del activo las demás, entre un Cortesano i un Filósofo. Editadas con una introducción por Erasmo Buceta (= Revista de Filología Española. – Anejo XXI). Madrid : Imprenta de la Libreria y Casa Editorial Hernando 1935, pp. 34-49 (= fo. 18r-31r del Ms. 7.903 della Biblioteca Nacional di Madrid). L’opera è costituita di sei Paradoxas. Anche la terza, la quarta e la quinta sono ‘esplosive’ : « Paradoxa 3.ª : Las insignias honoríficas, la Administración del Govierno i Magistrados públicos, más son incomodidades que honores. I assí, el apetecerlas como el gloriarse de ellas, es manifiesta lesión de juicio », pp. 50-75 (fo. 32r49r). – « Paradoxa 4.ª : La professión de las Armas, tan gloriosa, según la razón política, es, según la natural, una brutalidad indigna de hombres. I el valor militar, según la misma, se deve antes llamar fiereza que valor » pp. 76-96 (fo. 50r-65v). – « Paradoxa 5.ª : Lo que comúnmente se llama honra, es la tirania más loca ; i el saber despreciarla será la comodidad más cuerda », pp. 97-123 (fo. 66r-86r). I giudizi dei censori, che raccomandano la concessione della licenza di stampa, sono datati 20 dicembre 1654, 21 gennaio 1655 e 21 febbraio 1655, ma l’opera non fu pubblicata e rimase manoscritta, sebbene l’autore vivesse ancora nel 1656. Su Antonio López de Vega cfr. Diogo Barbosa Machado : Bibliotheca Lusitana. Tomo I. Coimbra : Atlántida Editora 1965 (1.ª ed. Lisboa 1741), pp. 310-311. – Bartolomé José Gallardo : Ensayo de una Biblioteca Española de libros raros y curiosos. Tomo Tercero. Madrid : Manuel Tello 1888, coll. 516-518. – E. Buceta : « Introducción » a : A. L. de V. : Paradoxas racionales, pp. V-XLIII. Sulla critica radicale alla quale Antonio López de Vega sottopone il principio stesso di nobiltà e della differenza di sangue, cfr. J. A. Maravall : Poder, honor y élites en el siglo XVII, pp. 55-58. – A. Domínguez Ortiz : La sociedad española en el siglo XVII. I, p. 318. 646   Los hidalgos del aldea : “[...] esto de las hidalguías / bien sabéis que es invención, / porque los linajes son / las mudanzas de los días ; / que ellos bajan o adelantan / donde quieren las personas : / tal vez humillan coronas, / tal vez arados levantan. / Lo que cierto se averigua / es que todos descendemos / de Adán ; mirad si tenemos / sangre igual y sangre antigua. / Probadme vos que nacistes / antes que Adán, y seréis / hidalgo. [...] Desde Adán, mi antecesor, / ha sido ese nombre [señor] ingrato / a la libertad que el cielo / puso en nuestro corazones ; / en demás que hay opiniones, / y lo contaba mi abuelo. / Que de dos gentes que, en fin, / como vos proceden dél, / viene el labrador de Abel / y el hidalgo de Caín” (Los hidalgos del aldea. In : Obras de Lope de Vega publicadas por la Real Academia Española. Nueva Edición. Obras dramáticas. Tomo VI. Madrid : Tipografía de Archivos 1928, pp. 288-323 ; qui pp. 290-291). – El caballero de Illescas : “Servir quiero esta mujer / con todo aqueste dinero, / que si yo soy caballero / dineros he menester. / Con ellos yo sé que igualo / la sangre más noble y franca, / que un caballero sin blanca / es como espada de palo. / Parece un señor lo que es, mas no tiene ejecución, / y así no importa el blasón / donde falta el interés”. – “Ser caballero es tener, / sin que noticia se tenga, / de dónde el principio venga, / pues todos somos de un ser. / La nobleza es la virtud, / todos nacimos de un padre, es la tierra común madre / de la cuna al ataúd” (El caballero de Illescas. Obras de Lope de Vega publicadas por la Real Academia Española. Nueva Edición. Obras dramáticas. Tomo IV. Madrid : Tip. de la « Revista de Arch., Bibl. y Museos » 1917, pp. 108-144 ; qui p. 127, p. 128). 647   Nel Sueño del Infierno si trovano queste righe ben note : “Toda la sangre (ydalguillo) es colorada. [...] el que  





























































































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ideologia dominante e dei suoi miti castizos – venivano addirittura espresse idee di una radicalità ‘democratica’ perfettamente contrastante con i diffusi clichés di una Spagna prigioniera dei miti della hidalguía e della limpieza di sangue e immobilizzata in una rigida struttura aristocratica, totalmente priva di mobilità sociale. Indubbiamente l’opinione che l’ambiente e l’ereditarietà determinassero ferreamente il carattere degli uomini predominava nella mentalità ‘popolare’ ed era espressa in tanti refranes : “de tal gente, tal simiente”, “de ruin cepa, nunca buen sarmiento”, 648 “quales fueron los padres, los hijos serán”, 649 “tal padre, tal hijo”, “de mal cuervo, mal güevo”, 650 “el hijo de la cabra, cabrito ha de ser”, “de padre cojo, hijo renco”, “de tal palo, tal astilla”, 651 “Dime con quién tratas, y diréte quién eres y qué costumbres tienes”, 652 “puta la madre, puta la hija”, 653 ecc. (Vi erano, però, anche refranes che negavano il determinismo biologico e l’opinione che la nobiltà venisse trasmessa col sangue ; refranes che riconducevano le disuguaglianze sociali degli uomini, nati tutti eguali, al possesso, o meno, di ricchezze ; e refranes che consideravano non il sangue ereditato ma le “opere”, cioè il merito personale, fonte di nobiltà : “De padre sancto, hijo diablo”, 654 “Costumbres y dineros hazen hijos cavalleros”, 655 “Dejemos padre y agüelos, y por nosotros seamos buenos”, “El algo hace al hidalgo, que la sangre toda es bermeja”, “El dinero es caballero”, “Ése es hidalgo, que hace la hidalguía : Las obras”, “Las obras hacen linajes”, “Todos somos hijos de Adán y Eva, sino que nos diferencia la seda”. 656 Vi erano, infine, refranes che negavano la possibilità dell’esistenza di lignaggi non contaminati da qualche grave macchia e che negavano, quindi, tout court la stessa nobiltà di sangue, come i seguenti : “No ay generación donde no aya ramera o ladrón”. 657 – “No hay generación do no haya puta o ladrón”. 658)  

































[...] es virtuosso, èsse es hidalgo [...] aunque vno dezienda de honbres viles y vaxos [...]. Reymonos acà de uer lo que vltrajais a los villanos, Moros y Judios : como si en èstos no cupieran las virtudes que vosotros despreçiais. [...] la honrra no es nada”. Cfr. Francisco de Quevedo Villegas : Sueños y Discursos. Tomo I [- II]. Edición de James O. Crosby (= Nueva Biblioteca de Erdición y Crítica, 6). Madrid : Castalia 1993, p. 170. Nel Marco Bruto si considera “la igualdad de todos” come il fondamento più sicuro della libertà” e si dichiara : “El noble infame no es hijo de nadie ; porque de quien no lo es no lo puede ser, y de quien lo es no lo sabe ser”. – “no es culpa nacer del ruin, sino imitarle” (Francisco de Quevedo y Villegas : Marco Bruto. In : F. de Q. : Obras completas. Edición de Felicidad Buendía. Obras en prosa. Madrid : Aguilar 1979, pp. 915-991 ; qui p. 938 e pp. 923-924). 648   Hernán Núñez : Refranes o proverbios en romance. Edición crítica de Louis Combet, Julia Sevilla Muñoz, Germán Conde Tarrío y Josep Guia i Marín. Tomo I, p. 68 e p. 62. 649   Juan de Mal Lara : Obras completas, I. Philosophia vulgar. Madrid : Biblioteca Castro 1996, p. 599. 650   Gonzalo Correas : Vocabulario de refranes y frases proverbiales (1627). Edición de Louis Combet, p. 761 e p. 1119. 651   Cfr. Juana G. Campos y Ana Barella : Diccionario de refranes. Prólogo de Rafael Lapesa (= Anejos del Boletín de la Real Academia Española, Anejo XXX). Madrid 1975, p. 233, p. 333, p. 340. 652   Gonzalo Correas : Vocabulario de refranes y frases proverbiales, p. 228. 653   Gonzalo Correas : Vocabulario de refranes y frases proverbiales, p. 665. 654   Juan de Mal Lara : Obras completas, I. Philosophia vulgar, p. 665. 655   Juan de Mal Lara : Obras completas, I. Philosophia vulgar, p. 614. – Gonzalo Correas : Vocabulario de refranes y frases proverbiales, p. 190. Nella Segunda Celestina (1534) si legge : “la riqueza haze el linaje”. Frase ripetuta nella Tercera Celestina (1542) : “… y, como las riquezas hoy día hagan linaje…”. Cfr. Feliciano de Silva : Segunda Celestina. Edición de Consolación Baranda. Madrid : Cátedra 1988, p. 531. – Sancho de Muñón : La tercera Celestina (Tragicomedia de Lisandro y Roselia). Copia y reducción hechas sin una sola alteración por Joaquín López Barbadillo, que la imprime a su costa. Madrid : Talleres Tipográficos de « El Imparcial » 1918, p. 150. 656   Gonzalo Correas : Vocabulario de refranes y frases proverbiales, p. 223, p. 253, p. 267, p. 345, p. 455. 657   Juan de Mal Lara : Obras completas, I. Philosophia vulgar, p. 784. Juan de Mal Lara commenta così il proverbio : “Este refrán es para humillar todos los humos que se levantan de los linages, que no ay ninguno donde no se halle muger o hombre, que ayan caído en alguna culpa. La muger por la vía de ramera, y el hombre de ladrón ; y esto, aunque se niegue hasta la quarta generación, de allí adelante poco se sabe. Quanto más, todas las rameras y todos los ladrones, no mueren infamadas ellas, y ahorcados ellos.” 658   Gonzalo Correas : Vocabulario de refranes y frases proverbiales (1627). Edición de Louis Combet, p. 572.  

































































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Anche nella medicina e nella filosofia naturale le idee sulla generazione (e sul ruolo svolto in essa, rispettivamente, dal padre e dalla madre) si basavano sul determinismo biologico, ambientale e addirittura alimentare 659 (talvolta anche astrale 660). Tutti i medici, sia che fossero conversos sia che fossero cristianoviejos, condividevano le idee sulla ereditarietà, accettate universalmente da secoli dalla scienza medica (risalivano agli scritti ippocratici, alla biologia di Aristotele e a Galeno). È pensabile che il medico Francisco López de Úbeda – nel caso, ovviamente, che sia lui, e non Fray Baltasar Navarrete, l’autore della Pícara Justina – le potesse rifiutare per la sua origine conversa (data come certa da Antonio Rey Hazas pur senza produrre alcuna prova) ? Escluderemmo questa possibilità. Tanto più che le numerose affermazioni esplicite sulla ereditarietà presenti nelle prime pagine del numero intitolato « Del Abolengo festiuo » e nella prima pagina del numero intitolato « De la Mesonera astuta », sopra citate, pur essendo messe in bocca a Justina si rivelano chiaramente come convinzioni ‘scientifiche’ proprie dell’autore. È necessario considerare inoltre che le “norme retoriche” alle quali Antonio Rey Hazas dà tanta importanza, non erano ‘ideologicamente’ molto significative perché procedevano dalla millenaria tradizione dei precetti di Aristotele (Poetica, 661 Retori 















659   Sull’influsso determinante del regime alimentare dei genitori sulla conformazione fisica e sulle qualità e facoltà intellettuali dei figli si diffonde - per esempio - il medico Juan Huarte de San Juan nel suo Examen de ingenios para las ciencias (Edición preparada por Esteban Torre. Madrid : Editora Nacional 1977, Cap. XV, Parte III, pp. 343-363), pubblicato a Baeza nel 1575. Anche le norme dietetiche dei medici Luis Lobera de Ávila (Uergel de Sanidad : que por otro nombre se llamaua Banquete de Caualleros / y orden de biuir : ansi en tiempo de sanidad como de enfermedad : y habla copiosamente de cada manjar que complexion / y propriedad tenga : y de sus prouechos y daños. Alcalá de Henares : Jvan de Brocar 1542. – Libro del Regimiento de la salud y de la esterilidad de los hombres y mujeres. Valladolid : Sebastian Martínez 1551) e Juan Sorapán de Rieros (Medicina española. Granada : Martín Fernández Zambrano, Juan Muñoz 1615-1616) erano fondate sulla convinzione che la ‘qualità del sangue’ fosse determinata dalla qualità della alimentazione : cibi leggeri e delicati formavano sangue delicato, cibi pesanti e ordinari “gruesa y basta sangre” (cfr. J. A. Maravall : Poder, honor y élites en el siglo XVII, p. 25 e pp. 55-56). 660   Sulla influenza degli astri sulla complessione, le facoltà, il temperamento e le inclinazioni degli uomini, cfr. – per esempio – Pedro Ciruelo : Reprovación de las supersticiones y hechizerías (1538). Edición, introducción y notas de José Luis Herrero Ingelmo. Salamanca : Diputación de Salamanca 2003, p. 86. – Pedro Mexía : Silva de varia lección. I [- II]. Edición de Antonio Castro. Madrid : Cátedra 1989, I, pp. 406-413, pp. 519-523 ; II, pp. 40-44. – Pedro Mejía : Diálogos o Coloquios. Edición de Antonio Castro Díaz. Madrid : Cátedra 2004, p. 475. – Antonio de Torquemada : Jardín de flores curiosas. Edición, introducción y notas de Giovanni Allegra. Madrid : Castalia 1982, pp. 362-375. – Juan Arce de Otálora : Coloquios de Palatino y Pinciano. Tomo II. Jornada octava a Jornada décima séptima y última. Madrid : Biblioteca Castro 1995, p. 1003. Naturalmente Ciruelo (Reprovación, p. 88), Mexía (Silva, I, p. 407, p. 521 ; II, p. 41, p. 44, p. 196), Torquemada ( Jardín, p. 368) e Arce de Otálora (Coloquios, p. 1000) precisano che l’influsso astrale non annulla il “libre albedrío”, la “libertad del hombre”. Mateo Alemán scriveva : “Las estrellas no fuerzan, aunque inclinan. […] Libre albedrío te dieron con que te gobernases. La estrella no te fuerza ni todo el cielo junto con cuantas tiene te puede forzar” (Mateo Alemán : Guzmán de Alfarache. Edición, introducción, notas y apéndices de Francisco Rico. Barcelona : Planeta 1983, p. 437). Anche nella Comedia Eufrosina si nega il determinismo astrale con il richiamo al libero arbitrio : “os aspectos do ceo sam somente huns sinays e auisos de poder ser o que mostrão, não he porem de força que nos ponha em obrigação. Porque a diuina prouidencia nos deu arbitrio proprio pera usarmos segundo nosso querer e destino, e termos natural escolha do bem e do mal” ( Jorge Ferreira de Vasconcellos : Comedia Eufrosina. Texto de la edición príncipe de 1555 con las variantes de 1561 y 1566. Edición de E. Asensio, p. 349). Nella Vida es sueño, nella quale si celebra il trionfo del libero arbitrio sulla influenza astrale, si leggono questi versi : “el hado más esquivo, / la inclinación más violenta, / el planeta más impio, / sólo el albedrío inclinan, / no fuerzan el albedrío.” Cfr. Pedro Calderón de la Barca : La vida es sueño (Comedia, auto y loa). Edición, estudio y notas de Enrique Rull. Madrid : Editorial Alhambra 1980, p. 155 (vv. 787-791). Versi analoghi contiene anche La hija del aire. Cfr. Don Pedro Calderón de la Barca : Obras completas. Tomo I : Dramas. Nueva edición, prólogo y notas de A. Valbuena Briones. Madrid : Aguilar 1969, p. 725. Le opinioni sul libero arbitrio, sul determinismo e sull’influsso degli astri, ricorrenti nella letteratura spagnola dei XIV-XVII secolo, sono state illustrate da Otis H. Green : España y la tradición occidental. Tomo II. Madrid : Gredos 1969, pp. 239-312. 661   Cfr. Aristote : Poétique. Texte établi et traduit par J. Hardy. Paris : Société d’Édition « Les Belles Lettres » 1961, pp. 50-51 (XV, 1454a).  













































































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ca 662), di Cicerone (De inventione 663) e di Orazio (De arte poetica 664) sul decorum (o aptum), cioè sulla conformità e sulla coerenza (convenientia) che devono sussistere fra i caratteri (le persone) rappresentati e il sesso, l’età, la nazionalità, la parentela, lo status sociale, la fortuna, il temperamento e l’educazione loro attribuiti. Ma è poi possibile che proprio Fray Luis de Granada (la sua Guia de pecadores è ricordata nella Pícara Justina 665), ‘discepolo’, 666 grande ammiratore e biografo di San Juan de Ávila, credesse nel determinismo biologico, nel “determinismo del linaje” ? Basta sfogliare le sue opere per trovare affermazioni come le seguenti : “[el Criador] es el primer origen y solar de toda nobleza”. – “todos nacimos iguales (cuanto á la condicion natural)”. 667 – “en sola ella [la virtud] está la verdadera honra”. – “[el hombre] tiene libre albedrío [...]. [...] el hombre es libre y señor de sus obras, y así puede hacer y dejar de hacer lo que quisiere”. 668 A riguardo poi, specificatamente, dei “cánones ideológicos de la hidalguía” di cui parla Antonio Rey Hazas, non si deve dimenticare che la hidalguía era costituita di numerosi, quanto diversi gruppi : hidalgos de sangre, hidalgos a fuero de Castilla, hidalgos de linaje (secondo la ricordata definizione de Las Siete Partidas), hidalgos de los cuatro costados (o de los cuatro avalorios), hidalgos de armas pintar y poner, hidalgos de devengar quinientos sueldos, hidalgos de casa y solar conocido, hidalgos notorios, hidalgos de privilegio, hidalgos de ejecutoria, hidalgos de gotera, hidalgos en propiedad, hidalgos en posesión, hidalgos de real provisión, hidalgos de beneficio o personales, hidalgos por cargo, hidalgos de Indias, ecc. 669 (vi erano addirittura gli hidalgos de bragueta ! 670). Come si vede la hidalguía era una costellazione molto eterogenea e variegata : etnicamente (vi erano anche hidalgos “con raça”, 671 cioè conversos di origine araba ed ebraica), socialmente (comprendeva anche persone che esercitavano “oficios vi 





















   





662   Aristote : Rhétorique. Tome deuxième (Livre II). Texte établi et traduit par Médéric Dufour. Paris : Société d’Édition « Les Belles Lettres » 1960, pp. 91-98 (XII-XVII, 1388 b – 1391 b). 663   M. Tullius Cicero : De inventione. Über die Auffindung des Stoffes. Lateinisch-deutsch. Herausgegeben und übersetzt von Theodor Nüßlein. (Sammlung Tusculum.) Darmstadt : Wissenschaftliche Buchgesellschaft 1998, pp. 74-75 (I, 24-25). 664   Quintus Horatius Flaccus : De arte poetica. In : Quinto Orazio Flacco : Opere. A cura di Tito Colamarino e Domenico Bo. (Classici Latini.) Torino : Unione Tipografico-Editrice Torinese 1969, pp. 534-563 ; qui pp. 540545 (vv. 119-178). 665   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO DE la Picara Romera. Capitulo quarto [segvndo !] del fullero burlado. Numero tercero de la burla del hermitaño », p. 53. 666   Cfr. Luis Sala Balust y Francisco Martín Hernández : Estudio biográfico. In : San Juan de Ávila : Obras completas. Nueva edición crítica. I. Madrid : B.A.C. 2000, pp. 5-319 ; qui p. 124 (il gesuita Melchor Carneiro scriveva a Ignacio de Loyola : “frei Luis de Granada ... é dos discipolos de Ávila, ainda que frade de sao Domingos”). Cfr. inoltre M. Bataillon : Erasmo y España, p. 594. 667   Fray Luis de Granada : Guía de pecadores (Salamanca 1570). In : F. L. de G. : Obras. Tomo primero (= Biblioteca de Autores Españoles, VI). Madrid : Atlas 1944, pp. 1-170 ; qui p. 40 e p. 125. 668   Fray Luis de Granada : Introducción al Símbolo de la Fe (Salamanca 1582). In : F. L. de G. : Obras. Tomo I, pp. 181-733 ; qui p. 261 e p. 264. 669   Cfr. Jordi Nadal : España en su cenit (1516-1598). Un ensayo de interpretación. Barcelona : Crítica 2001, pp. 37-42 (« Hidalgos y pecheros »). Cfr. anche Bartolomé Bennassar Perillier : Los hidalgos en la España de los siglos XVI y XVII : una categoría social clave. In : Bartolomé Bennassar Perillier, Fernando Bouza Álvarez, et al. (eds.). : Vivir el Siglo de Oro. Poder, cultura e historia en la época moderna. Estudios en homenaje al profesor Ángel Rodríguez Sánchez (= Actas Salmanticensia. Estudios Históricos & Geográficos, 119). Salamanca : Ediciones Universidad de Salamanca 2003, pp. 49-60 ; qui pp. 50-53. 670   Cfr. Vicente de Cadenas y Vicent : Los hidalgos por derecho prolífico. In : Hidalguía IV, Núm. 19 (Año 1956), pp. 725-730. 671   Diálogo de la vida de los Pajes de Palacio. Compuesto por Diego de Hermosilla, Capellán Del Emperador D. Carlos V. Año 1573. Edited, with an Introduction and Notes by Donald MacKenzie, p. 44. Esempi storici concreti saranno fatti più avanti.  



















































































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les, y mecanicos” 672) e, ancor più, economicamente (secondo una protesta delle Cortes, che si opposero alla revisione dei titoli di hidalguía ordinata da Felipe II nel 1593 con una Real Cédula, gli hidalgos erano, per la maggior parte, poveri ; non avrebbero pertanto potuto affrontare le spese relative alle costose probanzas che sarebbero state effettuate dagli alcaldes de los hijosdalgo 673). Il denominatore comune della hidalguía era, nella Spagna di Juan II 674 come in quella di Filippo II, 675 esclusivamente, l’esenzione fiscale (a questa la riducevano scrittori come Alonso López Pinciano 676 o Sebastián de Covarrubias Orozco 677). Quindi unicamente in virtù di tale esenzione la costellazione sociale formata dagli hidalgos si contrapponeva alla costellazione formata da tutti coloro che i tributi li pagavano : i pecheros. 678 (Se poi Antonio Rey Hazas ha usato il termine hidalguía come sinonimo di nobiltà, 679 si deve osservare che per potere politico, prerogative e privilegi giuridici, proprietà della terra, ricchezza e prestigio sociale questo ceto – o ‘stato’ –, che comprendeva i Grandi, i nobili titolati, i cavalieri, i semplici hidalgos e gli scudieri, era ancor più eterogeneo della hidalguía, che della gerarchia nobiliare costituiva il gradino inferiore. 680)  





















672   Bernabé Moreno de Vargas : Discursos de la nobleza de España. Madrid 1636, fo. 62v. – D. Alfonso de Figueroa y Melgar, Duque de Tovar : Los prejuicios nobiliarios contra el trabajo y el comercio en la España del Antiguo Régimen. In : Cuadernos de investigación histórica 3 (1979), 415-436. – Carla Rahn Phillips : Ciudad Real, 1500-1750. Growth, Crisis, and Readjustment in the Spanish Economy. Harvard University Press. Cambridge, Massachusetts 1979, p. 107. – Marie-Claude Gerbet - Janine Fayard : Fermeture de la noblesse et pureté de sang dans les concejos au XVème [XVIème !] siècle : à travers les procès d’hidalguía. pp. 467-468. – Claude Chauchadis - Jean-Michel Laspéras : L’Hidalguía au XVIe siècle : cohérence et ambiguïtés. In : Hidalgos & Hidalguía dans l’Espagne des XVIe-XVIIIe siècles. Théories, pratiques et représentations (= Collection de la Maison des Pays Ibériques, 37). Paris : C.N.R.S. 1989, pp. 47-70 ; qui p. 59. Alcuni esempi storici concreti saranno fatti più avanti. 673   Cfr. A. Domínguez Ortiz : La sociedad española en el siglo XVII. I, p. 176. 674   Parlando degli abitanti di Toledo, il famoso Bachiller Marcos García de Mora scriveva nell’ottobre-novembre 1449 : “todos los veçinos de la dicha ciudad se pueden llamar nobles por raçón de la nobleça ceuil de generosidad, porque aquélla no es otra cosa saluo un carácter o calidad inferida o imprimida por el Rey o aquél que tiene Prinçipado, el qual quiso que alguno fuese mostrado más honrrado o más preuilegiado o acepto que no los otros plebeios con él, según la difinición que pone Bártulo en la […] ley primera [De Dignitatibus, lib. XI], e pues los veçinos de la dicha ciudad son preuilegiados y esentos de tributos e honrrados con muchas honrras e prerrogativas más que las otras ciudades e ciudadanos de la otras ciudades, por cierto son e se pueden deçir nobles por nobleça ceuil e generosidad de sí, como qualquier hijo dalgo de solar conocido” (Memorial del « Bachiller Marquillos de Mazarambroz ». In : Eloy Benito Ruano : Los orígenes del problema converso. Edición revisada y aumentada. Madrid : Real Academia de la Historia 2001, pp. 103-140 ; qui pp. 134-135). 675   Cfr. Annie Molinié-Bertrand : Les Hidalgos dans le Royaume de Castille à la fin du XVIe siècle. Approche cartographique. In : Revue d’histoire économique et sociale 52 (1974), 51-82 ; qui p. 52. 676   [Alonso] López Pinciano : Philosophia antigua poética [1596]. Edición de Alfredo Carballo Picazo. I, p. 127 (“hidalguías [...] no son noblezas, sino vnas libertades y exempciones solamente”). 677   Nell’articolo « Pecho » del suo Tesoro de la lengua castellana o española Sebastián de Covarrubias Orozco scrive : “Pechero, el que le paga. Déste están exentos los hidalgos y por el pecho se dividen de los que no lo son” (Tesoro, p. 810). 678   Cfr. A. Molinié-Bertrand : Les Hidalgos dans le Royaume de Castille à la fin du XVIe siècle, pp. 51-82. – Claude Chauchadis - Jean-Michel Laspéras : L’Hidalguía au XVIe siècle : cohérence et ambiguïtés, pp. 47-70. – Joseph Pérez : Réflexions sur l’Hidalguía. In : Hidalgos & Hidalguía dans l’Espagne des XVIe-XVIIIe siècles. Théories, pratiques et représentations (= Collection de la Maison des Pays Ibériques, 37). Paris : C.N.R.S. 1989, pp. 11-22. – Ricardo Saez : Hidalguía : Essai de définition. Dès principes identificateurs aux variations historiques. In : Hidalgos & Hidalguía dans l’Espagne des XVIe-XVIIIe siècles. Théories, pratiques et représentations (= Collection de la Maison des Pays Ibériques, 37). Paris : C.N.R.S. 1989, pp. 23-45. – Marie-Claude Gerbet : La nobleza en la Corona de Castilla. Sus estructuras sociales en Extremadura, 1454-1516, pp. 45-48. 679   Molti teorici identificano, in realtà, hidalguía e nobiltà. Cfr. – per esempio – Juan Arce de Otálora : Summa nobilitatis hispanicae, p. 25 (“nobilitas […] apud nos dicitur Hidalguia”), p. 354 (“Item appellatione nobilium comprehenduntur Equites, Comites, Marchiones, & Duces… [Y assi a apellacion de hidalgo se pueden comprehender caualleros y señores de titulo y no se les haze injuria, en dezir que son hijos dalgo]). – Fr. Benito de Peñalosa y Mondragon : Libro de las cinco excelencias del español, fo. 85v (“En nuestra España, qualquier Noble se llama Hijodalgo, y la Nobleça Hidalguia”). 680   Gli scudieri, che originariamente costituivano l’ultimo gradino della nobiltà ed erano sicuramente no 















































































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Non solo veniva, da molti, negato il principio della trasmissione biologica della nobiltà e quindi l’esistenza del sangue nobile e, da quasi tutti, identificata la nobiltà con la virtù e non con il lignaggio, ma la stessa nobiltà come ‘stato’, come ceto sociale, era spesso ferocemente criticata. E bersaglio di una critica corrosiva non era solo la piccola o la media nobiltà, ma addirittura la Grandeza. Particolarmente virulenti erano gli attacchi dei Francescani, che consideravano il cattivo esempio dato dall’aristocrazia come la causa principale della decomposizione del corpo sociale. 681 Ma oltre a frati francescani come Fray Diego de Estella (Tratado de la vanidad del mundo. Salamanca : Mathias Gast 1574), 682 Francisco Núñez (Retrato del peccador dormido. Salamanca : Mathias Gast 1575), 683 Francisco Ortiz Lucio (Tratado vnico del Príncipe y Iuez Christiano. Madrid : Luis Sánchez 1601), 684 Melchor de Huélamo (Libro primero de la vida y milagros del glorioso confesor Sant Ginés de la Xara. Valladolid 1602. – Murcia : Agustín Martínez 1607) 685 e Fray Juan de Santa María (Tratado de Republica y Policia Christiana. Madrid : En la Imprenta Real 1615), 686 anche frati domenicani,  





















bili, sono, nel XVI secolo, un gruppo sociale in fase di progressiva estinzione. Cfr. A. Martino : Il Lazarillo de Tormes e la sua ricezione in Europa (1554-1753). Volume I. L’opera, pp. 538-544. 681   Cfr. M. Cavillac : Gueux et marchands dans le Guzmán de Alfarache, pp. 236-237. 682   Cfr. Claude Chauchadis : Honneur, morale et société dans l’Espagne de Philippe II, p. 50, p. 116. 683   RETRATO | DEL PECCADOR | DORMIDO. | Compuesto por el Reuerendo padre Fray Francisco Nuñez | Predicador, de la orden de los Frayles Menores, y de la Pro- | uincia de Sanctiago. Dirigido a la Excellentißima Se- | ñora Duquesa de Alua, Marquesa de | Coria, y Condessa de Saluatierra. | Y agora de nueuo corrigido por el mismo Padre. | [Stemma della Duchessa d’Alba] | Con licencia y priuilegio. | En Salamanca Por Mathias Gast. | [Linea tipografica] | M.D.LXXV. | Esta tassado en dos reales. (Madrid, Biblioteca Nacional : R/ 25427*), fo. 79v-84r (Cap. « Del tercero linage de gente, que suele profundamente durmir, que son los illustres y caualleros »). In questo capitolo Fray Francisco Núñez cosí apostrofa il nobile : “[...] lo que tu vsas, para te yr tras el tropel de tus vicios, es el comer esplendidamente, andandote de banquete en banquete, y de serao en serao. No ganaron tus antepassados, lo que te dexaron, con semejantes vanidades y vicios, sino con pelear por la defension de la fe, y con poner muchas vezes su vida a riesgo por ella y por su rey. No se les dieron sus blasones y armas, ni ganaron nombre de illustres, valientes y animosos, con descanso, fiestas y regozijos, sino con muchos trabajos, y con pelear contino. [...] Lo que tus passados ganaron destruies tu. En lugar del leon de sus armas ... pones vna insignia de couardia, que la esta predicando, porque assi como la valentia, y virtud del bueno da vozes contra la couardia, y vicios del malo y couarde, y es pregonero de el animo del animoso y virtuoso : assi aquel leon predica la virtud de tus passados, y la couardia tuya. De suerte que tu borras todas las insignias de illustres, que ellos ganaron, poniendo sobre ellas lo que tu con tus vicios pierdes.” 684   TRATADO VNICO | DEL PRINCIPE Y IUEZ | CHRISTIANO, TOMADO DEL | tratado quinze de los lugares comunes de la tercera | impression, de la qual està impressa vna primera par- | te, y el priuilegio. Es prouechoso para juezes | Eclesiasticos, y seglares, è Inquisidores Apo- | stolicos, y para litigantes, y para to- | dos los que le leyeren. | AVTOR F. FRANCISCO ORTIZ | Lucio, Difinidor de la Prouincia de Castilla, | de la Obseruancia de S. Francisco. | DIRIGIDO A DON FRAN- | cisco Manuel, Dean de Santiago, è Inqui- | sidor Apostolico de Toledo, | y su Reyno. | [Motivo tipografico ornamentale] | En Madrid, Por Luis Sanchez : | Año M.DCI. (Madrid, Biblioteca Nacional : Usoz/10128), fo. 5r-6r (“En qualquier hombre Christiano parecen mal los vicios, especialmente en los caualleros y señores : estos son peores. [...] los hijos de los grandes [...], gente moça, sensualissima, ... no se contentan con pecar, sino que por pecar, vienen à idolatrar”). 685   Cfr. M. Cavillac : Gueux et marchands dans le Guzmán de Alfarache (1599-1604), p. 237. 686   Fray Juan de Santa María, che coraggiosamente dedica il suo Tratado – tutto una severissima requisitoria non solo contro il Duca di Lerma, il sistema stesso della privanza e la corruzione politica connessa a questo sistema, la quale come un cancro corrodeva la società e lo Stato, “el cuerpo mystico de la Republica” (« Carta Dedicatoria » e pag. 211), e provocava la profonda decadenza della Monarchia, ma anche contro la passività e l’abulia dello stesso Re (definito “cabeça mistica deste cuerpo de la Republica”), il suo disinteresse per il bene pubblico e la sua eccessiva passione per il gioco e i divertimenti – a Filippo III, ammonendolo con fermezza a non assoggettare a nessuno la sua volontà, ad adempiere al suo alto “oficio” e a governare di persona con l’aiuto di ministri, consiglieri e funzionari di grande esperienza, saggezza, prudenza e dottrina, capaci, onesti e soprattutto disinteressati (“la codicia es vna de las peores notas que se pueden poner en los ministros y consejeros Reales … : y de los que estuuieren tocados desta peste, han de huyr los Reyes, como de pestilencia”), e non con l’aiuto di “ambiciosos Cortesanos”, rappresenta l’alta nobiltà come dedita principalmnente alla crapula :  































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come Fray Agustín Salucio 687 o Fray Alonso de Cabrera (1549-1598), biasimavano duramente l’alta nobiltà. L’attacco che – per esempio – Fray Alonso de Cabrera, appartenente per nascita all’alta nobiltà, 688 e precisamente alla “nobilisima familia de los Godoy Cabrera” di Córdova, 689 sferra nelle sue Consideraciones del Lunes después del Domingo segundo de Cuaresma contro “los grandes, los ricos y los poderosos”, è di inaudita violenza. Li accusa infatti di succhiare il sangue dei poveri, di arrichirsi impadronendosi dei beni comunali, di essere i voraci divoratori e accaparratori di tutti i viveri che giungono in città e che i loro dispensieri con frode rivendono, di credere che tutto gli sia lecito e di tutto sfruttare :  







Ellos chupan la sangre de los pobres, engordan con los propios de la república. Son la gomia de cuanta provisión viene á la ciudad. Sus despenseros son ladrones ; sus despensas, carnicerías y pescaderías públicas, donde se vende el gato por liebre. Todo les parece lícito. No ay árbol que no desfruten, ni leche que no desnaten, ni flor que no deshojen [...].  

Fray Alonso de Cabrera prosegue la sua requisitoria stigmatizzando cosí i costumi dei figli dei Grandi :  

Vamos adelante, á los mancebos, á los hijos de estos grandes. [...] Esos mocitos : no hay más memoria de Dios que si fuesen turcos. Sólo se acuerdan de él para jurar y perjurarse ; comedores, bebedores, tahures, deshonestos, y no como quiera, sino con escándalo, haciendo escuela pública de pecados, y teniendo por gala y por flor tratar con rameras y cantoneras, sacando dese civil trato asquerosas enfermedades, que pegan después á sus mujeres inocentes y limpias. [...] Son ... como caballos castizos, que echados á las yeguas en el prado, son tan rijosos que, si algún caballo pasa por el camino, salen relinchando á él, que le quieren comer á bocados. Si veen al otro pasar por una calle. ¿Qué digo ? No me paséis por aquí ni aun por todo este barrio ; ni aun en el lugar ha de estar. – Pues, buen remedio, desterralde de todo el mundo. [...] Cada uno solicita la mujer de su vecino y de su prójimo. Y no pasa la otra por la calle, que luego no la sigan. No se pone la otra á la ventana, que luego no la paseen y hacen señas. No viene á misa y á sermón, que no le hagan cocos y digan motes y le den encuentros. [..] Vayan los pimpollos, vayan en agraz mal logrados de muertes violentas, súbitas, desastradas. Pues no los habéis criado para Dios, Dios os los quitará [...]. 690  









“Muchas vezes me paro a considerar la ceguedad de la gente noble ; que haziendo tan gran caudal, y punto de honra, de no pagar pecho, ni tributo, aunque no sea mas que vna blanca, y que perderan las vidas antes que confessarse pecheros, quanto mas nobles, y mas grandes señores se consideran, mas se glorian de tributarios, y mas se rinden, y sugetan a este infame tributo, y tirano pecho, que se paga al gusto. Que mesas tan esplendidas ? Que de manjares tan esquisitos ? Que vinos tan preciosos ? Que regalos tan costosos ? [...] O ceguedad de la nobleza Christiana...”. Cfr. (Fray Iuan de Santa Maria, Predicador, y padre de la Prouincia de S. Ioseph, de los Descalços del Orden de S. Francisco :) | [Cornice architettonica] | TRATADO | DE | REPVBLICA, | Y | POLICIA | CHRISTIANA. | PARA REYES | y Principes : y para los que | en el gouierno tienen | sus vezes. | [Motivo tipografico ornamentale] | EN MADRID, | [Linea tipografica] | En la Imprenta Real. 1615 (Madrid, Biblioteca Nacional : R/19241), p. 47, p. 106, p. 270, pp. 360-361. 687   Fray Augustín Salucio, O. P. : Sermón del Domingo de Ramos (1570). In : Fray Augustín Salucio, O. P. : Avisos para los predicadores del Santo Evangelio. Estudio preliminar, edición y apéndices por Alvaro Huerga (= Espirituales Españoles. Serie A : Textos. Tomo II). Barcelona : Juan Flors 1959, pp. 226-236 ; qui p. 227 (“Hoy es parte de la grandeza ser comedores los caballeros ; y, si no hacen seis comidas al día – y todas que lleven fuego – no se distinguirían de los plebeyos”). 688   Cfr. Cl. Chauchadis : Honneur, morale et société dans l’Espagne de Philippe II, p. 240. 689   D. Miguel Mir : « Discurso preliminar » a : Sermones del P. Fr. Alonso de Cabrera de la Orden de Predicadores. Tomo I. Con un discurso preliminar de Don M. M. Segunda tirada (= Nueva Biblioteca de Autores Españoles, 3). Madrid : Bailly/Bailliere 1930, pp. III-XXXII ; qui p. XXIX. 690   Libro de Consideraciones sobre los Evangelios, desde el Domingo de Septuagéssima, y todos los Domingos y Ferias de Quaresma, hasta el Domingo de la Octava de Resurrección. Compuestos por el M. R. P. Maestro Fray Alonso de Cabrera de la Orden de S. Domingo de la Provincia de Andaluzía. Predicador de los  











































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La “libertad sobre toda ponderación”, mostrata dal domenicano nei suoi Sermones, “es tal” – scrive Miguel Mir, che a riprova della sua asserzione trascrive ampie pagine proprio dalle Consideraciones del Lunes después del Domingo segundo de Cuaresma – “que quizá no haya habido predicador que haya tenido en el púlpito tales atrevimientos”. 691 Non soltanto dal pulpito veniva attaccata l’alta nobiltà. Nelle opere di religiosi come Diego de Hermosilla e Malón de Chaide e di scrittori laici come Cristóbal Suárez de Figueroa e Antonio López de Vega, si trovano attacchi contro l’alta nobiltà non meno arditi di quelli di Fray Alonso de Cabrera. Diego de Hermosilla, cappellano di Carlo V, traccia nel suo Diálogo de los pajes (1573) un quadro impietoso dei grandi signori, dimentichi dei doveri inerenti al loro stato e delle virtù degli avi, degenerati e insipienti, arroganti e superbi con i nobili impoveriti, verso i quali pur dovrebbero avere l’obbligo della solidarietà, e riguardosi con i ricchi mercanti con i quali sono indebitati e dai quali finanziariamente dipendono, animati dal desiderio di dominio e di assoluta preminenza sociale692 e, nello stesso tempo, dominati e manovrati come marionette da un qualche servitore che ha saputo insinuarsi nelle loro grazie. 693  



Sereníssimos y Catholicos Reyes Don Phelipe II y Don Phelipe III. Tomo primero de Quaresma. Dirigido a Don Francisco de Rojas Sandoval, Duque de Lerma. Año de 1601. Con privilegio Real. En el Convento de S. Pablo de Córdova, de la Orden de S. Domingo. Por Andrés Barrera. In : Sermones del P. Fr. Alonso de Cabrera de la Orden de Predicadores. Tomo I. Con un discurso preliminar de Don Miguel Mir. Segunda tirada (= Nueva Biblioteca de Autores Españoles, 3). Madrid : Bailly/Bailliere 1930, pp.1-516 (le Consideraciones del Lunes después del Domingo segundo de Cuaresma sono riprodotte alle pp. 153-162) ; qui pp. 158-159. Nelle Consideraciones del Martes después del Domingo de Pasión si ripete l’attacco contro la nobiltà : “Nunca el mundo ha estado peor que agora : más cudicioso, más deshonesto, más loco y altivo ; nunca los señores más absolutus y aun disolutos ; los caballeros, más cobardes y sin honra...” (Sermones, p. 361). 691   D. Miguel Mir : « Discurso preliminar », p. XXIII. 692   “GODOY. – Agora saveis y caeys en que [los señores] assi a clerigos como a legos, por la haçienda, les haçen o quitan la honrra, sin rrespecto ni consideraçion de ofiçios ni linages. À la fee, hermano, en las yglesias y çiminterios estan los que miravan esas cosas. GUZMAN. – Asi pasa ; que ya desterraron linages, virtudes, y obligaçiones, si no son por ante escriuano. GODOY. - ¿No aueys leydo lo que dijo vn poeta, que la haçienda dava honrra y amigos, que del pobre nadie haçia cavdal [Publius Ovidius Naso : Fasti I, vv. 217-218 : “in pretio pretium nunc est : dat census honores, / census amicitias ; pauper ubique jacet.”] ? ¿No se os acuerda de la casa de su aguelo del Duque y aun de la de su padre, quantos hijos de nobles, devdos, y criados viejos de sus casas, se criavan en ellas ? Agora veis que [no] le sirven al Duque de pajes sino el hijo del judio o villano que le salió por el çenso, y del platero que le hiço la mo[h]atra, y [d]el mercader que le fió el paño y la seda, y aun del sastre que le esperó por las [h]echuras, ni mandan ni medran en ellas sino los tales. GUZMAN. – Vna cosa me desatina a mí destos señores. GODOY. – A mí muchas, pero veamos la vuestra. GUZMAN. – Ver que todos sus pensamientos, y imaginaçiones, y fantasias van endereçadas a mandar y no tener a nadie por superior ; que si pudiese vno destos, no rreconoçer[ia] al Rey y en quanto ternia su estado por pequeño que fuese. Y por otra parte, ver como se meten y sugetan a estos mercaderes y ofiçiales, haçiendoles tanta honrra y sumision como a otros sus yguales. GODOY. – Eso consiste en auerlo[s] menester...” (Diego de Hermosilla : Diálogo de la vida de los pajes [1573]. Edited, with an Introduction and Notes by Donald MacKenzie, pp. 84-85). Molti anni prima, parlando della nobiltà di Toledo, Andrea Navagero aveva scritto : “de Caualieri pochi sono che habbino molta intrata ; ma in loco di quella, suppliscono con superbia, ò come dicono loro, con fantasia : della quale sono si ricchi, che se fussero eguali le facultà : non basteria il mondo contra loro.” Cfr. IL | VIAGGIO | FATTO IN SPAGNA, | ET IN FRANCIA, | DAL MAGNIFICO M. ANDREA | NAVAGIERO, FV ORATORE | DELL’ILLVSTRISSIMO | SENATO VENETO, | ALLA CESAREA MAESTA DI CARLO V. | CON LA DESCRITTIONE | particolare delli luochi, & costumi | delli popoli di quelle | Prouincie. | [Piccolo ornamento] | IN VINEGIA APPRESSO | DOMENICO FARRI. | 1563 (Wien, Österreichische Nationalbibliothek : 11.Y.72), fo. 10r. 693   “GODOY. – Haueis de sauer, señor Lorca, que en la hera [en] que estamos, ay gran parte de señores o la mayor, que ni oyen por sus oidos, ni uen por sus ojos, ni hablan por su lengua, ni mandan por su voluntad, ni comen con su gusto, ni entienden por su entendimiento ; antes para hazer todo esto, husan como de ynstrumento, de algun criado, a quien aman fuera de toda razón y a quien son mas sujetos que los niños de las escuelas a sus maestros, y los traen siempre colgados de las orejas como alanos. A estos tales llamo yo sobre  

















































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Il padre agostiniano Pedro Malón de Chaide, stigmatizzando nella sua Conversión de la Magdalena (1588) il lusso e la crapula, causa di molti peccati e soprattutto della “falta de piedad y caridad con los pobres”, scrive :  

De aquí les nace a muchos señores que, siendo muy ricos y teniendo a ochenta y a cien mil ducados de renta, andan siempre empeñados y que no pagan jamás al criado que los sirve, y se envejece en sus palacios encantados, ni el sastre puede sacar el salario de su trabajo, ni el calcetero es señor de pedir lo que se le debe, ni el jubetero, ni el labrador que les vendió su pan, ni nadie puede sacarles un real, y más fácil fuera “sacar la clava de las manos de Alcides”, como se dice en proverbio ; y se aprovechan de los sudores y trabajos ajenos, y dejan sus estados empeñados y consumidos, y ellos se mueren sin pagar [...]. 694  



Nel Passagero (Madrid : Luis Sánchez 1617) Cristóbal Suárez de Figueroa, che afferma che “sólo es noble el virtuoso, aunque haya nacido villano”, 695 rimprovera ai nobili di aver abbandonato la loro originaria funzione militare – rimprovero rivolto ai giovani cortigiani anche da Lope de Vega 696 –, di mancare del senso dello Stato, della comunità e della solidarietà sociale, di essere egoisticamente solo pensosi dei propri interessi, di amare il lusso e lo sfarzo, di nutrire – pur essendo senza i meriti personali e il valore dei loro avi – una sfrenata ambizione di cariche e dignità (i cavalierati e le commende di Ordini Militari, la llave dorada de gentilhombre de la Cámara del Rey, segno di particolare distinzione e favore, la Grandeza – l’ossessione di conti e marchesi era effettivamente, come documentano profusamente le Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España di Luis Cabrera de Córdoba, di ottenere dal Re l’invito a ‘coprirsi’, con il quale veniva concesso il titolo di Grande di Spagna 697 –, le presidenze di Consigli e i titoli di consigliere), di essere privi di virtù e ricchi di vizi, di opprimere e sfruttare crudelmente i loro sudditi, di vivere come parassiti del sangue e del sudore dei poveri, 698 di essersi indebi 









señores, porque los amos los son a ellos ynferiores” (Diego de Hermosilla : Diálogo de la vida de los pajes [1573]. Edited, with an Introduction and Notes by Donald MacKenzie, p. 36). 694   Malón de Chaide : La conversión de la Magdalena. Prólogo y notas del P. Félix García (Agustino). Tercera edición (= Clásicos Castellanos, 104, 105, 130). Madrid : Espasa-Calpe 1957-1959, I, pp. 186-187. 695   Cristóbal Suárez de Figueroa : El Pasajero. Presentación José Manuel Blecua Teijeiro. Introducción, edición, notas e índices de Mª Isabel López Bascuñana (= Textos Universitarios, 5). Barcelona : PPU 1988, 2 voll. ; qui II, p. 612. In Varias noticias Cristóbal Suárez de Figueroa scriveva : “Siempre he juzgado por verdadera nobleza la que se adquiere, no la que se hereda, y assi propongo, se deua hazer poco caso de la sangre quando mejor, si el sugeto la estraga degenerando.” Cfr. VARIAS NOTICIAS | IMPORTANTES A LA | HVMANA COMV| NICACION. | AL EXCELENTISSIMO SEÑOR | Don Aluaro de Alencastro Duque de | Auero, &c. | POR EL DOCTOR CHRISTOVAL SVAREZ | de Figueroa, Fiscal, Iuez, Gouernador, Comissario contra | vandoleros, y Auditor de gente de guerra que | fue por su Magestad. | [Scudo del dedicatario] | En Madrid. Por Tomas Iunti Impressor del Rey nuestro señor. | [Linea tipografica] | Año de M.DC.XXI. (Madrid, Biblioteca Nacional : R 27.741), fo. 113r. 696   “¡Que inútil banda y escuela / de idolatrados mozuelos, / llenos de nuevas de Flandes, / y siempre de Flandes lejos ! / [...] ¡Que de cobardes espadas en fe de mostachos negros...” (Romance sobre lo que es la Corte. In : Lope Félix de Vega Carpio : Obras escogidas. Estudio preliminar, biografía, bibliografía, notas y apéndices de Federico Carlos Sainz de Robles. Tomo II. Poesías líricas - Poemas - Prosa - Novelas. Madrid : Aguilar 1973, pp. 310-311). 697   I due casi di più vistosa ossessione della Grandeza sono quello – già ricordato – di Don Pedro Álvarez de Toledo Osorio y Colonna, V Marqués de Villafranca del Bierzo, documentato da Luis Cabrera de Córdoba nelle sue Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España (p. 18, p. 23, p. 69, p. 72, p. 139, p. 153, p. 166, p. 168, p. 171, p. 173, p. 191, p. 195, p. 337), e quello di Don Gómez Dávila y Toledo, II Marqués de Velada, documentato da Santiago Martínez Hernández nella sua monografia El Marqués de Velada y la Corte en los reinados de Felipe II y Felipe III. 698   “Nacen ahora los que llaman títulos, hidalgos, caballeros y nobles, con poca o mucha riqueza. Goza el de los veinte, treinta, cincuenta o cien mil ducados de renta una vida de un Heliogábalo, desnudo de virtudes y adornado de vicios, abundoso de regalos, galas, joyas, sirvientes. Considera desde el teatro de tanta comodidad los naufragios del mundo, combatido de hambres y guerras ; alegrísimo con haber nacido sólo para comer y  

























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tati per non “perder las preeminencias de señor, vinculadas en la exterioridad solamente” e per occupare “toda la vida en comprar lo superfluo”, 699 di aver completamente dimenticato le loro “obligaciones” – in particolare “la liberalidad”, che è “hermana de la caballería”, da esercitarsi soprattutto soccorrendo le vedove, gli orfani, i poveri e i malati 700 –, di condurre una vita oziosa, dedita unicamente alla frequentazione dei teatri, al gioco, ai pettegolezzi, alla crapula e ai piaceri. 701 Antonio López de Vega, che come segretario di Don Bernardino Fernández de Velasco y Tovar, Conestabile di Castiglia e Duca di Frías, l’alta nobiltà la conosceva bene, stigmatizza nel suo Heraclito y Demócrito (1641), che sembra preludere alle opere della polemica antinobiliare (Dialogo sopra la nobiltà. – Il giorno) di Giuseppe Parini, l’alterigia e la ridicola affettazione dei grandi signori – ai quali paradossalmente sempre ha dedicato i suoi libri, a partire dal primo 702 –, la loro mancanza di generosità, il loro furfantesco modo di comportarsi con i creditori, la falsità inerente a tutti gli atti della loro vita, la loro vigliaccheria. Ecco il ritratto al vetriolo che Antonio López de Vega fa dei grandi signori :  









Lustroso devaneo, aparatosa fabula, i entremes ridiculo, aunque bien vestido, es todo quanto mirais en los Magnates. Miradlos tan enteros, i tan sobre los demas. La mesura tan soberana, en los mas graves. I en los que algo se humanan, el acomodar de forma lo benigno, que parezca que hazen don, i no reconocimiento de la humanidad. I considerad al mismo tiempo lo que son, vereis que es entretenimiento lo que se os representava enfado. […] Qué fealdad mas ridícula, que morir, sin merecimiento, sin renombre. Si les tratan de servir a su rey con hacienda y persona, tuercen el rostro y estrechan el ánimo, alegando corta salud y largo empeño. O responde, a bien librar, el que se precia de más alentado no ser posible salir a la guerra sin plaza de general, por desdecir de quien es servir en puesto menor, ya que su abuelo o padre murió colocado en los mayores. Por manera, que, sin valor, anhelan por las honras debidas al valeroso. Ni se avergüenzan cuando, sin algún mérito, cansan, importunan, muelen por el hábito, por la encomienda, por la llave, por cubrirse, y por otras dignidades de presidencias y consejos. « Señor, sirvió mi padre. » No basta, amigo : sirve tú ; qué, considerándolo bien, si obligaron tus antecesores, no murieron sin remuneración. Obraron y recibieron. Hízoles capaces la esperiencia y alcanzaron los premios al paso que sus talentos aprovecharon. Mas tú, indigno de la vida que gozas, ¿qué pretendes metido en un coche, rodeado de cortinas, sobre cojines de terciopelo, albergue vil de exquisitos manjares, entre sedas, entre brocados, telas y perfumes ? Ídolo de criados, de súbditos a quien oprimes, a quien desuellas, ¿cuánto más apacible es para ti la suavidad de la holanda que la aspereza del arnés, la blandura de la cama que la dureza del suelo, la dulzura de la conserva que el amargor de la achicoria ? ¿Tú armado por estío ? ¿Tú en campaña por invierno ? Dios nos libre : eso es morir. Oféndete cualquier mínimo sereno, cualquier ligero calor, y tras todo, instas con memoriales, con peticiones, para que te den, para que te encumbren. [...] Necesidad tiene el Rey [...] de señores que sirvan, que gobiernen, que peleen, que derramen sangre. Es lástima no sólo que chupen como inútiles zánganos la miel de las colmenas, el sudor de los pobres, que gocen a traición tantas rentas, tantos haberes, sino que tengan osadía de pretender aumentarlas, sin influir, sin obrar ni merecer. Son éstos (queden siempre reservados los dignos de alabanza) escándalo de la tierra y abominación de las repúblicas [...]. Al fin, mueren entre tanta pompa y aparato ; al fin, los abren como a brutos ; al fin, se escurece su nombre [...]. No hay quien los traiga en plática, sino para vituperarlos con poemas de su incapacidad, con elogios de sus vicios. « Aquí – dice el que pasa por la calle – vivió quien fue centro de todas maldades ; el padre de la soberbia, de la gula y sensualidad ; quien erigió estas paredes con sangre de pobres ; el que levantó su linaje prostrando muchos ; quien no supo remitir ligeras culpas, ni evitar graves venganzas ; el iracundo, el homicida, el desenfrenado. » [...]”. Cfr. Cristóbal Suárez de Figueroa : El Pasajero, II, pp. 397-400. 699   Cristóbal Suárez de Figueroa : El Pasajero II, p. 449. 700   Cristóbal Suárez de Figueroa : El Pasajero II, pp. 564-568. 701   “Ninguno ignora la ocupación del que ahora se tiene por mayor caballero : levantarse tarde ; oír, no sé si diga por cumplimiento, una misa ; cursar en los mentideros de Palacio o Puerta de Guadalajara ; comer tarde ; no perder comedia nueva. En saliendo, meterse en la casa de juego o conversación ; gastar casi toda la noche en la travesura, en la matraca, en la sensualidad. Cualquiera tiene por máxima evitar las fatigas y robarse a los negocios de cuidado.” Cfr. Cristóbal Suárez de Figueroa : El Pasajero II, pp. 620-621. 702   Lirica Poesia. Por Antonio Lopez de Vega. A Don Fernando de Toledo, Duque de Huescar, Marques de Coria, y de Villanueua del Rio. Con licencia, En Madrid, Por Bernardino de Guzman. Año M.DC.XX.  























































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los estudiados gestos del mirar ? Los tonillos, i modos de hablar tan afectados […]. La violencia, al fin, i trabajo, que ponen todas sus acciones en ostentar desigualdad ? I que disformidad mas digna de burla, i de desprecio que el mentir por grandeza ? El prometer, como señores, i cumplir aun como menos que plebeyos ? El querer, que sea propia de su estado la Magnificencia ; i hazer cordura de no abrir la mano à los menesterosos ? El bizarrear opulencia i magestad ; y atender con cuydado los que se precian de mas advertidos à la vulgar socarroneria de engañar i no ser engañados en materias de hazienda ? El pedir confiadamente à los menos ricos en qualquiera ocurrencia de aprieto, i al tiempo de la satisfacion, ò valerse à lo Cortès de las disculpas i bachillerías de la pobreza ò à lo insolente de las cauilaciones de la trampa, i no pocas vezes de lo libre, si no de lo absoluto del poder ? Todos los actos de su vida son una mentira igual i continuada en la sustancia : diversa, i variada solo en los acidentes. Blasonan todos liberalidad, i rarissimos la exercitan. Los escasos quieren que se entienda, la usan cuerdamente : i los derramados que la reconozcamos en las costosas negociaciones de sus deleytes. Difieren, en que unos exceden, i otros faltan en comunicar sus bienes : pero conformanse en que ninguno dà a quien, quando, donde, i como deve. Todos hazen ostentacion de esfuerço i valentia ; i ó las fuerças del poder an de atajar i amedrentar las ocasiones de la prueva con crueldades secretas, ó quando se ofrezcan lances publicos, se à de hazer la obra à fuerça de multitud de oficiales, i no estando estos tan a mano, à de ser la dignidad i el respeto el que a lo descubierto riña la pendencia, no la persona : ventajas siempre insuperables, i casi siempre vitoriosas aun antes de exercitadas. 703  





























Come si vede, alla nobiltà non solo non si riconosceva alcuna superiorità di ‘sangue’ che potesse offrire una legittimazione biologica alla sua posizione di preminenza e privilegio sociale, ma si negava anche ogni superiorità morale. Rappresentando, anzi, l’alta nobiltà come la perfetta, grottesca antitesi dei veri valori nobiliari, mostrando come la sua immagine tradizionale non avesse più alcuna corrispondenza con la realtà, questi predicatori e questi scrittori facevano apparire l’egemonia politica di cui godevano i Grandi e i nobili titolati come del tutto immeritata e ingiustificata, come una vera e propria usurpazione, insomma. Queste ‘denunce’, non isolate, ma neppure largamente rappresentative, e le idee, pur molto diffuse, sulla nobiltà fondata esclusivamente sulla virtú e il merito personali, e non sulla virtú e il merito degli antenati, non furono naturalmente in grado di promuovere una trasformazione della società, un passaggio dall’aristocrazia di sangue, detentrice del potere per privilegio ereditario, alla meritocrazia pura. Esse rivelano però certamente una profonda crisi d’identità della nobiltà, provocata dal trionfo dell’assolutismo e dell’economia capitalistica, che favoriva la crescente concorrenza dei gruppi e ceti emergenti, discriminati giuridicamente, ma forti finanziariamente – e quindi in grado di infiltrarsi sempre più frequentemente e con sempre maggior successo nelle oligarchie municipali e nei ranghi sociali più elevati –, e dimostrano che lo ‘stato’ privilegiato non era indiscusso e che i “canoni ideologici della hidalguía” non erano omogenei. Le interpretazioni della Pícara Justina dopo Marcel Bataillon : i suoi seguaci. ii.  

Ritornando finalmente alla interpretazione di Antonio Rey Hazas, si deve osservare che parte delle argomentazioni dello studioso sono fondate su una erronea premessa : l’equazione Justina montañesa = Justina hidalga, stabilita da Marcel Bataillon e da lui pienamente accettata. 704  



703

  Antonio López de Vega : Heraclito i Democrito. Madrid 1641, pp. 35-37.   Antonio Rey Hazas : « Introducción » a : la pícara justina, p. 31. Cfr. anche Antonio Rey Hazas : Parodia de

704













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Questa equazione è accettata anche da Francisco Márquez Villanueva che nel saggio La quinta langosta de « La pícara Justina » (1999), dedicato alla interpretazione dell’episodio di Machuca (Libro IV, Cap. II : « Del pretensor disciplinante »), si richiama proprio ad Antonio Rey Hazas e al passo della « Introducción » alla sua edizione dell’opera da noi sopra citato, nel quale lo studioso afferma che Justina, vantandosi di essere simultaneamente montañesa – e quindi hidalga – e di origine ebraica e facendosi passare da morisca, riassume in sé i conflitti della Spagna delle tre caste. 705 In questo saggio Francisco Márquez Villanueva, che si muove nel solco della tradizione ermeneutica della Pícara Justina iniziata da Marcel Bataillon, dopo aver dichiarato che la storia di Machuca è priva di verosimile, di elementare caratterizzazione e di ogni artificio diegetico e che pertanto si situa completamente al di fuori del genere narrativo, 706 scrive :  



















La historia entera del disciplinante rezuma desde luego vitriolo contra el prejuicio nobiliario y el fetichismo de la sangre limpia, iniciado con las glorias del apellido Machuca, que con un poco de sorna menciona también el Quijote (I, 8). 707  

Postulate queste due ‘verità’, lo studioso tenta una lettura “decodificadora” dell’episodio di Machuca servendosi di quelle che “Marcel Bataillon llamaba previas ganzúas hermenéuticas”. 708 Convinto della “integral erotización del relato”, Francisco Márquez Villanueva svela le implicazioni falliche del nome Machuca (machucar = joder) 709 – nome che, orgogliosamente, il corteggiatore di Justina ricollega naturalmente a Diego Pérez de Vargas Machuca, il leggendario eroe della Reconquista, 710 e che era, comunque, il nome portato da diversi nobili (per esempio, dal capitano D. Bernardo de Vargas Machuca, cavaliere originario di Simancas e autore di libri, 711 dal maestre de campo D. Diego  







la retórica y visión crítica del mundo en « La Pícara Justina », pp. 218-219 : “[...] la historia social de Justina [...] [es] sumamente compleja y ambigüa, puesto que, a la vez, hidalga y, por lo tanto, honrada y limpia de sangre, en tanto que montañesa (se creía que los nacidos en La Montaña eran todos nobles), « cristiana nueva » y, por lo tanto, deshonrada y manchada de sangre, a causa de sus ascendientes judíos [...].” 705   Francisco Márquez Villanueva : La quinta langosta de ‘La pícara Justina’, p. 359, nota 13. 706   “Carente de verosímil, de elemental caracterización ni del menor artificio diegético, la ridicula historia de Justina y su disciplinante galán se sitúa fuera de ningún terreno que sea posible llamar novelístico” (F. Márquez Villanueva : La quinta langosta de ‘La pícara Justina’, p. 357). 707   F. Márquez Villanueva : La quinta langosta de ‘La pícara Justina’, p. 357. 708   F. Márquez Villanueva : La quinta langosta de ‘La pícara Justina’, p. 361. Marcel Bataillon aveva parlato della “ganzúa de la limpieza de sangre” (Pícaros y picaresca, p. 42). 709   Su questo significato di machucar cfr. anche María Inés Chamorro : Tesoro de villanos, p. 548. Il nome “machuca” significherebbe pure “ladrón”. Cfr. José Luis Alonso Hernández : El lenguaje de los maleantes españoles de los siglos XVI y XVII : La Germanía, p. 298. 710   Millantando la sua “descendencia de los Machucas” (Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO QVARTO DE LA PICARA NOBIA. CAPITVLO SEGVNDO Del pretensor disciplinante », p. 6 [10 !]), il flagellante pensa ovviamente al toledano Diego Pérez de Vargas. Gonzalo Argote de Molina (Nobleza de Andalucía, p. 191), narrando della battaglia davanti a Jerez de la Frontera (1232), scrive : “habiendo faltado en la batalla á Diego Perez de Vargas la lanza y espada, no teniendo con que pelear, desgajó de una oliva un verdugon con su cepejon, y con él se metió en lo mas recio de la batalla, y comenzó á herir á una parte y á otra, á diestro y á siniestro, de manera, que al que alcanzaba su golpe, quedaba escusado de vida. Y con el placer que D. Alvar Perez recibia de las porradas que le oia dar, decia cada vez. Así, así Diego : machuca, machuca : y de él usaron sus descendientes el apellido de Machuca : y como de antes traian por armas un escudo de cuatro ondas azules en campo de plata, puso por timbre un brazo con su cepejon.” Come vedremo più avanti, Gonzalo Argote de Molina trascrive, con qualche modifica, questo passo dalla Primera Crónica General de España. 711   Alludiamo alla Milicia y Descripción de las Indias (Madrid : En casa de Pedro Madrigal 1599), al Libro de Exercicios de la Gineta (Madrid : Pedro Madrigal 1600) e al Compendio y Doctrina nueua de la Gineta (Madrid : Fernando Correa de Montenegro 1621). Firmata da un Vargas Machuca è la licencia concessa a La niñez del padre Rojas (1625) di Lope de Vega.  











































le interpretazioni della pícara justina

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de Vargas Machuca, 712 da D. Pedro de Vargas Machuca, uno dei poeti partecipanti alla famosa Justa Poética organizzata in onore di San Isidro, 713 da vari cavalieri regidores di Segovia appartenenti alla Junta de Nobles Linajes 714 della città 715), da religiosi, 716 da cittadini toledani 717 e granatini, 718 e da tante altre persone (come, per esempio, dall’architetto di Carlo V, Pedro Machuca) – e del nome Machín (“señora Machin es, [¿] no le conoce [ ?]”), 719 anch’esso un nome comune, 720 ricordando che dios Machín 721 era il nome volgare di Cupido (detto anche “Machín dios azotado” 722), decifra il carattere fallico del  























712   D. Diego de Vargas Machuca comandava – con Alonso de Narváez – “dos tercios de infantería” dell’esercito, agli ordini di Alonso de Vargas, che l’8 novembre 1591 era entrato in Aragona per soffocare la rivolta fuerista occasionata dall’imprigionamento di Antonio Pérez. Cfr. Luis Cabrera de Córdoba : Historia de Felipe II, Rey de España. III. Edición José Martínez Millán – Carlos Javier de Carlos Morales, p. 1423. 713   Cfr. l’elenco dei poeti che parteciparono alla Justa Poética in : Cristóbal Pérez Pastor : Bibliografía Madrileña de los siglos XVI y XVII. Tomo III : 1621 al 1625. Amsterdam : Gérard Th. van Heusden 1971, pp. 130-132, nro. 1905 (Relacion de las Fiestas que la insigne Villa de Madrid hizo en la Canoniçacion de su Bienauenturado Hijo y Patron San Isidro, con las Comedias que se representaron y los Versos que en la Iusta Poetica se escriuieron. Dirigida A la misma Insigne Villa Por Lope de Vega Carpio. Año de 1622 [Col. : En Madrid. Por la Viuda de Alonso Martin. Año de 1622]). 714   Sulla Junta de Nobles Linajes cfr. Alfonso de Ceballos-Escalera y Gila : La Real Junta de Nobles Linajes. Sociedad y gobierno municipal en Segovia entre los siglos XIV y XIX. Valladolid : Cortes de Castilla y León 2006. 715   Ricordiamo il cavaliere Pedro del Río Machuca, regidor dal 1571 al 1573, il cavaliere Gonzálo del Río Machuca, regidor di Segovia dal 1573 al 1596, e il cavaliere Diego de Machuca, regidor dal 1596 al 1600. Cfr. Francisco Javier Mosácula María : Los regidores de la ciudad de Segovia : análisis socioeconómico de una oligarquía urbana (= Historia y Sociedad, 118). Valladolid : Universidad de Valladolid 2006, « Listado n.° 1. », nro. 47, nro. 78, nro. 71, nro. 144. – Alfonso de Ceballos-Escalera y Gila : La Real Junta de Nobles Linajes, p. 303. 716   Il confessore di Don Juan de Austria era Fray Juan de Machuca. Cfr. La Monarquía de Felipe II : La Casa del Rey. Directores : José Martínez Millán - Santiago Fernández Conti. Volumen II : Oficiales, Ordenanzas y Etiquetas, p. 671. 717   Cfr. Linda Martz - Julio Porres Martín-Cleto : Toledo y los toledanos en 1561 (= Publicaciones del Instituto Provincial de Investigaciones y Estudios Toledanos. Serie primera. Monografías. Vol. 5). Toledo 1974, p. 183, p. 214, p. 241, p. 274. 718   Cfr. James Casey : Familia, poder y comunidad en la España moderna. Los ciudadanos de Granada (15701739). Traducción de Manuel Ardit Lucas. Valencia : Universitat de València – Granada : Universidad de Granada 2008, p. 135. 719   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO QVARTO DE LA PICARA NOBIA. CAPITVLO SEGVNDO Del pretensor disciplinante », p. 13. 720   Don Gerónimo Gascón de Torquemada (Gaçeta y nuevas de la Corte de España desde el año 1600 en adelante, p. 52) ricorda Fray Ambrosio Machín, “electo por General de toda la Orden de la Merced”. Un “capitán Machín” è menzionato più volte da Don Alonso Enríquez de Guzmán nella sua autobiografia. Cfr. Libro de la vida y costumbres de Don Alonso Enríquez de Guzmán. Publicado por Hayward Keniston (= Biblioteca de Autores Españoles, 126). Madrid : Atlas 1960, pp. 17-21, p. 58, p. 280. Un Juan de Machín e due Jerónimo Machín sono nomi di cittadini toledani registrati dal censimento del 1561. Cfr. Linda Martz - Julio Porres Martín-Cleto : Toledo y los toledanos en 1561, p. 191, p. 265. Uno spadaio di Valladolid di nome Machin è mentovato da Jehan Lhermite (Memorias de un Gentilhombre Flamenco en la corte de Felipe II y Felipe III, p. 549). 721   Anche l’autore della Pícara Justina menziona “el Dios Machin” (Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO SEGVNDO INTITVLADO LA PICARA Romera. En que se trata la jornada de Arenillas. CAPITVLO SEGVNDO DE LA Vigornia burlada. NVMERO SEGVNDO DEL parlamento loco. ESTANCIAS DE CONSONANCIA DOBLE en vn mismo verso », p. 161). 722   Cfr. il sonetto anonimo Entre dos blancas grevas inclinado, contenuto nel Parnaso español (Madrid, Biblioteca Nacional : Ms. 3913) – antologia manoscritta di poesie, la cui prima parte, quella in cui figura il sonetto, fu compilata intorno all’anno 1600 – e trascritto da Pierre Alzieu, Robert Jammes, Yvan Lissorgues : Poesía erótica del Siglo de Oro. Barcelona : Crítica 2000, pp. 216-218 e p. 318. In un sonetto burlesco contro Cupido di Diego Hurtado de Mendoza si leggono questi versi : “Rapaz tiñoso, ¡ten queda la mano ! / que te daré de azotes con la venda / y pelarte he las alas pluma a pluma.” Cfr. Diego Hurtado de Mendoza : Poesía completa. Edición, introducción y notas de José Ignacio Díez Fernández. Barcelona : Planeta 1989, p. 84 (nro. XL). Machín è anche il nome del biscaglino il cui modo di parlare è ridicolizzato da Cristóbal de Castillejo nelle composizioni, già ricordate, intitolate A un vizcaíno pidiendo aguinaldo (“Servido no ge lo tienes…”) e El mismo (“El Navidad es passado…”). Gonzalo Correas (Vocabulario de refranes y frases proverbiales, p. 394, p. 875) registra : “Holgura para Machín (« Machín » es « Martínico » en vizcaíno)” e “Cócale, Marta. Cócale, Machín”.  













































































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capitolo ii

mayo (“Vino Mayo, y con el un día florido, alegre y claro, fiesta de la Cruz” 723), considera lavandera “un eufemismo vulgar de ramera” 724 e hombre (“viendo que era hombre de carne y sangre” 725) un sinonimo di “falo”, di “miembro viril”, 726 decripta casa come cunnus, subir come erezione (“se entro en mi casa, y subiendo a toda fúria vno y otro alto, se puso en mi presencia” 727), bajar (“tardô en baxar media hora” 728) come “ponerse el pene en estado de flaccidez” 729 e interpreta, infine, la secchiata d’acqua sporca (“vna gran chaparrada de agua de a medio heruir, harto limpia, pues limpiaua los platos” 730) rovesciata da una finestra sul povero flagellante come “una indigna especie de bautismo (de que tal vez carecía)”. 731 Sottoposto a questo processo di decodificazione ‘sessuale’ – nella quale si sono impegnati, a partire da Claude Allaigre y René Cotrait, 732  



















723   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO QVARTO DE LA PICARA NOBIA. CAPITVLO SEGVNDO Del pretensor disciplinante », pp. 11-12. 724   F. Márquez Villanueva : La quinta langosta de ‘La pícara Justina’, p. 358. Fra i dizionari specifici solo il Diccionario de Germanía (p. 301) registra la parola lavandera, ma unicamente come sinonimo di ladrona. 725   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO QVARTO DE LA PICARA NOBIA. CAPITVLO SEGVNDO Del pretensor disciplinante », p. 13. 726   F. Márquez Villanueva : La quinta langosta de ‘La pícara Justina’, p. 361 e p. 361 n. 727   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO QVARTO DE LA PICARA NOBIA. CAPITVLO SEGVNDO Del pretensor disciplinante », p. 13. 728   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO QVARTO DE LA PICARA NOBIA. CAPITVLO SEGVNDO Del pretensor disciplinante », p. 15. 729   F. Márquez Villanueva : La quinta langosta de ‘La pícara Justina’, p. 362. 730   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO QVARTO DE LA PICARA NOBIA. CAPITVLO SEGVNDO Del pretensor disciplinante », pp. 15-16. La secchiata d’acqua rovesciata da una finestra sul povero flagellante Machuca ricorda la romanza Libre del fuego de amor di Rodríguez de Ardila. In questo romance burlesco il corteggiamento di una fregona finisce infatti in maniera identica, proprio quando l’innamorato spera di ricevere l’invito ad un incontro amoroso : “sentí abrir una ventana / y vi mi estrella llamando, / diciendo : « Lléguese acá », / a que no fuí nada tardo. / Dexóme un poco hablar, / y en viéndome sosegado, / me dixo : – « Bien de mi cuerpo, / que le quiero como al diablo. » / Y haciendo y diciendo junto, / vi un golpe de agua arrojado, / diciendo : – « Aunque va caliente, / yo creo le habrá enfriado. » / Y dióme en toda la cara, / barba, pecho, cuello y manos, / con el agua de fregar / y un pedaço de estropajo. / Y, por Dios, que no sentí / el golpe del agua tanto / cuanto el ver que se reía / de verme tan enojado.” Cfr. Romancero General (1600, 1604, 1605). Edición, Prólogo e Índices de Ángel González Palencia I, pp. 303-304 (nro. 467). In modo simile finisce la serenata dello studente “Gramático” della romanza Un galán de mucha estofa (Romancero General. II, p. 70, nro. 904). 731   F. Márquez Villanueva : La quinta langosta de ‘La pícara Justina’, p. 360. 732   Claude Allaigre y René Cotrait : « La escribana fisgada » : Estratos de significación en un pasaje de la Pícara Justina. In : Hommage des hispanistes français à Noel Salomon. Barcelona : Editorial Laia 1979, pp. 27-47. Fra le oscenità nascoste scoperte da questi due studiosi vi sarebbe quella della cifra 6, contenuta in questa frase : “Nació Justina Díez, la Pícara, el año de las nacidas, a los 6 de agosto, en el signo Virgo, a las seis de la Boba allá” (Francisco López de Úbeda : La Pícara Justina. In : La novela picaresca española. Estudio preliminar, selección, prólogos y notas de Ángel Valbuena Prat. Tomo I, pp. 878-1105 ; qui p. 901). Scrivono Claude Allaigre y René Cotrait : “si el texto de Valbuena Prat respeta el original, la ocurrencia de la cifra 6 (a los 6 de agosto) puede interpretarse como una imagen sexual gráfica. ¿No evoca su forma la de un miembro viril con sus atributos ?” (p. 31). A prescindere dal fatto che il numero 6 ben difficilmente evocherebbe nella mente dei lettori l’immagine di un membro virile, il testo originale è il seguente : “NACIO Iustina diez la Picara, el año delas nacidas, que fue bisesto, a los seys de Agosto, en el signo Virgo, a las seys de la, Boba allâ” (Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO PRIMERO, INTITVLADO LA PICARA Montañesa. CAPITVLO PRIMERO, de la Escriuana fisgada. Numero primero. Del fisgon medroso », p. 35). Come si può interpretare dei testi senza conoscere la loro edizione originale ? Non più fondate sono le altre ‘scoperte’. Per esempio, la frase “vn fisgon, que (andando ayer cuellidegollado) ha salido oy con vna escarola de lienço, tan aporcada, como engomada, mas tiesso y carrancudo, que si huuiera desayunadose con seis taraçones de assador...” (« Del fisgon medroso », p. 35), sarebbe chiaramente pornografica. Fisga, infatti, oltre che burla, significa fiocina, arpione a tre punte, e quindi – deducono gli studiosi – “fisgón puede escribirse : dotado de arpón (i. e. sexo)”. E così “aplicada a fisgón, es decir a Perlícaro como sexo, cuya erección y vaivén connota, la expresión andando cuellidegollado recubre claramente ... una alusión al acto sexual.” Escarola designa “el vello del pubis, aporcado y engomado post coitum” (p. 36). Asador connota, infine, “la erección” (p. 37). E cosí i due studiosi costruiscono una  





















































































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molti studiosi 733 con l’intento di dimostrare il carattere trasgressivo o addirittura sovversivo della Pícara Justina (ma l’equazione erotismo/oscenità = trasgressione/sovversione ideologica non funziona : ‘osceno’ era anche uno scrittore ‘reazionario’ come Quevedo 734 ed ancor piú ‘osceno’ era il benedettino Fray Melchor de la Serna, monaco del Convento benedettino di San Vicente di Salamanca, che si dilettava a comporre poesie pornografiche) –, l’episodio del pretendente flagellante si rivelerebbe essere “la contrafactura erótica de la fiesta de la Invención de la Cruz (3 de mayo), propuesta al pueblo cristiano como jubiloso homenaje al instrumento de su Redención”. 735 L’autore della Pícara Justina non si limiterebbe però a questa pur già arditissima trasgressione. Con il paragone che Justina fa dell’immagine dell’afflitto pretendente respinto con “el retrato de la quinta langosta”, 736 egli fa addirittura, secondo Francisco  









loro “serie jaculatoria” ! Non vi è alcun dubbio che l’autore della Pícara Justina ami intessere frequentemente nell’opera allusioni molto oscene. Si legga, per esempio, il capitolo dedicato al “pretendiente tornero”, tutto intessuto di vocaboli dal doppio senso osceno, quali “garrochas”, “garrochones”, “lanças” e “rejones” – tutti significano membri virili (Tesoro de villanos, p. 440, 531, 704) –, o di vocaboli tratti dal gergo della malavita, quali “manflota” – bordello, mancebía (parola già registrata nei Romances de Germanía e nell’annesso Vocabulario di Juan Hidalgo, p. 37, p. 38, p. 52, p. 181) –, “punta de trompo” (Diccionario de germanía : “el pene”), “aguzadera” (Tesoro de villanos : “alcahueta, celestina”), “aguzadera de puntas de trompos” (Diccionario de germanía : “prostituta”), che rendono del tutto chiare le attività erotiche che avrebbe dovuto svolgere Justina come moglie di Maximino de Umenos : “adereçar lanças, y garrochones”, “amolar las puntas â los clauos de trompos, y peonzas, porque los muchachos dexaran toda la ganancia en casa”, essere “aguzadera de puntas de trompos” (Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO QVARTO DE LA PICARA NOBIA. CAPITVLO PRIMERO, del pretendiente tornero, llamado Maximino », pp. 1-8). Come si vede, ricorrendo al lessico della malavita o a vocaboli dal trasparente doppio senso osceno, l’autore della Pícara Justina aveva il coraggio di raffigurare nella sua opera falli orgogliosamente eretti e di evocare scene arditamente ‘pornografiche’. Non aveva quindi alcun bisogno di usare oscuri simboli fallici e ancor più oscure allusioni ad attività sessuali, che sarebbero rimasti perfettamente incomprensibili al suo pubblico e che soltanto dopo diversi secoli avrebbero potuto essere decifrati da studiosi di letteratura indotti dalla psicanalisi freudiana a ravvisare nei segni grafici e negli oggetti più banali simboli di organi genitali e nelle parole più comuni riferimenti al coito e ad altre pratiche erotiche. 733   Cfr. – per esempio – A. Rey Hazas : La compleja faz de una pícara : Hacia una interpretación de la « Pícara Justina », pp. 87-109. – Rudolf van Hoogstraten : Estructura mítica de la picaresca. Madrid : Editorial Fundamentos 1986, pp. 69-105 (Cap. VII : « La carnavalización de la estructura mítica : La pícara Justina »). – Pablo Restrepo-Gautier : ‘Tanto crece el amor cuanto la pecunia crece’ : la asociación del amor y el dinero en La pícara Justina. In : Hispanic Journal 24 (2003), pp. 41-51. – Regula Rohland de Langbehn : Das Spiel mit der Krankheit : die Syphilis in der Pícara Justina. – Regula Rohland de Langbehn : Subtexto erótico de La Pícara Justina (in corso di pubblicazione). – Encarnación Juárez Almendros : El cuerpo vestido y la construcción de la identidad en las narrativas autobiográficas del Siglo de Oro. Woodbridge, Suffolk : Tamesis 2006, pp. 112-124. 734   Un solo esempio : la già ricordata Jacarandina, nota come La Cuexca de Alcalá (“Estábase el padre Ezquerra…”). Cfr. Francisco de Quevedo : Obra poética. III. Edición de José Manuel Blecua, pp. 344-347 (nro. 864). Sulla ‘oscenità’ nella poesia di Quevedo cfr. Antonia Morel D’Arleux : Obscenidad y desengaño en la poesía de Quevedo. In : Edad de Oro 9 (1990), 181-194. – Remedios Morales : Las procacidades de un romance quevediano. In : Edad de Oro 9 (1990), 169-179. 735   F. Márquez Villanueva : La quinta langosta de ‘La pícara Justina’, p. 363. Nell’interpretare l’episodio della burla dello scambio fraudolento dell’agnus Dei con il crocifisso d’oro (Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO DE la Picara Romera. Capitulo quarto [segvndo !] del fullero burlado. Numero segundo de la vergonçosa engañadora », pp. 37-49) e, in particolare, la scena nella quale il fullero si sbottona la giubba – o tunica (“sayo”) – per mostrare a Justina la croce d’oro (pp. 42-43), Pablo Restrepo-Gautier (‘Tanto crece el amor cuanto la pecunia crece’ : la asociación del amor y el dinero en La pícara Justina, p. 47) identificherà addirittura lo strumento della Redenzione con il pene : “La pícara, haciendo falsos alardes de vergüenza, manipula el crucifijo/pene en una escena de masturbación metafórica […]. El episodio está impregnado de tensión sexual : el fullero trata de forzar a Justina mientras que ésta, saliéndosele « el alma por los ojos », lo manipula ensalzando su sexualidad representada por el crucifijo/ pene. El destape del fullero y su fálico crucifijo de oro colocan la excitación sexual y el enamoramiento dentro de un marco monetario.” 736   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO QVARTO DE LA PICARA NOBIA. CAPITVLO SEGVNDO Del pretensor disciplinante », p. 15.  



















































































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capitolo ii

Márquez Villanueva, la parodia di una delle sette angustie (o dolori) della Madonna. Convenientemente decriptata, la parola langosta – lo studioso dà al vocabolo, che può significare anche ladrón, estafador e prostituta, 737 unicamente il significato di aragosta (“pescado”, che nella cottura assume un “fuerte color rojo” 738), così che viene eliminata a priori la possibilità che si tratti della locusta, e quindi di una allusione ad una delle dieci piaghe d’Egitto (quella delle locuste era l’ottava, Esodo 10), ipotesi scartata da Julio Puyol y Alonso 739 e considerata probabile da Bruno Damiani, 740 o di una allusione alle devastazioni, contro le quali si ricorreva anche agli esorcismi, 741 ai voti collettivi fatti a determinati santi e alle processioni, 742 delle coltivazioni causate dalle locuste, frequente e ricorrente flagello, per esempio, della campagna toledana, come documentano gli Atti del Capitolo della Cattedrale e quelli dell’Ayuntamiento della Città Imperiale, nella quale esistevano (come in altre città della regione) addirittura un juez de la langosta, che  











737   Cfr. Real Academia Española : Diccionario de Autoridades. Edición facsímil. D-Ñ. Madrid : Gredos 1984, Tomo IV, p. 359. – César Hernández Alonso – Beatriz Sanz Alonso : Diccionario de germanía, p. 300 (qui si cita, per il significato di langosta, il Cancionero de obras de burlas provocantes a risa : “Mas si con estas somostas [prostitutas] / no siguieron su compás, / por matar estas langostas / véndase para las costas, / pues que no puede ser más”). – María Inés Chamorro : Tesoro de villanos, p. 530 (qui si citano alcuni versi de El Siglo pitagórico y Vida de don Gregorio Guadaña di Antonio Enríquez – Ed. de Teresa de Santos. Madrid : Cátedra 1991, p. 285 e p. 287 – : “Llamabase don Sancho, / pero por lo langosta o lo langosto / el vulgo le llamaba don Angosto” ; “langosta perdurable, / hidrópico de viento”). Sempre nel Tesoro de villanos (p. 689) si documenta che la parola quintado – da quinto e quintar – significava azotado. Cfr. anche César Hernández Alonso – Beatriz Sanz Alonso : Diccionario de germanía, p. 406. Nell’Aucto del repelón di Juan del Encina, il pastore Piernicurto, uno dei rustici vittime delle crudeli burle di un gruppo di studenti della Università di Salamanca, al vedere entrare uno studente nella sala della casa di un cavaliere nella quale si era rifugiato, esclama : “¡Digo, hao ! ¿Crees en Diose ? / ¿Ves ? Acá ven la llangosta. / Estaos por hi de recosta, / No hay quien con ellos repose.” Cfr. Juan del Encina : Teatro completo. Edición de Miguel Ángel Pérez Priego. Madrid : Cátedra 1998, p. 230. Nella Farsa ó cuasi comedia di Lucas Fernández, il pastore Pascual dice al Soldado : “Sois milanera y langosta ; / Por las tierras donde vais, / ¡Mia fe ! todo lo dejais / Agostado á poca costa.” Cfr. Farsa ó cuasi comedia, hecha por Lúcas Fernandez. In : Bartolomé José Gallardo : Ensayo de una Biblioteca Española de libros raros y curiosos. Tomo segundo. Madrid : Imprenta y Estereotipia de M. Rivadeneyra 1866, coll. 1022-1039 ; qui col. 1030. In un romance di Quevedo si trovano questi versi : “yo [...] / en mi taleguilla [coche], / con sus dos langostas, / que para chicharras / aprenden la solfa, / a las dos del día, / con manteo y loba, / a cazar rescoldo / salí de mi choza” (Refiere un suceso suyo, donde se contiene algo del “Mundo por de dentro” : “Érase una tarde...”. In : Francisco de Quevedo : Obra poética. III. Ed. de José Manuel Blecua, pp. 90-95, nro. 772, vv. 45-56). Nel Burlador de Sevilla Cataliñón dice a Don Juan : “Y tú, señor, eres / langosta de las mujeres”. Cfr. Andrés de Claramonte : El burlador de Sevilla. Atribuído tradicionalmente a Tirso de Molina. Edición crítica de Alfredo Rodríguez López-Vázquez (= Teatro del Siglo de Oro. Ediciones críticas, 12). Kassel : Edition Reichenberger 1987, p. 120, vv. 1473-1474. Esistevano anche gioielli chiamati langostas (o a forma di langostas). Cfr. Anastasio Rojo Vega : El Siglo de Oro. Inventario de una época, p. 255 (« Langostas, joya »). La parola langosta era, come si vede, di largo uso. L’espressione quinta langosta era probabilmente usata in ambienti studenteschi o della malavita. Il suo significato sarà forse scoperto da future ricerche lessicali. 738   F. Márquez Villanueva : La quinta langosta de ‘La pícara Justina’, p. 368. 739   Julio Puyol y Alonso : « Glosario », p. 226. 740   La pícara Justina. Edición de Bruno Mario Damiani. Madrid : José Porrúa Turanzas 1982, p. 441 n. 741   Cfr. « Concierto de Alejo de Herrera con el Dr. Miguel Martínez sobre la impresión de un libro de Exorcismos (21. V. 1550) ». In : Cristóbal Pérez Pastor : La imprenta en Medina del Campo, pp. 429-430 (“yo tengo hecho y escripto de mi mano [un libro] que trata de Exorcismos y bendiciones contra tempestades y langosta y otros animales corrosivos”). Questi esorcisti Pedro Ciruelo li definiva “engañadores”. Cfr. Pedro Ciruelo : Reprovación de las supersticiones y hechizerías (1538). Edición, introducción y notas de José Luis Herrero Ingelmo. Salamanca : Diputación de Salamanca 2003, pp. 161-166 (« Disputa contra los que descomulgan la langosta y el pulgón y las otras savandijas de las heredades »). 742   Cfr. William A. Christian Jr. : Religiosidad local en la España de Felipe II. Traducción de Javier Calzada y José Luis Gil Aristu. Madrid : Editorial NEREA 1991, pp. 42-47, p. 57, pp. 60-68, p. 84. Fra i motivi della istituzione di “fiestas-votos en los pueblos de Castilla la Nueva”, quelli riconducibili specificatamente alla calamità delle locuste sono fra i più frequenti. Cfr. F. Javier Campos y Fernández de Sevilla : La mentalidad en Castilla la Nueva en el siglo XVI (Religión, Economía y Sociedad, según las « Relaciones topográficas » de Felipe II). Real Monasterio del Escorial : Ediciones Escurialenses 1986 (= Biblioteca « La Ciudad de Dios ». Sección « Pax Veritatis », n.° 38), p. 419.  













































































































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aveva il diritto di imporre tributi straordinari (repartimientos de la langosta) per reperire i fondi necessari a fronteggiare questa calamità, e comisarios de la langosta, nominati fra i regidores e i jurados (uno di questi commissari era, nel 1589, Francisco López, jurado) 743 – significherebbe, infatti, angustia. Spiega Francisco Márquez Villanueva : “ante la imposibilidad de dar con algún vocablo dilógico, López de Úbeda recurre a una connotación homófona (-ang-st-a), en que langosta sustituye a la palabra impronunciable, que es claramente angustia”. 744 La quinta angustia è quella che trafigge il cuore della Madonna al momento della deposizione del corpo di Cristo dalla croce. L’irrisione che Francisco López de Úbeda fa del dolore della Madonna, afferma Francisco Márquez Villanueva, non è originata da una sua distrazione o improvvisazione casuale, ma è ben premeditata :  







No cabe duda […] de que, traspuesta a sus espectaculares representaciones en la pintura, imaginería y el teatro, la Quinta Angustia fijaba ante los ojos del pueblo el paradigma de lo cruento. La inaudita imagen de “la quinta langosta” funciona al hilo de un cliché archivado en la memoria de todos para invitar a la risa con la sorpresa poética de su volatín irreverente. El autor premedita en frío su crimen, deseoso de lucimiento en un papel de paródico transgresor dispuesto a todo. Como pieza activada en el seno de un discurso literario culto, la burla a costa del quinto crustáceo es todo lo contrario de un desliz ni de un ex abrupto, caído allí al azar. […] El paso obligado e inmediato es aquí el engarce de López de Úbeda con la contribución de erasmistas y alumbrados (partidarios todos de un cristianismo evangélico e interior), a la génesis de la picaresca como válvula para la clase de críticas radicales que no cabía expresar de otra forma. La religiosidad de la élite conversa había devaluado desde el principio los sufrimientos de la Pasión (equivalentes de paso a fomentar las discordias entre ambas castas cristianas) en favor del júbilo, tanto individual como colectivo, ante el sacrificio redentor. Se avanza, pues, sobre un terreno ya familiar y donde las novedades no son más que relativas o de grado : La pícara Justina no hace con la atrocidad de su “quinta langosta” sino subir la apuesta con que el Lazarillo de Tormes cubría de sarcasmo las oraciones de ciego y el huero formalismo religioso del vulgo que las pagaba. 745  



Richiamandosi poi a Marcel Bataillon, Francisco Márquez Villanueva afferma che la “verdadera patria” di Francisco López de Úbeda “son las tradiciones de una gran literatura bufonesca y cien por cien judeoconversa en la primera mitad del siglo XVI, una de cuyas direcciones se orientó hacia la narración picaresca con el Lazarillo de Tormes”, e che il medico toledano aveva osato “traer a la superficie algunas de las raíces que el género [la literatura bufonesca] había mantenido soterradas por cautela, pero sin abandonar del todo el disfraz diegético y burlandose de su cascada moralización por Mateo Alemán (otro médico converso)”. 746 Non si può che rimanere affascinati dalla sottigliezza e dalla fantasiosa arte decrittatoria e combinatoria di Francisco Márquez Villanueva, autore anche di solidi studi – come il pionieristico saggio Conversos y cargos concejiles en el siglo XV (1957) o le Investigaciones sobre Juan Álvarez Gato (1960) –, da noi molto ammirati. Certo è che, usando simili “grimaldelli ermeneutici”, si può leggere nei testi tutto quello che si vuole o che si immagina fantasticando. Alcune osservazioni, soltanto.  

743   Cfr. R. Izquierdo Benito : Las plagas de langosta en Toledo y en la región manchega durante el siglo XVI. In : Anales Toledanos 20 (1984), 47-133. Un “juez de la langosta” è menzionato in : Antonio Enríquez : El Siglo pitagórico y Vida de don Gregorio Guadaña. Ed. de Teresa de Santos, p. 179. 744   F. Márquez Villanueva : La quinta langosta de ‘La pícara Justina’, pp. 368-369. 745   F. Márquez Villanueva : La quinta langosta de ‘La pícara Justina’, pp. 372-375. 746   F. Márquez Villanueva : La quinta langosta de ‘La pícara Justina’, pp. 375-376.  













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Nella romanza Cuando yo peno de veras (anteriore al 1592 747), attribuita sia a Lope de Vega che a Góngora, si leggono questi versi : “quando andaua a media noche / … enfermo, amarillo y flaco, / como chupado de bruxas, / por una que era entre todas / quinta esfera o quinta angustia. / Era malilla del pueblo, / y no mala por su culpa, / con quien todos los del juego / querían hazer garatusa…”. 748 Si poteva quindi scherzare con l’espressione ‘sacra’ quinta angustia in un romance burlesco per caratterizzare la figura di una puta di paese ! E si poteva, senza incorrere nel sospetto di blasfemia, comporre e cantare – alla Corte valenziana della regina Germana de Foix e di suo marito, Don Fernando di Aragona, Duca di Calabria – dei versi su Las siete angustias de amor (“La quinta angustia parezco / De muerto y descolorido, / Que estoy muerto en vuestro olvido, Y vivo en lo que padezco ; / ¿Quién se vió tan olvidado, / Que ante vos se halle ausente, / Sino yo desesperado, / En mi mal siempre presente, / Y en su presencia pasado ?”), ai quali venivano contrapposti i versi che celebravano Los siete gozos de amor ! 749 Nulla vi era allora di trasgressivo nell’uso dell’espressione quinta angustia, come dimostra il fatto che i censori delle edizioni delle antologie nelle quali fu pubblicata la romanza Cuando yo peno de veras non la soppressero e che Las siete angustias de amor poterono figurare nel Libro intitulado el Cortesano, che era “dirigido á la Catholica, Real, Magestad, del Inuictissimo don Phelipe por la gracia de Dios rey de España“ ! L’autore della Pícara Justina avrebbe potuto quindi tranquillamente usarla. Non vi era alcuna necessità di ricorrere a mascheramenti impenetrabili. Non si può fare una satira (per giunta ‘al vetriolo’ !) del pregiudizio nobiliare e del feticismo della ‘purezza di sangue’ rappresentando non un nobile vero e di ‘puro’ sangue, ma un ridicolissimo giovane figlio di una madre lavandaia e di un padre “pechero”, falso hidalgo e di sangue ‘impuro’ (questa ‘impurezza’ risulta chiaramente da due esplicite allusioni : Justina chiama Machuca “señor hidalgo nueuo”, 750 aggettivo che richiama automaticamente alla mente l’espressione cristiano nuevo ; i monelli tirano “varro y terrones al disciplinante, como si fuera encoroçado” 751). Ogni lettore non influenzato da idee preconcette interpreta l’episodio di Machuca come una messa alla berlina dei falsi hidalgos di famiglia conversa e delle loro assurde pretese di nobiltà e di purezza di sangue. Marcel Bataillon, lo studioso al quale Francisco Márquez Villanueva continuamente si richiama, aveva affermato, come abbiamo ricordato, che la Pícara Justina è stata generata dal desiderio di Francisco López de Úbeda di burlarsi della universale preoccupazione genealogica delle famiglie emergenti e del bisogno generalizzato di cancellare le tracce di ascendenti impuri. (Lo stesso Francisco Márquez Villanueva osserva, nel corso del saggio, che Justina si burla sanguinosamente del suo pretendente flagellante per la sua “mentida ascendencia linajuda y sin mácula” ! 752)  











   













   

747   Figura infatti – prima ancora che nel Romancero general – in queste due raccolte : Quarta y quinta parte de Flor de romances. Burgos : Alonso y Esteuan Rodriguez 1592. – Flor de varios Romances Nueuos. Primera y segunda y Tercera parte. Agora nueuamente Recopilados y puestos por orden, y añadidos muchos Romances que se han cantado despues de la primera impression. Y corregidos por el Bachiller Pedro de Moncayo, natural de Borja. Impresso en Madrid en casa de Pedro Gomez de Aragon, Año de 1593. A costa de Francisco Enriquez, mercader de Libros. Vendese en Palacio. 748   Cfr. Romancero general (1600, 1604, 1605). I. Edición, prólogo y índices de Ángel González Palencia, pp. 143-144 (sulla attribuzione a Lope cfr. p. XXXVI). – Luis de Góngora : Romances. III. Edición crítica de Antonio Carreira. Barcelona : Quaderns Crema 1998, pp. 277-282 ; qui p. 281. 749   Libro intitulado El Cortesano, compuesto por D. Luis Milan. Libro de motes de damas y caballeros, por el mismo, pp. 295-297 e pp. 298-301. 750   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO QVARTO DE LA PICARA NOBIA. CAPITVLO SEGVNDO Del pretensor disciplinante », p. 14. 751   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO QVARTO DE LA PICARA NOBIA. CAPITVLO SEGVNDO Del pretensor disciplinante », p. 16. 752   F. Márquez Villanueva : La quinta langosta de ‘La pícara Justina’, p. 362.  



















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L’affermazione di una derivazione del Lazarillo de Tormes dalla letteratura buffonesca, “al cento per cento judeoconversa” (in realtà tante e diverse sono le radici della letteratura buffonesca), è arbitraria, così come è arbitraria l’affermazione tassativa che il suo autore, perfettamente sconosciuto, sia un converso. 753 Non maggior fondamento ha la tesi sulla “génesis de la picaresca como válvula para la clase de críticas radicales que no cabía expresar de otra forma”, come dimostreremo quando, piú avanti, tratteremo il problema dell’origine della picaresca. Non è neppure convincente l’affermazione che la storia di Machuca sia completamente estranea al genere narrativo. Pur nella deformazione parodica e grottesca, l’episodio non è privo di artifici diegetici e di una sua specifica funzione narrativa. Da non sottovalutare è, per esempio, il suo fondo ‘realistico’, la sua evocazione burlesca di associazioni religiose e di manifestazioni che caratterizzavano la vita sociale dell’epoca. Imponenti processioni di centinaia e centinaia di flagellanti di diverse confraternite erano, infatti, nella Valladolid dell’inizio del XVII secolo, uno spettacolo ricorrente ogni anno in occasione di determinate feste religiose. 754 Thomé Pinheiro da Veiga descrive queste processioni, alle quali assistette il giovedì e il venerdì della Settimana Santa del 1605, nelle pagine iniziali della sua Fastigimia. Queste pagine rappresentano per noi un documento molto più prezioso delle pagine sulle processioni dei flagellanti contenute nella Relation du Voyage d’Espagne (Paris : Claude Barbin 1691) di Madame d’Aulnoy, per due motivi : sono dello stesso anno della Pícara Justina e costituiscono la relazione di un testimone oculare. L’opera di Marie-Catherine Le Jumel de Barneville, divenuta col matrimonio baronessa d’Aulnoy, è invece molto più tardiva e di dubbia autenticità, perché non è fondata su una esperienza diretta, ma su ‘relazioni’ orali e ricordi di diverse persone – come Jean Hérault de Gourville e Bernardin Martin, inviati in missione nel 1669 alla capitale spagnola dal Principe di Condé –, sulla corrispondenza di nobildonne francesi – come le lettere scritte dalla Marchesa di Villars, negli anni del suo soggiorno madrileno (1679-1681), a Mme de Coulanges, a Mme de Sévigné, a Mme d’Uxelles e ad altre dame –, sulle notizie e informazioni ricevute da due sue figlie (Angélique-Françoise e Judith-Henriette d’Aulnoy) e da sua madre (Mme de Gudannes), che realmente vissero a Madrid per molti anni, e, infine, su scritti di vario genere (soprattutto sulle Mémoires attribuite al marchese Pierre de Villars, ambasciatore di Francia alla Corte spagnola negli anni 1668-1669, 1671-1673, 1679-1681). 755 Nonostante il suo minor valore documentario la Relation du Voyage d’Espagne viene sempre citata, mentre la Fastigimia è abitualmente ignorata. Anche Francisco Márquez Villanueva non utilizza questa preziosa fonte che gli avrebbe potuto fornire, forse, qualche ulteriore elemento per suffragare la sua tesi. Infatti Thomé Pinheiro da Veiga scrive nella sua cronaca che fra i quadri, formati da figure di grandezza naturale composte con tele di lino e cartone, delle Stazioni della Passione (passos) portati in processione per le strade di Valladolid – nella città numerose erano le Confraternite penitenziali, fra le quali la Cofradía de las Angustias, e le Chiese penitenziali, fra le quali la Iglesia de las Angustias, con la monumentale Pietà di Francisco de Rincón sulla facciata, la Iglesia de la Vera Cruz e la Iglesia de la Pasión – spiccava la rappresentazione della scena successiva alla Deposizione : la Madonna ai piedi della  











753   Sul problema della paternità del Lazarillo cfr. A. Martino : Il Lazarillo de Tormes e la sua ricezione in Europa (1554-1753). Volume I. L’opera, pp. 183-241. 754   Sulla origine e diffusione delle confraternite di flagellanti cfr. William A. Christian Jr. : Religiosidad local en la España de Felipe II, pp. 223-229. 755   Sulla Relation du Voyage d’Espagne cfr. R. Foulché-Delbosc : « Madame d’Aulnoy et l’Espagne ». In : Madame d’Aulnoy : Relation du voyage d’Espagne. Avec une introduction et des notes par R. F.-D. Paris : Librairie C. Klincksieck 1926, pp. 1-151 ; qui pp. 43-90.  

















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croce con Cristo fra le braccia. Oltre che per il loro valore documentario, le pagine della Fastigimia sulle processioni dei flagellanti sono importanti perché dimostrano che per criticare certe forme di devozione popolare (o, perlomeno, taluni loro eccessi cruenti) non era necessario essere converso. Anche un Cavaliere dell’Ordine di Cristo come Thomé Pinheiro da Veiga sapeva e poteva farlo egregiamente :  

[…] se acham pelas ruas alguns fidalgos doudos, que se andam disciplinando, com doze ou quatorze tochas negras diante, e elles com seus sapatos brancos, vestias de Olanda crua, e suas divizas, e caraminholas, como esta noite topei o Conde de Saldanha, filho menor do Duque de Lerma, e adiante topamos huma quadrilha de genovezes com dez tochas negras, e eram os amos, e os que se açoutavam eram dous caixeiros seus, que o deviam merecer, por tão bons ladrões como seus amos […]. As procissões das Endoenças são muitas, e com muito mais ordem que as nossas, de maneira que a inferior dellas he mais notavel que a melhor que nunca se fez em Lisboa. Nestes dias de Endoenças, a primeira sae da Trindade, vem diante um guião de damasco negro com duas pontas de borlas, que levam dous Irmãos de negro ; têm estes guiões, em logar das nossas laranginhas das bandeiras, as imagens das confrarias douradas, muy perfeitas. Esta trazia Nossa Senhora ao pé da Cruz, cuberta com um veo negro ; diante duas trompetas destemperadas com os rostos cobertos e enlutados, que movem a muita compaixão e tristesa ; logo hum Irmão com huma Cruz, que fazem de taboas delgadas, vãa por dentro, e ella toda dourada, e, com serem grandissimas, são muy faceis de levar, e duas tochas de huma parte e outra. Seguiam-se 400 disciplinantes em duas fieiras em ordem de procissão, 200 de cada parte, sem desordem alguma, cada um no logar que tomou. Após elles 400 Irmãos da Confraria, vestidos de bocaxim negro, com suas tochas de 4 pavios, todos na mesma ordem ; e no meyo delles o I.° passo, porque, em logar das nossas bandeiras pintadas, trazem passos de vulto, de estatura proporcionada, os mais bellos e formosos que se pode imaginar, porque estes de Valladolid são os melhores que ha em Castella, na proporção dos corpos, formosura dos rostos e adereço das pessoas, que tudo he da mesma massa, de cartão e linho, de que são compostos ; e, se entra algum vestido, gorra ou capa de fora, he tudo de brocado ou tella, de sorte que parecem muito bem. Este passo era da Oração do Horto, com os discipulos e Anjo. Seguiam-se outros 400 disciplinantes pela mesma ordem, e alguns delles com huma só rozeta (a que chamam abrojo) que lhes abre as costas, e affirmo que vi algum levar postas de sangue coalhado de mais de arratel, que me pareceu demasiada crueldade, e me escandalisou permittir-se tanto excesso. Após elles se seguiam 150 irmãos, de tochas, e no meyo outro passo, que era da Prizão. Na derradeira parte da procissão, iam 600 disciplinantes, e 300 irmãos, de tochas e vestes negras ; e o passo era de Nossa Senhora ao pé da Cruz, com Christo Nosso Senhor nos braços, e as Marias ; detraz hum corregedor, ou alcaide da Corte, porque não succedam desordens. De sorte que se compunha a procissão de 1.400 disciplinantes, e 650 irmãos, porque não entra nellas pessoa alguma de fora. Esta he a menor procissão ; vae da Trindade a Palacio, e volta pela Plateria e Praça. Em passando esta, sae outra de S. Francisco até Palacio pela Plateria e Cantarranas. Esta tinha quasi duas da primeira, porque levava 2.000 disciplinantes, e mil e tantos irmãos, de vestes e tochas, tudo pela mesma ordem, e com o mesmo concerto e repartição, e os passos muitos e muy formosos, e são armados sobre humas mezas, ou tabernaculasinhos, alguns tão grandes como casas ordinarias, que levam os mesmos irmãos ; e, como as figuras são de panno de linho e cartão, são muito leves ; mas posso affirmar que não vi figuras, nem imagens mais perfeitas, nem nos altares mais nomeados de Portugal. O 1.° passo era da Ceia, perfeitissimo em tudo. O 2.° da Prisão do Horto com o Anjo em huma arvore muito para vêr, e muita soldadesca, e desorelhamento de Malco. O 3.° o passo da Santa Veronica. O 4.° como foi Crucificado. O 5.° a Lançada de Longuinhos a cavallo. O 6.° o descimento da Cruz, tão ao natural que nenhum me pareceu tão bem, com a gravidade e melancholia dos Santos Velhos. O 7.° Christo Nosso Senhor nos braços da Virgem, com que se acabava a procissão ; a qual durou em passar (muy depressa) mais de tres horas por onde estavamos, e não vae mais ninguem nellas. A Sexta feira, pela manhã, sae outra da Mercê, com outros muitos passos. Esta vae passar  





















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por junto de Palacio (estando El-Rey detraz das vidraças, e a Infanta comsigo) ; levaria mil disciplinantes e 600 tochas. Na mesma manhã, sahiu outra de Santo Agostinho, que he de Cruzes sómente, negras, que são de irmãos d’aquella confraria, que para reparação d’ellas dão dous reales cada hum de esmola ; e são 700 irmãos vestidos de vestes negras, e levam outras tantas cruzes, e seus pendões. A’ tarde, sae a mais principal procissão, que chamam de la Soledad, que he a mais famosa de todas. Sahiu de S. Paulo defronte do Paço, que he o mosteiro de S. Domingos, e durou mais de tres horas e meia, com a mesma ordem, concerto e repartição, e assim acabou quasi noite, e leva muitos mais pendões, e tochas, e he confraria de gente mais grave, e o que mais he para louvar he a ordem e concerto, porque, desde que sae até que se recolhe, não ha mudar logar, nem atravessar uma pessoa, nem intrometter-se outra, porque […] não entram n’ellas mais que os disciplinantes, e irmãos de tochas, e os Juizes, que os vão ordenando. Pode haver tantos disciplinantes, sem haver faltas n’elles, porque são todos irmãos e confrades com aquella obrigação. Uns se chamam Hermanos de luz, porque são obrigados a acompanhar com luz, que he tocha de 4 pavios ; outros Hermanos de Sangre, que são obrigados a se disciplinar, e, quando não podem, dão um criado, ou amigo, ou pessoa alugada, e não faltam infinitos d’estes Simões Cyrineos, por oito reales, e por menos, que por reales venderam as almas, quanto mais o sangue, e com esta ordem não podem nunca faltar. 756  







756   Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, pp. 20-23. Pochi anni prima Juan Rufo aveva stigmatizzato la brutalità e barbarie della flagellazione e in particolare l’esibizionismo di certi flagellanti : “Íbase haciendo carnes un penitente con el brio y garbo que bastara para entrar de guardia en hábito de soldado, y ser loado de airoso y bizarro : porque se azotaba a compás, haciendo piernas y contoneando el cuerpo. Y como no era este solo el que, poco más o menos, se podía notar de este barbarismo, [Juan Rufo] dijo : « Solo el disciplinarse, hecho con buen aire parece peor »”. Anche in due precedenti apotegmas Juan Rufo aveva espresso le sue perplessità su queste pratiche di devozione, diventate spettacolo : “Hubo disciplinas en Madrid por la falta de agua ; y como era en el mes de mayo y hacía calor, no salían hasta que anochecía. De manera, que toda la tarde no cabían las calles por donde habían de pasar los disciplinantes, de damas y gente de a caballo ; y andaban los paseos tan en forma, como si algún grande regocijo fuera la causa de aquel concurso. Visto lo cual, al salir los penitentes, dijo « que parecía entremés a lo divino en comedia deshonesta ». – En una de estas procesiones dijo un fraile, mirando al cielo : « ¡Válgame Dios, que estaba dos horas ha nublado, y agora está el aire claro y sereno del todo ! » Respondió : « Debe de poder más en este caso toda la caballería del mundo que la infantería de la devoción ». Pudo decillo con justa causa, porque en semejantes días y en tales actos debría haber mayores muestras de mortificación, así por el fin que se pretende, como por el decoro que requieren tan piadosas rogativas.” Cfr. Juan Rufo : Las Seiscientas Apotegmas. (Ed. de Agustín G. de Amezúa). Publícalas La Sociedad de Bibliófilos Españoles. Madrid 1923, p. 44 e pp. 30-31. Quasi contemporanea di quella di Thomé Pinheiro da Veiga, è la descrizione dei flagellanti fatta da Barthélemy Joly, che si era trovato a Valladolid, circa un anno prima, proprio nei giorni della Settimana Santa : “Tous ces jours, les dames à pied, en grande suitte de famille, incedentes passu junonio, alloient d’une graue allure (parce qu’il y a deffense d’aller en carosse pendant la sepmaine saincte) à beau pied à la confession. Mais la dolente procession des penitens, qui vont por la ville, attiroient asses nostre vue pour lors eslognee de toute vanité. Ilz se fouetent outrageusement et passent en procession sur la nuict, composee de tant de tristesse qu’il n’est coeur si dur qui ne s’en esmeuue. Une gran croix noire precede, et un quidam aussy noir, semé de larmes ; suit à la sombre lueur de quelques torches et des astres flambeaux, une muette trouppe noire et toute couuerte, hormis les yeulx et les espaules, sur lesquelles ces soldats determinés menents englantement les mains, animés à ce triste combat par le son d’une lugubre trompette noire, dont le tarrare s’accorde auec le cliquetis des escorgés et les helas des femmes et populace, qui compatit à la douleur, faict une musique trop dolente, dont les souspirs penetrans par l’oreille touchent au vif et mattent d’attrition d’auoir tant offensé Dieu, non moings que ces battus, que chacun se propose d’imiter en pareille ou autre sorte de sensible penitence, qui est ce qu’ilz operent par leurs exemples. Outre ces compagnies de battus se voyent plusieurs autres de qualité, precedez de pages auec flambeaux, à Valladolid et ainsy par toute Espagne ; mesme ces seigneurs ne s’espargnent rien moings que les autres, jusque à estre remenés par dessoubs les bras, senglans et à demy mortz ; d’autres portent des croix plus grosses et pesantes qu’eux ; bien hureux si le diable, qui est subtil, n’y mesle point la vanité : ce qui me le faict croire, est ces pages et laquais qui les descouurent, contraires à la couuerture de leur habit.” Cfr. Voyage de Barthélemy Joly en Espagne (1603-1604), publié par L. BarrauDihigo. In : Revue Hispanique 20 (1909), 459-618 (il Voiage faict par M. Barthelemy Joly, Conseiller et Ausmonier du Roy, en Espagne, auec M. Boucherat, Abbé et General de l’Ordre de Cisteaux, questo è il titolo che reca il manoscritto, inizia a pag. 460) ; qui pp. 556-557.  

























   

























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Ma forse l’episodio di Machuca non è solo il riflesso letterario burlesco delle processioni di flagellanti che in certe ricorrenze religiose percorrevano le vie di Valladolid, ma potrebbe costituire la prima testimonianza del processo di pervertimento della originaria funzione della flagellazione. Sappiamo da Madame d’Aulnoy, e in particolare da José Francisco de Isla, che l’autoflagellazione era usata da alcuni innamorati come un mezzo, in vero molto particolare, di corteggiamento e di seduzione. Scrive Madame d’Aulnoy nella « Neuvieme Lettre » (datata 27 aprile 1679) della sua Relation du voyage d’Espagne (1691) :  





C’est une chose bien desagrable de voir les Disciplinans. Le premier que je rencontray, pensa me faire évanoüir. Je ne m’attendois point à ce beau spectacle, qui n’est capable que d’effrayer ; car enfin, figurez-vous un homme qui s’approche si prés qu’il vous couvre toute de son sang ; c’est là un de leurs tours de galanterie ; il y a des Regles pour se donner la Discipline de bonne grâce, et des Maîtres en enseignent l’Art comme l’on montre à Danser et à faire des Armes. Ils ont une espece de Jupe de Toile de Batiste fort fine, qui descend jusques sur le Soulier ; elle est plicée à petits plis et si prodigieusement ample, qu’ils y employent jusqu’à cinquante aûnes de Toile. Ils portent sur la tête un bonnet trois fois plus haut qu’un pain de Sucre, et fait de même ; il est couvert de Toile de Hollande ; il tombe de ce Bonnet un grand morceau de Toile qui couvre tout le visage et le devant du corps ; il y a deux petits trous par lesquels ils voyent ; ils ont derriere leur Camisolle deux grands trous sous leurs épaules ; ils portent des Gands et des Souliers blancs, et beaucoup de Rubans qui attachent les Manches de la Camisolle, et qui pendent sans être nouez. Ils en mettent aussi à leur Discipline ; c’est d’ordinaire leur Maitresse qui les honore de cette faveur. Il faut pour s’attirer l’admiration publique, ne point gesticuler du bras, mais seulement que ce soit du poignet et de la main que les coups se donnent sans precipitation, et le sang qui sort ne doit point gâter leur Habit ; ils se font des écorchures effroyables sur les épaules, d’où coulent deux Ruisseaux de Sang. Ils marchent à pas comptez dans les ruës ; ils vont devant les Fenêtres de leurs Maîtresses où ils se fustigent avec une merveilleuse patience. La Dame regarde cette jolie Scène au travers des jalousies de sa Chambre, et par quelque signe elle l’encourage à s’écorcher tout vif, et elle luy fait comprendre le gré qu’elle luy sçait de cette sotte galanterie. Quand ils rencontrent une Femme bien faite, ils se frappent d’une certaine maniere qui fait ruisseler le sang sur elle ; c’est là une fort grande honnêteté, et la Dame reconnoissante les en remercie. […] Ils ont aussi de petites éguilles dans des éponges, et ils s’en piquent les épaules et les côtez avec autant d’acharnement que s’ils ne se faisoient point de mal. 757  



























Molto posteriore è la descrizione che dell’autoflagellazione di un innamorato fa José Francisco de Isla nel suo Fray Gerundio de Campazas (1758). Essendo molto estesa la trascriviamo con l’omissione di numerose frasi :  

[Antón Zotes] miraba con buenos ojos a una mozuela vecina suya […] y, para cortejarla más, le pareció cosa precisa salir de disciplinante ; porque es de saber que éste es uno de los cortejos de que se pagan más todas las mozas de Campos, donde ya es observación muy antigua que las más de las bodas se fraguan el Jueves Santo, el día de la Cruz de Mayo y las tardes que hay baile ; habiendo algunas tan devotas y tan compungidas que se pagan más de la pelotilla y del ramal que de la castañuela. Y, a la verdad, mirada la cosa con ojos serenos y sin pasión, un disciplinante con su cucurucho de a cinco cuartas, derecho, almidonado y piramidal, su capillo a moco de pavo con caída en punta hasta la mitad del pecho […], con su almilla blanca de lienzo casero, pero aplanchada, ajustada y atacada hasta poner en prensa el pecho y el talle ; dos grandes trozos de carne momia, maciza y elevada que se asomaban por las dos troneras rasgadas en las espaldas, divididas entre sí por una tira de lienzo que corre de alto a bajo entre una y otra […] ; sus enaguas  







757   Madame d’Aulnoy : Relation du voyage d’Espagne. Avec une introduction et des notes par R. FoulchéDelbosc. Paris : Librairie C. Klincksieck 1926, pp. 359-361.  



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o su faldón campanudo, pomposo y entreplegado. Añadase a todo ello que los disciplinantes macarenos y majos suelen llevar sus zapatillas blancas con cabos negros (se entiende, cuando son disciplinantes de devoción y no de cofradía ; porque a éstos no se les permiten zapatos, salvo a los penitentes de luz, que son los jubilados de la orden). Considérese después que este tal disciplinante que vamos pintando saca su pelotilla de cera salpicada de puntas de vidrio y pendiente de una cuerda de cáñamo empegada para mayor seguridad ; que la mide hasta el codo con gravedad y con mesura ; que toma con la mano izquierda la punta del moco del capillo ; que apoya el codo derecho sobre el ijar del mismo lado […] ; que, sin mover el codo y jugando únicamente la mitad del brazo derecho, comienza a sacudirse con la pelotilla hacia uno y otro lado […]. Contémplese finalmente cómo empieza a brotar la sangre, que en algunos, si no es en los más, parecen las dos espaldas dos manantiales de pez, que brotan leche de empegar botas ; cómo va salpicando las enaguas, cómo se distribuye en canales por el faldón, cómo le humedece, cómo le empapa hasta entraparse en los pernejones del pobre disciplinante. Y dígame con serenidad el más apasionado contra las glorias de Campos si hay en el mundo espectáculo más galán ni más airoso, si puede haber resistencia para este hechizo y si no tienen buen gusto las mozanconas que se van tras los penitentes como los muchachos tras los gigantones y la tarasca el día de Corpus. No se le ocultaba al bellaco de Antón esta inclinación de las mozas de su tierra, y así salió de disciplinante el Jueves Santo […]. A la legua le conoció Catanla Rebollo […]. No le quitaba ojo en toda la procesión. Y él, que lo conocía muy bien, tenía gran cuidado de cruzar de cuando en cuando los brazos, encorvar un poco el cuerpo y apretar las espaldas para que exprimiesen la sangre, haciendo de camino un par de arrumacos con el caperuz, que es uno de los pasos tiernos a que están más atentas las doncellas casaderas […]. Al fin, como Antón se desangraba tanto, llegó el caso de que uno de los mayordomos de la Cruz, que gobernaba la procesión, le dijese que se fuese a curar. Catanla Rebollo se fue tras él y, como vecina, se entró en su casa […]. 758  













Il costume di usare le processioni del Giovedì Santo e il giorno della Cruz de Mayo (il giorno della Invención de la Vera Cruz era il 3 maggio) per conquistare, flagellandosi, il cuore dell’amata, è molto antico, osserva, un poco vagamente, il padre gesuita all’inizio di questa descrizione. Ma nella Apología por la Historia de Fray Gerundio José Francisco de Isla precisa que “azia el fin del Reynado de Phelipe IV y por casi todo el de Carlos II, asi en Madrid como en otras Ciudades de España dieron en usarse los galantéos por medio de las disciplinas publicas, con tanto exceso, con tanta profanidad y con tanta impiedad, que el Religioso Carlos se vio obligado á proibir cierta clase de disciplinantes y aun á castigar á algunos con severidad”. 759 L’autoflagellazione a scopo amoroso risalirebbe quindi agli anni 1650-1660. Il Tesoro de la lengua castellana (1611) di Sebastián de Covarrubias Orozco fa però supporre che l’uso della autoflagellazione ‘galante’ fosse molto più antico. Alla voce « Diciplinarse » si legge infatti :  







[…] los que se azotan por vanidad, son necios abominables sacerdotes de Baal. Y deberían los prelados, como los gobernadores seculares, echar de las processiones de los diciplinantes aquéllos que van con profanidad y castigarlos severamente ; que por ser tan notorios los excesos que se hacen, no los declaro aquí, y porque se me hace vergüenza referirlos. 760  



Sicuramente Sebastián de Covarrubias Orozco allude qui all’uso ‘erotico’ della autoflagellazione. Anche alcune ordinanze degli Alcaldes de Casa y Corte de S. M. 761 degli anni 1613-1617  

758   José Francisco de Isla : Historia del famoso predicador Fray Gerundio de Campazas alias Zotes. Edición crítica de José Jurado, pp. 201-204. 759   José Francisco de Isla : Apología por la Historia de Fray Gerundio. Contra la delación hecha al Supremo Consejo de la Inquisición por el Rmo. P. Fr. Pablo de la Concepción, General de los Carmelitas Descalzos. Edición y estudio introductorio de José Jurado. Madrid : Fundación Universitaria Española 1989, p. 135. 760   Sebastián de Covarrubias Orozco : Tesoro de la lengua castellana o española, p. 426. 761   Sui compiti e i rilevanti poteri degli Alcaldes de Casa y Corte cfr. Gil González D’Avila : Teatro de las grandezas de la Villa de Madrid, pp. 403-405. – La Monarquía de Felipe II : La Casa del Rey. Directores : José Martínez  













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e un ricorso dei roperos, pubblicati da Agustín G. de Amezúa y Mayo, 762 documentano che all’inizio del XVII secolo l’autoflagellazione era praticata da molti non più per mortificare la carne, “en remembranza de los azotes que Cristo nuestro Señor padeció por nosotros”, 763 ma per vanità, per puro narcisismo ed esibizionismo. Si era infatti diffusa la moda fra gli hermanos de sangre di indossare delle tuniche imbottite (colchadas), confezionate e vendute, o affittate, da roperos, che attutivano la violenza delle sferzate e, in particolare, impedivano che i frammenti d’argento, di ferro o di vetro delle punte dei flagelli penetrassero nella carne, e fra gli hermanos de luz di calzare guanti e scarpe bianche e di ornarsi con nastri vari. Queste ‘innovazioni’ suscitarono scandalo. E così la Domenica delle Palme del 1612 gli Alcaldes de Casa y Corte de S. M. fecero sequestrare le tuniche imbottite. Successivamente, con ordinanza del 28 gennaio 1613, gli Alcaldes de Casa y Corte de S. M.  



mandaron que ninguna persona sea osado de acer ni alquilar tunicas colchadas para las disciplinas ni ninguna persona que se disciplinare la pueda llebar puesta, so pena el que las alquilare ó bendiere ó yciere de quatro años de destierro de la corte y cinco leguas y de veinte ducados para la camara de su mag.d y de perdimento de las dichas tunicas, y el que se disciplinare con las dhas. tunicas de dos años de destierro de la Corte y cinco leguas y treinta ducados para la camara de su mag.d, y que se les quitaran en la parte donde fueren allados con ellas. 764  

Poche settimane dopo, con la ordinanza del 22 febbraio 1613, gli Alcaldes de Casa y Corte de S. M. confermarono questa disposizione e ordinarono que todas las personas de qualquier calidad que sea, que se desceplinare o fuere penitente en esta quaresma no puedan desceplinarse llebando tunicas colchadas ni almidonadas si no que la aya de llevar lisa y llana ; y todos los que las ycieren para bender, alquilar, prestar y dar, ansi por las personas que las ycieren como los mayordomos de las cofradias, las ayan de bender, alquilar y prestar y dar lisas y llanas y no en otra forma, so pena el que la sacare açotandose con ella de veinte ducados ... y perdimento de la tunica, y los que las bendieren, alquilaren, prestaren y dieren de dos años de destierro y veinte ducados y perdimento de las tunicas y los mayordomos de las cofradias de veinte ducados de su acienda. Y so las dichas penas mandaron que todas las personas que las tubieren colchadas y almidonadas, ansi para açotarse como para bender, alquilar, prestar y dar, dentro de tercero dia las rregistren y traygan a poder de juan enrriquez, escriuano del crimen para se bean y se probea lo que conbenga. Y ansi mismo mandaron que ninguno de los que se disciplinare ni alumbrare llebe guantes puestos, ni zapatos blancos, ni cintas, ni otra cosa mas que las tunicas llanas, y calçados ordinarios, so pena de diez ducados, y que en la parte donde fuere allado se les quitara publicamente y será llebado a la carzel y ansi lo mandaron y señalaron. 765  



Questa graduale trasformazione della originaria funzione della flagellazione – divenuta nel 1612 e nel 1613 tanto vistosa e scandalosa da provocare, con scarso successo, 766  

Millán - Santiago Fernández Conti. Volumen I : Estudios, pp. 697-767. La giurisdizione degli Alcaldes de Casa y Corte si estendeva per cinque leghe, quelle che costituivano l’estensione del “Rastro de la Corte” (questo era, originariamente, di una lega). 762   Agustín G. de Amezúa y Mayo : « Notas » a : El casamiento engañoso y El coloquio de los perros. Novelas exemplares de Miguel Cervantes Saavedra. Edición crítica. Con introducción y notas de A. G. de A. y M. Madrid : Real Academia Española 1912, pp. 373-703 ; qui pp. 460 n. - 462 n. 763   Sebastián de Covarrubias Orozco : Tesoro de la lengua castellana o española, p. 426. 764   Auto de 28 de Enero de 1613 de los Alcaldes de Casa y Corte de S. M. (Sala de Alcaldes, libro V, fo. 345 ; cit. da A. G. de Amezúa y Mayo : « Notas » a : El casamiento engañoso y El coloquio de los perros, p. 460 n. - p. 461 n.) 765   Auto de 22 de Hebrero de 1613 de los Alcaldes de Casa y Corte de S. M. (Sala de Alcaldes, libro V, fo. 445 – fo. 446 ; cit. da A. G. de Amezúa y Mayo : « Notas » a : El casamiento engañoso y El coloquio de los perros, p. 462 n.) 766   L’inefficacia delle ordinanze è dimostrata dal fatto che periodicamente, nel mese di marzo, venivano  



































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l’intervento degli Alcaldes de Casa y Corte – risaliva, ovviamente, a molti anni prima. Lo documenta la supplica che Gregorio de Soto, in rappresentanza dei roperos madrileni, rivolse al Consejo Real de Castilla, presieduto allora da D. Juan de Acuña (I Marchese di Valle de Cerrato), 767 contro il sequestro delle tuniche imbottite attuato la Domenica delle Palme del 1612. Vi si legge infatti :  



Muy poderoso señor : Gregorio de Soto cid, en [n]ombre de tomas de baltierra y Pedro de mugicca ropero, y los demás roperos desta Corte por quien los susodhos. prestan cauzion : = Digo, que estando en costumbre de muchos años á esta parte los dchos. mis partes y sus antecesores de hacer tunicas para los penitentes y disciplinantes que salen en las prucesiones de la semana santa de cada vn año, á los quales se benden y alquilan las dhas. tunicas para la auturidad y frequenzia de las dchas. procesiones ; y siendo esto hanssi ussado y guardado, los alcaldes de buestra casa y Corte el año pasado de mill y seiscientos y doce en el domingo de rramos, teniendo mis partes en sus tiendas, è puestos y cassas mucha cantidad de tunicas en que hauian gastado la mayor parte de sus aciendas y caudal, les an enbargado y secrestado las dichas tunicas, quitandoles no usasen de la dicha su posision siendo en utilidad y provecho del bulgo y seruicio de dios, y bisto por los del buestro consejo se les han mandado entregar para el dicho efeto y por ser passado el tienpo en que se auian de bender y alquilar las dichas tunicas se an quedado con ellas, y muy gastados, y agora se temen que los dchos. alcaldes este año y quaresma que biene y por el tiempo susodicho aran lo mismo que icieron el dicho año pasado….. a V. A. pido y suplico mande dar licencia á los dhos. mis partes para que puedan libremente bender las dhas. tunicas que anssi tienen echas y alquilarlas á las personas que las quisieren para el efeto susodicho. 768  







Se nel 1613 l’usanza di indossare le tuniche imbottite aveva una tradizione di “molti anni”, poiché non solo i roperos che presentano la supplica contro il sequestro le confezionavano e affittavano, ma già i loro “antecesores” si dedicavano a questo commercio, possiamo fondatamente pensare che essa risalisse alla fine del XVI o all’inizio del XVII secolo. L’episodio di Machuca, con il quale l’autore della Pícara Justina si burla degli innamorati che si servivano dell’autoflagellazione (vera o finta) per intenerire i cuori femminili, costituisce quindi il primo documento letterario (il secondo è costituito da due romances burleschi di Quevedo 769) e, forse, anche il primo documento storico  

ripetute. Agustín G. de Amezúa y Mayo (« Notas », p. 462 n.) ne ricorda ancora una del 26 marzo 1625, che certamente non sarà stata l’ultima. 767   Cfr. Gil González D’Avila : Teatro de las grandezas de la Villa de Madrid, pp. 391-392. – La Monarquía de Felipe III : La Casa del Rey. Volumen II. Directores : José Martínez Millán, Maria Antonietta Visceglia, p. 22. 768   Cit. da A. G. de Amezúa y Mayo : « Notas » a : El casamiento engañoso y El coloquio de los perros. p.461 n. 769   Si tratta della Censura contra los profanos diciplinantes (nei Romances varios de diversos autores – Madrid : Pablo de Val 1655 – la romanza reca il titolo : A un diciplinante que salió muy galán el Jueves Santo en la Corte) e di Despídese de penitente y diciplinante (nel ms. 3940 della Biblioteca Nacional il titolo è : Excusas para no cumplir el mandato de una dama de que se diciplinase). Nel primo – con riferimento a questo perverso tipo di corteggiamento (“requebrar con asco”) – si leggono questi versi : “No me espanto que las damas / alaben ese rigor, / si de parte de su regla / vienes por embajador. / Tú, penitente morcilla, / diciplinante morcón, / chacona de los cambrayes, / zarabanda pecador, / ¡ qué bien parecen las naguas !...”. Nel secondo romance il corteggiatore così reagisce all’ordine della dama di flagellarsi : “Para obedecerla, ayer / lo consulté con mis huesos : / responden que no ha lugar / los dos hombros y el pescuezo. / En una sarta de cocos / anduviera yo muy bueno, / haciendo el paloteado / con las cruces y los cetros. / Mas si de esto no gustaba, / que, por su entretenimiento, / me diese diez mil azotes, / con buena túnica, y recios ; / que me alabaria las carnes, / si me viese muy sangriento ; / y en galeras me los den, / si yo en pegármelos pienso. / ¿Qué han hecho mis espaldas / para que las vuelva harnero, / hecho difunto, büido, / en una mortaja envuelto ? / Qué es ver a un diciplinante, / que, por sólo oír al pueblo : / « Dios te lo reciba, hermano », / se obliga a azotazos fieros ? / […] Azótese el que es sanguino, / por ahorrar de barberos, / el preciado de costillas / y el amigo de aspavientos ; / que yo no he de enamorar, / alumbrado de otros ciento, / con mi sangre (como dicen / en guerra), a sangre y a fuego. / […] Según esto, mi señora, / busque otro mártir más necio : / que la letra entra con sangre, / y el buen amor con dinero. / Y cúm 

















































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del pervertimento di questa antica forma di penitenza. Anche la funzione narrativa dell’episodio di Machuca non può essere negata. Naturalmente la struttura del tessuto narrativo della Pícara Justina è molto tenue, ma l’inserimento di questo episodio ha una sua specifica funzione. L’autore della Pícara Justina, oltre che per burlarsi dell’autoflagellazione ‘erotica’ e per offrire alla protagonista l’occasione di esibire in un fuoco d’artificio di battute tutta l’acutezza e la vivacità del suo ingegno, inserisce l’episodio del flagellante per offrire a Justina l’occasione di dichiarare di voler sposare un vero hidalgo (“la buena sangre que yo tanto apetezco”), 770 desiderio la cui realizzazione sarà descritta negli ultimi due capitoli dell’opera. L’episodio di Machuca ha quindi, innegabilmente, la funzione di preparare lo svolgimento successivo dei fatti. Ricordando, infine, che la moglie di Don Rodrigo Calderón era “doña Ynes de Vargas y Caruajal, gloria y honra de la nobleza estremeña”, 771 si potrebbe supporre che con l’episodio di (Vargas-)Machuca si volesse burlare il dedicatario della Pícara Justina. Di questa ipotesi parleremo nel prossimo capitolo.  



Veniamo ora alla ipotesi centrale del saggio di Francisco Márquez Villanueva. È pensabile che l’autore della Pícara Justina dileggiasse la Madonna ? È pensabile che l’autore della Pícara Justina – sia che essa sia stata dedicata senza malizia a Don Rodrigo, sia che essa costituisca un attacco al favorito del Duca di Lerma architettato da qualche membro dell’alta aristocrazia – potesse prefiggersi l’irrisione della passione di Cristo ? Ed è pensabile che per farlo avesse voluto assicurarsi la complicità di Don Rodrigo o di qualche altro grande signore ? (Don Rodrigo stesso, pur essendo un gran ladro, era un cattolico molto devoto e molto ortodosso – o comunque tale voleva apparire –, che nel 1606 fondò, assumendone anche il perpetuo patronato, il Monasterio de Nuestra Señora de Portaceli, 772 seguendo l’esempio del Duca di Lerma che era il munifico patrono del Convento de San Pablo. Non parliamo poi dei Duchi di Medina Sidonia, di Medina de Rioseco e dell’Infantado e delle Duchesse d’Alba, di Béjar e di Feria cui l’opera rende esplicitamente omaggio !) È pensabile che uno stampatore come Cristóbal Lasso Vaca, che era “Familiar è Impressor del Sancto Officio” 773 e “escribano de Cámara de la real Chancillería de Valladolid”, 774 stampasse un’opera blasfema ? È pensabile che, attuato il  















planle aquese antojo / los amantes de este tiempo ; / como si en descuento entrase / acribillarse el pellejo.” Cfr. Francisco de Quevedo : Obra poética. II. Edición de José Manuel Blecua, pp. 380-381 (nro. 712) e pp. 414-416 (nro. 724). Non si conosce la data di composizione di questi due romances, che furono pubblicati, postumi, per la prima volta nel 1648 nel Parnaso español. Luis Astrana Marín ritiene che entrambi siano stati composti nel 1623. Cfr. Francisco de Quevedo y Villegas : Obras completas. Textos genuinos del autor, descubiertos, clasificados y anotados por Luis Astrana Marín. Edición crítica. Con más de doscientas producciones inéditas del príncipe del ingenio y numerosos documentos y pormenores desconocidos. Obras en verso. Madrid : Aguilar 1943, pp. 301-302 e pp. 308-309. Quevedo tratta il tema dei flagellanti ‘eleganti’ anche nella Silva 29 intitolata Abomina el abuso de la gala en los Diciplinantes (“DExa la procession, subete al passo / Yñigo...”), Cfr. Francisco de Quevedo y Villegas : Las tres musas últimas castellanas, segunda cumbre del Parnaso español. Facsímil de la edición príncipe Madrid, 1670. Reproducción cuidada por Felipe B. Pedraza Jiménez y Melquíades Prieto Santiago (= Colección Alindes, Núm. 1). Madrid : Editorial Edaf 1999, pp. 209-213 (anche in : Quevedo : Obra poética. Ed. de J. M. Blecua I, nro. 147, pp. 302-305). 770   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO QVARTO DE LA PICARA NOBIA. CAPITVLO SEGVNDO Del pretensor disciplinante », p. 15. 771   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, fo. [A 4r]. 772   Cfr. J. Martí y Monsó : Los Calderones y el Monasterio de Nuestra Señora de Portaceli. Documentos, pp. 568-571 (Doc. Núm. 81, 1606-1608-1609-1615 : « Última fundación del Convento de Portaceli, hecha por el Marqués de Siete Iglesias »). 773   Cfr. Cristóbal Pérez Pastor : La imprenta en Medina del Campo, p. 322, nro. 252 ; p. 327, nro. 258 (“familiar del santo Oficio”) ; p. 329, nro. 260 (“Apud Christophorum Lasso Vaca, Sanctae Inquisitionis Familiarem”), 774   Cfr. Cristóbal Pérez Pastor : La imprenta en Medina del Campo, p. 478, nro. 276 e p. 488. Secondo questo  



































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dileggio e compiuta l’irrisione, nessuno dei censori se ne sia accorto ? Mai la Pícara Justina fu messa all’Indice. L’opera non figura né nell’Indice di Bernardo de Sandoval y Rojas del 1612, né nell’Indice di Antonio Zapata del 1632, né nell’Indice di Antonio de Sotomayor del 1640 e neppure, infine, negli Indici del XVIII secolo (1707, 1747, 1790). 775 L’edizione princeps (Medina del Campo 1605) fu approvata da Thomás Gracián ; 776 l’edizione di Barcellona del 1605 dal famoso storico e agiografo domenicano Fray Francisco Diago, censore dell’Inquisizione e autore – fra l’altro – della Historia de la Provincia de Aragón de la Orden de Predicadores (Barcelona : Sebastián de Cormellas 1599), della Historia de los Victoriosísimos Antiguos Condes de Barcelona (Barcelona : Sebastián de Cormellas 1603) e della Historia de la vida exemplar, libros, y muerte del insigne, y celebrado padre maestro Fr. Luis de Granada (Barcelona : Sebastián de Cormellas 1605), e dall’Abate Dottor Miguel Palmerola ; 777 l’edizione di Barcellona del 1640 da Fray Francisco Palau. 778 (L’edizione di Bruxelles del 1608 non ha alcuna ‘approvazione’, ma reca soltanto il già ricordato « Privilegio » ; quella di Madrid del 1735 riproduce semplicemente il testo della ‘approvazione’ di Thomás Gracián e della ‘approvazione’ di Fray Francisco Palau.) Tutti questi autorevoli, dotti ed esperti censori nulla trovarono nella Pícara Justina di moralmente riprovevole o di contrario alla fede cattolica. Erano questi censori, come alcuni credo 



   







   









studioso Cristóbal Lasso Vaca aveva probabilmente acquisito l’ufficio di “escribano” quando, in occasione del trasferimento della Corte da Madrid a Valladolid, la Real Chancillería di Valladolid era stata trasferita a Medina del Campo. 775   Cfr. Antonio Márquez : Literatura e Inquisición en España (1478-1834). Madrid : Taurus 1980, pp. 236-240. 776   “POR mandado de V. A. è visto este libro de apacible entretenimiento, compuesto por el Licenciado Francisco Lopez de Vbeda, y me parece que en el muestra su Autor mucho ingenio, rara lection, en todo genero de lectura, gran elegancia y orden subido estilo discreto apacible gracioso, y claro, y que debaxo de gracias façectas y tratos manuales, encierra consejos y auisos muy prouechosos para saber huyr de los engaños que oy dia se vsan y puede vuestra Alteza dar la licencia y priuilegio que suplica.” Cfr. Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo : Cristoual Lasso Vaca 1605, « APROVACION », fo. [A 3v]. 777   “APROVACION. POr comission del muy R. y Illustre señor D. Miguel Palmerola Abad de N. Señora de la Iau, Canonigo de la Iglesia mayor de Girona, Oficial y Vicario general por el muy Illustre y Reuerendissimo señor don Raphael de Rouirola Obispo de Barcelona, y del Consejo de su Magestad he leydo yo el Maestro fray Francisco Diago de la Orden de Predicadores, Calificador de la santa Inquisicion vn libro intitulado la Picara Montañesa llamada Iustina, Compuesto por el Licenciado Francisco de Vbeda natural de Toledo, y en el no he allado cosa contra la fe y buenas costumbres antes es muy docto y curioso para qualquier ingenio. Por lo qual soy de parecer se puede imprimir, y lo firmo de mi nombre oy a 10. de Iulio 1605. El Maestro fray Francisco Diago.” – “APROVACION. NOs el Doctor Miguel Palmerola Abad de N. Señora de la Iau, Canonigo de la Iglesia Mayor de Girona, Oficial y Vicario general por el muy Illustre y Reuerendissimo señor don Raphael de Rouirola Obispo de Barcelona y del consejo de su Magestad, &c. Vista la Aprouacion del dicho P. Maestro fray Francisco Diago, damos licencia para que se imprima el Aprouado libro. En fe de lo qual lo firmamos de mano propria oy a 12 de Iulio. 1605. El Abad Palmerola.” Seguiva una terza « Aprovacion » nella quale si riproduceva il testo della « Aprovacion » di Thomás Gracián, firmata però Iuan de la Mezquita. (La Picara Montañesa llamada Ivstina. Barcelona : Sebastian de Cormellas 1605, fo. A 2r -A 2v.) 778   “Aprouacion y Licencia. POr comission y mandato del señor Dotor Iuan Bautista Lopez Oficial y Vicario General del Ilustrissimo, y Reuerendissimo señor don Garci Gil Manrique Obispo de Barcelona, He leido el Libro intitulado : La Picara Montañesa, llamada Iustina, y no he visto en èl cosa que sea contra la Fè, antes con mucha agudeza dà desengaños, y deleyta aprouechando ; y assi lo firmo de mi mano en el Conuento de santa Catalina Martir de Barcelona de la Orden de Predicadores, oy a 24. de Enero de 1640. Fr. Francisco Palau Maestro, y Prior. [Linea tipografica] Imprimatur. Lopez Vicar. Gen. & Offic. [Linea tipografica] Imprimatur. D. Francisc. De Erill Cancel.” Cfr. LA PICARA | MONTAÑESA | LLAMADA IVSTINA, | EN EL QVAL DEBAIO DE | graciosos discursos se encierran | prouechosos auisos. | Al fin de cada numero veràs vn discurso, que te muestra | como te has de aprouechar desta letura para | huyr los engaños que oy dia se vsan. | Es juntamente Arte Poetica, que contiene cin- | quenta y vna diferencias de versos, hasta oy nunca | recopilados, cuyos nombres, y numeros | estan en la pagina siguiente. | Dirigido a don Rodrigo Calderon Sandelin, de la Cama- | ra de su Magestad, señor de las Villas de la Oli- | ua, y Plasençuela, &c. | COMPVESTO POR EL LICENCIA- | do Francisco Lopez de Vbeda, natural | de Toledo. | Año [Piccolo motivo floreale ornamentale] 1640. | CON LICENCIA. | [Linea tipografica] | Impresso en Barcelona, en casa PEDRO | LACAVALLERIA. | Vendese en la misma Imprenta (Wien, Österreichische Nationalbibliothek : 72.L.112), fo. 2r.  

























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no, 779 sprovvisti dell’acume necessario per ‘decodificare’ il testo ? In realtà i censori, che come studenti si erano essi stessi esercitati nel dar matraca e motejar, nella composizione di vejámenes, di versi erotici, di parodie della liturgia, nell’uso dei doppi sensi, nelle allusioni oscene, nelle blasfemie mascherate, conoscevano perfettamente tutto il repertorio ‘trasgressivo’ burlesco, sapevano ‘leggere’ i testi molto meglio di noi. Ma ammettiamo pure che i censori, lettori professionisti con il compito specifico di scoprire eventuali ‘attentati’ dell’autore alla religione e alla morale, non fossero capaci di decriptare i testi. Tanto meno capaci di farlo erano, ovviamente, i lettori normali. Ed allora, per chi scriveva l’autore della Pícara Justina ? Per quei pochi, sottilissimi critici che quattro secoli dopo la pubblicazione dell’opera ne avrebbero saputo capire le intenzioni occulte e decifrare le allusioni oscure, scoprire – per riprendere una frase di Eugenio Asensio – quegli “esotéricos mensajes que ningún contemporáneo acertó a leer” ? 780 Ipotesi semplicemente assurda. Non meno assurda è la tesi che un medico scrittore, ben integrato nella società della Corte – così lo rappresenta Francisco Márquez Villanueva, seguendo Marcel Bataillon –, volesse, in un’opera scritta quasi esclusivamente per un pubblico di nobilissimi e cattolicissimi cortigiani, schernire la nobiltà e i suoi valori, dileggiare la Madonna Addolorata e deridere la passione di Cristo. Soffermiamoci ora un poco sulla spiegazione che Francisco Márquez Villanueva dà della mancata pubblicazione del secondo tomo e con la quale conclude il suo saggio La quinta langosta de La pícara Justina. Lo studioso ritiene che la genesi della Pícara Justina sia da porsi in relazione con il breve periodo di “disgelo” dei primi anni di regno di Filippo III e del trasferimento della Corte a Valladolid, periodo decisivo per quell’auge della fioritura della letteratura di intrattenimento al quale dovremmo anche il Quijote. Con il concludersi di questo breve periodo, l’autore della Pícara Justina avrebbe scelto la via del silenzio, dell’esilio interiore :  











Erraba [Francisco López de Úbeda] al creer permanente aquel transitorio deshielo y tal vez confiaba demasiado en la omnipotencia de su protector don Rodrigo Calderón. Sabemos hoy de lo efímero de aquel momento optimista, con lo qual se explica que La pícara Justina entrara tan pronto en vía muerta y su autor se exiliara, prudente, del mundo literario. Era preciso huir del propio nombre y dar la espantada cuando éste se volvía por sí mismo en el peor dedo acusador. La vida de la pluma tenía sus leyes no escritas y López de Úbeda supo seguir a tiempo el ejemplo inicial de Fernando de Rojas, que el autor del Lazarillo extremaba hasta el previo anonimado y que Mateo Alemán respetó también tardíamente con su paso a Indias. Quedaba cerrado con aquel curso meteórico un rico momento creador, pero no sin legar a nuestra laboriosidad una ingente tarea de resurrección hermenéutica [...]. 781  

Nessuna di queste affermazioni è documentata o documentabile, nessuna ha un sia pur fragile fondamento. Non riusciamo a capire quali avvenimenti avrebbero provocato, subito dopo la pubblicazione della Pícara Justina (il I° tomo fu stampato – come sappiamo – nel lasso di tempo compreso fra il 18 aprile e il 19 giugno 1605 ; il II° tomo avrebbe dovuto essere stampato nei mesi immediatamente successivi), la fine improvvisa del “disgelo” e del momento storico caratterizzato dall’ottimismo. Le aspettattive di un radicale rinnovamento di governo – suscitate dalla morte di Filippo II, con la quale terminava un lungo periodo di opprimente austerità, e dall’ascesa al trono di un  

779   Marcel Bataillon lo credeva e, naturalmente, lo ha creduto Francisco Márquez Villanueva. Cfr. ultimamente R. Rohland de Langbehn : Das Spiel mit der Krankheit : die Syphilis in der Pícara Justina, p. 184 (“Wenn die Leser nicht subtilere Empfänger des Textes sind, als die Zensoren Felipes III…”). 780   Eugenio Asensio : La España imaginada de Américo Castro, p. 105. 781   F. Márquez Villanueva : La quinta langosta de ‘La pícara Justina’, p. 376.  







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giovane Sovrano 782 – si erano attenuate a causa della sempre piú disastrosa situazione delle finanze, della corruzione amministrativa dilagante e della politica clientelare del Duca di Lerma, ma certamente non si erano del tutto dissolte. Avevano alimentato le ottimistiche attese degli ambienti intellettuali avvenimenti anteriori di pochi anni o di pochi mesi – quali la ratificazione (27 maggio 1601) del Trattato di pace di Vervins (1598) con la Francia, l’ordine regio del 24 novembre del 1601, con cui si proibí di ingiuriare i cristianos nuevos, e la concessione ai convertiti portoghesi della habilitación per poter ricoprire tutti gli uffici e ricevere tutti gli onori e dell’indulto per avere giudaizzato (1604) – ; continuavano ad alimentarle avvenimenti attuali – quali l’instaurarsi di buone relazioni con l’Inghilterra dopo la ratificazione, avvenuta il 9 giugno 1605 a Valladolid, del Trattato di pace di Londra (28 agosto 1604), 783 che determinò una maggior tolleranza nei confronti dei protestanti inglesi residenti temporaneamente in territorio spagnolo – e processi in corso di sviluppo – quali i tentativi di riformare gli Statuti di purezza di sangue, la progressiva suavización della Inquisizione, l’avvio di negoziati di pace con gli olandesi, affidati nel 1606 ad Ambrogio Spinola, il grande Generale genovese che aveva espugnato Oostende (1604), e conclusisi con la tregua dei Dodici Anni, che sarà firmata ad Anversa il 9 aprile 1609 e ratificata dalla Spagna il 7 luglio –. Nel periodo di tempo compreso fra il giugno e il dicembre del 1605 o fra il giugno del 1605 e il giugno del 1606, e – volendo considerare la più pessimistica ipotesi di ritardo nella pubblicazione del II° tomo della Pícara Justina, che era già pronto per la stampa nell’estate del 1604 – neppure nei tre-quattro anni successivi, nulla di cosí drammatico accadde da poter trasformare in profondamente pessimistiche le moderatamente ottimistiche aspettattive anteriori. Nella legislazione del libro l’unica novità degli anni successivi al 1605 è rappresentata dalla Pragmatica del 1610 con la quale si proibiva di pubblicare all’estero libri scritti in Ispagna. 784 Questa proibizione, per altro non assoluta 785 e tantomeno rispettata, 786 fatta ai “naturales” dei Regni spagnoli, non poteva comunque costituire un ostacolo – e di fatto non lo costituí – al fiorire della letteratura d’intrattenimento (genere di letteratura  











782   Jehan Lhermite, per lunghi anni “ayuda-gentilhombres de la cámara del rey”, termina cosí la descrizione dei funerali di Filippo II : “Así terminadas estas ceremonias y pompas fúnebres, pareció como si el mundo, cubierto por entero hasta entonces por las sombras de las penas y tristezas, quisiera esclarecerse un poco por las nuevas acciones emprendidas por este nuevo rey y príncipe regocijando los corazones de los hombres que, desde el comienzo de su bueno y prudente gobierno, concebían y habían puesto en él una grande esperanza y lo tenían en grande consideración.” (El Pasatiempos. Memorias de un Gentilhombre Flamenco en la corte de Felipe II y Felipe III, p. 446.) 783   Sul Trattato di pace con l’Inghilterra cfr. Bernardo J. García García : La Paz Hispanica : una política de conservación. – Porfirio Sanz Camañes : Las paces con Inglaterra. In : La Monarquía de Felipe III : Los Reinos (volumen IV). Directores : José Martínez Millán, Maria Antonietta Visceglia. Madrid : Fundación MAPFRE - Instituto de Cultura 2008, pp. 1215-1276 (pp. 1247-1276 : « La paz con Inglaterra, 1596-1604 »), pp. 1316-1349. 784   PRAGMATICA | PARA QVE NO SE PVEDAN | imprimir fuera destos Reynos las obras y li- | bros que en ellos compusieren, o escri- | uieren, de qualquier facultad | que sean. | [Stemma reale] | EN MADRID, | Por Iuan de la Cuesta, Año de 1610. | [Linea tipografica] | Vendese en casa de Francisco de Robles, Librero del | Rey nuestro Señor. (Wien, Österreichische Nationalbibliothek : 47.R.54.) Questa Pragmática, emanata il 4 giugno 1610 da Filippo III mentre si trovava a Lerma, è riprodotta in : Fermín de los Reyes Gómez : El libro en España y América. Legislación y Censura (Siglos XV-XVIII). II, pp. 837-839. 785   “Mandamos que de aqui adelante ninguno de nuestros subditos naturales y vassallos destos Reynos de qualquier estado, calidad, y condicion que sea, pueda sin especial licencia nuestra lleuar, ni embiar a imprimir, ni imprima en otros Reynos las obras y libros que compusiere, o escriuiere de nueuo, de qualquier facultad, arte, y ciencia que sean, y en qualquier idioma, y lengua que se escriuieren” (Pragmatica para qve no se pvedan imprimir fuera destos Reynos las obras y libros que en ellos compusieren, fo. [3r]). La “licenza speciale” fu concessa in numerosi casi (cfr. Fermín de los Reyes Gómez : El libro en España y América. Legislación y Censura. I, pp. 274-275). 786   Cfr. Fermín de los Reyes Gómez : El libro en España y América. Legislación y Censura (Siglos XV-XVIII). I, p. 284.  































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che l’autore della Pícara Justina definisce anche “de folga”, 787 di passatempo). E infatti questa continuò a fiorire. Lo dimostra la pubblicazione di ‘libri di intrattenimento’ come La hija de Celestina (1612), El cavallero pvntval (1614-1619), El svbtil cordoves Pedro de Vrdemalas (1620), El sagaz Estacio marido examinado (1620) e la Casa del plazer honesto (1620) di Alonso Jerónimo de Salas Barbadillo, le Novelas exemplares (1613) e la Segunda parte del ingenioso cavallero don Quixote de la Mancha (1615) di Cervantes, il Poema trágico del español Gerardo (1615) di Gonzalo de Céspedes y Meneses, le Relaciones de la vida del Escudero Marcos de Obregón (1618) di Vicente Espinel, la Segunda parte de las guerras civiles de Granada (1619) di Ginés Pérez de Hita, il Lazarillo de Manzanares (1620) di Juan Cortés de Tolosa, le Novelas morales (1620) di Diego de Agreda y Vargas, gli Avisos y guía de forasteros (1620) di Antonio Liñán y Verdugo, e di numerosi altri. Nell’ambito del teatro, l’unico intervento del governo che avrebbe potuto pregiudicare economicamente le rappresentazioni, fu l’ordinanza emanata nel 1613 con la quale si proibiva alle donne di entrare nel corral dove si rappresentavano ‘commedie’. Questa disposizione fu però subito revocata. 788 In politica nulla accadde che avesse potuto influire negativamente, sia pure in maniera indiretta, sulla produzione letteraria. È ben noto d’altronde che proprio i primi due decenni del Seicento costituiscono uno dei periodi di maggior splendore della letteratura e dell’arte spagnola – o, addirittura, “el período más sublime del Siglo de Oro español”, come scrive José Martínez Millán polemizzando con gli storici spagnoli e stranieri che “siempre han considerado que el reinado de Felipe III (1598-1621) fue el inicio de la decadencia de la Monarquía hispana” 789 –. Lo sfarzo dispiegato dalla Corte e voluto dal Duca di Lerma, 790 anche in funzione di una strategia politica di potere, promuoveva sicuramente le arti e la letteratura. 791 Un vero e proprio attacco contro la letteratura d’intrattenimento si ebbe solo molti  









787   “Dixeron dichos agudos y donosos, que por agudos los rio, y por largos los callo, quedese a la discrecion del picaro mas discreto, que es el vnico censor de toda letura de folga” (Libro de entretenimiento. Medina del Campo 1605, « LIBRO SEGVNDO INTITVLADO LA PICARA Romera. En que se trata la jornada de Arenillas. CAPITVLO SEGVNDO DE LA Vigornia burlada. NVMERO TERCERO DE LOS Beodos burlados », p. 179). Il Diccionario de Autoridades, che documenta la parola proprio con questa frase della Pícara Justina, nota : “Es voz baxa” (Tom. III, p. 773, « FOLGA »). 788   Il 4 dicembre 1613 Luis Cabrera de Cordoba annota nelle sue Relaciones (p. 540) : “No obstante la órden que la sala del gobierno habia dato para que las mugeres no entrasen en el corral donde se representan las comedias, los hospitales han hecho tan buenas diligencias con S. M., por el provecho que se les sigue, que la han mandado revocar y que entren y las vean como de antes.” 789   José Martínez Millán : La Monarquía de Felipe III : Corte y Reinos. In : La Monarquía de Felipe III : La Corte (volumen III). Directores : José Martínez Millán, Maria Antonietta Visceglia. Madrid : Fundación MAPFRE - Instituto de Cultura 2008, pp. 41-81 ; qui p. 41. 790   Immediatamente dopo la morte di Filippo II vi fu un brusco passaggio dalla austerità piú severa allo sfarzo piú vistoso. Jehan Lhermite, che dal 1590 era stato ayuda de cámara di Filippo II, descrivendo una tappa intermedia del famoso viaggio del 1599 di Filippo III e della Principessa Isabel Clara Eugenia verso Valencia, rileva il profondo cambiamento intervenuto dopo la morte del Re ‘vecchio’ : “[...] Su Magestad, Alteza y todas sus damas salieron [del pueblo llamado El Vergel] en orden montados en palafrenes muy ricamente enjaezados y equipados con gran magnificencia, esto es, con gualdrapas de terciopelo y tela de oro profusamente adornadas con perlas y bordados de oro y plata, y las sillas eran todas de plata maciza de grandísimo valor y alta estima, cuyo número era más de 30, lo que era cosa muy aparente y rara para todos nosotros que durante los años que duró el reinado del viejo rey nunca habíamos visto nada parecido, y con este equipo llegaron a Denia ya entrada la noche.” (El Pasatiempos de Jehan Lhermite. Memorias de un Gentilhombre Flamenco en la corte de Felipe II y Felipe III, p. 460.) 791   Cfr. Bernardo J. García García : Las fiestas de Corte en los espacios del valido : la privanza del duque de Lerma. In : María Luisa Lobato - Bernardo J. García García (Coords.) : La fiesta cortesana en la época de los Austrias. Junta de Castilla y León 2003, pp. 35-77. – Patrick Williams : « Un estilo nuevo de grandeza ». El Duque de Lerma y la vida cortesana en el reinado de Felipe III (1598-1621). In : Dramaturgia festiva y cultura nobiliaria en el Siglo de Oro. Coordinado por Bernardo J. García García - María Luisa Lobato. Madrid : Iberoamericana - Vervuert 2007, pp. 169-202.  













































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anni dopo. Il 6 marzo 1625 la Junta de Reformación prese la decisione di proporre a Filippo IV di ordinare al Consejo de Castilla (o Consejo de la Real Cámara) di non concedere piú licenze per la stampa di “libros de comedias, nouelas ni otros deste genero”. Il Consejo de Castilla accolse la proposta della Junta de Reformación e sospese la concessione di licenze. Non vi fu necessità di formalizzare la proposta emanando una premática, o un decreto, perché era prerogativa esclusiva del Consejo de Castilla concedere le licenze di stampa. Era quindi sufficiente una disposizione interna. Tale disposizione, che riguardava unicamente i Regni di Castiglia, fu rispettata dal 1625 al 1634 e poi fu tacitamente abrogata. 792 Essa ebbe comunque scarsa efficacia 793 e favorì soprattutto la diffusione di edizioni pirata e contraffatte e la stampa e pubblicazione di opere di teatro e di narrativa fuori della Castiglia, in particolare nei territori del Regno di Valencia e del Regno d’Aragona (Valencia e soprattutto Barcelona e Zaragoza diventarono centri importanti per la pubblicazione della letteratura narrativa e drammatica). 794 Quanto a Don Rodrigo Calderón, che comunque nel 1604 non era onnipotente, come abbiamo già osservato e come dimostreremo ampiamente nel prossimo capitolo, la sua stella sembrò declinare fra la fine del 1606 e l’inizio del 1607 e, successivamente, nel 1611, quando dopo la morte della Regina, avvenuta il 3 ottobre di quell’anno, fu costretto a chiedere di potersi ritirare dalla Corte “por haber muchas quejas de él” 795 (si era diffusa la voce che Don Rodrigo avesse fatto avvelenare Margarita d’Austria). Ma il favorito del favorito superò entrambe le crisi e fu poi, negli anni 1612-1614, ricoperto di onori. Solo con la caduta del Duca di Lerma (4 ottobre 1618) tramonterà definitivamente la sua fortuna e, condannato a morte, il 21 ottobre 1621 sarà decapitato (in realtà, degollado) sul patibolo eretto nella Plaza Mayor di Madrid. 796 Per tutto il 1605 e gran parte del 1606 la posizione di Don Rodrigo fu uguale a quella di cui aveva goduto nel 1604 e quindi la fiducia riposta, secondo Francisco Márquez Villanueva, da Francisco López de Úbeda nella ‘onnipotenza’ del suo protettore non poteva esser stata eccessiva e non sarebbe stata delusa. Forse, però, era stata delusa la fiducia eventualmente riposta da Don Rodrigo nell’autore della Pícara Justina ! Ingiustificato e perfettamente arbitrario ci pare, inoltre, adombrare una comunanza di tragico destino letterario fra l’autore della Pícara Justina e gli autori della Celestina e del Lazarillo. Se Fernando de Rojas avesse voluto continuare a scrivere, avrebbe potuto tranquillamente farlo, come ha sostenuto Maria Rosa Lida de Malkiel, la maggior studiosa della Celestina. 797 Quanto al Lazarillo, opera perfettamente anonima, come si  













792   Cfr. Jaime Moll : Diez años sin licencias para imprimir comedias y novelas en los reinos de Castilla : 16251634. In : Boletín de la Real Academia Española 54 (1974), 97-103. – Anne Cayuela : La prosa de ficción entre 1625 y 1634. Balance de diez años sin licencias para imprimir novelas en los Reinos de Castilla. In : Mélanges de la Casa de Velázquez XXIX/2 (1993), 51-76. – Fermín de los Reyes Gómez : El libro en España y América. Legislación y Censura (siglos XV-XVIII). I, pp. 292-301. 793   Cfr. la « Lista de las obras de ficción en prosa que obtuvieron la licencia de impresión en Madrid entre 1625 y 1634 » (comprende 27 opere), pubblicata da Anne Cayuela (La prosa de ficción entre 1625 y 1634. Balance de diez años sin licencias para imprimir novelas en los Reinos de Castilla, pp. 72-74). 794   Cfr. Mercedes Dexeus : Las imprentas de la Corona de Aragón en la difusión de la literatura del Siglo de Oro. In : Edad de Oro 12 (1993), 71-80 ; qui pp. 77-79. 795   Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, pp. 453-454. 796   Cfr. la relazione degli ultimi giorni di Don Rodrigo e della sua morte in : [Andrés de Almansa y Mendoza :] Sexta carta, que escriuio un Cauallero desta Corte a un su amigo [1621]. In : Relaciones breves de actos públicos celebrados en Madrid de 1541 a 1650, pp. 142-147. – Andrés de Almansa y Mendoza : Obra periodística. Edición y Estudio de Henry Ettinghausen y Manuel Borrego (= Nueva Biblioteca de Erudición y Crítica, 20). Madrid : Castalia 2001, pp. 213-221. 797   Maria Rosa Lida de Malkiel : La originalidad artística de La Celestina. Buenos Aires : EUDEBA Editorial Universitaria de Buenos Aires 1962, p. 23, nota nro. 11.  





































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può conoscere le ragioni che indussero chi la scrisse a nascondersi dietro l’anonimato ? E come si può sapere se l’autore del Lazarillo ha, o non ha, continuato a scrivere ? Se il Buscón, che Quevedo mai riconobbe ufficialmente di aver scritto, fosse stato pubblicato senza i dati relativi alla paternità dell’opera, o se non fosse stato pubblicato e i manoscritti pervenutici fossero anch’essi privi di tali dati, quanto si sarebbe fantasticato sul nome del suo autore, sulle ragioni del suo anonimato e del suo successivo ‘silenzio’ e sul suo contenuto ‘ideologico’ ! (Se la scena del flagellante pretendente di Justina e l’oscura espressione “la quinta langosta” sono state interpretate come premeditata, blasfema irrisione della passione di Cristo e derisione della Madonna Addolorata, con quanto maggior fondamento gli episodi della persecuzione subita nel patio dell’Università di Alcalá da Pablos e della sua trasformazione in un Ecce homo sarebbero stati interpretati come blasfema parodia e irrisione della passione di Cristo – già in delazioni contemporanee furono segnalate come blasfeme le frasi “Tened, huésped, que no soy Ecce-Homo” e “Recibióme ... el huésped con peor cara que si yo fuera el Santissimo Sacramento”, 798 assieme a tante altre, 799 alla Inquisizione, 800 della quale l’autore del Buscón  











798   Francisco de Quevedo : La vida del Buscón llamado Don Pablos. Edición crítica y estudio preliminar de Fernando Lázaro Carreter, p. 61, p. 65. 799   Questa, per esempio : “yo, porque no me conociesen, estaba echado en la cama con un tocador y con una vela en la mano y un cristo en la otra, y un compañero clérigo ayudándome a morir, y los demás rezando las letanías” (Francisco de Quevedo : La vida del Buscón llamado Don Pablos. Edición crítica y estudio preliminar de Fernando Lázaro Carreter, pp. 87-88). 800   Cfr. Memorial de don Luis Pacheco de Narvaez, Maestro de armas de Felipe IV, Denunciando al tribunal de la Inquisición cuatro libros de don Francisco de Quevedo (1630). – Licenciado Arnaldo Franco-Furt [Luis Pacheco de Narvaez et al.] : El Tribunal de la Justa venganza erigido contra los escritos de D. Francisco de Quevedo, Maestro de errores, Doctor en Desvergüenzas, Licenciado en bufonerías, Bachiller en suciedades, Catedrático de Vicios y Proto-Diablo entre los hombres (1635). In : Francisco de Quevedo y Villegas : Obras completas. Ed. Luis Astrana Marín. Obras en verso, pp. 1033-1039 (sul Buscón, pp. 1036-1038) ; pp. 1091-1159 (sul Buscón, pp. 1103-1118). Nella « Aprobacion del P. M. Fr. Vicente Lanuza de la Orden de San Agustin », premessa al Tribunal de la justa venganza, velenoso ma erudito e ben documentato pamphlet ( Jauralde : Quevedo, p. 704), scritto da Luis Pacheco de Narvaez in collaborazione con persone colte ed esperte di questioni teologiche, Quevedo è accusato di avere scritto e stampato “proposiciones contrarias a la verdadera fe” e di voler introdurre “dotrinas falsas y detestables opiniones”. Nella « Aprobacion del Dotor Jaime Esquierdo, Teologo y Catedratico en la Universidad de Valencia » si esprime la grande soddisfazione (“he visto y leído con sumo gusto y particular atención este libro”) per le “invencibles refutaciones a cuanto con errónea opinión contra los divinos preceptos de nuestra religión sagrada [don Francisco de Quevedo] propone por verdadero”. Nel « Prologo al letor » si accusa lo scrittore – definito nel testo del pamphlet “resuello de Lucifer”, “fiel ministro de Satanás”, “profanador atrevido y burlador insolente de las cosas sagradas” (p. 1108) – di una lunga serie di “graves, inormes y escandalosos delitos”, meritevoli di severo castigo : “Escandalícente sus temerarias y sacrílegas proposiciones, en que adultera y contradice el Sagrado Texto ; el desprecio que con máscara de donaires hace de las cosas que la católica Iglesia tiene dedicadas al divino culto ; la irreverencia con que trata las beatísimas efigies, a quien, por lo que representan, veneramos los fieles ; el injurioso y diabólico rencor con que habla de aquellos que para el más venerable y misterioso sacramento se les da y tienen tan suprema potestad, que llega hasta escalar los cielos y bajar al mismo Dios a la tierra ; la radical indignación con que agravia a las que, imitando a la más santa criatura que de sola nuestra naturaleza hubo en el suelo y es reina y emperatriz de los ángeles, consagran su virginidad y se sacrifican a eterna clausura ; la injusta y maliciosa sospecha que pone en los eclesiásticos jueces (medianeros entre Dios y el hombre a quien revelamos nuestras culpas, y con penitencias saludables nos absuelven dellas), quiriendo que se entienda que en este Sacramento se dejan cohechar y lo hacen vendible ; el descrédito en que con insolentes palabras pone a los que nos gobiernan y con justos decretos castigan los vicios y premian a los virtuosos ; las calumnias y afrentas que supone y les dice a los que ya en artes, ya en oficios, sirven a la república ; el deshonesto gozo con que habla y aprobación que hace de los deshonestos y lacivos deleites ; [...] la inicua inhumanidad con que a todas las almas condena a las penas infernales ; [...] el atribuirle a Lucifer imperio y soberanía, con supremo tribunal, desde donde arbitrariamente dispone y ordena los tormentos que se han de ejecutar y dándole atributos majestuosos ; con otros muchos casos que le hacen sospechoso en la fe” (Tribunal de la justa venganza, pp. 1091-1094). Con solo una piccola parte di queste accuse si sarebbe potuto giustificare una condanna al rogo ! E in realtà gli autori del libello, che più volte invitano l’Inquisizione a processare Quevedo, dopo aver ricordato che nell’Infierno lo scrittore aveva detto che i confessori  





















































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avrebbe osato addirittura burlarsi, sostenevano i delatori con rifererimento ad un altro passo del romanzo picaresco 801 – e considerati come la prova evidentissima e solidissima dell’origine ebraica di Quevedo, che – contrariamente all’autore della Pícara Justina, opera mai censurata, mai messa all’Indice – tanti problemi ebbe con la censura e tante volte fu denunciato al Santo Ufficio ! 802) Infine, anche la tesi sulle ragioni che avrebbero spinto Mateo Alemán ad autoesiliarsi passando alle Indie – tesi qui appena accennata, ma ampiamente esposta nel saggio La identitad de Perlícaro 803 –, non ha alcun fondamento nella concreta realtà dei fatti storicamente e filologicamente accertati, ma appartiene piuttosto all’ambito mitopoietico della critica letteraria (ambito peraltro molto interessante e degno di studio). Non crediamo che con l’invenzione di una suggestiva ‘leggenda’, che ricorda quella immaginata da Fernando Lázaro Carreter sull’esilio interiore scelto dall’anonimo autore del Lazarillo, 804 si assolva quel compito di “resurrezione ermeneutica” di cui parla Francisco Márquez Villanueva. È comunque interessante notare quale metamorfosi abbia subito, improvvisamente, la figura di Francisco López de Úbeda : da buffone e adulatore dei grandi a eroe della trasgressione (ma ricordiamo che già Marcel Bataillon aveva aperto la strada a questa trasformazione definendo Francisco López de Úbeda “agresor ... de la sociedad en que vive” ! 805) – sino alla blasfemia più sanguinosa –, se non addirittura della sovversione, e della libertà di pensiero !  

   







   



Le interpretazioni ‘carnevalesche’ della Pícara Justina Come Marcel Bataillon e Francisco Márquez Villanueva, anche Valentín Pérez Venzalá, nel sottocapitolo « El pícaro, heredero del bufón » del suo saggio Del bufón al pícaro. El caso de la Pícara Justina (1999), insiste sulla derivazione del romanzo picaresco dal discorso buffonesco, in particolare da quello di Don Francés de Zúñiga e del medico Francisco López de Villalobos, pur ammettendo che vi erano buffoni – e pícaros – che  



vendono le assoluzioni (Sueños y Discursos. Tomo I. Ed. de J. O. Crosby, p. 179 : “los confessores con vendidas absoluziones”), affermano che “por sólo esto lo podían meritamente sacrificar a las llamas” (1141). 801   Licenciado Arnaldo Franco-Furt [Luis Pacheco de Narvaez et al.] : El Tribunal de la Justa venganza, p. 1113. Il passo riprovato è questo : “para no pagar comida, cama ni posada, que montaba algunos reales, y sacar mi hato libre, traté con un licenciado Brandalagas, natural de Hornillos, y con otros dos amigos suyos, que me viniesen una noche a prender. Llegaron la señalada, y requirieron a la güéspeda que venían de parte del Santo Oficio, y que convenía secreto. Temblaron todas, por lo que yo me había hecho nigromántico con ellas. Al sacarme a mí callaron ; pero, al ver sacar el hato, pidieron embargo por la deuda, y respondieron que eran bienes de la Inquisición. Con esto no chistó alma terrena” (Francisco de Quevedo : La vida del Buscón llamado Don Pablos. Edición crítica y estudio preliminar de Fernando Lázaro Carreter, p. 219). 802   Cfr. Historia de la Inquisición en España y América. Obra dirigida por Joaquín Pérez Villanueva y Bartolomé Escandell Bonet. III. Temas y problemas. Madrid : Biblioteca de Autores Cristianos 2000, pp. 887-890. 803   In questo saggio, nel quale ha creduto di poter identificare la figura di Perlícaro, che compare nel primo e nel secondo numero del Capitolo I del Libro I della Pícara Justina, con Mateo Alemán, Francisco Márquez Villanueva ha scritto : “Acosado por todos los flancos (desde el literario, hasta el personal y hasta el ortodoxo), la burla de La pícara Justina debió de causarle hondo desaliento y contribuir a la desesperada idea del paso a Indias, que Mateo Alemán comenzó a tramitar a principios de 1607. Su ejemplo demuestra cómo existían pecados imborrables para la España de la época y cuán poco movía la gloria de las Letras en el duro corazón de ésta. Para un hombre como Mateo Alemán había un peligro inherente en cualquier clase de fama, en el hecho mismo de que se recordara su existencia para bien o para mal. Su emigración a Méjico es en realidad una fuga de su propia fama literaria. Acto de tardío arrepentimiento por un grave error cometido, con alguna soberbia, contra las normas de una tradición literaria a la vez que contra leyes no escritas de la vida española : su Pícaro Guzmán de Alfarache hubiera debido publicarse anónimo” (La identidad de Perlícaro, pp. 431-432). 804   Fernando Lázaro Carreter : La fuga del mundo como exilio interior (Fray Luis de León y el anónimo del Lazarillo). Salamanca : Ediciones Universidad de Salamanca 1986, pp. 27-35. 805   M. Bataillon : La picaresca. A propósito de La Pícara Justina, p. 160.  





















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non erano conversos. 806 E così definisce la Pícara Justina “un discurso cercano al bufonesco”, “un discurso de burlas”. 807 Riallacciandosi poi al libro di Michail Bachtin L’opera di Rabelais e la cultura popolare. Riso, carnevale e festa nella tradizione medievale e rinascimentale e operando con le sue categorie, Valentín Pérez Venzalá classifica, nel sottocapitolo del suo saggio intitolato « Carnaval y realismo grotesco », alcuni episodi della Pícara Justina (l’inganno scatologico ordito da Justina ai danni del cugino bachillerejo ; la morte del padre e il relativo banchetto funebre ; la morte della madre ; il ratto compiuto dagli studenti della Bigornia e il susseguente banchetto che termina con i burlatori burlati e la destituzione di Pero Grullo dalla sua dignità di ‘vescovo’ ; il corteggiamento del flagellante ; il banchetto di nozze) come ‘grotteschi’ e ‘carnevaleschi’ 808 (gli aspetti carnevaleschi e, soprattutto, folclorici « De la Bigornia burlada », episodio definito da Marcel Bataillon “farsa carnavalesca”, 809 erano già stati ampiamente messi in luce da François Delpech 810). Inquadrata la Pícara Justina nella tradizione del discorso carnevalesco e del discorso buffonesco, le cui peculiarità essenziali sono, rispettivamente, il “sinsentido” e il “disparate”, Valentín Pérez Venzalá, nell’ultimo sottocapitolo del suo saggio, definisce infine l’opera « Escritura en libertad » e, come tale, innovatrice e prefiguratrice “de una escritura moderna”. La “scrittura in libertà” di Justina, che “convierte el espacio verbal de su discurso en espacio teatral” e che rivela nel suo discorso una moderna “libertad creativa”, è “una escritura bañada de oralidad”, essendo la sua lingua “una lengua carac 































806   Valentín Pérez Venzalá : Del bufón al pícaro. El caso de la Pícara Justina. In : Valentín Pérez Venzalá : Estudios sobre Picaresca. El Buscón y La Pícara Justina. Editado por Minotauro Digital 1997-2003, pp. 15-42 ; qui p. 31, p. 35 (originariamente il saggio era stato pubblicato in : Dicenda. Cuadernos de Filología Hispánica 17, 1999, pp. 215-255). 807   V. Pérez Venzalá : Del bufón al pícaro. El caso de la Pícara Justina, p. 29. 808   V. Pérez Venzalá : Del bufón al pícaro. El caso de la Pícara Justina, pp. 36-39. 809   Marcel Bataillon : Pícaros y picaresca, p. 156. 810   François Delpech : Los de la Bigornia (Pícara Justina, II, 1, 1-2) : Notes de folklore festif. In : Solidarités et sociabilités en Espagne (XVIe-XXe siècles). Études réunies et présentées par Raphaël Carrasco (= Centre de Recherches sur l’Espagne Moderne, Vol. 1). Besançon : Annales Littéraires de l’Université de Besançon – Paris : Les Belles Lettres (Diffusion) 1991, pp. 77-107. Lo studioso, che dedica gran parte del suo saggio alla individuazione degli elementi folclorici (in particolare, quelli derivati dalle feste dei pazzi), mette in risalto questi aspetti carnevaleschi dell’episodio della bigornia : “la dimension de farsa carnavalesca de l’épisode de la romería de Arenillas éclate... dans l’évocation du contexte festif, des masques et des déguisements de la compagnie joyeuse des bigornios, de l’attirail folklorique qu’elle mobilise (chariot, cédulas, chants, danses et gesticulations) et des personnages imaginaires et conventionnels (Pero Grullo, la Boneta) auxquels elle est censée donner corps. Carnavalesque aussi est le scénario de l’épisode, marqué par la succession agonistique d’un rapt, d’un mariage burlesque puis d’une expulsion, chacune des victimes faisant tour à tour figure de pantin passif malmené, humilié, orné d’attributs grotesques ou, au contraire, dépouillé de ses vêtements, comme le pseudo-évêque Pero Grullo est, après sa déconfiture, burlesquement déposé, privé par ses compagnons, de la presidencia y obispado de la Bigornia. Entre la bourle et la contre-bourle, la séquence repose sur une cascade d’inversions et de retournements : de l’adoption de titres ecclésiastiques par une bande d’étudiants en goguette à la victoire de la faible femme sur les sept campeones, et des paysans sur les étudiants de la ville, sans oublier la prétendue sanctification de la douteuse héroïne, le récit met en jeu une série de contrastes antithétiques et de renversements dont la surimpression équivoque romera-ramera qui sous-tend implicitement tout le libro segundo signale à satiété les implications blasphématoires et pornographiques” (p. 81). Dell’episodio della bigornia dà una interpretazione ‘psicanalitica’ Encarnación Juárez Almendros : “Forzada y desnudada por las apasionadas miradas de los jóvenes, ‘todos me comían con los ojos’, la joven, por medio de la persuasión de sus palabras y de la promesa de su cuerpo, se salva de una violación inminente. Más tarde se las ingenia para emborracharlos, llevarlos hasta la misma plaza de su pueblo y, con un azote, obvio signo fálico, hacerlos huir sin ropa y sin hacienda. La que primero fue desnudada por el acoso visual masculino consigue despojar a sus agresores de las marcas de su autoridad. Justina se apropia del símbolo viril, el azote, y con él el poder de desmantelar el disfraz masculino para mostrar públicamente la castración de los jóvenes. Con este acto demuestra que el poder es una construcción vulnerable de ser desarticulada. La intención castradora se refuerza cuando la pícara clama mantenerse entera mientras observa a los estudiantes huyendo y desnudos” (El cuerpo vestido y la construcción de la identidad en las narrativas autobiográficas del Siglo de Oro, p. 120).  



   

























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terística de la plaza pública”. 811 Nella « Conclusión » del suo saggio lo studioso afferma poi che potremmo leggere “el desmesurado elogio de Calderón como otra forma de burla hacia este personaje” e che anche il falso scudo che orna il frontespizio del libro potrebbe costituire una burla. 812 (In nota al testo precisa che non gli “parece tan claro que la obra de Úbeda se escribiera a instancias de Calderón, ni que la intención fuera la de ayudar al ennoblecimiento de este personaje”, e che “el hecho de que figure el escudo supuesto de Calderón en la portada de la obra y que ésta le vaya dedicada no implica que la obra se escribiera para un fin relacionado con este personaje”. 813) Già Francisco Martínez García aveva fatto ricorso, qualche anno prima di Valentín Pérez Venzalá, all’opera di Michail Bachtin su Rabelais per interpretare la Pícara Justina. Ispirandosi alle idee dello studioso russo, Francisco Martínez García postula una distinzione esistente da sempre (ab initio, “desde labinicion” direbbe Justina), alla quale egli attribuisce il valore di una “categoría fundamental”, fra la letteratura “seria u oficial” e la “« otra » literatura”. L’altra letteratura “prosperó como « popular », contraviniendo deliberadamente las reglas de la literatura seria/oficial, y fue, en principio - y esencialmente -, « oral », colectiva, participativa, festiva, burlesca y antiseria, como escape a/ de toda oficialidad institucionalizada”. 814 La Pícara Justina, “oralità” narrativa pura 815 e “puro juego textual” 816 (“la obra entera” – afferma lo studioso – “es un juego, un pasatiempo, un « libro de entretenimiento », como reza su título” 817), appartiene sia alla letteratura seria/ufficiale, sia all’altra letteratura. Il suo autore non riuscì però “a unir plenamente en una sola las dos literaturas” e per questo “estamos ante una escritura degradante y degradada, pero degradada de manera timida, controlada, autocensurada ; una degradación, por tanto, « descafeinada »”. Per degradazione lo studioso intende “« la humillación, la bajeza » [...], el deterioro que la escritura « seria » sufre a causa y como consecuencia de la estrategia conscientemente enemiga, combativa, de la « otra literatura »”. 818 Quindi spiega cosa è “lo que se degrada” :  























































Se degrada la escritura textual : la literalidad, pero también lo literario, la literatura. Teórica y criticamente no se degrada otra cosa ; ninguna otra cosa. Nada que sea extratextual, extraliterario, queda degradado desde este punto de vista. La degradación es un fenómeno intratextual, no un fenómeno político, ni social, ni nada parecido. La referencia de todo texto literario [...] es el texto mismo en cuanto tal, porque es ficcional. Por consiguiente, no hay parodia en La Pícara. 819  





811

  V. Pérez Venzalá : Del bufón al pícaro. El caso de la Pícara Justina, pp. 39-40.   V. Pérez Venzalá : Del bufón al pícaro. El caso de la Pícara Justina, p. 41. 813   V. Pérez Venzalá : Del bufón al pícaro. El caso de la Pícara Justina, p. 41n. 814   Francisco Martínez García : Una mirada sobre el género y la escritura degradante de La Pícara Justina. In : Philologica (Homenaje al profesor Ricardo Senabre). Cáceres : Universidad de Extremadura 1996, pp. 341-377 ; qui p. 364. 815   Dopo aver dichiarato che non solo “no hay evolución psicológica en el personaje” di Justina, come sostenuto da alcuni critici, ma che “no hay ni siquiera indicios intencionales de construcción del personaje”, Francisco Martínez García scrive : “No hay novela ; podemos estar de acuerdo. Pero de lo que no podemos dudar es de que hay narración, una narración-río, desbordada y omnicomprensiva que admite y arrastra todos los materiales que encuentra a su paso y a su alcance, sean de naturaleza que sean, en un proceso escritural conectado directísimamente con la oralidad a niveles pragmáticos. « Oralidad » y « contar » son palabras clave para acercarse a La Pícara y para poder centrarla críticamente de manera cabal” (Una mirada sobre el género y la escritura degradante de La Pícara Justina, p. 354). 816   Francisco Martínez García : Una mirada sobre el género y la escritura degradante de La Pícara Justina, p. 363. 817   Francisco Martínez García : Una mirada sobre el género y la escritura degradante de La Pícara Justina, p. 363. 818   Francisco Martínez García : Una mirada sobre el género y la escritura degradante de La Pícara Justina, p. 367. 819   Francisco Martínez García : Una mirada sobre el género y la escritura degradante de La Pícara Justina, 812



































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Successivamente chiarisce come e per mezzo di quali meccanismi si produce la degradazione :  

Evidentemente, siendo el texto un ser « verbal », lingüístico, el mecanismo lingüístico – mejor dicho, la « maquinaria » lingüística – no puede faltar. Esa maquinaria es la única que funciona « físicamente », resultando, por consiguiente, imprescindible su existencia, su presencia, su actividad y su funcionamento. Pero [...] no entro a fondo en esta cuestión. No obstante, señalo algunos ejemplos que, al tiempo que certifican la eficacia del desparpajo lingüístico de Justina, dan fe de la degradación escritural, constituyéndose – éstos sí – en parodias auténticas, aunque aisladas, mínimas y mitigadas, con la característica de ser copias de expresiones lexicalizadas del lenguaje oral, es decir, de la cultura popular, o, mejor aún, de la « otra » literatura. Son éstos, entre otros : « nací de una sombra y de la intracta virgen » 820 – parodia de ex intacta virgine, del himno eucarístico Pange lingua – ; « ¡Vive Crispo ! » 821 – parodia eufemística de la expresión Vive Cristo – ; « ¡Vive Cristobalillo ! » 822 – parodia eufemística de la misma expresión – ; « un sacristán a media legua me huele a requiliternam y a neque especias » 823 – parodias, respectivamente, de requiem eternam, del Oficio de Difuntos, y del Salmo 50 : « cor contritum et humiliatum Deus non despicies », y del Salmo 139 : « opera manuum tuarum, Domine, ne despicias » ; ambos salmos se cantaban también en el Oficio de Difuntos –. 824  



















   





















   





















Dopo aver sottolineato che “la alegría y su expresión en forma de risa es un elemento que La Pícara Justina considera esencial de la vida picaresca” e che tutto il libro è “un manifiesto contra la tristeza y a favor de la alegría del vivir”, 825 Francisco Martínez García dichiara che “lo ridículo/risible es uno de los mecanismos productores – causales – de  

p. 367. Più avanti lo studioso riafferma che “La Pícara no es una parodia literaria”, e poi scrive : “El libro [...] es un centón de materiales, un bodrio verbal, literario si se quiere. Esos materiales se organizan en números o en capítulos, sometidos todos a una misma estructura invariable y fija. Es, por tanto, un libro para ser leído número a número, o capítulo a capítulo – con el intervalo o intervalos temporales que se quiera –, porque cada uno de ellos es autónomo y se constituye en su propia referencia, integrada por todo lo que venga a cuento o no [...], resultando, en conjunto, un texto « literario » porque todo ese material es transformado – ficcionalizado – de manera degradante y degradada. Quiero afirmar con estas palabras que, si se quiere hablar de « parodia » en La Pícara, únicamente se puede hacer entendiendo que cada uno de los números o capítulos es un todo textual en el que las partes que conforman su estructura son paródicas entre sí ; es decir, que cada número es la parodia de sí mismo, o una parodia en sí mismo” (p. 369). 820   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO PRIMERO. CAPITVLO SEGVNDO DEL abolengo alegre. Numero Primero. Del abolengo parlero », p. 57. Francisco Martínez García cita da questa edizione : Francisco López de Úbeda : La Pícara Justina. Edición de José Miguel Oltra. Madrid : Cátedra (Letras Hispánicas, s. n.) 1991, p. 115. Nonostante intense ricerche, non siamo sinora riusciti, purtroppo, a rintracciare l’edizione della Pícara Justina curata da José Miguel Oltra. Secondo Thomas Bodenmüller (Literaturtransfer in der frühen Neuzeit. Tübingen : Niemeyer 2001, p. 16, nota nro. 72) questa edizione, ripetutamente annunciata dalle Ediciones Cátedra, non è mai stata pubblicata ! Peró deve esistere. Luc Torres non solo cita nella sua « Bibliographie » (Discours festif, p. 454) l’edizione di José Miguel Oltra, ma ne precisa le dimensioni : “110 x 180 mm.” ! 821   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO PRIMERO, INTITVLADO LA PICARA Montañesa. CAPITVLO SEGVNDO [TERCERO !] DE LA vida de el meson. Numero primero. De el mesonero consejero », p. 76 (“Que viue Crispo, que no se ganó a mezer los niños de la rollona”). – Francisco López de Úbeda : La Pícara Justina. Edición de José Miguel Oltra, p. 135. 822   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO PRIMERO, INTITVLADO LA PICARA Montañesa. CAPITVLO SEGVNDO [TERCERO !] DE LA vida de el meson. NVMERO SEGVNDO DE LA Mesonera Astuta », p. 93 [91 !] (“Viue Christoualillo, que aunque le quiera enseñar cosa buena, yo no se otra, sino dos : vna de guerra, y otra de paz”). – Francisco López de Úbeda : La Pícara Justina. Edición de José Miguel Oltra, p. 149. 823   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO TERCERO DE LA PICARA PLEYTISTA. Capitulo quinto, del sacristan importuno », p. 225. – Francisco López de Úbeda : La Pícara Justina. Edición de José Miguel Oltra, 498. 824   Francisco Martínez García : Una mirada sobre el género y la escritura degradante de La Pícara Justina, pp. 367-368. 825   Francisco Martínez García : Una mirada sobre el género y la escritura degradante de La Pícara Justina, p. 370.  































































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la escritura de La Pícara”. 826 Infine, richiamandosi alla concezione del grottesco di Michail Bachtin, afferma che “la escritura grotesca era degradante de la escritura literaria oficial” e che grottesca è anche la scrittura della Pícara Justina, seppure essa sia “cohibida y timorata” a confronto di quella del Gargantua et Pantagruel di François Rabelais, “cumbre de la escritura degradante y degradada”. 827 Il saggio di Francisco Martínez García, pur ricco di felici intuizioni e spunti – noi abbiamo potuto soffermarci solo su alcuni di essi – e di acute valutazioni critiche (soprattutto sul virtuosismo linguistico di Justina, 828 la sua “capacidad creativo-lingüistica” 829), si basa talvolta su postulati opinabili e su una concezione eccessivamente riduttiva dell’opera letteraria. Se è vero, infatti, che l’opera letteraria è, per definizione, letteratura e che l’essenza del testo letterario è la sua ‘letterarietà’ e la sua ‘ficcionalidad’, non è pur men vero che i “referentes extratextuales” (storici, sociologici, politici, ideologici, ecc.) 830 del testo letterario costituiscono la sua dimensione storica, la sua ‘storicità’ (per lo stesso Michail Bachtin, che tanto ha influenzato Francisco Martínez García, il testo letterario può essere compreso solo se considerato come un processo sociale profondamente ancorato nella storia). Rinunziando alla loro conoscenza, 831 ci si priva della possibilità di una comprensione totale del testo che, contrariamente a quanto pensa l’illustre cattedratico di Teoria della Letteratura della Università di León, non “se explica por sí solo”. 832 Del resto non solo i testi letterari, ma anche le teorie della letteratura ricevono impulsi e sono condizionate dal contesto storico, ideologico e politico nel quale sorgono e si sviluppano. Gli  













826   Francisco Martínez García : Una mirada sobre el género y la escritura degradante de La Pícara Justina, p. 372. 827   Francisco Martínez García : Una mirada sobre el género y la escritura degradante de La Pícara Justina, pp. 374-375. 828   “[La Pícara] maneja el lenguaje como una masa blanda con la que conforma lo mismo panes u hogazas que figuras de fina repostería o de sorprendente bricolaje. Altera palabras, juega con ellas con una habilidad pasmosa, las preña de sentidos imprevisibles – siempre de acuerdo con el cotexto –, inventa sin escrúpulo alguno voces nuevas – que para ella no parecen neologismos sino ecos sacados de lo más profundo del tesoro escondido de la lengua, que se demuestra inagotable –, hace de dos palabras una, o dos de una, etc., con una agilidad, un desparpajo, una lozanía, una jovialidad, una ironía, un humor, una alegría y un descaro tales que el discurso se hace nuevo en cada línea y novísimo en cada expresión. En este ámbito, La Pícara no conoce cesuras ni censuras. Para ella, todo el campo es orégano. De ahí que leer cada uno de los capítulos, o cada uno de los números es una aventura llena de sorpresas y una exploración saturada de placer, del verdadero placer de la lectura” (Francisco Martínez García : Una mirada sobre el género y la escritura degradante de La Pícara Justina, p. 358). 829   Francisco Martínez García : Una mirada sobre el género y la escritura degradante de La Pícara Justina, p. 360. 830   Francisco Martínez García rimprovera, ingiustamente, a José Miguel Oltra Tomás che “su obsesión por buscar referentes extratextuales (sociológicos, políticos, históricos, alegóricos, etc.) [...] margina el carácter estrictamente literario del texto” (Una mirada sobre el género y la escritura degradante de La Pícara Justina, p. 343). 831   Sarebbe legittimo disinteressarsi dei motivi extraletterari dell’autore – “a mí no me van a interesar los motivos extraliterarios del autor, si es que los tuvo” (Francisco Martínez García : Una mirada sobre el género y la escritura degradante de La Pícara Justina, p. 343) – e concentrare l’analisi soltanto sul testo letterario considerato come universo poetico autonomo, se la letteratura esistesse al di fuori dello spazio e del tempo e le sue opere si generassero – senza intervento degli autori – esclusivamente per un gioco inter- e intratestuale. Cosa chiaramente impossibile. Lo stesso Francisco Martínez García, ricorrendo alla teoria della comunicazione, parla di emisor-escritor-autor, texto-mensaje e di receptor-lector (p. 364). Ebbene, come si potrebbe decodificare un testo letterario senza conoscere l’autore e la ‘ideologia’ sua e dei destinatari del suo ‘messaggio’, senza conoscere le circostanze in cui il ‘messaggio’ viene emesso e le ragioni per cui è emesso, senza conoscere la funzione che il ‘messaggio’ deve assolvere ? Solo l’accurata ricostruzione dell’ambiente storico e culturale nel quale il ‘messaggio’ è stato emesso rende possibile la sua decodificazione. 832   Francisco Martínez García ha scritto : “el texto literario se explica por sí solo, ya que todo se hace ficcional cuando es introducido en él, constituyéndose él a sí mismo en su propia referencia” (Una mirada sobre el género y la escritura degradante de La Pícara Justina, p. 343).  













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stessi studi russi sulla cultura popolare – in particolare, quelli di Vladimir Propp e dello stesso Michail Bachtin – ne sono un esempio. 833 Della ‘storicità’ della letteratura e delle teorie della letteratura dovrebbe essere sempre cosciente lo studioso.  

Come Valentín Pérez Venzalá e Francisco Martínez García, anche Thomas Bodenmüller si basa – nella sua dissertazione presentata all’Università di Augsburg nel 1998 e pubblicata nel 2001 a Tubinga con il titolo Literaturtransfer in der Frühen Neuzeit. Francisco López de Úbedas und ihre italienische und englische Bearbeitung von Barezzo Barezzi und Captain John Stevens – sulla teoria bachtiniana del carnevale per interpretare il Libro de entretenimiento come “karnevalesker Roman”. Fulcro di questa interpretazione è l’episodio della Bigornia, al quale lo studioso dedica molte pagine. 834 Dopo aver definito il tipo di travestimento degli studenti della Bigornia come “wichtigstes karnevaleskes Merkmal”, Thomas Bodenmüller, al quale sono rimasti sconosciuti i saggi di François Delpech e di Francisco Martínez García, scrive :  



In der Maske von Klerikern repräsentieren sie dem Brauch des Karnevals entsprechend einen herausgehobenen Stand der Gesellschaftshierarchie. Die karnevalesken Degradierungsabsichten kommen dadurch zum Ausdruck, daß die Verkleidung aus Lumpen angefertigt ist, wodurch das karnevaleske Prinzip der Umkehrung gleich zweifach zum Tragen kommt. Einerseits wird der erste Stand »pikarisiert« , indem »canónigos y arcedianos ... a lo picaral« auftreten. Andererseits erfährt das Schelmenwesen dadurch eine gespielte gesellschaftliche Aufwertung, daß sich die einzelnen »bellacos« mit Titeln der Geistlichkeit ( »obispo de la Picaranzona« ) schmücken. Im Ritual des Karnevals vertauschen die studentischen Pícaros als Vertreter des feudalzeitlichen Lumpenproletariats ihre Position mit dem Klerus, ein Vorgang, der mit der durch sozialen Immobilismus und starre stratifikatorische Differenzierung charakterisierten gesellschaftlichen Wirklichkeit kontrastiert. 835  

















Altra importante peculiarità carnevalesca dell’episodio è il banchetto, definito da Michail Bachtin in Rabelais e la cultura popolare – precisamente, nell’ampio capitolo sulle immagini conviviali 836 al quale Thomas Bodenmüller si richiama – “momento indispensabile all’allegria di ogni festa popolare” :  



Im Hinblick auf die karnevaleske Einkleidung der ganzen Episode ist von wesentlicher Bedeutung, daß das aus Diebesgut zubereitete Festmahl den Hintergrund für die Vollendung von Justinas burla abgibt. Auch wenn an diesem nur eine begrenzte Gruppe teilnimmt, lassen sich die der volkstümlichen Festkultur eigenen utopischen Aspekte öffentlichen Essens ausmachen. Die eng mit der folkloristischen Vorstellung vom Schlaraffenland verbundene karnevaleske Festmahlmotivik zeichnet sich besonders durch die Betonung des Überflusses aus. Damit steht sie nicht nur in Kontrast zur Mangelwirtschaft des Alltags ; durch die fröhlich und lautstark bekundete Genußfreude setzt sie sich auch vom kirchlich oktroyierten Askeseideal ab. Neben der Beschreibung zügelloser Ausgelassenheit fallen in Justinas Darstellung des Gelages die hyperbolische Züge annehmenden Erwähnungen von in Mengen herangeschaffter Nahrung und Speiseutensilien auf . 837  



833   Sul contesto ideologico e politico nel quale fiorirono gli studi russi sulla cultura popolare cfr. Antonio Sánchez Trigueros : Historicidad de la teoría : Las raíces ideológicas de Vladimir Propp (una propuesta de investigación). In : Philologica (Homenaje al profesor Ricardo Senabre). Cáceres : Universidad de Extremadura 1996, pp. 505-514. 834   Thomas Bodenmüller : Literaturtransfer in der Frühen Neuzeit. Francisco López de Úbedas und ihre italienische und englische Bearbeitung von Barezzo Barezzi und Captain John Stevens (= Communicatio, 25). Tübingen : Max Niemeyer 2001, pp. 63-72. 835   Thomas Bodenmüller : Literaturtransfer in der Frühen Neuzeit, p. 63. 836   Michail Bachtin : L’opera di Rabelais e la cultura popolare. Riso, carnevale e festa nella tradizione medievale e rinascimentale. Torino : Einaudi 1979, pp. 304-331 (« Le immagini del banchetto in Rabelais »). 837   Michail Bachtin : L’opera di Rabelais e la cultura popolare, p. 68.  























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Altro elemento peculiare del carnevale riscontrabile nell’episodio della Bigornia, illustrato da Thomas Bodenmüller, è il motivo, anch’esso analizzato da Michail Bachtin nella sua opera piú famosa, 838 del corpo grottesco. 839 Ma l’episodio della Bigornia non contiene solo singoli elementi peculiari del carnevale. La storia del ratto di Justina e della punizione dei suoi rapitori costituisce, nel suo insieme, l’illustrazione – afferma Thomas Bodenmüller richiamandosi alle pagine sul carnevale del libro di Michail Bachtin su Dostoevskij 840 – della piú importante cerimonia carnevalesca : “la burlesca incoronazione e successiva scoronazione del re del carnevale”. 841 Nell’episodio della Bigornia vengono combinati insieme “die aus zwei verschiedenen karnevalesken Festen bekannten Bräuche des Narrenbischofs und des Karnevalkönigs” – Pero Grullo è, infatti, vescovo e successivamente re 842 – e questo è  











ein Beweis für die karnevaleske Sättigung der Episode, in der das Register des Karnevals fast in Gänze vorgeführt wird. Neben der Vollständigkeit sind es jedoch die Erniedrigung und Verspottung des »Gekrönten« , die diese Episode eindeutig der karnevalesken Welt als zugehörig erscheinen lassen und sie weit über den unverbindlichen Aspekt höfischen Verkleidens und festlicher Maskerade (Bataillon) hinausheben. Es ist das Ritual von Triumph und Absetzung des Karnevalskönigs, das die Grundlage dieser Episode bildet und den karnevalesken Gesamtcharakter des Libro de entretenimiento unterstreicht. In keiner anderen Sequenz des Romans ist auf Handlungsebene die Übernahme karnevalesker Aktionsmuster so manifest wie hier. Dem modernen Interpreten kann dies gleichsam als Signal dienen, den ganzen Roman in die Reihe der karnevalesken Literatur einzuordnen. 843  





Thomas Bodenmüller ritiene che motivi carnevaleschi siano presenti, oltre che nell’episodio della Bigornia, anche in altri capitoli del romanzo, sebbene non con la stessa densità. Lo studioso li ravvisa nelle descrizioni, frivole, della curiosa morte degli antenati di Justina e in quelle, macabre, della morte dei suoi genitori e nella burla scatologica dell’engaño meloso giocata al bachillerejo. 844 Thomas Bodenmüller, che respinge le tesi di Marcel Bataillon sulla Pícara Justina come “festliche Maskerade” e burla cortesana, come opera di propaganda pro-calderoniana 845  



838   Michail Bachtin : L’opera di Rabelais e la cultura popolare, pp. 332-404 (« L’immagine grottesca del corpo in Rabelais e le sue fonti »). 839   Thomas Bodenmüller : Literaturtransfer in der Frühen Neuzeit, pp. 68-70. 840   Michail Bachtin : Dostoevskij. Poetica e stilistica. Torino : Einaudi 1982, pp. 162-166. Thomas Bodenmüller trascrive questo passo dell’opera : “Alla base dell’atto rituale della incoronazione e scoronazione del re è il nucleo stesso del senso carnevalesco del mondo, il pathos delle sostituzioni e dei mutamenti, della morte e del rinnovamento. Il carnevale è la festa del tempo che tutto distrugge e tutto rinnova. [...] L’incoronazione-scoronazione è un rito ambivalente uno e bino, che esprime l’inevitabilità e al tempo stesso la creatività dell’avvicendamentorinnovamento, la gaia relatività di qualsiasi regime e ordine, di qualsiasi potere e di qualsiasi posizione (gerarchica)” (p. 162). 841   Michail Bachtin : Dostoevskij. Poetica e stilistica, p. 162. 842   Thomas Bodenmüller si riferisce a questo passo della Pícara Justina, che egli cita dall’edizione di Antonio Rey Hazas (I, pp. 310-311) e che noi trascriviamo dalla princeps : “YA que estaua el carro atacado de vellacos, y el gouernador de la Vigornia, en medio dellos, pareciendole que no venia bien el ser Obispo casado, no siendo Obispo Griego (aunque andaua cerca de serlo) renuncio los habitos, y hizose rey. Tomò vn garrote en la mano, en forma de sceptro. Hizo de las capas vn trono imperial, poniendo por respaldar dos desaforados cuernos. Parecia Rey mono puramente. Captò la beneuolencia. Pidio atencion ...” (Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO SEGVNDO INTITVLADO LA PICARA Romera. En que se trata la jornada de Arenillas. CAPITVLO SEGVNDO DE LA Vigornia burlada. NVMERO SEGVNDO DEL parlamento loco », pp. 161-162). 843   Thomas Bodenmüller : Literaturtransfer in der Frühen Neuzeit, pp. 71-72. 844   Thomas Bodenmüller : Literaturtransfer in der Frühen Neuzeit, pp. 72-75. 845   Thomas Bodenmüller : Literaturtransfer in der Frühen Neuzeit, p. 14 e p. 27, nota nro. 25 (“Mit guten Ar 



























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e romanzo à clefs, 846 interpreta anche altri aspetti del Libro de entretenimiento alla luce delle teorie di Michail Bachtin, alle quali continuamente si richiama. Cosí – per esempio – alla luce della concezione bachtiniana della ‘dialogicità’, della polifonia, la Pícara Justina viene vista come “ »Mikrokosmos der Redevielfalt« 847 [...], in dem polyphon die verschiedenen »sozioideologischen Stimmen der Epoche« 848 dialogisch aufeinander bezogen sind und nicht einem offiziellen Ordnungsdiskurs unterliegen”, mentre gli Aprovechamientos, posti alla fine di ogni numero e di ogni capitolo non suddiviso in numeri, rappresenterebbero “das »autoritäre Wort« 849 der geistlich-intellektuellen Machtelite, die den ideologischen Überbau des Staates und der Gesellschaft definierte”. 850 Sempre influenzato dalla estetica bachtiniana, Thomas Bodenmüller scorge in tutto il Libro de entretenimiento intenzioni blasfeme e trasgressive. Lo studioso parla delle “blasphemische Spöttereien”, delle “häretische Witzeleien”, del “blasphemisches Verhalten”, 851 della “Gottlosigkeit”, 852 delle “blasphemische Absichten”, 853 della “ausbleibende Bekehrung” 854 di Justina, definita una “ungläubige conversa”, 855 che deriderebbe “das katholische Bußsakrament der Beichte”, 856 si burlerebbe del culto dei Santi e si divertirebbe a parodiare e deformare burlescamente formule della liturgia. 857 E tutto questo rivelerebbe non solo l’irriverenza, ma addirittura il “materialismo” della Pícara :  



  



  



  



















Die Pragmatik, die hinter Justinas Verwendung von Bezeichnungen aus der religiösen Sphäre sichtbar wird, offenbart eine ausgeprägte Irreferenz [Irreverenz] gegenüber Glaubensdingen und einen despektierlichen Materialismus, der bereits im Lazarillo de Tormes vorgezeichnet ist. Nicht zufällig wird Lazarillos berühmte Metapher vom Brot als »Antlitz Gottes« von Justina repetiert : 858 “el pan, que es cara de Dios, como dizen los niños”. 859  

   





Thomas Bodenmüller fa qui sua l’interpretazione, proposta da numerosi critici, dell’episodio dell’arca del pane (La vida de Lazarillo de Tormes, « Tractado Segundo ») come desacramentalización. Il primo a interpretare l’episodio come “an ironic ‘desacramentalization’ ... of the ritual of Christian salvation from death ; Holy Communion”, è stato Stephen Gilman. 860 Eugenio Asensio ha confutato questa interpretazione dell’episodio – e dell’opera tutta, vista da Stephen Gilman come “aggression ... directed against the ‘myths’ of the Lazarillo’s own century, myths of providence and religious ceremony  







gumenten glaubt [...] Oltra Tomás [...], López de Úbeda habe sich über die ungerechtfertigte Adelsprätention von Calderón lustig machen wollen”). 846   Thomas Bodenmüller : Literaturtransfer in der Frühen Neuzeit, p. 152. 847   Michail M. Bachtin : Das Wort im Roman. In : M. M. B. : Die Ästhetik des Wortes. Herausgegeben und eingeleitet von Rainer Grübel. Aus dem Russischen übersetzt von R. G. und Sabine Reese. Frankfurt am Main : Suhrkamp 1979, pp. 154-300 ; qui p. 290. 848   Michail M. Bachtin : Das Wort im Roman, p. 290. 849   Michail M. Bachtin : Das Wort im Roman, p. 231. 850   Thomas Bodenmüller : Literaturtransfer in der Frühen Neuzeit, p. 101. 851   Thomas Bodenmüller : Literaturtransfer in der Frühen Neuzeit, pp. 103-105. 852   Thomas Bodenmüller : Literaturtransfer in der Frühen Neuzeit, p. 140. 853   Thomas Bodenmüller : Literaturtransfer in der Frühen Neuzeit, p. 149. 854   Thomas Bodenmüller : Literaturtransfer in der Frühen Neuzeit, p. 106. Lo studioso dimentica che la conversione di Justina sarebbe stata narrata nel secondo tomo dell’opera. 855   Thomas Bodenmüller : Literaturtransfer in der Frühen Neuzeit, p. 108, p. 146. 856   Thomas Bodenmüller : Literaturtransfer in der Frühen Neuzeit, p. 107. 857   Thomas Bodenmüller : Literaturtransfer in der Frühen Neuzeit, pp. 145-151. 858   Thomas Bodenmüller : Literaturtransfer in der Frühen Neuzeit, p. 149. 859   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO PRIMERO, INTITVLADO LA PICARA Montañesa. CAPITVLO SEGVNDO [TERCERO !] DE LA vida de el meson. Numero primero. De el mesonero consejero », p. 82. 860   Stephen Gilman : The Death of Lazarillo de Tormes. In : PMLA 81 (1961), 149-166 ; qui pp. 163-164.  













































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as well as those of heroism and honor” 861 – in una pagina che se fosse tenuta presente eviterebbe tanti equivoci ermeneutici e tante fantasiose interpretazioni del Lazarillo e di altre opere :  



¿Cómo crítico tan inteligente llegó a conclusión tan exorbitante ? El motivo principal reside, a lo que pienso, en una errada interpretación de la practica – frecuente en escritores del XVI y XVII – de asociar a situaciones enteramente profanas, a momentos de comicidad o erotismo, imágenes sacras y analogías con los dogmas centrales del cristianismo : sacramentos, pasión, otro mundo. El autor del Lazarillo, avezado a tales usos, pinta las artimañas con que el protagonista abre el arcaz del pan, “paraíso panal” cuya llave le da el “angélico calderero”. Lázaro nos refiere cómo, desgarrado entre el hambre, que le arrastra a los bodigos o panes votivos, y el miedo que tiene al avariento clérigo, “como vi el pan, comencélo de adorar, no osando recibirlo”. Las correspondencias sacras son obvias : arcaz=sagrario, pan=Eucarístia. “Salvación, cuando uno come el pan sagrado, muerte, al verse privado de él han quedado reducidas a términos básicos de fisiología”. 862 Es lo que [Stephen Gilman] llama desacramentalización. Un pueblo, como el español, habituado por la predicación, el auto religioso, las imágenes y procesiones a constantes alegorizaciones de los textos evangélicos, fácilmente entreveía en cada acción por trivial que fuese, en cada personaje y escena vulgar, correspondencia y paralelismo con Cristo y las ceremonias de la Iglesia. La literatura nos muestra esta tendencia, casi automática, ya aislada en fugaces alusiones, ya convencionalizada en géneros como el auto sacramental, los conceptos de Ledesma, las novelas y poemas a lo divino. Por mucho que nos choque, raros eran los que se escandalizaban de que el poeta calcase la pasión de Cristo sobre el texto que celebraba la prisión, azotes y afrentas de un ladrón como Escarramán. 863 La novela picaresca  









861

  Stephen Gilman : The Death of Lazarillo de Tormes, p. 162, nota nro. 54.   Stephen Gilman : The Death of Lazarillo de Tormes, p. 164 (“Salvation from eating the sacred bread, death when deprived of it, have been reduced to basic physiological terms.”). 863   Eugenio Asensio non specifica il nome del poeta autore di una versione a lo divino della Carta de Escarramán a la Méndez (« Ya está guardado en la trena / tu querido Escarramán... »).. Si tratta probabilmente di Lope de Vega, che aveva imitato la celeberrima jácara di Quevedo sia nel Romance de Escarramán, vuelto a lo Divino (« Ya está metido en prisiones, / alma, Jesús tu galan... ») della Segunda parte del desengaño del hombre (Salamanca 1613. – Madrid : Miguel Serrano de Vargas 1615), sia nella Loa de Escarramán (« Ya está cifrado en la forma / tu querido y santo Isaac... »), che precede l’auto intitolato La Puente del mundo. Ma non solo Lope de Vega aveva volto a lo divino la Carta de Escarramán a la Méndez. Le due piú antiche versioni a lo divino della jácara di Quevedo sono contenute nella Relación berdadera que se sacó del libro donde están escritos los milagros de Nuestra Señora de la Caridad de San Lúcar de Barrameda (Málaga : Juan René 1612) di Gaspar Serato : Romance nuevo a la pasión de Christo buelto por el de Escarramán (« Quando con ardid y maña... »). – Romance de Escarramán buelto a la pasión de Christo (« Ya está con gusto en las penas... »). Altre versioni a lo divino ci sono state tramandate dai mss. 19307 (« Ya está enclavado en la Cruz... »), 4154 (« Ya está metido en prisiones... ») e 3895 (« Ya está metido en prisión... ») della Biblioteca Nacional di Madrid. Nel Cancionero manoscritto di Salvá figura inoltre un anonimo Romance de San Pablo al tono de „Escarramán” (“Ya está metido en la Iglesia...”). Quanto fossero numerose e note le versioni a lo divino della Carta de Escarramán a la Méndez è documentato anche dall’Entremes del Rufian viudo, llamado Trampagos di Cervantes. A Escarramán che, uscito di prigione, chiede agli amici “que se ha dicho de mi en aqueste mundo, / en tanto que en el otro me han tenido, / mis desgracias, y gracia ?”, questi – alternandosi – gli rispondono : “hante buelto diuino, que mas quieres ? / cantante por las plaças, por las calles, / baylante en los teatros, y en las casas, / has dado que hazer a los Poetas, / mas que dio Troya al Mantuano Titiro. / oyente resonar en los establos. / las fregonas te alaban en el rio...”. Cfr. Lope Félix de Vega Carpio : Romance de Escarramán, vuelto a lo Divino. In : Cristóbal Pérez Pastor : Bibliografía Madrileña de los siglos XVI y XVII. Tomo III : 1621 al 1625, pp. 318-319. – Miguel de Cervantes : Ocho comedias, y ocho entremeses nuevos, nunca representados. Facsímil de la primera edición [En Madrid, Por la viuda de Alonso Martin 1615]. Madrid : Real Academia Española 1984, fo. 229r. – Francisco de Quevedo y Villegas : Obras completas. Textos genuinos del autor, descubiertos, clasificados y anotados por Luis Astrana Marín. Edición crítica. Obras en verso, pp. 210211, nota nro. 1. – Eugenio Asensio : Itinerario del entremés. Desde Lope de Rueda a Quiñones de Benavente. Con cinco entremeses inéditos de D. Francisco de Quevedo. Segunda edición revisada (= Biblioteca Románica Hispánica). Madrid : Editorial Gredos 1971, pp. 102-106. – Francisco de Quevedo : Obra poética. III. Ed. de José Manuel Blecua, pp. 261-261, nro. 849. – Héctor Urzáiz Tortajada : Catálogo de autores teatrales del siglo XVII. Volumen II (M-Z). Madrid : Fundación Universitaria Española 2002, p. 688.  

862







































































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no es ninguna excepción. Quevedo, en la Vida del Buscón, ha seguido, al contar las asquerosas novatadas de Alcalá, la pauta de las afrentas de Cristo. Como si quisiese superar a Quevedo, Tirso de Molina en sus Cigarrales ha parodiado con jocosa irreverencia dos escenas del Evangelio : la resurrección de Lázaro y la pasión de Cristo. 864 [...] Los contemporáneos no se rasgaban las vestiduras, sino que sonreían ante esta mezcla de religiosidad e irreverencia. Un lector de gusto y cultura excepcional, el P. Sigüenza, podía con orgullo atribuir la autoría del irreverente Lazarillo a un hermano suyo de la Orden, Fray Juan Ortega. Deducir de esta amalgama de lo religioso con lo cómico que el autor era un converso incrédulo me parece un mero anacronismo. 865  





Gli esempi addotti da Eugenio Asensio sono significativi. Il primo episodio dei Cigarrales de Toledo, già particolarmente significativo per la “jocosa irreverencia” messa in rilievo dal grande studioso, diventa ancor piú significativo per un dettaglio minimo : il racconto della parodia della resurrezione di Lazzaro suscita le risa dei frati del Monasterio de la Merced, nel quale si rifugia Carrillo per sottrarsi alla vendetta dei famigliari e degli amici del morto, “corridos y deseosos de pagarle en palos el ensalmo burlesco”. Eugenio Asensio ricorda anche il Buscón di Quevedo e la scena della parodia della passione. Avevamo già richiamato l’attenzione sull’episodio della trasformazione di Pablos in un Ecce homo e citato le frasi segnalate come blasfeme dal Tribunal de la justa venganza alla Inquisizione (“Tened, huésped, que no soy Ecce-Homo”. – “Recibióme ... el huésped con peor cara que si yo fuera el Santissimo Sacramento” 866). Qui vorremmo mentovare alcuni degli esempi addotti da Leo Spitzer, in un suo celebre saggio sul Buscón, per illustrare “das Spiel mit Sakralem und Liturgischem” praticato da Quevedo : 867 “Amaneció el Señor, y salimos del calabozo. Vimonos las caras, y lo primero que nos fue notificado fue dar para la limpieza – y no de la Virgen sin mancilla –, so pena de culebrazo fino. Yo di luego seis reales...”. – “y todo esto [il corteggiamento delle monache], al cabo, es para ver una mujer por red y vidrieras, como güeso de santo”. – “ Si hablaba, solía – porque no me oyesen los demás que estaban en las rejas – juntar tanto con ellas la cabeza, que por dos días siguientes traía los hierros estampados en la frente, y hablaba como sacerdote que dice las palabras de la consagración”. 868 A proposito del primo esempio, il Tribunal de la justa venganza aveva scritto :  



   





Pónesele otro cargo por haber dicho ... que habiendolo preso, lo primero que los pícaros y galeotes de la cárcel le notificaron fué « dar para la limpieza (y no de la Virgens sin mancilla) » ; y para lo que él insinua que le pedían (dejando aparte su ánimo profanador), era dinero para sacar la basura y verter las inmundicias ; y aquí sacrilegamente acomodó lo que, fuera de lo que es Dios, más se venera en el cielo y en la tierra ; y también se puede creer que dijo esto dándose por desentendido de lo que le pedían aquellos desventurados, con ser el mismo desaliño, andrajoso y extremo de mendiguez, viéndose su talle tan abominable y asqueroso (que en ambas cosas sólo se excede a sí mismo a cuya causa le llaman y es conocido por el diablo cojuelo, como también por el de patacoja y derrengado), y sería para echarlo a él de la cárcel, porque no los ensuciase, y ella quedase limpia de toda pútrida bascosidad y hediondez. 869  











864   Tirso de Molina : Cigarrales de Toledo. Edición, introducción y notas de Luis Vázquez Fernández. Madrid : Clásicos Castalia 1996, pp. 278-281, pp. 289-290. 865   Eugenio Asensio : La España imaginada de Américo Castro, pp. 105-106. 866   Francisco de Quevedo : La vida del Buscón llamado Don Pablos. Edición crítica y estudio preliminar de Fernando Lázaro Carreter, p. 61, p. 65. 867   Leo Spitzer : Zur Kunst Quevedos in seinem Buscón. In : Archivum Romanicum XI (1927), 511-580 ; qui pp. 545-546. 868   Francisco de Quevedo : La vida del Buscón llamado Don Pablos. Edición crítica y estudio preliminar de Fernando Lázaro Carreter, p. 196, p. 269, p. 270. 869   Licenciado Arnaldo Franco-Furt [Luis Pacheco de Narvaez et al.] : El Tribunal de la Justa venganza, p. 1112.  

















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Anche a Leo Spitzer il pur credente autore del Buscón appare, in qualche modo, ‘sacrilego’. Secondo il grande Maestro della stilistica il gioco di Quevedo “mit Sakralem und Liturgischem” rivelerebbe infatti un impulso irrefrenabile, un ‘prurito’ sacrilego : “es ist als ob ein gotteslästerlicher Kitzel den gläubigen Autor nicht zur Ruhe kommen ließe – vielleicht ist der Glaube, der die Versuchung nicht abschütteln kann, nicht der schwächste.” 870 In realtà, il gioco con il sacro e la parodia di cerimonie liturgiche (o anche l’uso ‘sacrilego’, oppure osceno, di formule ecclesiastiche 871) facevano parte della vita quotidiana spagnola, come ha osservato Eugenio Asensio. Naturalmente erano molto diffusi nell’ambiente goliardico per antica tradizione (non parodiava la poesia goliardica medievale i canti liturgici e rituali ?). Luis de Pinedo ricorda uno dei tanti chistes ‘sacrileghi’ degli studenti salmantini sul cattivo vino dei pensionati universitari :  









A unos pupilos en Salamanca dábales el bachiller N. mal vino, y uno de ellos, como hombre más atrevido, pidiendo de beber, y como gustase el vino y hallase ser malo, quitado el bonete y levantado en pie, dijo al bachiller : – Domine, si potest fieri, transeat a me calix iste [Matteo 26, 39 ; Marco 14, 36 ; Luca 22, 42]. 872  







Juan Arce de Otalora registra tutta una serie di chistes costruiti su scherzose citazioni dai Vangeli e dal Vecchio Testamento, con i quali degli studenti dell’Università di Salamanca, ospiti di un pupilaje, salutano le cattive e scarse vivande e le ancor peggiori bevande che vengono loro servite :  

Si la carne es flaca, péganla a la mano y dicen como Job (Cap. 19) : « Pelli mee, comsumptis carnibus, adhesit os meum ». Si el pan es duro, dicen al bachiller : « Domine, dic ut lapides isti panes fiant » (Math. 19). Si la porción es chica, dicen : « Anichilata est portio mea », y prueban a echarlo del plato a soplos ; y si la echan, dicen : « Memento, mei Deus, quia ventus est vita mea » (Job 7). Si viene sucia, dicen : « Cor mundum crea in me, Deus » (Psal. 50). Si viene fría alaban a Dios, diciendo : « Benedicite, glacies et nubes, Domino ! » (Daniel, 3). [...] Si el agua o vino viene turbio y sospechoso, dicen el evangelio de san Marcos hasta la claúsula « ... et si mortiferum quid biberint, non eis nocebit ». [...] Con esta buena conversación pasan su mala ventura y entretienen y regocijan su comida, y consuélanse diciendo : « Melius est pusillum panis cum gaudio quam plena utraque manus cum tedio » (Ecles. 4). 873  



































   













Come si può dedurre da questi esempi, la parodia del sacro e i riferimenti irriverenti e giocosi ai testi sacri erano abituali quanto privi di ogni occulta intenzione blasfema e di ogni mascherata manifestazione di eterodossia, di eresia o di ateismo. Ma torniamo alla interpretazione della Pícara Justina sviluppata da Thomas Bo870

  Leo Spitzer : Zur Kunst Quevedos in seinem Buscón, p. 545.   Il bachiller Marcos Méndez Pavón, alludendo al fiasco sessuale di Pero Grullo, scrive a Justina : “Porque no me pretendio hazer la burla de Pero Grullo, el de Arenillas ? por estas pocas [barbas ?] que aqui Dios me puso, que si yo fuera el Obispete, y conmigo las vuiera, que yo la auia de traer vn extra tempora, y me auia de salir del carricoche ordenada, o desordenada de mi mano” (Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO DE la Picara Romera. Capitulo. III. De las dos cartas graciosas », p. 61). Extra tempora è “la autorización concedida por el Papa para poder conferir ó recibir órdenes sagradas fuera del tiempo señalado” (Julio Puyol y Alonso : « Glosario », p. 178). L’ordinazione che Marcos Méndez Pavón avrebbe conferito a Justina se fosse stato al posto del ‘vescovo’ della Bigornia, non aveva naturalmente nulla a che fare con il sacramento che conferisce la grazia e il carattere sacerdotale, ma sarebbe stata – come scrive Luc Torres (Discours festif et parodie dans La Pícara Justina, p. 319), che parla di “sacrilège” – una “ordination sexuelle”. 872   Luis de Pinedo : Libro de chistes, p. 100. 873   Juan Arce de Otálora : Coloquios de Palatino y Pinciano. Tomo I. Jornada primera a Jornada séptima, pp. 552-553.  

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capitolo ii

denmüller. La blasfemia e la miscredenza non sono, secondo lo studioso, esclusive della protagonista. Altrettanto blasfemo e miscredente è l’autore del Libro de entretenimiento. Sul tipo dei suoi attacchi contro il cattolicesimo, Thomas Bodenmüller scrive :  

López de Úbedas Invektiven gegen den Katholizismus und seine institutionellen Vertreter richten sich besonders auf drei Aspekte : die Denunziation des lasterhaften Verhaltens der Kleriker, die Verspottung des Heiligenwesens und der Dogmen, die Degradierung religiöser Schlüsselwörter und liturgischer Formeln durch Dekontextualisierung. [...] Daß der Autor die spanische Staatsreligion aus einer weitaus radikaleren Perspektive als der eines erasmistisch oder protestantisch beeinflußten Katholizismuskritikers attackierte, legen versteckte Verhöhnungen des Gekreuzigten ( »el otro que escogió morir sangrando de los tobillos« ) oder der Jungfräulichen Geburt nahe. 874  







Se cosí fosse, dovremmo meravigliarci non solo – come fa Thomas Bodenmüller – della “erstaunliche Tatsache, daß der Libro de entretenimiento keine Indizierung erfuhr”, 875 ma di quella ancor piú sorprendente che il suo autore non fosse stato processato e condannato al rogo dalla Inquisizione ! Lo studioso documenta la derisione di Cristo crocifisso unicamente con questa frase, citata tra l’altro con un errore : “el otro que escogió morir sangrando de los tobillos” (princeps : “el otro que escogio morir sangrado de los touillos” 876). A prescindere dal fatto che Cristo crocifisso non morì “sangrado de los touillos”, la frase si riferisce – come scrive lo stesso Thomas Bodenmüller – “auf einen anonymen Pilger, der sich angeblich »zu Tode lief« ”. 877 Oltre a schernire Cristo crocifisso, l’autore della Pícara Justina parodierebbe anche la credenza che Gesú sia nato da una vergine laddove Justina si burla delle leggende secondo le quali Romolo, Budda ed altri furono generati da una “virgen incorrupta” o – come Platone – dalla “intracta Virgen [princeps : intraeta Viryen] periction”. Anche se le parole “intracta Virgen” costituissero veramente, come ha sostenuto Francisco Martínez García, una parodia del verso “ex intacta virgine” dell’inno eucaristico Pange lingua e non significassero, come ha spiegato Julio Puyol y Alonso, “una vergine palpeggiata”, 878 bersaglio dell’ironia è esclusivamente la madre di Platone. Justina conclude la sua enumerazione di concepimenti meravigliosi con queste parole : “Ni soy tan hereja, ni tan necia.” (Nella glossa marginale si legge : “Es mentira necia, el fingir tales principios.” 879) La Pícara dichiara, cioè, di non essere né tanto eretica, né tanto sciocca, da credere a simili frottole. Eretica Justina si riterrebbe se credesse al concepimento di vergini, sapendo bene che tale evento miracoloso si era verificato per elezione di Dio in una sola donna, la Vergine Maria. Thomas Bodenmüller suppone invece che proprio “die Verwendung des »Dechiffrierworts« hereja” – oltre al tema stesso e alla “Gesamttendenz des Romans” – riveli che “diese Passage eine kryptisch-parodistische Anspielung auf die jungfräuliche Geburt Christi ist”. 880 Noi riteniamo che per poter documentare la critica radicale del cattolicesimo – tanto radicale da superare quella esercitata dai protestanti – e la derisione dei suoi dogmi,  































874

  Thomas Bodenmüller : Literaturtransfer in der Frühen Neuzeit, p. 143, p. 151.   Thomas Bodenmüller : Literaturtransfer in der Frühen Neuzeit, p. 97. 876   Libro de entretenimiento. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO DE la Picara Romera. Capitulo. I. De la jornada de Leon. Numero tercero. de la entrada de Leon », p. 19. 877   Thomas Bodenmüller : Literaturtransfer in der Frühen Neuzeit, p. 151, nota nro. 558. 878   Julio Puyol y Alonso (« Glosario », p. 191) : “Intracta no es palabra castellana, sino latina, formada de la preposición in e del verbo tracto, as, tocar, palpar, manosear.” 879   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO PRIMERO. CAPITVLO SEGVNDO DEL abolengo alegre. Numero Primero. Del abolengo parlero », pp. 56-57. 880   Thomas Bodenmüller : Literaturtransfer in der Frühen Neuzeit, p. 151, nota nro. 559. 875























le interpretazioni della pícara justina

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della devozione popolare, di Cristo crocifisso, del culto di Maria Vergine (proprio negli anni 1602-1603 un vasto movimento di devozione mariana, guidato da D. Pedro de Castro, arcivescovo di Granada, premeva – anche attraverso Filippo III e il Consiglio Reale, presieduto da D. Juan de Zúñiga Avellaneda y Cárdenas, Conte di Miranda – sul Papa, Clemente VIII, affinché fosse proclamato il dogma della Immacolata Concezione di Maria ! 881) e dei Santi, asserite da Thomas Bodenmüller, non siano sufficienti alcune brevi frasi avulse dal contesto, gli irriverenti scherzi sui Santi e le reliquie e la parodia giocosa, ben diffusa nell’ambiente dell’Università e degli Ordini religiosi, della liturgia e delle sue formule. Il richiamarsi poi, per dare fondamento ad ardite ipotesi, ad una “Gesamttendenz” del romanzo costituisce – se questa tendenza complessiva non è stata adeguatamente documentata – un circolo vizioso. Scoprendo, o credendo di scoprire, un cosí radicale anticattolicesimo – addirittura un possibile “Antichristianismus” 882 – nell’autore della Pícara Justina, lo studioso avrebbe dovuto prudentemente chiedersi se, nell’ambiente sociale e culturale nel quale e per il quale era stata scritta l’opera, era immaginabile e plausibile una posizione tanto ‘aberrante’ nei confronti della religione e di tutto quanto gli spagnoli dell’epoca avevano di piú sacro. E se anche si ammettesse l’ipotesi che un singolo abbia potuto giungere a una posizione tanto trasgressiva e inconformistica, una tale ipotesi sarebbe in contrasto con la funzione assegnata dall’autore al suo libro di intrattenimento e con il pubblico a cui lo destinava. Thomas Bodenmüller crede di potere risolvere questa difficoltà respingendo la tesi di Marcel Bataillon sulla Pícara Justina come romanzo à clefs. Egli, infatti, conclude il sottocapitolo dedicato alla dimostrazione della radicale irreligiosità dell’autore della Pícara Justina cosí :    





Ob López de Úbeda ein in repressiven Zeiten von seinem Glauben abgefallener Altchrist oder ein converso war, ist nicht zu entscheiden. Die toponymische Namenskomponente ( »de Úbeda« ) und die bürgerliche Profession als Arzt können, müssen aber nicht auf eine von allen Interpreten vorausgesetzte jüdische Herkunft deuten. Seine soziologische Zugehörigkeit zum gebildeten, am Aufstieg weitgehend gehinderten Bürgertum vermag die adels- und abstammungskritischen Passagen ebenso zu erklären, wie sie den Antichristianismus nicht ausschließt. Worauf allerdings die ideologischen Invektiven des Romans nicht deuten, ist die an Bataillons Schlüsselroman-These gebundene Annahme, López de Úbeda habe der höfischen in-group angehört. 883  





Certamente l’autore della Pícara Justina non apparteneva all’in-group, al gruppo interno cortigiano, in senso stretto, non essendo membro dell’alta aristocrazia di Corte. Né mai Marcel Bataillon ha sostenuto una simile tesi o ipotesi. Il romanzo è però stato indubbiamente scritto per divertire l’alta nobiltà di Corte, a numerosi rappresentanti della quale l’autore rende esplicitamente omaggio. Ora, senza voler addentrarci nella teoria della comunicazione, in generale, e della comunicazione letteraria, in particolare, che il dotto studioso conosce perfettamente, è di immediata evidenza che i destinatari di un’opera letteraria ne influenzano – e spesso, addirittura, ne condizionano – il contenuto ‘ideologico’. È immaginabile allora che l’autore della Pícara Justina volesse intrattenere i suoi lettori schernendo le loro piú profonde convinzioni religiose ? Pur avendo affermato, all’inizio del suo tentativo ermeneutico, che “bis heute die eigentliche ideologische Stoßrichtung des Romans ungeklärt [ist]”, 884 Thomas Bo 



881   Cfr. Antonio Luis Cortés Peña : Andalucía y la Inmaculada Concepción en el siglo XVII. In : José AlcaláZamora - Ernest Belenguer (Coordinadores) : Calderón de la Barca y la España del Barroco. Volumen I. Madrid : Centro de Estudios Políticos y Constitucionales 2001, pp. 401-428 ; qui p. 405. 882   Thomas Bodenmüller : Literaturtransfer in der Frühen Neuzeit, p. 152. 883   Thomas Bodenmüller : Literaturtransfer in der Frühen Neuzeit, p. 152. 884   Thomas Bodenmüller : Literaturtransfer in der Frühen Neuzeit, p. 26.  















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denmüller, suggestionato dalla sua visione ‘carnevalesca’ dell’opera, interpreta la Pícara Justina come un attacco contro la nobiltà – in particolare, contro l’alta nobiltà – fondandosi su questa pagina :  

[...] de que le sirue a la picara pobre, hazerse Marquesa del Gasto, si luego han de ver que soy marquesa de Trapisonda, y de la Piojera, y condesa de Gitanos. Yo confiesso que es este vn tiempo, en que el çapatero, porque tiene calidad se llama çapata, y el pastelero gordo, godo. El que enriquecio enriquez, y el que es mas rico, manrique. El ladron a quien le luzio lo que hurtô, hurtado. El que adquirio hazienda con trampas y mentiras, Mendoça. El sastre, que a puro hurtar girones, fue marques de paño infiel, giron. El errador aparroquiado herrera. El prospero ganadero de ouejas, y cabras, cabrera. El baquero rico de cabeças irracionales, y pobre de la racional, cabeça de baca. Y el caudaloso morisco mora. Y el que acuña mas moneda, acuña. Quien goza dinero, guzman. Todo esto, y mas que yo me se, passa oy dia. Pero norabuena, passe, que esto y mucho mas merece el dinero. Pero la illustrissima picardia, no va por essa derrota, porque esso es querer engualdrapar las verdades. 885  

Secondo lo studioso la Pícara insinua qui, “daß die Zapatas von Schustern abstammten, die Godos von einem fetten Konditor, die Enríquez’ von einem Vorfahren, der sich bereicherte, die Manriques von jemandem, der noch reicher ( »más rico« ) war, die Hurtados gingen auf einen Dieb, die Mendozas auf einen Lügner zurück etc.”. 886 Per poter insinuare che questi fossero i capostipiti dell’alta nobiltà o che coloro che si dicevano discendenti dai godos, cioè dai visigoti, discendessero, in realtà, da un “pastelero gordo”, Justina – ossia il suo creatore – avrebbe dovuto ignorare la genealogia delle grandi famiglie, che effettivamente avevano – in gran parte – le loro radici nella Montaña, 887 e la storia della Spagna. Assumiamo pure che Justina si finga ignorante unicamente per deridere l’alta nobiltà. Come si spiega, allora, la vistosa contraddizione fra questa volontà di derisione e le già ricordate note marginali (“Abuso de poner armas” – “Con quan poco fundamento se ponen armas”. 888 – “Los ridiculos fundamentos que ay para tomar los hombres apellidos honrados”. 889 – “Abusos en tomar blasones de linajes” 890), nelle quali si dichiara con tutta chiarezza l’intenzione di voler stigmatizzare le usurpazioni – compiute, ovviamente, dai parvenus – degli stemmi e dei nomi delle famiglie piú illustri dell’alta nobiltà ? Come si spiega, allora, la vistosa contraddizione fra questa volontà di derisione e l’esplicito omaggio reso proprio ai Mendozas, ai Guzmanes e agli Enríquez ? Thomas Bodenmüller non affronta questa difficoltà, o non percepisce la contraddizione  

















885   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO PRIMERO. CAPITVLO SEGVNDO DEL abolengo alegre. Numero Primero. Del abolengo parlero », pp. 57-58. 886   Thomas Bodenmüller : Literaturtransfer in der Frühen Neuzeit, p. 162. 887   Nel Gran Memorial il Conte Duca de Olivares scriveva : “las mayores casas que hay hoy en estos reinos tuvieron su origen en los solares de la Montaña, donde hoy se conservan con estos mismos apellidos los que no bajaron a Castilla y se dilataron con las guerras, adquiriendo los señoríos y estados que hoy poseen. Algunos hay en España que sin este origen han alcanzado y conservado señoríos y estados grandes, pero muy pocos fuera de las casas que descienden de la real y otras que han venido de fuera” (Memoriales y cartas del Conde Duque de Olivares. Tomo I. Política interior : 1621 a 1627, pp. 59-60). 888   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO PRIMERO, INTITVLADO LA PICARA Montañesa. CAPITVLO SEGVNDO DEL abolengo alegre. Numero Primero. Del abolengo parlero », pp. 54-55 (glosse marginali). 889   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO PRIMERO, INTITVLADO LA PICARA Montañesa. CAPITVLO SEGVNDO DEL abolengo alegre. Numero Primero. Del abolengo parlero », p. 58 (glossa marginale). 890   “Assi que todos se salen con poner las armas que pueden pagar, en especial los que son de la mi prouincia de Picardia” (Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO PRIMERO, INTITVLADO LA PICARA Montañesa. CAPITVLO SEGVNDO DEL abolengo alegre. Numero Primero. Del abolengo parlero », p. 55).  





















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fra la sua interpretazione del passo sopra trascritto e le note marginali e gli omaggi che rende Justina proprio alle piú prestigiose famiglie della Grandeza spagnola (fra di esse – oltre alle famiglie dei Duchi dell’Infantado, di Medina Sidonia e di Medina de Rioseco, or ora ricordate – quelle dei Duchi d’Alba, di Béjar e di Feria). Il passo sopra trascritto non svela soltanto, secondo Thomas Bodenmüller, le basse origini sociali delle piú illustri famiglie spagnole, ma rende anche manifesto che i loro titoli nobiliari erano stati acquisiti unicamente con il denaro. La nobiltà spagnola verrebbe quindi presentata come la contraddizione personificata della concezione nobiliare vecchio-cristiana, rigorosamente anticapitalista e fondata sugli ideali cavallerescofeudali :  

Die spielerische etymologische Untersuchung der Namen der spanischen Granden soll nicht nur die niedere soziale Abstammung der Familien ans Tageslicht bringen. Ob Nachfahren von Dieben oder von Vertretern der verachteten, meist von conversos ausgeübten artes mechanicae : Nach dieser Deutung erlangten die illustren Familien nur durch finanzielle Akkumulation das begehrte Adelsprädikat. Die nobleza Spaniens wird als personifizierter Widerspruch zur Nobilitätskonzeption der altchristlichen Standesideologie vorgeführt, die an ritterlich-feudalen Idealen orientiert und strikt antikapitalistisch ausgerichtet war. Das Beispiel des Geschlechts der Mora (Moura) demonstriert, daß bei ausreichendem Vermögen selbst eine vermeintlich minderwertige maurische Abstammung nicht hinderlich gewesen sei, ein Adelsdiplom verliehen zu bekommen. Die ganze Passage erfüllt die Funktion, mittels etymologischer Reflexionen Justinas früheren Ausspruch zu bestätigen, wonach es in gesellschaftlicher Hinsicht nur zwei relevante Kategorien gebe : »el uno se llama tener, y el otro, no tener« . 891  





   

Proprio l’esempio del lignaggio Moura – fidalgos portoghesi, certamente non discendenti da mori –, qui sopra addotto, smentisce la tesi di Thomas Bodenmüller. Tutta la carriera di D. Cristóbal de Moura (Mora), insignito delle commende di Calatrava e di Alcántara e creato Conte di Castelo Rodrigo da Filippo II e Marchese di Castelo Rodrigo, Viceré e Capitano Generale del Portogallo da Filippo III, dimostra infatti che onorificenze e titoli di nobiltà non erano stati comprati con il denaro, ma ottenuti per personali meriti militari, diplomatici, politici e burocratici. 892 La polemica contro il potere del denaro, che permette di comprare diplomi di nobiltà e uffici, è indubbiamente presente nella Pícara Justina ; non è però diretta indistintamente contro tutta la nobiltà – e tantomeno contro la Grandeza –, bensí esclusivamente contro i parvenus. Sarebbe stato pazzo l’autore del romanzo a sostenere che i Guzmán, gli Enríquez, di sangue reale, i Girón o i Mendoza avevano acquistato con il denaro i loro titoli di nobiltà. Ma sui fraintendimenti causati dalla pagina sopra trascritta della Pícara Justina torneremo quando analizzeremo la tesi di Luc Torres. Ora vorremmo evidenziare soltanto una grave contraddizione di Thomas Bodenmüller. Nel corso della sua interpretazione ‘carnevalesca’ del romanzo, in passi da noi già citati, lo studioso aveva affermato che “sozialer Immobilismus und starre stratifikatorische Differenzierung” caratterizzavano la realtà sociale spagnola ed aveva parlato di un “am Aufstieg weitgehend gehindertes Bürgertum”, ed ora sostiene che la stratificazione sociale era determinata unicamente dal possesso del denaro ! Nonostante la fragilità di alcune sue tesi, la dotta dissertazione di Thomas Bodenmüller costituisce, nel suo insieme (noi abbiamo potuto esaminare qui unicamente un capitolo, ed anche questo solo parzialmente), un importante studio sulla Pícara Justina e sulla sua ricezione in Italia e in Inghilterra.  





891

  Thomas Bodenmüller : Literaturtransfer in der Frühen Neuzeit, p. 163.   Cfr. José Martínez Millán - Carlos J. De Carlos Morales (Directores) : Felipe II (1527-1598). La configuración de la Monarquía Hispana. Junta de Castilla y León 1998, pp. 437-438. 892





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capitolo ii

L’ampia tesi dal titolo Discours festif et parodie dans La Pícara Justina de Francisco López de Úbeda, preparata sotto la direzione di Augustin Redondo e presentata all’Università di Parigi III-Sorbonne Nouvelle da Luc Torres, si fonda egualmente sull’opera di Michail Bachtin su Rabelais e la cultura popolare. Nella sua tesi, difesa nel gennaio del 2001 e pubblicata alla fine del 2003, Luc Torres vuole dimostrare che il mondo della festa carnevalesca costituisce il referente costante, la struttura ideologica profonda della Pícara Justina. Nella sua ricostruzione del “contexte référentiel” – l’universo del Carnevale, il ‘mondo alla rovescia’ – lo studioso, che analizza non solo il testo ma anche il paratesto (introduzione, titoli dei capitoli e dei sottocapitoli, componimenti poetici, Aprovechamientos), incluso l’incisione di Juan Baptista Morales « LA NAVE DE LA VIDA PICARA », mette in relazione il Libro de entretenimiento con vari tipi di feste e spettacoli (feste parodiche, feste burlesche, feste dei folli, charivaris – cencerradas –, mascherate, mascaradas a lo pícaro, sarabande, tregende infernali, balli, sfilate di figure grottesche, commedie burlesche e farse – entremeses, jácaras, mojigangas –, scene di burle e contro-burle con personaggi folclorici, parodie di cerimonie e riti religiosi, burle e scherzi goliardici, encamisadas) e con diversi generi letterari (sermoni, ‘dialoghi’ delle riunioni conviviali – tertulias de sobremesa – del periodo di Carnevale, quali i Diálogos de apacible entretenimiento di Gaspar Lucas Hidalgo, proverbi, racconti salaci, elogi paradossali, poesia maccheronica, gallos, enigmi, perqués, sciarade, motti, narrativa folclorica, canzoni popolari). 893 Alla luce di tale “contexte référentiel”, Luc Torres, che si è proposto “de redonner à La Pícara Justina sa véritable nature de Libro de entretenimiento”, 894 di “ouvrage de divertissement, destiné à un public en partie courtisan”, 895 e di dimostrare la “précellence dans le « roman » du discours festif carnavalesque sur le discours picaresque alémanien” 896 (il discorso picaresco non costituirebbe che “un aspect parmi d’autres de la parodie générale qu’illustre La Pícara Justina” 897), interpreta l’opera, che anni prima il suo Ma 

















893   Luc Torres : Discours festif et parodie dans La Pícara Justina de Francisco López de Úbeda, pp. 18-98. Sulle fonti letterarie della Pícara Justina cfr. anche B. M. Damiani : Francisco López de Úbeda, pp. 28-48. – Bruno M. Damiani : Las fuentes literarias de « La Pícara Justina ». In : Thesaurus. Boletín del Instituto Caro y Cuervo, Bogotá, 36 (1981), 44-70. – Francisco Sánchez-Castañer : Alusiones teatrales en « La Pícara Justina ». In : Revista de Filología Española 25 (1941), 225-244. – Antonio Rey Hazas : Precisiones sobre el género literario de La Pícara Justina. In : Cuadernos Hispanoamericanos, Madrid, nos. 469-470, Julio-Agosto 1989, pp. 175-186. 894   Luc Torres : Discours festif et parodie dans La Pícara Justina, p. 14. 895   Luc Torres : Discours festif et parodie dans La Pícara Justina, p. 377. 896   Luc Torres : Discours festif et parodie dans La Pícara Justina, p. 16. Sulla Pícara Justina come parodia del Guzmán de Alfarache cfr. le pagine 298-310 (in partic. pp. 307-308). 897   Luc Torres : Discours festif et parodie dans La Pícara Justina, p. 16. Il ‘modello’ picaresco sarebbe abbandonato, secondo lo studioso, nel secondo e terzo libro della Pícara Justina : “le modèle parodié du roman picaresque apparaissant en filigrane dès les premières pages du livre, semble avoir été abandonné après le Libro Primero, La Pícara Montañesa. À partir du Libro Segundo, La Pícara Romera, et l’épisode de la Bigornia, López de Úbeda paraît abandonner la référence au nouveau genre lié au livre du gueux pour explorer d’autres domaines comme la satire religieuse ou la satire de la Justice (La Pícara Romera, La Pícara Pleitista). Cependant, avec le mariage final et le retour à l’auberge familiale (La Pícara Novia), l’auteur revient à la problématique picaresque à travers l’union vénale entre Justine et le soldat-hidalgo Lozano” (p. 451). In realtà anche nel secondo e terzo libro del romanzo i rapporti intertestuali con la picaresca sono intensi. Così, per esempio, l’episodio dell’inganno dell’Agnus Dei (Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO DE la Picara Romera. Capitulo quarto [segvndo !] del fullero burlado. Numero segundo de la vergonçosa engañadora », pp. 37-49) ricalca chiaramente l’inganno dell’agnusdei ordito da Guzmanillo (Mateo Alemán : Guzmán de Alfarache. I. Edición de José María Micó. Madrid : Cátedra 1994, « Primera Parte, Libro segundo, Cap. X », pp. 367-370). Nella lettera che scrive al burlato Marcos Méndez, Justina non solo si dà il nome di “Guzmana de Alfarache”, ma ricorda con malizia un episodio del Lazarillo de Tormes : “llegastes, y quedastes oliendo el poste, como el amo de Lazarillo” (« SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO DE la Picara Romera. Capitulo. III. De las dos cartas graciosas », p. 64).  





















































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estro, Augustin Redondo, aveva definito “obra penetrada de atmósfera carnavalesca” e “obra festiva”, 898 come “retable carnavalesque de la société de son temps”, 899 come parodia della letteratura emblematica, 900 della picaresca, dei manuali dei confessori e dei trattati di urbanità e, infine, come parodia sacra 901 (in particolare, parodia dei sermoni e dei loro elementi costitutivi : similitudini, ‘geroglifici’, exempla). 902 La tesi di Luc Torres, che si chiude con una vasta analisi del vocabolario della “place publique” fittamente intessuto nella Pícara Justina, 903 offre una grande quantità di utili informazioni sul contesto dell’opera e di illuminanti e acute interpretazioni di singoli elementi del testo e del paratesto. Costituisce pertanto un contributo prezioso alla corretta lettura e alla comprensione di questa oscura e difficile opera. Il ricorso alla categoria bachtiniana del ‘carnevalesco’ e l’accettazione delle tesi ermeneutiche di fondo di Marcel Bataillon sulla Pícara Justina conducono però, frequentemente, Luc Torres alla formulazione di ipotesi poco plausibili. Nella categoria bachtiniana del ‘carnevalesco’ con cui opera Luc Torres sono, infatti, presenti due forti elementi ‘ideologici’ : 1) la visione del Carnevale come “seconda vita del popolo, organizzata sul principio del riso”, 904 come “liberazione temporanea dalla verità dominante e dal regime esistente”, 905 come liberazione dalla devozione e dalla paura di Dio e dalla “oppressione di alcune pesanti categorie quali « l’eterno », « l’immutabile », « l’assoluto »”, 906 come “abolizione provvisoria di tutti i rapporti gerarchici, dei privilegi, delle regole e dei tabú”, 907 insomma, come parodia e dissacrazione eversiva dei riti e dei valori religiosi, come sovversione dell’ordine gerarchico costituito e derisione dei potenti e dei ceti dominanti e della “cultura di classe”, nella quale “la serietà era ufficiale, autoritaria” e “si associava alla violenza, ai divieti, alle restrizioni” ; 908 2) la correlata concezione del riso carnevalesco come esclusivo appannaggio del popolo, come “riso popolare”, diretto “contro tutto ciò che è superiore”. 909 La Pícara Justina, “parfait exemple de littérature de divertissement”, 910 può certamente essere collegata al Carnevale, non però al Carnevale ‘popolare’ medievale, ma a quel 











































898   Augustin Redondo : Otra manera de leer el Quijote. Historia, tradiciones culturales y literatura. Segunda edición (= Nueva Biblioteca de Erudición y Crítica, 13). Madrid : Castalia 1998, p. 235, p. 332.. 899   Luc Torres : Discours festif et parodie dans La Pícara Justina, pp. 99-215. 900   Di “efecto de « libro-emblema »” e di “discurso emblemático” aveva parlato Paloma López de Tamargo a proposito della Pícara Justina, analizzando il « paratexto » dell’opera, che sarebbe composto dal Prólogo al lector, dal Prólogo summario, dai poemi iniziali, dagli Aprovechamientos, dalle glosse marginali, dalla Introduccion General, nella quale appaiono gli oggetti necessari alla produzione della scrittura (“la pluma, la tinta y el papel”), e dalla incisione di Juan Bautista Morales (« El ajuar de la vida picaresca », « La nave de la vida pícara »). “Todos estos elemento – scrive la studiosa – constituyen lo que de objeto material y visual tiene el libro : dan forma al emblema que constituye la obra vista en su conjunto.” Cfr. Paloma López de Tamargo : Cuadros y recuadros del discurso picaresco : el caso de La pícara Justina. In : Actas del VIII Congreso de la Asociación Internacional de Hispanistas. 22-27 agosto 1983. Brown University, Providence, Rhode Island. Publicadas por A. David Kossoff, José Amor y Vázquez, Ruth H. Kossoff, Geoffrey W. Ribbans. II. Madrid : Ediciones Istmo 1986, pp. 193-199 ; qui pp. 195-197. 901   Luc Torres : Discours festif et parodie dans La Pícara Justina, pp. 216-331. Cfr. anche Lucas Torres : Emblemática y Literatura : El caso de La Pícara Justina. 902   Luc Torres : Discours festif et parodie dans La Pícara Justina, p. 55. 903   Luc Torres : Discours festif et parodie dans La Pícara Justina, pp. 332-444. Sul linguaggio della ‘piazza pubblica’ cfr. Michail Bachtin : L’opera di Rabelais e la cultura popolare, pp. 158-214. 904   Michail Bachtin : L’opera di Rabelais e la cultura popolare, p. 11. 905   Michail Bachtin : L’opera di Rabelais e la cultura popolare, p. 13. 906   Michail Bachtin : L’opera di Rabelais e la cultura popolare, p. 94. 907   Michail Bachtin : L’opera di Rabelais e la cultura popolare, p. 13. 908   Michail Bachtin : L’opera di Rabelais e la cultura popolare, p. 102. 909   Michail Bachtin : L’opera di Rabelais e la cultura popolare, pp. 15-16. 910   Luc Torres : Discours festif et parodie dans La Pícara Justina, p. 450.  



















































   





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lo della festa aristocratica, che utilizza le forme carnevalesche svuotandole di gran parte della loro sostanza. (Lo stesso Luc Torres scrive che la “Pícara Justina est, avec le Buscón de Quevedo, tant par sa structure que par son contenu, le livre le plus carnavalesque de la picaresque espagnole”. 911 E il Buscón non è certo un libro carnevalesco nel senso bachtiniano, cioè sovversivo ! 912) L’evoluzione – o se vogliamo, l’involuzione – del Carnevale da festa popolare a festa aristocratica, che è stata illustrata da Augustin Redondo, si compie negli anni di regno di Filippo III (proprio a partire dai primissimi, quelli della residenza della Corte a Valladolid). Durante questi anni si assiste, infatti, “à une véritable carnavalisation des festivités courtisanes” e ad una annessione dello stesso Carnevale “par la fête aristocratique et royale”. 913 Luc Torres naturalmente sa, come allievo di Augustin Redondo, che il Carnevale ha subito un processo di aristocratizzazione :  

   





La Pícara Justina s’inscrit dans le contexte de fête aristocratique carnavalisée qui prédomine au moment de la date de rédaction et de publication de l’oeuvre de López de Úbeda. On y retrouve toute la thématique du « bas matériel » mise en lumière par M. Bakhtine dans l’oeuvre de François Rabelais. Ses représentations littéraires en sont les mascarades et déguisements dont l’auteur affuble ses principaux personnages, l’irrévérence et la moquerie religieuse dont Justine fait montre avec notamment la parodie de la prédication, et les phénomènes d’oralité festive ou vocabulaire grossier qui émaillent le texte et qui apparentent La Pícara Justina à un livre scabreux. Il s’agit là des formes très stylisées d’un « folklore » des courtisans ou « Carnaval de cour », reflet édulcoré et aseptisé, certes, mais malgré tout encore vivace, d’une culture comique et parodique [...]. [...] Le Carnaval, contexte festif dans lequel il convient de situer les tribulations de l’héroïne de López de Úbeda, a toujours été le moment privilégié de la moquerie, de l’insulte, de toutes les licences verbales. Cependant, les anthropologues et historiens de la fête soulignent que les éléments du Carnaval authentique tendent à s’estomper tout au long du XVIIème siècle. Ces considérations s’appliquent surtout au contenu édulcoré des spectacles et défilés festifs, ainsi qu’aux très timides attaques contre l’Église en tant qu’institution (la cible privilégiée de Justine est le menu fretin des sacristains et le tout-venant des prédicateurs). 914  













Ma poi oscilla fra la sua consapevolezza del processo di aristocratizzazione e di ‘edulcorazione’ subito dal Carnevale medievale (o, almeno, dalla visione che ha Bachtin del Carnevale medievale) e la tentazione – indotta dalla monografia bachtiniana su Rabelais – di interpretare la Pícara Justina come opera trasgressiva, addirittura libertariasovversiva 915 e sacrilega :  



911   Luc Torres : Discours festif et parodie dans La Pícara Justina, p. 17. Luc Torres (Discours festif, p. 356) sottolinea anche la ‘prossimità’ di López de Úbeda a Quevedo, “auteur du carnavalesque Buscón, dont il [López de Úbeda] est souvent si proche”. 912   Edmond Cros insiste “sur la perversion que Quevedo fait subir à la perspective carnavalesque dans le Buscón”. Cfr. L’aristocrate et le carnaval des gueux. Étude sur le “Buscón” de Quevedo. Montpellier : Université Paul Valéry 1975, p. 45. Cfr. anche Edmond Cros : El Buscón como sociodrama. Prólogo de Antonio Chicharro. Granada : Universidad de Granada 2006, p. 62. 913   Augustin Redondo : Sociabilités et solidarités / ségrégations festives : carnaval aristocratique et carnaval populaire à Madrid vers le milieu du XVIIe siècle. In : Solidarités et sociabilités en Espagne (XVIe-XXe siècles). Études réunies et présentées par Raphaël Carrasco (= Centre de Recherches sur l’Espagne Moderne, Vol. 1). Besançon : Annales Littéraires de Université de Besançon – Paris : Les Belles Lettres (Diffusion) 1991, pp. 63-76 ; qui p. 65. Cfr. inoltre Augustin Redondo : Otra manera de leer el Quijote. Historia, tradiciones culturales y literatura, pp. 12-13. 914   Luc Torres : Discours festif et parodie dans La Pícara Justina, pp. 22-23, p. 77. 915   Anche Regula Rohland de Langbehn (Los versos de “cabo roto” en el Quijote y su uso por Francisco López de Úbeda, p. 522), parla, a proposito della Pícara Justina, oltre che di motivi carnevaleschi, di « mensaje subversivo ».  



























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López de Úbeda, en adoptant le point de vue de la satire sociale et généralisante, fait montre d’intentions critiques qui dépassent les simples querelles personnelles et inscrivent le roman dans la grande tradition des oeuvres satiriques d’inspiration carnavalesque. [In nota : L’esprit de la fête carnavalesque, antihiérarchique et libertaire, souffle encore chez quelques grands auteurs des XVIème et XVIIème siècles comme Rabelais, Cervantes ou Shakespeare. Il nous semble que López de Úbeda, à bien de égards, s’inscrit dans cette tradition européenne, même si La Pícara Justina ne possède pas le style impeccable et la profondeur de pensée du Don Quichotte.] 916 Le char de la Bigornia institue un monde à l’envers. [...] la substitution de Justine par La Boneta est assez significative. L’héroïne abandonne l’univers religieux du pèlerinage christique pour s’intégrer dans le monde antédiluvien du « char » de l’espèce, qui représente aussi une charrette des morts venus réveiller les vivants de leur souffle régénérateur. Or, Justine va accepter provisoirement son rôle, et calmer les ardeurs de Pero Grullo en organisant un banquet. Il s’agit, métaphoriquement pour elle, de substituer et de sublimer l’appétit sexuel par l’appétit tout court. Les animaux carnavalesques servis au repas (poulets, pigeonneaux, canards, etc.), ainsi que le rôle que va y jouer le vin, montrent le transfert qui s’effectue du « corps physique » de Justine vers le « corps mystique du repas ». En associant ainsi de façon sacrilège le mystère de la transsubstantiation et l’acte charnel, Francisco López de Úbeda semble se jouer burlesquement des symboles de la foi. 917 [...] cet épisode [« De la burla del ermitaño » 918] constitue surtout une parodie du sacrement de la confession. Il s’agit d’un sujet de polémique entre catholiques et protestants à l’époque, à cause de la convenance ou non de la confession auriculaire et des prises de position opposées des luthériens, érasmistes et catholiques orthodoxes à ce sujet. 919  

























Francisco López de Úbeda va traiter le sujet [les flagellations rituelles] dans La Pícara Justina de façon [...] grotesque et sacrilège. [...] [Nota] Il se peut que cet épisode [« Del pretensor disciplinante »] ait une source mythologique que nous ignorons, mais tel qu’il nous apparaît sa signification impie et sacrilège ne paraît pas faire de doute. [...] L’explication que donne Justine à l’alguazil est un chef-d’oeuvre d’hypocrisie et de mauvaise foi qui, comme beaucoup de réflexions de l’héroïne, frôle le sacrilège. 920 La conception de l’ouvrage [La Pícara Justina] obéit, selon nous, à une parodie générale de la société (satire sociale) et de ses représentations officielles (parodie de la littérature « sérieuse »), qui va de pair avec un éloge du vocabulaire de la place publique. Ce dernier leitmotiv (oralité festive), placé au sommet de la pyramide inversée que constitue l’univers du Carnaval ou du « monde à l’envers », soumet les pratiques et le discours du pouvoir, outrageusement parodiés, à sa joyeuse domination. Certes cette liberté retrouvée est ponctuelle  









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  Luc Torres : Discours festif et parodie dans La Pícara Justina, p. 103 e p. 103 nota nro. 4.   Luc Torres : Discours festif et parodie dans La Pícara Justina, pp. 186-187.   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO DE la Picara Romera. Capitulo quarto [segvndo !] del fullero burlado. Numero tercero de la burla del hermitaño », pp. 49-58. 919   Luc Torres : Discours festif et parodie dans La Pícara Justina, pp. 200-201. Più avanti lo studioso sostiene che l’autore della Pícara Justina fa la parodia dei “manuels de confession ou Summae confessorum, publiés en particulier entre 1544 et 1568, pendant le Concile de Trente” (p. 298, pp. 324-331). 920   Luc Torres : Discours festif et parodie dans La Pícara Justina, p. 211, p. 212, nota nro. 97, p. 214. Il passo della Pícara Justina al quale Luc Torres si riferisce a pagina 214 e che cita nella stessa pagina dalla edizione di Antonio Rey Hazas (II, p. 705) è questo : “Sabido el alboro[to], vino la justicia. tomome el dicho : Yo dixe, que aquel hombre me auia dicho, que yo era vn Angel, y que aquella casa era cielo, y cosas a este tono, y que yo me hize cuenta : Mi casa es cielo, y este disciplinante de por Mayo, sin duda pide agua, y assi mandê que se le echasse porque no fuesse corrido de que con tan rezios azotes no sacaua agua del cielo de mi casa : dieronme por libre...” (Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO QVARTO DE LA PICARA NOBIA. CAPITVLO SEGVNDO Del pretensor disciplinante », p. 16).  

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et ses potentialités subversives ne sont pas toujours synonymes de progrès sociale. Cependant, dans le plein exercice de sa dynamique « libertaire », elle place le renversement de toutes les hiérarchies au centre du dispositif festif et propose une alternative ludique à l’absolutisme monarchique et à l’intolérance religieuse qui font entrer l’Europe dans ce qu’on a coutume d’appeler l’Âge classique. 921  





È ben strano che un’opera schernisca i valori più sacri del pubblico di cortigiani per il quale è stata scritta – e scritta con lo scopo precipuo di ... divertirlo ! Ma la Pícara Justina, definita “une allégorie de la vie courtisane”, 922 non solo – secondo Luc Torres – dileggia i valori sociali e religiosi dei cortigiani, ma satireggia gli stessi cortigiani, rappresentandoli come cornuti, prosseneti, ridicoli pretendenti, falsificatori di genealogie, usurpatori di nobiltà, ipocriti, falsi devoti, poveri, oziosi :  





L’itinéraire vital de la paysanne Justine constitue une satire à peine voilée du monde des courtisans et de la société en général. En effet, derrière la parodie picaresque, c’est à une satire des types sociaux de l’époque (en géneral des courtisans mais pas exclusivement) que se livre l’auteur. 923 Le cocuage de courtisans consentants assimilés à des proxénètes était une pratique courante à la cour. 924 [...] prétentions ridicules des courtisans [...]. 925 [...] au moment d’aborder le récit de la vie de ses ancêtres, Justine en profite pour développer un plaidoyer contre l’inanité des prétentions nobiliaires à une époque où la mode est à l’usurpation de faux lignages [...]. L’invention d’une fausse parenté est devenue tellement monnaie courante dans les milieux aristocratiques, que Justine y voit un argument en faveur de ses propres prétentions à l’autobiographie. En réalité, l’héroïne fait directement allusion au fait qu’on falsifiait les généalogies pour s’insérer dans une lignée déjà connue. 926 À travers le personnage ridicule de Machuca, Justine se moque d’un certain type social, le tartufe faux dévot, proche des milieux courtisans. 927 Dans cet épisode de La romera envergonzante, López de Úbeda nous révèle burla burlando une société en crise. La noblesse de sang, par son attitude négative face au travail, en arrive à se confondre incidemment avec des êtres socialement dégradés comme Justine. 928 Ce prétendant [Machuca] est un hidalgo fils d’une lavandière veuve. Ces deux caractéristiques (pauvreté et oisiveté), inhérentes à sa noblesse de vieille souche, correspondent à l’image traditionnelle du Vieux Chrétien désargenté et désoeuvré telle que nous la montre la littérature du temps. Il a l’obsession de la pureté de sang [...]. 929 [...] le drap de Rouen du prétendant [Machuca] et l’habit militaire des courtisans comme masque grotesque de leur pauvreté... [...]. 930  















Questo pubblico di cortigiani doveva essere ben tonto, o affetto da una grave forma di masochismo, se si divertiva a vedersi satireggiato, a vedere scherniti i suoi valori religio921

  Luc Torres : Discours festif et parodie dans La Pícara Justina, pp. 452-453.   Luc Torres : Discours festif et parodie dans La Pícara Justina, p. 144. 923   Luc Torres : Discours festif et parodie dans La Pícara Justina, p. 105. 924   Luc Torres : Discours festif et parodie dans La Pícara Justina, p. 381, nota nro. 73. 925   Luc Torres : Discours festif et parodie dans La Pícara Justina, p. 446. 926   Luc Torres : Discours festif et parodie dans La Pícara Justina, pp. 116-117. 927   Luc Torres : Discours festif et parodie dans La Pícara Justina, p. 215. 928   Luc Torres : Discours festif et parodie dans La Pícara Justina, pp. 170-171. 929   Luc Torres : Discours festif et parodie dans La Pícara Justina, pp. 206-207. 930   Luc Torres : Discours festif et parodie dans La Pícara Justina, p. 215. 922





















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si e sociali, a vedere tracciato dall’autore della Pícara Justina “le portrait d’un univers de la cour où règnent la tromperie féminine, la convoitise, l’abus d’alcool et la bêtise”. 931 Come già Marcel Bataillon ed altri studiosi, anche Luc Torres opera con un concetto di ‘cortigiani’, ‘corte’ e ‘nobiltà’ indifferenziato, molto vago e confuso, talvolta assurdo. Così – per esempio – per documentare che il prossenetismo dei cortigiani cornuti e consenzienti era “une pratique courante à la cour”, trascrive queste righe dalla Fastigimia di Thomé Pinheiro da Veiga (stranamente definito “auditeur portugais à la Chancellerie de Valladolid” ! 932) : “aqui está hum aguador que tem huma mulher bem assombrada ; e, quando vem a noyte, vem cantando, e, se a mulher tem recado, assobia da janella, e dá elle outra volta em quanto se fregem os ovos”. 933 Un acquaiuolo é un cortigiano ? ! E come si può affermare che Machuca è un hidalgo e parlare della sua “noblesse de vieille souche” e della “pâleur de sa peau blanche de chrétien de vieille souche” ? 934 Come si può definire l’hábito degli Ordini Militari dei cortigiani “masque grotesque de leur pauvreté” ? Come si può parlare, generalizzando, della “obsession de pureté de sang des milieux courtisans de l’époque” ? 935 Eppure Luc Torres parla di cristianos nuevos che hanno usurpato “l’identité de Vieux Chrétiens” 936 e mette in relazione lui stesso l’ossessione della purezza di sangue con i convertiti :  

   

























Finalement, l’obsession des statuts de pureté de sang est tellement récurrente dans le roman, qu’elle dépasse le cadre strictement familial de Justine. Ainsi, la plupart des personnages ridiculisés par la pícara de Mansilla sont-ils associés aux Nouveaux Chrétiens supçonnés de cryptojudaïsme. 937  

E se la maggior parte dei personaggi ridicolizzati sono cristianos nuevos, perché non rendersi conto che il romanzo è diretto contro questi e non contro gli aristocratici cortigiani di antica e vera nobiltà di sangue e di spada ? Le frequenti allusioni “aux enquêtes sur la pureté de sang”, 938 “au sujet d’actualité des faux lignages”, 939 alle usurpazioni di nobiltà, 940 messe in rilievo dallo stesso studioso, indicano in maniera inequivoca le pratiche e il gruppo sociale oggetto della satira. Il bersaglio chiaro dell’autore della Pícara Justina sono l’usurpazione di nobiltà, le falsificazioni genealogiche e le manipolazioni, compiute dai conversos arricchiti e smaniosi di onori, delle inchieste sulla purezza di sangue. Il motivo della purezza di sangue, considerato di fondamentale importanza da Luc Torres (“l’obsession des statuts de pureté de sang est ... recurrent dans le roman” ; 941 “le thème de l’obsession de la pureté de sang ... revient comme un leitmotiv dans tout le roman” ; 942 “un ouvrage fortement marqué par l’obsession de la pureté de sang” 943), costituisce parte di un trasparente ‘discorso’  







   

   



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  Luc Torres : Discours festif et parodie dans La Pícara Justina, p. 382.   Luc Torres : Discours festif et parodie dans La Pícara Justina, p. 209.   Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, p. 191. Luc Torres (Discours festif et parodie dans La Pícara Justina, p. 381, nota nro. 73) trascrive il passo dalla traduzione spagnola di Narciso Alonso Cortés : Thomé Pinheiro da Veiga : Fastiginia. Vida cotidiana en la Corte de Valladolid. Traducción y notas de N. A. C. (1916). Valladolid : Ámbito 1989, p. 185. 934   Luc Torres : Discours festif et parodie dans La Pícara Justina, p. 212. 935   Luc Torres : Discours festif et parodie dans La Pícara Justina, p. 401. 936   Luc Torres : Discours festif et parodie dans La Pícara Justina, p. 290. 937   Luc Torres : Discours festif et parodie dans La Pícara Justina, p. 125. 938   Luc Torres : Discours festif et parodie dans La Pícara Justina, pp. 89-90. 939   Luc Torres : Discours festif et parodie dans La Pícara Justina, pp. 114-125, pp. 205-215, pp. 442-443. 940   Luc Torres : Discours festif et parodie dans La Pícara Justina, p. 165. 941   Luc Torres : Discours festif et parodie dans La Pícara Justina, p. 125. 942   Luc Torres : Discours festif et parodie dans La Pícara Justina, p. 165. 943   Luc Torres : Discours festif et parodie dans La Pícara Justina, p. 189.  

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anti-arrampicatori sociali, di una satira diretta contro i parvenus dal sangue ‘impuro’ che tentavano di ottenere con tutti i mezzi e tutti i trucchi diplomi di nobiltà e hábitos di Ordini Militari, e non parte di quel vasto “discours antinobiliaire” e di quella generale satira “contre les Grands” 944 che lo studioso ha ipotizzato fondandosi su alcune pagine della Pícara Justina. Una di queste pagine è quella in cui Justina ricorda il consiglio datole da Perlícaro di illustrare il suo “abolengo” :  



Por vida de mi gusto, que lo he de hazer. A fê que les he de dar vn alegron de abuelos, con que ande la risa al galope. Mas que hago ? Historia de linaje, (y linaje proprio) he de escriuir ? Quien creera que no he de dezir mas mentiras que letras ? Que si el pintar (que es poco mas que a caso) es al tanto del querer, el hazerse vno honrado (que es cosa tan pretendida) quien abra que no la ajuste con su gusto, aunque sea necessario desbastar la verdad, para que venga al justo ? dezia vn guzman intruso, cauallero de don al quitar, camarada de vn marido que me tuuo. Nadie ay que tenga licencia para pintar armas en su casa, que no ponga vn castillo, y vn leon. Que para esto, basta ser Castellano, o Leonês. Y si los oradores tienen licencia, para dar el nombre de la cabeça a los pies, sin que se les pueda dezir, que juegan a punta con cabeça, tambien puedan [pueden] los vassallos aplicar para si los titulos reales, pues todos somos miembro de Rey. Viene muy a cuento, el de vn sastre natural de la prouincia de Picardia, el qual vino a ser rico, y se llamô pimentel, y puso en la portada de su casa, vn muy fanfarron escudo de piedra, y en el, las armas de los pimenteles. Tuuo soplo de esto la justicia (que quiça fue la fragua symbolo de la justicia, porque la vna y otra cosa se gouierna a soplos.) Y mandole, que o borrase la pimentelada, o declarasse la causa de auerse armado cauallero tan de cal y canto, y puesto las venerables veneras de los pimenteles, no auiendo para ello otro fundamento, que el auer sacado la piedra, de la cantera de su rollo. Respondio el cauallero sastre. Señor, las razones que me han mouido a que lo escrito sea escrito, son tres. La primera, que el cantero las puso. La segunda, porque me costò mi dinero. La tercera, que lo mandê hazer por mi deuocion, y en memoria de las muchas veneras que traxe en mi sombrero, yendo y viniendo en Romeria, a Sanctiago tres vezes, en los quales viajes me hize rico con limosnas, y en agradecimiento, y reconocimiento, pongo estas veneras. Y el que me quisiere quitar mi deuocion no estâ dos dedos de hereje. El juez (que era Christiano temeroso) respondio. A la Inquisicion, chiton. Y el sastre se salio con lo que quiso. Assi que todos se salen con poner las armas que pueden pagar, en especial los que son de la mi prouincia de Picardia. Y si los pedis razon, cumplen con vn pie de banco, y con que les costô su dinero. Que sera lo que tan poco cuesta, como escriuir vno de su linaje lo que sonô [soñó] ? Como el otro, que dixo auer descendido su linaje de la casa de los Reyes de Aragon, y fue porque algunos de sus antepassados, moços de cauallos de la casa real, huyendo de miedo de sus amos, se hizieron descolgar en vnos cestos, desde la muralla abaxo. Y esto fue descender de la casa Real. 945 Pues, que en este tiempo, en el qual en materia de linajes, ay tantas opiniones como mezclas ? verdad es que algun buen voto a auido, de que en España, y aun en todo el mundo, no ay si solos dos linajes, el vno se llama, el tener. Y el otro no tener. Y no me espanto, que la codicia del dinero es mondonguera, y haze morzillas de sangre de toda broza, por ser toda de vn color. Y cierto, que no es de espantar, que aya tantas opiniones de vn linaje, porque despues que en vna casa entran quatro, o cinco mugeres, cada qual de su suerte, como pan de diezmo, o como morzilla rellena, quien atinarâ qual es lo gordo, qual es lo magro, qual es el piñon, o qual es el ajo, o alcarabea ? Bien aya el tiempo que hazian la torre, y el que alcanço el mundo, antes de ser passado por agua, que en aquellos tiempos, todos eran guzmanes, y todos eran villanos. Y assi  















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  Luc Torres : Discours festif et parodie dans La Pícara Justina, pp. 120-121.   Nel Criticón si legge : “Jactávanse algunos descender de las casas de los ricos hombres, y era verdad, porque ascendieron primero por los balcones y ventanas.” Cfr. Baltasar Gracián : El Criticón. Edición crítica y comentada por M. Romera-Navarro. Philadelphia : University of Pennsylvania Press 1938-1940, tre tomi ; qui III, pp. 229-230. 945











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los escritores que se quieren engrandecer, toman de atras el salto, acojense a la torre de Babel, o al arca de Noê, y salen tan godos, como Ramiro Nuñez. Empero esto de sacar su piedra de la cantera de la torre, o del archiuo de Noe, no se entiende con la escritora, que se intitula Picara : pues para fundar su intento, deue prouar que la picardia es herencia, donde no, sera picara de tres al quarto. 946  



L’autore della Pícara Justina critica qui, con tutta evidenza, le genealogie falsificate, che contengono più menzogne che lettere dell’alfabeto e piú i sogni di chi le scrive, o fa scrivere, che dati reali e veritieri ; l’usurpazione di armi, blasoni e scudi nobiliari ; l’onnipotenza del denaro, la cui cupidigia provoca la mescolanza del sangue attraverso matrimoni di uomini nobili con donne ricche ma di ineguale stato sociale, mésalliances che rendono dubbia la purezza di un lignaggio (“... tantas opiniones de vn linaje”). Il suo non è un ‘discorso antinobiliare’, un discorso contro la nobiltà in generale. Oggetto della sua critica non sono infatti i veri nobili, ma unicamente gli usurpatori di nobiltà e quei nobili che per cupidigia di denaro hanno contratto matrimonio con donne di condizione sociale inferiore e persino di sangue ‘impuro’. La sua posizione ‘ideologica’ è simile a quella di tanti altri conservatori, preoccupati per il potere crescente del denaro, considerato elemento disgregatore della società, e per l’ascesa di tanti parvenus. La consapevolezza della originaria eguaglianza sociale e biologica degli uomini – di uno stesso colore è il sangue ! –, comune del resto a tutti, non costituisce un argomento valido per considerare l’autore della Pícara Justina un avversario delle diseguaglianze sociali e, in particolare, della nobiltà. Più verosimilmente si potrebbe sostenere – sebbene il discorso della mescolanza del sangue e delle conseguenti incertezze sui lignaggi (cioè sulla loro limpieza) sia chiaramente circoscritto a quelle nobili famiglie che, per cupidigia di denaro, si sono imparentate con donne di dubbia origine – che l’autore della Pícara Justina voglia mettere in dubbio la possibilità stessa dell’esistenza di sangue ‘puro’ e ridicolizzare quindi gli Statuti di purezza di sangue e le relative informaciones e pruebas genealogiche. Se anche questa fosse la sua posizione ‘ideologica’, non sarebbe né sovversiva o trasgressiva, né particolarmente nuova, ma molto simile – come vedremo – a quella di tanti avversari, anche di nobilissima famiglia, degli Statuti di purezza di sangue e simile, in particolare, a quella dal frate domenicano Agustín Salucio (Discurso sobre los estatutos de limpieza de sangre. 1599). Del resto, anche uno scrittore come Quevedo, ritenuto il più puro tipo di ‘reazionario’, si burlava – come sappiamo – della limpieza de sangre, stigmatizzava il disprezzo dei nobili verso “villanos, Moros y Judios”, che ben erano in grado di esercitare la virtù, unica fonte e unica “executoria” di nobiltà, negava il valore delle genealogie nobiliari (“toda la sangre, ydalguillo, es colorada” 947) e riteneva impossibile la hidalguía senza il tener (“todos la tienen [la sangre] colorada, y no puede ser hijo de algo el que no tiene nada” 948). L’attacco dell’autore della Pícara Justina è rivolto – indistintamente – contro tutti gli usurpatori di stemmi e di nobiltà, definiti originari della “prouincia de Picardia”, cioè pícari, e contro tutti i nobili che per bramosia di denaro adulterano il sangue della loro stirpe. La pagina sopra trascritta contiene però, forse, anche due allusioni ad un concreto e specifico usurpatore di scudi nobiliari. Laddove si dice che gli usurpatori pongono nei loro blasoni “vn castillo, y vn leon”, si pensa immediatamente al leone raffigurato  









946   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO PRIMERO. CAPITVLO SEGVNDO DEL abolengo alegre. Numero Primero. Del abolengo parlero », pp. 54-56. 947   Francisco de Quevedo Villegas : Sueños y Discursos. Tomo I. Edición de James O. Crosby, p. 170. 948   Francisco de Quevedo : La vida del Buscón llamado Don Pablos. Edición crítica y estudio preliminar de Fernando Lázaro Carreter, p. 151.  







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nello scudo di Don Rodrigo Calderón. Essendo però il leone “la figura heráldica más extendida”, 949 può darsi che si tratti di una coincidenza puramente casuale. La storia dell’usurpatore di nobiltà che dice di discendere dai Re d’Aragona perché alcuni dei suoi antepassati, stallieri della Casa Reale, “se hizieron descolgar en vnos cestos, desde la muralla abaxo”, richiama subito alla memoria un episodio molto conosciuto – è ricordato da un testimone delle pruebas del 1611, da Matías de Novoa, da Andrés de Almansa y Mendoza e dallo sconosciuto autore di una Historia de D. Rodrigo Calderón – della vita di Don Rodrigo. Bimbo di pochi mesi, il futuro favorito del Duca di Lerma fu posto in salvo, durante il saccheggio di Anversa del 1576, dalla finestra di una casa o dall’alto delle mura della città. Non viene specificato in quale modo un bimbo di pochi mesi fu “sacado” dalla finestra di una casa in fiamme, 950 oppure “le volaron” 951 o “bajó rodando” dalle mura della città messa a ferro e fuoco, 952 ma si può fondatamente supporre che il neonato fosse stato posto in un cesto o qualcosa di simile. Coincidenza casuale anche questa ? Come abbiamo osservato, la pagina sopra trascritta Luc Torres la considera parte del generale discorso antinobiliare dell’autore della Pícara Justina. Già l’affermazione di Justina sull’esistenza di due unici lignaggi, “tener ... y ... no tener”, dimostrerebbe il poco rispetto “qu’elle a pour les titres et la noblesse d’épée en général”. 953 Nella usurpazione dello scudo dei Pimentel (ricordiamo che lo scudo dei Pimentel, sormontato dalla corona comitale, era suddiviso “en quarteles ; en el primero y ultimo tres fajas de sangre en campo de oro, y en el segundo y tercero cinco veneras de plata en campo verde” 954), compiuta dal sarto arricchito, lo studioso ravvisa una “allusion burlesque aux comtes de Benavente (rattachés à la lignée des Pimenteles)”, mentre nei tre argomenti con i quali il sarto giustifica l’usurpazione scopre una “parodie des preuves exigibles pour obtenir la ejecutoria ou titre de noblesse”. 955 Ritornando verso la fine della sua tesi sui tre argomenti adotti dal sarto, Luc Torres scrive :  



















Le premier argument est une lapalissade, le deuxième un lieu commun antisémite, le troisième est une accusation à peine déguisée contre l’une des plus illustres maisons castillanes originaires de Zamora, sur le chemin de Saint-Jacques (d’ou l’allusion aux veneras). En associant les armes des Pimentels à la mendicité très suspecte des pèlerins, López de Úbeda ne remet pas tant en cause les privilèges aristocratiques qu’il ne stigmatise ceux qui par leur seul argent gagné avec 949

  Martín de Riquer : Heráldica castellana en tiempos de los Reyes Católicos, p. 168.   J. Martí y Monsó : Los Calderones y el Monasterio de Nuestra Señora de Portaceli. Documentos, Doc. Núm. 4, p. 327 (“pierres de suabre estante en esta corte criado de su mag.d y guarda Ropa de camara del duque de lerma [...] conoze a don Rodrigo y sabe que nacio en la villa de anberes por que una mujer le dijo que le auia sacado siendo muy niño por una bentana quando la Rebelion de aquella ciudad”). – Marcel Bataillon : Pícaros y picaresca, pp. 84-85. 951   Andrés de Almansa y Mendoza : Obra periodística (lettera del 22 ottobre 1621), pp. 213-214 (“Nació [Don Rodrigo] en Amberes entre las pocas riquezas de un soldado y entre los muchos infortunios de la guerra, y dióselos a temer su fortuna desde tan niño que, de pocos meses nacido, le volaron por la muralla de la ciudad con ocasión de un saco”). – Historia de D. Rodrigo Calderón. 1661 ( J. Martí y Monsó : Los Calderones y el Monasterio de Nuestra Señora de Portaceli. Documentos, Doc. Núm. 9, p. 356: “... niño de pocos meses nacido le bolaron por la muralla de la ciudad con ocasion de un Saco”). Il testo è identico a quello della lettera di Andrés de Almansa y Mendoza e a quello della Relacion de la adversa fortuna que don Rodrigo Calderon, Secretario que fue de su Magestad el Rey nuestro señor Felipe Tercero, tuuo en la Corte de Madrid. Año de 1621 por el mes de Octubre, riprodotta da José Simón Díaz nella sua edizione delle Relaciones breves de actos públicos celebrados en Madrid de 1541 a 1650, pp. 147-151 (“de pocos meses nacido le bolaron por la muralla de la ciudad, con ocasion de un saco”). 952   Memorias de Matías de Novoa, Ayuda de Cámara de Felipe IV, tom II, p. 119 (“en los primeros alientos de su infancia [Don Rodrigo] bajó rodando las murallas [de Amberes] en una sedición popolar”). 953   Luc Torres : Discours festif et parodie dans La Pícara Justina, p. 119. 954   Alonso López de Haro : Nobiliario genealógico, pp. 128-139 ; qui p. 128. 955   Luc Torres : Discours festif et parodie dans La Pícara Justina, pp. 117-118.  

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rouerie (mendicité des pèlerins), essayent de se procurer l’apparence de la plus haute noblesse (venera à la fois symbole du Chemin de Saint-Jacques, mais aussi haut insigne des comtes de Benavente). 956  

I Conti di Benavente non erano “attaccati”, o “riattaccati”, al lignaggio dei Pimentel, ma erano il lignaggio dei Pimentel ed erano nobili originari del Portogallo e non di Zamora. Alla fine del XIV secolo Juan Alfonso Pimentel, “señor de Braganza”, si trasferí in Castiglia, si mise al servizio di Enrique III e ricevette, in cambio di Braganza, Benavente (la donazione fu solennemente confermata il 18 dicembre 1398). Il 17 maggio 1420 i Pimentel furono creati Conti di Benavente da Enrique III ; in questo stesso anno era morto Juan Alfonso Pimentel e gli era succeduto Rodrigo Alfonso Pimentel. 957 Già dalla fine del XIV secolo i Pimentel erano una delle famiglie più ricche (intorno all’anno 1600 la rendita annua della casata era di 120.000 ducati 958), potenti e prestigiose del Regno di Castiglia. Dal 1576 al 1621 il capo della casata fu Don Juan Alfonso Pimentel y Herrera, VIII Conte di Benavente, VII Conte di Mayorga e Villalón, Grande di Spagna, “trece de la Orden de Santiago”. 959 Nel 1570 aveva sposato D. Catalina Vigil de Quiñones, VI Contessa di Luna ; dopo la morte di D. Catalina, avvenuta nel 1574, sposò D. Mencia de Requesens, “marquesa viuda de los Vélez e hija del comendador mayor Luis de Requesens”. 960 Nel 1598 Don Juan Alfonso Pimentel y Herrera era stato nominato Viceré del Regno di Valencia da Filippo II, 961 funzione svolta sino al 1602 ; 962 sarà quindi Viceré del Regno di Napoli per volontà di Filippo III, 963 che lo nominerà anche Consigliere di Stato e Presidente del Consiglio d’Italia. Aveva diciotto figli – alcuni furono soldati (i tre figli maggiori 964 e Don Alfonso Pimentel y Esterlich, che diverrà Capitano Generale della cavalleria leggera degli Stati di Fiandra e di Milano e morrà in battaglia nel 1617 nella guerra contro il Duca di Savoia), altri uomini di Chiesa (Don Rodrigo Pimentel, domenicano con il nome di Fray Domingo Pimentel ; Don Francisco Pimentel, gesuita ; Don Pedro Pimentel, gesuita ; Don Fernando Pimentel, arcidiacono della Cattedrale di Cartagena ; Don Enrique Pimentel, cavaliere dell’Ordine di Alcántara, sarà vescovo di Valladolid). 965 La famiglia dei Conti di Benavente, che aveva vaste ramificazioni (linee cadette : i Pimentel, marchesi di Viana ; i Pimentel marchesi di Távara ; i Pimentel Marchesi del Villar) ed era strettamente imparentata con le maggiori casate – fra le quali quella dei Duchi d’Alba, dei Duchi di Medina de Rioseco, dei Duchi dell’Infantado, dei Duchi di Béjar, dei Duchi di Frías (i Velasco, Condestables di Castiglia, che Luc Torres crede rivali dei Conti di Benavente sulla base di un aneddoto della Floresta Española su D. Bernardino Fernández de Velasco, morto nel 1512, e su D. Juan Alonso Pimentel, morto verso il 1528 966), dei Duchi di Arcos, dei Marchesi di Aguilar, dei Conti di Oropesa –, aveva rifiutato il titolo ducale, ritenendo, orgogliosamente, il proprio prestigio già  













   























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  Luc Torres : Discours festif et parodie dans La Pícara Justina, p. 402.   Cfr. Alonso López de Haro : Nobiliario genealógico, pp. 128-129. – Luis Suárez Fernández : Nobleza y Monarquía. Puntos de vista sobre la Historia política castellana del siglo XV, p. 91, p. 96, p. 115, p. 122. 958   Cfr. Bartolomé Bennassar : La España del Siglo de Oro, p. 199. 959   Cfr. Luis Cabrera de Córdoba : Historia de Felipe II, Rey de España. III, p. 1539. 960   Santiago Martínez Hernández : Los cortesanos. Grandes y títulos frente al régimen de validos, p. 443. 961   Cfr. Luis Cabrera de Córdoba : Historia de Felipe II, Rey de España. III, p. 1643. 962   Cfr. James Casey : The Kingdom of Valencia in the Seventeenth Century, p. 263. 963   Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 137, p. 143. 964   Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 156 (5 ott. 1602 : “Invia el conde de Benavente en esta armada sus tres hijos mayores”). 965   Alonso López de Haro : Nobiliario genealógico, pp. 135-136. 966   Luc Torres : Discours festif et parodie dans La Pícara Justina, p. 118.  

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talmente grande da non poter essere accresciuto con tale titolo. 967 Era, infine, la più importante fra le famiglie nobili residenti stabilmente a Valladolid. Come è pensabile che l’autore della Pícara Justina si volesse burlare di una simile famiglia di Grandi di Spagna ? Come si poteva ridicolizzare, associandola alle famiglie la cui nobiltà era stata acquisita con il denaro (mal guadagnato, per giunta), una famiglia che apparteneva da secoli alla nobiltà di sangue e di spada e che alla tradizione guerriera era rimasta fedele sempre ? Il Conte di Benavente non era certamente uomo da sopportare la minima mancanza di riguardo. 968 Un’ultima osservazione. L’edizione della Pícara Justina pubblicata a Bruxelles nel 1608 è dedicata dal tipografo-editore Olivier Brunello a “Don Alonso Pimentel y Esterlicq del Consejo de Guerra de su Magestad, y su Capitan de lanças Españoles en estos Estados de Flandes”. Sarebbe stato immaginabile un tale omaggio a Don Alonso Pimentel y Esterlich (cavaliere dell’Ordine di Santiago, Commendatore di Castro Torafe, signore del maggiorasco di Esterlich 969), figlio di Don Juan Alfonso Pimentel y Herrera e di Doña Mencia de Zúñiga y Requesens – figlia di D. Luis de Requesens y Zúñiga, Commendatore Maggiore di Castiglia dell’Ordine di Santiago, e di D. Gerónima de Esterlich –, se nell’opera fosse contenuta la pur minima allusione offensiva alla sua “noble y esclarecida casa” ? 970 L’aneddoto sull’usurpazione dello scudo dei Pimentel costituisce non una “allusione burlesca”, ma un chiaro omaggio ai Conti di Benavente e non sarebbe neppure eccessivamente azzardato formulare l’ipotesi che il protettore ‘occulto’ dell’autore della Pícara Justina fosse un membro della grande casata vallisoletana. La dedica a Don Alonso Pimentel y Esterlich – in sostituzione della dedica a Don Rodrigo Calderón ! – potrebbe essere considerata un indizio significativo a favore di questa ipotesi. L’attacco dell’autore della Pícara Justina all’alta nobiltà di sangue, della quale Luc Torres ha una conoscenza molto vaga – come rivelano le gravi inesattezze sui Pimentel e certe altre, ancor piú gravi, su Álvaro de Luna e sul Condado de Luna, 971 sul Conte di  

















967   “Los señores desta casa y Condado de Benauente, pudiendo auer gozado del titolo Ducal, por merced de los Reyes, deuido a sus grandes seruicios, y por la grandeza y antiguedad de su casa y estado, no lo han admitido, queriendo siempre permanecer en su primero titulo Comital, por estimarse entre los Grandes, y Condes destos Reynos, por los mayores dellos, gozando con este titulo de todos los honores que gozan los Duques destos Reynos” (Alonso López de Haro : Nobiliario genealógico, p. 136). Secondo Santiago Martínez Hernández (Los cortesanos. Grandes y títulos frente al régimen de validos, p. 443) i Pimentel avevano raggiunto la dignità ducale nel 1473, ma “optaron por utilizar el título condal, dada su antigüedad”. Don Juan Alfonso Pimentel y Herrera, VIII Conte di Benavente, era, secondo lo studioso, il V Duca della casata. 968   Cfr. Luis Cabrera de Córdoba : Historia de Felipe II, Rey de España. III, pp. 1326-1327. 969   Cfr. Alonso López de Haro : Nobiliario genealógico, p. 135. 970   Cosí la definisce il tipografo-editore nella sua dedica. Cfr. Libro de entretenimiento de la Picara Iustina. En Brucellas, En casa de Oliuero Brunello, en la Fuente de Oro. Año M.D.C.VIII, fo. IIr. 971   Justina ricorda che suo padre era nato “en vn pueblo que llaman Castillo de Luna, en el Condado de Luna” (Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO PRIMERO. CAPITVLO SEGVNDO DEL abolengo alegre. Numero Primero. Del abolengo parlero », p. 59). E Luc Torres annota : “Diego Díez, le père de Justine, est originaire certes d’une région à la frontière entre les Asturies et le Léon, mais le choix de son lieu de naissance (Castillo de Luna), n’est pas innocent. Il rappelle en effet, la familie converse du même nom, dont Álvaro de Luna, connétable du roi Henri IV de Castille, fut l’un des Nouveaux Chrétiens arrivistes, les plus vilipendés par l’aristocratie castillane” (Luc Torres : Discours festif et parodie dans La Pícara Justina, pp. 121-122). Sorprendenti affermazioni ! D. Álvaro de Luna, Conte di San Esteban de Gormaz, Condestable di Castiglia, Conte di Albuquerque, Maestre di Santiago, era il famoso valido del re Juan II e fu decapitato il 2 giugno 1453, oltre un anno prima dell’ascesa al trono di Enrique IV. Era figlio bastardo di D. Álvaro de Luna, señor de Cañete e copero mayor di Enrique III, e di María de Cañete, donna di facili costumi (Alfonso de Palencia : Gesta Hispaniensia ex annalibvs svorvm diervm collecta. Tomo 1. Libri I-V. Edición, estudio y notas de Brian Tate y Jeremy Lawrance. Madrid : Real Academia de la Historia 1999, p. 61). L’antichissima casata dei de Luna, che non può assolutamente essere definita “converse”, era “de las mayores del reyno de Aragon” (Fernán Pérez de Guzmán). Il padre di D. Álvaro de Luna era nipote del cardinale Pedro Martínez de Luna (Benedetto XIII,  



















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come papa, o antipapa) e di Pedro Martínez de Luna, arcivescovo di Toledo. Il favorito di Juan II fu inviso a molti membri dell’alta nobiltà castigliana – con parte della quale era strettamente imparentato attraverso il matrimonio di sua sorella D. María de Luna con D. Juan Hurtado de Mendoza e attraverso i suoi matrimoni con D. Elvira de Portocarrero e con D. Juana Pimentel, figlia del Conte di Benavente – non certamente perché era un arrivista cristiano nuevo, ma per la sua tirannia e fu odiato da alcuni strati della plebe urbana per aver favorito i conversos ed essersi servito di loro come esattori di tasse (insurrezione di Toledo del 1449). Né Alfonso de Palencia, né Fernán Pérez de Guzmán, che pur era gran nemico personale di Don Álvaro, del quale traccia in Generaciones y semblanzas un ritratto fosco fustigando in particolare la sua “insaçiable cobdiçia”, accennano a una sua origine giudaica (nella semblanza dedicata a Juan II, Fernán Pérez de Guzmán esprime la sua meraviglia sull’ascendente che “un cauallero sin parentes e con tan pobre comienço” potè esercitare sul Re, ma nulla di negativo dice sulla sua origine, mentre – per esempio – definisce il cardinale Don Pedro de Frías, “onbre de baxo linaje”). Cfr. Fernán Pérez de Guzmán : Generaciones y semblanzas. Edición, introducción y notas de J. Domínguez Bordona (= Clásicos Castellanos, 61). Madrid : Espasa-Calpe 1979, pp. 131-147 e p. 111. Neppure D. Íñigo López de Mendoza, Marchese di Santillana, attribuisce a D. Álvaro de Luna, che pur odiava ferocemente, una origine giudaica. Cfr. Doctrinal de privados, fecho a la muerte del Maestre de Santiago, don Alvaro de Luna. In : Cancionero Castellano del siglo XV. Ordenado por R. Foulché-Delbosc. Tomo I (= Nueva Biblioteca de Autores Españoles, 19). Madrid : Bailly-Bailliére 1912, pp. 503-508. Anche la più recente storiografia nulla dice dell’origine ebraica del valido. Così, per esempio, José Manuel Calderón Ortega scrive : “Álvaro de Luna pertenecía a una prestigiosa familia que dio papas y políticos a Aragón y también había tenido una lucida participación durante la guerra civil de Castilla entre Pedro I y su hermanastro Enrique de Trastámara. Ello explicaría por qué alguno de sus miembros se trasladaron a Castilla, donde su padre de igual nombre había conseguido la dignidad de copero de Enrique III. El futuro Condestable de Castilla era de origen bastardo, fruto de las relaciones de su padre con la mujer del alcaide de su villa de Cañete”. Cfr. José Manuel Calderón Ortega : Los privados castellanos del siglo XV : Reflexiones en torno a Álvaro de Luna y Juan Pacheco. In : José Antonio Escudero (Coordinador) : Los validos. Madrid : Universidad Rey Juan Carlos 2004, pp. 41-62 ; qui pp. 43-44. Forse se ci si fondasse su ‘fonti’ come il Tizón de la nobleza , dove figura un Conte di Luna che sposò una delle figlie di Don Juan Pacheco, o come il Libro verde de Aragón, dove figurano un Duca di Luna e numerose altre persone con il nome di famiglia Luna, si potrebbe attribuire una qualche parentela conversa alla famiglia di D. Álvaro de Luna. Secondo le genealogie tracciate da D. Francisco Mendoza y Bovadilla erano però ‘macchiate’ tutte le famiglie dell’alta nobiltà della prima metà del XV secolo : dagli Enríquez ai Pimentel, dai Portocarrero ai Pacheco, dai La Cerda ai Gómez de Sandoval, dai Manrique agli Álvarez de Toledo, dai Guzmán ai Velasco, dagli Acuña agli Estúñiga (Zúñiga) e ai Mendoza, ecc. ecc. ! Per quanto riguarda poi il Condado de Luna e – quindi – il Castillo de Luna, essi nulla avevano a che fare con D. Álvaro de Luna, la cui famiglia aveva preso il nome dalla città aragonese di Luna (provincia di Zaragoza). Al tempo di D. Álvaro de Luna la fortezza di Luna apparteneva a D. Pedro Suárez de Quiñones, signore di Cangas, Tineo e Allande (Luis Suárez Fernández : Nobleza y Monarquía, p. 115) ; nel 1527 a Don Francisco Fernández de Quiñones, Conte di Luna, e nel 1555 a Don Claudio Fernández de Quiñones, Conte di Luna (cfr. María Ángeles Faya Díaz - Lidia Anes Fernández : Nobleza y poder en las Asturias del Antiguo Régimen, pp. 203-204, pp. 346-347) ; negli anni di redazione della Pícara Justina la Contea e il Castello di Luna appartenevano ai Conti di Benavente. Don Juan Alfonso Pimentel y Herrera, VIII Conte di Benavente, VII Conte di Mayorga e Villalón, aveva ereditato dalla moglie – D. Catalina Vigil de Quiñones, VI Contessa di Luna, “hija única y heredera del V conde, Luis Vigil de Quiñones” (Santiago Martínez Hernández : Los cortesanos. Grandes y títulos frente al régimen de validos, p. 443) – la Contea, che valeva 24.000 ducati l’anno, ma rinunziò ad essa in favore di suo figlio maggiore, Don Antonio Alonso Pimentel de Quiñones, quando questi era ancora minorenne, per dissuaderlo dal “tomar hábito eclesiástico” (Luis Cabrera de Córdoba : Historia de Felipe II, Rey de España. III, pp. 1505-1506). Don Antonio Alonso Pimentel de Quiñones era cosí divenuto Conte di Luna e alla morte del padre sarà IX Conte (e VI Duca) di Benavente. In nota alla frase “Álvaro de Luna, connétable du roi Henri IV de Castille, fut l’un des Nouveaux Chrétiens arrivistes, les plus vilipendés par l’aristocratie castillane”, Luc Torres cita l’edizione della Floresta española curata da Maximiliano Cabañas. Ma nella brevissima nota – fondata sul Diccionario de Historia de España di Germán Bleiberg –, dedicata in questa edizione al secondo aneddoto del Cap. VI della Parte III della Floresta española, si afferma correttamente che Álvaro de Luna era “valido de Juan II” e nulla si dice sulla sua origine conversa ! Cfr. Melchor de Santa Cruz : Floresta española. Edición de Maximiliano Cabañas (= Letras Hispánicas, 411). Madrid : Cátedra 1996, pp. 270-271.  











































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Cabra 972 e su Luis Cabrera de Córdoba 973 –, non si limiterebbe ai Conti di Benavente. Lo studioso sostiene infatti che “Justine souligne l’immoralité de certaines grandes maisons” e che la satira contro i Grandi è “générale”. 974 Fonda queste affermazioni – analoghe a quelle sopra illustrate di Thomas Bodenmüller – sullo stesso passo del romanzo su cui le ha fondate lo studioso tedesco :  







[...] de que le sirue a la picara pobre, hazerse Marquesa del Gasto, si luego han de ver que soy marquesa de Trapisonda, y de la Piojera, y condesa de Gitanos. Yo confiesso que es este vn tiempo, en que el çapatero, porque tiene calidad se llama çapata, y el pastelero gordo, godo. El que enriquecio enriquez, y el que es mas rico, manrique. El ladron a quien le luzio lo que hurtô, hurtado. El que adquirio hazienda con trampas y mentiras, Mendoça. El sastre, que a puro hurtar girones, fue marques de paño infiel, giron. El errador aparroquiado herrera. El prospero ganadero de ouejas, y cabras, cabrera. El baquero rico de cabeças irracionales, y pobre de la racional, cabeça de baca. Y el caudaloso morisco mora. Y el que acuña mas moneda, acuña. Quien goza dinero, guzman. Todo esto, y mas que yo me se, passa oy dia. Pero norabuena, passe, que esto y mucho mas merece el dinero. 975  

Luc Torres commenta : “la verve de Justine se déchaîne contre les titres de noblesse dans cette longue énumération en forme de chapelet d’injures, qui égratigne au passage la plupart des grandes maisons d’Espagne”. 976  



972

  Trascrivendo un aneddoto sul Conte di Cabra annotato il 24 giugno 1605 da Thomé Pinheiro da Veiga (“Esta Tarde, andava o Conde de Cabra, herdeiro do Duque de Seça, passeando a cavallo, com outros senhores, o qual he tido por pouco avizado...” – Fastigimia, p. 185), Luc Torres definisce Don Luis Fernández de Córdoba, che era nato il 25 gennaio 1582 ed aveva quindi 23 anni, “le vieux comte de Cabra” (Discours festif et parodie dans La Pícara Justina, p. 91). Il titolo di Conte di Cabra, fu – a partire dalla rinunzia alla Contea di Cabra fatta nel 1598 da D. Antonio Folch y Cardona, V Duca di Sessa, a favore del figlio D. Luis Fernández de Córdoba – riservato ai primogeniti della casata ducale di Sessa (cfr. Agustín G. de Amezúa : Introducción al Epistolario de Lope de Vega Carpio. In : Lope de Vega en sus cartas. I. Madrid : Academia Española 1935, pp. 1-490 ; qui pp. 3-23). 973   In un suo saggio Luc Torres scrive : “Luis Cabrera de Córdoba, el cronista del reinado de Felipe III, hijo del Conde de Cabra y una de las principales figuras de la vida cortesana en Valladolid...”. Cfr. Luc Torres : Las fiestas paródicas en la Corte de Valladolid a través de las Relaciones de sucesos. In : La fiesta. Actas del II Seminario de Relaciones de sucesos (A Coruña, 13-15 de julio de 1998). Editadas por Sagrario López Poza y Nieves Pena Sueiro. Ferrol : Sociedad de Cultura Valle Inclán. Colección SIELAE 1999, pp. 339-350 ; qui p. 343. La trasformazione di un modesto funzionario regio in figlio del Conte di Cabra e in una delle figure principali della vita di Corte è veramente miracolosa ! Luis Cabrera de Córdoba, nato a Madrid nel 1559, era infatti figlio di Juan Cabrera de Córdoba, “Fiscal de la Contaduría Mayor de Cuentas” e più tardi “Despensero Mayor” (o : “Mayordomo de cocina”) di Filippo II, e di María del Águila y Gullón. Entrato al servizio di Filippo II, il 20 gennaio 1589 prese possesso del “cargo de guardar la caza, pesca, prados y sitios reales de la Fresneda y el Castañar, dehesa de la Herrería y jardines en torno a El Escurial”. Dopo la morte di Filippo II, Luis Cabrera de Córdoba fu nominato, nel febbraio del 1599, “tapicero mayor de la reina Margarita de Austria” ( José Martínez Millán – Carlos Javier de Carlos Morales : Introducción a : Luis Cabrera de Córdoba : Historia de Felipe II, Rey de España. Edición J. M. M. – C. J. de C. M. Junta de Castilla y León 1998, pp. IX-XXIV ; qui pp. XII-XIV). Sulla vita di Luis Cabrera de Córdoba e la sua famiglia cfr. inoltre : El Pasatiempos de Jehan Lhermite. Memorias de un Gentilhombre Flamenco en la corte de Felipe II y Felipe III, p. 243. – Cristóbal Pérez Pastor : Bibliografía Madrileña. Tomos II : 1601-1620, pp. 474-477. – La Monarquía de Felipe II : La Casa del Rey. Directores : José Martínez Millán - Santiago Fernández Conti. Volumen II : Oficiales, Ordenanzas y Etiquetas, p. 82. Il cronista, come si vede, non era neppure lontanamente una delle principali figure della Corte di Valladolid e nulla aveva a che fare con la famiglia del Gran Capitano, D. Gonzalo Fernández de Córdoba, I° Duca di Sessa, la cui figlia D. Elvira de Córdoba aveva sposato D. Luis Fernández de Cordoba, IV Conte di Cabra (cfr. Agustín G. de Amezúa : Introducción al Epistolario de Lope de Vega Carpio. I, pp. 3-23). 974   Luc Torres : Discours festif et parodie dans La Pícara Justina, p. 120. 975   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO PRIMERO. CAPITVLO SEGVNDO DEL abolengo alegre. Numero Primero. Del abolengo parlero », pp. 57-58. 976   Luc Torres : Discours festif et parodie dans La Pícara Justina, p. 120. Anche Rey Hazas aveva interpretato allo stesso modo il passo : “Es magnífico el virtuosismo estilístico de López de Ubeda en este fragmento, dando matracas y vayas, con fina ironía y excelentes juegos verbales, a los principales apellidos – y, con ellos, a las más encumbradas familias – de la nobleza española” (la pícara Justina. I. Edición preparada por Antonio Rey Hazas, p. 170, nota nro. 48). In pagine precedenti a quelle or ora citate, Justina aveva parlato così della acconciatura dei  





















































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Fra le grandi casate menzionate qui ve ne sono tre – tra l’altro le più antiche e importanti, imparentate con tutte le maggiori famiglie dell’alta nobiltà – alle quali l’autore della Pícara Justina, come sappiamo, ha reso esplicito omaggio : quelle dei Mendoza (“Yo gustara ser vna Duquesa de Alua, Vejar, ò Feria, y mas aora que las tres hermanas son las mismas tres gracias...”, 977 dice Justina, riferendosi – come abbiamo già avuto occasione di ricordare – a tre figlie di D. Iñigo López de Mendoza y Mendoza, V Duca dell’Infantado, e di D. Luisa Enríquez de Cabrera), degli Enríquez, di sangue reale, e dei Guzmán, legati ai Trastámara con vincoli di parentela. Le altre casate che figurano nel passo trascritto sopra sono : i Dávalos (Marchesi del Vasto e Pescara, Principi di Francavilla, Principi di Montesarchio, Conti di Monderiso), i Zapata (Don Diego Zapata de Mendoza, II Conte di Barajas, maggiordomo di Filippo III), gli Enríquez (oltre alla casata degli Ammiragli di Castiglia, Duchi di Rioseco : D. Diego Enríquez de Guzmán, III Conte di Alba de Liste ; D. Enrique Enríquez de Guzmán, IV Conte di Alba de Liste ; D. Diego Enríquez de Guzmán y Toledo, V Conte di Alba de Liste ; D. Francisco Enríquez, Conte di Nieva e Marchese di Valderrábano ; D. Fernando Enríquez de Ribera y Cortés, III Duca di Alcalá ; D. Antonio Enríquez de Ribera, III Marchese di Villanueva del Río ; D. María Enríquez de Toledo, III Duchessa d’Alba ; D. Pedro Enríquez de Guzmán y Acevedo, I Conte di Fuentes), i Manrique (Manrique, Manrique de Lara, Manrique de Padilla, Manrique de Aragón – fra le casate più illustri, imparentate con tutta una serie di altre casate illustri e potenti ; ricordiamo alcuni esponenti : D. Luis Fernández Manrique de Lara, Marchese di Aguilar ; D. García Fernández Manrique, Conte di Osorno ; D. Ana Manrique, Contessa di Puñonrostro, D. Juana Manrique, Contessa di Aguilar ; D. Blanca Manrique y Aragón, Marchesa di Astorga ; D. Pedro Manrique de Lara, VIII Conte di Paredes de Nava ; D. Juan Manrique de Lara y Acuña, Duca di Nájera ; D. Luisa Manrique de Lara, Contessa di Valencia, poi Duchessa di Nájera ; D. Luisa Manrique de Padilla, Contessa di Nieva ; D. Juana Manrique, III Marchesa de las Navas), gli Hurtado de Mendoza e i Mendoza (oltre ai Duchi dell’Infantado e, in particolare, a D. Juan Hurtado de Mendoza de la Vega y Luna, VI Duca dell’Infantado : D. Francisco Hurtado de Mendoza y Cárdenas, V Conte di Monteagudo e II Marchese di Almazán ; D. Diego Hurtado de Mendoza y de la Cerda, Duca di  













































suoi capelli posticci : “[...] si me toco de Almirante, temo Barajas de poste, no tanto por el Chinchon (que como ha tanto que soy Condessa de Cabra, no temo golpes de frente) quanto, porque como mis cabellos, son amouibles, y borneadizos, temo que al primer tope, buelua barras al Almirante, y descubra el Caluatrueno de mi casquete” (Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « INTRODVCCION GENERAL, PARA TODOS los tomos y libros. Numero primero, Del melindre al pelo de la pluma », pp. 5-6). Antonio Rey Hazas commenta : “La anfibología de esta frase radica en las alusiones de tipo satírico que se dirigen contra diversos nobles castellanos. Así, almirante significa simultáneamente un adorno que usaban las mujeres en la cabeza y el Almirante de Castilla [...]. Barajas tenía entre sus acepciones la de riña, pendencia, disputa, como aquí, donde además se refiere al mismo tiempo al conde de Barajas, don Diego de Zapata, que en 1602 era presidente del Consejo de Castilla. Es evidente, también, la simultánea acepción del término chinchón, aludiendo por un lado al chichón, y por otro al conde de Chinchón. La referencia a la condesa de Cabra es directa” (la pícara Justina. I, pp. 93-94, nota nro. 51). Una sola osservazione. Presidente del Consejo de Castilla era nel 1602 D. Juan de Zúñiga Avellaneda y Cárdenas, Conte di Miranda. In passato, negli anni 1584-1591, era stato presidente del Consejo de Castilla D. Francisco Zapata de Cisneros, I Conte di Barajas, che morì nell’ottobre del 1591. Il figlio, D. Diego Zapata de Mendoza, II Conte di Barajas, che aveva sposato nel 1603 D. María Sidonia Riederin, “muy querida de la reyna” (Diario de Hans Khevenhüller, p. 574) e che in occasione delle sue nozze era stato nominato maggiordomo di Filippo III, non fu mai presidente del Consejo de Castilla. Confonde D. Diego Zapata de Mendoza con D. Francisco Zapata de Cisneros anche uno storico specialista del periodo come Antonio Feros : El Duque de Lerma. Realeza y privanza en la España de Felipe III (v. p. 45, p. 320, nota nro. 43, p. 518). 977   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « TERCERA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO De la Picara Romera. Capitulo 4. de la partida de Leon. Numero tercero, de los trajes de Montañeses y Coritos », p. 181.  













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Francavilla e Principe di Melito ; D. Luis Hurtado de Mendoza y Mendoza, IV Marchese di Mondéjar e V Conte di Tendilla ; D. Juan Hurtado de Mendoza, III Conte di Orgaz ; D. García Hurtado de Mendoza, IV Marchese di Cañete ; Juan Hurtado de Mendoza, Marchese di San Germán ; Don Godofre de Mendoza, Conte di Lodosa ; D. Lorenzo Suárez de Mendoza, Conte di La Coruña) ; i Girón (D. Juan Téllez Girón, Marchese di Peñafiel ; D. María Girón, Duchessa di Frias ; D. Pedro Girón, III Duca di Osuna), gli Herrera (Herrera, Marchesi di Auñón ; D. Juan Alfonso Pimentel y Herrera, Conte di Benavente ; D. Francisco Portugal y Melo, Conte di Tentugal, Marchese di Ferreira/ Herrera), 978 i Cabrera (Duchi di Sessa, Conti di Cabrera e di Baena, Marchesi di Terranova ; D. Diego Fernández de Cabrera y Bobadilla, III Conte di Chinchón ; Don Luis Gerónimo de Cabrera y Bobadilla, IV Conte di Chinchón ; D. Francisco Cabrera y Bobadilla, V Marchese di Moya ; D. Ana de Cabrera, Duchessa del Infantado ; ecc...), i Cabra (Don Luis Fernández de Córdoba y Folch de Cardona y Aragón, Conte di Cabra ; 1606 : V Duca di Sessa), i Mora (D. Francisco de Rojas, Conte di Mora ; D. Cristóbal de Moura/Mora, Marchese di Castelo Rodrigo, Viceré del Portogallo ; D. Manuel de Moura y Corte Real, II Marchese di Castelo Rodrigo e I Conte di Lumiares ; D. Beatriz de Moura y Corte Real, III Duchessa di Alcalá), Acuña (D. Juan Manrique de Lara y Acuña, Duca di Nájera ; Luisa de Acuña y Portugal, Contessa di Valencia de don Juan ; Don Juan de Acuña, Conte di Buendía ; Don Juan de Padilla Acuña, Conte di Santa Gadea e di Buendía, Adelantado Mayor di Castiglia e Grande di Spagna ; D. Juan de Acuña, Marchese del Valle de Cerrato, Presidente del Consejo de Hacienda), Guzmán (oltre ai Duchi di Medina Sidonia : D. Juan Manuel Pérez de Guzmán, Conte di Niebla ; D. Enrique de Guzmán, II Conte di Olivares ; D. Luis de Guzmán y Guzmán, Marchese di Ardales ; D. Manuel Luis Guzmán y Manrique de Zúñiga, IV Marchese di Villamanrique ; D. Gaspar de Guzmán y Pimentel, Conte di Olivares ; D. Francisco Antonio Guzmán, Marchese di Ayamonte ; D. Lope de Guzmán, Conte di Villaverde ; D. Gómez de Fuentes y Guzmán, Marchese di Fuentes ; D. Juan Guzmán, Marchese di Malagón ; D. Enrique de Guzmán, Marchese di Povar ; D. Luis de Guzmán, Marchese di Algaba), Cabeza de Vaca (la famiglia materna di Alvar Núñez Cabeza de Vaca – discendente per linea paterna da Pedro de Vera, il conquistatore della Gran Canaria – era già nel Medioevo, al tempo di Fernando III, il Santo, 979 una nota famiglia di cavalieri – un suo membro, Don Fernán Ruiz Cabeza de Vaca, viene ricordato nella Primera Crónica General de España 980 – ; nel XVI secolo una delle sue figure piú illustri, oltre al famoso esploratore e conquistatore andaluso, era stato Luis Cabeza de Vaca, tutore di Carlo I, membro fondatore del Consejo Real y Supremo de Indias, Vescovo delle Canarie e, successivamente, di Salamanca e di Palencia 981 – e, come tale, Conte di Pernia 982 –).  



















































































978   Su questa casata cfr. Gerónimo de Quintana : Historia de la Antiguedad, Nobleza y Grandeza de la villa de Madrid. Madrid : Imprenta del Reyno 1629 (ed. facs. Valladolid : Editorial MAXTOR 2005), Tomo I, fo. 227r228r. 979   Cfr. Gonzalo Argote de Molina : Nobleza de Andalucía, p. 75. – Martín de Riquer : Heráldica castellana en tiempos de los Reyes Católicos, p. 138. 980   Primera Crónica General de España. Editada por Ramón Menéndez Pidal. Con un estudio actualizador de Diego Catalán (= Fuentes cronísticas de la Historia de España, I). Madrid : Seminario Menéndez Pidal - Editorial Gredos 1977, 2 tomi ; qui II, p. 731. 981   Cfr. Ernesto Schäfer : El Consejo Real y Supremo de las Indias. Su historia, organización y labor administrativa hasta la terminación de la casa de Austria. Prólogo Antonio-Miguel Bernal. Madrid : Marcial Pons 2003 (1.ª ed. sp. 1935-1947), 2 tomi ; qui I, p. 53, p. 63, p. 336. Enrique Pupo-Walker : « Sección Introductoria » a : Alvar Núñez Cabeza de Vaca : Los Naufragios. Edición de E. P.-W. (= Nueva Biblioteca de Erudición y Crítica, 5). Madrid : Editorial Castalia 1992, pp. 9-77 ; qui pp. 23-27. 982   Cfr. El Pasatiempos de Jehan Lhermite. Memorias de un Gentilhombre Flamenco en la corte de Felipe II y Felipe III, p. 171.  

































le interpretazioni della pícara justina

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Si può immaginare che l’autore della Pícara Justina deridesse – e quindi si inimicasse – gran parte delle famiglie più ricche e potenti dell’alta nobiltà e dell’aristocrazia di Corte ? Era pazzo o suicida ? E i censori avrebbero permesso questo dileggio ? Luc Torres, come tanti altri studiosi affascinati dall’estetica della trasgressione, proietta concezioni e fantasie moderne nel passato, senza rendersi conto della assurdità dell’operazione. Inoltre, se si afferma che la Pícara Justina era stata scritta per divertire i cortigiani, cioè la nobiltà di Corte, è pensabile – lo ripetiamo ancora una volta – che la si volesse divertire deridendola ? I Duchi di Osuna, di Nájera e tanti altri nobili facevano bastonare e talvolta uccidere coloro che avevano osato offendere il loro ‘onore’ o quello della loro casata o anche, addirittura, un semplice loro servo. Luc Torres, che come esempio contemporaneo di “parodie des preuves de pureté de sang” ricorda il Memorial que dio don Francisco de Quevedo y Villegas en una Academia, pidiendo una plaza en ella, 983 si rende conto della enormità della cosa e cerca di relativizzare l’importanza del discorso – a suo parere – antinobiliare di Justina e di spiegarlo con la libertà del buffone :  











Derrière cette série de calembours burlesques, ce sont de nouveau les légendes généalogiques et les fameuses probanzas « preuves de pureté de sang » auxquelles se rapporte l’auteur. Le discours antinobiliaire et apparemment sans nuance de Justine, ne doit pas cependant nous tromper : il est très relatif dans la mesure où le narrateur qui porte ce discours est un être dégradé, lui-même fortement marqué par des origines converses, comme cela est très explicitement souligné par la suite. Sa liberté est celle du bouffon, dont seule l’indignité permet de dire des vérités que d’autres n’oseraient pas exprimer. 984  







985

Luc Torres – come molti altri studiosi – interpreta in maniera del tutto erronea il significato dei “calembours burlesques” con i nomi delle grandi casate della nobiltà spagnola. Infatti, con tali giochi di parole, frequentissimi nella letteratura del Siglo de Oro, non si voleva schernire, criticare o ridicolizzare i lignaggi più noti e potenti, ma rendere loro omaggio ! Nella Miscelánea di Don Luis Zapata, uno dei più celebri e compiti gentiluomini della Corte di Carlo V (paggio dell’Imperatrice, era stato educato assieme al principe Filippo, che accompagnò nel suo viaggio in Fiandra e in Italia 986), si legge questo aneddoto :  







[...] el marido la hizo luego señora de dos buenos pueblos, vno de Chinchón en la cabeza, y otro de Puño en rostro en la cara, senbrada la tal saya con botones de fuego, y le dió botines çerrados y çapatas de Madrid, y heruillas de aparador en una arca de repartimiento de aguas, y en otra grande arcaz del linaje de los Uillafranca [del Bierzo]. Y el axuar fué vn calderón de abolorio y dos herradas del mundo…. 987  

Luis Zapata scherza qui col nome dei Conti di Chinchón/chichón (bernoccolo), come 983

  Luc Torres : Discours festif et parodie dans La Pícara Justina, p. 121, nota nro. 60.   Luc Torres : Discours festif et parodie dans La Pícara Justina, p. 121. 985   Anche Victoriano Roncero López afferma che “López de Úbeda rebaja a todas y cada una de las grandes familias de la nobleza española al nivel más bajo de la escala social. Y [...] lo hace con un ingenio bufonesco, sirviéndose de los apellidos a los que busca orígenes bien en oficios bajos o en delitos comunes”. Citata quindi la pagina della Pícara Justina che abbiamo or ora trascritta (“Yo confieso que este es un tiempo en que el zapatero...”), lo studioso scrive : “Es posible que la mención de estas familias se deba a enfrentamientos entre Calderón y estas casas nobles, que no debían ver con buenos ojos el poder que el advenedizo había alcanzado en el gobierno de la monarquía.” Cfr. Victoriano Roncero López : La novela bufonesca : La pícara Justina y el Estebanillo González. In : Studia Aurea. Actas del III Congreso de la AISO (Toulouse, 1993). III. Prosa. (Eds.) I. Arellano, M. C. Pinillos, F. Serralta, M. Vitse. Toulouse-Pamplona : PUM 1996, pp. 457-461 ; qui pp. 459-460. 986   Juan Cristóbal Calvete de Estrella : El felicísimo viaje del muy alto y muy poderoso Príncipe Don Felipe. 987   Luis Zapata : Varia Historia (Miscelánea). I, p. 128. I, p. 18, p. 84. 984





















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farà l’autore della Pícara Justina nel passo ricordato della « Introdvccion General », dei Conti di Puñonrostro – con il quale scherzerà anche Quevedo nella Carta a la Rectora del Colegio de las Vírgenes (“pretendiente de los marquesados de Puño-en-rostro, mujer de muchas partes más que las comedias de Lope de Vega” 988) –, dei Zapata, Conti di Barajas, dei Marchesi di Villafranca del Bierzo, dei Calderón, l’antico lignaggio dei ricoshombres di Castiglia, e degli Herrera, Marchesi di Auñón. Nel sonetto Valladolid, de lágrimas sois valle (1603) di Góngora si trovano questi versi : “Todos sois Condes, no sin nuestro daño / [...] No encuentra al de Buendía en todo el año ; / al de Chinchón sí ahora, y el invierno / al de Niebla, al de Nieva, al de Lodosa”. 989 (I nobili ai quali qui si allude sono i Conti di Buendía – ricordiamo : Don Martín de Padilla, Conte di Buendía e di Santa Gadea ; Don Antonio de Padilla, Conte di Buendía ; Don Eugenio de Padilla, Conte di Santa Gadea e di Buendía ; Don Juan de Acuña, Conte di Buendía ; Don Juan de Padilla Acuña, Conte di Santa Gadea e di Buendía, Adelantado Mayor di Castiglia, Grande di Spagna – ; Don Luis Gerónimo Cabrera y Bobadilla, IV Conte di Chinchón ; Don Juan Manuel Pérez de Guzmán, Conte di Niebla ; Don Francisco Enríquez, Conte di Nieva ; Don Godofre de Mendoza, Conte di Lodosa, ambasciatore presso la Corte dei Savoia e, successivamente, maggiordomo maggiore dei tre principi di Savoia quando si recarono alla Corte dello zio, Filippo III.) Nella Pragmática que han de guardar las hermanas comunes, intitolata anche Premática de las cotorreras, Quevedo si rivolge alle “busconas, damas de alquiler, niñas comunes, sufridoras de trabajo, mujeres al trote, hembras mortales, recatonas del sexto, ninfas de daca y toma, vinculadas en la lujuria ; lo cual, traducido en castellano, quiere decir cotorreras”, e scherza sulla loro abitudine di usurpare i nomi di nobili lignaggi :  

































Por el conocimiento y distinción de la corte, equivocación de los nombres que hurtáis, como Silvas, Carvajales, 990 Mendozas y Ramírez 991 y otros, mandamos que ninguna sea osada a afrentar sus carnes sin nombre postizo de los antiguos, como doña Elvira Mozo, que es la que mandó el sello rodado de las cotorreras, La Moruca, La Interesable, Pío Quinto, Jergón de carne, Sangre lluvia, La virgen loca, y otras de gloriosa memoria [...]. 992  





Nelle Premáticas y aranceles generales, scritte prima del 1603, si trova un passo simile, già ricordato, nel quale si dice che “las putas y moriscos” usurpano i nomi dei “Mendozas, Enríquez, Guzmanes”. 993 Nella Letrilla satírica dal ritornello “Este mundo es juego de bazas, / que sólo el que roba triunfa y manda”, si leggono questi versi : “El que bien hurta bien vive ; / y es linaje más honrado / el hurtar que el ser Hurtado. [...] Mejor es, si se repara, / para ser gran caballero, / el ser ladrón de dinero / que ser Ladrón de Guevara”. 994 (I calembours sugli Hurtado de Mendoza e i Ladrón de Guevara, Conti di Oñate, erano fra i più abusati ; anche nella Pícara Justina si scherza sui Ladrón de Guevara . 995)  











988   Francisco de Quevedo y Villegas : Carta a la Rectora del Colegio de las Vírgenes In : F. de Q. y V. : Obras completas. Edición de Felicidad Buendía. Obras en prosa. Madrid : Aguilar 1979, pp. 99-100. 989   Luis de Góngora : Sonetos completos. Edición, introducción y notas de Biruté Ciplijauskaité, p. 176. 990   Sulla famiglia Carvajal cfr. Alonso López de Haro : Nobiliario genealógico (1622), pp. 595-596. 991   Sul lignaggio dei Ramírez cfr. Gerónimo de Quintana : Historia de la Antiguedad, Nobleza y Grandeza de la villa de Madrid. Madrid : Imprenta del Reyno 1629 (ed. facs. Valladolid : Editorial MAXTOR 2005), Tomo II, fo. 254v-265v. 992   Francisco de Quevedo y Villegas : Pragmática que han de guardar las hermanas comunes, intitolata anche Premática de las cotorreras. In : F. de Q. y V. : Obras completas. Edición de Felicidad Buendía. Obras en prosa, pp. 95-97. 993   Francisco de Quevedo y Villegas : Premáticas y aranceles generales. In : F. de Q. y V. : Obras completas. Edición de Felicidad Buendía. Obras en prosa, p. 81. 994   Francisco de Quevedo : Obra poética. Ed. de J. M. Blecua. II, pp. 153-154 (nro. 647). 995   “Llamauase el Corregidor de mi pueblo Iustez de Gueuara, y aunque por el nombre de Iustez me deuia  































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Nel Diablo Cojuelo, Luis Vélez de Guevara, ispirandosi forse a Quevedo, scrive :  

[...] salieron desta calle a una plazuela donde había gran concurso de viejas que habían sido damas cortesanas, y mozas que entraban a ser lo que ellas habían sido, en grande contratación unas con otras. Preguntó el estudiante a su camarada qué sitio era aquél, [...] y él le respondió : – Este es el baratillo de los apellidos, que aquellas damas pasas truecan con estas mozas albillas por medias traídas, por zapatos viejos, valonas, tocas y ligas, como ya no las han menester ; que el Guzmán, el Mendoza, el Enríquez, el Cerda, el Cueva, el Silva, el Castro, el Girón, el Toledo, el Pacheco, el Córdoba, el Manrique de Lara, el Osorio, el Aragón, el Guevara y otros generosos apellidos los ceden a quien los ha menester ahora para el oficio que comienza, y ellas se quedan con sus patronímicos primeros de Hernández, Martínez, López, Rodríguez, Pérez, González, etc., porque al fin de los años mil, vuelven los nombres por donde solían ir. 996  





Si può mai pensare che Don Luis Zapata, per il quale la figura del perfetto cortigiano delineata da Baltasar Castiglione era stata sempre il modello ideale da imitare, volesse ridicolizzare illustri casate e la sua stessa famiglia ? Poteva Luis de Góngora, che era di una famiglia con “muchos humos de señorío” e che proprio in quegli anni svolgeva a Valladolid per la prima volta “una actividad continua como poeta de los grandes y de la realeza”, 997 rischiare di pregiudicare i suoi costanti sforzi per ottenere – talvolta con omaggi relativamente misurati (quali quelli rivolti, per esempio, a Don Diego Gómez de Silva y Mendoza, Conte di Salinas, Duca di Francavilla, Marchese di Alenquer, e al figlio Don Rodrigo Sarmiento ; 998 o ai Conti di Lemos 999), piú spesso con “desmesuradas alabanzas” 1000 (come quelle con cui incensava il Presidente del Consiglio Reale di Castiglia – era figlio di Don Juan de Acuña, VI Conte di Buendía –, menzionato nel sonetto Valladolid, de lágrimas sois valle, 1001 oppure Don Francisco de Guzmán y Zúñiga,  



   







fauorecer de justicia, mas pareceme que se acotò al apellido de ladron” (Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO TERCERO DE LA PICARA PLEYTISTA. Capitulo primero de la hermana perseguida », p. 294 [in realtà : 194]). Così commenta questa frase Luc Torres : “L’ironie mordante avec laquelle l’auteur désigne le magistrat vénal, Justez de Guevara, est le prétexte d’une pique contre la prestigieuse maison des Ladrón de Guevara, dont le nom était l’occasion de bon nombre de plaisanteries faciles” (pp. 138-139). I facili scherzi sul nome della sua famiglia non irritavano Antonio Guevara, che in una delle sue epistole scriveva : “De llamarme vos ladrón no me corro, [...] que como señor sabéis, por especial blasón tienen en España llamarse los Guevaras ladrones, como tienen los Mendoça llamarse hurtados” (Epístolas familiares. Edición y prólogo de José María de Cossío II, p. 442). I Beltrán de Guevara, Conti di Oñate, erano una delle principali casate nobiliari della Monarchia spagnola (cfr. Enrique Soria Mesa : La nobleza en la España moderna, p. 144. – Augustin Redondo : Antonio de Guevara et l’Espagne de son temps, pp. 19-43). 996   Luis Vélez de Guevara : El Diablo Cojuelo. Edición, introducción y notas de Ángel Raimundo Fernández González [y] Ignacio Arellano. Madrid : Clásicos Castalia 1988, pp. 105-107. 997   Dámaso Alonso : Obras completas. VII. Góngora y el gongorismo. Madrid : Gredos 1984, p. 38, p. 48. Ricordiamo i sonetti scritti in morte della Duchessa di Lerma (En el sepulcro de la Duquesa de Lerma. – Para lo mismo) e i versi con i quali rende omaggio al Re e alla Regina (De los señores Reyes Don Felipe III y Doña Margarita en una monteria. – En el dichoso parto de la señora Reyna Doña Margarita. – De unas fiestas de Valladolid en que no se hallaron los Reyes), scritti negli anni 1603 e 1604. Cfr. Luis de Góngora : Obras completas. I. Poemas de autoría segura. Poemas de autenticidad probable. Edición y prólogo de Antonio Carreira. Madrid : Biblioteca Castro. Fundación José Antonio de Castro 2000, pp. 209-210 (nro. 134 e 135), p. 210 (nro. 136), pp. 217218 (nro. 146), pp. 237-239 (nro. 159). 998   Cfr. i sonetti De una quinta del Conde de Salinas (1603) e De Don Rodrigo Sarmiento, Conde de Salinas (1604). In : Luis de Góngora : Sonetos completos. Edición, introducción y notas de Biruté Ciplijauskaité, pp. 61-62 (nro. 8 e 9). 999   Cfr. il sonetto Al Puerto de Guadarrama, pasando por él Los Condes de Lemus (1604). In : Luis de Góngora : Sonetos completos. Edición, introducción y notas de Biruté Ciplijauskaité, p. 63 (nro. 10 ; al Conte di Lemos sono dedicati anche i sonetti nro. 22, 39, 117). 1000   Dámaso Alonso : Obras completas. VI. Góngora y el gongorismo. Madrid : Gredos 1982, p. 159. 1001   Cfr. il sonetto Para un retrato de D. Juan de Acuña, Presidente de Castilla, hijo del Conte de Buendía. In : Luis de Góngora : Sonetos completos. Edición, introducción y notas de Biruté Ciplijauskaité, p. 87 (nro. 29).  











































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Marchese di Ayamonte, 1002 che apparteneva alla famiglia dei Duchi di Medina Sidonia come il Conte di Niebla, Don Juan Manuel Pérez de Guzmán, menzionato nello stesso sonetto) – la protezione di potenti signori, scrivendo dei versi che avrebbero potuto offendere importanti esponenti del loro gruppo sociale ? Don Francisco de Quevedo y Villegas era certamente tanto audace da fustigare la nobiltà in generale e da attaccare concretamente, all’occasione, anche il più potente dei suoi membri, come avviene – per esempio – nell’opera La Hora de todos, grandioso pamphlet politico diretto contro il Conte-Duca. 1003 Ma che interesse avrebbe avuto a schernire la grande casata dei Mendoza, alla quale invece rende omaggio nel 1604 con un sonetto in morte di Don Bernardino de Mendoza el ciego, 1004 o i Silva, la famosa famiglia dei Principi di Eboli (poi Duchi di Pastrana), strettamente imparentata con i Mendoza (la moglie di D. Ruy Gómez de Silva, Principe di Eboli era D. Ana Mendoza de la Cerda) e i Guzmán, Duchi di Medina Sidonia (D. Ana Mendoza de Silva, figlia dei Principi di Eboli, aveva sposato Don Alonso Pérez de Guzmán), della quale faceva parte Don Diego Gómez de Silva y Mendoza, Conte di Salinas, Duca di Francavilla, Marchese di Alenquer (due poesie del Conte di Salinas erano state pubblicate nell’antologia Flores de poetas ilustres nella quale figurano anche diverse composizioni di Quevedo) ? Ancor più assurdo sarebbe immaginare che Luis Vélez de Guevara, che fu criado di Don Diego Hurtado de Mendoza, Conte di Saldaña, e, successivamente, gentilhombre de cámara di Don Juan Téllez-Girón, Marchese di Peñafiel (dal 1624 Duca di Osuna), primogentito di Don Pedro Téllez Girón, il ‘grande’ Duca di Osuna, abbia voluto schernire o ridicolizzare una buona parte delle famiglie dell’alta aristocrazia (fra le quali proprio i Mendoza, i Girón, strettamente imparentati con i Cueva, Duchi di Alburquerque, i Pacheco, Duchi di Escalona, gli Enríquez, Duchi di Medina de Rioseco, i La Cerda, Duchi di Medinaceli, i Toledo, Duchi d’Alba, ecc. ecc.). Per dimostrare quanto sia assurda una tale ipotesi è sufficiente ricordare che El diablo cojuelo è dedicato a “D. Rodrigo de Sandoval, de Silva, de Mendoza y de la Cerda, Príncipe de Mélito, Duque de Pastrana, de Estremera y Francavila, Marqués de Algecilla, Señor de las Villas de Valdaracete y de la Casa de Silva en Portugal”, e che in varie opere teatrali – Hazañas de don García Hurtado de Mendoza, Marqués de Cañete ; El blasón de los Guzmanes ; El blasón de los Mendozas ; El Marqués del Vasto ; El primer Conde de Orgaz ; Los sucesos en Orán por el Marqués de Ardales – Luis Vélez de Guevara celebrò proprio i Mendoza, i Guzmán, gli Hurtado de Mendoza y Guzmán (Conti di Orgaz), i Guzmán y Guzmán (Marchesi Ardales), 1005 le grandi famiglie i cui nomi sono menzionati nel “baratillo de los apellidos”. Dovrebbe essere finalmente chiaro che con i “calembours burlesques” con i nomi  





















1002   Cfr. la serie dei sonetti dedicati al Marchese di Ayamonte e a sua moglie. In : Luis de Góngora : Sonetos completos. Edición, introducción y notas de Biruté Ciplijauskaité, pp. 64-74 (nro. 11-18). Cfr. inoltre le seguenti composizioni poetiche : De los Marqueses de Ayamonte cuando se entendió pasaran a Nueva España. – De un retrato de la Marquesa de Ayamonte. – De la Marquesa de Ayamonte y su hija. In : Luis de Góngora : Obras completas. I. Poemas de autoría segura. Poemas de autenticidad probable. Edición y prólogo de Antonio Carreira, pp. 245-247 (nro. 165), pp. 256-257 (nro. 176), pp. 259-260 (nro. 178). 1003   Cfr. Jean Bourg, Pierre Dupont, Pierre Geneste : « Introduction » a : Francisco de Quevedo : L’heure de tous et la fortune raisonnable – La hora de todos y la fortuna con seso. Édición, introduction, traduction et notes par J. B., P. D., P. G. Paris : Aubier 1980, pp. 15-160 ; qui pp. 51-158. 1004   Francisco de Quevedo : Obra poética. Tomo I. Edición de José Manuel Blecua. Madrid : Castalia 1969, p. 463 (nro. 271 : « Túmulo a Don Bernardino de Mendoza el ciego »). 1005   Scrive Ignacio Arellano “En Vélez, quizá más que en otros poetas de su generación, se percibe la función « elogio de nobles » en las comedias, muchas veces insertados en la misma trama histórica que tiene por protagonistas o ayudantes de la acción a personajes de la nobleza y de sus familias más distinguidas” (Historia del teatro español del siglo XVII. Madrid : Cátedra 1995, p. 311).  







































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delle grandi casate non veniva assolutamente criticata e ridicolizzata l’alta nobiltà, ma l’usurpazione di nomi altisonanti compiuta da uomini di affari, commercianti e artigiani arricchitisi, da avventurieri e persino dalle prostitute. La consuetudine di assumere nomi di nobili casati era sorta all’epoca delle grandi – più o meno spontanee, più o meno forzate – conversioni. Molti convertiti avevano assunto il nome dei nobili padrini di battesimo. 1006 Era un atto di omaggio verso i nobili padrini, realizzato naturalmente con il consenso di questi. Successivamente si era introdotta un’altra consuetudine. Diversi nobili concessero benevolmente a qualche loro servitore il titolo di “Pariente y Especial Amigo”. Alcuni rifiutarono l’onore – come Gabriel de Mena (Graviel), al quale l’Ammiraglio di Castiglia aveva inviato una lettera chiamandolo “Mi pariente, primo y señor” 1007 – ; ma i discendenti di altri si servirono della distinzione concessa ai loro padri, o avi, per spacciarsi come veri parenti delle famiglie nobili. 1008 A queste consuetudini, che avevano un certo fondamento o, almeno, una vaga parvenza di legittimità, si aggiunse, infine, l’usurpazione pura e semplice di nomi nobili, favorita dalla mancanza di una anagrafe (le parrocchie incominciarono a registrare matrimoni e battesimi dopo la fine del Concilio di Trento ; il registro civile fu introdotto in Ispagna solo nel XIX secolo ! 1009) e dalla possibilità di cambiare a piacimento di nome, trasformando, per esempio, il nome di una località o regione di provenienza (vera o falsa) in nomi ‘nobili’ (de Córdoba, de Toledo, de Alba, de Aragón, de Castilla, ecc.). 1010 Così si erano moltiplicati i nomi di Guzmán, Mendoza, Zúñiga, Pimentel, Toledo, Enríquez, Velasco, Zapata, Hurtado de Mendoza, Cabrera, Girón, Manrique, Manrique de Lara, Osorio, Cerda,  









   



1006   Nel Diálogo entre Laín Calvo y Nuño Rasura (1570) si legge a proposito del battesimo degli ebrei : “Y el mal es que de como los bautiçaban de edad de setenta años y ochenta, tomaban los apellidos de los padrinos, y ansi agora vn judio renouero de estos dice que es de el linaje y cassa de Herrera, el otro de Benauides, el otro de Arellano, el otro de Aguilar, el otro de Guzman, Sarmiento, Manrique, Cerda, Giron, Montenegro, y otros mill titulos postiços, como carneros señalados con almagre, siendo vn marrano reçien conuertido que apenas la sangre tiene enjuta de el salto que sus abuelos dieron en el arroio de Cedron i el Calvario al dador de la vida” (p. 169). 1007   Il poeta rispose a Don Fadrique Enríquez con questa copla : “Tal manera de fauor / No me la déis ni le quiero ; / Para primo soy grosero, / Y pobre para señor. / Pues pariente / viniendo por açidente, / Más quiero mi natural / Que no dar en el real / Teniendo tam poca gente.” Cfr. Luis Zapata : Varia Historia (Miscelánea), p. 89. 1008   Fray Liciniano Sáez, archivista dal 1790 del Duca di Osuna e della Duchessa di Béjar, sua moglie, scriveva nell’estratto di un documento che era datato 1527 e che trattava della concessione del titolo di “Pariente y Especial Amigo” a un servitore di Don Álvaro de Zúñiga, II Duca di Béjar : “Algunos que sirvieron en esta Casa y tuvieron cartas de los Señores de ella con igual tratamiento, ignorando esta costumbre y llenándose de vanidad, han presumido los descendientes ser verdaderos parientes usando los Apellidos de Çúñiga y Sotomayor [a partire dal matrimonio di D. Teresa de Zúñiga, Duchessa di Béjar, con D. Francisco Sotomayor, Conte di Benalcázar, i Duchi di Béjar aggiunsero il nome di Sotomayor al loro di Zúñiga] ; por eso hay tantos y lo quieren persuadir y justificar con las mismas cartas entre los no instruidos en esta costumbre que cesó en esta Casa en tiempo del Señor Duque don Francisco III” (Madrid, Archivo Histórico Nacional : Osuna, leg. 219-115 ; citato da José Antonio Sánchez Paso : « Introducción » a : Don Francés de Zúñiga : Crónica burlesca del Emperador Carlos V, p. 13). 1009   Cfr. Jaime de Salazar Acha : La limpieza de sangre, pp. 294-295. 1010   Sulla rilevanza sociale della possibilità di cambiare nome e quindi di usurpare nomi di famiglie nobili, Enrique Soria Mesa osserva : “Pocas cosas favorecieron más la movilidad social en la España del Antiguo Régimen que la casi total falta de definición que caracterizaba al régimen de transmisión de los apellidos hasta bien entrado el siglo XVIII. De hecho, hasta el Setecientos, y legalmente no antes de la segunda mitad del siglo XIX, no existieron reglas concretas que fijasen el orden exacto en la sucesión de los apellidos familiares. [...] Pues bien, fue este hecho generalizado el que utilizaron los grupos en ascenso para acelerar su integración social. Se aprovecharon del sistema para asimilarse más y mejor a los grupos dirigentes. Para empezar, nadie les prohibía apellidarse Mendoza, aunque antes se llamasen García, o ponerse largas ristras de apellidos, uno tras otro, aunque únicamente se fuese un escribano público” (La nobleza en la España moderna. Cambio y continuidad, p. 278, p. 280).  





























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Silva, Pacheco, Guevara, ecc. ecc. Questo è il malcostume che – come l’abuso del Don – è frequentemente oggetto di satira nella letteratura del Siglo de Oro. Nessuno si sarebbe sognato di oltraggiare o ridicolizzare le grandi casate storiche, che tutti (non escluso l’autore della Pícara Justina, che più volte – come abbiamo visto – rende omaggio a grandi famiglie ducali) rispettavano e ammiravano. Justina e la religione. Una digressione Prima di passare ad illustrare le interpretazioni degli studiosi che hanno confutato le tesi di Marcel Bataillon, riteniamo necessario inserire qui una breve digressione sulla ortodossia, o eterodossia, religiosa di Justina. Abbiamo visto che sono state fatte affermazioni molto ardite sulla mancanza di religiosità e addirittura sulla trasgressività sacrilega e blasfema dell’autore del romanzo e della sua protagonista. Queste ardite affermazioni sono fondate su singole espressioni, isolate dal contesto, o sulla decriptazione di alcuni episodi operata con ‘grimaldelli’ ermeneutici scelti per ottenere la ‘lettura’ voluta. L’unica base concreta per tentare di chiarire il rapporto di Justina con la religione è però, indubbiamente, costituita dall’insieme delle dichiarazioni e osservazioni della pícara montañesa sulla sua devozione, sulla Chiesa, sulla Inquisizione, su ecclesiastici e teologhi. Abbiamo quindi cercato di registrare qui di seguito queste dichiarazioni e osservazioni. Justina confessa esplicitamente, in diverse occasioni, di avere poca devozione (rivelata, comunque, anche dall’uso scherzoso di formule della liturgia e da paragoni irriverenti) :  

Ya quiso Dios que aporte a la hermita de San Lazaro, quise entrar a hazer oracion, mas vi vnos altarcitos, y en ellos vnos santitos tan mal atauiados, que me quitaron la deuocion, y yo auia menester poco. 1011 Si yo fuera muy deuota, en lo que yo me auia de ocupar era en ver a san Isidro de Leon, pues aquella casa en reliquias preciosas, es vna Ierusalem : en indulugencias, vna Roma, en grandeças de edificios, vn Pantheon, en religion la anachoreta, en choro vn cielo, en el culto diuino, riquezas, brocados, plata, horo, vn Templo de Salomon. Pero como a los ojos tiernos es la luz offensiua, tambien esta grandeça lo era para mi, en el tiempo que mis mocedades me trahian como corcho sobre el agua. Ya soy otra [...]. 1012 El camino de la Romeria no es muy bueno : pero la compañia lo era, y con ella, y con la profunda consideracion de mi Christo [si riferisce all’Agnus Dei con il quale ha imbrogliato Marcos Méndez Pavón !], lo pasé con mucho consuelo, y como muy buena Christiana. 1013 [Glossa marginale : Deuociones en locos (loco) de niñas ignorantes] Ya no quedaua nada que hazer, ni estacion por andar, solo me restaua oyr Missa, en esto fuy desgraciada que no bastò mi descuydo de acudir tarde, sino que quando la quise oyr se me pusieron mil gentes delante, que me estoruaron el oyr Missa, como supe, me encomende a la Santa Virgen, aunque si va a hablar de veras fuy tan sin acuerdo, que me fuy a mi casa sin verla, y para desquitar algo de mis descuydos, hize cien reuerencias, treynta y dos a cada altar, de los colaterales, y treynta y seys al altar  













1011   Libro de entretenimiento. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO DE la Picara Romera. Capitulo. I. De la jornada de Leon. Numero tercero. de la entrada de Leon », p. 20. 1012   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « TERCERA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO De la Picara Romera. Capitulo primero. De la mirona gustosa. Numero 2. del barbero embobado », p. 133. 1013   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO DE la Picara Romera. Capitulo IIII. De la romera de Leon. Numero primero de la romera dormida y dispierta », p. 73.  











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mayor. Mira mi muchacherria, todo en loco, no falto quien se riò de mi, y me conto las vezes, mas esto es lo de menos. Ca si yo fuera quien deuia, pudieralo sufrir ; pues de Ana, y de otras santas mugeres se rieron de verlas deuotas, y alcançaron lo que pedian, lo malo era, que yo era tan bobilla, que si me preguntaran que pedia a Dios con tantas reuerencias, no supiera responder, porque todo aquello yua en loco, y el mayor cuydado que yo tenia en quantas reuerencias hazia, era ver si salian buenas, y conforme a vn molde de reuerencias, que a mi me auia dado vna dama mesonera, gran muger de reuerencias. Concluydo mi centenario de reuerencias, bese la cruz de mi rosario como es vso y costumbre, y tome agua vendita, y hize como fiel Christiana, aunque en todo conozco mis faltas, si va a hablar de veras. 1014 Sabete que en esto de pedir yo lana, y traerla, y lleuarla por mi mano, tenia yo muchas e infinitas ganancias, que yo auia aprendido de hilanderas famosas. Que si como me enseñaron a hilar 1015 lana, me enseñaran a enhilar rosarios, ellas me aprouecharan mas y yo me engañara menos : pero ya vees que hago alarde de mis males, no a lo deuoto por no espantar la caça, sino a lo gracioso, por ver si puedo hazer buena pecadora [pescadora 1016]. 1017 [...] acuerdate, y verloas, que si el [el fullero] me glosò al agnus (yua a dezir que yo le glose, el quitolis [Agnus Dei qui tollis peccata mundi], pero no quiero, por el respecto de cosas santas aunque es gracia sin perjuyzio) confiesso que quede picadilla [...]. 1018 Llanamente el [el fullero] me compuso vna letania de epitetos, y gracias mias, que a ser yo tan blasfema, como el picaro del auto de Llerena fuerale respondiendo, ora pro nobis. 1019  















1014   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO DE la Picara Romera. Capitulo. IIII. De la romera de Leon. Num. 4. del pleyto de la Romera con Iustina », pp. 104-105. 1015   Forse è opportuno tener presente che “hilar o hacer un hilado es una de las muchas acepciones del mundo de la costura para el acto sexual” (María Inés Chamorro : Tesoro de villanos, p. 490). Cfr. anche Pierre Alzieu, Robert Jammes, Yvan Lissorgues : Poesía erótica del Siglo de Oro, p. 67 (nro. 45 : “Bras quiere hacer...), pp. 133-136 (nro. 77 : “Quien bien hila y tuerce...”), pp. 234-235 (nro. 118 : “Estábase Teresa de Locía...”), pp. 264-267 (nro. 133 : “Toda me has mojado.../ A tus manos blancas...”). Laurencia, per spingere gli uomini di Fuenteovejuna alla rivolta contro il Commendatore Maggiore di Calatrava, li insulta sanguinosamente : “Ovejas sois ... / Gallinas, ¡ vuestras mujeres / sufrís que otros hombres gocen ! / Poneos ruecas en la cinta / ... hilanderas, maricones, / amujerados, cobardes”. Cfr. Lope de Vega : Fuenteovejuna (Acto III, Escena III). In : Lope Félix de Vega Carpio Obras escogidas. Estudio preliminar, biografía, bibliografía, notas y apéndices de Federico Carlos Sainz de Robles. Tomo I. Teatro*, p. 846. Rueca en la cinta è la “Espada del rufián cobarde” (María Inés Chamorro : Tesoro de villanos, p. 718). Margit Frenk registra : “– Vámonos a akostar, Pero Grullo, / ke kantan los gallos a menudo. / - Hilar, hilar, Teresota, / ke si los gallos kantan, no es ora.” – “Oh, Pedro, Pedro, tengo sueño, y ¿podré acostarme ? – Hila, y luego, luego, hila, y luego sí... – Oh, Pedro, Pedro, ya he cosido y ¿podré acostarme ? – Ya es de día, ... y luego, luego, sí.” Cfr. Margit Frenk : Nuevo Corpus de la antigua lírica popular hispánica (siglos XV a XVII). Volumen II, p. 1240. Gonzalo Correas (Vocabulario de refranes y frases proverbiales, p. 41) raccoglie questo refrán dal significato chiaramente osceno : “Ábreme, hilandera de rueca, haréte la güeca.” Celestina dice a Sempronio : “Pocas virgines, a Dios gracias, has tú visto en esta ciudad que hayan abierto tienda a vender, de quien yo no haya sido corredora de su primer hilado.” Cfr. Fernando de Rojas (y « Antiguo Autor ») : La Celestina. Tragicomedia de Calisto y Melibea. Edición y estudio de Francisco J. Lobera y Guillermo Serés, Paloma Díaz-Mas, Carlos Mota e Íñigo Ruiz Arzálluz, y Francisco Rico, pp. 98-99. 1016   Nelle « Erratas », firmate “El Doctor Alonso Vaca de Sanctiago”, si corregge “pecadora, pescadora” (Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, fo. [4v]). Julio Puyol y Alonso (II, p. 228) e Antonio Rey Hazas accolgono la correzione, il primo richiamandosi alle « Erratas », il secondo tacitamente. Bruno Mario Damiani mantiene “pecadora”, senza accorgersi della avvenuta correzione o – comunque – senza confutarla, e commenta : “nótese la actitud cínica de Justina, que contrasta, desde luego, con el propósito moral del pícaro Guzmán” (La pícara Justina, p. 401, nota nro. 1078). Anche Rosa Navarro Durán mantiene “pecadora”. Cfr. Francisco López de Úbeda (Baltasar Navarrete) : Libro de entretenimiento de la Pícara Justina, p. 406. 1017   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO TERCERO DE LA PICARA PLEYTISTA. Capitulo segundo, de la Marquesa de las Motas », p. 205. 1018   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO : DE la Picara Romera. Capitulo. I. De la jornada de Leon. Numero segundo de la pulla del fullero », p. 17. 1019   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LI 



































































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capitolo ii

Cenamos, y no digo mas, porque sabiendo la cena y la gana, estasse dicho el cuento. Ya que vimos a la cena el fondo, y bebido de la bota de cuero de Araujo, remordiome la conciencia, y fui a destapar el perol de Sancha, hallela medio loca de contento, dandome por lo echo mas gracias, que si yo fuera el mismo benedicamus domino, en persona : parlaua tanto, y prometia tanto, que temi no se resoluiessen sus promessas en palabras, y las palabras en ayre, que es su fin y su principio : ya me enfadaua, y dixela madre acabe de dar gracias tan repicadas en canto de organo, dexelas por el Gloria in excelsis. 1020 Señor don besugo estrujado, no me enfade, que el dia que enterre a mi abuela, acabe con sacristanes, para todos los dias de mi vida, y crea que vn sacristan a media legua me huele a requiliternam [requiem aeternam] y a neque especias [“Oficio de Difuntos : Opera manuum tuorum, Domine, ne despicias” 1021]. Lo qual para vn viuo tan ruyn, y pecador como yo, es peor que rebueldo de descasado. 1022 Que dire de las musicas zorreras, con que me hazian tornar a la memoria el olor, del requieliternam [requiem aeternam], con que me sahumaron en el entierro de Rioseco. 1023 Yo confiesso que como no estaua exercitada, en estas salutaciones a lo diuino, no se me ofrecio que responder, porque ni sabia si le auia de dezir, & cum spiritu tuo, o Deo gracias, o sursum corda, mas a Dios y a uentura dixele, Amen. 1024 [...] la oracion breue diz que penetra los Cielos, y aun en vna oracion de ciego, oy dezir, que las oraciones breues, si son feruorosas, son como barreno de Gitano, o como ganzua de ladron, que en vn soplo hazen su effecto. 1025 [...] ya tenia mi mochillero hechado a mi jumenta todo buen recado de paja y ceuada, anduuo agudo el mochacho, porque en vn momento columbrò que en los pesebres auia reliquias, y pareciole darlas a besar a mi burra, porque ganase las dulugencias, cosa del Diablo, que en vn inuisible aparuo el muchacho vn gran monton de comida : solia el dezir que vn pesebre recien baziado, era la era de Dios, y que alli cogia el, mas que si sembrara [...]. 1026 [...] me mirauan a dos choros 1027 aquellos deceplinantes, que estauan en ringla, a la puerta de la Iglesia [...]. 1028  

























BRO SEGVNDO DE la Picara Romera. Capitulo quarto [segvndo !] del fullero burlado. Numero segundo : de la vergonçosa engañadora », p. 40. 1020   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « TERCERA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO De la Picara Romera. Capitulo 2. de la vizma de Sancha Gomez. Numero. 2. De la vizna [vizma] pegajosa », p. 151. 1021   Julio Puyol y Alonso : « Glosario », p. 209. 1022   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO TERCERO DE LA PICARA PLEYTISTA. Capitulo quinto, del sacristan importuno », p. 225. 1023   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO QVARTO DE LA PICARA NOBIA. CAPITVLO TERCERO DE LOS Pretendientes, que ni quiero, ni creo », p. 23. 1024   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO DE la Picara Romera. Capitulo quarto [segvndo !] del fullero burlado. Numero tercero de la burla del hermitaño », p. 53. 1025   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO SEGVNDO INTITVLADO LA PICARA Romera. En que se trata la jornada de Arenillas. CAPITVLO PRIMERO, de la Romera Baylona. Numero primero. De la castañeta repentina », p. 121. 1026   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « TERCERA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO De la Picara Romera. Capitulo 2. de la vizma de Sancha Gomez. Numero I. de la enfermedad, de Sancha la gorda », pp. 138-139. 1027   Julio Puyol y Alonso (« Glosario », p. 106) spiega : “Comparación sacada del modo de cantar las horas canónicas en las catedrales, colegiatas y conventos, cuyos respectivos capítulos se dividen en dos coros que van cantando alternativamente los versículos.” 1028   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO SEGVNDO INTITVLADO LA PICARA Romera. En que se trata la jornada de Arenillas. CAPITVLO PRIMERO, de la Romera Baylona. NVMERO SEGVNDO DEL Escudero enfadoso », p. 124.  















































le interpretazioni della pícara justina

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Repetia mil vezes. Que me lleuan que me lleuan los estudiantes. Desgreñabame y desgañabame, pero era vispras de regla en dia de atabales. 1029 En especial, que la Boneta me arropaua, porque pensassen que yo era la verdadera Boneta, y para que mi voz no sonasse, me hazia la mamona, y leuantaua el tiple, y el Obispote esforçaua el baxo. 1030 [...] voy derecha a la camara benedicta donde tenia la pecunia [...]. 1031 Holgarame de auer tomado por thema deste numero, aquel refran, que dize que quien hurta al ladron gana cien dias de perdon, de los concedidos por el Obispo de Sabado : de los quien los diere, que si perdones se ganaran, yo auia ganado Iubileo plenissimo. 1032 Estos perdones 1033 fueron para mi jubileo plenissimo, porque como parti sin cenar mas que de vna empanada, a la salida de la ciudad, traya picado el molino, y en vn punto comi tanto del perdon, que si como quedè sin pena, quedara sin culpa, fuera jubileo de veras. 1034 Como era la primera vez que me ojaldre, 1035 encendioseme la sangre con la bregadura : y excitose tanto el calor, que me derritio el pringue, de modo que quando llegue a la puente de villarente, que es legua y quarto de mansilla, tuue por buen partido, echar mi cara en remojo, y lauar toda la vncion que fue la extrema de aquel año. 1036 Los beodos, con mis grandes vozes, despertaron despauoridos, y como reconocieron, que estauan en medio de la plaça de mansilla, castigados por mi mano, y aun por la de Dios, como los de Senacherib, acudian a derribarse del carro a toda furia. Esta era la primera estacion, y no poco gustosa, porque al echarse del carro, dauan temerarios çarpaços, 1037 y sonauan a cueros, que se enxaguan, y los mas dellos chocauan por salir con toda prissa, y huyr de mis rigores, como los cueruos mansos y trabiesos, suelen derribar vn vidrio, vaso, o copa, y boluer el oydo para percebir con gusto el sonido, assi yo, aunque a rebencaços los derribaua, boluia el oydo a percebir el sonido del golpe. La segunda estacion 1038 era huyr con tal prissa, que parecia lleuauan cohetes en los posteriores. 1039  

























1029   Julio Puyol y Alonso (« Glosario », p. 254) spiega : “Durante los siglos XVI, XVII y XVIII [...] era costumbre en algunas festividades del año llevar atabales y atabalillos á la Catedral cuando se cantaban las Vísperas, cual sucedía, por ejemplo, el día de la Asunción [...]. El ruido de los atabales, resonando en aquel recinto, impediría oir el canto del coro [...]”. 1030   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO SEGVNDO INTITVLADO LA PICARA Romera. En que se trata de la jornada de Arenillas. CAPITVLO PRIMERO, de la Romera Baylona. NVMERO QVARTO DEL Robo de Iustina », p. 147. 1031   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO TERCERO DE LA PICARA PLEYTISTA. Capitulo quarto, de la heredera inserta », p. 216. 1032   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO SEGVNDO INTITVLADO LA PICARA Romera. En que se trata la jornada de Arenillas. CAPITVLO SEGVNDO DE LA Vigornia burlada. NVMERO TERCERO DE LOS Beodos burlados », p. 182. 1033   Julio Puyol y Alonso (« Glosario », p. 219) spiega : “Actualmente, siguen llamándose perdones (úsase siempre en plural) á las frutas que se venden en la Virgen del Camino los días de romería, y especialmente á las avellanas y piñones.” 1034   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO DE la Picara Romera. Capitulo IIII. De la romera de Leon. Numero primero de la romera dormida y dispierta », p. 76. 1035   Julio Puyol y Alonso (« Glosario », pp. 212-213) spiega : “Los Diccionarios no traen el verbo hojaldrar en la significación figurada que aquí tiene, ó sea de pintarse la cara, significación que, sin duda alguna, viene de que el hojaldre es la parte exterior de los pasteles que cubre el relleno que contienen.” 1036   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO DE la Picara Romera. Capitulo. I. De la jornada de Leon. Numero primero, Del afeyte mal[em] pleado », p. 7. 1037   Julio Puyol y Alonso (« Glosario », p. 151) spiega : “Las voces zarpazo y zarpada úsanse en León y en otros muchos sitios como equivalentes de caída, pancada ... ó pancuada.” 1038   Julio Puyol y Alonso (« Estudio crítico de la Pícara Justina », p. 67) considera “no muy respetuoso” il paragone tra queste scene in cui Justina flagella gli studenti della Bigornia e “las estaciones del Via Crucis”. 1039   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO SEGVNDO INTITV 

















































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capitolo ii

Se scarsa è la devozione di Justina – non certo una eccezione, in questo 1040 –, salda appare la sua fede, come testimoniano queste dichiarazioni esplicite (nella seconda, trascritta qui di seguito, la Pícara non resiste alla tentazione di scherzare) :  



1041

[...] no quiero meterme en agudezas : sino creer firmemente. [...] siendo yo de la Santa Trinidad, pues soy su criatura, y professo su Fé, y alabo su nombre, y en especial que entonces trahia vn habito de la Trinidad, que compre a vn padre sin licencia de mi madre [...]. 1042 [...] Christiana soy [...]. 1043 Yo creo en Dios : pero que ella [la vieja morisca] creya en el, crealo otro. [...] En las quatro oraciones, dezia mas heregias que palabras, que por no hazer agrauio a tan santas oraciones, no quiero conquistar la risa con trabucos de necedades, y aun blasfemias. 1044 Ella [la vieja morisca] bien me quisiera enseñar el oficio [de la bruxeria], por pegarme la sarna [...], pero no quise lo principal, por temor de Dios, y lo segundo porque siempre fuy enemiga de oficios que se hazen medio durmiendo como este de la bruxeria, en el qual por la mayor parte (como yo via) las bruxas se quedan amodorridas de sueño, y lo que en sueños hazen les persuade el diablo, que es de veras, con vnos enredos, que si los vuiera de contar como ella me los refirio, nunca acabara. Bueno es saber de todo, no para vsarlo, ni avn para saberlo, sino porque ya que se sabe, sirva de defenderse vna persona de bellacas bruxas [...]. Lo que es de mas importancia es sobre todo rezar. Lo segundo traer el Euangelio de san Iuan escrito. Y lo tercero benediciones santas [...]. 1045  













Nel riferirsi alla Inquisizione e agli inquisitori Justina è critica, talvolta velatamente, talvolta apertamente e arditamente :  

[...] me enteraron, que ofrecen las cantaderas de la perrochia de Señor [Sant] Marciel [...] vnas ciruelas, y aun no se si peras, o pan, o queso. Y aun me dizen que no solo ofrecen esto en aquella Iglesia, pero que pocos dias despues las mismas cantaderas lleuan en vn carro de bueyes vn quarto de toro, y le ofrecen a nuestra Señora, ay Dios que llaneza. Yo destas cosas de Iglesia, siempre LADO LA PICARA Romera. En que se trata la jornada de Arenillas. CAPITVLO SEGVNDO DE LA Vigornia burlada. NVMERO TERCERO DE LOS Beodos burlados », pp. 175-176. 1040   Parlando delle visite, nella Settimana Santa, alle Chiese di Valladolid, sfarzosamente addobbate di broccati e damaschi ricamati, Thomé Pinheiro da Veiga, dopo aver osservato che “os sepulchros de Lisboa ... levam em tudo muita vantagem, na invenção, curiosidade e devoção com que se fazem”, scrive : “O ordinario he correrem as Igrejas de dia, por que, como até as mais encerradas donzellas têm os dias todos por seus, não querem experimentar o sereno da noite ; e, como nas devotas he a devoção pouca, e as que o não são não têm necessidade de se aproveitar destas occasiões para sahir de casa, tendo sempre a porta aberta, recolhem-se com tempo ; e assim, em anoteicendo, achei as mais das Igrejas só com o sachristão” (Fastigimia, p. 20). Più avanti, nella « Descripção e historia natural e moral de Valhadolid », Thomé Pinheiro da Veiga noterà, come vedremo, che le castigliane non vogliono che “apertos de religião” limitino la loro ‘libertà’ (Fastigimia, p. 347). 1041   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO DE la Picara Romera. Capitulo quarto [segvndo !] del fullero burlado. Numero primo de la del penseque », p. 35. 1042   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO DE la Picara Romera. Capitulo. IIII. De la romera de Leon. Numero segundo del asno perdido », p. 86. 1043   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « TERCERA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO De la Picara Romera. Capitulo 2. de la vizma de Sancha Gomez. Numero. 2. De la vizna [vizma] pegajosa », p. 155. 1044   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO TERCERO DE LA PICARA PLEYTISTA. Capitulo tercero de la vieja Morisca », p. 209. 1045   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO TERCERO DE LA PICARA PLEYTISTA. Capitulo tercero de la vieja Morisca », p. 212.  

































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pense que era caso de Inquisicion el murmurar, porque sinò, desta ofrenda, y del tributo de las pescadas ajos, y puerros. A fee que les auia de dar vna matraca, que les embiara a Egypto, a los Leoneses : no para hazer agrauio a nadie (que bien se que todo es santidad, y nacio de la antigua deuocion pura y llana) sino para entretenerles, y galopearles el gusto : mas como temo, no quiera algun bachiller yr a mi costa, a besar las manos a los señores Inquisidores, no quiero meterme en agudezas : sino creer firmemente. 1046 [...] le dio vna correccion fraterna la hermana mesonera : a la qual estuuo descaperuçado y tan temeroso, como si fuera penitenciado por la Inquisicion. Y assi era : sino que la Inquisicion no era santa. 1047  













Anche nello stigmatizzare il fanatismo dei sacerdoti all’antica, inclini a denunciare al Santo Uffizio come espressioni blasfeme e sacrileghe, o addirittura come proposizioni erronee, scandalose ed eretiche, innocue frasi scherzose, Justina – che non denuncia all’Inquisizione neppure le pratiche negromantiche della “vieja morisca” 1048 – critica severamente, sia pur in maniera indiretta, la temibile istituzione che, evidentemente, tali denunce accoglieva. (In realtà le “gracias” di Justina sulle reliquie potevano far sorgere il sospetto che costituissero una critica del culto delle reliquie e quindi una prova, o un indizio, di adesione al protestantesimo e, in particolare, al calvinismo, che tale culto avevano duramente stigmatizzato. Dopo il Concilio di Trento, che aveva considerato fondamentalmente legittima la venerazione delle reliquie, l’attenzione maggiore dell’Inquisizione era dedicata al controllo della purezza della fede del popolo – soprattutto della popolazione cristiano-vieja delle campagne 1049 –, alla sua edificazione e alla sua educazione religiosa ; e cosí le “paroles malheureuses plus que véritables hérésies, que peut lâcher un ignorant à la langue trop bien pendue”, costituivano la grande massa dei piccoli delitti perseguiti, commessi in larga parte dai ‘vecchi cristiani’. 1050)  







1046   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO DE la Picara Romera. Capitulo quarto [segvndo !] del fullero burlado. Numero primo de la del penseque », pp. 34-35. 1047   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO De la Picara Romera. Capitulo IIII. de la romera de Leon. Numero 5. del engaño meloso », p. 114. 1048   “[...] no denunciè della [la vieja morisca], porque como ignorante se me escapò la obligacion que yo tenia de dezirlo a los señores Inquisidores, y si la hize, bien fue por la natural obligacion que tiene cada qual a querer bien a quien le haze bien. Estauamos como madre y hija...” (Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO TERCERO DE LA PICARA PLEYTISTA. Capitulo tercero de la vieja Morisca », p. 213). Julio Puyol y Alonso (II, p. 236) corregge tacitamente “y si la hize, bien fue”, spostando la virgola : “y si la hize bien, fue”. Antonio Rey Hazas (2, p. 658) e Rosa Navarro Durán (p. 413) fanno lo stesso. 1049   Cfr. Historia de la Inquisición en España y América. Obra dirigida por Joaquín Pérez Villanueva y Bartolomé Escandell Bonet. I. El conocimiento científico y el proceso histórico de la Institución,1478-1834. Madrid : Biblioteca de Autores Cristianos 1984, pp. 704-705. 1050   Jean-Pierre Dedieu : Le modèle religieux : Les disciplines du langage et de l’action. In : Bartolomé Bennassar : L’Inquisition espagnole, XVe-XIXe síècle. Paris : Hachette 1979, pp. 241-267 ; qui pp. 241-242. Cfr. inoltre Gustav Henningsen : El ‘Banco de datos’ del Santo Oficio. Las relaciones de causas de la Inquisición Española, 1550-1700. In : Boletín de la Real Academia de la Historia 74 (1977), 547-570. – Jean-Pierre Dedieu : Les causes de foi de l’Inquisition de Tolède (1483-1820). Essai statistique. In : Mélanges de la Casa de Velázquez XIV (1978), 143171 ; qui pp. 155-158. – Jean-Pierre Dedieu : Les archives de l’Inquisition, source pour une étude anthropologique des vieux-chrétiens. Un exemple et quelques réflexions. In : La Inquisición española. Nueva visión, nuevos horizontes. Director del volumen : Joaquín Pérez Villanueva. Madrid : Siglo XXI de España Editores 1980, pp. 893-912. – Jaime Contreras : El Santo Oficio de la Inquisición en Galicia, 1560-1700. Poder, sociedad y cultura. Madrid : Akal 1982, pp. 554-569, pp. 580-590. – Jean-Pierre Dedieu : L’administration de la foi. L’Inquisition de Tolède, XVIe-XVIIIe siècle (= Bibliothèque de la Casa de Velázquez, 7). Madrid : Casa de Velázquez 1992, pp. 297-307. – Henry Kamen : The Spanish Inquisition. A Historical Revision. New Haven - London : Yale University Press 1997, pp. 255-282. – Michel Boeglin : L’Inquisition espagnole au lendemain du concile de Trente. Le tribunal du Saint-Office de Séville (1560-1700). ETILAL. Université Montpellier III (Université Paul-Valéry) 2003, pp. 142-145, pp. 546-569. Secondo Michel Boeglin, mentre negli anni 1592-1599 i cristianos viejos costituivano il 15% dei  





























































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capitolo ii

Tambien me dixeron que les mostraron seys cabeças de virgines, las tres bien puestas, bien labradas y adereçadas, con vnas piedras que fueran preciosas, si todo lo que reluze fuera oro. Las otras dos o tres las tienen en vnas caxas de vna madera muy no se como, y hizoles lastima su mal aliño. Mas esto de la pobreça haze que las cosas esten al justo del possible, y fuera del nibel del desseo. Yo mando dos reales de limosna para el adereço, y ruego que pidan para ellas, que quando todas las picaras den tanto como yo prometo, yo creo que en son de hazer cabeças de virgines, podran hazer otras tantas de lobo. Como quando yo oya esto, yua diziendo algunas gracias, quiso mi ventura, que vn cura muy aficionado a los frayles de aquella orden que me auia venido escuchando, y lleuaua muy mal las gracias, que yo dezia rompio la presa de subito, y queriendo hazer la correccion fraterna, cogio vn periquillo de predicarme, con vn hipo como si vuiera jurado a Dios, de conuertir esta mi anima pecadora, que es muy proprio de necios tener las gracias por agraz, y pensar que todo donayre es ayre corrupto, y todo entretenimiento tiempo perdido. Començo a dar vozes, diziendo. Aqui de la Inquisicion que murmura de los conuentos de Dios, aqui del Rey, que dize mal de los monasterios reales, y no le falto sino dezir, al arma, al arma, que es el cuerpo del Draque, y el anima de Luthero. [...] No vees que necio, miren de que se enojò de oyrme dezir gracias. Como si mis donayres fueran bombardas, que mal sabia este buen señor que no ay mejor rato que vn poco de gusto. No ay hombre discreto que no guste de vn rato de entretenimiento y burla. [...] Tambien y todo, aora que no me oye el clerigo, es necedad pensar, que a vna muger [que vna muger !] que dize vna gracia, luego es hereja. Si que Christianos somos, y aunque no sabemos artes ni toldogias, pero vn buen discurso, y vna eutrapelia, bien se nos alcança, sino que estos hombres del tiempo viejo, si dan en ignorantes, piensan que no ay medio entre heregia, y Aue Maria. 1051  



In un altro lungo passo Justina, schernendo il fullero Marcos Méndez Pavón per la burla dell’Agnus Dei che gli aveva giocato, si riferisce alla Inquisizione, ma – almeno cosí pare a noi 1052 – senza intento polemico (la polemica della Pícara, che sorprendentemente si definisce ora cristiano-vieja, è tutta rivolta contro i conversos, discendenti degli ebrei ‘deicidi’) :  



[...] si le parece que mi burla es caso de Inquisicion, hable a essos señores : y cuenteles el caso que quiça les entretendra y aliuiara vn poco del cansancio que suelen tener de tratar con algunos tan grandes bobibellacos como el. Ello bien puede ser caso de Inquisicion, mas crea que no me acusa la conciencia del auer consentido deliberadamente en pensar que vna imagen de vn Christo crucificado, en poder de vn sayonaço como el, no andaua seguro : y es charidad quitar la ocasion. Alegarme ha en su fauor que fueron parientes suyos, los que labraron la cruz a Christo. Pues pesia tal con el, labro vna de palo, y quiere posseer en pago, vna de oro ? Para renouar memorias, vna de palo le bastaua : demas de las muchas que haze cada momento, en los dedos para jurar que pierde, aunque gane. Linda maña, mentir aboque de abaque, 1053 y ay esta la cruz que lo atestiguara.  









condannati dal Tribunale del Sant’Uffizio di Siviglia, negli anni 1600-1620 quasi la metà delle cause riguardava proprio i ‘vecchi cristiani’ (p. 135, p. 143). 1051   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « TERCERA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO De la Picara Romera. Capitulo primero. De la mirona gustosa. Numero primero. De la Mirona fisgante », pp. 125-226 [126 !], pp. 228 [128 !]-129. 1052   Thomas Bodenmüller, a proposito della burla dell’Agnus Dei e dei riferimenti all’Inquisizione, scrive invece : “Justina steigert die Blasphemie ihrer burla noch, indem sie sich gegen etwaige Vorwürfe der Inquisition mit der Begründung verteidigt, sie habe den Kruzifixus nur aus den Fängen seines frevlerischen jüdischen Besitzers befreien wollen” (Literaturtransfer in der Frühen Neuzeit, p. 149). 1053   Julio Puyol y Alonso (« Glosario », p. 103) dà questa spiegazione : “La frase quiere decir mentir largo y tendido ó mentir á troche y moche, pero no la hemos visto empleada por otro autor.” Rosa Navarro Durán propone, invece, un’altra lettura : “Como no he encontrado ni « aboque » ni « abaque », propongo la lectura a boca de [alta] baque ; el escritor usa varias veces el término altabaque, « cestillo » ; apoyándome en que existe « a boca de costal », me inclino por este nuevo sintagma”. Cfr. Rosa Navarro Durán : « Introducción » a : Francisco López de Úbeda (Baltasar Navarrete) : Libro de entretenimiento de la Pícara Justina, p. LXXIX.  















































le interpretazioni della pícara justina

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Aora bien, vnas buenas nueuas le quiero dar, [y] son que los Christianos viejos le damos licencia, para que pueda traer al cuello vna cruz de palo, para que Dios le libre de los relampagos de Iustina, aunque a vn motolito como el, debaxo de los pies le saldran ocasiones y peligros que temer, que para los bobos se hizo la mala fortuna, y mal caso : que a los discretos nada les sucede de a caso, porque todo lo preuienen. 1055  





Justina critica i “Teologos de bodega”, i “nuovi” teologi “buscaderos” (i gesuiti ?), i teologi sciocchi (glossa marginale : “Alborbolas de necios Teologos”) e licenziosi, i sacerdoti golosi, i canonici e i sacrestani lascivi :  





[...] yo oy dezir a bulto a algunos Teologos de bodega, no se que casos de las cosas mostrencas, y de que la necessidad gradua a las gentes de Licenciadas [...]. 1056 Aduierte, y no te engañes, que si no miras mas de a como lo he contado, es como caso de conciencia, en materia de restitucion, puesto por boca del mismo mercader interesado, que lo afeyta de manera que si encuentra vn nueuo Teologo, buscadero, de los de a ciento en carga, no solo le tumbara : pero harale parecer que vn promontorio de injusticia es monte de piedad, y vna manifiesta vsura es vna variedad heroyca. 1057 [...] me culpò vna vez vn sota Teologo, que me dixo en vna venta, y sobre mesa (sabe Dios con que intencion) que el sustentaria, que el mayor pecado del mundo, era retozar con la bolsa, y que esto defenderia en publica disputa. Hi de puta traydor, sin duda lo dixo por concluir, que era menor pecado el retozar con las gentes, que con la bolsa. Nunca argui tanto como con aqueste cabrahigo de Teologia, oye lo que le dixe, que aunque es necedad, meterse las hembras a tontologas, con todo esso se que te olgaras de verme metida a Teologa, dixele, señor talego (digo Teologo) no niego que burlas con la bolsa, traen consigo carga de restitucion. Bien se que es gran pecado : pero no ay porque hazer alborbollas, sabiendo que vna gran necessidad, aunque no todas vezes escusa del todo, pero siempre escusa en parte, que aun los sabios [...] dieron a entender, que no ay pecado mas escusable, que aquel que procede de la necessidad de comida y sustento. 1058 Estuuo tan necio que se pusso a disputar con migo, como si yo fuera la misma Vniuersidad de Bolonia, y arrojaua terlogias de dos en dos, como pernadas de mulo que no auia quien asiesse vna. Si alguna dixo que se le pudiesse apuñar, fue, que mirasse, que por gula se perdio el mundo. Yo pardiez como vi que la Teologia me auia venido a las manos, dixele, ay vera que este pecado de la gula no es tan desesperado, pues aunque fue principio de nuestros primeros males, tambien fue ocassion de nuestros postrimeros bienes, tomaos con Iustina si se ha emboscado por el parayso Terrenal ? que pensauan ? Concluy la disputa con darle vn corregimiento hermanal, diziendo, hermanito, ya que es sembrador, no me siembre de espinas el camino del cielo, distinga entre el ser gulosa, y pecar contra el Espiritu Santo, no quiero dezir, que no es mal hecho, que Christiana soy, y bien se me entiende que comer a costa agena, no esta en ninguna de las siete obras de misericordia [...], sino que es malo y remalo, pero no nos quiera dezir, que todos los pecados son de vna marca [...]. 1059  















1054   Julio Puyol y Alonso (La Pícara Justina II, p. 80), Antonio Rey Hazas (la pícara justina II, p. 452), Bruno Mario Damiani (La pícara justina, p. 276) e Rosa Navarro Durán (Francisco López de Úbeda : Libro de entretenimiento de la Pícara Justina, p. 264) omettono la parola buenas. 1055   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO DE la Picara Romera. Capitulo. III. De las dos cartas graciosas », pp. 67-68. 1056   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO DE la Picara Romera. Capitulo. IIII. De la romera de Leon. Numero segundo del asno perdido », p. 86. 1057   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO TERCERO DE LA PICARA PLEYTISTA. Capitulo segundo, de la Marquesa de las Motas », pp. 204-205. 1058   È quanto sostenevano Domingo de Soto, Francisco de Toledo, Pedro de Aragón e tanti altri teologi. Cfr. A. Martino : Il Lazarillo de Tormes e la sua ricezione in Europa (1554-1753). Volume I. L’opera, pp. 424-425. 1059   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « TERCERA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO De la Picara Romera. Capitulo 2. de la vizma de Sancha Gomez. Numero. 2. De la vizna [vizma] pegajosa », pp. 154-155. Luc Torres (Discours festif et parodie dans La Pícara Justina, pp. 322-331) analizza  



















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capitolo ii

O que lindo ? Missa aora ? Por Dios señora hermosa, que lo que es Missa, bolô : Que en este punto, dize la postrera el cura de Guaça, por señas que entre Dominus vobiscum y amen, no dexaua tragar saliua al monazillo. Que aunque se puede pensar, que lo haze por no hazer falta a vn combite de boda, pero creo que es, porque los clerigos no dizen Missa despues de medio dia. 1060 A lo mejor de mi miradura entro gran tropa de canonigos bestidos de blanco, las camisas sobre el sayo que yuan entrando al coro, por diferentes puertas, yo (como era la primera vez que vi cosa semejante) pense que era la hueste : mas despues viendo que eran hombres como los otros les perdi el miedo. Tras esto vinieron vnas danças de moças, que llamauan las cantaderas : y guiada por este nombre pense que auian de cantar en el coro las visperas con los canonigos, como quando cantan las siuillas, y como vi pocas sillas : respecto del mucho numero de preuendados que me dizen ser ochenta y quatro, y que las cantaderas eran mas de cincuenta, pense que en cada vna silla, auian de estar cantando, vn canonigo y vna cantadera ; mas todo fue pensar en vago, que no yuan a cantar sino a baylar por cierto que las pudieran llamar vayladeras, y no cantaderas, y ahor[r]arnos de vn penseque de los muchos que me sobrauan : y ay de mas de quatro que yo no digo. 1061 En resolucion dentro del termino peremtorio que pedi a la moza corredora, y a la vieja corrida, saque mas de diez y seys reales, en moneda de bellon, sin vn patacon de a ocho que me metio en las manos vn Canonigo que deuia de ser vn santo, a lo menos si tenia tanta mano para con Dios, como para conmigo, el pudo medir el camino del Cielo a palmos. 1062 [...] yo le dixe. Señor la limosna de la sepultura no es alquiler de casa que se paga a embiones, ni quiero dares ni tomares con sacristanes, no quiero censos de quita, y pon : con gente ecclesiastica, que anda cada dia entre la cruz y el agua bendita, ve aqui todo su dinero, y vayase con la paz de Christo. [...] Y se fue [el sacristan], haziendo mas reuerencias que ay en vn conuento de frayles. 1063  

























I predicatori Justina li menziona con tanta frequenza che Julio Puyol y Alonso ha osservato che forse si potrebbe supporre che “al autor de la Pícara no le era desconocido el menester de la predicación”. 1064 Ricordiamo qui i passi nei quali predicatori, sermoni e sermonari sono trattati con burlesca irriverenza :  



dettagliatamente queste due pagine e le interpreta come una parodia della casuistica morale e dei manuali per confessori, che – come il Manual de confessores, y penitentes, que clara y breuemente contiene, la uniuersal y particular decission de quasi todas las dubdas, que en las confessiones suelen ocurrir de los pecados, absoluciones, restituciones, censuras, irregularidades (En Toledo por Iuan Ferrer. Año de 1554. – Impresso en Salamanca, en casa de Andrea de Portonarijs, Impressor de la S. C. Magestad. i556. – M.D.LVII. – M.D.LVII. – En Anvers. En casa de Martin Nucio. M.D.LV. – En Anvers, En casa de Ioan Steelsio. M.D.LVII. – En Anvers En casa de la Biuda y Herederos de Iuan Stelsio. M.D.LXVIII. – Madrid 1574) di Martín de Azpilcueta o la Svmma de casos de consciencia con aduertencias muy prouechosas para Confessores (En Salamanca, Por Juan Fernandez. 1594. – 1595. – 1596. – 1597. – 1598. – 1599) di Manuel Rodrígues (O.F.M.) – erano molto diffusi dopo il Concilio di Trento. 1060   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO SEGVNDO INTITVLADO LA PICARA Romera. En que se trata la jornada de Arenillas. CAPITVLO PRIMERO, de la Romera Baylona. Numero primero. De la castañeta repentina », pp. 120-121. 1061   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo : Cristoual Lasso Vaca 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO DE la Picara Romera. Capitulo quarto [segvndo !] del fullero burlado. Numero primo de la del penseque », pp. 31-32. 1062   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO DE la Picara Romera. Capitulo. IIII. De la romera de Leon. Numero tercero de la romera enuergonzante », p. 92. 1063   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO TERCERO DE LA PICARA PLEYTISTA. Capitulo quinto, del sacristan importuno », p. 223. 1064   Julio Puyol y Alonso : « Estudio crítico de la Pícara Justina », p. 73. Piú avanti lo studioso, dopo aver citato numerosi passi della Pícara Justina su predicatori e prediche, scrive : “Convéngase en que éstas y otras que se omiten, serían muchas referencias á un mismo asunto para hechas por quien fuese completamente extraño á las prácticas del púlpito” (p. 75).  



























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[Glosse marginali : Dicho ridiculo de vn predicador del Miercoles de Ceniza. – Fisga del dicho.] [...] Donde vas a parar Justina ? Pardiez que si no me hablaras a la mano, por pocas parara en el Miercoles de Ceniza, y dixera acuerdate hombre que eres ceniza. Mas no voy a esso, que quando yo me huuiera de meter a predicadera de los encenizados, no me faltara que dezir, aunque no fuera, sino lo que oy, a vn predicador, que predicaua coplas desleydas, y viniendo a tratar del Euangelio de aquel dia dixo. Hermanas el Euangelio que se ha cantado en la Missa de oy, dize, que el dia que ayunaredes, vnteys la cabeça, y laueys la cara. [S. Matteo VI, 17.] Mas vosotras las mugeres, (como en todo andays al reues) hazeys esto a la trocadilla : que vntays las caras, y lauays las cabeças. No me descontentô el puntillo de este padre ceniciento, porque valia qualquier dinero, para si yo fuera quien le predicara, o para el, si el sermon fuera en la ronda, o entre las cercas, o en la lumbre, assando castañas, mas en el pulpito, pardiez que fue vna de las catorze. Por otra parte, no me espanto, que quiza lo hallô aquel bendito, escrito en algun cartapacio de alquiler, y se le dieron con condicion que lo dixesse todo como en ello se contenia, y emborrólo. O quiça de puro respeto, o de verguença. Tambien le escvso, por ignorante : pero no de ser ignorante. 1065 Pero quien me haze a mi portazguera de pulpito, ni alcabalera de echacueruos ? Mas no importa, que las necias (digo) las mugeres, siempre tenemos pagado el alquiler de los cascaueles, para entrar en esta dança. 1066 Pero cierto que no yua a dezir nada desto de predicas, sino que se atrauessô el acho, y birlele. 1067 [...] dezia vn papelista de aqui de Salamanca, que como no ay sermonario que no tenga junto con la pascua la quaresma, tampoco ay plazer carnal, que junto a vn oy no tenga vn ay, y junto a vn peque, vn por [« Erratas » : pené][ ;] ello[,] el exemplo[,] no es muy a pelo, pero passe, siquiera porque no se quexen los papelistas, que no entran en la picarada, y ansi es bien que los citemos siquiera a vna vez de remate. 1068 Esto del disimular (segun yo oy a vn predicador) aunque seamos santas lo hazemos : y traxo a proposito que Esther fingio delante del Rey Asuero, estar tan flaca que no podia tenerse en pie sin el arrimo de vna dama, de palacio, y traxo de Iudich, que fingio no ser viuda, y otras cosas, y la muger de Abraham fingio que era su hermana. Pareceme que dixo que auian fingido, sin mentir. Yo no dixera assi, sino que auian hecho aparencia de ficcion. Mas que boba ? aora me subo yo a quebrar pulpitos ? Baxome con dezir que no se espante[n] que las pecadoras sepamos fingir y dissimular. 1069 [...] todo aquel ruydo auia nacido de mi inocencia, y de la falta de auer cursado vocabularios de romeria, no cessaria [cessauan 1070] de reyr, el [al 1071] ver que tenia yo por pulla el dezir que me querian lleuar al humilladero, mas de mi inocencia no ay mucho que espantar : porque yo auia oydo dezir a buenos predicadores de mi pueblo que quando se cuenta a lo Diuino algun mal recado de alguna virgen loca, se significa, diziendo que la humillaron : Lo qual se funda, en que no ay cosa que mas entone a vna muger que el tener su caudal entero, ni que mas la humille  









































1065   Julio Puyol y Alonso (La pícara Justina. I, p. 130) omette nel testo la frase “pero no de ser ignorante”, ma nelle « Erratas » colma la lacuna). 1066   Julio Puyol y Alonso (« Glosario », p. 112) : “La locución tener pagado el alquiler de los cascabeles, se empleaba para dar á entender que una persona podía obrar con completa libertad en algún asunto.” 1067   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO PRIMERO, INTITVLADO LA PICARA Montañesa. CAPITVLO SEGVNDO [TERCERO !] DE LA vida de el meson. NVMERO TERCERO DE LA muerte de los Mesoneros », pp. 108-109. 1068   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO : De la Picara Romera. Capitulo I. De la jornada de Leon. Numero tercero. de la entrada de Leon », p. 23. 1069   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO DE la Picara Romera. Capitulo quarto [segvndo !] del fullero burlado. Numero segundo : de la vergonçosa engañadora », p. 39. 1070   Cosí corregono nelle loro edizioni Julio Puyol y Alonso (Tomo II, p. 117], Antonio Rey Hazas (2, p. 500) e Rosa Navarro Durán (p. 300). 1071   Cosí correggono Antonio Rey Hazas (2, p. 500) e Rosa Navarro Durán (p. 300).  





























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capitolo ii

que lo otro, digo si se sabe, que si es oculto siguen su trote. En fin yo me tripule en el nombre de humilladero, y fue la causa del tripularme, y del engaño esta negra habla Española que despues que ay sermones impressos en romance, da de si mas que vnto de anguila [...]. 1072 Con esta ocasion pasè de largo sin ver el monasterio mas que por defuera. Solo pude echar de ver que aquel monasterio tiene mas tierra que el Escorial. Entiendese en las tapias. Por esso dezia el otro. Dios te dexe hijo tratar con gentes llanas que hazen las casas a maçadas. Verdaderamente que quando los predicadores quisiessen dezir a los hombres, que sus cuerpos son casas terrenas, les podrian dezir, acuerdate hombre que tu cuerpo es casa leonesa, que en nuestro lenguaje jacarandino, seria dezirle, acuerdate que tu cuerpo es terreno, y desmoronadizo. 1073  



La critica più severa Justina – le cui frecciate contro predicatori e sermoni sono quasi innocue in confronto a quello che, come vedremo, sui predicatori castigliani e le loro prediche scrive il Cavaliere di Cristo Thomé Pinheiro da Veiga nella sua Fastigimia 1074 – la rivolge ai confessori che assolvono “los malos escriuanos” e “los letrados injustos”, affermando che sono questi confessori ad essere condannati a soffrire nell’inferno le pene maggiori (come abbiamo visto, gli autori del Tribunal de la justa venganza avrebbero condannato Quevedo al rogo per aver accusato nel suo Infierno i confessori di vendere le assoluzioni) :  



Si no me tuuiera Dios de su mano, yo vuiera caydo en la tentacion de regalarla [rogarla ! : la morisca], que pues sabia tanto de nigromancia, me resucitasse a mi padre [...]. y a fee, que si a mi padre resucitara le auia de preguntar que quien libraua peor en el infierno, porque me han dicho que los que mas carena lleuan, son los malos escriuanos, y otros que los letrados injustos, y otros hablan diuersamente, pardiez yo sospeche que me dixera, que ni vnos ni otros, sino los confessores absoluedores destos, pues sin zelo de gusto ni intereses, los absueluen como ignorantes. 1075    



Justina, che nel primo tomo della ‘autobiografia’ racconta il periodo della sua vita di giovane donna, ‘libera’ e maestra “de lo criminal”, 1076 anteriore alla ‘conversione’ – questa sarebbe stata narrata nella seconda parte del Libro II del secondo tomo (“Y si Dios me da salud veras lo que passa en el vltimo tomo en que dire mi conuersion” 1077) –, riferisce esplicitamente le dichiarazioni sulla sua mancanza di devozione ai suoi anni giovanili (“el tiempo que mis mocedades me trahian como corcho sobre el agua”), sottolineando, nello stesso tempo, il suo cambiamento spirituale (“Ya soy otra...”). Queste dichiarazioni hanno quindi la funzione di marcare il processo di trasformazione spiri 



1072   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO DE la Picara Romera. Capitulo. IIII. De la romera de Leon. Num. 4. del pleyto de la Romera con Iustina », p. 192 [102 !]. 1073   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « TERCERA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO De la Picara Romera. Capitulo primero. De la mirona gustosa. Numero primero. De la Mirona fisgante », p. 124. 1074   Cfr. Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, pp. 24-25. 1075   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO TERCERO DE LA PICARA PLEYTISTA. Capitulo tercero de la vieja Morisca », pp. 211-212. Nelle Consideraciones del Martes después del Domingo de Pasión Fray Alonso de Cabrera aveva esclamato : “Y vos, confesor, que estáis muy contento con vuestros hijos y hijas, en que entra la ramera honrada, y el escribano ladrón y el mercaderazo rico logrero. Todos hallan quien los absuelva y tienen sus padres de penitencia : Canes muti non valentes latrare (Isaí., 56). Que con un pedazo de pan, sin que quiera, les dan un tapaboca que les hacen callar. No dice non volentes, sino non valentes. Que no pueden ladrar contra los vicios” (Sermones, p. 361). 1076   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO DE la Picara Romera. Capitulo. I. De la jornada de Leon. Numero primero, Del afeyte mal[em] pleado », p. 3. 1077   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO DE la Picara Romera. Capitulo. IIII. De la romera de Leon. Numero tercero de la romera enuergonzante », p. 99.  



























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tuale della protagonista da giovane ‘libera’ e scarsamente devota (ma fermamente credente) a donna matura convertita. Le osservazioni sulla Inquisizione – in particolare l’insinuazione (“la Inquisicion no era santa”), pericolosa ma effettuata con un cauto funambolismo (l’espressione è riferita grammaticalmente alla ‘inquisizione’ della locandiera), sulla non-santità della istituzione santa per definizione e la prudente (in realtà, imprudente !) confessione dell’autocensura, accompagnata, per evitare rischi e malintesi, da una ferma professione di fede (“mas como temo, no quiera algun bachiller yr a mi costa, a besar las manos a los señores Inquisidores, no quiero meterme en agudezas : sino creer firmemente”) – sembrano, invece, trascendere le circostanze occasionali che le hanno originate ed avere validità non solo nel tempo narrato, ma anche in quello presente. Esse paiono, inoltre, esprimere non solo una opinione della protagonista, ma una convinzione personale dello stesso autore. Anche la poco benevola raffigurazione di preti fanatici, sciocchi e ignoranti, di predicatori sprovveduti o di ‘teologi’ disonesti e immorali, e, in particolare, dei “Teologos de bodega”, dei “nuovi” teologi “buscaderos”, sofisti capaci di fare apparire in una luce fortemente positiva la maggior ingiustizia e la più evidente usura, rivela chiaramente una forte antipatia dell’autore verso certi rappresentanti della Chiesa. In sé e per sé questa poco benevola raffigurazione non può però essere considerata né particolarmente severa (apparirebbe addirittura del tutto innocua se paragonata con la descrizione che della corruzione e dei vizi di tanti rappresentanti della Chiesa – dai frati, ai canonici, ai vescovi e allo stesso Papa – aveva fatto, nella migliore tradizione ‘savonaroliana’ del suo Ordine, il domenicano Fr. Pablo de León nella sua Guía del Cielo 1078), né particolarmente audace (proprio nella repressione dei discorsi antiecclesiastici l’Inquisizione era, infatti, poco attiva 1079). Inoltre nella raffigurazione negativa di certi tipi di religiosi, che aveva da Juan Ruiz 1080 a Cristóbal de Villalón, 1081 da Alfonso de Valdés allo sconosciuto autore del Lazarillo e a Sebastián Horozco, 1082 una tradizione letteraria plurisecolare, 1083 scrittori come Juan Martí e Quevedo e lo stesso Fray Andrés Pérez, negli stessi anni della elaborazione della Pícara Justina, si erano spinti molto più in là attaccando non semplici preti, ma prelati 1084 e addirittura i  

















1078   Cfr. Alberto Martino : Il Lazarillo de Tormes e la sua ricezione in Europa (1554-1753). Volume I. L’opera, pp. 478-483. 1079   Meno del 5% delle cause intentate fra il 1560 e il 1638 dalla Inquisizione sivigliana per parole e proposizioni scandalose riguardavano la Chiesa e i suoi ministri (cfr. Michel Boeglin : L’Inquisition espagnole au lendemain du concile de Trente. Le tribunal du Saint-Office de Séville, p. 502, p. 514). 1080   Cfr. Juan Ruiz : Libro de buen amor. Edición crítica de Joan Corominas. Madrid : Gredos 1973, pp. 225-231 (strofe 493-496, 503-507). 1081   Cristóbal de Villalón : El Crótalon de Cristóforo Gnofoso. Edición de Asunción Rallo. Madrid : Cátedra 1990, Canto XVII, pp. 379-392 ; Canto XVIII, pp. 410-411. 1082   Cfr. Sebastián de Horozco : Teatro Universal de Proverbios. Edición, introducción, índices y glosario de José Luis Alonso Hernández, pp. 36-37 (nro. 9-10), p. 60 (nro. 140), p. 77 (nro. 235), p. 167 (nro. 697), pp. 197-198 (nro. 852-854), p. 394 (nro. 1870), p. 426 (nro. 2018), p. 485 (nro. 2297), p. 602 (nro. 2893). 1083   Cfr. Kenneth R. Scholberg : Sátira e invectiva en la España medieval (= Biblioteca Románica Hispánica. II. Estudios y Ensayos, 163). Madrid : Gredos 1971, pp. 149-161, pp. 269-272. – Kenneth R. Scholberg : Algunos aspectos de la sátira en el siglo XVI (= Utah Studies in Literature and Linguistics, XII). Bern : Peter Lang 1979, pp. 85-108. 1084   “No se me van por alto los Prelados Eclesiasticos, que conuierten la renta de pobres en banquetes y platos, trocando el nombre de carga en estado de honra mundana : y de miradores y pastores, se bueluen mirados y apacentados” (Segvnda Parte de la vida del picaro Guzman de Alfarache. Compuesta por Mateo Luxan de Sayauedra, natural vezino de Seuilla. Madrid : Imprenta Real 1603, Libro Tercero, Cap. II, p. 277). Parlando della rinunzia di San Raimondo alla mitra, Fray Andrés Pérez scrive : “ser Obispo, no es tener muchos pajes, ni baxilla, no es que le llamen Señoria al que nacio entre dos terrones. No es comer bien, ni ser el mas honrado del pueblo, sino ser dechado de virtud, y espejo, en que resplandezca la pureza, del Christianismo. Esto es conocer bien las  





























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Papi. 1085 Neppure può essere considerata, in sé e per sé, come particolarmente audace e originale, data la sua diffusione in vari ambienti intellettuali del XVI secolo, la critica di riti e cerimonie e di certe forme di devozione popolare (fra le quali le autoflagellazioni e le romerías, rappresentate negativamente dall’autore della Pícara Justina, che chiaramente – pur non affermandolo esplicitamente – non le considera pratiche religiose pie ma, piuttosto, ipocrite, utilizzate per corteggiare l’amata, le prime, per avere occasioni di divertirsi liberamente, le seconde). 1086 Considerando però non isolatamente ma nel loro insieme la negativa raffigurazione di alcuni tipi di chierici, di ‘teologi’ e di predicatori e la critica della Inquisizione, del culto esteriore e della devozione popolare (riti, cerimonie, autoflagellazioni, pellegrinaggi, venerazione delle reliquie), si delinea l’immagine di un autore anticonformista che, sia pur con moderazione, prudenza e astuzia, osa esprimere il suo dissenso verso certi rappresentanti della Chiesa, verso costumi, pratiche e opinioni comuni e, in particolare, verso il Sant’Uffizio. Questo anticonformismo, che si era diffuso negli ultimi decenni del XVI e nei primi anni del XVII secolo fra le élites intellettuali e aristocratiche, negli Ordini religiosi – in quello domenicano, soprattutto –, nell’alto clero e addirittura nella più elevata gerarchia inquisitoriale, fece maturare, come vedremo nel capitolo dedicato agli Estatutos de limpieza de sangre, quella “crisi di  



dignidades, que los sanctos no las desechan, por hollarlas con los pies, sino por ponerlas, donde no se les oluide el huyrlas. Mas los que de tal manera las apetecen, que por ellas son hypocritas, y siendo auarientos, con los pobres, son liberales con los que les podran acreditar, para este intento, los que ansi pretenden vn Obispado, como si fuesse heredar vn mayorazgo, o estado, cuydando, que por aqui seran caualleros, y saldran de el baxo estado estos tales no conocen lo que dessean” (Andrés Pérez : Historia de la vida y milagros del glorioso sant Raymundo de Peñafort, frayle de la orden de Predicadores, pp. 192-193). 1085   “Pusienrose a un lado, donde se estauan mirando los sayones Judios y Philosophos, decian juntos (viendo a los sumos Pontifices con sillas de gloria) : Diferentemente se aprouecharon de las narices los Papas que nosotros, pues con diez varas de ellas no olimos lo que trayamos entre manos” (Francisco de Quevedo Villegas : Sueño del Juycio. In : F. de Q. V. : Sueños y discursos. Tomo I. Ed. de J. O. Crosby, p. 134). La maliziosità estremamente velenosa di queste righe è stata acutamente rilevata da James O. Crosby, che dopo aver spiegato che “la frase sayones [verdugos] Judios y Philosophos expresa una unidad racial : todos son judíos”, scrive : “Tal interpretación se comprueba en el hecho de que los tres hablaban juntos, y confesaban tener narices de diez varas de longitud, y que en cierto momento habían dejado de aprovechar una oportunidad, por no haber olido el negocio que traían entre manos. El negocio era precisamente el juicio y la crucifixión de Jesucristo, que según dice Quevedo, los Pontifices o Papas romanos supieron aprovechar, empezando por los apóstoles. A la sátira antisemítica, Quevedo agrega solapadamente la anticlerical : Cristo era negocio, y los Papas sí supieron aprovecharlo ; en el Juicio final de Dios, los judíos quedan atónitos y tristes al darse cuenta del negocio que ellos perdieron, a pesar de que lo trayamos entre manos” (Francisco de Quevedo Villegas : Sueño del Juycio. In : F. de Q. V. : Sueños y discursos. Tomo II. Ed. de J. O. Crosby, pp. 973-974). Nella sua recentissima edizione dei Sueños Ignacio Arellano offre un’interpretazione ben poco plausibile di questo passo : “nariz parece aludir a la consideración de la nariz como signo de inteligencia y discreción, contraponiendo la sagacidad de los Papas, que han conocido la verdad, a los judíos y sayones, quienes a pesar de tener las narices muy largas, no han sido capaces de ver el camino de la salvación.” No olimos lo que trayamos entre manos non si riferisce certamente al cammino della salvazione ! Cfr. Sueños y discursos de verdades soñadas, descubridoras de abusos, vicios y engaños en todos los oficios y estados del mundo. Edición de Ignacio Arellano. In : Francisco de Quevedo : Obras completas en prosa. Volumen primero. Tomo primero. Dirección de Alfonso Rey. Madrid : Castalia 2003, pp. 185-464 ; qui pp. 219-220, nota nro. 95. 1086   Cfr. Marcel Bataillon : Erasmo y España. – Vicente Beltrán de Heredia : Las corrientes de espiritualidad entre los dominicos de Castilla durante la primera mitad del siglo XVI. In : Miscelánea Beltrán de Heredia. Colección de artículos sobre historia de la teología española. Tomo III (= Biblioteca de Teólogos Españoles, vol. 27-B 7). Salamanca : Editorial OPE 1972, pp. 519-671. – Eugenio Asensio : El erasmismo y las corrientes espirituales afines. Conversos, franciscanos, italianizantes con algunas adiciones y notas del autor. Carta prólogo de Marcel Bataillon (= Publicaciones del SEMYR. Estudios y Ensayos. Serie chica, 1). Salamanca : Seminario de Estudios Medievales y Renacentistas 2000. – Alvaro Huerga : Historia de los Alumbrados (1570-1630). Madrid : Fundación Universitaria Española. Seminario Cisneros 1978, 2 voll. – Melquiades Andrés : Historia de la mística de la Edad de Oro en España y América (= BAC Maior, 44). Madrid : Biblioteca de Autores Cristianos 1994.  























































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coscienza”, 1087 che culminò nella famosa Pragmática emanata il 10 febbraio 1623 da Filippo IV, con la quale le denunce anonime, le ‘voci’, le mormorazioni e i ‘si dice’ circa la ‘purezza’ delle persone furono dichiarati privi di valore e fu ordinata la distruzione dei libros verdes. Altre manifestazioni di questa “crisi di coscienza” – ad alcune di esse abbiamo già accennato – furono : l’ordine regio del 24 novembre del 1601 con il quale si proibí di ingiuriare i cristianos nuevos ; il Perdón General promulgato a Lisbona il 16 gennaio 1605, 1088 che concedeva ai convertiti portoghesi l’assoluzione - o indulto - per avere giudaizzato (Filippo III aveva chiesto questo indulto a Paolo V e il Papa, con il breve del 23 agosto del 1604, 1089 dette facoltà agli inquisitori di assolvere coloro che avessero commesso delitti contro la fede 1090) e la habilitación per poter ricoprire uffici e ottenere “honras y encomiendas” ; 1091 il lungo processo di suavización della Inquisizione, che produsse una minore pressione – e oppressione ! – inquisitoriale (ricordiamo, per esempio, la prescrizione della Suprema ai suoi Tribunali indiani 1092), il progressivo ‘addolcimento’ delle pene 1093 e la fortissima diminuzione dei processi intentati contro i conversos ; 1094 la tolleranza verso i protestanti dell’Europa settentrionale dimoranti transitoriamente,  











   







   

1087   Cfr. Henry Kamen : Una crisis de conciencia en la Edad de Oro en España : Inquisición contra “Limpieza de sangre”. In : Bulletin Hispanique 88 (1986), 321-356. – Henry Kamen : The Spanish Inquisition. A Historical Revision, pp. 247-254. 1088   Il Perdón General è trascritto in : João Lúcio de Azevedo : Historia dos christãos novos portugueses. Lisboa 1922, pp. 83-84. Cfr. Carmen Sanz Ayán : Procedimientos culturales y transculturales de integración en un clan financiero internacional : los Cortizos (siglos XVII y XVIII). In : Bartolomé Yun Casalilla (dir.) : Las redes del Imperio. Élites sociales en la articulación de la Monarquía Hispánica, 1492-1714. Madrid : Marcial Pons 2008, pp. 65-94 ; qui p. 67. 1089   Cfr. Historia de la Inquisición en España y América. Obra dirigida por Joaquín Pérez Villanueva y Bartolomé Escandell Bonet I, p. 899. – Antonio Domínguez Ortiz : Los Judeoconversos en España y América, p. 64. 1090   Una carta acordada del Consejo Real de la Suprema y General Inquisición (Suprema), datata 15 aprile 1605, comunicò ai Tribunali di Provincia l’indulto e ne precisò la portata in questi termini : “A instancia del rey nuestro señor, concedió Su Santidad perdón general a todos los de la nación hebrea, descendientes de judíos del reino de Portugal, para que fuesen absueltos en entrambos fueros de todos los delitos de judaísmo que hayan cometido sin que se les impongan penitencias públicas, ni pecuniarias excepto en caso de relapsía. Y que gocen de esta gracia los que están en las provincias de Europa dentro de un año de la publicación del breve y los que estuvieren fuera de Europa dentro de dos años. El cual se publicó en lisboa a dieciséis de enero de este año, del cual breve se os envía una copia para que los cumpláis, señores, como en él se contiene y en su cumplimiento soltéis a los portugueses descendientes de judíos, presos en ese santo oficio aunque estén conclusas y determinadas sus causas, con que no se hayan publicado sus sentencias y les hagáis volver los bienes secrestados, advirtiéndoles que acudan a absolverse de sus delitos al inquisidor mayor de Portugal y a las personas con quien habla el dicho breve, en el término que señala. Dentro del cual estaréis advertidos de no proceder contra los dichos portugueses como Su Santidad lo manda” (Madrid, Archivo Histórico Nacional : Inquisición, lib. 1233, fol. 37v ; citiamo il documento da : Historia de la Inquisición en España y América. Obra dirigida por Joaquín Pérez Villanueva y Bartolomé Escandell Bonet I, p. 900). 1091   Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 135, p. 141, p. 152, p. 227, pp. 228-229, p. 231. – Antonio Domínguez Ortiz : Los Judeoconversos en España y América. Madrid : Ediciones Istmo 1971, pp. 62-65. 1092   Con la « Instrucción 35 » il Consejo Real de la Suprema y General Inquisición – la cosidetta Suprema (era presieduta dall’Inquisitore Generale) – prescriveva ai suoi Tribunali indiani : “... y en los casos que conociéredes, ireis con toda templanza y suavidad, y con mucha consideración, porque así conviene que se haga, de manera que la Inquisición sea temida y respetada y no se de ocasión para que con razón se le pueda tener odio” (Madrid, Archivo Histórico Nacional : Inquisición, lib. 352, fol. 9 ; citiamo il documento da : Historia de la Inquisición en España y América. Obra dirigida por Joaquín Pérez Villanueva y Bartolomé Escandell Bonet I, p. 721). 1093   Cfr. Jean-Pierre Dedieu : Les quatre temps de l’Inquisition. In : Bartolomé Bennassar : L’Inquisition espagnole, XVe-XIXe síècle. Paris : Hachette 1979, pp. 15-41 ; qui pp. 33-40. – Gustav Henningsen : El ‘Banco de datos’ del Santo Oficio. Las relaciones de causas de la Inquisición Española, 1550-1700. In : Boletín de la Real Academia de la Historia 74 (1977), 547-570. 1094   Cfr. Catherine Brault-Noble et Marie-José Marc : L’unification religieuse et sociale : la répression des minorités. In : Bartolomé Bennassar : L’Inquisition espagnole, XVe-XIXe síècle. Paris : Hachette 1979, pp. 143-195 ; qui p. 156.  













































































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per ragioni di commercio e affari, in Ispagna (il Trattato di Londra del 28 agosto 1604 fra Spagna e Inghilterra riconosceva la libertà di coscienza ; 1095 le Cartas acordadas del 1605 riconoscevano l’immunità). 1096 L’anticonformismo dell’autore della Pícara Justina nulla aveva quindi di radicalmente blasfemo e sacrilego, di trasgressivo o di sovversivo. Era un atteggiamento critico verso certe forme di culto esteriore e di devozione popolare, verso certi sacerdoti fanatici e clerici indegni e verso l’eccessiva invadenza della Inquisizione, che rispecchiava tendenze e aspettative di cambiamenti largamente diffuse nei primi anni del XVII secolo e che era ampiamente condiviso proprio dalle persone colte, nobili e potenti alle quali era indirizzata la Pícara Justina.    



Le confutazioni della interpretazione di Marcel Bataillon L’interpretazione di Marcel Bataillon della Pícara Justina come opera di propaganda pro-calderoniana è stata accettata da quasi tutti gli studiosi (anche da Victor García de la Concha, uno dei maggiori studiosi della picaresca, in un saggio recentemente pubblicato 1097). Fatta eccezione di Thomas Bodenmüller, che rifiuta tutte le tesi di fondo di Marcel Bataillon (opera di propaganda pro-calderoniana, romanzo à clefs, mascherata, burla cortesana) considerandole incompatibili con la sua interpretazione ‘carnevalesca’, gli unici studiosi che hanno respinto l’interpretazione del grande ispanista francese e considerato invece la Pícara Justina come opera diretta contro Don Rodrigo Calderón, sono stati Enrique Tierno Galván, Rudolf van Hoogstraten e José Miguel Oltra Tomás. (All’ipotesi che la Pícara Justina fosse diretta contro il favorito del Duca di Lerma aveva, invero, aperto la strada lo stesso Marcel Bataillon affermando che la dedica della Pícara Justina era stata apposta all’ultimo momento e che il vero protettore dell’autore dell’opera era, forse, un grande signore e non Don Rodrigo. L’unica deduzione che si può trarre da queste due affermazioni è, infatti, che la vistosa dedica era un tranello e che il Libro de Entretenimiento non aveva avuto lo scopo di celebrare, ma di ridicolizzare Don Rodrigo Calderón !) Enrique Tierno Galván, che ha definito la Pícara Justina “la criptoparodia de la minoría cortesana hecha a través de una imaginaria parodia del pueblo”, 1098 si è limitato ad affermare che, nel criticare la Corte, Francesco López de Úbeda “no deja títere con cabeza empezando por el propio don Rodrigo Calderón”, e a segnalare – come abbiamo già ricordato – che fra gli “ingredientes del ajuar del pícaro”, rappresentati nella cornice che inquadra « LA NAVE DE LA VIDA PICARA », figurano le stesse calderetas che ornano lo scudo del favorito del Duca di Lerma. 1099 Anche Rudolf van Hoogstraten si sofferma solo brevemente nella sua interpretazione psicanalitica della Pícara Justina,  











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  Cfr. Porfirio Sanz Camañes : Las paces con Inglaterra, p. 1328, pp. 1334-1335.   Cfr. Historia de la Inquisición en España y América. Obra dirigida por Joaquín Pérez Villanueva y Bartolomé Escandell Bonet I, pp. 892-897. – Michel Boeglin : L’Inquisition espagnole au lendemain du concile de Trente. Le tribunal du Saint-Office de Séville (1560-1700), p. 143, pp. 296-302. 1097   Scrive lo studioso : “[...] paradójicamente [...] el gran señor al qual un médico chocarrero, López de Úbeda, dedica un libro de chanzas sobre las trampas de la búsqueda de honra, era un prototipo de cristiano nuevo, unus ex illis, de los que por todos los medios, también aceptando con naturalidad que se le dedicaran libros de ese género, buscaban que se les considerara de limpia sangre” (Victor García de la Concha : Literalidad y literariedad en la novela picaresca. In : Autour de Marcel Bataillon. L’oeuvre, le savant, l’homme. Études et témoignages édités par Charles Amiel, Raymond Marcus, Jean-Claude Margolin, Augustin Redondo. Paris : De Boccard 2004, pp. 65-81 ; qui p. 72). Nel 1605 Don Rodrigo Calderón non poteva davvero essere considerato un gran señor ! 1098   E. Tierno Galván : Sobre la novela picaresca y otros escritos, p. 51. 1099   E. Tierno Galván : Sobre la novela picaresca y otros escritos, p. 85 e p. 85, nota nro. 115.  

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definita un “acto de escritura subversiva”, sul rapporto dell’autore del romanzo con Don Rodrigo Calderón. L’allievo di José Luis Alonso Hernández osserva che, sin dal principio, lo scrittore “se mofa de la supuesta nobleza de su señor Rodrigo Calderón y Sandelín, a quien burlescamente dedica su libro”. La prova della intenzione di Francisco López de Úbeda di volersi burlare di Don Rodrigo sarebbe costituita dalla parola ‘olandese’, ricorrente nella dedica (“los nobilissimos caualleros Sandelines, Olandeses...”), che all’epoca di Filippo II e di Filippo III connotava “todo lo contrario de cristiano viejo y « noble »”. 1100 José Miguel Oltra Tomás ha trattato, invece, diffusamente il problema del rapporto dell’autore del romanzo con il favorito del Duca di Lerma. Lo studioso, che nega validità alla tesi di Marcel Bataillon sull’ascendenza ebraica di Francisco López de Úbeda e ritiene addirittura che l’autore della Pícara Justina sia di “una pureza de sangre inatacable”, fa notare come il continuo “bromear sobre la genealogía” e le crudeli “burlas sobre la sangre y los cristianos nuevos”, che ricordano “las bromas y sarcasmos genealógicos” del “Quevedo más mordaz”, siano in stridente contrasto e con la supposta origine ebraica del medico toledano 1101 e con le aspirazioni alla nobilitazione di Don Rodrigo Calderón. 1102 José Miguel Oltra Tomás considera particolarmente significativi l’aneddoto sul sarto che usurpa le armi e lo scudo dei Pimentel, l’attacco contro i cavalieri di Santiago e l’aneddoto sugli stallieri che, essendosi fatti calare in un cesto dalle mura del Palazzo dei Re d’Aragona, si proclamano loro discendenti. Nel racconto del sarto che usurpa il nome e le armi della illustre famiglia dei Pimentel (all’epoca della Pícara Justina era capo della casata – come abbiamo già ricordato – Don Juan Alfonso Pimentel y Herrera, VIII Conte di Benavente, Grande di Spagna, che dopo essere stato Viceré di Valencia diverrà Viceré di Napoli e quindi presidente del Consejo de Italia), José Miguel Oltra Tomás ravvisa “una corrosiva alusión al fraudolento proceso de ennoblecimiento de don Rodrigo”. In questo “cuentecillo del sastre de Picardía”, afferma inoltre lo studioso, “López de Úbeda se burla cruelmente de los afanes hidalgos de su entrampado protector”. 1103 Quanto all’episodio degli stallieri è necessario, per comprenderne tutto il veleno, ricordare che si raccontava – come già sappiamo – che Don Rodrigo Calderón, quando era bambino, era stato posto in salvo da Anversa assediata (assedio spagnolo del novembre del 1576) con uno stratagemma : fu calato, verosimilmente in un cesto, dalle mura della città. Significativo è, infine, l’attacco contro i cavalieri di Santiago, rappresentati come “una casta política obsoleta y oportunista”. 1104 Ma se è certo che Francisco López de Úbeda ridicolizza costantemente le aspirazioni di Don Rodrigo alla nobilitazione, è pur necessario – afferma José Miguel Oltra Tomás – riconoscere che la Pícara Justina è, contro ogni apparenza, “una obra propagandística contra don Rodrigo Calderón”, da situare “en el centro de una pugna política”. 1105 L’attacco è rivolto contro “unas castas establecidas en lo más alto de la pirámide social  

















1100

  R. van Hoogstraten : Estructura mítica de la picaresca, pp. 73-74.   Francisco Márquez Villanueva confuta questa argomentazione di J. M. Oltra Tomás notando che la “autoflagelación sarcástica era, sin embargo, esencial en la tradición bufonesca y en especial el médico Francisco López de Villalobos había sido un verdadero virtuoso de la misma” (La quinta langosta, p. 375, nota nro. 60). Abbiamo già dimostrato che Francisco López de Villalobos non amava tanto autoflagellarsi. 1102   J. M. Oltra Tomás : La parodia como referente en La Pícara Justina, pp. 36-41. 1103   J. M. Oltra Tomás : La parodia como referente en La Pícara Justina, pp. 59-62. – Cfr. anche José Miguel Oltra : Casuistica estructural en « La Pícara Justina » de Francisco López de Úbeda, pp. 56-57, nota nro. 6. 1104   J. M. Oltra Tomás : La parodia como referente en La Pícara Justina, p. 66. 1105   J. M. Oltra Tomás : La parodia como referente en La Pícara Justina, p. 40.  

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y política” e contro “los favoritos de Felipe III”. 1106 Ribadito che la Pícara Justina è una “novela que hay que situar en un ambiente político preciso : la oposición a Rodrigo Calderón, valido del duque de Lerma”, 1107 José Miguel Oltra Tomás scrive :  







La actitud del médico toledano puede ser considerada como provocativa, osando burlarse de tan poderoso caballero nada menos que introduciéndose en su círculo y solicitando la protección para su novela. Lo que ya resulta menos comprensible es la aceptación del patronazgo por don Rodrigo, desconociendo una obra en que se le ponía constantemente en entredicho. En definitiva, La Pícara Justina se inscribe en el contexto de las intrigas para derribar al duque de Lerma, socavando primeramente el prestigio de los ministros y satélites de éste, para acabar por cercar al descuidado monarca e imponerle una nueva camarilla política. 1108  

In questa lotta politica, però, “el papel de Úbeda todavía nos permanece desconocido”. 1109 José Miguel Oltra Tomás si chiede : “¿quién es el verdadedero ‘protector’ de López de Úbeda ?, ¿a quién sirve realmente el autor ?” 1110 Lo studioso avanza l’ipotesi – già formulata da Marcel Bataillon – che questo protettore possa essere stato il Duca di Medina di Ríoseco, l’Ammiraglio di Castiglia, menzionato – lo abbiamo già ricordato – da Justina, per ben due volte in una stessa pagina, come “el Almirante mi señor” 1111 (a José Miguel Oltra Tomás sfugge che D. Juan Alfonso Enríquez de Cabrera, V Duca di Medina de Rioseco, aveva appena dieci anni, circostanza che, come abbiamo già osservato, rende improbabile l’ipotesi di un coinvolgimento del IX Almirante de Castilla in un complotto contro Don Rodrigo). Essendo però incomprensibile “la torpeza de don Rodrigo, o de sus inmediatos colaboradores – y, por ello, informadores –, para aceptar el patronazgo de una obra que iba a estallar en sus manos”, José Miguel Oltra Tomás contempla anche l’ipotesi che Francisco López de Úbeda possa essere stato “traidor a la causa de su señor don Rodrigo”. (L’ipotesi presuppone però che Don Rodrigo e i suoi collaboratori non avessero letto l’opera !) E questo spiegherebbe il “sepulcral silencio” che si estende su Francisco López de Úbeda subito dopo la pubblicazione della Pícara Justina. 1112 È una ipotesi plausibile quella del tradimento di Francisco López de Úbeda – secondo José Miguel Oltra Tomás, ovviamente, l’autore indubitabile della Pícara Justina – e, quindi, della vendetta di Don Rodrigo, che certamente era uomo crudele, vendicativo e senza scrupoli ?  

















La mancata pubblicazione del secondo tomo della Pícara Justina è veramente un mistero. 1113  

1106

  J. M. Oltra Tomás : La parodia como referente en La Pícara Justina, pp. 45-46.   J. M. Oltra Tomás : La parodia como referente en La Pícara Justina, p. 54.   J. M. Oltra Tomás : La parodia como referente en La Pícara Justina, p. 66. 1109   J. M. Oltra Tomás : La parodia como referente en La Pícara Justina, p. 41. 1110   J. M. Oltra Tomás : La parodia como referente en La Pícara Justina, p. 70. 1111   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO TERCERO DE LA PICARA PLEYTISTA. Capitulo primero de la hermana perseguida », p. 294 [in realtà : 194]. 1112   J. M. Oltra Tomás : La parodia como referente en La Pícara Justina, p. 76. 1113   Vi sono anche studiosi che sono convinti che il secondo tomo non sia mai stato scritto. Loreta Rovatti (Sul picarismo de La Pícara Justina, p. 164), per esempio, scrive : “Il secondo tomo annunciato non fu mai scritto. E non valeva la pena di scriverlo perché si sarebbe entrati in una struttura aperta, in una serie di episodi infilzati, una sfilza di matrimoni, nel nostro caso. Per Justina era importante cercar di convincere di essere arrivata integra fino al primo matrimonio, quello che avviene dopo non ha più importanza. Così, nonostante i trent’anni che separano la pícara novia dalla pícara scrittrice, che ci vien presentata nell’introduzione vittima della sifilide, il principio e la fine del romanzo vengono in qualche modo a congiungersi.” Antonio Rey Hazas considera il secondo tomo “de dudosa existencia” (la pícara justina 1, p. 77, nota nro. 27). Thomas Bodenmüller 1107

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Nel « Privilegio Real » del 22 agosto 1604 non solo si dice che “nos fue fecha relacion, que auiades compuesto vn libro de Entretenimiento, de la Picara Iustina, que tenia dos tomos”, ma si specifica che “damos licencia y facultad a qualquier Impressor destos nuestros Reynos, que vos nombraredes para que … le puedan imprimir por el original que en el nuestro consejo se vio, que va rubricado cada plana y firmado al fin del de Francisco Martinez nuestro secretario de Camara”. 1114 Insomma, il manoscritto originale della Pícara Justina, presentato al Consejo, era costituito di due tomi ed era stato parafato, pagina per pagina, e firmato dal segretario Francisco Martínez, come prevedeva la Pragmática-sanción del 7 settembre 1558. 1115 Inoltre, nel « Prologo al Lector. En el qval declara el Autor el intento de todos los tomos, y libros, de la Picara Iustina », 1116 si legge : “aun lo mismo que huele a estilo vano, no saldra todo junto, atendiendo, al gasto proprio, y al gusto ajeno, no doy este libro por muestra, antes prometo, que lo que no esta impresso, es aun mejor”. 1117 (L’autore ha rinviato un poco la pubblicazione del secondo tomo per non dover sostenere tutte insieme le spese di stampa. Alla fine dell’opera si precisa che l’attesa sarà breve : “los desseosos de el segundo tomo esperen vn poco” 1118). Al « Prologo al Lector » segue il « Prologo summario de ambos los tomos, de la Picara Iustina », che contiene sia precisi dati sul contenuto del secondo tomo, 1119 sia un passo nel quale si fa riferimento a una “tavola” che – non figurando nel primo tomo – doveva necessariamente far parte del secondo : “La suma destos tomos veala el lectòr, en vna copiosa tabla : mas si con más breuedad quieres vna breue discripcion de quien es Iustina, y todo lo que en estos dos tomos se contiene, oye la clausula siguiente, que ella escriuio a Guzman de Alfarache, ante de celebrarse el casamiento.” 1120 Alla fine della “clausula” scritta all’Arcipicaro  





































(Literaturtransfer, pp. 38-39) nega che il secondo tomo sia mai esistito. Dell’esistenza del secondo tomo era invece pienamente convinto Julio Puyol y Alonso (« Estudio crítico de la Pícara Justina », pp. 18-22). Recentemente è stata pubblicata una seconda parte apocrifa dell’opera da Lucas Torres Armendáriz e Jesús González Martín : Torres y González : La Pícara ventera y venturera. Segundo tomo del libro de la Pícara llamada Justina Espejo de decidores y Flor de la picardía (= Colección Narrativas, 1). Madrid : Ediciones Minotauro Digital 2008 ! 1114   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, fo. [A 2v] – fo. [A 3r]. 1115   Pragmática-sanción de Felipe II y en su nombre la princesa Da Juana, sobre la impresión y libros (Valladolid, 7. septiembre 1558), p. 801. 1116   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, fo. [A 6r]. 1117   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, fo. [A 8r]. 1118   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO QVARTO. DE LA PICARA NOBIA. CAPITVLO QVINTO DE LA boda del meson », p. 46. 1119   Nella prima parte della “clausula” scritta a Guzmán de Alfarache, Justina accenna a episodi del primo tomo (“Yo mi señor don Picaro, soy la melindrosa escriuana, la honrosa pelona,la manchega al vso, la engulle fisgas, la que contrafisgo la fisguera, la festiua, la de ayres bola, la mesonera astuta, la ojienjuta, la celeminera, la baylona, la espauila gordos, la del adufe, la del reuenque, la carretera, la entretenedora, la aldeana de las burlas, la del amapola, la escalfa fulleros, la adeuinadora, la del penseque, la vergonçosa a lo nueuo, la del hermitaño, la encartadora, la despierta dormida, la trueca burros, la enuergonçante, la romera pleytista, la del engaño meloso, la mirona, la de Bertol, la vizmadera, la esquilmona, la desfantasmadora, la desenojadora, la de los coritos, la deshermanada, la Marquesa de las motas, la nieta pegadiça, la heredera inserta, la debota maridable, la busca roldanes, la hahidalgada”) ; nella seconda parte della “clausula” continua però a snocciolare tutta una serie di “epitetos” – li definisce “cifra de los mas graciosos quentos” – che, fatta eccezioni di alcuni (la del tornero, la del deciplinante, la paseada), si riferiscono a episodi narrati nel secondo tomo : “la alojada, la abortona, la bien celada, la del parlamento, la del mogollon : la amistadera, la santiguadera, la depositaria, la gitana, la palatina, la lloradora enjuta, la del pesame y rio, la viuda con chirimias, la del tornero, la del deciplinante, la paseada, la enseña niñas, la maldice viejas, la del gato, la respostona, la desmayadiza, la dorada, la del nouio en pelo, la honruda, la del persuadido nouio, la contrasta celos, la conquista bolsas, la testamentaria, la estratagemera, la del serpenton, la del trasgo, la conjuradora, la mata viejos, la varqueada, la loca vengatiua, la astorgana, la despachadora, la santiaguesa, la de Iulian, la burgalesa, la salmantina, la ama salamanquesa, la papelista, la escusa varajas, la castañera, la nouia de mi señor don Picaro Guzman de Alfarache, a quien ofrezco su picardia, paraque dure los años de mi deseo” (Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, fo. [A 9r - A9v]). 1120   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, fo. [A 9r].  





















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viene menzionata di nuovo questa “tavola” (“remito al letor a la tabla siguiente”). 1121 La « Introduccion General » è « para todos los tomos y libros ». 1122 Molto significativa è anche la circostanza che in tutte le pagine pari del romanzo il titolo corrente rechi l’indicazione « Tom. I » (talvolta : « tom. I », « Tomo I », « To. I »). Nel Libro I dell’opera si accenna, come è spiegato in una nota marginale (“Traele a la memoria vna afrentosa purga con otras cosas de que se trata en el segundo tomo”), a due episodi del secondo tomo. 1123 Ancora in questo Libro I si ricorda la morte dei primi due mariti di Justina (“A lo menos, no enterrè yo assi, a mis dos maridos”), che – come si specifica in una nota al margine – è narrata nel Libro I e II del secondo tomo (“Cita el tomo segundo en el primero y segundo libro”). 1124 Nella seconda parte del Libro II si preannuncia la conversione di Justina, che sarà narrata nel secondo tomo (“Y si Dios me da salud veras lo que passa en el vltimo tomo en que dire mi conuersion”). 1125 Alla fine del primo tomo non solo si fa riferimento al secondo tomo (“La musica fue buena, y cantaron el cantar de la bella malmaridada, que fue pronostico de mis sucessos, pero dexemos esto de mis malas andanças, y varias auenturas, y aloxamientos en compañia de mi marido, para el segundo tomo siguiente”), 1126 ma si danno concrete informazioni sul contenuto dei quattro libri che lo costituiscono :  







































A Dios piadosos Lectores. Los cansados de leer mi historia descansen : los desseosos de el segundo tomo esperen vn poco, guardando el sueño a la rezien casada. Y crean que si los principios de mis infantiles años, les han dado gusto les sera incomparablemente mayor saber las auenturas tan extraordinarias que en largo tiempo me sucedieron con gentes de varias qualidades : no solo en el tiempo que estuue casada con Lozano el hombre de armas, como se vera en el libro primero : pero en el que lo estuue con Santolaja, que fue vn viejo de raras propriedades, como se vera en el libro tercero, y quarto. Era vnico el mi Santolaja, cuya muerte dio principio a mas altas empresas, las quales me pusieron en el felice estado que aora posseo, quedando casada con don Picaro Guzman de Alfarache mi señor, en cuya maridable compañia soy en la era de ahora la mas celebre muger que ay en Corte alguna, en traças, en entretenimientos (sin ofensa de nadie) en exercicios, maestrias, composturas, inuenciones de trajes, galas, y atauios, entremeses, cantares[,] dichos y otras cosas de gusto segun, y como se lo dira el citado sigundo tomo, en  





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  Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, fo. [A9v].   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « INTRODVCCION GENERAL, PARA TODOS los tomos y libros. Numero primero, Del melindre al pelo de la pluma », p. 1. 1123   “[Perlicaro :] Señora supputante [...] a quantos numeros, o capitulos, piensa poner el de mi camarada, el alferez Santolaja, llamado por otro nombre el Moscon celibato, que fue su marido ? No ha de dezirnos con muy buena corriente, como la barqueò, y lo de la purga surrepticia, con que le hizo afloxar las cinchas vn coto ? Auiseme quando aportare a los arrauales deste capitulo, que yo le pondre de mi mano vna, o dos margenes, sacadas del rio Letheo” (Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO PRIMERO, INTITVLADO LA PICARA Montañesa. CAPITVLO PRIMERO, de la Escriuana fisgada. Numero primero. Del fisgon medroso », p. 38). Con la parola barqueò si allude allo stesso episodio in seguito al quale Justina aveva assunto il soprannome “la varqueada”, ricordato nel passo sopra citato del « Prologo Summario de ambos los tomos ». Nel numero seguente Justina risponde cosí a Perlícaro : “Y el capitulo del viejo, yo le pondre de modo que le amargue, y sepan todos, como mi marido santolaja, si fue moscon, le picò en las mataduras, y (aunque celibato) le bregô a coces la barriga al muy lebron.” Nella glossa al margine di queste parole si legge : “Responde, a lo que la dixo de su marido, de quien se haze mencion en el segundo tomo” (NVMERO SEGVNDO DE LA contrafisga colerica », p. 51). 1124   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO PRIMERO, INTITVLADO LA PICARA Montañesa. CAPITVLO SEGVNDO [TERCERO !] DE LA vida de el meson. NVMERO TERCERO DE LA muerte de los Mesoneros », p. 98. 1125   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO DE la Picara Romera. Capitulo. IIII. De la romera de Leon. Numero tercero de la romera enuergonzante », p. 99. 1126   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO QVARTO. DE LA PICARA NOBIA. CAPITVLO QVINTO DE LA boda del meson », p. 43. 1122







































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cuyo primer libro me llamo la alojada, en el segundo la biuda, en el tercero la mal casada, y en el quarto la pobre. Libros son de poco gasto y mucho gusto. 1127  

Ecco le glosse poste a margine di queste righe : “Despidese del Letor”. – “Citase el segundo to.”. – “Desto [Era vnico el mi Santolaja ... casada con don Picaro Guzman de Alfarache mi señor, en cuya maridable compañia soy...] se trata en el fin del segundo tomo”. – “Iustina famosa en mucho, mostrarlo ha en los libros siguientes”. Per ottenere la concessione del « Privilegio Real » era necessario presentare al Consejo de la Real Cámara il manoscritto completo e definitivo dell’opera per la quale esso veniva richiesto, come prescrivevano le Reglas que se han de observar en el Consejo sobre licencias para imprimir libros nuevos (La Coruña 1554) 1128 e la Pragmática-sanción sobre la impresión y libros del 7 settembre 1558. 1129 Se nel « Privilegio Real » si afferma che la Pícara Justina era costituita di due tomi, questo vuol dire che era stato presentato il manoscritto dei due tomi. Quando l’autore della Pícara Justina scrive che i lettori desiderosi di leggere il secondo tomo dovevano aspettare solo un poco, si riferisce evidentemente al tempo necessario alla sua stampa. Allora perché colui che aveva avuto tanta fretta di pubblicare il primo tomo – probabilmente per fare uscire la sua Pícara Justina prima del Quijote – da affidarne, come abbiamo ricordato, la stampa a due diverse officine tipografiche (questo spiega la strana paginatura dell’opera ; 1130 le incongruenze e sciatterie delle pagine preliminari 1131 e i numerosi errori tipografici sono dovuti, invece, principalmente alla fretta), il secondo tomo non lo pubblicò mai ? Non si sa. E non si sa neppure perché il Libro de entretenimiento, che pur aveva avuto una immediata risonanza – come dimostrano sia il pliego intitolato Las bodas del Picaro Guzman de Alfarache con la Picara Iustina Diez 1132 e l’edizione barcellonese dell’opera allestita nella officina di Sebastián de Cor 













   







1127   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO QVARTO. DE LA PICARA NOBIA. CAPITVLO QVINTO DE LA boda del meson », pp. 46-47. 1128   Il testo delle Reglas è trascritto in : Fermín de los Reyes Gómez : El libro en España y América. Legislación y Censura (siglos XV-XVIII). II, p. 795. 1129   Sulla piú volte ricordata Pragmática-sanción, cfr. Fermín de los Reyes Gómez : El libro en España y América. Legislación y Censura (siglos XV-XVIII). I, pp. 193-207. – Agustin G. de Amezúa y Mayo : Cómo se hacía un libro en nuestro Siglo de Oro. In : A. G. de A. y M. : Opúsculos histórico-literarios. Tomo I. Madrid : C. S. I. C. 1951, pp. 331-373 ; qui p. 335. – Jaime Moll : Problemas bibliográficos del libro del Siglo de Oro. In : Boletín de la Real Academia Española 59 (1979), 49-107. – Francisco Rico : El texto del « Quijote ». Preliminares a una ecdótica del Siglo de Oro. Barcelona : Ediciones Destino 2005, pp. 53-93 (« Cómo se hacía un libro en el Siglo de Oro »). 1130   Il testo mostra queste tre paginazioni successive : 1-183 (da « Introduccion General » al « Numero Tercero de los Beodos burlados » del « Capitvlo Segvndo de la Vigornia burlada » del « Libro Segvndo Intitvlado la Picara Romera »), 1-231 (dal « Capitulo. I. De la jornada de Leon » della « Segvnda Parte del Libro Segvndo de la Picara Romera » al « Capitulo sexto, de la partida de Rioseco » del « Libro Tercero de la Picara Pleytista »), 1-48 (dal « Capitvlo Primero, del pretendiente tornero, llamado Maximino » del « Libro Qvarto de la Picara Nobia » alla ultima pagina del « Capitvlo Qvinto de la boda del meson » dello stesso « Libro Qvarto » con relativo ultimo « Aprovechamiento », al quale seguono, alla pagina 48, la dichiarazione di obbedienza (“TODO lo que en este libro se contiene sujeto a la correccion de la santa Iglesia Romana, y de la santa Inquisicion...”) e la formula di rito “LAVS DEO”. 1131   La « Aprovacion » è priva della data e della firma di Tomás Gracián. La lista delle « Erratas », firmata dal “Doctor Alonso Vaca de Sanctiago”, non reca la data. La « Tassa » non indica né il numero dei pliegos che formano l’opera, né il prezzo totale, inoltre non è datata e neppure firmata ; essa si limita a questa breve comunicazione : “Tassose este libro, intitulado la Picara Iustina, por los señores del Real Consejo, en tres marauedis y medio cada pliego” (fo. 4v). Cristóbal Pérez Pastor (La imprenta en Medina del Campo, p. X) ha notato che gli editori-stampatori di Medina del Campo “se desentendían de lo que mandaban las pragmáticas acerca de la impresión de libros, y poco ó nada les importaba editar uno, y otro, y muchos libros sin aprobación, tasa, privilegio, ni aun licencia”. È questo il motivo per cui l’autore della Pícara Justina aveva scelto di farla stampare a Medina del Campo ? 1132   A QVI COMIENSAN LAS bodas del Picaro Guzman de Alfarache, con la Picara Iustina Diez de Villadeborlas : contienen muchos nombres picarescos con vn torneo y galas de grande gusto, agora nueuamente compuesto por el Bachiller Rafael Palau, Año 1605. Con licencia se venden en casa Iuan Burgues librero junto la Plaça  













































































































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mellas (la « Aprovacion » di Fray Francisco Diago è del 10 luglio 1605, quella dell’Abate Miguel Palmerola del 12 luglio 1605), usciti l’uno e l’altra nel 1605, quindi a pochissimi mesi dalla pubblicazione della princeps (stampata entro la fine del maggio o l’inizio del giugno 1605), sia l’edizione di Bruxelles del 1608 (il « Privilegio » è del 7 novembre 1607), nella quale l’editore-tipografo affermava, dedicando l’opera a Don Alonso Pimentel y Esterlich, “que este libro ha sido en muchas partes famosissimo y no de poca stima” 1133 –, sprofondasse rapidamente, salvo qualche menzione qua e là, 1134 in quel “Rio del olvido” sul quale naviga « LA NAVE DE LA VIDA PICARA ».  















Nueua. (Colophon : Impressas en Barcelona con licencia del ordinario en casa de Honofre Anglada, en la Plaça de Iunqueras Año del Nacimiento de nuestro Saluador, 1605.) Riproduzione facsimile del pliego suelto in : José Manuel Blecua : Homenajes y otras labores. Zaragoza : Institución Fernando el Católico 1990, pp. 93-97 (1ª ed. : José Manuel Blecua : Bodas de Guzmán de Alfarache con la Pícara Justina. Pliego suelto de 1605. In : Homenaje a D. José María Lacarra de Miguel en su jubilación del profesorado. Vol. V. Zaragoza : Anubar 1977, pp. 303-309). Justina è detta “de Villadeborlas”, cioè villana de borlas con riferimento al passo sopra citato dell’opera in cui la Pícara riferisce che i bigornios la chiamavano “la villana de las borlas”. 1133   Libro de entretenimiento de la Picara Iustina. En Brucellas, En casa de Oliuero Brunello, en la Fuente de Oro. Año M.D.C.VIII, fo. IIIr. 1134   Oltre che nel Viaje del Parnaso di Cervantes, la Pícara Justina è ricordata nel Siglo Pitágorico, nell’Estebanillo González, nell’Arca de Noé e nel Fray Gerundio de Campazas. Cfr. LA | VIDA I HECHOS | DE | ESTEVANILLO GONZALEZ, | Hombre de buen humor. | Compuesto por el mesmo. | Dedicada à el Excelentissimo Señor OCTAVIO | PICOLOMINI DE ARAGON, Duque | de Amalfi, Conde del Sacro Romano Impe- | ro [....]. EN AMBERES, | En casa de la Viuda de Iuan Cnobbart. 1646 (Paris, Bibliothèque de l’Arsenal : 4° BL 4478), fo. [4r] (« Del Alferez Don Martin Francisco Chillon i Aliende à Estevanillo Gonzalez »). – EL SIGLO | PITAGORICO | Y vida de D. Gregorio | Guadaña. | Dedicado a Monseñor | FRANÇOIS BASSOMPIERRE, | Marques de Harouel, Caballero de las Hordenes | de su Magestad Cristianißima, Mariscal | de Francia, y Coronelgeneral | de los Suisses. | POR | Antonio Henrriquez Gomez. | EN ROAN, | En la emprenta de LAVRENS MAVRRY. | Año de 1644. | CON LICENCIA (Paris, Bibliothèque de l’Arsenal : 4° BL 4479), fo. 20 (« III Transmigraçion, en vna Dama »). – Francisco Santos : El Arca de Noé y Campana de Belilla (1697). Edición, prólogo y notas de Fernando Gutiérrez. Barcelona : Selecciones Bibliófilas 1959, p. 153. – José Francisco de Isla : Historia del famoso predicador Fray Gerundio de Campazas, alias Zotes. Edición crítica de José Jurado, p. 206 e p. 603. Nel Criticón di Baltasar Gracián ricorrono diverse espressioni e vocaboli, che – non singolarmente, ma nel loro insieme – sembrano attestare la lettura della Pícara Justina. (Cfr. Baltasar Gracián : El Criticón. Edición crítica y comentada por M. Romera-Navarro, I, p. 189 n., p. 227 n., p. 254 n., p. 275 n., p. 310 n., p. 339 n. ; II, p. 40 n., p. 51 n., pp. 186 n.-187 n., p. 242 n., p. 383 n. ; III, p. 228 n., pp. 229-230. Si veda inoltre Maxime Chevalier : Quevedo y su tiempo : la agudeza verbal. Barcelona : Crítica 1992, pp. 167-168). All’inizio del XVIII secolo la Pícara Justina fu accolta nella « Lista de los autores elegidos por la Real Académia Españóla, para el uso de las voces y modos de hablar, que han de explicarse en el Diccionario de la Léngua Castellana » (Diccionario de la Lengua Castellana. Tomo Primero. Madrid 1726, p. LXXXVII, p. LXXXXV). Nei cataloghi e inventari di biblioteche private spagnole del XVII secolo sinora pubblicati la Pícara Justina figura solo tre-quattro volte. La Pícara Justina si trovava, assieme a diverse opere picaresche (Novelas ejemplares di Cervantes, Lazarillo de Tormes, Guzmán de Alfarache di Mateo Alemán, Alonso, mozo de muchos amos di Jerónimo de Alcalá Yáñez, Lazarillo de Manzanares di Juan Cortés de Tolosa) e a numerose altre opere di narrativa (in particolare, raccolte di novelle italiane, francesi e spagnole), nella Biblioteca de la Torre Alta del Alcázar madrileno di Filippo IV (i libri che formavano questa sua biblioteca privata, il Re li leggeva nelle molte ore della notte dedicate alla lettura e, talvolta, alla traduzione). Un esemplare della princeps della Pícara Justina figurava nella biblioteca del Marqués de Cábrega (Pedro de Navarra y de la Cueva), la cui predilezione per la letteratura narrativa era ancor più grande di quella di Filippo IV. Un esemplare della Pícara Justina, valutato “siete reales”, è registrato nell’inventario post mortem dei 62 libri posseduti da Cristóbal González Cossío de la Hoz, “Contador de resultas” di Filippo IV, morto nel 1636. Come abbiamo già ricordato, un esemplare della Pícara Justina si trovava nella biblioteca di Fray Antonio Folch de Cardona (1657-1724). Non sappiamo però se l’opera fu acquistata nel XVII o nel XVIII secolo. Nelle biblioteche spagnole private del XVII secolo i cui cataloghi e inventari sono stati sinora pubblicati, figuravano con la stessa frequenza, circa, della Pícara Justina, la Vida del escudero Marcos de Obregón di Vicente Espinel, la Garduña de Sevilla di Castillo Solórzano e l’Estebanillo González ; più spesso vi erano invece registrati il Guzmán de Alfarache, il Buscón e le Novelas ejemplares di Cervantes. Cfr. Fernando Bouza Álvarez : Del escribano a la biblioteca. La civilización escrita europea en la alta Edad Moderna (Siglos XV-XVII). Madrid : Editorial Síntesis 1992, p. 131. – Fernando Bouza : El libro y el cetro. La Biblioteca de Felipe IV en la Torre Alta del Alcázar de Madrid. Instituto de Historia del Libro y de la Lectura, 2005. p. 491. – Memoria de los libros de la Libreria del Marqués de Cábrega. In : Miguel Nieto Nuño : Fondos hispánicos en la Biblioteca Nacional de Viena. Tesis Doctoral. Universidad Complutense  





























































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L’ipotesi di José Miguel Oltra Tomás che soltanto “algún incidente grave, ocurrido a raíz de la aparición [de La Pícara Justina]”, 1135 possa spiegare l’improvviso e definitivo silenzio di Francisco López de Úbeda, ci appare, allo stato attuale delle nostre conoscenze, l’unica plausibile (anche nel caso che l’autore del Libro de entretenimiento sia Fray Baltasar Navarrete). Qualcosa di grave avvenne subito dopo la pubblicazione della Pícara Justina. Cosa avvenne, non lo sappiamo.  

Oltre agli aspetti ‘politici’ della Pícara Justina, José Miguel Oltra Tomás dedica molta attenzione nella sua monografia – non a caso intitolata La parodia como referente en “La Pícara Justina” – agli aspetti letterari dell’opera, una “gran mascarada literaria”, 1136 che egli definisce come “libro de burlas” 1137 e quindi interpreta “como obra de burlas para y sobre los cortesanos”, 1138 “como obra de burlas integral, en la que casi todos sus elementos están sometidos a la presión distorsionante de la sátira”. 1139 Secondo lo studioso, l’autore della Pícara Justina, “profundo conocedor del mundillo literario de su época”, 1140 fa la satira degli ambienti intellettuali di Valladolid e di Madrid, di numerosi scrittori e delle loro opere e di interi generi letterari, come “el género pastoril y bucólico”. 1141 Bersaglio primo della satira è, naturalmente, l’autore del Guzmán de Alfarache, Mateo Alemán, che José Miguel Oltra Tomás, seguendo Francisco Márquez Villanueva, identifica nella figura caricaturale di Perlícaro. L’autore della Pícara Justina si burlerebbe anche degli arbitristas amici di Mateo Alemán e delle loro idee sul problema della mendicità e del vagabondaggio e sulla riforma della beneficenza : il medico Cristóbal Pérez de Herrera e il licenciado Francisco de Vallés, “Prior de Santa María de Sar en el reino de Galicia”, 1142 rappresentati, rispettivamente, come l’eremita ipocrita Martín Pavón 1143 e come il fullero Marcos Méndez Pavón. 1144 Altro bersaglio della satira sarebbe Fray Andrés Pérez. 1145 L’autore della Pícara Justina non si sarebbe limitato a parodiare la Vida de San Raimundo, ma avrebbe addirittura raffigurato il frate domeni 





















de Madrid. Departamento de Filología Española II. Tomo II. Madrid : Editorial de la Universidad Complutense de Madrid 1989, pp. 1-218. ; qui p. 63, nro. 1056 [1057]. – Ángel Weruaga Prieto : Libros y lectura en Salamanca : Del Barroco a la Ilustración (1650-1725). Valladolid : Junta de Castilla y León 1993. – Anne Cayuela : Le paratexte au Siècle d’Or. Prose romanesque, livres et lecteurs en Espagne au XVIIe siècle (= Travaux du Grand Siècle, 5). Genève : Librairie Droz 1996, p. 92, pp. 89-96. – José Manuel Prieto Bernabé : Lectura y lectores. La cultura del impreso en el Madrid del Siglo de Oro (1550-1650). Mérida : Editora Regional de Extremadura 2004, 2 tomi ; qui II, pp. 209-216, pp. 345-346. – Alberto Martino : Die erste deutsche Übersetzung der Garduña de Sevilla. Ein spanischer Beitrag zur Produktion von fiktionaler >Konsumliteratur< in den 30er Jahren des 18. Jahrhunderts. In : Buchkulturen. Beiträge zur Geschichte der Literaturvermittlung. Festschrift für Reinhard Wittmann. Herausgegeben von Monika Estermann, Ernst Fischer und Ute Schneider. Wiesbaden : Harrassowitz 2005, pp. 93-187 ; qui pp. 101-107. 1135   J. M. Oltra Tomás : La parodia como referente en La Pícara Justina, p. 38. 1136   J. M. Oltra Tomás : La parodia como referente en La Pícara Justina, p. 45. 1137   J. M. Oltra Tomás : La parodia como referente en La Pícara Justina, p. 217. 1138   J. M. Oltra Tomás : La parodia como referente en La Pícara Justina, p. 212. 1139   J. M. Oltra Tomás : La parodia como referente en La Pícara Justina, p. 209. 1140   J. M. Oltra Tomás : La parodia como referente en La Pícara Justina, p. 79. 1141   J. M. Oltra Tomás : La parodia como referente en La Pícara Justina, pp. 211-212. 1142   La prima delle sue Cartas familiares de moralidad (Madrid : Luis Sánchez 1603) Francisco de Vallés la indirizza all’autore dei Discvrsos del amparo de los legitimos pobres, y redvccion de los fingidos (Madrid : Luis Sánchez 1598) : « Al Dr. Cristobal Perez de Herrera, sobre los mendigos ». Su Francisco de Vallés cfr. M. Cavillac : Gueux et marchands dans le Guzmán de Alfarache (1599-1604), pp. 355-357. 1143   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO DE la Picara Romera. Capitulo quarto [segvndo !] del fullero burlado. Numero tercero de la burla del hermitaño », pp. 49-58. 1144   J. M. Oltra Tomás : La parodia como referente en La Pícara Justina, pp. 84-98. 1145   J. M. Oltra Tomás : La parodia como referente en La Pícara Justina, pp. 79-84.  































































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cano nel ridicolissimo personaggio di Antón Pintado, il “vachillerejo algo ... pariente” di Justina, il quale, “en virtud de ciertos cursos interpolados que auia tenido en el Colesio [Colegio] de los Dominicos de Trianos, lleuaua vn pujo de dezir necedades”. 1146 L’autore della Pícara Justina si burla inoltre – secondo José Miguel Oltra Tomás – non solo di un’opera di agiografia come la Vida de San Raimundo, ma anche di opere dottrinali e didattiche, come il Breviloquium di San Bonaventura, e di opere appartenenti alla “literatura de conversiones”, come la Conversión de la Magdalena (1588) di Fr. Pedro Malón de Chaide. 1147 Anche le fonti erudite – definite “materiales de aluvión” – sarebbero state intessute nella autobiografia di Justina con un “propósito claramente burlesco”. 1148 Infatti i riferimenti alla storia di Spagna, di Roma o di Bisanzio sono – osserva José Miguel Oltra Tomás – quasi tutti burleschi. E burleschi sono anche quasi tutti i riferimenti alla Bibbia. 1149 Le “bromas y familiaridades burlescas con la religión”, precisa però lo studioso, non scaturiscono da una “moral tibia”, come aveva affermato Bruno Mario Damiani, 1150 ma da “un sentido medieval del humor y la parodia”. 1151 Particolare rilievo dà, infine, lo studioso all’influsso esercitato sulla formazione della Pícara Justina dalle Accademie letterarie con la loro pratica dei vejámenes, il loro interesse “por todo tipo de enigmas, acertijos, juegos literarios de ingenio” 1152 e il loro entusiasmo per la letteratura emblematica. 1153 Non tutte le congetture di José Miguel Oltra Tomás sono convincenti, ma la sua analisi del contesto letterario e ‘ideologico’ arricchisce, nel suo insieme, la nostra conoscenza della Pícara Justina.  















1146   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO De la Picara Romera. Capitulo IIII. de la romera de Leon. Numero 5. del engaño meloso », p. 108. 1147   J. M. Oltra Tomás : La parodia como referente en La Pícara Justina, pp. 119-124. Cfr. anche José Miguel Oltra : Casuistica estructural en « La Pícara Justina » de Francisco López de Úbeda, p. 58. 1148   J. M. Oltra Tomás : La parodia como referente en La Pícara Justina, p.210. 1149   J. M. Oltra Tomás : La parodia como referente en La Pícara Justina, pp. 209-210. 1150   B. M. Damiani : Francisco López de Úbeda, p. 35. 1151   J. M. Oltra Tomás : La parodia como referente en La Pícara Justina, p. 210, nota n. 30. 1152   J. M. Oltra Tomás : La parodia como referente en La Pícara Justina, p. 217. 1153   J. M. Oltra Tomás : La parodia como referente en La Pícara Justina, pp. 213-217.  























Capitolo III COSA ERA DON RODRIGO CALDERÓN NEL 1604 ?  

Sommario : Un grande signore o un semplice ayuda de Cámara ? – Secretario de la Cámara del Rey ? – L’esaltazione di Don Rodrigo nella dedica della Pícara Justina e la sua discrepanza con la realtà concreta. – Un’ipotesi azzardata : Don Rodrigo Calderón Vargas y Camargo è Vargas-Machuca ?  









L

’in terpretazione di Marcel Bataillon, i cui studi sulla Pícara Justina sono stati considerati “esaurienti e per molti aspetti definitivi”, 1 e quella dei suoi seguaci si fondano completamente sulla convinzione che Francisco López de Úbeda sia un convertito di origine ebraica e un medico buffone dei grandi signori. Assunte, non come ipotesi ma come postulati, l’origine etnica del licenciado toledano e la sua qualità di médico chocarrero, il Libro de entretenimiento è inserito nella tradizione della letteratura buffonesca, considerata esclusivamente conversa e caratterizzata dall’autoderisione dei suoi autori per la propria origine ‘impura’ e dalla critica radicale della ideologia della purezza di sangue. Naturalmente questa interpretazione si rivelerebbe assurda se venisse definitivamente confermato che il vero autore della Pícara Justina è Fray Baltasar Navarrete. Ma anche se l’autore fosse Francisco López de Úbeda e la sua famiglia discendesse veramente da ebrei convertiti, l’interpretazione di Marcel Bataillon e dei suoi seguaci è insostenibile non solo perché è in contrasto – come abbiamo già mostrato – con il ‘senso letterale’ del testo, ma anche perché è fondata su una valutazione errata dello status di Don Rodrigo Calderón e su una visione semplicistica e distorta del contesto sociale, ‘ideologico’ e letterario dell’opera che gli è stata dedicata.  

Un grande signore o un semplice ayuda de Cámara ?  

Al momento della stesura della Pícara Justina e delle pratiche burocratiche necessarie per ottenere il permesso di pubblicarla, Don Rodrigo – come abbiamo già ricordato – non era uno dei personaggi più potenti della Corte 2 o addirittura onnipotente (tale non sarà mai !), come ha creduto Marcel Bataillon 3 (ed anche Francisco Márquez Villanueva 4), e tanto meno era quel “gran señor” di cui ha parlato Victor García de la Concha. 5 (Señores potevano essere chiamati, prescrivevano Las Siete Partidas, solo i signori feudali ; 6 señoría dovevano obbligatoriamente essere chiamati, prescriveva la Pragmática  









   

1

  Loreta Rovatti : Sul picarismo de La Pícara Justina, p. 143.   M. Bataillon : Pícaros y picaresca, p. 48 (“[...] don Rodrigo Calderón, uno de los dos personajes más poderosos de la corte después del duque de Lerma.”), p. 50, p. 87, p. 128. 3   M. Bataillon : Pícaros y picaresca, p. 116 (“[...] La Pícara Justina, dedicada al omnipotente don Rodrigo Calderón...”), p. 153 (“López de Úbeda dedicó su libro a Don Rodrigo Calderón, omnipotente...”). 4   F. Márquez Villanueva : La quinta langosta de ‘La pícara Justina’, p. 376 (“[López de Úbeda] talvez confiaba demasiado en la omnipotencia de su protector don Rodrigo Calderón”). 5   V. García de la Concha : Literalidad y literariedad en la novela picaresca, p. 72. 6   “SEñor es llamado propriamente, aquel que a mandamiento e poderio, sobre todos aquellos, que biuen en su tierra. E a este a tal deuen todos llamar señor, tambien sus naturales, como los otros que vienen a el, o a su tierra. Otrosi es dicho señor todo ome, que a poderio de armar, e de criar por nobleza de su linaje, e a este a tal non le deuen llamar Señor : sinon aquellos que son sus vassallos e reciben bien fecho [beneficio] del. E vassallos son aquellos, que reciben honrra, o bien fecho delos señores, assi como caualleria, o tierra, o dineros, por seruicio señalado que les hayan de fazer.” Cfr. Las Siete Partidas del sabio Rey don Alonso el nono, nueuamente 2













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del 1586, i Grandi, gli Arcivescovi, i Vescovi e il Presidente del Consiglio Reale ; era però permesso chiamare señoría pure i nobili titolati, i Commendatori Maggiori degli Ordini Militari, i Presidenti degli altri Consigli e delle Cancellerie Reali, 7 e – cosí stabiliva la Pragmática del 1611 – anche le figlie dei Grandi, i Viceré, i Generali di eserciti, di galee e dell’Armata del Mar Oceano ed altri pochi dignitari ; 8 il Tesoro de la Lengua Castellana o Española, uscito anch’esso nel 1611, registrava soltanto che señoría “es la cortesía que se da a los señores titulados” 9). Don Rodrigo Calderón era, nel 1604, un semplice “ayuda de Cámara”. Ricordiamo alcune date. Il 22 agosto del 1604 Juan de la Mezquita firma, in nome del Re, il « Privilegio Real », contenente la licenza di stampa e la concessione di una protezione da ristampe abusive della durata di dieci anni. Siccome però il « Privilegio Real » era stato ovviamente concesso dopo che Thomás Gracián, incaricato di esaminare la Pícara Justina, aveva letto e approvato l’opera, si può pensare che la richiesta del permesso di pubblicazione fosse stata inoltrata, con il relativo manoscritto, già nella primavera del 1604. Si deve inoltre considerare che il manoscritto presentato per la richiesta del « Privilegio Real » non era normalmente l’autografo dell’autore, ma una copia en limpio eseguita da un amanuense professionale. 10 Si può quindi fondatamente supporre che la Pícara Justina fosse stata ultimata qualche settimana prima dell’inizio della primavera. Cosa fosse, nei primi mesi del 1604, Don Rodrigo Calderón, ce lo dice Simeone Contarini, che – come è stato già ricordato – fu ambasciatore di Venezia a Valladolid dal 24 dicembre 1601 al 26 aprile 1604, nella Relación (o Discurso) sobre el estado de la Monarchia de España en el Reynado del Sr. Phelipe 3°, scritta alla fine della sua missione diplomatica :  



   



















Glosadas por el Licenciado Gregorio Lopez del Consejo Real de Indias de su Magestad. Impresso en Salamanca Por Andrea de Portonaris, Impressor de su Magestad. Año M.D.L.V. (Quarta Partida, Titulo XXV, Ley. I. Que cosa es Señor, e que cosa es vassallo, fo. 61v). 7   “[Se ordena] QVE a los Arçobispos y Obispos y a los Grandes, y a las personas que mandamos cubrir, sean obligados todas las personas destos nuestros Reynos, a llamarles Señoria, y tambien al Presidente del nuestro Consejo Real. – QVE a los Marqueses, y Condes, y Comendadores mayores de las Ordenes de Sanctiago, Calatraua, y Alcantara, y Presidentes de los otros nuestros Consejos, y Chancillerias se pueda llamar y escriuir señoria por escrito y de palabra, y no à otra persona alguna.” Cfr. PRAGMATICA, | En que se da la orden y forma que se ha de | tener y guardar, en los tratamientos y cortesias | de palabra y por escrito : y en traer coroneles, | y ponellos en qualquier partes | y lugares. | [Stemma reale] | EN MADRID, | Por Pedro Madrigal, Año de 1586. | Esta tassada a cinco marauedis el pliego. | Vendese en casa de Blas de Robles, librero del Rey nuestro señor. (Wien, Österreichische Nationalbibliothek : 156.120-C Alt.), fo. Aiijv. 8   “Y mandamos que a los Arçobispos, Obispos, y Grandes, y a las personas que mandamos cubrir, sean obligados todos a llamarles Señorias, assi por escrito, como de palabra, y tambien al Presidente de nuestro Consejo, al qual permitimos que le puedan llamar Señoria Illustrissima. – [...] Permitimos que a los Marquesses, Condes, Comendadores mayores de las Ordenes de Santiago, Calatraua, y Alcantara, y Comendador mayor de Montessa, y Claueros de las dichas Ordenes de Calatraua, y Alcantara, y a las hijas de los Grandes se pueda llamar, y escriuir Señoria, y tambien a los Presidentes de los otros nuestros Consejos, y Chancillerias, y a los Priores, y Baylios de la Orden de san Iuan, y a los Priores de los Conuentos de Vcles, y Leon de la Orden de Santiago, durante el tiempo de sus oficios, y a los Visorreyes, y Generales de exercitos, y Galeras, y Armada del mar Oceano, y al que es, o fuere Maese de Campo General de España [...], prohibiendo, como prohibimos, que a ninguna otra persona de qualquier calidad, estado, y condicion que sean, se pueda llamar Señoria por escrito, ni de palabra”. Cfr. PRAGMATICA | DE TRATAMIENTOS, | y cortesias, y se acrecientan las penas | contra los transgresores de | lo en ella con- | tenido. | [Stemma reale] | EN MADRID | Por Iuan de la Cuesta. Año de 1611. | [Linea tipografica] | Vendese en casa de Francisco de Robles, librero del Rey | nuestro Señor. (Wien, Österreichische Nationalbibliothek : 390.472-C Alt.), fo. 3v-4r. 9   Sebastián de Covarrubias Orozco : Tesoro de la lengua castellana o española. Edición de Felipe C. R. Maldonado revisada por Manuel Camarero. Segunda edición corregida (= Nueva Biblioteca de Erudición y Crítica, 7). Madrid : Castalia 1995, p. 890. 10   Cfr. José Manuel Lucía Megías : Escribir, componer, corregir, reeditar, leer (o las transformaciones textuales en la imprenta). In : Antonio Castillo Gómez (Ed.) : Libro y lectura en le Península Ibérica y América. (Siglos XIII a XVIII.) Junta de Castilla y León 2003, pp. 209-242 ; qui pp. 210-213. – F. Rico : El texto del « Quijote ». Preliminares a una ecdótica del Siglo de Oro, pp. 55-73.  























cosa era don rodrigo calderón nel 1604?

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Entre los Ayudas de Cámara hay uno que se llama Don Rodrigo Calderón, que fue Paje del Duque [de Lerma] y ahora toda su privanza, es mozo aunque casado, amicísimo y codicioso en extremo, déjase regalar con publicidad, pero yo no le he dado nada porque no es Ministro de Estado, ni su poder tanto como suena ; recibe y ve los despachos, facilita las audiencias del Duque a quien quiere, recuérdale los negocios y antepone y propone un papel quando se le antoja, y así es malo para enemigo, que de su entendimiento y calidad no hay que temer ; quiere mal al Conde de Villalonga [Pedro Franqueza], cosa que a él se le da mui poco aunque le trata con blandura. 11  





Don Rodrigo – secondo questo rapido, ma incisivo ‘ritratto’ tracciato dall’ambasciatore veneziano – era uno dei tanti “ayudas de Cámara”, 12 uno però avidissimo di denaro, intrigante e corrotto, che, forte della protezione del Duca di Lerma, poteva accelerare o ritardare l’iter delle pratiche, facilitare od ostacolare l’accesso al valido, ma che né era Ministro di Stato, né il suo potere era tanto come voleva far credere, né era temibile per il suo intelletto e per la sua “qualità” (status, rango e condizione sociale), ragioni per cui l’esperto diplomatico non aveva ritenuto necessario fargli dei regali (riteneva invece opportuno – come vedremo – farli a Pedro Franqueza, che in realtà era colui tra le cui mani passavano tutti gli affari e tutte le pratiche di governo 13). Cos’era precisamente un ayuda de Cámara ? Nella gerarchia del personale della Casa del Re – organizzata sostanzialmente secondo il modello di uffici, cerimoniale ed etichetta della Corte di Borgogna, descritto da Olivier de La Marche nel suo trattato Estat de la maison du duc Charles de Bourgogne (1474) – gli ayudas de Cámara occupano uno degli ultimi posti, come testimonia lo stesso Simeone Contarini. 14 Le Etiquetas de Palacio fissano così numero, retribuzione, compiti, incombenze e prerogative degli ayudas de Cámara :  









Los ayudas de cámara no tienen número fixo, hay los que S. M. hace esta merced. Suele haber 24 y tiene cada vno de gages al día 41 plazas, y montan 3.591.000. Quando caminan con S. M. se da a cada vno vn cofre y vna mula. A todo será obligado el sumiller de corps de darlos de comer y también al barbero de corps y su ayuda, al guardarropa y su ayuda. En el tiempo que el conde Henrique de Nassau fue camarero del emperador Carlos V no 11   Simón Contarini : Estado de la Monarquía Española a principios del siglo XVII (Manuscrito del siglo XVII), p. 70. 12   Nell’anno 1600 erano undici. Cfr. El pasatiempos de Jehan Lhermite. Memorias de un Gentilhombre Flamenco en la corte de Felipe II y Felipe III, pp. 564-565 13   I giudici incaricati della indagine sul comportamento tenuto da Pedro Franqueza nell’espletare le sue funzioni, scrissero nella loro relazione : “Nadie podía negociar sin comprar por medio tan sórdido y detestable como era recibir vendiendo sus oficios y ocupaciones estimadas, calificadas y despachadas con la sangre de precio y dinero con que se vendía la causa pública, la reputación real […], que todo pasaba por su mano y lo calificaba y distribuía como el confiesa”. Cfr. Cargos que resultan de la visita hecha a Don Pedro Franqueza, Conde de Villalonga, secretario de Estado, por mandado de S Mg.d el Rey Don Philippe III. La qual executò el Licenciado Don Fernando Carrillo, de el Consexo y de la Camara. Por ante Francisco de Monzon contador de merzedes de S Mg. como su escriuano. Año 1606 (Madrid, Biblioteca Nacional : Ms. 960), fo. 136v-137r. 14   Simeone Contarini (Estado de la Monarquía Española a principios del siglo XVII, p. 67) scrive che la “Casa del Rey”, che pur con qualche variazione era “al uso antiguo de la Casa de Borgoña”, era servita dal “Mayordomo Mayor”, da nove “Mayordomos”, da 14-16 “Gentiles Hombres de la Cámara”, da un “Caballerizo Mayor”, da un “Sumiller de Corps” (Summus Praefectus cubiculi Regis), da un “Cazador Mayor, dai “Capitanes de tres guardias : Española, de los Archeros y Tudesca”, da 50 e più “Gentiles Hombres de boca”, da “costilleros y criados en gran número que son Gentiles Hombres de [la] Casa”, da un “Contador y Grefier (Grafier)”, da “ayudas de cámaras” e da “quatrocientos soldados de guarda de todas naciones”. Come “Embajador de Venecia”, al quale l’etichetta di Corte riservava nelle cerimonie un rango preminente, Simeone Contarini conosceva perfettamente la gerarchia del personale della Casa del Re.  







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entraban en la cámara de S. M. por la mañana hasta que s. m. salía de ella, y a la noche hasta que estubiese acostado. Tienen a su cargo la plata, ropa blanca y cofres de la cámara de S. M. Hacen la cama del sumiller de corps, y si faltan gentiles hombres de la cámara hacen tambien la de S. M. Quando S. M. come retirado faltando gentiles hombres de la cámara ban a cubrir y hacer la lumbre en la cámara. El ayuda de cámara semanero duerme en la cámara de s. m. y de día no puede salir fuera ni dejar otro en su lugar, y tiene cuidado de que los candeleros y otras menudencias del servicio de S. M. estén a punto a las horas necesarias. El más moderno sigue a caballo la persona de S. M. y lleba en vna bolsa vn servidorcillo para si s. m. necesita proveerse y vn paño de Olanda, lleba también recado de escribir por si se ofrece. Sirben en cuerpo, siempre ponen y quitan la caja de S. M. y la Olanda en que se limpia es suya, y no puede sentarse ni estar arrimados delante del sumiller ni de ningún gentilhombre de cámara. 15  

Come si vede, l’ufficio di ayuda de Cámara era, in sé e per sé, un ufficio ben modesto, per non dire umile, anche se il servire il Re – pur nei suoi bisogni corporali – in qualche modo nobilitava e soprattutto offriva l’occasione di esercitare una certa influenza. Gli ayudas de Cámara erano, piú precisamente, “ayudas de gentilhombres de la cámara de su Majestad”, come li definisce Jehan Lhermite, 16 che era lui stesso ayuda de Cámara di Filippo III (prima lo era stato di Filippo II, Casa di Borgoña 17). Sostituivano infatti i gentiluomini della ‘chiave dorata’ nei compiti che non si addicevano a questi grandi signori, come spiega Sebastián de Covarrubias Orozco (“Ayudas de cámara : los gentilhombres que se dan por ayudas a los caballeros de la llave dorada, que son de la cámara de Su Magestad, para que acudan a los ministerios ordinarios, en que no se han de ocupar los señores” 18). Nel seguito che accompagnava il Re nelle cerimonie e nelle uscite pubbliche, gli ayudas de Cámara non figurano mai. 19 Il modesto ufficio corrispondeva d’altronde allo status di Rodrigo Calderón, che – come abbiamo già osservato – non solo era privo di un titolo nobiliare, ma non era  









15   Etiquetas de Palacio ordenadas por el año de 1562 y reformadas el de 1617 (Madrid : Archivo Histórico Nacional, Consejos Suprimidos, libro 1189, ff. 1r-298r). In : La Monarquía de Felipe II : La Casa del Rey. Directores : José Martínez Millán - Santiago Fernández Conti. Volumen II : Oficiales, Ordenanzas y Etiquetas, pp. 835-999 ; qui p. 907. Sulla configurazione borgognona, gli uffici e la gerarchia della Camera Reale, cfr. La Monarquía de Felipe II : La Casa del Rey. Directores : José Martínez Millán - Santiago Fernández Conti. Volumen I : Estudios, pp. 568-575. 16   El pasatiempos de Jehan Lhermite. Memorias de un Gentilhombre Flamenco en la corte de Felipe II y Felipe III, p. 600. 17   Cfr. La Monarquía de Felipe II : La Casa del Rey. Directores : José Martínez Millán - Santiago Fernández Conti. Volumen II : Oficiales, Ordenanzas y Etiquetas, p. 236. 18   Sebastián de Covarrubias Orozco : Tesoro de la lengua castellana o española, p. 144. 19   « La plantta de el acompañamiento quel el día que sale a caballo en público lleba su Magestad » era, per esempio, questa : “1.° Alcaldes de cortte. 2.° Capittanes ordinarios. 3.° Costilleres. 4.° Acroes y caualleros conocidos. 5.° Genttiles hombres de la voca y títtulos. 6.° Secrettarios de Esttado. 7.° Maiordomos de el rey. 8.° Grandes. 9.° Oficiales de la caualleriza, ayo y pages, veedor y cauallerizos, y thenienttes de las guardas, todos a pie y descubierttos. 10. Su magd. El rey nuestro señor. 11. Primer cauallerizo a pie al lado derecho cerca de el estribo y descubiertto. 12. Maiordomo maior. 13. Capittanes de los archeros. 14. Cauallerizo maior. 15. Embajador de Polonia. 16. Embajador de Venecia. 17. Embajador de Alemania. 18. Nuncio de su Santidad. 19. Genttiles hombres de la cámara. 20. Consejeros de Esttado que no son grandes. 21. Cauallo de el rey de respectto con terliz. 22. Cauallo de respetto de el cauallerizo maior con terliz. 23. Coche de la persona de su magd. 24. Coche de respetto. 25. Coche de el cauallerizo maior. 26. Coche de la camarera. 27. Los demás coches de la cámara de su magessttad. 28. Soldados de las guardas por ambos lados. 29. Archeros. 30. Guardarnés con el terliz” (Etiquetas de Palacio ordenadas por el año de 1562 y reformadas el de 1617, pp. 959-960). Cfr. anche Antonio Rodríguez Villa : Etiquetas de la Casa de Austria. Madrid : Imprenta de Medina y Navarro (1875), pp. 165-170.  



































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neppure caballero o hidalgo. Il Don di cui si fregiava – perlomeno già dal 1591, quando si era immatricolato all’Università di Valladolid 20 (sempre che nel Libre de matriculas il titolo non sia stato inserito posteriormente) – era usurpato, come dimostra chiaramente il semplice fatto che in nessun documento ufficiale e in nessun contratto privato il nome di suo padre Francisco Calderón è preceduto dal Don. Nei Sucesos del Reinado de Felipe III del padre geronimita Fray Jerónimo de Sepúlveda si trova questa annotazione – riferita all’aprile-giugno del 1602 – su Don Rodrigo, che – assieme alle annotazioni, sopra ricordate, dedicategli da Luis Cabrera de Córdoba nelle sue Relaciones – costituisce uno dei primi documenti relativi all’inizio della sua ‘carriera’ :  



En estos días […] dieron cuarenta mil [ducados] al secretario Franqueza, y un oficio muy bueno en la ciudad de Sevilla a don Rodrigo Calderón, que se le vendió al duque de Medinasidonia, y le dió por cinquenta mil ducados. Otros dicen que cincuenta y cinco mil ducados. Este era y es un pobre pajecillo del duque de Lerma, que no tenía en que caer muerto, y ahora es ya ayuda de cámara del Rey y tiene ya Don y hanle casado con una señora muy principal y de mayorazgo, y se dice le quieren hacer caballero y darle llave dorada, y ahora se despachan todas las cosas por su mano y no se sabe otra cosa sino es el señor don Rodrigo Calderón y tiene cuanto quiere. 21  

Era stato il Duca di Lerma ad affidare a Don Rodrigo, che mai ottenne la llave dorada (mai divenne, cioè, gentilhombre de la Cámara del Rey), l’ufficio di ayuda de Cámara. Come Sumiller de corps il favorito era infatti a capo della Camera del Re e questo ufficio, che deteneva dal dicembre del 1598, gli permetteva di scegliere tutti i ‘servitori’ del Sovrano – quindi anche i gentileshombres de la Cámara 22 e gli ayudas de gentilhombres de la cámara de su Majestad – e di effettuare cosí un controllo totale sulle persone che volevano vedere Filippo III e parlargli in privato (ottenuto – solo e sempre, naturalmente, grazie al Sumiller de corps, che era anche Caballerizo Mayor – l’accesso al Re, il colloquio avveniva comunque sempre in presenza del Duca di Lerma, 23 la sombra del Rey 24). Quale fosse il vero compito affidato dal Duca di Lerma a Don Rodrigo Calderón, come agli altri ayudas de Cámara e gentileshombres de la Cámara, è ben chiaro. Interessanti informazioni su Don Rodrigo Calderón le offre, nella sua Fastigimia, anche Thomé Pinheiro da Veiga (1571-1656), figlio e nipote di professori dell’Università di Coimbra, per parte paterna, e, per parte della madre, D. Helena Pinheiro, “descendente da Casa de Aboim”, antica e illustre. All’inizio della sua carriera, questo giurista, che diventerà “Procurador da Coroa”, “Desembargador do Paço” e, infine, “Chanceller mór do Reino”, aveva soggiornato per lunghi periodi, “com dispendio da propria fazenda”, a Valladolid nell’anno 1603 e nell’anno 1605, 25 per difendere, come “Ouvidor de Esgueira Comarca de Coimbra”, la “jurisdição real contra a Casa de Aveiro”. Nella lunga controversia, nella quale “conseguio triunfar de todos os obstaculos maquinados contra a jurisdição real”, ebbe modo di conoscere perfettamente, per diretta esperienza, l’organizzazione e la gerarchia burocratica dello Stato di Filippo III ed anche di frequen 







20   Nel Libre de matriculas de 1588 à 1601 dell’Università di Valladolid si trova questa registrazione : “Año de 1591 para 92. Rector el doctor gregorio de cordoua – grammatica. ~ don rr.o calderon nl [natural] de V.d [Valladolid] – a 19 Enero 1591.” Cfr. « Estudios de D. Rodrigo Calderón en la Universidad de Valladolid ». In : J. Martí y Monsó : Los Calderones y el Monasterio de Nuestra Señora de Portaceli. Documentos, p. 384 (Doc. Núm. 22). 21   Sucesos del Reinado de Felipe III. (Manuscrito 2.577 de la B. Nacional de Madrid, por el P. Fray Jerónimo de Sepúlveda, religioso jerónimo en San Lorenzo el Real de El Escorial). VII (1602). In : La Ciudad de Dios, CXXIX/3 (5 Abril 1922), pp. 32-40 ; qui pp. 38-39. 22   Cfr. S. Martínez Hernández : El Marqués de Velada y la Corte en los reinados de Felipe II y Felipe III, pp. 23   Cfr. A. Feros : El Duque de Lerma, pp. 176-180. 441-442. 24   F. Benigno : La sombra del rey. Validos y lucha política en la España del siglo XVII. 25   Thomé Pinheiro da Veiga parla dei “dous annos que nella [em Valhadolid] estive” (Fastigimia, p. 329).  



















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tare, come appartenente all’Ordine dei Cavalieri di Cristo, 26 l’ambiente della Corte. 27 La sua testimonianza è quindi di particolare valore. Nel suo diario manoscritto dei mesi trascorsi a Valladolid nell’anno 1605, Thomé Pinheiro da Veiga descrive, alla data 22 giugno, il sistema di potere clientelare instaurato dal Duca di Lerma. Inizia esprimendo il suo stupore sulla carriera di alcuni parvenus :  





vi neste dia a Filha e Nora de Franqueras [Franqueza] hirem em hum coche, com mais de 20 de cavallo e entre elles alguns Condes e Senhores ; e por ser huma das couzas mais notaveis, que ha em Hespanha o que acaesceo a este e outros fidalgos, vos quero contar o que alcancei, estes dias antes do São João, do picaro de Valhadolid. 28  



Illustrate la vertiginosa ascesa al potere di Don Francisco Gómez de Sandoval y Rojas e l’astuta rete di alleanze matrimoniali da lui tessuta ed elencati gli onori, le dignità, le cariche, le ricchezze, le prebende e i titoli accumulati dal valido del Re e gli onori, le dignità, le cariche, le ricchezze, le prebende e i titoli da lui distribuiti a figli, parenti e membri del suo clan, Thomé Pinheiro da Veiga osserva che il Duca di Lerma, sul quale “descarregou El-Rey … o pezo do mundo e o governo delle, descançando nelle”, 29 non è, in verità, “muyto trabalhador”, pur avendo molto lavoro da sbrigare. Ma come il Re ha un favorito, sul quale ha scaricato il peso del governo, così il favorito ha due favoriti, “2 braços”, incaricati di sbrigare il grosso degli affari. Sono : Don Pedro Franqueza e Don Rodrigo Calderón. Al “primo braccio”, Don Pedro Franqueza, inizialmente semplice “escrivãao de Provincia”, Thomé Pinheiro da Veiga, dedica un ampio ‘ritratto’ (“para que vejais o que dá de si Hespanha e o que he” 30 – ancora una volta il Cavaliere dell’Ordine di Cristo esprime il suo stupore sulla sbalorditiva carriera del parvenu !), del quale trascriviamo solo le prime righe :  









Era este da obrigação do Duque e aragonés e tinha entrada em sua caza e, mettendo-o o Duque na privança, lançou mão delle ; e, achando-o homem muy capás e inteligente nos negocios, se lhe entregou muyto, fiando tudo delle ; e começaram elle e D. Rodrigo Caldeirão, ainda que este sem officio, a ser dos : nihil habentes, et omnia possidentes. 31  







Dopo aver parlato a lungo di Pedro Franqueza, il “primo braccio” del Duca di Lerma, Thomé Pinheiro da Veiga dedica queste poche righe a Don Rodrigo Calderón :  

O segundo braço he D. Rodrigo Caldeyrão, o qual he filho de D. Phelipe [Francisco !] Caldeyrão, do habito de S. João, mas athe agora foy donato somente e não freyre : era page D. Rodrigo do Duque, que, entrando na privança, o cazou com D. Ignez de Vargas, que tinha 3.000 cruzados de renda, em alguns lugares de que he senhora, e ella muy fermoza, moça e principal. Servia o officio de Mueril [Alonso Muriel de Valdivieso] e, aprezentando as consultas a El-Rey e muy mimozo do Duque, he ajuda de Camara e tem muyta renda e se alcançam muytas couzas por sua valia : ao pay fizeram Teniente da guarda castilhana e Administrador da Tudesca ; e por esse titulo vay a cavallo, em huma e outra, inda que, por Teniente, houvera de hir a pé. 32  









Nel giugno del 1605 Don Rodrigo Calderón è quindi ancora “ajuda de Camara” e “sem 26   Lo stesso Thomé Pinheiro da Veiga ricorda più volte di essere Cavaliere dell’Ordine di Cristo : “beze la mia [crus]”, “tres cruzados portuguezes [Thomé Pinheiro da Veiga, Constantino de Menelao, Diogo Sodré Pereira ]” ; “vendo as nossas cruzes” ; “vendo-nos os habitos” (Fastigimia, p. 139, p. 196, p. 267, p. 302). 27   Diogo Barbosa Machado : Bibliotheca Lusitana. Tomo III. Coimbra : Atlântida Editora 1966, pp. 758-760. 28   Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, p. 168. 29   Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, p. 169. 30   Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, p. 170. 31   Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, p. 171. 32   Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, pp. 172-173.  



















cosa era don rodrigo calderón nel 1604?

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officio”. Soffermiamoci un poco su queste informazioni sulla posizione ufficiale di Don Rodrigo Calderón a Corte offerteci da Thomé Pinheiro da Veiga, perché sembrano in contrasto con le affermazioni di alcuni storici.

Secretario de la Cámara del Rey ?  

Secondo Ciriaco Pérez Bustamante il Duca di Lerma aveva elevato, già prima del 29 settembre 1601, Don Rodrigo Calderón “al cargo de secretario de cámara del rey”. 33 Lo stesso ufficio è stato attribuito al favorito del favorito da Alfonso Corral Castanedo 34 e, più recentemente, da studiosi come Francesco Benigno, 35 Pablo Jauralde Pou, 36 Ricardo Gómez Rivero, 37 Antonio Feros Carrasco 38 e Javier Salazar Rincón. 39 Questi studiosi o non indicano i documenti sui quali fondano le loro affermazioni o si richiamano, come fa Ciriaco Pérez Bustamante, 40 alle Memorias di Matías de Novoa, nelle quali si dice che il favorito del favorito ricopriva “el oficio de Secretario de … Cámara” del Re, 41 oppure, come fa Pablo Jauralde Pou, 42 ai Discursos de don Antonio Hurtado de Mendoza, secretario de cámara de don Felipe IV. 43  





















33   C. Pérez Bustamante : La España de Felipe III, p. 136. In questa pagina è inserita la riproduzione fotografica di un biglietto di Don Rodrigo Calderón del 29 settembre 1601 con la didascalia : “Oficio de don Rodrigo Calderón, con su firma y rúbrica, remitiendo un memorial del pintor Vicente Carducci (Valladolid, 29 de septiembre de 1601).” Nel documento riprodotto non vi è alcun riferimento ad un oficio di Don Rodrigo Calderón. Don Rodrigo “servia o officio de Mueril [Alonso Muriel de Valdivieso]”, come documenta la pagina della Fastigimia di Thomé Pinheiro da Veiga or ora trascritta. 34   Alfonso Corral Castanedo : « Calderón, Rodrigo ». In : Diccionario de Historia de España. Dirigido por Germán Bleiberg. 1 : A/E. Madrid : Alianza Editorial 1981, pp. 636-637. 35   Francesco Benigno : La sombra del rey. Validos y lucha política en la España del siglo XVII, p. 72 (“Calderón no desempeñaba en la Corte ningún puesto oficial, salvo el de secretario de la Cámara”). 36   Pablo Jauralde Pou : Francisco de Quevedo (1580-1645). Prólogo de Alonso Zamora Vicente. Segunda edición (= Nueva Biblioteca de Erudición y Crítica, 15). Madrid : Castalia 1999, p. 42, nota nro. 42. 37   Ricardo Gómez Rivero : Lerma y el control de cargos. In : José Antonio Escudero (Coordinador) : Los validos. Madrid : Universidad Rey Juan Carlos 2004, pp. 81-119 ; qui p. 114. 38   Antonio Feros : Lerma y Olivares : la práctica del valimiento en la primera mitad del seiscientos. In : La España del Conde-Duque. Valladolid : Universidad de Valladolid, Secretariado de Publicaciones 1990, pp. 197224 ; qui p. 207. – Antonio Feros : El Duque de Lerma. Realeza y privanza en la España de Felipe III, p. 181 (“Calderón … fue nombrado ayuda de cámara del rey en 1598 y secretario de la cámara del rey en 1601, un oficio que le concedía el derecho de inspeccionar todos los memoriales dirigidos al rey”). Più avanti lo studioso scrive : “Entre aquellos que pasaron del servicio privado a Lerma a ocupar importantes oficios deben destacarse Rodrigo Calderón y Juan Bautista de Acevedo. Calderón fue paje de Lerma durante los últimos años del reinado de Felipe II, y a partir de septiembre de 1598 se convertiría en una suerte de consejero privado, cuando no de favorito del valido. […] la influencia que Calderón alcanzó durante el reinado de Felipe III […] se debió única y exclusivamente a sus contactos personales con Lerma, porque debemos recordar que el único oficio que llegaría a poseer sería el de secretario de la Cámara del Rey”. 39   Javier Salazar Rincón : El escritor y su entorno. Cervantes y la Corte de Valladolid en 1605, p. 17 (“Ya en Valladolid, desde 1601, Calderón pasó a ocupar el puesto de secretario de la cámara del rey y secretario de Estado” !). Anche nel breve profilo biografico dedicato a Don Rodrigo nella recentissima Monarquía de Felipe III gli si attribuisce questo ufficio : “Acompañó al marqués [de Denia] y a Felipe III en el viaje de éste para desposarse en Valencia y se le nombró secretario de la cámara.” Nello stesso profilo biografico si afferma che nel 1610 ( !) “se hizo investigación contra él [Don Rodrigo] y contra Pedro Franqueza y, aunque Calderón resultó exento de culpa, Franqueza tuvo que ser detenido al no poder justificar las riquezas que poseía en casa” ; poco oltre si scrive que nel 1611 Don Rodrigo “fue destituido como secretario del Despacho Universal”. Cfr. La Monarquía de Felipe III : La Casa del Rey. Volumen II, pp. 126-127. 40   C. Pérez Bustamante : La España de Felipe III, p. 127. 41   Matías de Novoa : Memorias. Tomo II, p. 107. 42   P. Jauralde Pou : Francisco de Quevedo, p. 42 n. 43   Antonio Hurtado de Mendoza scrive quanto segue sui secretarios de la cámara di Filippo III : “Alonso Muriel, cuando se le puso casa á Felipe III, de cuatro Ayudas de Cámara que se le señalaron, juró el más antiguo, por ser hijo y nieto de criados en esta ocupación. Hizole merced siempre, y por su mano se mantuvo la correspon 

































































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capitolo iii

Ma l’ufficio di Secretario de la Cámara del Rey, che era stato ricoperto sino all’estate del 1602 da Luis de Salazar, fu successivamente ricoperto da Juan Ruiz de Velasco, che morí nel 1605, da Juan de Amézqueta, che lo tenne sino alla sua morte, avvenuta nel 1608, e quindi da Tomás de Angulo. 44 Questi dati sono tratti dalle Relaciones di Luis Cabrera de Córdoba, che registra scrupolosamente le nomine alle dignità e agli uffici di Corte. Oltre che delle importanti testimonianze di Luis Cabrera de Córdoba e di Thomé Pinheiro da Veiga disponiamo, fortunatamente, di tre documenti che eliminano ogni dubbio sulla posizione di Don Rodrigo Calderón a Corte. Il primo è la dichiarazione, contenuta nel Libro de desposorios della Chiesa parrocchiale de La Cistérniga, del sacerdote che il 5 marzo 1601 celebrò il matrimonio fra Don Rodrigo e Doña Inés de Vargas : “desposse y bele en facie eclessie a don Rodrigo calderon natural de Vallid[olid] ayuda de camara de su mag.d con doña ynes de bargas”. 45 Il secondo documento è rappresentato dalla già ricordata « Peticion » che Don Rodrigo aveva rivolto, il 17 ottobre 1604, alla Cofradía del Real Hospital de Nuestra Señora Santa María de Esgueva di Valladolid. In questa petizione l’aspirante confratello si definisce “vezino y natural de Vall.d de la camara de su mag.d”. 46 Il terzo documento è costituito dalla rinunzia di Francisco Calderón alla regiduría in favore del figlio, presentata dallo stesso Don Rodrigo all’Ayuntamiento di Valladolid nella seduta del 30 giugno 1607. Nel protocollo della seduta si legge quanto segue : “Este dia parezio en este ayuntamiento don rrodrigo Calderon ayuda de camara de su mag.d y presento…”. 47 Sino alla fine di giugno del 1607 Don Rodrigo era quindi soltanto ayuda  















dencia entre el Príncipe y el Marqués de Denia, y cuando llegó el Duque al valimiento le pagó este beneficio con muchos y grandes. Y habiéndole dado después demasiado y haciendo sobrada ostentación de su cabida y no midiendo las distancias, se vió obligado á dejar el lugar, pero con aventajadas recompensas, y entre ellas las dos Secretarías de la Cámara (que no quiso admitir) y la Tesorería de Sevilla, que aceptó, valiéndole 10.000 ducados de renta ; y desde él hasta D. Bernabé, siempre los Secretarios de la Cámara de Palacio remitieron los despachos de firmas y consultas á todos los Ministros de la Corte. Sucedióle D. Rodrigo Calderón, cuya suerte no se trae por ejemplo ; que la grandeza de los Amos y enemigos que hubo, hicieron igualmente grande su fortuna y su ruina. Don Bernabé de Vibanco, como sustituto suyo, entró luego en el oficio, adquirió en él 10.000 ducados de renta, abrió el cerrado camino de los hábitos, tuvo una buena encomienda en su Orden, adquirió lícitamente muy buenas alhajas y ricas joyas y sirvió siempre con públicas demostraciones de favorecido. Muerto Felipe III […], el Rey mi Señor […] le admitió en la misma ocupación (que en la propia gracia era temprano), y no pudiendo sufrir la diferencia del trato, pidió el retiro”. Cfr. Papel de Don Antonio de Mendoza, en que discurre sobre los principios del oficio de Secretario de Cámara. In : Discursos de Don Antonio de Mendoza, Secretario de Cámara de Don Felipe IV. Publícalos con una introducción y notas el Marqués de Alcedo, Académico Correspondiente de la Historia. (Impreso por José Blass y Cia. Madrid 1911), pp. 59-69 ; qui pp. 62-63. Quindi, secondo Antonio Hurtado de Mendoza (1586-1644), che all’inizio del suo Papel afferma che Juan Ruiz de Velasco ricoprí l’ufficio di segretario solo di Filippo II (come vedremo lo sarà sino alla sua morte anche di Filippo III), i secretarios de la cámara di Filippo III furono : Alonso Muriel, Rodrigo Calderón e Bernabé de Vivanco ! Elenco erroneo e largamente incompleto, come or ora dimostreremo. 44   Cfr. Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 150, p. 259, p. 326, p. 349, p. 495. Non si capisce quindi come Matías de Novoa possa aver scritto nelle sue Memorias (Tomo I, p. 448) che Don Rodrigo Calderón aveva assistito alle esequie della Regina Margarita, celebrate nel 1611 nel Monasterio de San Lorenzo el Real, “como Secretario de Cámara”. 45   « Casamiento de D. Rodrigo Calderón con D.a Inés de Vargas, en la iglesia parroquial de La Cistérniga. » In : J. Martí y Monsó : Los Calderones y el Monasterio de Nuestra Señora de Portaceli. Documentos. In : Boletín de la Sociedad Castellana de Excursiones, Año VIII, Núm. 85 (Enero de 1910), p. 386 (Doc. Núm. 26. 1601). Nell’aprile del 1602 Jehan Lhermite (El Pasatiempos, p. 600) si congeda, prima di tornare in patria, da “don Bernabé de Vivanco, Eugenio de Marban, Hernando de Espejo, don Rodrigo Calderón, Diego de Obregón y don Pedro de Oviedo, todos ayudas de gentilhombres de la cámara de Su Majestad y compañeros y camaradas míos”. 46   « Pruebas para admitir D. Rodrigo Calderón en la Cofradía del Real Hospital de Nuestra Señora Santa María de Esgueva. Peticion de don R.o Calderon en 17 de oct.e de 1604. » In : J. Martí y Monsó : Los Calderones y el Monasterio de Nuestra Señora de Portaceli. Documentos. In : Boletín de la Sociedad Castellana de Excursiones, Año VIII, Núm. 85 (Enero de 1910), pp. 296-297 (Doc. Núm. 3. 1604). 47   « El capitán Francisco Calderón, renuncia el cargo de regidor en su hijo D. Rodrigo. Sesiones del Ayunta 



































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de Cámara. Anche nella già ricordata Real Cédula del 7 giugno 1607, con la quale Filippo III impose “perpetuo silencio” agli accusatori del favorito del Duca di Lerma, non vi è alcun riferimento ad un particolare ufficio ricoperto da Don Rodrigo. Il Re accenna però alle attività ‘burocratiche’ svolte da “Don Rodrigo Calderón, de mi Cámara,” per conto del Duca di Lerma e specifica le accuse che gli erano state rivolte anche attraverso memoriali ‘pubblicati’ (divulgati in forma manoscritta). Per la sua grande importanza ed estrema rarità trascriviamo qui di seguito questa Real Cédula, che rappresentava – anche in una Monarchia assoluta (rispettare le leggi, “hazer justicia” e “exercitar justicia” costituivano, secondo la dottrina politica, il compito, il dovere maggiore e il fondamento stesso del potere del Re 48) – un atto di autorità arbitrario quanto assurdo, una vera e propria ‘mostruosità’ giuridica :  



EL REY POR Quanto con ocasion de las visitas que he mandado hazer contra algunos ministros mios, por las justas causas que para ello procedieron, resultò dezirse publicamente por algunas personas, notando à don Rodrigo Calderon de mi Camara, que con ocasion de mi seruicio, y de la mano que auia tenido en los papeles y cosas que estan a cargo del Duque de Lerma, y de que trata, auia excedido en ventas, y conciertos de beneficios, y oficios Eclesiasticos y seglares, y en manifestar, y reuelar secretos de mi seruicio por dineros, o por otros fines suyos particulares, y que auia vendido Audiencias, y descubierto consultas, comunicandolas à las partes, y detenido, y mudado otras, y algunos pliegos, y despachos de mi seruicio, recibiendo dineros, joyas, y preseas, por ilicitas y reprouadas causas : y que en el oficio de la Cruzada, y en otras mercedes que se le auian hecho, auia cometido diuersos fraudes, entendiendose con algunos hombres de negocios, dandoles auiso en daño de mi Real seruicio. En razon de lo qual mandè se hiziessen ciertas aueriguaciones, sobre que fuy consultado, y por ellas parecio no ser cierto, ni verdadero lo que se le imputaua al dicho don Rodrigo. Despues de lo qual, y para mayor satisfacion nuestra, y de la publica que conuiene aya al seruicio de Dios, mio, y bien destos Reynos en las cosas de justicia : y porque siempre florezca en tales materias, y generalmente todos, yo admiti muchos y diuersos capitulos que me fueron dados, y con ellos vna relacion y memorial de testigos, que dezian depondrian contra el dicho don Rodrigo en los casos que se afirmaua ser grauemente culpado, como mas en particular se contenia en los dichos capitulos y memeriales [memoriales] : sobre lo qual mandè se hiziessen otras aueriguaciones y diligencias necessarias a la inteligencia y verdad del caso, y que se tomasse su confeßion y declaracion al dicho don Rodrigo al tenor de los dichos capitulos, examinandose los dichos testigos, como en efeto todo ello se hizo, escriuiendose sus deposiciones de la letra, firma, y mano de los dichos testigos señalados, y examinados por personas de toda confiança, entereza, verdad, è inteligencia, y acabadas las dichas informaciones, y aueriguaciones, nombrè para el examen y juizio dellas personas de ciencia, y conciencia, y experiencia, y con quien mi Real conciencia quedasse descargada, y se hiziesse en todo entero cumplimiento de justicia, con orden especial que vießen las dichas informaciones, y lo que dellas resultaua, y me lo consultassen : y por ellas parecio, que de las deposiciones, y examen de los testigos nombrados, aprouados, produzidos contra el dicho don Rodrigo, por  







miento. Sábado 30 Junio 1607. » In : J. Martí y Monsó : Los Calderones y el Monasterio de Nuestra Señora de Portaceli. Documentos. In : Boletín de la Sociedad Castellana de Excursiones, Año VIII (1910), p. 456 (Doc. Núm. 42. 1607). 48   Geronymo de Zevallos : Arte Real para el bven govierno de los Reyes, y Principes, y de sus vassallos [Toledo : Diego Rodríguez 1623]. Edición [facsimilar] y estudio preliminar de Salustiano de Dios. Madrid : Centro de Estudios Políticos y Constitucionales 2003, fo. 59r-67r. – Don Diego de Saavedra Fajardo : Idea de vn Principe Politico Christiano Rapresentada en cien empresas. En Monaco. A 1 de Marzo 1640. En Milan. A 20 de April 1642 (ed. facs. Murcia : Real Academia Alfonso X El Sabio 1994), pp. 146-154. Si veda anche Juan de Santa María : Tratado de Republica y Policia Christiana. Madrid : En la Imprenta Real 1615, p. 225 (“la justicia es virtud verdaderamente real, y muy propria de Reyes, que les incumbe de oficio, y les constituye en el ser de Reyes, y señores, que sin ella no pueden serlo”). Cfr. inoltre José Antonio Maravall : Teoría del Estado en España en el siglo XVII. Madrid : Centro de Estudios Constitucionales 1997, pp. 185-272. – Carlos José Riquelme Jiménez : La Administración de Justicia en el Siglo de Oro : La obra de Francisco de Quevedo. Ciudad Real : Instituto de Estudios Manchegos.- C.S.I.C. 2004, pp. 353-392.  































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las mismas personas que le auian capitulado, y dado el dicho memorial, y otras quexas contra el, algunos de los quales en sus deposiciones declararon ser sus enemigos : y generalmente todos concluîan, que los casos para que auian sido nombrados, y particularmente interrogados, y generalmente en todo lo que se les auia preguntado cerca de los casos referidos de los excessos imputados contra el dicho don Rodrigo, y en aquello que su persona, y estado, y ministerio pudiera ser excesso, y delito judicialmente punible, estaua sin culpa, y no la tenia, ni los dichos casos particulares eran ciertos, ni verdaderos : y por el consiguiente los dichos memoriales, y capitulos en ellos referidos no lo eran. Todo lo qual visto, y con nos consultado, fue acordado que deuiamos mandar dar esta nuestra carta y cedula, por la qual, y por justas consideraciones concernientes a la publica administracion de justicia, y de otros buenos, y loables fines, è intentos, deuemos declarar, como declaramos por libre al dicho don Rodrigo Calderon, de las cosas referidas en los capitulos y memoriales contra el propuestos, o publicados : y libramos, y declaramos por libre de la general publicidad que contra el se auia derramado, con ocasion de los dichos capitulos y quexas : sobre todo lo qual, y en todas las dichas cosas, hasta el dia presente, mandamos se ponga perpetuo silencio, y que dello no se trate judicial, ni extrajudicialmente : y que esta nuestra carta y cedula, tenga fuerça de sentencia difinitiua executoriada, como si fuera dada entre partes en pleyto legitimamente fenecido y acabado, pues lo es en quanto a la persona del dicho don Rodrigo, para que sobre las dichas cosas, segun, y como de suso se refiere, no se proceda, ni trate mas dellas. Y atento a lo susodicho, mando al Presidente, y los de mi Consejo, y a los Presidentes, y Oydores de mis Chancillerias, y a otros qualesquier juezes, y justicias, tribunales destos Reynos, guarden, y cumplan, y hagan guardar, y cumplir inuiolablemente, y siempre el caso a pedimiento del dicho don Rodrigo, o de oficio, so pena de la nuestra merced, y de cincuenta mil marauedis para la nuestra Camara, y de otras penas reseruadas a nuestro arbitrio contra los dichos transgresores. Y assi mismo mando a los nuestros Fiscales de los dichos nuestros Consejos, y Chancillerias, no vayan, ni passen contra ello, ni en la dicha razon pidan, ni demanden cosa alguna contra el dicho don Rodrigo Calderon, y sus bienes, antes le assistan, para que lo contenido en esta mi cedula tenga cumplido efeto : y en caso necessario, y contra lo susodicho en parte, o en todo pudieße obstar, que no impide nada de lo dispuesto, toda vía para el dicho caso, añadiendo fuerça à fuerça : y para mayor cumplimiento de la Real, y verdadera execucion de lo contenido en esta nuestra cedula, derogamos, y abrogamos todas y qualesquier leyes, fueros, y costumbres, prematicas sanciones, prouisiones, o cartas acordadas, cedulas, o consultas nuestras que aya en contrario, quedando en su fuerça y vigor para en lo demas. Fecha en Buytrago a siete de Iunio de mil y seyscientos y siete años. YO EL REY. Por mandado del Rey nuestro señor. Iuan de Amezqueta. 49  















Nella già ricordata Relacion, de todos los Consejos, Presidentes Consejeros, que Su Mag.d tiene al presente, en su Real Corte, en la Ciudad de Balladolid, con otra relacion delos officios, mas principales y Caualleros, que le siruen, en su Real Palacio, con las Damas de la Reyna, redatta tra l’aprile e il settembre del 1602, 50 nella quale sono elencate tutte le persone che ricoprivano un ufficio importante, il nome di Don Rodrigo Calderón non figura. Di “aiudas de Camara […], reposteros de Cama, Guardamas [Guardadamas], Porteros y Escuderos de apie con los Lacayos” della Casa del Regina, e ovviamente anche della Casa del Re, “no ay fin”, concludeva la Relacion. 51 Il suo estensore non riteneva quindi necessario nominare le persone che ricoprivano questi uffici – i più bassi, secondo l’ordine gerarchico –, sia per il loro numero elevatissimo, sia per la loro insignificanza. Disponiamo anche di una « Relación de Secretarios de Felipe III », fondata sulla elaborazione dei Libros de Quitaciones conservati nell’Archivo General de Simancas, nella quale sono elencati tutti i segretari di Filippo III, dal 29 settembre 1598 al 19 gennaio 1621. In questo elenco, nel quale ricorrono i nomi di Juan Ruiz de Velasco, Alonso Muriel de Val 







49   Questa Real Cédula conservata – fra numerosissimi documenti manoscritti originali e copie manoscritte di documenti originali – nel Ms. 1492 (fo. 296r-297r) della Biblioteca Nacional di Madrid, non è manoscritta, bensì stampata (non contiene però indicazione alcuna sull’officina tipografica). 50   Cfr. José Antonio Escudero : La Corte de España en Valladolid : Los Consejos de la Monarquía a principios del siglo XVII, pp. 484-485. 51   Relacion (Wien : Haus,- Hof- und Staats-Archiv : Spanien, Varia, conv. G), fo. 355v.  







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divieso, Juan Morante de la Madrid, Iñigo Ibáñez de la Cruz, Pedro Ledesma, Antonio de Aróstegui, Sebastian Haro, Pedro Franqueza, Tomás Angulo, Martín de Aróstegui, Bernabé de Vivanco y Velasco, Miguel Ipeñarrieta, Pedro Fernández Navarrete, Tristán de Ciriza e di tanti altri (in totale vengono registrati 45 nomi !), il nome di Don Rodrigo Calderón non figura. 52 Il favorito del Duca di Lerma non è quindi mai stato segretario del Re. Si deve inoltre osservare che, comunque, durante il regno di Filippo III i segretari regi non assolvevano più una funzione di rilievo, come era accaduto durante tutto il regno di Filippo II, ma erano rimasti “sin importancia”, riponendo il Re la sua fiducia ormai esclusivamente nel valido 53 (per la stessa ragione avevano perso importanza anche i segretari di Stato). Le informazioni di Simeone Contarini e di Thomé Pinheiro de Veiga, grande conoscitore della Corte di Valladolid degli anni 1605-1606, erano dunque assolutamente fondate. Il favorito del favorito non era segretario ed era “sem officio”, ma secondo la stessa testimonianza di Thomé Pinheiro de Veiga “servia o officio de Mueril”. 54 Alonso Muriel de Valdivieso, ayuda de Cámara del Principe Filippo dal dicembre del 1589, 55 era, tra gli ufficiali minori della Corte, uno dei più influenti. Thomé Pinheiro de Veiga ci spiega, come in parte già sappiamo dalla pagina trascritta in nota dei Discursos di Don Antonio Hurtado de Mendoza, perché :  











Os meyos por que [Lerma] veyo a ser tão mimozo del-Rey (alem dos merecimentos de sua peçoa) dizem que foram as estreitezas de D. Christovão de Moura, 56 que não dava ao Princepe hum seitil para dar a hum pobre, e, por meyo de Muriel, conheceo o Princepe ao Duque 57 e lhe acodia com os ducados que havia mister e, por que a elle lhe não sobejavam muytos, lhe acodia João Paschoal [Juan Pascual] e o Bispo de Jaem, seu primo, 58 aos quais pagou, a hum com o habito de Santiago e Conselheiro de Fazenda e ao outro com o Arcebispado de Toledo. 59  







Oltre ad avergli fatto conoscere il Principe, Alonso Muriel de Valdivieso aiutò il Marchese di Denia a mantenere per corrispondenza – con l’ausilio e la complicità di Don Juan de Sandoval y Rojas, fratello del Marchese, e del Correo Mayor Juan Bautista de Tassis y Acuña, che presto (nel 1603) sarà creato Conte di Villamediana e inviato come ambasciatore alle Corti di Francia e d’Inghilterra – la relazione con l’erede al trono, 52   José Antonio Escudero : Los secretarios de Estado y del Despacho (1474-1724). III. Madrid : Instituto de Estudios Administrativos 1976, pp. 706-707 (Documento 65). 53   José Antonio Escudero : Los secretarios de Estado y del Despacho (1474-1724). II. Madrid : Instituto de Estudios Administrativos 1976, p. 331. 54   Secondo Julián Juderías (Un proceso político en tiempo de Felipe III. Don Rodrigo Calderón, Marqués de Siete Iglesias, p. 345), Don Rodrigo “obtuvo que le fuese concedido interinamente el [puesto] de Secretario de la Cámara durante la ausencia de su propietario Alonso de Muriel y que se le otorgase definitivamente al morir éste”. Ma, come vedremo più avanti, ad Alonso Muriel succedette, nel 1612, Bernabé de Vibanco (Vivanco, o Bibanco). Julián Juderías, che naturalmente conosce e frequentemente cita le Relaciones di Luis Cabrera de Córdoba, si fonda, in gran parte, su una biografia seicentesca piena di inesattezze, la seguente : Nacimiento, Vida, Prision y Muerte de Don Rodrigo Calderón, Marqués de Siete Iglesias, conde de la Oliva, ordenado todo por D. Jerónimo Gascón de Torquemada, su amigo, y del Consejo de S. M. y su Secretario. 55   Cfr. S. Martínez Hernández : El Marqués de Velada y la Corte en los reinados de Felipe II y Felipe III, p. 257. 56   Il Conte di Castel Rodrigo, membro del Consejo de Estado e del Consejo de Guerra e “principal privado” di Filippo II (S. Martínez Hernández : El Marqués de Velada y la Corte en los reinados de Felipe II y Felipe III, p. 256), era stato il Sumiller de Corps del Principe Filippo, che appena diventato Re affidò questo altissimo ufficio al Marchese di Denia. 57   Allora Don Francisco Gómez de Sandoval y Rojas, gentilhombre de Cámara del Re, era ancora Marchese di Denia. 58   Bernardo de Rojas y Sandoval, allora vescovo di Jaén, era in realtà zio del Marchese di Denia. 59   Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, p. 169. Jehan Lhermite era stato testimone di come venisse tenuto a stecchetto l’erede al trono (El Pasatiempos, pp. 221-222).  















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quando Filippo II, per allontanarlo dal figlio, lo nominò Viceré del Regno di Valencia. 60 Quando il Marchese di Denia divenne il valido del Re, Alonso Muriel de Valdivieso fu ricompensato generosamente per i suoi buoni servizi. 61 Il 29 settembre 1598 fu nominato segretario del Re. 62 Rimase una delle più fedeli hechuras del Duca di Lerma. Come segretario Alonso Muriel aveva il compito di trasmettere i memoriali al Re e di fissare le “audiencias de S. M.”. 63 In questo ufficio, nel quale fu aiutato per un certo periodo da Don Rodrigo Calderón, gli succedette nel 1612 Bernabé de Vibanco (Vivanco, o Bibanco), 64 al quale sarà attribuita la Historia de Felipe III, Rey de España, scritta in realtà da Matías de Novoa. 65 Contrariamente a quanto sostengono alcuni storici, Don Rodrigo Calderón neppure riuscì mai nel suo intento di ottenere una segreteria di Stato. Quando nell’estate del 1611 morì il segretario di Stato Andrés de Prada, uno dei rarissimi funzionari onesti, 66 che nel 1607 era divenuto, succedendo in questo ufficio a Pedro Franqueza, titolare della Secretaría de Estado de Italia (dal 1600 Andrés de Prada era stato titolare della Secretaría de Estado del Norte ; al suo passaggio alla Secretaría de Estado de Italia, la Secretaría de Estado del Norte venne affidata ad Antonio de Aróztegui), Don Rodrigo Calderón aspirò a succedergli (“Hay muchos pretensores” – annotò Luis Cabrera de Córdoba nella sua cronaca di Corte – “á los papeles del estado que [Andrés de Prada] deja, y no ha faltado quien ha dicho que se darían á don Rodrigo Calderón, con título, encomienda y las consultas.” 67). Ma l’ufficio fu dato a Antonio de Aróztegui, che  

















60   Cfr. Luis Cabrera de Córdoba : Historia de Felipe II, Rey de España. III, p. 1539. – S. Martínez Hernández : El Marqués de Velada y la Corte en los reinados de Felipe II y Felipe III, p. 333. Anche Jehan Lhermite aiutò, con molta prudenza, il Marchese di Denia a mantenere la relazione con il Principe Filippo (El Pasatiempos, pp. 258-259, pp. 298-299). 61   Cfr. S. Martínez Hernández : El Marqués de Velada y la Corte en los reinados de Felipe II y Felipe III, p. 417. 62   Cfr. J. A. Escudero : Los secretarios de Estado y del Despacho (1474-1724). III, p. 706. Cfr. anche : Diario de Hans Khevenhüller, embajador imperial en la Corte de Felipe II, p. 487. Al primo posto di una lista che contiene i nomi degli ayudas de gentilhombres de la Cámara del Rey in servizio nell’anno 1600, approntata da Jehan Lhermite (El Pasatiempos, pp. 564-565), figura Alonso de Muriel : “Alonso de Muriel y Valdiviesso, que tiene los papeles de la cámara con el título de secretario del rey”. Seguono i nomi dei semplici ayudas de gentilhombres fra i quali è registrato Don Rodrigo Calderón. 63   Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 496. José Antonio Escudero, dopo aver scritto che – come il Duca di Lerma – anche il Re “tenía un secretario para organizar sus audiencias”, cita un documento del 1609 nel quale si descrivono così i compiti di Alonso Muriel : “Haze el oficio del secretario Muriel, porque tiene a su cargo … las audiencias del rey y remite los memoriales y embía las consultas vistas por Su Mad. a los otros secretarios”. Cfr. José Antonio Escudero : Los poderes de Lerma. In : José Antonio Escudero (Coordinador) : Los validos. Madrid : Universidad Rey Juan Carlos 2004, pp. 121-175 ; qui p. 148, nota nro. 117. Il segretario del Duca di Lerma era Tristán de Ciriza, che aveva assunto le funzioni prima svolte da Don Rodrigo Calderón. Cfr. Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones, p. 545. 64   Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, pp. 495-496. 65   Sulla paternità delle Memorias cfr. Antonio Cánovas del Castillo : « Prólogo » a : Memorias de Matías de Novoa, Ayuda de Cámara de Felipe IV. Primera Parte. Hasta ahora conocida bajo el título de Historia de Felipe III por Bernabé de Vivanco. Tomo I, pp. I-LXXXVII (in part. pp. LXVIII-LXXXVI). 66   Scriveva l’ambasciatore veneto : “El Secretario Prada, que […] lo es del Consejo de Estado, tiene los papeles de Francia, Flandes, Inglaterra y Alemania […]. Es hombre de christiandad perfecta, tiene mucha plática de negocios desde los tiempos de Don Juan de Austria y Duque de Alba, es capaz de las materias y de buen sabroso trato, limpio y libre de intereses” (Simón Contarini : Estado de la Monarquía Española a principios del siglo XVII, p. 59). Quanto scrive Contarini sul disinteresse di Prada è confermato da Luis Cabrera de Córdoba : “Murió el secretario Andrés de Prada, al cual envió á visitar S. M. la noche antes que muriese, mostrando el sentimiento que le quedaba de perder tan buen ministro, y que viese en lo que le podia hacer merced ; el cual le besó los pies por ella, diciendo que no la habia menester en la tierra, sino que la esperaba del Rey del Cielo” (Relaciones, p. 443). 67   Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 443.  















































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ebbe anche l’hábito di Santiago, mentre la Secretaría de Estado del Norte fu assegnata a Juan de Ciriza. 68 Durante il regno di Filippo III i segretari di Stato furono quindi, come sostiene anche José Antonio Escudero fondandosi non solo sulle Relaciones di Luis Cabrera de Córdoba – come abbiamo fatto noi –, ma anche su documenti dell’Archivo General di Simancas, i seguenti : Francisco de Idiáquez, Martín de Idiáquez, Pedro Franqueza, Andrés de Prada, Antonio de Aróztegui e Juan de Ciriza. 69 Non è quindi vero che Don Rodrigo Calderón “sucedió al conde de Villalonga en la secretaria de Estado”, come afferma José Martí y Monsó, 70 forse ripetendo quanto aveva scritto nel 1621 Andrés de Almansa y Mendoza nella già ricordata relazione sulla tragica fine del Marchese di Siete Iglesias. 71 In nessun documento posteriore alla data – la notte fra il 19 e il 20 gennaio 1607 – dell’arresto di Pedro Franqueza, Don Rodrigo Calderón viene chiamato segretario di Stato. Ancora nella primavera del 1610, quando Don Rodrigo fu nominato “familiar del Santo oficio”, è semplicemente definito “de la cam.a de su ma.d”. 72 Non si riesce quindi a capire come uno storico del rango di Ernesto Schäfer abbia potuto parlare del “bien conocido secretario de Estado don Rodrigo Calderón”. 73 L’opposizione della Regina ostacolava, evidentemente, l’ascesa di Don Rodrigo, 74 che neppure era amato dalla Camarera Mayor di Margarita d’Austria, la potente Contessa di Lemos, D. Catalina de Zúñiga y Sandoval, sorella del Duca di Lerma, che nel 1605 si lamentava con il fratello della avidità di denaro del suo favorito. 75 Quando finalmente, ad appena un mese dalla morte della Regina, il Duca di Lerma riuscí a far concedere a Don Rodrigo diverse regie mercedes (ambasciatore presso la Repubblica di Venezia – incarico poi sostituito con la missione diplomatica in Fiandra ; hábito di Santiago ; due encomiendas di Santiago ; “los oficios de alguacil mayor de la caballeria de Valladolid, y correo mayor de allí” 76), il favorito del favorito fu costretto ad  

























68   Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 444 e p. 494. 69   Cfr. José Antonio Escudero : Los secretarios de Estado y del Despacho (1474-1724). I. Madrid : Instituto de Estudios Administrativos 1976, pp. 226-232. 70   J. Martí y Monsó : Los Calderones y el Monasterio de Nuestra Señora de Portaceli. In : Boletín de la Sociedad Castellana de Excursiones, Año VII, Núm. 73 (Enero de 1909), p. 8. L’affermazione è strana perché in nessuno dei molti documenti posteriori all’arresto di Pedro Franqueza che lo studioso trascrive, Don Rodrigo è chiamato segretario di Stato. 71   [Andrés de Almansa y Mendoza :] Sexta carta, que escriuio un Cauallero desta Corte a un su amigo [1621]. In : Relaciones breves de actos públicos celebrados en Madrid de 1541 a 1650, p. 142 (“sucedio a don Pedro Franqueza, Conde de Villalonga, en la Secretaria de Estado, manejando el solo los papeles, que antes ocupauan muchos, corriendo por su cuenta la expedicion de los mas graues negocios de gracias, mercedes y justicias”). Cfr. anche Andrés de Almansa y Mendoza : Obra periodística. Edición y Estudio de Henry Ettinghausen y Manuel Borrego, p. 214. 72   « Se nombra á D. Rodrigo Calderón familiar del Santo oficio de la Inquisición de Valladolid. Sesiones del Ayuntamiento. Viernes 23 Abril 1610 ». In : J. Martí y Monsó : Los Calderones y el Monasterio de Nuestra Señora de Portaceli. Documentos. In : Boletín de la Sociedad Castellana de Excursiones VIII (1910), p. 458 (Doc. Núm. 45. 1610). 73   Cfr. Ernesto Schäfer : El Consejo Real y Supremo de las Indias. Su historia, organización y labor administrativa hasta la terminación de la casa de Austria. Prólogo Antonio-Miguel Bernal. Madrid : Marcial Pons 2003 (1.ª ed. sp. 1935-1947), 2 tomi ; qui I, p. 189, nota nro. 44. 74   Secondo Matias de Novoa (Memorias. Tomo II, pp. 101-114), che in odio al Conte-Duca di Olivares fa costantemente l’apologia del Duca di Lerma e del suo favorito, la Regina avversava Don Rodrigo Calderón per istigazione di alcuni religiosi del suo entourage, in particolare Fray Juan de Santa María. In realtà l’avversione che Margarita d’Austria nutriva per il Duca di Lerma e Don Rodrigo Calderón era spontanea e risaliva ai primi 75   A. Feros : El Duque de Lerma, p. 314. anni del suo matrimonio. 76   Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, pp. 456-457 e p. 459.  



































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abbandonare l’occupazione che aveva avuto sino allora. Alcuni passi delle Relaciones di Luis Cabrera de Córdoba ci fanno capire di che natura fosse stata questa ‘occupazione’, delineata del resto già chiaramente nelle prime righe della Real Cédula del 7 giugno 1607 sopra trascritta :  

(De Madrid á 18 de Diciembre 1611) En cumplimiento de las mercedes que S. M. hizo á don Rodrigo Calderon cuando le proveyó para la embajada de Venecia, le ha dado el duque de Lerma el hábito de Santiago, y fue su padrino el de Uceda [Cristóbal Gómez de Sandoval y Rojas, I Duca di Uceda, primogenito del Duca di Lerma], y concurrió toda la Córte en la iglesia de Santiago, donde le recibió ; y despues en presencia de todos le dió el Duque muy apretados abrazos, y así de la voluntad y aficion que el Duque le tiene, como de verle todavia tratar de negocios con su Excelencia, quieren colegir muchos que este acrecentamiento y mercedes que se le han hecho han de ser para que continue el servicio de S. M. en la ocupacion de hasta aquí, con mas estimacion de su persona, si bien los que del principio entienden en este negocio, afirman que irá a servir la embajada, de lo cual no tardará mucho el desengaño. (De Madrid 11 de Febrero 1612) […] han nombrado á don Rodrigo Calderon para que vaya á Flandes á dar cuenta de estas cosas [los casamientos del Principe Nuestro Señor y de la Srma. Infanta doña Ana, á trueque con el Rey de Francia y su hermana] á los Archiduques [Alberto de Austria, Isabel Clara Eugenia de Austria], y pasará por Paris para visitar aquellos Reyes ; y quieren decir que ha de ir á Inglaterra, y al Emperador á dar cuenta de lo mesmo, y á otros Principes amigos […]. […] Ha comenzado á ocupar su lugar en los papeles y consultas el secretario Juan de Ciriza, que lo es del Consejo de Guerra, y tiene escritorio en el aposento del Duque, cuyo criado es de muchos años y muy benemérito de cualquier cosa ; con lo cual don Rodrigo quedará sin esta ocupación, y no se sabe la que terná á la vuelta, si no fuere ir á servir la embajada de Venecia, de la cual está proveido ; aunque algunos entienden que habrá en esto mudanza, y que el Duque no lo ha de querer apartar de sí. (De Madrid 10 de Marzo 1612) Hasta agora no ha partido don Rodrigo Calderon para Flandes, antes lo va prorogando de una setimana en otra […]. […] no falta quien diga que podrá ser no tuviese efecto la partida de don Rodrigo, el cual todavia está ocupado con el Duque en el ministerio de papeles, que les parece no habrá otro tan á proposito para ellos, aunque el secretario Juan de Ciriza trata de las consultas, órdenes y decretos que S. M. da por mano del Duque ; pero presto saldremos de esta duda, pues no puede tardar mucho el desengaño.  









(De Madrid á 5 de Mayo 1612) […] don Rodrigo ha hecho todas las diligencias posibles para no salir de aquí, y el duque de Lerma dicen que le ha favorecido y ayudado lo que ha podido, y que no lo ha podido alcanzar de S. M., que debe ser grande la resolucion que habia, pues no lo ha podido revencer el Duque, alcanzando otras cosas mayores de S. M. ; y así se entiende que le han de mandar detener sin que vuelva acá en muchos dias, ó le mandarán ir de allí á su embajada de Venecia ; y el secretario Juan de Ciriza queda ocupado en resolver las consultas con el Duque, y despachar los decretos de S. M., como lo hacia don Rodrigo. 77  





Il compito di Don Rodrigo era, insomma, quello di aiutare, come una specie di suo collaboratore 78 o segretario privato, il Duca di Lerma nel disbrigo degli affari di Stato, incombenza svolta sino al 19 gennaio 1607 da Pedro Franqueza, che però era ufficialmente segretario di Stato. Data la discontinuità nel lavoro del Duca di Lerma, sofferente  

77   Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 459, pp. 462-463, p. 465, p. 473 (v. anche p. 545). Ricardo Gómez Rivero, che cita alcuni di questi passi (p. 463, p. 465, p. 473) delle Relaciones da noi trascritti, non afferma mai che Don Rodrigo Calderón sia stato segretario del Consejo de Estado, del Consejo de Guerra o di qualche altro Consejo. Cfr. R. Gómez Rivero : Lerma y el control de cargos, pp. 107-113 (« Secretarías »). 78   Il Duca di Lerma si serviva di diversi collaboratori per il disbrigo degli affari. Cfr. J. A. Escudero : Los poderes de Lerma, pp. 147-148.  









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di ricorrenti crisi di depressione, era Don Rodrigo a sobbarcarsi gran parte del lavoro, accumulando così a poco a poco nelle sue mani un grande potere e diventando depositario di segreti e di macchinazioni del suo protettore. 79 Senza Don Rodrigo (“le quiere con grande estremo”, annota, forse non senza ironia, Luis Cabrera de Córdoba il 30 giugno 1612 80), il Duca di Lerma si sentiva evidentemente perduto e non era in grado di sbrigare gli affari di governo ; 81 per questo fece di tutto per ottenere dal Re di non farlo partire per la missione diplomatica. Ma Filippo III, pur sempre pronto a soddisfare tutti i desideri del Duca, questa volta rimase fermo – grazie soprattutto all’opera di persuasione del suo confessore, Fray Luis de Aliaga, che lo ammoniva a governare di persona e a non delegare a Lerma il potere 82 – nella sua decisione di allontanare per qualche tempo Don Rodrigo dalla Corte. Il Re non esaudì neppure il desiderio degli arciduchi  



   



79   “Con la desenvoltura y la licencia se hizo lugar, y poco a poco se apoderó de la voluntad del duque [...]. Con halagos, con servicios, con asistencias necesitó al duque de Lerma de su persona, que hizo que las cosas de importancia de aquel señor dependiesen en todo de su gusto, y muchas veces atropelló por no desabrirle con su hijo y con el conde de Lemos, porque el don Rodrigo, frenético en el lugar que violentaba, no receló de contrastar con todos. Y, como veían al duque de Lerma con un rendimiento tan postrado al albedrío de este mozo, se atrevieron a sospechar que con los halagos le entretenía algún silencio o le olvidaba de alguna cosa que le fio ; y daban a entender que le quería bien porque le temía, pues las más veces a los príncipes es amable el que cuando quisiere los puede acusar, y medra más el partícipe que el benemérito donde el secreto honesto ni merece ni obliga. Ésta sin duda fue malicia mal fundada, pero bien creída. Mucho supo este hombre obligar al duque, y pienso que lo más que tuvo le mereció la paciencia.” (Quevedo : Grandes anales de quince días.In : Obras completas en prosa. Volumen tercero. Dirección de Alfonso Rey, pp. 89-90. – Quevedo : Grandes anales de quince días. Ed. de Felicidad Buendía, p. 836.) 80   Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 478. 81   Il 30 giugno 1612 Luis Cabrera de Córdoba annota nelle sua cronaca : “Despues que don Rodrigo Calderon partió, el duque de Lerma no ha dado audiencia en público, como solia ; y como habia quejas de ello, lo remitió al duque de Uceda, dando por disculpa que se hallaba muy cansado ; y su hijo tampoco la ha querido dar ; y como el despacho de los negocios no pase por mano de quien la da, nadie hará caso de ella.” Il 28 luglio Luis Cabrera annota ancora : “Nunca ha vuelto el duque de Lerma á dar audiencia á mas de los que él envia á llamar, y así padecen mucho los negocios y los que los tratan ; el cual se disculpa con que está muy cansado, y su hijo el duque de Uceda que él quiere la dé, no tiene hora cierta para oir, porque se levanta muchas veces despues de medio dia y no es inclinado á papeles.” (Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 478 e p. 489.) 82   Il Duca di Lerma cercò di discreditare il Confessore, “inquiriéndole la vida”, cosa che irritò molto il Re. La colpa di Fray Luis Aliaga era di “no quererse conformar con la voluntad del Duque en dar lugar á la venida de don Rodrigo aquí y la instancia que dicen hace con S. M., de que gobierne por su persona con sus Consejos, porque no cumple con su conciencia de otra manera”. Ma gli ammonimenti del Confessore avevano scarsa efficacia. Già poche settimane dopo il Re non solo aveva dimenticato l’irritazione provocata dal tentativo del favorito di diffamare il suo Confessore, ma inviò “billetes de su mano á los Consejos, mandándoles que todo lo que el duque de Lerma les escribiese ó dijere en su nombre lo hiciesen y cumpliesen como si su misma persona se lo mandase” (questo cosiddetto ‘decreto de la delegación de firma’ trasformava il Duca di Lerma in una specie di alter ego di Filippo III, ma fece anche crescere l’opposizione contro il favorito, accusato di usurpare le prerogative del Sovrano). Ancor prima il Duca di Lerma aveva ottenuto dal Re per il suo protetto non solo il permesso di rientrare dalla Fiandra, ma anche la promessa di concedergli un titolo nobiliare : “Háse alcanzado licencia de S. M. para venir de Flandes don Rodrigo Calderon […], el cual dicen que entrará aquí con título de marqués de Siete Iglesias, y que no le ocuparán en los papeles y negocios como hacia antes, sino en lo que trata don Juan de Idiáquez [il vecchio, influentissimo ministro di Filippo II, membro dal 1587 del Consejo de Estado, che anche dopo l’ascesa al trono di Filippo III era riuscito, grazie al suo opportunismo, a sopravvivere politicamente e a diventare caballerizo mayor della Regina Margarita e Presidente del Consejo de Órdenes], por irse cansando y tener quien le alivie de las ocupaciones ; lo cual puede estimar en mucho, porque el fin que se tuvo de inviarle fue para que no volviese aquí, aunque deseándolo tanto el Duque como ha mostrado, no podia dejar de alcanzarlo.” (Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, pp. 494-495, p. 501, pp. 490-491.) Sulla portata del cosiddetto ‘decreto de la delegación de firma’ (Real Cédula de 23 de octubre de 1612) sono divergenti le interpretazioni di Francisco Tomás y Valiente (Los Validos en la Monarquía española del siglo XVII. Madrid : Siglo XXI 1982) e di J. A. Escudero (Los poderes de Lerma, pp. 158-165).  





























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Alberto e Isabel Clara Eugenia, che lo avevano pregato di inviare Don Rodrigo alla Corte cesarea. 83 Anche dopo aver ceduto alle pressioni del Duca di Lerma e creato conte Don Rodrigo, Filippo III si rifiutò di farlo entrare nel Consiglio di Stato in sostituzione di Juan de Idiáquez, che aveva fatto tale richiesta. 84 Don Rodrigo non fu quindi mai né segretario o membro del Consejo de Estado, né segretario o membro del Consejo de Guerra, 85 del Consejo Real de Castilla, del Consejo de Inquisición, del Consejo de Órdenes, del Consejo de Hacienda, del Consejo de Indias, o di altri Consigli. 86 Quando, dopo la caduta del Duca di Lerma, fu arrestato, lo stesso suo avvocato, Antonio de la Cueva, affermò,  







83   “(De Madrid á 28 de Julio 1612) Háse sabido que don Rodrigo Calderon fue á verse á Colonia con el embajador don Baltasar de Zúniga […] ; y dicen [...] que sus Altezas [Alberto e Isabel Clara Eugenia] han escrito á S. M. seria bien le mandase ir á dar la norabuena al Emperador [Matthias] de su eleccion […] ; pero S. M. no ha querido venir en ello, y así se entiende que irá otro personaje de mas cualidad y que don Rodrigo no está en gracia de S. M. como solia, por mas que el Duque le procura favorecer, antes se cree no le darán lugar á volver aquí ni á Valladolid, lo cual nos dará á entender mejor el tiempo” (Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 488). 84   Il 21 settembre 1613 riferisce Luis Cabrera de Córdoba quanto segue : “Háse dicho que don Juan de Idiaquez ha pedido licencia para quedar en su presidencia de Ordenes y no seguirle [S. M.] en las jornadas ni ocuparse en los papeles de Estado, por estar muy viejo y cansado y con algunos achaques, diciendo que podria suplir su falta el conde de la Oliva [don Rodrigo], por la esperiencia que tiene de tantos años que ha tratado los papeles ; pero S. M. no se la ha querido dar, haciéndole decir por el Duque que vea en lo que se le puede hacer merced, pero que no se ha de escusar de asistir en los papeles de Estado, ni de seguirle mientras viviere y tuviere salud para ello”. E qualche settimana dopo – precisamente il 19 ottobre 1613 – il cronista annota : “[…] el conde de la Oliva fue á Segovia con el Duque, y de allí pasó á Valladolid á tomar la posesion de alguacil mayor de aquella Chancillería, que se lo ha dado S. M. con muchas preeminencias, para que vaya con el mayorazgo de su casa, y no pueda servir por teniente ; y el domingo pasado dicen que fue á Lerma, publicando que habia sido llamado, y hasta agora no se ha sabido la causa ; entiéndese que son negociaciones suyas con el Duque, para conservarse en reputacion, sabiéndose que S. M. no gusta de que vaya donde él estuviere” (Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 530, p. 532). Insomma, l’avversione del Re per Don Rodrigo era evidente e notoria. Don Rodrigo stesso ne era ben cosciente e per questo avrebbe volentieri accettato l’ambasciata, vacante, di Roma (Relaciones, p. 536). Una delle ragioni del progressivo distaccarsi del Re dal suo favorito, era sicuramente l’abuso che il Duca di Lerma faceva della sua posizione per costringerlo a concedere titoli e benefici a Don Rodrigo. Sempre il 19 ottobre 1613, Luis Cabrera de Córdoba nota, a proposito di due mercedes, con soddisfazione : “se han hecho sin intervencion del Duque, sino de pura voluntad de S. M.” (Relaciones, p. 533). Era la prima volta che questo accadeva ! Pochi mesi dopo, il 5 aprile 1614, il cronista scrive : “Ha pasado S. M. toda la Cuaresma en Madrid y oido los sermones que se han predicado en la Capilla Real […] ; en los cuales ha sido advertido de muchas cosas que debian remediarse, y entre otras del abuso y desórden que habia en alcanzarse los cargos, obispados, encomiendas y otros oficios y beneficios por medio de intercesiones y favores grangeados con intereses y dádivas, lo cual ha sido causa para hacer una premática, con que se prohibe y pone penas : plegue á Dios con esto se remedie” (Relaciones, pp. 549-550). Nove anni prima era stato esiliato dalla Corte, con altri predicatori, come abbiamo già ricordato, il coraggioso frate Francisco de Castroverde, predicatore del Re, per aver stigmatizzato dal pulpito la corruzione nella concessione di uffici e benefici. I tempi stavano cambiando ! La premática a cui Cabrera allude è la seguente : Prematica sobre los que dan, o reciben dadiuas, o promessas, para ser proueydos en oficios, o beneficios, de prouision, o presentacion Real, y otras cosas. En Madrid, Por Iuan de la Cuesta, Año 1614. Vendese en casa de Francisco de Robles, librero del Rey nuestro señor. 85   Durante il viaggio di ritorno di Don Rodrigo dalla Fiandra si sparge la voce alla Corte di Madrid – scrive Luis Cabrera – “que le harán capitan de la guarda tudesca y del Consejo de Guerra. Hasta agora no se puede afirmar nada, mas de ser grande la aficion que el duque de Lerma le tiene, que basta para prometerse muchas cosas.” Qualche settimana dopo il cronista annota che “no tenian fundamento las [provisiones] que decian de presidencias, que era traer al conde de Lemos [don Pedro Fernández de Castro y Zúñiga, VII Conde de Lemos y Marqués de Sarria] á la del Consejo Real, y la de Indias al conde de Castro [don Francisco Ruiz de Castro, fratello del precedente, dal 1622 al 1629 VIII Conde de Lemos], á don Juan Idiaquez pasar á la de Italia, y á don Rodrigo Calderon á la de Ordenes” (Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 504 e p. 505). Capitano della Guardia Tedesca Don Rodrigo lo diventerà, ma nel Consiglio di Guerra non entrerà mai e tantomeno assumerà la presidenza del Consejo de Órdenes. 86   Cfr. J. A. Escudero : Los secretarios de Estado y del Despacho (1474-1724), I, pp. 237-239. Cfr. anche José Antonio Escudero : La Corte de España en Valladolid : Los Consejos de la Monarquía a principios del siglo XVII, pp. 483-511.  





































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per difenderlo dalle accuse di concussione, che Don Rodrigo Calderón non poteva essere responsabile di tale delitto perché “no fué nunca ministro, ni despachó directamente papel ninguno”. 87 (Nell’autunno del 1607 Don Rodrigo Calderón fece però parte di una delle tante Juntas create dal Duca di Lerma per evitare l’opposizione dei Consejos : 88 quella, effimera, incaricata di riformare il Consejo de Portugal. Era composta da D. Cristóbal de Moura, Marchese di Castelo Rodrigo, D. Juan de Idiáquez, Fernando de Matos e D. Rodrigo Calderón e fu sciolta dopo pochi mesi. 89 Questo è, secondo quanto siamo riusciti ad accertare, l’unico incarico ‘ufficiale’ ricoperto da Don Rodrigo nella burocrazia statale.) Era soltanto il collaboratore ‘privato’, il factotum, come felicemente lo ha definito Francesco Benigno, 90 indispensabile al Duca di Lerma. 91 Indispensabile al Duca di Lerma per il disbrigo degli affari di Stato, Don Rodrigo lo era divenuto però, come abbiamo già ricordato, soltanto dopo l’arresto di Pedro Franqueza (questi, secondo la testimonianza dell’ambasciatore veneziano, non dava alcun peso all’inimicizia di Don Rodrigo, che evidentemente voleva soppiantarlo nel favore del valido per poter occuparsi lui degli affari di Stato). Ritorniamo ora agli anni della vita di Don Rodrigo che ci interessano. Nella ‘relazione segreta’ del 1° gennaio 1606, inviata a Rodolfo II, l’ambasciatore imperiale Hans Khevenhüller, Conte di Frankenburg, parlando dei “priuados” del Duca di Lerma, scrive che tra questi “el más moderno es agora vno que llaman Calderón”. 92 Sia l’ambasciatore veneziano sia l’ambasciatore cesareo mostrano un certo disprezzo per Don Rodrigo (“uno que se llama Don Rodrigo Calderón”, “vno que llaman Calderón”) e non ritengono necessario cercare il suo appoggio. (Di ben altro peso era Pedro Franqueza, al quale – come vedremo – sia l’Impero, sia la Repubblica di Venezia, come raccomandava Simeone Contarini, 93 facevano splendidi regali. Anche alcuni Regni della Monarchia Spagnola presentarono, in certe occasioni, donativi ai segretari Pedro Franqueza e Alonso Muriel de Valdivieso, ma mai a Don Rodrigo Calderón. 94) Insomma,  

   













87   Cfr. J. Juderías : Un proceso político en tiempo de Felipe III. Don Rodrigo Calderón, Marqués de Siete Iglesias, p. 10. 88   Cfr. Juan Francisco Baltar Rodríguez : Las Juntas de Gobierno en la Monarquía Hispánica (Siglos XVIXVII). Madrid : Centro de Estudios Políticos y Constitucionales 1998, p. 59. 89   Cfr. Juan Francisco Baltar Rodríguez : Las Juntas de Gobierno en la Monarquía Hispánica, p. 567. 90   F. Benigno : La sombra del rey, p. 72. 91   Il 9 febbraio 1613 Luis Cabrera de Córdoba annota nella sua cronaca : “El conde de la Oliva [don Rodrigo Calderón] continúa la asistencia con el duque de Lerma, pero sin nombre de ocupacion de papeles, y así se disculpa con los que acuden á negociar con él, diciendo que no tienen para que solicitarle en negocios, porque S. M. le ha dado licencia para estar en su casa ; pero sábese que el Duque le comunica los que son de importancia, y tiene mano en ellos con su Excelencia, y no se habla en proveerle en cargo alguno ; veremos lo que hace el tiempo” (Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 508). 92   Diario de Hans Khevenhüller, embajador imperial en la Corte de Felipe II, p. 617. 93   Nella sua Relación l’ambasciatore veneto scriveva : “Es hombre [el Conde de Villalonga] de baja calidad pero de buena cabeza, tan extremo codicioso que no es menester buscar otro camino para negociar con él, y porque en esta parte tengo informado lo que conviene al carísimo Señor Pedro Privili [il successore di Contarini ; sarà ambasciatore alla Corte di Spagna negli anni 1604-1608] no dirá [diré] más de que con éste no se ha de negociar con palabras ni con preguntas sino obligándole […]. […] Concluio con que es bien tener granjeado este hombre, pues se sabe el camino para lo que se ofreciere, pues no se gana a uno sino a dos [Franqueza e Lerma], que si bien trata sólo de los negocios de Italia por maior es dueño de todos y de las demás Provincias” (Simón Contarini : Estado de la Monarquía Española a principios del siglo XVII, pp. 58-59). Il successore di Contarini come ambasciatore della Repubblica di Venezia si chiamava in realtà, anche secondo Girolamo da Sommaia, “Francesco Priuli” ed era “nipote del Vendramino Patriarca di Venetia” (Diario de un estudiante de Salamanca, p. 493). Cfr. anche C. Pérez Bustamante : La España de Felipe III, p. 146. La famiglia patrizia Priuli dette tre Dogi a Venezia (l’ultimo fu Antonio Priuli, 1618-1623). Non meno illustre era la famiglia Contarini (otto suoi membri furono Dogi della Serenissima). 94   Cfr. Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 31, p. 43.  

























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Don Rodrigo Calderón godeva, ancora alla fine del 1605, di un modesto prestigio sociale e di scarsa considerazione. Era però ben noto che, disimpegnando l’ufficio del segretario Alonso Muriel de Valdivieso ed essendo “padrone dell’orecchio del Duca”, 95 poteva esercitare una certa influenza negli affari, con l’anteporre, o con il posporre, le pratiche e le relazioni da presentare al Duca di Lerma e quindi al Sovrano. (Soltanto dopo la scomparsa dalla scena di Pedro Franqueza, condannato al carcere a vita, e del licenciado Alonso Ramírez de Prado, morto in carcere nell’estate del 1608, Don Rodrigo, ormai padrone assoluto della volontà del Duca di Lerma, diverrà il numero due del corrotto e rovinoso sistema di potere instaurato dal favorito del Re. 96)  



L’esaltazione di Don Rodrigo nella dedica della Pícara Justina e la sua discrepanza con la realtà concreta La discrepanza fra l’esaltazione della persona del favorito del favorito fatta nella dedica e la realtà concreta della sua posizione sociale, intorno alla metà del 1604 (il « Privilegio Real » concesso alla Pícara Justina è, come abbiamo piú volte ricordato, del 22 agosto 1604), è vistosa e non completamente spiegabile con la retorica celebrativa e l’enfasi adulatrice, specifiche del genere a cui appartiene il testo. Leggiamolo :  





A DON RODRIGO CALDERON, Y Sandelin, de la Camara de su Magestad, Señor de las villas de la Oliua y Plasençuela. El Licenciado Francisco Lopez de Vbeda, que sus manos besa. SEÑOR esta es solo para suplicar a v. m. me de licencia para honrar y amparar con el escudo de sus armas, este libro : el qual ê compuesto solo a fin de que con su lectura (que es varia, y de entretenimiento mucho, y no sin flores, que gustadas y tocadas de tan preciosa aueja, daran miel de gusto y aprouechamiento) digo pues, que le compuse, para que v. m. descanse algun rato del trabajo y peso de los grauissimos negocios en que v. m. sirue a la persona Real de nuestro Catholicissimo Cesar, y vniuersal Monarcha, y a estos Reynos, mostrando en tal altos puestos las raras prendas de su discrecion, ê ingenio, el valor de su pecho en los negocios arduos, la rara clemencia, y mansedumbre con que à obligado a su seruicio todos los animos nobles y gratos, y a su amistad grandes Principes, y demas desto ha mostrado la illustre sangre que v. m. heredô del señor Francisco Calderon, capitan de la guardia Española, padre de v. m. cuyas conocidas virtudes y modestia han esmaltado la antigua nobleza de los Calderones, y Arandas, sus antecessores, linajes tan antiguos, como nobles, y tan nobles como antiguos : a quien dignamente se juntô la clara sangre de los nobilissimos caualleros Sandelines, Olandeses, progenitores de v. m. cuya persona, casa, salud, y estado, prospere el Cielo largos y felices dias en compañia de mi señora doña Ynes de Vargas y Caruajal, gloria y honra de la nobleza estremeña. Vale. 97  





Tutti sapevano che Rodrigo Calderón, era sí della Camera di Sua Maestà, ma come ayuda e non come gentilhombre, come la dedica e il frontespizio (“Dirigida a Don Rodrigo Calderon Sandelín, de la Camara de su Magestad. Señor de las Villas de la Oliua y Plasençuela. &c.” – questo &c., usato nelle dediche a grandi signori con titoli di nobiltà 95   Così lo definiva Orazio della Rena, ambasciatore del Granduca di Toscana, nella sua Relazione segreta delle cose della Corte di Spagna (1605), nella quale scriveva anche che nessuno poteva parlare con Don Rodrigo Calderón se non gli faceva dei regali (cfr. A. Feros : El Duque de Lerma, p. 312). 96   Luis Cabrera de Córdoba, che ben poca simpatia doveva nutrire per il favorito del favorito (mai il cronista scrive che Don Rodrigo aveva delle qualità, come invece fa, qua e là, a proposito di altre persone), annota il 25 settembre 1608 nelle sue Relaciones : “Está tan apoderado de todos los negocios don Rodrigo Calderon, que no hay otra persona á quien acudir despues del Duque, cuya voluntad tiene tan ganada que la trae donde quiere y dispone de ella conforme la suya” (Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 351). 97   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, fo. [A 4r].  



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e dignità tanto numerosi da non poter essere elencati, vuol far supporre dignità e titoli che, come tutti sapevano, Don Rodrigo non possedeva !) vorrebbero suggerire con la soppressione della parola ayuda. Tutti sapevano che Don Rodrigo, “ayuda de Cámara”, non trattava né “grauissimos negocios”, né “negocios arduos”, ancora saldamente in mano del segretario del Consejo de Estado Pedro Franqueza, secondo la chiarissima testimonianza di Luis Cabrera de Córdoba (“[el secretario Franqueza] está apoderado de la máquina de todos los negocios importantes con el favor que le hace el duque de Lerma” 98), di Simeone Contarini (“El Conde de Villalonga, que por ser Secretario es el postrero, es el primero y el todo, pues entre él y el Duque de Lerma se resuelven todas las materias” 99) e di Thomé Pinheiro de Veiga (“o Duque … se lhe entregou muyto, fiando tudo delle”), e secondo, infine, quanto lo stesso segretario di Stato affermava, prima del suo arresto, nel primo foglio del Libro de compras de Villas y Baronias y otras tierras hechas por mi el conde de Villalonga cassa franqueza, parlando di se medesimo in terza persona e al preterito :  







Por su gran valor y prudencia en todas materias y ver que era muy celosso cuidadosso fiel y verdadero secreto en las cossas del seruicio de su Md fauorecedor de hombres nobles y virtuossos, amigos [amigo !] de ayudar y fauorecer a aquellos con quien tubo conocimiento y trato antes de su prosperidad, por lo qual merecio y ha merecido alcançar por las virtudes que en vn tan noble pecho han cauido, lo qual pocas bezes se halla en los que estan puestos en tan grande lugar y estado y assi vino en tanta gracia y priuança de su Rey que merita mente pasaron por sus manos todas las cossas del Gouierno assi de estado como de guerra, Hazienda merçedes y todo lo demas que de importancia y de consideracion a su Rey se le ofrecio en sus consejos y Juntas por lo mucho que su voto era preciado y estimado. 100  



Il ruolo di Don Rodrigo Calderón era ancora modesto. Aiutava il suo protettore nei loschi maneggi e, manipolando le pratiche amministrative ed esagerando il suo potere e la sua influenza, si faceva fare dei regali, senza neppur curarsi di nascondere la sua corruttibilità (“déjase regalar con publicidad”, scrive Simeone Contarini). Tutti sapevano che di “rara clemencia, y mansedumbre” non vi era traccia in Don Rodrigo, uomo notoriamente crudele e d’intollerabile orgoglio e arroganza. Tutti sapevano che il nonno paterno, Rodrigo Calderón, e il nonno materno, Juan de Aranda, del favorito del Duca di Lerma erano modesti mercanti ; l’esaltazione della “illustre sangre” di Francisco Calderón – il cui stesso padre, incarcerato per essere stato accusato di non aver restituito “un collar de oro con muchas perlas e piedras que valian mas de mill ducados”, ricevuto in deposito, si dichiarava uomo di affari e mercante nelle suppliche indirizzate al giudice del tribunale di Valladolid incaricato della causa 101 – e della “antigua nobleza  



98   Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 150. 99   Simón Contarini : Estado de la Monarquía Española a principios del siglo XVII (Manuscrito del siglo XVII), p. 58. 100   Questo manoscritto Libro de compras di Pedro Franqueza, con l’apologetica autobiografia ‘per i posteri’, fu trovato durante la perquisizione eseguita dagli ufficiali giudiziari. Vari passi del Libro de compras furono poi trascritti nella relazione già citata intitolata : Cargos que resultan de la visita hecha a Don Pedro Franqueza, Conde de Villalonga, secretario de Estado, por mandado de S Mg.d el Rey Don Philippe III. La qual executò el Licenciado Don Fernando Carrillo, de el Consexo y de la Camara (1606). Il passo da noi citato si trova ai fo. 3v-4r. 101   “[13 de Julio de 1551] porque yo soy onbre de negozios y ... tengo mercaderias y cobranzas y en estar detenido Recibo daño suplico a V. m. me mande alçarme la carceleria que yo me ofrezco de darles las fianças que por V. m. me fuere mandado”. – “[14 de Julio de 1551] yo tengo negocios y mercaderias e al presente es tiempo de feria y en estar detenido Recibo muy gran daño pues contra mi no resulta delito ni porque deva estar preso. pido e suplico a vra. md. me mande soltar a lo menos sobre fianças que me ofrezco de dar e pagar todo lo que contra  





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de los Calderones, y Arandas”, definiti “linajes tan antiguos, como nobles, y tan nobles como antiguos”, era quindi talmente esagerata e assurda da far sorgere il sospetto che il vero intento fosse non di glorificare, ma di ridicolizzare il dedicatario. Tutti sapevano che gli Aranda erano conversos. 102 Tutti sapevano, infine, che i “Sandelines, Olandeses,” non erano “nobilissimos caualleros”, ma mercanti, e che la loro “sangre” non solo non era “clara”, ma fortemente manchada (la stessa parola ‘olandese’ connotava – secondo l’osservazione già ricordata di Rudolf van Hoogstraten – “todo lo contrario de cristiano viejo y « noble »” 103). Inoltre è da notare che anche il titolo altisonante di “Señor de las villas de la Oliua y Plasençuela”, con il quale Don Rodrigo si fregia in documenti posteriori alla data di celebrazione del suo matrimonio, 104 si riferiva a due modesti ‘señoríos lugareños’, che erano stati ceduti, con rinunzia del 18 marzo 1601, da Don Miguel de Vargas y Camargo, in cambio di una rendita vitalizia e del pagamento dei suoi molti debiti, alla figlia e al genero105 e che costituivano “propiedades raíces, no feudos”.106 (Si poteva possedere, o comprare, señorios ed essere, o diventare, señor de vasallos senza essere nobile,107 sebbene Las Siete Partidas avessero considerato la nobiltà requisito necessario e indispensabile per poter avere vassalli.108) Don Rodrigo, che talvolta si firmava  









mi fuese juzgado”. – “[17 de Julio 1551] digo que por mandado de V. m. estoy detenido en esta corte y porque al presente tengo negozios en la feria de mayo presente en la cual me conbiene yr a ella a las contrataciones y pagamentos ... suplico a v. m. me mande dar lizencia para que pueda yr a dicha feria de medina y estar en ella todo el tiempo que los pagamentos della duren ... porque de no me allar en dichos pagamentos Rezibiria mucho daño en mucha suma de marabedis como en el credito de mi persona”. Cfr. « Pleito entre Francisco Fanega y Rodrigo Calderón, abuelo de D. Rodrigo, y por muerte del segundo, con la viuda y los hijos » (1551-1556). In : J. Martí y Monsó : Los Calderones y el Monasterio de Nuestra Señora de Portaceli. Documentos, pp. 295-296 (Doc. Núm. 2). 102   Cfr. Ruth Pike : The Converso Lineage of Rodrigo Calderón. In : Malcolm R. Thorp and Arthur Slavin : Politics, Religion and Diplomacy in Early Modern Europe. Kirksville, Missouri : Sixteenth Century Journal Publishers 1994, pp. 219-229. – Ruth Pike : Linajudos and Conversos in Seville. Greed and Prejudice in Sixteenthand Seventeenth-Century Spain (= American University Studies. Series IX : History, Vol. 195). Bern : Peter Lang 2000, pp. 71-79. 103   R. van Hoogstraten : Estructura mítica de la picaresca, pp. 73-74. 104   Cfr. il documento nro. 32 (“yo don R.o Calderon Vargas y Camargo de la cam.a de su mag.d y s.r de la v.a de la oliua”), il documento nro. 43 (“don rrodrigo Calderon de la Camara de su magestad señor de las villas de oliua plasençuela y siete yglesias”), il documento nro. 46 (“don R.o Calderon señor de la oliba siete yglesias y cofraga”). In : J. Martí y Monsó : Los Calderones y el Monasterio de Nuestra Señora de Portaceli. Documentos. In : Boletín de la Sociedad Castellana de Excursiones, Año VIII (1910), p. 402 (Doc. Núm. 32. – 1604), p. 457 (Doc. Núm. 43. – 1608), p. 459 (Doc. Núm. 46. – 1611). Questa aggiunta di titoli José Martí y Monsó la considera abusiva : “Ya aquí D. Rodrigo Calderón se añade algunos títulos aunque pertenecieran á su mujer pues dice ser también señor de la villa de Oliva, Plasenzuela y Siete Iglesias”. Cfr. J. Martí y Monsó : Los Calderones y el Monasterio de Nuestra Señora de Portaceli. In : Boletín de la Sociedad Castellana de Excursiones, Año VII, Núm. 73 (Enero de 1909), p. 2. 105   Cfr. « D. Miguel de Vargas y Camargo, renuncia sus bienes en favor de su hija Doña Inés de Vargas y del marido de ésta D. Rodrigo Calderón ». In : J. Martí y Monsó : Los Calderones y el Monasterio de Nuestra Señora de Portaceli. Documentos. In : Boletín de la Sociedad Castellana de Excursiones, Año VIII (1910), pp. 400-401 (Doc. Núm. 29. – 1601). 106   M. Bataillon : Pícaros y picaresca, p. 57. 107   Cfr. Jerónimo Castillo de Bobadilla : Politica para Corregidores y Señores de vassallos, en tiempo de paz, y de guerra. Amberes : Juan Bautista Verdussen 1704 [1ª ed. 1597], Tomo I, Lib. II, Cap. XVI, num. 173, p. 479 (“de los pechos Reales, no siendo los Señores de vassallos hijosdalgo, no estaran essentos…”) ; Tomo II, Lib. V, Cap. V, num. 32, p. 607 (“Los Señores de vassallos, aunque no sean hijosdalgo, suelen de hecho y por abuso escusarse de los repartimientos y derramas de pecheros…”). Cfr. inoltre Antonio Domínguez Ortiz : La sociedad española en el siglo XVII, tom. I, p. 197. 108   Commentando le parole “es dicho señor todo ome, que a poderio de armar, e de criar por nobleza de su linaje” della legge delle Siete Partidas già citata, nella quale si determina Que cosa es Señor, e que cosa es vassallo, Gregorio López scrive : “Videtur hic ... quòd soli nobiles possunt habere vasallos”. Cfr. Las Siete Partidas del sabio Rey don Alonso el nono, nueuamente Glosadas por el Licenciado Gregorio Lopez del Consejo Real de  

























































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e si chiamava, assumendo i cognomi del suocero, “Don Rodrigo Calderon Bargas y Camargo”109 (ma in nessun documento a noi noto si firma, si chiama, o è chiamato, Don Rodrigo Calderon Sandelín, il nome usato nel frontespizio e nella dedica della Pícara Justina !), cercava in tutti i modi di presentarsi, o almeno di apparire, come nobile. In realtà, in questi anni, Don Rodrigo era ancora solo – lo ripetiamo – ayuda de Cámara (dal 30 giugno 1607 sarà anche regidor perpetuo dell’Ayuntamiento di Valladolid 110). Nella Cedula rreal del 13 marzo 1608, con la quale il Re autorizzava Don Rodrigo a farsi sostituire nelle sedute dell’Ayuntamiento di Valladolid, il favorito del favorito era definito semplicemente “don rrodrigo calderon de la nuestra Camara y nuestro rregidor perpetuo desa ciudad”. 111  





Si potrà sostenere, come ha fatto Marcel Bataillon, che Don Rodrigo aveva bisogno di fabbricare e divulgare mistificazioni genealogiche proprio perché non era di famiglia nobile e che quindi lo scudo sul frontespizio della Pícara Justina e la dedica facevano parte di una strategia precisa e assolvevano una funzione di propaganda. Ma per essere utile la propaganda doveva essere o – per lo meno – apparire credibile. Lodi iperboliche e manifestamente infondate e mistificazioni genealogiche palesi, quanto grossolane, non favorivano ed anzi pregiudicavano la riuscita dei piani di Don Rodrigo. Nella scarnissima ‘genealogia’ allegata alla « Peticion » del 17 ottobre 1604 – posteriore quindi di molti mesi alla richiesta della licenza di stampa e del privilegio ed anche alla concessione del « Privilegio Real » –, con la quale chiedeva di essere accolto nella Cofradía del Real Hospital de Nuestra Señora Santa María de Esgueva di Valladolid, Don Rodrigo non faceva alcun riferimento alla nobiltà e antichità della sua famiglia e limitava il suo albero genealogico, come già ricordato, ai genitori e ai nonni paterni e materni :  









LINEA PATERNA. – Mi padre se llama el Capitan fran. Calderon del abito de s. Juan y teniente de las guardas españolas de su mag.d y vez.o de Vall.d Sus padres y mis aguelos se llamaron Rodrigo Calderon vez.o de Vall.d y doña maria de Aranda ansimismo de Va.d LINEA MATERNA. – mi madre se llamo doña maria de Aranda natural de enveres. Sus padres fueron Juan de Aranda nacido en Vall.d y maria sandelin flamenca y natural de la aya en Olanda. 112 co



Anche i testimoni ascoltati nel corso della “ynformacion” (fu sbrigata in brevissimo tempo : iniziò il 14 novembre 1604 e terminò il 25 novembre 1604), pur estremamente compiacenti e desiderosi di aiutare Don Rodrigo, evitano di affermare direttamente ed esplicitamente che la famiglia Calderón e la famiglia Aranda erano nobili. Ecco, per  

Indias de su Magestad. Impresso en Salamanca Por Andrea de Portonaris, Impressor de su Magestad. Año M.D.L.V. (Quarta Partida, Titulo XXV, Ley. I., fo. 61v, nota d). 109   J. Martí y Monsó : Los Calderones y el Monasterio de Nuestra Señora de Portaceli. Documentos. In : Boletín de la Sociedad Castellana de Excursiones, Año VIII (1910), p. 402 (Doc. Núm. 32. 1604), p. 486 (Doc. Núm. 47. 1607-1609). 110   Cfr. J. Martí y Monsó : Los Calderones y el Monasterio de Nuestra Señora de Portaceli. Documentos. In : Boletín de la Sociedad Castellana de Excursiones, Año VIII (1910), p. 456 (Doc. Núm. 42. 1607 : « El capitán Francisco Calderón, renuncia al cargo de regidor en su hijo D. Rodrigo »). 111   J. Martí y Monsó : Los Calderones y el Monasterio de Nuestra Señora de Portaceli. Documentos. In : Boletín de la Sociedad Castellana de Excursiones, Año VIII (1910), p. 457 (Doc. Núm. 43. 1608). 112   « Pruebas para admitir D. Rodrigo Calderón en la Cofradía del Real Hospital de Nuestra Señora Santa María de Esgueva. Peticion de don R.o Calderon en 17 de oct.e de 1604. » In : J. Martí y Monsó : Los Calderones y el Monasterio de Nuestra Señora de Portaceli. Documentos. In : Boletín de la Sociedad Castellana de Excursiones, Año VIII, Núm. 85 (Enero de 1910), pp. 296-299 (Doc. Núm. 3 - 1604) ; qui p. 297.  





























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esempio, la dichiarazione di D. Francisco Arias Dávila y Bobadilla, IV Conte di Puñonrostro, registrata da Don Luis González de Villa e Don Diego de Vega y Alarcón, i commissari incaricati dal Capitolo della Cofradía del Real Hospital de Nuestra Señora Santa María de Esgueva di esaminare i testimoni :  

a

[...] a m. de aranda aguela la conoscio mucho tienpo desde quel duque de Alba paso en flandes que abra mas de treinta y siete años y ansimismo conoscio a Juan de aranda, aguelo materno... y conociolo en flandes en anberes casado con m.a sandelin... del tienpo que el dho conde estubo en aquella probincia de olanda... al capitan fran.co calderon le conoce y le conoscio y le trato desde quel duque de alba paso a flandes... y despues en esta ciudad. – Tiene al dho don R.o por onbre virtuoso y cuerdo y muy bien inclinado temeroso de dios y amigo de sus pobres... – al capitan fran.co calderon... le conoce tener el avito de San Juan y su hijo don R.o es de la camara del Rey n.o s.r que sino fueran tan calificados es claro que no les dieran semejantes oficios... y conoscio en flandes a luis de aranda sandelin her.o de doña m.a de aranda madre de don R.o el qual sabe que en los estados de flandes a tenidos gobiernos y Cargos muy honrados y sabe... que fran.co de madrid hermano de su aguela del dho don R.o fue cofrade del ospital real desgueba. 113  

Il Conte di Puñonrostro – era membro del Consiglio di Guerra 114 e fu incaricato piú volte da Filippo III di ispezioni militari (morirà, lasciando “su casa muy necesitada”, nel gennaio del 1610) 115 – si limita, prudentemente e diplomaticamente, a dichiarare che né Francisco Calderón sarebbe divenuto capitano e cavaliere dell’Ordine di San Juan né suo figlio “[ayuda] de la camara del Rey” se non fossero stati molto “qualificati” per tali “uffici”, e che Luis Aranda Sandelín, fratello di María de Aranda, aveva ricoperto incarichi molto onorati. (Naturalmente non era necessario essere nobili per divenire capitani o ayudas de Cámara. Le insegne di Cavaliere dell’Ordine di Malta Francisco Calderón le doveva, molto probabilmente, ai buoni rapporti di Don Rodrigo e del Duca di Lerma con Emanuele Filiberto di Savoia, Gran Priore dell’Ordine di San Juan nei Regni di Castiglia e León.) Quando non si affidavano al metodo, spesso seguito anche negli anni seguenti, di fingere di ritenere che gli uffici ricoperti e le onorificenze ricevute dai membri della famiglia Calderón costituissero la prova della loro nobiltà e purezza di sangue, i testimoni delle pruebas ricorrevano, per non compromettersi, ai ‘sentito dire’. Cosí, per esempio, Bartolomé de Palacio, “vezino y natural de esta ciudad [Valladolid]. – De 60 años de edad”, dichiara quanto segue :  





o

Conoce y conocio a don R. Calderon y a fr.co calderon su p.e y a doña M.a de aranda su m.e y a R.o Calderon su aguelo paterno ... y el dho R.o Calderon y ortega ... le parece que abra que murio mas de cinq.ta años 116... y a m.a de aranda conocio despues de biuda... que abra que murio muchos años... – a Juan de aranda... le conoscio en casa de p.o de aranda su h.no depositario que fue de Vallid... y que le parece se fue a flandes... con neg.os de su her.no – a maria sandelin no la conocio... aunque oyo decir al conde de puño en rostro don fr.co de bobadilla que la conoscio y a sus padres y deudos y que heran muy calificados y nobles y los conoscio tener oficios en aquellos estados de mucho honor y calidad y aber ospedado a don fadrique hijo may.r del duque de alba y a otros muchos caballeros en su casa muchas veces. – Conoce a don R.o calderon desde que  

113   « Pruebas para admitir D. Rodrigo Calderón en la Cofradía del Real Hospital de Nuestra Señora Santa María de Esgueva », p. 297. 114   Cfr. S. Martínez Hernández : El Marqués de Velada y la Corte en los reinados de Felipe II y Felipe III, p. 371 n. 115   Cfr. Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 50, p. 112, p. 116, p. 398. 116   Rodrigo Calderon morí il 20 dicembre 1555. Cfr. « Pleito entre Francisco Fanega y Rodrigo Calderón, abuelo de D. Rodrigo, y por muerte del segundo, con la viuda y los hijos », p. 296.  











cosa era don rodrigo calderón nel 1604?

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te

nacio el qual le a bisto uibir muy virtuosam. sienpre y en muy buenas ocupaciones... y le tiene por de muy buen juhicio y por muy avil y suficiente para qualquier ejercicio y administracion de la hacienda del ospital y venef.o de los pobres. todos son xpnos viejos limpios etc. 117  

Il Conte di Puñonrostro non aveva affermato, almeno nella sua dichiarazione ufficiale sopra trascritta, che la famiglia Sandelín era nobile ! Altro espediente messo in atto dai testimoni era di valutare il vivere nobilmente come prova di effettiva nobiltà. Cosí Don Juan Maldonado, “del avito de Santiago” e “acemilero mayor” di Filippo II e di Filippo III, dichiara che “conocio a ... m.a sandelin en anberes en cassa propia tan grande y noble como la hay en esta ciudad de ballid, y el trato y aparato de ella de mucha nobleça y grandeza, y adbierte que en aquellos estados particularm.te en aquella probincia ay mucha diferencia entre los nobles y paisanos y asi se hecha de ber quales son los vnos o los otros”. Analoga è la dichiarazione di Esteban de Ibarra, “caballero del abito de Santiago del consejo de su m.d y sec.o del real de guerra” : “vio que el trato de ... m.a sandelin y el respeto y estimacion que de ella se hacia, era de ser muy noble y eso era y es publica voz y fama”. 118 La genealogia allegata da Don Rodrigo alla « Peticion » con la quale chiedeva di essere accolto nella Cofradía del Real Hospital de Nuestra Señora Santa María de Esgueva e le dichiarazioni dei testimoni ascoltati nel corso delle pruebas sono posteriori di diversi mesi alla dedica della Pícara Justina. Sorprende pertanto non poco la vistosa divergenza esistente fra le asserzioni sulla “illustre sangre” di Francisco Calderón e l‘antica nobiltà dei Calderón e degli Aranda e sul “chiaro sangue” dei “nobilissimi cavalieri” Sandelín contenute nella dedica e le prudenti ‘informazioni’ genealogiche offerte da Don Rodrigo e dai testimoni delle pruebas, da lui stesso scelti. Sorprende anche che l’autore della Pícara Justina abbia voluto mettere la sua opera sotto la protezione del (falso) blasone del favorito del favorito. Al momento della stesura e della pubblicazione della Pícara Justina, Don Rodrigo Calderón non era certamente, come abbiamo evidenziato, né quell’uomo “tan poderoso” e addirittura “onnipotente” – al cui servizio sarebbe stato Francisco López de Úbeda – evocato ripetutamente da Marcel Bataillon, né quel “gran signore” immaginato da Victor García de la Concha, ma semplice ayuda de Cámera del Re, odiatissimo a Corte 119 e dal popolo. 120 Solo il 17 ot 













117   « Pruebas para admitir D. Rodrigo Calderón en la Cofradía del Real Hospital de Nuestra Señora Santa María de Esgueva », p. 297. 118   « Pruebas para admitir D. Rodrigo Calderón en la Cofradía del Real Hospital de Nuestra Señora Santa María de Esgueva », p. 299. 119   Matías de Novoa (Memorias. Tomo II, p. 101) ritiene che Don Rodrigo fosse odiato perché lo si considerava responsabile del rifiuto di mercedes che, in realtà, era stato deciso dal Duca di Lerma. Questi però, non osando, “por su blandura de condición”, negare di persona le mercedes richieste, affidava l’ingrato compito di farlo al suo favorito. Anche il comportamento sprezzante di Don Rodrigo, che Matias de Novoa considera un “grande” uomo (Tomo II, p. 87), la sua “aspereza de condicion” (Tomo II, p. 103), e il suo orgoglio non suscitavano certamente simpatia : “Crecia … la envidia de los hombres y el ódio á D. Rodrigo ; empero, su ánimo y bizarria nunca menguaba ; ejercia sus oficios con mucha autoridad y ostentacion” (Tomo II, p. 115). 120   Quando, all’inizio di maggio del 1607, si sparse la voce dell’arresto di Don Rodrigo, il popolo esultò, come annota Luis Cabrera de Córdoba (Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 306) : “Los dias pasados se publicó que habian enviado preso desde Aranjuez á Pinto, á don Rodrigo Calderon, de que el pueblo se holgaba mucho ; pero no fue cierto, y se cree pasará adelante en su privanza, mientras el Duque, su amo, durare en la suya, que todavía anda la plática de quererse ir á recoger en un monasterio.” Poche settimane dopo, il 7 luglio del 1607, Luis Cabrera de Córdoba dà notizia della già ricordata Cédula del 7 giugno 1607, con la quale Filippo III ordinava “perpetuo silencio” a coloro che perseveravano nell’accusare il favorito del favorito, in questi termini : “Conforme á la sentencia que se dió en la visita de don Rodrigo Calderon por el conde de Miranda [D. Juan de Zúñiga Avellaneda y Cárdenas], don Juan de Idiaquez, el Confesor [Fray Jerónimo Xavierre] y don Hernando Carrillo, S. M. firmó una cédula á 7 del pasado, que es la que se envia impresa, la cual no ha sido parte para que el pueblo deje de atribuirla mas á merced y favor de S. M., que no á justicia” (Relaciones, p. 307).  



















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capitolo iii

tobre 1604 – data posteriore a quella della concessione a Francisco López de Úbeda del « Privilegio Real » per la pubblicazione della Pícara Justina – Don Rodrigo aveva fatto domanda per essere accolto nella Cofradía del Real Hospital de Nuestra Señora Santa María de Esgueva di Valladolid, primo, timido passo nel lungo cammino che gli fu necessario percorrere per poter divenire, alla fine del 1611, Cavaliere di Santiago. Per quale ragione l’autore della Pícara Justina si scelse un così modesto e poco stimato protettore ? Non sarebbe stato più logico dedicare l’opera ad uno dei grandi signori della Corte protettori delle lettere, come fa, per esempio, proprio nel 1605, Cervantes, che dedica il suo Don Quijote a Don Alonso Diego López de Zúñiga y Sotomayor, VI (VII) Duca di Béjar, VIII Marchese di Gibraleón, Conte di Benalcázar, Conte di Bañares, Visconte della Puebla de Alcocer, Grande di Spagna, Cavaliere del Tosón d’Oro, 121 al quale è dedicata anche la famosa antologia di Pedro Espinosa Flores de poetas ilustres de España 122 apparsa nello stesso anno e saranno dedicate le Soledades di Góngora 123 e le Rimas di Cristóbal de Mesa ? 124 Oltre al Duca di Béjar, che era protettore delle lettere 125 ma ‘povero’ e privo di potere politico, 126 vi erano altri noti possibili dedicatari, mecenati della letteratura, fra i quali ricordiamo : D. Luis Fernández de Córdoba, Conte di Cabra (VI Duca di Sessa, dalla morte, avvenuta il 6 gennaio 1606, di suo padre, Don Antonio Folch y Cardona, V Duca  





















121   Su questa dedica e la problematica autenticità del suo testo cfr. F. Rico : El texto del « Quijote ». Preliminares a una ecdótica del Siglo de Oro, pp. 406-426. – Gonzalo Santonja : La dedicatoria al Duque de Béjar, primer guiño cervantino del Quijote. In : El mecenazgo literario en la Casa Ducal de Béjar durante la época de Cervantes. Edición de J. Ignacio Diez (= Libros Singulares, 10). Fundación “Instituto Castellano y Leonés de la Lengua” Junta de Castilla y León 2005, pp. 9-22. – J. Jgnacio Díez Fernández : Naturalmente soy poltrón y perezoso. La dedicatoria del Quijote “Al Duque de Béjar”. In : El mecenazgo literario en la Casa Ducal de Béjar durante la época de Cervantes. Edición de J. Ignacio Diez (= Libros Singulares, 10). Fundación “Instituto Castellano y Leonés de la Lengua” - Junta de Castilla y León 2005, pp. 263-283. – Javier Salazar Rincón : El escritor y su entorno. Cervantes y la Corte de Valladolid en 1605, pp. 236-239. 122   Su questa dedica cfr. Belén Molina Huete : Flores para un ilustre y grande de España : Las dedicatorias de la antología de Espinosa al Duque de Béjar. In : El mecenazgo literario en la Casa Ducal de Béjar durante la época de Cervantes. Edición de J. Ignacio Diez (= Libros Singulares, 10). Fundación “Instituto Castellano y Leonés de la Lengua” – Junta de Castilla y León 2005, pp. 95-129. 123   Su questa dedica cfr. Robert Jammes : « Introducción » a : Luis de Góngora : Soledades. Edición, introducción y notas de R. J. Madrid : Castalia 1994, pp. 7-157 ; qui pp. 73-78. – Juan Matas Caballero : Un espantoso rumor de tremenda batalla entre Góngora y el Duque de Béjar. In : El mecenazgo literario en la Casa Ducal de Béjar durante la época de Cervantes. Edición de J. Ignacio Diez (= Libros Singulares, 10). Fundación “Instituto Castellano y Leonés de la Lengua” – Junta de Castilla y León 2005, pp. 43-74. 124   Su questa dedica cfr. Gaspar Garrote Bernal : Palabras por patrocinio. Cristóbal de Mesa ante el Duque de Béjar (Rimas, 1611). In : El mecenazgo literario en la Casa Ducal de Béjar durante la época de Cervantes. Edición de J. Ignacio Diez (= Libros Singulares, 10). Fundación “Instituto Castellano y Leonés de la Lengua” – Junta de Castilla y León 2005, pp. 131-171. 125   Oltre agli studi sopra ricordati cfr. Isabel Colón Calderón : El Duque de Béjar en la obra de Lope de Vega. In : El mecenazgo literario en la Casa Ducal de Béjar durante la época de Cervantes. Edición de J. Ignacio Diez (= Libros Singulares, 10). Fundación “Instituto Castellano y Leonés de la Lengua” - Junta de Castilla y León 2005, pp. 75-93. – Jesús Ponce Cárdenas : El Duque de Béjar en dos textos del entorno barroco sevillano ( Juan de Pineda y Francisco de Rioja). In : El mecenazgo literario en la Casa Ducal de Béjar durante la época de Cervantes. Edición de J. Ignacio Diez (= Libros Singulares, 10). Fundación “Instituto Castellano y Leonés de la Lengua” – Junta de Castilla y León 2005, pp. 173-210. I saggi della miscellanea dedicata al mecenatismo della Casa Ducale di Béjar correggono fortemente l’immagine negativa del Duca di Béjar che Francisco Rodríguez Marín aveva tracciato, nella sua monumentale edizione ‘critica’ del Quijote, ignorando completamente la reale situazione economica di Don Alonso Diego López de Zúñiga y Sotomayor (definito “opulento magnate” e “simple” e accusato di “tacañería” !) e interpretando malevolmente un aneddoto. Cfr. El ingenioso hidalgo Don Quijote de la Mancha de Miguel de Cervantes Saavedra. Nueva edición crítica con el comento refundido y mejorado y más de mil notas nuevas, dispuesta por Francisco Rodríguez Marín. Madrid : Atlas 1947-1949, tomo I-X ; qui I, pp. 12n.-13n. ; IX, pp. 9-19. 126   Sulla disastrosa situazione economica del Duca di Béjar si veda il documentatissimo saggio di Anastasio Rojo Vega : El Duque de Béjar, Cervantes y Juan de Navas, pp. 211-233.  





























































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di Sessa), il famoso mecenate di Lope de Vega ; 127 Don Pedro Fernández Ruiz de Castro y Osorio, VII Conte di Lemos, Conte di Andrade e Villalba, Marchese di Sarriá, Presidente del Consejo de Indias, nipote e genero del Duca di Lerma, autore di poemi e opere drammatiche, protettore di Lope de Vega, di Cervantes, che gli dedicherà le Novelas ejemplares, le Ocho Comedias, il Persiles e la seconda parte del Quijote, dei fratelli Argensola, di Antonio Mira de Amescúa, di Gabriel de Barrionuevo, di Góngora, di Vicente Espinel e di altri (Quevedo gli dedica il Sueño del Juicio, 1605, e l’Alguacil endemoniado) ; 128 Don Manuel Alonso Pérez de Guzmán el Bueno, X Conte di Niebla, figlio primogenito del VII Duca di Medina Sidonia, poeta dilettante lodato da Lope de Vega nel Peregrino en su patria, 129 al quale dedicheranno Góngora la Fábula de Polifemo y Galatea, Juan de Robles El Culto Sevillano e Pedro Espinosa, che lo celebrò anche nell’Elogio al retrato del Excmo. Sr. D. Manuel Alonso de Guzmán e nel Panegírico al Excmo. Sr. D. Manuel Alonso de Guzmán, l’Espejo de Cristal e El Perro y la Calentura. E se non fra i piú noti mecenati della letteratura, non poteva l’autore della Pícara Justina scegliersi un protettore fra i membri di quelle grandi casate alle quali rende un esplicito omaggio, rivelatore di un sia pur tenue rapporto personale ? Ampia possibilità di scelta gli avrebbero offerto le famiglie dei Duchi di Medina di Rioseco, dei Duchi di Medina Sidonia, dei Conti di Benavente, dei Duchi dell’Infantado, dei Duchi d’Alba, dei Duchi di Feria e dei Duchi di Béjar (Doña Mencía, Doña Isabel e Doña Juana, le tre “grazie”, figlie di D. Iñigo López de Mendoza y Mendoza, V Duca dell’Infantado, erano – come sappiamo – sposate rispettivamente a Don Antonio Álvarez de Toledo y Beaumont, V Duca d’Alba, a Don Lorenzo Suárez de Figueroa, II Duca di Feria, e a Don Alonso Diego López de Zúñiga y Sotomayor, VI Duca di Béjar). Ed ancor più sorprende che già nella incisione « La Nave de la vida picara », nella quale sono rappresentate le calderas – ora non allusione, come nello scudo del frontespizio, ad un legame genealogico di Don Rodrigo con i ricos-hombres, ma alla sua appartenenza alla famiglia infame dei picari –, e poi ripetutamente nel testo si scherniscano le aspirazioni nobiliari dei parvenus. Inconscia incongruenza dell’autore della Pícara Justina, o suo consapevole doppio gioco ? Oppure lo scrittore ha forse pubblicato, con - o senza - il consenso di Don Rodrigo, il Libro de entretenimiento per burlarsi del favorito del favorito su istigazione di qualche gran signore, desideroso di colpire il Duca di Lerma attraverso la sua hechura o di vendicarsi di questa per qualche sgarbo o sopruso ? O volevano l’autore della Pícara Justina e lo sconosciuto magnate suggerire un parallelo fra la vita picaresca e il sistema ‘picaresco’ di governo, dominato da un valido, che a sua volta era dominato dai suoi favoriti ? Come sappiamo, i nemici del Duca di Lerma e di Don Rodrigo Calderón erano numerosi e potenti, sin dagli anni in cui la Corte risiedette a Valladolid. E fra di loro non mancava chi non andava per il sottile nella scelta dei mezzi da usare nella lotta segreta contro il favorito e il favorito del favorito, come dimostra l’attentato, fallito, alla vita di Don Rodrigo effettuato il 25 settembre 1604, del quale Luis Cabrera de Córdoba nelle sue Relaciones dà notizia in questi termini :    

   

















127   Sul mecenatismo letterario dei Duchi di Sessa – in particolare di D. Luis Fernández de Córdoba –, cfr. Elizabeth R. Wright : Los Duques de Sessa, sus deudas y disputas. El mecenazgo como patrimonio familiar. In : Dramaturgia festiva y cultura nobiliaria en el Siglo de Oro. Coordinado por Bernardo J. García García - María Luisa Lobato. Madrid : Iberoamericana - Vervuert 2007, pp. 249-267. 128   Cfr. Isabel Enciso Alonso-Muñumer : Nobleza, Poder y Mecenazgo en tiempos de Felipe III. Nápoles y el Conde de Lemos, pp. 698-763. 129   Cfr. Lope de Vega : Prosa, I. Arcadia. El peregrino en su patria. Madrid : Biblioteca Castro 1997, p. 689.  











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capitolo iii

A los 25 del pasado [Setiembre], á media noche, viniendo en silla don Rodrigo Calderon, de Palacio, en el zaguan de su posada, le quisieron disparar un pistolete y no prendió el fuego, y el que le tiraba se escapó sin saberse quien fuese, dejando á don Rodrigo harto turbado, y que habrá de vivir con cuidado de sí de aquí adelante. 130  

Pochi mesi dopo, una notte dei primi giorni del gennaio del 1605, fu ucciso Don Eugenio de Olivera, “privado del duque de Lerma”, da tre uomini “de buena disposicion”, rimasti sconosciuti, cosí come sconosciuta rimase la causa dell’assassinio. 131 Come era stato organizzato un attentato alla vita di Don Rodrigo, qualche suo nemico avrebbe ben potuto organizzare contro di lui un attentato ‘letterario’, una ‘burla’.  

Un’ipotesi azzardata : Don Rodrigo Calderón Vargas y Camargo è Vargas-Machuca ?  



A proposito di ‘burle’ ! Nel capitolo precedente abbiamo scritto che si potrebbe supporre che con l’episodio di Machuca si volesse burlare Don Rodrigo. Ecco come siamo giunti a fare questa supposizione. La dedica della Pícara Justina terminava con questo augurio a Don Rodrigo : “felices dias en compañia de mi señora doña Ynes de Vargas y Caruajal, gloria y honra de la nobleza estremeña”. La definizione di una discendente dei Vargas come “gloria y honra de la nobleza estremeña” ci è sembrata sospetta come quella sulla “antigua nobleza de los Calderones, y Arandas” e quella sulla “clara sangre de los nobilissimos caualleros Sandelines”. Abbiamo cercato allora di far luce sulla genealogia della moglie di Don Rodrigo e sulla sua appartenenza alla nobiltà della Estremadura. D. Inés de Vargas y Carvajal era – secondo i vari documenti pubblicati da José Martí y Monsó – la pronipote del Licenciado Francisco de Vargas, 132 “tesorero”, dal 1510 al 1523, 133 prima, di Fernando il Cattolico, 134 poi, di Carlo V. Gil González Dávila annota, nel capitolo dedicato a « Los varones ilvstres hijos de la Villa de Madrid » del suo Teatro de las grandezas de Madrid, che il Licenciado Francisco de Vargas, oltre che tesoriere generale, era stato anche “Chanciller de Castilla, Alcayde de Truxillo, Confirmador de  













130   Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 227. 131   Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 235. 132   Cfr. « Pruebas de la Orden de Santiago. Don Miguel de Vargas y Camargo. (Suegro de D. Rodrigo) ». In : J. Martí y Monsó : Los Calderones y el Monasterio de Nuestra Señora de Portaceli. Documentos. In : Boletín de la Sociedad Castellana de Excursiones, Año VIII (1910), pp. 386-387 (Doc. Núm. 27. – 1579). – M. Bataillon : Urganda entre Don Quijote y La Pícara Justina, p. 57. 133   Cfr. Ramón Carande : Carlos V y sus banqueros. Barcelona : Crítica 1990, 3 voll. ; qui I, p. 496 e p. 538 ; II, p. 63 e pp. 83-85 ; III, p. 37, pp. 42-45. 134   Sebastian de Covarrubias Orozco (Tesoro de la lengua castellana o española, art. « Vargas », p. 952) ricorda che il nome di Francisco de Vargas aveva dato origine al proverbio “Averígüelo Vargas” per l’abitudine del re Fernando di rimettergli tutti i memoriali con queste parole. Gonzalo Correas (Vocabulario de refranes y frases proverbiales. Edición de Louis Combet, p. 112) registra altre opinioni sull’origine del proverbio. L’espressione ricorre anche nella Pícara Justina : “Auerigue Bargas el Vocabulario” (Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO SEGVNDO INTITVLADO LA PICARA Romera. En que se trata la jornada de Arenillas. CAPITVLO SEGVNDO DE LA Vigornia burlada. NVMERO SEGVNDO DEL parlamento loco », p. 171) ; “Aueriguelo Bargas” (« SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO : DE la Picara Romera. Capitulo. I. De la jornada de Leon. Numero segundo de la pulla del fullero », p. 14). Tirso de Molina intitoló una sua commedia Averígüelo Vargas.  











































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priuilegios, y de los Consejos de Hazienda y de Estado”. 135 Lorenzo Galíndez de Carvajal scriveva, in un ‘ritratto’ ben poco lusinghiero, che il Licenciado Francisco de Vargas era “hombre limpio de sus padres” (cioè cristiano viejo) e “codiciocsisimo” e che si era arricchito in poco tempo in maniera incredibile col maneggio delle finanze della Corona (“en poco tiempo ha allegado y gastado tanto que no parece posible poderlo un hombre hacer”). 136 Effettuato, nel 1523, un controllo della sua gestione, fu constatato un ammanco di 32 cuentos (ca. 85.333 ducati), di cui dovranno rispondere gli eredi, essendo Francisco de Vargas, uno degli uomini “más corrompidos de toda la Administración”, 137 morto a Burgos il 22 luglio 1524. 138 Figli del “liçençiado [Francisco] Vargas de Madrid” – e di sua moglie D. Inés de Carvajal (“natural de la cibdad de plasencia” 139) – furono, secondo annotazioni di Pedro Girón relative agli anni 1532 e 1538 140 e secondo Antonio de León Pinelo, 141 Diego de Vargas e “Don Gutierre de Carvajal, Obispo de Plazencia” (1524-1559). Di Don Gutiérrez de Vargas y Carvajal, Vescovo di Plasencia – e quindi anche di Diego de Vargas – era però fratello – secondo i testimoni sentiti durante le pruebas effettuate per concedere l’hábito dell’Ordine di Alcántara a Don Francisco Calderón Vargas y Camargo, il primogenito di Don Rodrigo, e l’hábito dell’Ordine di Santiago a Don Miguel de Vargas y Camargo – anche il “licen.do Juan de Vargas” (“Juan de Vargas es natural de madrid Hermano de don gutierre de caruajal obispo de plass.a” 142). Figlio di Juan de Vargas e di sua moglie, “doña ines de camargo”, entrambi “naturales de Madrid”, fu “don miguel de vargas y camargo”, “natural de Madrid”143 (“natural de Plasencia”, secondo la genealogia del bimbo Francisco Calderón Vargas y Camargo presentata da Don Rodrigo144), cavaliere di Santiago, padre di D. Inés de Vargas y Carvajal.145 Ma dalle informazioni effettuate per la concessione dell’hábito di Santiago a Don Miguel de Vargas y Camargo, spunta un altro figlio del Licenciado Francisco de Vargas : Francisco de  

















135   Cfr. Gil González D’Avila : Teatro de las grandezas de la Villa de Madrid, Corte de los Reyes Católicos de España, p. 199. 136   Cfr. Ramón Carande : Carlos V y sus banqueros, II, p. 85 (il ‘ritratto’ di Vargas tracciato da Lorenzo Galíndez de Carvajal si trova nella Colección de documentos inéditos para la Historia de España, tom. I, Madrid 1842, p. 124). 137   Joseph Pérez : La revolución de las Comunidades de Castilla (1520-1521). Madrid : siglo veintiuno editores 1981, p. 188 (v. anche p. 103). Cfr. inoltre R. Carande : Carlos V y sus banqueros, II, pp. 83-84. 138   Cfr. Ramón Carande : Carlos V y sus banqueros, II, pp. 84-85. 139   « Pruebas de la Orden de Santiago. Don Miguel de Vargas y Camargo. (Suegro de D. Rodrigo) », p. 387. 140   Pedro Girón : Crónica del Emperador Carlos V. Edición de Juan Sánchez Montes, p. 18, p. 147, p. 161, p. 175, p. 342. 141   Antonio de León Pinelo : Anales de Madrid (desde el año 447 al de 1658), p. 79 (“[...] Don Gutierre de Carvajal y Diego de Vargas su hermano, hijos y herederos del Licenciado Francisco de Vargas”). 142   « Pruebas de la Orden de Alcántara. Don Francisco Calderón Vargas y Camargo. – De dos años escasos de edad. – (Primogénito de D. Rodrigo) ». In : J. Martí y Monsó : Los Calderones y el Monasterio de Nuestra Señora de Portaceli. Documentos. In : Boletín de la Sociedad Castellana de Excursiones, Año VIII (1910), pp. 352-355 (Doc. Núm. 7. - 1605-1606) ; qui p. 353. Un testimone delle pruebas effettuate nel 1579 per concedere a Don Miguel de Vargas y Camargo la croce di Santiago, dichiarò : “don miguel de bargas es hijo del licen.do Juan de bargas y de doña ynes de camargo vez.os de madrid de donde es natural el dicho don miguel ... el licen.do Juan de bargas ... fue natural desta dicha v.a hijo del licen.do Fran.co de bargas natural della que fue tesorero del rrey catholico y del emperador Carlos quinto y de su mujer doña ynes de carabajal vz.os desta dha v.a y ella fue natural de la ciudad de plasencia”. Cfr. « Pruebas de la Orden de Santiago. Don Miguel de Vargas y Camargo », pp. 386-387. 143   « Pruebas de la Orden de Santiago. Don Miguel de Vargas y Camargo », p. 386 (“don miguel de bargas es hijo del licen.do Juan de bargas y de doña ynes de camargo vez.os de madrid de donde es natural el dicho don miguel”). 144   « Pruebas de la Orden de Alcántara. Don Francisco Calderón Vargas y Camargo. – De dos años escasos de edad. – (Primogénito de D. Rodrigo) », p. 352. 145   « Pruebas de la Orden de Alcántara. Don Francisco Calderón Vargas y Camargo. – De dos años escasos de edad. – (Primogénito de D. Rodrigo) », p. 354.  

















































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Camargo. Alcuni testimoni affermano infatti che la madre di Don Miguel de Vargas y Camargo, D. Inés de Camargo, era figlia di D. María de Campo (o : Ocampo), “natural de la ciudad de trugillo”, e di Francisco de Camargo, figlio del Licenciado Francisco de Vargas, “por manera que el aguelo paterno de dicho don miguel de bargas fue el licen. do fran.co de bargas y el aguelo materno fue su hijo fran.co de camargo los quales fueron vecinos de madrid saluo el fran.co de camargo que como se caso en trugillo uiuio despues de casado en trugillo”. Altri testimoni dichiarano che Francisco de Camargo era “hermano del obispo de plasencia don gutierre”. Due ultime testimonianze : “doña maria de ocampo aguela materna de don miguel, fue hija de gutierre de sotomayor y de doña maria de ocampo... la cual doña maria de ocampo caso segunda vez con fran.co de camargo her.no de don gutierre de carauajal obispo de plasencia y ambos [...] obieron una hija que llamaron doña ynes de camargo que caso con el licen.do Juan de bargas su tio”. – “doña ynes de carabajal ... fue her.na del cardenal de S.to don ber.no de Carauajal”. 146 Erano Gutierre de Sotomayor, padre di María de Ocampo, e Gutierre de Sotomayor, maestre di Alcántara, 147 la stessa persona ? Se D. Inés de Carvajal fosse stata veramente sorella del cardinale Carvajal (D. Bernardino López de Carvajal y Sande, 1453/56-1523) – ambasciatore dei Re Cattolici presso la Santa Sede, Vescovo di Astorga, poi, successivamente, di Cartagena, Badajoz, Sigüenza, Ostia, Plasencia ; nominato da Innocenzo VIII Nunzio in Ispagna e da Alessandro VI Cardinale 148 (“del título de Sancta Cruz en Jherusalem” 149 – la Chiesa romana nella quale fu sepolto) –, sarebbe stata anche figlia di “Don Francisco López de Carvajal, Señor de Torrejón”, 150 sorella di Garci López de Carvajal, “Señor de la casa prinçipal de los Caruajales de Plazençia”, e parente di “Alonso de Caruajal, Señor de Xódar, maestresala del Católico Rrey don Fernando”, marito di D. Juana de Portugal e padre di D. Diego de Carvajal, di tanti altri cavalieri, ricordati da Gonzalo Fernández de Oviedo nella genealogia che dei Carvajal di Plasencia traccia nelle Batallas y quinquagenas, 151 e di Ruy González de Carvajal, che Marie-Claude Gerbet definisce “cabeza del poderoso linaje de los Carvajal de Plasencia” 152 (secondo la leggenda, Fernando IV di Castiglia morí emplazado da Don Pedro e Don Alonso Carvajal, che il Re aveva fatto ingiustamente uccidere 153).  























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  « Pruebas de la Orden de Santiago. Don Miguel de Vargas y Camargo », pp. 386-387.   Cfr. Marie-Claude Gerbet : La nobleza en la Corona de Castilla. Sus estructuras sociales en Extremadura (1454-1516). Salamanca : Institución Cultural « El Brocense » 1989, p. 149. 148   Ramón Ezquerra : Carvajal, Bernardino de. In : Diccionario de Historia de España. Dirigido por Germán Bleiberg. 1 : A/E., p. 746. – Diccionario de Historia Eclesiástica de España. I : A-C. Madrid : C.S.I.C. 1972, p. 370. 149   Gonzalo Fernández de Oviedo : Batallas y quinquagenas. Edición de Juan Bautista de Avalle-Arce. Salamanca : Ediciones de la Diputación de Salamanca 1989, p. 39. 150   Jesús Manuel López Martín : Paisaje urbano de Plasencia en los siglos XV y XVI. Mérida : Asamblea de Extremadura 1993, p. 39. 151   Cfr. anche Gonzalo Fernández de Oviedo : Batallas y quinquagenas. Edición de Juan Bautista de AvalleArce, pp. 37-41. 152   Marie-Claude Gerbet : La nobleza en la Corona de Castilla. Sus estructuras sociales en Extremadura (1454-1516), p. 148. Alla fine del XVI secolo Gonzalo Argote de Molina, parlando dei Carvajal, scriveva : “Ha sido este linaje ilustre y famoso en Estremadura, donde hoy es mayorazgo D. Francisco de Carvajal, señor de Torrejon” (Nobleza de Andalucía, p. 443). 153   Cfr. Gonzalo Argote de Molina : Nobleza de Andalucía, pp. 372-373 (Cap. XLVI : « El Rey Don Fernando manda matar en Martos á Juan Alonso y a Pedro de Caravajal hermanos, y el mismo Rey muere en Jaen emplazado por ellos »). – Romance del Rey don Fernando quarto (“Valasme nuestra señora...”). In : Cancionero de Romances impreso en Amberes sin año [c. 1547-1548]. Edición facsímil con una introducción por R. Menéndez Pidal. Nueva Edición. Madrid : C.S.I.C. 1945, fo. 165r-166v. La fonte piú antica della leggenda è la Crónica de Alfonso XI, che però non contiene il nome dei due cavalieri uccisi ingiustamente. L’identificazione dei due cavalieri con i fratelli Carvajal è invenzione di cronisti del XV secolo legati alla famiglia Carvajal. Cfr. Romancero. Edición, prólogo y notas de Paloma Díaz-Mas. Con un estudio preliminar de Samuel G. Armistead (= Biblioteca  

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La madre di D. Inés de Vargas y Carvajal, “doña Eluira de Trejo Caruajal natural de Plasencia” (secondo un altro testimone era “natural de truxillo”), era figlia di D. Luis de Trejo e di D. Elvira de Carvajal e sorella di D. Felipe de Trejo, divenuto cavaliere di Alcántara nel 1602. 154 La genealogia della famiglia madrilena di “apellido de Vargas”, che Gerónimo de Quintana illustra in tre capitoli della sua Historia de la Antiguedad, Nobleza y Grandeza de la villa de Madrid (1629), differisce dalle testimonianze date in occasione delle pruebas effettuate per concedere l’hábito dell’Ordine di Alcántara a Don Francisco Calderón Vargas y Camargo e l’hábito dell’Ordine di Santiago a Don Miguel de Vargas y Camargo. Gerónimo de Quintana fa risalire l’origine della “casa solariega” madrilena dei Vargas al tempo della conquista di Madrid (1083). A partire da allora si avrebbe “cierta noticia” di tre fratelli capostipiti dei tre rami della famiglia. Due di questi fratelli, il primo e il terzo, rimasero a Madrid, il secondo si stabilí a Toledo, quando la città fu conquistata, nel 1085, da Alfonso VI. Da questo cavaliere toledano discesero Garci Pérez de Vargas, che partecipò valorosamente all’assedio del Castello di Triana di Siviglia (1248), come racconta la Primera Crónica General de España, 155 e alla battaglia di Jerez de la Frontera, e Diego Pérez de Vargas 156 (Gerónimo de Quintana, che narra l’impresa che valse a Diego Pérez de Vargas il soprannome di Machuca, ma confonde Ferdinando III con Ferdinando IV, non nomina altri discendenti di questa linea). Dal primo dei tre fratelli discesero, oltre a diversi prelati (Don Fernando de Vargas, Vescovo di Burgos, 1362-1365 ; Don Fernando de Vargas, vescovo di Siviglia, morto nel 1392 ; Don Pedro de Vargas – in realtà Don Alfonso Vargas de Toledo, collaboratore in Italia del cardinale D. Gil de Albornoz –, vescovo di Siviglia, 1362-1366 157), Fernán Sánchez de Vargas e Nuño Sánchez de Vargas, “que sirviò a los Reyes Don Iuan el I. y Don Enrique Tercero” e che sposò M. Alfonso Mexía, dalla quale ebbe due figli : Juan de Vargas Mexia, “cauallero de la Orden de Santiago, y Embaxador de Francia” e Diego de Vargas, regidor di Madrid, che “sirviô el Rey Don Iuan el II. en la batalla de Olmedo” (1445) e poi Enrique IV e che nel 1459 riedificò la cappella dei Vargas nel Convento di San Francesco. Questo Diego de Vargas sposò “doña Maria Alfonso de Medina y Velasco, en quien tuuo a Diego de Vargas el cojo, y al Licenciado Francisco  













clásica, 8). Barcelona : Crítica 1996, p. 144 n. La leggenda fu anche portata sulla scena. Lope de Vega scrisse, fra il 1604 e il 1608, Los Carvajales. Don Juan Alonso Caravajal e Don Pedro Caravajal figurano fra i personaggi della ‘commedia’ di Tirso de Molina La prudencia en la mujer, che si chiude con questo preannuncio : “De « Los dos Caravajales », / con la segunda comedia / Tirso, senado, os convida / si ha sido a vuestro gusto ésta”. Cfr. Tirso de Molina : Obras completas, V (Tercera parte de las comedias). Edición de M.a del Pilar Palomo y Teresa Prieto. Madrid : Biblioteca Castro 2007, p. 791. Francisco Carvajal, soldato coraggioso ma crudelissimo, giustiziato nel 1548 assieme a Gonzalo Pizarro, è uno dei personaggi de Las Amazonas en las Indias, seconda parte della “Trilogía de los Pizarros” di Tirso de Molina. Un capitano Don Lucas de Carvajal è uno dei personaggi de La serrana de la Vera di Luis Vélez de Guevara. 154   « Pruebas de la Orden de Alcántara. Don Francisco Calderón Vargas y Camargo. – De dos años escasos de edad. – (Primogénito de D. Rodrigo) ». – « Pruebas de la Orden de Santiago. Don Miguel de Vargas y Camargo », p. 387. – « Pruebas de la orden de Alcántara. D. Felipe de Trejo Carvajal. (Tio de la mujer de Don Rodrigo Calderón) ». In : J. Martí y Monsó : Los Calderones y el Monasterio de Nuestra Señora de Portaceli. Documentos. In : Boletín de la Sociedad Castellana de Excursiones, Año VIII (1910), pp. 387-388 (Doc. Núm, 28. – 1602). 155   Primera Crónica General de España. Editada por Ramón Menéndez Pidal. Con un estudio actualizador de Diego Catalán (= Fuentes cronísticas de la Historia de España, I). Madrid : Seminario Menéndez Pidal - Editorial Gredos 1977, 2 tomi ; qui II, pp. 762-763. 156   Cfr. Gonzalo Fernández de Oviedo : Batallas y quinquagenas. Edición de Juan Bautista de Avalle-Arce, p. 275. 157   Abbiamo integrato e, in parte, corretto i dati di Gerónimo de Quintana ricorrendo al Diccionario de Historia Eclesiástica de España (t. I, p. 294 ; t. IV, pp. 2714-2715).  





































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de Vargas”. Diego de Vargas el cojo, regidor di Madrid dal 1481, sposò “doña Constança Viuero hija de Pedro de Viuero y de doña Ines Çapata”. Dal matrimonio nacque “Francisco de Vargas Viuero, que fue page de la Reyna Catolica, y del Serenissimo Principe don Iuan, Veedor general de la gente de guerra de los Reyes Catolicos, y por el año de mil y quinientos y diez Copero del Infante don Fernando, que despues fue Emperador de Romanos”. Francisco de Vargas Vivero, che fu anche regidor di Madrid e “Alcayde de sus Alcaçares”, sposò D. María de Lago, dalla quale ebbe D. Diego de Vargas, “page del Emperador Carlos Quinto, como consta de su Real cedula del año de mil y quinientos y veinte, y Corregidor de Valladolid”. Figlio di D. Diego de Vargas e di sua moglie, D. Elvira Bernardo de Quirós, fu D. Francisco de Vargas, cavaliere dell’Ordine di Santiago, gentiluomo “de la boca de los Principes Alberto, y Vencislao”, uomo di guerra che sposò “doña Luysa Negron” e morí a Napoli, “visitando los caualleros de su Orden por mandado de la Magestade Felipe Segundo”. Gli successe D. Diego de Vargas, cavaliere dell’Ordine di Calatrava, “Gentilhombre de la boca del Archiduque Alberto”, che fu “Gouernador de Martos, y Almagro” e “siruiò en las galeras de España en las armadas del Adelantado, y en Flandes en la caualleria ligera, como todo consta de papeles autenticos”. Da sua moglie, Eleonor Portocarrero, ebbe un figlio, Don Diego de Vargas, che aveva otto anni nel 1627. Del secondo figlio di Diego de Vargas e di D. Maria Alfonso de Medina y Velasco, il Licenciado Francisco de Vargas, i discendenti furono, secondo Gerónimo de Quintana, questi : “Diego de Vargas, su hijo mayor, en cuya cabeça fundô vn mayorazgo de los principales desta casa” ; “don Gutierre de Carauajal Obispo de Plasencia”, “doña Catalina de Vargas, que fue Dama de la Reyna Catolica, casò con don Antonio de Mendoça, hijo del Conde de Tendilla”. Diego de Vargas “casò con doña Ana de Cabrera deuda muy cercana de la Duquesa de Medina muger de don Fadrique Enriquez segundo Almirante de Castilla”. Il loro figlio, Don Fadrique de Vargas, sposò D. Antonia Manrique. Dal matrimonio nacque Don Francisco de Vargas Manrique, cavaliere dell’Ordine di Alcántara e dell’Ordine di San Juan, che partecipò alla spedizione in soccorso di Malta (1565), comandata dal generale D. Juan de Cardona (Conte di Pradas), 158 e alla guerra di Granada (1569-1570) 159 e “casô con doña Francisca Chacon hermana del Conde de Casarruuios”. Dal loro matrimonio nacque Don Fadrique de Vargas Manrique, che divenne cavaliere dell’Ordine di Santiago, Corregidor di Burgos, “Gentilhombre de la boca del Rey don Felipe Tercero”, “Mayordomo del Infante don Fernando, Cardenal y Arçobispo de Toledo”, e che fu creato Marchese di San Vicente. Come si vede, Gerónimo de Quintana non elenca il Licenciado Juan de Vargas fra i figli del Licenciado Francisco de Vargas. Neppure lo ricorda fra i discendenti del terzo dei fratelli capostipiti, Iban – o Iván o Juan – de Vargas, le cui terre sarebbero state coltivate, secondo la leggenda, da San Isidro. 160 Fra questi discendenti Gerónimo de Quintana menziona infatti solo i seguenti : Juan, o Iban, de Vargas el viejo, “Aposentador del Rey don Iuan el segundo”, Diego de Vargas e Iban de Vargas ; quest’ultimo “casò con doña Beatriz de Sotomayor, en quien tuuo a Pedro de Vargas, y al bienauenturado Capitan Martin de Vargas Alcayde del Peñon [...], y a doña Beatriz de Vargas, que heredò la casa de su padre, por morir sus hermanos sin  













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  Si veda anche Luis Cabrera de Córdoba : Historia de Felipe II, Rey de España. I, p. 317.   Gerónimo de Quintana trascrive le notizie su Don Francisco de Vargas Manrique pari pari da Gil González D’Avila : Teatro de las grandezas de la Villa de Madrid, Corte de los Reyes Católicos de España, p. 213. 160   Gerónimo de Quintana : Historia de la Antiguedad, Nobleza y Grandeza de la villa de Madrid, Tomo II, fo. 282r. Cfr. anche La juventud de San Isidro e San Isidro, labrador de Madrid di Lope de Vega. Attribuita, con molti dubbi, a Lope de Vega è la commedia Los Vargas de Castilla.  

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sucession”, e che sposò “Diego Gudiel de Toledo bisabuelo de don Francisco Gudiel de Vargas, que reside en Alcala de Henares, como todo consta de papeles autenticos”. 161 Quest’ultima annotazione è sicuramente falsa. Gonzalo Fernández de Oviedo scrive nelle Batallas y Quinquagenas che a Johan Vargas, morto senza eredi maschi, “suçedió en su casa e mayoradgo” la figlia, D. Beatriz de Vargas, “la qual casó con Diego de Caruajal, hijo mayor del doctor Lorenço Galíndez de Caruajal” (1472-1532), il noto giurista e storico, professore dell’Università di Salamanca e membro del Consejo Real dei Re Cattolici e di Carlo V. 162 Anche da documenti sulla istituzione del maggiorasco 163 e dalle recenti ricerche di Gregorio Salinero risulta che D. Beatriz de Vargas, figlia di Juan de Vargas e di María de Sotomayor, aveva sposato Diego de Carvajal Galíndez. 164 Nel Teatro de las Grandezas de la Villa de Madrid, nella rubrica « Generales, y Capitanes de Exercitos, y Alcaydes de Fortalezas », Gil González Dávila, nell’illustrare brevemente i meriti militari di Diego Pérez de Vargas, “Capitan en la conquista y toma de Oran” (1509), ricorda alcuni documenti – due lettere inviate a Diego Pérez de Vargas, una del Cardinale Jiménez de Cisneros (20 maggio 1509) e l’altra di Fernando il Cattolico (14 novembre 1514), e una lettera che lo stesso Capitano scrisse il 21 marzo 1521 a Carlo V, nella quale faceva “relacion de los servicios que auia hecho contra los Comuneros” – e precisa : “Estos papeles tiene en su poder don Francisco Gudiel de Vargas, que reside en Alcala de Henares, y es bisnieto de Diego Perez de Vargas”. 165 Evidentemente don Francisco Gudiel de Vargas non discendeva da D. Beatriz de Vargas e da Diego de Carvajal, ma dal contino 166 Diego Pérez de Vargas. Lo stesso Gerónimo de Quintana nell’illustrare la genealogia della famiglia Gudiel, originaria di Toledo, scrive che Diego Gudiel de Toledo, “paje de la Reyna Doña Iuana”, sposò “D. Mencia de Vargas natural de Madrid decendiente de Iban de Vargas” ! 167 Mentre la Historia de la Antiguedad, Nobleza y Grandeza de la villa de Madrid di Gerónimo de Quintana offre sulla discendenza di D. Beatriz de Vargas una sola notizia, per di piú falsa, il Nobiliario Genealogico (1622) di Alonso López de Haro la illustra dettagliatamente. D. Beatriz de Vargas e D. Diego de Carvajal, cavaliere dell’Ordine di Santiago, ebbero due figli : D. Juan de Vargas Carvajal, erede del maggiorasco, e Don Lorenzo de Carvajal. I figli di quest’ultimo furono : Martin de Carvajal, “cauallero del habito de Alcantara, Comendador de la Madalena”, D. Isabel de Carvajal, “que casò con don  

















   





161   Gerónimo de Quintana : Historia de la Antiguedad, Nobleza y Grandeza de la villa de Madrid, Tomo II, fo. 282r-286r. 162   Gonzalo Fernández de Oviedo : Batallas y quinquagenas. Edición de Juan Bautista de Avalle-Arce, p. 277. 163   Cfr. Ángel González Palencia : Mayorazgos españoles (= Biblioteca Histórica y Genealógica. Serie Genealógica, 1). Madrid : E. Maestre, Editor 1929, p. 163, nro. 583 : “fundado por Alfonso García de Valfondo y Teresa González (26 Octubre 1413), agregación del mismo Alfonso (1443), de Isabel García de Vargas (31 Enero 1473), de Juan de Vargas (1516), de Beatriz de Vargas y Diego Carvajal y Vargas (1557)”. Cfr. anche Luis García Cubero : Las alegaciones en derecho (Porcones) de la Biblioteca Nacional. Tocantes a mayorazgos, vínculos, hidalguías, genealogías y títulos nobiliarios, p. 181, nro. 1067-1068. 164   Cfr. Gregorio Salinero : Une ville entre deux mondes. Trujillo d’Espagne et les Indes au XVIe siècle. Pour une histoire de la mobilité à l’époque moderne (= Bibliothèque de la Casa de Velázquez, 34). Madrid : Casa de Velázquez 2006, pp. 84-85 (Tavola dei discendenti di García de Vargas, nipote di Alonso García de Vargas e di Teresa González Ramiro, e di Beatriz Carvajal. – Tavola dei discendenti di Beatriz de Vargas, morta nel 1558, e di Diego de Carvajal Galíndez, Correo Mayor de Indias, morto nel 1561). G. Salinero (pp. 419-424) pubblica anche il testamento di D. Diego de Vargas Carvajal (D. Diego de Carvajal Galíndez). 165   Gil González D’Avila : Teatro de las grandezas de la Villa de Madrid, Corte de los Reyes Católicos de España, p. 212. 166   Cfr. Joseph Pérez : La revolución de las Comunidades de Castilla (1520-1521), p. 535, nota nro. 90. 167   Gerónimo de Quintana : Historia de la Antiguedad, Nobleza y Grandeza de la villa de Madrid, Tomo I, fo. 225r.  





















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Francisco Fernandez de Cordoua, setimo señor de Guadalcaçar, de quien decienden oy los señores desta casa, que gozan de titulo de Marques, por merced del Catolico Rey, don Felipe Tercero”, D. Fernando de Carvajal, D. García de Vargas, D. Antonia de Vargas, “que casò en Caceres con don Gonçalo de Caruajal Vlloa”. D. Juan de Vargas Carvajal divenne “cauallero del habito de Alcantara, y de la boca del Rey don Felipe segundo, 168 señor de villa del Puerto” ; sposò D. Catalina Fernández de Córdoba, la figlia di Francisco Fernández de Córdoba e di D. Isabel de Carvajal, figlia di D. Lorenzo de Carvajal. Dal matrimonio nacque D. Diego de Carvajal, “que sucediò en la casa” e “casò con doña Teresa de Castro, hija del Conde de Altamira”. D. Diego de Carvajal e D. Teresa de Castro ebbero numerosi figli, fra i quali “don Iuan, que sucediò en la casa”, Don Lope de Moscoso y de Castro e Don Francisco de Carvajal y Córdoba. 169 Secondo Gregorio Salinero, D. Beatriz de Vargas e D. Diego de Carvajal Galíndez ebbero numerosi figli : Juan de Vargas (1528-1578), García de Vargas, Diego de Vargas, Fabián de Carvajal, Lorenzo Galíndes de Carvajal, Antonia de Carvajal, Diego de Vargas. Dal matrimonio di Juan de Vargas con Catalina Fernández de Córdoba nacque Diego de Carvajal y Vargas che sposò Teresa de Castro Moscoso. Dal matrimonio di Lorenzo Galíndes de Carvajal (morto nel 1571) con Beatriz Dávila nacquero Miguel Galíndes de Carvajal, morto – sembra – senza discendenza e Antonia Galíndes de Carvajal che sposò Gonzalo Carvajal de Loaysa, ma morí giovane e non ebbe figli. 170 Evidentemente il caos regna nelle genealogie ! Nell’epoca delle genealogie modificate, usurpate o semplicemente inventate, tutto era possibile e tutto si confondeva. Molti anni dopo la morte di Don Rodrigo Calderón, Antonio de León Pinelo scriveva nei suoi Anales de Madrid :  













A 27 de Abril (1559) en su villa de Xaraizejo falleció el Obispo de Placencia D. Gutierre de Vargas Carvajal, natural de Madrid. [...] Fué traido su cuerpo á la sumptuosa Capilla que habia labrado en la iglesia de S. Andres para entierro suyo y de sus padres, que fueron el Licenciado Francisco de Carvajal ( !), del Consejo de Castilla y D. Ines de Carvajal. Su padre fué linage de los Otoes ( !), muy antiguo en esta Villa, de quien desciende por su madre D. Ines de Vargas y Camargo, D. Francisco Calderon de Vargas, Conde de la Oliva del habito de Alcantara, hijo de D. Rodrigo de Calderon que fue Marques de Siete Iglesias. 171  





Le testimonianze sull’appartenenza del Licenciado Juan de Vargas e di Francisco de Camargo alla famiglia del Licenciado Francisco de Vargas, date in occasione delle pruebas effettuate per concedere l’hábito dell’Ordine di Alcántara a Don Francisco Calderón Vargas y Camargo e l’hábito dell’Ordine di Santiago a Don Miguel de Vargas y Camargo, suscitano dei dubbi sulla loro veridicità. Non solo perché non trovano riscontro nelle notizie sui figli del Licenciado Francisco de Vargas offerte dalla Crónica del Emperador Carlos V di Pedro Girón, dagli Anales de Madrid di Antonio de León Pinelo e dalla Historia de la Antiguedad, Nobleza y Grandeza de la villa de Madrid di Gerónimo de Quintana, ma anche – e soprattutto – perché nelle testimonianze delle pruebas suddette non si fa parola dei legami di Don Miguel de Vargas y Camargo e di Don Francisco Calderón 168   “VARGAS CARVAJAL, Juan : Gentilhombre de la boca de la casa de Borgoña, al menos en 1567 ; murió en la guerra de Granada. Era nieto de Lorenzo Galíndez Carvajal, del Consejo de los Reyes Católicos” (La Monarquía de Felipe II : La Casa del Rey. Directores : José Martínez Millán - Santiago Fernández Conti. Volumen II : Oficiales, Ordenanzas y Etiquetas, p. 476). 169   Alonso López de Haro : Nobiliario genealógico (1622), pp. 595-596. 170   Cfr. Gregorio Salinero : Une ville entre deux mondes. Trujillo d’Espagne et les Indes au XVIe siècle. Pour une histoire de la mobilité à l’époque moderne, p. 85 (Tavola dei discendenti di Beatriz de Vargas e di Diego de Carvajal Galíndez). 171   Antonio de León Pinelo : Anales de Madrid (desde el año 447 al de 1658), p. 83.  















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Vargas y Camargo con i tanti parenti illustri dei tre rami della famiglia Vargas. Questo silenzio, dato lo scopo delle testimonianze, è piú che strano. Però secondo Gregorio Salinero Juan de Vargas, “employé à l’audience de Valladolid”, era effettivamente “frère du licenciado Francisco [de Vargas] du Conseil royal et de Gutiérrez de Vargas, évêque de Plasencia” e Francisco de Camargo era effettivamente “fils du licenciado Francisco de Vargas”. 172 Comunque sia, il Licenciado Francisco de Vargas, il Licenciado Juan de Vargas e Francisco de Camargo erano madrileni. Don Miguel de Vargas y Camargo, “hijo leg.mo del licen.do Juan de Vargas y de doña Ines de Camargo naturales de Madrid”, era madrileno secondo le testimonianze del 1579, piú attendibili probabilmente della genealogia del bimbo Francisco Calderón Vargas y Camargo presentata da Don Rodrigo per le pruebas del 1605, nella quale è definito “natural de Plasencia” (lo stesso Don Miguel de Vargas y Camargo si definiva, nel documento di rinunzia ai suoi beni, soltanto “Vecino de la Ciudad de plasencia” 173). Come madrileni i Vargas, pur essendo intrecciati con qualcuna delle tante e ramificate famiglie Vargas estremegne, non appartenevano, ovviamente, alla nobiltà della Estremadura. Originarie dell’Estremadura erano invece D. Inés de Carvajal, moglie del Licenciado Francisco de Vargas, D. Inés de Camargo (“natural de la cibdad de truxillo” – di Madrid, secondo un testimone 174), madre di Don Miguel de Vargas y Camargo, D. Elvira de Trejo y Carvajal (“natural de Plasencia”, o di Trujillo) e sua figlia, D. Inés de Vargas y Carvajal (“natural de Plasencia”). Queste signore erano estremegne, ma non appartenevano direttamente a principali famiglie di cavalieri e di hidalgos, altrimenti le testimonianze ricordate avrebbero – data la loro funzione (avvalorare l’idoneità dei candidati a ricevere un hábito) – sicuramente messo in risalto questa appartenenza. Forse appartenevano a qualche ramo secondario e decaduto di uno dei vari rami principali in cui si erano spesso divise le famiglie originarie di cavalieri e di hidalgos della Estremadura. Per esempio, proprio “el linaje Carvajal, establecido ... en Plasencia, se escindió a fines del siglo XIV en varias ramas, de las cuales tres quedaron en la ciudad, otra se estableció en Trujillo, y otra, al menos, en Cáceres”. Questi vari rami continuarono a dividersi. Cosí i Carvajal di Trujillo “estaban divididos, a fines del siglo XV, en varias ramas que no pertenecían al mismo « partido » político [bando]”. Dopo una serie di divisioni e di suddivisioni e di un “alejamiento geográfico” di qualche decina di chilometri, si verificava inevitabilmente una rottura all’interno del lignaggio originario. Alla fine del XV secolo, frequentemente, “personas establecidas en poblaciones diferentes llevaban el mismo nombre de linaje, aunque no tenían nada en común”. 175 Nel XVI secolo il processo di divisione e di suddivisione dei lignaggi estremegni in rami sempre piú lontani gli uni dagli altri e sempre piú estranei gli uni agli altri, ovviamente si intensifica, rendendo difficilissima la ricostruzione delle genealogie e facilissima l’usurpazione di nomi e di identità. 176 Sia che appartenessero direttamente a famiglie di cavalieri e di hidalgos, sia che ne fossero parenti lontane, certamente D. Inés de Vargas y Carvajal e le sue antenate non appartenevano alle casate della grande nobiltà della Estrematura,  













172   Gregorio Salinero : Une ville entre deux mondes. Trujillo d’Espagne et les Indes au XVIe siècle. Pour une histoire de la mobilité à l’époque moderne, p. 82, nro. 18 e nro. 21. 173   « D. Miguel de Vargas y Camargo, renuncia sus bienes en favor de su hija Doña Inés de Vargas y del marido de ésta D. Rodrigo Calderón », p. 400. 174   « Pruebas de la Orden de Santiago. Don Miguel de Vargas y Camargo », pp. 386-387. 175   Marie-Claude Gerbet : La nobleza en la Corona de Castilla. Sus estructuras sociales en Extremadura (1454-1516), pp. 100-101. 176   Cfr. Gregorio Salinero : Une ville entre deux mondes. Trujillo d’Espagne et les Indes au XVIe siècle. Pour une histoire de la mobilité à l’époque moderne.  













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quali i Suárez de Figueroa (Duchi di Feria), i Zúñiga, poi Zúñiga-Sotomayor (Conti, quindi Duchi di Plasencia ; infine Duchi di Béjar), i La Cueva (Duchi di Alburquerque), i Portocarrero (Conti di Medellín), i Portocarrero-Cárdenas (Conti de la Puebla del Maestre), i Sotomayor (Conti de la Puebla de Alcocer), i Solis (effimeri Duchi di Badajoz, poi, come Cáceres-Solis, Conti di Coria) e i Monroy (Conti di Deleitosa). Solo se fosse stata di una di queste casate D. Inés de Vargas y Carvajal avrebbe potuto essere definita, a buon diritto, “gloria y honra de la nobleza estremeña”. Ma pur considerando le esagerazioni, abituali nelle dediche, la definizione della moglie di Don Rodrigo come “gloria y honra de la nobleza estremeña” era troppo iperbolica per non essere ironica. Dalle genealogie presentate ufficialmente dagli aspiranti (dal padre, ovviamente, nel caso del piccolo Don Francisco Calderón Vargas y Camargo) agli hábitos e dalle testimonianze offerte nel corso delle informazioni, emergono infatti solamente questi legami di parentela di D. Inés de Vargas y Carvajal : bisnonno, Licenciado Francisco de Vargas, morto ingloriosamente, “víctima de un accidente demasiado humano”, 177 e indagato per la sua fraudolenta contabilità ancora molti anni dopo la sua scomparsa ; nonno, Licenciado Juan de Vargas, il cui prestigio sociale derivava esclusivamente dalla circostanza (peraltro dubbia) di essere fratello di un vescovo ; padre, Don Miguel de Vargas y Camargo, modesto e indebitato señor de vasallos, cavaliere di Santiago ; zio, Felipe de Trejo, a cui le insegne dell’Ordine di Alcántara furono concesse nel 1602, sicuramente per l’intervento di Don Rodrigo, che fece ottenere hábitos anche a diversi membri della propria famiglia paterna e materna. Tutti conoscevano la modestia di questo albero genealogico, come sarebbe mai stato possibile definire seriamente D. Inés de Vargas y Carvajal “gloria y honra de la nobleza estremeña” ? Naturalmente la famiglia del Licenciado Juan de Vargas manipolava la propria genealogia per far credere di discendere dal famoso Diego Pérez de Vargas, che dopo la battaglia di Jerez de la Frontera assunse il nome di Machuca. E cosí inserí nel suo stemma, come abbiamo già avuto occasione di ricordare, proprio quelle “ondas azules en campo dorado”, 178 che costituivano l’elemento, la figura araldica peculiare, il ‘segno vivo’ 179 delle armi dei Vargas-Machuca. Scrive Gonzalo Fernández de Oviedo nelle Batallas y Quinquagenas :  



















Quanto a las armas de Vargas algunos destos caualleros traen el escudo lleno de ondas azules e blancas. Otros ponen siete ondas azules en campo blanco. Otros ponen çinco e dizen que los de Vargas son los de las siete e los de Machuca los de las çinco. Vnos quieren quel solar de Vargas es vn lugar de tierra de Toledo, pero más çierto lo otro en la Montaña, en la merindad de Buruena. Pero las armas y el linaje de Vargas y Machuca vna misma cosa es, que no difieren sino en los timbres, que son desta manera : vn baúl de çinco lumbres e el rrollo e dependençias de plata e  

177   Ramón Carande (Carlos V y sus banqueros, II, pp. 84-85) prosegue cosí la frase : “El autor [Carande], respetuoso con la víctima de los pecados del tesorero, se guardará bien de escandalizar a los lectores con lo que Salinas dice que aconteció al pie de una tapia del Monasterio de las Huelgas, de Burgos, el 22 de julio de 1524.” (Martín de Salinas era l’ambasciatore di Fernando d’Austria alla Corte di Carlo V. Lo scabroso episodio a cui Carande allude è raccontato in una lettera di Martín de Salinas al fratello dell’Imperatore). Sulla morte di Francisco de Vargas ci è stato tramandato questo aneddoto : “La reina doña Isabel, sabiendo que el doctor Vargas había caído de un escala de un monasterio de monjas en Burgos y se había hecho pedazos, dijo : – Bienaventurado él si era de vuelta.” Cfr. Alonso de Fuentes : Miscelánea de dichos. In : Más de mil y un cuentos del Siglo de Oro. Edición e introducción de José Fradejas Lebrero (= Biblioteca Áurea Hispánica, 53). Madrid : Iberoamericana 2008. pp. 181-224 ; qui p. 187. 178   « Pruebas de la Orden de Alcántara. Don Francisco Calderón Vargas y Camargo. – De dos años escasos de edad. – (Primogénito de D. Rodrigo », 1605-1606) », p. 354. 179   Sulle “figuras heráldicas” cfr. Martín de Riquer : Heráldica castellana en tiempos de los Reyes Católicos, pp. 159-163.  





















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azules, e sobre el yelmo un braço armado con vna espada desnuda, en parte ensangrentada. Y éste es el timbre de Vargas. El de Machuca es otro braço armado e en el puño vn troço o rama de oliuo desgajado e tomado de las rramas para herir con el troço, como lo hizo Diego Pérez de Vargas, que fue el que ganó el rrenombre de Machuca [...]. Algunos quieren dezir que las ondas se han de llamar vagas, que son olas quebradas de mar tempestuosa, pero la verdad es [...], que no son sino ondas y de la manera que los Marinos [Mariños] de Galizia las traen. 180  

Nel Blasón d’armas e nel Blasón y recogimiento de armas di Garci Alonso de Torres si descrivono cosí le armi dei Vargas e Machuca : “Los Vargas y Machucas traen hondado de platta y de azul, como la traen los Mariños [...] en Galizia”. 181 – “Las armas de ... Bargas y Machuca son ondas açules en campo blanco, las quales armas eso mismo traen los Mariños”. 182 Garci Alonso de Torres non specifica il numero delle onde, che – secondo quanto riferisce Gonzalo Fernández de Oviedo – potevano variare (secondo alcuni erano cinque per i Vargas-Machuca, sette per i Vargas). Nell’Armorial, “compilado entre 1516 y 1519” 183 da Steve Tamborino, lo scudo dei Vargas è raffigurato con quattro onde. 184 Gonzalo Argote de Molina scrive nella sua Nobleza de Andalucía (1588) che i Vargas “traian por armas un escudo de cuatro ondas azules en campo de plata”, al quale Diego Pérez de Vargas – divenuto Vargas-Machuca – “puso por timbre un brazo con su cepejon”. 185 E quattro erano le onde che figuravano nello scudo di Don Rodrigo che orna il frontespizio della Pícara Justina e ancora quattro saranno le onde raffigurate nel suo nuovo scudo, che orna il frontespizio della seconda edizione del Desengaño de Fortvna di D. Gutierre Marqués de Careaga, pubblicato nella primavera del 1612, 186 pochi mesi dopo la concessione della rossa croce dell’Ordine di Santiago (dicembre 1611) al favorito del Duca di Lerma. Infine, negli scudi, adesso con la corona di Marchese, che ornano il retablo – suntuosa opera scultorea, eseguita probabilmente a Napoli e composta di preziosi marmi di diversi colori – con le statue oranti di Don Rodrigo e di sua moglie, posto nella Capilla mayor di Nuestra Señora de Portaceli di Valladolid edificata (la costruzione della Chiesa era già ultimata nel 1613) a spese di Don Rodrigo, figurano, nel secondo quarto, le quattro onde azzurre dei Vargas (nel primo quarto le due calderas calderoniane). 187  















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277.

  Gonzalo Fernández de Oviedo : Batallas y quinquagenas. Edición de Juan Bautista de Avalle-Arce, p.  

181   Garci Alonso de Torres : Blasón d’armas, 220 (Barcelona, Biblioteca de Catalunya : ms. 529 ; cit. da Martín de Riquer : Heráldica castellana en tiempos de los Reyes Católicos, p. 104). 182   Garci Alonso de Torres : Blasón y recogimiento de armas, 225 (Madrid, Real Academia de la Historia : ms. 9/268, Colección Salazar C-45 ; cit. da Martín de Riquer : Heráldica castellana en tiempos de los Reyes Católicos, p. 104). 183   Martín de Riquer : Heráldica castellana en tiempos de los Reyes Católicos, p. 319. 184   Si veda la tavola nro. 16 (figura nro. 7 : scudo dei Vargas) dell’opera di Martín de Riquer. 185   Gonzalo Argote de Molina : Nobleza de Andalucía, p. 191. 186   Desengaño de Fortvna. Por el Doctor Don Gutierre Marques de Careaga, natural de la ciudad de Almeria, Tiniente de Corregidor, Por el Rey nuestro Señor, de la villa de Madrid, Corte de su Magestad. A Don Rodrigo Calderon, Cauallero de la Orden de Santiago, Comendador de Ocaña, Señor de las villas de la Oliua, Plasençuela, Siete Yglesias, Rueda, y Sofragua : Alguazil mayor perpetuo de la Real Chancilleria de Valladolid : Embaxador de Flandes por el Rey nuestro Señor Don Felipe III. deste nombre. Año [Scudo di D. R.] 1612. Con Privilegio. En Madrid, Por Alonso Martin. Vendese en casa de Alonso Perez mercader de libros. Lo scudo raffigurato in questo frontespizio, riprodotto da Marcel Bataillon (Pícaros y picaresca, p. 63), si appoggia sulla croce di Santiago ; i fiordalisi del vecchio scudo sono spariti ; le calderas si sono moltiplicate e sono due grandi nel quarto superiore sinistro e cinque piccole nel quarto inferiore destro ; il leone si trova nel quarto inferiore sinistro ; grande rilievo hanno acquisito le quattro onde, disegnate ora nel quarto superiore destro. Su questo scudo e sulla prima edizione del Desengaño de Fortvna (Barcelona 1611), priva del blasone di Don Rodrigo, cfr. Marcel Bataillon : Pícaros y picaresca, pp. 62-65. 187   Cfr. J. Martí y Monsó : Los Calderones y el Monasterio de Nuestra Señora de Portaceli. In : Boletín de la Sociedad Castellana de Excursiones, Año VII, Núm. 82 (Octubre de 1909), 271-283 ; qui pp. 276-279.  









































294

capitolo iii

La mistificazione genealogica e l’usurpazione araldica erano state sicuramente favorite dall’estinzione della linea maschile dei Vargas-Machuca. L’ultimo discendente di Diego Pérez de Vargas fu infatti, come abbiamo visto, Johan Vargas, “parte principal ... en la çibdad de Trugillo”, nel cui scudo, raffigurato nelle Batallas y Quinquagenas, sono dipinte sette onde. 188 Furono proprio le pagine che ai Vargas dedica Gonzalo Fernández de Oviedo nelle Batallas y Quinquagenas, redatte intorno alla metá del Cinquecento, a far sorgere in noi la supposizione di una possibile relazione fra Vargas-Machuca e Don Rodrigo Calderón Vargas y Camargo. L’episodio sull’origine del nome Vargas-Machuca, Gonzalo Fernández de Oviedo, dopo aver ricordato le imprese di vari cavalieri, fra i quali Pedro de Vargas e Garci Pérez de Vargas, lo narra cosí :  



Pero entre todos fue esmerado Diego Pérez de Vargas. Como acaesçiese que perdiese todas las armas de ferr, conuiene a saber, la lança y espada y maça [...], fuese a vna oliuera e quebró vna rrama que thenía baxo vn çepillo a manera de porra. E con esta arma se metió en la mayor priesa de la batalla e començó de ferir de la vna parte y de la otra, de guisa que a qualquier que daua vna palancada no avía más menester. E hizo con aquel çepo tal hazaña que sería mucho valor hazer con todas las armas que traer pudiesse. Y el Conde don Aluar Pérez que lo así vio con gran plazer que dello ovo y de las porradas quel cauallero daua tanto a su voluntad, que cada vez que le ohía dar el golpe dezía : « Así, Diego, machuca así ». Y este nombre ouieron después todos los de su linaje. E en esto paresçió que era ombre de gran coraçón e dino de memoria. 189  







Ricordando che quasi con le stesse parole Gonzalo Argote de Molina aveva narrato, in una pagina sopra trascritta della Nobleza de Andalucía (1588) – pagina che verrà riprodotta, parola per parola, da Gerónimo de Quintana nella sua Historia de la Antiguedad, Nobleza y Grandeza de la villa de Madrid (1629) 190 –, l’episodio, ci siamo chiesti quanto ne fosse diffusa la conoscenza. La fonte, dichiarata da Gonzalo Fernández de Oviedo, dell’episodio era il Tractado que se llama Valerio de las Estorias escolásticas e de España di Diego Rodríguez de Almella (o : Almela), stampato per la prima volta a Murcia nel 1487 “por manos de maestre Lope dela roca aleman”. 191 La fonte di Diego Rodríguez de Almella era stata la Estoria de España – chiamata, a partire dall’edizione (1906, 1955, 1977) di Ramón Menéndez Pidal, Primera crónica general de España –, 192 la cui prima edizione a stampa (Las quatro partes enteras de la Coronica de España. Vista y emendada por el maestro Florian Docampo. Zamora : Agustín de Paz y Juan Picardo 1541) fu a sua volta la fonte dei Romances Nueuamente sacados de historias antiguas dela cronica de España  









188

279.

  Gonzalo Fernández de Oviedo : Batallas y quinquagenas. Edición de Juan Bautista de Avalle-Arce, p.  

189

275.

  Gonzalo Fernández de Oviedo : Batallas y quinquagenas. Edición de Juan Bautista de Avalle-Arce, p.  

190

  Gerónimo de Quintana : Historia de la Antiguedad, Nobleza y Grandeza de la villa de Madrid, Tomo II, fo. 282v-283r. 191   Cfr. Conrado Haebler : Bibliografía Ibérica del siglo XV. Enumeración de todos los libros impresos en España y Portugal hasta el año 1500. Reimpresión facsímil. Madrid : Julio Ollero 1992, p. 278. 192   “[...] Diego Perez de Uargas [...] fue ... muy bueno aquel dia [de la batalla de Xerez], e fue de guisa quel fallesçio el espada et quantas armas traya ; et quando uio que non auie a que se tornar nin con que ferir, et se uio menguado de armas, fue desgaiar de vna oliua vna braça con vn çepeion ; et con aquel se metio en la priesa, et començo a ferir de vna parte et de otra a diestro et a siniestro, asi que al que con el alcançaua non auia mas mester ; et fizo y con aquel çepeion, que seria mucho para lo fazer con todas las otras armas que traer podiese, et don Aluaro [Perez de Castro], con plazer que auia de las ceponadas que el cauallero daua tan a su uoluntad, diziel sienpre, cada que el golpe oye : « asi, Diego, asi ! machuca, machuca ! » ; et por esto, de aquel dia en adelante despues, le llamaron Diego Machuca ; et este sobrenombre lieuan aun oy en dia algunos de los que del su linage son : asi et desta guisa gano aquel cauallero para si et para ssu linage este sobrenonbre aquel dia” (Primera Crónica General de España. Editada por Ramón Menéndez Pidal. II, p. 728).  





















   



cosa era don rodrigo calderón nel 1604?

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compuestos por Lorenço de Sepulueda (En Anuers, En casa de Iuan Steelsio. M.D.LI.), 193 fra i quali si trova il Romance porque dixeron a Diego Perez de Vargas machuca (“Xerez aquella nombrada / cercada era de christianos”), una semplice trasposizione in versi del racconto della cronaca. Dopo aver raccolto diversi dati sulla diffusione di copie manoscritte della Estoria de España, presenti in numerose biblioteche della nobiltà (Marchese di Montealegre, Conte di Benavente, Duca di Osuna, Duca di Uceda, Duca dell’Infantado, ecc.), 194 e della sua edizione a stampa (proprio nel 1604 fu ristampata a Valladolid, nella officina di Sebastián de Cañas, l’edizione di Florián de Ocampo), 195 sulla diffusione delle Estorias escolásticas e de España 196 e sulla diffusione dei Romances Nueuamente sacados de historias antiguas dela cronica de España 197 e scoperto che l’episodio che dette origine al soprannome Machuca figurava addirittura in una raccolta manoscritta di aneddoti, 198 ci parve di poter fondatamente supporre che nessuna persona colta dei primi anni del Seicento ignorasse l’impresa di Diego Pérez de Vargas-Machuca. L’inserimento dell’episodio, raccontato con qualche variazione da Don Quijote a Sancho Panza, 199 nel capolavoro di Cervantes costituisce un’ulteriore, vistosa prova della sua vasta notorietà. Nella mente dei lettori della Pícara Justina, cortigiani buoni conoscitori della storia della Reconquista e appassionati di genealogia, il nome di Machuca era perciò associato automaticamente al leggendario eroe della battaglia combattuta durante l’assedio di Jerez della Frontera e, quindi, con i Pérez de Vargas. Ma il nome Vargas doveva richiamare immediatamente alla mente D. Inés de Vargas e Don Rodrigo, che proprio intorno agli anni 1604-1607 usava, come abbiamo ricordato, chiamarsi Don Rodrigo Calderón Vargas y Camargo e che probabilmente vantava la discendenza di sua moglie e dei suoi figli dai Vargas-Machuca. Si potrebbe cosí avanzare la congettura che a Don Rodrigo – il quale forse, come confratello della Cofradía del Real Hospital de Nuestra Señora Santa María de Esgueva, si flagellava durante le processioni penitenziali – per queste sue vanterie e  













193   Cfr. Antonio Rodríguez-Moñino : « Introducción » a : Lorenzo de Sepúlveda : Cancionero de romances (Sevilla, 1584). Edición, estudio, bibliografía e índices por A. R.-M. Madrid : Castalia 1967, pp. 7-37 ; qui p. 11. 194   Cfr. Carlos Alvar - José Manuel Lucía Megías : Diccionario filológico de literatura medieval española. Textos y transmisión (= NBEC, 21). Madrid : Castalia 2002, pp. 58-72. 195   Cfr. Mariano Alcocer y Martínez : Catálogo razonado de obras impresas en Valladolid, 1481-1800. Valladolid : Imprenta de la Casa Social Católica 1926, p. 197 (nro. 452). 196   Medina del Campo : Nicolas de piemonte 1511. – Sevilla : Jacobo cromberger aleman 1527. – Sevilla : Juan Cromberger 1536. – Toledo : Juan de ayala 1541. – Sevilla : Dominico de Robertis 1543. – Sevilla : Gregorio de la Torre 1551. – Medina del Campo : Francisco del Canto 1574. – Salamanca : En casa de Pedro Lasso. A costa de Benito Boyer 1587. – Salamanca : En casa de Pedro Lasso. A costa de Pedro Landri, y Ambrosio du Port 1587. – Salamanca : En casa de Pedro Lasso. A costa de Claudio Curlet Saboyano 1587. 197   Anvers : Martin Nucio [1551]. – Alcalá de Henares : Francisco de Cormellas y Pedro de Robles 1563. – Granada 1563. – Anvers : Philippo Nucio 1566. – Medina del Campo : Francisco del Canto 1570. – Alcalá de Henares : Sebastian martinez 1571. – Medina del Campo : Francisco del Canto 1576. – Valladolid : Diego Fernandez de Cordoua 1577. – Anvers : Pedro Bellero 1580. In tutte queste edizioni è riprodotto il Romance porque dixeron a Diego Peres de Vargas Machuca. Cfr. Antonio Rodríguez-Moñino : « Bibliografía ». « Índice alfabético de primeros versos ». In : Lorenzo de Sepúlveda : Cancionero de romances (Sevilla, 1584). Edición, estudio, bibliografía e índices por A. R.-M. Madrid : Castalia 1967, pp. 39-115 ; pp. 117-168 (v. p. 167). 198   Juan Martínez de Lerma : Paralelos. In : Más de mil y un cuentos del Siglo de Oro. Edición e introducción de José Fradejas Lebrero (= Biblioteca Áurea Hispánica, 53). Madrid : Iberoamericana 2008. pp. 247-413 ; qui p. 258. 199   “Yo me acuerdo haber leído que un caballero español llamado Diego Pérez de Varga, habiéndosele en una batalla roto la espada, desgajó de una encina un pesado ramo o tronco, y con él hizo tales cosas aquel día, y machucó tantos moros, que le quedó por sobrenombre Machuca, y así él como sus decendientes se llamaron desde aquel día en adelante Vargas y Machuca.” Cfr. Miguel Cervantes Saavedra : El Ingenioso Hidalgo Don Quijote de la Mancha. Nueva edición crítica dispuesta por Francisco Rodríguez Marín. Tomo I. Madrid : Atlas 1947, p. 251 (Cap. VIII).  























































































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capitolo iii

mistificazioni genealogiche – e forse anche per la sua arroganza e il presentarsi come “Señor de las Villas de la Oliua y Plasençuela” oppure per una ‘impresa’, emblema o ‘motto’ da lui esibiti in un torneo cavalleresco – fosse stato affibbiato, nell’ambiente della Corte, il soprannome di Machuca. Ricordiamo anche che l’episodio del pretendente flagellante contiene due indizi, già messi in evidenza, che potrebbero ulteriormente suffragare l’ipotesi della identificazione di Machuca con Don Rodrigo : a) il lenzuolo nel quale si avvolge Machuca, 200 lenzuolo – tessuto a Rouen (Ruan), il noto centro di mercanti conversos e di ‘marrani’ dove risiedeva anche un ramo della famiglia Aranda e dove aveva soggiornato per molti anni María Sandelín, suocera e zia del capitano Francisco Calderón e nonna di Don Rodrigo Calderón 201 – che non sarebbe stato “purificato” neppure se fosse stato bruciato nel fuoco 202 (crudele allusione ai roghi inquisitoriali e ai cortigiani che si ‘coprono’ con uno degli hábitos degli Ordini Militari per nascondere la completa mancanza di hidalguía) ; b) la definizione di Machuca come “hidalgo nueuo” 203 – cioè di recente hidalguía e di origine conversa (cristiano nuevo !) –, definizione che si attagliava perfettamente a Don Rodrigo. Dedicando il libro alla vittima stessa delle sue burle (le calderas raffigurate nello “axvar de la vida picaresca” ; l’usurpazione delle scudo dei Pimentel perpetrata dal sarto di Picardía ; l’usurpatore di nobiltà che si proclamava discendente dei Re d’Aragona perché alcuni suoi antenati, stallieri della Casa Reale, fuggendo per paura dei loro padroni, si erano fatti calare in un cesto dalle mura del Palazzo ; la – probabile – rappresentazione di Don Rodrigo come Machuca) e inserendo nella stessa dedica velenose insinuazioni – mascherate da lodi iperboliche – sia sulla “antica nobiltà dei Calderones e degli Arandas” e sul “limpido sangue dei nobilissimi cavalieri Sandelines”, sia su D. Inés de Vargas y Carvajal, “gloria e onore della nobiltà estremegna”, l’autore della Pícara Justina, realizzava – verosimilmente su istigazione del suo vero protettore – una beffa che era un vero capolavoro di perfidia. Non amiamo le ipotesi ed ancor meno le ipotesi concatenate. Una cosa è però certa. I personaggi della Pícara Justina – come quelli di tutti i romanzi à clefs – raffiguravano, ‘sotto mentite spoglie’, persone reali, concrete, singole, non interi gruppi o classi sociali. Nel partecipare al gioco malizioso – al quale l’autore della Pícara Justina invitava tacitamente i suoi lettori – di riconoscere, sotto il travestimento letterario e la deformazione caricaturale, queste persone reali, consisteva gran parte dell’interesse che questa opera à clefs poteva suscitare nel ristretto pubblico di cortigiani per i quali era stata scritta. I lettori che formavano questo ristretto pubblico sapevano gli apodos, le avventure e disavventure, le debolezze e le manie, i modi peculiari di parlare e di comportarsi delle persone del loro ambiente e gli aneddoti, i pettegolezzi e le maldicenze che su di loro circolavano, e possedevano quindi le conoscenze necessarie per capire allusioni, risolvere enigmi e penetrare ‘geroglifici’, riconoscere fatti, episodi e circostanze ‘cifrati’. I lettori di oggi, privi di queste conoscenze, sono costretti a costruire ipotesi azzardate su vaghi, più spesso, vaghissimi indizi. Cosí noi abbiamo formulato l’ipotesi che con l’episodio di Machuca l’autore della Pícara Justina abbia voluto burlarsi di Don Rodrigo. Ipotesi sicuramente azzardatissima, lo riconosciamo, ma che pur ci  



















200   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO QVARTO DE LA PICARA NOBIA. CAPITVLO SEGVNDO Del pretensor disciplinante », p. 12. 201   Cfr. « Pruebas para admitir D. Rodrigo Calderón en la Cofradía del Real Hospital de Nuestra Señora Santa María de Esgueva », pp. 298-299. 202   Libro de entretenimiento. Medina del Campo 1605, « LIBRO QVARTO DE LA PICARA NOBIA. CAPITVLO SEGVNDO Del pretensor disciplinante », p. 14. 203   Libro de entretenimiento. Medina del Campo 1605, « LIBRO QVARTO DE LA PICARA NOBIA. CAPITVLO SEGVNDO Del pretensor disciplinante », p. 14.  















cosa era don rodrigo calderón nel 1604?

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sembra meno strampalata di quella erotico-blasfema proposta da Francisco Márquez Villanueva. Comunque, indipendentemente dalla ipotesi Don Rodrigo = Machuca, la nostra scorribanda, forzatamente dilettantesca, nella genealogia dei Vargas e dei Carvajal – genealogia intricatissima, che solo un vero esperto di alberi genealogici e delle loro falsificazioni potrebbe, forse, illuminare – ha messo in luce che la magnificazione, assurdamente iperbolica, di “doña Ynes de Vargas y Caruajal” come “gloria y honra de la nobleza estremeña” piú che un omaggio alla moglie di Don Rodrigo Calderón è un’ulteriore burla giocata al favorito del favorito.

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Capitolo IV FRA EMARGINAZIONE E INTEGRAZIONE. LA CONDIZIONE DEI CONVERSOS NELLA SOCIETÀ TOLEDANA Sommario : Francisco López de Úbeda, un medico converso ? – Il processo di integrazione sociale, di assimilazione culturale e religiosa e di amalgamazione biologica dei conversos nella città di Toledo. – Problematicità dei tentativi di tracciare una tipologia dei convertiti di origine ebraica : a) Le tipologie dei conversos elaborate dagli studiosi moderni. b) Stereotipi coniati, o testimoniati, dagli scrittori del XV-XVII secolo.  





Francisco López de Úbeda, un medico converso ?  

I

documenti madrileni su Francisco López de Úbeda, scoperti da Cristóbal Pérez Pastor e da Mercedes Agulló y Cobo e ricordati nel primo capitolo di questo lavoro, sono i seguenti :  

Capitulación de dote entre el Licenciado Francisco López de Úbeda, médico, natural y vecino de la ciudad de Toledo, hijo de Luis López de Úbeda y de María de Contreras, y D.a Jerónima de Loaisa, hija de Diego Ortíz de Canales y de Leonor Núñez de Loaisa, difuntos. – Madrid 2 Febrero 1590. (Madrid. – Protocolo de Juan Calvo, 1590, fol. 164.) Carta de pago de dote otorgada por el Licenciado Francisco López de Úbeda en favor de D.a Jerónima de Loaisa. – Madrid 6 Abril 1590. (Madrid. Protocolo de Juan Calvo, 1590, fol. 554.) 1 Partida de bautismo de su hijo Maximiliano : “maximiliano hijo legitimo de el licenciado francisco lopez de vbeda y de ysabel de barrientos, fue padrino geronimo de madrid criado de su magestad y madrina [tachado : ysabel] y (sic) agustina de barrientos. Testigos pedro de barrientos y francisco maya”. (LB, 27. XII. 1586.) Partida de defunción de su primera esposa, Isabel de Barrientos : “ysabel de varrientos muger de el licenciado francisco lopez de ubeda… enterrose en esta yglesia, dieron del rompimiento de la sepultura para la yglesia quarenta reales… biuia junto a la casa de grajal panadero”. (LE, 15. XI. 1589.) Partida de bautismo de su hijo Francisco : “francisco hijo de el licenciado francisco Lopez de ubeda medico y de doña Geronima de loaisa su muger. fueron padrinos aluaro suarez de herrera y doña ysauel de caniçares y testigos el capitan alonsso lara de cordoua y diego de herrera suarez y blas de Riaça. Resciuio los exorçismos porque consto auerle echado agua damiana hernandez comadre”. (LB, 13. X. 1593.) 2  











Questi documenti ci offrono scarsi, ma preziosi dati biografici. Il Licenciado Francisco 1

  Cfr. Cristóbal Pérez Pastor : La imprenta en Medina del Campo, p. 478.   Cfr. Mercedes Agulló y Cobo : Documentos sobre escritores de los siglos XVI y XVII. In : Anales del Instituto de Estudios Madrileños 6 (1970), 173-174 (« Francisco López de Úbeda »). 2











300

capitolo iv

López de Úbeda, figlio di Luis López de Úbeda e di María de Contreras, nato a Toledo e qui residente, era medico ; aveva sposato Isabel de Barrientos, dal matrimonio era nato, nel 1586, Maximiliano, battezzato il 27 dicembre 1586. Morta nel novembre del 1589 sua moglie Isabel de Barrientos, il Licenciado Francisco López de Úbeda, dopo pochi mesi di vedovanza, aveva contratto matrimonio con D.a Jerónima de Loaisa, figlia di Diego Ortíz de Canales e di Leonor Núñez de Loaisa ; da queste seconde nozze era nato Francisco, battezzato il 13 ottobre del 1593. Pur conservando la residenza toledana (nel documento del 2 febbraio 1590 è detto “natural y vecino de la ciudad de Toledo”), Francisco López de Úbeda abitava – dal 1586 e forse anche da qualche tempo prima – a Madrid, “junto a la casa de grajal panadero” (se non già dal 1586, sicuramente dal 1589). Oltre ai dati che attestano incontrovertibilmente l’esistenza storica di Francisco López de Úbeda, questi documenti contengono altre informazioni d’interesse. I 40 reales dati per il “rompimiento de la sepultura” 3 rivelano che Francisco López de Úbeda possedeva una tomba di famiglia – indizio, questo, di una agiata situazione economica. L’abitare accanto alla casa del panettiere Grajal sembra invece forse escludere che il medico e la sua famiglia vivessero in un edificio e in una strada eleganti. L’identificazione dello status sociale dei padrini e dei testimoni potrebbe contribuire alla conoscenza dell’ambiente in cui viveva Francisco López de Úbeda. Noi abbiamo potuto trovare notizie sicure soltanto su Jerónimo de Madrid : “Mozo de la tapicería de la casa de Borgoña hasta el 13 de marzo 1580, cuando promocionó a portero de cámara de la casa de Castilla, oficio que sirvió hasta 1598 (en 1600 renunció y el puesto pasó a su hijo, Francisco de Figueredo). En 1583 estaba al servicio de la emperatriz María.” 4 Anche su di un Pedro de Barrientos abbiamo trovato una brevissima informazione : “Costiller de la casa de Borgoña, al menos entre 1567 y 1573”. 5 Non sappiamo però se era la stessa persona che farà da testimone al battesimo di Maximiliano e che probabilmente era – come anche la madrina (Agustina de Barrientos) – parente di Isabel de Barrientos, la prima moglie di Francisco López de Úbeda. Se si trattasse effettivamente del costiller, sembrerebbe che Francisco López de Úbeda intrattenesse rapporti abbastanza stretti con il personale medio-basso della Casa de Castilla e della Casa de Borgoña. L’ufficio dei costilleres, che appartenevano a “un escalón intermedio entre los pajes y el resto de los gentileshombres” (nel 1567 ve ne erano 75, nel 1596 il loro numero era salito a 145), 6 è cosi descritto nelle Etiquetas de Palacio ordenadas por el año de 1562 y reformadas el de 1617 : “Los Costilleres tienen obligación de acompañar a su magestad quando sale a la capilla o a otras yglesias a víperas o a misa o a otra qualquiera ocasión, y tienen lugar detrás de el vanco de los Grandes, con los gentiles hombres de la casa”. 7 Nulla abbiamo potuto trovare sui padrini di Francesco (a meno che Diego de Herrera Suárez e Diego de Herrera, il medico che nel 1606 diverrà uno dei “médicos de familia” della Casa Reale, siano la stessa persona 8). La presenza fra i testimoni di un capitano conferma però l’impres 





















3   “ROMPIMIENTO. En las Parrochias se llama el derecho que paga el que tiene sepultura propria, al tiempo de usar de ella” (Real Academia Española : Diccionario de Autoridades. Edición facsímil. Madrid : Gredos 1984, Tomo V, p. 638). 4   La Monarquía de Felipe II : La Casa del Rey. Directores : José Martínez Millán - Santiago Fernández Conti. Volumen II : Oficiales, Ordenanzas y Etiquetas, p. 268. 5   La Monarquía de Felipe II : La Casa del Rey. Directores : José Martínez Millán - Santiago Fernández Conti. Volumen II : Oficiales, Ordenanzas y Etiquetas, p. 52. 6   La Monarquía de Felipe II : La Casa del Rey. Directores : José Martínez Millán - Santiago Fernández Conti. Volumen I : Estudios, p. 562, p. 567. 7   La Monarquía de Felipe II : La Casa del Rey. Directores : José Martínez Millán - Santiago Fernández Conti. Volumen II : Oficiales, Ordenanzas y Etiquetas, p. 844. 8   Cfr. La Monarquía de Felipe III : La Casa del Rey. Volumen II. Directores : José Martínez Millán, Maria Antonietta Visceglia. Madrid : Fundación MAPFRE - Instituto de Cultura 2008, p. 331, p. 741.  

































la condizione dei conversos nella società toledana

301

sione che Francisco López de Úbeda frequentasse, almeno negli anni 1586-1593, persone del ceto medio. Nessun membro dell’alta nobiltà figura fra i padrini e i testimoni. Doña Isabel de Caniçares apparteneva, forse, alla piccola nobiltà ; quasi sicuramente hidalgo o escudero era il costiller Pedro de Barrientos. Molto importante per determinare quale fosse la situazione economica di Francisco López de Úbeda sarebbe la conoscenza del contenuto della Capitulación de dote e/o quello della Carta de pago de dote. In questi due documenti notarili (esistono ancora ?) dovrebbe essere specificata, infatti, l’entità della dote.  



Esaminando gli studi sulla storia della città di Toledo abbiamo trovato alcuni riferimenti alla famiglia di Francisco López de Úbeda nei documenti e negli estratti di documenti pubblicati da José Gómez-Menor Fuentes in appendice alla sua opera Cristianos nuevos y mercaderes de Toledo. Secondo un documento del 1° settembre 1477 un “Ferrando Lopez de Ubeda” era “cofrade” della Cofradía de mercaderes de San Nicolás di Toledo, 9 mentre secondo un documento dell’8 giugno 1478 – la relazione su una riunione di confrati tenutasi nella Chiesa di Santa María la Blanca di Toledo – un “Francisco Lopes de Ubeda trapero” era “cofrade” della Cofradía de Santa María la Blanca de Toledo. 10 Gli estratti di documenti pubblicati da José Gómez-Menor Fuentes attestano : un credito di “Francisco López de Ubeda y Alonso López, hermanos, mercaderes de Toledo”, per aver consegnato della merce a “Rodrigo de Madrid, vecino de Toledo” (Toledo, 3. 12. 1516) ; il diritto di “Sebastián López de Ubeda, mercader” a ricevere una certa somma da Gonzalo de Guevara (Toledo, 28. 8. 1522) ; la proprietà di certe case degli “herederos de Alonso López y Diego López de Ubeda” (Toledo, 20. 4. 1525) ; la proprietà di certe case di “Francisco López de Ubeda” (Toledo, 28. 4. 1525) ; la concessione in affitto della metà di una casa di proprietà del Licenciado Diego García de Hamusco, medico, “a Leonor Alvarez, mujer de Alonso López de Ubeda, vecina de Toledo” (Toledo, 4. 11. 1525). 11 Un Francisco e un Juan de Contreras – ed anche una Beatriz de Contreras, che ebbe una figlia battezzata il 15 dicembre 1543 con il nome di María (sarà la madre di Francisco López de Úbeda ?), 12 ed una María de Contreras 13 – sono documentati da José GómezMenor Fuentes, 14 nella cui opera frequentemente ricorrono anche i nomi di de Canales, Ortiz, Nuñez. In un documento pubblicato da Antonio Martín Gamero, nella sua Historia de la Ciudad de Toledo, si legge che il 2 giugno 1520 – alla vigilia quindi delle insurrezioni e rivolte che in quel mese insanguinarono la Castiglia – i membri dell’Ayuntamiento di Toledo “nombraron justicia de comunidad al licenciado francisco Lopez de Ubeda por alcalde mayor y por alcalde de las alçadas al licenciado ........... y alguazil mayor a Vozmediano”. 15 Questo Licenciado Francisco López de Úbeda è lo stesso ricordato sopra come  

























9   « La Cofradía de mercaderes de San Nicolás, en 1477, según escrituras de censo y tributo del mesón de la Cadena, en el adarve de la Sillería ». In : José Gómez-Menor Fuentes : Cristianos nuevos y mercaderes de Toledo. Toledo : Editorial Zocodover 1970, pp. [4] - [8] ; qui p. [6]. 10   « La Cofradía de Santa María la Blanca, de Toledo, reunida en cabildo, acepta la donación del doctor Nuño Alvarez de Cepeda, canónigo de Sevilla ». In : J. Gómez-Menor Fuentes : Cristianos nuevos y mercaderes de Toledo, pp. [9] - [14] ; qui p. [10]. 11   « Extractos de escrituras, 1503-1528 ». In : J. Gómez-Menor Fuentes : Cristianos nuevos y mercaderes de Toledo, pp. [15] - [93] ; qui p. 45 (Nro. 118), p. 66 (Nro. 212), p. 71 (Nro. 235), p. 71 (236), p. 74 (Nro. 249). 12   J. Gómez-Menor Fuentes : Cristianos nuevos y mercaderes de Toledo, p. [85]-[86], Nro. 291. 13   J. Gómez-Menor Fuentes : Cristianos nuevos y mercaderes de Toledo, p. 26. 14   J. Gómez-Menor Fuentes : Cristianos nuevos y mercaderes de Toledo, p. 31 e p. 35. 15   « Relación de las cosas notables que parescen por los Libros del Ayuntamiento de la Cibdad de Toledo del año de veynte e veynte e un años que toca, y contra de los estceptados en el perdon e condenados de la dicha  







































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capitolo iv

proprietario di alcune case ? È da identificarsi con il Licenciado Úbeda, il “comunero” di cui parleremo piú avanti ? Forse potrebbe trattarsi del nonno del medico toledano. In un documento del 1495 – pubblicato da Francisco Cantera Burgos e Pilar León Tello –, sul quale torneremo, viene menzionato un Francisco (o Fernando, secondo una successiva redazione dello stesso documento) López de Úbeda. Un Francisco López de Úbeda, mercante, impresta, nel 1557, 504.000 maravedíes alla Città di Toledo acquistando censos emessi – per poter comprare grandi quantità di grano necessarie a far fronte ad una grave carestia 16 – dall’Ayuntamiento, con il consenso del Re, e garantiti dalle proprietà e rendite comunali (l’interesse offerto era del 7,14%). Si tratta del Francisco López de Úbeda, mercante, ricordato nel documento del 1516, del Francisco López de Úbeda, proprietario di case, ricordato nel documento del 1525, o di un loro discendente ? Nell’elenco dei vecinos di Toledo, redatto a fini tributari nel 1561 (il 19 maggio di quest’anno Filippo II aveva lasciato la Città Imperiale e fissato la sua residenza a Madrid) e pubblicato da Linda Martz e Julio Porres, non figura il nome di Luis López de Úbeda (numerosi sono invece i Luis López ; registrati sono anche una “Vbeda viuda”, un “bernardino de Vbeda” e una “Leonor de vbeda biuda” 17). In questo elenco l’unico López de Úbeda registrato è un Juan López de Úbeda, che abitava “A la lonja”, nella parrocchia di San Pedro, 18 il cuore economico e commerciale della città – qui si trovavano l’Alcaná e le Alcaicerías, “en lo que fue Judería Menor”. 19 Si tratta del mercante Juan López de Úbeda che aveva fondato con Juan Francisco Ortiz una compagnia per il commercio dei drappi, la cui attività è documentata negli anni intorno al 1570 ? 20 O si tratta, forse, del noto poeta religioso Juan López de Úbeda ? Era il poeta, del quale torneremo a parlare, il capofamiglia della famiglia López de Úbeda ? O lo era il mercante Juan López de Úbeda? O erano il mercante e il poeta la stessa persona ? Il censimento, effettuato probabilmente utilizzando la “matrícula parroquial” consegnata o esibita da ognuno dei parroci delle 21 parrocchie, 21 aveva registrato anche una “maria de contreras biuda”, abitante nella parrocchia di Santo Tomé, 22 e una “maria de contreras biuda”, abitante nella parrocchia di San Miguel. 23 Registrati sono anche un “Juan de Barrientos”, una “viuda varrientos” 24 e Diego Ortíz de Canales (padre di Jerónima de Loaisa, la seconda moglie di Francisco López de Úbeda), abitante nella parrocchia di San Román nella “plaça del alacaba”, 25 una  



































Cibdad ». In : D. Antonio Martín Gamero : Historia de la Ciudad de Toledo, sus claros varones y monumentos. Toledo : Imprenta de Severiano López Fando 1862, pp. 1074-1083 ; qui p. 1075. 16   Cfr. Linda Martz : A Network of Converso Families in Early Modern Toledo. Assimilating a Minority. Ann Arbor : The University of Michigan Press 2003, pp. 191-192. 17   Cfr. « Relacion de los vecinos que parece que ay en la Ciudad de Toledo en este presente año de mil y quinientos y sesenta y uno ». In : Linda Martz - Julio Porres Martín-Cleto : Toledo y los toledanos en 1561 (= Publicaciones del Instituto Provincial de Investigaciones y Estudios Toledanos. Serie primera. Monografías. Vol. 5). Toledo 1974, pp. 161-288 ; qui p. 249, p. 208 e p. 232. 18   Cfr. « Relacion de los vecinos que parece que ay en la Ciudad de Toledo en este presente año de mil y quinientos y sesenta y uno », p. 191. 19   L. Martz - J. Porres : Toledo y los toledanos en 1561, p. 120. 20   Julian Montemayor : Tolède entre fortune et déclin (1530-1640). Limoges : PULIM (Presses Universitaires de Limoges) 1996, p. 241, p. 258. 21   L. Martz - J. Porres : Toledo y los toledanos en 1561, p. 50. 22   « Relacion de los vecinos que parece que ay en la Ciudad de Toledo en este presente año de mil y quinientos y sesenta y uno », p. 184. 23   L. Martz - J. Porres : Toledo y los toledanos en 1561, p. 324 (nella pagina 198 – a cui rimanda l’« Indice alfabético de nombres » – non si trova però il nome di alcuna María de Contreras). 24   « Relacion de los vecinos que parece que ay en la Ciudad de Toledo en este presente año de mil y quinientos y sesenta y uno », p. 283 e p. 257. 25   « Relacion de los vecinos que parece que ay en la Ciudad de Toledo en este presente año de mil y quinientos y sesenta y uno », p. 285.  





















































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“leonor nuñez biuda”, abitante nella parrocchia di Santo Tomé, una “leonor nuñes biuda”, abitante nella parrocchia di San Vicente e una “leonor nuñez biuda”, abitante nella parrocchia di San Román nella “plaça de baldecaleros” (Leonor Núñez de Loaisa era la madre di Jerónima de Loaisa, la seconda moglie di Francisco López de Úbeda). 26 L’esistenza di un Diego López de Úbeda, “escrivano de la Ciudad de Cordova”, è certificata da un documento del 17 settembre 1464. 27  



Sulla origine conversa della famiglia López de Úbeda, José Gómez-Menor Fuentes, che offre nel suo libro sia una lunga lista con i nomi delle famiglie toledane conversas, sia molti cuadri genealogici e numerosi dati e notizie relativi ad esse, 28 non dice esplicitamente nulla. Un “Francisco Lopes de Ubeda trapero” figura però, come abbiamo visto, nella lista dei membri della Cofradía de Santa María la Blanca de Toledo, 29 “cuyos hermanos y cofrades” – scrive José Gómez-Menor Fuentes – “eran descendientes de los convertidos durante la persecución de 1391 y las predicaciones de San Vicente Ferrer”. 30 Esistevano, in effetti, sin dal XIV secolo, sia cofradías (e anche gremios) dalle quali venivano esclusi i cristianos nuevos, sia confraternite (e corporazioni) dalle quali venivano esclusi i cristianos viejos. 31 In seguito alla Sentencia-Estatuto di Pero Sarmiento si era intensificato questo movimento di esclusione reciproca, una specie di scisma, contro il quale aveva fermamente reagito l’Arcivescovo di Toledo D. Alonso Carrillo, nel Sinodo diocesano riunito ad Alcalá il 10 giugno del 1480, condannando ogni esclusione, separa 







26   « Relacion de los vecinos que parece que ay en la Ciudad de Toledo en este presente año de mil y quinientos y sesenta y uno », p. 172, p. 269, p. 284. 27   Cfr. Luis García Cubero : Las alegaciones en derecho (Porcones) de la Biblioteca Nacional. Tocantes a mayorazgos, vínculos, hidalguías, genealogías y títulos nobiliarios. Con un índice de personas, geográfico y de títulos nobiliarios. Madrid : Biblioteca Nacional 2004, p. 25, nro. 48. 28   J. Gómez-Menor Fuentes : Cristianos nuevos y mercaderes de Toledo, pp. XXIX-XLV e pp. 5-57. 29   La Chiesa di Santa María la Blanca era originariamente una Sinagoga. Francisco de Pisa scrive che San Vicente Ferrer, venuto a Toledo, “entrò por el barrio de la Iuderia ... y en el antiguo templo que aora llaman santa Maria la Blanca (que era su synagoga) y a pesar de todos los Iudios la bendixo, y el echando los fuera, la hizo yglesia, a honra y alabança de nuestro señor Iesu Christo, y de su bendita madre, y en ella celebrò Missa”. Cfr. Francisco de Pisa : Descripcion de la Imperial Civdad de Toledo, y Historia de sus antiguedades, y grandeza, y cosas memorables que en ella han acontecido... Primera parte. Toledo : Pedro Rodriguez 1605 (ed. facs. Madrid : VILLENA Artes Gráficas – per : Instituto Provincial de Investigaciones y Estudios Toledanos – 1974), fo. 202r. Questo passo Francisco de Pisa lo trascrive da Pedro de Alcocer, che indica però nell’anno 1425 anche la data di questo avvenimento (data chiaramente erronea perché san Vicente Ferrer morì nel 1419). Cfr. Pedro de Alcocer : Hystoria, o Descripcion dela Imperial cibdad de Toledo. En Toledo. Por Iuan Ferrer. 1554. Con Preuilegio Imperial (ed. facs. Madrid : EPSC – realizzata per l’Instituto Provincial de Investigaciones y Estudios Toledanos), fo. LXXr (in realtà LXXXIIr). Luis Hurtado de Toledo scrive : “[...] [la] Sinagoga de Sancta Maria la Blanca consagro Sant Vicente Ferrer con mano armada en el año de mill y quatro cientos y beinte y cinco [...]. En la parrochia de Sancto Tome ay tres monesterios de monjas, el uno es Sanctana [...]. El otro monesterio es de Sant Antonyo de Padua [...]. El tercero monesterio es de Sancta Maria la Blanca, que antes fue Sinagoga hebrea [...] y despues hermita hasta que el cardenal don Juan Martinez Siliceo la herredifico y la dio a las mugeres rrecogidas”. Cfr. Luis Hurtado de Toledo : Memorial de algunas cosas notables que tiene la Imperial Ciudad de Toledo. Dirigido a la C. R. M. del Rey Don Phelipe de Austria, Monarca de las Españas y nuebo Mundo (Año de 1576). In : Carmelo Viñas y Ramón Paz : Relaciones histórico-geográfico-estadísticas de los pueblos de España hechas por iniciativa de Felipe II. Reino de Toledo (Tercera parte). Madrid : C. S. I. C. 1963, pp. 481-576 ; qui p. 520, pp. 548-549. Secondo Pilar León Tello le predicazioni di San Vicente Ferrer a Toledo dovettero aver luogo nell’estate del 1411. Cfr. Pilar León Tello : Judíos de Toledo. Tomo I. Estudio histórico y colección documental. Madrid : C. S. I. C. 1979, p. 194. 30   J. Gómez-Menor Fuentes : Cristianos nuevos y mercaderes de Toledo, p. XXX. 31   Cfr. Claude Chauchadis : Les modalités de la fermeture dans les confréries religieuses espagnoles (XVe XVIIIe siècle). In : Les sociétés fermées dans le monde ibérique (XVIe-XVIIIe s.) Définitions et problématique (= Collection de la Maison des Pays Ibériques, 29). Paris : Éditions du C. N. R. S. 1986, pp. 83-105 ; qui pp. 93-94. Per Toledo Claude Chauchadis si fonda su Hilario Rodríguez de Gracia : Cofradías Toledanas. Tesi doctoral. Madrid : Editorial de la Universidad Complutense de Madrid 1982.  



















































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zione e discriminazione e annullando con la Costituzione Sinodale del 12 maggio 1481 gli statuti di quelle confraternite che prescrivevano l’esclusione vuoi dei conversos, vuoi dei cristianos viejos. 32 La Costituzione Sinodale promulgata da D. Alonso Carrillo, che fu confermata dal Cardinale D. Pedro González de Mendoza – suo successore nella sede toledana – con una sua lettera scritta il 13 novembre 1483 dalla Città di Vitoria, 33 documenta per gli anni precedenti al 1481 l’esistenza di confraternite di soli cristianos nuevos o di soli cristianos viejos. Non sappiamo da quando la Cofradía de Santa María la Blanca de Toledo, di cui era membro “Francisco Lopes de Ubeda trapero” almeno dal giugno del 1478, si era costituita. 34 E neppure sappiamo se veramente - e da quando - praticava  





32   Nella Costituzione Sinodale dell’Arcivescovado di Toledo, promulgata ad Alcalá de Henares il 12 maggio 1481 e intitolata De Confraternitatibus, dopo aver fatto riferimento alla concezione paolina della Chiesa come “cuerpo mistico de Christo”, concezione che esclude ogni divisione fra i cristiani, e al potere rigeneratore del battesimo (“por el bautismo regenerados somos fechos nuevos homes”), D. Alonso Carrillo dichiarava e disponeva : “son culpables los que olvidada la limpieza de la ley evangelica fasen diversos linages de gentes unos llamandose Christianos Viejos è otros llamandose Christianos nuevos, ò conversos induciendo cisma entre los fieles sabiendo todos que por el advenimiento de Christo que fuè mediador entre Dios y los hombres todos fuymos convertidos de error à verdad [...] à todos nos fiso iguales, è lo que peor es que asi en la Cibdad de Toledo, como en las otras Cibdades, Villas, è lugares de nuestro Arçobispado ay munchas confradias è Cabildos, è Hermandades, è so color de piedad algunas de las quales non reciben conversos, en otras non reciben Christianos Viejos, vsando de los vocablos que ellos vsan disiendo : à esto ser astritos por ordinacion, statuto, pacto è costumbre, juramento, è penas è con otros vinculos è firmesas, è quando alguno de los tales cofadres inquieren ante todas cosas de que nacion es, è de otras calidades que inducen grand escandalo en los fieles Christianos. Nos acatando lo suso dicho è deseando toda paz è sosiego è tranquelidad en nuestros subditos aprobante la Santa Sinodo las dichas ordenaciones, estatutos costumbres aunque sean con juramento ò pena declaramos sean ningunas è de ningund valor è efecto así como fechas contra derecho è contra toda caridad, è en quanto es menester relaxamos los tales juramentos è reprovamos è anatematizamos las confradias è Hermandades è Cabildos do se fasen ò fisieren de aqui adelante las tales diferencias è mandamos so pena de scomunion [excomunion] latae sententiae que por esta nuestra constitucion lo contrario faciendo incurran qualesquier personas de la nuestra Santa Iglesia è Arçobispado asi clerigos como legos de qualquier estado dignidad ò preheminencia que sean que en la recebcion de los tales confadres è hermanos non fagan las dichas deferencias de linages publica nin ocultamente so color alguno è si cerca dello tienen constitucion ò hordenança dentro de un mes primero siguiente la quiten de sus libros è hordenaciones è que si supieren è conoscieren de alguna confadria ò hermandad ò cabildo ò otro Ayuntamiento qualquier nombre que tengan donde la tal diferencia se ficiere è perseverare non entren en ella por confadres nin hermanos nin por otro nombre alguno è los que estan entrandos salgan della è a ella non buelvan durante la tal cisma ò cismas so la qual dicha pena de sentencia de scomunion ...”. Cfr. Costituciones ... fechas è hordenadas en el sinodo que fuè fecho è celebrado en la Villa de Alcalà de Henares de la Diocesi de Toledo por mandado del muy Reverendo ... Señor D. Alfonso Carrillo Arçobispo de Toledo, publicadas en el dicho Sinodo en dose dias del mes de Mayo año ... [1481] (Madrid, Biblioteca Nacional : Ms. 13021, fo. 135r-146r ; qui fo. 142r-144r). Su questa Costituzione Sinodale si veda Antonio Domínguez Ortiz : Los conversos de origen judío después de la expulsión. In : Estudios de Historia Social de España. Tomo III. Madrid : C. S. I. C. 1955, pp. 225-431 ; qui pp. 239-240. – Eloy Benito Ruano : Los orígenes del problema converso. Edición revisada y aumentada. Madrid : Real Academia de la Historia 2001, pp. 73-78. Anche Fray Hernando de Talavera, il futuro primo Arcivescovo di Granada, si oppose alle discriminazioni con la sua Católica impugnación (1487). Cfr. Fray Hernando de Talavera, O. S. H. : Católica impugnación. Estudio preliminar de Francisco Márquez. Edición y notas de Francisco Martín Hernández (= Espiritvales Españoles). Barcelona : Juan Flors 1961, pp. 82-83 e pp. 147-149. Sulla Católica impugnación di Fray Hernando de Talavera cfr. l’ampio « Estudio preliminar » di Francisco Márquez Villanueva, premesso alla edizione dell’opera (pp. 5-53), – Eugenio Asensio : La España imaginada de Américo Castro, pp. 169-170. – Francisco Márquez Villanueva : Ideas de la « Católica impugnación » de fray Hernando de Talavera (2000). In : F. M. V. : De la España judeoconversa. Doce estudios. Barcelona : Edicions Bellaterra 2006, pp. 229-244. Il disprezzo e la discriminazione dei convertiti verranno egualmente stigmatizzati dal celebre Vescovo di Mondoñedo. Cfr. Libro primero [Segundo !] de las Epístolas familiares de Fray Antonio de Guevara. Edición y prólogo de José María de Cossío. II, pp. 375-382. 33   Cfr. Constitucion del Card. Arzobispo de Toledo D. Pedro Gonzalez de Mendoza (Madrid, Biblioteca Nacional : Ms. 13021), fo. 153r-156r ; qui fo. 153r. Su questa conferma cfr. E. Benito Ruano : Los orígenes del problema converso, pp. 78-79. 34   L’unica monografia dedicata alle Confraternite toledane non parla purtroppo della Cofradía de Santa María la Blanca. Cfr. Hilario Rodríguez de Gracia : Cofradias toledanas. Tesis Doctoral. Universidad Complutense de Madrid 1982 (dattiloscritta).  



















































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l’esclusione di cristianos viejos. Purtroppo José Gómez-Menor Fuentes non indica il documento sul quale fonda la sua asserzione. Nella sua descrizione delle Confraternite toledane Luis Hurtado de Toledo ricorda la Cofradía de Santa María la Blanca sia come una delle sette Confraternite della Parrocchia di San Tomé, 35 sia come una delle tre Confraternite della Parrocchia di San Juan Baptista. 36 Non accenna minimamente ad un loro particolare Statuto che escludesse i cristianos viejos. Pilar León Tello, che ha dedicato molta attenzione alla storia di Santa María la Blanca, 37 scrive che i “cofrades” della Chiesa erano “casi todos conversos” 38 e cita dagli atti di una causa del 1487 la dichiarazione di un curato che afferma che quando egli era amministratore della Chiesa “todos los dichos cofrades 39 eran tenydos por conversos”. 40 Due erano invece le Cofradías toledane che ammettevano solo cristianos viejos : una delle dodici Confraternite della Parrocchia di San Miguel – quella specificatamente detta di San Miguel, 41 che aveva però introdotto lo Statuto di purezza di sangue in data relativamente recente (“la bula ... que manda que sean cristianos viejos” i membri di questa Cofradía, era infatti del 1529) 42 e che nel XV secolo non praticava l’esclusione dei conversos 43 – e una delle sei Confraternite della Parrocchia di San Pedro. 44 Tutte le altre confraternite ammettevano sia i cristianos viejos sia i conversos. Confraternite che escludessero i cristianos viejos, e fossero quindi formate esclusivamente di conversos, non ne esistevano intorno alla metà del XVI secolo.  





















35   “En Sancto Tome ay siete cofradias, una del Sacramento, [...] otra de Santa Maria la Blanca, donde se casan ciertas huerfanas” (Luis Hurtado de Toledo : Memorial de algunas cosas notables que tiene la Imperial Ciudad de Toledo, p. 563). 36   “En Sant Juan Baptista ay tres cofradias, una del Sanctissimo Sacramento, otra de Nuestra Señora de las Nieves, que llaman del antigua, otra de Sancta Maria la Blanca, donde estan diputadas las casas de la calle nueva a Santo Tome para casar huerfanas a quinze y a beynte mill cada una segun los patrones le aplican la suerte” (Luis Hurtado de Toledo : Memorial de algunas cosas notables que tiene la Imperial Ciudad de Toledo, pp. 564-565). 37   Pilar León Tello : Judíos de Toledo. Tomo I. Estudio histórico y colección documental, p. 194, p. 213, p. 240, pp. 357-360, pp. 520-524. 38   Pilar León Tello : Judíos de Toledo. Tomo I. Estudio histórico y colección documental, p. 359. 39   “Citan en otro testimonio a los cofrades : Fernando de la Higuera, Diego García de Hamusco, Fernando de San Pedro, Martin Sorge, Pedro de Villa Real, Diego de Ribera, Alvar Núñez de Cepeda, Francisco López de San Benito, etc.” (Pilar León Tello : Judíos de Toledo. Tomo I. Estudio histórico y colección documental, p. 523). 40   « Extracto del pleito que pasaba ante el notario Alonso Martínez de Mora. 1487, mayo, 14 ». In : Pilar León Tello : Judíos de Toledo. Tomo I. Estudio histórico y colección documental, pp. 523-524. 41   “En la parrochia de Sant Miguel ay doze cofradias, una de los cofrades que dizen de Sant Miguel muy antigua y de casta noble, por quanto ningun cofrade puede entrar en ella que tenga raça de erege ni de ley contraria a nuestra Religion Cristiana, ni este casado con muger que la tenga, son gente religiosa y pyadosa en las obras de caridad, y por no entibiarse en ellas buscan esta particularidad en su congregacion...” (Luis Hurtado de Toledo : Memorial de algunas cosas notables que tiene la Imperial Ciudad de Toledo, pp. 562-563). Cfr. anche H. Rodríguez de Gracia : Cofradias toledanas, pp. 283-295. 42   Genealogía del liçençiado Juan Horozco de Covarrubias (1573). Archivo Histórico Nacional : Inquisición, Legajo 1469, Número 21. In : Sebastián de Horozco : El Cancionero. Introducción, edición crítica, notas, bibliografía y genealogía de Juan de Horozco por Jack Weiner (= Utah Studies in Literature and Linguistics, 3). Bern und Frankfurt/M. 1975, pp. 325-345 ; qui p. 337. 43   Cfr. H. Rodríguez de Gracia : Cofradias toledanas, p. 284. 44   Genealogía del liçençiado Juan Horozco de Covarrubias (1573), p. 330 e p. 337. Luis Hurtado de Toledo (Memorial de algunas cosas notables que tiene la Imperial Ciudad de Toledo, p. 565) scrive che “en la capilla de Sant Pedro ay seis cofradias”, ma non annota che in una di esse fosse richiesto il requisito della purezza di sangue. Nella difesa che fa del suo Statuto, Siliceo parla delle “muchas Cofradias de España” che hanno uno Estatuto de limpieza, ma non menziona né quella di San Miguel né quella di San Pedro. Cfr. Estatvto de la S.ta Iglesia de Toledo. Relacion de lo que pasó al hacer el Estatuto de Limpieza que tiene la Santa Iglesia de Toledo para los que han de ser Prevendados en ella, el qual se hizo siendo Arzobispo D.n Juan Martinez Siliceo, Año de 1547 (Madrid, Biblioteca Nacional : Ms. 13038), fo. 13v-14r. Cfr. anche H. Rodríguez de Gracia : Cofradias toledanas, pp. 283-295.  





































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In un saggio sui medici toledani del Siglo de Oro e la loro classe sociale, di pochi anni posteriore al suo libro Cristianos nuevos y mercaderes de Toledo, José Gómez-Menor Fuentes scrive di non aver trovato “documentación sobre el médico toledano licenciado Francisco López de Ubeda, autor de la célebre novela Libro de entretenimiento de la pícara Justina”, ma che, in compenso, offrirà alcune notizie inedite sulla sua famiglia, “una de las más ricas e importantes de la clase burguesa toledana, con ascendientes ciertamente judeoconversos”. 45 (Perché “ciertamente”, senza indicare le prove, il documento o i documenti su cui questa certezza è fondata ? L’uso di analoghe asserzioni problematiche e il desiderio manifesto dello studioso di ascrivere alla ‘classe sociale conversa’ il maggior numero di persone, 46 impongono molta prudenza nell’accettare le sue ‘certezze’.) Le notizie inedite offerte da José Gómez-Menor Fuentes, il quale afferma che nella “familia Ubeda unos miembros usaban sólo este apellido, otros, a veces hermanos o hijos de aquéllos, lo usaban en forma compuesta : Sánchez, López o Pérez de Ubeda”, sono queste :  









Il membro della famiglia che occupò “un puesto social más destacado” fu “el licenciado Ubeda, célebre comunero, exceptuado del Perdón General por Carlos V en 1522, en cuyo edicto se le llama « vezino de Toledo, alcalde que fue en exército de la Junta »”. Alla fine, questo “célebre comunero”, 47 di cui non si conosce il nome completo (ma secondo noi si tratta del Francisco López de Úbeda che l’Ayuntamiento di Toledo, il 2 giugno 1520, nominò “justicia de comunidad”), fu però probabilmente perdonato. Nel 1531 figura fra i Jurados di Toledo il Licenciado Francisco López de Úbeda ; fra il 1521 e il 1529 operava a Toledo, come avvocato o legista, il Licenciado Alonso Pérez de Úbeda. 48 Nel 1526 un mercante di nome Francisco López de Úbeda comprava un’importante partita di tessuti e di altri generi alla fiera di Medina ; un altro mercante importante era Alonso López de Úbeda, che nel 1518 formava una compagnia commerciale con Francisco de Dueñas Sorje. Altri mercanti furono : Juan López de Úbeda, Alonso Sánchez de Úbeda, Agustín Pérez de Úbeda (questi morí senza discendenti e legò, negli ultimi anni del XVI secolo, i suoi beni al Convento de la Madre de Dios di Toledo). Un certo Hernán Pérez de Úbeda era uno dei più ricchi  













45   José Gómez-Menor Fuentes : Los médicos toledanos del Siglo de Oro y su clase social. In : Cuadernos de Historia de la Medicina Española 12 (1973), 369-392 ; qui p. 390. 46   Si legga, per esempio, questo passo : “Con probalidad tan grande que equivale a certeza moral [ !] podemos señalar entre los descendientes de conversos al historiador de Toledo Pedro de Alcocer, al Dr. Francisco de Pisa, maestro de Sagrada Escritura y Artes y colegial de Santa Catalina ; los padres jesuitas Alonso de Pisa, Santiago Alvarez de Paz y Jerónimo Román de la Higuera, y los jurisconsultos de apellido Narbona, todos de naturaleza toledana. Creemos también de condición « conversa » al illustre Nuncio y protonotario apostólico don Francisco Ortiz, canónigo de Toledo, fundador del Hospital de los Inocentes, vulgo del Nuncio”. In nota J. Gómez-Menor Fuentes scrive : “Los apellidos Alvarez de Paz se repiten mucho entre los judeoconversos toledanos [...]. El P. Jerónimo Román de la Higuera es probablemente descendiente del jurado de la Higuera, casado con una Jarada” ( J. Gómez-Menor Fuentes : Cristianos nuevos y mercaderes de Toledo, pp. LIII-LIV e pp. LIII-LIV nota). Parlando, in un lavoro posteriore su Sebastián de Horozco e la sua famiglia, della madre dello scrittore, María de Soto, scrive : “La familia Soto es muy probable que contase con antecesores judeoconversos. Una hermana de María de Soto casó con un miembro de una destacada familia « conversa » llamado Antón Diente. Esta unión hace muy probable otras semejantes, anteriores, en la ascendencia de María de Soto”. Cfr. José Gómez-Menor Fuentes : Nuevos datos documentales sobre el licenciado Sebastián de Horozco. In : Anales Toledanos 6 (1973), 249-285 ; qui p. 261. Molte delle persone menzionate da José Gómez-Menor Fuentes apparterranno pure al gruppo converso. Pensiamo però che la genealogia dovrebbe essere fondata su documenti e non su ‘certezze morali’, su ‘credenze’ e su probabilità. Pensiamo anche che il ricorrere di un nome tra i conversos non costituisca assolutamente la prova che tutti i portatori di quello stesso nome siano conversos. 47   Nella storia, di oltre 700 pagine, delle Comunidades scritta da Joseph Pérez, il “licenciado Ubeda” è ricordato una sola volta, in una nota, come “responsable del mantenimiento del orden en Toledo”. Cosí celebre non doveva dunque essere ! Cfr. Joseph Pérez : La revolución de las Comunidades de Castilla (1520-1521), p. 418, nota nro. 134. 48   Nella « Relación de las cosas notables que parescen por los Libros del Ayuntamiento de la Cibdad de Toledo », si legge : “En cuatro de Abryl [1521] libraron veynte ducados al liçençiado alonso peres de Ubeda en cuenta del salaryo de ir y venir con cartas y paresceres a Juan de padylla” (p. 1082).  









































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proprietari terrieri della “comarca de la Sagra”. Al principio del XVII secolo un ramo della famiglia Úbeda era composta da Juan Bautista de Úbeda, Jurado di Toledo, e dai suoi fratelli Francisco López de Úbeda, Jerónimo de Fonseca, 49 Lorenzo de Úbeda, chierico, e doña Catalina de Úbeda, sposata con il finanziere Luis Pérez de las Quentas. Una figlia di questi due coniugi sposò il Licenciado Álvaro Ortiz de Zayas, erede di Diego Ortiz de la Fuente e della opulenta famiglia judeoconversa degli Álvarez Ramírez, fondatori della Capilla de San José, decorata da el Greco, e protettori di Santa Teresa. Loro discendenti si imparentarono con famiglie hidalgas e alcuni discendenti delle nuove famiglie formatesi da queste unioni ottennero, alla fine del secolo XVII e nel XVIII, hábitos degli Ordini Militari. 50  



Un membro della famiglia López de Úbeda doveva essere il Licenciado Juan López de Úbeda (“natural de Toledo”), che – se di origine ebraica – era un tipico rappresentante di quel vasto gruppo di conversos che si distingueva per zelo cristiano. Figura come uno dei testimoni all’apertura (ottobre 1569) del testamento del dottor Diego García de Amusco, medico, 51 e morirà verso il 1582/85. 52 Juan López de Úbeda aveva fondato il Seminario de los Niños de la Doctrina de Alcalá de Henares ed era molto noto come autore del Cancionero general de la Doctrina Christiana (Alcalá de Henares : Juan Iñiguez de Lequerica 1579 e 1585. – Alcalá de Henares : Hernan Ramirez 1586). Aveva scritto inoltre la Comedia de San Alexo, la Comedia de virtudes contra los vicios, l’Auto de la Esposa en los Cantares, 53 gli Enfados a lo divino (Alcalá de Henares : Juan Iñiguez de Lequerica 1579), il Vergel de Flores divinas (Alcalá de Henares : Juan Iñiguez de Lequerica 1582. – Alcalá de Henares : Luys Mendez 1588), una specie di Cancionero a lo divino dedicato alla Duchessa d’Alba, i Coloquios : Glosas Sonetos y Romances, e vna Elexia del Alma, e vn Eco, con otras letras del sanctissimo Sacramento, muy escogidas, bueltas de lo Humano a lo Diuino (Alcalá de Henares : Juan Iñiguez de Lequerica 1586. – Sevilla : Fernando Diaz 1586), il Romance de Nuestra Señora y de Santiago patron de España (Cuenca : Cornelio Bodan 1602) e le Redondillas de los gloriosos mártires San Sebastian abogado de la peste, y de Señor San Esteban, juntamente con otras de San Agustín, y de San Juan evangelista muy devotas (Cuenca : Cornelio Bodan 1602). 54  



























49   Francisco José Aranda Pérez ricorda due fratelli Fonseca de Úbeda, “vecinos de Toledo, hijos y nietos de regidores y familiares del Santo Oficio”, che nel 1661 ottennero una hidalguía nella località di Burujón. Cfr. Francisco José Aranda Pérez : Poder y poderes en la Ciudad de Toledo. Gobierno, sociedad y oligarquías urbanas en la Edad Moderna (= Colección HUMANIDADES, 33). Cuenca : Ediciones de la Universidad de CastillaLa Mancha – Instituto Provincial de Investigaciones y Estudios Toledanos 1999, p. 280. 50   J. Gómez-Menor Fuentes : Los médicos toledanos del Siglo de Oro y su clase social, pp. 391-392. 51   Cfr. J. Gómez-Menor Fuentes : Cristianos nuevos y mercaderes de Toledo, pp. 51-52. 52   Cfr. R. M. de Hornedo : « López de Úbeda, Juan ». In : Diccionario de historia eclesiástica de España. II : CH-MAN. Madrid : C. S. I. C. 1972, p. 1345. 53   Queste tre opere figurano nel Cancionero general de la Doctrina Christiana. Cfr. Miguel M. García-Bermejo Giner : Catálogo del teatro español del siglo XVI. Índice de piezas conservadas, perdidas y representadas. Salamanca : Ediciones Universidad de Salamanca 1996, p. 189, p. 197. 54   Cfr. Bartolomé José Gallardo : Ensayo de una Biblioteca Española de libros raros y curiosos. Tomo tercero. Madrid : Imprenta y Fundición de Manuel Tello 1888, coll. 508-513. – Juan Catalina García : Ensayo de una tipografía complutense. Madrid : Imprenta y Fundición de Manuel Tello 1889, p. 168 (Nro. 543), p. 178 (Nro. 577), p. 189 (Nro. 611), pp. 196-197 (Nro. 634). – R. Foulché-Delbosc : L’auteur de la Pícara Justina, p. 240. – Antonio Rodríguez-Moñino : Nuevo Diccionario Bibliográfico de Pliegos Sueltos Poéticos (Siglo XVI). Edición corregida y actualizada por Arthur L.-F. Askins y Víctor Infantes (= Nueva Biblioteca de Erudición y Crítica, 12). Madrid : Castalia 1997, pp. 319-321. Del Cancionero general de la doctrina cristiana hecho por Juan López de Úbeda (1579, 1585, 1586) Antonio Rodríguez-Moñino ha curato una edizione moderna, in due tomi, per la Sociedad de Bibliófilos españoles (Madrid 1962-64). Sulla poesia religiosa di Juan López de Úbeda cfr. Line Amselem-Szende : Juan López de Úbeda : du pédagogue à l’écrivain. In : Écriture, pouvoir et société en Espagne aux XVIe et XVIIe siècles. Hommage du CRES à Augustin Redondo. Coordinateur Pierre Civil (= Travaux du “Centre de Recherche sur l’Espagne des XVIe et XVIIe siècles”, XVII). Paris : Publications de la Sorbonne 2001, pp. 115-127.  













































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Nelle liste degli judaizantes habilitados nel 1495 e nel 1497 della Città di Toledo, pubblicate da Francisco Cantera Burgos, il nome “de Ubeda aparece con ocho habilitados en Toledo”. 55 I nomi di Alonso López de Úbeda e di Diego López de Úbeda ricorrono frequentemente, secondo lo stesso studioso, nei protocolli del 1503 dell’Archivo Histórico Provincial di Toledo. 56 Un Fray Gaspar de Ubeda appare in un documento del 1614. 57 Il nome della famiglia “López Úbeda” figura anche nella lista delle famiglie presumibilmente conversas di Toledo approntata da Francisco J. Aranda Pérez, che si è fondato, nel redigerla, sia sugli studi ricordati di José Gómez-Menor Fuentes (1971), di Linda Martz (1988) e di Francisco Cantera Burgos e Pilar León Tello (1967), sia sulla propria esperienza di ricerca nei fondi relativi all’Inquisizione conservati nell’Archivo Histórico Nacional di Madrid. 58 Lo studioso osserva con prudenza che non tutte le famiglie che figurano nella sua lista sono con certezza “de pura estirpe conversa”. Infatti “lo más usual es que familias cristianas viejas pueden tener un apellido que también utilizan otras familias cristianas nuevas precisamente por lo ordinario del mismo”. Si deve considerare, inoltre, che alcune delle famiglie elencate nella lista possono essere “familias no conversas fundidas en mayor o menor grado por lazos familiares a familias conversas”. 59 Gli “Ubedas” – insieme agli “Hurtados, Francos, Fuentes, Ortices, Herreras, [...] Quentas, San Pedros, Torres, Segura” – vengono, infine, ricordati in un esposto inviato all’Ordine di Calatrava. 60  











Se, come asserisce José Gómez-Menor Fuentes, la Cofradía de Santa María la Blanca di Toledo aveva veramente escluso, almeno negli anni intorno al 1478, i cristianos viejos, tutti i suoi confratelli erano convertiti di origine ebraica e quindi anche il cofrade “Francisco Lopes de Ubeda trapero” era un converso (stranamente questa circostanza, che costituirebbe l’unico fatto concreto – se documentato – da addursi a sostegno della origine conversa della famiglia López de Úbeda, non viene ricordata dallo studioso nel suo saggio sui medici toledani). Se, come asserisce José Gómez-Menor Fuentes, tutti gli Úbeda, i López de Úbeda, i Sánchez de Úbeda e i Pérez de Úbeda appartenevano 55   Francisco Cantera Burgos (con la colaboración de Pilar León Tello) : Judaizantes del arzobispado de Toledo habilitados por la Inquisición en 1495 y 1497. Madrid : Universidad de Madrid 1969, p. LXXII. Un Alonso de Úbeda, “mercader, vecino de Toledo”, appare in un documento del 1490 ed è registrato come “judaizante” da Pilar León Tello : Judíos de Toledo. Tomo II. Inventario cronológico de documentos. Madrid : C. S. I. C. 1979, p. 547, doc. nro. 1528, e p. 643. Non è comunque certo che gli Úbeda fossero dei López de Úbeda, come certamente i numerosissimi López non erano dei López de Úbeda. 56   F. Cantera Burgos (con la colaboración de Pilar León Tello) : Judaizantes del arzobispado de Toledo habilitados por la Inquisición en 1495 y 1497, p. LXXII, nota nro. 110. 57   Cfr. José Martí y Monsó : Los Calderones y el monasterio de Nuestra Señora de Portaceli. « Documentos », p. 572 (Doc. Núm. 82). 58   F. J. Aranda Pérez : Poder y poderes en la Ciudad de Toledo. Gobierno, sociedad y oligarquías urbanas en la Edad Moderna, p. 257. 59   F. J. Aranda Pérez : Poder y poderes en la Ciudad de Toledo. Gobierno, sociedad y oligarquías urbanas en la Edad Moderna, p. 258. 60   In questo esposto, conservato nell’Archivo Histórico Nacional [Órdenes Militares, Calatrava, expediente 1966 (1647)] e parzialmente riprodotto da Francisco J. Aranda Pérez, Don Lucas de Párraga y Vargas, cui era stata fatta “merced” di un hábito dell’Ordine di Calatrava, si lamentava che Don Martín de Zayas, Don Rodrigo de la Fuente, Don Francisco de Luján “y sus deudos de consanguinidad y afinidad” cercavano di ostacolare la concessione del cavalierato diffamandolo come converso. Gli appartenenti al potente clan converso di Toledo facevano questo per vendetta, essendo convinti che Don Lucas de Párraga y Vargas, suo padre e i suoi zii avessero provocato, con l’accusa di non possedere il requisito di purezza di sangue, la sospensione del procedimento di concessione di un hábito ad alcuni di loro. Cfr. F. J. Aranda Pérez : Poder y poderes en la Ciudad de Toledo. Gobierno, sociedad y oligarquías urbanas en la Edad Moderna, p. 307.  





















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alla stessa famiglia e se, come afferma lo stesso studioso, questa famiglia era conversa, Francisco López de Úbeda era indubbiamente un converso. La certezza definitiva potremo però averla solo quando l’affermazione di José Gómez-Menor Fuentes sulla Cofradía de Santa María la Blanca sarà inoppugnabilmente documentata e sarà altresí dimostrato che tutti i portatori del cognome-base Úbeda erano membri di una stessa famiglia, oppure quando sarà ricostruita una genealogia documentata della famiglia di Francisco López de Úbeda a partire dagli ultimi membri ebrei e dal primo convertito della famiglia (in assenza della identificazione documentale di ascendenti sicuramente ebrei non si potrà mai avere, naturalmente, alcuna certezza della origine ebraica dei López de Úbeda). Formulate queste riserve, necessarie quanto gravi, si può considerare come non inverosimile l’ipotesi che la famiglia di Francisco López de Úbeda sia stata di origine conversa. Se essa veramente lo era, lo era però – al momento della nascita, da situarsi intorno al 1560, di Francisco López de Úbeda – da almeno sei generazioni. I López de Úbeda – presenti, secondo José Gómez-Menor Fuentes, 61 a Toledo già nel XIV secolo –, se erano originariamente ebrei, erano infatti diventati cristiani o prima del 1391 o, come gran parte degli ebrei della città, durante il massiccio movimento di conversioni 62 succeduto immediatamente alle sanguinose e generali persecuzioni scatenate in quell’anno contro le aljamas ebraiche. 63 Di grande importanza sarebbe conoscere la data della conversione della famiglia López de Úbeda – nel caso, naturalmente, che fosse stata realmente di origine ebraica – al cattolicesimo. Si deve tenere infatti presente che la stessa Inquisizione considerava come cristianos viejos gli ebrei convertiti al cattolicesimo prima del grande pogrom del 1391 e i ‘mori’ convertiti alla fede cattolica prima della loro conversione coatta, avvenuta al principio del XVI secolo. 64 Comunque, cattolica da quasi due secoli, o forse più, la famiglia di Francisco López de Úbeda si era pienamente integrata nella società spagnola, come tante altre famiglie di mercanti di Toledo di origine conversa. Questa piena integrazione è dimostrata anche dai risultati delle ricerche che María Gema Bartolomé Mateos ha effettuato, presso la Biblioteca de la Real Academia de la Historia, esaminando sistematicamente memoriali e alberi genealogici conservati nella imponente “Colección Luis de Salazar y Castro”. La studiosa ha potuto trovare dati su tre distinte persone recanti il nome Francisco López de Úbeda e su altre persone appartenenti alle loro famiglie. Nessuna di queste tre persone è identificabile con il presunto autore della Pícara Justina. Forse sono però imparentate con il “Licenciado Francisco de Vbeda natural de Toledo” menzionato nel frontespizio del romanzo picaresco. Le due “tablas genealógicas”, nelle quali ricorre il nome dei tre diversi Francisco López de Úbeda scoperti da María Gema Bartolomé Mateos, ‘provano’ che tutti e tre i Francisco López de Úbeda e i loro ascendenti e discendenti erano cristianos viejos. Nella prima delle due “tablas genealógicas” figura un Juan López de Úbeda, “oficial del Santo Oficio de Toledo”, che “presenta unas pruebas para acceder al hábito de Santiago en 1626” ; era “descendiente directo de un Francisco López de Úbeda”, sposato con D. Margarita de Chaves, ed aveva un nonno paterno chiamato Juan Álvarez de Úbeda e “un bisabuelo llamado ... licenciado Francisco López de Úbeda, consultor de los oficios de Toledo,  









61

  J. Gómez-Menor Fuentes : Cristianos nuevos y mercaderes de Toledo, p. XXX.   Francisco de Pisa scrive che San Vicente Ferrer aveva convertito 35.000 ebrei (Descripcion de la Imperial Civdad de Toledo, fo. 202r). 63   Cfr. J. Gómez-Menor Fuentes : Cristianos nuevos y mercaderes de Toledo, p. 6. – E. Benito Ruano : Los orígenes del problema converso, pp. 182-183. 64   Cfr. Historia de la Inquisición en España y América. Obra dirigida por Joaquín Pérez Villanueva y Bartolomé Escandell Bonet. II. Las estructuras del Santo Oficio. Madrid : Biblioteca de Autores Cristianos 1993, p. 226. 62









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que estaba casado con Teresa de Xaraña”. L’altra “tabla genealógica” della “familia de Úbeda, vecina de Toledo”, inizia “con el nombre de Hernán López de Úbeda y termina con su séptimo nieto, Martín de Zayas y Rivadeneyra”, cavaliere di Santiago e regidor di Toledo ; di questa famiglia era membro “un Francisco López de Úbeda, casado con Catalina Álvarez, e hijo de Bernardino de Úbeda”. Esiste inoltre un “memorial de actos positivos de nobleza y limpieza de sangre” della famiglia di Martín de Zayas y Rivadeneyra : “Pertenece a la sucesión de Francisco López de Úbeda, según reza en el mismo legajo”. Questo memorial “presenta toda la familia por ascendencia paterna y materna y de ambas partes se observan numerosos familiares que pertenecen a la orden de Santiago”. Infine, María Gema Bartolomé Mateos ha trovato, sempre nella “Colección Luis de Salazar y Castro”, una descrizione “de los enterramientos y epitafios del monasterio de la Sisla en Toledo, perteneciente a la Orden de S. Jerónimo”, dalla quale apprendiamo che “en el cuerpo de la Iglesia está enterrado ... Fernán López de Úbeda, muerto en 1457, y su mujer Constanza López, muerta en 1460”. I due avevano un figlio, Fray Sebastián, che “se sometió a la probanza de « limpieza de sangre » y salió triunfante”. La studiosa ritiene che questo Fernán López de Úbeda – completamente distinto dal sopra ricordato Hernán López de Úbeda capostipite della famiglia di Martín de Zayas y Rivadeneyra – sia “un posible ascendiente de nuestro autor”. 65 María Gema Bartolomé Mateos crede che i tre Francisco López de Ùbeda da lei scoperti fossero ‘cristiani vecchi’ e di poter quindi congetturare che il supposto autore della Pícara Justina “podía ser cristiano viejo, ya que otras ramas de la familia lo eran”. 66 La sua convinzione che i tre Francisco López de Ùbeda fossero cristianos viejos, la studiosa la fonda – molto ingenuamente – sugli alberi e memoriali genealogici nei quali figurano i loro nomi, sugli uffici e sugli hábitos degli Ordini Militari di numerosi membri delle loro famiglie che, per ottenerli, avevano dovuto necessariamente dimostrare di possedere il requisito della limpieza de sangre. Nel caso poi di Fernán López de Úbeda la qualità di cristiano viejo risulterebbe dalla sua sepoltura in una chiesa e dalla sua purezza di sangue, provata, questa, da un figlio che si era fatto frate (le due circostanze, commenta la studiosa, ci dimostrano che “no podía tratarse de una familia de ascendencia dudosa o conversa” 67). In realtà, gli alberi e i memoriali genealogici erano confezionati (o fatti confezionare) dagli stessi aspiranti ad un ufficio della Inquisizione, ad una juraduría, ad una regiduría o ad un hábito degli Ordini Militari, e quindi il loro valore documentale è spesso assai scarso, se non nullo ; sepolcri, talvolta sfarzosi, nelle chiese erano sovente costruiti da conversos ; uffici di consultor o di familiar del Sant’Uffizio li ottenevano anche persone di origine conversa ; infine, juradurías, regidurías e hábitos degli Ordini Militari erano frequentemente venduti per qualche migliaia di ducati dalla Corona. Con le falsificazioni della genealogia famigliare, la compiacenza spontanea o comprata di testimoni e la corruzione dei commissari incaricati delle famose probanzas, era facile, in quasi tutti i casi, ottenere certificati di limpieza de sangre. 68  





















65   María Gema Bartolomé Mateos : El licenciado López de Úbeda : el enigma de su personalidad y la autoría de La Pícara Justina. In : Anales Toledanos 35 (1998), 127-138 ; qui p. 135. 66   María Gema Bartolomé Mateos : El licenciado López de Úbeda, p. 135. 67   Di seguito a queste parole la studiosa scrive : “Es más, el bisnieto de ambos [Fernán López de Úbeda y Constanza López], un tal Juan Baptista de Úbeda, que era un Jurado de Toledo, hizo renovar las dos sepulturas el año 1562. Evidentemente, su descendencia también ocupaba cargos de consideración dentro de Toledo, ocupación vedada a los conversos” (M. Gema Bartolomé Mateos : El licenciado López de Úbeda, p. 135). 68   Proprio con riferimento ai conversos toledani, Juan Fernández de Loyola affermava : “Son tan grandes, señor, los atrevimientos de esta gente infecta de Toledo, ensoberbecida con los actos de la Inquisición que tienen ganados a peso de dineros, escrituras falsas y testigos, que no contentándose con poseer lo que jamás ellos  















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La studiosa sa, naturalmente, che uffici e croci di cavaliere venivano anche comprati, ma considera l’acquisto di uffici e di insegne degli Ordini Militari una pratica limitata “a contados ciudadanos acaudalados y reconocidos” ed esclude, come “probalidad bastante remota”, che fra questi pochi acquirenti vi fossero i membri delle famiglie López de Úbeda. Conclude pertanto la sua analisi sull’origine della famiglia del supposto autore della Pícara Justina (la studiosa non ha, ovviamente, dubbi che a scrivere l’opera sia stato Francisco López de Úbeda) così :  

[...] ante la imposibilidad de encontrar más datos sobre cualquiera de los Francisco López de Úbeda hallados hasta el momento, no cabe más que conjeturar que, al ser cualquiera de las tres familias de López de Úbeda casi con seguridad cristianos viejos [...], es muy posible que nuestro autor perteneciera a alguna de ellas y que, por tanto, fuera también cristiano viejo, a pesar de proceder su apellido de una ciudad andaluza con gran población morisca y de tener una profesión típica de moriscos. De esta manera, tenemos que rendirnos ante tales evidencias y rechazar cualquier otra conjeturación aventurada sobre si es converso o cristiano viejo. Es decir, la única base documental que poseemos nos demuestra que su linaje se compone de una serie de cristianos viejos que nos hace suponer que él lo fuera también. 69  

Come abbiamo già accennato, i preziosi dati raccolti da Gema Bartolomé Mateos documentano la piena integrazione delle varie famiglie López de Úbeda nella società di Toledo dei secoli XV-XVII. Infatti, seppure gli hábitos di Santiago, gli uffici di consultor della Inquisizione, le juradurías e le regidurías, i sepolcri nelle chiese e gli attestati di purezza di sangue, orgogliosamente annotati negli alberi e nei memoriali genealogici dei López de Úbeda, non possano assolutamente essere considerati – per tutto quello che conosciamo sulle oligarchie municipali, sulle falsificazioni genealogiche e sulla venalità degli uffici e dei cavalierati degli Ordini Militari – prove inoppugnabili di una origine cristiano-vieja, essi costituiscono invece, indubbiamente, prove certe, quanto vistose, della perfetta integrazione sociale delle famiglie i cui membri ostentavano tali insegne di cavaliere e immacolate genealogie, ricoprivano tali uffici e godevano pertanto di una posizione di privilegio, di preminenza e di distinzione. María Gema Bartolomé Mateos non ha soltanto raccolto i preziosi dati sopra illustrati sulle famiglie López de Úbeda. La studiosa ha esaminato – senza successo – i libri matrimoniali di numerose parrocchie toledane e madrilene degli anni 1590-1593 (della parrocchia madrilena di San Martín sono stati esaminati i libri degli anni 1585-1595) per trovare la registrazione del matrimonio di Francisco López de Úbeda con Jerónima de Loaisa 70 e ha cercato – egualmente senza successo – riferimenti al medico toledano nell’Archivo Histórico Provincial di Toledo e nell’Archivo Municipal della stessa città. 71 Infruttuosa è stata anche la ricerca di dati su Francisco López de Úbeda effettuata presso gli archivi del Palazzo Reale di Madrid. 72 Basandosi sulla menzione che l’autore della Pícara Justina fa del Duca di Medina Sidonia (o di suo figlio, il Conte di Niebla) e dell’Ammiraglio di Castiglia, Duca di Medina di Rioseco, María Gema Bartolomé Mateos ha inoltre cercato  





ni sus pasados llegaron a imaginar, aspiran hoy a lo sagrado de los hábitos de los órdenes militares...”. Cit. da F. J. Aranda Pérez : Poder y poderes en la Ciudad de Toledo. Gobierno, sociedad y oligarquías urbanas en la Edad Moderna, p. 306. Il documento è conservato nell’Archivo Histórico Nacional : Informaciones del regidor Tomás Ordoñez de Sampedro, Órdenes Militares, Santiago, expediente 5946 (1645). 69   M. Gema Bartolomé Mateos : El licenciado López de Úbeda, p. 136. 70   M. Gema Bartolomé Mateos : El licenciado López de Úbeda, pp. 128-130. 71   M. Gema Bartolomé Mateos : El licenciado López de Úbeda, p. 129. 72   M. Gema Bartolomé Mateos : El licenciado López de Úbeda, p. 130.  











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tracce di una eventuale relazione dello scrittore con i due Grandi di Spagna nell’Archivo Histórico Nacional, dove sono conservati gli archivi della Casa dei Duchi di Osuna (il Ducato di Medina di Rioseco era stato incorporato nel Ducato di Osuna, 73 nel quale erano confluiti – dalla fine del XVIII alla metà del XIX – anche i Ducati di Arcos, Béjar, Gandía e Benavente), e nella Biblioteca Nacional di Madrid, nell’Archivo General di Simancas e nell’Archivo Municipal di Medina di Rioseco, senza trovarne alcuna 74 (l’assenza di tracce è di una certa rilevanza per quanto concerne gli eventuali rapporti dello scrittore con l’Ammiraglio di Castiglia – sempre che l’archivio della Casa dei Duchi di Medina di Rioseco sia stato trasmesso completo alla Casa dei Duchi di Osuna e trasferito, successivamente, completo nell’Archivo Histórico Nacional ; per quanto concerne invece gli eventuali rapporti dello scrittore con il Duca di Medina Sidonia – o con suo figlio, il Conte di Niebla –, l’assenza di tracce nei fondi consultati dalla studiosa è meno significativa perché l’immenso archivio della Casa dei Duchi di Medina Sidonia non è depositato in archivi pubblici, ma è ancora conservato nel Palacio de los Condes de Niebla di Sanlúcar de Barrameda ; 75 si deve inoltre tener presente che la studiosa ha cercato nei documenti il nome di Francisco López de Úbeda, e non di Fray Baltasar Navarrete, l’altro possibile autore della Pícara Justina). Infine, la studiosa ha voluto verificare se effettivamente Francisco López de Úbeda aveva frequentato l’Università di Alcalá, come l’autore della Pícara Justina afferma nel « Prólogo al lector » (“este juguete, que hize siendo estudiante en Alcala…” 76). All’uopo ha consultato negli archivi dell’Università di Alcalá i libri delle immatricolazioni degli anni 1580-1588, gli elenchi degli studenti che negli anni 1582-1605 avevano conseguito il grado di bachiller e gli elenchi degli studenti che, sempre negli anni 1582-1605, avevano ottenuto il grado di licenciado. Il nome di Francisco López de Úbeda non figura né nei libri delle immatricolazioni né negli elenchi dei bachilleres e dei licenciados. 77 Uno dei pochissimi dati biografici ritenuti sicuri su Francisco López de Úbeda si rivela così infondato. La scarsezza dei dati ‘positivi’ rinvenuti (ma nelle ricerche di archivio sono di grande utilità anche i dati ‘negativi’), certe ingenuità nel considerare veritieri alberi e memoriali genealogici e certe incomprensibili lacune – la studiosa stranamente non conosce i lavori di José Gómez-Menor Fuentes sulle famiglie toledane e neppure i tre importanti documenti su Francisco López de Úbeda scoperti da Mercedes Agulló y Cobo (quindi non conosce l’esistenza della prima moglie del medico toledano, Isabel de Barrientos, e dei suoi parenti, né dei figli Maximiliano e Francisco, 78 né dei loro padrini di battesimo) – non diminuiscono minimamente il merito di María Gema Bartolomé Mateos di aver effettuato il più impegnativo, vasto e sistematico tentativo di ricerca di dati sulla vita del supposto autore della Pícara Justina.  





   











73   Cfr. Ignacio Atienza Hernández : Aristocracia, poder y riqueza en la España Moderna. La Casa de Osuna, siglos XV-XIX, pp. 75-76, p. 109, p. 265. 74   M. Gema Bartolomé Mateos : El licenciado López de Úbeda, p. 130. 75   Cfr. Luisa Isabel Álvarez de Toledo : Alonso Pérez de Guzmán, General de la Invencible. 76   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « PROLOGO AL LECTOR », fo. [A6v]. 77   M. Gema Bartolomé Mateos : El licenciado López de Úbeda, p. 131. 78   Se la studiosa avesse conosciuto la « Partida de bautismo » di Francisco, figlio di Francisco López de Úbeda e di Jerónima de Loaisa, non avrebbe potuto giungere “a la conclusión de que su boda no aparece en los archivos, bien porque se encuentre entre los documentos desaparecidos, bien porque no se llegaran a casar finalmente, tal y como ocurría en algunas ocasiones” (M. Gema Bartolomé Mateos : El licenciado López de Úbeda, p. 130).  

















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Il processo di integrazione sociale, di assimilazione culturale e religiosa e di amalgamazione biologica 79 dei conversos nella città di Toledo  

Il processo di integrazione sociale ed anche di “integración racial” 80 era certamente stato discontinuo e difficile, avendo i conversos suscitato – per il loro potere economico, per il loro predominio nella amministrazione locale 81 e per le loro attività di esattori, di appaltatori, di finanzieri, di mercanti e di artigiani 82 – sia l’avversione dei ceti popolari (il cosí detto pueblo menudo), che li invidiavano per la loro ricchezza 83 e li odiavano per i loro prestiti usurari (interessi annui del 33% dai tempi di Alfonso X), 84 per le loro funzioni amministrative ed esattoriali e per le loro speculazioni finanziarie e commerciali, 85  











79   I concetti ‘integrazione’ e ‘assimilazione’ vengono spesso usati come sinonimi, senza differenziare. Anche per la fusione biologica di due gruppi sociali si usa comunemente il termine ‘assimilazione’, invece del termine ‘amalgamazione’ (amalgamation). Per maggiore precisione, noi usiamo i concetti ‘integrazione’, ‘assimilazione’ e ‘amalgamazione’ secondo la codificazione elaborata da George A. Theodorson e Achilles G. Theodorson : Dizionario di sociologia. Napoli : Alberto Marotta Editore 1975, p. 9, p. 24, p. 229. 80   J. Gómez-Menor Fuentes : Cristianos nuevos y mercaderes de Toledo, p. IX. 81   Francisco Márquez Villanueva : Conversos y cargos concejiles en el siglo XV. In : Revista de Archivos, Bibliotecas y Museos, Tomo LXIII, 2. – 1957, pp. 503-540 ; qui p. 538 (il saggio è stato ora riprodotto in : F. M. V. : De la España judeoconversa. Doce estudios. Barcelona : Edicions Bellaterra 2006, pp. 137-174). – Yolanda Guerrero Navarrete : Elites urbanas en el siglo XV : Burgos y Cuenca. In : Revista d’Història Medieval, Universitat de València, 9 (1998), 81-104 ; qui p. 89. 82   Sugli uffici, mestieri e professioni esercitati dai conversos toledani, cfr. Rafael Carrasco : Solidaridades judeoconversas y sociedad local. In : Inquisición y conversos. Conferencias pronunciadas en el III curso de cultura hispano-judía y sefardí de la Universidad de Castilla la Mancha. Celebrado en Toledo del 6 al 9 de septiembre de 1993. Toledo : Museo Sefardí - Caja de Castilla la Mancha 1994, pp. 61-79 ; qui p. 64-67. – F. Cantera Burgos (con la colaboración de Pilar León Tello) : Judaizantes del arzobispado de Toledo habilitados por la Inquisición en 1495 y 1497, pp. XI-XXIII. – L. Martz : A Network of Converso Families in Early Modern Toledo, pp. 68-74. – Vincent Parello : Les judéo-convers. Tolède XVe-XVIe siècles. De l’exclusión à l’intégration. Préface de Raphaël Carrasco. Paris : L’Harmattan 1999, pp. 47-53, pp. 160-188, pp. 240-250, pp. 262-265. 83   Sulla ‘ricchezza’ dei conversos toledani intorno al 1495 cfr. R. Carrasco : Solidaridades judeoconversas y sociedad local, pp. 61-79. 84   Cfr. Julio Valdeón Baruque : Los conflictos sociales en el Reino de Castilla en los siglos XIV y XV (= Historia de los Movimientos Sociales). Madrid : Siglo XXI de España 1979, p. 126. 85   Fra il 1495/1497 e il 1535/1575 cresce enormemente all’interno del settore terziario (1495/1497 : 35,7% ; 1535/1575 : 51%) il numero dei conversos attivi nei settori del commercio e della finanza (allora tanto strettamente collegati), passando dal 45 al 70% (parallelamente diminuisce il numero dei conversos dediti alle professioni liberali - dal 36,5% all’8% – e impiegati nel servizio domestico di qualche signore – dal 10,5% al 4% ; si raddoppia abbondantemente invece il numero dei conversos impiegati nella amministrazione locale – dall’8 al 18%). I conversos attivi nel settore primario sono lo 0,9% nel 1495/1497 (questo confermerebbe la fondatezza della corrispondenza contadino-cristiano viejo, tradizionalmente affermata) ; negli anni 1535/1575 un 7% dei conversos sono proprietari di terre (non coltivate direttamente però, ma affidate a fittavoli). La percentuale dei conversos attivi nel settore secondario (artigianato urbano) è molto alta (63,4%) alla fine del XV secolo, ma decresce rapidamente nel corso del XVI secolo (37% nel 1535/1575). Le ‘vocazioni’ religiose salgono dallo 0,0% nel 1495/1497 al 5% nel 1535/1575. I dati di questa “sociología conversa” elaborata da Rafael Carrasco riguardano esclusivamente la popolazione conversa della diocesi di Toledo. Non si tratta però dell’intera popolazione conversa della diocesi di Toledo, ma solo di un suo segmento, costituito dalle famiglie di conversos habilitados o coinvolti in processi inquisitoriali. Le variazioni percentuali segnalate sono quindi esclusivamente variazioni all’interno di questo segmento, che secondo lo studioso rappresenta forse un 8-10% della popolazione conversa totale. Il sample analizzato è stato formato, come già accennato, sulla base di dati desunti da due diverse fonti : la lista di “habilitados por el Santo Oficio en 1495 y en 1497” e la lista composta con i dati che offrono “los procesos por inhabilitación incoados entre 1535 y 1575”. Pur tenuto conto della peculiarità e limitazione del sample analizzato, l’aumento d’interesse per le occupazioni altamente lucrative, quali il commercio e la finanza, per le carriere amministrative, dispensatrici di onore, prestigio sociale e potere, e per il sacerdozio, o il monacato, è fenomeno talmente vistoso, da farci considerare come rappresentativi di una tendenza generale dell’intera popolazione conversa i dati statistici elaborati da Rafael Carrasco. Cfr. R. Carrasco : Solidaridades judeoconversas y sociedad local, pp. 64-67.  





























































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sia il risentimento di alcuni settori delle vecchie élites, che vedevano minacciata la loro preminenza politica e sociale da questi gruppi emergenti di nuovi ricchi e parvenus. 86 La storia di Toledo è contrassegnata da insurrezioni popolari (talvolta contrastate dalla nobiltà – nella Città Imperiale, 87 come altrove 88 –, talvolta capeggiate da alcuni nobili) contro i conversos (1355, 1366-1369, 1391, 1449, 1467) 89 e da tentativi di emarginarli, di escluderli dalle cariche della pubblica amministrazione (1449 : Sentencia-Estatuto di Pero Sarmiento) 90 e da tutti i benefici, prebende e dignità della Cattedrale (1547 : Estatuto de  













86   Scriveva Fernando de Pulgar in una sua « Letra » del 1478 indirizzata ad un amico di Toledo : “En esa noble cibdad [de Toledo] no se puede buenamente sofrir que algunos que iuzgáys no ser de linaje tengan honras e oficios de governación ; porque entendéys que el defecto de la sangre les quita la abilidad del governar. Asimismo se sufre gravemente ver riquezas en ommes que se cree no las merecer, en especial aquellos que nuevamente las ganaron. Destas cosas, que se sienten ser graves e incorportables, se engendra un mordimiento de enbidia tal, que atormenta e mueve ligeramente á tornar [tomar] armas e fazer insultos. ¡O tristes de los nuevamente ricos, que tienen guerra con los mayores porque los alcançan, y con los menores porque no pueden alcançar ! ; y devrían considerar los mayores que ovo comienço su mayoría, e los menores que la pueden aver.” Cfr. Fernando del Pulgar : Letras. Edizione critica, introduzione e note a cura di Paola Elia, « Letra XIV », pp. 67-68. Cfr. anche Eloy Benito Ruano : Toledo en el siglo XV. Vida política (= C. S. I. C. Escuela de Estudios Medievales. Estudios, Vol. XXXV). Madrid : C. S. I. C. 1961, p. 156. 87   Nel 1355, per esempio, durante una insurrezione, la Judería Mayor di Toledo fu difesa dalla piccola nobiltà toledana dagli attacchi delle truppe di Enrico II che, entrate nella città, saccheggiarono la Judería Menor e uccisero centinaia di ebrei. Cfr. José M.a Monsalvo Anton : Teoría y evolución de un conflicto social. El antisemitismo en la Corona de Castilla en la Baja Edad Media, p. 236. 88   Intorno al 1450 il Conte di Haro difese con le sue armi i ricchi convertiti di Burgos. Don Alonso de Aguilar, Conte e poi Marchese di Aguilar, fratello di Don Gonzálo Fernández de Córdoba (il futuro Gran Capitano, creatore dei tercios), Don Diego Hernández, Conte di Cabra, e Don Rodrigo Girón, Maestre dell’Ordine di Calatrava, difesero i conversos durante la rivolta scoppiata a Córdoba alla fine del 1473 e all’inizio del 1474 ed estesasi ad altre città dell’Andalusia. Cfr. Mosén Diego de Valera : Memorial de diversas hazañas. In : Crónicas de los Reyes de Castilla desde don Alfonso el Sabio, hasta los Reyes Católicos Don Fernando y Doña Isabel. Colección ordenada por don Cayetano Rosell. Tomo tercero (= Biblioteca de Autores Españoles, 70). Madrid : Atlas 1953, pp. 3-95 ; qui pp. 77-78. – Jaime Contreras : Conversión, riqueza y poder político. Revueltas urbanas en Castilla. S. XV. In : Ciudad y mundo urbano en la época moderna. Dirigido por Luis A. Ribot García y Luigi de Rosa. Madrid : Editorial ACTAS 1997, pp. 93-115 ; qui pp. 93-99, p. 114. 89   Cfr. J. Valdeón Baruque : Los conflictos sociales en el Reino de Castilla en los siglos XIV y XV, pp. 125-139, 174-183. 90   La ‘dottrina’ della Sentencia-Estatuto di Pero Ruyz Sarmiento, Repostero mayor di Juan II e Alcalde de las Alzadas (‘giudice d’appello’) nella Città di Toledo, fu subito confutata da D. Alonso de Cartagena, Vescovo di Burgos, nel suo Defensorium Unitatis Christianae (1449), dal Vescovo di Cuenca, D. Lope Barrientos, nel suo trattatello Contra algunos zizañadores de la nación de los convertidos del pueblo de Israel (1449), dal cardinale Juan de Torquemada nel suo Tratado contra los madianitas e ismaelitas adversarios et detractores filiorum qui de populo israelitico originem traxerunt (1450), dal giurista (converso) Fernán Díaz de Toledo, che ricopriva come Relator uno degli uffici più elevati della regia burocrazia, nella sua Instrucción para el obispo de Cuenca, a favor de la nación Hebrea (1449) e dall’illustre giurista Alonso Díaz de Montalvo nel trattato, scritto su ordine di Juan II, intitolato De la unidad de los fieles (1449 ; questo trattato fu poi incorporato da Montalvo nel suo commento del Fuero Real de España). Il papa Nicola V promulgò il 24 settembre 1449 la bolla Humani generi inimicus (riprodotta in E. Benito Ruano : Toledo en el siglo XV, pp. 198-201), con la quale si condannava la discriminazione dei conversos effettuata dagli insorti toledani ed ogni discriminazione fondata sulla origine dei fedeli. Sempre il 24 settembre 1449 Nicola V promulgò un’altra bolla (riprodotta in E. Benito Ruano : Toledo en el siglo XV, pp. 201-203), con la quale venivano scomunicati Pero Sarmiento e i suoi seguaci (su preghiera di Juan II Nicola V sospenderà la scomunica il 28 ottobre 1450). Juan II aveva ratificato nel 1451 la norma dello Statuto sulla esclusione dei conversos dagli uffici pubblici toledani. Nonostante questa ratifica, conversos come Fernando de la Torre e Alonso de la Torre o come il licenciado Alonso Franco erano, nel 1467, jurados o regidores della città. Dopo i sanguinosi moti dell’estate 1467 fu di nuovo richiesta – come diremo piú avanti – l’esclusione dei conversos dagli incarichi pubblici (ed ecclesiastici). Enrique IV, prima (3 luglio 1468) confermò l’esclusione dagli uffici pubblici dei conversos, poi (10 giugno 1471) li reintegrò nei loro incarichi (con questa decisione cresceva molto il numero di jurados, escribanos e regidores – secondo la testimonianza di Pedro de Alcocer il numero di questi salí, provvisoriamente, sino a 52 – dell’Ayuntamiento di Toledo). Isabella di Castiglia e Fernando d’Aragona appoggiarono apertamente i conversos e affidarono loro alte cariche. Tentarono anche di dissuadere i monaci geronimiani dall’adottare misure di esclusione nei confronti dei conversos (nonostante l’intervento di Fernando e Isabella il Capitolo ge 







   





































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Limpieza di Juan Martínez Silíceo). 91 Furono comunque tutti tentativi di ben scarsa efficacia, sia quelli del 1449, 92 che quelli del 1467 93 e del 1547. Così, per esempio, addirittura  





nerale dell’Ordine introdusse nel 1486 l’Estatuto de limpieza). Cfr. D. Alonso de Cartagena, Obispo de Burgos : Defensorium Unitatis Christianae (Tratado en favor de los judíos conversos). Edición, prólogo y notas por el P. Manuel Alonso, S. J. (= Consejo Superior de Investigaciones Científicas. Instituto Arias Montanos. - Escuela de Estudios Hebraicos, Serie B. Núm. 2). Madrid : C. S. I. C. 1943. – Fernán Díaz de Toledo : Instrucción del Relator para el obispo de Cuenca, a favor de la nación Hebrea. Año de 1449. In : D. Alonso de Cartagena, Obispo de Burgos : Defensorium Unitatis Christianae. Edición, prólogo y notas por el P. Manuel Alonso, S. J. Madrid : C. S. I. C. 1943, pp. 343-356. – Juan de Torquemada : Tractatus contra madianitas et ismaelitas. Edición crítica de Ángel Martínez Casado. In : Eloy Benito Ruano – Carlos del Valle R. – Justo Formentín Ibáñez, et al. : Tratado contra los madianitas e ismaelitas de Juan de Torquemada (Contra la discriminación conversa). Editor : Carlos del Valle Rodriguez (= España judía. Serie : Conversos). Madrid : Aben Ezra Ediciones 2002, pp. 125-239. – Pedro de Alcocer : Hystoria, o Descripcion dela Imperial cibdad de Toledo, fo. LXXVIv (in realtà 78v). – A. A. Sicroff : Les controverses des Statuts de « pureté de sang » en Espagne du XVe au XVIIe siècle, p. 36-62. – E. Benito Ruano : Toledo en el siglo XV, pp. 33-81, 93-138, 222-223, 248-249, 262-265. – E. Benito Ruano : Los orígenes del problema converso, pp. 39-82, 141-158. – B. Netanyahu : Los orígenes de la Inquisición en la España del siglo XV. Barcelona : Crítica 1999, pp. 317-598. – Carlos del Valle Rodríguez : En los orígenes del problema converso. In : Eloy Benito Ruano – Carlos del Valle R. – Justo Formentín Ibáñez, et al. : Tratado contra los madianitas e ismaelitas de Juan de Torquemada (Contra la discriminación conversa). Editor : Carlos del Valle Rodriguez Madrid : Aben Ezra Ediciones 2002, pp. 29-74. – Beltrán de Heredía : Las bulas de Nicolas V acerca de los conversos de Castilla. In : Miscelanea Beltrán de Heredía. Colección de artículos sobre historia de la teología española. Tomo I. Salamanca : Editorial OPE 1971, pp. 387-402. – Henry Kamen : Una crisis de conciencia en la Edad de Oro en España : Inquisición contra “Limpieza de sangre”. In : Bulletin Hispanique 88 (1986), 321-356 ; qui pp. 322-324. – Teófanes Egido : La defensa de los conversos. Instituciones de la España Moderna. 2 : Dogmatismo e intolerancia. Coordinado por Enrique Martínez Ruiz y Magdalena de Pazzis Pi. Madrid : Actas Editorial 1997, pp.191-208. 91   “Estatuimos y ordenamos que de aqui adelante para siempre jamas todas las personas que en la dicha Santa Iglesia [de Toledo] hubieren de ser Beneficiados y tener en ella entrada ansi Dignidades, Canonigos, como Racioneros, Capellanes, Clerizones, sean personas Ilustres ó nobles, ó hijosdalgo, ó Letrados, o graduados en famosa Universidad, conque todos los sobredichos sean Christianos Viejos y que ninguno de los sobredichos decienda de linage de Judios ni de Moros ni de Herejes e que sin la dicha calidad de Christiano Viejo ninguno de los sobredichos no sea recivido ni admitido á ella.” Cfr. Estatvto de la S.ta Iglesia de Toledo. Relacion de lo que pasó al hacer el Estatuto de Limpieza que tiene la Santa Iglesia de Toledo para los que han de ser Prevendados en ella, el qual se hizo siendo Arzobispo D.n Juan Martinez Siliceo, Año de 1547 (Madrid, Biblioteca Nacional : Ms. 13038), fo. 4r (il testo dello Statuto vero e proprio proposto da Silíceo, è intitolato « Proposicion en Cabildo pleno » ed occupa, comprendendo sia l’elenco dei nomi dei votanti favorevoli e contrari sia la dichiarazione di D. Diego de Castilla, che sarà ripetuta ai fogli 47r-48r, i fogli 3r-7v). Copia dello Statuto di Silíceo e dei documenti relativi ad esso sono contenuti anche nel Ms. 9175 (fo. 43r-66r) della Biblioteca Nacional di Madrid ed è stata riprodotta in : Sebastián de Horozco (¿1510-1581 ?) : Relaciones históricas toledanas. Introducción y Transcripción de Jack Weiner (= Publicaciones del Instituto Provincial de Investigaciones y Estudios Toledanos. Serie segunda, vol. 8). Toledo : I. P. I. E. T. 1981, pp. 47-96. Lo Statuto di Silíceo non riguardava i beneficia ecclesiastici relativi alle parrocchie di Toledo. A partire dal 1565 il Consejo de la Gobernación dell’Arcivescovado di Toledo inserí però fra i criteri ‘astratti’ di valutazione per ordinare i nuovi sacerdoti anche la limpieza. La mancanza di questo requisito non era comunque determinante nella pratica e l’origine conversa non escludeva dall’ordinazione (e quindi dal conferimento di ‘benefici’). Sui “critères d’accès aux ordres” e i benefici (107 di numero) delle parrocchie toledane, cfr. Ricardo Sáez : Le clergé des paroisses de Tolède à la fin du XVIe siècle (possibilités et limites d’une recherche). In : Tolède et l’expansion urbaine en Espagne, 1450-1650 (= Collection de la Casa de Velázquez, 32). Madrid : Casa de Velázquez 1991, pp. 205-224. Lo stesso studioso ha anche potuto osservare che la “impurité généalogique” costituiva un ostacolo quasi insignificante per l’accesso agli ordini sacri. Su un corpo di 500 probanzas dell’Arcivescovado di Toledo egli ha infatti trovato solo tre casi di candidati a cui fu rifiutata l’ordinazione. Cfr. Ricardo Sáez : Aperçus sur les parentés réelles et sur les parentés fictives en Espagne aux XVIe et XVIIe siècles, à travers les archives ecclésiastiques de l’Archevêché de Tolède, p. 15. 92   Cfr. F. Márquez Villanueva : Conversos y cargos concejiles en el siglo XV, p. 512. 93   Sui tragici moti contro i conversos scoppiati a Toledo nell’estate del 1467, cfr. E. Benito Ruano : Toledo en el siglo XV, pp. 93-102. – E. Benito Ruano : Los orígenes del problema converso, pp. 141-158. – B. Netanyahu : Los orígenes de la Inquisición en la España del siglo XV, pp. 696-719. Come nel 1449, anche nel 1467 si ordina, secondo una relazione contemporanea dei moti, “que ni oficio ni beneficio esta gente [los conversos] no goce ni le sea dado”. Cfr. « Traslado de una carta que está en los Archivos de esta Santa Iglesia de Toledo, y que escribió Pedro de Mesa, canónigo de ella, año de 1467, en razon del caso que sucedió por Alvar Gomez, escribano del Rey y Alcalde Mayor de la Ciudad. » In : D. Antonio Martín Gamero : Historia de la Ciudad de Toledo, sus claros  











































































































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negli anni immediatamente successivi all’entrata in vigore del famoso Statuto di Juan Martínez Silíceo – duramente avversato, appena fu proposto, dagli arcidiaconi Don Pedro González de Mendoza e Don Álvaro de Mendoza, figli del Duca dell’Infantado, 94 da diversi canonici, 95 dallo stesso decano del Capitolo della Cattedrale di Toledo, Don Diego de Castilla, 96 un nobile che aveva sia antenati di sangue reale, sia antenati conversos, 97 dal grande teologo domenicano Melchor Cano (Adversus Statutum Ecclesiae Toletanae), 98 dalla Università di Alcalá 99 e perfino dal Consejo Real 100 –, canonici conversos entrarono nel Capitolo della Cattedrale di Toledo 101 e vi rimasero, come stabilito, del resto, esplicitamente nello stesso Estatuto de Limpieza, 102 quei canonici conversos che ne facevano parte prima della sua approvazione.  

















varones y monumentos, pp. 1040-1045. Alla esclusione dei conversos dagli uffici pubblici ed ecclesiastici – misura che, come si è detto sopra, fu prima ratificata e poi annullata da Enrique IV – Alfonso de Palencia (Gesta Hispaniensia ex annalibvs svorvm diervm collecta. Tomo 2. Libri VI-X. Edición, estudio y notas de Brian Tate y Jeremy Lawrance. Madrid : Real Academia de la Historia 1999, pp. 415-416) accenna di sfuggita alla fine della sua descrizione dei sanguinosi avvenimenti (“Omnis deinde populus nouus exuitur opibus exiliumque incurrit cum obprobrio inenarrabili”). 94   Cfr. il « Requirimento » presentato dai fratelli Mendoza (Estatvto de la S.ta Iglesia de Toledo. Relacion de lo que pasó al hacer el Estatuto de Limpieza que tiene la Santa Iglesia de Toledo, fo. 35r-38r). Sulla opposizione allo Statuto cfr. Toledo en el siglo XVI después del vencimiento de las Comunidades. Discursos leídos ante la Real Academia de la Historia en la recepción pública del Ilmo. Señor D. Jerónimo López de Ayala y Álvarez de Toledo, Conde de Cedillo, Vizconde de Palazuelos, el día 23 de Junio de 1901. Madrid : Imprenta de los Hijos de M. G. Hernández 1901, pp. 46-50 e 133-135. 95   Cfr. la « Carta, que escrivieron al Consejo Real, los que contradixeron el Estatuto » (Estatvto de la S.ta Iglesia de Toledo, fo. 48r-63r). Molti degli argomenti esposti in questa lettera – pericolosità degli Statuti, che all’interno daranno origine a discordie e all’estero saranno usati per diffamare la Spagna ; scarsa attendibilità delle informazioni genealogiche, fondate non su “vista de Ojos”, ma su “relacion vaga y popular” e su testimoni che possono essere non veritieri per inimicizia o per interesse ; impossibilità di accertare se coloro che si dicono, o sono ritenuti, cristianos viejos, siano veramente tali, oppure se tali sono considerati perché discendenti da oscure famiglie del cui passato non è rimasta memoria – si ritroveranno nei ‘discorsi’ e nei memoriali scritti posteriormente contro gli Statuti di purezza di sangue. 96   Cfr. la « Contradicion de D. Diego de Castilla Dean de la Santa Iglesia de Toledo » (Estatvto de la S.ta Iglesia de Toledo, fo. 47r-48r). 97   Il lignaggio dei Castilla discendeva da un figlio illegittimo del re Pedro I (el Cruel) e di una ebrea. Cfr. Gerónimo de Quintana : Historia de la Antiguedad, Nobleza y Grandeza de la villa de Madrid. Tomo I, fo. 207v-208r. – A. A. Sicroff : Les controverses des Statuts de « pureté de sang » en Espagne du XVe au XVIIe siècle, p. 103. - Julio Caro Baroja : Los Judíos en la España Moderna y Contemporánea. Tomo II. Madrid : Ediciones ISTMO 1978, p. 270 e pp. 298-299. – Enrique Soria Mesa : La nobleza en la España moderna. Cambio y continuidad, p. 197. 98   Cfr. N. Antonius : Bibliotheca Hispana Nova. Tomus secundus, p. 122. – Antonio Domínguez Ortiz : Los Judeoconversos en España y América, p. 183. 99   Cfr. la « Carta de la Universidad de Alcala, para el Dean de Toledo en reprobacion del Estatuto hecho » (Estatvto de la S.ta Iglesia de Toledo, fo. 63r-67v). In questa lettera si definisce lo Statuto “Zizaña, que el Demonio hà sembrado en los Corazones de los Beneficiados” della Cattedrale di Toledo e si loda don Diego de Castilla per essersi opposto alla sua approvazione. 100   “El Consejo Real, máximo tribunal del reino, afirmó que « este estatuto es ynjusto y escandaloso y que de la execucion del se podrian seguir muchos ynconvinientes »” (Henry Kamen : Felipe de España. Madrid : siglo veintiuno editores. 1997, p. 34). 101   Cfr. A. A. Sicroff : Les controverses des Statuts de « pureté de sang » en Espagne du XVe au XVIIe siècle, p. 120. – J. Gómez-Menor Fuentes : Cristianos nuevos y mercaderes de Toledo, p. 27. – Julio Caro Baroja : Los Judíos en la España Moderna y Contemporánea. Tomo II, pp. 303-304, nota nro. 64. – H. Kamen : Una crisis de conciencia en la Edad de Oro en España : Inquisición contra “Limpieza de sangre”, pp. 330-331. Uno dei motivi che spinsero Silíceo a stabilire il suo Statuto era proprio il numero elevato di conversos nel Capitolo della Cattedrale e l’accumularsi di benefici ecclesiastici nelle mani di famiglie conversas toledane. Cfr. in proposito Albert A. Sicroff : Les controverses des Statuts de « pureté de sang » en Espagne du XVe au XVIIe siècle, pp. 117-120. 102   Cfr. Estatvto de la S.ta Iglesia de Toledo, fo. 5r (“declaramos que este nuestro estatuto ó constitucion no perjudique à las Dignidades Canonigos ó Racioneros que ahora son [...] aunque en ellos no concurran las Calidades que se requieren por este nuestro Estatuto...”).  





































































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I frequenti contraccolpi ostacolano e ritardano, ma non bloccano il processo di integrazione sociale, assimilazione culturale e religiosa e amalgamazione biologica, come è provato da una ricca serie di dati genealogici esposti nei loro libri da José GómezMenor Fuentes, da Francisco J. Aranda Pérez, da Linda Martz e da Vincent Parello. I discendenti delle antiche famiglie toledane ebraiche non solo erano, come già per antica tradizione, esattori di imposte di ogni specie (anche delle decime della Chiesa) e appaltatori di rendite (del Re, di nobili, di cattedrali, di chiese, di monasteri, ecc. ecc.) – l’occupazione preferita degli ebrei 103 –, segretari e amministratori dei grandi signori feudali, 104 amministratori di patrimoni e di case, medici, farmacisti, chirurghi, avvocati, notai, mercanti, orefici, gioiellieri, argentieri, traperos, ropavejeros, macellai, pellicciai, artigiani, finanzieri, usurai, cambiavalute, 105 ma con la conversione al cristianesimo erano divenuti ‘giuridicamente’ idonei a ricoprire gli uffici del governo e della amministrazione municipali che erano stati preclusi agli ebrei. 106 (I conversos ricoprivano, oltre a vari posti nei governi municipali e nell’amministrazione dei beni della Chiesa e dei patrimoni degli Ordini Militari e delle case nobiliari, anche importantissimi uffici nel governo e nella amministrazione centrali. Ecco alcuni esempi. Furono segretari del Re, la più alta carica della regia burocrazia, Fernán Díaz de Toledo, Fernando - o Fernán  







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  Pilar León Tello : Judíos de Toledo. Tomo I. Estudio histórico y colección documental, p. 246.   Cfr. Isabel Beceiro Pita : La vinculación de los judíos a los poderes señoriales castellanos (siglos XII-XV). In : Carlos Barros, editor : Xudeus e conversos na historia. Actas do Congreso Internacional, Ribadavia 14-17 de outubro de 1991. Tomo II. Santiago de Compostela : Deputación Ourense - La Editorial de la Historia 1994, pp. 95-109. 105   Parlando delle attività degli ebrei dell’epoca antecedente il decreto di espulsione del 1492, Andrés Bernáldez scrive : “estos judios de Castilla [...] estaban heredados en las mejores ciudades, villas é lugares, é en las tierras mas gruesas é mejores, y por la mayor parte moraban en las tierras de los señorios, é todos eran mercaderes é vendedores, é arrendadores de alcabalas é rentas de achaques, y hacedores de señores, tundidores, sastres, zapateros, curtidores, zurradores, tejedores, especieros, buhoneros, sederos, plateros, y de otros semejantes oficios ; que ninguno rompia la tierra, ni era labrador, ni carpintero, ni albañiles, sino todos buscaban oficios holgados, é de modo de ganar con poco trabajo ; eran gente muy sotil, y gente que vivia comunmente de muchos logros y osuras con los christianos, y en poco tiempo muchos pobres de ellos eran ricos. Eran entre sí muy caritativos los unos con los otros.” Cfr. Historia de los Reyes Católicos Don Fernando y Doña Isabel, escrita por el Bachiller Andrés Bernáldez, cura que fué de la Villa de los Palacios y Capellán de Don Diego Deza, Arzobispo de Sevilla. In : Crónicas de los Reyes de Castilla desde don Alfonso el Sabio, hasta los Reyes Católicos Don Fernando y Doña Isabel. Colección ordenada por don Cayetano Rosell. Tomo tercero (= Biblioteca de Autores Españoles, 70). Madrid : Atlas 1953, pp. 567-773 ; qui p. 653. Sulle attività degli ebrei cfr. anche J. GómezMenor Fuentes : Cristianos nuevos y mercaderes de Toledo, p. 6. – Julio Caro Baroja : Los Judíos en la España Moderna y Contemporánea. Tomo I. Madrid : Ediciones ISTMO 1978, pp. 80-83. – Maurice Kriegel : Les juifs à la fin du Moyen Age dans l’Europe méditerranéenne. Paris : Hachette 1979, pp. 71-109. – José M.a Monsalvo Anton : Teoría y evolución de un conflicto social, pp. 55-70. – Jesús Manuel López Martín : Paisaje urbano de Plasencia en los siglos XV y XVI, pp. 43-44, pp. 119-121, pp. 214-216, pp. 223-224, pp. 434-435. – Miguel Ángel Ladero Quesada : Sevilla y los Conversos : Los ‘Habilitados’ en 1495. In : Carlos Barros, editor : Xudeus e conversos na historia. Actas do Congreso Internacional, Ribadavia 14-17 de outubro de 1991. Tomo II. Santiago de Compostela : Deputación Ourense - La Editorial de la Historia 1994, pp. 47-67 ; qui pp. 61-66. 106   Las Siete Partidas prescrivevano che “ningun judio nunca ouiesse jamas lugar honrrado, nin oficio publico”. Agli ebrei che si fossero convertiti, o si convertissero, veniva però riconosciuta piena eguaglianza giuridica con i cristiani : “mandamos que despues que algunos judios se tornaren christianos, que todos los de nuestro señorio los honrren, e ninguno non sea osado de retraer a ellos, nin a su linaje, de como fueron judios en manera de denuesto : e que ayan sus bienes, e de todas sus cosas partiendo con sus hermanos, heredando lo, de sus padres, e de sus madres, e de los otros sus parientes, bien así como si fuessen judios, e que puedan auer todos los oficios, e las honrras que han todos los otros christianos.” Cfr. Las Siete Partidas del sabio Rey don Alonso el nono, nueuamente Glosadas por el Licenciado Gregorio Lopez del Consejo Real de Indias de su Magestad. Impresso en Salamanca Por Andrea de Portonaris, Impressor de su Magestad. Año M.D.L.V. Con priuilegio Imperial. Esta tassado el pliego a cinco marauedis. (Ed. facs. Madrid : Boletín Oficial del Estado 1985.) Setena partida, Titulo XXIIII, Ley III, fo. 75r ; Ley VI, fo. 75v.  

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capitolo iv

Álvarez de Toledo Zapata, Lope de Conchillos, Hernando de Zafra, 107 Gonzalo Pérez e Antonio Pérez. 108 Fernán Díaz de Toledo fu anche Relator, Oidor e Notario mayor de los privilegios rodados. Diego González de Toledo fu Contador Mayor de Cuentas, Oidor e incaricato in varie occasioni di condurre negoziazioni diplomatiche. 109 Gli ebrei, invece, nella amministrazione centrale avevano ricoperto solo alcuni incarichi della Real Hacienda, quali quello di Tesorero Mayor e di Almojarife Mayor, o di esattore delle imposte e di appaltatore delle rendite regie. 110) I conversos giunsero così a formare parte significativa 111 – se non talvolta, come già ricordato, addirittura preponderante 112 – di quella oligarchia municipale che de 











107   Quasi sicuramente Hernando de Zafra discendeva da una famiglia conversa – lo suggerisce “el procesamiento póstumo de su hermano Pedro de Zafra por la Inquisición a comienzos del siglo XVI” –, manca però la prova documentale. Cfr. Miguel Ángel Ladero Quesada : Hernando de Zafra, secretario de los Reyes Católicos. Madrid : Editorial Dykinson 2005, p. 13. Riflettendo sulla grande carriera di Hernando de Zafra, Gonzalo Fernández de Oviedo osservava nelle sue Batallas y Quinquagenas (Batalla I, Quinquagena III, Diálogo II) che “el valor de un hombre principal es inestimable, e cada día sabemos por experiencia que uno que es pobre sabe ganar honor e hacienda, e otro que nace heredado no sabe vivir con cuanto tiene, e lo pierde todo” (cit. da M. A. Ladero Quesada, p. 7). Nelle pagine dedicate a « Los Zafras, señores de Castril », Enrique Soria Mesa scrive che il capostipite del lignaggio, Hernando de Zafra, era “un judío de oscurísimo origen (ni siquiera se conoce el nombre de sus padres) ”. Cfr. Enrique Soria Mesa : Linajes granadinos (= Los Libros de la Estrella, 33). Granada : Diputación de Granada 2008, p. 34. 108   Cfr. Francisco Márquez Villanueva : Investigaciones sobre Juan Álvarez Gato. Contribución al conocimiento de la literatura castellana del siglo XV (= Anejos del Boletín de la Real Academia Española, Anejo IV). Madrid 1960, pp. 84-104. – Nicholas G. Round : Politics, style and group attitudes in the Instrucción del Relator. In Bulletin of Hispanic Studies 46 (1969), 289-319. – Angus MacKay : Popular Movements and Pogroms in Fifteenth-Century Castile. In : Past and Present 55 (February 1972), pp. 33-67 ; qui p. 48. – María Del Pilar Rábade Obradó : Una élite de poder en la Corte de los Reyes Católicos. Los Judeoconversos. Prólogo de Miguel Ángel Ladero Quesada. Madrid : Editorial Sigilo 1993, pp. 33-100. – José M.a Monsalvo Anton : Teoría y evolución de un conflicto social, pp. 70-76. – L. Martz : A Network of Converso Families in Early Modern Toledo, p. 34 e pp. 47-49. Sui segretari di Stato e del Re cfr. José Antonio Escudero : Los secretarios de Estado y del Despacho (1474-1724). Madrid : Instituto de Estudios Administrativos 1976, 4 voll. 109   Cfr. A. MacKay : Popular Movements and Pogroms in Fifteenth-Century Castile, pp. 50-51. 110   Cfr. J. Valdeón Baruque : Los conflictos sociales en el Reino de Castilla en los siglos XIV y XV, p. 129, p. 135 e pp. 175-177. – A. MacKay : Popular Movements and Pogroms in Fifteenth-Century Castile, pp. 33-67 ; qui pp. 41-45. 111   Nella difesa dello Statuto inviata da Silíceo e dal Capitolo al Principe Filippo si legge : “no seria pequeño Remedio para todos los Christianos Viejos que ay en España, que V. A. proveiese, que no hubiese tantos Juezes, abogados, Rejidores, diputados, Escrivanos, arrendadores, Regatones, y Logreros de esta Casta de Judios, à cuya causa ai tantos pleitos, como bemos, que ay en España, y asi mesmo probeiese en los Medicos, Zirujanos y Boticarios, que ya por nuestros pecados no se allan, sino de esta Casta” (Estatvto de la S.ta Iglesia de Toledo, fo. 24v). Lo stesso processo di penetrazione dei convertiti di origine ebraica in tutti i gangli della società si ha in Portogallo a partire dal 1497, anno in cui il re Emanuele I impose agli ebrei – molti dei quali avevano lasciato la Spagna per non subire violenze e per non voler accettare la conversione forzata – il battesimo. Scrive Israel Salvator Révah : “Comme cela avait été le cas en Espagne, la conversion au catholicisme élimine les entraves légales à l’activité économique des Juifs portugais, activité qui était déjà extrêmement importante au Moyen Âge. Les « Nouveaux-Chrétiens » pénètrent même dans la noblesse ; mais surtout, ils envahissent littéralement les professions financières, commerciales et artisanales. Les documents, même officiels, des XVIe et XVIIe siècles indiquent une monopolisation presque totale par les « Nouveaux-Chrétiens » de la finance et du haut commerce. C’est cette infiltration massive des « Nouveaux-Chrétiens » portugais, judaïsants ou non, dans la finance et le haut commerce des premiers décennies du XVIe siècle qui va déterminer le rôle historique fondamental des « Nouveaux-Chrétiens » et des Marranes dans l’histoire universelle au XVIIe siècle.” Cfr. I. S. Révah : Les marranes. In : Revue des études juives 118 (1959-1960), 29-77 ; qui pp. 36-37. 112   Cfr. F. Márquez Villanueva : Conversos y cargos concejiles en el siglo XV, pp. 505-509, p. 514, p. 538. La forte presenza dei conversos nella amministrazione municipale toledana ispirò una scherzosa Carta de previlegio de Don Juan II en favor de un hidalgo, composta in pieno XVI sec. e attribuita da alcuni a Sebastián de Horozco. Accogliendo la preghiera di un hidalgo cristiano-viejo, che si era lamentato di non riuscire, come tale, a “medrar”, il Re gli dava con questa Carta “licencia para ser ... marrano”, cosí da poter “alcanzar con todo arte e sotileza e lisonja cualquier oficio Real, así de alcadía, regimiento, como de juradería y escribanía pública”, uffici che gli avrebbero permesso di godere “de los propios y rentas de la cibdad ... engañando a los cristianos viejos, lindos  







































































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teneva un potere geograficamente limitato, ma fortissimo. 113 Essi figuravano infatti in misura molto rilevante fra i Regidores 114 (nel Cabildo de Regidores dell’Ayuntamiento  



y ranciosos con palabras sotiles y engañosas, dando ocasión que se maten los unos con los otros”. Inoltre gli dava il permesso di assumere “el apellido del linage” di sua scelta. Cfr. Traslado de una Carta de privilegio que el rey Don Juan II dio a un hidalgo. In : Sales españolas o Agudezas del ingenio nacional. Recogidas por Antonio Paz y Melía. Segunda edición de Ramón Paz (= Biblioteca de Autores Españoles, 176). Madrid : Atlas 1964, pp. 25-28. Antonio Paz y Melia trascrive la Carta, che egli ritiene del XV secolo, dal Codice del XVII/XVIII sec. Dd.62 – attualmente Ms. 13.043 – (fo. 173r-177v : « Traslado de una Carta de Privilegio que el Rey Don Juan ij°. dió a un hijo dalgo ») della Biblioteca Nacional di Madrid. Questa Biblioteca possiede anche il codice del XVI sec. contenente le Noticias curiosas sobre diferentes materias raccolte da Sebastián de Horozco, fra le quali figura pure la Carta in questione (Ms. : 9175, fo. 29r-31v : « Traslado de vna carta de privilegio que el rrey don Juan ij. dio a vn hijodalgo »). Non solo a Toledo, ma anche a Siviglia, a Burgos, a Segovia, a Madrid, a Valladolid, a Zaragoza, a Barcelona, a Valencia e in tante altre città, i conversos costituivano parte importante, e talvolta preponderante, delle oligarchie municipali. 113   Sulle élites locali scrive Jean-Pierre Dedieu : “Elles monopolisent l’administration municipale, le clergé souvent, les métiers du droit presque toujours, les relations de leur communauté avec le monde extérieur et l’usage des terres, dans bien de cas. Elles pratiquent l’usure et, par ce biais, tiennent en main les pauvres. Leur pouvoir résistera à tous les changements de régime : elles seront encore en place au début du XXe siècle.” Cfr. Jean-Pierre Dedieu : L’administration de la foi. L’Inquisition de Tolède, XVIe-XVIIIe siècle, p. 66. Le oligarchie municipali castigliane monopolizzavano ampiamente anche gli uffici, maggiori e minori, delle Cancellerie e le familiaturas dell’Inquisizione, come ogni altro posto che conferiva potere, onore e privilegio. Cfr. Enrique Soria Mesa : Burocracia y conversos. La Real Chancillería de Granada en los siglos XVI y XVII. In : Letrados, juristas y burócratas en la España moderna. Coordinador : Francisco José Aranda Pérez. Cuenca : Ediciones de la Universidad de Castilla-La Mancha 2005, pp. 107-144. – Luis Coronas Tejada : Estudio social de los familiares del Santo Oficio en Jaén a mediados del siglo XVII. In : La Inquisición española. Nueva visión, nuevos horizontes. Director del volumen : Joaquín Pérez Villanueva. Madrid : Siglo XXI de España Editores 1980, pp. 293-302. – F. J. Aranda Pérez : Poder y poderes en la Ciudad de Toledo. Gobierno, sociedad y oligarquías urbanas en la Edad Moderna. – Francisco José Aranda Pérez : Poder y poderes en la ciudad. Gobierno y sociedad en el mundo urbano castellano en la Edad Moderna. In : Ciudad y mundo urbano en la época moderna. Dirigido por Luis A. Ribot García y Luigi de Rosa. Madrid : Editorial ACTAS 1997, pp. 135-155. – Adriano Gutiérrez Alonso : Sociedad y poder. La oligarquía vallisoletana y sus relaciones con otras instancias de poder urbanas. In : Valladolid. Historia de una ciudad. Congreso Internacional. Tomo II. La ciudad moderna. Valladolid : Ayuntamiento de Valladolid 1999, pp. 383-401. – Bartolomé Yun Casalilla : Mal avenidos, pero juntos. Corona y oligarquías urbanas en Castilla en el siglo XVI. In : Bartolomé Bennassar Perillier, Fernando Bouza Álvarez, et. al. (eds.). : Vivir el Siglo de Oro. Poder, cultura e historia en la época moderna. Estudios en homenaje al profesor Ángel Rodríguez Sánchez (= Actas Salmanticensia. Estudios Históricos & Geográficos, 119). Salamanca : Ediciones Universidad de Salamanca 2003, pp. 61-75. – Juan Hernández Franco : Consolidación y continuidad de las oligarquías castellanas (siglos XVII-XVIII). In : F. Chacón Jiménez, Nuno G. Monteiro (eds.) : Poder y movilidad social. Cortesanos, religiosos y oligarquías en la Península Ibérica (siglos XV-XIX). Madrid : C.S.I.C. - Universidad de Murcia 2006 (= Biblioteca de Historia, 64), pp. 215-245. – Sebastián Molina Puche : Familia, elite local y reproducción social en la Castilla moderna. El ejemplo de la villa de Almansa en el siglo XVII. In : Francisco Chacón, Xavier Roigé y Esteban Rodríguez Ocaña (eds.) : Familias y poderes. Actas del VII Congreso Internacional de la ADEH. Granada, 1-3 april 2004. Granada : Universidad de Granada 2006, pp. 109-123. 114   In una stessa famiglia di conversos toledani si contano, a volte, piú regidores. Cosí fu, per esempio, regidor Juan Álvarez Zapata (cofrade della Cofradía de Santa María la Blanca) e lo furono ben quattro dei suoi sei figli. Uno di questi, e precisamente il già ricordato Fernán (Hernán, Fernando) Álvarez de Toledo, che dopo essere stato regidor di Toledo (come lo fu suo padre Juan Álvarez) era divenuto segretario dei Re Cattolici e cavaliere dell’Ordine di Santiago e di quello di Alcántara, “se constitua un état seigneurial en achetant le village de Cedillo et la forteresse de Manzaneque” e fu cosí “à l’origine de la lignés des comtes de Cedillo”. Cfr. Jean-Pierre Molénat : L’oligarchie municipale de Tolède au XVe siècle. In : Tolède et l’expansion urbaine en Espagne, 1450-1650 (= Collection de la Casa de Velázquez, 32). Madrid : Casa de Velázquez 1991, pp. 159-177 ; qui p. 166. Il villaggio di Cedillo Fernán Alvarez de Toledo l’aveva acquistato nel 1487, per un milione di “maravedíes enriqueños”, dal Conte di Fuensalida, don Pedro López de Ayala. Nel 1496 i Re Cattolici conferirono a suo figlio Antonio, che aveva sposato Doña María Ponce de León, il titolo di Conte di Cedillo (cfr. M. Del Pilar Rábade Obradó : Una élite de poder en la Corte de los Reyes Católicos. Los Judeoconversos, pp. 53-54. – F. Márquez Villanueva : Investigaciones sobre Juan Álvarez Gato, p. 88. – L. Martz : A Network of Converso Families in Early Modern Toledo, pp. 47-57). Dalla famiglia dei Toledo Zapata discendono anche i Conti di Barajas. Francisco Zapata de Cisneros, figlio di Juan Zapata y Osorio, fu creato Conte da Filippo II nel 1572. Cfr. José Martínez Millán - Carlos J. De Carlos Morales (Directores) : Felipe II (1527-1598). La configuración de la Monarquía Hispana, p.  





















































































   





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toledano 115 i Regidores – originariamente erano 16, “ocho del estado de los caualleros, y ocho de los ciudadanos” ; 116 successivamente il loro numero salì a 24, poi a 36 117 e infine a 46 durante il regno di Filippo III e a 52 nel 1647 118 – di origine conversa occuparono 21 seggi nel XV secolo, 35 nel XVI secolo, 84 nel XVII secolo, 26 nel XVIII secolo ; su un totale di 729 Regidores avutisi fra il 1425 e il 1775, furono conversos 173, pari a ca. il 24% 119), fra i Jurados 120 (nel Cabildo de Jurados di Toledo – formato originariamente da 36 membri, due per ogni parrocchia ; successivamente da 42 e poi da 54, con nuove parrocchie che ne avevano solo uno, mentre le vecchie parrocchie ne avevano due o anche tre 121 – i Jurados di origine conversa – calcolati su “una muestra de 306 individuos”, pari all’88% del totale dei 347 Jurados di origine conversa localizzati 122 – erano stati 59 nel XV secolo, 126 nel XVI secolo, 114 nel XVII secolo, 7 nel XVIII secolo ; su un totale di 1057 Jurados avutisi fra il 1425 e il 1775, i 347 conversos corrispondevano a ca. il 33% 123), fra gli Escribanos  

   





















515. – L. Martz : A Network, p. 133. Nel saggio, or ora citato, sulla oligarchia minicipale, Jean-Pierre Molénat scrive a proposito dei regidores toledani : “le corps des regidores n’est pas un milieu fermé. Il représente, pour des personnages d’obscure origine, et auxquels on peut soupçonner une ascendance juive, une des étapes de leur intégration dans la noblesse” (p. 165). 115   A partire dagli ultimi decenni del XV secolo la composizione dell’Ayuntamiento toledano (come quello di altre città della Castiglia) era la seguente : Corregidor (era di nomina regia : rappresentava il Re e presiedeva l’Ayuntamiento) e Jueces regios, Dignidades (Alcalde Mayor, Alcalde de Alzadas, Alcalde de Pastores, Alguacil Mayor, Alférez Mayor, uffici onorifici e di rappresentanza, tenuti ereditariamente da membri delle famiglie della più alta nobiltà – Duchi di Maqueda, Conti di Cifuentes, Marchesi di Montemayor, Conti di Fuensalida – che avevano il loro “solar originario” nella Città Imperiale ; il Corregidor nominava per ciascuno di questi uffici persone di sua fiducia che assolvevano di maniera effettiva e costante la funzione relativa all’ufficio), Cabildo de Regidores. Il Cabildo de Jurados costituiva, in virtù della sua funzione di controllo, il “contrapoder-conpoder” dell’Ayuntamiento. Cfr. F. J. Aranda Pérez : Poder y poderes en la Ciudad de Toledo. Gobierno, sociedad y oligarquías urbanas en la Edad Moderna, pp. 55-69. 116   Francisco de Pisa : Descripcion de la Imperial Civdad de Toledo, fo. 34r. 117   Francisco de Pisa : Descripcion de la Imperial Civdad de Toledo, fo. 35r. – Jean-Pierre Molénat : L’oligarchie municipale de Tolède au XVe siècle, pp. 159-160. 118   F. J. Aranda Pérez : Poder y poderes en la Ciudad de Toledo. Gobierno, sociedad y oligarquías urbanas en la Edad Moderna, pp. 157-161. – Francisco José Aranda Pérez : « Nobles, discretos varones que gobernáis a Toledo ». Una guía prosopográfica de los componentes del poder municipal en Toledo durante la Edad Moderna (corregidores, dignidades y regidores). In : Poderes intermedios, poderes interpuestos. Sociedad y oligarquías en la España Moderna. Coordinador : F. J. A. P. Cuenca : Ediciones de la Universidad de Castilla-La Mancha 1999, pp. 227-309 ; qui pp. 233-234, 247-248. 119   F. J. Aranda Pérez : Poder y poderes en la Ciudad de Toledo. Gobierno, sociedad y oligarquías urbanas en la Edad Moderna, pp. 258-259. – Francisco José Aranda Pérez : Judeo-conversos y poder municipal en Toledo en la Edad Moderna : una discriminación poco efectiva. In : Antonio Mestre Sanchís y Enrique Giménez López (Coordinadores) : Disidencias y exilios en la España Moderna. Actas de la IV Reunión Científica de la Asociación Española de Historia Moderna. Alicante, 27-30 de mayo de 1996. [Tomo II.] Alicante : Caja de Ahorros del Mediterráneo – Universidad de Alicante – A. E. H. M. 1997, pp. 155-168 ; qui 158-159. Cfr. anche Linda Martz : Converso families in fifteenth and sixteenth century Toledo : the significance of lineage. In : Sefarad 48 (1988), 117-196. 120   Le juraderías divennero ereditarie e cosí “los jurados penetraban ... en el ámbito de la aristocracia burguesa que dominaba los concejos” (F. Márquez Villanueva : Conversos y cargos concejiles en el siglo XV, p. 523). 121   Cfr. Francisco de Pisa : Descripcion de la Imperial Civdad de Toledo, fo. 34r e fo. 35v-36r. 122   F. J. Aranda Pérez : Poder y poderes en la Ciudad de Toledo. Gobierno, sociedad y oligarquías urbanas en la Edad Moderna, p. 260. 123   F. J. Aranda Pérez : Poder y poderes en la Ciudad de Toledo. Gobierno, sociedad y oligarquías urbanas en la Edad Moderna, p. 261. – Francisco José Aranda Pérez : Judeo-conversos y poder municipal en Toledo en la Edad Moderna : una discriminación poco efectiva, pp. 160-162. La presenza dei conversos è, come si è visto, certamente massiccia. J. Gómez-Menor Fuentes (Cristianos nuevos y mercaderes de Toledo, p. 7 n.) afferma che “entre los jurados la mayoría eran conversos”. Linda Martz scrive “that in the fifteenth century the conversos dominated at least the lower branch of the Toledo ayuntamiento” (Converso Families in Fifteenth- and Sixteenth-Century Toledo : The Significance of Lineage, p. 162). Sebastián de Horozco scherní nel suo Cancionero un “confesso” toledano che aveva comprato “un ofiçio de jurado”. Cfr. Sebastián de Horozco : El Cancionero. Introducción, edición crítica, notas, bibliografía y genealogía de Juan de Horozco por Jack Weiner (= Utah Studies in Literature and Linguistics, 3). Bern und Frankfurt/M. 1975, p. 335.  





































































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públicos 124 (redigevano i documenti municipali e trascrivevano gli accordi del Consiglio nel corrispondente Libro de Actas ; 125 erano titolari di quelle “escribanías pingües, que equivalían a un mayorazgo” 126) e fra i Mayordomos (curavano l’amministrazione economica e la riscossione delle rendite dell’Ayuntamiento 127). Molto numerosi erano i conversos fra i Procuradores de las Cortes, cosa che non sorprende perché dei due delegati eletti a rappresentare la città di Toledo nelle Cortes uno era scelto fra i Regidores, l’altro fra i Jurados (l’incarico di Procurador non solo costituiva già in sé e per sé una distinzione, un onore evidente, ma era gratificato anche con diversi benefici materiali e poteva essere compensato dalla Corona con mercedes varie – addirittura con un hábito di Ordini Militari). 128 Naturalmente i conversos figuravano frequentemente negli uffici inferiori municipali, come quelli di Alcalde ordinario, 129 Alguacil,  

   









124   Fra gli “escribanos públicos”, scrive J. Gómez-Menor Fuentes (Cristianos nuevos y mercaderes de Toledo, p. 7 n.), “quizá no hubo uno siquiera no emparentado con cristianos nuevos”. Nella sola lista del 1495 di judaizantes habilitados della città di Toledo vengono elencati 20 escribanos (oltre a 8 jurados, 5 notarios e 1 regidor). Cfr. Francisco Cantera Burgos (con la colaboración de Pilar León Tello) : Judaizantes del arzobispado de Toledo habilitados por la Inquisición en 1495 y 1497, p. XVIII. Gli “escriuanos publicos” di Toledo erano 33, essi potevano “renunciar en vida y en muerte, a manera de mayoradgo” (Francisco de Pisa : Descripcion de la Imperial Civdad de Toledo, fo. 37). Sugli “Escribanos público del número”, che formavano il “Colegio o Cabildo de Escribanos del Número” e “se situaban en una frontera social muy especial, lindando con los jurados, esto es, en los límites inferiores de las oligarquías urbanas”, cfr. F. J. Aranda Pérez : Poder y poderes en la Ciudad de Toledo. Gobierno, sociedad y oligarquías urbanas en la Edad Moderna, pp. 131-138. 125   Cfr. Luis de Valdeavellano : Curso de historia de las Instituciones españolas. De los orígenes al final de la Edad Media, p. 546. 126   F. Márquez Villanueva : Conversos y cargos concejiles en el siglo XV, p. 516. 127   Cfr. L. de Valdeavellano : Curso de historia de las Instituciones españolas, p. 547. 128   Cfr. F. J. Aranda Pérez : Poder y poderes en la Ciudad de Toledo. Gobierno, sociedad y oligarquías urbanas en la Edad Moderna, pp. 179-186. 129   J. Gómez-Menor Fuentes : Cristianos nuevos y mercaderes de Toledo, p. 7 n. Sull’ampia penetrazione dei conversos nelle cariche e negli uffici della amministrazione municipale nel XV secolo, cfr. F. Márquez Villanueva : Conversos y cargos concejiles en el siglo XV, pp. 503-540. Questa penetrazione era motivo di invidia e di risentimento da parte dei cristianos viejos, soprattutto dei ceti popolari, ed era stata una delle cause della insurrezione avvenuta a Toledo nel 1449 e della promulgazione della Sentencia-Estatuto di Pero Sarmiento, con la quale si voleva escludere i conversos dagli uffici pubblici. In questa Sentencia-Estatuto (5 giugno 1449) si accusava i conversos di aver monopolizzato uffici pubblici, come le escribanías, di malversazione e di aver rovinato molte famiglie di nobili cristianos viejos e la stessa città usando le cariche pubbliche per arricchirsi : “era notorio, que los mas de los [...] oficios de las Escribanias publicas, tenian [Benito Ruano : tenían y posehían] los [...] conversos tiranicamente assi por compras de dineros, como por favores, y otras sotiles [Benito Ruano : sotiles y engañosas] maneras [...]. [...] los [...] Combersos descendientes de su linaje [de los judios], que por sus grandes astucias continuas è inventos y engaños han tomado e robado grandes è innumerables Cantidades de maravedis è plata del Rey nuestro Señor è de sus rentas pechos y derechos è han destruido è hechado à perder muchas nobles Dueñas, Cavalleros, è fijos dalgo è por consiguiente han fecho, oprimido, è destruido, robado, è tragado [Benito Ruano : estragado] todas las mas de las casas antiguas è haciendas de los dichos Christianos Viejos de esta Ciudad [Toledo] è de su Tierra è de su jurisdicion de todos los Reynos de Castilla, segun que es notorio è por tal lo havemos y tenemos è otrosi por quanto durante el Tiempo, que ellos han tenido los Oficios publicos de la dicha Ciudad de el regimiento è gobernacion de ella mucha è la mayor parte de los lugares de la dicha Ciudad son despoblados y destruidos è la tierra, è lugares de los proprios de la dicha Ciudad perdidos è enagenados è allende de esto todos los maravedis de las rentas è propios de la dicha Ciudad consumidos y gastados sin [Benito Ruano : en] intereses è faciendas proprias assi y por tal manera, que todos los dichos bienes y honras de la Patria son consumidos, y destruidos è ellos sean [Benito Ruano : son] fechos Señores para destruir à la S. Fee Cathólica è los Christianos Viejos, que en ella creen...”. Si ordinava quindi che i conversos “sean habidos y tenidos [...] por infames è inhabiles è incapaces è indignos para haver todo oficio è beneficio publico è privado en la dicha Ciudad de Toledo è en su tierra è termino è jurisdicion è que no puedan tener Señorio en los dichos Christianos Viejos ni hacerles daño è injuria, è asi mismo ser infames è inhabiles è incapaces para dar Testimonio è feè como Escrivanos publicos o como Testigos especialmente en esta dicha Ciudad è por esta nuestra Sentencia è declaracion [...] los privamos è declaramos ser è mandamos que sean privados de qualesquier Oficios y Beneficios, que han havido y tienen en qualquiera manera en esta dicha Ciudad...” Cfr. Copia de la Sentencia por la qual fueron privados todos los Conversos del linaje de Judios de todos los Oficios,  





























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Portero, 130 ecc. I dati assoluti sopra riportati danno un’idea solo parziale della penetrazione dei conversos nell’amministrazione municipale. La vastità e l’importanza del fenomeno possono essere percepite unicamente rapportando i dati assoluti sulla presenza dei conversos nel governo municipale alla consistenza numerica del gruppo converso, che rappresentava solo una parte modesta (forse il 10-15%) della popolazione totale toledana, e tenendo conto dell’affievolimento della memoria storica e delle falsificazioni genealogiche, che rendevano possibile la trasformazione di molti cristianos nuevos in cristianos viejos (questo spiega la vistosa diminuzione di Regidores e di Jurados di origine conversa nel XVIII secolo). Frequentemente (tanto frequentemente da allarmare l’Arcivescovo Silíceo 131) i discendenti conversos delle antiche famiglie toledane ebraiche appartenevano al clero se 



y beneficios publicos y privados asi desta Ciudad de Toledo como de toda la tierra. (Toledo 5 de Junio de 1449). In : Estatvto de la S.ta Iglesia de Toledo. Relacion de lo que pasó al hacer el Estatuto de Limpieza que tiene la Santa Iglesia de Toledo para los que han de ser Prevendados en ella, el qual se hizo siendo Arzobispo D.n Juan Martinez Siliceo, Año de 1547 (Madrid, Biblioteca Nacional : Ms. 13038), fo. 118v-127v ; qui fo. 120r, 123r-123v ; 124v125r. La Sentencia-Estatuto di Pero Sarmiento, allegata al famoso Statuto (1547) dell’Arcivescovo di Toledo, Juan Martínez Silíceo, è stata editata da diversi studiosi e ultimamente da E. Benito Ruano : Los orígenes del problema converso, pp. 83-92 (« Sentencia-Estatuto de Pero Sarmiento »). Analoghe accuse contro i conversos erano state sollevate in una ‘supplica’ indirizzata nel maggio del 1449 da Sarmiento e dall’Ayuntamiento di Toledo al re Juan II : « La soplicación e rrequerimiento que Pero Sarmiento e el común de Toledo, por sí e por las otras cibdades del rreyno, presentaron sobre el çerco e agrauios que le fazían ». Cfr. Crónica del Halconero de Juan II, Pedro Carrillo de Huete (hasta ahora inédita). Edición y estudio por Juan de Mata Carriazo (= Colección de Crónicas Españolas por J. de M. Carriazo, VIII). Madrid : Espasa-Calpe 1946, pp. 520-527 (il documento, trascritto dalla Crónica del Halconero de Juan II, è riprodotto in Toledo en el siglo XV di E. Benito Ruano, pp. 186-190). Le accuse contro i conversos saranno ripetute e ampliate nel già menzionato « Memorial del Bachiller Marcos García de Mora (Marquillos de Mazarambroz) » dell’ottobre-novembre 1449, una apologia della Sentencia-Estatuto e dell’operato del Repostero Mayor. Il testo di questo documento (Benito Ruano lo definisce “documento fiel y preciso del espíritu popular ambiente en la época respecto de judíos y conversos y, en especial, del que se respiraba en Toledo en los momentos en que fue escrito”) è stato riprodotto, come sappiamo, in : E. Benito Ruano : Los orígenes del problema converso, pp. 103-140 (le pp. 95-101 contengono l’introduzione, dalla quale abbiamo trascritto le righe or ora citate, di Benito Ruano al « Memorial »). Sull’importante ruolo del Bachiller Marcos García de Mora come ‘ideologo’ della rivolta toledana del 1449, cfr. Nicholas G. Round : La rebelión toledana de 1449. Aspectos ideológicos. In : Archivum (Oviedo), 16 (1966), 385-446. Sulla rapacità dei regidores – rapaci erano naturalmente, indifferentemente, sia quelli conversos, sia quelli cristianos viejos – durante gli ultimi anni di Juan II e il regno di Enrique IV, cfr. F. Márquez Villanueva : Conversos y cargos concejiles en el siglo XV, p. 514. Per la penetrazione dei conversos nella oligarchia municipale durante il XV, il XVI e il XVII secolo, si dispone ora dei precisi dati statistici, sopra in parte ricordati, elaborati da F. J. Aranda Pérez : Poder y poderes en la Ciudad de Toledo. Gobierno, sociedad y oligarquías urbanas en la Edad Moderna, pp. 254-264. 130   Sayones, Porteros e Alguaciles erano “oficiales ejecutivos que citaban a juicio por mandato del Juez, cumplían las órdenes de los magistrados municipales, prendían a los delincuentes, tomaban prendas, actuaban de ejecutores de los fallos y decisiones de los Alcaldes” (L. de Valdeavellano : Curso de historia de las Instituciones españolas, p. 546). Nella Relación degli Autos de fe, celebrati a Toledo dal 1485 al 1501, scritta da un anonimo testimone oculare e tramandataci da Sebastián de Horozco, che la trascrisse e l’annotò, si ricorda che ai conversos che spontaneamente avevano confessato di giudaizzare e che comparvero come “reconçiliados” nell’Auto de fe del 12 febbraio 1486, fu ordinato dagli Inquisitori “que en todos los dias de su vida no tuviesen ofiçio público, así commo alcalde, alguazil, regidor ó jurado, ó escrivano público, ó portero, é los que los tales ofiçios tenían los perdieron”. Cfr. Fidel Fita : La Inquisición toledana. Relación contemporánea de los autos y autillos que celebró desde el año 1485 hasta el de 1501. In : Boletín de la Real Academia de la Historia XI (1887), 289-322 ; qui pp. 295-296. 131   Nella « Carta del Cabildo de la Iglesia de Toledo, al Emperador Carlos Quinto », nella quale si illustrano le cause che indussero l’Arcivescovo Silíceo e il Capitolo della Cattedrale a introdurre l’Estatuto, si legge : “el Arzobispo à hallado, que no solamente la mayor parte ; pero casi todos los Presbiteros de su Arzobispado, que tienen cura de Animas, ò sus Tenientes, ò Capellanes, y los que tienen otros Beneficios, ò prestamos [porción ò parte desmembrada del Beneficio curado], son descendientes de Judios, y ai una Villa en el dicho su Arzobispado donde ai Catorze Clerigos y solo uno es Christiano Viejo” (Estatvto de la S.ta Iglesia de Toledo, fo. 7v-34v ; qui fo. 16r-v).  



























































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colare e regolare. 132 Erano curati, cappellani, arcipreti, presbiteri, dignitari, prebendari e canonici della Cattedrale, 133 vicari, protonotari e cubiculari apostolici, frati dell’Ordine dei Frati Minori o suore delle Clarisse. Talvolta il numero di religiosi nelle famiglie conversas era incredibilmente elevato, come, per fare un esempio, nella famiglia del grande economista toledano Sancho de Moncada, “directo descendente del Jurado de Toledo Sancho Cota” 134 e imparentato con i Velluga, gli Ortiz, i de la Fuente, i Palma, i Vargas, gli Hurtado, i Torres, i Molina, i Vázquez, gli Andrada, i Cuéllar, i Garcés e gli Herrera,  





132   “La simonía era pública en Toledo allá por los años de la famosa revuelta de 1467”, scrive Julio Caro Baroja. Utilizzando “el peculio adquirido en el comercio, la usura, etc.”, i genitori degli studenti che avevano terminato l’Università “se dedicaban a « comprar » toda clase de prebendas y beneficios para ellos”. Cfr. Julio Caro Baroja : Los Judíos en la España Moderna y Contemporánea. Tomo II. Madrid : Ediciones ISTMO 1978, p. 228. 133   Oltre all’Arcivescovo, scrive Pedro de Alcocer, la Cattedrale di Toledo ha “catorse dignidades que tienen sus assientos enel Coro” (fra di esse il decano, il Maestrescuela, il tesoriere, il Capiscol, o Cantor, gli arcidiaconi di Toledo, di Talavera, di Calatrava, di Guadalajara, di Madrid e di Alcaraz), “40. Canonigos prebendados”, “20. Canonigos ... Extrauagantes”, “50. Racioneros” e “48. Capellanes”. Di tutti questi però “solos los Canonigos, juntamente conel ... Arçobispo, y Dean entran enel cabildo o capitulo” (Pedro de Alcocer : Hystoria, o Descripcion dela Imperial cibdad de Toledo, fo. XCIXr-v ; secondo l’Estatvto de la S.ta Iglesia de Toledo, fo. 28v, il Decano non aveva diritto di voto nel Capitolo). Al tempo dell’approvazione dello Statuto il Capitolo della Cattedrale di Toledo annoverava fra i suoi membri (vuoi Dignidades, vuoi Canónigos) almeno otto conversos (tutti votarono contro lo Statuto proposto da Silíceo). Cinque di questi conversos appartenevano alla stessa famiglia (erano : il “Maestre Escuela” Bernardino de Alcaraz, il “Capellan mayor” Rodrigo Zapata, il “Capiscol” Bernardino Zapata, il canonico dottor Francisco Herrera, fratello del maestro del coro, e il canonico dottor Peralta). Quando nel 1546 Silíceo fu nominato Arcivescovo di Toledo trovò che nel Capitolo gli appartenenti al clan famigliare degli Alvarez de Toledo Zapata “polarizaban en torno a sí nada menos que 16 dignidades y canónigos” (R. Gonzálvez). La solidarietà, o spirito di clan, dei conversos era denunciata da Silíceo : “Es cosa manifiesta, y publica, que todos los de esta Casta de Judios, y Confesos asi son muchos, que todos son unos, quando algun Christiano Viejo contra ellos, ò contra alguno de ellos tiene diferencia : y asi se experimenta en los Capitulos, que casi siempre tienen un Voto, y parecer en las cosas, que se proponen : lo que no acaeçe en los Christianos Viejos, porque cada uno de ellos se conforma con su Conciencia, no teniendo Respecto à lo que los otros botan, por Amigos que sean” (Estatvto, fo. 27r). Sorprendentemente, sia gli appartenenti alla famiglia Alvarez de Toledo Zapata (una delle personalità più eminenti di questa influentissima famiglia toledana conversa era stato il piú volte ricordato Fernando Alvarez de Toledo, segretario dei Re Cattolici, che aveva sposato Aldonza de Alcaraz, anch’essa di famiglia toledana ; fratello di Fernando Alvarez de Toledo fu Francisco Alvarez de Toledo, maestrescuela della Cattedrale e fondatore della Università toledana), sia il canonico e protonotario apostolico Antonio de León e il canonico Esteban de Valera avevano antenati e stretti parenti che erano stati condannati – e talvolta condannati al rogo – dall’Inquisizione. Un altro canonico converso, il dottor Juan de Vergara, uno dei più illustri erasmisti spagnoli, era stato lui stesso, come ricorda Silíceo, condannato dall’Inquisizione ed obbligato ad abiurare de vehementi in un auto de fe e a versare un’ammenda di 1.500 ducati. Ancor più sorprendente del fatto che discendenti di condannati dall’Inquisizione riuscissero, nonostante le discriminazioni e le persecuzioni, a diventare canonici della Cattedrale e ad accedere anche a dignità maggiori, era la loro capacità di trasmettere a propri parenti prebende e benefici ecclesiastici come se questi fossero beni di famiglia. Cosí, per esempio, Antonio de León trasmise al nipote Antonio de Artieda il proprio canonicato, mentre Bernardino de Alcaraz, che aveva ricevuto la dignità della maestrescolía da Juan Alvarez Zapata (questi l’aveva ricevuta dal Licenciado Zapata, che a sua volta l’aveva ricevuta da Francisco Alvarez Zapata), la legherà a Bernardino de Sandoval, nipote del Licenciado Zapata or ora ricordato. Il cardinale Silíceo (Estatvto, (o. 31v) dirà a proposito dei dignitari e canonici appartenenti alla famiglia Alvarez de Toledo Zapata, “que no solo conservan los Vienes temporales, que les dejaron sus pasados ; mas de lo Espiritual usan de tal manera, que trabajan de lo poseer quasi Jure hereditario, ò haciendo sus prevendas, a manera de mayorazgo, perpetuas”. Cfr. Estatvto de la S.ta Iglesia de Toledo, fo. 6v-7r, fo. 28v-34v, fo. 87v. – A. A. Sicroff : Les controverses des Statuts de « pureté de sang » en Espagne du XVe au XVIIe siècle, pp. 117-120. – J. Gómez-Menor Fuentes : Cristianos nuevos y mercaderes de Toledo, p. XXXIV e pp. 25-27. – R. Gonzálvez : « Limpieza de sangre ». In : Diccionario de historia eclesiástica de España. II : CH-MAN. Madrid : C. S. I. C. 1972, pp. 1297-1298. – J. Goñi : « Juan de Vergara ». In : Diccionario de historia eclesiástica de España. IV : S-Z. Madrid : C. S. I. C. 1975, pp. 2737-2742. Sulla storia della famiglia Zapata, una “historia llena de embrollos”, cfr. Julio Caro Baroja : Los Judíos en la España Moderna y Contemporánea. Tomo II, pp. 299-301. 134   J. Gómez-Menor Fuentes : Cristianos nuevos y mercaderes de Toledo, p. LII. Cfr. inoltre Hilario Rodríguez de Gracia : Notas para la biografía de dos toledanos ilustres. In : Anales Toledanos 22 (1985), 21-57 ; qui pp. 31-35 (« La estirpe conversa de Sancho de Moncada »).  





































































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tutte famiglie di mercanti e Jurados toledani. Sancho de Moncada, lui stesso sacerdote e “Catedratico de sagrada Escritura en la Vniuersidad de Toledo”, 135 aveva uno zio materno presbitero, una zia suora, una sorella suora, priora di un convento toledano, due nipoti suore, due nipoti gesuiti (Alonso de Andrade, autore di un “manualito de vida cristiana para uso de los soldados españoles del siglo XVII” intitolato El buen soldado católico, 136 e Martín de Moncada), un nipote frate e un cugino predicatore dell’Ordine di Sant’Agostino. Sacerdote era forse anche suo fratello maggiore (Pedro Ortiz de Moncada). Suoi parenti e colleghi di Università erano i sacerdoti dottor Pablo de Moncada, dottor Fernán Suárez de Moncada e dottor Luis Velluga de Moncada. Suoi parenti erano il dottor Alonso de Moncada, amico di Saavedra Fajardo, e Luis de Palma, il celebre predicatore gesuita. 137 (Ben poteva affermare Sancho de Moncada “que en lugares grandes hay muchas casas donde todos son eclesiásticos, y pocas donde no haya alguno” ! 138) Se anche qualcuna delle numerosissime vocazioni religiose era forse motivata da motivi economici, come lo stesso Sancho de Moncada riconosceva, 139 la profondità della ortodossia cattolica dei numerosi sacerdoti, frati e suore, discendenti da famiglie conversas, è fuori di ogni dubbio. 140 In molti casi i discendenti conversos delle antiche famiglie toledane ebraiche erano professori universitari (come, per esempio, Sancho de Moncada e i suoi parenti, colleghi di Università, or ora ricordati), letrados, 141 Oidores in Castiglia 142 o nelle Indie, 143 Aposentadores Reales, 144 ‘familiari’ 145 e consultori (Consultores) dell’Inquisizio 





   















135   Con questo titolo si presenta Sancho de Moncada nel frontespizio della Restavracion politica de España (Madrid : Luis Sánchez 1619). 136   Cfr. P. Alonso de Andrade : El buen soldado católico y sus obligaciones. Tomo primero [- segundo]. Edición y prólogo por Martín de Riquer (= Selecciones Bibliófilas. Segunda serie, vol. X-XI). Barcelona 1959, p. 11 (« Prólogo », di M. de R.). 137   Cfr. J. Vilar Berrogain : Conciencia nacional y conciencia económica. Datos sobre la vida y la obra del doctor Sancho de Moncada. In : Sancho de Moncada : Restauración política de España (1619). Edición a cargo de Jean Vilar. Madrid : Instituto de Estudios Fiscales - Ministero de Hacienda 1974, pp. 1-81 ; qui pp. 69-78. 138   Sancho de Moncada : Restauración política de España, pp. 135-136. 139   Analizzando, come altri economisti, la drammatica flessione demografica e la crisi economica e la responsabilità della eccessiva popolazione ecclesiastica in questa crisi, Sancho de Moncada afferma che il gran numero di religiosi era piuttosto una delle conseguenze e non una delle cause della crisi economica spagnola : “muchos son eclesiásticos, o Religiosos, por no poder pasar en el siglo, y así lo que causa pobreza del reino es lo que los obliga a ser religiosos y eclesiásticos, por no poder tomar otro estado, y eso es lo que tiene la culpa” (Sancho de Moncada : Restauración política de España, p. 136 ; si vedano anche le pp. 204-207). 140   J. Vilar Berrogain : Conciencia nacional y conciencia económica. Datos sobre la vida y la obra del doctor Sancho de Moncada, p. 77. 141   Cfr. V. Parello : Les judéo-convers. Tolède XVe-XVIe siècles. De l’exclusión à l’intégration, pp. 170-173 (“10% environ des membres des familles converses aisées de l’archevêché de Tolède embrassent la carrière des letrados au cours du XVIe siècle”). 142   A. MacKay : Popular Movements and Pogroms in Fifteenth-Century Castile, p. 50. 143   Sulle “Audiencias o Chancillerías Reales de las Indias”, che erano fondamentalmente tribunali di giustizia, ma che anche intervenivano nel governo delle colonie americane come organismi consultivi dei viceré e dei governatori, e sui loro “Oidores y Ministros”, cfr. Juan Solórzano Pereyra : Política Indiana [1647]. Edición de Francisco Tomás y Valiente y Ana María Barrero. Tomo III. Libro quinto. Libro sexto. Índices. Madrid : Biblioteca Castro 1996, pp. 1884-1919, pp. 1920-1943. 144   Gli Aposentadores Reales, o Aposentadores de Corte, erano incaricati di prendersi cura di tutto quello che concerneva lo “hospedaje del Rey y de la Corte en sus desplazamientos por el territorio del Reino” ed anche di occuparsi “del aposentamiento de los oficiales públicos cuando, por razón de sus funciones, tenían que desplazarse de un lugar a otro” (L. de Valdeavellano : Curso de historia de las Instituciones españolas, p. 493). Su questo ufficio cfr. anche Etiquetas de Palacio ordenadas por el año de 1562 y reformadas el de 1617, pp. 872873. – González D’Avila : Teatro de las grandezas de la Villa de Madrid, Corte de los Reyes Católico de España, pp. 332-334. – Antonio Rodríguez Villa : Etiquetas de la Casa de Austria. Madrid : Imprenta de Medina y Navarro (1875), pp. 49-50145   Tre quarti dei ‘familiari’ dell’Inquisizione di Toledo erano mercanti (cfr. F. J. Aranda Pérez : Poder y pode 













































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ne, 146 talvolta capitani dell’esercito, 147 cavalieri dell’Ordine di Santiago, 148 di Alcántara, 149 di Calatrava 150 e di Montesa. 151 A volte ricoprivano l’ufficio di Fiscal. 152 Discendenti di antiche famiglie toledane ebraiche si trovavano anche fra l’alta aristocrazia della Città Imperiale. I Silva, Conti di Cifuentes, “tenían sangre hebrea”. Erano una delle due famiglie piú potenti di Toledo (l’altra era la famiglia degli Ayala, Conti di Fuensalida). I Silva e gli Ayala si contendevano aspramente l’egemonia nella città, nonostante che vari e stretti legami di parentela unissero le due famiglie. 153 Paradossal 















res en la Ciudad de Toledo. Gobierno, sociedad y oligarquías urbanas en la Edad Moderna, pp. 289-307). Si può ben supporre che nelle famigliature l’elemento converso fosse proporzionale alla forte presenza dei convertiti di origine ebraica in questa professione. Per divenire familiar della Inquisizione era richiesto il requisito di limpieza de sangre. Come scrive Jean-Pierre Dedieu, era però il candidato stesso che pagava direttamente coloro che erano incaricati di accertare la sua purezza di sangue e che organizzava “une épreuve dont le contrôle échappait presque entièrement au Saint-Office”. In questa maniera il risultato favorevole al candidato delle prove genealogiche era scontato. Per diventare ‘familiare’ della Inquisizione la ricchezza e il potere sociale del candidato erano quindi molto piú importanti e decisivi della purezza del suo sangue. Cfr. Jean-Pierre Dedieu : Limpieza, pouvoir et richesse. Conditions d’entrée dans le corps des ministres de l’Inquisition. Tribunal de Tolède – XVIe-XVIIe siècles. In : Les sociétés fermées dans le monde ibérique (XVI-XVIIIe s.) Définitions et problématique (= Collection de la Maison des Pays Ibériques, 29). Paris : Éditions du C. N. R. S. 1986, pp. 169-187. Cfr. anche Jaime Contreras : El Santo Oficio de la Inquisición en Galicia, 1560-1700. Poder, sociedad y cultura. Madrid : Akal 1982, pp. 84-115, pp. 197-203. 146   Sebastián de Horozco era, per esempio, consultor della Inquisizione toledana ; un suo discendente, Francisco de Alarcón y Horozco, apparterrà a quella di Cuenca e sarà maestrescuela della Cattedrale della città, succedendo in questa funzione a suo zio, Sebastián de Horozco. Cfr. Jack Weiner : Sobre el linaje de Sebastian de Orozco. In : La picaresca. Orígenes, textos y estructuras. Madrid : Fundación Universitaria Española 1979, pp. 791-803 ; qui p. 792 e p. 797. 147   Cfr. V. Parello : Les judéo-convers. Tolède XVe-XVIe siècles. De l’exclusión à l’intégration, pp. 145-146 e 173-176. 148   Nel 1609 ricevette l’abito di Santiago – per fare un esempio concreto (piú avanti ricorderemo altri due cavalieri di Santiago discendenti da conversos toledani : don Francisco de la Fuente y Segura e don Rodrigo de la Fuente Polanco) – Fernando de Alarcón y Horozco, discendente di Sebastián de Horozco, sebbene fossero affiorati dubbi sulla sua limpieza durante le informazioni genealogiche. Cfr. J. Weiner : Sobre el linaje de Sebastian de Orozco, pp. 794-797. 149   Ricevette le insegne di cavaliere di Alcántara Fernando Ruiz de Alarcón, figlio di Fernando de Alarcón e di Catalina de Horozco, nonostante le testimonianze negative sulla sua limpieza. Cfr. J. Weiner : Sobre el linaje de Sebastian de Orozco, pp. 797-798. 150   Diego López de Toledo, discendente di Juan Alvarez de Toledo, aveva ricevuto sia l’hábito di Calatrava che di Alcántara. Hernando Niño de Ribera, discendente di Lope Conchillos, aveva ricevuto l’hábito di Calatrava. Cfr. L. Martz : A Network of Converso Families in Early Modern Toledo, p. 49 e p. 105. 151   Gabriel Sedeño y Mesa, nipote di Juan Herrera e figlio di Juan de Herrera, Jr. – entrambi conversos e regidores di Toledo –, divenne cavaliere dell’Ordine di Montesa nel 1590. Cfr. Linda Martz : Implementation of Pure-Blood Statutes in Sixteenth-Century Toledo. In : In Iberia and Beyond. Hispanic Jews between Cultures. Edited by Bernard Dov Cooperman. Newark : University of Delaware Press - London : Associated University Presses 1998, pp. 245-271 ; qui pp. 256-259 [lo stesso saggio Linda Martz l’aveva già pubblicato in Sefarad – 54 (1994), pp. 83-107 – con il titolo : Pure Blood Statutes in Sixteenth Century Toledo : Implementation as opposed to Adoption]. 152   Il Fiscal era incaricato della amministrazione del patrimonio regio e della difesa di tutto quello che poteva riguardare gli interessi della Corona (“defender en juyzio todas las cosas y los derechos que pertenescen a la camara del rey”), che egli rappresentava nelle cause di giurisdizione (“pleytos que las ciudades y villas tratan sobre las jurisdiciones”) e nei processi civili e criminali. Cfr. Hugo Celso : Reportorio Vniversal de todas las leyes destos Reynos de Castilla. Medina del Campo : Iuan Maria da Terranoua y Iacome de Liarcari 1553, fo. CXLVIIv-CXLVIIIr. Nella Relación sopra menzionata si legge : “Miércoles, diez y seis dias de agosto del dicho año de ochenta y seis [1486], quemaron veinte y çinco personas, veinte hombres y çinco mugeres ; entre los quales al doctor alonso cota vezino de toledo, á un regidor de esta çibdad, y á un fiscal, y á un comendador de la horden de santiago, é á otras personas que fueron de honra” (F. Fita : La Inquisición toledana. Relación contemporánea de los autos y autillos que celebró desde el año 1485 hasta el de 1501, pp. 299-300). 153   Sulla rivalità fra gli Ayala e i Silva cfr. Eloy Benito Ruano : Toledo en el siglo XV, pp. 84-119. Sui legami di parentela tra gli Ayala e i Silva e quelli di alcuni membri delle due famiglie con famiglie di origine ebraica cfr. L. Martz : A Network of Converso Families in Early Modern Toledo, pp. 5-13.  

























































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mente (ma la cosa avveniva frequentemente), nel XVI secolo i Silva si schierarono con decisione dalla parte dei cristianos viejos (nel XV secolo, quando scoppiò il tumulto del 1467, i Silva erano stati invece dalla parte dei conversos, 154 protetti, in quella occasione, anche dagli Ayala, nonostante che Don Pero López de Ayala capitanasse durante quei tragici avvenimenti i cristianos viejos 155). Ostentavano in tutti i modi la loro avversione per i cristianos nuevos. Non ammettevano al loro servizio persone con questa (la loro stessa !) “mancha de origen” e se, eccezionalmente, qualche converso entrava nel loro palazzo, davano ordine alla servitù di spazzare subito i luoghi per i quali era passato per cancellare ogni contaminazione della “generación « infecta »”. 156 Gli Ayala, che avevano anch’essi legami di parentela con famiglie conversas, 157 presero una posizione più tollerante e aperta sul problema della limpieza de sangre. José Gómez-Menor Fuentes ritiene che la “sociedad cristiano-judeoconversa” toledana avesse raggiunto un buon grado di omogeneità già a partire dagli ultimi decenni del XV secolo (il processo di omogeneizzazione si intensificò nel XVI secolo – nonostante la guerra delle Comunidades, un breve episodio le cui alteraciones furono rapidamente cancellate, e nonostante la Cédula Real del 1566 con la quale Filippo II richiedeva che i regidores dell’Ayuntamiento toledano fossero cristianos viejos 158 – e nel XVII secolo) :  

















154   Cfr. Alonso de Palencia : Crónica de Enrique IV. Introducción [y traducción] de Antonio Paz y Melia (= Biblioteca de Autores Españoles, 257-258, 267). Madrid : Atlas 1973-1975 ; qui tomo I, p. 216. 155   Cfr. E. Benito Ruano : Toledo en el siglo XV, pp. 93-98, pp. 156-157. 156   Ramón Gonzálvez : Intervención del Alcalde Ronquillo en un caso de difamación de limpieza de sangre (1538). In : Anales Toledanos 1 (1966), 57-71 ; qui p. 59 e p. 64. 157   Cfr. El Tizón de la Nobleza de España. « Discurso de algunos linages de Castilla, & Aragon, Portugal y Navarra, sacados de la relación, quel el Cardenal Arzobispo de Burgos D.n Francisco de Mendoza, y Bobadilla, dió a la Magestad de Felipe Segundo. In : Julio Caro Baroja : Los Judíos en la España Moderna y Contemporánea. Tomo III, p. 318 e p. 325. – J. Gómez-Menor Fuentes : Cristianos nuevos y mercaderes de Toledo, p. XXXIV. 158   « Cédula Real y Estatuto que se presentó en el Ayuntamiento de la ciudad de Toledo el miércoles 27 de marzo de 1566 ». In : Juan Ignacio Gutiérrez Nieto : La discriminación de los conversos y la tibetización de Castilla por Felipe II. In : Homenaje a Gómez Moreno. IV (= Revista de la Universidad Complutense, Vol. XXII, Núm. 87, Julio-Septiembre 1973). Madrid : Publicaciones de la Universidad Complutense de Madrid 1973, pp. 99-129 ; qui pp. 121-123. Con questo decreto Filippo II tentava di riorganizzare e ristrutturare l’Ayuntamiento toledano, in modo da assicurare, nella composizione del governo municipale, allo “estado de los caballeros” il predominio numerico (16 su 24 regidores), e disponeva che i regidores-caballeros fossero “hijosdalgo de sangre y que ellos ni sus pasados no hayan tenido oficio mecánico ni vil” e che i regidores rappresentanti “del estado de ciudadanos” fossero “hijosdalgo o a lo menos cristianos viejos, limpios, sin raza de moro ni judío”. Alcuni regidores protestarono contro questa disposizione, affermando che era “contra leyes de estos reinos” e “contra toda razón natural” e che costituiva “injuria y afrenta de infinito número de gente principal de esta ciudad”. Orgogliosamente ricordavano che i numerosissimi “hombres principales y ricos” della città, che si voleva fossero “inhabilitados para tener honras y oficios”, possedevano “toda la suficiencia, utilidad y valor de personas para servir a Su Majestad en negocio de tanta y de más cualidad que ser regidores de Toledo como se verá por experiencia, si de ello se hace examen”. Cfr. Petición que por algunos regidores de Toledo se dio a S. M. suplicándole no mandase hacer estatuto en el Ayuntamiento y dan las causas por donde les parece que no conviene al servicio de Dios ni del Rey. In : Juan Ignacio Gutiérrez Nieto : La discriminación de los conversos y la tibetización de Castilla, pp. 123-128. La petizione non ebbe successo. Ma un gruppo sociale cosí numeroso, influente, ricco e legato con vincoli di parentela a tante famiglie di hidalgos e caballeros, aveva una forza troppo grande perché potesse venire escluso realmente dal potere municipale. La inefficacia del decreto di esclusione emanato da Filippo II è dimostrata empiricamente dalla seguente statistica elaborata da Francisco José Aranda Pérez : negli anni 1525-1550 i regidores toledani conversos erano stati 13 ; negli anni 1550-1575 il loro numero sale a 14 e negli anni 1575-1600 sale ulteriormente a 17. Come si vede il numero dei regidores di sangue non puro non solo non si azzera o diminuisce, ma addirittura aumenta dopo il 1566 ! Cfr. F. J. Aranda Pérez : Poder y poderes en la Ciudad de Toledo. Gobierno, sociedad y oligarquías urbanas en la Edad Moderna, p. 259. Sulla inefficacia della « Cédula Real » del marzo del 1566 cfr. anche L. Martz : Implementation of Pure-Blood Statutes in SixteenthCentury Toledo, pp. 251-253. A proposito della facilità con la quale Juan de Herrera y San Domingo, converso e con un nonno (Gutierre de San Domingo) ‘riconciliato’ nel 1486, ottiene l’ufficio di regidor dell’Ayuntamiento di Toledo – ufficio ottenuto anche da altri membri di notorie famiglie di conversos, come Juan de la Torre, Hernando Alvarez Ponce de León, Diego de San Pedro, Gaspar Sánchez Franco, Hernán Franco, Alonso Franco, Diego  





















































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Si juzgamos por los signos externos – riqueza, costumbres, convivencia ciudadana... – creemos poder concluir que la sociedad burguesa toledana había logrado, tras un siglo de enlaces familiares y varios lustros de acertado gobierno de los Reyes Católicos, una fisonomía definida, producto de un proceso gradual de integración. Tal fisonomía era, ciertamente, la común a toda Castilla, pero con matizaciones peculiares de la región natural que era el reino de Toledo, y aun con modalidades características de la ciudad, nacidas de las condiciones propias en ella dominantes : un nivel medio de vida que puede calificarse de desahogado ; un ambiente cultural aceptable y en progresiva acentuación ; el elevado número de clérigos y frailes, con minorías selectas, muchos de ellos preocupados por la eficaz predicación y evangelización del pueblo y la reforma de sus costumbres, y un positivo deseo de convivencia pacífica y de superación de los trágicos antagonismos que dieron lugar a los alborotos de 1449 y 1467, de infausto recuerdo. 159  







I numerosi matrimoni fra persone appartenenti a famiglie conversas e persone appartenenti a famiglie cristiano-viejas e hidalgas o alla nobiltà titolata – fenomeno anche questo osservato con preoccupazione e riprovazione dal cardinale Silíceo 160 – avevano promosso l’integrazione sociale e l’amalgamazione biologica (la fusione di famiglie borghesi cristiano-viejas con ricche famiglie conversas era stata intensa soprattutto negli anni 1391-1415 ; nel corso della prima metà del XV secolo si ebbero poi molti matrimoni fra membri di ricche famiglie conversas e membri di famiglie nobili impoverite dalle trasformazioni economiche e sociali e dalle loro faide e lotte per il potere ; già alla fine del XV secolo “gran parte de la nobleza toledana” si era – come hanno osservato José GómezMenor Fuentes e Ramón Gonzálvez Ruiz, buoni conoscitori delle intricatissime genealogie delle famiglie toledane 161 – unita con famiglie conversas, o lo farà nel corso del XVI secolo). 162 Le genealogie di numerose famiglie toledane ricostruite da Linda Martz documentano l’elevato grado di osmosi esistente fra l’aristocrazia del denaro e l’aristocrazia del sangue nella società della Città Imperiale dei secoli XV, XVI e XVII. 163  











Hurtado, Hernán Suárez Franco, Antonio Alvarez de Alcocer, Francisco Sánchez de Toledo –, L. Martz scrive : “The apparent ease with which Juan de Herrera purchased his office underlines a basic element of Castilian society that counted for much in overcoming dubious lineage : money” (p. 248). 159   J. Gómez-Menor Fuentes : Cristianos nuevos y mercaderes de Toledo, p. XLIX. 160   Illustrando nel 1548 i motivi che lo avevano indotto a emanare lo Statuto, il Primate di Spagna annoverò anche i matrimoni fra conversos e nobili di alto rango : “a tomado esta gente que desciende de Judios por escudo, para defenderse de los Inquisidores, y lebantarse sobre los Christianos Viejos, casar sus hijos, y hijas con la Gente mas ilustre de España, en lo qual no se debia tener descuido, antes proveer con mucha diligencia, se cumpla aquel proverbio si vis nubere, nube pari, y si en la Gobernacion de la Republica se ponen almotacenes, para que sean castigados los que venden por medidas falsas vino, azeite y otros licores, y semillas, y el pan cozido a menos peso, quanto mas debian ser castigados, y reprehendidos los que su illustre casta, y sangre de Christianos Viejos benden por falsas medidas, que son solo el interes, y dinero, que los Confesos les dan para juntarse por bia de Casamiento con ellos ; por que si fuese por devocion de hazer sus hijos Christianos, como en tiempo de la primitiba Iglesia se hacia, no solamente seria cosa tolerable, pero mui Santa y justa” (Estatvto de la S.ta Iglesia de Toledo, fo. 25v-26r). 161   La ricostruzione di queste genealogie è resa particolarmente difficile da quell’afán de ocultación che spingeva la maggior parte delle persone di origine ebraica a cambiare nome e a nascondere e mascherare i legami famigliari. Cfr. Hilario Rodríguez de Gracia : Asistencia social en Toledo. Siglos XVI-XVIII. Toledo : Caja de Ahorro Provincial de Toledo 1980, p. 168, nota nro. 42. 162   J. Gómez-Menor Fuentes : Cristianos nuevos y mercaderes de Toledo, p. XLV (v. anche pp. XV-XVI e p. 16). – R. Gonzálvez (Ruiz) : Intervención del Alcalde Ronquillo en un caso de difamación de limpieza de sangre (1538), p. 59 (“buena parte de la nobleza castellana, atraída por el afán de dinero, había mezclado su sangre con la judeo-conversa”). – Ramón Gonzálvez Ruiz : Las minorías etnico-religiosas en la Edad Media española. In : Historia de la Iglesia en España. II-2.° : La Iglesia en la España de los siglos VIII al XIV. Dirigido por Javier Fernández Conde. Madrid : B. A. C. 1982, pp. 497-557 ; qui p. 547. 163   L. Martz : A Network of Converso Families in Early Modern Toledo (cfr. le 35 « Genealogical Charts » inserite nel libro).  

































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L’osmosi sociale era facilitata a Toledo, dove viveva pure una importante colonia di mercanti genovesi perfettamente integrati nella società toledana, 164 anche dall’assenza di padrones, gli elenchi dei contribuenti – pecheros – e degli esenti dai pechos – gli hidalgos. 165 Quando nel 1591 incominciarono i lavori per determinare la quota della città nella imposta dei Millones che doveva essere pagata da tutti i cittadini, compresi quelli generalmente esenti, si chiese al Corregidor di fornire informazioni sul numero esatto di hidalgos, di appartenenti al clero, secolare e regolare, e dei comuni abitanti. A questa richiesta il Corregidor Perafán (Pedro Afán) de Ribera reagì “haciendo constar que era imposible distinguir los hidalgos de los pecheros de la ciudad, ya que nunca se había confeccionado ninguna lista que los diferenciara”. 166 E nonostante le pressioni della Corona affinché si determinasse il numero di hidalgos della città, il Corregidor rimase fermo nel respingere il censimento, ritenendo impossibile effettuarlo, “ya que causaría « una confusión y desasosiego notable en la ciudad »”. 167 Pertanto Toledo fu registrata nel 1591 con 10.933 vecinos, dei quali 10.000 hidalgos 168 (solo 933 vecinos furono quindi esclusi – per ragioni che non è possibile verificare – dalla hidalguía), 739 chierici secolari e 1.942 chierici regolari (moltiplicando per cinque il numero dei vecinos, si potrebbe quindi calcolare che la Città Imperiale aveva, nel 1591, una popolazione di 57.346 persone). 169 Un indicatore dell’avvenuta ampia integrazione sociale, assimilazione culturale e amalgamazione biologica fra cristianos viejos e conversos era la diffusa opinione – ricordata da Baltasar Elisio de Medinilla nel suo Discurso sobre el remedio de las cosas de Toledo, nel quale propone, per arrestare la decadenza della città, di riservare le dignità e prebende (“las Dignidades i beneficios”) della Chiesa di Toledo, fattore economico di prim’ordine, 170 ai toledani – che, per quanto concerneva la limpieza de sangre, fosse “ia sospechoso  

















164   Cfr. Trevor J. Dadson : La Casa Bocangelina : Una familia hispano-genovesa en la España del Siglo de Oro. Pamplona : Ediciones Universidad de Navarra 1991, pp. 2-33. 165   Luis Hurtado de Toledo aveva scritto nel 1576 che a Toledo non si poteva “conocer el numero de hidalgos, porque como este pueblo por antiguedad de muchos reyes sea libre de pecho, sisa, quema, y almorifazgo ni otra nueua ynposicion todos biuen con ygualdad y libertad” (Memorial de algunas cosas notables que tiene la Imperial Ciudad de Toledo, p. 524). 166   L. Martz - J. Porres : Toledo y los toledanos en 1561, p. 18. 167   Cit. da L. Martz - J. Porres : Toledo y los toledanos en 1561, p. 18. 168   La cifra è sicuramente arbitraria ed esagerata (ma non eccessivamente). Parlando di Burgos e riferendosi al censimento del 1591, Felipe Ruiz Martín scrive : “En 1591, de sus 11.480 moradores seglares – los clérigos eran 1.475 y los religiosos 893 – nada menos que 8.616 habían obtenido la soñada promoción a la hidalguía. Ninguna otra villa o ciudad llegó a tales extremos ; así, invariablemente, en 1591, la proporción de Valladolid era 25.790 pecheros y 12.500 hidalgos ; la de Segovia, 21.930 pecheros y 5.000 hidalgos ; la de Córdoba, 27.860 pecheros y 1.165 hidalgos”. Cfr. Felipe Ruiz Martín : Rec. a : José Antonio Maravall : Las Comunidades de Castilla. Una primera revolución moderna. Madrid, Revista de Occidente, 1963. In : Anuario de historia económica y social 1 (1968), 837841 ; qui pp. 839-840. È chiaro comunque che la generalizzazione della distinzione ne annullava il valore. A proposito del caso toledano scrive F. J. Aranda Pérez (Poder y poderes en la Ciudad de Toledo. Gobierno, sociedad y oligarquías urbanas en la Edad Moderna, p. 279) : “la condición de hidalgo en Toledo era poco eficaz : vivir en Toledo proporcionaba hidalguía a través de los privilegios y libertades otorgadas secularmente por los monarcas, y entre otras cosas los ciudadanos-vecinos de nuestra ciudad disfrutaban la exención del pago de derechos de entrada. Una distinción, cuando se universaliza, deja de serlo : por tanto la hidalguía toledana no era útil al menos de puertas adentro. Así, por lo general, aquellos que buscaran la distinción tenían que recurrir a su reconocimiento como hidalgos en algún otro lugar. Como es de suponer, lo hacían preferentemente en lugares de la tierra de Toledo puesto que su posición privilegiada en el gobierno municipal toledano les podía facilitar mucho las cosas en este sentido”. Sul poco interesse per l’acquisto di hidalguías mostrato dai ricchi cittadini di Toledo intorno alla metà del XVI secolo (la patente di nobiltà costava 5.000 ducati, una regiduría ‘solo’ 1.800 ducati), cfr. L. Martz : A Network of Converso Families in Early Modern Toledo, pp. 183-184. 169   L. Martz - J. Porres : Toledo y los toledanos en 1561, pp. 17-18. 170   Sulla Chiesa di Toledo scrive J. F. Rivera : “La desmesurada extensión del territorio, que suponía una renta de 80.000 ducados, incluía más de 20 villas y fortalezas propias del señorío arzobispal, las cuales proporcionaban 2.000 hombres de armas y una nutrida plantilla de administradores de justicia, notarios y escribanos. La  







































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ser vecino de Toledo”. 171 Un altro indicatore della avvenuta integrazione e assimilazione è costituito dalla scarsa attività dell’Inquisizione toledana (la quale era competente non solo per la città e la provincia di Toledo, ma per tutto il territorio del Regno di Toledo, un’area di oltre 47.000 Km2 con una popolazione di circa 900.000 ab. nel 1591 – la città di Toledo ne aveva ca. 45-57.000) nel XVI secolo e nei primi decenni del XVII secolo. Nel periodo 1560/1570 – 1620/1630 “les causes de foi” per il delitto di giudaismo, le cause quindi che riguardavano specificatamente i conversos di origine ebraica, quasi spariscono, 172 come risulta dalle ricerche di Jean-Pierre Dedieu, che ha anche messo in rilievo – come già aveva fatto José Gómez-Menor Fuentes, ma utilizzando una diversa serie documentale – che il grado di integrazione sociale e di assimilazione culturale raggiunto dai conversos toledani era elevato e che “beaucoup de familles conversas, même celles qui avaient eu des problèmes avec le Saint-Office, occupaient des positions sociales élevées” (nel XVII secolo entreranno addirittura sempre piú frequentemente negli Ordini Militari). 173 Un vistoso indicatore della avvenuta assimilazione religiosa e della scomparsa del criptogiudaismo è costituito, infine, dalla frequente appartenenza dei conversos a confraternite religiose, dai loro lasciti testamentari alle Chiese per messe di suffragio, ornamenti (oggetti per la liturgia, quali paramenti, calici preziosi), opere pie, istituzioni di beneficenza, 174 e dal loro zelo nel fondare patronati, cappelle e cappellanie. I conversos toledani erano di gran lunga i piú zelanti fondatori di cappelle e di cappellanie nelle Chiese e nei Conventi della Città Imperiale. 175 Con queste fondazioni si ostentava il potere e l’onore del linaje, si manifestava l’adesione sincera, completa e profonda alla religione cristiana, si ‘sacralizzava’, per cosí dire, ricchezze che spesso risalivano ad una epoca precedente la conversione 176 e si provvedeva (con le cappellanie) ad assicurare il futuro di qualche discendente maschio chierico. Vincent Parello conclude la sua ricerca sui conversos toledani con queste parole :  













Au moment où nous arrêtons notre enquête, c’est-à-dire dans les années 70 du XVIe siècle, l’aventure de la formidable ascension sociale des élites converses locales de la Manche, déjà bien entamée, n’en est pourtant qu’à ses débuts. Il faudra attendre les XVIIe et XVIIIe siècles, pour que les descendants des judéo-convers « marqués » fondent des majorats, accèdent aux familiatures du Saint-Office, obtiennent des habits d’ordre militaire ou des titres de noblesse : marquis, comte, etc… Le dynamisme économique et social de la minorité converse, perceptible dès le premier quart du XVIe siècle, constitue la preuve indéniable que les barrages idéologiques ne tiennent pas face aux impératifs économiques. L’histoire des judéo-convers repose donc sur un paradoxe : celui d’une société qui en voulant exclure n’en a que mieux intégré. 177  









dotación eclesiástica sumaba un total de 209 entre dignidades, canonijías y beneficios simples, más 1.754 beneficios, repartidos en 20 arciprestazgos”. Cfr. J. F. Rivera : « Toledo, Archidiócesis de ». In : Diccionario de historia eclesiástica de España. IV : S-Z. Madrid : C. S. I. C. 1975, pp. 2564-2571 ; qui p. 2566. 171   Cit. da J. Gómez-Menor Fuentes : Cristianos nuevos y mercaderes de Toledo, pp. XLVI-XLVIII. 172   Henry Charles Lea : Die Inquisition von Toledo von 1575-1610. In : Zeitschrift für Kirchengeschichte, XIV. Band, Gotha 1894, pp. 193-201. – J.-P. Dedieu : L’administration de la foi. L’Inquisition de Tolède, XVIe-XVIIIe siècle, pp. 233-252. – Jean-Pierre Dedieu : Les causes de foi de l’Inquisition de Tolède (1483-1820). Essai statistique. In : Mélanges de la Casa de Velázquez XIV (1978), 143-171. 173   J.-P. Dedieu : L’administration de la foi. L’Inquisition de Tolède, XVIe-XVIIIe siècle, pp. 31-32. Cfr. anche V. Parello : Les judéo-convers. Tolède XVe-XVIe siècles. De l’exclusión à l’intégration, pp. 191-193. 174   Cfr. J. Gómez-Menor Fuentes : Cristianos nuevos y mercaderes de Toledo, pp. 8-9, p. 15, p. 23, pp. 26-27, pp. 35-36, pp. 38-39, p. 51. 175   J. Gómez-Menor Fuentes : Cristianos nuevos y mercaderes de Toledo, pp. 5-36, pp. 59-94. Non accadeva diversamente nelle altre città. Cfr. – per esempio – su Siviglia, Juan Gil : Los conversos y la Inquisición sevillana. Volumen II. Sevilla : Universidad de Sevilla 2000, pp. 20-98. 176   J. Gómez-Menor Fuentes : Cristianos nuevos y mercaderes de Toledo, p. LI. 177   Vincent Parello : Les judéo-convers. Tolède XVe-XVIe siècles. De l’exclusión à l’intégration, p. 193.  









































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Pare che la famiglia López de Úbeda non sia mai stata processata dalla Inquisizione. Il nome di membri della famiglia López de Úbeda – con la sola eccezione di Leonor Rodrigues, vedova di un Francisco (o Fernando) López de Úbeda, 178 che appare negli elenchi degli judaizantes habilitados del 1495 e del 1497 179 – non figura nelle liste note degli incarcerati e processati dalla Inquisizione toledana 180 e nella Sentencia-Estatuto di Pero Sarmiento, nella quale si elencavano i nomi dei conversos che venivano “privados de qualesquier Oficios y Beneficios”, 181 e neppure ricorre negli studi dedicati a questa istituzione. 182 An 









178   « Habilitación de los inhabiles de Toledo mandada hacer por los Reyes Católicos en 1495 por encontrarse necesitados de dinero ». In : F. Cantera Burgos (con la colaboración de Pilar León Tello) : Judaizantes del arzobispado de Toledo habilitados por la Inquisición en 1495 y 1497, pp. 1-66 ; qui p. 49 (in questa lista si legge “Leonor Rodrigues, muger que fue de Fr.o Lopez de Ubeda” ; la lista del 1497, intitolata « Quentas originales del producto de las conmutaciones, penitencias, penas arbitrarias y habilitaciones impuestas a los reconciliados, hijos y nietos de los reconciliados de la ciudad y arzobispado de Toledo. Año de 1497 », scrive Fernando López de Úbeda). 179   I figli e i nipoti dei condannati dalla Inquisizione “se hallaban inhabilitados para ejercer cargos públicos y de honra, montar á caballo, usar armas, ropas de seda, paño fino, etc.” (Catálogo de las causas contra la fe, p. 131, nota 1). Pagando una certa somma, i condannati dalla Inquisizione di Toledo, o i loro discendenti, cancellavano questa inhabilidad. Il denaro così raccolto serviva “para la sustentaçion y nesçesidades del ofiçio de la santa Ynquisyçion y para ayuda a pagar los gastos que se hizieron en la guerra de Granada” (« Habilitación de los inhabiles de Toledo mandada hacer por los Reyes Católicos en 1495 por encontrarse necesitados de dinero », p. 3). Frequenti furono gli accordi economici (composiciones), offerti dai Re Cattolici per necessità di denaro (il titolo della lista del 1495, apposto in epoca posteriore nel foglio di guardia, specifica la somma di cui Fernando e Isabella necessitavano : « Condonaciones de Reconçiliados. Los Reyes Catolicos huvieron menester 5 quentos de mrs. Y dieron licenzia para que habilitasen los Inq.res a los inhabiles de Toledo el año 1495 »), con i quali si offriva ai discendenti diretti (figli e nipoti) dei condannati dalla Inquisizione come giudaizzanti o come eretici la possibilità di rendere inefficaci le disposizioni che li escludevano dagli uffici pubblici. Mediante pagamento di una determinata somma di denaro essi potevano acquistare “la habilidad general para desempeñar cargos y oficios de honra”. Cfr. Claudio Guillén : Un padrón de conversos sevillanos (1510). In : Bulletin Hispanique 65 (1963), 49-98 ; qui pp. 49-51. Sulle composiciones cfr. anche Juan Gil : Los conversos y la Inquisición sevillana. Volumen I. Sevilla : Universidad de Sevilla 2000, pp. 143-146, 184-194, 229-325. – Juan Gil : Los conversos y la Inquisición sevillana. Volumen II. Sevilla : Universidad de Sevilla 2000, pp. 319-445. Con il pagamento della modesta pena pecuniaria di 300 maravedises Leonor Rodrigues otteneva che i suoi discendenti non sarebbero stati più considerati ‘inabili’ a ricoprire uffici pubblici. Moltissimi degli oltre 1500 cittadini toledani accusati di giudaizzare pagarono somme molto più rilevanti (sino a 75.000, 100.000 e 175.000 maravedises) ; altri, invece, una somma addirittura inferiore (100 o 200 maravedises) a quella pagata da Leonor Rodrigues. Julio Caro Baroja (Los Judíos en la España Moderna y Contemporánea. Tomo I, p. 397) scrive : “los expedientes individuales por « inhabilidad » son casi específicos del … siglo [XVI]. En efecto, de los ciento diez y nueve registrados en el catálogo de la Inquisición toledana, 116 son de aquella centuria, dos de 1600 y uno de 1653. Esto puede revelar, en primer termino, que la memoria de los grandes « delitos » castigados a fines del siglo XV durò un siglo, poco más o menos”. La vendita delle habilitaciones fruttò al sovrano, nel 1512, per la sola Andalucía, venti milioni di maravedíes. Anche il Papa vendeva habilitaciones agli spagnoli che ne facevano domanda. Cfr. Jean-Pierre Dedieu : L’administration de la foi, pp. 330-332. 180   Cfr. F. Fita : La Inquisición toledana. Relación contemporánea de los autos y autillos que celebró desde el año 1485 hasta el de 1501, pp. 311-321. – Catálogo de las causas contra la fe seguidas ante el Tribunal del Santo Oficio de la Inquisición de Toledo y de las informaciones genealógicas de los pretendientes à oficios del mismo. Con un apéndice en que se detallan los fondos existentes en este Archivo de los demás tribunales de España, Italia y América. Madrid : Archivo Histórico Nacional 1903. – J. Caro Baroja : Los Judíos en la España Moderna y Contemporánea. Tomo III, pp. 452-458. – Vincent Parello : Les judéo-convers. Tolède XVe-XVIe siècles. De l’exclusión à l’intégration, pp. 213-228. – Julio Serra : Procesos en la Inquisición de Toledo (1575-1610). Manuscrito de Halle. Madrid : Editorial Trotta 2005, pp. 169-202, 219-575. 181   Estatvto de la S.ta Iglesia de Toledo, fo. 125r. - E. Benito Ruano : Los orígenes del problema converso, p. 90. 182   Cfr. Fritz Baer : Die Juden im christlichen Spanien. Erster Teil. Urkunden und Regesten. Zweiter Band. Kastilien / Inquisitionsakten. Berlin : Schocken Verlag 1936. – Jean-Pierre Dedieu : L’administration de la foi. L’Inquisition de Tolède, XVIe-XVIIIe siècle. – B. Netanyahu : Los orígenes de la Inquisición en la España del siglo XV.  











































































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che l’aver conservato sempre il proprio nome, 183 fa supporre che la famiglia López de Úbeda, con la sola eccezione sopra ricordata di Leonor Rodrigues (Parrocchia di San Román), non sia mai stata sospettata di giudaizzare. Essa infatti mai variò il proprio nome, vuoi con l’omissione di una sua parte, vuoi con l’aggiunta del nome delle famiglie delle madri. E tanto meno lo cambió radicalmente – come fecero invece molte delle famiglie conversas di Toledo, che abbandonarono i loro nomi “para evitar la ignominia de verlos escritos en los sambenitos, retirados de la catedral en 1538 y distribuidos por las parroquias de origen de los reos” 184 –, magari assumendo i nomi di famiglie di cristianos viejos e, in particolare di “viejas y « limpias » familias gallegas, vascongadas y castellano-leonesas”, 185 accorgimento usato frequentemente proprio dalle famiglie toledane di origine ebraica (tutte queste diffuse pratiche 186 – possibili grazie alla libertà che avevano in questa epoca le persone di cambiare il proprio nome – rendono possibile la ricostruzione delle genealogie solo nei casi in cui da testamenti, contratti, documenti di fondazione di cappelle, cappellanie, opere pie e simili, o da scritture di altro tipo, emergano legami di parentela fra persone con nomi completamente diversi 187). Il non aver  













183   Scrive Juan Gil : “Conservar el apellido se convirtió, por razones obvias, en una prueba más de hidalguía. En la información de « limpieza y genealogía » que en 1584 la Iglesia de Sevilla obligó a hacer a Pedro López Treviño, pretendiente a racionero, los testigos del candidato insistieron mucho en la inmutabilidad constante del apellido : « siempre se llamaron d’estos nombres que dicho tiene, sin se los mudar ni trocar ».” Cfr. Juan Gil : Los conversos y la Inquisición sevillana. Volumen III. Ensayo de Prosopografía, p. 62. 184   J. Gómez-Menor Fuentes : Cristianos nuevos y mercaderes de Toledo, p. 7 (v. anche p. XXXII). Nella sua appendice alla Relación piú volte menzionata, Sebastián de Horozco, dopo aver ricordato che nel 1538 i sambenitos appesi nella Cattedrale di Toledo – divenuti quasi illeggibili – furono, per ordine degli Inquisitori, tolti da questa e – dopo essere stati restaurati – posti “en cada perrocha desta çibdad, donde los ... quemados ó reconçiliados eran perrochanos”, scrive : “Lo qual pesó infinito á los confessos de toledo, desçendientes de aquellos ; é por esto todos ó los más, se han quitado y mudado los nombres antiguos que tenían de sus agüelos y antepasados, que ya en esta çibdad no se hallará quien de aquellos nombres y apellidos antiguos de confessos se llame, así como fagueles, guaypanes, gafayres, sorjes, golondrinos, husillos, jaradas, cotas, cañamones, alixandres, hauetes, hayetes, dientes, faros, cabales, atres, pavones, talayes, tardones, micales, tordillos, pichos, mohetes, albendines, limosines, levis, falconis, camarones, abengatos, paxarillos, piques, chapateles, pintados, blancos, tizones, garvales, tardales, merinillos, hamomos, burrabes”. Cfr. F. Fita : La Inquisición toledana. Relación contemporánea de los autos y autillos que celebró desde el año 1485 hasta el de 1501, pp. 309-310. Una lista dei nomi di conversos più frequentemente ricorrenti nelle liste degli habilitados del 1495 e 1497 è stata approntata da Francisco Cantera Burgos. In essa figurano – oltre ad alcuni dei nomi (Cota, Faro o Haro, Husillo, Jarada, Sorge o Sorje) ricordati da Sebastián de Horozco – nomi come Alcocer, Alonso, Alvares o Alvarez, de Avila, del Castillo, de Córdoba, Cuellar, de Cuenca, Dias, Dueñas, Ferrandes, Fuensalida, de Illescas, de León, Lopes, Montalván, Nuñes, de Ocaña, Ortis, de la Peña, Prado, Pulgar, Rodrigues, de la Rua, San Pedro, de Segovia, Serrano, de Sevilla, de Toledo, de la Torre, Torrijos, de Ubeda, Vasques o Vázques, de Villa Real, de la Xara o Jara. Cfr. F. Cantera Burgos (con la colaboración de Pilar León Tello) : Judaizantes del arzobispado de Toledo habilitados por la Inquisición en 1495 y 1497, p. XXXIII. 185   J. Gómez-Menor Fuentes : Cristianos nuevos y mercaderes de Toledo, p. XXXII e p. 14. 186   Scriveva Diego de Hermosilla nel suo Diálogo de la vida de los Pajes de Palacio (1573) : “yo tengo por cosa sospechosa que los hijos mayores dexen el apellido del padre y se arren dél de la madre ; que lo hazen con cautela, porque se acaue y oluide el apellido de su casa ; y con este ardid, avnque se miren todos los sanvenitos, que ay en las yglesias de España, de los tornadiços no se hallará ya ninguno de los apellidos que en ellos están ; que avnque sean viuos los hijos o nietos de sus dueños, no hay rastro ni memoria dellos, tanto cuidado y diligençia ponen en ello” (pp. 62-63). Sulla frequenza di queste pratiche cfr. anche Joaquín Hazañas y la Rua : Biografía del poeta sevillano Rodrigo Fernández de Ribera y juicio de sus principales obras. Sevilla : Oficina de D. Carlos de Torres y Daza 1889, pp. 5-6. – I. S. Révah : La controverse sur les Statuts de pureté de sang. Un document inédit : « Relacion y consulta del Cardenal Guevara sobre el negocio de Fray Agustin Saluzio » (Madrid, 13 Août 1600), p. 266. – Juan Gil : Los conversos y la Inquisición sevillana. Volumen III. Ensayo de Prosopografía, pp. 58-61. 187   Vi è, per esempio, la famiglia conversa toledana Alvarez de Toledo (lo stesso nome della famiglia dei Duchi d’Alba !) della quale sono membri un Pedro de Toledo e un Alonso Alvarez. Chi penserebbe che quest’ultimo era figlio di Pedro de Toledo e di Catalina de San Pedro ? Oppure come si può immaginare che Pedro Franco e Gaspar Sánchez o Antonio de León e Pedro de Ullés fossero fratelli, che Francisco Ramírez fosse figlio, legittimo, di Alonso Pérez Pavón ? Al contrario, l’identità del cognome di due persone spesso non prova affatto  





















































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avuto problemi (o perlomeno gravi problemi) con l’Inquisizione dovette sicuramente contribuire alla integrazione sociale, alla assimilazione religiosa e alla amalgamazione biologica della famiglia di Francisco López de Úbeda, come di tante altre famiglie di conversos, i quali, almeno dall’inizio del XVI secolo, “pudieron llevar casi siempre ... una vida bastante tranquila y decididamente próspera”. 188 E se, come scrive José Gómez-Menor Fuentes, la famiglia di Francisco López de Úbeda era effettivamente “una de las más ricas e importantes de la clase burguesa toledana”, 189 non vi è dubbio che la ricchezza abbia molto facilitato il processo di integrazione, di assimilazione e di amalgamazione. Il denaro apriva tutte le strade e appianava tutte le difficoltà in una società del capitalismo incipiente come quella del XVI secolo. Lo dice, come abbiamo ricordato, l’autore della Pícara Justina per bocca della protagonista del romanzo : “en España, y aun en todo el mundo, no ay si[no] solos dos linajes, el vno se llama el tener. Y el otro no tener”. 190 Il denaro garantiva inoltre una notevole indipendenza. Francisco López de Úbeda, benestante, o forse addirittura ricco, e medico, non aveva bisogno né di protettori della specie di Don Rodrigo, né di fare il buffone dei potenti. (La definizione di Francisco López de Úbeda come médico chocarrero della aristocrazia, diffusa in tutta la letteratura sulla Pícara Justina, da Marcel Bataillon ad oggi, 191 non ha il minimo fondamento documentale.) Anche il trasferimento, avvenuto presumibilmente verso il 1584/1586 – sono gli anni di poco anteriori al declino economico e demografico della Città Imperiale che incomincia a delinearsi a partire dal 1590 192 –, del medico a Madrid e, forse, successivamente  











l’esistenza di un legame di parentela tra loro. Cosí fra il mercante Pedro de la Fuente, figlio del jurado Ruy Pérez de la Fuente e di Inés de Cota, e la sua futura moglie Teresa de la Fuente non sussisteva, nonostante l’identico cognome, alcun legame di parentela. Il cognome La Fuente, cognome portato da diverse illustri famiglie toledane, non era quello originario della famiglia di Pedro de la Fuente. Questa famiglia conversa discendeva infatti dalla famiglia toledana ebraica dei Jaradas. Due nipoti del dottor Rodrigo de la Fuente (fratello del mercante Pedro de la Fuente), Don Francisco de la Fuente y Segura, “Sargento Mayor de Toledo”, e don Rodrigo de la Fuente Polanco, “Capitán de Corazas”, ricevettero le insegne di cavalieri dell’Ordine di Santiago sebbene dalla informazione genealogica sull’ultimo dei due risultasse, da inoppugnabili testimonianze, che non solo il requisito della limpieza de sangre era inesistente, sia per linea paterna che materna (Cota, de Luna), ma che un avo paterno era stato condannato, come giudaizzante, dall’Inquisizione al rogo nel 1487. Gli ostacoli furono infine superati con una opportuna selezione dei testimoni e con una falsificazione della genealogia paterna e materna (Rodrigo de la Fuente viene trasformato in Juan López de la Fuente, “Señor de la Casa de la Fuente”, Teresa López del Arroyo in María de Moraga, Inés Cota in Ynés Cortés), accettata per buona – contro ogni evidenza – da una commissione della quale facevano parte diversi cavalieri di Santiago. Cfr. J. Gómez-Menor Fuentes : Cristianos nuevos y mercaderes de Toledo, p. 11, p. 16, pp. 17-18, p. 25, pp. 77-94. 188   F. Márquez Villanueva : Conversos y cargos concejiles, p. 540. Cfr. anche Jaime Contreras Contreras : Limpieza de sangre, cambio social y manipulación de la memoria. In : Inquisición y conversos. Conferencias pronunciadas en el III curso de cultura hispano-judía y sefardí de la Universidad de Castilla la Mancha. Celebrado en Toledo del 6 al 9 de septiembre de 1993. Toledo : Museo Sefardí - Caja de Castilla la Mancha 1994, pp. 81-101 ; qui p. 88-89. 189   J. Gómez-Menor Fuentes : Los médicos toledanos del Siglo de Oro y su clase social, p. 390. 190   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO PRIMERO. CAPITVLO SEGVNDO DEL abolengo alegre. Numero Primero. Del abolengo parlero », p. 56. Sul tema del denaro nella Pícara Justina cfr. Pablo Restrepo-Gautier : ‘Tanto crece el amor cuanto la pecunia crece’ : la asociación del amor y el dinero en La pícara Justina. In : Hispanic Journal, Indiana University of Pennsylvania, 24 (2003), 41-51. 191   Anche nella introduzione ad una recente edizione di opere della picaresca si ripete che la Pícara Justina “se debe a la pluma del licenciado Francisco López de Úbeda, médico chocarrero al servicio de Rodrigo Calderón Sandelín” (La novela picaresca española. Edición de Florencio Sevilla Arroyo. Madrid : Castalia 2001, p. XXVI). 192   Cfr. Michael Weisser : The Decline of Castile Revisited : The Case of Toledo. In : The Journal of European Economic History II/3 (1973), 614-640. – David Ringrose : The Impact of a New Capital City : Madrid, Toledo, and New Castile, 1560-1660. In : The Journal of Economic History 33 (1973), 761-791. – Linda Martz : Powerty and Welfare in Habsburg Spain. The Example of Toledo. Cambridge : Cambridge University Press 1983, pp. 93-100. Secondo Julian Montemayor gli anni 1522-1568 sono gli anni di “expansion” della Città Imperia 









































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a Valladolid, facilitava l’integrazione della famiglia di Francisco López de Úbeda nella società spagnola ‘vecchio-cristiana’. La distanza (dai luoghi di origine) e il tempo erano i due più efficaci fattori del processo di integrazione delle famiglie conversas. Un grande conoscitore degli archivi inquisitoriali, Jean-Pierre Dedieu, ha scritto : “Un déplacement d’une trentaine de kilomètres, deux générations et le souvenir d’une ascendance douteuse est pratiquement effacé”. 193 Già oltre uno spazio temporale di alcuni decenni, ha constatato questo studioso analizzando le Relaciones topográficas de Felipe II, “tout se perd dans un brouillard confus et sans profondeur”. 194 In effetti, gli avvenimenti che potevano turbare l’integrazione e l’assimilazione dei conversos venivano, con il tempo, spontaneamente dimenticati. Talvolta la dimenticanza era però chiaramente voluta. Si confrontino, per esempio, le relazioni che Pedro de Alcocer e Francisco de Pisa, entrambi di famiglia conversa, 195 fanno dei sanguinosi avvenimenti del 1449 nella loro Descrizione della città di Toledo. Pedro de Alcocer non solo ricorda l’episodio che fece esplodere la rivolta (la richiesta di un milione di maravedís alla città di Toledo fatta da Don Álvaro de Luna), ma anche il nome del ricchissimo mercante e tesoriere municipale (Alonso Cota) al quale il famoso Condestable di Castiglia aveva affidato l’incarico dell’esazione. Descrive, inoltre, dettagliatamente come i popolani (“los del comun”) assaltassero, saccheggiassero e bruciassero la casa di Alonso Cota, si impadronissero di punti strategici e di fortificazioni della città e commettessero “muertes y robos”. Si dilunga anche sul ruolo che svolse Pero Sarmiento come capo della sollevazione e ricorda che questi aveva privato sei Regidores del loro ufficio. Pedro de Alcocer ommette però di dire che Alonso Cota era converso e che conversos erano i sei Regidores privati delle loro regidurías, né mai ricorda come fossero proprio i conversos le vittime del furore popolare e della persecuzione di Pero Sarmiento e come con la Sentencia-Estatuto si volesse estrometterli per sempre dagli uffici pubblici. 196 Pedro de Alcocer giunge addirittura ad affermare che forse Pero Sarmiento non era tanto colpevole della condanna a morte, della confisca dei beni e dell’esilio di tante persone : queste certamente “padecieron injustamente”, ma è possibile che il Repostero Mayor del  











le, gli anni 1569-1590 gli anni delle “crises et réadaptations”, mentre proprio negli anni 1590-1605 si manifesta la “reprise”, come testimoniano le curve demografiche e l’aumento continuo del commercio dei drappi. Soltanto il ritorno della Corte a Madrid “déclenche un phénomène de décompression démographique sans précédent par sa brutalité”. Ma anche gli anni successivi al 1606, gli anni “vers l’abîme”, vedono alternarsi periodi di crisi e periodi di ripresa (sino, almeno, al 1620). Cfr. Julian Montemayor : Tolède entre fortune et déclin (1530-1640). Limoges : PULIM (Presses Universitaires de Limoges) 1996, pp. 274-277. 193   J.-P. Dedieu : L’administration de la foi. L’Inquisition de Tolède, XVIe-XVIIIe siècle, p. 340. 194   J.-P. Dedieu : L’administration de la foi. L’Inquisition de Tolède, XVIe-XVIIIe siècle, p. 338 n. 195   Cfr. J. Gómez-Menor Fuentes : Cristianos nuevos y mercaderes de Toledo, p. LIII. 196   Si potrebbe sostenere che queste omissioni si riscontrano nella Crónica del Rey don Juan II, la fonte principale di Pedro de Alcocer. È vero che la Crónica sopprime ogni riferimento ai conversos (solo nel riassunto della « Suplicación » rivolta a Juan II si parla delle “personas infieles é malas é tales que han robado y roban vuestros súbditos é naturales”, alle quali Don Álvaro de Luna ha affidato l’appalto delle rendite e l’esazione dei contributi), ma Pedro de Alcocer, che come storico della città di Toledo ben poteva disporre di altre fonti, non ignorava certamente che Silíceo si era richiamato alla Sentencia-Estatuto di Pero Sarmiento e aveva allegato addirittura copia di essa all’ampia difesa del suo Statuto. Cfr. Crónica del serenísimo Príncipe Don Juan, segundo Rey deste nombre en Castilla y en León, escrita por el noble é muy prudente caballero Fernán Pérez de Guzmán, señor de Batres, del su Consejo. In : Crónicas de los Reyes de Castilla desde don Alfonso el Sabio, hasta los Reyes Católicos Don Fernando y Doña Isabel. Colección ordenada por don Cayetano Rosell. Tomo segundo (= Biblioteca de Autores Españoles, 68). Madrid : Atlas 1953, pp. 277-695 ; qui pp. 661-672 (a pag. 664-665 si trova il riassunto della « Suplicación », il cui testo integro – con estesi riferimenti espliciti ai conversos – si trova invece nella Crónica del Halconero de Juan II, scritta da Pero Carrillo de Huete). Sulla Crónica e la sua “estrategia de supresión del nombre de los conversos y del problema converso” e sulla « Suplicación », cfr. B. Netanyahu : Los orígenes de la Inquisición en la España del siglo XV, pp. 317-331, pp. 578-589.  





























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Re non ne avesse tutta la colpa, “pues puede ser la sentencia injusta, y el juez justo” ! 197 Francisco de Pisa, che fonda la sua narrazione sulla Hystoria, o Descripcion di Pedro de Alcocer, fa degli avvenimenti del 1449 una descrizione ancor più schematica ed edulcorata. Nel ricordare la sollevazione popolare di Toledo e la ribellione di Pero Sarmiento, Francisco de Pisa non ricorda il nome di Alonso de Cota, nulla dice della persecuzione sofferta dai conversos, che – come Pedro de Alcocer – neppure menziona, e dell’allontanamento di sei Regidores dai loro uffici. Si limita ad accennare ad “algunos excessos, que parece que las mismas cosas los traen consigo”, 198 parole trascritte pari pari dalla Hystoria, o Descripcion di Pedro de Alcocer. 199 I lettori dell’opera di Pedro de Alcocer – e ancor meno quelli dell’opera di Francisco de Pisa – non potevano davvero immaginare che la rivolta popolare del 1449 fosse stata generata dall’odio di classe nutrito dai plebei, dai cristianos viejos dei ceti popolari, contro i loro concittadini di origine ebraica e che fosse stata, soprattutto, un attacco ‘politico’ generale del proletariato urbano contro i conversos, ‘colpevoli’ di ricoprire, oltre ai moltissimi uffici della amministrazione locale (in particolare quelli di ‘tesorieri’ municipali e di esattori di imposte), anche numerosissimi uffici regi (quelli delle finanze statali, come già i loro ascendenti ebrei, e quelli della giustizia), grazie alla protezione di Don Alvaro de Luna. 200 I due storici della città avevano volutamente cancellato tutto quanto potesse tener viva la memoria di una persecuzione sofferta dai conversos e dei conflitti politico-sociali che erano all’origine di questa persecuzione. Evidentemente ritenevano che la strategia piú idonea per raggiungere quella integrazione e quella assimilazione perseguite da loro, come da tanti altri intellettuali, fosse l’oblio. 201 Sia spontanea, sia voluta, la dimenticanza fu generale. Nella vita della maggior parte della popolazione conversa – scrive Jaime Contreras Contreras – “dominó la tranquilidad y el olvido”, la sua storia è “una historia colectiva de ‘amnesias’ familiares”. 202    











Problematicità dei tentativi di tracciare una tipologia dei convertiti di origine ebraica Ogni dato biografico su un autore è utile e prezioso. Eccezionalmente utile e preziosa è poi – in una società particolare come quella spagnola del Siglo de Oro – la conoscenza 197

  Pedro de Alcocer : Hystoria, o Descripcion dela Imperial cibdad de Toledo, fo. LXXIXr-LXXXIv.   Cfr. Francisco de Pisa : Descripcion de la Imperial Civdad de Toledo, fo. 50v-51v. In una successiva parte della Descripcion Francisco de Pisa torna a parlare della rivolta di Pero Sarmiento e qui si dice che commise “grandes robos, muertes, tyranias, y maldades”, ma non si specifica contro chi. La parola conversos non viene mai pronunciata (fo. 200v-201v). 199   Pedro de Alcocer : Hystoria, o Descripcion dela Imperial cibdad de Toledo, fo. LXXXv. 200   Cfr. Nicholas G. Round : La rebelión toledana de 1449. Aspectos ideológicos, 385-446. – J. Valdeón Baruque : Los conflictos sociales en el Reino de Castilla en los siglos XIV y XV, pp. 180-181. – J. M.a Monsalvo Anton : Teoría y evolución de un conflicto social. El antisemitismo en la Corona de Castilla en la Baja Edad Media, pp. 297-308. – E. Benito Ruano : Los orígenes del problema converso, pp. 23-26. – B. Netanyahu : Los orígenes de la Inquisición en la España del siglo XV, p. 286. 201   Questa strategia dell’oblio era stata attuata dagli stessi correttori e rielaboratori delle Cronache del regno di Juan II. B. Netanyahu scrive che “los conversos estaban interesados en que todo el estallido de Toledo, en el aspecto en que se relacionaba con ellos, quedara sepultado y borrado de la memoria de los hombres”. La strategia dell’oblio era radicata profondamente nella “psicología asimilacionista” dei conversos e “se refleja claramente en las supresiones y revisiones que los correctores conversos hicieron en las crónicas de Juan II”. Anche questi correttori desideravano infatti “borrar de la memoria de sus conterráneos todo lo concerniente a los conversos en los sucesos de Toledo” (Los orígenes de la Inquisición en la España del siglo XV, pp. 594-598). 202   Jaime Contreras Contreras : Limpieza de sangre, cambio social y manipulación de la memoria, p. 89. Quanto fosse intenso il desiderio di ‘dimenticare’ lo dimostra anche il caso della città di Murcia analizzato dallo stesso studioso. Cfr. Jaime Contreras : Sotos contra Riquelmes. Regidores, inquisidores y criptojudíos. Madrid : Anaya & Mario Muchnik 1992, pp. 347-353, pp. 355-357. 198























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delle origini famigliari e della appartenenza di un autore ad un determinato gruppo sociale o etnico. Sarebbe però un grave errore credere, una volta accertata l’origine sociale o etnica dell’autore, di avere trovato automaticamente la chiave ermeneutica della sua opera. L’enorme influenza esercitata da Américo Castro sulla Ispanistica, specialmente quella nordamericana, ha però indotto tanti studiosi a credere che il problema dell’interpretazione di un’opera fosse risolto una volta scoperta l’appartenenza del suo autore alla “casta hispano-hebrea” (A. Castro) o – per usare l’espressione coniata da Antonio Domínguez Ortiz – alla “clase social de los conversos”. (Ma costituivano i conversos veramente una classe sociale, come si dovrebbe dedurre dal titolo della celebre opera di Antonio Domínguez Ortiz ? 203 In realtà essi non costituivano né una classe, né un gruppo sociale omogeneo. 204 Essi erano una minoranza etnica o, se vogliamo, un gruppo etnico 205 – col trascorrere del tempo sempre più mescolato biologicamente alla popolazione spagnola cristiano-vieja –, i cui membri in parte svolgevano attività mercantili, esattoriali, amministrative e finanziarie, in parte esercitavano professioni liberali, in parte si dedicavano a mestieri artigianali, in parte ricoprivano uffici pubblici nell’amministrazione municipale e statale, in parte, infine, votavano la vita al servizio di Dio e all’insegnamento universitario. 206 Diversissima era la situazione economica dei conversos : variava dall’estrema ricchezza alla quasi povertà. Diversissimi erano il potere, il rango e il prestigio sociali dei conversos : vi era un abisso fra gli alti e altissimi funzionari dello Stato, i regidores, i jurados, gli escribanos públicos e i mayordomos delle amministra 













203   Antonio Domínguez Ortiz : La clase social de los conversos judíos en Castilla en la Edad Moderna (1955). Edición facsimil. Granada : Servicio de publicaciones de la Universidad de Granada 1991. Originariamente questo lavoro apparve nel 1955, con il titolo Los conversos de origen judío después de la expulsión, nel terzo tomo degli « Estudios de Historia Social de España », diretti da Carmelo Viñas e pubblicati dal Departamento de Historia Social de España, del Instituto “Balmés” de Sociología. (Madrid : C. S. I. C. 1955, pp. 225-431). Nello stesso anno 1955, Antonio Domínguez Ortiz pubblicò una edizione autonoma del lavoro, accrescendolo di alcune appendici e intitolandolo La clase social de los conversos judíos en Castilla en la Edad Moderna. Nella « Advertencia preliminar » a Los Judeoconversos en España y América (Madrid : Ediciones Istmo 1971), un rifacimento del lavoro del 1955, Antonio Domínguez Ortiz scrive erroneamente che il titolo dell’opera pubblicata negli « Estudios de Historia Social de España » era La clase social de los conversos (questo è il titolo del libro pubblicato nel 1955, nel quale si riproduceva, come abbiamo osservato, il lavoro intitolato Los conversos de origen judíos después de la expulsión). Già nel 1949 Antonio Domínguez Ortiz aveva anticipato i tratti fondamentali del tema in un ampio saggio intitolato : Los ‘Cristianos nuevos’. Notas para el estudio de una clase social. In : Boletín de la Universidad de Granada XXI (enero-abril 1949), 249-297. Se sia o non sia corretto parlare di classe sociale dei conversos, questo problema lo studioso lo sfiora soltanto nel primo capitolo della seconda parte de Los conversos de origen judío después de la expulsión (pp. 361-376), dove usa indifferentemente i concetti “clase social” e “grupo social” (concetti non identici e quindi non interscambiabili) e scrive che non gli pare “improcedente hablar de los conversos como clase o grupo social”. Antonio Domínguez Ortiz nega comunque che la “clase” si sia mai trasformata in “casta” (Los conversos de origen judío, p. 376). Anche il primo capitolo del libro Los Judeoconversos en España y América, con il titolo promettente « Formación de la clase de los Judeoconversos », non spiega perché, come e se i conversos formavano veramente una classe sociale. Nonostante l’assenza di una disamina approfondita sulla sua validità, il concetto di “clase social de los conversos” si è affermato. Suggestione dei titoli ! 204   Cfr. J. Pérez : La revolución de las Comunidades de Castilla, p. 508 (“Los conversos no constituían un grupo social homogéneo”). – V. Parello : Les judéo-convers. Tolède XVe-XVIe siècles. De l’exclusión à l’intégration, pp. 127-129 (“les judéo-convers ne constituent pas une « classe sociale » homogène comme a pu l’affirmer ... Antonio Domínguez Ortiz” ; “Les judéo-convers ne constituent pas une classe sociale à part dotée d’une identité spécifique”). 205   Come gruppo etnico definisce i conversos Christiane Stallaert : La cuestión conversa y la limpieza de sangre a la luz de las conceptualizaciones antropológicas actuales sobre la etnicidad. In : El olivo y la espada. Estudios sobre el antisemitismo en España (siglos XVI-XX) editados por Pere Joan i Tous y Heike Nottebaum (= Romania Judaica, 6). Tübingen : Niemeyer 2003, pp. 1-27. 206   Sulle professioni e mestieri esercitati dai conversos (su quelli esercitati dai convertiti toledani abbiamo già fornito sopra alcuni dati), cfr. J. Caro Baroja : Los Judíos en la España Moderna y Contemporánea. Tomo I, pp. 374-375. – J. Caro Baroja : Los Judíos en la España Moderna y Contemporánea. Tomo II, pp. 15-25.  

















































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zioni municipali, gli alti dignitari della Chiesa – vescovi, decani, canonici, abati, priori, Inquisitori, Inquisitori Generali –, i cavalieri, gli hidalgos, i grandi mercanti, finanzieri e banchieri, i medici, i giuristi, i professori universitari, da una parte, e i piccoli artigiani, i commercianti al dettaglio, gli usurai e gli speculatori in piccolo, i trafficanti, i rigattieri, i venditori ambulanti e i modesti impiegati, dall’altra. Data l’enorme eterogeneità delle funzioni, del potere economico e politico, del tenore di vita, delle aspirazioni, del rango e del prestigio sociali, parlare di ‘classe sociale dei convertiti’ non ci pare corretto.) L’ampio e intenso processo di integrazione, che era favorito anche dai meccanismi del padrinazgo (parentela spirituale), 207 e il costante impegno dei conversos nel cancellare la propria memoria e la propria identità etnica, religiosa e culturale, per potersi integrare nella società spagnola cristiano-vieja attraverso l’accettazione piena e incondizionata dei suoi valori, rendono – a nostro parere – estremamente difficile l’elaborazione di una fondata tipologia dei convertiti di origine ebraica. I tentativi compiuti da alcuni studiosi di elaborare una classificazione e descrizione dei diversi tipi di converso, lo dimostrano.  

a) Le tipologie dei conversos elaborate dagli studiosi moderni Julio Caro Baroja ha individuato otto tipi di conversos : il converso che diviene apologeta della religione cattolica e attacca la religione d’Israele ; il converso che denuncia e perseguita i criptojudíos per zelo reale o per interesse economico (“El « malsín » o delator”) ; il converso che satireggia i suoi antichi correligionari e che “se burla, a su vez, de sí mismo” ; il converso che si fa apologeta della religione d’Israele ; il converso che “se constituye en mártir de esta misma religión” ; il converso che satireggia i cristianos nuevos sinceri ; il converso che all’interno del cristianesimo cerca forme eterodosse di esperienza religiosa ; il converso che nega la vecchia e la nuova religione. 208 Simile è la classificazione di José Faur, che crede che “the converso population” possa essere divisa “ideologically” in quattro classi : “those who wanted to be Christian and have nothing to do with Judaism, those who wanted to be Jewish and have nothing to do with Cristianity, those who wanted to be both, and those who wanted to be neither”. 209 Altri studiosi hanno tentato di individuare gli elementi costitutivi e peculiari della mentalità conversa, certi altri, piú specificatamente, della ‘mentalità letteraria’ conversa. Américo Castro ha ritenuto peculiari della mentalità ebraica “la inquietud por la limpieza de sangre” (o “el celo por la limpieza de sangre”, o “el escrúpulo de la limpieza de sangre”), l’ossessione del linaje, “el afán de preeminencia”, di superiorità e di nobiltà, il senso dell’onore (“honor identificado con la opinión”). 210 La “furia teológica” contro gli ex-correligionari si riscontrerebbe invece solo in alcuni illustri convertiti, come Pablo de Santa María, Fray Alonso de Espina, 211 Jerónimo de Santa  





























207   Sulla larga disponibilità dei nobili a fare da padrini di battesimo di cristianos nuevos, schiavi e moriscos, cfr. Francisco Chacón Jiménez : Identidad y parentescos ficticios en la organización social castellana de los siglos XVI y XVII. El ejemplo de Murcia. In : Les parentés fictives en Espagne, XVIe-XVIIe siècles. Études réunies et publiées par Augustin Redondo. Paris : Publications de la Sorbonne 1988, pp. 37-50. 208   Julio Caro Baroja : Los Judíos en la España Moderna y Contemporánea. Tomo I, pp. 291-316. 209   José Faur : Four Classes of Conversos : A typological Study. In : Revue des études juives, tome CXLIX (janvier-juin 1990), fascicule 1-3, pp. 113-124 ; qui p. 113. 210   Américo Castro : España en su historia. Cristianos, moros y judíos. Barcelona : Editorial Crítica 1983 (1.ª ed. 1948), pp. 512-513, p. 523, p. 539. – Américo Castro : La realidad histórica de España. Edición renovada. Septima edición. México : Editorial Porrua 1980 (1.ª ed. 1954), pp. 50-53. – Américo Castro : De la edad conflictiva. Crisis de la cultura española en el siglo XVII. Cuarta edición, pp. 142-144, p. 148. 211   I. S. Révah ritiene molto improbabile che Fray Alfonso de Espina fosse un converso. Cfr. I. S. Révah : Réplica al señor Américo Castro. In : Les Langues Neo-Latines, 183-184 (1968), 1-7 ; qui p. 5. Julio Caro Baroja (Los Judíos en la España Moderna y Contemporánea, Tomo I, p. 313 e Tomo II, pp. 418-421) lo considera invece converso.  































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Fe, tutti ex-rabbini. 212 Tratti generali, comuni sia a ebrei sia a convertiti – “casta de desesperados”, questa –, sarebbero il pessimismo, l’insicurezza esistenziale, l’angoscia (“angustia del diario existir” 213), l’amarezza (“amargura”), la disperazione, il “sentimiento trágico de la vida”. Nel nichilismo, nel “desengaño” e nella “huida de los valores” si esprimerebbe la “visión negativa del mundo” degli ebrei e dei conversos. 214 “En principio, y mientras no se demuestre lo contrario,” – ha affermato Américo Castro – “toda persona bullebulle, afanada por destacarse, ocupada en criticar y subvertir el sistema vigente de estimaciones, tiene muchas probabilidades de ser cristiano nuevo en la España del siglo XVI.” 215 Secondo José Gómez-Menor nella maggior parte degli scrittori di “ascendencia judeoconversa” si riscontrano “el sentimiento represado, las matizaciones del concepto, la búsqueda de la palabra precisa, del punto débil en la argumentación del adversario, la agudeza del análisis, el ansia de realismo, de mantener los pies sólidamente en el suelo”. 216 Moisés Orfali, richiamandosi a Américo Castro e basandosi sulle opere di autori conversos del XIV e del XV secolo, sia polemisti religiosi – come Alfonso de Valladolid, Jerónimo de Santa Fe, Pablo de Santa María, Pedro de la Caballería, Jaime Pérez de Valencia, Alonso de Cartagena e Fernán Díaz de Toledo –, sia poeti – come Juan Alfonso de Baena, Juan de Valladolid, Antón de Montoro, Rodrigo Cota –, individua come elementi peculiari della ‘mentalità letteraria’ conversa l’apologia del cristianesimo, la confutazione del giudaismo, “la obsesión por una honra que no es la de verdad”, la difesa dell’unità cristiana fra tutti i credenti (cristiani nuovi e vecchi), l’affanno di cancellare i segni identificatori della propria origine, l’orgoglio per il linaje genealogico, il senso di superiorità sociale, il desiderio di integrarsi con tutti i mezzi nella società cristianovieja. 217 Fu soprattutto “el anhelo de integración y de identificación del judeoconverso con la cultura y mentalidades dominantes” a creare il tipo del “converso denunciador” e il tipo del converso catechizzatore, impegnato a far proseliti fra gli ex-correligionari. 218 Nel saggio Los cristianos nuevos en el auge de la novela picaresca, Marcel Bataillon – richiamandosi ad Américo Castro – aveva ravvisato nella “amarga concepción del mundo” e nella “amargura secular” i caratteri specifici delle opere picaresche di autori cristianonuevos. 219 Nello stesso saggio aveva però ricordato che anche Quevedo, cristiano viejo orgoglioso della sua croce di cavaliere di Santiago, “destilla amargura picaresca”. 220  

















212   A. Castro : España en su historia, p. 523-527. Anche Antonio Domínguez Ortiz (Los conversos de origen judío después de la expulsión, p. 233) osserva che se gli ebrei che “permanecieron en el judaísmo abominaban de los conversos, éstos les pagaban con un resentimiento implacable y pusieron toda su influencia en lograr la humillación y el exterminio de sus antiguos correligionarios”. Ricorda altresí che “casi todas las obras de polémica antijudía […] eran obras de conversos”. 213   A. Castro : De la edad conflictiva. Crisis de la cultura española en el siglo XVII, p. 154 n. 214   A. Castro : España en su historia, pp. 538-550. 215   Américo Castro : Fray Bartolomé de Las Casas o Casaus. In : Mélanges à la mémoire de Jean Sarrailh. Paris 1966, tom. I, pp. 211-244 ; qui p. 212. Già molti anni prima di Américo Castro, “el afán de sabotaje” era stato considerato da Guillermo Díaz-Plaja una delle due specifiche caratteristiche (l’altra era “el impulso de infinitud”) della letteratura ‘ebrea’. Cfr. Guillermo Díaz-Plaja : Un posible factor racial en el Barroco (1940). In : G. D.-P. : El espíritu del Barroco. Barcelona : Editorial Crítica 1983, pp. 34-50 ; qui p. 36. 216   J. Gómez-Menor : Cristianos nuevos y mercaderes de Toledo, p. LV. 217   M. Orfali : El judeoconverso hispano : Historia de una mentalidad. In : Carlos Barros, editor : Xudeus e conversos na historia. Actas do Congreso Internacional, Ribadavia 14-17 de outubro de 1991. Tomo I. Santiago de Compostela : Deputación Ourense - La Editorial de la Historia 1994, pp. 117-134 ; qui pp. 119-125. 218   M. Orfali : El judeoconverso hispano : Historia de una mentalidad, pp. 126-128. 219   M. Bataillon : Picaros y picaresca, pp. 196-197. 220   M. Bataillon : Picaros y picaresca, p. 180. – M. Bataillon : Les nouveaux chrétiens dans l’essor du roman pi 













































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Quevedo non solo distilla lui amarezza, ma definisce – come aveva fatto il gesuita Pedro de Ribadeneyra in una lettera del 1580 indirizzata all’Arcivescovo di Toledo, Don Gaspar de Quiroga 221 – gli spagnoli, tutti, “amargos”. 222 In effetti, gli hidalgos, 223 l’aristocrazia stessa e il popolo spagnolo, tutto, motivi di amarezza e di angoscia 224 ne avevano in grande abbondanza. 225 Già nel Diálogo entre Laín Calvo y Nuño Rasura (1570), il principale interlocutore, dopo aver lamentato sia la decadenza morale di Burgos, governata da mercanti e speculatori confesos, trasformatisi in cavalieri dopo essersi arricchiti con tutti i trucchi e tutti gli inganni, sia la decadenza morale della Spagna tutta, dove ormai è “mezclada a dinero la sangre noble i gotica” e dove “unos señalados judios” sono stati fatti addirittura conti, marchesi, “mariscales” e “señores de vasallos”, termina il suo sfogo, colmo di pessimismo e di profonda disperazione, con queste parole : “es tanto el dolor que mi espiritu siente, que mi corazon esta atrauesado con el cuchillo de amargura”. 226 E ancor prima, Fray Francisco de Osuna aveva ricordato, nella Quinta  













caresque, p. 285. Sorprende che un profondo conoscitore della storia del Siglo de Oro come Antonio Domínguez Ortiz, uso a basare le sue affermazioni su documenti concreti e non su un vago psicologismo, abbia potuto far ricorso ad una cosí problematica categoria come la amargura per fondare su di essa la certezza, nonostante la riconosciuta assenza di inconfutabili prove documentali, dell’origine ebraica di Mateo Alemán : “Acerca del [origen] de Mateo Alemán me parece que no puede caber duda, pues si bien es cierto que la demostración perentoria de su ascendencia hebraica no se ha hecho, basta leer su inmortal novela para comprender que sólo pudo haberla escrito un hombre amargado por el triste sino reservado a los de su estirpe.” Immediatamente prima di queste righe l’illustre storico aveva ricordato il grande successo sociale della famiglia conversa alla quale apparteneva il poeta sivigliano Baltasar del Alcázar. La festiva e burlesca allegria del converso Baltasar del Alcázar è molto affine a quella del grande aristocratico Don Diego Hurtado de Mendoza, mentre l’amarezza di Mateo Alemán è simile a quella di Quevedo ! Cfr. Antonio Domínguez Ortiz : Los judeoconversos en la vida española del Renacimiento. In : Actas de las Jornadas de Estudios Sefardíes. Editor : Antonio Viudas Camarasa. Cáceres : Universidad de Extremadura 1981, pp. 189-199 ; qui p. 198. 221   Il padre gesuita scrive che “todos los estados” – e cita esplicitamente il popolo, i Grandi di Spagna, i cavalieri, il clero – “están amargos, desgustados y alterados contra Su Magestad [Felepe II]”. Cfr. Obras escogidas del Padre Pedro de Rivadeneira (= Biblioteca de Autores españoles, LX). Madrid : M. Rivadeneyra 1868, p. 589 (cit. da Américo Castro : España en su historia. Barcelona : Crítica 1983, pp. 613-614). 222   Francisco de Quevedo : L’heure de tous et la fortune raisonnable – La hora de todos y la fortuna con seso. Édición, introduction, traduction et notes par Jean Bourg, Pierre Dupont, Pierre Geneste. Paris : Aubier 1980, p. 248. Sul particolare contesto nel quale Quevedo usa la parola, cfr. Eberhard Geisler : Geld bei Quevedo. Zur Identitätskrise der spanischen Feudalgesellschaft im frühen 17. Jahrhundert (= Europäische Hochschulschriften. Reihe XXIV : Ibero-Romanische Sprachen und Literaturen, Bd. 11). Bern : Peter Lang 1981, pp. 80-81. 223   Cfr. Stephen Gilman : La España de Fernando de Rojas. Panorama intelectual y social de « La Celestina » (= Persiles, 107). Madrid : Taurus Ediciones 1978. Illustrando le trasformazioni della società francese del XVI secolo (impulso dato all’economia monetaria dall’afflusso dei metalli preziosi americani, fioritura del grande commercio, arricchimento della borghesia mercantile e, soprattutto, finanziaria, facili nobilitazioni dei nuovi ricchi, decadenza della vecchia nobiltà, le cui rendite fondiarie furono polverizzate dalla inflazione), Robert Mandrou mette in rilievo la “misère de tant de nobles ruinés” e la loro “amertume face à l’insolente réussite bourgeoise”. Identica era quindi la situazione economica e psicologica della nobiltà in Francia e in Castiglia ! Cfr. Robert Mandrou : Introduction à la France moderne (1500-1640). Essai de Psychologie historique. Paris : Éditions Albin Michel 1974, pp. 144-149. 224   Albert A. Sicroff scrive che “the Spanish Old Christian lived an anguish of their own”, perché i conversos “held the upper-hand in civil offices” e perché “they seemed to control the offices of the Church itself ”. Cfr. Albert A. Sicroff : Clandestine Judaism in the Hieronymite Monastery of Nuestra Señora de Guadalupe. In : Studies in Honor of M. J. Benardete (Essays in Hispanic and Sephardic Culture). Edited by Izaak A. Langnas and Barton Sholod. New York : Las Americas Publishing Company 1965, pp. 89-125, qui pp. 124-125. 225   Scrive J. H. Elliott che in Castiglia il fallimento del programma di riforma di Olivares e le sconfitte belliche “agravó la amargura, el fatalismo y el sentimiento de culpalidad colectiva”. Cfr. J. H. Elliott : Introspección colectiva y decadencia en España a principios del siglo XVII. In : John H. Elliott, ed. : Poder y sociedad en la España de los Austrias. Barcelona : Editorial Crítica 1982, pp. 198-223 ; qui p. 222. 226   Diálogo entre Laín Calvo y Nuño Rasura (1570), p. 181, p. 183. Qualche pagina prima Lain aveva detto a Nuño : “truxeron [...] los originales i sanbenitillos, i los veras en Santiago de la capilla, que el vellos ... es un caliz de amargura i cuchillo de muerte” (p. 176).  





























































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parte del abecedario spiritual (1542), la “amargura” – abitualmente dimenticata dagli storici della letteratura ! – dei poveri, 227 gli “amargos tragos que sienten los pobres : siendo muchas vezes affrentados de los ricos”. 228 Secoli dopo, Azorín, parlando della Castiglia del Siglo de Oro, giudicava profondamente pessimisti e angustiati i suoi abitanti, tetro il suo paesaggio, pervasa di “tristeza desoladora” la sua arte, permeata del “más amargo pesimismo” e di “angustia y desconsuelo” la sua letteratura 229 – anche la più ‘serena’, come l’Epístola moral a Fabio di Andrés Fernández de Andrada 230 e le poesie di Fray Luis de León. 231 Poi, con riferimento allo “espíritu castellano” del presente, lo definiva “errabundo, tormentoso, desasosegado, trágico...”. 232 Nulla allora era cambiato ! L’angoscia esistenziale, l’inquietitudine, l’irrequietezza, il pessimismo, la disperazione, l’amarezza, il “sentimento tragico della vita”, per riprendere l’espressione di Miguel de Unamuno, costituivano quindi l’essenza immutabile dell’anima castigliana, non solo di quella conversa ! Diffidiamo delle essenze eterne e delle categorie metafisiche distillate dalla filosofia tedesca, che tanto influenzò Azorín, Miguel de Unamuno, José Ortega y Gasset e Américo Castro, definito da un grande storico della medicina e della scienza “especulador de « esencias »”. 233 Diffidiamo delle astratte caratterologie di interi popoli e di intere razze o etnie, costruite con l’assemblaggio di luoghi comuni e stereotipi. Il ricorso a queste essenze eterne, a queste categorie metafisiche e a queste astratte caratterologie non aiuta la ricerca. Vogliamo concludere questo sottocapitolo ricordando alcune righe che Eugenio Asensio, confutando l’interpretazione del Lazarillo proposta da Stefen Gilman, 234 ha scritto sulla amargura e le altre peculiarità psicologiche attribuite ai convertiti da Américo Castro e dai suoi seguaci :  





























No podemos aceptar que Dios, o la sociedad, hayan forjado dos especies de cristianos : el cristiano viejo, de una pieza, monolítico (que dicen ahora), sin problemas íntimos ni alma desdoblada, sin sentido crítico ni reconcomios o amarguras interiores que puedan rezumar en su obra ; y el cristiano nuevo, perennemente condenado a tener el alma partida, ente “marginal”, “ajeno y  



227   [All’interno di una cornice con colonne, figure e decorazioni floreali] ¶ Quinta parte : | del abecedario spiritual de | nueuo compuesta por el | padre fray Francisco | de Ossuna : que es Con | suelo de pobres y | Auiso de ricos. | No menos vtil para | los frayles / que para | los seculares y | avn pa [para] los | predica- | dores. | Cuyo intento deue ser retraer los | hombres del amor de las ri- | quezas falsas y hazer | los pobres de | esperitu [espiritu]. | 1542 (Col. : Fue Jmpresso en la muy noble y mas leal ciudad de Burgos. En casa de Juan de Junta. A quinze dias del mes de Abril Año de mil y quinientos y quarenta y dos Años. Fue Jmpresso el presente libro a costa del señor Juan de Espinosa mercader de libros vezino de Medina del Campo.), fo. XLIIv e fo. XLVv (Madrid, Biblioteca Nacional : R/ 15843). 228   Francisco de Osuna : Quinta parte : del abecedario spiritual, fo. XLVv. 229   Azorín : La voluntad. In : A. : Obras escogidas. I. Novela completa. Coordinador : Miguel Ángel Lozano Marco (= Clásicos Castellanos. Nueva serie). Madrid : Espasa 1998, pp. 213-398 ; qui pp. 332-337. 230   Azorín accenna ai vv. 67-72 (“¿Qué es nuestra vida más que un breve día, / do apenas sale el sol, cuando se pierde / en las tinieblas de la noche fría ? / ¿Qué más que el heno, a la mañana verde, / seco a la tarde ? ¡Oh ciego desvarío ! / Será que de este sueño se recuerde ?”) e cita parte del verso 182 e tutto il verso 183 (“¡Oh muerte !, ven callada / como sueles venir en la saeta”). Cfr. Dámaso Alonso : La “Epístola moral a Fabio”, de Andrés Fernández de Andrada. Edición y estudio (= Biblioteca Románica Hispánica. II. Estudios y Ensayos, 278). Madrid : Gredos 1978, pp. 15-22. 231   Azorín ricorda Noche serena e cita un verso di Contra un juez avaro (“Tiempo hambriento y crudo”) e i vv. 21-25 dell’ode A Felipe Ruiz. Cfr. Fray Luis de León : Poésias completas. Obras propias en castellano y latín y traducciones e imitaciones latinas, griegas, bíblico-hebreas y romances. Edición de Cristóbal Cuevas (= Nueva Biblioteca de Erudición y Crítica, 14). Madrid : Castalia 1998, pp. 118-122, pp. 135-138, pp. 150-151. 232   Azorín : La voluntad, p. 356. 233   José María López Piñero : Medicina e historia natural en la sociedad española de los siglos XVI y XVII. València : Universitat de València 2007, p. 33. 234   Stephen Gilman : The Death of Lazarillo de Tormes.  

















































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extraño” al universo que lo envuelve, resentido y rencoroso hacia la sociedad, o refugiado en la emigración interior. Tal suposición no pasa de conveniencia argumental, de petición de principio que contradice rotundamente cuanto sabemos de la naturaleza humana. 235  

b) Stereotipi coniati, o testimoniati, dagli scrittori del XV-XVII secolo Alcuni degli elementi ritenuti da Américo Castro e da altri studiosi peculiari e costitutivi del carattere dei convertiti, sono già presenti negli stereotipi coniati, o testimoniati, dagli scrittori del XV-XVII secolo. Così, per esempio, il Bachiller Marcos García de Mora (Bachiller Marquillos de Mazarambroz) descrive nel suo Memorial (1449) i convertiti come seminatori di discordie, come usurai (“soruiendo por logros y usuras la sangre y sudor del pobre xénero christiano”), come vili (“espantados, como aquellos que eran e son de ruin linaxe y acostumbraron más vençer por logros e engaños que no por armas, fuyeron”), come, per natura, “malos, vindicativos, infieles, adúlteros, soberuios, vanagloriosos e de todas malas costumbres doctados”. 236 Alonso de Palencia, nella sua Crónica de Enrique IV, li definisce superbi, arroganti e paurosi. 237 Andrés Bernáldez, nella sua Historia de los Reyes Católicos, considera i conversos superbi, ambiziosi, usurai, ingannatori (“gentes logreras, é de muchas artes y engaños”), propensi ad evitare i faticosi lavori della agricoltura e della pastorizia e a preferire gli “oficios de poblados”, vanagloriosi (“tenian presuncion de soberbia, que en el mundo no habia mejor gente, ni mas discreta, ni mas aguda, ni mas honrada que ellos, por ser del linaje de las tribus é medio de Israel”), tesi ad “adquirir honra, oficios reales, favores de Reyes é señores” e a imparentarsi con “fijos é fijas de caballeros christianos viejos”. 238 Il cronista mette inoltre in rilievo la sotileza dei convertiti di ascendenza ebraica (“gente muy sotil”). 239 Il Bachiller Pedro Ortiz, “promotor fiscal del santo officio de la inquisición de la ... cibdad de Toledo”, in una Suplicación presentata il 19 marzo 1549 al “doctor Blas Ortiz canónigo en la santa yglesia de Toledo, juez official e vicario general en lo spiritual y temporal en la ... cibdad de Toledo e su arçobispado”, per impedire che venissero concesse habilitaciones ai figli e ai nipoti dei condannati dall’Inquisisizione per eresia, definiva i convertiti “ymbidiosos”, “desvergonçados y atrevidos”, unicamente intenti a “ponerse en los mejores lugares y estados y officios más preheminentes y honrrados”. 240 Il domenicano Fray Domingo de Valtanás ricorda, nella sua Apología de los conversos (1557), che ai convertiti veniva generalmente rimproverato di essere “inquietos y amigos de ambición”, 241  











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  Eugenio Asensio : La España imaginada de Américo Castro, pp. 104-105.   Marcos García de Mora (Bachiller Marquillos de Mazarambroz) : Memorial, p. 106, p. 115, p. 119. Anche secondo Melchor de Santa Cruz i conversos sono “naturalmente … medrosos”. Cfr. Melchor de Santa Cruz : Floresta Española. Edición, prólogo y notas de María Pilar Cuartero y Maxime Chevalier, p. 208. 237   Alonso de Palencia : Crónica de Enrique IV. Introducción [y traducción] de Antonio Paz y Melia (= Biblioteca de Autores Españoles, 257-258, 267). Madrid : Atlas 1973-1975, Tomo II, pp. 85-86 (“los conversos, extraordinariamente enriquecidos por raras artes, y luego ensoberbecidos y aspirando con insolente arrogancia a disponer de los cargos públicos, después que por dinero y fuera de toda regla habían logrado la orden de caballería hombres de baja extracción […]. Los conversos, tímidos por carácter y por la conciencia de sus maldades”). 238   Historia de los Reyes Católicos Don Fernando y Doña Isabel, escrita por el Bachiller Andrés Bernáldez, cura que fué de la Villa de los Palacios y Capellán de Don Diego Deza, Arzobispo de Sevilla, pp. 599-600. 239   Historia de los Reyes Católicos Don Fernando y Doña Isabel, escrita por el Bachiller Andrés Bernáldez, p. 653. 240   Bachiller Pedro Ortiz : Suplicación (Toledo, 19 de marzo 1549). In : Vincent Parello : Les judéo-convers. Tolède XVe-XVIe siècles. De l’exclusión à l’intégration. Préface de Raphaël Carrasco. Paris : L’Harmattan 1999, pp. 229-236 ; qui p. 229, p. 232. 241   Fray Domingo de Valtanás, O. P. : Apología de los conversos (1557). In : F. D. de V. : Apología sobre ciertas materias morales en que hay opinión y Apología de la comunión frequente. Estudio preliminar y edición de  

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insomma di non conformarsi e non adattarsi alle condizioni sociali e culturali date e di essere animati dalla ambizione, dall’ansia di medro, di promozione sociale. Juan Arce de Otálora scrive nella Summa nobilitatis hispanicae che i conversos “ad plurimum sunt dolosi, superbi, elati, insolentes, & vltra modum inanis gloriae & honoris ambitiosi, rixosi cauillosi mendaces procaces, tenaces, auari, & pecuniarum auidissimi”. 242 Nei Coloquios de Palatino y Pinciano il famoso giurista formula un giudizio più equilibrato : “bulliciosos y ambiciosos y desagradecidos” sono solo alcuni dei cristianos nuevos, che “por la mayor parte son ricos y tan agudos y diligentes”. 243 Generalizzando, invece, un altro grande giurista, Jerónimo Castillo de Bobadilla, accusa i conversos di essere “sediciosos, codiciosos, y ambiciosos”. 244 Accusa che si ritrova nel capitolo della Defensa del estatuto de Limpieza di Balthasar Porreño intitolato « Que la Iglesia de toledo Justamente hizo el estatuto contra los descendientes de Judios por sus bullicios y ambiciones ». 245 Nel Diálogo entre Laín Calvo y Nuño Rasura (1570) i confesos sono accusati di “iniquidades, auaricias, y soberuia”, di essere “perdidos por sus ambiçiones y por entrar en rentas, oficios y cargos”, di essere “astutos y cautelosos, y en toda arte de abarizia ingeniosos” e di essere intenti, infine, soltanto a “comprar y vender, i tomar rentas, alzarse y hazerse riquillos” e a “rrobar hazienda de pobres i guerfanos i viudas, i dotes de donzellas que les confian en credito”. 246 Bernardino de Escalante, parlando dei convertiti (portoghesi), li giudica di smisurata iattanza e arroganza, “arrogantes de ingenio”, ed inclini alla ostentazione e alla pomposità (“es gente de estruendo y estrépito”). 247 Nella romanza En arena de la gorda, attribuita a Góngora e anteriore al 1593, si leggono questi versi : “eres villano en el trato / y judío en ser agudo”. 248 Gaspar Lucas Hidalgo osserva che “la sutileza de ingenio” è propria della maggior parte degli ebrei. 249 Nell’Estebanillo González gli ebrei sono definiti “gente que siempre engañan y jamás se dejan engañar”. 250 Naturalmente parte di questi ‘caratteri’ tipici potevano essere attribuiti anche ai cri 

























Álvaro Huerga, O. P. y Pedro Sainz Rodríguez (= Espirituales Españoles. Serie A : Textos, Tomo XII). Barcelona : Juan Flors 1963, pp. 151-158 ; qui p. 151. Parlando di un religioso che si chiamava Fray García de Madrid, José de Sigüenza lo definisce “hombre docto, agudo è inquieto a quien tocaua esto muy de lleno, por ser de los confessos”. Qualche pagina prima aveva descritto gli ebrei come “gente ... con vna ambicion y astucia rabiosa”, la cui maggiore cura è “ingerirse, mezclarse y entremeterse ... entre la gente estimada, o por santidad, o por nobleza”, Cfr. Historia de la Orden de San Jerónimo por Fr. José de Sigüenza. 2.ª edición. Publicada con un Elogio de Fr. José de Sigüenza por D. Juan Catalina García. Tomo II (= Nueva Biblioteca de Autores Españoles, 12). Madrid : Bailly-Bailliére 1909, p. 34 e p. 31. Sulle lamentele sulla inquietud dei frati di origine ebraica cfr. Antonio Domínguez Ortiz : Los conversos de origen judío después de la expulsión, pp. 287-292. 242   Juan Arce de Otálora : Summa nobilitatis hispanicae, p. 200. 243   Juan Arce de Otálora : Coloquios de Palatino y Pinciano. Tomo I, p. 583. 244   Jerónimo Castillo de Bobadilla : Politica para corregidores y señores de vassallos, en tiempo de paz, y de guerra. Tomo primero. Amberes : Juan Bautista Verdussen 1704 [1ª ed. 1597], p. 58. 245   Balthasar Porreño : Defensa del estatuto de Limpieza que fundo en la Sancta Iglesia de Toledo el cardenal y Arzobispo Don Juan Martinez Siliceo. Dirigida al Dean y Cabildo dela dicha Sancta Iglesia de Toledo Madre, y Primada de las Españas. M.DC.VIII. (Madrid, Biblioteca Nacional : Ms. 13.043, fo. 2r-110r), fo. 89v-93r. 246   Diálogo entre Laín Calvo y Nuño Rasura (1570), p. 163, p. 170, p. 172, p. 176, p. 178. 247   Discurso de Bernardino de Escalante a propósito del auto de fe suspendido en Sevilla por orden de Felipe III, donde especula sobre las razones que hubieran podido motivarlo, sospechando que pudiera haber sido por concierto del Rey con los judíos portugueses, a cambio de dinero, lo que suscita su más encendida condena (Sevilla, 10. XI. 1604). In : Discursos de Bernardino de Escalante al Rey y sus Ministros (1585-1605). Presentación, estudio y transcripción por José Luis Casado Soto. Santander : Universidad de Cantabria 1995, pp. 235-263 ; qui p. 244, p. 256, p. 247. 248   Luis de Góngora : Romances. III. Edición crítica de Antonio Carreira, p. 274. 249   Gaspar Lucas Hidalgo : Dialogos de apacible entretenimiento. Barcelona : Sebastian de Cormellas 1605 (Madrid, Biblioteca Nacional : R-10.464), fo. 102v. 250   La vida y hechos de Estebanillo González, hombre de buen humor. Compuesto por el mesmo. I (= Letras Hispánicas, 309), p. 250.  



































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stianos viejos o, genericamente, a tutti gli spagnoli (o agli abitanti di altre nazioni). E così, per esempio, i cristianos viejos di Toledo che fomentano l’odio verso i conversos che hanno raggiunto “honras e oficios de governación”, Fernando del Pulgar li accusa di “sobervia e anbición”, di “enbidia e malicia”, di aver “sed raviosa de alcançar en los pueblos honras e riquezas” e di suscitare “escándalos para las adquerir”. 251 Don Francés de Zúñiga definisce “las gentes de España ... bolliçiosas y amigos de novedades”. 252 E quanti grandi signori del XV secolo potevano essere definiti irrequieti, sediziosi, ambiziosi e avidi di ricchezze ! Presentando la sua edizione di Crónicas de los Reyes de Castilla (Enrique II, Juan I, Enrique III, Juan II), Cayetano Rosell scriveva che in quell’epoca l’anarchia “alimentaba un espíritu perpétuo de sediciosa ambicion”. 253 Francesco Guicciardini caratterizza come “sottili ed astuti” tutti gli spagnoli (ma anche tutti gli italiani erano definiti, nel XVI secolo, “sottili” ! 254) e li incolpa inoltre di essere simulatori e ipocriti (“È propria di questa nazione [la Spagna] la simulazione, la quale si truova grandissima in ogni grado di uomini, e vi sono drento maestri […] e da questa simulazione nascono le cerimonie ed ipocrisia grande”). 255 Per quanto riguarda l’acutezza, considerata quasi generalmente uno dei tratti salienti dei convertiti di origine ebraica, vedremo che in realtà era ritenuta qualità specificamente spagnola. Arroganti, vanagloriosi, ambiziosi, insolenti, superbi erano, notoriamente, agli occhi degli italiani del XVI e XVII sec. tutti gli spagnoli, soprattutto i soldati, e come tali venivano rappresentati sulla scena.  







   



Le caratterologie e le tipologie di interi popoli, nazioni e etnie non solo sono stereotipiche, ma anche interscambiabili. Quindi a nulla servono. La tipologia di circoscritti e circoscrivibili gruppi etnici o di ben limitati e limitabili gruppi sociali potrebbe offrire, pur essendo necessariamente schematica, strumenti di analisi di una qualche validità e utilità. A condizione, però, che sia stata elaborata su documenti molteplici e ‘rappresentativi’ della complessità, varietà ed eterogeneità dei gruppi etnici o dei gruppi sociali e che sia riferita a periodi temporali, ad ambienti socio-economici e a spazi geografici determinati ed omogenei. Purtroppo gli studiosi che hanno tentato di tratteggiare la tipologia del convertito di origine ebraica hanno usato quasi esclusivamente materiali ‘ideologici’ (le opere e i pamphlets della controversia e della diatriba religiosa), o ‘letterari’ – le opere di autori come Juan Alfonso de Baena, Juan de Valladolid, Rodrigo Cota, Antón de Montoro, il famoso ropero (frequentemente citati sono i versi intrisi di profonda amarezza indirizzati A la Reina doña Isabel : “¡O Ropero amargo, triste, / que no sientes tu dolor !...” 256), Fernando de Rojas, Francisco López de Villalobos, Don  



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  Fernando del Pulgar : Letras. Edizione critica, introduzione e note a cura di Paola Elia, p. 67, pp. 70-71.   Don Francés de Zúñiga : Crónica burlesca del Emperador Carlos V. Edición, introducción y notas de José Antonio Sánchez Paso, p. 74. 253   Crónicas de los Reyes de Castilla. Desde don Alfonso el Sabio, hasta los Católicos don Fernando y doña Isabel. Colección ordenada por don Cayetano Rosell. Tomo segundo (= Biblioteca de Autores Españoles, 68). Madrid : Atlas 1953, p. V. 254   Cfr. Richard Gascon : Grand commerce et vie urbaine au XVIe siècle. Lyon et ses marchands (environs de 1520 – environs de 1580). Paris : S.E.V.P.E.N. 1971 (Civilisations et Sociétés, 22), p. 48 255   Francesco Guicciardini : Relazione di Spagna [1512-1513]. In : F. G. : Opere. A cura di Vittorio de Caprariis. Milano, Napoli : Riccardo Ricciardi 1961, pp. 27-44 ; qui pp. 30-31. 256   Antón de Montoro : Cancionero. Edición crítica de Marcella Ciceri. Introducción y notas de Julio Rodríguez Puértolas (= Actas Salmaticensia. Textos recuperados, Vol. III-IV). Salamanca : Universidad de Salamanca 1990, pp. 75-76. Citano il Ropero : Antonio Domínguez Ortiz : Los conversos de origen judío después de la expulsión, p. 379. – Julio Caro Baroja : Los Judíos en la España Moderna y Contemporánea. Tomo I, pp. 32-303. – Juan Ignacio Gutiérrez Nieto : El proceso de encastamiento social de la Castilla del siglo XVI. La respuesta conversa. In : Congreso Internacional Teresiano. 4-7 Octubre, 1982. Volumen I. Edición dirigida por Teófanes Egido Martínez, Victor García de la Concha, Olegario González de Cardedal. Salamanca 1983, pp. 103-120 ; qui p.105. – Moisés Orfali : El judeoconverso hispano : Historia de una mentalidad, p. 124.  

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Francés de Zúñiga, Mateo Alemán, ecc. –, ed hanno trascurato, per esempio, gli atti processuali dell’Inquisizione, le genealogie allegate alle richieste di hábitos degli Ordini Militari e tutta la varia documentazione – ‘informazioni genealogiche’, eventuali ‘memoriali’, denunce e lettere, anonime o firmate, inoltrati per contrastare le candidature – relativa alle pratiche espletate per la loro definitiva concessione, le ‘autobiografie’ (Memoriales o Relaciones de grados, méritos y servicios 257) allegate alle richieste di uffici, di benefici o di ricompense, e i testamenti, che pur costituirebbero per le ricerche sulla mentalità e l’antropologia storica una fonte documentaria di grandissima importanza. Inoltre hanno operato con una generica ed astratta categoria ‘il converso’, senza differenziare fra chi si era personalmente convertito al cristianesimo e chi, invece, era nato cristiano, da padre e madre cristiani, che a loro volta erano figli di cristiani con lontani o lontanissimi ascendenti ebrei. Polemizzando con Américo Castro, Antonio Márquez ha scritto : “Es lamentable … el uso indiscriminado de converso, judío y archijudío, como si se tratase de una misma realidad. Incluso el término « converso » debería ser matizado para distinguir los que realmente habían sido convertidos del judaísmo al cristianismo, de los que habían nacido cristianos, aunque de padres o abuelos conversos.” 258 Assurdità ancor maggiore è, infine, l’avere considerato come conversos anche coloro che di sangue ebraico avevano solo un quarto, un ottavo, un sedicesimo e ancor meno. E così, usando indifferentemente dati e testimonianze appartenenti a periodi diversi, ad ambienti socio-economici eterogenei e a spazi geografici dissimili, e ignorando fonti preziose per la antropologia e la psicologia storiche, questi studiosi hanno costruito le loro tipologie distillando da documenti scarsamente rappresentativi ‘essenze metafisiche’, invariabili nel tempo e nello spazio, e quindi inservibili. I maggiori studiosi della storia sociale e culturale dei convertiti spagnoli, anche quelli di origine ebraica, hanno sempre respinto le superficiali generalizzazioni – le quali, ovviamente, proprio per essere tali hanno avuto grande successo – e invitato (inascoltati !) alla necessaria prudenza e alla differenziazione nella elaborazione di tipologie. Cosí, per esempio, Antonio Domínguez Ortiz ha osservato :  













[...] aun suponiendo resuelto en sentido afirmativo el enigma de la influencia de los factores raciales sobre los espirituales, nada es menos seguro que la unidad racial de los judíos españoles [...] ; aun tiene menos sentido englobar en una sola clase a judíos personalmente conversos y a sus descendientes, de los que a no pocos apenas tocaba un remoto vestigio, una gota de sangre, quizás ignorada del propio interesado. 259  



Israël Salvator Révah ha criticato severamente Américo Castro per aver raggruppato “les cas les plus divers dans la dénomination unique de conversos” e invitato gli storici a porsi queste domande sugli autori conversos studiati :  

A quelle date leurs familles sont-elles passées au christianisme ? Selon que la réponse sera 1391, 1492 ou 1497, les déductions à tirer seront différentes. Quels ont été les démêlés de leurs ancêtres avec l’Inquisition ? Il est impossible de confondre dans la même catégorie Jean-Louis Vives dont les progéniteurs furent brûlés mort ou vif, sainte Thérèse d’Avila dont un grand-père fut admis à pénitence, Fr. Louis de Léon dont une bisaïeule fut « réconciliée » dans un autodafé. Quel est  







257   Un’ampia raccolta di ‘autobiografie’ di asturiani è in corso di pubblicazione : Autobiografías de asturianos de los siglos XVI, XVII, XVIII y XIX (« Relaciones » de sus grados, méritos y servicios). Estudio y recopilación por J. L. Pérez de Castro. Oviedo : Real Instituto de Estudios Asturianos - Principado de Asturias 2005-2008, 4 tom. (Tomo I : A-E, Tomo II : F-L, Tomo III : LL-M-N, Tomo IV : O-P-Q-R). Rare sono in questa raccolta le ‘autobiografie’ del XVI e dei primi anni del XVII. 258   Antonio Márquez : Literatura e Inquisición en España (1478-1834), p. 205 n. 259   A. Domínguez Ortiz : Los conversos de origen judío después de la expulsión, p. 399.  



















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le pourcentage d’ancêtres juifs pour les écrivains des différentes périodes chronologiques ? On ne peut classer dans la même « caste », pour reprendre l’expression favorite de M. Castro, les auteurs du XVe siècle dont tous les ascendants étaient juifs et ceux du XVIe et du XVIIe dont l’arbre généalogique ne comportait souvent que quelques branches juives. Quelle fut la véritable situation existentielle de l’écrivain étudié ? On ne doit pas mêler les auteurs dont chacun connaissait, de leur vivant, les origines, et ceux qui avaient réussi à les faire oublier. Ce n’est qu’après avoir répondu à toutes ces questions que l’on pourra essayer de découvrir les reflets et les répercussions de la mentalité judaïque ou de la condition « néo-chrétienne » dans les oeuvres littéraires. Il faudra, pour cela, s’armer d’une très sérieuse connaissance de l’histoire du judaïsme et du « néochristianisme » ibérique. 260  

















Similmente Eugenio Asensio, confutando la tipologia del convertito elaborata da Américo Castro, che riduce ad una astratta unità indifferenziata l’amplissima varietà dei tipi sociali e intellettuali reali, ha scritto : “La mayoría, por no decir la totalidad, de los rasgos que se supone marcan a la casta hispano-hebrea, son comunes con ciertos tipos de cristiano viejo : no separan sino que unen. Castro pretende eliminar del horizonte del cristiano viejo actitudes, conceptos, sentimientos que, si son minoritarios, no dejan de observarse parejamente en individuos de sangre pura e impura.” E ancora : “Nos hace falta una casuística que gradúe y deslinde las innumerables variantes en la situación social de los conversos conforme a los tiempos, la ideología, la clase social”. 261 Lo stesso Julio Caro Baroja, che pur ha tentato di elaborare la tipologia sopra ricordata e cercato ricorrentemente nella sua grande opera di tracciare dei profili psicologici e intellettuali di conversos appartenenti a vari ambienti culturali e sociali, ha messo in rilievo la fallacia di quegli studi che presentano i convertiti con caratteri omogenei :  









Al terminar de presentar toda gama de actitudes y pensamientos que se observan en los conversos y los descendientes de ellos, es cuando se puede dar cuenta uno mejor de lo falaces que son las historias que nos los presentan con caracteres homogéneos. No. El alma humana, por mucho que se la coaccione (o tal vez cuanto más se la coacciona), puede reaccionar de mil formas distintas [...]. 262  

Tipologie che non siano costruite sull’analisi differenziata suggerita da I. S. Révah e da E. Asensio, non sono di alcuna utilità. Lo dimostra il fatto che operando con gli schemi elaborati da Américo Castro per l’individuazione e interpretazione di autori conversos, si arriverebbe – come ha efficacemente dimostrato Eugenio Asensio 263 – a considerare Quevedo come l’autore converso per eccellenza. 264 Il rigoroso metodo storico richiede certamente proprio quelle “patientes recherches biographiques et généalogiques” per le quali “M. Castro n’a pas manifesté de penchant particulier” 265 (ancor minore è l’inclinazione per tali ricerche manifestata da molti suoi seguaci !).  







260   [Israël Salvator Révah :] Collège de France. Chaire de Langues et Littératures de la Péninsule Ibérique et de l’Amérique Latine. Leçon Inaugurale, faite le Jeudi 8 Décembre 1966 par M. I. S. Révah. [Nogent-le-Rotrou,] 1967 [= Collège de France. Collection des Leçons inaugurales, n° 46], pp. 21-22. 261   E. Asensio : La España imaginada de Américo Castro, p. 95, p. 159. 262   Julio Caro Baroja : Los Judíos en la España Moderna y Contemporánea. Tomo II, p. 260. 263   E. Asensio : La España imaginada de Américo Castro, pp. 108-110. 264   È vero che proprio dopo aver ricordato Quevedo, Américo Castro aveva scritto : “el estilo desesperado de tradición judaica se convirtió en forma expresiva también para algunos cristianos viejos” (España en su historia, p. 548). Ma è pur vero che con questa constatazione lo studioso toglieva valore alla sua stessa teoria. La vistosa contraddizione è stata notata da I. S. Révah, che cosí ha commentato la frase or ora citata di Américo Castro : “il ne s’est pas aperçu que cette constatation invalidait absolument la relation de dépendance qu’il prétend établir entre oeuvre littéraire et « caste » raciale” (Leçon Inaugurale, p. 24). 265   I. S. Révah : Leçon Inaugurale, p. 23.  

















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Credere che ogni manifestazione di ‘dissidenza’ e di critica e ogni anelo di rinnovamento spirituale siano prove di appartenenza alla ‘casta’ dei conversos, è chiaramente assurdo. È sufficiente ricordare che Francisco de Vitoria e Melchor Cano – conservatori e difensori della spiritualità tradizionale – erano cristianos nuevos, mentre Bartolomé Carranza, aperto alle correnti di rinnovamento spirituale, era un cristiano viejo. 266 Vi è inoltre da considerare il ‘mimetismo’ dei convertiti, che spesso erano più papisti del papa. Ecco alcuni esempi di toledani, tanto per limitarci alla città di Francisco López de Úbeda. Il converso Francisco de Pisa (1534-1616), professore di Sacre Scritture nel Colegio de Santa Catalina (e per alcun tempo decano delle Facoltà di Teologia e Arti Liberali) e cappellano maggiore della Capilla Mozárabe della Cattedrale Toledana, 267 loda i Re Cattolici, perché vollero “limpiar sus reynos de la horrura Iudayca ... por el manifiesto daño que de su pestifera conuersacion resultaua”, 268 e descrive diffusamente il martirio del Niño Inocente de la Guardia, crocifisso e ucciso come Gesú Cristo, da ebrei, “gente tan escandalosa, y perjudicial”. 269 Francisco de Pisa era talmente preoccupato della ortodossia cattolica da denunciare come eterodosse alcune pagine delle opere di Santa Teresa. 270 Come si potrebbe mai supporre che fosse di origine ebraica un tale fervente apologeta della tragica espulsione degli ebrei, definiti “feccia”, un tale zelante paladino della ortodossia cattolica ? Sebastián de Horozco, noto come il maggiore persecutore dei conversos, 271 non solo inserisce nel suo Cancionero molte coplas antisemitiche, 272 ma giunge a comporre delle coplas crudeli contro “Antón Dientes y sus parientes”, una famiglia con la quale lui stes 















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  E. Asensio : La España imaginada de Américo Castro, p. 69.   Era figlio del dottore in medicina Gonzalo de Pisa, appartenente ad una ricca famiglia conversa originaria di Almagro, e di Elvira de Palma, appartenente anch’essa ad una famiglia “de origen judeoconverso”. Cfr. José Gómez-Menor Fuentes : « Introducción » a : Francisco de Pisa : Apuntamientos para la II parte de « Descripcion de la Imperial Civdad de Toledo ». Según la copia manuscrita de D. Francisco de Santiago Palomares, con notas originales autógrafas del Cardenal Lorenzana. Estudio preliminar, transcripción y notas de J. G.-M. F. (= Publicaciones del Instituto Provincial de Investigaciones y Estudios Toledanos. Serie IV. « Clásicos Toledanos », Vol. 4). Toledo : I.P.I.E.T. - Diputación Provincial de Toledo 1976, pp. 7-37 ; qui pp. 13-14 e pp. 20-27. – J. Gómez-Menor Fuentes : Cristianos nuevos y mercaderes de Toledo, p. LIII. – Ricardo Sáez : Le clergé des paroisses de Tolède à la fin du XVIe siècle, p. 211. Francisco de Pisa apparteneva sicuramente alla stessa famiglia, coinvolta in vari processi inquisitoriali, di quel Juan Rodríguez de Pisa – “hijo de Diego de Pisa y nieto por la línea masculina de Juan Rodríguez de Pisa [già morto nel 1497] vezino de Almagro condemnado en el officio de la santa inquisición por el delicto e crimen de la heregía” – contro il quale era specificatamente rivolta la Suplicación (pp. 229-230) di Pedro Ortiz. I Rodríguez de Pisa sono infatti un ramo della famiglia di Francisco de Pisa (cfr. José Gómez-Menor Fuentes : « Introducción », pp. 23-24). 268   Francisco de Pisa : Descripcion de la Imperial Civdad de Toledo, fo. 214r. 269   Francisco de Pisa : Descripcion de la Imperial Civdad de Toledo, fo. 215r-216r. 270   Cfr. Memorial del Dr. Francisco de Pisa a los Inquisidores de Toledo denunciando algunas doctrinas contenidas en los libros impresos de la M. Teresa de Jesus. Toledo, febrero de 1598. In : Francisco de Pisa : Apuntamientos para la II parte de « Descripcion de la Imperial Civdad de Toledo ». Según la copia manuscrita de D. Francisco de Santiago Palomares, con notas originales autógrafas del Cardenal Lorenzana. Estudio preliminar, transcripción y notas de José Gómez-Menor Fuentes (= Publicaciones del Instituto Provincial de Investigaciones y Estudios Toledanos. Serie IV. « Clásicos Toledanos », Vol. 4). Toledo : I.P.I.E.T. - Diputación Provincial de Toledo 1976, pp. 189-191. 271   Cfr. J. Weiner : Sobre el linaje de Sebastian de Orozco, p. 791, pp. 794-795, pp. 797-798. 272   Si veda – per esempio – le seguenti : El auctor a un estudiante muy bullicioso. – El auctor motejando a uno de bermejo. – El auctor replica a las [coplas] de Villalobos por los mismos consonantes. – El auctor, sobre que un confesso en Toledo compró una juradería. – Aviso para los que se quieren casar. In : Florence Dumora : Le Cancionero de Sebastián de Horozco, auteur tolédan du XVIe siècle. (Édition, Introduction et Notes). Lille : Atelier National de Reproduction de Thèses 2001, 2 voll. ; qui I, pp. 232-234 (nro. 15), pp. 360-361 (nro. 80), pp. 546-547 (nro. 166) ; II, pp. 1023-1024 (nro. 338), pp. 1105-1106 (nro. 371).  

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so era imparentato, schernendoli come conversos ! 273 Al contrario, dedica all’Arcivescovo Silíceo una poesia fortemente elogiativa, nella quale vengono messe in risalto la “humildad y mansedumbre” e la “bondad” del Primate di Spagna 274 (lodato, giustamente del resto, per la sua grandissima generosità e carità verso i poveri e le sue fondazioni di beneficenza, anche da Francisco de Pisa 275). Nel Teatro Universal de Proverbios, nel glossare dei proverbi, rappresenta gli ebrei come “bulliciosos”, irrequieti, avidi di denaro, vili, paurosi, rancorosi, vendicativi, fraudolenti, estremamente ‘sottili’, poco amanti del lavoro. 276 Come si potrebbe mai immaginare che lui stesso – un “consultor del Santo Oficio de Toledo” 277 – avesse “raxa de confeso” ? 278 Oppure chi immaginerebbe, leggendo l’articolo « Iudío » del Suplemento al Tesoro de la Lengua Española Castellana, che il suo autore, Sebastián de Covarrubias, figlio di Sebastián de Horozco, avesse sangue ebraico ? In questo articolo, nel quale vengono ricordati “el martyrio del niño Inocente de la Guardia” e innumerevoli altre nefandezze compiute, secondo Sebastián de Covarrubias, dagli ebrei, si legge, infatti, tra l’altro :    





















Los Judíos fueron siempre traydores al pueblo Christiano [...]. Los más de éstos se convirtieron fingidamente [...], con mucha raçón an sido privados ellos y sus descendientes de algunos lugares y dignidades honoríficas como son obispados, hábitos de cavallería, inquisiçiones, prebendas de la sancta Yglesia de Toledo y otras, de los offiçios de la casa real, de Collegios y de algunas cofradías. Y en esto no se les haçe agravio, pues ay otros muchos lugares con que puedan ser honrrados y remunerados, sin que en este cuerpo mystico quieran ser cabeça. 279  

Proprio i figli maschi 280 di Sebastián de Horozco, Juan Horozco de Covarrubias (autore degli Emblemas morales e di altre opere ; prima arcediano di Cuéllar, poi canonico della Cattedrale di Segovia, e, infine, Vescovo – prima di Agrigento e poi di Guadix – e assessore della Inquisizione di Toledo) e Sebastián de Covarrubias Horozco (studente a Salamanca – all’Università era stato immatricolato “entre los nobles, generosos y di 



273   Cfr. José Gómez-Menor Fuentes : Nuevos datos documentales sobre el licenciado Sebastián de Horozco. In : Anales Toledanos 6 (1973), 249-285 ; qui p. 261. – J. Weiner : Sobre el linaje de Sebastian de Orozco, pp. 794799. 274   Sebastián de Horozco : El Cancionero. Introducción, edición crítica, notas, bibliografía y genealogía de Juan de Horozco por Jack Weiner, p. 106 (un’altra poesia En favor del Arçobispo y Cardenal Silíçeo si trova a pag. 114). – Florence Dumora : Le Cancionero de Sebastián de Horozco, auteur tolédan du XVIe siècle. (Édition, Introduction et Notes), I, p. 517 (nro. 153), p. 559 (nro. 171). 275   Francisco de Pisa : Descripcion de la Imperial Civdad de Toledo, fo. 258v-262v. Sull’amore di Silíceo verso i poveri e le sue attività benefiche, cfr. anche L. Martz : Powerty and Welfare in Habsburg Spain. The Example of Toledo, pp. 130-131. 276   Sebastián de Horozco : Teatro Universal de Proverbios. Edición, introducción, índices y glosario de José Luis Alonso Hernández, pp. 37-38 (nro. 16), p. 89 (nro. 304), p. 175 (nro. 742), p. 212 (nro. 931), p. 266 (nro. 1222), pp. 291-292 (nro. 1353-1357), p. 319 (nro. 1486), pp. 442-443 (nro. 2105), pp. 505-506 (nro. 2400), pp. 567-568 (nro. 2730), p. 633 (nro. 3057). 277   Jack Weiner : « Introducción » a : Sebastián de Horozco : El Cancionero. Introducción, edición crítica, notas, bibliografía y genealogía de Juan de Horozco por J. Weiner (= Utah Studies in Literature and Linguistics, 3). Bern : Herbert Lang 1975, pp. 9-43 ; qui p. 23. 278   « Genealogía del Licenciado Juan Horozco de Covarrubias. 1573 ». In : Sebastián de Covarrubias : Suplemento al Tesoro de la Lengua Española Castellana. Edición de Georgina Dopico y Jacques Lezra. Madrid : Ediciones Polifemo 2001, p. CXCI-CXCIV ; qui p. CXCIII (dichiarazione del testimone Juan Fernández). 279   Sebastián de Covarrubias : Suplemento al Tesoro de la Lengua Española Castellana. Ed. de G. Dopico y J. Lezra, pp. 304-308 (Art. « Iudío »). 280   Sebastián de Horozco aveva anche una figlia, di nome Catalina de Covarrubias, che sposerà Don Diego de Alarcón, membro del Consejo Real, discendente dalla Regina di Napoli Juana, nipote di Fernando il Cattolico. Un figlio di Catalina de Covarrubias, Francisco de Alarcón, divenne Inquisitore a Barcelona e a Valencia, poi Vescovo di Ciudad Rodrigo, Salamanca, Pamplona, Córdoba. Cfr. Georgina Dopico y Jacques Lezra : Biografía documental. In : Sebastián de Covarrubias : Suplemento al Tesoro de la Lengua Española Castellana, pp. I-CXIV ; qui p. XVIII e p. XXVIII.  

























































la condizione dei conversos nella società toledana

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gnados” 281 –, poi “racionero” nella Cattedrale di Salamanca, “Capellán de su Magestad” a Madrid, funzione per la quale gli viene attestata la limpieza de linaje richiesta dalle Constituciones de la Capilla Real, 282 canonico, “maestreescuela y consultor del Santo Oficio en Cuenca” 283), rivelano l’affanno di “negar la sangre”, per usar ancora una volta l’espressione di Don Pablos de Segovia. 284 Juan Horozco de Covarrubias e Sebastián de Covarrubias Horozco – proprio la loro carriera rivela con l’evidenza incontrovertibile dei fatti la falsità delle asserzioni, or ora trascritte, dell’autore del Tesoro sulla esclusione dei convertiti dalla mitra vescovile e da uffici, dignità, prebende e benefici ! – nutrirono scarso amore e affetto per il proprio padre, che appena ricordano nelle loro opere ; furono invece attaccatissimi alla famiglia della madre (i Covarrubias erano non solo cristianos viejos, ma anche di origine montañés), in particolare allo zio materno Juan de Covarrubias (racionero della Cattedrale di Salamanca, posto a cui rinunzierà in favore di Sebastián), a Diego e Antonio de Covarrubias y Leyva, entrambi celebri giuristi, teologi e politici (Antonio, “colegial de Oviedo en Salamanca, en cuya Universidad manejó diferentes cátedras”, divenne membro del Consejo Real de Castilla ; Diego fu Cattedratico di Diritto canonico dell’Università di Salamanca, Vescovo di Ciudad Rodrigo e di Segovia, Presidente del Consejo Real de Castilla, membro del Consejo de Estado 285), e al loro padre, Alonso de Covarrubias (celebre architetto e scultore), che continuamente lodano e ricordano. 286  

















Se chiaramente problematici sono i tentativi di elaborare una tipologia generale e generica dei convertiti di origine ebraica, ancor più problematico è l’uso che nell’ambito della ricerca letteraria viene comunemente fatto della categoria ‘converso’. Numerosi studiosi – specialmente quelli impegnati a scoprire ad ogni costo l’origine ebraica di quasi tutti gli autori importanti del Siglo de Oro –, una volta che hanno creduto di aver trovato la conferma della loro ipotesi aprioristica e di poter quindi classificare il loro autore come converso, operano infatti con questa categoria, senza minimamente curarsi di differenziare e di storicizzare, come se il converso fosse una essenza metafisica, una idea platonica, immutabile nel tempo e nello spazio. L’appartenenza, vera o semplicemente immaginata, al gruppo (o meglio, alla casta, questo è il termine usato di preferenza) dei convertiti di origine ebraica, diventa così la chiave ermeneutica assoluta, in grado di tutto spiegare e di tutto chiarire, e diventa soprattutto la formula magica che permette di proiettare nel testo fantasie poetiche o ideologiche. 281

  G. Dopico y J. Lezra : Biografía documental, p. XIV.   G. Dopico y J. Lezra : Biografía documental, p. XXI. 283   Jack Weiner : Sebastián de Horozco y los Hegas. In : Bulletin Hispanique 79 (1977), 139-146 ; qui p. 145. 284   Francisco de Quevedo : La vida del Buscón llamado Don Pablos. Edición crítica y estudio preliminar de Fernando Lázaro Carreter, p. 148. 285   Cfr. José Martínez Millán - Carlos J. De Carlos Morales (Directores) : Felipe II (1527-1598). La configuración de la Monarquía Hispana, pp. 303-304, pp. 353-355. 286   Sebastián de Covarrubias trova modo di ricordare Diego de Covarrubias e la sua famiglia anche all’art. « Covarruvias » del Suplemento al Tesoro de la Lengua Española Castellana : “Villa principal en el Arçobispado de Burgos, ay en ella una Yglesia collegial con su Abbad. De este lugar salieron a vivir al reyno de Toledo en tiempo de los reyes Cathólicos los abuelos del presidente mi señor don Diego de Covarruvias de Leyva, y por aver venido de Covarruvias les dieron el nombre de la patria, pero el de nuestro solar es la casa de Leyva” (p. 151). Nella Relación de la vida y virtudes de don Diego de Covarruvias de Leyva aveva scritto (1594) : “... lo que de mi tío se puede dezir es que Don Diego de Covarruvias de Leyva fue natural de la ciudad de Toledo de padres nobles, oriundo de Vizcaya de la casa de Leyva” (cfr. G. Dopico y J. Lezra : Biografía documental, p. XXXI).  

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Capitolo V GLI ESTATUTOS DE LIMPIEZA DE SANGRE. IL PIÚ GRAVE PROBLEMA DELLA SOCIETÀ SPAGNOLA ?  

Sommario : Il dibattito sugli Estatutos de limpieza de sangre. – Marginalità del problema della purezza di sangue. – I concreti, reali e gravi problemi della società spagnola.  

Il dibattito sugli Estatutos de limpieza de sangre

F

ra gli anni 1570/1580 e 1630/1640 si era formata in Ispagna fra la gente colta una vasta corrente d’opinione contraria alle discriminazioni razziali e favorevole ad una riforma degli Estatutos de limpieza de sangre, 1 la cui introduzione aveva, comunque, sempre suscitato aspre controversie e sempre era stata duramente contrastata, anche da molti cristianos viejos, che odiavano le ingiustizie e avevano a cuore il bene della società spagnola. Abbiamo visto che i due Statuti piú famosi, quello di Pero Sarmiento e quello del Cardinale Juan Martínez Silíceo, erano stati avversati con grande veemenza da personalità di rilievo e che scrittori mistici come Francisco de Osuna e San Juan de Ávila ed intellettuali come Juan Luis Vives e Alejo Venegas avevano stigmatizzato la discriminazione dei conversos richiamandosi alla dottrina paolina del corpo mistico. Ostili al principio della purezza di sangue e alle discriminazioni razziali erano stati molti padri della Compagnia di Gesú, a partire dal suo fondatore, che si scelse fra i piú stretti collaboratori dei conversos come Diego Laínez (sarà il secondo Generale dell’Ordine) e Juan de Polanco. Apertamente avversi alla discriminazione dei conversos erano stati anche gesuiti della piú alta aristocrazia, come Francisco de Borja, Duca di Gandía, che era stato ‘convertito’ dall’Apostolo di Andalusia 2 e che sarà il terzo Generale della Compagnia, e come Diego de Guzmán, figlio del Conte di Bailén, e Antonio de Córdoba, figlio della Marchesa di Priego, entrambi ‘discepoli’ – similmente a tanti altri padri gesuiti – di San Juan de Ávila. 3 Inizialmente gli Statuti erano stati introdotti, almeno nella intenzione dei fondatori dei Colegios Mayores, per permettere agli studenti poveri ma dotati, di studiare. 4 Assicu 







1   Cfr. I. S. Révah : Gil González de Ávila et les Statuts de pureté de sang, pp. 495-496. – H. Kamen : Una crisis de conciencia en la Edad de Oro en España : Inquisición contra “Limpieza de sangre”, p. 336. 2   Cfr. Luis Sala Balust y Francisco Martín Hernández : Estudio biográfico. In : San Juan de Ávila : Obras completas. Nueva edición crítica. I. Madrid : B.A.C. 2000, pp. 5-319 ; qui pp. 71-72. – Stefania Pastore : Il Vangelo e la spada. L’Inquisizione di Castiglia e i suoi critici (1460-1598). Roma : Edizioni di Storia e Letteratura 2003, pp. 170-171. 3   Sulla posizione della Compagnia di Gesú nei confronti del problema della purezza di sangue, cfr. A. A. Sicroff : Les controverses des Statuts de « pureté de sang » en Espagne du XVe au XVIIe siècle, pp. 270-290. Sui rapporti tra la scuola di San Juan de Ávila e la Compagnia di Ignacio de Loyola, cfr. Manuel Ruiz Jurado : San Juan de Ávila y la Compañía de Jesús. In : Archivum Historicum Societatis Iesu 40 (1971), 153-172. – Luis Sala Balust y Francisco Martín Hernández : Estudio biográfico, pp. 109-166. 4   Nei Coloquios de Palatino y Pinciano di Juan Arce de Otálora, uno dei due interlocutori, Pinciano, cerca di giustificare l’esclusione dei cristianos nuevos dai Colegios Mayores ricordando che “los colegios son para los pobres, y ellos [los cristianos nuevos] por la mayor parte son ricos y tan agudos y diligentes que no han menester su ayuda”. Ma Palatino replica : “Aunque sean ricos, es terrible contrapeso excluirlos de los colegios y oficios  

































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capitolo v

rando agli studenti poveri, figli di hidalgos impoveriti, di oscuri contadini, di modesti artigiani e impiegati, l’esclusivo accesso ai grandi Collegi Universitari, sarebbe stata promossa la mobilità sociale 5 e compensata l’inferiorità economica e culturale della piccola ‘borghesia’ (gli strati inferiori del ceto medio) e del proletariato urbani, del contadinato ed anche della piccola nobiltà senza mezzi. 6 Questa funzione di compensazione era stata anche efficacemente assolta per molti decenni. 7 Cosí, per esempio, dal Colegio Mayor de San Bartolomé di Salamanca – fondato da Diego de Anaya Maldonado, Arcivescovo di Siviglia, che volle, come si legge nelle “bulas fundacionales de Benedicto XIII y Martín V, dadas respectivamente en 1414 y 1418”, riservare il Collegio esclusivamente a persone “ex puro sanguine procedentes” 8 – erano uscite folte schiere di alti e altissimi funzionari dello Stato, di illustri giuristi, di cattedratici, di scrittori, di giudici, di inquisitori, di canonici, di vescovi, di arcivescovi e perfino di viceré, tanto che sorse il detto popolare “Todo el mundo está lleno de Bartolomicos”. 9 Due dei piú clamorosi casi di ascesa so 









y beneficios y de las iglesias catedrales, que poco a poco los echarán del mundo.” Cfr. Juan Arce de Otálora : Coloquios de Palatino y Pinciano. Tomo I, p. 583. 5   E. Asensio : La España imaginada de Américo Castro, p. 173. 6   Eugenio Asensio (La España imaginada de Américo Castro, p. 175) ha scritto a proposito del ‘privilegio’ attribuito alla ‘purezza di sangue’ : “[…] aquel abusivo privilegio servía para compensar una flagrante desigualdad. Me refiero a la inferioridad de hecho en que la mayoría de los cristianos viejos se encontraba frente a los nuevos. Mientre los viejos – la enorme mayoría del país – carecían no sólo de influencia social sino de medios económicos para costear sus estudios, los nuevos por su tradición cultural, sus bienes de fortuna y su probada vocación intelectual estaban admirablemente colocados para escalar los más altos puestos de la Universidad, la Iglesia y la administración.” 7   Con la istituzionalizzazione del sistema dei maggioraschi si fece però sempre piú acuta per la piccola e media nobiltà (hidalgos, caballeros) la necessità di sistemare i figli cadetti indirizzandoli agli studi universitari, che offrivano buone prospettive di carriera, e cosí le norme degli statuti originali dei Colegios Mayores verranno sempre piú frequentemente disattese (cfr. J. M. Pelorson : Aspectos ideológicos. In : La frustración de un Imperio, 1476-1714. Barcelona : Labor 1982, pp. 261-285 ; qui p. 275). I poveri (hidalgos e plebei) saranno progressivamente esclusi a vantaggio non solo della piccola e media nobiltà possidente, ma anche della ‘borghesia’ danarosa (‘pura’ o ‘macchiata’ che fosse), imparentata spesso con famiglie di hidalgos e caballeros. 8   Cfr. A. Domínguez Ortiz : Los conversos de origen judío después de la expulsión, p. 279. Nelle Constitutiones del Collegio si esprime chiaramente la volontà di Diego de Anaya Maldonado di escludere gli ebrei. Alla Constitutio XIV (« De genere eligendorum ») il fondatore del Collegio stabilisce infatti : “Item, quia intentio et voluntas nostra semper fuit ut nullus qui de genere Judaeorum originem duxerit ad dictum Collegium haberet ingressum ; ideo ne hoc per temporis cursum oblivioni dari contingat ; statuimus et ordinamus ut nullus qui de praedicto genere sive ex utroque latere, vel altero tantum fuerit, in Collegialem Capellanumve in dicto Collegio admittatur, in hoc non attento an in gradu remoto vel propinquo sit” (cit. da A. Domínguez Ortiz : Los conversos de origen judío, p. 279 n. nro. 13). Cfr. anche gli Estatutos que regulan la provisión de las becas del Colegio de San Bartolomé. In : Ana María Carabias Torres : Colegios Mayores : Centros de poder. Los Colegios Mayores de Salamanca durante el siglo XVI. III. Ediciones Universidad de Salamanca – Diputación Provincial de Salamanca 1986, pp. 1042-1050. B. Netanyahu (Los orígenes de la Inquisición en la España del siglo XV, pp. 1000-1002) scrive che nelle bolle papali di Benedetto XIII (2 ottobre 1414) e di Martino V (4 maggio 1418), da lui esaminate nell’Archivio Vaticano, manca il riferimento alla purezza del sangue e che tale riferimento sarebbe stato interpolato da funzionari del Collegio nel secolo XVI. La clausola discriminatrice procederebbe quindi unicamente dalle Constitutiones di don Diego de Anaya y Maldonado, non datate (la costruzione del Collegio, destinato a quindici studenti di Diritto o di Teologia, iniziò nel 1401 e fu terminata nel 1414 ; il fondatore, che lasciò tutti i suoi beni e la sua biblioteca al Collegio, morí nel 1437). Il Colegio de Santa Cruz, di Valladolid, introdusse lo Statuto di purezza di sangue nel 1488 ; il Colegio Grande, di Sigüenza, nel 1497. 9   Gonzalo Correas : Vocabulario de refranes y frases proverbiales. Edición de Louis Combet, p. 777. – S. de Covarrubias Orozco : Tesoro de la lengua castellana o española. Edición de Felipe C. R. Maldonado revisada por Manuel Camarero. Segunda edición corregida, p. 170 (« Bartolomico »). Commentando questo detto popolare, Gil González Dávila scriveva nel 1606 : “Es buen testimonio desto [refran] el hallarse desde el año 1480. hasta el que de presente corre, muchos hijos desta casa [el Colegio de S. Bartolome], con grandes dignidades y mandos. Pues ha tenido tres Cardenales : Arçobispos y Obispos sesenta y seis : dos Virreyes : vn Inquisidor general : vn Maestro de Rey : diez y ocho Presidentes [de Consejos] : Oydores de todos Consejos mas de ciento : Inquisidores, y Canonigos infinitos : Catedraticos de Propriedad en la Vniuersidad de Salamanca doze ; cinco  

































































gli estatutos de limpieza de sangre

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ciale di ‘Bartolomicos’ sono rappresentati da Pedro Guerrero, Arcivescovo di Granada, e da Juan Martínez Silíceo, Arcivescovo di Toledo e Primate di Spagna, entrambi di umilissime origini. Anche Fernando Valdés, Arcivescovo di Siviglia, Inquisitore generale e Presidente del Consejo Real de Castilla e del Consejo de Estado aveva studiato nel Colegio Mayor de San Bartolomé. Rapidamente gli Statuti si erano però trasformati in istrumenti di lotta sociale e politica. 10 I plebeyos (gente menuda, o menudos) e gli hidalgos e i caballeros, che non potevano tollerare che gli ebrei di ieri, i medesimi odiati appaltatori, 11 esattori e usurai, possedessero gli stessi diritti degli altri cristiani, occupassero incarichi pubblici e fossero installati in posti di comando delle città e della Corte, 12 tentarono infatti di contrastare il potere economico e politico (almeno quello a livello municipale) dei conversos e la loro tendenza a monopolizzare gli uffici, 13 impedendo loro, per mezzo degli Statuti di purezza di sangue, di ricoprire certe cariche, quali le regidurías, dell’amministrazione di alcune città, di ottenere determinate dignità, dotate di altissime rendite, 14 di alcune grandi Chiese Cattedrali e di entrare negli Ordini Militari. Contro gli Statuti, divenuti fonte di scandalo e di discordia civile, 15 trasformatisi in  











dellos de Prima : Escritores doze...”. Cfr. Historia de las antigvedades de la Civdad de Salamanca : Vidas de svs Obispos y cosas sucedidas en su tiempo. Dirigida al Rey N. S. don Felipe III. Por Gil Gonçalez de Avila, Diacono y Racionero en la S. Iglesia de Salamanca. En Salamanca, En la Imprenta de Artvs Taberniel. M.DC.VI. (ed. facs. Salamanca : Ediciones Diputación de Salamanca – Ediciones Universidad de Salamanca 1994), p. 343. Sulla importanza dell’Università di Salamanca come centro di formazione dei futuri alti funzionari della burocrazia statale e sul ruolo di questo Ateneo come centro di potere fondato su una rete di rapporti sociali, parentali e clientelari fra gli ex-studenti e, in particolare, fra i colegiales mayores, cfr. Ana María Carabias Torres : Colegios Mayores : Centros de poder. Los Colegios Mayores de Salamanca durante el siglo XVI. – Ana María Carabias Torres : Salamanca, académica palanca hacia el poder. In : Letrados, juristas y burócratas en la España moderna. Coordinador : Francisco José Aranda Pérez. Cuenca : Ediciones de la Universidad de Castilla-La Mancha 2005, pp. 23-59. 10   Cfr. Jaime Contreras : Estructuras familiares y linajes en el mundo judeo-converso. In : Solidarités et sociabilités en Espagne (XVIe-XXe siècles). Études réunies et présentées par Raphaël Carrasco (= Centre de Recherches sur l’Espagne Moderne, Vol. 1). Besançon : Annales Littéraires de Université de Besançon – Paris : Les Belles Lettres (Diffusion) 1991, pp. 187-241 ; qui pp. 190-197, pp. 216-220. – Jaime Contreras Contreras : Limpieza de sangre, cambio social y manipulación de la memoria. In : Inquisición y conversos. Conferencias pronunciadas en el III curso de cultura hispano-judía y sefardí de la Universidad de Castilla la Mancha. Celebrado en Toledo del 6 al 9 de septiembre de 1993. Toledo : Museo Sefardí - Caja de Castilla la Mancha 1994, pp. 81-101 ; qui p. 88-91. – F. J. Aranda Pérez : Poder y poderes en la Ciudad de Toledo. Gobierno, sociedad y oligarquías urbanas en la Edad Moderna, p. 307, p. 314. – V. Parello : Les judéo-convers. Tolède XVe-XVIe siècles. De l’exclusión à l’intégration, pp. 113-114. 11   Diego de Colmenares definiva “perniciosos zánganos de las repúblicas” gli “arrendadores de las rentas reales”. Cfr. Diego de Colmenares : Historia de la Insigne Ciudad de Segovia y Compendio de las Historias de Castilla. Nueva edición anotada. II. Segovia : Academia de Historia y Arte de San Quirce 1981, p. 177. 12   J. Valdeón Baruque : Los conflictos sociales en el Reino de Castilla en los siglos XIV y XV, p. 178. 13   Sulla tendenza dei conversos a monopolizzare gli uffici servendosi dei loro legami di mutua solidarietà, cfr. Cfr. Albert A. Sicroff : Clandestine Judaism in the Hieronymite Monastery of Nuestra Señora de Guadalupe, pp. 123-125. – F. Márquez Villanueva : Conversos y cargos concejiles, pp. 503-540. 14   Intorno alla metà del XVI secolo le Dignidades (deán, arcipreste, arcediano, capiscol - chantre, maestrescuela, tesorero ; cioè decano, arciprete, arcidiacono, maestro del coro, maestro di teologia, tesoriere) della Cattedrale di Toledo potevano avere una rendita che superava gli ottomila ducati ; i canonici godevano di una rendita superiore ai mille ducati. Rendite che rendevano tali ‘dignità’ interessanti anche per i figli cadetti della grande aristocrazia. Silíceo, al quale dobbiamo questi dati sulle rendite, ricorda, per esempio, che un figlio del Duca di Nájera aveva la dignità di “Thesorero” nella Cattedrale di Toledo (Estatvto de la S.ta Iglesia de Toledo. Relacion de lo que pasó al hacer el Estatuto de Limpieza que tiene la Santa Iglesia de Toledo, fo. 85r-v). 15   Il cavaliere Don Pedro Venegas (o : Vanegas) de Córdoba, valoroso soldato, alcaide della città di Melilla e ambasciatore di Filippo II presso il Re di Fez, si oppose nel 1574 al progetto, che si trovava in uno stadio già molto avanzato, di istituire “la orden militar de Santa María de la Espada Blanca”, che sarebbe stata aperta esclusivamente, dopo rigoroso esame, a cristianos viejos limpios, instaurata, con carattere generale, in tutte le  























































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meccanismi dalla funzione precipua di tramutare “el plomo en oro” e di “ocultar la brutal movilidad que sufre el sistema”, 16 degenerati progressivamente in istrumenti di controllo sociale, 17 di pura discriminazione e di esclusione, usati soprattutto dagli appartenenti alle vecchie oligarchie municipali – delle quali facevano parte considerevole, già a partire dal XV secolo, famiglie e persone di discendenza conversa, 18 che non esitavano a servirsi dell’arma della purezza di sangue contro invisi parvenus, sia che questi fossero della loro stessa origine ebraica sia che fossero autentici cristianos viejos ! 19 – nella  





   

provincie della Spagna, governata, in piena autonomia dal potere regio, dall’Inquisitore Generale e dai “priores de las provincias” – avrebbe costituito cosí una specie di Stato nello Stato –, facendo presente al Re, a voce e per iscritto, che un tale progetto non si poteva realizzare “sin manifiestos peligros de sediciones y comunes y particulares alborotos” e che “tan nueva república general, escogida con calidades y condiciones tan singulares y rigurosas en tempo tan vidrioso, engendraría tantas más y mayores sediciones que los estatutos particulares, cuanto mayor fuerça y más perniciosa, traía un alboroto general de comunidades en un reino que un particolar cisma en una sola congregación de diferentes facciones”. E cosí proseguiva la sua argomentazione : “Convenía no dar lugar a que tal novedad se publicase, y a que se aficionasen voluntades noveleras a los establecimientos y regla de tan nueva orden o religión. Porque si el liquidar nuevamente en cualquiera ciudad diferencia de estados, decendencia de linajes y calidades de sangre, levantaba bandos civiles sobre el dar y tomar de las preeminencias, ¿que sería tomándolo en general tantas comunidades ? Demás del estallido que daría en España el levantar en aquella sazón estandarte general de nueva república de cristianos viejos limpios, que tan odioso estaba en estos reinos, pues con haber sido los estatutos particulares sin comparación menos escandalosos en su principio, fueron tan costosos de paz, conciencia, honras, haciendas, hasta ser recebidos y asentados como se hallaban, y en parte provechosos y de importancia en tempo que la nobleza se inficionaba con sangre sospechosa, o por las necesidades de los nobles, o astucia de los infectos mal opinados, y de temer en nuestra santa religión, por haber sido dellos los más de los heresiarcas y herejes deste siglo presente. Mas también se debía advertir había entre ellos sujetos de virtud y discreción cristiana y letras, dignos de premio notados por el caso, o culpa de sus progenitores, y con la nueva distinción se desesperarían. Era peligroso esto y peligrosísimo haber en España un Inquisidor general tan poderoso y señor de la nobleza […]. Mal consejo sería criar un poderoso en estos reinos con potencia superior a la de los maestrazgos pasados de las Órdenes Militares, inclusos en la Corona ya, y no por la riqueza, sino por quitar ocasión de bandos y disensiones ; porque el juntarse grandes estados y dignidades eclesiásticas en poderosos convenía evitar sempre.” Con queste ed altre ragioni Pedro Venegas de Córdoba riuscí, secondo la relazione che di questo interessante episodio fa Luis Cabrera de Córdoba, a convincere Filippo II, che “mandó recoger los papeles y puso perpetuo silenzio a los autores” (Luis Cabrera de Córdoba : Historia de Felipe II, Rey de España. II, pp. 684-685). 16   Enrique Soria Mesa : El cambio inmóvil. Transformaciones y permanencias en una élite de poder (Córdoba, SS. XVI-XIX), pp. 14-15. 17   A proposito delle informazioni sulla limpieza de sangre dei pretendenti ad una familiatura della Inquisizione, Jean-Pierre Dedieu scrive : “tout est prévu pour que son défaut [du candidat] puisse être remplacé par un excés de puissance sociale ou politique, en même temps qu’on élimine en douceur des prétendants certes limpios, mais peu satisfaisants sous d’autres rapports. La procédure même de l’information est l’instrument essentiel de la fermeture du corps des ministres de l’Inquisition. Et d’une fermeture fondée sur des critères qui ne sont pas fondamentalement ceux de la pureté de sang.” E ancora : “sa vérification [de la pureté de sang] a servi de prétexte à la mise en place d’une épreuve qui, plus que l’origine, testait toujours plus sévèrement la puissance sociale du candidat” (Limpieza, pouvoir et richesse, pp. 182-183, p. 187). Cfr. inoltre Jean-Pierre Dedieu : ¿Pecado original o pecado social ? Reflexiones en torno a la constitución y a la definición del grupo judeo-converso en Castilla. In : Manuscrits 10 (enero 1992), 61-76. – Enrique Soria Mesa : El cambio inmóvil. Transformaciones y permanencias en una élite de poder (Córdoba, SS. XVI-XIX), p. 134. 18   Cfr. F. Márquez Villanueva : Conversos y cargos concejiles en el siglo XV. – F. J. Aranda Pérez : Poder y poderes en la Ciudad de Toledo. Gobierno, sociedad y oligarquías urbanas en la Edad Moderna, pp. 254-264. Enrique Soria Mesa scrive a proposito di Córdoba, definita “la ciudad más aristocratizada de España en la Edad Moderna” : “En Córdoba, como correspondía a una ciudad de su tamaño, importancia política, desarrollo económico y posición geográfica, los judeoconversos tuvieron una presencia numérica muy destacada a partir de 1391. Y no sólo por el volumen poblacional [...], sino por el asalto que llevaron a cabo, en el siglo XV, sobre el poder y las instituciones locales. El municipio, la Iglesia, el mundo del comercio y la artesanía [in nota : “En especial, el rico gremio de plateros, infectado de conversos”], las profesiones liberales (médicos, escribanos, notarios, procuradores...), se vieron invadidos por individuos y clanes de tal procedencia” (El cambio inmóvil. Transformaciones y permanencias en una élite de poder, p. 15, p. 79). 19   Enrique Soria Mesa : El cambio inmóvil. Transformaciones y permanencias en una élite de poder (Córdoba, SS. XVI-XIX), pp. 13-15, pp. 75-84, pp. 127-158.  































gli estatutos de limpieza de sangre

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lotta politica per difendere il loro potere 20 e usati altresí dagli aspiranti a posti e prebende dei grandi Collegi Universitari per eliminare pericolosi concorrenti, 21 si levarono negli ultimi decenni del XVI e nei primi anni del XVII secolo sempre piú frequentemente numerose e autorevoli voci. Teologi – come il francescano Gaspar de Uceda, 22 che nel redarre il suo Tratado contra los Estatutos de Limpieza de Sangre (1586) tenne presente la Apología de los conversos (1557) del domenicano Fray Domingo de Valtanás (Baltanás), 23 come il Vescovo di Cartagena D. Esteban de Almeida, 24 come il geronimita Fray José de Sigüenza (Historia de la Orden de San Jerónimo. Madrid : Imprenta Real 1600-1605) 25 o come il domenicano Fray Agustín Salucio (Discurso sobre los estatutos de limpieza de sangre. 1599 26), le cui idee 27  

















20   Si veda – per esempio – il caso delle lotte, divampate nel sesto decennio del XVI secolo, fra fazioni e famiglie della élite sociale della città di Murcia illustrato magistralmente da Jaime Contreras (Sotos contra Riquelmes. Regidores, inquisidores y criptojudíos, pp. 123-186). 21   Cfr. E. Asensio : La España imaginada de Américo Castro, pp. 170-171. – J. M.a Monsalvo Anton : Teoría y evolución de un conflicto social. El antisemitismo en la Corona de Castilla en la Baja Edad Media, pp. 297-315. – F. J. Aranda Pérez : Caballeros de hábito y oligarquías urbanas, pp. 2080-2082. Sin dai primi decenni del XV secolo – prima quindi della famosa Sentencia-Estatuto di Toledo del 1449 – l’origine razziale era stata usata come pretesto dalle élites municipali per eliminare concorrenti pericolosi e assicurarsi il monopolio del potere. Uno di questi precoci tentativi di escludere, con leggi eccezionali, i convertiti dagli uffici pubblici, è documentato dalla supplica del 31 gennaio 1437 rivolta dai conversos della Corona d’Aragona al papa Eugenio IV. Cfr. Beltrán de Heredía : Las bulas de Nicolas V acerca de los conversos de Castilla, p. 389 e p. 401. – I. S. Révah : La controverse sur les Statuts de pureté de sang, p. 265 n. – H. Kamen : Una crisis de conciencia en la Edad de Oro en España : Inquisición contra “Limpieza de sangre”, p. 322. 22   Sull’autore del Tratado cfr. Elvira Pérez Ferreiro : El Tratado de Uceda contra los Estatutos de Limpieza de Sangre. Una reacción ante el establecimiento del Estatuto de Limpieza en la Orden Franciscana. Madrid : Aben Ezra Ediciones 2000, pp. 15-20. L’autentico titolo del Tratado, pervenutoci manoscritto (il ms. del XVI sec. è conservato nella Biblioteca de Santa Cruz di Valladolid) e riprodotto da Elvira Pérez Ferreiro alle pp. 65-153 del suo libro, è questo : Tratado donde se ponen algunas razones y fundamentos contra el Statuto que en la Congregación general de Toledo hizieron los frailes menores el año de mil y quinientos y ochenta y tres donde se ordenó que ningún desçendiente de judíos, sarrazenos o herejes (quovis remoto gradu trahat originem) sea reçibido a la Orden [1586]. Fray Gaspar de Uceda ritiene che gli Statuti siano ingiusti vuoi perché sono “contra expresas authuridades de la Sagrada Escritura”, “contra expresas determinaciones de la Santa Romana Eglesia” e “contra la opinión de muy graves doctores ansí antiguos como modernos”, vuoi perché sono “contrarios a la razón y a la ley natural”, “escandalosos”, “szismáticos” e “ocasión de grandes blasphemias” (p. 75, p. 81, p. 88, p. 95, p. 100, p. 103). 23   Fray Domingo de Valtanás, O. P. : Apología de los conversos (1557) ; pp. 151-158. In questo breve scritto, che in realtà è intitolato Apología cerca de los linajes, Valtanás, ispirandosi molto alla dottrina di San Paolo, che egli considera suo padre spirituale e tenta di imitare, chiedeva che i discendenti di ebrei che fossero “buenos cristianos” non venissero esclusi dagli “oficios públicos”, essendo tutti i cristiani, indipendentemente dallo loro origine, uguali davanti a Dio e fratelli. Rispondendo al rimprovero fatto ai conversos di essere “inquietos y amigos de ambición”, il padre domenicano, che menziona numerosi conversos fra le piú illustri personalità della Chiesa spagnola, scrive : “Si algunos de ellos se hallan ambiciosos e inquietos, mucho más son los que se precian de humildes y de caritativos, y amigos de obras de cristiandad. No es pequeño agravio el que se les hace, notándolos y excluyéndolos de los comercios y oficios de cristianos ; pues, por esta excepción, para siempre quedan infames” (p. 157). 24   Cfr. Jaime Contreras : Sotos contra Riquelmes. Regidores, inquisidores y criptojudíos, pp. 226-228. 25   Cfr. Historia de la Orden de San Jerónimo por Fr. José de Sigüenza. 2.ª edición. Publicada con un Elogio de Fr. José de Sigüenza por D. Juan Catalina García. Tomo II, p. 38. 26   Come ha dimostrato Israël Salvator Révah, il Discurso fu composto fra il 13 settembre 1598 e i primi mesi del 1599 ; la sua prima edizione fu stampata dopo il 4 maggio 1599 e prima del 23 dicembre 1599. Cfr. I. S. Révah : La controverse sur les Statuts de pureté de sang. Un document inédit : « Relacion y consulta del Cardenal Guevara sobre el negocio de Fray Agustin Saluzio » (Madrid, 13 Août 1600), p. 276. 27   Gli Statuti sono di detrimento alla religione, perché “con la perpetua infamia ponen a peligro la fe de los notados, y dificultan la conversion de los infieles, son ocasion de infinitos juramentos falsos, y de grande inquietud en las conciencias”, e alla pace, perché non può esserci pace “estando dividida la republica en dos vandos, en que se divide casi por medio, en una como guerra civil, con gran enojo y coraje de los unos, y con gran presuncion de los otros”. Impediscono di premiare i sudditi secondo i loro meriti personali e fanno si che “un  







































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riaffioreranno nel Memorial anonimo redatto fra il 1599 e il 1600 e presentato a Filippo III 28 e influenzeranno profondamente e durevolmente il dibattito 29 – e giuristi – come il,  



ombre baxo y desconocido sea preferido a un cauallero principal, por una raça antigua”. Ma impedendo che i sudditi vengano premiati secondo il loro “valor y virtud”, gli statuti distruggono sia il valore che la virtú, “porque los del un vando (que son los nobles y limpios) piensan que no an menester ser valerosos para ser onrados ; y a los del otro vando, se les caen las alas, viendo que no les a de prestar la virtud y valor para la onra”. Inoltre distruggono la reputazione del Regno (“los estatutos sirven de que los estrangeros comunmente nos llamen marranos”) e sono contrari sia alla giustizia e alla clemenza dei Principi, perché castigano per delitti commessi da lontani avi e perpetuano l’infamia dei loro sudditi, sia al diritto civile ed ecclesiastico (Discvrso, fo. 6r-8r). Salucio, che ritiene assurdo e iniquo “que el que tiene 15. rebisabuelos nobles y calificados, y uno solo de casta de moros, o judios, pierda por el uno, mas de lo que gana por los 15.” (fo. 30v), insiste sulla necessità che il merito personale sia premiato senza alcuna considerazione genealogica e che i gradi dell’onore corrispondano “a los grados del merescimiento”. Il domenicano ammonisce “que la onra que diere el Rey a quien le sirviere bien, no sea de menores quilates que la que eredaron de sus padres los que se precian de nobleza de sangre” e “que la nobleza que diere [su Magestad] a uno por sus meritos lo haga capaz de todas las onras de España”. I meritevoli nobilitati, pur essendo la loro ovviamente una “nobleza nueva”, devono poter aspirare “a dexar muy nobles a sus nietos”. Salucio propugna di nobilitare non solo coloro che si sono distinti nelle armi, ma anche quelli che si sono distinti “en las letras y govierno” (“Que si en llegando uno a ser Oydor de Consejo Real, dexasse nobles y calificados a sus descendientes, de manera que en llegando la informacion a este principio no tuviesse que passar adelante, que mejor traça para onrar y calificar mas estos oficios, y para que se pusiesse mayor cuydado en merecellos ?”). Fare in modo che “todos puedan ser capaces de las onras que merecieren”, costituirebbe il mezzo piú conveniente “para que infinita gente se aventaje a maravilla en el servicio de su Magestad, y en el bien de la republica”. Perpetuando “la infamia en los que descienden de tal o tal casta”, si perderebbe invece “el valor de muchos sin fruto” (fo. 34r-35r). Anticipando alcune delle idee di Olivares, che considerava gli Statuti un ostacolo alla modernizzazione dello Stato e alla mobilitazione di tutte le risorse e di tutte le energie della Spagna, Salucio si oppone ai meccanismi di esclusione e si batte per una società ‘aperta’, meritocratica, nella quale non esistano discriminazioni e terribili disuguaglianze, causa del risentimento e dell’avvilimento di molti sudditi. Come rimedio ai mali causati dagli Statuti, Salucio propone non la loro abolizione pura e semplice, proposta che non avrebbe avuto alcuna probabilità di essere accolta, ma, diplomaticamente, la limitazione delle prove genealogiche a cento anni (allora il limite cronologico da non oltrepassare nelle informazioni sarebbe stato cosí il 1498, o il 1499, posteriore quindi di alcuni anni all’espulsione degli ebrei e alla conversione di quegli ebrei che avevano preferito rimanere in Ispagna). Tutto quello che era avvenuto prima doveva essere, come per miracolo di Dio, dimenticato : “No està en mano de Dios hazer que se nos olvide lo que teniamos en la memoria ? Pues finjamos que una mañana por milagro amanescio toda España con un olvido general de las raças antiguas de aora cien años, las que tocan a gente onrada y segura : y que no fue possible de ay adelante acordarse de cosa que pudiesse infamar a los que ya son Cristianos de coraçon y seguros en la fe. Pregunto, este olvido seria en perjuyzio de España ? o en gran onra y beneficio della ? no quedarian luego todos Cristianos viejos de tiempo immemorial ? no cessarian todos los inconvenientes que avemos escrito ? no seria en pro de la religion, de la paz, seguridad y reputacion del Reyno ? no se verian los Principes libres de la quexa y sentimiento de terribles desigualdades y rigores ? no cessaria la ocasion del engaño y poco valor de los vassallos ? uviera de que recelarnos ? Estuvierale mal a la nobleza ? a las ordenes militares ? a los colegios, o a la autoridad del santo Oficio ? no es evidente que les estaria bien a toda suerte de estados ? y que todos ternian que dar infinitas gracias a Dios, por el milagro del comun beneficio ? Pues este milagro fingido, en mano del Rey està que sea verdadero : porque de la limitacion de los estatutos, se seguiria forçosamente dentro de pocos años otro semejante olvido, y el efeto seria el mismo que el del milagro del Cielo : y sirviendose el Rey nuestro señor de mandar, que se ponga ya en execucion, lo que à tanto que se trata y dessea, le deverà el Reyno las mismas gracias, que en el caso que imaginamos, se devieran a solo Dios por el milagroso beneficio” (fo. 47r-v). 28   Francisco Cantera Burgos : Memorial anónimo dirigido a Felipe III en pro de los conversos originarios del judaísmo. In : Boletín de la Real Academia de la Historia 167 (1970), 15-34 (il testo, latino, del Memorial è riprodotto alle pp. 22-34). 29   J. I. Gutiérrez Nieto (El reformismo social de Olivares : El problema de la limpieza de sangre y la creación de una nobleza de mérito, pp. 421-422) ritiene che alcune delle idee piú importanti del Discvrso di Salucio siano state anticipate in un importante discorso manoscritto sulla Limitación, y ampliación en los estatutos de limpieza, scritto nel 1595 da un toledano, certo Diego Sánchez de Vargas. Gutiérrez Nieto, che pensa che Diego Sánchez de Vargas possa essere uno pseudonimo, lamenta che questo discorso sulla limitazione degli Statuti sia rimasto sconosciuto agli studiosi del dibattito sugli Statuti. Effettivamente né A. A. Sicroff, né Eugenio Asensio lo ricordano. Però Antonio Domínguez Ortiz (Los conversos de origen judío, p. 318-319) parla di un Memorial, stampato sotto il nome di Diego Sánchez de Vargas, ma scritto forse dal gesuita Juan de Montemayor. E Israël Salvator Révah (Gil González de Ávila, pp. 508-509) ricorda un Diogo Sanches de Vargas, un converso portoghese, chiamato in Ispagna Diego Sánchez de Vargas, sotto il cui nome fu stampato, nel 1614 o nel 1615, un Memorial  













































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già ricordato, famoso Diego de Covarrubias y Leyva, Cattedratico di Diritto canonico dell’Università di Salamanca, Vescovo di Ciudad Rodrigo (successivamente di Segovia e, poco prima della morte, di Cuenca), Presidente del Consejo Real de Castilla e membro del Consejo de Estado, e come Diego Pérez de Salamanca (Commentaria in libros ordinationum Regni Castellae. Salmanticae, In aedibus Dominici a Portonariis. 1575, 3 tom.), Professore di Diritto dell’Università di Salamanca 30 – si opposero alla discriminazione dei convertiti e chiesero una limitazione e un ‘addolcimento’ degli Estatutos de limpieza de sangre. Uno scrittore politico come Baltasar Álamos de Barrientos (Discurso político al Rey Felipe III al comienzo de su reinado. 1598), pur non menzionando direttamente gli Statuti, ammoniva che l’esclusione da “oficios y honras” di persone meritevoli di ottenerli, è pericolosa per la pace e la tranquillità dello Stato, perché l’escluso “gusta de revolverlo todo”. 31 Miguel Sabuco, anche lui senza menzionare esplicitamente gli Statuti e i conversos, aveva coraggiosamente chiesto nel suo Coloquio de las cosas que mejoran este mundo y sus Repúblicas (1587) una legge che, permettendo a tutti i meritevoli indipendentemente dalla loro origine l’accesso agli onori, anche i piú alti, ponesse fine ad ogni discriminazione. 32 L’Inquisitore Generale (1573-1594) Gaspar de Quiroga, Cardinale-Arcivescovo di Toledo, membro del Consejo Real de Castilla (1563-1571) e del Consejo de Estado (1573-1594), aveva parlato, nel 1580, a favore della mitigazione degli Statuti nel Consejo Real, 33 corpo  







contro gli Statuti, che in realtà era stato scritto dal gesuita Juan de Montemayor su sollecitazione del Duca di Lerma e di suo zio, il cardinale Bernardo de Sandoval y Rojas, Arcivescovo di Toledo e Grande Inquisitore. Il Memorial di Diego Sánchez de Vargas è ricordato anche da Henry Kamen (Una crisis de conciencia, p. 335 n). Dopo J. I. Gutiérrez Nieto, del discorso di Diego Sánchez de Vargas sulla Limitación, y ampliación en los estatutos de limpieza si è occupato Francisco Marcos Burgos Esteban, che indica anche dove è conservato il manoscritto (Madrid, Archivo Histórico Nacional : Inquis. lg. 1240). Cfr. Francisco Marcos Burgos Esteban : Los Estatutos de limpieza y sus pruebas en el siglo XVII : la figura del converso en las denuncias y testimonios. In : Carlos Barros, editor : Xudeus e conversos na historia. Actas do Congreso Internacional, Ribadavia 14-17 de outubro de 1991. Tomo I. Santiago de Compostela : Deputación Ourense - La Editorial de la Historia 1994, pp. 359-381 ; qui pp. 362-363 e p. 377. Pare evidente che il ‘toledano’ Diego Sánchez de Vargas, di cui parlano Thomás Tamayo de Vargas e Nicolás Antonio, e il converso portoghese, che secondo I. S. Révah si era recato a Madrid verso il 1613 per sollecitare “la modération des statuts portugais”, siano la stessa persona. Sarebbe ora necessario confrontare il discurso sulla Limitación, y ampliación en los estatutos de limpieza e il Memorial ed accertare se, o in che misura, i due testi hanno lo stesso, o un simile, contenuto. Se Diego Sánchez de Vargas aveva scritto circa venti anni prima un discorso tanto importante sulla Limitación, y ampliación en los estatutos de limpieza, perché ricorse all’aiuto di Juan de Montemayor per perorare la causa dei conversos portoghesi ? Non avrebbe potuto consegnare al Duca di Lerma e al cardinale Bernardo de Rojas y Sandoval il suo discorso ? “Toletanus” è definito Diego Sánchez de Vargas da Nicolás Antonio (Bibliotheca Hispana Nova. Tomus Primus, p. 314). Nicolás Antonio trae la sua conoscenza dalla manoscritta Junta de Libros di Thomás Tamayo de Vargas, nella quale si legge : “DIEGO SANCHEZ DE VARGAS de Toledo Limitacion i ampliaciones de los estatutos de limpieza. M-s 4°”. Cfr. Iunta De Libros La maior que España ha visto en su lengua Hasta el año de M.DC.XXIV. Por Don Thomas Tamaio de Vargas Chronista de su Mag. I. Parte. Al Ex.mo Almirante de Castilla &c. (Madrid, Biblioteca Nacional : Ms. 9752-53), pp. 144-145. La Iunta de Libros è ora facilmente accessibile in questa bellissima edizione : Tomás Tamayo de Vargas : Junta de libros. Edición crítica de Belén Álvarez García (= Biblioteca Áurea Hispánica, 50). Madrid : Iberoamericana - Vervuert 2007 (qui l’annotazione su Diego Sánchez de Vargas si trova a pag. 299). 30   Antonius : Bibliotheca Hispana Nova I, p. 307. – Lorenzo Ruiz Fidalgo : La imprenta en Salamanca II, pp. 786-788 (nro. 890). – H. Kamen : Una crisis de conciencia en la Edad de Oro en España : Inquisición contra “Limpieza de sangre”, p. 335-336. 31   Baltasar Álamos de Barrientos : Discurso político al Rey Felipe III al comienzo de su reinado, pp. 108-109. 32   Miguel Sabuco : Coloquio de las cosas que mejoran este mundo y sus Repúblicas (1587), p. 376 (“Debian los reyes cristianos y el Papa hacer una ley que contenga esta sentencia : Honos in manibus tuis ; la honra esté en tus manos, y no en las ajenas, con la cual se abra la puerta de la honra para todo el mundo, para que en la guerra y actos virtuosos los bajos tengan esperanza y puedan subir á la cumbre de la honra, y la bajeza del linaje y vicios y pecados ajenos no les impidan ni cierren la puerta”). 33   Cfr. E. Asensio : La España imaginada de Américo Castro, pp. 162-163. Il Cardinale Gaspar de Quiroga, Arcivescovo di Toledo, definiva “terribles” e “intolerables” le disposizioni degli Ordini Militari sulla limpieza  













































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consultivo molto incline a chiedere al Re la loro riforma. 34 Il celebre giurista Rodrigo Vázquez de Arce, prima Presidente del Consejo de Hacienda (1584-1592), poi Presidente del Consejo Real de Castilla (1592-1599), 35 e Don Juan de Zúñiga Avellaneda y Cárdenas, Conte di Miranda e Duca di Peñaranda, Viceré di Napoli (1586-1595), Presidente del Consejo de Italia (1596-1600) e Presidente del Consejo Real de Castilla (1599-1608), uno degli uomini “más poderosos de la Monarquía” di Filippo III, 36 erano fautori di una modifica degli Statuti, 37 cosí come lo era il Condestable di Castiglia, D. Juan Fernández de Velasco, Duca di Frías. 38 Lo stesso Filippo II aveva pensato negli ultimi anni del suo regno ad una riforma degli Statuti e nel 1598 aveva formato a questo fine una Junta “para estudiar los medios para moderar los estatutos de limpieza de sangre”. 39 Il lavoro della Junta, la cui presidenza era stata affidata all’Inquisitore Generale Don Pedro Portocarrero, fu però interrotto dopo pochi mesi dalla morte del Re Prudente. 40 L’Inquisitore Generale (1596-1599) Don Pedro Portocarrero, figlio dei Marchesi di Villanueva del Fresno, Vescovo di Calahorra e successivamente di Córdoba e di Cuenca, Rettore dell’Università di Salamanca negli anni 1556 e 1566, membro del Consejo Real de Castilla (1579-1589) e piú tardi del Consejo de Estado (1599-1600), propugnava una riforma degli Statuti 41 (il che non sorprende, perché Don Pedro Portocarrero, al quale Fray Luis  















de sangre dei candidati agli hábitos e “malo” lo Statuto della Cattedrale di Toledo. Cfr. Francisco Fernández Izquierdo : La Orden Militar de Calatrava en el siglo XVI. Infrastructura institucional. Sociología y prosopografía de sus caballeros, pp. 217-218. Molti anni prima Gaspar de Quiroga era stato sostenitore degli Statuti, o almeno proprio di quello della Cattedrale di Toledo ! Nominato – nel 1554, come successore di Diego Deza – Auditor del Sacro Tribunal de la Rota, Gaspar de Quiroga era giunto a Roma nel giugno del 1555 e una delle sue prime preoccupazioni era stata quella di ottenere da Paolo IV la conferma dello Statuto del cardinale Juan Martínez Silíceo. Fu tanto abile nelle trattattive da conseguire rapidamente la desiderata conferma con bolla papale del 28 febbraio 1556. Cfr. Henar Pizarro Llorente : Un gran patrón en la Corte de Felipe II. Don Gaspar de Quiroga (= Publicaciones de la Universidad Pontificia Comillas. Madrid. Serie 1 : Estudios, 91). Madrid : Universidad Pontificia Comillas 2004, pp. 97-104. A. A. Sicroff (Les controverses p. 137, nota nro. 179) e, paradossalmente, lo stesso Henar Pizarro Llorente indicano come data della bolla papale il 28 febbraio 1555. Ma Paolo IV era diventato Papa nel giugno del 1555 e Gaspar de Quiroga era giunto a Roma il 12 giugno 1555 ! 34   Il Grande Inquisitore Fernando Niño de Guevara, che era allora membro del Consejo Real, scrive a Filippo III a proposito della discussione sugli Estatutos de limpieza de sangre : “estando yo en el Consejo el año de ochenta, vi esta platica muj adelante y muj resuelto el Consejo de suplicar al Rey nuestro señor, que esta en el cielo, lo mandasse veer y proueer, alegandose para ellos muchas y muy vrgentes razones y fundamentos”. Cfr. Relaçión, y Consulta del Cardenal Geuara sobre el neg°. de fray Augn. Saluzio. In : I. S. Révah : La controverse sur les Statuts de pureté de sang, pp. 301-306. 35   Cfr. José Martínez Millán – Carlos J. De Carlos Morales (Directores) : Felipe II (1527-1598). La configuración de la Monarquía Hispana, pp. 498-500. 36   José Martínez Millán – Carlos J. De Carlos Morales (Directores) : Felipe II (1527-1598). La configuración de la Monarquía Hispana, pp. 521-522. 37   H. Kamen : Una crisis de conciencia en la Edad de Oro en España : Inquisición contra “Limpieza de sangre”, p. 344. 38   « Discurso que hizo Juan Fernández de Velasco, condestable de Castilla, contra el primer punto del libro de fray Agustín Salucio sobre la limitación de los estatutos » (Madrid, Archivo Histórico Nacional : Órdenes Militares, libro 1.320 C. fol. 1-4). Cfr. Antonio Domínguez Ortiz : La clase social de los conversos en Castilla en la Edad Moderna. (= Monografías Histórico-Sociales, Vol. III). Madrid : C. S. I. C. 1955 (ed. facs. nella Colección Archivum – Granada : Universidad de Granada 1991), p. 226. D. Juan Fernández de Velasco non era contro, come può apparire dal titolo del Discurso, ma fondamentalmente favorevole alla riforma e limitazione degli Statuti proposta da Agustín Salucio, che egli loda come “persona de conocido caudal en estos reynos”. 39   José Martínez Millán – Carlos J. De Carlos Morales (Directores) : Felipe II (1527-1598). La configuración de la Monarquía Hispana, p. 463. 40   Cfr. Fray Augustin Salucio : Discvrso acerca de la justicia y buen govierno de España, en los estatutos de limpieza de sangre : y si conviene, o no, alguna limitacion en ellos, fo. 19v-20r. – H. Kamen : Una crisis de conciencia en la Edad de Oro en España : Inquisición contra “Limpieza de sangre”, p. 334. – H. Kamen : Felipe de España, p. 329. 41   Cfr. Fray Augustin Salucio : Discvrso acerca de la justicia y buen govierno de España, en los estatutos de  



















































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de León aveva dedicato i suoi Poemas 42 e Los nombres de Cristo 43 – opera che é permeata di spiritualità paolina e della dottrina del corpo mistico 44 e che contiene un duro attacco agli Estatutos de limpieza 45 –, “tenía raça” 46). Come un forte ostacolo alla selezione ed alla ascesa sociale dei migliori, alla affermazione del merito, e quindi come una delle cause della decadenza dei grandi Collegi e di altre istituzioni, di cui si erano impadronite persone mediocri solo per essere ritenute cristianos viejos, 47 e della distruzione degli Imperi, 48 venivano giudicati gli Statuti in una memoria consegnata, a nome del “Reyno de Castilla”, ad uno dei membri della Junta incaricata di esaminare il libro di Salucio. 49  















limpieza de sangre : y si conviene, o no, alguna limitacion en ellos, fo. 20r. – I. S. Révah : La controverse sur les Statuts de pureté de sang, p. 285. 42   Cfr. Fray Luis de León : Poesías completas. Obras propias en castellano y latín y traducciones e imitaciones latinas, griegas, bíblico-hebreas y romances. Edición de Cristóbal Cuevas. Madrid : Editorial Castalia (= Nueva Biblioteca de Erudición y Crítica, 14) 1998, pp. 81-84, pp. 93-96, pp. 146-149, pp. 178-182. 43   Fray Luis de León : De los nombres de Cristo. Edición, introducción y notas de Federico de Onís (= Clásicos Castellanos, 28, 33, 41). Madrid : Espasa-Calpe 1966-1969, 3 voll. ; qui vol. I, pp. 3-17. 44   Fray Luis de León : De los nombres de Cristo I, pp. 43-44, pp. 72-73, pp. 192-197, pp. 217-220. 45   Fray Luis de León loda i regni “adonde ningún vasallo es ni vil en linage ni affrentado por condición, ni menos bien nascido el uno que el otro”, e critica severamente i re che invece di “hazer a sus vassallos bienaventurados”, li fanno “apocados y viles”. Cosí facendo però i re “se hacen daño y se apocan”. Il grande poeta spiega perché l’infamare i propri sudditi danneggia gli stessi re : “Porque, si son cabeças, ¿qué honra es ser cabeça de un cuerpo disforme y vil ? Y si son pastores, ¿qué les vale un ganado roñoso ? [...] Y no sólo dañan a su honra propria quando buscan invenciones para manchar la de los que son governados por ellos, mas dañan mucho sus interesses, y ponen en manifiesto peligro la paz y la conservación de sus reynos. Porque, assí como dos cosas que son contrarias, aunque se junten, no se pueden mezclar, assí no es possible que se añude con paz el reyno cuyas partes están tan oppuestas entre sí y tan differenciadas, unas con mucha honra y otras con señalada affrenta” (Fray Luis de León : De los nombres de Cristo II, pp. 112-114). 46   E. Asensio : La España imaginada de Américo Castro, p. 163. 47   “[...] por el rigor de aquestas Informaciones [las probanzas de la limpieza], pierde la Rep.ca grandes sugetos, que teniendo talento para ser grandes Theologos, y Juristas, no se atreven a seguir estos caminos, sabiendo que despues no han de ser admitidos à nada de honrra ; y assi vemos, que han venido en general los Collegios, y por consig.te muchas Prelacias, à poder de Personas, que por ser tan humildes, que no las conoce nadie como dice Salucio, fueron Christianos viejos, y por serlo se lleuaron los Collegios, e, Inqnes, e, Iglas, quedando menospreciados los Hombres eminentes en letras y virtud, a la qual con esto se ha cerrado el camino, que es vno de los mayores daños, que puede hauer en vna Republica.” Cfr. Papel que dio el Reyno de Castilla, a vno delos s.res Ministros dela Junta, diputada para tratarse sobre el Memo.[rial] presentado por el Reyno a S. M. con el Libro del P.e Mstro Salucio, en punto a las Probanzas dela Limpieza y Nobleza del refe[rido] y demas Reynos [1599] (Madrid, Biblioteca Nacional : Ms. 13.043, fo. 116r-127v ; qui fo. 119r). In questo Papel si postula – in maniera del tutto astratta e, crediamo, paradossale e polemica, ché non solo la realtà effettuale era ben diversa, ma anche la teoria non conosceva questa classificazione – due generi di nobiltà : “en España, ay dos generos de Noblezas. Vna mayor, que es la Hidalguia, y otra menor, que es la Limpieza, que llamamos Christianos viejos. Y aunque la primera dela Hidalguia, es mas honrrado de tenerla ; pero muy mas àfrentoso es, faltar la segunda : porque en España, mas estimamos a vn Hombre Pechero, y limpio, que a un Hidalgo, que no es limpio” (fo. 117v). Si ironizza, inoltre, sulla limpieza : “es en efecto vna cossa, que en España se juzga methaphisicamte : Porque el Christiano viejo, no contiene fundam.to fixo como la Hidalguia, sino sola reputacion, y opinion commun, de que todos me tienen por Christiano viejo. Y por el contrario, si diez, o, doze dicen, que no me tienen por Christiano viejo, aunque mill, ni dos mill digan lo contrario, no soy Christiano viejo” (fo. 118r). 48   “[...] indigna cossa parece tener tan cerrada la puerta a que de el camino [...] de la virtud, que fue la Madre de donde nacio la Nobleza, [...] pueda passar vn virtuoso a ser Noble ; y esto es vno delos caminos por donde se destruyen los Imperios, los quales nunca crecen, en quanto no se dan las manos a la virtud” (Papel que dio el Reyno de Castilla, fo. 119v). L’esclusione dei discendenti degli ebrei dalla carriera degli onori, un “Cancer comiendo lo mas de la Repca”, è pericolosa perché grande è il loro numero e perché la loro è “afrenta infinita”, “afrenta sin esperanza de fin, ni de remedio”. Ma l’esclusione perpetua genera disperazione e scontentezza ed è quindi causa di instabilità dello Stato, perché “el Pueblo descontento, y afrentado, es muy facil a novedades en qualquiera ocasion, aun que sea con poco fundamento” (fo. 120v-121v). Per quanto riguarda il rimedio ai mali causati dagli Statuti, gli autori del Papel que dio el Reyno de Castilla propongono, seguendo Salucio, la limitazione temporale delle informazioni genealogiche (fo. 121r-127r). 49   Non si sa precisamente quali siano gli autori di questo Papel. A giudicare dal titolo “parece tratarse de  











































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Intorno al 1600 erano favorevoli alla riforma degli Statuti rappresentanti della piú alta gerarchia ecclesiastica – il Cardinale Don Fernando Niño de Guevara, 50 Inquisitore Generale (1599-1600) e, successivamente, Arcivescovo di Siviglia (1600-1609), nato a Toledo come figlio di D. Rodrigo Niño (cavaliere di Santiago) e di D. Teresa de Guevara, della casa dei Marchesi di Tejares ; 51 l’Arcivescovo di Toledo, cardinale Don Bernardo de Sandoval y Rojas, zio del Duca di Lerma ; l’Arcivescovo di Valencia, D. Juan de Ribera ; 52 il Vescovo di Pamplona, D. Antonio Zapata –, rappresentanti della piú alta nobiltà – il Duca di Medina Sidonia, il già ricordato D. Juan Fernández de Velasco, Duca di Frías e Condestable di Castilla, e il Duca di Lerma 53 – e lo stesso Filippo III. 54 Verso il 1613 il cardinale D. Bernardo de Sandoval y Rojas, Chanciller Mayor de Castilla, Arcivescovo di Toledo, Primate di Spagna (1599-1618) e Grande Inquisitore (1608-1618), e il Duca di Lerma chiederanno al gesuita Juan de Montemayor di scrivere un “memorial copiosso” a favore di una riforma degli Statuti. 55 Anche le Cortes, che già nel corso del XVI secolo, in piú occasioni, avevano chiesto la modificazione degli Estatutos, dedicarono nel gennaio del 1600 quattro sessioni alla discussione del problema della limpieza e infine votarono, nella sessione dell’8 febbraio, a favore di una richiesta della loro riforma. 56 Piú tardi saranno regidores, come Don Juan de Figueroa Gaytan 57 e Don Jerónimo de Ceballos, 58 entrambi della città di Toledo, e procuratori delle Cortes, come Don Gabriel Cimbrón, cavaliere dell’Ordine di Santiago e procuratore della città di Ávila nelle Cortes  

   



   













un Memorial enviado por las Cortes de 1600 a Felipe III”, scrive Antonio Domínguez Ortiz (La clase social de los conversos en Castilla en la Edad Moderna. Granada 1991, p. 229), che però considera “apócrifo” lo scritto. Albert A. Sicroff (Les controverses des Statuts de « Pureté de sang », p. 210, nota n. 107) ritiene invece autentica la memoria, pur dichiarando di non aver potuto stabilire “l’identité des pétitionnaires qui se sont arrogé le droit de parler au nom du « Reyno de Castilla »”. 50   Scriveva Fray Agustín Salucio, a proposito del suo Discurso, al padre domenicano Fray Diego Calahorrano : “queriendo Su Majestad que el cardenal de Guevara, como Inquisidor General, lo informase, lo hizo de manera que espero en Dios que nos ha de cumplir nuestro deseo, porque, como celoso del bien propio y como prudente, juntó muchas razones para persuadir a Su Majestad a que ponga en ejecución lo que aconseja el Discurso.” Cfr. la lettera « Al padre Maestro fray Diego Calahorrano, Provincial de la Andalucía, de la Orden de S. D., el P. fr. A. Salucio » (Madrid, Biblioteca Nacional, Ms. 17.909/5), riprodotta in : Alvaro Huerga O. P. : « Estudio preliminar » a : Fray Augustín Salucio : Avisos para los predicadores del Santo Evangelio. Estudio preliminar, edición y apéndices por Alvaro Huerga O. P. (= Espirituales Españoles. Serie A : Textos. Tomo II). Barcelona : Juan Flors 1959, pp. 1-123 ; qui pp. 23-25. 51   Cfr. I. S. Révah : La controverse sur les Statuts de pureté de sang, pp. 281-285 – José Martínez Millán – Carlos J. De Carlos Morales (Directores) : Felipe II (1527-1598). La configuración de la Monarquía Hispana, p. 441. 52   D. Juan de Ribera scrisse a Fray Agustín Salucio di aver letto il suo Discurso “con la devoción y estimación que tengo a todas las obras y palabras de V. P. y me parece que es santísimo y lleno de prudencia cristiana”. Cfr. Alvaro Huerga O. P. : « Estudio preliminar » a : Fray Augustín Salucio : Avisos para los predicadores del Santo Evangelio, p. 23. 53   Cfr. Alvaro Huerga O. P. : « Estudio preliminar » a : Fray Augustín Salucio : Avisos para los predicadores del Santo Evangelio, p. 23. Nella lettera or ora ricordata al Padre provinciale dei domenicani della Andalusia, Fray Diego Calahorrano, Fray Augustín Salucio scriveva : “[He] entendido con certitumbre que el Duque de Lerma afirmó al padre confesor que había leído dos veces todo el Discurso y que nunca había visto cosa que tanto contentamiento le diese” (Alvaro Huerga O. P. : « Estudio preliminar » p. 23). 54   Cfr. I. S. Révah : La controverse sur les Statuts de pureté de sang, pp. 269-270, p. 277, pp. 297-298. 55   Su questo Memorial e le circostanze nelle quali fu redatto e stampato (nel 1614 o nel 1615), cfr. I. S. Révah : Gil González de Ávila et les Statuts de pureté de sang, pp. 508-510. 56   Cfr. A. Dóminguez Ortiz : La clase social de los conversos en Castilla en la Edad Moderna. Ed. facs. Granada 1991, pp. 94-96. – H. Kamen : Una crisis de conciencia en la Edad de Oro en España : Inquisición contra “Limpieza de sangre”, p. 339-340. 57   Cfr. I. S. Révah : Gil González de Ávila et les Statuts de pureté de sang, p. 508. 58   Cfr. A. Dóminguez Ortiz : La clase social de los conversos en Castilla en la Edad Moderna. Ed. facs. Granada 1991, pp. 245-247. – Francisco J. Aranda Pérez : Jerónimo de Ceballos : un hombre grave para la República. Vida y obra de un hidalgo del saber en la España del Siglo de Oro. Prólogo de Richard L. Kagan. Córdoba : Universidad de Córdoba 2001, pp. 249-254.  



















































































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del 1618, 59 e Don Juan de Collado, 60 a chiedere la riforma degli Statuti. Un Inquisitore 61 – si tratta di Don Juan Roco Campofrío (1566-1635), Inquisitore di Córdoba e Valladolid e  





59   J. H. Elliott : El Conde-Duque de Olivares. El político en una época de decadencia. Barcelona : Editorial Crítica 1991, p. 134. – Juan Francisco Baltar Rodríguez : Las Juntas de Gobierno en la Monarquía Hispánica, p. 181. 60   Cfr. I. S. Révah : Gil González de Ávila et les Statuts de pureté de sang, p. 510. – A. Dóminguez Ortiz : La clase social de los conversos en Castilla en la Edad Moderna. Ed. facs. Granada 1991, pp. 97-100. 61   Discurso de vn Inquisidor, hecho en tiempo de Phelipe 4.° Sobre los Estatutos de Limpieza de Sangre de España, y si conviene al servicio de Dios, del Rey, y Reyno moderarlos (Madrid, Biblioteca Nacional : Ms. 13.043, fol. 132r-171v). [Altre copie : Discurso de D. Juan Roco Campofrío, Presidente que fue del Consejo de Hacienda, sobre los Estatutos de Limpieza de España (Madrid, Biblioteca Nacional : Ms. 10.198). – Discurso sobre los Estatutos de la limpieza de sangre de España ; y si conuiene al seru.o de Dios, del Rey, y Reyno moderarlos (Madrid, Biblioteca Nacional : Ms. 1.013, fo. 214r-251v).] Gil González de Ávila, che era un gran conoscitore della letteratura sugli Estatutos e conosceva molto bene D. Juan Roco Campofrío, gli attribuisce il Discurso, composto probabilmente, secondo I. S. Révah, nel 1618. Cfr. I. S. Révah : Gil González de Ávila et les Statuts de pureté de sang, pp. 510-511. Il Discurso de vn Inquisidor inizia cosí : “Muchas desventuras, daños, pecados, è inconvenientes [...] vienen del modo de hacer, y juzgar las Informaciones de las Comunidades de la limpieza de Estatutos, que ha sido la piedra de escandalo en estes Reynos de España, como la experiencia lo hà mostrado, y cada dia se practica. Y assi parece, que quanto fuè acertado, santo, y justo hacerlos en los años pasados, lo serà tambien el poner remedio, como se eviten los travajos presentes, y por venir, que de ellos resultan, dando algun punto fijo à la Nobleza, y limpieza, con caminos, y reglas como se hayan de conservar en ella los hombres : y que actos positivos hàn de bastar, para asegurarse de calumnias de invidiosos, y Testigos sospechosos, por que segun el estado presente, no hai ninguno por Noble, y calificado que sea, que estè seguro de serlo, con este modo de practica de ellos” (fo. 132r). D. Juan Roco Campofrío argomenta molto modernamente quando allega come prima delle ragioni per la moderazione degli Statuti, la seguente : “La razon que hay, para que los estatutos se moderen es, para que los Officios, y Dignidades no sean dadas por razon del Linage, y buena sangre, sino por buenas partes, y virtudes propias ; y hacer lo contrario es Vicio de excepcion de Personas...” (fo. 136v). D. Juan Roco Campofrío fa quindi notare quanto sia assurdo che si richieda il requisito della purezza di sangue per dignità minori, mentre alle maggiori possono accedere persone di ogni genere : “La segunda razon, y fundamento, por que los Estatutos se deben moderar, se origina de esta primera ; porque parece ageno de toda razon, que no haviendo Estatutos para las Dignidades, y oficios mayores, como son la del Emperador, Rey, y Principes[,] Duques, Marqueses, Condes, Governadores, Corregidores, Papas, Cardenales, Arzobispos, Obispos, Curas, Confesores, à que han sido siempre, y son admitidos de todo Genero de Personas, sin impedirselo qualquiera raza, los haya para las cosas menores, y no se fie vna canongia, de quien se tiene confianza, que puede governar fielmente vn Arzobispado, y vn Mundo : Y se tenga por incapaz para vna beca, ò familiatura, el que à satisfaccion ha governado Ciudades[,] provincias, y Reynos”. E continua quindi evidenziando questa distinzione fondamentale fra nobiltà e purezza di sangue : “Añado : que siendo Cosa cierta, que Nuestra España tien en mayor estimacion, la Nobleza, è, Hidalguia, que no la limpieza, (porque àquella es Nobleza positiba, que da Honrra, y lugar a la Persona y la Limpieza no es Nobleza, sino privacion de Ygnomia, de que gozan los mas humildes, y bajos) venimos a preferir con estos Estatutos al infimo, y hez de la tierra (por no ser sus Abuelos conocidos) al Grande, y al señor conocido, y al Noble, y Cavallero, que el, y sus pasados virtieron su sangre en defensa de la fee ; y si para calificar, à vno por Noble, è, Hidalgo, y cavallero no le impide qualquiera Raza, que le toque por Hembra[,] como la Baronia sea Noble ; no parece justo, ni razonable, que se guarde mas rigor en dar lo que es menos. De mas que el hacer Hydalgo al pechero resulta perjuicio al Principe, y a su Patrimonio Real, y se agrabian las Republicas pequeñas ; porque la sentencia de Hydalguia le libro de Tributos, y otras cargas, que fueran en vtil del Rey, y Veneficio del Reyno, pero en declarar à vno limpio, no le dan Nobleza, ni le exoneran de Tributo ; y asi parece que seria Grande equidad, que no hubiese mas rigor para lo vno, que para lo otro” (fo. 142r-143r). Fonte di ingiustizie e calunnie, causa di discordie civili e della formazione di fazioni, gli Statuti generano inoltre povertà, pregiudicano la Fede, rendono “infelices los Notados” e li scoraggiano – “desesperando conseguir los Premios” – dall’impegnarsi negli studi o nelle armi, con danno del Re e dello Stato, o li spingono ad emigrare e a mettersi al servizio di potenze straniere e nemiche (148v-149r). Infine D. Juan Roco Campofrío, che sempre insiste come la colpa sia solo individuale e non si possa pertanto punire nessuno per le colpe degli ascendenti, osserva che gli Statuti impoveriscono economicamente (e demograficamente) i Regni spagnoli e il patrimonio reale, “siendo ocasion, que muchos Naturales, con alguna tacha, Hombres de negocios, y Mercaderes grandes, se van à otros Reynos à contratar con sus familias, y solicitan à sus Deudos, y Amigos, à que hagan lo mesmo, con que se acorta la negociacion y la Gente, y se disminuyen los tributos de estos Reynos” (fo. 150r). Verso la fine del suo Discurso (fo. 166r-168v), D. Juan Roco Campofrío espone le sue concrete proposte di riforma degli Statuti. Molte di esse saranno accolte dalla Junta de Reformación e convertite in legge con la Pragmática del 10 febbraio 1623.  















































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capitolo v

membro del Consiglio Supremo del Santo Ufficio, successivamente Vescovo (Zamora, Badajoz, Coria) e Presidente del Consejo de Hacienda 62 – e la Junta de Reformación, istituita alla fine del regno di Filippo III, 63 consiglieranno a Filippo IV una riforma degli Statuti. 64 Il Re accoglierà le proposte formulate dall’Inquisitore e dalla Junta e le notificherà alle città con voto nelle Cortes con la lettera del 28 ottobre 1622. In questa lettera erano già contenuti i principi basilari 65 della famosa Pragmática dei “tres actos positivos” emanata  







62   Cfr. – oltre al saggio sopra citato di I. S. Révah – A. A. Sicroff : Les controverses des Statuts de « pureté de sang » en Espagne du XVe au XVIIe siècle, p. 212 n. – Henry Kamen : Die spanische Inquisition. München : Heyne Verlag 1980, p. 138 (piú tardi Henry Kamen – La inquisición española. Barcelona 1985, p. 176 – riterrà, probabilmente dopo aver letto il saggio di Révah, sicura la paternità di Juan Roco Campofrío). 63   Già nel 1614 Luis Cabrera de Córdoba aveva annotato nella sua cronaca : “Anda plática de reformar los estatutos de las iglesias y órdenes militares para lo que toca á la limpieza y nobleza de linages, de manera que de aquí adelante haya menos rigor que hasta aquí en las informaciones que se hicieren para los que entraren en prebendas de iglesias catedrales, que tienen estatutos y en proveer de hábitos á caballeros, con que se proveerán mas que hasta aquí, que estan detenidos en Consejo de Ordenes” (Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 561). 64   Una riforma degli Statuti fu consigliata anche nel discorso anonimo, diretto a Filippo IV nel 1621, intitolato : Discurso sobre la nobleza de Espana. – En que se trata del Reparo de algunos abuzos que contra ella se han introdusido, y como se podran Remediar[,] adquirir, y Conservar su antigua nobleza con el Resplandor y estimacion que siempre ha tenido tan superior a la de otros Reynos y Provincias (Madrid, Biblioteca Nacional : Ms. 3272, fo. 1r-61v). L’anonimo autore del Discurso, che si richiama frequentemente alle Lettere di San Paolo, chiede che gli uffici pubblici siano accessibili ai conversos, che le “informaciones (de limpieza)” siano “publicas” (“que las prouancas se agan secretas ... es invencion, que el diablo allo ... para que las personas maldicientes, y roedoras, y Robadoras de las honras agenas puedan hazer vn daño irreparable vaziando su ponzoña a su salvo”) e che l’indagine genealogica non vada oltre la quarta generazione (fo. 58r, fo. 60v). 65   “Y porque en las ocasiones de calificarse la limpieça y nobleça para habitos, collegios, ynquisiçiones o iglesias, se ha hecho mucho lugar la maliçia y el odio, trocando los santos institutos de los estatutos y los buenos efectos que dellos se experimentaron mientras se vsaron con buena fee, de que resulta grauamen considerable al Reyno, porque los interesados pierden las vidas y las honrras, y las haziendas, y muchas veces sin culpa suya y de los tribunales, pero con muy grande de los mal intinçionados, que con venganza y respeto particular le hazen el daño ; y muchos , se animan a esta maldad, fiados en que no se a de saver por tratarse esras materias tan secretamente y en juiçio yrregular y extraordinario en que la parte no tiene notiçia de lo actuado, ni se le da lugar a la defensa y si se saue quién es el autor, se engendran enquentros y parçialidades muy enconadas en los lugares, con que se destruien y asuelan, ha pareçido sumamente neçesario acudir juntamente a que lo primordial y sustançial de los estatutos se conserue y prevenir lo que la maliçia a estragado y daños grandes que dello se an sentido. Y asi se dispone que en ningun caso se admitan, ni hagan fee memoriales sin firma, siendo generales y sin dar razon particular, aunque çiten y señalen testigos de lo que en ello se dijere, aunque alegen fama publica, y solo se puedan admitir en orden a inquerir quando señalaren y espeçificaren algún san benito, penitencia, con expresion espeçificada y particular de la persona cuyo es el san benito, de la iglesia o parte donde está, el parentesco que tiene con el pretendiente, y en qué grado, o del año en que fué la penitençia. [...] Que las palabras que se huuieren dicho en pendencia y extrajudicialmente en corrillos o en conbersazion por ningun caso obsten, ni causen impedimento para la nobleça y limpieça, quanto quiera que se ayan dibulgado y llegado a notiçia de muchos [...]. Que pues en todas materias ay fines convenientes, que la aya y que pasen en cosa juzgada y se induzga con esto pressumpçion de verdad y se cause vn derecho Real que aproueche a los descendientes como en las idalguias, es justo que lo aya en ésta, como en más sujeta a malicia. Y asi se dispone que tres actos positibos hagan cossa juzgada, asi en la limpieça como en la nobleça, cada una en su caso, como sean de colegios mayores, los quatro de Salamanca, uno de Valladolid, y otro de Alcala, Ynquisiçion, en que entran tambien las familiaturas, Consejos de Hordenes, y la santa iglesia de Toledo, y que aprobechen, ora todas tres sean en vn mismo tribunal o comunidad, o diferentes ; de manera que en el quarto, o quartos donde huviere los dichos tres actos, estará executoriada la limpieça y nobleça y los descendientes de aquellos tendran derecho adquirido para la calificaçion. Y porque muchas personas, con mas maliçia que temor de Dios, y mas por curiosidad encaminada a ser temidos que no por conveniençia ni otro buen effeçto, conserban en su poder libros que llaman del beçerro, o verdes y catalogos y registros de linages y familias, fabricados sin mas autoridad ni fundamento que el que les offreçio su curiosidad y ynclinaçion natural a estas materias, de que han resultado yreparables e injustos daños, pues solo con ver o aver visto en estos libros y registros algunos nombres o familias se califican por infamadas, y el deponer vn testigo que las ha visto en ellos, o hauerlo oydo decir, basta para tropiezo y reparo, siendo assi que ni se sabe la substançia de su origen ni la causa y razon : se ordena que ninguna persona de qualquier estado, o calidad, o condiçion que sea, pueda tener en su casa y poder ninguno destos libros, catalogos y registros, ni otro papel que trate de familia, sino es de la propia suya, y que quemen  





















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il 10 febbraio 1623 da Filippo IV, con la quale il Re dichiarava privi di valore le denunce anonime, le ‘voci’, le mormorazioni e i ‘si dice’ sulla (mancanza di) limpieza delle persone e ordinava la distruzione dei libros verdes. 66 L’ostilità, sempre ostentata, del Conte-Duca Olivares agli Estatutos e la sua politica di apertura verso i grandi finanzieri e banchieri portoghesi conversos sono ben note. 67 Il primo novembre del 1625, in una riunione del Consejo de Estado, Don Gaspar de Guzmán, III Conte di Olivares e I Duca di San Lúcar la Mayor (come discendente del ricchissimo converso Lope Conchillos, la cui figlia Francisca Niño de Ribera 68 aveva sposato D. Pedro de Guzmán y Zúñiga – figlio di D. Juan Alonso Pérez de Guzmán, III Duca di Medina Sidonia, e di D. Leonor de Zúñiga, figlia di D. Pedro de Zúñiga, Duca di Béjar –, creato da Carlo V, nel 1535, I Conte di Olivares, 69 il Conte-Duca era lui stesso di sangue ‘impuro’ ; per questo Quevedo lo schernisce nella Hora de todos chiamandolo Pragas Chincollos, anagramma di Gaspar Conchillos, Principe dei Monopantos, “Hebreos disimulados” 70), dichiarò che gli Estatutos de limpieza de sangre erano cosa “injusta e impía, contra derecho divino, natural y de las gentes”. 71 Negli stessi anni, incoraggiati, forse, dalla politica  













los que tuuiere ; y demas de las penas que se impone, se cautela esto con çensura, por ser materia tan oculta y de tan dificultosa averiguazion.” Cfr. [Felipe IV :] La carta que se embio por la Junta grande a las Ciudades Voto en Cortes a 28 de Octubre 1622, a la entrada a su Reynado de Phelipe IV, tocante al remedio de la Monarchia. In : La Junta de Reformación. Documentos procedentes del Archivo Histórico Nacional y del General de Simancas. Transcritos por D. Ángel González Palencia. 1618-1625. Valladolid 1932 (= Archivo Histórico Español, Tomo V), pp. 379-408 ; qui pp. 393-396. 66   Sui tentativi di riforma degli Estatutos de limpieza de sangre cfr. A. Domínguez Ortiz : Los conversos de origen judío después de la expulsión, pp. 303-345. – A. A. Sicroff : Les controverses des Statuts de « pureté de sang » en Espagne du XVe au XVIIe siècle, pp. 182-220. – I. S. Révah : La controverse sur les Statuts de pureté de sang, pp. 263-301. – Elvira Pérez Ferreiro : « Introducción » a : El Tratado de Uceda contra los Estatutos de Limpieza de Sangre, pp. 15-60. – Historia de la Inquisición en España y América. Obra dirigida por Joaquín Pérez Villanueva y Bartolomé Escandell Bonet. II. Las estructuras del Santo Oficio. Madrid : Biblioteca de Autores Cristianos 1993, pp. 252-271. Sulla Pragmática degli « actos positivos », che quattordici anni dopo la sua emanazione Filippo IV – di fronte alle resistenze e difficoltà frapposte da certe istituzioni alla sua attuazione – definí “justa y piadosa y fundada en toda buena manera de estado y gobierno”, e i suoi limitati effetti pratici, cfr. José Antonio Martínez Bara : Los actos positivos y su valor en las pruebas genealógicas y nobiliarias en el siglo XVII. In : La Inquisición española. Nueva visión, nuevos horizontes. Director del volumen : Joaquín Pérez Villanueva. Madrid : Siglo XXI de España Editores 1980, pp. 303-315 (a pag. 309 si trova il documento che contiene le parole di Filippo IV da noi trascritte). 67   Cfr. Julio Caro Baroja : Los Judíos en la España Moderna y Contemporánea. Tomo II, pp. 33-75. – Juan Ignacio Gutiérrez Nieto : El reformismo social de Olivares : El problema de la limpieza de sangre y la creación de una nobleza de mérito. In : La España del Conde-Duque. Valladolid : Universidad de Valladolid, Secretariado de Publicaciones 1990, pp. 419-441. – Carmen Sanz Ayán : Las finanzas de la Monarquía y los banqueros judeoconversos. Una aproximación a los sistemas ordinarios de financiación de la Corona en el Reinado de Felipe IV. In : Carlos Barros, editor : Xudeus e conversos na historia. Actas do Congreso Internacional, Ribadavia 14-17 de outubro de 1991. Tomo II. Santiago de Compostela : Deputación Ourense - La Editorial de la Historia 1994, pp. 185-200. 68   Francisca Niño de Ribera era figlia di Maria Niño de Ribera che apparteneva ad una famiglia imparentata con due note famiglie (Toledo e Cota) di conversos toledani. Sulla genealogia di Francisca Niño de Ribera, che in prime nozze aveva sposato Pedro López de Ayala, Conte di Fuensalida, cfr. L. Martz : A Network of Converso Families in Early Modern Toledo, pp. 96-109. Lope Conchillos era stato nominato il 2 giugno 1517 segretario del Re (Carlos I) e di sua madre (la Regina Juana I). Cfr. J. A. Escudero : Los secretarios de Estado y del Despacho (1474-1724). III, pp. 621-622. 69   Cfr. J. Caro Baroja : Los Judíos en la España Moderna y Contemporánea. Tomo II, p. 22. – J. H. Elliott : El Conde-Duque de Olivares. El político en una época de decadencia, p. 30 e pp. 38-43 (albero genealogico). 70   “Gobiérnalos [los Monopantos] un príncipe a quien llaman Pragas Chincollos. [...] Dejaos gobernar por nuestro Pragas, que no dejaréis de ser Judíos y sabréis juntamente ser Monopantos”. Quevedo intende sotto il nome di Monopantos i conversos portoghesi, protetti dal favorito di Filippo IV. Cfr. Francisco de Quevedo : L’heure de tous et la fortune raisonnable – La hora de todos y la fortuna con seso. Édición, introduction, traduction et notes par Jean Bourg, Pierre Dupont, Pierre Geneste, p. 310 e p. 324. 71   Cfr. Memoriales y cartas del Conde Duque de Olivares. Tomo I. Política interior : 1621 a 1627, p. 73, nota n.  





































































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liberale del Conte-Duca, gli arbitristas Francisco Murcia de Llana (Discurso politico del desempeño del Reyno. Madrid 1624) 72 e Pedro Fernández de Navarrete (Conservación de Monarquías. Madrid 1626) facevano una critica severa degli Statuti, la cui riforma era stata chiesta già nel 1558 dall’economista Luis de Ortiz nel famoso Memorial indirizzato a Filippo II. 73 In un rivoluzionario Memorial, presentato al Re nel 1626, il Consejo Supremo de la Inquisición, presieduto dall’Inquisitore Generale Andrés Pacheco, dopo aver condannato le pratiche della stessa Inquisizione, denunciato gli abusi commessi durante la preparazione delle pruebas de limpieza e il danno sociale provocato dagli Statuti, chiedeva l’abolizione degli stessi. 74 Nella “guerra segreta” (cosí la definisce Fray Agustín Salucio nel « Prologo » als suo Discvrso 75) svoltasi negli anni intorno al 1600, gli autori dei molti trattati e pamphlets –  











42. Olivares, che possedeva nella sua biblioteca una copia del Discurso di Salucio (cfr. Bartolomé José Gallardo : Ensayo de una Biblioteca Española de libros raros y curiosos. Edición facsímil. Tomo IV. Madrid : Gredos 1968, col. 1484), aveva lamentato nel Gran Memorial (1624), indirizzato a Filippo IV, che gli alti uffici della giustizia e della amministrazione fossero occupati, in gran parte, dai “colegiales mayores de los colegios de Salamanca”. L’esser uscito da uno dei Colegios Mayores non poteva però essere, per sé sola – “sino examinar el talento” –, considerata qualità sufficiente a ricoprire tali posti. Detenendo i colegiales mayores il monopolio dei posti dell’alta burocrazia, erano state escluse persone meritevoli di cui vi era gran bisogno e questa esclusione aveva causato gravi incovenienti. Fatte queste osservazioni, il Conte-Duca cosí proseguiva : “Y fuera desto, otras grandes consideraciones de inconvenientes de estado que se siguen a tener totalmente desvalidos los sujetos, en quien concurriendo otras grandes calidades y les falta este examen de limpieza, que muchas veces no es por dejalla de tener, que en los que le falta conocidamente como totalmente no lo repruebo, sino que por algunas razones me parece que de ninguna manera conviene desesperallos. Advierto también a V. Majd. que es excesión (exceso) de que se debe estar con cuidado siempre, no reprobando a los que en virtud propia y grandes letras se hubieren hecho lugar en el mundo, atendiendo a que sólo en estos reinos se examina con tanta exacción (exactitud) este punto, no sé si con mucha conveniencia del servicio de V. Majd. y de los señores reyes sus antepasados ; y de suyo hace extrañeza y horror que Dios perdone todos los pecados y nosotros no le imitemos en esto ni a cuarta, ni a quinta, ni a séptima generación”. Nel corso del Gran Memorial Olivares tornava ancora una volta sul problema degli Estatutos de limpieza e pregava il Re “de procurar que se tome medio en la parte de la censura de las limpiezas, y término, el que pareciere justificado, con consulta de ministros graves por no tener en estado de desesperación a estos pobres hombres, sin culpa propia y con tan graves inconvenientes como en otras ocasiones he representado a V. Majd., así en materia de justicia como en la de estado y mayor seguridad destos reinos. Y cuando no hubiera ninguno propongo a V. Majd. que en ninguna otra parte del mundo se ejecuta en esta forma ; suficiente consideración cuando cesaran todas” (Memoriales y cartas del Conde Duque de Olivares. Tomo I, pp. 72-73 e p. 85). 72   Si vedano le pagine di questo Discurso politico trascritte da J. Caro Baroja (Los Judíos en la España Moderna y Contemporánea. Tomo III, pp. 346-348), dove si definisce il sistema di discriminazione come “locura Española” e si considerano i molti Estatutos de limpieza come una importante “causa de la despoblación” e come fattori di discordia, impoverimento e corruzione. 73   Scriveva Luis de Ortiz : “Que el estatuto que hizo el Arçobispo de Toledo y otro de Alcaraz y otros que ay en el rreino, se moderen, con limitación de linpieça de padres y abuelos, sin buscar linpieça de más açendençia pues es cosa justa”. Cfr. Memorial del contador Luis de Ortiz a Felipe II (Valladolid, 1 de marzo 1558). In : Fernández Alvarez : El Memorial de Luis de Ortiz. In : Anales de Economia 17 (1957), 101-200 (il Memorial occupa le pp. 117-200, le righe citate si trovano a pag. 170). 74   Su questo Memorial (Madrid, Archivo Histórico Nacional : Inq., libro 1240, fo. 6-11), nel quale ricorrono anche taluni degli argomenti contro gli Statuti esposti da Campofrío e da Olivares, cfr. I. S. Révah : Gil González de Ávila et les Statuts de pureté de sang, pp. 512-513. – H. Kamen : Una crisis de conciencia en la Edad de Oro en España : Inquisición contra “Limpieza de sangre”, pp. 346-349. – Historia de la Inquisición en España y América. Obra dirigida por Joaquín Pérez Villanueva y Bartolomé Escandell Bonet. II. Las estructuras del Santo Oficio, pp. 259-264. Una specie di riassunto di questo Memorial è la Memoria que el Tribunal de la Sta. Inquisicion Suprema dió a S. M. por mano del Sr. D. Andres Pacheco, Inquisidor General, obispo de Cuenca (Madrid, Biblioteca Nacional : Ms. 5767, fo. 160-163), pubblicata integralmente da A. Domínguez Ortiz (La clase social de los conversos en Castilla en la Edad Moderna. Ed. facs. Granada 1991, pp. 238-242). 75   “Los escandalos y pesadumbres que varias vezes se an visto, sobre las informaciones de limpieza de sangre, que se hazen para abitos y colegios, y algunos otros oficios y beneficios : juntandose con la passion de muchos la compassion de otros, y el desseo de paz, y la buena intencion acompañada de zelo indiscreto de algunos que tienen opinion de santidad y letras ; todo esto junto, a levantado una guerra secreta contra la auto 































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gran parte dei quali circolavano manoscritti e non ci sono pervenuti – scritti contro gli Estatutos de limpieza non sempre si limitavano a chiedere la loro riforma. Talvolta attaccavano il mito stesso del cristiano viejo. Fray Agustín Salucio, che ritiene che siano gli scudieri – cioè l’infima nobiltà – a volere che siano esclusi dagli onori le persone che tengono raça, 76 scrive che coloro che sono considerati “limpios” – cioè cristianos viejos –, senza che sulla loro “limpieza” cada l’ombra di un dubbio, lo sono unicamente “por no auer memoria que alguno de sus antepassados aya sido moro, ni judio, ni penitenciado”. Infatti, se si avesse conoscenza completa delle genealogie e si andasse indietro nel tempo, apparirebbe con tutta evidenza che – fatta eccezione dei grandi Principi – non vi è nessuno che non discenda “de moros y judios, y de todo lo asqueroso del mundo”. 77 Alla venuta degli arabi la gran massa dei cristiani si fece mussulmana, ricorda Salucio, cosí come, man mano che i territori venivano riconquistati dai cristiani, gran parte degli arabi si fece cristiana e cristiani si rifecero i cristiani che avevano abiurato la loro fede. Di queste apostasie e riconversioni, compiute nel corso di vari secoli dalla gran parte degli abitanti della Penisola Iberica, non vi è memoria “porque como entonces no eran inabiles sus hijos, ni auia estatutos, ni Inquisicion, no se parava tanto en estas notas y diferencias, y assi el tiempo las a cubierto con la capa del olvido”. È quindi unicamente l’olvido ad aver generato i cristianos viejos. Ma “este olvido que hizo Cristianos viejos de los que antiguamente se convertian”, è privilegio di cui gode solo la gente anonima, la gente “bassa”. 78 Del beneficio della dimenticanza non può invece fruire  





la gente granada : porque quanto uno es mas principal, o mas noble, tanto mas se perpetùa la nota de su linaje, si la tiene : pero en la gente baxa la memoria de la infedelidad de los padres raras vezes llega a 50. años, porque no se sabe poco ni mucho quien fueron sus abuelos : y assi no les obsta que ayan sido moros, o judios, o erejes, o penitenciados : porque facilmente se encubren donde quiera. Los nobles y poderosos son los que no pueden encubrirse, ni hazer que se oluide la nota de alguna raça : y assi de millares de ombres que a castigado la Inquisicion de España, no es el diezmo, ni de ciento vno, ni aun por ventura de mil uno, los que tienen descendientes conoscidos. Y bien se vee, que los que descienden de todos los demas, seran mas sin comparacion ; pero no se sabe dellos por ser gente baxa, y assi passan sus descendientes por Cristianos viejos. 79  













ridad delos estatutos ; y aunque secreta, bien encendida, y atizada con varios tratados que andan escritos, unos a la clara, y otros con alguna dissimulacion : en los quales se refieren muchas autoridades, no solo de Papas y Concilios y Principes Cristianos, sino aun tambien de la sagrada Escritura ; en que paresce que se condena el escluyr de las onras a qualquier genero de gente por razon de su linaje. Esta guerra qualquiera verà que tiene graves inconvinientes : y (si yo no me engaño) no ay escrito en defensa de los estatutos cosa que baste a quietar los animos ; porque toda via se quexan los offendidos, de que no se les responde a los argumentos de mayor fuerça, y que antes se procura esconder el motu proprio de Nicolao quinto, y lo demas que haze en su favor” (Salucio : Discvrso, fo. 1r-1v). 76   “Los pobres escuderos de corto entendimiento, viendo que a penas tienen otro caudal, si no la afrenta agena, essos son los que atizan estas diferencias, que los grandes cavalleros, y los que estan en lugar alto, como tienen mucha onra, antes la ponen en dessear, que todos sean onrados : y assi se vee en los grandes y señores ; y aun en los mismos Inquisidores Generales, a quien mas parescia tocar la averiguacion de los linages” (Salucio : Discvrso, fo. 16r). 77   Salucio : Discvrso, fo. 2v. 78   Salucio : Discvrso, fo. 4r-5r, fo. 13r (“para ser cristiano viejo basta ser ombre baxo, y no saberse de sus abuelos, anque uviessen sido judios”). 79   Salucio : Discvrso, fo. 5v. Argomenti simili esporrà Vicente Espinel nel criticare gli Statuti nel Marcos de Obregón, opera dedicata, significativamente, al cardinale D. Bernardo de Sandoval y Rojas. Cfr. RELACIONES | DE LA VIDA DEL | ESCVDERO MARCOS DE | OBREGON. | AL ILLVSTRISSIMO Se- | ñor Cardenal Arçobispo de Toledo, don Ber- | nardo de Sandoual, y Rojas, amparo de la vir- | tud, y padre de los pobres. | POR EL MAESTRO VICEN- | te Espinel, Capellan del Rey nuestro señor | en el Hospital Real de la ciudad | de Ronda.  























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In un pamphlet manoscritto intitolato Del origen de los Villanos a que llaman christianos viejos, che è stato attribuito proprio a Agustín Salucio 80 (ma anche al Cardinale Don Francisco de Bobadilla y Mendoza 81 e a Juan de Mariana 82) e che era in circolazione già molto prima del suo Discvrso, si sostiene addirittura che il termine cristiano viejo designava originariamente i mozárabes apostati (“gente villana y soez y sin nobleça a quien compete propriamente el nombre de christianos viejos con el qual se diferenciauan de la nobleça de las montañas y de los christianos nueuos que de los moros y judios se conuertian” 83), i quali, nei territori riconquistati, tornavano all’antica fede cattolica e tentavano di mescolarsi ai cristiani vittoriosi del nord. Questi ultimi, invece, non furono, secondo l’anonimo autore del pamphlet, mai conosciuti come cristianos viejos, perché essi costituivano la vera nobiltà cristiana ! In un altro pamphlet manoscritto gli Estatutos de limpieza vengono considerati una restrizione della libertà dei Re di Spagna – limitata anche dalla falsa credenza che “la nobleza que llaman de sangre es vna calidad, que no la pueden dar los Reyes à ninguno” – e un ostacolo alla mobilità sociale verticale, considerata necessaria alla tranquillità, stabilità e conservazione dello Stato. 84 La “mal fundada” opinione corrente, secondo la quale “la infeccion de la sangre, que viene por descendencia de Moros, ò Judios, no tiene reparo ninguno, y que el Principe no puede hazer limpio al que no lo es”, viene confutata cosí :  













[...] fuera grande mengua de la potestad Real, que lo que haze en los hombres obscuros el tiempo y el oluido, y lo que obran las diligencias de los hombres solicitos con testificaciones grangeadas, y con otros medios no lo pueden effectuar la soberania de los Reyes. Verdad es, que no puede esto hazer el que es descendiente de Moro, ò Judio, que no lo sea ; mas puede mandar que no lo sea este impedimiento para conseguir honrra y dignidad, de las que requieren limpieza de sangre. 85  



Año [Marca tipografica] 1618. | CON PRIVILEGIO. | En Madrid, Por Iuan de la Cuesta. | [Linea tipografica] | A costa de Miguel Martinez. | Vendese en la calle mayor, a las gradas de S. Felipe (London, British Library : 1074.i.15), fo. 103r-v. 80   Cfr. Alvaro Huerga O. P. : « Estudio preliminar » a : Fray Augustín Salucio : Avisos para los predicadores del Santo Evangelio, pp. 41-42. 81   Cfr. Bibliothèque Nationale. Département des manuscrits. Catalogue des manuscrits espagnols et de manuscrits portugais par M. Alfred Morel-Fatio. Paris : Imprimerie Nationale 1892, p. 354 a, nro. 640 (« Origen de los villanos que llaman comunmente cristianos viejos, por el cardenal arzobispo de Burgos, el señor Bobadilla »). 82   Catálogo de la Biblioteca de Salvá. Tomo II, p. 509, nro. 3059 (« El origen de los villanos que llaman cristianos viejos, escrito por el Padre Juan de Mariana »). 83   Del origen de los Villanos a que llaman christianos viejos (Madrid, Biblioteca Nacional : Ms. 6371, fo. 46r-53r ; qui fo. 51r-v). Alla fine del pamphlet si trova questa nota : “Este papel le tenia. Original. en su libreria. el Maestro y Cronista. Gil. Gonzales Davila y della. se saco esta copia”). 84   Per “los ascensos à la nobleza de la gente baja” e per “los ascensos de las honras que hay de vnos grados en otros”, l’anonimo autore propone, in particolare, un meccanismo fondato sul denaro e sui ‘servizi’ resi alla Monarchia dall’aspirante alla nobilitazione o ad un maggior grado di nobiltà. Dopo aver dichiarato di ritenere che non sia conveniente che il Re “venda hidalguias y noblezas en cambio de dinero, aunque sea mucho, como en algunos de los tiempos passados se ha vsado, porque esto lo tengo por cosa de poco prouecho, y à los que han alcanzado en España las hidalguias por dinero los han dado muy poca autoridad, ni han hallado estima publica por ellas, ni se han hechos capaces de las otras honrras”, scrive : “Pero ternia yo por cosa conuenientissima para la Republica que las hidalguias noblezas y limpiezas de sangre se diessen a precio del dinero juntamente con seruicios. Porque vniendose lo vno y lo otro, sera nobleza de mayor estima publica, y mas justo de parte de los Reyes el donarla, y entonces se vne el dinero con los seruicios, quando los que siruen lo hazen à su costa, ò quando emplean sus caudales en cosas, y empresas de mucho seruicio”. Cfr. Discurso sobre la manutencion y Premio delos Nobles (Madrid, Biblioteca Nacional : Ms. 2.364 ; fo. 88r-93r ; qui fo. 88r, fo. 88v, fo. 89r, fo. 90v). Il pamphlet è contenuto in un volume, che riunisce relazioni varie, lettere, discorsi, memorie, decreti, elogi, ecc. – parte manoscritti, parte stampati –, dal titolo Sucesos del año 1632 y 1633. Il titolo del pamphlet è desunto dall’indice della miscellanea (« Jndice delo Contenido en este Tomo Jntitulado Sucesos del año 1632 y 1633 »). 85   Discurso sobre la manutencion y Premio delos Nobles, fo. 89v. Il Re non solo può annullare gli impe 







































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Il dibattito sugli Estatutos de limpieza de sangre era condotto con particolare intensità negli ambienti intellettuali di Toledo, città dove Francisco López de Úbeda era nato, e di Valladolid, città dove il medico toledano era andato, forse, a risiedere al momento del trasferimento della Corte e dove aveva studiato e abitava Fray Baltasar Navarrete, l’altro possibile autore della Pícara Justina. Toledo, non piú capitale politica del Regno dal 1561, era – oltre che capitale religiosa – ancora negli ultimi decenni del XVI e nei primi decenni del XVII secolo se non proprio la “capital literaria”, come la definisce Jean Vilar, 86 certamente un importante centro di creazione culturale e artistica. E tale era Valladolid, anche già negli anni immediatamente precedenti al trasferimento della Corte. 87 Nei circoli culturali di Toledo e in quelli di Valladolid le personalità di rilievo intensamente interessate alla dottrina politica, all’economia e al problema degli Estatutos de limpieza de sangre erano numerose. Ricordiamone alcune. Il dottor Eugenio de Narbona, il curato della parrocchia di San Cristóbal di Toledo grande amico di Lope de Vega, era scrittore politico, molto preoccupato di economia ; 88 la sua Doctrina política civil. Escrita por aphorismos (Toledo : Pedro Rodríguez 1604), influenzata da Machiavelli, dal tacitismo, da Justus Lipsius e da Jean Bodin, 89 uscí pochi anni dopo la pubblicazione dell’Anti-Machiavelli 90 del celebre padre gesuita, anch’egli toledano, Pedro de Ribadeneyra, che considerava gli Statuti una violazione delle Constituciones della Compagnia di Gesú e per di piú contrari alle opinioni che sulla questione avevano espresso Ignacio de Loyola, Diego Lainez e Francisco de Borja. 91 Sancho de Moncada, il maggior economista del XVII secolo, autore della celebre Restauración política de España (Madrid : Luis Sánchez 1619), professore dell’Università di Toledo, presso la quale aveva ottenuto il grado di dottore nel 1603. Il Licenciado Jerónimo de Ceballos (Cevallos, Zevallos, Zeballos), toledano, 92 notevole scrittore politico ed economista vicino alle idee di Sancho de  



   













dimenti costituiti dalla mancanza di purezza di sangue, ma ha anche la facoltà, secondo l’anonimo autore, di concedere “nobleza y limpieza de sangre perpetua” (fo. 91r). 86   J. Vilar Berrogain : Conciencia nacional y conciencia económica. Datos sobre la vida y la obra del doctor Sancho de Moncada, p. 72. 87   Sull’arte e la cultura a Valladolid nel XVI secolo, cfr. B. Bennassar : Valladolid en el Siglo de Oro. Una ciudad de Castilla y su entorno agrario en el siglo XVI, pp. 453-485. – Luis Antonio Ribot García et al. : Valladolid, corazón del mundo hispánico. – Siglo XVI (= Historia de Valladolid. - III). Valladolid : Ateneo de Valladolid 1981, pp. 166-276. 88   Nel 1598 Lope de Vega si era installato a Toledo dove rimase, sia pur non continuativamente, sino al 1610 (dal 10 agosto 1604 a tutto il 1606 rimarrà però sempre a Toledo). Cfr. Agustín de Amezúa : Introducción al Epistolario de Lope de Vega Carpio. I, pp. 274-275. 89   Cfr. Jean Vilar : Intellectuels et noblesse : Le doctor Eugenio de Narbona (Une admiration politique de Lope de Vega). In : Études Ibériques, Rennes, 3 (1968), 7-28 ; qui pp. 8-10. – José A. Fernández-Santamaría : Razón de Estado y política en el pensamiento español del Barroco (1595-1640). Madrid : Centro de Estudios Constitucionales 1986 (= Colección « Estudios Políticos », 21), p. 28, p. 35, p. 59, p. 60, p. 66, p. 94, p. 100, p. 107, p. 233, p. 242. 90   Tratado de la Religion Y Virtudes que deue tener el Principe Christiano, para gouernar y conseruar sus Estados. Contra lo que Nicolas Machiauelo y los Politicos deste tiempo enseñan. Escrito por el P. Pedro de Ribadeneyra de la Compañia de Iesvs. Dirigido al Principe de España D. Felipe nuestro señor. Año 1595. Con Privilegio. En Madrid, en la emprenta de Pedro Madrigal. A costa de Iuan de Montoya mercader de libros. Año. 1595. 91   Sulla posizione di Pedro de Ribadeneyra cfr. A. A. Sicroff : Les controverses des Statuts de « pureté de sang » en Espagne du XVe au XVIIe siècle, pp. 282-284. – H. Kamen : Una crisis de conciencia en la Edad de Oro en España : Inquisición contra “Limpieza de sangre”, pp. 341-342. 92   Cosí lo definisce Jean Vilar nella introduzione alla Restauración di Sancho de Moncada (p. 19). Ceballos stesso si dice “Toletanus” nella portata del Tractatus del 1618. Nicolás Antonio (Bibliotheca Hispana Nova I, p. 609, art. « Hieronymus de Zeballos ») lo dice nato a Escalona nel 1560 (era quindi approssimativamente coetaneo di López de Úbeda) da nobile stirpe. In effetti Jerónimo Ceballos era nato nella “villa de Escalona” il 30 settembre 1560. Suo padre e suo nonno erano al servizio dei Duchi di Escalona (lui stesso si definisce ‘vassallo’  







































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Moncada. Autore di varie opere giuridiche, di diversi memoriali 93 e discorsi sulle cause della decadenza economica di Toledo e della Castiglia e di Arte Real para el buen gobierno de los Reyes y Principes, y de sus vasallos (Toledo : Diego Rodríguez 1623) – l’opera, dedicata a Filippo IV e a Olivares, elogiato come “Maestro” di questa “Arte” e pregato di porre il libro nelle mani del Re, 94 influenzerà le riforme del Conte-Duca 95 –, Jerónimo de Ceballos era giurista, avvocato e, come orgogliosamente dichiara nel frontespizio della sua opera maggiore, “Regidor de la Imperial ciudad de Toledo en el vanco, y assiento de los Caualleros”. Scrisse un Discurso sobre los estatutos de limpieza de sangre nel quale si dichiara cristiano viejo al di sopra di ogni sospetto (“lleno de tantos actos positivos de limpieza de Colegios, Inquisición, Capilla Real y otros estatutos” 96) – sulla limpieza di Jerónimo de Ceballos una delazione anonima aveva gettato qualche ombra, 97 del tutto ingiustificata però 98 – e nel quale afferma che la “causa principal” della rovina economi 













del Marchese di Villena, Duca di Escalona). Cfr. F. J. Aranda Pérez : Jerónimo de Ceballos : un hombre grave para la República, pp. 18-22. – Salustiano de Dios : « Estudio Preliminar » a : Geronymo de Zevallos : Arte Real para el bven govierno de los Reyes, y Principes, y de sus vassallos, pp. XI-CXIII ; qui pp. XIII-XIV. 93   Fra questi ricordiamo il Memorial para suplicar al Rey que se prohiba la entrada a las mercaderias labradas fuera del reino y la salida de las lanas y materiales en que se han de ocupar los naturales (Toledo 1620). 94   ARTE REAL | PARA EL BVEN GOVIERNO | de los Reyes, y Principes, y de sus vassallos. En el | qual se refieren las obligaciones de cada vno, con los prin- | cipales documentos para el buen gouierno. | CON VNA TABLA DE LAS MA- | terias, reduzida a trezientos Aforismos de Latin y Romance. | DIRIGIDO A LA CATOLICA MAGESTAD | del Rey don Felipe IIII. N. S. Monarca y Emperador de las | Españas, no reconociente superior en lo temporal. | LEGE [Stemma reale] ET REGE. | POR EL LICENCIADO GERONYMO DE ZEVA- | llos, Regidor de la Imperial ciudad en el vanco, y assiento | de los Caualleros, y vnico Patron del Monasterio de los Descalços | Franciscos de la dicha ciudad. | Año M.DC.XXIII, fo. a 3r-v (« S. C. R. M. »), fo. a 4r-v (« AL EXCELENTISSI | mo señor don Gaspar de Guz- | man, Condes de Oliuares, Sumiller de | Corps del Rey don Felipe Quarto nues- | tro » señor, y de su Consejo de Esta- | do, y Guerra, y su Caualle | rizo mayor »). A proposito di questa inconsueta duplice dedica, Francisco J. Aranda Pérez ha scritto : “La dedicatoria de este libro se realizó por partida doble, lo cual era lógico al existir dos cabezas en la cúspide de la monarquía” ( Jerónimo de Ceballos : un hombre grave para la República. Vida y obra de un hidalgo del saber en la España del Siglo de Oro, p. 193). 95   J. H. Elliott (El Conde-Duque de Olivares, p. 138) scrive che “la obra parece un anteproyecto del programa de reformas que adoptaría Olivares”. Sulla concezione politica di Jerónimo de Cevallos, cfr. Francisco J. Aranda Pérez : Jerónimo de Ceballos : un hombre grave para la República. Vida y obra de un hidalgo del saber en la España del Siglo de Oro, pp. 167-278. – Salustiano de Dios : « Estudio Preliminar » a : Geronymo de Zevallos : Arte Real para el bven govierno de los Reyes, y Principes, y de sus vassallos, pp. LXXVI-CXIII. – Salustiano de Dios de Dios : La doctrina sobre el poder del Príncipe en Jerónimo de Cevallos. In : Letrados, juristas y burócratas en la España moderna. Coordinador : Francisco José Aranda Pérez. Cuenca : Ediciones de la Universidad de Castilla-La Mancha 2005, pp. 193-251. 96   Jerónimo de Ceballos : Memorial sobre la limpieza de sangre [ca. 1635] (Madrid, Archivo Histórico Nacional : Sección de Órdenes Militares, libro 1.320 C, fo. 59-66). Trascrizione completa del Memorial in : F. J. Aranda Pérez : Jerónimo de Ceballos : un hombre grave para la República, pp. 400-407 ; qui p. 406. Anche nell’Arte Real Jerónimo de Ceballos aveva accennato alla sua purezza di sangue (fo. 146r : “toda la nobleza, y limpieza de sangre que me dexaron mis antepassados...”). 97   Cfr. Salustiano de Dios : « Estudio Preliminar » a : Geronymo de Zevallos : Arte Real, pp. XI-XL. L’amarezza per la facilità con cui si poteva - senza prove - infamare una persona, traspare nelle pagine di Arte Real nelle quali Jerónimo de Ceballos propone l’istituzione di un tribunale centrale per “los pleitos de limpieza” (fo. 144r-146r). Rimasto vedovo, Jerónimo de Ceballos divenne, nel 1626, cappellano della Capilla de los Reyes Nuevos della Cattedrale di Toledo, dopo aver superato le prescritte prove di limpieza de sangre, e “consultor y oficial de la Inquisición de Toledo” (Salustiano de Dios : « Estudio Preliminar », p. XL). L’Estatuto de limpieza de sangre della Capilla de los Reyes Nuevos, che risaliva al 16 ottobre 1530 ed era anteriore quindi a quello voluto da Silíceo, era molto severo. Cfr. D. Jerónimo López de Ayala y Álvarez de Toledo, Conde de Cedillo, Vizconde de Palazuelos : Toledo en el siglo XVI después del vencimiento de las Comunidades, pp. 46-47. 98   Né Salustiano de Dios (« Estudio Preliminar »), né L. Martz (A Network of Converso Families in Early Modern Toledo, p. 331 e pp. 367-370) chiariscono il problema della ‘purezza di sangue’ di Jerónimo de Cevallos. José Gómez-Menor (Nuevos datos biográficos sobre el licenciado Jerónimo de Cevallos. In : Anales Toledanos 10, 1974, 187-193) pare ritenere fondato quanto aveva dichiarato Jerónimo de Cevallos, in occasione delle prove di limpieza sostenute nel 1626, sull’origine ‘nordica’ della sua famiglia paterna. Per il maggior studioso della sua vita e opera, il regidor toledano, che era di ascendenza hidalga, “nunca tuvo ni pareció ser sospechoso de tener  

























































































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ca e demografica della Spagna “es la observación y práctica de los estatutos”. 99 Oltre a Eugenio de Narbona, a Jerónimo de Ceballos e a Sancho de Moncada, facevano parte della cosiddetta Scuola economica di Toledo, propugnatrice del protezionismo e dell’industrialismo, García de Herrera y Contreras, Baltasar de Medinilla, Damián de Olivares, Alonso de Castro Xibaje, Juan Belluga de Moncada, Pedro Hurtado de Alcocer, Juan Vázquez, Garcés de Molina e Alonso de Narbona. 100 Toledano e professore nel Ginnasio della città era il padre gesuita Jerónimo Román de la Higuera, 101 il quale, ‘dimostrando’ nei suoi falsi Chronicones che gli ebrei spagnoli non avevano partecipato al deicidio ed anzi ad esso si erano opposti, faceva apparire come completamente privi di senso e di fondamento gli Statuti discriminatori e le informazioni genealogiche. 102 Toledano era il famoso predicatore francescano Fray Francisco Ortiz Lucio che scrisse contro gli Statuti (Compendio de todas las Summas. Barcelona 1598) 103 e compose anche varie opere ‘politiche’. 104 Non era toledano invece Juan de Mariana, ma a Toledo il celebre padre gesuita visse dal 1574 al 1624, anno della sua morte, e compose l’opera De Rege et Regis Institutione Libri III. (Anno 1599. Toleti, Apud Petrum Rodericum typo. Regium), dedicata a Filippo III, nella quale definí moralmente ingiusta e politicamente perniciosa l’esclusione, voluta dagli Statuti, dei conversos dalla carriera degli onori. 105 Martín González de Cellorigo, era “oriundo de la Villa de Cellorigo, en la Rioja”, 106 ma visse a Valladolid per ventotto anni come avvocato della Real Chancillería – una istituzione che, come l’Università e il Colegio de San Gregorio, svolgeva un ruolo di rilievo nella vita culturale della città – e del Santo Ufficio. Profonda era la diagnosi, fatta nel suo Memorial de la política necesaria y útil restauración a la República de España (1600), dei mali che affliggevano la Spagna e la sua società. La terapia che proponeva per curare questi mali rivelava una posizione ideologica chiaramente aristocratica. La rigenera 















antecedentes christianonuevos” (F. J. Aranda Pérez : Jerónimo de Ceballos : un hombre grave para la República, pp. 79-87, p. 250). 99   Jerónimo de Ceballos : Memorial sobre la limpieza de sangre, p. 407. Anche Francisco Murcia de la Llana (Discurso politico del desempeño del Reyno. A la Magestad Catolica. En Madrid XXI de Mayo. Año M.DC. XXIIII) indicava nei “muchos estatutos de limpieza que tiene España” una “causa de la despoblación”, e non la minore. Cfr. Una crítica de los Estatutos de limpieza, debida a Murcia de la Llana. In : Julio Caro Baroja : Los Judíos en la España Moderna y Contemporánea. Tomo III, pp. 346-348. 100   Cfr. Luis Perdices de Blas : La economía política de la decadencia de Castilla en el siglo XVII. Investigaciones de los arbitristas sobre la naturaleza y causas de la riqueza de las naciones. Madrid : Editorial Síntesis 1996, pp. 64-69. 101   Nicolás Antonio : Bibliotheca Hispana Nova I, p. 601. 102   Cfr. A. Domínguez Ortiz : La clase social de los conversos en Castilla en la Edad Moderna. Ed. facs. Granada 1991, pp. 213-216. Nicolás Antonio dimostrò la non autenticità dei Chronicones. Cfr. Censura de Historias Fabulosas, Obra posthuma De Don Nicolas Antonio, Cavallero de la Orden de Santiago, Canonigo de la Santa Iglesia de Sevilla, del Consejo del Señor Don Carlos Segundo, i su Fiscal en el Real Consejo de la Cruzada. Van añadidas algunas Cartas del mismo Autor, i de otros Eruditos. Publica estas Obras Don Gregorio Mayàns i Siscàr, Autor de la Vida de Don Nicolas Antonio. Con Licencia. En Valencia, por Antonio Bordazàr Artàzu, Impressor del S. Oficio, i de la Il. Ciudad. Año de MDCCXLII. (Ed. facs. Madrid : Visor Libros - Biblioteca Filológica Hispana / 43 – 1999.) 103   Cfr. H. Kamen : Una crisis de conciencia en la Edad de Oro en España : Inquisición contra “Limpieza de sangre”, p. 333. 104   Cfr. Nicolás Antonio : Bibliotheca Hispana Nova I, pp. 453-454. 105   Sull’aperto attacco, sul quale torneremo, di Juan de Mariana contro gli Statuti, ignorato da A. A. Sicroff e da altri storici, cfr. H. Kamen : Una crisis de conciencia en la Edad de Oro en España : Inquisición contra “Limpieza de sangre”, pp. 336-337. 106   José Luis Pérez de Ayala : « Estudio preliminar » a : Martín González de Cellorigo : Memorial de la política necesaria y útil restauración a la República de España y Estados de ella, y desempeño universal de estos Reinos (1600). Edición y estudio preliminar de J. L. P. de A. Madrid : Instituto de Estudios Fiscales 1991, pp. XIII-XLV ; qui p. XLII.  











































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zione o, come scrive Martín González de Cellorigo, la restaurazione della ‘repubblica’ spagnola è possibile soltando ricostituendo l’organica, gerarchica società degli ‘ordini’, armonicamente strutturata come lo è il mondo creato da Dio. 107 Le tendenze egalitarie distruggono questa armonica struttura, 108 la “composicion armoniosa de nuestra republica”, 109 e creano il caos. Deve quindi essere ostacolata la eccessiva, nefasta mobilità sociale, principale causa della disgregazione della società, arginando i fenomeni che la producono (l’inflazione degli onori, l’abbandono da parte del ceto medio delle attività produttive, la fondazione di mayorazgos cortos, la diffusione dei censos 110) con la promozione dell’agricoltura e delle attività commerciali e artigianali, con il rafforzamento della grande nobiltà attraverso la riduzione del suo indebitamento, con la riduzione della  







107   | [Fregio tipografico] | [Piccolo ornamento tipografico a forma di foglia] MEMORIAL [Piccolo ornamento tipografico a forma di foglia] | De la politica necessaria, y vtil restauracion à la | Republica de España, y estados de ella, y del desempeño vni- | uersal de estos Reynos. | Dirigido al Rey Don Philippe. III. nuestro señor. | Por el Licenciado Martin Gonçalez de Cellorigo, Abogado de la Real | Chancilleria, y del sancto Officio de la ciudad de | Valladolid. | [Grande stemma reale nel centro del frontespizio] | Impresso en la misma ciudad, por Iuan de Bo- | stillo. Año de. 1600. | (Madrid, Biblioteca Nacional : R/9267), fo. 65v-66r. 108   Contro coloro che sono a “fauor de la ygualdad”, ritenendo che l’indebolimento della media e alta nobiltà per mezzo della diminuzione delle loro rendite e del loro potere rafforzi lo Stato, M. González de Cellorigo scrive che “no auria cosa mas perniciosa, que el continuar el intento desta ygualdad”, perché è funzione proprio dei caballeros e dei titulados “hazer andar a raya al pueblo, que à la voz de vno ò de muchos suele descomponer los estados, y dar en sediciones, y guerras civiles” (Memorial de la politica necessaria, y vtil restauracion à la Republica de España, fo. 61v). 109   M. González de Cellorigo : Memorial de la politica necessaria, y vtil restauracion à la Republica de España, fo. 59r. 110   M. González de Cellorigo (Memorial de la politica necessaria, y vtil restauracion à la Republica de España, fo. 4v) scrive che i censos sono la “peste general” che “ha puesto estos reynos en suma miseria, por auerse inclinado todos, ò la mayor parte à viuir de ellos, y de los interesses que causa el dinero, sin ahondar de donde ha de salir lo que es menester para semejante modo de viuir”. E continua cosí : “Esto es lo que tan al descubierto ha destruydo esta republica, y à los que vsan destos censos : porque atenidos à la renta, se han dexado de las ocupaciones virtuosas de los officios de los tratos de la labrança, y criança, y de todo aquello que sustenta los hombres naturalmente, y esperando las pagas que no suelen venir tan puntuales, toman al fiado con paga de mas que al contado : y dan en otros remedios para socorrer sus necessidades que los ponen en mayores”. Nei censos M. González de Cellorigo ravvisa la causa della rovina dell’antica nobiltà e dell’ascesa di quanto di peggio vi era nella società spagnola : “Con los censos casas muy floridas se han perdido, y otras de gente baxa se han leuantado de sus officios, tratos y labranças à la ociosidad, y ha venido el Reyno à dar en vna republica ociosa, y viciosa, y destruydose lo bueno, noble, y antiguo de nuestra España, y engrandecidose lo peor de ella. Los censos sustentan vn millon de executores y à muchos hombres de mala consciencia, que solo siruen de destruyr à los nobles, y à todos los demas del Reyno. Los censos son los que anteponiendo à lo mas infimo de la republica, à la illustre y antigua nobleza de nuestra España, han puesto la monarchia en estado peligroso” (fo. 22v-23r). E ancora : “De los censos resulta el daño comun, con que se ha desacordado, la composicion armoniosa de nuestra republica : perdiendo las fuerças, el valor, y el ser, que antes tenia. Porque son consumidores de las haziendas, estragadores de las fuerças, destruydores del tiempo, apagadores de la virtud, incentiuos del vicio, y officina de toda maldad. Por estos el labrador se pierde, y el hidalgo se estraga, el cauallero se abate, el titulado se humilla, y el reyno padece. Por estos el mas baxo se ensalça, el sedicioso se honra, el vicioso se conserua, y el mas malo se repara. Y por estos se ha quitado y sacado todo lo bueno de los buenos, y se ha dado à los que vsan tan mal dello, que haziendo vna republica de gente encantada, sin seguir el instituto natural, y precepto original, y antiguo, que Dios à los hombres dio, quieren negar à su propria naturaleza el tributo deuido, y viuir contra la ordenacion diuina con el sudor y trabajo de otros” (fo. 59r). La teoria era naturalmente una cosa, e la pratica un’altra. Cellorigo, il grande nemico dei censos e dei mayorazgos, aveva sposato, dieci anni prima della pubblicazione del Memorial, Mariana de Arce, che gli portò una dote di 3.200 ducati, costituita per tre quarti (2.400 ducati) di censos, i quali ipotecavano i patrimoni di alcuni grandi signori, come l’Almirante di Castiglia, il Conte di Benavente, il Conte di Miranda, il Marchese di Aguilafuente. Inoltre Cellorigo aveva dovuto “comprometerse [« para la seguridad de esta dote »] a comprar juros o censos con los ochocientos ducados entregados en efectivo” (Bennassar : Valladolid en el Siglo de Oro, pp. 512-513). Nel 1618 Cellorigo farà causa al cugino Martín de Cellorigo per un mayorazgo fondato da suo zio Juan de Cellorigo e firmerà una procura per recuperare 1885 mrs. che il Conte de Benavente gli doveva per un censo di 100 ducati (cfr. Cristóbal Pérez Pastor : Bibliografía madrileña. Tomo II, p. 484-485) !  

























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classe ‘oziosa’ per mezzo della diminuzione degli interessi dei censos, con la proibizione di fondare mayorazgos cortos – istituto usato dalla parte piú ricca della classe media per l’adozione di forme di vita nobile, parassitaria – e, infine, con la parsimoniosa distribuzione di ‘onori’, da concedersi solo ai veramente meritevoli. 111 Bloccando l’accesso alla nobiltà e facendo del lavoro e della operosità il fondamento della società spagnola, che si è trasformata in una “republica de gente encantada” 112 per il disprezzo del lavoro, sarebbe cosí possibile la restaurazione dell’equilibrio sociale, distrutto dall’eccessiva estensione delle classi superiori e dalla progressiva riduzione dei ceti medi, creatori di ricchezza e quindi supporto fondamentale dello Stato e della società. Nel 1619 Martín González de Cellorigo pubblicherà a Madrid, dove era andato a risiedere dopo la jubilación, un discorso a favore dei conversos portoghesi e contro gli Statuti di purezza di sangue, intitolato Alegación en que se funda la justicia y merced que algunos particulares del Reyno de Portugal, que están dentro y fuera de los confines de España, piden y suplican a la Católica y Real Magestad del Rey Don Felipe Tercero nuestro señor, se les haga y conceda. 113 Nella Cancelleria di Valladolid 114 operava, come Fiscal, dal 1602, Jerónimo Castillo de Bobadilla, l’autore della vastissima, fondamentale Política para Corregidores y Señores de Vassallos (Madrid : Luis Sánchez 1597 115), “un gran libro … por su espléndida calidad, por la vasta y selecta información que contiene y por la riqueza e importancia de los temas que desarrolla”, un’opera ancora oggi insostituibile per lo studio della amministrazione municipale della Spagna del Siglo de Oro. 116 La concezione antropologica di Jeróni 













111   M. González de Cellorigo : Memorial de la politica necessaria, y vtil restauracion à la Republica de España, fo. 64v-66r. 112   M. González de Cellorigo : Memorial de la politica necessaria, y vtil restauracion à la Republica de España, fo. 59r. 113   Sulla Alegación cfr. Israël Salvator Révah : Un texte retrouvé : le plaidoyer en faveur des ‘Nouveaux-Chrétiens’ portugais du licencié Martín González de Cellorigo, juge de biens confisqués à l’Inquisition de Tolède. In : Revue des études juives 122 (1963), 279-398 (in appendice al suo saggio, I. S. Révah ha riprodotto il testo della Alegación). – Elisa Caselli : Martín González de Cellorigo y su Alegación de 1619 : razón política de los estatutos de limpieza de sangre. In : La Monarquía de Felipe III : La Corte (Volumen III). Directores : José Martínez Millán, Maria Antonietta Visceglia. Madrid : Fundación MAPFRE - Instituto de Cultura 2008, pp. 907-914. 114   Nel febbraio del 1601 la Cancelleria fu trasferita prima a Medina del Campo, poi a Burgos ; nell’estate del 1606 tornò a Valladolid. Cfr. Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 95, p. 281. – Narciso Alonso Cortés : Noticias de una corte literaria, pp. 19-20. – José Antonio Escudero : El traslado de la Corte a Valladolid, p. 267, p. 271. – José Antonio Escudero : La Corte de España en Valladolid : Los Consejos de la Monarquía a principios del siglo XVII, p. 483. 115   Questa prima edizione era “DIRIGIDA AL MVY ALTO Y MVY PODEROSO Catolico Principe de las Españas, y del Nueuo mundo, don Felipe nuestro señor”. L’autore si definiva “Abogado en los Consejos del Rey don Felipe II. nuestro señor”. Nella seconda edizione (Medina del Campo : Christoual Lasso y Francisco Garcia 1608) si legge invece : “Autor El licenciado Castillo de Bouadilla del Consejo del Rey don Felipe III. nuestro señor, y su fiscal en la Real Chancilleria de Valladolid”. Successive edizioni : Barcelona 1616. – Barcelona 1624. – Madrid 1649. – Amberes 1704. – Amberes 1745. – Amberes 1750. – Madrid 1759. - Madrid 1775. Cfr. Yolanda Clemente San Román : Tipobibliografía madrileña. La imprenta en Madrid en el siglo XVI (1566-1600). Kassel : Edition Reichenberger 1998, III, pp. 830-832 (nro. 720). – Cristóbal Pérez Pastor : La imprenta en Medina del Campo. Madrid : Establecimiento Tipográfico « Sucesores de Rivadeneyra » 1895, p. 363 (nro. 280). – Jean PeetersFontainas : Bibliographie des impressions espagnoles des Pays-Bas Méridionaux. Mise au point avec la collaboration de Anne-Marie Frédéric, attachée à la Bibliothèque royale de Belgique. Nieuwkoop / Pays-Bas : B. De Graaf 1965, I, pp. 109-110 (nro. 205, 206, 207). – Benjamin González : « Estudio preliminar » a : Jerónimo Castillo de Bobadilla : Política para Corregidores y Señores de Vasallos. Amberes : Iuan Bautista Verdussen 1704 (Edición facsimil. Editada por el Instituto de Estudios de Administración Local. Madrid, 1978), pp. 7-34 ; qui p. 33. 116   Benjamin González Alonso : Jerónimo Castillo de Bobadilla y la « Política para Corregidores y Señores de Vasallos ». In : B. G. A. : Sobre el estado y la administración de la Corona de Castilla en el Antiguo Régimen. Las Comunidades de Castilla y otros estudios. Madrid : Siglo XXI de España Editores 1981, pp. 85-139 ; qui p. 85 e p. 132. Su Castillo de Bobadilla e la sua Política, cfr. inoltre Francisco Tomás y Valiente : Castillo de Bobadilla. Semblanza personal y profesional de un juez del Antiguo Régimen. In : F. T. y V. : Gobierno e instituciones en la España del Antiguo Régimen. Madrid : Alianza Editorial 1982, pp. 179-251.  



























































































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mo Castillo de Bobadilla, “radicalmente pesimista” 117 ed espressa in detti (“La malicia y mala inclinacion, es natural à todos los hombres” ; 118 “el mayor contrario y enemigo que el hombre tiene, no es el demonio, sino el hombre” ; 119 “Lupus est homo homini” 120) che ricordano il Guzmán de Alfarache del suo coetaneo ( Jerónimo Castillo de Bobadilla era nato a Medina del Campo nel 1547) Mateo Alemán, 121 si riflette sulla sua concezione politica elitista. Il grande giurista, di famiglia hidalga, giustifica il suo conservatorismo e il suo accentuato antiegalitarismo col ricorso alla dottrina organicistica della società e a quella paolina del corpo mistico (“es orden divina y natural, que las criaturas menores, y menos perfectas, sirvan à las mas dignas, y de mayor perfecion, y segun el Apostol San Pablo, mientras este mundo durare, los hombres han de ser superiores à otros hombres […]. Y como en el cuerpo humano ay diversos miembros, unos mas nobles que otros, assi en el cuerpo de la republica ay partes que son inferiores à otras” 122). La struttura della società, articolata in ‘stati’ – al vertice il Re, vicario di Dio in terra, 123 “hazedor de la ley” 124 e fonte di giustizia, 125 e, al gradino immediatamente inferiore, “los grandes señores, y Titulados”, che sono “vicarios de los Reyes” e “como los huessos, y la firmeza del Estado, sin los quales seria como un cuerpo compuesto de carne y pluma, sin huessos, ni nervios” 126 –, è gerarchica e corrisponde al disegno divino e all’ordine celeste. Ai nobili vanno quindi riservati gli alti posti della amministrazione statale e, in particolare, quelli della amministrazione della giustizia 127 (ma per evitare gli abusi e le prevaricazioni  

   

   

















117   B. González Alonso : Jerónimo Castillo de Bobadilla y la « Política para Corregidores y Señores de Vasallos », p. 92. 118   Politica Para Corregidores Y Señores De Vassallos, En Tiempo De Paz, Y De Guerra. Y Para Juezes Eclesiasticos Y Seglares y de sacas, Aduanas, y de Residencias, y sus Oficiales : y para Regidores, y Abogados, y del valor de los Corregimientos, y Goviernos Realengos, y de las Ordenes. Autor El Licenciado Castillo de Bovadilla del Consejo del Rey Don Felipe III. nuestro Señor, y su Fiscal en la Real Chancilleria de Valladolid. Està añadida, y enmendada por el Autor, y los Indices mejorados. Y en esta ultima impression diligentemente corregida de muchas faltas que avian en las otras impressiones, y expurgada segun el expurgatorio del año 1640. En Amberes, En casa de Juan Bautista Verdussen, Impressor y Mercader de Libros, 1704. Con gracia y Privilegio, 2 tom. (Edición facsimil. Editada por el Instituto de Estudios de Administración Local. Madrid, 1978), Tomo I, Lib. II, Cap. XI, num. 1, p. 330. 119   J. Castillo de Bobadilla : Politica para Corregidores. Tomo II, Lib. V, Cap. II, num. 2, p. 498. 120   J. Castillo de Bobadilla : Politica para Corregidores. Tomo II, Lib. V, Cap. II, num. 3, p. 499 (la frase, tratta dalla Asinaria di Plautus, J. Castillo de Bobadilla la cita al margine insieme a frasi simili tratte da opere di Seneca, Orazio ed altri, con le quali illustra la sua completa sfiducia nell’uomo). 121   “Todo anda revuelto, todo apriesa, todo marañado. No hallarás hombre con hombre ; todos vivimos en asechanza los unos de los otros...”. – “Toda cosa engaña y todos engañamos...”. – “[...] según el trato de hoy, de tal manera corre la malicia, que más nos debe admirar no ser engañados, que de serlo” (Mateo Alemán : Guzmán de Alfarache. Edición de José María Micó. Madrid : Cátedra 1994, I, p. 298 ; II, p. 72, p. 157). 122   J. Castillo de Bobadilla : Politica para Corregidores. Tomo II, Lib. III, Cap. I, num. 1, pp. 2-3. 123   “[…] el Rey … es Dios en la tierra”. – “[…] los Reyes y Señores por divina disposicion son constituydos por Dios, para que presidan en la tierra por el, y sustenten las cosas en su orden, policia y concierto, y son ministros suyos, y son entre los hombres los mejores en linage y poderio, y los que estan obligados à serlo en santidad y virtud, para que con su buen exemplo y ordenaciones, rijan y goviernen à los subditos è inferiores” ( J. Castillo de Bobadilla : Politica para Corregidores. Tomo I, Lib. II, Cap. X, num. 15, p. 313 ; Cap. XVI, num. 11, p. 443). 124   J. Castillo de Bobadilla : Politica para Corregidores. Tomo I, Lib. II, Cap. VIII, num. 53, p. 322. 125   “[…] el Rey es juez de los juezes, y todos los magistrados y dignidades proceden y se derivan del como de fuente de justicia”. – “todas las jurisdiciones residen en el Principe, y del emanan y proceden como de fuente, y à el mismo tornan y se debuelven” ( J. Castillo de Bobadilla : Politica para Corregidores y Señores de Vassallos, Tomo I, Lib. I, Cap. II, num. 21, p. 16 ; Lib. II, Cap. XVI, num. 76, p. 460). 126   J. Castillo de Bobadilla : Politica para Corregidores y Señores de Vassallos, Tomo I, Lib. II, Cap. XVI, num. 9 e 226, p. 442 e p. 488. 127   “[…] es necessaria la nobleza en el juez, porque con ella tiempla el rigor del derecho, es cortes, placable, humano, oye à todos, à todos se acomoda y agrada, assi al actor que vence, como al reo condenado, pero el juez ignoble, […] es grave, severo, triste, y en sus palabras terrible, y à los que litigan ante el aborrecible, y  

































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anche gli escribanos dovrebbero essere hidalgos 128). Il “buen linage” degli alti funzionari dello Stato – corregidores inclusi, naturalmente – è una garanzia di buon governo perché, per assolvere i loro compiti, “es menester fidelidad, fortaleza, y prudencia, y las de mas partes que cria la nobleza : la qual es gran aparejo … para las buenas costumbres pues de ordinario produze verguença para huir la torpeza, y causa desseo de la honra, y es corrector para no errar, è inclina à loables operaciones”. 129 Gli stessi sudditi considerano, del resto, cosa intollerabile che siano concessi onori e affidati uffici di governo a persone prive di nobiltà, perché sono persuasi “que el defeto de la sangre les quita la habilidad del governar”. 130 Jerónimo Castillo de Bobadilla esige però che alla nobiltà di sangue sia congiunta la virtú e che si preferisca “la nobleza de costumbres à la del linage”, nel caso che il nobile non sia anche virtuoso. 131 L’autore della Política para Corregidores y Señores de Vassallos, per il quale la “cosa la mas importante à la republica … es la administracion de la justicia”, 132 chiede esplicitamente che coloro “que tienen cargo de justicia” siano “hijos dalgo de padre, y madre”, “limpios” e “Christianos viejos”, e che siano esclusi dagli uffici pubblici i conversos, definiti “muy perniciosos para las comunidades”, per essere “sediciosos, codiciosos, y ambiciosos”. 133 Non solo i conversos dovrebbero però essere esclusi dagli uffici pubblici, ma anche tutti i mercanti, i meno atti a governare i municipi per la loro mentalità (“habito y costumbre de la codicia y ganancia” 134), i loro traffici e i loro interessi. 135 L’incompatibilità del commercio e di ogni attività tesa al guadagno con l’esercizio di funzioni pubbliche deve, in ogni modo, valere per tutti. Sia ai Corregidores, sia anche agli “Alcaldes, Oydores, y Consejeros, y otros juezes perpetuos del Rey, y de Señores”, deve essere rigorosamente vietata ogni attività commerciale ed ogni speculazione economica e finanziaria, perché “el trato y mercancia repugna … à la nobleza  

















procura oprimir à los nobles, para ygualar los estados : lo qual no haze el juez noble, porque no tiene en que invidiar à los mas humildes : porque la invidia no se endereça à lo menor” ( J. Castillo de Bobadilla : Politica para Corregidores. Tomo I, Lib. I, Cap. IV, num. 24, p. 57). 128   “Quantos males hemos leydo, oydo y visto, que cometen escrivanos, indignos de sufrirse, que los tolera la Republica, como olvidada en un profundo sueño, nacen cómunmente … de venderse estos oficios en especial por tan excessivos precios : porque … el que los compra, necessariamente los ha de vender…. Y aun avia de refrenarse el gran numero que ay de escrivanos, pues todos se han de sustentar de los oficios, y causan mas daños, y envilecense los oficios […]. Tambien nacen estos males del poco valor y pecho de algunos juezes en sufrir y tolerar los excessos de los escrivanos […]. Dos oficios hallo yo, que à mi parecer avian de exercerse por hombres de buen linage y de satisfacion : el uno es el del boticario, de cuya sola confiança dependen las vidas de los hombres, y el otro el de escrivano, de quien dependen vidas, honras, y haziendas, porque el uno con la pluma, y el otro con la purga matan callando, mas que un exercito de enemigos combatiendo. Yo me acuerdo, aunque no soy muy viejo, que los escrivanos publicos solian ser hombres muy hidalgos, y de los mas principales de los pueblos” ( J. Castillo de Bobadilla : Politica para Corregidores. Tomo II, Lib. III, Cap. XIV, num. 38-40, p. 249). 129   J. Castillo de Bobadilla : Politica para Corregidores. Tomo I, Lib. I, Cap. IV, num. 22, pp. 56-57. Nel secondo tomo J. Castillo de Bobadilla ribadisce che “el buen linage incita à fortaleza, à lealtad, à generosidad, y à las otras virtudes” (Politica para Corregidores. Tomo II, Lib. III, Cap. VIII, num. 7, p. 119). 130   J. Castillo de Bobadilla : Politica para Corregidores. Tomo I, Lib. I, Cap. IV, num. 23, p. 57. 131   J. Castillo de Bobadilla : Politica para Corregidores. Tomo I, Lib. I, Cap. IV, num. 30-32, pp. 58-59. 132   J. Castillo de Bobadilla : Politica para Corregidores. Tomo I, Lib. I, Cap. XVI, num. 1, p. 199. In precedenza aveva scritto : “la justicia, y los oficiales della, que han de saber el derecho y juzgarlo, que son los Corregidores, son la causa eficiente, cabeça è instrumento principal por do se ha de regir y mantener la Republica en paz y justicia ; y los hombres de armas son los miembros, y materiales, que obedeciendo à la dicha cabeça, y executando sus ordenes, han de ministrar la Republica” (Tomo I, Lib. I, Cap. IX, num. 21, p. 100). 133   J. Castillo de Bobadilla : Politica para Corregidores. Tomo I, Lib. I, Cap. IV, num. 25-29, pp. 57-58. 134   J. Castillo de Bobadilla : Politica para Corregidores. Tomo I, Lib. II, Cap. XII, num. 5, p. 358. 135   “[…] la vida del mercader es vil, y contraria à la virtud, y aquel es mejor mercader, que mas adquiere : y es mucho de llorar que los que con usuras, falacias, y engaños acumulan dineros, rijan y goviernen las Republicas, y habituados à las ganancias, negocien con tan miserable perdida y jactura de los subditos […]” ( J. Castillo de Bobadilla : Politica para Corregidores. Tomo I, Lib. II, Cap. XII, num. 34, p. 364).  































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de sus personas, y à la dignidad y esplendor de sus oficios”. 136 Jerónimo Castillo de Bobadilla ha però piena coscienza che la società gerarchica degli ordini, la società come comunità del corpo mistico, ha subito un processo di degenerazione causato dalla forza dissolutrice e corruttrice del denaro, che la ricchezza, ormai identificata con la nobiltà, 137 ha un ruolo decisivo nella formazione delle élites di potere e di governo (“los ricos y nobles son cabeça de la republica” 138), che dalla ricchezza dipendono “las honras el dia de oy” 139 e che la stessa “justicia es violada, y padece fuerça con el dinero”. 140 Sa, naturalmente, che gli uffici sono venduti – “por las grandes obligaciones y necessidades de su Magestad” 141 – come una merce qualsiasi oppure sono conferiti per clientelismo o familismo, pratiche, queste, che rendono impossibile la corretta amministrazione della giustizia, impoveriscono i cittadini, sfruttati a sangue e privati dei beni municipali comuni, e distruggono lo Stato. 142 Sa, per esperienza personale, che la figura del corregidor e del giudice da lui tratteggiata ha scarso riscontro nella realtà, nella quale, in vece di pubblici ufficiali equanimi, sereni, retti, imparziali, benevoli e misericordiosi, 143 si incontrano a  















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  J. Castillo de Bobadilla : Politica para Corregidores. Tomo I, Lib. II, Cap. XII, num. 35-36, pp. 364-365.   Cfr. B. González Alonso : Jerónimo Castillo de Bobadilla y la « Política para Corregidores y Señores de Vasallos », pp. 94-95. 138   J. Castillo de Bobadilla : Politica para Corregidores. Tomo I, Lib. I, Cap. IV, num. 35, p. 59. Nel « Summario Del Capitulo quarto » aveva ancora scritto (p. 50) : “Los nobles son cabeça de la Republica” ! 139   J. Castillo de Bobadilla : Politica para Corregidores. Tomo I, Lib. I, Cap. XI, num. 24, p. 129. 140   J. Castillo de Bobadilla : Politica para Corregidores. Tomo I, Lib. II, Cap. XI, num. 18, p. 336. 141   J. Castillo de Bobadilla : Politica para corregidores y señores de vassallos. Tomo II, Lib. III, Cap. VIII, num. 286, p. 193. 142   Con estrema durezza e coraggio Jerónimo Castillo de Bobadilla stigmatizza la vendita degli uffici pubblici, effettuata – non lo dimentichiamo – su ordine, o comunque con il consenso, del Re : “[…] venderse los Oficios y magistrados, no es otra cosa, sino colocar en los tribunales la avaricia, y no la justicia : y vender juntamente la justicia, vender la Republica, vender la sangre de los subditos, vender las leyes, y quitar los premios del honor, de virtud, de dotrina, de piedad, de religion, y abrir la puerta à los latrocinios, à la avaricia, à la injusticia, à la ignorancia, à la impiedad ; y finalmente à todos los vicios y fealdades. Porque es muy dificultoso … que el que compra el Oficio, dexe de venderlo” ( J. Castillo de Bobadilla : Politica para Corregidores. Tomo I, Lib. I, Cap. III, num. 21, p. 26). Con altrettanta durezza viene denunziata la pratica clientelare e familistica del conferimento di uffici : “[…] governar la Republica por solo el merito de la privança, es dar à la persona Oficio, y dexar al Oficio sin persona : à modo de casada que tiene inutil marido, la qual es reputada por viuda : y ay de la tal Republica, porque puede dezir con san Augustin (De Civitate Dei), Que son los Reynos con falta de justicia, sino congregaciones de ladrones ? […] una cosa tan santa e importante, como es la administracion de la justicia, no se deve dar à trueco de privanças, no en ferias de servicios, no por precio de dineros, ni en gratificacion de parentesco, ni finalmente en descuento y descargo de amistad. Veys pues como cosa tan necessaria al bien comun, no deve ser dada à trueco de lo temporal que es la hez del mundo” (Tomo I, Lib. I, Cap. XI, num. 7, num. 10, p. 124). Nel capitolo intitolato « De la venta de los Regimientos », Jerónimo Castillo de Bobadilla illustra le usurpazioni, le prevaricazioni, gli abusi, le speculazioni, gli imbrogli e le vere e proprie rapine commessi da coloro che hanno comprato delle regidurías : “Pregunto yo, en que se funda el que vende toda su hazienda para comprar un Regimiento ? y el que no tiene que vender, si toma el dinero à censo para ello, no siendo el salario del Oficio, à lo mas, de dos, ò tres mil maravedis ? Para que tanto precio por tan poco estipendio ? Para que tanto empeño por tan poco provecho ? Facil es de responder, que lo haze para traer sus ganados por los cotos, para cortar los montes, caçar y pescar libremente, para tener apensionados y por Indios à los bastecedores, y à los oficiales de la Republica, para ser regatones de los mantenimientos y otras cosas, en que ellos ponen los precios, para vender su vino malo por bueno, y mas caro, y primero para usurpar los propios y positos, y ocupar los baldios, para pedir prestado à nunca pagar, para no guardar tassa ni postura comun, para vivir suelta y licenciosamente, sin temor de la justicia, y para tener los primeros assientos en los actos publicos, y usurpar indignamente los agenos honores” ( J. Castillo de Bobadilla : Politica para corregidores y señores de vassallos. Tomo II, Lib. III, Cap. VIII, num. 286, p. 193). 143   “Deven los juezes traer la equidad ante los ojos, no fantaseada por vano cerbelo, sino regulada por el derecho, porque […] de las partes de buen juez es sentenciar con justicia, y executar con misericordia […], y la misericordia es parte y porcion de la justicia […]. […] la justicia se deve executar en los errados, pero no con tan gran rigor que se cierre aquella loable puerta de la clemencia, que haze à los juezes amados” ( J. Castillo de Bobadilla : Politica para Corregidores. Tomo I, Lib. II, Cap. III, num. 6, p. 252).  

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volte tipi sadici e ‘infernali’, che sono la perfetta negazione del suo ideale. 144 Constata con amarezza che in Ispagna viene macchiata e annichilita la dignità degli uffici “con la obscura sangre y vileza de las personas” che li ricoprono e che questo avviene “tambien en los Regimientos, siendo assi, que aun es prohibido ser escrivanos, y mercaderes los que son Regidores, quanto mas personas de peor suerte, y condicion, cuya vida sea vil y contraria à la virtud”. 145 Rileva con non minore amarezza altri significativi indicatori della profonda trasformazione della società degli ‘ordini’, quali l’acquisto di señoríos da parte di private persone, di ‘borghesi’, in particolare, di mercanti, 146 e la penetrazione, in talune città, di hombres mecánicos in uffici ricoperti prima esclusivamente da cavalieri. 147 L’aristocraticismo, il reazionarismo e il tradizionalismo 148 di Jerónimo Castillo de Bobadilla – assoluti, ma pervasi da un alto senso delle Istituzioni, da un’ansia profonda di giustizia (anche di giustizia sociale 149), da una viva preoccupazione per il bene comune  











144   “[…] yo conoci un Corregidor, que tuvo oficios muy grandes en estos Reynos, que quando el delinquente confessava en el tormento, yva muy ufano à su aposento, y dezia à su muger y familia, Carne tenemos ; como pudiera dezir un tigre, ò leon, tomando, ò despedaçando alguna presa […] : y estos tales communmente tienen mal zelo, y desseo privado de hallar culpa, para que el acusado sea condenado y padezca, y à esto endereçan los dichos de los testigos, y todas las diligencias y autos que hazen : lo qual el Corregidor noble, recto, y Christiano, deve aborrecer y no usarlo jamas, sino inquirir la verdad de la culpa, y hazer en ella justicia con senzillez y pureza, y sin estos afectos infernales” ( J. Castillo de Bobadilla : Politica para Corregidores. Tomo I, Lib. II, Cap. III, num. 24, p. 256). 145   J. Castillo de Bobadilla : Politica para Corregidores. Tomo II, Lib. III, Cap. VIII, num. 6, p. 119. 146   Quando la società tradizionale era ancora quasi intatta, “no avia” – scrive Jerónimo Castillo de Bobadilla – “tantos Señores de vassallos particulares, como agora que los ay à cada passo mercaderes, y otros sin las dichas calidades [ser hombres nobles, y de buen linage] que avian de tener para serlo, y ser respetados de los vassallos : y es cosa indigna, que la autoridad Real del vassallage se conceda à todos, y ande tan comun : y estos tales indignos desta dignidad avian de ser quitados della, y quando la pidiessen, punidos” (Politica para Corregidores. Tomo I, Lib. II, Cap. XVI, num. 39, p. 454). 147   “[…] ay ciudades en estos Reynos donde los Alguaziles mayores tienen voz y voto y assiento principal en los cabildos, y en que solian ocuparse cavalleros : y vemos algunas vezes en estos oficios à hombres mecanicos, y muy indignos dellos” ( J. Castillo de Bobadilla : Politica para Corregidores. Tomo I, Lib. I, Cap. XIV, num. 26, p. 184). 148   “Deve informarse el Corregidor de los buenos usos y fueros de su provincia, y loarlos y guardarlos, y acrecentarlos, de manera que siempre vayan en aumento : porque […] tres cosas ha de observar entre otras el governador. Una, que guarde justicia, y observe las otras virtudes, para todo lo necessario à la Republica. Otra, que procure conservar el estado de la ciudad, y no invente, ni ingenie novedades, sino que vaya por el camino que ordenaron los antiguos, y por do fueron los predecessores : porque las novedades suelen causar antes daño que provecho en la Republica. Y lo tercero, que tenga poder y autoridad del pueblo para executar de lo que convenga. Jamas se determine el Corregidor en ir contra las buenas costumbres de su lugar sin causa de utilidad muy evidente […]. Y quando la huviere, comunique la con los Regidores, y sabios del pueblo […] : porque no sea juzgado por hombre novelero, capitoso, y acelerado” ( J. Castillo de Bobadilla : Politica para Corregidores. Tomo I, Lib. I, Cap. V, num. 9, pp. 62-63). 149   “En estos Reynos de muchos años à esta parte por nuestros pecados, o por el crecimiento y propagacion de la gente, la esterilidad de los tiempos ha sido tanta, que se han padecido hambres y trabajos por la falta del pan. Y aunque para el proveymiento desto se han hecho leyes bien consideradas, todavia en la necessidad hemos visto que la han padecido los pobres [...]. […] me acuerdo, que siendo yo Corregidor de la ciudad de Guadalaxara, el año de ochenta y cinco, que fue muy esteril, sali à la tierra della con un Regidor, y en ocho dias embie à la ciudad mas de ocho mil hanegas de trigo, componiendolo con los dueños, y pagandoles luego, y dexandoles muy cumplidamente lo necessario para sustentar sus familias, para sus rentas y diezmos, y hazer sus siembras, y aun para cumplir con otras necessidades. […] Otras vezes, quando ay muy gran falta de trigo, al principio de Agosto se toma prestado de lo que està ya limpio en las eras y aun de la harina que està en los molinos, para proveer de presto la instante necessidad : y esto se ha de bolver de lo primero à sus dueños, tal y tan bueno. Y es de advertir en prevenir con tiempo à la falta del pan, porque en començando à sentirse, crece el hambre, y […] en tiempo della se come mas : y assi no deve el Corregidor hazer mucho ruydo, ni escandalo en el remedio della. En estas ocasiones muchas vezes hize sacar el trigo sobrado, no solo de casa de seglares, pero de canonigos y clerigos ricos, y aun dellas Iglesias, y de los Obispos, y de sus mayordomos, que lo grangean y venden à precios, y por modos injustos […]. Pero son luego ciertas las pesadumbres que dan los ecclesiasticos con censuras y assi se pone el Corregidor à mucho peligro, y deve ser favorecido de los superiores. Y ya me su 





























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(“la utilidad publica se deve preferir à la particular” ; 150 “el Corregidor … ha de preferir el bien publico al interesse proprio particular” 151 ) e da una fermissima e perfettamente ortodossa fede cattolica 152 – erano sicuramente condivisi nei vasti settori degli ambienti intellettuali e nobiliari (e non solo ! 153), legati ancora ad una concezione medievale, teologica, per non dire quasi teocratica, 154 dello Stato come immagine di un ordo divino e della società come comunità del corpo mistico. Polemizza l’autore della Pícara Justina contro l’affanno genealogico e nobiliario dei parvenus perché lo considerava – come Martín González de Cellorigo – la causa dell’indebolimento della medianía ? O perché nell’ascesa degli ‘uomini nuovi’, soprattutto quelli di oscure e dubbiose origini, ravvisava – come Jerónimo Castillo de Bobadilla – la causa della disgregazione della società degli ‘ordini’, della società come comunità del corpo mistico ?    





   







Ma torniamo al dibattito sugli Estatutos. Questo dibattito, scrive Henry Kamen, “es una buena prueba tanto de la diversidad de opiniones entre los españoles como de la relativa libertad de expresión que existía en ciertas áreas de la vida de la España del siglo XVI”. 155 Insomma, negli anni in cui l’autore della Pícara Justina concepisce e scrive il romanzo – sono i primi anni di regno di Filippo III, nei quali si ebbe “un asombroso estallido de libertad de expresión” 156 –, la critica degli Estatutos de limpieza de sangre e la denuncia della ‘purezza’ dei cristianos viejos come mistificazione, come frutto della dimenticanza e della loro bassa condizione sociale, non erano né originali, né trasgressive, e neppure pericolose. La riforma degli Estatutos de limpieza de sangre era, infatti, “un proyecto compartido por monarcas, favoritos, inquisidores, alta nobleza, jesuitas, obispos y hombres de negocios”. 157 È da sottolineare, in particolare, la circostanza che questa riforma era  





cedio caso, en el qual huvo al parecer de la ciudad toda justificacion, y denegò el Consejo la provision ordinaria de absolucion por ochenta dias, y se huvo de bolver cierto trigo que se avia tomado para la dicha necessidad publica, à un mayordomo de un Arçobispo. Ay algunos avarientos Prelados, que en tales necessidades son tan faltos de caridad y socorro, que no solamente dexan padecer estremas necessidades à los pueblos de su cargo, y morir de hambre las ovejas que esquilman, pero por el dinero no quieren venderles el trigo” ( J. Castillo de Bobadilla : Politica para Corregidores. Tomo II, Lib. III, Cap. III, num. 11-15, pp. 20-22). 150   J. Castillo de Bobadilla : Politica para Corregidores. Tomo I, Lib. I, Cap. XIV, num. 13, p. 189. 151   J. Castillo de Bobadilla : Politica para Corregidores. Tomo I, Lib. II, Cap. I, num. 8, p. 216. 152   Parlando della Inquisizione, Jerónimo Castillo de Bobadilla scrive : “gracias à Dios que con este tan santo Oficio florece España entre todas las provincias del mundo en la Christiana Fè y religion” (Politica para Corregidores. Tomo I, Lib. II, Cap. XVII, num. 201, p. 540). 153   La Política para Corregidores – scrive Benjamin González Alonso ( Jerónimo Castillo de Bobadilla y la « Política para Corregidores y Señores de Vasallos », p. 106) – “es espejo de la Castilla de Felipe II, y Castillo, el fedatario de lo que la mayoría sentía, creía y pensaba.” 154   “[…] la Jurisdicion Eclesiastica … es el Sol, y lumbrera mayor, de la qual recibe luz la Luna, y autoridad la Jurisdicion temporal, que es la menor” ( J. Castillo de Bobadilla : Politica para Corregidores. Tomo I, Lib. II, Cap. XVIII, num. 12, p. 549). 155   H. Kamen : Una crisis de conciencia en la Edad de Oro en España : Inquisición contra “Limpieza de sangre”, p. 333. 156   H. Kamen : Una crisis de conciencia en la Edad de Oro en España : Inquisición contra “Limpieza de sangre”, p. 341. 157   E. Asensio : La España imaginada de Américo Castro, p. 171. Gli avversari della moderazione e limitazione degli Estatutos era formata invece, scrive I. S. Révah, dalla massa dei candidati a qualche ufficio o a qualche dignità, “issus des classes inférieures et de la paysannerie” – le classi nelle quali “l’infiltration de sang juif avait été faible ou nulle, et pour lesquelles les enquêtes généalogiques étaient presque dénuées de sens” –, e dalla potente lobby costituita da quelli che erano riusciti “légitimement ou frauduleusement, à faire établir leur totale pureté raciale” (I. S. Révah : La controverse sur les Statuts de pureté de sang, p. 267). Il gruppo piú influente di questa lobby era formato dai collegiali del Colegio de San Bartolomé di Salamanca. Il ruolo svolto da questo gruppo fu decisivo per impedire una vera riforma degli Statuti (cfr. E. Asensio : La España imaginada de  



























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voluta dal Duca di Lerma e da suo zio, il Cardinale Don Bernardo de Sandoval y Rojas, Arcivescovo di Toledo e Primate delle Spagne. Insomma, attaccando gli Statuti si poteva contare sul consenso “des chefs du Saint-Office” degli anni 1580-1643, 158 di Vescovi, di Arcivescovi 159 e di Cardinali, di potenti ministri, di altolocati personaggi, di vasti ed influenti gruppi sociali e degli stessi Re di Spagna. “Es un odio mortal el que en España se tiene a los estatutos de limpieza”, scriveva – verso il 1623 – con amarezza D. Enrique Pimentel (figlio bastardo di D. Juan Alfonso Pimentel y Herrera, Conte di Benavente), cavaliere di Alcántara, Vescovo di Cuenca e consigliere degli Ordini Militari, preoccupato della svalutazione degli hábitos. 160 Attaccare gli Statuti, o chiederne la riforma, era certamente piú conforme allo ‘spirito’ dell’epoca 161 (oggi si direbbe piú ‘politicamente corretto’) di quanto non lo fosse il difenderli (lo dimostra il fatto che rare furono le voci levatesi in loro difesa durante il lungo dibattito 162). Non è quindi assolutamente corretto  









Américo Castro, p. 174. – I. S. Révah : La controverse sur les Statuts de pureté de sang, p. 299-300). Il potere dei famosi Bartolomicos era però andato scemando. Gil González Dávila scrive, infatti, nel 1606, esaltando il Colegio de S. Bartolomé, “que vn tiempo estuuo todo el gouierno de España de Arçobispados, Obispados, Presidencias, en hijos desta casa” (Historia de las antigvedades de la Civdad de Salamanca, p. 343). 158   I. S. Révah : Gil González de Ávila et les Statuts de pureté de sang, p. 511 e p. 517. Oltre agli Inquisitori già ricordati, furono contrari agli Statuti D. Diego Serrano de Sylva, “Inquisidor de Cuenca, Fiscal y Consejero de la Santa General Inquisición”, e il “Padre Hernando de Salazar, de la Compañia de Iesus, del Consejo supremo de la santa Inquisicion”, confessore del Conte-Duca Olivares. Su D. Diego Serrano de Sylva – fu autore di un Discurso sobre los estatutos de limpieza (Madrid, Biblioteca Nacional : Ms. 10431, fo. 131-150) del quale A. Dóminguez Ortiz (La clase social de los conversos en Castilla en la Edad Moderna. Ed. facs. Granada 1991, pp. 243-244) ha trascritto alcuni passi – e su Hernando de Salazar, cfr. I. S. Révah : Gil González de Ávila, pp. 514-516 e p. 518. 159   Come il monaco benedettino Antonio Pérez, Arcivescovo di Tarragona (fu Abate del Monastero di San Vicente di Salamanca e di San Benito di Valladolid, Vescovo di Madrid, di Lérida e di Ávila, Generale del suo Ordine). Cfr. I. S. Révah : Gil González de Ávila, pp. 513-514. 160   Cfr. A. Dóminguez Ortiz : La clase social de los conversos en Castilla en la Edad Moderna. Ed. facs. Granada 1991, pp. 244-245. 161   Antonio Domínguez Ortiz (Los conversos de origen judío después de la expulsión, p. 332), scrive che la “suavización de los estatutos era una medida popular en muchos círculos”. 162   Nel 1575 Diego de Simancas, Vescovo di Badajoz (prima lo era stato di Ciudad Rodrigo, dal 1578 in poi lo sarà di Zamora), pubblicò, con lo pseudonimo di Diego de Velázquez, la sua Defensio Statuti Toletani (Antuerpiae, Ex officina Christophori Plantini, M.D.LXXV) contro gli attacchi che il predicatore francescano Fray Alonso de Lobo, converso, sferrava contro lo Statuto di Silíceo – definendolo “eresia” – nelle prediche tenute nella Chiesa di San Giacomo degli Spagnoli di Roma, dove l’autore delle celebri Institutiones Catholicae (Vallisoleti. Ex Oficina Algidi de Colonies Typographi. 1552) si trovava per il processo contro Bartolomé de Carranza, Cfr. La vida y cosas notables del señor Obispo de Zamora Don Diego de Simancas, natural de Córdoba, Colegial del Colegio de Santa Cruz de Valladolid, escrita por el susodicho. In : Autobiografías y Memorias. Coleccionadas é ilustradas por M. Serrano y Sanz (= Nueva Biblioteca de Autores Españoles, 2). Madrid : Bailly/ Baillière 1905, pp. 151-210 ; qui p. 172. – A. A. Sicroff : Les controverses, pp. 157-167. – S. Pastore : Il Vangelo e la spada. L’Inquisizione di Castiglia e i suoi critici (1460-1598), pp. 414-415. Oltre tre decenni dopo, il Licenciado Balthasar Porreño, un sacerdote della clientela dei Mendoza conosciuto per i Dichos y Hechos del Señor Rey Don Felipe II e per la Vida y hechos hazañosos del Gran Cardenal Don Gil de Albornoz e per essere stato elogiato da Lope de Vega nel suo Laurel de Apolo, illustrò dettagliatamente e con ricchezza di documenti la storia dello Statuto della Cattedrale toledana, che egli riteneva “conforme a la naturaleza y a la razon” (fo. 51r), e tentò di confutare uno per uno gli argomenti degli oppositori alla sua introduzione nel tratado, già ricordato, intitolato : Defensa del estatuto de Limpieza que fundo en la Sancta Iglesia de Toledo el cardenal y Arzobispo Don Juan Martinez Siliceo. Dirigida al Dean y Cabildo dela dicha Sancta Iglesia de Toledo Madre, y Primada de las Españas. M.DC.VIII. (Madrid, Biblioteca Nacional : Ms. 13.043, fo. 2r-110r.) Balthasar Porreño, che sostiene “que en nuestra España la nobleza de los hombres nace de la limpieza de la sangre” e che lo Statuto di Siliceo favorisce i nobili (fo. 77r-79r), non nasconde che il motivo della discriminazione voluta dal Primate della Chiesa spagnola era di ordine sociale. Nel capitolo intitolato « Que la Iglesia de toledo Justamente hizo el estatuto contra los descendientes de Judios por sus bullicios y ambiciones » (fo. 89v-93r), Balthasar Porreño, riferendosi ai conversos, che definisce “entrometidos y ambiciosos”, scrive : “Es propio desta gente apetecer dignidades, tener beneficios y rentas ecclesiasticas para tenerlo todo rendido y sugeto por medio delo espiritual [...].” L’eliminazione di questi ambiziosi e inquieti concorrenti avviene quindi “con muchas ventajas delos cavalleros y hijosdalgo y  































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affermare, come fa Francisco Márquez Villanueva, che “combatir la limpieza era el máximo acto de rebeldía contra la sociedad española”. 163 Ma è poi proprio vero che l’autore della Pícara Justina abbia attaccato gli Statuti e il dogma della purezza di sangue ? Un chiaro, concreto riferimento alla limpieza de sangre e alle relative informaciones si trova nel numero intitolato « De el mesonero consejero », nel quale fra i molti consigli che il mesonero Diego Diez 164 dà alle figlie vi è anche questo :  











delos christianos viejos”, ai quali lo Statuto riserva “oficios y dignidades” della Cattedrale. Baltasar Elisio de Medinilla scrisse un opuscolo, andato perduto, En defensa del Estatuto de limpieza de Sangre del cabildo de Toledo. Diego de Simancas, Balthasar Porreño e Baltasar Elisio de Medinilla si limitano a difendere lo Statuto della Cattedrale di Toledo. Una difesa generale, benché per brevi riferimenti, degli Statuti fa invece Quevedo, nel suo violento pamphlet – recentemente scoperto – contro il Conte-Duca de Olivares e gli ebrei portoghesi, gli asentistas protetti dal favorito di Filippo IV (“Señor, no se debe fiar el príncipe del ministro que toma el oro y la plata de los judíos...”). Cfr. Francisco de Quevedo : Execración contra los judíos [Villanueva de los Infantes, 20 de julio de 1633]. Edición de Fernando Cabo Aseguinolaza y Santiago Fernández Mosquera (= Anejos de Biblioteca Clásica). Barcelona : Crítica 1996, p. 10, p. 13, p. 15, p. 29. Piú ampiamente difende gli Statuti Bartolomé Jiménez Patón in un suo specifico Discvrso indirizzato « Al Supremo Consejo, y mas Tribvnales del Santo Oficio de la Inqvisicion ». Pur riconoscendo che le esclusioni “tuuieran inconuenientes en ser generales, cerrando totalmente la puerta a los conuersos”, Bartolomé Jiménez Patón giustifica gli Statuti facendo notare che essi sono limitati a poche istituzioni particolari e che, come i christianos viejos, anche i christianos nuevos “son recibidos a honras, y dignidades Eclesiasticas, y seglares, como es Ordenarse, tener Prebendas, Canongias, y dignidades qualesquier [...], y aun Obispado [...] y en lo seglar escriuanos, Regidores, y Alcaldes, y qualesquier otros oficios, por muy honrosos que sean”. Cfr. DISCVRSO | EN FAVOR | DEL SANTO Y | LOABLE ESTATVTO | DE LA LIMPIEZA. | POR EL MAESTRO BAR- | tolome Ximenez Paton, Notario del | Santo Oficio, Catedratico de Latini- | dad, y Correo mayor de Villanueua | de los Infantes, y natural de | la villa de la Alme- | dina. | [Piccolo ornamento floreale] | CON LICENCIA. | [Linea tipografica] | En Granada, en la Imprenta de Andres de San- | tiago Palomino. Año de 1638 (Madrid, Biblioteca Nacional : U-9813), fo. 4v-5r. Anche Juan Escobar del Corro, Inquisitore di Llerena, difende nel suo Tractatus bipartitus de puritate et nobilitate probanda (Lyon 1637) tutti gli Statuti, ma chiede una profonda riforma delle informazioni genealogiche per eliminarne gli abusi e ritiene possibile che anche un individuo notoriamente discendente da ebrei, mori od eretici, possa essere qualificato come ‘cristiano vecchio’. Una falsa apologia degli Statuti è invece questo vastissimo trattato in-folio, strutturato in tre libri : [All’interno di una cornice floreale :] DEFENSA | DE LOS | ESTATVTOS, | Y | NOBLEZAS | ESPAÑOLAS. | DESTIERRO DE LOS | ABVSOS, Y RIGORES DE LOS | INFORMANTES. | POR EL P. M. Fr. GERONYMO DE | la Cruz, Lector de Theologia, en el Real de San | Geronymo de Madrid. | [Ornamento floreale] | CON LICENCIA, Y PRIVILEGIO. | En Zaragoça ; en el Hospital Real, y General de | nuestra Señora de GRACIA. | Año M.DC.XXXVII. (Madrid, Biblioteca Nacional : 3/62.307.) Già la dedica « Al Excelentismo. Señor Conde Dvque de Olivares » fa intuire chiaramente che la confutazione punto per punto degli argomenti esposti da Salucio a favore della riforma degli Statuti (Libro I) e la « Apologia en favor de los Estatutos, limpieza, y nobleza de España » (Libro II) non costituiscono altro che un machiavellico stratagemma di Fray Gerónimo de la Cruz per meglio perorare – sia nel Libro II, sia nel Libro III (« En que se persuade a los Principes, Consejos, y Comunidades, la moderacion de las informaciones, y el destierro de algunos abusos ») – la causa che tanto stava a cuore all’onnipotente favorito di Filippo IV. Il frate geronimita ammette del resto esplicitamente di concordare sostanzialmente con Salucio : “Discordamos en el modo [...]. Y concordamos en la intencion” (« Argvmento, y Declaracion del Libro »). Nel corso del suo trattato Fray Gerónimo de la Cruz prova “que es justa la ley de los tres actos positiuos para adquirir limpieza, y nobleza” (pp. 181-186), critica coloro che “con zelo de la Religion, la diuiden” e che pensando di onorarla “la destruyen” (p. 192), sostiene che “excluir, por defecto de sangre, a los que llaman Christianos nueuos, es contra justicia, y contra el tenor de los Estatutos” (pp. 193-203) e che “permitir Cofadrias con Estatuto de limpieza, es contra el fin para que se instituyeron” (pp. 207-214), si richiama alla dottrina del corpo mistico di San Paolo sia per dimostrare che tutti i cristiani, come membri di tale corpo, hanno pari dignità e ugual diritto a ricevere “beneficios, y dones” dei Principi (pp. 231-244), sia per spezzare una lancia a favore di quella meritocrazia costantemente propugnata da Olivares (pp. 252-255 : “conuiene al estado comun de la Republica, para su aumento, distribuir con igualdad las honras a los benemeritos”). Sulle opere di Diego de Simancas, Balthasar Porreño, Juan Escobar del Corro e Gerónimo de la Cruz, cfr. A. A. Sicroff : Les controverses, pp. 157-181 e pp. 223-262. Sulla Defensa de los Estatvtos di Gerónimo de la Cruz cfr. inoltre I. S. Révah : Gil González de Ávila et les Statuts de pureté de sang, pp. 516-518. 163   Francisco Márquez Villanueva : El problema de los conversos : cuatro puntos cardinales. In : Hispania Judaica 2 (1980), 51-75 ; qui p. 61. L’affermazione dello studioso è sorprendente perché lui stesso riconosce che “la nobleza, la Iglesia y los altos órganos de gobierno miraban la limpieza con harto escasa simpatia” (p. 62). 164   Giustamente Rosa Navarro Durán sostiene che il cognome di Justina, contrariamente alla grafia invalsa  

















































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Nunca digays que vuestra ropa no es limpia, que en España es cosa afrentosa. Y para vencer tretas de huespedes, que para ver si la sauana estâ limpia, miran si estâ tiessa, y sin rugas, si cruxe, o no (como si huuieramos de almidonar las sauanas), para esto, lo que aueys de hazer, es, roziarlas y emprensarlas, que con esto podreys hazer informacion, que son limpias de todos quatro costados. 165  

La mancanza di limpieza è in Ispagna cosa disonorevole. Però un paio di accorgimenti, di trucchi, sono sufficienti per far apparire tanto “limpias” le cose (le persone !) prive di limpieza da poter essere sottoposte alle informaciones (de limpieza) e venir riconosciute “limpias de todos quatro costados”. Con trasparente, maliziosa ironia si allude qui alle falsificazioni genealogiche e alla corruttibilità degli informantes incaricati di accertare la limpieza de sangre degli aspiranti a insegne di Ordini Militari, dignità, onori, onorificenze, distinzioni, cariche, uffici, benefici e prebende. Un altro riferimento alla limpieza de sangre è contenuto nel seguente passo, che abbiamo già avuto occasione di citare e di commentare :  



Pues, que en este tiempo, en el qual en materia de linajes, ay tantas opiniones como mezclas ? verdad es que algun buen voto a auido, de que en España, y aun en todo el mundo, no ay si solos dos linajes, el vno se llama, el tener. Y el otro no tener. Y no me espanto, que la codicia del dinero es mondonguera, y haze morzillas de sangre de toda broza, por ser toda de vn color. Y cierto, que no es de espantar, que aya tantas opiniones de vn linaje, porque despues que en vna casa entran quatro, o cinco mugeres, cada qual de su suerte, como pan de diezmo, o como morzilla rellena, quien atinarâ qual es lo gordo, qual es lo magro, qual es el piñon, o qual es el ajo, o alcarabea ? 166  

   

Come abbiamo già osservato, il discorso della mescolanza del sangue e delle conseguenti incertezze sui lignaggi, cioè sulla loro limpieza, è qui chiaramente circoscritto a quelle nobili famiglie che, per cupidigia di denaro, si sono imparentate con donne di dubbia origine. Sembra però che l’autore della Pícara Justina, considerando la vastità del fenomeno della “mescolanza”, metta in dubbio la possibilità stessa dell’esistenza di sangue ‘puro’ e ridicolizzi quindi, indirettamente, gli Statuti di purezza di sangue e le relative informaciones e pruebas genealogiche – impossibili, del resto, “por ser [la sangre] toda de vn color”. In questo caso, la sua posizione ‘ideologica’, sarebbe molto simile a quella, già ricordata, dell’arcireazionario Quevedo, che si burlava della limpieza de sangre 167 (“toda la sangre,  

nelle moderne edizioni del Libro de entretenimiento, “no debe llevar acento y se pronuncia como un monosílabo : « Diez ».” Sarebbero, altrimenti, privi di senso i giochi verbali che si fanno nel testo con il cognome della pícara e il numero diez. Cfr. Rosa Navarro Durán : Acerca del verbo brincar, de una pantera con alas y otros casos : Problemas en la edición de textos picarescos. In : Edad de Oro 28 (2009), 249-268. – Rosa Navarro Durán : « Introducción » a : Francisco López de Úbeda (Baltasar Navarrete) : Libro de entretenimiento de la Pícara Justina, pp. LXXIV-LXXV. 165   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO PRIMERO, INTITVLADO LA PICARA Montañesa. CAPITVLO SEGVNDO [TERCERO !] DE LA vida de el meson. Numero primero. De el mesonero consejero », p. 82. 166   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO PRIMERO. CAPITVLO SEGVNDO DEL abolengo alegre. Numero Primero. Del abolengo parlero », p. 56. 167   Quevedo cambiò posizione sulla limpieza de sangre quando incominció a considerare pericolosa per la Monarchia spagnola la politica finanziaria del Conte-Duca, fondata sulla collaborazione con i banchieri ebrei portoghesi (sostituirono i banchieri genovesi) e sugli asientos stipulati – e da stipulare – con loro. Contro “la financiación del Estado a través de los judíos portugueses”, una “de las llagas de la política olivarista” (Fernando Cabo Aseguinolaza y Santiago Fernández Mosquera), Quevedo scrisse allora la Execración contra los judíos (1633) e La Hora de todos y la fortuna con seso (in particolare, l’episodio « La Isla de los Monopantos »), sopra ricordate. Sul contesto storico e politico delle due opere di Quevedo, cfr. Fernando Cabo Aseguinolaza y Santiago Fer 



































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ydalguillo, es colorada”. 168 – “todos la tienen [la sangre] colorada” 169), e a quella, sopra illustrata, di Agustín Salucio e di tanti altri avversari degli Statuti di purezza di sangue. Anche nei rimproveri rivolti a Justina dal “bachiller melado” per la crudele burla scatologica subita, ricorrono parole riferibili al problema della purezza di sangue come limpia, limpio, limpieza, afrentar la sangre, ma il riferimento è puramente burlesco dato che il cugino e i suoi parenti, tutti, sono, come la protagonista, notoriamente ‘impuri’ :  





Parecele bien señora Justina, auer afrentado su sangre, enlodar a sus parientes, poner mal olor en mi fama y mi persona ? pues assi me paga, que todo el camino de la romeria la vine acompañando, hecho vn roldan contra todos aquellos y aquellas, que la querian agrauiar ? digame es possible, que no tuuo miramiento vna donzella, tan limpia y tan honesta en porcar vn cesto nueuo y limpio como aquel, y tras esto poner mi vida al tablero, por defender su honra y su limpieça, o por mejor dezir su suciedad. 170  





I passi citati sono gli unici chiaramente riferibili al problema della limpieza de sangre. Marcel Bataillon ha però interpretato con “la ganzúa de la « limpieza de sangre »” anche la favola della metamorfosi della “donzella Onocrotala” in “chinche” 171 e la “fabula de la paloma que prestó al sapo la castidad”. La “donzella Onocrotala ... por ser tan puerca”, fu trasformata “de muger en chinche” e “desde entonces este animal por lo que tiene de muger busca de noche compañia, y por boluer por su honra busca ropa limpia, porque piensen que lo es ella”. 172 Pur ammettendo come fondato il riferimento alla purezza di sangue, 173 non si ravvisa in questa favola nessuna polemica contro la “tiranía de la limpieza de sangre”. 174 Quanto alla “fabula de la paloma que prestó al sapo la castidad”, 175 anche se si “interpreta « castidad » como sinónimo de « limpieza »” e si “reconoce en el retrato oculto en las aguas del Danubio quién sabe qué documentos sepultados en el río del olvido”, 176 essa non costituirebbe alcuna critica della limpieza de sangre e dei suoi statuti. Essendo la favola illustrazione della massima “Cobrar deudas es busca ruydos, y descubre verdades”, 177 si potrebbe semmai interpretarla – anche pensando ad  

























nández Mosquera : « Prólogo » a : Francisco de Quevedo : Execración contra los judíos [Villanueva de los Infantes, 20 de julio de 1633]. Edición de F. C. A. y S. F. M. Barcelona : Crítica 1996, pp. IX-LIX. – Jean Bourg, Pierre Dupont, Pierre Geneste : « Introduction » a : Francisco de Quevedo : L’heure de tous et la fortune raisonnable – La hora de todos y la fortuna con seso. Édición, introduction, traduction et notes par J. B., P. D., P. G.. Paris : Aubier 1980, pp. 15-160 ; qui pp. 51-156. 168   Francisco de Quevedo Villegas : Sueños y Discursos. Tomo I. Edición de James O. Crosby, p. 170. 169   Francisco de Quevedo : La vida del Buscón llamado Don Pablos. Edición crítica y estudio preliminar de Fernando Lázaro Carreter, p. 151. 170   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « TERCERA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO De la Picara Romera. Capitulo 4. de la partida de Leon. Numero 2. del desenojo astuto », p. 176. 171   Marcel Bataillon : Pícaros y picaresca, p. 42. 172   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « TERCERA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO De la Picara Romera. Capitulo 2. de la vizma de Sancha Gomez. Numero. 2. De la vizna [vizma] pegajosa », p. 152. 173   Bruno Mario Damiani (La pícara Justina. Ed. de B. M. D., p. 350, nota nro. 958) condivide pienamente l’interpretazione della favola proposta da Marcel Bataillon e afferma che “su sentido se puede descubrir solamente con la « ganzúa de la limpieza de sangre »”. A proposito della favola della metamorfosi della “donzella Onocrotala”, Antonio Rey Hazas (la pícara Justina II, p. 572, nota nro. 43), piú prudentemente, scrive : “quizá pueda explicarse por sus alusiones al problema de la limpieza de sangre, según afirma Marcel Bataillon, aunque no está clara esta referencia.” 174   Marcel Bataillon : Pícaros y picaresca, p. 12 e p. 34. 175   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO TERCERO DE LA PICARA PLEYTISTA. Capitulo sexto, de la partida de Rioseco », pp. 227-228. 176   Marcel Bataillon : Pícaros y picaresca, p. 42. 177   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO TERCERO DE LA PICARA PLEYTISTA. Capitulo sexto, de la partida de Rioseco », p. 227 (glossa marginale).  

























































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un sottinteso gioco di parole deudas-deudos – come il quevediano invito a non revolver “los huesos sepultados”. Lo stesso Marcel Bataillon, di seguito alla frase or ora citata, scrive : “Es posible, entonces, el pensar en los dramas y en los subterfugios anejos a las encuestas genealógicas.” 178 Il vero bersaglio dell’autore della Pícara Justina sarebbero allora – come già chiaramente e concretamente dimostrano le parole sopra trascritte di Diego Diez alle figlie – non la purezza di sangue e i suoi statuti, ma le falsificazioni genealogiche e le manipolazioni connesse alle informaciones de limpieza ! Insomma, anche usando grimaldelli ermeneutici filologicamente molto insicuri, si giungerebbe sempre alla constatazione che l’autore della Pícara Justina polemizza non tanto contro la limpieza de sangre e i suoi statuti, ma contro le falsificazioni genealogiche dei parvenus e quindi, indirettamente, contro la corruzione degli informantes che giungono a certificare la ‘purezza’ totale di chi è totalmente ‘impuro’. Anche Luc Torres ricorre alla ganzúa della limpieza de sangre e scopre cosí che “les allusions aux enquêtes sur la pureté de sang et l’antisémitisme latent dans la société espagnole de l’époque sont légion dans la Pícara Justina”. Egli afferma, in particolare, che tutto l’intero numero intitolato « Del melindre a la mancha » – nel quale vi è anche un’allusione, rilevata da Marcel Bataillon, 179 ai sambenitos appesi nelle chiese, pratica ritenuta ingiusta perche faceva ricadere sui discendenti innocenti le colpe dei condannati dalla Inquisizione 180 – “glose ce sujet [la pureté de sang et l’antisémitisme] d’actualité”. 181 La tesi che le “macchie” d’inchiostro sulla veste della “melindrosa escriuana”, motivo trattato in effetti diffusamente in questo numero, si riferiscano alle informaciones de limpieza e servano “de prétexte à des réflexions amères sur l’impureté de sang”, 182 è però in contrasto con alcune esplicite dichiarazioni di Justina. La Pícara, infatti, riferisce chiaramente le “macchie” alle critiche malevole che saranno rivolte alla sua opera :  



















Mancharse mi dedo, y con el mismo material que le auia de ayudar a escriuir, es cierto pronostico, de que pondran tachas, o impondran macula y dolo, en los dedos que lo escriuen, quanto y mas en la intencion mia, y en la perfection desta mi obra. Y el auerseme manchado la saya con que yo me adorno, es indicio, que no solo en la substancia desta historia, pondran los murmuradores falta y dolo : pero assi en el modo del dezir, y en el ornato della, conuiene a saber, en los cuentos accesorios, fabulas, giroglificos, humanidades, y erudicion retorica, pondran mas faltas, que ay en el juego de la pelota. 183  



Verso la fine del numero Justina fa poi queste ottimistiche dichiarazioni, che rendono alquanto improbabili le “amare riflessioni sulla impurità di sangue” scoperte da Luc Torres :  

[...] el tiempo ... todo lo cura. [...] No ay mancha que con algo no se quite, ni detraction que el 178

  Marcel Bataillon : Pícaros y picaresca, p. 43.   Marcel Bataillon : Pícaros y picaresca, p. 43. 180   “Assi que la saya no tiene la culpa, la peccadora, y no seria justo, que si la culpa es mia, lo pague ella, señora saya, que ya se passò el tiempo de los Sicconios, Pindaros, Colonios, en el qual ahorcauan los sayos, y sayas de los malhechores, lo qual, despues, la gentilidad tomo por giroblifico, de la injusticia que hazen los juezes, quando imponen al inocente la culpa del malhechor” (Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « INTRODVCCION GENERAL, PARA TODOS los tomos y libros. Escrita de mano de Iustina. Intitulada la Melindrosa Escriuana. DIVIDESE ESTA INTRODVCCION en tres numeros. Numero segundo, Del melindre a la mancha », p. 20). 181   Luc Torres : Discours festif et parodie dans La Pícara Justina de Francisco López de Úbeda, p. 89. 182   Luc Torres : Discours festif et parodie dans La Pícara Justina de Francisco López de Úbeda, p. 90. 183   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « INTRODVCCION GENERAL. Numero segundo, Del melindre a la mancha », p. 21.  

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tiempo no desquite. [...] [Habla con la criada] Venga xabon marina, no te de pena mi mal, que como dize el refran, no temas mancha, que sale con agua. 184  

Se non esiste ‘macchia’ indelebile e duratura, anche le ‘macchie di sangue’ – se tali fossero quelle del numero « Del melindre a la mancha » – verrebbero tolte con qualche accorgimento o artificio oppure cancellate dal tempo.  



Marginalità del problema della purezza di sangue Si deve notare inoltre che il problema della limpieza , divenuta ormai pura “finzione”, 185 aveva un’importanza abbastanza marginale. L’ossessione per la “limpieza de sangre” non era – come sostiene Américo Castro – “una obsesión colectiva” 186 (mutuata, secondo lo studioso, dagli ebrei 187) e non costituiva “la nervadura de la sociedad nobiliaria y eclesiástica” 188 e il fulcro della storia e della cultura spagnole del XVI e XVII secolo ; 189 la “forma de vida” degli spagnoli non era  







   

184   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « INTRODVCCION GENERAL. Numero segundo, Del melindre a la mancha », p. 22. 185   Enrique Soria Mesa scrive a proposito degli Estatutos de limpieza de sangre : “aparte de la letra de la ley, que marca claramente su significado oficial, ¿qué supone realmente la Limpieza de Sangre ? Es una ficción, evidentemente. Una ficción que se basa en el consenso de una sociedad y que va a demostrar sólo la opinión de dicha sociedad sobre una persona, una familia, un linaje ; que va a medir el poder social del pretendiente ; que va a controlar, en determinados casos, el acceso a ciertas instituciones por parte de sus propios miembros. Nada más. Y nada menos” (El cambio inmóvil. Transformaciones y permanencias en una élite de poder, pp. 127-128). Cfr. anche Juan Hernández Franco : Conflicto, consenso y persuasión en la Castilla Moderna. Aproximación a través de los Estatutos de Limpieza de Sangre. In : Francisco Javier Guillamón Álvarez y José Javier Ruiz Ibáñez (Editores) : Lo conflictivo y lo consensual en Castilla. Sociedad y poder político, 1521-1715. Homenaje a Francisco Tomás y Valiente. Murcia : Universidad de Murcia 2001, pp. 181-204. 186   Américo Castro : España en su historia. Cristianos, moros y judíos, p. 513. 187   “Quienes realmente sentían el escrúpulo de la limpieza de sangre eran los judíos. [...] Para el cristiano medieval no fue problema de primera magnitud mantener incontaminadas su fe y su raza, sino vencer al moro y utilizar al judío.” Dopo aver trascritto una “información de limpieza”, un documento ebraico della fine del XIII o inizio del XIV secolo nel quale si affermava – con riferimento a due persone di nome David e Azriel – “que no ha habido en su ascendencia mezcla de sangre impura en los costados paterno, materno o colateral”, Américo Castro scrive : “Henos, pues, ante el más antiguo texto de una prueba de limpieza de sangre en España, con testigos examinados en distintos lugares, un texto sin análogo entre los cristianos de entonces. En los siglos XVI y XVII la limpieza de sangre se convertiría en nervadura de la sociedad nobiliaria y eclesiástica, como resultado de las preocupaciones que le habían inyectado los conversos, pues así como el « summum jus » viene a dar en la « summa injuria », así también la frenética oposición a los judíos se impregnó, con dramático mimetismo, de los hábitos del adversario” (España en su historia. Cristianos, moros y judíos, pp. 513-514). 188   Américo Castro : España en su historia. Cristianos, moros y judíos, p. 514. 189   Cfr. in particolare : Américo Castro : De la edad conflictiva. Crisis de la cultura española en el siglo XVII. Cuarta edición, p. 177, pp. 184-187. Riecheggiando Américo Castro, José Luis Abellán scrive che la società spagnola del XVI secolo “empezó a girar con una obsesión delirante en torno a la limpieza de sangre, que llegaba a exigirse prácticamente para todo en la segunda mitad del siglo”. Cfr. José Luis Abellán : El erasmismo español. Madrid : Espasa-Calpe 1982 (1.ª ed. 1976), pp. 77-78. Non è necessario osservare che il requisito della limpieza era richiesto soltanto da alcune istituzioni e non “per tutto”. Evidentemente a ‘studiosi’ come José Luis Abellán i concreti dati storici, empiricamente verificabili, non interessano. Luoghi comuni (“La limpieza de sangre era una obsesión común, que centraba muchos aspectos de la vida española”), scorrette generalizzazioni (“Establecida la necesidad de las pruebas para Catedrales, Ordenes, Colegios y Administración...” !) ed errori grossolani (la Defensa de los Estatutos y Noblezas Españolas di Fray Gerónimo de la Cruz, non è – come abbiamo visto – “a favor de los estatutos” ; in questo caso non sarebbe stata certamente dedicata al Conte-Duca di Olivares !), frutto di ignoranza o di imperdonabile superficialità, caratterizzano le pagine dedicate al tema « Inquisición y limpieza de sangre » da Joaquín Pérez Villanueva proprio nella Historia de la Inquisición en España y América da lui diretta ! Cfr. Historia de la Inquisición en España y América. Obra dirigida por Joaquín Pérez Villanueva y Bartolomé Escandell Bonet. I. El conocimiento científico y el proceso histórico de la Institución,1478-1834. Madrid : Biblioteca de Autores Cristianos 1984, pp. 1037-1041.  























































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“condicionada por la obsesiva limpieza de sangre”. 190 La “cuestión de la pureza de sangre” non si era trasformata – come afferma Marcel Bataillon – in “una verdadera pesadilla para las clases dirigentes” dell’epoca di Filippo III, 191 in una ossessione. 192 Gli Statuti di purezza di sangue non “fraccionan y desmenuzan la sociedad en otras tantas células incomunicables” e non rappresentano “lo esencial” della storia della Spagna di Carlo V, come ha immaginato Pierre Chaunu. 193 La “manía de la pureza de sangre” non “va a petrificar literalmente a España”, non è una “psicosis colectiva”, come pensa Henry Méchoulan, 194 che ammonisce a non negare “la importancia de la obsesión de los estatutos de pureza de sangre” per non sommergere nell’oblio i difensori della ragione, 195 che fantastica di una Spagna “amurallada en un universo cerrado que la Inquisición hace aún más fétido” 196 e che crede all’esistenza di una “colectiva obsesión racista” 197 e alle assurde tesi di Pierre Chaunu sul “refus collectif de mobilité” e sul blocco della osmosi sociale provocati dalla “maladie antisémite”, dalla “angoisse collective”, dalla ossessione della purezza di sangue, dalla “endogamie” della società spagnola del XVI e XVII secolo. 198 La società del Siglo de Oro non è né “dominée par le dogme de la « pureté de sang »”, né “sclérosée par le culte de l’hérédité et de la « limpieza de sangre »”, 199 né affetta da una psicosi collettiva scatenata dalle inchieste genealogiche, 200 come asserisce  





























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  Américo Castro : Aspectos del vivir hispánico. Madrid : Alianza Editorial 1970, p. 135.   M. Bataillon : Los asturianos de La Pícara Justina, p. 135. 192   Marcel Bataillon parla sí della “obsession de la « limpieza de sangre »” del Siglo de Oro, ma nota anche che “un certificat de « limpieza » s’obtenait facilement”. Cfr. Marcel Bataillon : Les nouveaux chrétiens de Ségovie en 1510. In : Bulletin Hispanique 58 (1956), 207-231 ; qui p. 210 e p. 208. 193   Pierre Chaunu : La España de Carlos V. Segundo volumen : La coyuntura de un siglo. Barcelona : ediciones península 1976, p. 101. 194   Henry Méchoulan : El honor de Dios. Indios, judíos y moriscos en el Siglo de Oro. Prólogo de Julio Caro Baroja. Barcelona : Editorial Argos Vergara 1981, p. 120. 195   Henry Méchoulan : El honor de Dios, p. 16. 196   Henry Méchoulan : El honor de Dios, p. 29. La frase continua cosí : “tan fétido que engendra la novela picaresca, esa genial caricatura de los valores tradicionales, ridiculizados por unos antihéroes burlones y chirriantes”. Nessuna delle grandi opere della picaresca, la cui genesi è determinata non dalla chiusura, ma dalla tumultuosa e rapida trasformazione – scatenata dall’oro e dall’argento americani – della società, ridicolizza i valori tradizionali, semmai esprime la nostalgia di un mondo retto da questi valori, di una società strutturata e vissuta come comunità del corpo mistico di Cristo e non ancora degenerata nella giungla del nascente capitalismo in cui l’uomo è lupo all’uomo e in cui regna la guerra di tutti contro tutti. 197   Henry Méchoulan : El honor de Dios, p. 123. 198   Pierre Chaunu : Structures sociales et représentations littéraires. La société en Castille au tournant du Siècle d’Or. In : Revue d’Histoire Économique et Sociale, 45 (1967), 153-174 ; qui p. 156, pp. 162-163, pp. 164-165. – Pierre Chaunu : La société espagnole au XVIIe siècle. Sur un refus collectif de mobilité. In : Bulletin Hispanique 68 (1966), 104-115. Secondo lo studioso, dal 1570/1580 al 1700 nella Spagna vi è assenza di “fluidité sociale”, di “mobilité sociale” ; la nobiltà aveva finito di chiudersi completamente già all’inizio del XVII secolo. Non si capisce su quali dati lo studioso abbia potuto fondare queste affermazioni, dal momento che lui stesso, sostenitore della “histoire quantitative”, della “histoire sérielle” (Pierre Chaunu : Histoire quantitative, Histoire sérielle. Paris : Librairie Armand Colin 1978), auspicava “une étude quantitative de la mobilité sociale conduite à travers les masses documentaires non encore exploitées de l’Espagne du siècle d’or” (La société espagnole au XVIIe siècle, p. 115). Non disponendo dei dati di una tale ricerca, era quindi perlomeno azzardato parlare di “une société, qui a refusé la mobilité”. Ma già gli abbondanti dati desumibili dalla storiografia tradizionale sarebbero stati sufficienti a far venire allo studioso qualche dubbio sulla validità delle sue assurde tesi. Henry Méchoulan (El honor de Dios, p. 120) riconosce però che i conversos ricchi potevano “disponer de genealogías impecables”. E allora, se il denaro rendeva possibile la ‘purificazione del sangue’, la società spagnola non era “pietrificata” dagli (inefficaci) statuti di purezza ! Come tanti altri studiosi, Henry Méchoulan si fonda unicamente su alcuni testi ‘ideologici’ e letterari e ignora completamente documenti come le Relaciones Topográficas di Filippo II e gli studi empirici di storia sociale e quelli sulle oligarchie municipale e sulle élites in generale. 199   Michel Cavillac : Noblesse et ambiguités au temps de Cervantes : Le cas du Docteur Cristóbal Pérez de Herrera (1556 ?-1620). In : Mélanges de la Casa de Velázquez 11 (1975), 177-212 ; qui p. 183 e p. 205. 200   Michel Cavillac scrive che “les enquêtes de « pureté de sang » et de noblesse [...] avaient engendré, dans la seconde moitié du XVIe s., une véritable psychose collective”. E cosí continua : “Pour accéder à la moindre di 

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Michel Cavillac. La Spagna non era “dominée par l’idéologie ségrégationniste des vieux Chrétiens”, come ritiene Augustin Redondo. 201 La “préoccupation de la limpieza de sangre”, le “souci de pureté” non erano, come suppone Albert A. Sicroff, “intimement mêlée à l’existence espagnole” ; la “obsession de pureté”, gli “scrupules de limpieza de sangre des Espagnols”, 202 non esistevano come quel fenomeno collettivo postulato dogmaticamente dallo storico degli Statuti e da tanti altri studiosi – essi sí vittime di una ossessione genealogica, 203 poco propizia alla verità storica, 204 sempre intenti, come sono, a cercare e a inventare la discendenza conversa di ogni autore di qualche importanza del Siglo de Oro ! Profondi conoscitori degli archivi inquisitoriali, della storia sociale e della storia delle idee come Jaime Contreras Contreras, Vincent Parello, José Antonio Maravall e Jean-Pierre Dedieu hanno, rispettivamente, osservato che la limpieza de sangre non era né “un asunto estructural” della società spagnola, 205 né un “tratto consustanziale” ad essa, 206  















gnité officielle (entrer dans un Colegio Mayor, postuler à une chaire d’Université ou à une charge administrative, sans parler de l’obtention d’un Habit), il fallait prouver que l’on n’avait, tant du côté paternel que maternel, nulle trace de sang juif, maure ou hérétique, sous peine de se voir à jamais exclu du cursus honorum. Démontrer que l’on descendait de vieux-chrétiens « por los cuatro costados » était devenu l’obsession majeure de toute famille bien née ou soucieuse de le paraître, fût-ce parfois au prix d’habiles falsifications généalogiques”. Cfr. M. Cavillac : Noblesse et ambiguités au temps de Cervantes, p. 184. M. Cavillac confonde qui istituzioni pubbliche e istituzioni private. Nella burocrazia statale – incluso la piú alta – e in quella municipale erano, come abbiamo mostrato, numerosissimi i discendenti di ebrei. Anche nelle Università erano numerosissimi i professori conversos (né l’Università di Salamanca, né quella di Alcalá – per citare solo le due piú famose – richiedevano il requisito della limpieza). I Colegios Mayores – istituzioni private – e gli Ordini Militari richiedevano sí la limpieza, ma come ammette lo stesso M. Cavillac, le ‘prove’ genealogiche erano spesso “une simple formalité” (p. 198). 201   Augustin Redondo : Légendes généalogiques et parentés fictives en Espagne, au Siècle d’Or. In : Les parentés fictives en Espagne, XVIe-XVIIe siècles. Études réunies et publiées par A. R. Paris : Publications de la Sorbonne 1988, pp. 15-35 ; qui p. 31. 202   A. A. Sicroff : Les controverses des Statuts de « pureté de sang » en Espagne du XVe au XVIIe siècle, pp. 297-300. Henry Kamen (Una crisis de conciencia en la Edad de Oro en España : Inquisición contra “Limpieza de sangre”, p. 325), dopo aver affermato che la “pasión por la limpieza estuvo bien lejos de dominar en la sociedad española”, in nota aggiunge : “Esta conclusión es el revés de la de A. Sicroff, Les controverses des statuts de pureté de sang en Espagne du XVe au XVIIe siècle, Paris, 1960, pp. 88-94, donde habla de « un nombre croissant de communautés » que adoptaron estatutos, pero llega a nombrar solamente ocho. Aun suponiendo que el número fuera más grande, esto no representa ninguna prueba de una gran marea en favor de los estatutos. Además, existe bastante evidencia de que aun las comunidades que aceptaron la limpieza, como los franciscanos en 1525, quedaron profundamente divididas y a veces revocaron los estatutos : la catedral de Salamanca, pongo por ejemplo, tenía un estatuto que más tarde revocó.” 203   José Antonio Maravall, dopo aver messo in evidenza alcuni vistosi controsensi nell’argomentazione di Michel Cavillac (Noblesse et ambiguités au temps de Cervantes : Le cas du Docteur Cristóbal Pérez de Herrera, pp. 177-212) volta a dimostrare le origini ebraiche di Cristóbal Pérez de Herrera, esclama : “¿Qué sentido tiene entonces hablar de « un complexe néo-chrétien » ?, ¿dónde queda la mencionada obsesión, fuera de algunos escritores de hoy ?” (Poder, honor y élites en el siglo XVII, p. 57 n.). I. S. Révah (Gil González de Ávila et les Statuts de pureté de sang. P. 497) scrive, con riferimento alle teorie di Américo Castro : “Nous nous sommes élevés contre l’inclusion, de mode à l’époque actuelle, de nombreux écrivains espagnols dans la classe ethnique des Nouveaux-Chrétiens d’origine juive, lorsque cette inclusion était arbitrairement décidée, avec des motifs futiles ou des raisons frivoles, dans le but de donner de la consistance à de fumeuses théories, qui risquent de nous faire tomber dans ce que M. Bataillon appelle « une sorte de racisme rétrospectif »”. Clive Griffin definisce ironicamente questi studiosi “Modern converso-hunters”. Cfr. Clive Griffin : The Crombergers of Seville. The History of a Printing and Merchant Dynasty. Oxford : Clarendon Press 1988, p. 42. 204   Con grande onestà ha scritto Claudio Guillén : “No se me oculta [...] hasta qué punto y con cuánta facilidad [...] el problema de los conversos españoles [...] puede llegar a convertirse en una obsesión, poco propicia a la verdad histórica” (Un padrón de conversos sevillanos, p. 75). 205   J. Contreras Contreras : Limpieza de sangre, cambio social y manipulación de la memoria, p. 91. – Cfr. anche Vincent Parello : Limpieza de sangre y conflictividad social en Castilla en los siglos XVI y XVII. De la teoría a la práctica. In : El olivo y la espada. Estudios sobre el antisemitismo en España (siglos XVI-XX) editados por Pere Joan i Tous y Heike Nottebaum (= Romania Judaica, 6). Tübingen : Niemeyer 2003, pp. 91-105 ; qui p. 93. 206   “La « pureté de sang » n’est pas un trait consubstantiel à la société d’Ancien Régime, une composante structurale de l’Espagne de l’intolérance et des refus [qui viene citato in nota P. Chaunu : L’Espagne de Charles  





































































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né il centro della storia della nazione, 207 e che “en ce domaine [quello della limpieza de sangre], l’indignation vertueuse, l’enflure rhétorique et la projection sur les documents de théories préconçues ont trop souvent tenu lieu de méthode”. 208 L’ossessione e la preoccupazione assillante per la purezza di sangue non erano un fenomeno generalizzato della vita spagnola, non riguardavano “gli Spagnoli”, ma – sostanzialmente – soltanto due-tre gruppi sociali molto ristretti : a) il gruppo di persone (all’interno del gruppo, già di per sé numericamente esiguo – l’esiguità numerica è attestata da dati precisi tratti da documenti storici –, converso 209) che, divenute ricche, aspiravano a diventare anche nobili e che per realizzare la loro aspirazione tentavano l’ingresso nelle oligarchie municipali, considerando, a ragione, una regiduría – o, in misura minore, una juraduría – un passo importante verso la nobilitazione ; b) il gruppo di persone che temevano che l’ascesa dei nuovi ricchi riducesse il loro potere e il loro prestigio sociale ; c) il gruppo di persone – in gran parte coincidente con il primo – che volevano entrare nei Colegios Mayores, in Confraternite e Corporazioni esclusive, oppure ottenere una familiatura della Inquisizione, il canonicato di determinate Cattedrali, gli hábitos di un Ordine Militare. Nel loro tentativo di entrare a far parte della oligarchia municipale attraverso l’acquisto di una regiduría – questo ufficio assicuravava al suo detentore non solo il diritto di occupare un posto preminente nelle cerimonie pubbliche, di portare sempre la spada e di sottrarsi alla procedura penale comune e a pene infamanti, ma anche il privilegio  











Quint. Paris 1973, Vol. II, p. 101], une macro-instance idéologique qui planerait sur tous les secteurs de la vie politique, sociale et culturelle, comme on l’a trop souvent laissé entendre, mais un instrument conjonctural de discrimination sociale dont on use abondamment en période de crise. L’exigence de « pureté de sang » fait son apparition dès lors que l’équilibre entre les diverses forces sociales se trouve fragilisé ou menacé” (V. Parello : Les judéo-convers. Tolède XVe-XVIe siècles. De l’exclusión à l’intégration, p. 114). 207   José Antonio Maravall ha puntualizzato : “Creo que hay que renunciar de una vez a esa tesis de la « obsesión por la pureza de sangre » : en mucha mayor proporción – sin negar la importancia relativa de la pureza –, la estructura de la sociedad española estuvo determinada por las contraposiciones propietario-no propietario, rico-pobre, pechero-no pechero ; y en último término, si se quiere, integrado o no integrado en la Iglesia católica”. E ancora : “La situación de los conversos podía ser sumamente dura, por lo meno lo fue para una parte de ellos ; pero la obsesión hacia ese tema está muy lejos de ser, seriamente, al centro de nuestra Historia en los primeros siglos modernos” ( José Antonio Maravall : Poder, honor y élites en el siglo XVII, pp. 56 n.-57 n. e p. 86. Cfr. anche José Antonio Maravall : La función del honor en la sociedad tradicional. In : Ideologies & Literature, Vol. II, 1978, pp. 9-27). 208   Jean-Pierre Dedieu : L’administration de la foi, p. 329. 209   Se, secondo i documenti fiscali, in Castiglia c’erano 70.000 ebrei intorno al 1480 – o, secondo certi studiosi, 100.000 ebrei, oppure 30.000 famiglie di ebrei prima dell’espulsione –, che rappresentavano ca. l’1-1,5% della popolazione globale (cfr. J. M.a Monsalvo Anton : Teoría y evolución de un conflicto social. El antisemitismo en la Corona de Castilla en la Baja Edad Media, p. 52), e se anche i già convertiti fra il 1391 e il 1491 erano qualche decina di migliaia, nel XVI secolo i conversos non potevano costituire quel 25-30% della popolazione di Castiglia immaginato da alcuni. Antonio Domínguez Ortiz (Los conversos de origen judío después de la expulsión, p. 363) riteneva che non superassero “la vigésima parte de la total población española”, cioè il 5%. Secondo Juan J. Linz nel 1541 vivevano in Ispagna 250.000 conversos, pari al 3,3% della popolazione. [Cfr. Juan J. Linz : Intellectual Roles in Sixteenth- and Seventeenth-Century Spain. In : Daedalus. Journal of the American Academy of Arts and Sciences (1972), 59-108 ; qui p. 69. Sulla popolazione spagnola – in particolare della Castiglia nel 1541, cfr. inoltre R. Carande : Carlos V y sus banqueros I, pp. 63-67.] In realtà il loro numero era ancora inferiore. Dalle Relaciones Topográficas (1575-1578) di Filippo II si ricavano questi dati concreti : nei pueblos della provincia di Ciudad Real 32.292 vecinos (= 129.168 ab.) erano cristianos viejos, 719 vecinos (= 2.876 ab.) cristianos nuevos (= 2,17% della popolazione totale) ; nei pueblos della provincia di Cuenca 20.769 vecinos (= 83.076 ab.) erano cristianos viejos, 81 (= 324 ab.) cristianos nuevos (= 0,38% della popolazione totale) ; nei pueblos della provincia di Toledo 51.987 vecinos (= 207.948 ab.) erano cristianos viejos, 95 (= 380 ab.) cristianos nuevos (= 0,18% della popolazione). Cfr. F. Javier Campos y Fernández de Sevilla : La mentalidad en Castilla la Nueva en el siglo XVI (Religión, Economía y Sociedad, según las « Relaciones topográficas » de Felipe II). Real Monasterio del Escorial : Ediciones Escurialenses 1986 (= Biblioteca « La Ciudad de Dios ». Sección « Pax Veritatis », n.° 38), p. 161, p. 205, p. 352.  



























































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dell’esenzione fiscale personale (pechos e servicios reales), privilegio che lo assimilava agli hidalgos e ai nobili cavalieri, di poter comunicare direttamente con la Corona, di eleggere i funzionari e gli impiegati dell’amministrazione municipale e di essere preferiti negli approvvigionamenti dei generi alimentari ; 210 offriva, inoltre, l’opportunità, se la città era una di quelle con voto nelle Cortes, di essere eletto procurador en Cortes e, addirittura, diputado del Reino, incarichi che presentavano grandi possibilità di benefici e di ascesa sociale 211 – o di una juraduría (i jurados godevano dell’esenzione fiscale personale, esenzione che conferiva loro la hidalguía di fatto e di diritto 212), sborsando fra i 1.000 e gli 8.500 ducati per la prima e fra i 500 e i 2.500 ducati per la seconda, 213 i parvenus potevano suscitare l’opposizione di alcuni membri della vecchia oligarchia, che temevano di perdere, o di dover condividere, il controllo del potere (normalmente i membri della vecchia oligarchia urbana preferivano – seguendo l’esempio della nobiltà di sangue – trarre profitto, con alleanze matrimoniali, dalla ricchezza dei nuovi ricchi, 214 o, mettendo da parte le rivalità, accettare la spartizione del potere locale 215). L’unica arma ‘politica’ a disposizione    











210   Sui ‘privilegi’ dei regidores cfr. F. J. Aranda Pérez : Poder y poderes en la Ciudad de Toledo. Gobierno, sociedad y oligarquías urbanas en la Edad Moderna, pp. 87-98. – V. Parello : Les judéo-convers. Tolède XVe-XVIe siècles. De l’exclusión à l’intégration, pp. 165-168. Francisco Javier Mosácula María scrive : “El oficio de regidor llevaba implícito el reconocimiento como caballero” (Los regidores de la ciudad de Segovia : análisis socioeconómico de una oligarquía urbana, p. 99 ; cfr. anche p. 103). 211   Cfr. Francisco Javier Mosácula María : Los regidores de la ciudad de Segovia : análisis socioeconómico de una oligarquía urbana, p. 109 e pp. 113-125. 212   Sui ‘privilegi’ dei jurados cfr. F. J. Aranda Pérez : Poder y poderes en la Ciudad de Toledo. Gobierno, sociedad y oligarquías urbanas en la Edad Moderna, pp. 123-124. – V. Parello : Les judéo-convers. Tolède XVe-XVIe siècles. De l’exclusión à l’intégration, pp. 169-170. 213   Il prezzo di una regiduría, o di una juradería, variava secondo i tempi e secondo le città. Nel 1557 una regiduría costava ad Ávila 1.000 ducati, a Cuenca 2.000, a Siviglia 3.200. Nel 1599 il prezzo era salito nelle stesse città a 1.300, 3.000, 8.500 ducati. Nel 1557 una juradería costava a Córdoba 500 ducati, a Jaén 500, a Siviglia 850. Nel 1599 il prezzo era salito nelle stesse città a 800, 2.000, 2.500 ducati. Cfr. Juan E. Gelabert : Tráfico de oficios y gobierno de los pueblos en Castilla (1543-1643). In : Ciudad y mundo urbano en la época moderna. Dirigido por Luis A. Ribot García y Luigi de Rosa. Madrid : Editorial ACTAS 1997, pp. 157-186 ; qui pp. 172-174. 214   Cfr. Enrique Soria Mesa : El cambio inmóvil. Transformaciones y permanencias en una élite de poder (Córdoba, SS. XVI-XIX). 215   Si consideri – per esempio – l’interessantissimo, emblematico caso della oligarchia di Murcia studiato da Jaime Contreras (Sotos contra Riquelmes. Regidores, inquisidores y criptojudíos, pp. 297-353). Lo studioso termina cosí la descrizione dei conflitti esplosi – nel sesto e settimo decennio del XVI secolo – fra il clan dei Sotos e quello dei Riquelmes e fra la oligarchia municipale di Murcia e il Tribunale dell’Inquisizione, conflitti nei quali si usò l’arma della limpieza de sangre e addirittura l’accusa di eresia per escludere dal potere i conversos : “Una vez más el delito de herejía cabalgó sobre problemas de índole social y política : y las obsesiones de limpieza y la pureza de los linajes no pudieron ocultar la pasión de los hombres por ocupar los centros de poder y decisión. Los asuntos de Murcia fueron, al fin y al cabo, el resultado de una exagerada campaña de propaganda ideológica que, arguyendo razones morales y religiosas, buscaba la exclusión social y política de los cristianos nuevos. Pero, con todo, después de casi veinte años de enconados esfuerzos por imponer la discriminación de la sangre, el Tribunal venía a reconocer, por la razón de los hechos, su fracaso. Resultaba de todo punto imposible desarraigar a quienes, desde hacía ya dos o tres generaciones, habían optado por la asimilación plena y total en el mundo de la mayoría. Las razones de la sangre no pudieron, de ninguna manera, romper las solidaridades sociales ni tampoco quebrar las fidelidades mutuas que se habían tejidos entre los miembros de aquella sociedad. Los discursos sobre la limpieza turbaron algunos espíritus que temieron perder sus capacidades de mando pero, en definitiva, resultó que la hidalguía no era sólo cosa de linaje y sangre limpia, sino también cuestión de riqueza, de poder y de oficios. El Tribunal perdió finalmente la partida porque ‘creyó’ que, argumentando las razones propias de la herejía, podría dividir el bloque de la oligarquía urbana. No calculó que ese bloque era más sólido de lo que parecían indicar las desavenencias entre clanes y parcialidades. Sotos y Riquelmes tenían entre sí muchas razones para la disputa interna, pero existía entre ellos una misma concepción de lo que significaba ser copartícipes del poder urbano. No era una concepción demasiado solidaria pero sí lo suficiente para expresar mecanismos de seguridad mutua en el momento en que la acusación de herejía llegó a extenderse por doquier amenazando con manchar a todo el patriciado ; cuando se llegó a temer esta posibilidad – la exclusión de los patricios del mundo de valores dominantes que ellos mismos representaban –, la respuesta fue más ho 

































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delle vecchie élites – nelle quali la presenza conversa era comunque già considerevole e talvolta maggioritaria – per bloccare l’ascesa sociale di parvenus indesiderati, era allora di accusarli di non possedere il requisito della limpieza 216 o, se si trattava di parvenus sicuramente cristianos viejos, accusarli di essere di bassa condizione e di avere esercitato, loro o i loro avi, mestieri ‘meccanici’ e vili. Ma l’arma della limpieza de sangre era un’arma la cui efficacia era tanto piú scarsa quanto piú grande era la ricchezza di coloro che aspiravano alla promozione sociale. 217 Per diventare regidor il potere economico era infatti piú importante della nobiltà e del linaje, come dimostra il fatto che la maggior parte dei candidati alle regidurías proveniva dal mondo del denaro 218 (e il denaro era di fondamentale importanza per sostenere il ruolo e le spese molto elevate di ‘rappresentanza’ 219 in occasione delle varie cerimonie, festività e, in particolare, delle visite del Re e della Regina 220). Inoltre, la scalata sociale  









mogénea. Aquella situación no llegó a la ruptura ; antes de eso, el Tribunal reconoció su error cuando sus propios acusados, renegando de su justicia, pidieron a gritos la intervención real. Y fue precisamente la Corona la que, olvidando sus veleidades inquisitoriales, restauró por fin el orden político tradicional. Al final del proceso la oligarquía urbana apenas había sufrido algo más que rasguños ; continuó manteniendo toda su fuerza en el gobierno municipal, al tiempo que la Corona podía asegurar que su predicamento en la ciudad había aumentado. El grupo de poder salió robustecido y entonces la Inquisición no tuvo otro remedio que buscar un hueco en aquella nueva alianza que, entre los regidores y el Rey, se había constituido en Murcia” (pp. 355-356). 216   Scrive Vincent Parello : “En realidad, la discriminación de los linajes que se estaba operando a través de la ideología de la limpieza encubría intereses eminentemente sociales. En todas las ciudades castellanas, bandos y partidos luchaban entre sí para apoderarse del poder local, o mejor dicho, para infiltrarse en los cabildos eclesiásticos, los regimientos, las cofradías, las compañías de arrendadores, etc. En el siglo XVI, el « problema » converso fue convirtiéndose en un problema exclusivamente social, con la modificación de la estructura étnica y religiosa del llamado grupo impuro. Se trataba de excluir de la élite a las clientelas « manchadas » de origen converso que se hallaban en pleno proceso de ascensión social”. Cfr. V. Parello : Limpieza de sangre y conflictividad social en Castilla en los siglos XVI y XVII. De la teoría a la práctica, p. 100. Si deve comunque sempre tener presente che l’arma della purezza di sangue era usata sia da cristianos viejos sia da convertiti ormai integratisi nelle élites di potere delle città. Gli Statuti di purezza di sangue non sono infatti, come afferma fondatamente Enrique Soria Mesa, “otra cosa que un filtro que genera la institución [el Ayuntamiento] para aceptar a los candidatos que interesan, por las razones que sean, y rechazar, esgrimiendo razones de falta de pureza sanguinea o de nobleza, a los que no se desea” (El cambio inmóvil, p. 134). Cfr. inoltre Ruth Pike : Linajudos and Conversos in Seville. Greed and Prejudice in Sixteenth- and Seventeenth-Century Spain, pp. 16-23. L’arma della limpieza era usata, ovviamente, non solo nelle lotte cittadine di potere, ma anche nella sfera privata per danneggiare nemici personali. Cfr. F. J. Aranda Pérez : Poder y poderes en la Ciudad de Toledo. Gobierno, sociedad y oligarquías urbanas en la Edad Moderna, p. 307. – Enrique Soria Mesa : Genealogía y poder. Invención de la memoria y ascenso social en la España moderna, pp. 42-48. Cfr. inoltre quanto scrive, relativamente a Logroño, F. M. Burgos Esteban : Los Estatutos de limpieza y sus pruebas en el siglo XVII, pp. 369-370. 217   Sulla inefficacia dei tentativi di escludere i conversos dagli alti uffici dell’amministrazione municipale usando l’arma della limpieza, cfr. Francisco José Aranda Pérez : Poder y poderes en la ciudad. Gobierno y sociedad en el mundo urbano castellano en la Edad Moderna, pp. 142-143. – F. J. Aranda Pérez : Poder y poderes en la Ciudad de Toledo. Gobierno, sociedad y oligarquías urbanas en la Edad Moderna, pp. 174-179. – Enrique Soria Mesa : El cambio inmóvil. Transformaciones y permanencias en una élite de poder (Córdoba, SS. XVI-XIX), pp. 78-103. Albert A. Sicroff ha osservato che, nonostante l’Inquisizione e gli Statuti di purezza di sangue, i conversos riuscirono a penetrare sempre piú profondamente nei “controlling nervecenters” della vita civile ed ecclesiastica spagnola (Clandestine Judaism in the Hieronymite Monastery of Nuestra Señora de Guadalupe, p. 125). 218   F. J. Aranda Pérez : Poder y poderes en la Ciudad de Toledo. Gobierno, sociedad y oligarquías urbanas en la Edad Moderna, p. 80. Parlando delle regidurías Simeone Contarini scrive : “Estos oficios se venden por dineros, su precio conforme a la calidad de los Lugares en mucho daño suio porque los exerza Gente de baja esfera” (Estado de la Monarquía Española a principios del siglo XVII, p. 63). 219   Sulla importanza che la “representación del poder” municipale aveva per i regidores, cfr. Francisco José Aranda Pérez : Poder y poderes en la ciudad. Gobierno y sociedad en el mundo urbano castellano en la Edad Moderna, pp. 153-155. 220   Si legga, per esempio, quanto ha scritto Narciso Alonso Cortés sul lusso dispiegato dalla Municipalità di Valladolid e sui suntuosi abiti dei regidores e lo sfarzoso addobbo delle loro cavalcature in occasione della visita fatta alla città il 19 luglio 1600 da Filippo III e dalla regina Margarita. Cfr. Narciso Alonso Cortés : Noticias de una corte literaria [1906]. Valladolid : Ayuntamiento de Valladolid 2003, p. 17. Molte descrizioni di feste celebrate  







































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procedeva, normalmente, per gradi. Un lungo lavoro preparatorio (istituzione di mayorazgos, formidabile “palanca de ascenso” per le famiglie danarose di ogni ceto sociale e di qualsiasi origine etnica ; 221 acquisto di rendite ; fondazione di cappelle e cappellanie ; 222 eventuale cambiamento del nome 223 – la facilità con cui si poteva cambiare il nome 224 in Ispagna contribuí moltissimo alla mobilità sociale 225 – e del luogo di residenza ; 226 falsifi   



   







   

a Valladolid dalla Municipalità, o con la partecipazione della Municipalità, si trovano nelle Relaciones di Luis Cabrera de Córdoba e nella Fastigimia di Thomé Pinheiro da Veiga. Per le feste organizzate a Toledo dalla Municipalità nel 1559 e nel 1560 in occasione della visita del Re e della Regina, cfr. Sebastián de Horozco : Relaçion y memoria de la entrada en esta Çibdad de Toledo del Rey y Reyna, nuestros Señores, Don Felipe y Doña Isabela y del reçebimiento y fiestas y otras cosas, año de 1561. In : Sebastián de Horozco (¿1510-1581 ?) : Relaciones históricas toledanas, pp. 181-213. – Per Madrid cfr. Relaciones breves de actos públicos celebrados en Madrid de 1541 a 1650, pubblicate da José Simón Díaz (Madrid : Instituto de Estudios Madrileño 1982). Sulle feste di Corte cfr. María Luisa Lobato - Bernardo J. García García (Coords.) : La fiesta cortesana en la época de los Austrias. Junta de Castilla y León 2003. – Dramaturgia festiva y cultura nobiliaria en el Siglo de Oro. Coordinado por Bernardo J. García García - María Luisa Lobato. Madrid : Iberoamericana - Vervuert 2007. 221   Enrique Soria Mesa : El cambio inmóvil. Transformaciones y permanencias en una élite de poder (Córdoba, SS. XVI-XIX), pp. 114-116. 222   Scrive Enrique Soria Mesa : “La mejor manera de hacer olvidar el pasado hebraico podía ser la fundación de capillas funerarias y oratorios privados, encargar retablos y pagar cientos o miles de misas. Y qué decir de los conventos y monasterios levantados por la devoción de tantos conversos, unos, movidos por la fe de sus corazones ; otros, motivados por el afán de acallar rumores” (La nobleza en la España moderna. Cambio y continuidad, p. 104). Cfr. anche Máximo Diago Hernando : El ascenso sociopolítico de los judeoconversos en la Castilla del siglo XVI. El ejemplo de la familia Beltrán en Soria. In : Sefarad LVI/2 (1996), 227-250 ; qui pp. 234-236. 223   Pedro L. Lorenzo Cadarso ricorda il caso interessante del “Licenciado Rui Díaz Caballero, clérigo, hijo de un humilde barquero de San Adrián”. Nel 1538, al momento di imbarcarsi a Siviglia per Santo Domingo, assunse il nome della distinta famiglia Fuenmayor che lo aveva protetto e dichiarò di essere figlio di “Juan de Fuenmayor y de Doña Isabel Vázquez”. Tornato ricco dalle Indie, fece nominare nel 1561 il fratello Antón “procurador del estamento hidalgo” e fondò due mayorazgos per i suoi due nipoti : Rui Díaz e Rui Díaz Fuenmayor. Il figlio di Rui Díaz, don Alonso Fuenmayor, divenne “Caballero de Calatrava, señor de Castellano y Caballerizo Mayor de la Reina” ; il figlio di Rui Díaz Fuenmayor, don Rodrigo Fuenmayor y Salcedo, nonostante numerosissimi memoriali denunciassero l’umile origine plebea della famiglia e la falsificazione della genealogia operata da Rui Díaz Caballero, “fue investido Caballero de Santiago” nel 1628 e fu nominato piú tardi regidor di Calahorra (già suo padre era stato regidor perpetuo della città). Cfr. Pedro L. Lorenzo Cadarso : Los conflictos populares en Castilla (siglos XVI-XVII), pp. 137-140. I Duchi di Medina Sidonia davano il proprio nome (Guzmán) a trovatelli, “a esclavos y criados de la casa, sin apellido, o deseosos de cambiarlo por nombre rimbombante” (Luisa Isabel Álvarez de Toledo : Alonso Pérez de Guzmán, General de la Invencible. Libro 1.°, p. 66). La stessa pratica era seguita da altri grandi signori. Joaquín Hazañas y la Rua, gran conoscitore degli archivi sivigliani, scrive che la facilità con la quale nel XVI secolo si cambiava di nome è documentata dai libri parrocchiali, specialmente da quelli matrimoniali, perché in questi si registravano “los nombres y apellidos de los contrayentes y de sus padres, y es frecuentísimo el hallar a los primeros con apellidos distintos de los paternos y maternos que les correspondian”. Cfr. Joaquín Hazañas y la Rua : Biografía del poeta sevillano Rodrigo Fernández de Ribera y juicio de sus principales obras. Sevilla : Oficina de D. Carlos de Torres y Daza 1889, p. 5. Cfr. anche Francisco Rodríguez Marín : Vida de Mateo Alemán. In : Discursos leídos ante la Real Academia Española en la recepción pública del Excmo. Señor Don Francisco Rodríguez Marín el día 27 de octubre de 1907. Madrid : Tipografía de la Revista de Arch., Bibl. y Museos 1907, pp. 5-53 ; qui p. 35. – Manuela Villalpando : Jerónimo de Alcalá Yáñez (1571-1632) y Segovia. Segovia : Publicaciones de la Obra Cultural de la Caja de Ahorros y Monte de Piedad de Segovia 1976, p. 12. Narciso Alonso Cortés (Noticias de una corte literaria, p. 118) ricorda il caso di un regidor di Valladolid, Pedro López de Calatayud, che figura negli atti delle sessioni municipali con cinque nomi diversi ! 224   Nel Diálogo entre Laín Calvo y Nuño Rasura (1570), Lain, parlando dei confesos di Burgos, dice con amarezza a Nuño : “te hago saber que aqui, por encubrir su suçia sangre, tienen autoridad de mudarse los nombres como Pontifices en sus elecciones ; que si el Padre es judio y la madre hidalga, dexa el apellido del padre y acoxese al sagrario de la madre” (p. 169). 225   Cfr. Enrique Soria Mesa : La nobleza en la España moderna. Cambio y continuidad, pp. 278-287. 226   Si ricordi l’aneddoto di Melchor de Santa Cruz : “Preciábase un forastero mucho de hidalgo. Y, amohinándose un sastre con él, dijo el hidalgo : – ¿Vos sabéis qué cosa es hidalgo ? Respondió el sastre : – Ser de cincuenta leguas de aquí” (Floresta Española. Edición, prólogo y notas de María Pilar Cuartero y Maxime Chevalier, p. 147). E Quevedo consigliava ironicamente : “Para ser caballero o hidalgo, aunque seas judío y moro, haz mal letra, habla despacio y recio, anda a caballo, debe mucho y vete donde no te conozcan y lo serás”  



































































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cazione della genealogia, 227 diventata strumento di potere, 228 con l’aiuto di linajudos 229 – i professionisti della testificazione genealogica, che, come conoscitori della storia dei lignaggi, erano pronti a costruire alberi genealogici fasulli e a dichiarare, indifferentemente, il falso a favore di chi li aveva pagati, o il vero contro chi non aveva potuto o voluto pagarli 230 – ; manipolazione dei registri di battesimo e di matrimonio con la complicità di qualche sacrestano ; uso di arme – non mancavano Reyes de Armas disposti a certificare l’autenticità o la legittimità di blasoni, scudi e stemmi contraffatti o usurpati 231 – su porte di casa, tappezzerie, gualdrappe e drappi funebri ; apparentamenti con famiglie dell’alta burocrazia, del patriziato e della nobiltà ; compera di uffici municipali minori prima di acquistare juraderías e regidurías ; prestazione di servizi alla Corona ; acquisto di familiaturas dell’Inquisizione, 232 di hidalguías, 233 di señoríos 234 – prima fase del  



























(Francisco de Quevedo : Libro de todas las cosas. In : F. de Q. : Obras completas. Edición de Felicidad Buendía. Obras en prosa. Madrid : Aguilar 1979, pp. 121-129 ; qui p. 128). Una pratica molto diffusa era quella di acquisire la residenza in un qualche villaggio e qui – corrompendone gli amministratori e gli abitanti piú influenti – farsi dichiarare hidalgo. 227   Luis Vélez de Guevara satireggiava cosí la pratica diffusa delle falsificazioni genealogiche, attuate mediante il denaro : “Esta [calle ] es más temporal y del siglo que ninguna […] y la más necesaria, porque es la ropería de los agüelos, donde cualquiera, para todos los actos positivos que se le ofrece y se quiere vestir de un agüelo porque el suyo no le viene bien o está traído, se viene aquí, y por su dinero escoge el que le está más a propósito. Mira allí aquel caballero torzuelo cómo se está probando una agüela que ha menester, y esotro hijo de quien él quisiere se está vistiendo otro agüelo, y le viene largo de talle. Esotro más abajo da por otro agüelo el suyo, y dineros encima, y no se acaba de concertar, porque le tiene más de costa al sacristán, que es el ropero. Otro a esotra parte, llega a volver un agüelo suyo de dentro afuera y de atrás adelante, y a remendallo con la agüela de otro. Otro viene allí con la justicia a hacer que le vuelvan un agüelo que le habían hurtado y le ha hallado colgado en la ropería” (El Diablo Cojuelo, pp. 115-116). 228   Enrique Soria Mesa afferma : “la genealogía es un instrumento de poder en sí mismo ; un arma de ascenso social al servir de ocultación del mismo ascenso. Es un instrumento de dominación social, en una época en la que los conceptos riqueza y poder político han de ir necesariamente unidos al de nobleza de sangre” (El cambio inmóvil, p. 150). 229   Cfr. Enrique Soria Mesa : Genealogía y poder. Invención de la memoria y ascenso social en la España moderna, pp. 35-36. – Enrique Soria Mesa : El cambio inmóvil. Transformaciones y permanencias en una élite de poder (Córdoba, SS. XVI-XIX), p. 132. – Ruth Pike : Linajudos and Conversos in Seville. Greed and Prejudice in Sixteenth- and Seventeenth-Century Spain. 230   In un documento citato da Elena Postigo Castellanos (Honor y privilegio en la Corona de Castilla. El Consejo de las Órdenes y los Caballeros de Hábito en el s. XVII, p. 149, nota nro. 99), i linajudos sono cosí definiti : “Persona que tiene tratos y comercio para que les paguen el que depongan o dejen de deponer en un juicio de honor” (Archivo Histórico Nacional, Órdenes Militares, leg 6310). 231   Cfr. Enrique Soria Mesa : Genealogía y poder. Invención de la memoria y ascenso social en la España moderna, pp. 40-41. – Ruth Pike : Linajudos and Conversos in Seville. Greed and Prejudice in Sixteenth- and Seventeenth-Century Spain. 232   Cfr. Jean-Marc Pelorson : Les Letrados, juristes castillans sous Philippe III. Recherches sur leur place dans la société, la culture et l’État. Le Puy-en-Velay : Imprimerie Commerciale “L’Éveil de la Haute Loire” 1980, p. 198. – Enrique Soria Mesa : El cambio inmóvil. Transformaciones y permanencias en una élite de poder (Córdoba, SS. XVI-XIX), pp. 105-106, p. 110. 233   Tredici delle ventinove hidalguías vendute a Siviglia fra il 1565 e il 1585 furono – tanto per fare un esempio – comprate da famiglie conversas. Cfr. I. A. A. Thompson : The Purchase of Nobility in Castile, 1552-1700. In : Journal of European Economic History VIII/2 (1979), 313-360 ; qui p. 345 n. Ancora un esempio. Qattro quinti delle famiglie hidalgas di Cuenca erano di origine ebraica. Cfr. Raphaël Carrasco : Les hidalgos de Cuenca à l’époque moderne (1537-1642). In : Hidalgos & Hidalguía dans l’Espagne des XVIe-XVIIe siècles. Théories, pratiques et représentations (= Collection de la Maison des Pays Ibériques, 37). Paris : C. N. R. S. 1989, pp. 167-188. 234   Sul possesso di señoríos da parte di famiglie conversas, come gli Alcázar, i Duarte, i Jaén, i Solís, i Fuentes o gli Illescas, cfr. Juan Gil : Los conversos y la Inquisición sevillana. Volumen III. Ensayo de Prosopografía, pp. 194-205, pp. 582-584. – Juan Gil : Los conversos y la Inquisición sevillana. Volumen IV. Ensayo de Prosopografía, pp. 108-113, pp. 246-249, pp. 258-268. – Juan Gil : Los conversos y la Inquisición sevillana. Volumen V. Ensayo de Prosopografía, pp. 331-338. Sull’importanza dell’acquisto di señoríos per accedere all’alta nobiltà, Francisco Javier Mosácula María, parlando dei regidores segoviani, scrive : “Los que consiguieron hacerse con señoríos lograron rápidamente una categoría próxima a la que poseían los nobles titulados, estamento al que con el tiempo  





















































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processo di nobilitazione 235 – ; ecc. ecc.) precedeva il tentativo di usurpazione di status 236 e di entrare formalmente a far parte della classe privilegiata, cosí che una fitta rete di interessi creati e di parentele influenti riduceva al minimo il rischio, già piccolo, 237 di un insuccesso. (Una volta entrati come regidores nella oligarchia municipale, i conversos potevano aspirare a ottenere un hábito degli Ordini Militari 238 e a far entrare i loro figli nell’alta nobiltà. Cosí, per esempio, fra i figli dei regidores di Madrid dell’epoca di Filippo II troviamo, come Marchese di Cusano, Bernardo de Barrionuevo, figlio del licenciado García Barrionuevo de Peralta ; come Marchese di Villamagna e signore di Villafranca, Alonso Antonio Álvarez de Toledo, cavaliere di Santiago. 239 Discendenti della famiglia sivigliana degli Alcázar, nella quale i señoríos, le veinticuatrías e gli abiti di Ordini Militari non si contano, divennero Conti della Marquina e Marchesi del Valle de la Paloma. Discendenti di Francisco Duarte, veinticuatro di Siviglia e signore di Benazuza, divennero Marchesi de la Fuente. 240 ) In ogni caso già il semplice possesso della ricchezza avrebbe, nel corso del tempo, nobilitato quasi automaticamente, come osservava Bernabé Moreno de Vargas – uno dei maggiori conoscitori della documentazione relativa all’entrata dei regidores nei Consigli Municipali, ai processi di nobilitazione e all’ingresso negli Ordini Militari – nei suoi Discursos de la nobleza de España (1622), dedicati a Filippo IV. 241 La ricchezza, “sin la cual  

















acabaron integrándose. El disfrute de un señorío no solo permitía a sus propietarios ponerlos en condiciones de alcanzar un hábito de caballero, sino que además les aseguraba en la condición de hidalgos y les abría las puertas del estamiento superior. Sirvan como ejemplo los casos de los señores de Valdemoro y Casarrubios, después marqueses de Moya y condes de Chinchón y los señores de Cobatillas y de Lozoya, después condes y marqueses, respectivamente, de los lugares del mismo nombre” (Los regidores de la ciudad de Segovia : análisis socioeconómico de una oligarquía urbana, p. 109 ; cfr. anche Alfonso de Ceballos-Escalera y Gila : La Real Junta de Nobles Linajes, p. 104). Per il Regno di Granada cfr. Enrique Soria Mesa : La venta de señoríos en el Reino de Granada bajo los Austrias. Granada : Universidad de Granada 1995, pp. 65-70. Per Córdoba cfr. Enrique Soria Mesa : El cambio inmóvil. Transformaciones y permanencias en una élite de poder (Córdoba, SS. XVI-XIX), pp. 118-121, pp. 180-183. Per il Regno di Aragona cfr. José Ignacio Gómez Zorraquino : La burguesía mercantil en el Aragón de los siglos XVI y XVII (1516-1652). Diputación General de Aragón. Departamento de Cultura y Educación 1987, pp. 144-148. 235   Cfr. Juan Gil : Los conversos y la Inquisición sevillana. Volumen III. Ensayo de Prosopografía, pp. 73-74. – Ignacio Atienza Hernández : Aristocracia, poder y riqueza en la España moderna. La Casa de Osuna, siglos XV-XIX, pp. 38-39. – Enrique Soria Mesa : La venta de señoríos en el Reino de Granada bajo los Austrias, pp. 2835, pp. 53-70. – Enrique Soria Mesa : El cambio inmóvil. Transformaciones y permanencias en una élite de poder (Córdoba, SS. XVI-XIX), pp. 68-70, pp. 119-121. 236   I metodi impiegati per diventare hijosdalgo sono illustrati da un alcalde de hijosdalgo della Cancelleria di Valladolid nel Papel delos medios por donde los pecheros se yntroducen â hijosdalgo y delos que parecen combenientes Para ocurrir â este Daño, datato “Valladolid a 8 de Nobiembre de 1652” e composto di 22 fogli (Madrid, Biblioteca Nacional : Ms. 18.728-32). 237   Negli “expedientes de limpieza de sangre” predominava di fatto “la vista gorda y la investigación formularia” (F. Márquez Villanueva : El problema de los conversos : cuatro puntos cardinales, p. 59). 238   Una elevata percentuale dei regidores della città di Segovia – tanto per fare un esempio – ostentava le insegne di cavaliere di uno degli Ordini Militari. Cfr. Francisco Javier Mosácula María : Los regidores de la ciudad de Segovia : análisis socioeconómico de una oligarquía urbana, p. 105. 239   Cfr. Ana Guerrero Mayllo : Familia y vida cotidiana de una élite de poder. Los regidores madrileños en tiempos de Felipe II, pp. 94-96. 240   Cfr. J. Gil : Los conversos y la Inquisición sevillana. Volumen III, pp. 194-204, pp. 582-584. 241   “[...] no se puede negar, que las riquezas por la mayor parte dan causa de ennoblecer á los que las tienen, por lo mucho que el dinero puede : y esto es de hecho por la buena opinion que los ricos tienen en el mundo [...] : porque de ordinario vemos, que hombres plebeyos siendo ricos, y poderosos, vsando de liberalidad con los vezinos, que les podían ser contrarios, y tratandose noblemente, vienen a tenerlos contentos : y con esto, no solo ganan opinion de nobles, mas de ilustres, y dignos de grandes dignidades : [...] y [...] vemos oy, que haziendose Regidores, y Republicos, hablando alto y graue, tratando sus personas como Caualleros, y teniendo otros por sus amigos, y haziendo otras cosas semejantes [...], van adquiriendo reputacion de nobles, de tal manera, que despues sus hijos continuando lo proprio, vienen a conseguir possession de hijosdalgo, y sacar executorias,  











































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ninguno vemos ser estimado en la república”, era, secondo Juan Huarte de San Juan, per l’onore e il prestigio sociale di una persona un requisito addirittura piú importante della “nobleza y antigüedad de sus antepasados”, che per sé sola “es de muy poco provecho”, perché “ni es buena para comer, ni beber, ni vestir, ni calzar, ni para dar ni fiar” ! 242 (Notiamo che fra i sei requisiti – valore, ricchezza, nobiltà, “oficio honroso”, nome grazioso, eleganza nel vestire e molti servitori – che deve possedere “el hombre para que enteramente se pueda llamar honrado”, non figura la limpieza de sangre. 243) La ricchezza non solo era una delle due fonti (l’altra era la virtú) della nobiltà, secondo Alonso López Pinciano, 244 ma, affermava il medico della sorella di Filippo II (l’Imperatrice Maria, moglie di Massimiliano II), la nobiltà il ricco la trasmetterà ai suoi discendenti “senza alcuna macchia” ! 245 La ricchezza era quindi di per sé fonte di nobiltà senza macchia e di onore 246 in una società come quella del XVI e XVII secolo in cui gli antichi valori nobiliari, legati all’esercizio delle armi, erano stati progressivamente abbandonati dalla vecchia nobiltà di sangue e di spada (ne farà amaramente l’esperienza il Conte-Duca Olivares) e in cui il ‘vivere nobilmente’, ostentando la propria ricchezza (dimore signorili, ville, terre, cavalli, carrozze, servi, livree e vestiti costosi, gioielli, feste, donazioni alla Chiesa, fondazione di opere pie, ecc. ecc.), era infinitamente piú importante che essere veramente nobili, se la nobiltà non era sostenuta da adeguati mezzi di fortuna. Il problema della limpieza riguardava infine, come abbiamo ricordato, anche il gruppo, molto ristretto, di persone che volevano entrare nei Colegios Mayores, in Confraternite e Corporazioni esclusive, oppure ottenere le insegne di cavaliere di un Ordine Militare, una familiatura della Inquisizione o il canonicato di determinate Cattedrali (solo in un terzo scarso delle Cattedrali spagnole vigevano Estatutos de limpieza). Queste persone, cristianos viejos o cristiano nuevos che fossero, potevano appartenere ai ceti emergenti, alla hidalguía (questa veniva concessa anche a conversos 247 e, soprattutto, venduta – come precisava una Cédula di Filippo II del 4 aprile 1557 con la quale il Sovrano, per necessità    





   





por no auer ya memoria : y si la ay, no auer testigo que se atreua a deponer de aquel cauteloso principio, lo qual es muy facil en ciudades, y lugares libres de pechos y tributos : pues en ellos se pratica la opinión de los que dizen, no auer mas de dos linages en el mundo, que son ricos y pobres, juzgando aquellos por nobles, y à estos por plebeyos. Y puesto que otros viuan en lugares pecheros (adonde no se atreuen, sino los muy ricos, y poderosos) tienen sus inteligencias y caminos para escusarse de no pechar : quanto mas, que si los lugares son pequeños, y de gente pobre, no los osan empadronar por estar a ellos casi sujetos : y les parece, que por las riquezas y ostentacion que tienen, y por los beneficios que dellos reciben, merecen que viuan en libertad. Y otros ay muy mas ardidosos, que con executorias, ò solares agenos, teniendo y conseruando el apellido dellos, y diziendo fueron de sus bisabuelos, ò de otros sus ascendientes (de quienes no aya ya memoria) van coloreando su reputacion, y grangeando la possession de hijosdalgo, y obscureciendo su villania. Todo lo qual, si fueran pobres, no pudieran hazer con semejantes dissimulos : porque el vulgo juzga las cosas, no como ellas son, sino como parecen : y viendo que hombres semejantes tienen ostentacion, palabras, y apellido de hijosdalgo, tienen-los por tales” (Bernabé Moreno de Vargas : Discursos de la nobleza de España. Madrid 1636, fo. 51v-52v). 242   Juan Huarte de San Juan : Examen de ingenios para las ciencias (1575). Edición preparada por Esteban Torre, p. 277. Quevedo fa dire a Don Toribio : “Veme aquí v. m. un hidalgo hecho y derecho, de casa de solar montañés, que, si como sustento la nobleza, me sustentara, no hubiera más que pedir. Pero ya, señor licenciado, sin pan y carne, no se sustenta buena sangre, y por la misericordia de Dios, todos la tienen colorada, y no puede ser hijo de algo el que no tiene nada” (La vida del Buscón llamado Don Pablos. Edición crítica y estudio preliminar de Fernando Lázaro Carreter, p. 151). 243   Juan Huarte de San Juan : Examen de ingenios para las ciencias, pp. 277-278. 244   “[...] la virtud y [...] la riqueza [...] son las fuentes de la nobleza” (López Pinciano : Philosophia antigua poética [1596], vol. I, p. 117). 245   “El que con honesta y buena diligencia se haze rico, dexará a sus descendientes nobleza sin mancha alguna” (López Pinciano : Philosophia antigua poética [1596], vol. I, pp. 120-121). 246   Cfr. Cl. Chauchadis : Honneur, morale et société dans l’Espagne de Philippe II, pp. 133-136. 247   Cfr. Marie-Claude Gerbet : Les guerres et l’accès à la noblesse en Espagne de 1465 à 1592. In : Mélanges de la Casa de Velázquez 8 (1972), 295-326 ; qui pp. 304-305.  































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finanziarie della Monarchia, metteva in vendita 150 hidalguías, diverse escribanías, vari uffici di procuradores, di regidores e di jurados – a “cualesquier personas de cualesquier estado, o linaje que sean aunque tengan cualesquier oficios e máculas” ! 248), alla classe sociale dei cavalieri, al patriziato, o alla nobiltà di titolo. Se prive del requisito della limpieza, anche queste persone potevano ridurre, con opportune strategie (scelta di testimoni compiacenti, 249 corruzione di testimoni e dei funzionari addetti alle informazioni, falsificazione di genealogie 250), al minimo il rischio di un insuccesso. Il rischio era naturalmente tanto piú piccolo quanto piú grande era il potere ‘politico’ ed economico dell’aspirante a queste distinzioni sociali e della sua famiglia. 251 Un’ulteriore circostanza riduceva ancor di piú questo già minimo rischio : il fatto che per l’Inquisizione la certificazione di limpieza era diventata un affare lucrativo e quindi un’importante fonte di entrate. 252 La “transformation du tribunal de la foi en une vulgaire agence de pureté de sang” era iniziata – spiega Jean-Pierre Dedieu, uno dei massimi studiosi dell’Inquisizione – all’inizio del XVII secolo, ed ancora prima, 253 quando “les groupes qui lui demandaient toujours plus d’informations de pureté de sang, les notables qui détenaient le pouvoir dans les villas”, la orientarono “doucement dans une direction qui n’était pas la sienne en jouant sur ses difficultés économiques”. I membri delle oligarchie urbane spinsero il Sant’Uffizio in questa direzione poiché    













lorsqu’il jugeait et condamnait des vieux-chrétiens surtout, l’Office constituait pour eux un danger. Non tant qu’ils craignissent d’en être un jour les victimes directes. Mais c’était un tribunal national, un tribunal du roi, un élément extérieur, difficile à manipuler, difficile à contrôler, que s’immisçait dans les affaires locales et venait perturber les réseaux de clientèle, de pouvoir et d’influence qu’ils avaient patiemment édifiés. Dans le rôle d’agence de la limpieza, il était plus aisé de le tenir en main : il n’agissait qu’à la demande de l’intéressé lui-même et personne n’était obligé de provoquer une enquête sans être sûr du succès. L’échec, par ailleurs, était d’autant plus rare et d’autant moins grave qu’une espèce de consensus faisait qu’un rejet n’était prononcé que dans des cas extrêmes et qu’on le gardait secret, dans toute la mesure du possible. La corruption de fonctionnaires prêts, dans ce domaine, à se laisser acheter, le fait aussi que le tribunal n’agissait le plus souvent qu’à partir d’informations transmises par des commissaires presque toujours liés aux parties concernées, arrangeaient bien des choses. Ici, loin de gêner, l’Inquisition s’avérait uti 

248   Cédula de S. magestad pregonada por el Regidor [de Murcia] Luis Pacheco de Arróniz el 4 de Abril de 1557 (Archivo General de Simancas, CJH. Leg. 36 n° 200 ; cit. da Jaime Contreras : Estructuras familiares y linajes en el mundo judeo-converso, p. 220. – Jaime Contreras : Sotos contra Riquelmes. Regidores, inquisidores y criptojudíos, p. 178). 249   In occasione delle ‘prove’ effettuate nel 1597 per la concessione dell’hábito di Calatrava a Don Pedro de Hoces y Góngora, uno dei testimoni, Don Alonso de las Infantas, esclamò con grande amarezza riferendosi alla città di Córdoba : “Que las veinticuatrías suelen tenerlas caballeros hijosdalgos, y que las informaciones que se les hacen no son de consideración, porque se reciben por testigos a los que la parte presenta, que son cuatro o cinco, y que así hoy día hay muchos veinticuatros que no son hidalgos. Y que antiguamente eran jurados caballeros hijosdalgo y hombres llanos sin distinción ninguna, y ahora no son hidalgos, y los más de ellos son confesos” (Archivo Histórico Nacional, Órdenes Militares, Calatrava, exp. 1226, fol. 76v ; cit. da E. Soria Mesa : El cambio inmóvil, p. 140). 250   Nella sua ricerca sui regidores segoviani Francisco Javier Mosácula María constata che per ottenere “la Carta Ejecutoria de hidalguía … las gentes adineradas recurrían a toda clase de subterfugios, llegando a la compra de testigos falsos y a la falsificación de documentos que probasen unos orígenes inventados” (Los regidores de la ciudad de Segovia : análisis socioeconómico de una oligarquía urbana, p. 101). 251   F. J. Aranda Pérez : Poder y poderes en la Ciudad de Toledo. Gobierno, sociedad y oligarquías urbanas en la Edad Moderna, p. 258. 252   Cfr. Jean-Pierre Dedieu : L’administration de la foi, pp. 354-356. – Michel Boeglin : L’Inquisition espagnole au lendemain du concile de Trente. Le tribunal du Saint-Office de Séville (1560-1700), pp. 117-124. 253   L’alleanza fra oligarchie municipali e Inquisizione, favorita – se non addirittura imposta – dalla Corona, inizió già negli ultimi decenni del XVI secolo, come dimostra il caso della città di Murcia descritto esemplarmente da Jaime Contreras (Sotos contra Riquelmes. Regidores, inquisidores y criptojudíos, pp. 297-353).  



















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le. Les certificats de pureté de sang qu’elle délivrait étaient reconnus à l’égal des meilleurs, placés par la loi au même rang que ceux des ordres militaires ou des collèges majeurs. On peut douter que leur prestige ait été, de fait, aussi fort ; il était en tout cas élevé ; pour un prix relativement faible, dix fois inférieur, peut-être, à celui d’un habit de Saint-Jacques... Par le Saint-Office, et par le Saint-Office seul, les élites moyennes pouvaient espérer voir leur honneur de vieux-chrétien, élément essentiel du capital symbolique de leur famille, sanctionné au niveau national. Par ce biais, l’Inquisition renforçait leur pouvoir. 254  





Come si vede, gli Statuti di limpieza e le prove d’informazione ben lungi da costituire un incubo, un ostacolo per le oligarchie municipali, nelle quali l’elemento converso era largamente rappresentato, si erano trasformati in elemento di controllo dell’accesso al potere, controllo esercitato in certi casi per discriminare ed emarginare chi, magari, ‘cristiano vecchio’ veramente lo era. Il problema della limpieza costituiva, in ogni caso, un problema vitale (se ‘vitali’ si possono chiamare una distinzione onorifica, un privilegio fiscale e/o sociale, un beneficio, una prebenda, l’accesso ad una istituzione o ad una corporazione esclusiva, la cooptazione in un gruppo di potere) – e quindi una ‘ossessione’ – solo per un gruppo formato da qualche migliaia di persone, una percentuale infinitesimale (ca. 0,001%) della popolazione spagnola globale. E solo a qualche diecina di queste poche migliaia di persone veniva effettivamente impedito (un abisso separava l’esclusione teorica da quella concreta !) l’accesso ai sei Colegios Mayores, 255 al Capitolo di alcune Cattedrali (Badajoz, Toledo, Sevilla, Sigüenza, Córdoba, Jaén, Osma, León, Oviedo, Valencia), a certi ordini religiosi (Geronimiti, Domenicani, Francescani, Gesuiti 256), agli Ordini Militari (gli hábitos furono, in realtà, concessi sempre piú frequentemente a convertiti già nella prima metà del XVI secolo, come testimoniano Don Diego Hurtado de Mendoza 257 e Juan Arce de Otálora, che era stato lunghi anni fiscal della Chancillería di Granada e successivamente oidor nella Audiencia di questa città e poi in quella di Valladolid 258) e ai Consigli municipali, alle Corporazioni artigianali e alle Confraternite che avevano,  









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  Jean-Pierre Dedieu : L’administration de la foi, pp. 354-355.   Erano il Colegio de San Bartolomé, il Colegio de Oviedo, il Colegio de Cuenca e il Colegio del Arzobispo, di Salamanca, il Colegio de Santa Cruz, di Valladolid, e il Colegio de San Ildefonso, di Alcalá de Henares. Colegio Mayor – il primo in ordine cronologico e quello che sarà preso come modello dai Collegi posteriori (in particolare nello stabilire per Statuto che i posti di studio del Collegio fossero riservati ai pauperes) – era anche il Colegio de San Clemente de los Españoles di Bologna, fondato dal cardinale Gil de Albornoz verso il 1367. Sui Colegios Mayores cfr. Ana María Carabias Torres : Colegios Mayores : Centros de poder. Los Colegios Mayores de Salamanca durante el siglo XVI. 256   L’esclusione dei conversos da questi Ordini, o da certe funzioni o dignità di questi Ordini, non fu continua né lineare. Gli Statuti di purezza, introdotti non senza grandi resistenze e spesso molto tardivamente (i gesuiti lo introdussero, per esempio, il 23 dicembre 1593), furono talvolta concessi, talvolta revocati, talvolta negati dai Papi, che sempre mostrarono ripugnanza per queste discriminazioni. Molti Ordini religiosi, la maggioranza, forse, di essi, non introdussero comunque mai gli Statuti. Cfr. Antonio Domínguez Ortiz : Los conversos de origen judío después de la expulsión, pp. 287-295. 257   “A lo que decís del hábito de Santiago que su Majestad me quería dar en pago del trabajo de mi corónica, es mucha verdad que yo estuve algún tiempo determinado de tomarle ; más después, considerando que estos hábitos no se dan sino a unos que se tiene dubda [altro ms. : porque están en duda] de la claridad de su linaje […], y a otros se dan por señal de que son hombres inútiles y para poco ; […] no me curé del hábito”. Cfr. Don Diego Hurtado de Mendoza : Carta del bachiller de Arcadia al capitán Salazar y Respuesta de éste. In : Sales españolas o Agudezas del ingenio nacional. Recogidas por Antonio Paz y Meliá. Segunda edición de Ramón Paz (= Biblioteca de Autores Españoles, 176). Madrid : Atlas 1964, pp. 29-41 ; qui p. 41. 258   “Item videmus quod principes nostrae Hispaniae aliquando (imo saepè) largiuntur & concedunt his nouiter Conuersis, vel descendentibus ex eis officia honorabilia & dignitates & insignia militum & nobilium [como son encomiendas de Santiago, Calatraua y Alcantara, y officios preeminentes en sus casas, y en sus Reynos :] imo priuilegia ipsius nobilitatis, vt ego non pauca vidi” ( Juan Arce de Otálora : Summa nobilitatis hispanicae, p. 197).  

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eventualmente, uno Statuto di purezza. Cosí, per fare l’esempio della distinzione piú ambita, durante tutto il regno di Filippo IV, i pretendenti alle insegne di un Ordine Militare (vendute, talvolta, a soli 18.000/20.000 reales 259 = 1.636-1.818 ducati), la cui richiesta fu respinta, furono (considerati tutti insieme gli Ordini di Calatrava, Alcántara e Santiago), appena una cinquantina. Un numero irrisorio, che appare ancora piú irrisorio se confrontato con il numero degli hábitos concessi : piú di 5000 (l’11 agosto 1625 il Re aveva scritto, con cinismo, al Presidente del Consejo de Estado : “Sin castigo y premio no es posible conserbarse las monarchias. Este se reduce a mercedes de hacienda y de honra. Hacienda no la ay, con que a sido justo y forcoso suplir a esta con alargar las honras” 260). Dei 50 (meno dell’1%) respinti, 20 non divennero cavalieri per mancanza della hidalguía nella linea paterna ; 14 perché erano di origine ebraica e 16 per aver esercitato mestieri ‘vili’. Gli aspiranti che subirono una discriminazione per non essere ‘puri’ di sangue erano, come si vede, meno numerosi di quelli che la discriminazione la subirono per mancanza di hidalguía o per l’esercizio di mestieri vili e meccanici. 261 Il numero delle richieste respinte non superò mai comunque il 3-4% (gli hábitos concessi dai tre Ordini Militari dal 1600 al 1699 furono 9.486) e talvolta ad essere esclusi non erano i mercanti conversos, ma, paradossalmente, membri della nobiltà titolata ! 262 Agli esclusi da questi ‘onori’ a causa del loro sangue ‘impuro’ non era comunque precluso minimamente l’accesso a tanti altri onori, dignità, altissimi incarichi e uffici, e ai gradi piú alti della nobiltà, come nota lo stesso Agustín Salucio, il grande avversario degli Statuti :  











   



Los que son tenidos por inabiles para qualquiera cosa de las que piden informacion de limpieza (aunque sea para familiaturas de colegios, o para clerizones de tal Iglesia, o para frayles legos de algun convento) no por esto son escluydos de otros grandes cargos, oficios y dignidades eclesiasticas, o seglares : antes son admitidos a ser Regidores y Corregidores y a otros gouiernos y tribunales, y al sacerdocio y administracion de los Sacramentos, y a las religiones, y al pulpito, y a canonicatos, dignidades y obispados, y pueden ser Condes y Duques. 263  



Questa affermazione del frate domenicano è perfettamente vera, mentre è completamente falsa la diffusa opinione che ai conversos venisse precluso l’accesso agli uffici pubblici e alle dignità ecclesiastiche. Incomprensibilmente questa opinione è stata espressa anche da storici come John H. Elliott e Jean-Marc Pelorson. Il primo ha scritto che si attuava “la discriminación por los orígenes personales a la hora de lograr un nombramiento para cualquier cargo eclesiástico o seglar”, 264 e il secondo ha affermato che gli Statuti di purezza scartavano “des fonctions publiques les conversos et leurs descendants” ! 265 Affermazioni del tutto infondate e assurde. “Gente de sangre impura” – ha osservato Eugenio Asensio – “mandaba ejércitos, ocupaba sedes y cardenalatos, dirigía los Consejos del Reino”. 266 Gli stessi Inquisitori Generali non venivano sottoposti ai procedimenti di investigazione genealogica di limpieza 267 e molti di loro – dal primo  

   





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  Cfr. L. P. Wright : Las Órdenes Militares en la sociedad española de los siglos XVI y XVII, p. 41.   Madrid, Archivo Histórico Nacional, E, Colección Vega, XIX (papeles varios), signatura 859 D (cit. da L. P. Wright : Las Órdenes Militares en la sociedad española de los siglos XVI y XVII, pp. 38-39). 261   Cfr. Elena Postigo Castellanos : Honor y privilegio en la Corona de Castilla. El Consejo de las Órdenes y los Caballeros de Hábito en el s. XVII, pp. 168-172, pp. 196-200. 262   Cfr. E. Postigo Castellanos : Honor y privilegio en la Corona de Castilla. El Consejo de las Ordenes y los 263   Salucio : Discvrso, fo. 2v. Caballeros de Hábito en el s. XVII, pp. 176-181. 264   J. H. Elliott : El Conde-Duque de Olivares. El político en una época de decadencia, pp. 135-136. 265   J.-M. Pelorson : Les Letrados, p. 195. 266   Eugenio Asensio : La España imaginada de Américo Castro, p. 159. 267   Cfr. Historia de la Inquisición en España y América. Obra dirigida por Joaquín Pérez Villanueva y Bartolomé Escandell Bonet. II. Las estructuras del Santo Oficio. Madrid : Biblioteca de Autores Cristianos 1993, p. 235.  

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gli estatutos de limpieza de sangre

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Grande Inquisitore, il famoso Tomás de Torquemada (1483-1498), Vescovo di Palencia, a Fray Diego de Deza Tavera (1499-1506), Gran Cancelliere di Castiglia, Arcivescovo di Siviglia, 268 da Alonso Manrique de Lara (1523-1538), Cardinale e Arcivescovo di Siviglia, al già menzionato Don Pedro Portocarrero (1596-1599), Consigliere di Stato, Vescovo di Cuenca – furono di origine conversa ! 269 Antonio Domínguez Ortiz, il maggiore studioso della storia spagnola del XVI e XVII secolo, scrive nella sua opera Instituciones y sociedad en la España de los Austrias :  

   



Muchas corporaciones exigieron este requisito [la limpieza de sangre] a quienes deseaban ingresar en ellas. El Estado, en general, mostró repugnancia a exigir esta cualidad a sus servitores ; repasando la legislación castellana no se encuentra ninguna disposición de tipo general que prohíba acceder a los cargos administrativos a los que fueren de sangre no limpia. Tampoco era preceptivo este requisito para los obispos, de nombramiento real. 270  



E già nella monografia Los Judeoconversos en España y América aveva affermato che non si faceva alcuna investigazione “sobre los antecedentes familiares” degli aspiranti a uffici della amministrazione municipale e della amministrazione statale centrale. E aggiungeva :  

Si se investigaran los antecedentes familiares de todos los individuos que desde mediados del XVI a fines del XVII compraron regidurías, escribanías, fielazgos, veedurías, administraciones de rentas, etc. seguramente comprobaríamos que en una proporción elevadísima pertenecían a individuos con antecedentes raciales que todos sospechaban pero que nadie se cuidaba de investigar. Sirva esto como advertencia a los que pensaran que entonces todo español estaba obligado a producir sus títulos de limpieza de sangre. Sólo en pocos y determinados casos se exigía. 271  

Henry Kamen, dopo aver affermato che sarebbe un errore credere “que los estatutos triunfaron, que España languidecía bajo un régimen ampliamente racista y que los conversos eran excluídos de todos los puestos de honor y reducidos a la miseria”, 272 ed avere elencato “las instituciones conocidas con estatutos de limpieza”, scrive :  



La lista es más corta de lo que uno esperaría de una sociedad que se suponía estaba en medio de la fíebre anticonverso. Por lo que hace a carreras, un converso podía, normalmente, asistir a cualquier universidad u ocupar una cátedra, entrar en cualquier profesión ya fuera civil o comercial, servir en las fuerzas armadas, ocupar cualquier puesto en el gobierno central o municipal, obtener un título de noble o entrar en la Iglesia y llegar a ser obispo. Pocas minorías culturales, aún hoy en el siglo XX, se quejarían si pudieran gozar de una gama tan amplia de carreras. 273  

268   Era il grande protettore del famigerato inquisitore Diego Rodríguez Lucero. Cfr. Historia de la Inquisición en España y América. Obra dirigida por Joaquín Pérez Villanueva y Bartolomé Escandell Bonet. I. El conocimiento científico y el proceso histórico de la Institución (1478-1834). Madrid : B. A. C. 1984, pp. 343-349. 269   Cfr. F. Márquez Villanueva : Conversos y cargos concejiles, p. 510. – Julio Caro Baroja : Los Judíos en la España Moderna y Contemporánea. Tomo I. Madrid : Ediciones ISTMO 1978, pp. 312-313. – Ruth Pike : Aristocrats and Traders. Sevillian Society in the Sixteenth Century. Ithaca and London : Cornell University Press 1972, p. 47. – Benjamin González Alonso : Sobre el estado y la administración de la Corona de Castilla en el Antiguo Régimen, p 66. – Carmen Sanz Ayán : Minorías y marginados. In : La vida cotidiana en la España de Velázquez. Dirigida por José N. Alcalá-Zamora. Madrid : Ediciones Temas de Hoy 1994, pp. 127-147 ; qui p. 128. 270   Antonio Domínguez Ortiz : Instituciones y sociedad en la España de los Austrias. Barcelona : Ariel 1985, p. 16. 271   Antonio Domínguez Ortiz : Los Judeoconversos en España y América, pp. 243-244. 272   In una nota, Henry Kamen polemizza con Bartolomé Bennassar (L’homme espagnol. Attitudes et mentalités du XVIe au XIXe siècle. Paris : Hachette 1975, p. 178), che incredibilmente aveva affermato : “Pour quantité de familles riches et habituées à la puissance, dont l’un des ancêtres avait été juif, une telle situation était désastreuse : c’était à la fois la ruine et l’ignominie”. 273   H. Kamen : Una crisis de conciencia en la Edad de Oro en España : Inquisición contra “Limpieza de sangre”, pp. 325-326.  





































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E ancora :  

Cualquier intento serio de medir el impacto de los estatutos, sin embargo, debe reconocer que nunca formaron parte de las leyes de España. Ningún código legal ni del estado ni de la Iglesia reconocía la discriminación por limpieza. Los estatutos tenían el status solamente de reglas adoptadas por sociedades privadas y sin validez ni fuerza fuera de aquellas sociedades. El punto débil de los estatutos fue, por lo tanto, que no podían ser puestos en vigor por la ley pública. [...] Ya que los estatutos no tenían el vigor de leyes, no es sorprendente encontrar que a menudo no fueron observados, y quedaron muy frecuentemente sin cumplir. [...] [...] Está suficientemente claro que la limpieza no había llegado nunca a ser una ideología dominante y que, no estando vigente ni en el derecho público ni en el derecho canónico, siempre quedaba bastante libertad para discutirla y cuestionarla. 274  

Piú recentemente Vincent Parello, dopo aver sottolineato che “les statuts de « pureté de sang » n’ont jamais eu force légale”, trattandosi “tout au plus de mesures de droit privé promulguées à l’initiative de groupes religieux (confréries, cathédrales, monastères, etc...) ou sociaux (collèges, universités, corporations, etc...)”, 275 ha affermato : “Il faut donc se débarasser du mythe selon lequel l’Etat ou l’Inquisition, tribunal ecclésiastique au service de la monarchie, seraient à l’origine de la création des statuts de « pureté de sang »”. 276 Si deve osservare infine che gli Statuti avevano un’importanza del tutto marginale non solo perché riguardavano gruppi molto ristretti di persone, ma anche perché – come ha notato sopra Henry Kamen – erano largamente inefficaci nella pratica. 277 La  















274   H. Kamen : Una crisis de conciencia en la Edad de Oro en España : Inquisición contra “Limpieza de sangre”, p. 329 e p. 332. Già Juan Arce de Otálora (Summa nobilitatis hispanicae, p. 195) aveva osservato che i convertiti “per iura huius regni non solum non excluduntur, sed expresse admittuntur ad honores et officia, sicut caeteri omnes, vt expresse disponitur in l. sexta titulo. 24. part. 7. in fine illius legis, cuius verba. [Otrosi mandamos, que despues que algunos Iudios se tornaren Christianos, que todos los de nuestros señorios los honrren, y ninguno sea osado de retraher a ellos, ni a su linaje : sequitur in fine : y que puedan auer todos los officios y honrras que han todos los Christianos :] & in eorum fauorem disponit etiam. L. 21. titulo. 3. libro octauo ordi. & in l. 9. titul. 1. libro primo ordina.” 275   V. Parello : Les judéo-convers. Tolède XVe-XVIe siècles. De l’exclusión à l’intégration, p. 106. Cfr. anche Jean-Pierre Dedieu : ¿Pecado original o pecado social ? Reflexiones en torno a la constitución y a la definición del grupo judeo-converso en Castilla, p. 73 (“Los estatutos no eran sino de derecho privado”). 276   V. Parello : Les judéo-convers. Tolède XVe-XVIe siècles. De l’exclusión à l’intégration, p. 106. A proposito dell’Inquisizione, Jean-Pierre Dedieu (L’administration de la foi, p. 335) ha scritto : “Dans le travail secret de l’Inquisition, la « race » en tant que telle, au sens d’hérédité biologique, n’est … un critère vraiment discriminant : il vaudrait mieux parler d’appartenance culturelle effective. Jamais le tribunal n’a agi comme si l’hérésie pouvait se transmettre indéfiniment par le sang. Jamais, surtout, dans les affaires du moins qu’il m’a été donné d’étudier, elle n’a condamné sur la simple appartenance ethnico-religieuse. Les inquisiteurs étaient trop imbus de droit pour cela : ils savaient qu’il n’y avait là qu’une présomption, un indice capable, tout au plus, de renforcer une preuve ou une demi-preuve obtenue par ailleurs et strictement sans valeur en dehors d’elle. Ils étaient conscients, enfin, de la possibilité, du caractère inéluctable de l’assimilation.” 277   Sul fatto che gli Estatutos de limpieza fossero, nella pratica, largamente inefficaci sono d’accordo tutti gli autori di serie ricerche storiche sulle istituzioni e le genealogie dei loro membri. Cfr. – per esempio – Hipólito Sancho : Los conversos y la inquisición primitiva en Jerez de la Frontera, según documentos inéditos (14831496). In : Archivo Ibero-Americano 4 (1944), 595-610 ; qui p. 598. – Julio Caro Baroja : La sociedad criptojudía en la Corte de Felipe IV. In : J. C. B. : Inquisición, brujería y criptojudaísmo. Barcelona : Ariel 1972, pp. 11-180 ; qui p. 30. – Ruth Pike : Aristocrats and Traders. Sevillian Society in the Sixteenth Century. pp. 52-72. – Antonio Domínguez Ortiz : Comercio y blasones. Concesiones de hábitos de Órdenes Militares a miembros del Consulado de Sevilla en el siglo XVII, pp. 217-256. – Antonio Domínguez Ortiz : Unas probanzas controvertidas. In : Les cultures ibériques en devenir. Essais publiés en hommage à la mémoire de Marcel Bataillon (1895-1977). Paris : Fondation Singer Polignac 1979, pp. 181-187. – Benjamin González Alonso : Sociedad urbana y gobierno municipal en Castilla. In : B. G. A. : Sobre el estado y la administración de la Corona de Castilla en el Antiguo Régimen. Las Comunidades de Castilla y otros estudios. Madrid : Siglo XXI de España Editores 1981, pp. 57-83 ; qui p. 74-83.  































































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Cattedrale di Valencia avrà anche avuto uno Statuto di purezza, ma ebbe come Arcivescovo D. Juan de Ribera (Viceré del Regno di Valencia, Patriarca di Antiochia), di sangue converso per parte di madre. 278 Gli Ordini dei domenicani, dei geronimiti e dei francescani saranno pur stati teoricamente preclusi – in certe fasi della loro storia – a chi non aveva sangue puro, ma numerosissimi erano i conversos fra i frati di questi Ordini ed a diversi di questi ‘impuri’ fu conferita la mitra (ricordiamo i domenicani Bartolomé de las Casas, Vescovo di Chiapa, 279 Francisco de Vitoria, Vescovo di Tucumán dal 1578 al 1587, 280 Melchor Antonio del Alcázar, Priore del Convento di Siviglia ; 281 il geronimita Hernando de Talavera, Arcivescovo di Granada ; 282 il francescano Fray Juan de Cazalla, fratello della famosa alumbrada María Cazalla, Vescovo di Verisa 283). Certe Confraternite saranno anche state precluse ai conversos, ma – come si è visto – la piú esclusiva di tutte, la Cofradía del Real Hospital de Nuestra Señora Santa María de Esgueva di Valladolid, accolse Don Rodrigo Calderón. Normalmente il fattore di discriminazione non era costituito dal sangue, ma dal denaro. Di quanto fossero numerosi i conversos nelle oligarchie municipali, anche in quelle con Statuto di purezza come Toledo, abbiamo già detto. Di familiaturas e di hábitos di Ordini Militari concessi a persone di origine ebraica abbiamo già parlato e ancora parleremo piú avanti. Qui vogliamo però ricordare che nel XVI secolo erano state concesse familiaturas dell’Inquisizione anche a moriscos ! 284  





   

   



   

– James C. Boyajian : Portuguese Bankers at the Court of Spain, 1626-1650. New Brunswick, New Jersey : Rutgers University Press 1983, pp. 111-114, 249-250. – J.-P. Dedieu : L’administration de la foi. L’Inquisition de Tolède, XVIe-XVIIIe siècle, pp. 337-338, pp. 354-355. – J.-P. Dedieu : Limpieza, pouvoir et richesse. Conditions d’entrée dans le corps des ministres de l’Inquisition. Tribunal de Tolède – XVIe-XVIIe siècles, pp. 180-186. – J. Contreras : El Santo Oficio de la Inquisición en Galicia, 1560-1700, pp. 84-87, pp. 103-115, pp. 197-203. – E. Postigo Castellanos : Honor y privilegio en la Corona de Castilla. El Consejo de las Ordenes y los Caballeros de Hábito en el s. XVII, pp. 179-181. – Rafael Ródenas Vilar : Vida cotidiana y negocio en la Segovia del Siglo de Oro. El mercader Juan de Cuéllar. Valladolid : Junta de Castilla y León 1990, pp. 67-69, pp. 139-141. – F. M. Burgos Esteban : Los Estatutos de limpieza y sus pruebas en el siglo XVII, p. 374. – Ruth Pike : Linajudos and Conversos in Seville. Greed and Prejudice in Sixteenth- and Seventeenth-Century Spain. – Juan Gil : Los conversos y la Inquisición sevillana. Volumen III. Ensayo de Prosopografía, pp. 74-81. – V. Parello : Les judéo-convers. Tolède XVe-XVIe siècles. De l’exclusión à l’intégration. – L. Martz : Implementation of Pure-Blood Statutes in Sixteenth-Century Toledo, pp. 246-247, pp. 261-262. – L. Martz : A Network of Converso Families in Early Modern Toledo. – Francisco José Aranda Pérez : Judeo-conversos y poder municipal en Toledo en la Edad Moderna : una discriminación poco efectiva. In : Antonio Mestre Sanchís y Enrique Giménez López (Coordinadores) : Disidencias y exilios en la España Moderna. Actas de la IV Reunión Científica de la Asociación Española de Historia Moderna. Alicante, 27-30 de mayo de 1996. [Tomo II.] Alicante : Caja de Ahorros del Mediterráneo - Universidad de Alicante - A. E. H. M. 1997, pp. 155-168. – Inés Gómez González : La justicia, el gobierno y sus hacedores. La Real Chancillería de Granada en el Antiguo Régimen. Albolote (Granada) : Editorial COMARES 2003, p. 87. – Enrique Soria Mesa : Genealogía y poder. Invención de la memoria y ascenso social en la España moderna. – Enrique Soria Mesa : Burocracia y conversos. La Real Chancillería de Granada en los siglos XVI y XVII, pp. 107-144. – Francisco Javier Mosácula María : Los regidores de la ciudad de Segovia : análisis socioeconómico de una oligarquía urbana, pp. 97-105. – Alfonso de Ceballos-Escalera y Gila : La Real Junta de Nobles Linajes, pp. 44-45, pp. 102-104, p. 159. 278   D. Juan de Ribera (1532-1611) era figlio naturale di Don Pedro Afán de Ribera, Adelantado Mayor di Andalusia, Marchese di Tarifa, I Duca di Alcalá de los Gazules, viceré di Catalogna e, successivamente, di Napoli. La madre era figlia di Aldonza Gutiérrez de la Caballería, che apparteneva “al linaje de los Caballerías, los judíos aragoneses que se convirtieron al cristianismo y se hicieron famosos al servicio de Fernando el Católico” ( Juan Gil : Los conversos y la Inquisición sevillana. Volumen III. Ensayo de Prosopografía, p. 127). 279   Sull’origine conversa di Bartolomé de las Casas, cfr. Juan Gil : Los conversos y la Inquisición sevillana. Volumen III. Ensayo de Prosopografía, pp. 120-124. 280   Cfr. Julio Caro Baroja : La sociedad criptojudía en la Corte de Felipe IV, p. 47. – Diccionario de historia eclesiástica de España. I : A-C. Madrid : C. S. I. C. 1972, pp. 87-88 (« Argentina. II. Las diócesis. Tucumán »). 281   Cfr. Juan Gil : Los conversos y la Inquisición sevillana. Volumen II, pp. 138-139. 282   Cfr. Francisco Márquez : « Estudio preliminar » a : Fray Hernando de Talavera, O. S. H. : Católica impugnación, pp. 5-53 ; qui p. 9. 283   Cfr. M. Bataillon : Erasmo y España, pp. 62-71, pp. 177-180. 284   Cfr. Ricardo García Cárcel : Número y sociología de los familiares de la Inquisición valenciana. In : La In 







   































   









































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Largamente inefficaci gli Statuti lo erano anche perché, in assenza di registri anagrafici, costruirsi delle genealogie di comodo era estremamente facile. Lo stesso Francisco Márquez Villanueva ha affermato che un controllo rigoroso della limpieza dei conversos era, per il loro “número y mescolanza” e per la loro “deliberada tendencia al mimetismo de su origen – bien arropado por lo común en alguna trapacería heráldica y genealógica”, praticamente impossibile. 285 In un recentissimo saggio sulla forte presenza dei conversos nella Real Chancillería di Granada e nella oligarchia della città, Enrique Soria Mesa ha messo in rilievo la “enorme relatividad de la Limpieza de Sangre” e potuto affermare che i dati da lui raccolti ed esposti “revelan la gran facilidad con que se integraron los grupos de conversos en la España Moderna, muy superior a lo que se había pensado hasta hace poco”. 286 In una monografia precedente lo studioso aveva definito la limpieza de sangre una “ficción” e dedicato molte pagine ad illustrare “la ficción de las pruebas”. 287  





I concreti, reali e gravi problemi della società spagnola Non sono i conversos e il requisito della limpieza de sangre a costituire il vero, drammatico problema sociale della Spagna del Siglo de Oro, ma la generale povertà e, in particolare, la povertà dei contadini e del proletariato urbano. I “labradores, que los más son pobres y desbenturados”, come scrisse Luis de Ortiz nel suo Memorial (1558), 288 erano sfruttati  

quisición española. Nueva visión, nuevos horizontes. Director del volumen : Joaquín Pérez Villanueva. Madrid : Siglo XXI de España Editores 1980, pp. 271-283 ; qui pp. 280-281. 285   F. Márquez Villanueva : Conversos y cargos concejiles en el siglo XV, p. 540. 286   Enrique Soria Mesa : Burocracia y conversos. La Real Chancillería de Granada en los siglos XVI y XVII, p. 127. 287   Enrique Soria Mesa : El cambio inmóvil. Transformaciones y permanencias en una élite de poder (Córdoba, SS. XVI-XIX), pp. 127-149. 288   Memorial del contador Luis de Ortiz a Felipe II (Valladolid, 1 de marzo 1558), p. 129. Della povertà della popolazione rurale era ben conscio lo stesso Filippo II sin da quando era Principe ereditario, come mostra una lettera del 25 marzo 1545 scritta all’Imperatore da Valladolid. In questa lettera il giovane Principe ricordava a Carlo V “la esterilidad de estos reinos”, e poi cosí proseguiva : “La gente común, a quien toca pagar los servicios, está reducida a tan extrema calamidad y miseria que muchos de ellos andan desnudos, sin tener con qué se cubrir” (cit. da Ramón Carande : Carlos V y sus banqueros I, p. 115). Nel 1629 Fray Benito de Peñalosa y Mondragon scriveva : “El Estado de los Labradores de España en estos tiempos està el mas pobre, y acabado miserable, y abatido de todos los demas estados, que parece que todos ellos juntos se han aunado, y conjurado, a destruyrlo, y arruynarlo : y a tanto ha llegado, que suena tan mal el nombre de Labrador, que es lo mismo que pechero, villano, grossero […]. Los menages, y ajuares de sus casas, y bodas son de risa, y entretenimiento a los cortesanos : y estas comedias y entremeses de agora los pintan, y remedan haziendoles aun mas incapaces, contrahaziendo sus toscas acciones por risa del Pueblo. […] Y finalmente estan los Labradores oy en tan extrema miseria, y desuentura, que ninguna honra, ni premio alguno […] les està diputado de la Republica, sino solo el huesso mondo de la maledicion…” (Libro de las cinco excelencias del español, fo.169r-v). Già nel Libro de los pensamientos variables, scritto negli ultimi anni del XV secolo e dedicato alla regina Isabella, viene rappresentata la triste condizione dei contadini, sfruttati e derubati dai potenti : “Nosotros [los labradores], llenos del afán é del cuydado, passamos los dias sin ningun plazer : nosotros, llenos de mil miserias, somos por muchas maneras despechados : nosotros, llenos del creçido trabajo de que los reyes é grandes señores os lleuays todo el prouecho. [...] ¿É qué mayor mal puede auenir, magüer que si auiene, que ver el triste labrador del trabajo é sudor suyo mantenerse los gastos reales, la ponpa de los grandes señores, la desgastadiza locura de los cortesanos, la creçida riqueza de aquellos, quen la real hazienda entienden ? [...] [...] nos aconteçe muchas vezes que uenidos de nuestra labor ó del campo, hallamos las mujeres llorando é las cosas rrobadas, que nin sarten, nin alhamar en ellas queda. Porque los vnos por los tributos, los otros por mil desafueros dándonos á entregar nos prendan é nos lleuan quanto hallan.” Cfr. Libro de los pensamientos variables. In : Don José Amador de los Ríos : Historia crítica de la literatura española. Tomo VII. Madrid : Joaquín Múñoz 1865, pp. 578-590 ; qui p. 585, p. 587. Su questo breve ‘trattato’, che sembra prefigurare la famosa « Plática que hizo un villano de las riberas del Danubio a los senadores de Roma » (Fr. Antonio de Guevara : Relox de Príncipes, Libro III, Cap. III-V), cfr. Francisco López Estrada : Anuncios renacentistas en el Libro de los pensamientos variables. In : Homenaje a Eugenio Asensio. Madrid : Gredos 1988, pp. 277-289.  

















































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dalle classi privilegiate, 289 spesso resi poveri e spogliati delle loro terre dai mercanti con i prestiti usurari sotto forma di mohatras (vendite finte), 290 angariati e derubati dagli alguaciles. 291 Erano schiacciati dall’eccessivo gravame fiscale 292 (lo stesso Consejo Real definiva, nella Consulta del 1° febbraio 1619, “terribles” le imposte – “cargas Reales y personales” – che gravavano sui “labradores” 293 ), reso ancor piú eccessivo dagli abusi e soprusi degli esattori, 294 essendo quasi privi “de posibilidades de defensa contra los  











289   Cfr. Noël Salomon : La campagne de Nouvelle Castille à la fin du XVIe siècle d’après les Relaciones topográficas (= École Pratique des Hautes Études – VIe Section. Centre de Recherches Historiques. Les hommes et la terre, IX)). Paris : S.E.V.P.E.N. 1964, pp. 213-251. 290   Parlando della crisi dell’agricoltura nella campagna cordobese negli ultimi decenni del XVI secolo, José Ignacio Fortea Pérez scrive : “Los mercaderes vieron en las dificultades de los campesinos ocasión propicia para obtener ganancias fáciles y cuantiosas. El préstamo usurario bajo la forma de mohatras constituyó el instrumento idóneo para ello. Eran las mohatras ventas fingidas […]. El mecanismo de éstas era, por lo demás, muy simple. Los labradores acudían a los corredores para que les concertasen con los mercaderes la compra de mercancías fiadas con cuya teórica reventa obtendrían los recursos que necesitaban. Los mercaderes actuaban, sin embargo, de otra forma. Suscribían contratos adornados de todas las cláusolas legales necesarias por los que los labradores se obligaban a pagar a ciertos plazos – hasta ocho meses en el caso de los paños – determinada cantidad de dinero, importe de los tejidos que teóricamente habían adquirido. En realidad los mercaderes les entregaban dinero contante y sonante en menor cantidad de la que los propios labradores reconocían adeudar. La diferencia era el interés del prestamista, que podía alcanzar la cota de un 25% del principal. Pasado el plazo del contrato, los cobradores acudían, por orden del mercader, a percibir la deuda del labrador ; pero si éste, por malas cosechas o por cualquier otra causa no podía hacer frente a sus obligaciones, no era por ello demandado, sino que se le obligaba a suscribir nuevas mohatras con las mismas características que las primeras ; esto es, hasta con pérdida de un 25% para pagar las anteriores. Como puede observarse, recurrir a tales préstamos era el recurso de personas desesperadas, al borde de la quiebra. Todo el sistema, por lo demás, estaba pensado sobre la insolvencia del deudor quien, a la postre, quedaba a la merced del prestamista por cantidades de dinero muy superiores a las que originariamente había adquirido, hasta que el mercader en la medida de su conveniencia, decidía cobrar el principal e intereses acumulados en la persona y bienes del deudor : Su insolvencia se convertía, así, en fuente de beneficios para el mercader. Es posible que por estos procedimientos accedieran los mercaderes a la adquisición de las tierras de los campesinos, pues éstos hipotecaban sus propiedades para asegurar el pago de sus deudas” ( José Ignacio Fortea Pérez : Córdoba en el siglo XVI. Las bases demográficas y económicas de una expansión urbana. Córdoba : Monte de Piedad y Caja de Ahorros de Córdoba 1981, pp. 461-462). 291   Scriveva Jerónimo Castillo de Bobadilla : “Tengan muy à cargo los Corregidores de saber è informarse de la fidelidad, diligencia, limpieza y bondad de sus alguaziles, en especial de los que andan por la tierra, que suelen aprovecharse mas licenciosamente, tomando à los labradores sus bestias para sus negocios, llevandoles derechos demasiados, y salario de un dia por una legua de camino, deviendo contar à ocho leguas por dia […] : y hospedandose en sus casas à si, y à sus cavalgaduras à costa dellos, y estafandolos, quando se sacan mulas, ò vagajes, ò naves para el servicio del Rey, ò de la Republica, sacando mas de los que se les ordena por fieros y terrores, y libertando algunos, porque les den dineros, y tal vez cohechandolos porque no los quiten y saquen por soldados quando se levante gente de guerra, ò se va por concejo, ò por mandado de la justicia à alguna labor, o servicio publico : ò porque no los hagan oficiales de concejo, porque la costumbre destos alguaziles y executores es fraudulenta y mala, e inclinada à robar”. Cfr. Jerónimo Castillo de Bobadilla : Politica para Corregidores y Señores de vassallos, en tiempo de paz, y de guerra. Amberes : Juan Bautista Verdussen 1704 [1ª ed. 1597], Tomo I, Lib. I, Cap. XIII, num. 32-33, p. 154. 292   Cfr. David E. Vassberg : Land and Society in Golden Age Castile. Cambridge : Cambridge University Press 1984, pp. 219-229. Sulla espropriazione dei contadini proprietari “par l’argent” e la loro trasformazione in arrendatarios e jornaleros, cfr. anche N. Salomon : La campagne de Nouvelle Castille à la fin du XVIe siècle d’après les Relaciones topográficas, p. 185, pp. 278-279. 293   El Consejo Real a Felipe III, Madrid 1.° de febrero de 1619. Consulta hecha por el Consejo Real a Su Magestad sobre el remedio universal de los daños del Reino y reparo dellos. In : La Junta de Reformación. Documentos procedentes del Archivo Histórico Nacional y del General de Simancas. Transcritos por D. Ángel González Palencia. 1618-1625, pp. 12-30 ; qui p. 26. 294   Sugli esattori e i loro abusi M. González de Cellorigo (Memorial de la politica necessaria, y vtil restauracion à la Republica de España, fo. 47v) scriveva : “los que van a cobrar, destruyen la republica sustentandose a cuenta della infinidad de gente perdida, que viue del sudor ageno, molestando los subditos con terribles extorsiones : no solo en estar esperando las horas y momentos de los plazos : sino en ser tan crueles, y tyranos, que el pueblo se quexa, de que para cobrar los seys millones, con que siruio los años passados, pago otros quatro de costas à los recaudadores. Los quales, como gente sin consciencia, y peor que publicanos han sido y son autores  









































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desafueros de los recaudadores, contra los ricos y poderosos, que recurrían a todos los medios para conseguir exenciones, contra las injusticias de la ciudad o villa cabeza de partido, que, para aligerar su carga, agravaba las de las aldeas”. 295 Sostenevano sulle loro spalle la nobiltà, la Chiesa, lo Stato, i proprietari cittadini, i mercanti, i finanzieri e gli esattori. 296 Tutto un sistema parassitario, insomma, che Martin Gonzáles de Cellorigo (1600) ha descritto con estrema chiarezza :  





[...] vno que labra, ha de sustentar à si, y al señor de la heredad, y al señor de la renta, y al cogedor del diezmo, y al recaudador del censo, y à los demas que piden : y de ay arriba se puede hazer cuenta, que de la poca gente que trabaja, à la que huelga, sale à razon de vno por treynta. Desto se siguen los pleytos de acreedores, las grandes costas de las cobranças [...]. 297  



E ancora :  

[...] despues de auer pagado el diezmo deuido a Dios, pagan [los labradores] otro muy mayor à los dueños de la heredad : tras lo qual se les siguen innumerables obligaciones, imposiciones, censos, y tributos : demas de los pechos, cargas reales y personales, a que los mas dellos son obligados. Y quando acierta à faltar el fructo : ò à faltar los ganados con que le benefician, es cierto el desamparo de todo, y seguro el mendigar : por ser impossible, aunque la tierra les dè à ciento por vno, segun el peso de tanta carga el poder arribar : de cuyo daño se deriuan todos los demas que en toda España vemos, tal es el juyzio diuino de Dios, que lo permite en oposicion de todos los que pretenden, ser exemptos y libres de la natural y diuina ordenacion, que nos tiene puesta en el trabajo : sin que permita que viuamos del sudor de otros. 298  













del gran desolamiento, que al presente el Reyno padece, y esto es vna de las principales causas, porque tanto huye de consentir en ellos. Y pudiendose como se puede dar medio en las cobranças, deue el Principe echar de su corte, à los que de esto tratan : pues se vè que son causa, a que por su crueldad, cayan tantas maldiciones sobre lo que se paga, de que no se puede esperar buen fructo en el empleo : pudiendose dar otros modos suaues en la cobrança.” Gli esattori, sostiene ancora Cellorigo, sono inoltre – come lo sono anche i “muchos hombres de letras”, promotori di cause ingiuste – i distruttori di parte del ceto medio e di molte case illustri : “Los recaudadores de rentas, y juezes que llaman executores, que sustenta esta republica, con gran daño del comun de todos los estados, son […] los que consumen, y deshazen à los medianos : los quales por ser inumerables, y tantos, quando no hallan, en que poder vsar, de la violencia de sus execuciones, tienen por trato pagar las deudas de ante mano, para que se les den las cobranças de ellas, con que han asolado muchas illustres casas, y el comun de toda la mediania” (fo. 56v-57r). 295   Antonio Domínguez Ortiz : Instituciones y sociedad en la España de los Austrias, p. 40. Cfr. anche John Lynch : España bajo los Austrias. II. España y América (1598-1700), pp. 111-112. 296   N. Salomon : La campagne de Nouvelle Castille à la fin du XVIe siècle, p. 213. 297   Martin Gonçalez de Cellorigo : Memorial De la politica necessaria, y vtil restauracion à la Republica de España, y estados de ella, y del desempeño vniuersal de estos Reynos (1600), fo. 22v. 298   Martin Gonçalez de Cellorigo : Memorial De la politica necessaria, y vtil restauracion à la Republica de España, y estados de ella, y del desempeño vniuersal de estos Reynos (1600), fo. 24v. Un quadro non meno cupo della condizione dei contadini sarà tracciato, alcuni anni dopo, da Cristóbal Suárez de Figueroa nel Passagero (Madrid : Luys Sanchez 1617) : “De las cosas que me causan admiración más crecida es una el excesivo trabajo de los agricultores. Puedo decir que nunca gozan día bueno. ¿Qué fríos, lluvias y nieves no padecen de invierno ? ¿Qué ardores y cansancios no sufren por estío ? A muchos, particularmente segadores, ahoga el demasiado calor en las mismas hazas. Visten lo más humilde, lo de más bajo precio. Comen lo peor y más desechado, siempre con penuria y calamidad. Toda su fatiga y sudor se va en pagar las rentas, y ¡ojalá que alcanzase ! [...] Entre los dientes traen los miserables espíritus, y provoca a compasión ver cuán imposibilitados se hallan para pagar tan continuos pechos y tributos” (Cristóbal Suárez de Figueroa : El Pasajero. Vol. II. Introducción, edición, notas e índices de Mª Isabel López Bascuñana. Barcelona : PPU 1988, pp. 642-644). Anche Lope de Deza, nel suo Govierno Polytico de Agricultura (En Madrid, Por la viuda de Alonso Martin de Balboa, Año de 1618), e Miguel Caxa de Leruela, nella sua Restavracion de la antigva abvndancia de España (En Napoles por Lazaro Scorigio. 1631), metteranno in rilievo la cruda miseria patita dai contadini e lo sfruttamento di cui erano vittime. Cfr. le recenti edizioni delle due opere : Lope de Deza : Gobierno Político de Agricultura (1618). Edición y estudio preliminar de Angel García Sanz. Madrid : Instituto de Estudios Fiscales 1991. – Miguel Caxa de Leruela : Restauración de la abundancia de España (Nápoles 1631). Edición a cargo de Jean Paul Le Flem. Madrid : Instituto de Estudios Fiscales - Ministerio de Hacienda 1975.  









































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Qualche anno dopo la pubblicazione del famoso Memorial di Martin Gonzáles de Cellorigo, Pedro de Valencia dirigeva a Fray Gaspar de Córdoba e a Fray Diego de Mardones, confessori del Re, una serie di lettere, animate dalla viva “compasión y lástima de los pobres” e dalla “justísima indignación contra los poderosos”, 299 sulla ingiusta tassazione del vino, dell’olio e della farina, 300 sugli effetti perniciosi provocati dalla consuetudine di “arrendar las encomiendas” 301 e dalla manipolazione della moneta, sul prezzo del pane, che gli imbrogli architettati per rincararlo dagli ufficiali municipali, in accordo con i potenti, e le speculazioni attuate da mercanti usurai, da “tratantes y revendedores” e da “ricos y poderosos”, accaparratori di grano, facevano continuamente aumentare. 302 Dalla lettera del novembre del 1605 scritta a Fray Diego de Mardones da Pedro de Valencia, che nel 1607 indirizzerà allo stesso Filippo III un Discurso sobre el acrecentamiento de la labor de la tierra nel quale stigmatizzava la “desigualdad de la posesión de la tierra” e raccomandava di costringere i grandi latifondisti a dare – in enfiteusi o in affitto a prezzo moderato – ai contadini le terre incolte, 303 trascriviamo questa pagina sulla condizione miserabile della gente della terra :  











Ahora pido […] que se consideren y se pongan presentes con la imaginación ya en este tiempo, que es principio de noviembre, de una parte las personas de los compradores, que tienen nece299   Carta a Fray Diego de Mardones, confesor de Felipe III, remitiéndole para el Rey un Discurso sobre la tasa del pan. Zafra, 27 de julio de 1605. In : Pedro de Valencia : Obras completas. Volumen IV/1. Escritos sociales. I. Escritos económicos. Estudio introductorio por Jesús Luis Paradinas Fuentes. Edición crítica, texto e introducción filológica por Rafael González Cañal. León : Universidad de León. Secretariado de Publicaciones 1994, pp. 73-76 ; qui p. 74. In questa stessa pagina Pedro de Valencia scriveva che la fame che affliggeva la popolazione era “hecha y procurada por la avaricia y crueldad de los que retienen y revenden el trigo, y por el descuido y omisión de los que gobiernan”. E cosí proseguiva : “No puedo decir con encarecimiento a cuánto llega esta disolución e injuria pública, y el aprieto en que tiene puestos a los pobres y a todo el pueblo en general, y sabe V.P.Rma. cuán mal contado y recibido les será de Dios, Padre y Tutor de los pobres y pequeños, a los superiores […] el no sentir la hambre de los menores, ni dolerse […] de los trabajos del pueblo que está a su cargo. No merece nombre de padre ni de amo el que no tiene cuidado de que sus hijos y criados tengan el pan necesario.” Gli scritti di Pedro de Valencia non mancarono di impressionare profondamente Fray Diego Mardones. Il confessore di Filippo III ebbe violentissimi litigi con il Duca di Lerma per le sue dissipazioni e ammoní il Re che, se non poneva fine agli abusi, si sarebbe esposto alla condanna eterna (cfr. C. Pérez Bustamante : La España de Felipe III, p. 142). Su Pedro de Valencia cfr. José Antonio Maravall : Reformismo socialagrario en la crisis del siglo XVII. In : J. A. M. : Utopía y reformismo en la España de los Austrias. Madrid : Siglo XXI de España Editores 1982, pp. 247-303. 300   Carta a Fray Gaspar de Córdoba, confesor de Felipe III, sobre el segundo tributo de la octava de vino y aceite, y sus inconvenientes. Zafra, 19 de noviembre de 1603. – Carta a Fray Diego de Mardones, confesor de Felipe III, sobre la generalidad e igualdad en el repartimiento de las cargas públicas, subida de la plata, tributo en la harina y precio del trigo. Zafra 1606. In : Pedro de Valencia : Obras completas. Volumen IV/1. Escritos sociales. I. Escritos económicos, pp. 17-23 e pp. 131-135. 301   Carta a Fray Gaspar de Córdoba, confesor de Felipe III, sobre conferir los empleos a los poderosos y evitar sus injusticias. Zafra, 32 de diciembre de 1603. In : Pedro de Valencia : Obras completas. Volumen IV/1. Escritos sociales. I. Escritos económicos, pp. 25-28. 302   Pedro de Valencia : Carta a Fray Diego de Mardones, confesor de Felipe III, haciéndole ver los inconvenientes de la subida de la moneda de plata. Zafra, 27 de octubre de 1606. In : Pedro de Valencia : Obras completas. Volumen IV/1. Escritos sociales. I. Escritos económicos, pp. 125-130. Sul problema della manipolazione della moneta Pedro de Valencia si era espresso già un anno prima nel Discurso acerca de la moneda de vellón (in : Escritos económicos, pp. 111-123). Il problema della speculazione sul prezzo del pane Pedro de Valencia l’aveva ampiamente trattato nel Discurso o Memorial sobre el precio del pan, indirizzato a Filippo III e datato “Zafra, 25 de Julio de 1605”, e nella Respuesta a algunas réplicas que se han hecho contra el Discurso del precio del pan, para el Rmo. Confesor de su Majestad, el Padre Fray Diego de Mardones (Zafra, Noviembre de 1605). Cfr. Pedro de Valencia : Obras completas. Volumen IV/1. Escritos sociales. I. Escritos económicos, pp. 29-71, pp. 99-110. 303   Pedro de Valencia : Discurso sobre el acrecentamiento de la labor de la tierra. (Al Rey nuestro Señor.) Madrid, 1607. In : Pedro de Valencia : Obras completas. Volumen IV/1. Escritos sociales. I. Escritos económicos, pp. 137-158.  











































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sidad del pan de cada día, y de otra, los personajes de los vendedores, hallarse ha que todos los labradores pobres y todos los hombres medianamente poderosos que tuvieron algún trigo que vender lo tienen ya vendido, y que solos quedan con trigo para vender los tratantes, los arrendadores de diezmos y dehesas y las personas muy poderosas y muy obligadas a misericordia y caridad. Éstos no piensan abrir a vender hasta abril o mayo […] ; porque no se contentan con vender a tres ducados ni a treinta y seis reales […]. Es cosa de grande lástima y compasión la gente miserable de la tierra, porque los mercaderes, las personas que comen de rentas, de censos o juros y tienen alguna posibilidad, ya tienen comprado y están proveídos del trigo y cebada que habían menester para su año. Los compradores que restan son los cavadores y segadores, los labradores que vendieron a la cosecha, forzados de la necesidad, el trigo y cebada, y apenas les quedó qué sembrar, los oficiales pobres, que ganan la comida de cada día trabajando de día y de noche con su sudor, las viudas, los huérfanos. Éstos y otros de esta suerte son los compradores, los que no solamente no tuvieron la posibilidad para comprar en junto y proveerse con tiempo para todo el año, pero que aun no alcanzan para poder ir comprando entre año fanega a fanega [= 12 celemines = 55 ½ litros], o media a media [= seis celemines] en grano, sino que los que más, o todos, han de comer pan comprando cada día de la panadera, que va ya con cien reventas y ganancias, de manera que éstos que mejor lo merecen y que menos pueden son los que comen el peor pan y el más poco y el más caro, con exceso intolerable en el precio, respecto de a cómo lo compran y comen los ricos. En suma, de los revendedores que había en agosto se han quitado los más en número y menores en poder y han quedado los menos, y que son más poderosos y ricos ; y de los compradores que había, por el contrario, han comprados los menos en número, y que tenían posibilidad, y resta la muchedumbre del pueblo y el vulgo de los pobres, para ir comprando con el precio de su trabajo y empeñando o vendiendo sus alhajas, sus casas y sus camas (y aun sus hijos, si les fuese lícito, como lo fue por el antiguo Derecho), hasta quedar desnudos y dormir en el suelo. 304  





Un “labrador honrado”, venuto a Zafra da un paese vicino “a buscar dinero a censo”, spiega a Pedro de Valencia come gli speculatori si approfittavano delle situazioni di necessità in cui si trovavano spesso i contadini :  

Señor, por no vender ahora el trigo, que le hemos menester para sembrar y para comer el invierno, y, si ahora que nos aprietan deudas los vendemos a 24 reales, como vale, después entre año lo compraremos a cuarenta o a cincuenta, porque se han levantado unos hombres, que no son hombres de heredades ni de labor, sino tratantes, que tenían cuál quinientos cuál mil ducados en dinero : ya los han cuatrodoblado empleando en trigo. A uno de éstos llego yo u otro labrador abonado y le digo que me venda fiado hasta otra cosecha un cahíz [= doce fanegas] de trigo, que me falta ; dice que me lo dará, pero que ha de ser al mayor precio que valiere en todo el año, porque entonces y no antes lo había él de vender. Yo digo que sea así, forzado de la necesidad, y, después, en llegando un día por mayo a venderse una fanega por cincuenta reales, viene a mí o hace testigos para que le pague a aquel precio. Esto es lo que nos tiene destruidos a los labradores, que si yo lo vendiera ahora a 18 y después el invierno lo hubiera de hallar al mismo precio, venderíalo ahora y fuera como tomar prestado el dinero. 305  





Per non vendere subito dopo la raccolta, o addirittura prima della raccolta, il grano, alcuni contadini preferivano prendere “dinero a censo”, pagando cioè – in cambio del denaro ottenuto in prestito – una rendita annuale al creditore, che gravava sul reddito dei loro campi ed era garantita da questi (era quindi una specie di prestito ipotecario). La soluzione adottata dai contadini che prendevano “dinero a censo” era solo apparentemente piú vantaggiosa della vendita del raccolto subito dopo la mietitura. In 304   Pedro de Valencia : Respuesta a algunas réplicas que se han hecho contra el Discurso del precio del pan, pp. 106-107. 305   Pedro de Valencia : Carta a Fray Diego de Mardones, confesor de Felipe III, sobre la generalidad e igualdad en el repartimiento de las cargas públicas, subida de la plata, tributo en la harina y precio del trigo, p. 135.  



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realtà era molto rischiosa e costituiva per la proprietà un pericolo superiore a quello rappresentato dall’usura, come affermava Lope de Deza nel suo Govierno Polytico de Agricultura (Madrid 1618). 306 Bastava un cattivo raccolto per rendere impossibile il pagamento del censo e provocare cosí la perdita della proprietà. Era questa l’eventualità sulla quale speculavano cinicamente i creditori. Di fatto, l’indebitamento dei contadini permise a mercanti, grandi proprietari terrieri, speculatori, usurai e funzionari municipali, che godevano di qualche risorsa finanziaria, di impadronirsi con poco denaro della piccola-media proprietà rurale. Vittime di vere e proprie estorsioni 307 e di operazioni usurarie, 308 gravati di debiti e tributi e rovinati da uno sfruttamento eccessivo, i contadini proprietari (labradores) e i fittavoli (renteros, colonos, arrendadores), definiti spesso anch’essi labradores, venivano frequentemente ad accrescere il numero dei braccianti. I trabajadores (braceros, jornaleros) formavano il proletariato rurale e costituivano il 60-70% ca. della popolazione delle campagne ; la loro condizione era ancor piú miserabile di quella dei labradores. 309 Con impressionante frequenza, nelle Relaciones Topográficas, eseguite fra il 1575 e il 1578 per iniziativa e ordine di Filippo II, 310 alla domanda posta dal questionario sulla con 











306   Lope de Deza : Gobierno Político de Agricultura (1618), p. 57 (“en materia de daño de hacienda es menor el de la usura que el del censo”). Sul censo scriveva Lope de Deza : “En el censo hay aquella carcoma que de día y de noche está royendo, que aquel mismo día que paga empieza a deber, que los plazos se apresuran de manera que parece se alcanza uno a otro, y si se descuida el acensuador, como de industria hacen muchos, mayormente en censos pequeños, remanecen de mayor suma los corridos que el principal. Extraña cosa que de los cien ducados que tomó el bisabuelo a censo se hayan pagado doscientos y trescientos, y deba el bisnieto los mismos cien ducados y los réditos de ellos, no se que daño ni que inquietud pueda llegar a esta prolijidad y a esta ejecución y costas prolongadas, no sólo por su vida, sino por la de sus hijos y descendientes. Lo otro, el tomar a censo, es un mal encubierto, que no se deja entender hasta que no tiene remedio, porque en el supuesto de que no les pueden pedir el principal, les facilita engañosamente todo lo demás y por sólo este anzuelo encubierto de este cebo está perdido el miedo totalmente de tomar a censo, y es el escorpión que halaga con la boca y pica con la cola, de suerte que si pudieran permitirse las usuras, sin comparación fueran menos los perdidos por ellas que por los censos por sola esta facilidad de tomarlos con que se toman por cualquier ocasión y aún sin ella. Lo otro es gran inconveniente la perpetuidad de los réditos y el estar siempre sin libertad las personas y las haciendas para poderse aprovechar de ellas vendiéndolas, donándolas, dividiéndolas y en otras maneras forzosas y necesarias que se ofrecen a que contradice la servidumbre y yugo que tienen a cuestas, daño grandísimo de los que toman y mayor sin comparación que el de la usura, pues en ella no padecen tanto ni tan largo tiempo los deudores. […] Al fin me parece este censo invención de un rico holgazán y codicioso y de un pobre miserable y necesitado” (pp. 57-59). 307   Lope de Deza (Gobierno Político de Agricultura, p. 98) parla delle “estorsiones que se hacen a los labradores sacándoles el trigo y privándolos del beneficio que les podía resultar de venderlo en pan cocido.” 308   Scrive Bartolomé Bennassar : “El estudio de documentos notariales nos descubre el sencillo mecanismo de la especulación. En primavera cuando se trata de cereales, o en primavera o verano cuando se trata de vino, un capitalista adelanta cierta suma, de 10 a 25 ducados generalmente, a un labrador o a un viticultor en apuros. Este adelanto se acompaña de un contrato por el cual el campesino se compromete a entregar a su proveedor de fondos una parte o la totalidad de su cosecha. Cuando se ha fijado de antemano el precio de compra del grano o del vino, lo que no siempre ocurre, es evidente que esta venta anticipada de la cosecha se acompaña de una operación usuraria. Además, el acaparamiento de una parte importante de la cosecha permite a los capitalistas más emprendedores manipular los precios. Entre los especuladores abundan burgueses…” (Valladolid en el Siglo de Oro. Una ciudad de Castilla y su entorno agrario en el siglo XVI, p. 301). 309   Cfr. N. Salomon : La campagne de Nouvelle Castille à la fin du XVIe siècle, pp. 257-266. – David E. Vassberg : Land and Society in Golden Age Castile, pp. 184-229. – J. I. Fortea Pérez : Córdoba en el siglo XVI. Las bases demográficas y económicas de una expansión urbana, pp. 444-459. – B. Bennassar : Valladolid en el Siglo de Oro. Una ciudad de Castilla y su entorno agrario en el siglo XVI, pp. 301-306. – Francis Brumont : Paysans de Vieille-Castille aux XVIe et XVIIe siècles (= Bibliothèque de la Casa de Velázquez, 9). Madrid : Casa de Velázquez 1993, pp. 187-202. – Pegerto Saavedra : Permanencias y cambios en la sociedad rural española en el siglo XVII. In : José Alcalá-Zamora - Ernest Belenguer (Coordinadores) : Calderón de la Barca y la España del Barroco. Volumen I. Madrid : Centro de Estudios Políticos y Constitucionales 2001, pp. 87-110. 310   Sulle Relaciones Topográficas cfr. F. Javier Campos y Fernández de Sevilla : La mentalidad en Castilla la Nueva en el siglo XVI (Religión, Economía y Sociedad, según las « Relaciones topográficas » de Felipe II), pp.  































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dizione economica degli abitanti (“Si la gente del pueblo es rica o pobre”), si risponde che la gente è povera. Cosí, per esempio, nelle Relaciones de los pueblos del Reino de Toledo si incontrano continuamente dichiarazioni di questo tenore : “son labradores y pobres”, “la mayor parte son pobres”, “la gente del pueblo comunmente es gente pobre”, “toda la gente deste pueblo es muy pobre, todos en general porque no tienen repartimientos ni tierra”, “la gente de este lugar en comun es pobre”, “ser toda la mayor parte de la gente del lugar pobres”, “la gente de este lugar es pobre”, “en este lugar la mayor parte de los vecinos son pobres”, “la gente de este pueblo es por la mayor parte gente pobre”, “es gente pobre”, “la gente labradores de este lugar son pobres”, “esta villa es de gente muy pobre”, “en el lugar la mayor parte de los vecinos y moradores son pobres”, “todos los vecinos del pueblo desto lugar son hombres pobres”, “la generalidad del pueblo y la mayor parte de el son muy pobres”, “la gente de este pueblo es lo mas comun pobres” , “la gente de este lugar son jornaleros y trabajadores, gente pobre que vive de su trabajo”, “la gente es pobre, y viven de su labor miserablemente, y con mucho trabajo”, “la gente en comun es miserable y pobre, y no se pueden sustentar por la mucha vecindad”, 311 “en los vecinos deste lugar no hay como una docena de hombres labradores que tengan mediana posada, que todos los demas es gente menesterosa”, “la gente vecinos del lugar en general es gente pobre, necesitada, que salidos de cuatro o cinco vecinos si no lo ganan no lo comeran”, “los vecinos de este lugar son pobres, y la granjeria que tienen es llevar pan cocido a vender a Toledo”, “la gente labradora es pobre”, “los vecinos de este pueblo son pobres”, “cinco o seis vecinos hay que tienen de comer, los demas pobres”, 312 “la falta que en el [el pueblo] hay y que mas tiene necesidad es de no tener de comer”. 313 E cosí all’infinito. (Solo in qualche rara località la condizione di povertà della gente non è predominante o perlomeno non è assoluta ; 314 località di  







   

1-40. – Alfredo Alvar Ezquerra : Relaciones Topográficas de Felipe II. Madrid. Estudio introductorio. Madrid : Comunidad de Madrid - C.S.I.C. 1993, pp. 25-44. 311   Carmelo Viñas y Ramón Paz : Relaciones histórico-geográfico-estadísticas de los pueblos de España hechas por iniciativa de Felipe II. Reino de Toledo (Primera parte). Madrid : C. S. I. C. 1951, p. 7 (Adovea), p. 11 (Ajofrín), p. 19 (Alameda de la Sagra), p. 31 (Alcabón), p. 52 (Alcaudete), p. 57 (Aldeanueva de Balbarroyo), p. 64 (Almonacid) e p. 72 (Añover), p. 82 (Arcicollar), p. 93 (Arisgotas), p. 97 (Arroba), p. 107 (Azaña), p. 113 (Barcience), p. 121 (Bargas), p. 130 (Belvis), p. 139 (Borox), p. 152 (Brugel), p. 158 (Burguillos), p. 212 (Camuñas), pp. 448-449 (Herrera). 312   Carmelo Viñas y Ramón Paz : Relaciones histórico-geográfico-estadísticas de los pueblos de España hechas por iniciativa de Felipe II. Reino de Toledo (Segunda parte). Madrid : C. S. I. C. 1963, p. 65 (Mascaraque), p. 80 (Mazarambroz), p. 119 (Mocejón), p. 130 (Nambroca), p. 209 (Pantoja), p. 469 (Techada). 313   Carmelo Viñas y Ramón Paz : Relaciones histórico-geográfico-estadísticas de los pueblos de España hechas por iniciativa de Felipe II. Reino de Toledo (Tercera parte). Madrid : C. S. I. C. 1963, p. 653 (Valmojado). 314   Carmelo Viñas y Ramón Paz : Relaciones histórico-geográfico-estadísticas de los pueblos de España hechas por iniciativa de Felipe II. Reino de Toledo (Primera parte), p. 292 (Cazalegas) : “los vecinos de este lugar son los mas labradores y de otros oficios, hay pobres, y algunos hidalgos hasta cuatro o cinco” ; p. 309 (Ciruelos) : “en este lugar hay como cien casas, y en ellas hay ciento y dos vecinos, las veinticinco viudas, y las mas pobres, e otros mas de cuarenta vecinos pobres” ; pp. 363-364 (Dosbarrios de Ocaña) : “Tiene al presente la villa cuatrocientas y cuarenta casas, en que hay hasta setecientos e cuarenta vecinos con cuarenta y cuatro vecinos de los moriscos del reino de Granada que en la villa se repartieron. [...] Es la gente de la villa comunmente pobre, y viven de granjeria de pan y vino e aceite y algunos ganados hasta ciento e cincuenta vecinos della, y todos los demas son muy mas pobres, porque viven de sus trabajos y jornales y oficios, y mas de doscientos vecinos tan pobres que les dan por amor de Dios limosna cuando hay quien se la de” ; p. 381 (Escalonilla) : “este pueblo es de gente poble antes que rica, y viven de trabajar en labranzas” ; p. 484 (Huecas) : “no hay hombres muy ricos, y ... el que mas tiene valdra su hacienda como cinco mil ducados, y algunos de a mil y mil y quinientos, y otros muchos pobres, y otros muy pobres, y son mas los pobres que los ricos, y todos viven del campo”. – Carmelo Viñas y Ramón Paz : Relaciones histórico-geográfico-estadísticas de los pueblos de España hechas por iniciativa de Felipe II. Reino de Toledo (Tercera parte), p. 754 (Villarrubia) : “los vecinos de este pueblo non son muy ricos, ni hay muchos pobres y todos viven de ser labradores y no hay otras grangerias”.  







































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buon livello di benessere costituiscono casi del tutto eccezionali. 315) Non sono diverse le risposte sulla condizione economica della gente che ricorrono, normalmente, nelle Relaciones Topográficas relative alla provincia di Madrid 316 e alle province di Ciudad Real, Cuenca e Guadalajara. 317 E poveri non sono solo, in grandissima parte, gli abitanti dei comuni rurali e delle piccole località, ma anche quelli delle piccole, medie e grandi città. 318 Nel 1557 il 45% ca. della popolazione di Trujillo è classificato, dagli addetti alla ripartizione delle alcabalas, come povero. 319 Nel 1558 i poveri, bisognosi della assistenza pubblica per sopravvivere, costituivano un quinto della popolazione totale della Città Imperiale 320  











315   Uno di questi è Illescas, “tierra fructifera, y muy abundante de cosecha de pan de trigo y cebada, y legumbres en gran cantidad [...], de aqui se lleva mucha fruta a Toledo, y Madrid, y a La Mancha, y a otros muchos pueblos comarcanos”, e centro artigianale e commerciale importante nel quale sono numerose le case di “caballeros hijosdalgo”, discendenti di illustri famiglie. Non sorprende quindi che la seguente dichiarazione non contenga nessun accenno alla povertà : “En el pueblo no hay gente muy rica en comun, aunque hay particulares que tienen muy grandes haciendas, el comun modo de vivir es de labranza de pan, y vino y frutas, crianse ganados mayores en el de vacas y mular, hay muchos oficiales de diversos oficios [...], labranse con gran primor las cosas de herreria”. Naturalmente vi sono anche ad Illescas “pobres naturales” e “viudas pobres, y ... viejos, que por su manera de vida, o por no poder trabajar, han venido a probeza”, ma a questi, come ai malati, si può generosamente provvedere. Cfr. Carmelo Viñas y Ramón Paz : Relaciones histórico-geográficoestadísticas de los pueblos de España hechas por iniciativa de Felipe II. Reino de Toledo (Primera parte), pp. 493-494, p. 496, p. 498. 316   Alfredo Alvar Ezquerra (Coordinador) : Relaciones Topográficas de Felipe II. Madrid. Volumen I. Transcripción de los manuscritos. Madrid : Comunidad de Madrid - C.S.I.C. 1993, p. 46 (Alamo) : “este pueblo está pobre, mas que solía ser por razón por no tener prados ni dehesas a do criar ganados” ; p. 67 (Alcorcon) : “la mayor parte de los vecinos del lugar, de tres partes las dos son hombres pobres” ; p. 86 (Ambroz) : “la gente de este pueblo es pobre” ; p. 95 (Anchuelo) : “la mitad de los vecinos del lugar es gente pobre” ; p. 105 (Aravaca) : “la gente del lugar es pobre comúnmente” ; p. 112 (Arganda) : “respondieron haber en este lugar ... hasta quinientos [vecinos] .... declararon ser la gente de este lugar Arganda pobre, excepto hasta cincuenta vecinos que tienen medianamente para su sustento” ; p. 141 (Boadilla del Monte) : “la gente del lugar es la mayor parte de ella muy pobre” ; p. 170 (Buges) : “la gente de este pueblo es pobre, porque las tierras que se labran son de señores y capillas e iglesias, y son crecidos los arrendamientos” ; p. 185 (Camarma de Encina), “hay muchos pobres, y otros tienen qué comer” ; p. 196 (Camarma de Esteruelas) : “la gente del pueblo es pobre, sino es ocho o diez de ellos que tienen que comer” ; p. 227 (Carabanchel de Arriba) : “la gente de este lugar es gente pobre toda en común” ; p. 310 (Daganzuelo) : “los más vecinos de esta villa son pobres”, ecc. ecc.– Alfredo Alvar Ezquerra (Coordinador) : Relaciones Topográficas de Felipe II. Madrid. Volumen II. Transcripción de los manuscritos. Madrid : Comunidad de Madrid - C.S.I.C. 1993, p. 504 (Móstoles) : “en la villa son la mayor parte de los vecinos pobres” ; p. 522 (Olmeda de las Fuentes) : “es toda la gente del pueblo casi todo pobres, sino es hasta ocho o diez vecinos que tienen su posada” ; p. 588 (Pezuela de las Torres) : “en la villa hay doscientos treinta vecinos, entre los cuales habrá hasta veinte hombres que tienen una honesta pasada, sin que ninguno de ellos se pueda llamar rico, y los demás todos son gente miserable” ; p. 664 (Las Rozas) : “la mayor parte del lugar es gente pobre, y otras personas hay ... que tienen honestamente su pasada” ; p. 694 (San Sebastián de los Reyes) : “la gente del lugar es la mayor parte de él muy pobre y necesitada, porque no tienen granjerías ni tratos más de ser jornaleros y labradores pobres” ; p. 742 (Talamanca) : “los más vecinos de la villa por la mayor parte son pobres y todos en general han menester ser ayudados para pasar” ; p. 759 (Torrejón de Ardoz) : “hay algunos labradores en la villa vecinos de ella que tienen de comer y viven de oficio de labradores, cultivar la tierra, coger pan y vino, y la mayor parte es gente pobre que vive de oficio de trabajadores al dicho oficio y labran teja y ladrillo”, ecc. ecc.. 317   Per alcuni dati sulla situazione economica della popolazione di queste province cfr. F. Javier Campos y Fernández de Sevilla : La mentalidad en Castilla la Nueva en el siglo XVI (Religión, Economía y Sociedad, según las « Relaciones topográficas » de Felipe II, pp. 139-143. 318   Sul numero dei poveri cfr. Angelus H. Johansen : Die Bevölkerung Kastiliens und ihre räumliche Verteilung im 16. Jahrhundert. Methodische Studie unter Berücksichtigung demographischer, geographischer, quellenkundlicher und statistischer Aspekte (= Spanische Forschungen der Görresgesellschaft. Zweite Reihe, 27. Band). Münster : Aschendorff 1992, pp. 336-340. 319   Cfr. Jean-Paul Le Flem : Cáceres, Plasencia y Trujillo en la segunda mitad del siglo XVI (1557-1596). In : Cuadernos de Historia de España, Buenos Aires, 1967, pp. 248-299 ; qui pp. 269-270, p. 275. 320   Cfr. L. Martz - J. Porres : Toledo y los toledanos en 1561, pp. 40-45. Quasi venti anni dopo, Luis Hurtado de Toledo scriveva sulla condizione economica degli abitanti della Città di Toledo : “la gente deste pueblo no es rica, antes demuestra mucha pobreça, de tal manera, que de las diez partes de sus moradores las nueue pueden  





































































































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e di Málaga ; 321 a Segovia il 16% circa, 322 a Valladolid (secondo il censimento del 1561, che non tiene conto dei poveri vagabondi) ‘solo’ il 10% ca. 323 Anche in una città ‘ricca’ come Siviglia la povertà costituiva, negli ultimi decenni del XVI e nei primi del XVII secolo, un fenomeno di vastissime proporzioni. 324 Solo in poche città i poveri costituivano meno del 10% della popolazione (per esempio, Medina del Campo : 8,89% ; 325 Murcia : 7,44%, 326 Granada : 7,4% 327). Oltre alla povertà di vastissimi settori della popolazione, le Relaciones de los pueblos de España evidenziavano tutta una serie di concreti, reali problemi sociali, economici, ambientali, politici, fiscali, giuridici, sanitari, demografici : la crisi o l’inesistenza dell’artigianato e del commercio, una delle cause della frequente mancanza di opportunità di lavoro 328 e della povertà (“la gente del pueblo es necesitada, y viven de labranza y trabajo, y no tienen otros tratos ni granjerias” ; 329 “todos los vecinos de    















   







   

pedir, y sola una dar”. Cfr. Luis Hurtado de Toledo : Memorial de algunas cosas notables que tiene la Imperial Ciudad de Toledo (1576), p. 524. 321   Cfr. L. Martz - J. Porres : Toledo y los toledanos en 1561, p. 45. 322   Cfr. Bartolomé Bennassar : Économie et société à Ségovie au milieu du XVIe siècle. In : Anuario de Historia Económica y Social 1 (1968), 185-205 ; qui p. 189. 323   Cfr. B. Bennassar : Valladolid en el Siglo de Oro. Una ciudad de Castilla y su entorno agrario en el siglo XVI, pp. 402-406. Nel XVII secolo si avrà un aumento sensibile della povertà. Cfr. Adriano Gutiérrez Alonso : Estudio sobre la decadencia de Castilla. La ciudad de Valladolid en el siglo XVII (= Estudios y Documentos, XLV). Valladolid : Universidad de Valladolid. Secretariado de Publicaciones 1989, pp. 121-122. 324   Cfr. Juan Ignacio Carmona : El extenso mundo de la pobreza : la otra cara de la Sevilla imperial. Sevilla : Excmo. Ayuntamiento de Sevilla 1993. – Juan Ignacio Carmona : Crónica urbana del malvivir (s. XIV-XVII). Insalubridad, desamparo y hambre en Sevilla. Sevilla : Universidad de Sevilla 2000. 325   Cfr. Bartolomé Bennassar : Medina del Campo. Un exemple des structures urbaines de l’Espagne au XVIe siècle. In : Revue d’histoire économique et sociale 39 (1961), 474-495. – B. Bennassar : Économie et société à Ségovie au milieu du XVIe siècle, p. 189. 326   Cfr. Francisco Chacón Jiménez : Murcia en la centuria del quinientos. Murcia : Universidad de Murcia. Academia Alfonso X el Sabio 1979, p. 386. 327   Cfr. Francisco Sánchez-Montes González : La población granadina en el siglo XVII. Granada : Universidad de Granada – Ayuntamiento de Granada 1989, pp. 183-187. 328   Carmelo Viñas y Ramón Paz : Relaciones histórico-geográfico-estadísticas de los pueblos de España hechas por iniciativa de Felipe II. Reino de Toledo (Primera parte), p. 321 (Cobisa) : “la gente del pueblo es pobre, y no tienen granjerias de que vivir, y no se hace algun labor en el pueblo ; p. 391 (El Espinoso) : “toda la mas gente de este lugar es pobre, porque en el dicho lugar no hay tratos ni caudal para poderlos tratar”. – Carmelo Viñas y Ramón Paz : Relaciones histórico-geográfico-estadísticas de los pueblos de España hechas por iniciativa de Felipe II. Reino de Toledo (Segunda parte), p. 91 (Menasalbas) : “de lo que mas tiene esta villa necesidad es de tractos, porque no los hay ningunos por la poca posibilidad de dineros que hay en todos los vecinos della, y por ser los mas carboneros y trabajadores jornaleros” ; p. 158 (Nominchal) : “la gente del pueblo es pobre y viven todos de sus trabajos y labores, y no hay otros tratos en el, y las casas que se labran no se hacen mejor que en otras partes, sino peor por ser caros los materiales” ; p. 173 (Nuez) : “todos los vecinos del lugar es gente pobre, y no tiene oficios ningunos ... sino es sembrar y cultivar viñas” ; p. 191 (Olias) : “la gente es pobre y los mas son jornaleros, y ... no tienen granjerias ni tractos, ni se hacen en este lugar ningunas cosas afamadas” ; p. 249 (Puebla de Almoradiel) : “todos los vecinos de esta villa viven de labradores de pan y vino y ... otros tratos no los hay ... y las casas ... son de tierra ... y la gente la mayor parte es pobre” ; p. 391 (San Pablo) : “toda la mayor parte de este lugar es gente pobre y ... no hay trato en el por ser tierra aspera y fria y ... el mas trato es hacer carbon y labrar y criar algunos ganados” ; pp. 405-406 (San Silvestre) : “los vecinos desta villa es gente pobre y no tienen ningunas grangerias sino labranza y trabajo porque en esta villa no tienen heredades a tierras ni viñas sino todas del señor o atributadas al ... señor duque [de Maqueda]” ; p. 459 (Talavera de la Reina) : “Lo que en esta villa se labran mejor que en otras partes es el barro vidriado blanco y azulejos y otras cosas de esta labor de que se provee el reino y parte de Portugal y las Indias y los oficiales de este oficio solian estar ricos y ahora estan pobres y algunos de ellos perdidos que han dexado el oficio por no tener caudal para lo sustentar”. – A. Alvar Ezquerra (Coordinador) : Relaciones Topográficas de Felipe II. Madrid. Volumen II, p. 787 (Valdeolmos) : “los vecinos de esta villa son pobres porque no tiene granjería ninguna ni en esta villa la hay, sino es labranza de pan y vino y esto se coge muy poco”. 329   Carmelo Viñas y Ramón Paz : Relaciones histórico-geográfico-estadísticas de los pueblos de España hechas por iniciativa de Felipe II. Reino de Toledo (Primera parte), p. 426 (Gerindote).  





















































































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esta villa son pobres y viven de sus trabajos, porque no tienen heredades ningunas ni granjerias ni tratos”, “la gente son labradores, y por la mayor parte pobres, que solo entienden de labranza sin otra granjeria ninguna” ; 330 “en este pueblo toda la gente en comun es pobre ... y de lo que viven es de algun pan que cogen y vino y lino ... e hay poco e no hay otros tratos, oficios ni grangerias” 331) ; l’assenza o l’esiguità di pascoli e terre comunali (“este pueblo no tiene mas de la dehesa boyal, y es pequeña”, “esta villa no tiene propios”, “no tiene propios ni rentas ningunos este lugar y concejo del” ; 332 “los pastos que hay en termino de este lugar solo es una dehesilla ... y no hay bosques ni cotos de caza ni pesca”, “este pueblo no tiene sino una dehesa pequeña, y no tiene monte ni caza”, “este lugar no tiene dehesas señaladas, ni en el termino del las hay no otros pastos, sino en cuatro prados boyales harto pequeños”, “esta villa no tiene mas que un monte pequeño”, “los propios son muy pocos”, “el pueblo no tiene dehesas ningunas ni pastos” ; 333 “esta villa no tiene propios ningunos, si no es una pequeña dehesa” ; 334 “hay dos dehesas concejiles pequeñas” 335) ; la scarsezza di legname e di acqua 336 (numerose località hanno però molta legna e buone e abbondanti acque) ; la povertà e insalubrità di gran parte delle abitazioni (“las casas son baxas, humosas, sin chimeneas, edificadas de tapial    





   

   

   









330   Carmelo Viñas y Ramón Paz : Relaciones histórico-geográfico-estadísticas de los pueblos de España hechas por iniciativa de Felipe II. Reino de Toledo (Segunda parte), p. 17 (Malpica), p. 73 (La Mata). 331   Carmelo Viñas y Ramón Paz : Relaciones histórico-geográfico-estadísticas de los pueblos de España hechas por iniciativa de Felipe II. Reino de Toledo (Tercera parte), p. 612 (Torrecilla). 332   Carmelo Viñas y Ramón Paz : Relaciones histórico-geográfico-estadísticas de los pueblos de España hechas por iniciativa de Felipe II. Reino de Toledo (Primera parte), p. 325 (Corralrubio), p. 418 (Gálvez), p. 422 (Gamonal). 333   Carmelo Viñas y Ramón Paz : Relaciones histórico-geográfico-estadísticas de los pueblos de España hechas por iniciativa de Felipe II. Reino de Toledo (Segunda parte), p. 33 (Marjaliza), p. 41 (Mañosa), p. 64 (Mascaraque), p. 177 e p. 185 (Ocaña), p. 411 (Santa Ana de Bienvenida). 334   Carmelo Viñas y Ramón Paz : Relaciones histórico-geográfico-estadísticas de los pueblos de España hechas por iniciativa de Felipe II. Reino de Toledo (Tercera parte), p. 684 (Villacañas). 335   A. Alvar Ezquerra (Coordinador) : Relaciones Topográficas de Felipe II. Madrid. Volumen II, p. 831 (Vicálvaro). 336   Carmelo Viñas y Ramón Paz : Relaciones histórico-geográfico-estadísticas de los pueblos de España hechas por iniciativa de Felipe II. Reino de Toledo (Primera parte), p. 185 (La Cabeza Mesada) : “esta villa es falta de leña” ; p. 223 (Cardiel) : “la villa es muy falta de agua de beber” ; p. 239 (Carrascalejo) : “es lugar falto de aguas” ; p. 256 (Casarrubios del Monte) : “ha tenido abundancia de leña hasta treinta años a esta parte, y ahora esta rasa y sin monte” ; p. 307 e p. 308 (Ciruelos) : “es falto de leña”, “es falto de agua” ; p. 315 e p. 316 (Cobeja de la Sagra) : “es tierra falta de leña”, “el lugar [es] falto de agua” ; p. 325 (Corralrubio) : “hay gran falta de agua” ; p. 333 (Cuerva) : “esta villa es de suyo falta de leña” ; p. 354 (Domingo Pérez) : “esta tierra es falta de leña” ; p. 377 (Escalonilla) : “es tierra falta de leña” ; p. 399 (Esquivias) : “es falto de leña” ; p. 411 e p. 412 (Fuentelapio) : “es lugar enfermo y de malas aguas”, “falto de agua” ; p. 426 (Gerindote) : “es falto de agua” ; p. 489 (Illan de Vacas) : “de leña hay gran falta”. – Carmelo Viñas y Ramón Paz : Relaciones histórico-geográfico-estadísticas de los pueblos de España hechas por iniciativa de Felipe II. Reino de Toledo (Segunda parte), p. 112 (Miguel Esteban) : “es tierra falta de leña” ; “esta villa es falta de agua, ... en ella no hay ninguna para beber la gente” ; p. 136 (Nava Hermosa) : “este pueblo es falto de agua” ; p. 156 (Nominchal) : “el lugar no es tierra de mucha leña antes es falta de ella” ; p. 176 (Ocaña) : “es lugar muy falto de leña” ; p. 401 (San Román) : “esta villa es falta de aguas” ; p. 411 (Santa Ana de Bienvenida) : “el pueblo es falto de agua” ; p. 415 (Santa Cruz de Retamar) : “esta villa es pobre de leña”. – Carmelo Viñas y Ramón Paz : Relaciones histórico-geográfico-estadísticas de los pueblos de España hechas por iniciativa de Felipe II. Reino de Toledo (Tercera parte), p. 579-580 (Villa de El Toboso) : “es muy falta de leña”, “es falto de aguas” ; p. 693 (Villamanta) : “es falta de leña” ; p. 701 (Villamiel) : “es falto de leña” ; p. 713 (Villaminaya) : “es falto de leña” ; p. 746 (Villanueva del Horcajo) : “esta tierra es falta de leña” ; p. 752 (Villarrubia) : “la tierra es falta de leña” ; p. 762 (Villaseca de la Sagra) : “es muy falta de agua” ; p. 769 (El Viso) : “esta villa y su tierra es falta de leña”. – A. Alvar Ezquerra (Coordinador) : Relaciones Topográficas de Felipe II. Madrid. Volumen II, p. 732 (Serracines) : “esta villa es falta de leña” ; p. 738 (Talamanca) : “es tierra falta de leña” ; p. 758 (Torrejón de Ardoz) : “es tierra ... muy falta de leña” ; p. 787 (Valdeolmos) : “este pueblo es falto de agua”, ecc. ecc.  

















































































































































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de tierra” ; “las casas e moradas son llanas, y los materiales son tapiadas de tierra, y con algun poco de cimiento de piedra y madera, y algunas no tienen cimiento” ; “las casas son muy ruynes, de tierra, madera y ripia, y algunas pajizas y de tapias de tierra” ; 337 “las casas ... son las mas de paja y retama” ; 338 “las casas de esta villa son pobres”, “las casas son de tierra” 339) ; la concentrazione – causa principale, unitamente alla scarsezza di terre, boschi e pascoli comunali, della povertà dei contadini e dei braccianti – della proprietà terriera, costituita per lo piú in mayorazgos, nelle mani delle classi privilegiate (nobiltà, clero) e, sebbene per una parte piú esigua, in quelle di abitanti delle città appartenenti ai ceti medi ; 340 l’esenzione fiscale non solo della nobiltà (hidalgos, caballeros, títulos), degli Ordini Militari e del clero, 341 ma anche dei vecinos, seppur non nobili, di quelle città i cui cittadini, come nel caso di Toledo 342 o  



   

   





   





337   Carmelo Viñas y Ramón Paz : Relaciones histórico-geográfico-estadísticas de los pueblos de España hechas por iniciativa de Felipe II. Reino de Toledo (Primera parte), p. 224 (Cardiel), p. 236 (Carranque), p. 329 (Crespos). 338   Carmelo Viñas y Ramón Paz : Relaciones histórico-geográfico-estadísticas de los pueblos de España hechas por iniciativa de Felipe II. Reino de Toledo (Segunda parte), p. 411 (Santa Ana de Bienvenida). 339   A. Alvar Ezquerra (Coordinador) : Relaciones Topográficas de Felipe II. Madrid. Volumen II, p. 573 (Pesadilla), p. 774 (Valdeavero). 340   Carmelo Viñas y Ramón Paz : Relaciones histórico-geográfico-estadísticas de los pueblos de España hechas por iniciativa de Felipe II. Reino de Toledo (Primera parte), p. 189 (Los Cadocos) : “Dicen que es tierra de labranza aunque muy poca, y lo que mas en ella se coge es cera y miel, que es de los herederos de Toledo y no de los labradores, sino es poca cosa” ; p. 308 (Ciruelos) : “dijeron que todo el termino se labra, e que lo mas de el es plantado de viñas e olivas, e lo mas de ello y casi todo y lo mejor son de los vecinos de la villa de Yepes, que lo han comprado de los vecinos de este lugar” ; p. 417 (Gálvez) : “Esta villa no tiene mas de una dehesa boyal donde apastan su ganado los vezinos porque toda la tierra es solariega” ; p. 414 (Fuentelapio) : “dijeron tener este lugar muy pocos terminos por estar embarazado el dicho termino con tierras de heredades de señores, y otras de rentas” ; p. 422 (Gamonal) : “los vecinos deste lugar todos los mas viven de labor de pan en labranzas que tienen arrendadas de señores y herederos de la villa de Talavera [...]. [...] en este pueblo no hay gente rica porque no tienen labores de suyo, y toda la mas parte de los vecinos son pobres trabajadores en las labores de la tierra”. Vi sono paesi dove due o tre contadini sono ricchi e alcuni pochi benestanti, ma alla maggior parte dei contadini “pagada la renta que les cuestan las tierras en que labran, no les queda que comer” (p. 316 : Cobeja de la Sagra). – Carmelo Viñas y Ramón Paz : Relaciones histórico-geográfico-estadísticas de los pueblos de España hechas por iniciativa de Felipe II. Reino de Toledo (Tercera parte), pp. 777-778 (El Viso) : “en esta villa son todos pobres y ricos unos pocos y no tienen granjeria ninguna mas que sembrar y arar y no tienen otros tratos ni oficios de que vivan y la causa de ser pobres es por razon que las mas de las tierras de esta villa estan enagenadas y en poder de señores y por esta causa y por no tener tierras de suyo andan alcanzados y son pobres”. Quest’ultima è una delle rarissime dichiarazioni nelle quali sono indicate con grande chiarezza le cause della povertà. (Normalmente viene dichiarato che la povertà dipende dalla mancanza di terra, senza addentrarsi in spiegazioni sulle cause di questa mancanza.) Anche nella relazione di Villaminaya, “pueblo de Su Magestad” (p. 712), vi è una denuncia precisa dello sfruttamento arbitrario dei contadini da parte dei señores ; in questo caso il “signore” sfruttatore e prevaricatore è Don Diego de Toledo y Guzmán, che impone ‘tributi’ sulla terra e sulle case, senza che nessuno sappia, o abbia visto o sentito dire, “el titulo por donde el dicho don Diego” possiede “el dominio” e fonda il suo diritto a imporre “tributos” (p. 721 ; cfr. anche pp. 715-716) ! Sulla distribuzione della “propriété foncière” secondo quanto risulta dalle Relaciones, che documentano il processo di espropriazione dei contadini proprietari “par l’argent” (dei ceti urbani : mercanti, finanzieri, burocrati) e della loro trasformazione in fittavole e braccianti, cfr. N. Salomon : La campagne de Nouvelle Castille à la fin du XVIe siècle d’après les Relaciones topográficas, pp. 133-185. Il processo di acquisizione di proprietà terriere da parte dei ceti urbani era già intenso nel XIV e nel XV secolo. Cfr. José Angel García de Cortázar : La sociedad rural en la España medieval. Madrid : Siglo XXI de España Editores 1990, pp. 202-205. 341   Memorial del contador Luis de Ortiz a Felipe II (Valladolid, 1 de marzo 1558), p. 129 : “ay grand suma de hijosdalgo, monesterios, clérigos y otras personas que son libres, y todo lo bienen a pagar los labradores, que los más son pobres y desbenturados, en lo qual se rreçiue gran escrúpulo de conçiençia”. 342   Carmelo Viñas y Ramón Paz : Relaciones histórico-geográfico-estadísticas de los pueblos de España hechas por iniciativa de Felipe II. Reino de Toledo (Segunda parte), pp. 64-65 (Mascaraque) : “este lugar tiene doscientas e una casa, entre las cuales hay cuarenta y dos casas de vecinos de Toledo exentos [...] los cinquenta herederos vecinos de Toledo, que por razon de ser vecinos de Toledo no pechan y son exentos, libres de pechos que no los reparten nada, aunque viven y estan de contino en este lugar” ; p. 80 (Mazarambroz) : “la mayor  























































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di Alcalá de Henares, 343 godevano di tale privilegio (le città ‘privilegiate’ aggravavano, ovviamente, la pressione tributaria dei paesi della loro provincia, come aveva lamentato Luis de Ortiz 344), e talvolta dei laureati 345 e dei criados del Re ; 346 il peso opprimente dei tributi dovuti allo Stato, alla Chiesa e al signore feudale (decime, 347 alcabalas, 348 servicios  





   





parte del termino de las heredades son de caballeros y herederos todos exentos vecinos de Toledo, e gozan de las franquezas de la dicha ciudad” ; p. 130 (Nambroca) : “residen en el dicho lugar algunos herederos vecinos de la ciudad de Toledo, ... por exentos como los son, no se sabe ciertamente los hidalgos que hay en el” ; p. 158 (Nominchal) : “en el lugar hay nueve o diez hijos dalgo y dos vecinos de Toledo, y los hijos dalgo gozan [de privilegios y exenciones] por sus cartas executorias que tienen ganadas en la real chancilleria de Valladolid y los vecinos de Toledo por tales vecinos y los demas son todos labradores y trabajadores” ; p. 164 (Noves) : “la mayor parte de este lugar es de labradores, entre los cuales hay cinco casas de hijosdalgo que no pagan servicio a su Majestad ni se le echa huespedes ningunos, los cuales tienen carta executoria” ; p. 180 (Ocaña) : “en esta villa habra mas de trescientas casas de caballeros y hijos dalgo que gozan de libertad y nobleza, unos por notoriedad de linaje, otros en virtud de cartas executorias y otros por previlegios particulares” ; p. 259 (Puebla de Montalbán) : “en la villa hay labradores y oficiales y gente de huelga y habra once hijosdalgo de executoria y que gozan de la libertad devengar quinientos sueldos segun fuero de España y los tres dellos son hermanos y estos gozan de exemption de no pagar alcabala de hacienda propia suya” ; p. 314 (Quintanar de la Orden [de Santiago]) : “De los quinientos e noventa e cuatro vecinos que esta villa tiene hay treinta e cinco casas de hixosdalgo notorios e de executorias y estos hixodalgos gozan de todos los previlexios y esenciones”. – Carmelo Viñas y Ramón Paz : Relaciones histórico-geográfico-estadísticas de los pueblos de España hechas por iniciativa de Felipe II. Reino de Toledo (Tercera parte), p. 705 (Villamiel) : “los vecinos del lugar todos son labradores salvo ... Ruy Gomez, que por ser vecino de la ciudad de Toledo se liberta de no pagar servicio a Su Magestad de toda la hacienda que tiene en este lugar, y que como vecino de el quiere gozar y goza de todos los aprovechamientos que gozan los vecinos” ; p. 714 (Villaminaya) : “en este lugar hay como una docena de vecinos de Toledo que tienen sus casas y heredades en este lugar y su termino, y ... estos no son pecheros porque dicen que por ser vecinos de la dicha ciudad de Toledo, gozan de la libertad que gozan los de la dicha ciudad”. 343   A. Alvar Ezquerra (Coordinador) : Relaciones Topográficas de Felipe II. Madrid. Volumen II, p. 811 (Valverde de Alcalá) : “en esta villa hay cuatro casas con sus haciendas de tierras, viñas y olivas que son de vecinos de la villa de Alcalá de Henares, que no contribuyen en los pechos y servicios debidos a Su Majestad y los demás pechos reales y concejiles porque dicen que porque son vecinos de la dicha villa de Alcalá de Henares no los deben”. 344   Memorial del contador Luis de Ortiz a Felipe II (Valladolid, 1 de marzo 1558), p. 129 : “en el Reyno ay muchos pueblos, como en Toledo, Valladolid, Burgos y otros, que por ser libres de pecho, padeçen en los repartimientos los pecheros que biben en las tales comarcas, pues a ellos se carga lo que a los pueblos libre se quita”. 345   Carmelo Viñas y Ramón Paz : Relaciones histórico-geográfico-estadísticas de los pueblos de España hechas por iniciativa de Felipe II. Reino de Toledo (Tercera parte), p. 581 (El Toboso) : “Son todos labradores los vecinos del pueblo, sino es el doctor Zarco de Morales, que goza de las libertades que gozan los hijosdalgo por ser graduado en el Colegio de los españoles de Bolonia en Italia”. 346   Carmelo Viñas y Ramón Paz : Relaciones histórico-geográfico-estadísticas de los pueblos de España hechas por iniciativa de Felipe II. Reino de Toledo (Tercera parte), p. 705 (Villamiel) : “Adrian de Palacios portero de Cadena de Su Magestad es ... libre de no pagar servicio a Su Magestad ni otro repartimiento ni hospederia en el ... lugar, y goza de los aprovechamientos de el”. 347   Carmelo Viñas y Ramón Paz : Relaciones histórico-geográfico-estadísticas de los pueblos de España hechas por iniciativa de Felipe II. Reino de Toledo (Primera parte), p. 400 (Esquivias) : “el diezmo del vino, que es la cilla sin otros diezmos que hay, que son dos escusados, y otro diezmo del señorio y otras cosas que se pagan a la iglesia : y ... el diezmo del pan” ; p. 464 (Horcajo) : “dixeron que los diezmos se reparten al arzobispo de Toledo, y a canonigos, y al cura, y a Su Magestad, y los vecinos del dicho lugar acuden a Toledo como a señores de todo lo que coxen, y crian de doce cosas la una, no sea del vino, que no se paga mas de los alaxores, y el diezmo al pontifical”. Sulle decime cfr. N. Salomon : La campagne de Nouvelle Castille à la fin du XVIe siècle d’après les Relaciones topográficas, pp. 219-228. 348   Carmelo Viñas y Ramón Paz : Relaciones histórico-geográfico-estadísticas de los pueblos de España hechas por iniciativa de Felipe II. Reino de Toledo (Primera parte), p. 428 (Gerindote) : “Los vecinos son todos labradores y trabajadores del campo, hay solo un hidalgo. Es villa [de] don Gutierre de Cardenas [Duque de Maqueda] [...], pagan [los vecinos] al Duque, que la posee, veinte mil maravedis de alcabala”. Qui l’alcabala è la tassa o tributo sugli scambi da pagare al signore feudale. Normalmente si intende per alcabala l’imposta statale (tributo Real) che gravava su tutte le vendite e che tutti (compresi gli hidalgos, i caballeros e l’alta nobiltà) dovevano pagare. Su questa imposta ‘universale’ cfr. Ramón Carande : Carlos V y sus banqueros. II, pp. 221-229. Su l’alcabala come “tribut seigneurial” cfr. N. Salomon : La campagne de Nouvelle Castille à la fin du XVIe siècle d’après les Relaciones topográficas, pp. 218-219.  

































































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ordinarios e servicios extraordinarios, 349 millones, 350 hospedajes – obbligo di ospitare i soldati di passaggio, una delle peggiori vessazioni alle quali erano sottoposti i contadini 351 –, pechos foreros 352) e quello ancor piú opprimente dei censos, le rendite annuali, per lo piú perpetue, che il proprietario di terre o immobili doveva pagare a chi gli aveva imprestato, in una determinata circostanza, una somma di denaro di un certo rilievo ; 353 le costose liti e cause che i comuni intentavano, o erano costretti a sostenere, per difendere il proprio territorio dalle usurpazioni di signori feudali 354 e proprietari terrieri ; 355 le prevaricazioni e le vessazioni perpetrate dalle oligarchie urbane ai danni dei comuni rurali e da questi talvolta subite perché troppo cara è la Giustizia, o perché troppo forte è la rete di parentele e di interessi che lega le persone preposte a governarli (alcaldes, regidores) e le élites delle città da cui amministrativamente dipendono ; 356 le malat 







   



   

   

349   Luis de Ortiz consigliava a Filippo II di “ordenar que todos los ofiçiales sean libres de seruiçios ordinarios y extraordinarios, y lo mesmo los labradores, pastores, traxineros y carreteros, y los demás que biuieren del trauajo de sus manos, porque no se pierda la lauor del canpo y trato de ganados y tragineria” (Memorial del contador Luis de Ortiz a Felipe II - Valladolid, 1 de marzo 1558 -, p. 129). Sui servicios cfr. R. Carande : Carlos V y sus banqueros II, pp. 535-537. 350   Sul servicio de millones – originariamente imposta diretta universale (nessun gruppo sociale ne era esente) da pagare in proporzione alla ricchezza ; successivamente trasformata in imposta indiretta sul consumo (di carne, vino, olio, zucchero, sapone, ecc.) – concesso a Filippo II dalle Cortes, che fissarono la prima esazione per l’aprile del 1590, cfr. N. Salomon : La campagne de Nouvelle Castille à la fin du XVIe siècle d’après les Relaciones topográficas, pp. 232-233. – Ildefonso Pulido Bueno : La Real Hacienda de Felipe III. Huelva : Artes Gráficas Andaluzas 1996, pp. 49-72. 351   Memorial del contador Luis de Ortiz a Felipe II (Valladolid, 1 de marzo 1558), pp. 176-177 : “la gente de guerra [...] andan por el rreino aposentados en tierras de labradores, y como están oçiosos y algunos son gente ynútiles y desaprouechados, traen desasosegados a sus huéspedes y cometen pecados graues, faziendo fuerças y maldades yntolerables. Y los tristes labradores, por berse libres desta plaga, si plaga se puede dezir, darían todo lo que se les pidiese, y avnque no lo diesen se debria rremediar, pues en esto berdaderamente se rreçiue grande escrúpulo de conçiençia”. 352   A. Alvar Ezquerra (Coordinador) : Relaciones Topográficas de Felipe II. Madrid. Volumen II, p. 589 (Pezuela de las Torres) : “la villa de Pezuela es de la dignidad arzobispal [de Toledo], y [...] la preeminencia que la dicha dignidad tiene en la dicha villa de Pezuela es que la dicha dignidad arzobispal tiene en cada un año en la dicha villa de Pezuela y en las demás villas y lugares de la dicha tierra y común de Alcalá noventa mil maravedís de pechería, que se llama pecho forero” ; p. 787 (Valdeolmos) : “este pueblo ... es del señor don García Hurtado de Mendoza y la jurisdicción es de él y la renta y aprovechamiento que en este pueblo tiene es el pecho forero”. 353   Sui, piú volte ricordati, censos, cfr. – oltre alle opere già menzionate – Fray Tomás de Mercado : Suma de tratos y contratos (1569). Edición y estudio introductorio de Restituto Sierra Bravo. Madrid : Editora Nacional 1975, pp. 417-425. – N. Salomon : La campagne de Nouvelle Castille à la fin du XVIe siècle d’après les Relaciones topográficas, pp. 245-250. 354   Sui pleitos antiseñoriales cfr. Pedro L. Lorenzo Cadarso : Los conflictos populares en Castilla (siglos XVIXVII), pp. 158-165. 355   Carmelo Viñas y Ramón Paz : Relaciones histórico-geográfico-estadísticas de los pueblos de España hechas por iniciativa de Felipe II. Reino de Toledo (Primera parte), p. 379 (Escalonilla) : “los pastos y dehesas de este lugar son unas dehesas pequeñas que el concejo tiene, y ciertos prados y regajos que son concejiles del mismo pueblo para el aprovechamiento del ganado de labor de este lugar, y ... estos no son vendibles, y si alguna vez se arriendan, ha sido por dos o tres meses del año para la despensa de los terminos del dicho lugar, por los grandes pleitos que este pueblo ha tenido y trae con el Conde de Cifuentes y doña Ana de Ayala como heredera de don Martin de Ayala y con otros señores de heredamientos que son y han sido en los dichos terminos quiriendo hacerse señores de los dichos terminos, y sobre esto se han traido grandes gastos en la chancilleria de Valladolid, y por esto se han arrendado, y de esta manera ha habido sentencias en favor de este lugar, y executoria de ello”. 356   A. Alvar Ezquerra (Coordinador) : Relaciones Topográficas de Felipe II. Madrid. Volumen II, pp. 559-560 (Perales del Río) : “habrá veinte años que este lugar estaba despoblado ... y la causa por que de antes se despobló este lugar no se sabe, mas de como tengo dicho [habrá veinte años que fuimos a poblar el dicho pueblo hasta doce o catorce vecinos] nos fuimos a vivir a este pueblo dende el lugar de Getafe doce o catorce vecinos como tengo dicho, y por orden del ayuntamiento de la villa de Madrid nombramos alcalde y regidor y alguacil, e hicimos nuestro concejo ... y ahora no hemos quedado más de ... siete ... porque algunos se han muerto, y otros se han ido a vivir al lugar de Getafe por razón que luego que venimos a vivir a este pueblo ciertos cabal 



































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tie ; 357 la vendita (sia pur non ancora molto diffusa intorno agli anni 1575-1578) – con la loro conseguente ‘patrimonializzazione’ – degli uffici comunali 358 (nei regidores perpetuos ravvisava il famoso Contador di Burgos una delle cause principali del rincaro dei generi alimentari e di tutte le cose necessarie alla vita 359) ; lo spopolamento delle campagne 360 (una parte rilevante delle località registra però ancora un incremento demografico).    









leros de la villa de Madrid y algunos regidores de ella nos pusieron pleito por nos echar de aquí por razón de un soto, que el dicho pueblo antiguamente tenía con el cual se alzaron los dichos caballeros en tiempo que el dicho lugar estuvo despoblado, y como ellos eran caballeros y algunos de ellos regidores como tengo dicho, no hubo quien se lo contradijese, y así empezaron a prendar y tomar posesión en el dicho soto, y poner sus criados por guardas, y así nos pusieron el dicho pleito, y le seguimos en la villa de Madrid, y ahí hicieron sus probanzas con algunos criados y mayordomos suyos, y nos condenaron en ciertas penas de leñas, que en el dicho soto habíamos cortado, y de esto apelamos para la Chancillería de Valladolid, donde seguimos algún tiempo el pleito, y como los vecinos éramos pocos, y el consejo no tenía qué gastar, olvidamos el pleito, y así nos condenaron en vista y en revista, y pusieron pena al concejo que no fuese ni viniese contra el dicho soto ni parte de él, por lo cual recibimos muchas molestias y agravios, que se nos hacen con penas y prisiones así en nuestras haciendas como en nuestras personas, por lo cual nos fuerza no poder vivir en el dicho pueblo, y por esta causa se deja de poblar el dicho lugar y haber cantidad de vecinos, porque el sitio es muy bueno, y en buen paso, y harto necesario para los pasajeros que van y vienen a la corte con provision”. Con ragione A. Alvar Ezquerra definisce questa dei vecinos di Perales del Río come una “de las respuestas más espectaculares y duras contra las oligarquías urbanas” (Relaciones Topográficas de Felipe II. Madrid. Estudio introductorio, p. 60). Anche gli abitanti di Pezuela de las Torres denunziarono con grande coraggio le prevaricazioni subite dalle oligarchie municipali, che violarono un privilegio, concesso dal re Juan II a “la villa de Pezuela” e a “las demás villas y lugares” della “comarca de Alcalá de Henares”, che imponeva a tutti gli abitanti – “aunque fuesen clérigos, iglesias, monasterios y universidades, o hidalgos, y cabildos, hospitales” – il pagamento del pecho : “el cual privilegio ha que se quebró y no se guarda más de setenta años, y la causa de haberse quebrado fue por cierta concordia que se hizo entre la villa de Alcalá y su tierra por haber venido a gobernar en los pueblos hombres hijosdalgo interesados en el negocio, y por ser y haber gobernado los dichos pueblos [la villa de Pezuela y las demás villas y lugares del común de Alcalá] hombres que tenían hijos y hermanos clérigos, y por ser los pecheros hombres pobres y temerarios, y por haberse quebrado el dicho privilegio y costumbre ha venido muy gran daño a Su Majestad y a los pecheros, que han fincado y fincan en pagar los pechos y derechos a Su Majestad, porque de tres partes de las heredades que hay en la villa de Pezuela y en sus términos está en poder de la iglesia y cabildo y clérigos e hidalgos” (Relaciones Topográficas de Felipe II. Madrid. Vol. II, p. 589). Pure gli abitanti di Villaverde denunziarono con chiarezza le usurpazioni e prevaricazioni dei ‘signori’ : “es tierra de labor y muy apretada para la labranza y asimismo apretada para criar ganado, porque los señores lo tienen tomado y alzádose con los baldíos y pan y vino, lo que se coge, y son chicas las cosechas, y no se halla adónde los labradores labren y planten viñas” (Relaciones Topográficas de Felipe II. Madrid. Vol. II, p. 924). 357   Carmelo Viñas y Ramón Paz : Relaciones histórico-geográfico-estadísticas de los pueblos de España hechas por iniciativa de Felipe II. Reino de Toledo (Segunda parte), p. 63 (Mascaraque) : “algunas veces suele haber enfermedades, especialmente este presente año [1575] que ha estado muy enfermo de modorra, que han caido muchos vecinos enfermos desde San Miguel a esta parte”. 358   Carmelo Viñas y Ramón Paz : Relaciones histórico-geográfico-estadísticas de los pueblos de España hechas por iniciativa de Felipe II. Reino de Toledo (Segunda parte), p. 63 (Mascaraque) : “en este lugar hay ... cuatro regidores perpetuos, dos labradores y dos toledanos, que los compraron a Su Majestad, y dos escribanos perpetuos que tambien los compraron a Su Majestad” ; p. 113 (Miguel Esteban) : “hay en esta villa ... dos regidores perpetuos”) ; p. 119 (Mocejón) : “en este lugar hay dos escribanos, que compraron la escribania de Su Majestad” ; p. 185 (Ocaña) : “tiene esta villa al presente quince regidores y un alferez y son perpetuos” ; p. 191 (Olias) : “hay en el lugar seis regidores con regidurias perpetuas compradas de Su Majestad”. 359   Memorial del contador Luis de Ortiz a Felipe II (Valladolid, 1 de marzo 1558), pp. 146-147 : “dos causas son principales porque está todo encareçido en el Reyno ; es que se tiene entendido que los más de los rregidores de los pueblos prinçipales, por ser perpetuos son ynteresados, vnos en las carnes, otros en las lanas, otros en los açeros, otros en sebo y otros en el pescado y azeyte ; y finalmente en todo lo nezesario a la sustentaçión vmana ; los quales, con sus yndustrias encareçen las cosas en los exçesiuos preçios que al presente están. Y para rremedio deste daño se deue proueer que los rregidores y todos los ofiçios de la rrepública sean cadañeros”. 360   Carmelo Viñas y Ramón Paz : Relaciones histórico-geográfico-estadísticas de los pueblos de España hechas por iniciativa de Felipe II. Reino de Toledo (Primera parte), p. 171 (Cabañas de la Sagra) : “la causa por que al presente hay tan pocos vecinos ... ha sido que por el poco termino y ser tan caras las rentas de tierras, se han ido a vivir y morar a una dehesa que ... se llama Valdepusa” ; p. 212 (Camuñas) : “Es pueblo muy adeudado, pobre por razon de que para pagar la juridicion que su Magestad le dio tomaron a censo tres mil ducados, y ansi se han ido muchos vecinos, y nunca han podido redimir ni quitar el censo” ; pp. 454-455 (Hontanar) : “este  















































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Da questa vasta ‘radiografia’ della nazione nulla appare che possa essere riferito o ricondotto al cosiddetto problema converso e che possa documentare la discriminazione e la difficoltà della minoranza di origine ebraica a convivere e integrarsi con il resto della popolazione. Solo in qualcuna delle centinaia di Relaciones pubblicate si specifica che la popolazione è formata di “cristianos viejos”, 361 e in qualche altra si menzionano gli ebrei, i mori, gli judeoconversos o i moriscos, 362 senza alcuna espressione di ostilità e di rancore contro questi gruppi. 363 (Anche nel ricordare il celebre caso del Santo Niño de la Guardia 364 il tono della relazione è distaccato e impersonale, privo di emotività e aggressività. 365) Conservati nella memoria storica collettiva sono invece, talvolta, alcuni avvenimenti e episodi relativi alla Reconquista, alla turbolenta epoca dei Trastámara e alla guerra delle Comunidades 366 (la gente dei borghi e dei paesi ricorda esclusivamente episodi di rapine, devastazioni e saccheggi compiuti dai comuneros), 367 le malattie e pe 













lugar Hontanar e su anexo [Malamoneda] han tenido en tiempo pasado cien vecinos, e la causa porque se han desmenuido es por ser tierra misera, e ser enferma, e de poca labor de pan, y lejos” ; p. 477 (Hornillo) : “la causa porque se han desmenuido [los vecinos] es porque se han muerto, y la tierra no sustenta mas vecindad porque son toda la mas parte probes”. – Carmelo Viñas y Ramón Paz : Relaciones histórico-geográfico-estadísticas de los pueblos de España hechas por iniciativa de Felipe II. Reino de Toledo (Tercera parte), p. 594 : “en termino de dos leguas del lugar de Torralba hubo dos pueblos que se decian el uno Ventosilla y el otro la Casa el Cano y ... estos dos pueblos se despoblaron por no tener donde labrar y por ser pueblos y tierra enferma y se pasaron a vivir a otros pueblos de la comarca” ; p. 653 (Valmojado) : “ha tenido mas vecinos otros tiempos y se han disminuido por muertes y necesidades que muchos se han ido de el” ; p. 696 (Villamanta) : “se averiguo que hay en este lugar docientos e cincuenta vecinos e ha habido trescientos vecinos e mas e agora no hay mas de los dichos docientos e sincuenta, porque en tiempos de enfermedades se han muerto y especialmente en el año pasado de mil e quinientos e cincuenta y siete años”. 361   A. Alvar Ezquerra (Coordinador) : Relaciones Topográficas de Felipe II. Madrid. Volumen I, p. 38 (Almeda de Osuna) : “No hay en este pueblo ningunos hijosdalgo ni otra mezcla de gente, porque todos los vecinos de ella [la villa] son labradores y cristianos viejos”, p. 105 (Aravaca) : “todos los vecinos de este lugar son labradores y cristianos viejos”, p. 141 (Boadilla del Monte) : “los vecinos del lugar son labradores, cristianos viejos, y ... solamente hay un hidalgo en él”, p. 473 (Majadahonda) : “todos los vecinos del lugar son labradores, cristianos viejos y pastores”. – A. Alvar Ezquerra (Coordinador) : Relaciones Topográficas de Felipe II. Madrid. Volumen II, p. 573 (Pesadilla) : “los vecinos de esta villa siempre fueron y son labradores, cristianos viejos, y nunca se halló moro ni convertido”. 362   Carmelo Viñas y Ramón Paz : Relaciones histórico-geográfico-estadísticas de los pueblos de España hechas por iniciativa de Felipe II. Reino de Toledo (Primera parte), p. 197 (Camarena) : “se hallan catorce casas de moriscos, de los que Su Magestad mando repartir a este lugar de los del reino de Granada” ; p. 363 (Dosbarrios de Ocaña) : “hay ... cuarenta y cuatro vecinos de los moriscos del reino de Granada que en la dicha villa se repartieron”. – Carmelo Viñas y Ramón Paz : Relaciones histórico-geográfico-estadísticas de los pueblos de España hechas por iniciativa de Felipe II. Reino de Toledo (Tercera parte), p. 581 (El Toboso) : “Habra en el pueblo setecientas casas, y novecientos vecinos al presente, con los moriscos que de las alpujarras del reino de Granada se truxeron”. – A. Alvar Ezquerra (Coordinador) : Relaciones Topográficas de Felipe II. Madrid. Volumen II, p. 759 (Torrejón de Ardoz) : “habrá doscientos vecinos y con moriscos hay doscientos veinte”. 363   Cfr. J. A. Maravall : Poder, honor y élites en el siglo XVII, pp. 86-87. Cfr. anche José Antonio Maravall : Las Comunidades de Castilla. Una primera revolución moderna. Madrid : Alianza 1981 (1.ª ed. 1963), p. 232 : “Observamos ... que en esa fecha en que se redactan las Relaciones no se da ningún caso en que se aproveche la ocasión para atacar a judíos, moriscos, conversos en sus dos procedencias, atribuyéndoles ni la participación en la rebelión, ni ninguna de las violencias que se lamentan”. 364   Su questo caso cfr. Pilar León Tello : Judíos de Toledo. Tomo I. Estudio histórico y colección documental, pp. 258-261. – Henry Kamen : The Spanish Inquisition. A Historical Revision, p. 22. – B. Netanyahu : Los orígenes de la Inquisición en la España del siglo XV, p. 938 e pp. 987-989. Cfr. inoltre Sebastián de Horozco : La historia del niño inoçente de la Guardia. - Proçeso y sentençia contra Benito Garçia Cardador o de las Mesuras. In : Sebastián de Horozco (¿1510-1581 ?) : Relaciones históricas toledanas, pp. 29-38, pp. 39-47. 365   Carmelo Viñas y Ramón Paz : Relaciones histórico-geográfico-estadísticas de los pueblos de España hechas por iniciativa de Felipe II. Reino de Toledo (Segunda parte), pp. 475-476 (Tembleque). 366   Sui riferimenti alla guerra delle Comunidades nelle Relaciones di Filippo II sinora pubblicate, cfr. José Antonio Maravall : El eco de las Comunidades en las « Relaciones de los pueblos de España » (1575-1578). In : J. A. Maravall : Las Comunidades de Castilla, pp. 212-233. 367   Carmelo Viñas y Ramón Paz : Relaciones histórico-geográfico-estadísticas de los pueblos de España  

















































































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stilenze che hanno colpito la popolazione e il flagello della locusta che ha devastato le coltivazioni. 368 Molto rare sono comunque le risposte alle domande nr. 37 (o nr. 32) e nr. 38 (o nr. 33) del questionario (erano stati approntati due questionari, uno con 57 domande, l’altro con 45 domande) : “Los hechos señalados y cosas dignas de memoria, de bien o mal, que hubiesen acaecido en el dicho pueblo o en sus términos, y los campos, montes y otros lugares nombrados por algunas batallas, robos o muertes, y otras cosas notables que en ellos haya habido” – “Las personas señaladas en letras o armas, o en otras cosas buenas o malas que haya en el dicho pueblo, o hayan nascido o salido de él, con lo que se supiese de sus hechos y dichos, y otros cuentos graciosos que en los dichos pueblos haya habido”. 369 Nel loro insieme i comuni rurali sembrano privi di storia e di storie. 370 La popolazione delle campagne e dei piccoli centri urbani è senza memoria storica. E questo favoriva certamente l’integrazione, l’assimilazione e l’amalgamazione dei convertiti di origine ebraica.  







Come si può constatare, il vero, drammatico, problema ‘politico’ e sociale della Spagna del Siglo de Oro non è costituito dalla discriminazione, certamente ingiusta e dolorosa, ma quasi sempre praticamente inefficace e comunque limitata a poche istituzioni private e ad alcune distinzioni onorifiche, dei conversos, ma dallo “stato miserabile” del popolo, 371 dalla esclusione effettiva dei contribuenti, dei pecheros – la gran massa della popolazione sottomessa ad una pressione fiscale molto dura quanto ingiusta 372 – dal governo municipale, 373 esclusione che rende possibile sia l’usurpazione dei beni comunali  





hechas por iniciativa de Felipe II. Reino de Toledo (Primera parte), p. 197 (Camarena), p. 381 (Escalonilla). – Carmelo Viñas y Ramón Paz : Relaciones histórico-geográfico-estadísticas de los pueblos de España hechas por iniciativa de Felipe II. Reino de Toledo (Segunda parte), pp. 267-268 (Puebla de Montalbán), pp. 359-360 (Romeral), pp. 420-421 (Santa Cruz de la Zarza). – Carmelo Viñas y Ramón Paz : Relaciones histórico-geográfico-estadísticas de los pueblos de España hechas por iniciativa de Felipe II. Reino de Toledo (Tercera parte), p. 689 (Villaluenga de la Sagra), pp. 734-735 (Villanueva de Alcardete), pp. 763-764 (Villaseca de la Sagra), p. 803 (Yuncler). – A. Alvar Ezquerra (Coordinador) : Relaciones Topográficas de Felipe II. Madrid. Volumen II, p. 821 (Velilla de San Antonio). 368   Carmelo Viñas y Ramón Paz : Relaciones histórico-geográfico-estadísticas de los pueblos de España hechas por iniciativa de Felipe II. Reino de Toledo (Primera parte), p. 403 (Esquivias). – Carmelo Viñas y Ramón Paz : Relaciones histórico-geográfico-estadísticas de los pueblos de España hechas por iniciativa de Felipe II. Reino de Toledo (Tercera parte), p. 637 (Totanes), p. 696 (Villamanta), p. 706 (Villamiel), p. 727 (Villaminaya), p. 774 (El Viso). – A. Alvar Ezquerra (Coordinador) : Relaciones Topográficas de Felipe II. Madrid. Volumen I, p. 67 (Alcorcón). 369   Carmelo Viñas y Ramón Paz : Relaciones histórico-geográfico-estadísticas de los pueblos de España hechas por iniciativa de Felipe II. Reino de Toledo (Primera parte), p. XVI (o p. XXII). 370   Fra le rarissime eccezioni sono da ricordare le lunghe ‘storie’ dei due negromanti della villa di El Viso. Cfr. Carmelo Viñas y Ramón Paz : Relaciones histórico-geográfico-estadísticas de los pueblos de España hechas por iniciativa de Felipe II. Reino de Toledo (Tercera parte), pp. 773-776. 371   Nella già ricordata analisi dei mali del Regno fatta dal Consejo Real si osservava che “la causa de hallarse el pueblo en tan miserable estado naçe de la raiz de los demasiados pechos y tributos de que está cargado” (El Consejo Real a Felipe III, Madrid 1.° de febrero de 1619. Consulta hecha por el Consejo Real a Su Magestad sobre el remedio universal de los daños del Reino y reparo dellos, p. 16). 372   Sulla ingiusta ripartizione delle tasse cfr. Ramón Carande : Carlos V y sus banqueros II, pp. 221-255, pp. 493-537. – Antonio Domínguez Ortiz : La desigualdad contributiva en Castilla durante el siglo XVII. In : A. D. O. : Instituciones y sociedad en la España de los Austrias. Barcelona : Ariel 1985, pp. 97-145. 373   I regidores ciudadanos non erano né espressione del popolo, né in qualche maniera lo rappresentavano. Covarrubias (Tesoro, p. 320) cosí definisce il Ciudadano : “El que vive en la ciudad y come de su hacienda, renta o heredad. Es un estado medio entre caballeros o hidalgos, y entre los oficiales mecánicos. Cuéntanse entre los ciudadanos los letrados, y los que profesan letras y artes liberales ; guardando en esto, para en razón de repartir los oficios, la costumbre y fuero del reino o tierra”. Alla classe sociale dei ciudadanos appartenevano quindi i cittadini ricchi che, senza lavorare, vivevano di rendita e i liberi professionisti. Questa classe medio-alta nulla voleva avere in comune, e nulla di fatto aveva, con gli artigiani, i commercianti al dettaglio, i pubblici impiegati  





























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da parte delle vecchie e nuove famiglie della oligarchia urbana, 374 sia le varie manipolazioni dei padrones con le quali il peso della tassazione veniva a gravare principalmente proprio sui ceti meno abbienti della società. 375  



di rango inferiore, e tantomeno con il proletariato urbano. Essa aspirava ad integrarsi nella nobiltà, nella classe privilegiata, come dimostra, tra l’altro, nel caso dell’Ayuntamiento di Toledo, la progressiva sparizione dei regidores ciudadanos durante il primo terzo del XVII secolo. I regidores ciudadanos – tutti senza eccezione – “pasaron a ser regidores caballeros” (F. J. Aranda Pérez : Poder y poderes en la Ciudad de Toledo. Gobierno, sociedad y oligarquías urbanas en la Edad Moderna, p. 179). Sulla evoluzione sociale delle oligarchie urbane, che si aristocratizzano, e sulla esclusione della “masa pechera” dal governo comunale – esclusione aggravatasi quando gli uffici municipali (regidurías, juraderías, escribanías) divennero ereditari, o perlomeno patrimoniali, e furono cosí monopolizzati da un ristretto numero di famiglie –, cfr. F. J. Aranda Pérez : Poder y poderes en la Ciudad de Toledo, pp. 166-179. – F. Márquez Villanueva : Conversos y cargos concejiles en el siglo XV, pp. 523-526. – J. Valdeón Baruque : Los conflictos sociales en el Reino de Castilla en los siglos XIV y XV, p. 178. – Y. Guerrero Navarrete : Elites urbanas en el siglo XV : Burgos y Cuenca, pp. 81-104. 374   Sulla usurpazione dei beni comunali – erano costituiti da terre (tierras comunales, propios, ejidos, dehesas, cotos, prados, montes, tierras entradizas, tierras cadañeras), case, forni, mulini, canali d’irrigazione, mattatoi, ecc. – da parte delle oligarchie municipali e sulle sue nefaste conseguenze, cfr. Josefina Gómez Mendoza : Las ventas de baldíos y comunales en el siglo XVI. Estudio de su proceso en Guadalajara. In : Estudios Geográficos, Madrid, núm. 109, 1967, pp. 499-559. – David E. Vassberg : La venta de tierras baldías en Castilla durante el siglo XVI. In : Estudios Geográficos, núm. 142, 1976, pp. 21-47. – David E. Vassberg : Land and Society in Golden Age Castile, pp. 19-56, 172-176. – Marie-Claude Gerbet : La nobleza en la Corona de Castilla. Sus estructuras sociales en Extremadura (1454-1516), pp. 197-202. – J. I. Fortea Pérez : Córdoba en el siglo XVI. Las bases demográficas y económicas de una expansión urbana, pp. 444-459. – Bartolomé Yun Casalilla : Spain and the seventeenth-century crisis in Europe : Some final considerations. In : The Castilian crisis of the seventeenth century. Cambridge : Cambridge University Press 1994, pp. 301-321 ; qui p. 305. – Adriano Gutiérrez Alonso : Ciudades y Monarquía. Las finanzas de los municipio castellanos en los siglos XVI y XVII. In : Ciudad y mundo urbano en la época moderna. Dirigido por Luis A. Ribot García y Luigi de Rosa. Madrid : Editorial ACTAS 1997, pp. 187-211 ; qui pp. 202-208. – María Ángeles Faya Díaz - Lidia Anes Fernández : Nobleza y poder en las Asturias del Antiguo Régimen. Oviedo : KRK Ediciones 2007, pp. 196-215, pp. 312-321. Le usurpazioni (e le alienazioni) delle terre comunali, intensificatesi a partire dalla introduzione (1590) del servicio de millones (cfr. Felipe Ruiz Martin : Credit procedures for the collection of taxes in the cities of Castile during the sixteenth and seventeenth centuries : the case of Valladolid. In : The Castilian crisis of the seventeenth century. Cambridge : Cambridge University Press 1994, pp. 169-181 ; qui p. 177), avevano già una lunga storia. Francisco Márquez Villanueva (Conversos y cargos concejiles en el siglo XV, pp. 503-540), che ha illustrato la vasta, capillare penetrazione dei conversos nelle oligarchie municipali – monopolizzatrici degli uffici comunali, divenuti già nel corso del XV secolo ereditari o almeno patrimoniali –, la loro infiltrazione per mezzo di mistificazioni nella hidalguía e persino nella classe sociale dei cavalieri, il loro contributo alla “transformación en aristocracia de la burguesía concejil” e l’usurpazione, compiuta “con la mayor desvergüenza” da queste oligarchie municipali, delle “tierras concejiles” e “de toda clase de bienes comunales”, ha scritto : “El manejo de los asuntos locales durante varias generaciones les permitía [a los conversos] acumular riquezas y entroncar con las familias nobles o tenidas por tales. Así se han originado predominios locales que han llegado hasta el siglo XIX” (pp. 526-527). Le oligarchie municipali approfittarono anche della vendita dei baldíos (terre incolte – usate, in particolare, per il pascolo – di proprietà della Corona, tierras realengas, delle quali la Corona permetteva l’uso pubblico, come se fossero terre comunali) da parte della Monarchia, sempre in difficoltà finanziarie. Cfr. in proposito Josefina Gómez Mendoza : La venta de baldíos y comunales en el siglo XVI. Estudio de su proceso en Guadalajara. In : Estudios Geográficos 28 (1967), 499-559. 375   Scriveva Jerónimo Castillo de Bobadilla : “A la fortaleza del Corregidor pertenece estorvar, ora por denunciacion de parte, ora de Oficio, que los poderosos y ricos no injurien ni atropellen, ni calumnien, ni usurpen las haziendas à los humildes, ni à los pobres, ni à los innocentes [...]. Tambien deve hazer el Corregidor, que los poderosos restituyan los baldios y concegiles [...] y que en los repartimientos generales, y otros dacios y tributos, aya igualdad y proporcion ; de manera que los ricos no queden francos, o aliviados, y los pobres oprimidos y cargados [...]. En lo qual passa gran injusticia en los pueblos, por no hallarse las justicias presentes à ello, como no les va interesse, o por condecender con los poderosos, y nunca desagravian à los pobres que claman de los injustos repartimientos [...]. [...] al ... [Corregidor] torno à dezir, que reduzga y reprima à los ... poderosos sobre la injusticia de los repartimientos, porque no solo cargan à los pobres, los tributos que ellos deven, pero esso poco que les reparten, no quieren pagar, y con autoridad atropelle, quando convenga, à los duros y desacatados à que paguen aquello, y los derechos y deudas fiscales y publicas. [...] Assi que de los poderosos y ricos, que comunmente pretenden ser libertados, deve el Corregidor defender y amparar à los de menor estado, y à los pobres y miserables personas, refrenando à aquellos” ( Jerónimo Castillo de Bobadilla :  





































































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Non erano quindi gli Statuti di purezza di sangue, l’esclusione dei conversos dagli ‘onori’ e i conflitti relativi a questa esclusione, 376 i problemi veri e profondi della società spagnola. La loro importanza era, lo ripetiamo, del tutto marginale. (Una prova della scarsa importanza della ‘purezza di sangue’ nella vita quotidiana spagnola degli ultimi decenni del XVI e dei primi anni del XVII secolo, è costituita dal fatto che non si incontra alcun riferimento di qualche importanza al cosiddetto problema converso nelle Relaciones de los pueblos de España, 377 nelle Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614 di Luis Cabrera de Córdoba, 378 nelle memorie di Jehan Lhermite 379 e nei diari di Thomé Pinheiro da Veiga e di Girolamo da Sommaia. 380 Cosa  









Politica para corregidores y señores de vassallos, en tiempo de paz, y de guerra. Tomo primero. Amberes : Juan Bautista Verdussen 1704 [1ª ed. 1597], pp. 229-230). Ben rari erano i Corregidores, se pur ve ne erano, disposti ad opporsi alle oligarchie locali e ad impedirne le sopraffazioni, le usurpazioni e le ingiustizie. Quel che avveniva normalmente era che i ricchi e i potenti opprimevano e scorticavano – per usare le stesse parole di Castillo de Bobadilla – gli umili e i deboli. Cfr. Jerónimo Castillo de Bobadilla : Politica para corregidores y señores de vassallos, en tiempo de paz, y de guerra. Tomo segundo. En Amberes, En casa de Juan Bautista Verdussen, Impressor y Mercader de Libros, 1704 [1ª ed. 1597]. Con gracia y Privilegio (Edición facsimil. Editada por el Instituto de Estudios de Administración Local. Madrid, 1978), p. 609 (“es del instituto de su Oficio [del Corregidor] proveer que los poderosos no opriman y desuellen à los flacos, y humildes”). 376   José Antonio Maravall (Poder, honor y élites en el siglo XVII, pp. 85-86) sostiene che è “una exageración injustificable” ridurre la questione dell’onore “a la de la tacha de conversos o a la condición de limpieza de cristianos viejos”, e ricorda che i milioni di spagnoli che esercitavano, o i cui ascendenti avevano esercitato, un lavoro manuale con fini lucrativi e i vari gruppi di emarginati della società spagnola, erano “desprovistos de existencia legal”. 377   Riferimenti di qualche rilievo ai conversos non li abbiamo incontrato noi, né li ha incontrati José Antonio Maravall, che oltre alle Relaciones di Madrid e di Toledo, conosceva quelle di Ciudad Real, di Cuenca e di Guadalajara. Cfr. José Antonio Maravall : Poder, honor y élites en el siglo XVII, pp. 86-88. – José Antonio Maravall : La función del honor en la sociedad tradicional. In : Ideologies & Literature, Vol. II, 1978, pp. 9-27 ; 378   La cronaca di Luis Cabrera de Córdoba contiene – oltre alle righe sopra trascritte del 1614 sulle voci di una riforma degli Statuti – soltanto un accenno allo Statuto della Cattedrale di Toledo e all’opposizione del cardinale D. Bernardo de Sandoval y Rojas alle discriminazioni razziali che questo imponeva : “Háse retirado en Alcalá el cardenal de Toledo, por el sentimiento que ha tenido de haber mandado Su Santidad no pudiese residir en la iglesia de Toledo Luis de Oviedo, criado suyo, á quien habia dado un canonicato, y otro racionero y capellan que asimesmo habia proveido, porque no convenian en ellos las cualidades del estatuto ; y habiéndolos habilitado la Rota de Roma, y estando en pacifica posesion, á instancia del cabildo Su Santidad les ha mandado sacar de ella, con que puedan gozar la renta de las prebendas en sus casas ; y el cabildo ha fundado un óbito perpétuo en aquella iglesia al cardenal [Antonio] Zapata, por haber enviado el despacho de Su Santidad, de protector de España, y como á bienhechor de aquella iglesia, en señal de agradecimiento” (Relaciones, pp. 461-462). Su questo episodio cfr. J. Goñi : « Zapata, Antonio ». In : Diccionario de historia eclesiástica de España. IV : S-Z. Madrid : C.S.I.C. 1975, pp. 2802-2805 ; qui p. 2804. – L. Martz : A Network of Converso Families in Early Modern Toledo, p. 372. Il cardinale Zapata – primogenito di D. Francisco Zapata de Cisneros, I Conte di Barajas, aveva rinunziato ai diritti della primogenitura in favore del fratello – era stato, come Vescovo di Pamplona e Arcivescovo di Burgos, un sostenitore delle riforme proposte da Salucio. Apparteneva alla celebre famiglia conversa toledana dei Toledo Zapata, discendenti di Hernán Álvarez de Toledo, segretario dei Re Cattolici. I canonici, che mostravano ora tanta gratitudine al cardinale Zapata, che a Roma disimpegnava l’incarico di protector de las Iglesias de España, sapevano perfettamente che lo Statuto di Silíceo era stato, in parte, proprio una reazione alla fortissima presenza di membri della famiglia Toledo Zapata e del suo clan nel Capitolo della Cattedrale ! 379   Ai conversos di origine ebraica Jehan Lhermite non accenna se non indirettamente, laddove descrive un autodafé di giudaizzanti, celebrato a Toledo nel 1591 alla presenza di Filippo II, al quale assistette. Sebbene definisca l’autodafé “un espectáculo muy triste y deplorable de ver” e paia considerare negativamente la perpetuazione della memoria dell’infamia dei condannati dall’Inquisizione attraverso i sambenitos appesi nelle chiese cattedrali (“este baldón recae sobre sus descendientes por considerar su delito hecho y mácula inextinguible”), il gentiluomo fiammingo conclude la sua descrizione con questa riflessione : “Esta forma de impartir justicia para juzgar en España delitos de religión es muy necesaria debido a las tan extrañas y perversas sectas y religiones que todavía hay en esta nación, y pienso que, desgraciadamente, esta vieja cepa de mahometanos, judíos y bárbaros enemigos de nuestra Santa Fe Católica y Romana no se conseguirá extirpar fácilmente, pero sí mantener reprimida y del todo sofocada para que no se extienda más de lo que ya se ha difundido.” (El Pasatiempos, pp. 129-130.) 380   Il patrizio fiorentino possedeva una copia del pamphlet manoscritto intitolato Del origen de los Villanos a que  





































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impensabile, se la discriminazione dei conversos e la loro amarezza esistenziale fossero state, come vogliono far credere alcuni storici e quasi tutti gli studiosi della letteratura del Siglo de Oro, il problema centrale della società e della cultura della Spagna del Siglo de Oro.) L’ottenere o no un hábito di un Ordine Militare, una ejecutoria de hidalguía, una regiduría, un canonicato, una familiatura dell’Inquisizione, il potere entrare o no in una delle Confraternite esclusive o in uno dei Colegios Mayores, insomma l’esclusione – solo teorica e sempre resa inefficace dalla ricchezza e dalla rete di legami famigliari, lo ripetiamo – da certi onori, privilegi, benefici e distinzioni oppure le eventuali difficoltà – mai insormontabili – frapposte all’ascesa sociale, all’accesso alle classi privilegiate e all’integrazione nei gruppi dirigenti, non rappresentavano problemi sociali di rilievo. (Neppure oggi, del resto, le porte di certi clubs esclusivi, di certe associazioni, conventicole e società, di certi ‘salotti’ e ambienti ‘elitari’, di certi gruppi di potere, sono aperte a tutti e perfino la stratificazione della società statunitense – considerata la piú democratica, nonostante le pur esistenti terribili disuguaglianze sociali, la discriminazione e l’emarginazione, se non de jure, ma talvolta anche de jure, de facto di vasti settori della popolazione – rivela, ad una analisi approfondita, sistemi di chiusura e di caste. 381 Neppure oggi gli onori e le distinzioni sono concessi esclusivamente in base al merito personale. Senza l’appoggio di gruppi di pressione, di lobbies di vario tipo, di partiti e fazioni, di ‘sette’ o di media, senza l’adesione, l’affiliazione e l’asservimento intellettuale ai centri di potere politici, culturali ed economici, il merito personale solo in rari casi viene riconosciuto, mentre quotidiana è l’esperienza del trionfo della mediocrità. I meccanismi di discriminazione, di esclusione e di emarginazione sono in parte cambiati, ma la discriminazione, l’esclusione e l’emarginazione pur sussistono anche nelle società considerate le piú democratiche e aperte ! Il giudicare moralisticamente la società spagnola del Siglo de Oro con i metri della società occidentale di oggi, immaginata – contro ogni evidenza ed esperienza – perfetta, è il piú assurdo, inutile ed ipocrita degli esercizi al quale possa dedicarsi la storiografia letteraria.) Si deve inoltre osservare che un hábito degli Ordini Militari, la distinzione piú ambita, sempre piú raramente era concesso per premiare meriti personali. Spesso (soprattutto a partire dagli anni 1600-1605) gli hábitos erano, come abbiamo già ricordato, venduti dalla Corona e acquistati da persone che non avevano meriti da far valere, bensí denaro per comprarli ; spesso erano concessi a bambini di pochi anni (come abbiamo visto a proposito dei figli di Don Rodrigo Calderón), che certamente di meriti personali non ne potevano avere ; 382 spesso erano concessi a persone che li avevano sollecitati non per sé, ma come dote per le proprie figlie (queste, portando in dote al futuro – ancora sconosciuto – marito un hábito, sarebbero diventate dei partiti molto attraenti per giovani ambiziosi,  





   

llaman christianos viejos, che era – come abbiamo visto – una invettiva contro i cristianos viejos. Probabilmente questo pamphlet gli era stato imprestato da Gil González Dávila, l’erudito con il quale Girolamo da Sommaia si intratteneva quasi quotidianamente e scambiava ogni sorta di opere, a stampa e manoscritte. Cfr. Diario de un estudiante de Salamanca. La crónica inédita de Girolamo da Sommaia (1603-1607), p. 473. 381   Cfr. Gerald D. Berreman : Stratification, Pluralism and Interaction : A Comparative Analysis of Caste. In : Caste and Race : Comparative Approaches. Edited by Anthony de Reuck and Julie Knight. London : J. & A. Churchill LTD. 1967, pp. 45-73. 382   Sulla concessione di hábitos a bambini, spesso erano figli di ricchi mercanti, talvolta, come nel caso dei piccoli Francisco Calderón Vargas y Camargo e Juan Calderón Vargas y Camargo (rispettivamente di due e tre anni ca.), figli di cortigiani influenti, cfr. A. Domínguez Ortiz : Comercio y blasones. Concesiones de hábitos de Órdenes Militares a miembros del Consulado de Sevilla en el siglo XVII, 226-227. – F. Fernández Izquierdo : La Orden Militar de Calatrava en el siglo XVI, pp. 298-299. – L. P. Wright : Las Órdenes Militares en la sociedad española de los siglos XVI y XVII, p. 35 e p. 53. – E. Postigo Castellanos : Honor y privilegio en la Corona de Castilla. El Consejo de las Ordenes y los Caballeros de Hábito en el s. XVII, p. 179.  

















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o vanitosi, allettati dalla possibilità di diventare, col matrimonio, cavalieri di Santiago, di Calatrava o di Alcántara). 383 Talvolta gli hábitos erano sí effettivamente concessi per premiare servizi e meriti personali, ma molti di coloro che erano stati ricompensati dal Monarca con una merced de hábito per i loro meriti e servizi, specialmente i soldati, la vendevano a persone danarose per non poter sostenere le elevate spese che le ‘informazioni’ comportavano ! 384 Insomma, la concessione – o la non concessione – (soprattutto nel XVII secolo) di hábitos degli Ordini Militari può essere indicata piuttosto come prova che il potere del denaro era molto piú forte di quello della nobiltà, 385 che non come prova di esclusioni e di discriminazioni delle quali sarebbero stati vittima quelli di sangue ‘infetto’. Irrimediabilmente esclusi, emarginati e discriminati erano, sempre, i poveri. I ricchi, anche se privi del requisito della limpieza de sangre, o di uno degli altri requisiti necessari (essere figlio legittimo, 386 essere hidalgo, non aver esercitato uffici e mestieri ‘vili’), 387 avevano ottime chances di realizzare la loro aspirazione a divenire cavalieri di uno degli Ordini Militari 388 e di acquisire cosí “un capital simbólico  

   









383   Sugli abiti degli Ordini Militari sollecitati alla Corona come dote, cfr. L. P. Wright : Las Órdenes Militares en la sociedad española de los siglos XVI y XVII, p. 35. 384   F. Fernández Izquierdo : La Orden Militar de Calatrava en el siglo XVI, p. 232. 385   L. P. Wright : Las Órdenes Militares en la sociedad española de los siglos XVI y XVII, p. 52 (“el poder del dinero era mucho más implacable que el de la nobleza y ciertamente no menos dominante en el seno de la sociedad española”). Nell’opera Los Judíos en la España Moderna y Contemporánea (II, p. 349) di Julio Caro Baroja si legge : “Lo cierto es que si la « pureza de sangre » es un valor que domina muchos de los actos de la sociedad española de los siglos XVI, XVII y XVIII de una manera obsesiva, no es menos dominante e implacable la fuerza del dinero”. 386   Nella pratica, anche la mancanza di questo requisito non rappresentava alcun ostacolo alla concessione di un hábito. Cosí, per fare un esempio, il 21 gennaio 1606 Luis Cabrera de Córdoba annota nella sua cronaca : “Han proveido á don Enrique Pimentel, hijo bastardo del conde de Benavente, del Consejo de Ordenes, con el hábito de Alcántara, el cual era colegial en Salamanca en el colegio mayor del Arzobispo, de donde gobernaba el estado de su padre : es persona de buenas partes y letras” (Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, pp. 269-270). Insomma, come ha scritto Janine Fayard, la “bâtardise n’était pas une tache indélébile”. Cfr. Janine Fayard : Les membres du Conseil de Castille à l’époque moderne (1621-1746). Genève : Librairie Droz 1979 (= Mémoires et Documents publiés par la Société de L’École des Chartes, XXVI), p. 315. Sulla posizione legale dei figli illegittimi, o ‘naturali’, e sui loro diritti, cfr. Manuel Bermejo Castrillo : Las Leyes de Toro y la regulación de las relaciones familiares. In : Benjamin González Alonso (Coordinador) : Las Cortes y las Leyes de Toro de 1505. Actas del Congreso conmemorativo del V Centenario de la celebración de las Cortes y de la publicación de las Leyes de Toro de 1505. Toro, 7 a 19 de marzo de 2005. Cortes de Castilla y León 2006, pp. 381-548 ; qui pp. 387-405. 387   Sui requisiti – “legimitad, hidalguía, limpieza de sangre, limpieza de oficios, riqueza” (pur non essendo espressamente codificato, quest’ultimo requisito era necessario nella pratica) – richiesti dagli Ordini Militari agli aspiranti ad un hábito, cfr. E. Postigo Castellanos : Honor y privilegio en la Corona de Castilla. El Consejo de las Ordenes y los Caballeros de Hábito en el s. XVII, pp. 133-144. – F. Fernández Izquierdo : La Orden Militar de Calatrava en el siglo XVI, pp. 92-104. 388   Si vedano – per esempio – due dei casi illustrati da Enrique Soria Mesa : il caso di Don José de la Cabra e quello di Don Juan Fajardo de Amescua. Don José de la Cabra, sebbene discendesse, come dimostrarono le stesse probanzas, dai Caballería, “uno de los clanes más conocidos de conversos y aun judaizantes” del Regno di Aragona, divenne prima “ministro del Santo Oficio” e poi “caballero de Santiago”. Le parentele (uno zio di Don José de la Cabra era Don Bernardo, Inquisitore di Siviglia e, piú tardi, Arcivescovo di Cagliari ; un suo stretto parente era Don Jerónimo de Villanueva, “protonotario de Aragón y caballero de Calatrava”) e la protezione dello stesso Inquisitore Generale di Spagna rendevano inefficaci anche le piú solide prove documentali ! Anche Don Juan Fajardo de Amescua, regidor perpetuo di Guadix, divenne cavaliere di Calatrava nonostante che nel corso delle pruebas de limpieza de sangre la sua – del resto notoria – origine ebraica (discendeva direttamente dalla ricchissima famiglia dei Santa Cruz) fosse emersa con tutta evidenza. Anche in questo caso gli stretti legami di parentela con regidores di Guadix e con canonici della Cattedrale della stessa città e la protezione di un prelato – Juan de Orozco y Covarrubias, Vescovo di Guadix – furono determinanti per il successo del pretendente, successo che mostra “a las claras el verdadero alcance de los Estatutos de Limpieza de Sangre en la España moderna” ! (Enrique Soria Mesa : La nobleza en la España moderna, pp. 110-111, pp. 304-311. – Enrique Soria Mesa : Genealogía y poder. Invención de la memoria y ascenso social en la España moderna, pp. 32-48).  











































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importantísimo”. 389 Avevano ottime chances perché, generalmente, colui che “poseía riqueza podía borrar toda mancha que le afectase” 390 e con la complicità di esperti linajudos e di compiacenti testimonianze costruirsi immacolate genealogie. Anche nei rari casi nei quali l’aspirante rifiutasse il ricorso alle manipolazioni genealogiche o queste non fossero possibili perché la ‘macchia’ era troppo conosciuta, evidente e vistosa, il denaro rimuoveva le difficoltà. L’aspirante privo dei requisiti necessari poteva infatti sollecitare una ‘dispensa’ al Papa. Ottenuta la dispensa da Roma, l’aspirante sollecitava quella regia. E i Re, che fra la fine del XV e l’inizio del XVI secolo con l’incorporazione dei maestrazgos nella Corona erano divenuti i Gran Maestri e gli amministratori perpetui degli Ordini Militari 391 e come tali si erano riservati il diritto “para recebir” negli Ordini Militari persone prive dei requisiti necessari, 392 confermando la dispensa papale ottenuta dall’aspirante, concedevano la dispensa necessaria “pur pallier les défauts de noblesse ou de pureté de sang”. 393 Cosí, per esempio, il 7 febbraio 1604 Filippo III concede a D. Pedro Osorio de Velasco, “señor de Cuzcurrita y Silanes”, che apparteneva alla notissima famiglia di origine ebraica Santamaría-Cartagena, un “privilegio de limpieza de  









389   Bartolomé Yun Casalilla : Mal avenidos, pero juntos. Corona y oligarquías urbanas en Castilla en el siglo XVI, p. 71. 390   E. Postigo Castellanos : Honor y privilegio en la Corona de Castilla. El Consejo de las Ordenes y los Caballeros de Hábito en el s. XVII, p. 142. 391   Sulla incorporazione dei maestrazgos nella Corona di Castiglia cfr. Órdenes Militares. In : Diccionario de historia eclesiástica de España. III : Man-Ru. Madrid : C. S. I. C. 1973, pp. 1811-1830. – E. Postigo Castellanos : Honor y privilegio en la Corona de Castilla. El Consejo de las Órdenes y los Caballeros de Hábito en el s. XVII, pp. 39-44. – F. Fernández Izquierdo : La Orden Militar de Calatrava en el siglo XVI, pp. 48-68. – Martine Lambert-Gorges : L’apport des Ordres Militaires à la construction de l’État Moderne dans l’Espagne des XVe-XVIIe siècles. In : Las Órdenes Militares en la Península Ibérica. Volumen II. Edad Moderna. Coordinador : Jerónimo López-Salazar Pérez. Cuenca : Ediciones de la Universidad de Castilla-La Mancha – Cortes de Castilla-La Mancha 2000, pp. 1665-1702. – José Ignacio Ruiz Rodríguez : Órdenes Militares, Administración y Corona en la época de los Austrias. In : Las Órdenes Militares en la Península Ibérica. Volumen II. Edad Moderna. Coordinador : Jerónimo López-Salazar Pérez. Cuenca : Ediciones de la Universidad de Castilla-La Mancha – Cortes de Castilla-La Mancha 2000, pp. 1703-1717. 392   Gli Establecimientos spirituales dela orden de caualleria de Sanctiago (León : Pedro de Celada 1555), richiamandosi ad una bolla di Leone X, stabilivano (« Titulo tercero. Capitulo segundo. Delas calidades que ha de tener el cauallero, que ha de recebir el abito ») “que no fuesse recebido al abito, y caualleria dela [...] orden, el que no fuesse noble”. Specificavano di seguito in cosa consistesse la richiesta qualità di nobile : “Y (con acuerdo de nuestro capitulo general) declaramos, que se entienda ser hijo dalgo, y noble, para el dicho effecto, aquel, que por parte de su padre fuere hijo dalgo de todas partes. Y que no le toca raça de judio, ni moro. Y que de parte de su madre venga de christianos viejos, que assi mesmo no le toque raça de judio, ni moro, saluo ende, si alguno alumbrado dela gracia de nuestro señor, dexando la secta de los moros, se huuiere conuertido, o conuertiere a nuestra sancta fe, y fuesse persona con que la [...] nuestra orden pudiesse ser honrrada, que con los tales queremos reseruar en nos el poder para recebirlos”. (Sull’ascendenza materna dell’aspirante cavaliere nel « Capitulo. 3. » viene introdotta una importante restrizione : “queremos, que de aqui adelante qual quier persona, que el [...] nuestro abito para cauallero huuiere de recebir, aya de ser, y sea hidalgo, assi por la linea dela madre, como del padre.”) I Sovrani, “administradores perpetuos” dell’Ordine, si riservavano esplicitamente il diritto di dispensare dai requisiti richiesti (“queremos reseruar en nos el poder para recebirlos... ”). Tornando su questa dispensa, il « Capitulo quarto » precisava : “Si contra lo statuydo, y ordenado por nuestra orden (cerca delas calidades, que los caualleros, que el abito della huuieren de recebir) fuere por su sanctidad (de consentimiento nuestro [del Re]) dispensado, queremos, y mandamos : que enla prouision, y titulo (que para el abito sele diere) se declare, y exprese, el defecto que la tal persona padesciere. Y es nuestra voluntad que assi se guarde, y cumpla, con qualquier persona, de qualquier estado, y condicion, que (teniendo defecto alguno) el abito de nuestra orden (con dispensacion) huuiere de recebir”. Cfr. André Ruiz de la Vega : Regla y establecimientos de la Orden de la Cauallería del Señor Sanctiago del Espada (Fue impresso en la muy noble y leal ciudad de Leon, en casa de Pedro de Çelada. 1555) [Facsímil]. Introducción [de] Jesús Paniagua Pérez. León : Universidad de León 2004, fo. 34r-35r. 393   Martine Lambert-Gorges – Elena Postigo : Santiago et la porte fermée : Les candidatures malheureuses à l’habit. In : Les sociétés fermées dans le monde ibérique (XVI-XVIIIe s.). Définitions et problématique (Collections de la Maison des Pays Ibériques, 29). Paris : C. N. R. S. 1986, pp. 139-168 ; qui p. 157.  

































































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sangre”, trasformando per decreto in cristianos viejos i suoi avi ebrei ! 394 Filippo III, che già nei primi mesi del suo regno aveva dato generosamente hábitos anche a persone non qualificate – come annota il 6 gennaio 1599 Luis Cabrera de Córdoba nelle sue Relaciones 395 –, concesse durante il suo regno 558 mercedes de hábito de Santiago e contemporaneamente 50 ‘dispense di qualità’ 396 (come abbiamo già ricordato, il Re era anche prodigo nel concedere titoli di nobiltà 397). Filippo IV concesse 3.546 mercedes de hábito de Santiago e 208 dispense ! 398 Numerosi erano gli hábitos di Ordini Militari concessi ai conquistadores (a tutti era stata concessa la hidalguía de privilegio ; alcuni ottennero anche titoli di nobiltà) e ai colonizzatori dei territori americani ed anche agli indigeni 399 (in Brasile furono proposti per cavalierati di Ordini Militari anche negri e mulatti 400). Guillermo Lohmann Villena ha constatato che “las Órdenes Militares en Indias [eran] muy permeables al acceso de todos los estamientos sociales, nunca un núcleo cerrado”. 401 E se anche, alla fine, alcuni pochi venivano effettivamente esclusi e frustrati nelle loro aspirazioni e ambizioni (su 7.042 candidati al cavalierato di Santiago degli anni 1500-1700, 7.002 lo ricevettero e solo 40 – pari allo 0,56% ! – furono reprobados 402), può l’amarezza di questi pochi per l’esclusione da alcuni onori e privilegi, non certamente vitali, essere paragonata alla disperazione degli innumerevoli malnutriti, affamati, miseramente vestiti, malcalzati, se non scalzi, derelitti, sfruttati e umiliati, vittime predestinate di ogni epidemia ? E non era forse esclusa dagli ‘onori’ la stragrande maggioranza della popolazione spagnola cristiano-vieja a causa dell’esercizio di professioni ‘meccaniche’ e mestieri ‘vili’ ? 403 E non era forse priva di ogni chance di ascesa sociale per mancanza di    







   



















394   Cfr. D. Alfonso de Figueroa y Melgar, Duque de Tovar : Los prejuicios nobiliarios contra el trabajo y el comercio en la España del Antiguo Régimen. In : Cuadernos de investigación histórica 3 (1979), 415-436 ; qui pp. 424-426. D. Alfonso Figueroa y Melgar ricorda anche il caso di don Antonio Sarmiento y Maluenda, discendente della famiglia ebrea dei Santamaría-Cartagena e del mercante Andrés de Maluenda, che ricevette l’hábito di Calatrava il 23 gennaio 1621 (pp. 426-427). 395   “Hanse dado mas hábitos de las tres órdenes, despues que S. M. heredó, que no se dieron en diez años en vida del Rey su padre ; porque dicen pasan de cincuenta personas á los que se han dado ; y que los mas lo han alcanzado con poca diligencia” (Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, pp. 4-5). 396   La concessione di tanti hábitos ne erodeva significativamente il prestigio, come constatava Cristóbal Suárez de Figueroa nel suo Pasajero (II, pp. 625-626) : “Acuérdome en mi niñez asombraba a un lugar entero ver entrar por él un hábito de las tres órdenes, Santiago, Alcántara y Calatrava. Los aldeanos, en particular, casi se daban golpes en los pechos en viendo pasar al señor comendador. Ya cesa admiración semejante, por haber muchos, y no pocos, pobres.” 397   Per la sola Castiglia Filippo III concesse 3 titoli di duca, 30 di marchese, 33 di conte. Cfr. C. Pérez Bustamante : La España de Felipe III, p. 424. 398   M. Lambert-Gorges – E. Postigo : Santiago et la porte fermée, pp. 156-157. – L. P. Wright : Las Órdenes Militares en la sociedad española de los siglos XVI y XVII, pp. 45-48. Le ‘dispense’ concesse per supplire alla mancanza del requisito della purezza di sangue erano rare. Per lo piú esse sanavano i casi di candidati all’hábito che erano di nascita illegittima, o privi di nobiltà o con ascendenti che avevano esercitato mestieri ‘vili’. Le richieste di ‘dispensa’ dal requisito di purezza di sangue erano poco numerose, non tanto perché fosse scarsa la probabilità di ottenerle, ma perché cancellare la ‘macchia’ del sangue ‘impuro’ era relativamente facile e perché sarebbe stato pregiudizievole al prestigio del futuro cavaliere di Santiago, Alcántara o Calatrava, l’ammissione della propria ‘impurezza’. 399   Cfr. Guillermo Lohmann Villena : Los americanos en las órdenes nobiliarias. Tomo I. 2.ª Edición. Preámbulo de Francisco de Solano. Madrid : C.S.I.C. 1993, pp. XX-XXI, LXXIV-LXXV. Cfr. anche Lyle N. McAlister : Spain and Portugal in the New World, 1492-1700. Minneapolis : University of Minnesota 1984, pp. 177-180 e p. 393. 400   Cfr. Lyle N. McAlister : Spain and Portugal in the New World, 1492-1700, pp. 414-415. 401   Guillermo Lohmann Villena : Los americanos en las órdenes nobiliarias. Tomo I, p. LVII. 402   Cfr. M. Lambert-Gorges – E. Postigo : Santiago et la porte fermée, pp. 166-168. 403   José Antonio Maravall (Poder, honor y élites en el siglo XVII, p. 89) ha scritto che i 4/5 della popolazione spagnola erano esclusi dal “régimen del honor – aplicable únicamente a nobles y altos eclesiásticos –, mientras  

































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denaro e di istruzione la stragrande maggioranza della popolazione spagnola cristianovieja ? 404 I problemi veri della società spagnola erano – come abbiamo visto – la povertà di grande parte della popolazione, il rincaro del grano e del pane, le carestie e le epidemie che ne derivavano ; erano lo sfruttamento, i soprusi, le prevaricazioni, l’iniqua e opprimente pressione fiscale a cui erano sottoposti i contadini e il proletariato urbano e rurale ; 405 erano l’alienazione (a profitto delle oligarchie municipali) e l’usurpazione dei beni ‘comuni’, 406 che rendevano ancor piú miserabile la vita dei poveri ; erano l’im 





   





que sólo un diez por ciento, aproximadamente, soportaban un rechazo equivalente por razones de marginación étnica, religiosa, etc.”. Ed ancora : “se puede suponer que, aproximadamente, en el total de la población española, eran quince veces más los excluidos por razones estamentales que por razones de « limpieza »” (p. 91). Alcuni agricoltori ricchi che facevano lavorare le loro terre da braccianti, potevano essere hidalgos. Nelle Relaciones si trovano alcuni riferimenti a labradores che possedevano, o dicevano di possedere, la hidalguía. Cfr. Carmelo Viñas y Ramón Paz : Relaciones histórico-geográfico-estadísticas de los pueblos de España hechas por iniciativa de Felipe II. Reino de Toledo (Primera parte), p. 51 (Alcaudete) : “hay dos vecinos en este lugar digo tres labradores que dicen son hidalgos por privilegios, y no los empadronan de presente”. – Carmelo Viñas y Ramón Paz : Relaciones históricogeográfico-estadísticas de los pueblos de España hechas por iniciativa de Felipe II. Reino de Toledo (Segunda parte), p. 278 (Puebla Nueva) : “hay en este lugar tres o cuatro labradores que dicen ser hidalgos porque tienen una executoria y dicen venir de la casa de Aguero y por ella se les guarda e ha guardado su exencion como a descendientes del que saco la executoria”. – Carmelo Viñas y Ramón Paz : Relaciones histórico-geográfico-estadísticas de los pueblos de España hechas por iniciativa de Felipe II. Reino de Toledo (Tercera parte), p. 685 (Villacañas) : “todos los vecinos de esta villa son labradores y hay cinco casas de hidalgos son labradores son hidalgos por un previlegio que tienen en posesion”. Questi erano casi sporadici e riguardavano comunque esclusivamente i labradores ricos. I contadini veri e propri né potevano essere hidalgos, né avevano alcun prestigio sociale. Affermare, come ha fatto Américo Castro (De la edad conflictiva. Crisis de la cultura española en el siglo XVII, p. 178, p. 184 e p. 186), che il contadino si era elevato ad una “alta cima de dignidad”, che “los de abajo se alzaron hasta las cimas de la sociedad” e che “el labriego excedió en prestigio al graduado por una universidad”, è semplicemente assurdo. Nell’opera sopra ricordata, José Antonio Maravall, prendendo indirettamente posizione su simili assurdità, ha definito come “invención victor-huguesca” il sostenere che “el converso envidiaba la suerte del tachado por ejercicio de trabajo mecánico o que el oficio vil se juzgaba socialmente por encima envidiablemente del converso” (p. 83). Cfr. inoltre José Antonio Maravall : La función del honor en la sociedad tradicional. In : Ideologies & Literature, Vol. II, 1978, pp. 9-27 ; qui 18-19, p. 21, p. 24. – José Antonio Maravall : Trabajo y exclusión : el trabajador manual en el sistema social español de la primera modernidad. In : Les problèmes de l’exclusion en Espagne (XVIe – XVIIe siècles). Idéologie et discours. Colloque international (Sorbonne, 13, 14 et 15 mai 1982). Études réunies et présentées par Augustin Redondo (= Travaux du « Centre de Recherche sur l’Espagne des XVIe et XVIIe siècles », 1). Paris : Publications de la Sorbonne 1983, pp. 135-159. 404   Privati “de un gran número de derechos y de posibilidades de ascensión social” – scrive José Antonio Maravall – erano “los millones de individuos tachados por razones de ocupación en oficios viles. [...] en el campo [...] braceros y jornaleros, y en la ciudad [...] artesanos y ... todo género de trabajadores mecánicos” (Poder, honor y élites en el siglo XVII, pp. 81-83). 405   Ricordiamo due delle 40 “diferencias que hay entre los pobres y los ricos” illustrate da Miguel de Giginta : “2. Los pobres sujetos a todas las miserias, y muchos ricos causadores de ellas.” – “25. Los ricos compran en grueso lo mejor y más barato, sin derechos, y los pobres por menudo lo peor y más caro, con todas las imposiciones y ganancias de los tratantes encima.” Cfr. Miguel de Giginta : Tratado de remedio de pobres. Edición y estudio introductorio Félix Santolatria Sierra. Barcelona : Editorial Ariel – Ediciones Universitat de Barcelona 2000, pp. 155-157. 406   Sugli effetti nefasti della usurpazione – tale era sempre, anche se formalmente mascherata come un acquisto – delle terre comunali sulla condizione dei contadini, l’autore di un Discurso inviato a Filippo IV scriveva : “Las ventas que se an hecho de las tierras baldias de las villas y lugares han sido tambien parte de la destruiçion de muchos dellos, porque como los vassallos en general no tienen tierras que repartir entre si para sembrar ni donde pasten sus bueyes o mulas de arada, sino es arrendándolas a los particulares, que por ser ricos las an conprado, y se las dan en el mas subido preçio que pueden, los pobres labradores con tantas cargas como tienen sobre si, quando paguen el primero o segundo año, al terçero se hallan perdidos y consumidos y obligados a dejar las labranças y bienen a tanta pobreça que los neçesita a dejar sus patrias”. Cfr. Discurso breue y sumario de las caussas porque se an disminuido y despoblado muchas villas y lugares en estos Reynos de Castilla y Leon y venido a tanta pobreça los vassallos dellos, y los remedios que se ofrecen para el reparo destos daños. (Sin fecha. ¿1621 ?) In : La Junta de Reformación. Documentos procedentes del Archivo Histórico Nacional y del General de Simancas. Transcritos por D. Ángel González Palencia. 1618-1625, pp. 227-263 ; qui p. 255. Nel suo Gran Memorial (1624) il Conte-Duca di Olivares scriveva al Re : “Los regidores hacen lo que quieren usurpando a los pobres sus haciendas, atropellándolos y vejándolos y como el corregidor los ha menester para encaminar en el  



















































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possibilità della gente menuda di far sentire la propria voce, essendo priva di rappresentanza politica ; erano l’emarginazione sociale e culturale a cui era condannata la massa proletaria urbana e rurale, frequentemente disprezzata e schernita dai cortesanos, 407 dai ricchi e dai colti (anche se uomini di Chiesa ! 408), che spesso tali erano proprio grazie al suo sacrificio. Questi problemi – problemi non di privilegi e di vanità mondane, ma problemi esistenziali di sussistenza e di sopravvivenza, problemi di giustizia sociale, problemi di partecipazione politica, problemi di controllo dell’amministrazione pubblica – concernevano non poche migliaia di persone, ma l’80-90% della popolazione. Ed erano questi i problemi che generavano le tensioni e i conflitti sociali veri della società spagnola e alimentavano l’odio e il rancore delle masse popolari (urbane e rurali), che a tratti accendevano le sanguinose rivolte vuoi contro i signori feudali e le oligarchie municipali, 409 vuoi contro gli ebrei o i conversos, ritenuti monopolizzatori dell’oro, 410 sfruttatori e strumenti della oppressione dei potenti (fossero magnati oppure favoriti del Re, come il Condestable Álvaro de Luna). Il fenomeno stesso dell’antisemitismo era in gran parte, come hanno messo in rilievo numerose ricerche storiche, 411 un fenomeno di rivolta contro l’usura (gli interessi usurari, fissati, come già ricordato, al 33,33% annuo dalla Pragmática promulgata il 10 marzo 1253 da Alfonso X, 412 raggiungevano anche il 50% … al mese ! 413) e lo sfruttamento, un fenomeno di ‘lotta di classe’, di conflitto sociale, che si acutizzava e generava insurrezioni popolari e pogrom negli anni di crisi economica, di forte rincaro dei prezzi del grano e degli altri generi alimentari (rincaro provocato dai cattivi raccolti, dalla svalutazione del maravedí e dagli accaparramenti  



   









   

cabildo lo que quiere, disimula, y también por excusar los capítulos en la residencia y por tratar de vivir, como hacen todos” (Memoriales y cartas del Conde Duque de Olivares. Tomo I. Política interior : 1621 a 1627, p. 65). 407   Sono – afferma il contadino del Gran teatro del mundo – il “villano”, il “labrador [...] a quien trata siempre el cortesano / con vil desprecio ...”. Cfr. Don Pedro Calderón de la Barca : Obras completas. Tomo III. Autos sacramentales. Recopilación, prólogo y notas por Ángel Valbuena Prat. Madrid : Aguilar 1967, p. 219. 408   Sia il frate Augustín Salucio sia l’Inquisitore e futuro Vescovo Juan Roco Campofrío parlano, come si è visto, sempre con disprezzo dei villanos. Ai passi già citati dal Discurso dell’Inquisitore vogliamo aggiungerne ora uno particolarmente rivelatore. Per dimostrare quanto siano prive di valore le informazioni genealogiche, Juan Roco Campofrío afferma “que la Honrra, y reputacion de toda la Nobleza, y Limpieza de Nuestra España estriba tan solamente en las deposiciones, y dichos de los Hombres mas Viejos de cada lugar, que (vt in plurimum) son sastres, Zapateros, curtidores y la Hez del Pueblo, y lo mas de ellos tan pobres, y miserables, que con quatro reales, y vna Vez de Vino ; ò, con vna Amenaza, ò, caricia les hacen decir quanto quieren” (fo. 170r). 409   Cfr. J. Valdeón Baruque : Los conflictos sociales en el Reino de Castilla en los siglos XIV y XV, pp. 65-81, pp. 101-125, pp. 153-174, pp. 184-200. 410   Cfr. Jacqueline Ferreras-Savoye : La Celestine, ou la crise de la société patriarcale. Paris : Ediciones Hispano-Americanas 1977, pp. 23-24, pp. 35-39. 411   Cfr. A. Domínguez Ortiz : Los Judeoconversos en España y América, p. 22. – F. Márquez Villanueva : Conversos y cargos concejiles en el siglo XV, pp. 503-540. – Julio Caro Baroja : La sociedad criptojudía en la corte de Felipe IV, pp. 64-65. – Julio Caro Baroja : Los Judíos en la España Moderna y Contemporánea. Tomo I, pp. 73-90. – F. Márquez Villanueva : El problema de los conversos : cuatro puntos cardinales, pp. 52-56. – E. Benito Ruano : Toledo en el siglo XV, pp. 156-162. – Emilio Mitre Fernández : Los judíos y la Corona de Castilla en el tránsito al siglo XV. In : Cuadernos de Historia 3 (1969), 347-368. – Philippe Wolff : The 1391 Pogrom in Spain. Social Crisis or not ? In : Past & Present 50 (February 1971), pp. 4-18. – A. MacKay : Popular Movements and Pogroms in Fifteenth-Century Castile, pp. 33-67. – J. Valdeón Baruque : Los conflictos sociales en el Reino de Castilla en los siglos XIV y XV, pp. 125-139, pp. 174-183. – J. M.a Monsalvo Anton : Teoría y evolución de un conflicto social. El antisemitismo en la Corona de Castilla en la Baja Edad Media, pp. 13-15, pp. 42-44, pp. 84-106, p. 97, pp. 297-315. – F. J. Aranda Pérez : Poder y poderes en la Ciudad de Toledo. Gobierno, sociedad y oligarquías urbanas en la Edad Moderna, p. 174-179. 412   Cfr. Rafael Ramos Cerveró : Valladolid, en sus hombres de negocios. Lección inaugural del curso 198990 de la Universidad de Valladolid. Valladolid : Universidad de Valladolid 1989, p. 18. – J. Valdeón Baruque : Los conflictos sociales en el Reino de Castilla en los siglos XIV y XV, p. 126. 413   Cfr. Jaime Vicens Vives : Manual de Historia Económica de España. Con la colaboración de Jorge Nadal Oller. Barcelona : Editorial Vicens-Vives 1981, p. 260.  























































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speculativi), di aumento delle imposte o di introduzione di tasse straordinarie ; un fenomeno, insomma, sociale e politico, 414 mascherato di zelo religioso, 415 ma sostanzialmen 





414   Con grande chiarezza Raphaël Carrasco ha fissato le coordinate sociali del problema converso : “Le ‘problème convers’, c’est un problème social, c’est la grande affaire du contrôle du pouvoir local. [...] C’est dans un contexte de lutte politique entre clientèles qu’il faut situer les enjeux de la fameuse discrimination raciale de la ‘pureté de sang’. Car le pouvoir local suppose la mainmise sur les instances clés de la vie municipale au moyen de groupes de professionnels – comptables, notaires, marchands, fermiers, juristes, etc. – au sein desquels les judéo-convers, prenant le relais des Juifs, avaient de longue date fait leurs preuves. Il s’agissait du contrôle politique – conseil municipal et cathédrale surtout –, financier – affermages et cens municipaux – et de représentation nationale – procureurs aux Cortes, oidores, etc.” Cfr. Raphaël Carrasco : Solidarités et sociabilité judéo-converses en Castille au XVIe siècle. À propos d’un vieux débat historique. In : Solidarités et sociabilités en Espagne (XVIe-XXe siècles). Études réunies et présentées par Raphaël Carrasco (= Centre de Recherches sur l’Espagne Moderne, Vol. 1). Besançon : Annales Littéraires de Université de Besançon – Paris : Les Belles Lettres (Diffusion) 1991, pp. 167-186 ; qui p. 174 (cfr. anche Raphaël Carrasco : Solidaridades judeoconversas y sociedad local, pp. 61-62). F. J. Aranda Pérez (Poder y poderes en la Ciudad de Toledo. Gobierno, sociedad y oligarquías urbanas en la Edad Moderna, p. 174) ritiene che i conversos fossero discriminati per ragioni politiche ed economico-sociali e non razziali : “La discriminación que se hace a los conversos podemos contemplarla más como un intento de frenar a una pujante clase ciudadana (que prosperaba gracias a una abundante riqueza personal que procuraban las actividades económicas que ejercían) que como una persecución racista” (cfr. anche Francisco José Aranda Pérez : Judeo-conversos y poder municipal en Toledo en la Edad Moderna : una discriminación poco efectiva, p. 162). Il ‘problema converso’ è “avant tout un problème sociale”, scrive Vincent Parello (Les judéo-convers. Tolède XVe-XVIe siècles. De l’exclusión à l’intégration, p. 86) richiamandosi a quanto ha sostenuto Raphaël Carrasco nei lavori or ora ricordati. Già molto tempo prima, Antonio Domínguez Ortiz aveva affermato che “la aversión del pueblo español por los infieles y conversos no fué de naturaleza racial, sino religiosa” (piú avanti precisa che la religione era solo un pretesto e che gli ebrei e i conversos di origine ebraica erano odiati per motivi sociali). Cfr. Antonio Domínguez Ortiz : La clase social de los conversos en Castilla en la Edad Moderna (= Monografías Histórico-Sociales, Vol. III). Madrid : C. S. I. C. 1955 (ed. facs. Granada 1991), pp. 143-144. Si vedano inoltre i seguenti lavori : Luis Cardaillac : Vision simplificatrice des groupes marginaux par le groupe dominant dans l’Espagne des XVIe et XVIIe siècles. In : Les problèmes de l’exclusion en Espagne (XVIe et XVIIe siècles). Idéologie et discours. Colloque international (Sorbonne, 13, 14 et 15 mai 1982). Études réunies et présentées par Augustin Redondo (= Travaux du « Centre de Recherche sur l’Espagne des XVIe et XVIIe siècles », 1). Paris : Publications de la Sorbonne 1983, pp. 11-22. – Augustin Redondo : Le discours d’exclusion des « déviants » tenu par l’Inquisition à l’époque de Charles Quint. In : Les problèmes de l’exclusion en Espagne (XVIe et XVIIe siècles). Paris 1983, pp. 23-49. 415   Nella sua Crónica de Enrique IV, Alonso de Palencia, parlando degli antefatti del pogrom di Córdoba del 1473, dopo aver ricordato l’invidia e l’odio nutriti dai cristianos viejos contro i conversos a causa della loro ricchezza e degli uffici pubblici da loro ricoperti, scrive : “los cristianos viejos, movidos por cierto aparente celo religioso, fundaron una devota cofradía bajo la advocación de la Caridad”. Cfr. Alonso de Palencia : Crónica de Enrique IV. Introducción [y traducción] de Antonio Paz y Melia (= Biblioteca de Autores Españoles, tom. 257, tom. 258, tom. 267). Madrid : Atlas 1973-1975, 3 tomi, qui tom. II, p. 86. B. Netanyahu (Los orígenes de la Inquisición en la España del siglo XV, pp. 826-827) afferma incomprensibilmente che Alonso de Palencia “ensalza el « celo religioso »” dei cristianos viejos. L’osservazione del cronista è invece fortemente critica come rivela con tutta chiarezza l’aggettivo apparente, che precede l’espressione “zelo religioso” e che B. Netanyahu omette nella sua citazione (lo studioso ritiene che Alonso de Palencia, considerato generalmente un converso, sia invece un cristiano viejo, come dimostrerebbero l’espressione in questione e i giudizi negativi del cronista – formulati anch’essi nella Crónica de Enrique IV, tom. II, p. 85 – sulla codardia e l’arroganza dei convertiti e sulle “malas artes” con le quali avrebbero, per lo piú, accumulato le loro ricchezze). Alcune pagine oltre, descrivendo le “intrigas y maldades” di Juan Pacheco per spingere alla rivolta i cavalieri segoviani contro i conversos, Alonso de Palencia scrive : “Y aunque con perversa intención había tratado de suscitar contra los conversos de Córdoba y de otras partes de Andalucía la nota infamante, disfrazada con el aspecto de la religión, de haber violado la fe religiosa, en ninguna manera podía persuadírselo a los cristianos viejos de Segovia...” (II, p. 94). Sempre Alonso de Palencia condanna severamente i crimini commessi contro i conversos, considera le persecuzioni degli ebrei convertiti come una sventura per le città e lo Stato ed esprime la sua compassione per le “vittime” (I, p. 215). E sempre denuncia l’ipocrisia di chi ammanta di zelo religioso la persecuzione dei conversos. Ricordando il “terrible y criminal ... tumulto de Carmona”, il cronista osserva : “No referiré los infinitos crímenes por el alcaide [Beltrán de Pareja, alcaide de las dos fortalezas de Carmona] cometidos : sólo haré mención del levantamiento que concitó contra los conversos, a quienes tuvo por más hacedero entregar a las iras de la facciosa conjuración de los malvados, sedientos de sus riquezas, al apellido de religión : cual se ésta mandase el saqueo, el asesinato y la violenta perpetración de todo género de infamias, como lo habían hecho antes en Toledo, y como lo hicieron después los ladrones siguiendo el pernicioso ejemplo” (Tomo I, p. 136). Questo è il testo latino originale : “Et  































































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te privo – secondo Francisco Márquez Villanueva – di “un verdadero contenido racial”. 416 L’opposizione, la rivalità era fra ricchi e poveri, fra sfruttattori, identificati in molti casi con i conversos, e sfruttati. 417 L’ideologia religiosa aveva, spesso, solo la funzione di mascherare l’odio e l’invidia di classe e di legittimare le richieste ricorrenti di escludere gli ebrei o i conversos da qualsiasi incarico pubblico, di proibire loro la pratica dell’usura (“el judío vivió”, ha scritto Américo Castro, “como un pulpo sobre el villanaje” 418), l’acquisto di proprietà terriere, l’appalto della riscossione delle rendite regie e della esazione delle tasse (altra richiesta ricorrente era la cancellazione, o riduzione o moratoria, delle deudas judiegas, cioè dei debiti contratti dai cristiani con gli usurai ebrei). 419 La soplicación e rrequerimiento 420 e la Sentencia-Estatuto di Pero Sarmiento, il Memorial di Marcos García de Mora, lo Statuto di Silíceo, il Memorial de diversas hazañas di Mosén Diego de Valera, 421 varie Cronache 422 e  













ut innumerabilia preteream crimina prefecti mentio agenda est concitati tumultus aduersum neophitos uel recenter ad fidem catholicam conuersos, quos facilius arbitratus est obicere coniurationi factiosae maliuolorum qui opes illorum sitiebant sub colore religionis, tanquam si depredari, occidere, rapere uiolentissima queque nefarie perpetrare ex religione tenerentur, ut iam antea Toleti, postea autem mala exempla imitati predones perpetrarunt” (Alfonso de Palencia : Gesta Hispaniensia ex annalibvs svorvm diervm collecta. Tomo 2. Libri VI-X. Edición, estudio y notas de Brian Tate y Jeremy Lawrance, p. 240). Cristiano viejo o convertito che fosse, Alonso de Palencia condanna inequivocabilmente la persecuzione dei conversos, ipocritamente ammantata di zelo religioso. 416   Francisco Márquez Villanueva : El problema de los conversos : cuatro puntos cardinales. In : Hispania Judaica 2 (1980), 51-75 ; qui p. 60. Lo studioso scrive poco piú avanti : “el problema de los cristianos nuevos no era, en absoluto, de indole racial, sino social y, secundariamente, religioso. No se pierda de vista que el converso no llevaba consigo en todo momento un estigma biológico indeleble ; por lo común, sólo podía ser reconocido como tal a travès de una investigación genealógica o de la diligencia policiaca iniciada a raíz de una conducta sospechosa. El sistema, como ahora se dice, podía ser eficazmente burlado por un conformismo aun de simple naturaleza exterior, y su premio eran todos los halagos que podía ofrecer una sociedad transida de arriba abajo por la codicia de honra” (p. 61). Cfr. anche Francisco Márquez : « Estudio preliminar ». In : Fray Hernando de Talavera, O. S. H. : Católica impugnación, pp. 44-45. – Francisco Márquez Villanueva : Letrados, consejeros y justicias (artículo-reseña). In : Hispanic Review 53 (1985), 201-227 ; qui p. 208. 417   Joseph Pérez : España moderna (1474-1700). Aspectos políticos y sociales. In : La frustración de un Imperio (1476-1714). Barcelona : Labor 1982, pp. 135-259 ; qui p. 159. 418   A. Castro : España en su historia. Cristianos, moros y judíos, p. 528. 419   Cfr. J. Valdeón Baruque : Los conflictos sociales en el Reino de Castilla en los siglos XIV y XV, pp. 126-127, pp. 131-132, pp. 135-136. 420   La soplicación e rrequerimiento que Pero Sarmiento e el común de Toledo, por sí e por las otras cibdades del rreyno, presentaron sobre el çerco e agrauios que le fazían. In : Crónica del Halconero de Juan II, Pedro Carrillo de Huete, pp. 520-527. 421   Nel suo Memorial de diversas hazañas Mosén Diego de Valera, parlando del massacro compiuto nel 14731474 a Córdoba contro i conversos, scrive : “entre los Christianos viejos é nuevos, especialmente en la ciudad de Córdoba [...] avia grandes enemistades é grande envidia, como los christianos nuevos de aquella ciudad estoviesen muy ricos y les viesen de contino comprar oficios de los quales usaban soberbiosamente, de tal manera que los christianos viejos no lo podian comportar”. Cfr. Mosén Diego de Valera : Memorial de diversas hazañas. In : Crónicas de los Reyes de Castilla desde don Alfonso el Sabio, hasta los Reyes Católicos Don Fernando y Doña Isabel. Colección ordenada por don Cayetano Rosell. Tomo tercero (= Biblioteca de Autores Españoles, 70). Madrid : Atlas 1953, pp. 3-95 ; qui p. 78. 422   Nella sua Crónica de Enrique IV, Alonso de Palencia, nel descrivere gli intrighi di Juan Pacheco, Marchese di Villena e Maestre dell’Ordine di Santiago, per suscitare quelle discordie che condurranno al pogrom di Córdoba del 16 marzo 1473, scrive : “Ofrecíanle mayor seguridad los odios de los cristianos viejos hacia los conversos, extraordinariamente enriquecidos por raras artes, y luego ensoberbecidos y aspirando con insolente arrogancia a disponer de los cargos públicos, después que por dinero y fuera de toda regla habían logrado la orden de caballería hombres de baja extracción, acostumbrados a los más viles menesteres, lanzándose a suscitar revueltas y bandos los que antes jamás se atrevían al más insignificante movimiento de libertad”. E alcune pagine piú avanti, nel riferire dei tentativi di Juan Pacheco per spingere i cavalieri segoviani alla rivolta contro Andrés de Cabrera e i conversos, Alonso de Palencia scrive : “aprovechando el temor y la envidia que agitaba respectivamente los ánimos de cada bando, empezó el Maestre a valerse de tales odios [...], deslizando en los oídos de algunos caballeros segovianos estos astutos y empozoñados argumentos : Que parecía intolerable la conducta de los conversos, siempre empeñados en la opresión común de los demás ciudadanos ; apoderados  





























































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tanti altri documenti, 423 svelano chiaramente che le cause scatenanti dell’antisemitismo erano, in maniera preponderante, di natura sociale.  

descaradamente de todos los cargos públicos y ejerciéndolos con extremada injuria y oprobio de la nobleza cargada de méritos, y so grave daño de la república. Tampoco se recataban para combatir la religión cristiana, y en secreto tramaban infames injurias, como nación aparte que en ningún territorio aceptaba consorcio con los cristianos viejos, antes, cual pueblo de ideas completamente opuestas, favorecía a las claras y con la mayor osadía cuanto les era contrario, como demostraban las semillas de amarguísimos frutos extendidos por tantas ciudades del reino. Al fin era durísimo para los segovianos, añadía, que hombres advenedizos, antes ocupados en viles menesteres y alejados de todo cargo honroso, disfrutasen los honores y a su capricho dictasen órdenes, todas en perjuicio de la antigua nobleza. Estos y otros semejantes razonamientos secreta y arteramente proferidos por el Maestre, hicieron bastante mella en gran parte de los caballeros para que, acumulándose a las antiguas envidias el odio reciente, se diesen a maquinar el exterminio del bando enemigo, e impulsados por el reciente ejemplo del tumulto de Córdoba, excitaran a la sedición [...] a muchas poblaciones” (Alonso de Palencia : Crónica de Enrique IV. Tomo II, p. 85 e pp. 93-94). Anche descrivendo il pogrom di Toledo del 1467, il cronista ricorda la “malevolencia y envidia” nutrita dai cristianos viejos per i conversos (Crónica de Enrique IV. Tomo I, p. 216). Nella sua Historia de los Reyes Católicos, Andrés Bernáldez, dopo aver ricordato come gli ebrei, sempre protetti dai Re e dai grandi signori (“los guarecieron los señores, é los Reyes siempre por los grandes provechos que de ellos habian”), si fossero convertiti poco sinceramente al cristianesimo per sfuggire alle persecuzioni e ai massacri, cosí accenna all’ascesa sociale dei conversos e alla loro vasta penetrazione nella società spagnola : “ovo su impinacion é lozanía de muy gran riqueza y vanagloria de muchos sabios é doctos, é obispos, é canónigos, é frailes, é abades, é sabios, é contadores, é secretarios, é factores de Reyes, é de grandes señores”. Poco oltre i motivi dell’avversione nutrita per i conversos sono ancor piú chiaramente e diffusamente espressi : “Y comunmente por la mayor parte eran gentes logreras, é de muchas artes y engaños, porque todos vivian de oficios holgados, y en comprar y vender no tenian conciencia para con los christianos. Nunca quisieron tomar oficios de arar ni cavar, ni andar por los campos criando ganados, ni lo enseñaron á sus fijos salvo oficios de poblados, y de estar asentados ganando de comer con poco trabajo. Muchos de ellos en estos Reynos en pocos tiempos allegaron muy grandes caudales é haciendas, porque de logros é usuras no hacian conciencia, diciendo que lo ganaban con sus enemigos [...] ; é así tenian presuncion de soberbia, que en el mundo no habia mejor gente, ni mas discreta, ni mas aguda, ni mas honrada que ellos, por ser del linaje de las tribus é medio de Israel. En quanto podian adquirir honra, oficios reales, favores de Reyes é señores, algunos se mezclaron con fijos é fijas de caballeros christianos viejos con sobra de riquezas que se hallaron bien aventurados por ello, por los casamientos y matrimonios que ansi ficieron, que quedaron en la Inquisicion por buenos christianos é con mucha honra”. Cfr. Historia de los Reyes Católicos Don Fernando y Doña Isabel, escrita por el Bachiller Andrés Bernaldez, cura que fué de la Villa de los Palacios y Capellan de Don Diego Deza, Arzobispo de Sevilla, pp. 599-600. Dell’invidia sociale nutrita dai cristianos viejos per i conversos aveva parlato anche Fernando de Pulgar nella ricordata « Letra » del 1478 indirizzata ad un amico di Toledo. 423   Cfr. – per esempio – l’interessantissimo documento – conservato a Lisbona nell’Arquivo Nacional da Torre do Tombo e parzialmente trascritto da Eugenio Asensio (La España imaginada de Américo Castro, p. 172) – trovato addosso ad un certo Enrique Núñez, un convertito malsín, prima al servizio dell’inquisitore Diego Rodríguez Lucero e successivamente, quando nel 1525 fu assassinato vicino a Badajoz da cristianos nuevos portoghesi, informatore di D. João III. In questo scritto – a quanto pare una ‘memoria’ che era stata composta da Enrique Núñez e che doveva essere consegnata al Re del Portogallo – si legge : “Veemos que en los christianos lindos ay los labradores y con mucho trabajo labran las tierras y las syenbran e cogen sus novidades de pan e de vino e crian los ganados e asy todas las otras cosas necesarias mal vestidos e descalços, con agua e con sol, con frío o con elada, llevando malos días e noches, e todos lo pasan por hazer fructo pera provisyón de todos generalmente, e con todos estos trabajos sostienen el reyno ; como a todos es notorio. Pues quando consyderan esto e miran e veen los christianos nuevos tan favorecidos, tan vestidos de frisado de paño fino o de seda como cortesanos, aunque sean çapateros, tan gordos, frescos, ricos, cargados de anillos e otras joyas de plata ellos, e ellas hasta sayas verdugadas, como damas, en conclusyón finchados de tanta sobervia que con un ‘mantenga Dios al rrey’ quieren quebrar los ojos a los christianos, y esto syn labrar, ni sembrar, ni cavar, ni plantar vyñas ni olivares, ni llevar mal día ni mala noche, ni otro ningund trabajo ; pues considerando esto, mucha razón e lícita causa ay para que le tengan los christianos lindos grande enemistad…”. Nella Suplicación (Toledo, 19 de marzo 1549), con la quale si oppone alla concessione di habilitaciones ai figli e nipoti di condannati dalla Inquisizione, il Bachiller Pedro Ortiz afferma : “Yten que si se les guardassen semejantes habilitaciones ... a los ... ynhábiles hijos e nietos de condemnados según son de malos cristianos ymbidiosos y desseosos de maltractar a los cristianos limpios procurarían como procuran por todas las vías y formas exquisitas e ilícitas que pudiessen de comprar como compran los mejores officios y más preheminentes que en Castilla [ay] [...]. Yten que los hijos y nietos de condemnados y los hombres desta generación son desvergonçados y atrevidos para qualquiera cosa y por ninguna manera dexan de ponerse en los mejores lugares y estados y officios más preheminentes y honrrados  



















gli estatutos de limpieza de sangre

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[...]. [...] Yten que se ha visto que siendo mayordomos de rentas reales o de señores o públicos o de lugares dan quadernos desaforados para pujar las rentas de los tales señores porque se las den a cargo y para cumplir los tales arrendamientos roban las biudas y guérfanas y maltractan a los labradores simples y pobres haziéndoles repartir demasiados pechos y dineros demasiados de los que avían de llevar” (pp. 232-233). Nel Diálogo entre Laín Calvo y Nuño Rasura (1570), Lain, dopo aver affermato che a Burgos “anda todo por manos de vnos viles confesos [...], perdidos por sus ambiçiones y por entrar en rentas, oficios y cargos”, cosí si esprime sul governo della città : “Pues mira, amigo mio, como puede [...] andar bien regida esta ciudad [Burgos] i Castilla, quando los regidores de tan insigne ciudad el vno es mercante, y el otro compra y vende, i el otro es vn honrrado mercader ! Al fin ellos son los carniceros, ellos son viñateros, i ellos panaderos, i tratantes. I con todo esto, so titulo de gouierno y regimiento, hacense ellos ricos, y padeçe el misero vulgo ; comense ellos y sus hijos la nata, i el vulgo las hezes ; hacen ellos la vendimia, y al misero pueblo dexan los grançones i escamochos. Y el mas principal regidor, catalde de feria en feria ; y porque no sepan donde ua a los cambios, si le preguntan : « Donde va Vmd ? » no dice que ua a Medina de el Campo, ni a Villalon, ni a Rioseco, sino que ua a la Corte por hacer del estado de cauallero. I sobre esto veras hacer retablos, y edificar capillas, i dotar memorias, casar huerfanas, dorar retablos, i todo es refran antiguo : « Hurtar el puerco, y dar los pies por Dios »” (pp. 170-171). Anche il violento pamphlet anti-olivarista e antisemita, sopra ricordato, di Quevedo, è dettato, in parte, dal risentimento per la forte posizione che gli ebrei avevano nel commercio, nella finanza, nella amministrazione, nella esazione di tasse e rendite e negli appalti : “no hay cosa que se venda o se compre, por menudo ni por junto, vil ni preciosa, desde el hilo hasta el diamante, que no esté en su poder [de los judíos], ni estanco [monopolio], ni arrendamiento, ni administración que no posean”. Cfr. Francisco de Quevedo : Execración contra los judíos (Villanueva de los Infantes, 20 de julio de 1633), p. 13.  











   













co mp osto in car atter e dant e mon oty pe da l la fabrizio s err a editor e, p i s a · rom a . stampato e r ilegato n e l la t ip o g r afia di ag nan o, ag na n o p i s a n o ( p i s a ) . * Dicembre 2010 (cz 2/fg 13)

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PE R UNA SO C IO LO G IA E M P I R I C A DE L L A L E T T E R AT U R A DE L SIG LO D E O RO Tentativo di ricostruzione del contesto sociale, ‘ideologico’ e letterario della Pícara Justina vo lu m e ii A L B E RT O M ART IN O COLLANA DI TEST I E S TU D I I SP A N I C I ii · s ag g i 10.

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Frontespizio della edizione della Pícara Justina: Barcelona 1605.

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SOMMARIO VOLUME I Prefazione

15

Capitolo i. La paternità della Pícara Justina. Un problema irrisolto Il problema della paternità della Pícara Justina. Tre autori per una sola opera a) Fray Andrés Pérez O. P. b) Francisco López de Úbeda c) Fray Baltasar Navarrete O. P.

19 20 20 27 30

Capitolo ii. Un’opera ‘oscura’. Le interpretazioni della pícara justina Da Gregorio Mayáns y Siscar ad Alberto del Monte. Oltre due secoli di incomprensione Il primo tentativo di comprensione ‘storica’ : l’interpretazione di Marcel Bataillon a) Francisco López de Úbeda, un convertito di origine ebraica b) Ritratto dell’autore c) La Pícara Justina come strumento di propaganda pro-calderoniana c1) Incompatibilità della tesi di Marcel Bataillon con il contenuto ‘ideologico’ dell’opera c2) La Pícara Justina un attentato letterario contro il favorito del favorito ? I nemici del Duca di Lerma e di Don Rodrigo Calderón d) La Pícara Justina come satira della ossessione genealogica dei cortigiani d1) Incongruenze della interpretazione di Marcel Bataillon a) Montañesa, cioè hidalga ? b) Ossessione genealogica dei cortigiani ? La composizione della Corte Le interpretazioni della Pícara Justina dopo Marcel Bataillon : i suoi seguaci. i La dottrina nobiliare e l’immagine della nobiltà nel Siglo de Oro. Una digressione Le interpretazioni della Pícara Justina dopo Marcel Bataillon : i suoi seguaci. ii Le interpretazioni ‘carnevalesche’ della Pícara Justina Justina e la religione. Una digressione Le confutazioni della interpretazione di Marcel Bataillon

55 55 58 63 66 75













Capitolo iii. Cosa era Don Rodrigo Calderón nel 1604 ? Un grande signore o un semplice ayuda de Cámara ? Secretario de la Cámara del Rey ? L’esaltazione di Don Rodrigo nella dedica della Pícara Justina e la sua discrepanza con la realtà concreta Un’ipotesi azzardata : Don Rodrigo Calderón Vargas y Camargo è Vargas-Machuca ?  









Capitolo iv. Fra emarginazione e integrazione. La condizione dei conversos nella società toledana Francisco López de Úbeda, un medico converso ? Il processo di integrazione sociale, di assimilazione culturale e religiosa e di amalgamazione biologica dei conversos nella città di Toledo Problematicità dei tentativi di tracciare una tipologia dei convertiti di origine ebraica a) Le tipologie dei conversos elaborate dagli studiosi moderni b) Stereotipi coniati, o testimoniati, dagli scrittori del XV-XVII secolo  

83 93 104 117 117 129 145 154 179 201 236 250 259 259 265 276 284 299 299 313 334 336 340

x

sommario

Capitolo v. Gli Estatutos de limpieza de sangre. il piú grave problema della società spagnola ? Il dibattito sugli Estatutos de limpieza de sangre Marginalità del problema della purezza di sangue I concreti, reali e gravi problemi della società spagnola  

349 349 380 396

VOLUME II Capitolo vi. Mobilità sociale, integrazione, assimilazione e amalgamazione. Una società ‘aperta’ La mobilità sociale Integrazione sociale, assimilazione culturale e religiosa, amalgamazione biologica. Una società ‘aperta’ Mobilità sociale e genesi della picaresca

425 425 470 505

Capitolo vii. Una società apicarada Il potere del denaro La Corte a Valladolid (1601-1606) La ‘conversazione’ delle dame castigliane Comportamenti trasgressivi della nobiltà : risse, duelli, episodi ‘picareschi’

539 539 554 564 586

Capitolo viii. Il contesto letterario della Pícara Justina Libri di facezie, repertori di ‘burle’, di buffonerie, di motti e di arguzie, novelle I trattati italiani del comportamento e l’ideale del cortigiano ‘faceto’ Le lettere facete La poesia giocosa e burlesca Lirica popolare intessuta nella Pícara Justina La letteratura celestinesca Entremeses e farse Letteratura misogina Letteratura del gioco e dell’intrattenimento. Letteratura satirica degli umanisti. Letteratura folklorica. Letteratura carnevalesca. Commedia dell’Arte Geroglifici ed emblemi I discorsi e gli elogi burleschi delle Università e delle Accademie letterarie La diffusione del costume di motejar, apodar, dar matraca, echar pullas, dar vayas, fisgar e burlar La lettura a Valladolid e a Salamanca Le corrispondenze fra la Pícara Justina e il Buscón : affinità spontanee o gioco intertestuale ? Letteratura agiografica e oratoria sacra

603 607 611 617 621 642 645 649 653

699 727

Conclusione

777

Bibliografia

781

A. Bibliografie. Cataloghi di biblioteche. Lessici. Raccolte di proverbi. Enciclopedie letterarie. Dizionari storici, sociologici, biografici e genealogici B. Edizioni della Pícara Justina C. Traduzioni della Pícara Justina

781 785 786



659 662 664 677 681





sommario D. Fonti manoscritte E. ‘Documenti’ manoscritti vari (documenti anagrafici, ruoli municipali di contribuenti, autobiografie, memorie, memoriali, decreti, etichette di Corte, pareri, genealogie, ‘prove genealogiche’, diari, ‘discorsi’, ‘colloqui’, ‘dialoghi’, ‘libri verdi’, pamphlets, letteratura religiosa, lettere, carteggi, relazioni, ‘gazzette’, cronache, annali, petizioni, atti di Accademie, atti notarili, atti giudiziari, ecc.), editati dal 1855 ad oggi F. Cronache. Storie di città. Relazioni. Libelli. Miscellanee. Autobiografie. Biografie. Agiografie. Dottrina nobiliare. Filosofia morale. Precettistica grammaticale, stilistica, retorica e poetica. Trattati del comportamento. Letteratura religiosa, giuridica, storiografica, politica, pedagogica, misogina, economica, scientifica, emblematica, ecc. G. Lirica. Narrativa. Teatro. Satira. ‘Gallos’. ‘Vejámenes’. Raccolte di ‘detti’, facezie, arguzie, aneddoti e sentenze. Letteratura burlesca e folclorica H. Studi (Storia e critica della letteratura. Storia della lettura e del libro. Storia della tipografia. Storia politica, finanziaria, economica e sociale. Storia delle istituzioni. Storia delle élites. Storia delle Corti. Storia degli Ordini Militari. Storia delle città. Storia del diritto. Storia della nobiltà. Storia della borghesia. Storia della povertà e della emarginazione. Storia della criminalità. Storia degli ebrei. Storia dei moriscos. Storia dell’agricoltura. Demografia. Sociologia. Antropologia. Storia delle idee e delle mentalità. Storia della scienza. Storia della Chiesa, dell’Inquisizione e dei movimenti spirituali. Storia della cultura. Storia dell’arte, ecc.)

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828

Capitolo VI MOBILITÀ SOCIALE, INTEGRAZIONE, ASSIMILAZIONE E AMALGAMAZIONE. UNA SOCIETÀ ‘APERTA’ Sommario : La mobilità sociale. – Integrazione sociale, assimilazione culturale e religiosa, amalgamazione biologica. Una società ‘aperta’. – Mobilità sociale e genesi della picaresca.  

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a mobilità sociale, l’integrazione e l’assimilazione erano – nonostante gli Estatutos de limpieza de sangre e le discriminazioni etniche o religiose – una realtà. 1 L’amalgamazione, la fusione biologica fra spagnoli e conversos di tutti i ceti, favorita (specialmente per quello che riguarda l’alta nobiltà) dalla poca importanza che nella penisola iberica “se dió a la diferenciación social de los hijos naturales y de los legitimos”, 2 e la forte presenza nella nobiltà di famiglie di convertiti, o con un numero piú o meno grande di ascendenti di origine ebraica (e talvolta di origine araba), sono documentate dalla Instrucción del Relator para el obispo de Cuenca, a favor de la nación Hebrea (1449) di Fernán Díaz de Toledo, dal Libro verde de Aragón, 3 dal Tizón de la Nobleza de España del Cardinale Don Francisco de Mendoza y Bobadilla e da una infinità di casi messi in luce dalle ricerche storiche e genealogiche. 4  







La mobilità sociale Uno dei casi piú clamorosi di ascesa sociale e di apparentamento di una famiglia ebrea 1

  Cfr. Enrique Soria Mesa : La nobleza en la España moderna. Cambio y continuidad, pp. 47-48, pp. 212-260.   Jaime de Salazar Acha : La limpieza de sangre, p. 299. Cfr. inoltre i molti esempi addotti da Enrique Soria Mesa : La nobleza en la España moderna, pp. 185-200. 3   Cfr. l’ottima edizione sinottica dei quattro piú importanti manoscritti del Libro Verde de Aragón pervenutici : El Libro Verde de Aragón. Introducción y transcripción : Monique Combescure Thiry. Presentación y estudio preliminar : Miguel Ángel Motis Dolader. Zaragoza : Libros Certeza 2003. 4   Cfr. J. Caro Baroja : Los Judíos en la España Moderna y Contemporánea. Tomo II, pp. 265-284. Polemizzando contro coloro che si fondano su certi testi letterari – come, per esempio, La Celestina – per sostenere che la società spagnola era una società chiusa, nella quale era impensabile il matrimonio di un giovane nobile (come Calixto) con una ricca conversa (come Melibea), Julio Caro Baroja scrive : “la realidad histórica es que desde una época muy remota de la Edad Media, los judíos se mezclaban de hecho casi más con las familias linajudas que con las plebeyas. Y de esto nos hablan sinfín de documentos” (p. 268). E ancora : “es evidente que existió [...] una tendencia general de las familias de conversos a mezclarse con los nobles [...] por medio de matrimonios. Lo más frecuente era que tales familias destinaran las hijas a semejantes vínculos (aunque no faltan casos de que hijos de judíos se casaran con hijas de familias muy aristocráticas)...” (p. 273). Scritti come il Tizón de la nobleza o il Libro verde de Aragón conservano la memoria di vincoli matrimoniali (ed anche extramatrimoniali) fra famiglie nobili e famiglie conversas e costituiscono “un categórico mentís a todas las teorías que puedan defenderse utilizando datos literarios acerca de la imposibilidad del cruce de linajes durante el siglo XV y comienzos del XVI” (p. 275). Anche le moderne ricerche storiche documentano la frequenza di alleanze matrimoniali fra famiglie nobili e famiglie conversas. Cfr. ora – per esempio – Juan Gil : Los conversos y la Inquisición sevillana. Volumen III. Ensayo de Prosopografía, pp. 71-74 (si vedano inoltre i numerosi esempi ricorrenti nelle genealogie di famiglie conversas illustrate nei vol. III-IV dell’opera di J. Gil). – Enrique Soria Mesa : El cambio inmóvil. Transformaciones y permanencias en una élite de poder (Córdoba, SS. XVI-XIX), pp. 87-101, pp. 188-195. – Enrique Soria Mesa : Genealogía y poder. Invención de la memoria y ascenso social en la España moderna, 21-55. – Enrique Soria Mesa : La nobleza en la España moderna. Cambio y continuidad, pp. 123-212. – Enrique Soria Mesa : Linajes granadinos (= Los Libros de la Estrella, 33). Granada : Diputación de Granada 2008, pp. 65-73.  

2































426

capitolo vi

con la piú alta nobiltà spagnola è costituito dalla famiglia Conchillos, originariamente domiciliata nella Judería nueva di Calatayud. Ricordiamo i suoi maggiori rappresentanti. Lope Conchillos fece carriera nella burocrazia reale grazie alla protezione dei suoi parenti Miguel Pérez de Almazán, segretario di Fernando d’Aragona, e Pedro Quintana, ambasciatore in Austria e in Francia e segretario di Stato ; divenne segretario del Re Cattolico nel 1507, ottenne poi il Registro del Sello de Indias e numerosi altri incarichi (fra i quali la Segreteria degli Ordini Militari, la Segreteria delle Indie) e benefici, e accumulò, con traffici loschi e fraudolente pratiche amministrative, grandi ricchezze ; si trovava a suo agio – anche per le relazioni di parentela (la famiglia della moglie, María Niño de Ribera, era imparentata con il mercante di tessuti Juan Sánchez de Cepeda, il nonno di Santa Teresa, che non solo era converso, ma era stato processato nel 1485 dalla Santa Inquisizione, reconciliado e costretto a portare il sambenito 5) – nei circoli conversos di Toledo, città dove si era ritirato dopo la sua destituzione e dove morí nel 1521. Jacobo ( Jaime) Conchillos fu Vescovo di Gerace e di Catania e svolse attività diplomatica. García Conchillos fu Commendatore di Calatrava. Juan Conchillos, fu aio di Fernando di Aragona, Duca di Calabria. Francisca de Ribera, figlia di Lope Conchillos e di María Niño de Ribera, sposò il Conte di Fuensalida e successivamente, rimasta vedova, divenne moglie – come abbiamo già ricordato – di D. Pedro de Guzmán, I Conte di Olivares, figlio del III Duca di Medina Sidonia e di D. Leonor de Zúñiga. Il figlio di Francisca de Ribera e di D. Pedro de Guzmán, D. Enrique de Guzmán, II Conte di Olivares, sarà il padre del famosissimo Conte-Duca. 6 Un’altra famiglia ebraica del ghetto di Calatayud alla quale riuscí una grande ascesa sociale, è quella dei Chinillo (o Ginillo 7), diventati Santángel dopo la conversione al cristianesimo. Un figlio, Azarias (Luis), di Noha Chinillo entrò nella nobiltà aragonese ; un nipote, Pedro de Santángel (era figlio di Pedro de Santángel), divenne Vescovo di Mallorca. Un pronipote di Noha Chinillo, Luis de Santángel (figlio di Luis e nipote di Alfonso Santángel) divenne “escribano de ración” 8 dei Re Cattolici, ai quali imprestò somme rilevanti, e procurò, nel 1492, fondi a Cristoforo Colombo per la sua grande impresa. Una sua figlia, Luisa, sposò Don Angel de Villanueva, Viceré di Sardegna. 9 Altri discendenti di Noha Chinillo si imparentarono con i Conti di Gallano e con i Duchi di Villahermosa, di sangue reale 10 (discendevano dal Re di Aragona e Navarra Juan II, il padre di Fernando il Cattolico). Un altro caso clamoroso di ascesa sociale è quello di Andrés Cabrera (era figlio di Pedro López de Madrid, un ebreo che “recogía bastimentos por el ejército real” e che sposò María Alfonso de Cabrera, donna di “mayor alcurnia” del suo sposo ; dopo la sua  



















5   Cfr. Narciso Alonso Cortés : Pleitos de los Cepedas. In : Boletín de la Real Academia Española 25 (1946), 85-110. 6   Cfr. J. Caro Baroja : Los Judíos en la España Moderna y Contemporánea. Tomo II, p. 22. – Ramón Ezquerra : « Conchillos, Lope ». In : Diccionario de Historia de España. Dirigido per Germán Bleiberg. I : A/E. Madrid : Alianza 1981, pp. 932-933. – J. H. Elliott : El Conde-Duque de Olivares, p. 30. – F. Fernández Izquierdo : La Orden Militar de Calatrava en el siglo XVI, p. 337 e p. 413. 7   Cfr. El Libro Verde de Aragón. Introducción y transcripción : Monique Combescure Thiry. Presentación y estudio preliminar : Miguel Ángel Motis Dolader, pp. 64-67, p. 69. 8   “El « Escribano de Ración » tenía a su cargo hacer los pagos de sus « raciones » o salarios a los oficiales y servidores del Palacio o Corte del Rey y llevar las cuentas de esos pagos” (Luis de Valdeavellano : Curso de historia de las Instituciones españolas. De los orígenes al final de la Edad Media, p. 595). 9   Il Libro Verde de Aragón contiene decine e decine di riferimenti alla famiglia Santángel (in uno dei mss. si trova anche l’albero genealogico dei Santángel). Cfr. El Libro Verde de Aragón. Introducción y transcripción : Monique Combescure Thiry. Presentación y estudio preliminar : Miguel Ángel Motis Dolader, pp. 276-278 e p. 223. 10   Cfr. J. Caro Baroja : Los Judíos en la España Moderna y Contemporánea. Tomo II, pp. 277-278.  









































mobilità sociale, integrazione, assimilazione e amalgamazione

427

conversione ottenne una hidalguía e divenne cavaliere della Orden de la Banda, 11 fondata nel 1332 nella città di Vitoria da Alfonso XI, Re di Castiglia e León 12). Questo converso, maggiordomo e tesoriere di Enrico IV, aveva sposato nel 1466 Beatriz de Bobadilla. Nel 1480 i Re Cattolici crearono per Andrés Cabrera, che aveva ricevuto una Commenda dell’Ordine di Santiago e il “señorío de Moya” già durante il regno di Enrico IV, e per sua moglie, anch’essa conversa, 13 il Marchesato di Moya. 14 Il loro figlio D. Juan de Cabrera, II Marchese di Moya, sposò D. Ana de Mendoza, figlia di D. Diego Hurtado de Mendoza, II Marchese di Santillana e I Duca dell’Infantado. La figlia di D. Juan de Cabrera, D. Luisa de Cabrera, sposò D. Diego López Pacheco e cosí portò il marchesato di Moya alla famiglia dei Pacheco, Duchi di Escalona e Marchesi di Villena. Un discendente di D. Luisa de Cabrera Bobadilla e di D. Diego López Pacheco, il Duca di Escalona e Marchese di Villena D. Diego López Pacheco Cabrera y Bobadilla, parente dei Duchi di Braganza, divenne Viceré di Nueva España. Un altro figlio di Andrés Cabrera e di Beatriz de Bobadilla, D. Fernando de Cabrera, fu creato nel 1520 Conte di Chinchón da Carlo I (V) e sposò D. Teresa de la Cueva, figlia del II Duca di Alburquerque e di una figlia di D. García Álvarez de Toledo y Carrillo, I Duca d’Alba. Il II Conte di Chinchón fu D. Pedro Fernández de Cabrera, ambasciatore di Filippo II a Roma. Il III Conte di Chinchón, D. Diego Fernández de Cabrera, fu “tesorero general de la Corona de Aragón”, ambasciatore a Roma e a Vienna e per molti anni (1585-1598) “gran ministro y privado del rey”. 15 Il IV Conte di Chinchón, D. Luis Jerónimo Fernández de Cabrera, divenne Viceré del Perú. Figli di Andrés Cabrera e Beatriz de Bobadilla furono inoltre : Francisco de Bobadilla, Vescovo di Salamanca ; Diego de Cabrera, Commendatore dell’Ordine di Calatrava ; Pedro, Generale delle galere pontificie ; Maria, moglie di D. Pedro Manrique de Lara, Conte di Osorno ; Juana, moglie di D. García Fernández Manrique de Lara, figlio del Conte di Osorno e della sua prima moglie, D. Teresa Álvarez de Toledo, figlia del I Duca d’Alba ; Isabella de Cabrera, moglie di D. Diego Hurtado de Mendoza, I Marchese di Cañete. Figli di D. Isabella de Cabrera e di D. Diego Hurtado de Mendoza furono D. Hurtado de Mendoza, Viceré del Perú, e il Cardinale D. Francisco de Mendoza y Bobadilla. 16 Ancor piú strepitosa fu l’ascesa sociale di Diego Árias Dávila (o de Ávila), ebreo (al cristianesimo si convertí, verso il 1425, con alcuni suoi parenti 17) di umilissime origini.  

























11   Cfr. Jaime Contreras : Conversión, riqueza y poder político. Revueltas urbanas en Castilla S. XV, p. 106. Molti furono i conversos che divennero cavalieri della Orden de la Banda. Jaime Contreras (p. 108, nota nro. 30) ricorda, fra quelli di Guadalajara e Cuenca, i seguenti : Juan García de Guadalajara, segretario di Ruiz Dábalos ; Juan Álvarez de Toledo, servitore di Enrique III ; Alonso García Chirino, cazador mayor di Juan II e Enrique IV. 12   Cfr. Carlos Alvar - José Manuel Lucía Megías : Diccionario filológico de literatura medieval española. Textos y transmisión, p. 87. 13   Cfr. Enrique Soria Mesa : La nobleza en la España moderna, p. 105. 14   Andrés de Cabrera possedeva anche una regiduría (Segovia), che poi cedette al fratello Alonso. Scrive Francisco Márquez Villanueva : “Andrés de Cabrera y sus familiares parecen haber sido auténticos coleccionistas de oficios concejiles” (Conversos y cargos concejiles, p. 507). 15   Santiago Fernández Conti : La nobleza cortesana : Don Diego de Cabrera y Bobadilla, tercer Conde de Chinchón. In : José Martínez Millán (Dir.) : La Corte de Felipe II. Madrid : Alianza 1999, pp. 229-270. 16   Cfr. M. Del Pilar Rábade Obradó : Una élite de poder en la Corte de los Reyes Católicos. Los Judeoconversos, pp. 173-226. – Amelia López : « Bobadilla, Beatriz de ». In : Diccionario de Historia de España. I : A/E, p. 535. – Justa de la Villa : « Chinchón, conde de ». In : Diccionario de Historia de España. I : A/E, p. 1090. – Ramón Ezquerra : « Cabrera, Andrés ». In : Diccionario de Historia de España. I : A/E, pp. 621-622. – Enrique Soria Mesa : La nobleza en la España moderna, pp. 129-130. 17   Cfr. M. Del Pilar Rábade Obradó : Una élite de poder en la Corte de los Reyes Católicos. Los Judeoconversos, pp. 102-104.  



























































428

capitolo vi

Dopo aver esercitato il commercio ambulante per le campagne, 18 divenne esattore di tasse e successivamente segretario e Contador Mayor di Enrico IV, regidor di Segovia, Toledo, e Madrid ; nel 1438 aveva sposato Elvira González, anch’essa conversa, figlia di Alonso de Somoza, criado di Juan II. Arricchitosi enormemente, Diego Árias Dávila ottenne una hidalguía de ejecutoria e il cavalierato della Orden de la Banda, 19 acquisí il señorío di Puñonrostro, trasformato subito in mayorazgo ; a Segovia fondó l’Ospedale di San Antonio de los Peregrinos e costruí un magnifico palazzo signorile. Uno dei suo figli, Juan Árias Dávila, fu educato nel famoso Colegio de San Bartolomé di Salamanca e divenne Vescovo di Segovia 20 a soli ventiquattro anni 21 (durante il suo lungo vescovado – durò dal 1461 al 1497 – fondò l’Hospital de la Misericordia ; 22 si distinse per crudeltà come giudice superiore nel processo contro gli ebrei della Città di Sepúlveda, 23 accusati di aver rapito un bambino nella Settimana Santa del 1468 e di averlo crocifisso). 24 Un altro suo figlio – sarà il suo successore –, Pedro Árias (Pedrarias), possedeva una regiduría perpetua ed altri importanti uffici ; 25 sposò Maria de Cota, figlia del tesoriere converso Alonso de Cota e nipote del mercante ebreo Rodrigo de Cota. Suo nipote Juan Árias Dávila, figlio di Pedro Árias, sposò una figlia illegittima del Duca dell’Infantado e fu creato nel 1523 Conte di Puñonrostro da Carlo V, 26 che volle ricompensarlo cosí per il suo aiuto nella guerra delle Comunidades. Un altro nipote, Pedrarias Dávila y Cota (Pedro Árias Dávila), fratello del Conte di Puñonrostro, divenne Capitán general e governatore di Castilla del Oro e Nicaragua. 27 Piú tardi i Conti di Puñonrostro divennero Duchi e Grandi di Spagna. 28 (Anche i Núñez de Toledo, Marchesi di Villamagna, e gli Álvarez de Toledo, Conti di Cervera, raggiunsero la Grandeza, pur traendo – come i Puñonrostro – la loro “origen de la juderia mercantil pura y simple”. 29) Non meno straordinaria è l’ascesa sociale della famiglia Espinosa. Questa famiglia, inizialmente molto modesta, si era trasferita all’inizio del XIV secolo da Espinosa de los Monteros, un piccolo villaggio della provincia di Burgos, a Medina de Ríoseco, e qui aveva allacciato legami matrimoniali con una famiglia conversa di mercanti. María Fernán 











   





   









18   Cfr. Alfonso de Palencia : Gesta Hispaniensia ex annalibvs svorvm diervm collecta. Tomo 1. Libri I-V. Edición, estudio y notas de Brian Tate y Jeremy Lawrance. Madrid : Real Academia de la Historia 1998, pp. 57-58. 19   Cfr. Jaime Contreras : Conversión, riqueza y poder político. Revueltas urbanas en Castilla S. XV, p. 106. 20   Alfonso de Palencia : Gesta Hispaniensia ex annalibvs svorvm diervm collecta. Tomo I. Libri I-V. Edición, estudio y notas de Brian Tate y Jeremy Lawrance, pp. 57-58. pp. 81-82. 21   Cfr. M. Del Pilar Rábade Obradó : Una élite de poder en la Corte de los Reyes Católicos. Los Judeoconversos, p. 144. 22   Cfr. J. García Hernando : « Segovia, Diócesis de ». In : Diccionario de historia eclesiástica de España. IV : S-Z. Madrid : C. S. I. C. 1975, pp. 2393-2401 ; qui p. 2400. 23   Cfr. Diego de Colmenares : Historia de la Insigne Ciudad de Segovia y Compendio de las Historias de Castilla. Nueva edición anotada. II, p. 82. – José Amador de los Rios : Historia social, política y religiosa de los judíos de España y Portugal. Tomo III. Madrid : Imprenta de T. Fortanet 1876, pp. 166-167 e p. 270 n. 24   Su Juan Árias de Ávila cfr. M. Del Pilar Rábade Obradó : Una élite de poder en la Corte de los Reyes Católicos. Los Judeoconversos, pp. 101-172. 25   Cfr. F. Márquez Villanueva : Investigaciones sobre Juan Álvarez Gato, p. 19. – M. Del Pilar Rábade Obradó : Una élite de poder en la Corte de los Reyes Católicos. Los Judeoconversos, pp. 112-115. 26   M. Del Pilar Rábade Obradó : Una élite de poder en la Corte de los Reyes Católicos. Los Judeoconversos, p. 116. 27   Cfr. M. Del Pilar Rábade Obradó : Una élite de poder en la Corte de los Reyes Católicos. Los Judeoconversos, pp. 116-117. – Ramón Ezquerra : « Pedrarías Dávila ». In : Diccionario de Historia de España. Dirigido per Germán Bleiberg. III : N/Z. Madrid : Alianza 1981, pp. 197-198. 28   Cfr. D. Alfonso de Figueroa y Melgar, Duque de Tovar : Los prejuicios nobiliarios contra el trabajo y el comercio en la España del Antiguo Régimen, p. 420. – Jaime de Salazar Acha : La limpieza de sangre, pp. 303-306. 29   D. Alfonso de Figueroa y Melgar, Duque de Tovar : Los prejuicios nobiliarios contra el trabajo y el comercio en la España del Antiguo Régimen, p. 420.  

























































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dez de Espinosa si era sposata, infatti, in seconde nozze con il converso Pedro de Medina (il vero nome era García de Medina), figlio di Alvaro García, che era stato condannato al rogo come giudaizzante (il suo sambenito era esposto nella Chiesa di Santa María). Suo figlio, Juan de Espinosa Pimienta, l’unico figlio avuto da María Fernández con il primo marito (Alonso González Pimienta), aveva sposato Beatriz García de Medina, figlia di Alvaro García e sorella, quindi, di Pedro de Medina. Dal matrimonio di María Fernández de Espinosa con Pedro de Medina e da quello di Juan de Espinosa Pimienta con Beatriz García de Medina discendono gran parte degli Espinosa. Rapidamente gli Espinosa, che da Medina de Ríoseco si erano trasferiti in parte a Siviglia, accumularono nel XVI secolo, come mercanti, banchieri e finanzieri, una enorme fortuna, che permise ad alcuni di loro di imparentarsi con il patriziato sivigliano ed anche con grandi famiglie dell’aristocrazia – quali i Portocarrero-Guzmán, i Colón de Portugal y Córdoba, Duchi di Veragua, i Guzmán, i Guzmán-Ponce de León, i Pacheco-Chacón, gli Ortiz de Zúñiga, gli Hurtado de Mendoza y Navarra –, di ricevere hábitos dell’Ordine Militare di Santiago (eccezionalmente elevato è il numero dei membri della famiglia Espinosa divenuti Cavalieri di Santiago), di Calatrava e di Alcántara, 30 di ottenere regidurías, familiaturas della Santa Inquisizione e canonicati nelle grandi Cattedrali, di entrare nella esclusivissima Cofradía de Santa María de Esgueva di Valladolid e di divenire hidalgos e marchesi. Alcuni membri della famiglia Espinosa raggiunsero posizioni elevatissime nell’Ordine di Santiago e a Corte. Due delle figure piú eminenti della famiglia sono state il Cardinale D. Diego de Espinosa, che fu influentissimo consigliere di Filippo II, Presidente del Consiglio di Castiglia (1565-1572) e Grande Inquisitore, 31 e Juan Fernández de Espinosa, tesoriere generale del Regno (1575-1584), vera ‘eminenza grigia’ delle finanze pubbliche e grande favorito del Re. 32 Analoga e non meno vertiginosa è la ascesa dei Bernuy, una famiglia di ebrei convertiti della quale ci occuperemo piú avanti. Juan de Ribera (1532-1611), nonostante non fosse – come abbiamo già ricordato – di sangue ‘puro’ da parte della madre, divenne Arcivescovo e Viceré di Valencia, Patriarca di Antiochia ; intollerante come il Grande Inquisitore Torquemada, anch’egli converso, volle “limpiar a España de los moros que con título de babtizados biven en ella” 33 e contribuí cosí in maniera determinante alla espulsione e deportazione dei moriscos. Fu beatificato nel 1796 e canonizzato nel 1960 ! 34 Gli incarichi e le onorificenze ottenuti da Manuel Cortizos, il piú importante degli hombres de negocios portoghesi conversos alla Corte di Filippo IV, non si contano. Era figlio di Antonio López Cortizos, inizialmente “comerciante minorista itinerante”, e di sua moglie Luisa de Almeida, “cristianos nuevos de Braganza”, che, giunti a Madrid, “abrieron tienda en la calle Preciado junto a la Inclusa” e, successivamente, installatisi a Valladolid seguendo il trasferimento della Corte, “abrieron tienda, primero en la calle de la Platería y más tarde en la de la Especiería”. Quando la Corte abbandonó Vallado 









   

30   Un solo esempio. Il gentiluomo della Casa Reale Don Diego de Espinosa y Arévalo Sedeño, pronipote del Cardinale Diego de Espinosa, era Cavaliere e Comendador Mayor di Santiago ; suo padre, Don Diego de Espinosa, era Cavaliere di Santiago ; i suo fratelli Pedro de Espinosa e Juan Arévalo de Espinosa erano, rispettivamente, Cavalieri di Calatrava e di Alcántara. Cfr. G. Lohmann Villena : Les Espinosa. Une famille d’homme d’affaires en Espagne et aux Indes à l’époque de la colonisation, p. 60. 31   Su Diego de Espinosa cfr. José Martínez Millán : En busca de la ortodoxia : El Inquisidor General Diego de Espinosa. In : José Martínez Millán (Dir.) : La Corte de Felipe II. Madrid : Alianza 1999, pp. 189-228. 32   Cfr. G. Lohmann Villena : Les Espinosa. Une famille d’homme d’affaires en Espagne et aux Indes à l’époque de la colonisation, pp. 25-129. 33   Cit. da Juan Gil : Los conversos y la Inquisición sevillana. Volumen III. Ensayo de Prosopografía, p. 127. 34   Cfr. Juan Gil : Los conversos y la Inquisición sevillana. Volumen III. Ensayo de Prosopografía, pp. 127128.  





















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lid, dove avevano fatto fortuna, tornarono di nuovo a Madrid. 35 Nonostante le sue origini, Manuel Cortizos – divenuto membro della Contaduría Mayor de Cuentas , “escribano mayor de las Cortes”, regidor di Madrid, tesoriere del Servicio de Millones nelle città di Toro e Palencia, “secretario y escribano de Cámara de Millones” della Junta de Millones, “consejero de Hacienda” – ottenne il cavalierato dell’Ordine di Calatrava (cavalieri di Calatrava saranno anche i suoi fratelli Antonio e Sebastián Cortizos, suo cognato Sebastián del Ferro, o Hierro de Castro, e numerosi suoi discendenti e parenti) e una familiatura della Inquisizione. 36 Suo figlio Manuel José Cortizos, già cavaliere di Calatrava all’età di tre anni, sarà insignito del titolo di Visconte di Valdefuentes e di Marchese di Villaflores. 37 Gli hábitos di Calatrava, le familiaturas del Santo Oficio, i titoli di nobiltà, i Cortizos e altri loro parenti – come i del Ferro, gli Almeyda (Sebastián López Ferro de Castro y Almeyda, Marchese di Castelforte, e suo fratello Manuel, entreranno nell’Ordine di Calatrava 38), i Vaz (Miguel Vaz fu il I Conte di Mola), discendenti di Duarte Díaz (il suo nome come cristiano ; il suo nome originario era Abraham Aboab), i Báez (creati Duchi di Bellriguardo), i Paz de Silveyra ( Jorge de Paz Silveyra fu fatto Conte), i Duarte Fernández – li ricevettero pur essendo noto e documentato da processi dell’Inquisizione che erano rimasti fedeli alla religione ebraica ! 39 Jerónimo de Villanueva, nonostante appartenesse ad una famiglia di notoria origine conversa, fece una rapida e spettacolare carriera ministeriale : nominato nel 1620, a soli ventisei anni (era nato il 2 aprile 1594), per l’incarico di “protonotario de la Corona de Aragón” (l’Arpiotrotono che Quevedo presenta nella « Isla de los Monopantos » come uno dei sei inviati di Pragas Chincollos, “los más doctos en carcomas y polillas del mundo” 40), poco dopo gli fu concesso il cavalierato di Calatrava ; nel 1627 gli fu affidata la “Secretaría del Despacho” e il 27 settembre 1630 la “Secretaría de Estado de España”, di nuova creazione (Real Cédula del 2 febbraio 1630), 41 divenendo così “el hombre más poderoso de España después de Olivares”. 42  









   















35   Carmen Sanz Ayán : Procedimientos culturales y transculturales de integración en un clan financiero internacional : los Cortizos (siglos XVII y XVIII). In : Bartolomé Yun Casalilla (dir.) : Las redes del Imperio. Élites sociales en la articulación de la Monarquía Hispánica, 1492-1714. Madrid : Marcial Pons 2008, pp. 65-94 ; qui pp. 66-67. 36   Carmen Sanz Ayán : Procedimientos culturales y transculturales de integración en un clan financiero internacional : los Cortizos, pp. 70-71, pp. 77-79. 37   Cfr. D. Alfonso de Figueroa y Melgar, Duque de Tovar : Los prejuicios nobiliarios contra el trabajo y el comercio en la España del Antiguo Régimen, p. 417n. – H. Kamen : Una crisis de conciencia en la Edad de Oro en España : Inquisición contra “Limpieza de sangre”, p. 355. – Carmen Sanz Ayán : Procedimientos culturales y transculturales de integración en un clan financiero internacional : los Cortizos, p. 88. 38   D. Alfonso de Figueroa y Melgar, Duque de Tovar : Los prejuicios nobiliarios contra el trabajo y el comercio en la España del Antiguo Régimen, p. 417 n. 39   Cfr. Julio Caro Baroja : Los Judíos en la España Moderna y Contemporánea. Tomo II, pp. 115-134. – Julio Caro Baroja : La sociedad criptojudía en la Corte de Felipe IV, pp. 46-98. – D. Alfonso de Figueroa y Melgar, Duque de Tovar : Los prejuicios nobiliarios contra el trabajo y el comercio en la España del Antiguo Régimen, p. 417. – Antonio Domínguez Ortiz : Política y Hacienda de Felipe IV, p. 56, p. 125, p. 130. – Carmen Sanz Ayán : Procedimientos culturales y transculturales de integración en un clan financiero internacional : los Cortizos, pp. 79-81. 40   Francisco de Quevedo : L’heure de tous et la fortune raisonnable – La hora de todos y la fortuna con seso. Édición, introduction, traduction et notes par Jean Bourg, Pierre Dupont, Pierre Geneste, p. 310 (sul contesto politico della « Isla de los Monopantos », la data di composizione – ca. 1634/1635 – di questo pamphlet e l’identificazione dei sei collaboratori del Conte-Duca Olivares, designati con anagrammi trasparenti –Arpiotrotono - protonotario ! – si vedano le pp. 147-156 e 497-499). Il padre di Jerónimo de Villanueva, Agustín de Villanueva aveva sposato nel 1590 una zia materna (Ana Díez de Villegas) di Quevedo e diverrà curatore dei beni del poeta dopo la morte della madre (16. 12. 1600). Cfr. P. Jauralde Pou : Francisco de Quevedo (1580-1645), pp. 89-90, pp. 122-124. 41   Cfr. J. A. Escudero : Los secretarios de Estado y del Despacho (1474-1724). I, pp. 244-246 e p. 257 ; III, pp. 648-649. – J. H. Elliott : El Conde-Duque de Olivares, pp. 266-267, pp. 418-419. 42   J. H. Elliott : El Conde-Duque de Olivares, p. 419.  

























































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Spettacolare fu anche l’ascesa sociale dei Fernández de Córdoba, una famiglia cordobese di umile origine conversa, che grazie al denaro e ad “una labor continuada de oscurecimiento, de falsificaciones documentales, de mentiras, de testigos sobornados y perjuros”, entrarono a far parte della nobiltà titolata come Marchesi di Canillejas e, alla fine, divennero anche Grandi di Spagna. 43 Naturalmente non solo i casi di eccezionale e clamorosa ascesa sociale, come quelli or ora ricordati, documentano la fluidità e la permeabilità della stratificazione della società spagnola e la possibilità dei conversos di accedere agli onori e di essere accolti nella nobiltà titolata, caratterizzata proprio – a differenza delle nobiltà di altri paesi europei – dalla “proporción importante de sangre judía que pasó a correr” per le sue vene. 44 Vi sono infiniti altri casi che rivelano quanta distanza vi fosse fra le discriminazioni secondo la ‘teoria’ e la concreta pratica quotidiana, fra “los andamiajes teóricos” e “la realidad de los datos”, 45 fra la “teorización inmovilista” e i fatti che “hablan de ascensos y descensos, de integración y de ósmosis social”. 46 Ricordiamone alcuni. Un certo Juan de Pineda, “Converso niederer Herkunft aus Cordoba”, che “avia sido sastre en Cordova” (dove si chiamava Juan de Baena) ed era fratello di un rigattiere (“aljabibe”), era, nel 1486, Commendatore dell’Ordine di Santiago (piú tardi divenne “Vertreter des Ordensmeisters am päpstlichen Hof ”), secondo quanto risulta dagli atti di un processo pubblicati da Fritz Baer. 47 Un morisco ricevette la hidalguía nel 1491, un altro il 4 giugno 1492 (ad altri moriscos la hidalguía fu concessa nel corso del XVI secolo). 48 Il 9 aprile 1502 furono fatti hidalgos cinque conversos. Il 9 febbraio 1506 un certo Esteban de Palacios, carpentiere, divenne hidalgo (un altro semplice carpintero, certo García Pérez Corjin, lo era divenuto l’11 agosto 1475). 49 Il 3 dicembre 1489 fu ‘armato’ caballero il convertito Hernando del Pulgar, il famoso cronista dei Re Cattolici, che durante il loro regno concessero ben mille nuove hidalguías per premiare le persone che avevano reso loro dei servizi negli anni di guerra ; 50 il 30 aprile 1493 fu concesso il “privilegio de hidalguía” all’ebreo appena convertito al cristianesimo Vicen Bienveniste, un finanziere ed esattore d’imposte che assunse il nome di Nicolao Beltrán ; 51 il 7 febbraio 1492 fu fatto cavaliere un ferrador, certo Fernando de Palencia, il 14 agosto 1510 un barbiere, certo Sebastián de Velasco, due persone quindi che esercitavano un mestiere ‘vile’ ; non molto piú elevato era il mestiere esercitato da Guillén Doseco, portiere o usciere, divenuto cavaliere il 20 novembre 1504 ; il 15 aprile 1524 fu creato cavaliere un tale Hernando de Burgos, morisco. 52 Nel 1564 fu confermata la hidalguía a Damián Hernández Remellado,  













   

   







43   Enrique Soria Mesa : El cambio inmóvil. Transformaciones y permanencias en una élite de poder (Córdoba, SS. XVI-XIX), pp. 161-166. 44   Jaime de Salazar Acha : La limpieza de sangre, p. 298. 45   Enrique Soria Mesa : El cambio inmóvil. Transformaciones y permanencias en una élite de poder (Córdoba, SS. XVI-XIX), p. 130. 46   Enrique Soria Mesa : La nobleza en la España moderna. Cambio y continuidad, p. 214. 47   Fritz Baer : Die Juden im christlichen Spanien. Erster Teil. Urkunden und Regesten. I. Aragonien und Navarra (= Veröffentlichungen der Akademie für die Wissenschaft des Judentums. Historische Sektion. Vierter Band). Berlin : Akademie Verlag 1929. – Erster Teil. Urkunden und Regesten. Zweiter Band. Kastilien / Inquisitionsakten. Berlin : Schocken Verlag 1936, pp. 468-472. 48   Cfr. Enrique Soria Mesa : La nobleza en la España moderna. Cambio y continuidad, pp. 94-101. 49   Cfr. Marie-Claude Gerbet : Les guerres et l’accès à la noblesse en Espagne de 1465 à 1592. In : Mélanges de la Casa de Velázquez 8 (1972), 295-326 ; qui pp. 304-306. 50   Cfr. Henry Kamen : Una sociedad conflictiva : España, 1469-1714. Madrid : Alianza Editorial 1989, pp. 174175. 51   Máximo Diago Hernando : El ascenso sociopolítico de los judeoconversos en la Castilla del siglo XVI. El ejemplo de la familia Beltrán en Soria, pp. 229-233. 52   Cfr. M.-Cl. Gerbet : Les guerres et l’accès à la noblesse en Espagne, p. 313-315.  































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la cui genealogia – discendeva da un ebreo (di nome Salomon Acenas) che aveva esercitato i mestieri ‘vili’ di barbiere e di mulattiere e sposato una morisca 53 – non era meno ‘infame’ di quella esibita da alcuni eroi della picaresca ! Il registro della popolazione della città di Cáceres elenca, nel 1584, un “Caballero hijodalgo llano” che era spadaio, due “hijodalgos llanos” che erano – rispettivamente – sarto e calzolaio, nove “hijodalgos con ejecutoria” (2 barbieri, 1 farmacista, 1 chiavaro, 2 escribanos, 2 spadai, 1 sarto). 54 Gli Oviedo di Daimiel, una famiglia notoriamente conversa, non solo vincono un processo di hidalguía contro la municipalità, ma ornano la propria casa con un pomposo scudo che celebra con quattro simbolici ermellini la loro purezza di sangue, con quattro colonne e la croce la loro antica fede cristiana e con un’aquila che sorvola un lupo (i mori) i loro meriti di difensori della fede per tutta la durata della Reconquista a partire dai tempi di Don Pelayo ! 55 Fra il 1595 e il 1609 Juan de Cuéllar, mercante di Segovia di oscura e dubbiosa origine famigliare (il primo Cuéllar di cui si ha notizia era cambiador) dedito al commercio della lana, raggiunge i gradini piú elevati della oligarchia locale, divenendo prima alcalde de la Casa de la Moneda, la « vieja » e poi regidor della città. Naturalmente non ha ricevuto né la alcadía, né la regiduría per meriti, ma le ha semplicemente comprate con denaro sonante. Comprando uffici pubblici (del tutto incompatibili, in teoria, con lo status di commerciante e con l’origine ‘bassa’) e ‘vivendo nobilmente’, Juan de Cuéllar ha ‘acquistato’ – come tanti altri ricchi segoviani procedenti dal mondo del commercio e dell’artigianato 56 – quell’onore e quel prestigio sociale che gli permetteranno di venire iscritto, nel 1605, come caballero nei Libri di matricola dei Nobles Linajes della città di Segovia. 57  





   









53   Cfr. Marie-Claude Gerbet – Janine Fayard : Fermeture de la noblesse et pureté de sang dans les concejos de Castille au XVème [XVIème !] siècle : à travers les procès d’hidalguía. In : La ciudad hispánica durante los siglos XIII al XVI. Madrid : Universidad Complutense 1985, pp. 443-473 ; qui p. 461 (in questa stessa pagina vengono ricordati numerosi hidalgos che esercitavano personalmente dei mestieri artigianali o che erano figli o nipoti di artigiani). 54   Jean-Paul Le Flem : Cáceres, Plasencia y Trujillo en la segunda mitad del siglo XVI (1557-1596), pp. 248-299 ; qui p. 295. Come dimostrano gli esempi citati, la hidalguía non era – contrariamente ad una diffusissima opinione – legalmente incompatibile con l’esercizio di mestieri manuali, o addirittura ‘meccanici’ e ‘vili’ (calcetero, mozo de mulas, carpintero, herrero, calderero, arriero, mozo de cuerda, cantero, zapatero, herrador, pelaire, tejedor, ecc), o con una ascendenza ebraica o morisca. Scrive Marie-Claude Gerbet (La nobleza en la Corona de Castilla. Sus estructuras sociales en Extremadura, 1454-1516, p. 51) : “La hidalguía no se apoyaba en ningún criterio de fortuna. [...] Ningún oficio les estaba teóricamente prohibido a los hidalgos. Podían incluso realizar trabajos manuales, o arrendar la recaudación de impuestos, etc... En los procesos de la nobleza algunos concejos, poco al corriente de cuestiones legales, se obstinaban en demostrar que la parte adversa no podía ser hidalga, porque ejercía un oficio considerado vil. Pero eso de ningún modo podría impedir a una persona disfrutar la nobleza”. Cfr. anche D. Alfonso de Figueroa y Melgar, Duque de Tovar : Los prejuicios nobiliarios contra el trabajo y el comercio en la España del Antiguo Régimen, pp. 417-420, p. 432. – Martine Lambert-Gorges : Images de soi et de la noblesse ou un programme iconographique à l’usage des hidalgos ? In : Hidalgos & hidalguía. Paris : C. N. R. S. 1989, pp. 125-147. – Enrique Díez Sanz : La tierra de Soria. Un universo campesino en la Castilla oriental del siglo XVI. Madrid : Siglo XXI 1995, p. 221. Come abbiamo già ricordato, Juan García de Saavedra (Tractatvs de Hispanorum Nobilitate, et Exemptione, Sive ad Pragmaticam Cordvbensem, fo. 28r), grande conoscitore della dottrina nobiliare e – come regio Fiscal della Cancelleria di Valladolid – della applicazione concreta delle disposizioni di legge relative alla hidalguía, aveva sostenuto che quando la hidalguia “es natural, y de sangre, y perpetua”, essa “no se pierde ... por el oficio baxo”. 55   Cfr. J.-P. Dedieu : L’administration de la foi. L’Inquisition de Tolède, XVIe-XVIIIe siècle, p. 337. – J.-P. Dedieu : ¿Pecado original o pecado social ? Reflexiones en torno a la constitución y a la definición del grupo judeoconverso en Castilla, pp. 61-63. 56   Cfr. Francisco Javier Mosácula María : Los regidores de la ciudad de Segovia : análisis socioeconómico de una oligarquía urbana, pp. 97-105. 57   Cfr. Rafael Ródenas Vilar : Vida cotidiana y negocio en la Segovia del Siglo de Oro. El mercader Juan de Cuéllar. Valladolid : Junta de Castilla y León 1990, p. 17, pp. 65-74, pp. 127-158.  













































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Il Dr. Leonardo de Cos, ricco giurista regidor di Madrid, riuscí, dopo un lungo processo, a ottenere, nel maggio del 1604, a Valladolid, dagli Alcaldes de los hijosdalgo, la ejecutoria de hidalguía, pur essendo discendente di una famiglia di ebrei convertiti, dediti al commercio di tessuti, il cui vero nome era Martínez. Anche i fratelli Santiago, Juan Bautista e Francisco de Guevara, discendenti di ebrei convertiti che commerciavano in vari generi di merci (fra questi commercianti ve ne era uno – il bisavolo – che era venditore ambulante di sardine), il cui vero nome era González, ottennero la ejecutoria de hidalguía. 58 Vi erano conversos che non solo erano hidalgos e commercianti, ma anche usurai, come il toledano processato dall’Inquisizione nel 1557 (questo converso, che oltre ad essere usuraio e commerciante è anche notaio, rappresenta “le type même de ces « hommes d’affaires » qui s’engraissent de la misère de leurs concitoyens dans les campagnes d’Ancien Régime”). 59 All’inizio del suo regno Filippo III nomina il converso Luis de Mercado, consigliere del Consejo de Inquisición. 60 Il 23 gennaio 1621 riceve le insegne di cavaliere di Calatrava Antonio Sarmiento y Maluena, converso e commerciante. 61 Protagonista di una rapida ascesa sociale fu Rodrigo de Tapia y Vargas, membro di una estesa famiglia estremegna di chiara origine conversa – alcuni ascendenti erano stati addirittura processati come giudaizzanti dall’Inquisizione – che, trasferitasi in Andalusia e arricchitasi con il commercio, aveva usurpato la sospirata hidalguía e affermato perfino di appartenere al lignaggio dei Tapia, una delle piú importanti famiglie della città di Trujillo. Escribano pubblico e, successivamente, veinticuatro di Granada e correo mayor di Siviglia, Rodrigo de Tapia y Vargas acquistò la giurisdizione della città di Torrox e il señorío di Gabia la Grande (Granada) ; uno dei suoi figli, Don Lope de Tapia y Vargas, divenne cavaliere di Santiago ; altri due suoi figli, Don Juan de Tapia y Vargas e Don Jacinto de Tapia y Vargas, furono veinticuatros di Granada. La sorella di Rodrigo de Tapia y Vargas, D. Inés de Tapia y Vargas y Briones, sposò D. Gómez de Montalvo y Figueroa, signore di Sauquillo, figlio di D. Jerónimo de Montalvo y Mesía, cavaliere di Santiago, commendatore della Regina e alguacil mayor di Siviglia ; da questo matrimonio nacque D. Gómez Antonio de Montalvo y Tapia, “señor de Sauquillo, caballero de Santiago, alguacil mayor del Santo Oficio de Toledo y alguacil mayor de la Real Chancillería de Granada”. 62  



















58   Cfr. Jean-Marc Pelorson : Les Letrados, juristes castillans sous Philippe III. Recherches sur leur place dans la société, la culture et l’État, pp. 227-232 (i pleitos de hidalguía descritti in queste pagine sono di particolare interesse : il successo è ottenuto corrompendo o minacciando i testimoni, ricusando i giudici incaricati dell’inchiesta se non malleabili, usurpando il nome di una famiglia nobile delle Asturie – de Cos – e di una ancor piú nobile famiglia dei Paesi Baschi – Guevara – e, soprattutto, ‘vivendo nobilmente’). 59   Jean-Pierre Dedieu : Responsabilité de l’Inquisition dans le retard économique de l’Espagne ? Elements de réponse. In : Aux origines du retard économique de l’Espagne, XVIe-XIXe siècles. Paris : Éditions du CNRS 1983, pp. 143-153 ; qui pp. 145-146. 60   Cfr. Santiago Martínez Hernández : El Marqués de Velada y la Corte en los reinados de Felipe II y Felipe III, p. 381. 61   Cfr. D. Alfonso de Figueroa y Melgar, Duque de Tovar : Los prejuicios nobiliarios contra el trabajo y el comercio en la España del Antiguo Régimen, p. 425. 62   Enrique Soria Mesa : La venta de señoríos en el Reino de Granada bajo los Austrias, pp. 65-69. In un’altra sua opera, Enrique Soria Mesa scrive che nel Regno di Granata la mobilità sociale era enorme, la piú elevata di tutta la Spagna : “El reino granadino fue, no me cabe la menor duda, la zona más abierta al ascenso social de toda España, al menos durante los siglos XVI al XVIII. Su carácter de tierra de conquista, la lógica ausencia de nobleza de sangre, su situación periférica y alejada del núcleo de poder castellano, la existencia de continuas oleadas inmigradoras, las famosas repoblaciones [...] ... todo ello provocó que existiese una enorme movilidad social, muy superior a la del resto de la Península, que ya es decir. Y sumemos a lo dicho la condición de refugio de judeoconversos que tuvo Granada, pues en la práctica desde 1480 a 1526 estuvo ausente de su suelo la Inquisición.” Molto elevata era, pertanto, la presenza dei convertiti di origine ebraica nel patriziato e nella nobiltà del Regno di Granata : “[...] la población de origen hebraico desempeñó un papel de suma importancia en la  























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Don Juan Fajardo de Amescua – apparteneva alla famiglia, di origine ebraica, Santa Cruz, che si era arricchita con il commercio e l’appalto di rendite, aveva abbandonato il nome originario e assunto quello di Fajardo spacciandosi per discendente dei Fajardo Marqueses de los Vélez, fondato mayorazgos, collocato come canonici tre suoi membri nella Cattedrale di Guadix e saputo costruire una fitta rete di parentele con famiglie nobili andaluse –, regidor perpetuo di Guadix, ottenne da Filippo III un hábito di Calatrava e, nonostante venisse accertata senza ombra di dubbio la sua ascendenza conversa, superò le prove, “convirtiéndose en caballero de Calatrava y mostrando a las claras el verdadero alcance de los Estatutos de Limpieza de Sangre en la España Moderna”. 63 Analoga fu l’ascesa sociale della famiglia dei Díaz de Palencia, che dalla Real Chancillería di Granata ottenne – sebbene fosse non solo conversa, ma mostrasse anche una “impresionante lista de manchas en su linaje” (molti dei suoi membri erano stati condannati come giudaizzanti dalla Inquisizione) – una ejecutoria de hidalguía, nella quale si illustravano le sue nobili origini e si trasformavano i suoi antenati giudaizzanti in prestigiosi conquistatori del Regno di Granada e alla quale “se adjuntaba un certificado del Rey de Armas Diego de Urbina, en donde se trataba de los orígenes montañeses de los Díaz y los Palencia” ! 64  

   

Come si vede, ebrei convertiti e i loro discendenti diretti potevano ascendere ai piú elevati uffici della amministrazione dello Stato, godere del favore del Re e di benefici redditizi, diventare Inquisitori Generali (il frate domenicano Tomás de Torquemada, nipote del non meno celebre Cardinale D. Juan de Torquemada, l’Arcivescovo D. Diego de Deza, il Cardinale D. Alonso Manrique, il Vescovo D. Pedro Portocarrero e il Cardinale D. Diego de Espinosa, il sangue, come abbiamo già ricordato, l’avevano ‘macchiato’), Vescovi, Arcivescovi, Cardinali, Presidenti del Consiglio di Castiglia, Viceré, Commendatori degli – formalmente – ‘esclusivissimi’ Ordini Militari, diplomatici, ambasciatori e governatori, imparentarsi con le piú grandi famiglie ducali, marchionali e comitali, essere creati Conti, Marchesi, Duchi, Grandi di Spagna, vedersi riconosciuta la hidalguía anche se erano figli di un converso che esercitava la mercatura ed era stato condannato dalla Inquisizione (è il caso del padre e degli zii di Santa Teresa, figli di Juan Sánchez de evolución histórica del reino [granadino] y [...] resultó de enorme trascendencia en la configuración de sus élites locales. Atraídos por las posibilidades económicas del territorio recién conquistado y beneficiados por la condición de nuevo mundo de Granada, en donde no había casi nobleza de sangre y los orígenes de los linajes eran desconocidos, se instalaron aquí cientos de familias procedentes de Toledo, Córdoba, Jaén y, en menor medida, Sevilla, Murcia o La Mancha, entre otras regiones. [...] los grupos dirigentes granadinos estuvieron profundamente contaminados de sangre judaica, llenos de familias confesas que ocuparon los cabildos de Granada, Guadix, Baza, Loja, Alhama o Motril, entre otros. Igualmente, muchas de las grandes familias señoriales poseyeron idéntico origen (los Zafra de Castril son el ejemplo más conocido, pero ni mucho menos el único). Sólo una esforzadísima y muy afortunada labor de recreación de la memoria histórica consiguió ocultar – ya que no borrar – estos orígenes. La construcción ideológica del sistema permitía una profunda mixtificación, capaz de recrear – en su sentido de inventar – el pasado. Se falsificaron documentos, se elaboraron falsas genealogías por encargo, se mintió descarada y sistemáticamente en todo tipo de probanzas, así de hidalguía como de limpieza de sangre, se sobornó a jueces y testigos... El objetivo era muy claro : integrar sin demasiados problemas en el grupo dirigente a aquellos que, dueños de las riquezas y partícipes del poder local, adolecían de una procedencia excesivamente heterodoxa para la sociedad de su época” (Linajes granadinos, p. 23, pp. 6569). Sulle élites sociali granatine cfr. anche James Casey : Familia, poder y comunidad en la España moderna. Los ciudadanos de Granada (1570-1739). Traducción de Manuel Ardit Lucas. Valencia : Universitat de València – Granada : Universidad de Granada 2008, pp. 51-131. 63   Enrique Soria Mesa : Genealogía y poder. Invención de la memoria y ascenso social en la España moderna, pp. 42-48. 64   Enrique Soria Mesa : Genealogía y poder. Invención de la memoria y ascenso social en la España moderna, pp. 48-53.  











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Cepeda – o : de Toledo –, figlio, a sua volta, di Alonso Sánchez de Toledo) o discendenti di un ebreo che esercitava mestieri vili ed era sposato con una morisca. Nonostante le discriminazioni teoriche, moltissimi conversos avevano compiuto già nel XV secolo, quando la memoria della loro origine e della loro recente conversione era ancora ben viva e facilmente documentabile, una straordinaria ascesa sociale ( Jaime Contreras parla di “éxito espectacular” 65 dei convertiti). Nel XVI e nel XVII secolo, affievolita la memoria storica e falsificate le genealogie, l’ascesa e l’integrazione sociale dei convertiti abili, ambiziosi e ricchi furono tanto piú facili. L’integrazione sociale di coloro che, non essendo né ambiziosi né ricchi, non facevano ombra a nessuno e non suscitavano odi e invidie, non incontrava, naturalmente, nessuna difficoltà. Un altro indicatore, trascurato abitualmente, della integrazione dei convertiti nella società, è stato messo in rilievo da José Antonio Maravall. Lo studioso, dopo aver ricordato che nell’epoca della Celestina e “hasta en fechas mucho más adelantadas” il matrimonio fra nobili (anche di alto lignaggio) e giovani ereditiere di ricchi conversos era frequente, “normal y perfectamente aceptado”, scrive : “Hidalgos casados con hijas de conversos vivían en las casas de estos, en plena judería, sin tacha alguna. Ejemplo, Juan Bravo, en Segovia.” 66 Questo aspetto poco conosciuto della reale vita spagnola è molto significativo. Dimostra, infatti, che non solo il matrimonio con ragazze di origine ebraica, ma addirittura il vivere sotto lo stesso tetto della famiglia conversa della moglie e persino l’abitare nella judería non comportavano alcuna perdita di onore e di prestigio sociale per i nobili (e ancor meno, si può ben dedurre, per i cristianos viejos plebei). Questa è la Spagna delle ‘caste tibetane’ 67 e della “ségrégation”, 68 la Spagna del ‘rifiuto collettivo di mobilità’ 69 immaginata da certi storici e, in particolare, da certi storici della letteratura affascinati dalle teorie di Américo Castro ! In una società di caste il sistema di stratificazione è rigidissimo, esclude la mobilità sociale dei gruppi e degli individui poiché la posizione dei gruppi (distinti e differenziati anche culturalmente) è gerarchicamente ordinata e immutabile e il ruolo del singolo individuo è definitivamente ascritto già alla nascita. 70 In Ispagna invece il sistema di stratificazione era fluido, permeabile, la società aperta, l’accesso alla cultura libero, la mobilità sociale elevata (di intensità addirittura “incredibile” la definisce Enrique Soria Mesa, il maggior studioso del fenomeno 71), l’osmosi fra i gruppi notevole, il singolo aveva la possibilità di  



















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  Jaime Contreras : Conversión, riqueza y poder político. Revueltas urbanas en Castilla S. XV, p. 108.   José Antonio Maravall : El mundo social de La Celestina (= Biblioteca románica hispánica. II. Estudios y ensayos, 80). Tercera edición revisada. Madrid : Gredos 1981 (1.ª ed. 1964), p. 162, p. 180. Juan Bravo, figlio di una Mendoza, aveva sposato nel 1519 María Coronel, figlia di Iñigo López Coronel e nipote di Abraen Seneor (Abram Señor), ‘Rabí Mayor’, che col battesimo (1492) aveva assunto il nome di Fernán Pérez Coronel e ottenuto la hidalguía per i grandi servizi resi alla regina Isabella. Cfr. Luis F. de Peñalosa : Juan Bravo y la familia Coronel. In : Estudios Segovianos 1 (1949), 73-109. 67   Juan Ignacio Gutiérrez Nieto : La discriminación de los conversos y la tibetización de Castilla por Felipe II. In : Homenaje a Gómez Moreno. IV (= Revista de la Universidad Complutense, Vol. XXII, Núm. 87, JulioSeptiembre 1973). Madrid : Publicaciones de la Universidad Complutense de Madrid 1973, pp. 123-128. 68   Florence Dumora : « Introduction » a : Le Cancionero de Sebastián de Horozco, auteur tolédan du XVIe siècle. (Édition, Introduction et Notes). Lille : Atelier National de Reproduction de Thèses 2001, pp. 10-186 ; qui p. 23. 69   Cfr. Pierre Chaunu : La société espagnole au XVIIe siècle. Sur un refus collectif de mobilité, pp. 104-115. 70   Sul sistema di stratificazione in una società di caste cfr. Gerald D. Berreman : Stratification, Pluralism and Interaction : A Comparative Analysis of Caste. In : Caste and Race : Comparative Approaches. Edited by Anthony de Reuck and Julie Knight. London : J. & A. Churchill LTD. 1967, pp. 45-73. 71   “Castilla, al menos entre los siglos XVI y XVIII, presenció uno de los ascensos sociales más importantes de todo el Occidente europeo. La movilidad social resulta, a la luz de los documentos, increíble, especialmente si la comparamos con el concepto teórico de inmovilidad estamental. Pero que existiese una tan destacada movilidad no quiere decir que se cuestionase el sistema. Todo lo contrario. Las clases favorecidas por esta pro 

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abbandonare il gruppo d’origine e di entrare a far parte – per denaro, per cultura, per meriti personali, intellettuali, militari, oppure anche, semplicemente, per il favore e la ‘protezione’ di qualche potente – delle élites di potere. 72 Ed era stato, in realtà, proprio il gruppo sociale (o meglio, etnico) dei conversos a sperimentare, a partire dai primi decenni del XV secolo, una mobilità sociale ascendente rapida ed elevata, tanto rapida ed elevata da suscitare grandi risentimenti e da apparire frutto di una congiura. 73 Come vedremo, secondo autorevoli economisti, quali Martín González de Cellorigo 74 e Pedro Fernández Navarrete, 75 e secondo l’anonimo autore di un memoriale inviato a Filippo IV e sottoposto alla famosa Junta de Reformacíon, 76 era proprio l’elevata mobilità sociale una delle cause della crisi della Spagna. L’afán de medro, 77 l’aspirare “a ser más”, 78 a “ser algo más” 79 di quello che si è, il tentare di “subir” 80 nella piramide sociale, il desiderio di valer más (“Cada uno procura de valer más”, aveva constatato Mateo Alemán 81) e di mudar de estado, condannato dagli  



















gresión no sólo aceptaron la situación política preexistente, sino que contribuyeron, y con toda su fuerza, a su sostenimiento.” Cfr. Enrique Soria Mesa : La ruptura del orden jurisdiccional en la Castilla de los Austrias. Una interpretación a la luz del poder local. In : Francisco Javier Guillamón Álvarez y José Javier Ruiz Ibáñez (Editores) : Lo conflictivo y lo consensual en Castilla. Sociedad y poder político, 1521-1715. Homenaje a Francisco Tomás y Valiente. Murcia : Universidad de Murcia 2001, pp. 439-458 ; qui p. 457. Cfr. anche Enrique Soria Mesa : La venta de señoríos en el Reino de Granada bajo los Austrias, pp. 53-70. 72   Cfr. Enrique Soria Mesa : La nobleza en la España moderna. Cambio y continuidad, pp. 213-260. 73   J. Amador de los Rios : Historia social, política y religiosa de los judíos de España y Portugal. Tomo III, pp. 12-16. – N. G. Round : La rebelión toledana de 1449. Aspectos ideológicos, pp. 415-420. – A. MacKay : Popular Movements and Pogroms in Fifteenth-Century Castile, pp. 39-52. – Francisco José Aranda Pérez : Poder y poderes en la Ciudad de Toledo. Gobierno, sociedad y oligarquías urbanas en la Edad Moderna, p. 256. 74   Martin Gonçalez de Cellorigo : Memorial De la politica necessaria, y vtil restauracion à la Republica de España, y estados de ella, y del desempeño vniuersal de estos Reynos (1600), fo. 56r-58v. 75   Cfr. Pedro Fernández Navarrete : Conservación de Monarquías y Discursos Políticos (1626). Edición y estudio preliminar por Michael D. Gordon. Madrid : Instituto de Estudios Fiscales 1982, pp. 91-94. 76   Anónimo a Felipe IV : Discurso breue y sumario de las caussas porque se an disminuido y despoblado muchas villas y lugares en estos Reynos de Castilla y Leon y venido a tanta pobreça los vassallos dellos, y los remedios que se ofrecen para el reparo desto daños. (Sin fecha. ¿1621 ?) In : La Junta de Reformación. Documentos procedentes del Archivo Histórico Nacional y del General de Simancas. Transcritos por D. Angel González Palencia. 1618-1625 (= Archivo Histórico Español, Tomo V). Valladolid 1932, pp. 227-263 ; qui pp. 245-249. 77   Cfr. José Antonio Maravall : La literatura picaresca desde la historia social (Siglos XVI y XVII), pp. 350-408. – José Antonio Maravall : La aspiración social de « medro » en la novela picaresca. In : Cuadernos Hispanoamericanos 312 ( Junio 1976), pp. 590-625. 78   Pedro Calderón de la Barca : El Alcalde de Zalamea. In : El Alcalde de Zalamea. Edición crítica de las dos versiones (Calderón de la Barca y Lope de Vega, atribuida). Juan M. Escudero Baztán (= Biblioteca Áurea Hispánica, 1). Madrid : Iberoamericana 1998, pp. 231-378 ; qui p. 322, vv. 1587-1588. 79   Lope Felix de Vega Carpio : Los Tellos de Meneses. In : L. F. de V. C. : Obras escogidas. Estudio preliminar, biografía, bibliografía, notas y apéndices de Federico Carlos Sainz de Robles. Tomo I. Teatro*. Madrid : Aguilar 1969, pp. 407-440 ; qui p. 410. 80   Lope de Vega : Comedia famosa de El perro del hortelano. In : Obras de Lope de Vega. Publicadas por la Real Academia Española (Nueva edición). Obras dramáticas. Tomo XIII. Madrid 1930, pp. 205-246 ; qui p. 220. 81   Mateo Alemán : Guzmán de Alfarache. Edición, introducción, notas y apéndices de Francisco Rico. Barcelona : Planeta 1983, p. 628. Nella Comedia Pródiga (1554) di Luis de Miranda si leggono questi versi : “Que las casas y herederos, / los linajes, los estados, / ¿de dó fueron començados / si de hombres aventureros ? / Éstos por ser delanteros / bolvieron resplandecientes, / por esto sus descendientes / se llaman oy cavalleros. / Mas mal se puede preciar / nadie de fuerças agenas / si las propias con setenas / dexase de aventurar : / los grandes para provar / lo que sus antecessores / y los baxos y menores / para de sí començar. / Aquel es de agradecer / que trabaja como moro, / buscando nuevo thesoro / para mejor se valer…”. Cfr. Luis de Miranda : Comedia Pródiga. In : Cuatro comedias celestinescas. [Edición de] Miguel Ángel Pérez Priego (= Textos Teatrales Hispánicos del siglo XVI, 3). Valencia : Universitat de València 1993, pp. 287-374 ; qui pp. 295-296 (vv. 182-201). Anche la Comedia Eufrosina registra l’aspirazione diffusa a “afidalgarse”, a “medrar”, a “sobir”. Cfr. Jorge Ferreira de Vasconcellos : Comedia Eufrosina. Texto de la edición príncipe de 1555 con las variantes de 1561 y 1566. Edición, Prólogo y Notas de Eugenio Asensio. Tomo I (= Biblioteca Hispano-Lusitana, I). Madrid : C.S.I.C. 1951, p. 234, p. 285, p. 208, p. 342.  



























































































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uni, 82 giustificato dagli altri, 83 il “quererse todos ygualar”, 84 verso l’alto naturalmente, e l’aspirazione universale alla nobilitazione 85 (“tutti hanno nel capo uno fummo di fidal 







82   Volere mutare di ‘stato’ era, nel solco della tradizione medievale, per molti teologi e moralisti un grave peccato, perché costituiva una ribellione contro Dio, che aveva assegnato, secondo un suo ordine provvidenziale, ad ogni uomo un posto determinato e fisso nella società – così come agli animali, alle piante, alle acque, alle cose inanimate, alle stelle e ai pianeti nella Natura e nel Cosmo. Scrive, per esempio, Fray Antonio de Guevara nel Relox de Príncipes (1529) : “Desde que los árboles fueron criados siempre hasta oy conforme a su primera naturaleza llevan la hoja y fruta […]. Finalmente digo que todas las cosas han conservado su naturaleza si no es el pecador del hombre que ha declinado a malicia. Los planetas, las estrellas, los cielos, las aguas, la tierra, el huego, el ayre, los animales, las plantas y los peces : todos están en lo que fueron criados sin se quexar ni tener embidia unos de otros. Sólo el hombre nunca se acaba de quexar, nunca se acaba de hartar y siempre dessea su estado mudar ; porque el pastor querría ser labrador, y el labrador querría ser escudero, y el escudero querría ser cavallero, y el cavallero querría ser rey, y el rey querría ser emperador.” Cfr. Fray Antonio de Guevara : Relox de Príncipes. Estudio y edición de Emilio Blanco (= Escritores Franciscanos Españoles, 1). Madrid : ABL Editor – Conferencia de Ministros Provinciales de España (CONFRES) 1994, p. 11. Idee analoghe il Vescovo di Mondoñedo le esprime nelle Epístolas familiares e nel Menosprecio de Corte. Cfr. Libro primero de las Epístolas familiares de Fray Antonio de Guevara. Edición y prólogo de José María de Cossío. I, p. 409. – Antonio de Guevara : Menosprecio de Corte y Alabanza de Aldea – Arte de Marear. Edición de Asunción Rallo Gruss. Madrid : Cátedra 1984, pp. 131-140. Anche Fray Juan de Robles e Fray Hernando de Zárate condannano, rispettivamente, il desiderio di voler “mudar estado” e di voler “procurar mejorar estado”. Cfr. Fray Juan de Robles, O. S. B. : De la orden que en algunos pueblos de España se ha puesto en la limosna, para remedio de los verdaderos pobres (1545). In : Fray Domingo de Soto, O. P. : Deliberación en la causa de los pobres (Y réplica de Fray Juan de Robles, O. S. B.). Madrid : Instituto de Estudios Políticos 1965, pp. 143-316 ; qui p. 278. – Fray Hernando de Zárate : Discursos de la paciencia cristiana (1593). In : Escritores del siglo XVI. Tomo primero (= Biblioteca de Autores Españoles, 27). Madrid : Atlas 1948, pp. 421-684 ; qui p. 446. Quevedo ritiene che “el querer ser otro”, “el querer ser diferentes de sí mismos”, non solo perda gli uomini, ma comporti la negazione della propria identità, la perdita dell’essere, “el dejar de ser”. Cfr. Francisco de Quevedo y Villegas : Marco Bruto. In : F. de Q. y V. : Obras completas. Edición de Felicidad Buendía. Obras en prosa. Madrid : Aguilar 1979, pp. 915-991 ; qui p. 925. 83   Il diritto a mutare di ‘stato’ è sostenuto da Fray Domingo de Soto – “tienen los hombres derecho de levantar y ennoblecer su estado” (Deliberación en la causa de los pobres, p. 114) – e da Pedro Mexía – “los que de humildes y pobres padres vienen [no] deven dexar de se esforçar a ser ellos por sí altos y conoscidos y virtuosos” ; “en qualquiera parte que nazca el hombre, tiene licencia para procurar de ser muy grande y muy conoscido” (Silva de varia lección. I. Edición de Antonio Castro. Madrid : Cátedra 1989, p. 770, pp. 779-780). 84   M. González de Cellorigo ravvisava nel desiderio generale di ascesa sociale una delle cause del desconcierto delle persone (cioè della perdita dell’equilibrio comportamentale, conseguente al rifiuto dei ruoli ascritti) e della perversione dell’ordine ‘naturale’ della società : “el quererse todos ygualar, es lo que los tiene mas desconcertados, y confundida la republica de menores, à medianos, y de medianos à mayores, saliendo todos de su compas y orden, que conforme à la calidad des sus haziendas, de sus officios, y estado de cada vno deuieran guardar. Despues que los Españoles echaron de si los Moros de España, […] han dado en vna competencia, y emulacion de los vnos, para con los otros, à hazer pressa entre si mismos de mas honra y authoridad, y demonstracion de riquezas, queriendose ygualar en todo à todos, preuirtiendo el orden natural. Por el qual es muy cierto y sin duda, que vnos nacieron para seruir y obedecer : y otros para mandar y gouernar” (Memorial de la politica necessaria, y vtil restauracion à la Republica de España, fo. 15v-16r). Lope de Vega mette in bocca ad un suo personaggio, Tello el Viejo, queste parole : “[…] la perdición / de las repúblicas causa / el querer hacer los hombres / de sus estados mudanza. / En teniendo el mercader / alguna hacienda, no para / hasta verse caballero, / y al más desigual se iguala.” A queste parole il figlio cosí risponde : “El que su casa no aumenta, / y la deja como estaba, / no es hombre digno de honor, / antes de perpetua infamia.“ Cfr. Lope Felix de Vega Carpio : Los Tellos de Meneses, pp. 411-412. 85   Nella Genealogia de los modorros (1597) si legge “que ha crecido tanto la locura y vanidad del mundo, que no hay hombre, aunque no tenga sino una espada y una capa, que no quiera que ande su hijo como hijo de caballero y de señor”. Cfr. Francisco de Quevedo : Obras completas. Edición de Felicidad Buendía. Obras en prosa. Madrid : Aguilar 1979, pp. 46-53 ; qui p. 49. Secondo Felicidad Buendía – v. p. 46 n. – la Genealogía de los Modorros è la prima opera di Quevedo. M. Chevalier (Quevedo y su tiempo : la agudeza verbal, pp. 124-130) e Pablo Jauralde Pou (Francisco de Quevedo. Madrid : Castalia 1998, p. 117 n.) considerano questa attribuzione infondata. Antonio Azaustre Galiana scrive che le “genealogías de necios ... fueron atribuidas a Quevedo, aunque su autoría es dudosa” (Francisco de Quevedo : Obras completas en prosa. Volumen segundo. Tomo primero. Dirección de Alfonso Rey. Madrid : Castalia 2007, p. 427, nota nro. 30). Nel Coloquio de los perros, osservava Cipión : “Has de saber, Berganza, que es costumbre y condición de los mercaderes de Sevilla, y aun de las otras ciudades, mostrar su autoridad y riqueza, no en sus personas, sino en las de sus hijos ; porque los mercaderes son mayores en su sombra que en sí mismos. Y como ellos por maravilla atienden a otra cosa que a sus tratos  









































































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go”, aveva osservato già nel 1512/1513 Francesco Guicciardini nella sua Relazione di Spagna 86) e agli ‘onori’, erano fenomeni sociali tanto generalizzati da aver ridotto la Spagna, scriveva Martín González de Cellorigo, “à vna republica de hombres encantados”. 87 Ma perché il desiderio di promozione sociale e l’aspirazione alla nobilitazione (“la nobleza, à que todos aspiran” 88) erano tanto diffusi e comuni ? Evidentemente perché erano molto numerosi i casi di persone che erano riuscite a ‘cambiar stato’ e l’ascesa sociale sembrava quindi un obiettivo non irraggiungibile. In realtà, l’aspirazione alla nobilitazione si realizzava abbastanza facilmente – ovviamente se si disponeva di un adeguato patrimonio 89 –, essendo fluidi e incerti i confini  









y contratos, trátanse modestamente ; y como la ambición y la riqueza muere por manifestarse, revienta por sus hijos, y así los tratan y autorizan como si fuesen hijos de algún príncipe ; algunos hay que les procuran títulos y ponerles en el pecho la marca que tanto distingue la gente principal de la plebeya” (Miguel de Cervantes : Novelas ejemplares. III. Edición de Juan Bautista Avalle-Arce. Madrid : Clásicos Castalia 1982, pp. 261-262). Il 24 febbraio 1599 il medico svizzero Thomas Platter d. J. annotava nel suo diario di viaggio : “die Spangier [sindt] so stoltz unndt ehr-, auch gelt geitig, daß sie nicht gern umb ein kleinen soldt dienen ; sie wagen viel lieber ihr leib unndt leben, ziehen über daß ungestüme meer in die Indien, geldt unndt gut, auch einen grossen nammen zeerlangen. Wie viel in Italien unndt Niderlandt den kriegen nachziehen, gibt die tägliche erfahrung, da dann oftermahls geringes standts leüt zu überauß grossen bevelch kommen, unndt nach dem sie viel reichtumb eroberet, wenden sie es mehrtheils an pracht der kleidung unndt haußhaltung, als wann sie graven oder herren, ja auch geborne fürsten wehren, da sie doch woll ettwan nur eines schlechten handtwerckmans sohn sindt, welchen stoltz sie dann von ihren elteren saugen, dann oftermahls ich zu Barselona schuster weiber hab gesehen bekleidet gehen, denen es die vom adel bey uns nicht zuthun mögen, wie sie gemeinlich pflegen. Es ist daß höchstragende unndt stöltzist volck, so ich mein tag gesehen ; niemandt ist ihnen gutt genug ; derowegen weil sie über alle sein wellen, sich auch niemandts mitt ihnen vertragen kan.” Cfr. Thomas Platter d. J. : Beschreibung der Reisen durch Frankreich, Spanien, England und die Niederlande, 1599-1600. Im Auftrag der Historischen und Antiquarischen Gesellschaft zu Basel herausgegeben von Rut Keiser. I. Teil. (= Basler Chroniken, 9/I). Basel - Stuttgart : Schwabe & Co. Verlag 1968, pp. 379-380. Cfr. anche Pedro Fernández Navarrete : Conservación de Monarquías, p. 92. 86   Francesco Guicciardini : Relazione di Spagna [1512-1513], p. 30. Francesco Guicciardini – unitamente a Girolamo Benzoni, l’autore della diffusa Historia del mondo nuovo (Venezia 1565. – 1572), e ad alcune relazioni di ambasciatori veneziani – contribuirono non poco alla formazione degli stereotipi ricorrenti nella leyenda negra. Cfr. Richard Konetzke : Forschungsprobleme zur Geschichte der wirtschaftlichen Betätigungen des Adels in Spanien. In : Homenaje a Don Ramón Carande. Madrid : Sociedad de Estudios y Publicaciones 1963, pp. 135-151 ; qui p. 135. – Sverker Arnoldsson : La Leyenda Negra. Estudios sobre sus orígenes (= Acta Universitatis Gothoburgensis, vol. LXVI : 3). Göteborg 1960, pp. 7-11, pp. 92-94. – J. N. Hillgarth : The Mirror of Spain, 1500-1700. The Formation of a Mith. Ann Arbor : The University of Michigan 2000, p. 302. 87   M. González de Cellorigo : Memorial de la politica necessaria, y vtil restauracion à la Republica de España, fo. 25v. Nel già ricordato memoriale, inviato due decenni dopo da un anonimo (González de Cellorigo ?) a Filippo IV, si trova questo passo : “Son naturalmente los nuestros tan lleuados del viçio de la vanagloria que los haçe despreçiar la justa ocupaçion de sus personas en tanto grado, que no es tenido por honrrado y prinçipal sino aquel que sigue la holgura y el oçio a que todos aspiran, por ver que son estimados y mas respetados del vulgo […]. Y lo que mas a destruido a los nuestros de la legitima ocupaçion que tanto importa a vna Republica, a sido poner tanto la honrra y autoridad en el huir del trabajo (como dicho es), estimando en poco a los que lo siguen o tratan de la agricultura, criança de ganados, tratos y comerçios, y qualquier genero de manifactura, contra toda buena politica hasta llegar a excluir de las honrras y ofiçios destima a los tales tratantes, mercaderes y ofiçiales ; de manera que pareçe an querido reduçir estos Reynos, a una Republica de hombres encantados, perdidos y holgaçanes. Y siendo los nuestros tan amigos de honrra, (como dicho es) forçosamente an de trabajar por salir de los ofiçios que se la puedan impedir y por pasarse al estado que se la dé, ques el de holgaçanes ; el qual vendrá a creçer y el otro a menguar, de manera que todos padezcamos y las rentas reales se acaben.” Cfr. Anónimo a Felipe IV : Discurso breue y sumario de las caussas porque se an disminuido y despoblado muchas villas y lugares en estos Reynos de Castilla y Leon y venido a tanta pobreça los vassallos dellos, y los remedios que se ofrecen para el reparo desto daños. (Sin fecha. ¿1621 ?), pp. 234-235. 88   M. González de Cellorigo : Memorial de la politica necessaria, y vtil restauracion à la Republica de España, fo. 32v. 89   Enrique Soria Mesa scrive : “No era difícil ... hacerse pasar por hidalgo en la España del Antiguo Régimen. Bastaba tener la suficiente riqueza para intentarlo” (La nobleza en la España moderna. Cambio y continuidad, p. 257). Nella monografia El cambio inmóvil, lo studioso, dopo aver descritto con profusione di dati desunti da  

























































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che separavano il ceto dei nobili da quello dei plebei. Infatti la fruizione della nobiltà di sangue non era fondata su un documento giuridico (un tale documento, il diploma di nobilitazione, lo possedevano, paradossalmente, soltanto gli hidalgos de privilegio, i meno stimati, e gli hidalgos de ejecutoria, gli hidalgos, questi, che per farsi riconoscere la loro hidalguía avevano dovuto sostenere una causa davanti alla Sala de los hijosdalgo della Real Chancilleria di Valladolid o di Granada), ma era garantita unicamente dalla notorietà dell’hidalgo (l’hidalgo de sangre era definito “notorio” o “de casa y solar conocido”) e del suo linaje, notorietà forzatamente locale e quindi facilmente contestabile, soprattutto nel caso di un cambio di residenza. 90 Ma così come era facilmente contestabile, la hidalguía era altrettanto facilmente usurpabile. Essendo la probanza di nobiltà fondata esclusivamente sulla testimonianza di abitanti della località di origine, tutto, e il contrario di tutto, poteva essere ‘provato’. Inoltre, la hidalguía consisteva, come abbiamo già ricordato, sostanzialmente nell’esenzione fiscale e di questa godevano non solo gli hidalgos, ma – ad personam – anche i laureati delle grandi Università e diversi funzionari. In questo caso la trasformazione di una hidalguía de facto in una hidalguía de jure offriva difficoltà ancora minori di quelle che doveva affrontare l’impostore, o l’usurpatore di nobiltà puro e semplice. Nell’un caso e nell’altro – e naturalmente anche nel caso che l’aspirante alla nobilitazione avesse deciso di divenire nobile non attraverso l’usurpazione della nobiltà, ma comprando una delle hidalguías de privilegio 91 messe frequentemente in vendita dalla Corona –, la conditio sine qua non per la riuscita della metamorfosi sociale era il denaro, molto denaro. Per farsi riconoscere il diritto all’esenzione fiscale da qualche consiglio municipale, o per avere buone probabilità di vincere un pleito de hidalguía, era infatti assolutamente necessario « vivre noblement » 92 (come diceva il proverbio, “Costumbres y dineros hazen hijos cavalleros” 93). E ‘vivere nobil 











documenti d’archivio l’infiltrazione di ‘uomini nuovi’, spesso di origine ebraica, nella oligarchia cordobese, aveva riassunto così il risultato della sua indagine : “Nos hallamos, pues, ante un ascenso social evidente a todas luces, una progresión de decenas de familias – cientos y quizá miles para toda Castilla – que aprovecharon los resquicios del sistema para escalar peldaños en una carrera, a veces trepidante, hacia la cúspide de la Sociedad. El dinero fue la clave, el resorte, la razón casi única” (p. 169). 90   Marie-Claude Gerbet : La nobleza en la Corona de Castilla, pp. 46-47. 91   Le hidalguías de privilegio, essendo venali, conferivano però, come abbiamo già osservato, poco prestigio ; ragion per cui era preferita molto spesso l’usurpazione di nobiltà – attuata senza grandi difficoltà attraverso la corruzione o la minaccia dei testimoni, la falsificazione di documenti e la fabbricazione di un albero genealogico con ramificazioni e radici tanto antiche quanto fasulle –, che non era molto piú costosa della compera legale di una hidalguía e faceva acquisire non una nobiltà ‘datata’, quale era forzatamente quella delle hidalguías de privilegio, ma la nobiltà immemoriale, l’unica vera nobiltà, secondo la generale opinione. Cfr. Enrique Soria Mesa : El cambio inmóvil. Transformaciones y permanencias en una élite de poder (Córdoba, SS. XVI-XIX), pp. 66-67. – Enrique Soria Mesa : La nobleza en la España moderna. Cambio y continuidad, pp. 254-260. Nel Cambio inmóvil (p. 67) viene trascritto questo passo – di estremo interesse – di una lettera nella quale il regio incaricato della vendita di hidalguías effettuata nel 1557 spiega perché a Málaga l’operazione non ha avuto successo : “y como esta ciudad es franca de todo pecho y los que viven en ella plegan dejar aquí sus hijos y usurpar el nombre de caballeros con el favor de las riquezas, no tratan de comprar hidalguías” (Archivo General de Simancas, Consejo y Juntas de Hacienda, leg. 36, exp. 199). 92   Il denaro – scrive Janine Fayard – “jouait [...] un rôle capitale dans l’accès à la noblesse. [...] « Vivre noblement », ce fut le plus sûr des moyens utilisés pour entrer dans la noblesse”. Cfr. Janine Fayard : Les membres du Conseil de Castille à l’époque moderne (1621-1746), pp. 203-204. 93   Juan de Mal Lara (Obras completas, I. Philosophia vulgar, pp. 614-615) commentava cosí il proverbio : “Dos grandes cosas pueden hazer cavalleros, y que se tengan por nobles los hijos de los que no lo son. La una es costumbres, imitando a los nobles en todo aquello que lo son, o de veras o de burlas, principalmente en sus grandezas, virtudes, exercicios, maneras de hablar, cortesías, denuedos, gravedades, brevedad de palabras, atrevimiento, desemboltura, travessuras, ademanes, juegos largos, juramentos a fe de cavallero, repetición de parientas nobles, cartas fingidas, acometimientos a negocios graves, inventar reposteros, armas que frisen con las mejores de Castilla y que no pueda aver desafío sobre ellas ; en fin, tratar con grandes, hablar de grandes,  





















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mente’, presupposto necessario di ogni ascesa sociale, 94 implicava tutta una serie di obblighi, comportamenti e accorgimenti e di complesse strategie sociali da sviluppare in tempi lunghi : vivere (almeno apparentemente) di rendita 95 (di juros 96 e censos ! 97), come  







   

y embiar presentes a grandes. Lo qual se allega a la segunda cosa, que es agora de más substancia para hazer cavalleros, y es los dineros, que en las leyes los ricos y nobles se igualan y gozan de algunos privilegios en común. De las quales cosas ay exemplos en abundancia por esta farsa universal del mundo, adonde ay materias grandes para satíricos. Pero más cordura es con el silencio dexar passar las costumbres mal fingidas, y luego conoscidas, en cavalleros de pocos días a esta parte, y los dineros ganados en cosas que tienen ellos vergüença de dezirlas, con los inmensos trabajos para hazerse cavalleros y perpetuar en ello sus hijos y linage.” Nel Guitón Onofre (1604) si legge : “la nobleza anda en tal estado, que la tiene el que tiene. Que, aunque dicen que no hace el hábito al monje, la ostentación y aparato califica de manera que por ella juzgamos la hidalguía”. Cfr. Gregorio González : El Guitón Onofre. Edición a cargo de Fernando Cabo Aseguinolaza (= Biblioteca Riojana, 5). Logroño : Gobierno de la Rioja 1995, p. 141. 94   Cfr. Mauro Hernández : A la sombra de la Corona. Poder local y oligarquía urbana (Madrid, 1606-1808). Madrid : Siglo XXI de España Editores 1995, pp. 216-222. 95   M. González de Cellorigo ravvisava fra le cause della rovina economica della Monarchia spagnola la “deprauada costumbre” di ritenere “que el no viuir de rentas, no es trato de nobles” (Memorial, fo. 25v). 96   Per Pedro Fernández Navarrete “los juros” sono responsabili della decadenza della agricoltura, del commercio e dell’industria, “porque como los que con su trabajo han adquirido alguna hacienda, hallan que por medio de ellos [los juros] pueden tener rédito descansado, desamparan las artes y oficios, la labranza y crianza en que se ganan con su sudor la comida : con lo cual viene a menguar el comercio, y con él los derechos reales : porque el mercader deja el trato, el oficial su tienda, el hidalgo que labraba sus heredades, las vende y las subroga en juros, el tratante deja las navigaciones, cesando con esto la venta de los frutos naturales e industriales en que estaba librada la riqueza de las ciudades, con lo cual faltando en qué ocuparse los vecinos, se despueblan los lugares [...]”. Lo spopolamento della campagna e la conseguente crisi economica sono stati particolarmende vasti in quelle Monarchie “donde la hacienda de los particulares se ha podido reducir a juros y censos ; porque los que se hallan con hacienda y caudal para sustentar en la Corte, viendo que la mayor parte de las imposiciones, cargas, pechos, tributos, dacios y gabelas está sobre los bienes raíces, de que son exentos los juros y censos, se resuelven con facilidad a dejar los grillos de la crianza y labranza, y venirse a gozar descansadamente su hacienda en la Corte, donde los que no son nobles aspiran a ennoblecerse, y los que lo son a subir a mayores puestos” (Conservación de Monarquías, pp. 95-96 e p. 107). Anche Sancho de Moncada e Miguel Caxa de Leruela ravvisano nella diffusa aspirazione a vivere di rendita, comprando juros e censos, una delle cause della profonda crisi economica spagnola. Cfr. Sancho de Moncada : Restauración política de España (1619). Edición a cargo de Jean Vilar. Madrid : Instituto de Estudios Fiscales - Ministero de Hacienda 1974, p. 208. – Miguel Caxa de Leruela : Restauración de la abundancia de España (Nápoles 1631). Edición a cargo de Jean Paul Le Flem. Madrid : Instituto de Estudios Fiscales - Ministerio de Hacienda 1975, p. 40, pp. 55-56. Già molti decenni prima, Bernardino de Riberol aveva criticato “los que venden sus rentas, empeñan sus patrimonios : [...] por seguir la corte con codicia de adquirir mayor estado y hazienda”, abbandonando così “la mediania en que Dios los puso”. Cfr. Bernardino de Riberol : Libro contra la ambición y codicia desordenada de aqueste tiempo : llamado alabanza de la pobreza. (Edición facsímil de la primera edición. Sevilla : Martín de Montesdoca 1556). Excma. Mancomunidad de Cabildos de Las Palmas 1980, fo. XCVIIv. 97   M. González de Cellorigo, dopo aver affermato che il “viuir por cuenta de censos” è stato “la peste y perdicion de España”, scriveva : “Con los censos casas muy floridas se han perdido, y otra de gente baxa se han leuantado de sus officios, tratos y labranças à la ociosidad...”. Consigliava quindi a Filippo III di “abaxar los interesses de los censos” per indurre le persone a svolgere attività produttive (Memorial, fo. 22v e fo. 58v-60v ; si v. anche fo.4v). Contro il vivere di rendita, i juros e i censos si pronunciarono anche Pedro de Valencia (Discurso contra la ociosidad. Madrid, 6 de Enero de 1608. In : Pedro de Valencia : Obras completas. Volumen IV/1. Escritos sociales. I. Escritos económicos : 1590-1608, pp. 159-173 ; qui p. 168), Lope de Deza (Gobierno Político de Agricultura, p. 59) e, come abbiamo notato sopra, Sancho de Moncada. L’autore della Restauración política de España dubitava però che si potesse scoraggiare gli spagnoli dall’investire il loro denaro in “un poco de papel” riducendo gli interessi, perché troppo diffusa e radicata era ormai l’abitudine a vivere di rendita (“los ricos y los pobres fundan ya su vivir en renta”). E a coloro che proponevano la riduzione degli interessi rimproverava di non conoscere “la holgazanería que hoy tiene España” (« Discurso VII, Cap. IX »). Nel « Discurso I, Cap. IV » Sancho de Moncada aveva attribuito la causa della diffusione dei juros e censos alla loro maggior redditività rispetto alle attività produttive e al lavoro (“todos apetecen renta, porque es cosa más segura, y de ordinario de más útil que las demás cosas de comercios y oficios”) e questo “ha obligado a emplear en renta la hacienda” (Restauración política de España, p. 208, p. 101). I juros e i censos garantivano un buon interesse annuo. Il regidor di Toledo Juan de Herrera aveva acquistato fra il 1555 e il 1582 juros per un valore di 16.073.253 maravedíes che gli rendevano annualmente 1.165.899 mrs. Possedeva anche censos per un ammontare di 9.846.640 mrs. che gli  



















































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gentiluomini, dopo aver eventualmente cambiato il nome e il domicilio ; 98 frequentare persone distinte 99 ed evitare accuratamente i contatti con i pecheros ; portare la spada come i cavalieri, passeggiare a cavallo, tenere cavalli e carrozze, molti servitori, schiavi e paggi, cani da caccia e, magari, falconi ; comprare casetorri e casas solariegas di nobili impoveriti ; 100 ostentare blasoni usurpati 101 e mettere in mostra, in qualche sala, lance, alabarde, scudi e armature ; 102 ‘trattarsi’ da signori e farsi ‘trattare’ con il don ; vestire elegantemente e riccamente ; 103 allacciare legami di parentela reale – ma anche di parenté fictive 104 (amicizie, rapporti interpersonali, padrinati, comparatici) 105 – con famiglie di hidalgos e di caballeros ; 106 costruire una rete clientelare, o entrare a far parte di una rete di relazioni clientelari preesistente ; 107 inviare i figli all’Università, istituzione che offriva sicure opportunità di promozione sociale, 108 e avviarli alla carrie   







   



   



   





   

   



rendevano 658.315 mrs. all’anno. Cfr. L. Martz : A Network of Converso Families in Early Modern Toledo, p. 250 e p. 254. Sulle opinioni espresse da teologi, giuristi, economisti e moralisti del XVI e XVII secolo sui censos, cfr. D. Francisco de Cárdenas : Ensayo sobre la historia de la propiedad territorial en España. Madrid : Imprenta de J. Noguera 1873-1875, 2 tomi ; qui tom. II, pp. 357-365. 98   Cfr. A. Domínguez Ortiz : Los conversos de origen judío después de la expulsión, p. 375. – Mauro Hernández : A la sombra de la Corona. Poder local y oligarquía urbana (Madrid, 1606-1808), pp. 213-216. 99   Cfr. Francisco Javier Mosácula María : Los regidores de la ciudad de Segovia : análisis socioeconómico de una oligarquía urbana, p. 108. 100   Nel Diálogo entre Laín Calvo y Nuño Rasura (1570) si trova questo passo : “LAIN. Y veras [...] que a puro dinero [los confesos] han comprado todas las casas fuertes y torres de tierra de Burgos, y alli puestos sus blasones, para que de aqui a algun tiempo digan que de aquellas casas solariegas fueron sus abuelos : y ansi beras los Maçuelos, los Cereços, los Gamarras, los Bernius [Bernuy], y casi todos los demas tener sus casas fuertes en todos lugares a imitaçion de las antiguas casas de montañas, siendo ellos de las montañas de Belen y Palestina” (p. 172). 101   Cfr. Enrique Soria Mesa : La nobleza en la España moderna. Cambio y continuidad, pp. 268-270. 102   Cfr. le testimonianze in favore della famiglia di Pedro Riquelme di Jerez, che nel 1570 litigava con il municipio per farsi riconoscere l’hidalguía, ricordate da Antonio Domínguez Ortiz : La sociedad española en el siglo XVII. Tomo I (= Monografías histórico-sociales, 7). Madrid : C.S.I.C. 1963, pp. 173-174. 103   Parlando di Toledo, città nella quale l’esenzione fiscale di tutti i cittadini rendeva impossibile differenziare fra hidalgos e pecheros, Luis Hurtado de Toledo aveva scritto : “[...] solamente el que va mejor vestido, mas acompañado, o tiene mejor plato es tenido por mejor” (Memorial de algunas cosas notables que tiene la Imperial Ciudad de Toledo, p. 524). 104   Sulle cosiddette parentés fictives cfr. Ricardo Sáez : Aperçus sur les parentés réelles et sur les parentés fictives en Espagne aux XVIe et XVIIe siècles, à travers les archives ecclésiastiques de l’Archevêché de Tolède. 105   Cfr. Enrique Soria Mesa : El cambio inmóvil. Transformaciones y permanencias en una élite de poder (Córdoba, SS. XVI-XIX), p. 62. 106   Uno dei testimoni (“Juan Nieto, vecino de la ciudad de Ávila, pechero”) interrogati per la causa promossa da Alonso Sánchez de Cepeda, padre di Santa Teresa, e dai suoi fratelli davanti al tribunale della Real Chancillería di Valladolid per il riconoscimento della loro (inesistente) hidalguía, dichiara che i Cepeda “son honbres muy honrados e ricos e se tratan e han tratado muy linpiamente e han tenido e tienen sus cavallos e personas muy ataviadas e de buena conversacion, e que a causa de ser casados con hijas de onbres hijosdalgo e tener fabor de los regidores han echado y echan suertes como hidalgos con los otros hidalgos de la dicha cibdad”. Sui Cepeda (dopo la condanna subita, Juan Sánchez de Toledo aveva lasciato Toledo e si era insediato ad Ávila per far dimenticare...) un altro testimone (“Gómez Daza, vecino de Ávila, hidalgo”) aveva dichiarato : “los ha tenido e tiene por hombres muy linpios e honrrados e se tratan e viben como muy buenos muy linpiamente e tienen e han tenido sus cavallos muy buenos e sus personas muy bien atabiadas e tratadas como honbres muy de bien e se tratan e han tratado como hidalgos e aun como cavalleros, e como tales sabe que se han tratado en la dicha cibdad con hijos de muy buenos hidalgos e parientes de cavalleros de los prencipales de la dicha cibdad de avila” (cit. da N. Alonso Cortés : Pleitos de los Cepedas, p. 94). 107   Cfr. Enrique Soria Mesa : El cambio inmóvil. Transformaciones y permanencias en una élite de poder (Córdoba, SS. XVI-XIX), pp. 62-63. 108   Cfr. Richard L. Kagan : Universidad y sociedad en la España Moderna. Prólogo de José Antonio Maravall. Madrid : Editorial Tecnos 1981, pp. 105-147. – Jean-Marc Pelorson : Les Letrados, juristes castillans sous Philippe III, pp. 59-98, pp. 220-246. – José Antonio Maravall : Estado moderno y mentalidad social (siglos XV a XVII). Tomo II, pp. 443-510. – Bartolomé Bennassar : La España del Siglo de Oro, pp. 41-48, p. 284. – Bartolomé Bennassar : Valladolid en el Siglo de Oro, pp. 331-346. – Beatriz Carceles : Nobleza, hidalguía y servicios en el  



















































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ra burocratica, 109 a quella ecclesiastica 110 o a quella delle armi (questa offriva – anche per  



siglo XVII castellano. In : Hidalgos & Hidalguía dans l’Espagne des XVIe-XVIIIe siècles. Théories, pratiques et représentations. Paris : Éditions du Centre National de la Recherche Scientifique 1989, pp. 71-93. Gli studi erano considerati da Pedro de Valencia la maggior causa della diffusione della oziosità. Egli raccomanda pertanto di limitare drasticamente l’accesso alle Scuole di grammatica e alle Università : “Avíase de ordenar los estudios, particularmente de gramática, que avía de aver en todo el Reino, i el número de estudiantes que avía de poder oír en cada uno. Aora, cada labrador i sastre i çapatero i herrero i albañir [albañil], que todos aman a sus hijos con afición indiscreta, quieren quitarlo del trabajo i le buscan officio de una fantasía ; para esto, los ponen a estudiar. En siendo estudiantes, aunque no salgan con los estudios adelante, se hazen regalados i toman presunción, i se quedan sin officio, o hechos sacristanes o escrivanos. Convendría que no se les permitiese estudiar a todos los hijos que un ombre huviese, sino fuese a los cavalleros ricos ; los demás, al labrador i official, no le fuese lícito poner su hijo a estudio, no teniendo otro o más que uviese de dejar en su officio. Esamínense con rigor los ábiles para estudios, i solos se admitiesen. En las Universidades ai en esto gran abuso, de que se siguen gravíssimos daños […].” Cfr. Pedro de Valencia : Discurso contra la ociosidad. Madrid, 6 de Enero de 1608, pp. 168-169. Per Pedro Fernández Navarrete (Conservación de Monarquías y Discursos Políticos. 1626. Edición y estudio preliminar por Michael D. Gordon, pp. 359-361) le “treinta y dos universidades” e gli oltre “cuatro mil estudios de Gramática”, che aveva la Spagna e che offrivano “a la gente plebeya la ocasión de valer por medio de las letras”, erano responsabili della carenza di contadini, soldati e artigiani. Proponeva quindi di “poner raya a tantas fundaciones de universidades y estudios, y tantas de colegios”. 109   Né l’Università né la gestione degli affari municipali nobilitano direttamente, ma esse – come scrive J.-M. Pelorson – assicurano “une notabilité sociale qui lentement, par paliers successifs, peut conduire à l’anoblissement définitif ” ( J.-M. Pelorson : Les Letrados, juristes castillans sous Philippe III, p. 239). Nel 1547 Carlo V aveva promulgato una legge con la quale veniva formalmente concesso il privilegio della esenzione fiscale ai graduados delle Università di Salamanca, Valladolid, Alcalá de Henares e del Colegio de San Clemente de los Españoles di Bologna (( J.-M. Pelorson : Les Letrados, pp. 157-165). Ma già nel Medio Evo il sapere conferiva una nobiltà personale, non trasmissibile quindi, che comportava i privilegi della hidalguía. Con l’esenzione fiscale i letrados divenivano “hidalgos de facto” (M.-Cl. Gerbet : La nobleza en la Corona de Castilla, pp. 49-50). Cfr. anche MarieClaude Gerbet : Les guerres et l’accès à la noblesse en Espagne de 1465 à 1592, pp. 305-306. – Beatriz Carceles : Nobleza, hidalguía y servicios en el siglo XVII castellano, pp. 71-93. – V. Parello : Les judéo-convers. Tolède XVeXVIe siècles. De l’exclusión à l’intégration, pp. 171-172. Per la concessione della nobiltà personale ai dottori del Regno di Valencia (decreto di Alfonso V del 15 marzo 1420) e a quelli del Regno di Aragona (Cortes di Monzón del 1553), cfr. Cándido María Ajo González y Sáinz de Zúñiga : Historia de las Universidades Hispánicas. Madrid 1957-1958, tom. I, p. 396 ; tom. II, p. 34. – Javier Gil Pujol : La proyección extrarregional de la clase dirigente aragonesa en el siglo XVII. In : Historia social de la administración española. Estudios sobre los siglos XVII y XVIII. Barcelona : C. S. I. C. 1980, pp. 24-25. Sulla presenza di persone con formazione universitaria (bachilleres, licenciados, doctores) nelle oligarchie municipali toledane, cfr. F. J. Aranda Pérez : Poder y poderes en la Ciudad de Toledo. Gobierno, sociedad y oligarquías urbanas en la Edad Moderna, pp. 268-278. 110   Grandi possibilità di ascesa sociale offriva la Chiesa anche a figli di poveri contadini, come erano stati Martínez Silíceo, matematico, precettore del principe Filippo, Arcivescovo di Toledo, e Pedro Guerrero, professore universitario, Arcivescovo di Granada, figura eminente del Concilio di Trento. Juan Bautista Pérez, figlio di un sarto di Valencia, divenne Vescovo di Segorbe ; Francisco Aguado, figlio di un pastore, Vescovo di Astorga. Naturalmente piú numerosi erano gli arcivescovi e i vescovi provenienti dal ceto medio e numerosissimi quelli provenienti dalla nobiltà titolata. Ma questo non diminuisce affatto l’importante contributo dato dalla Chiesa alla promozione sociale di moltissime persone di umile origine (per valutare correttamente il ruolo svolto dalla Chiesa è necessario considerare anche le gerarchie intermedie e inferiori). Scrive José María López Piñero (Ciencia y técnica en la sociedad española de los siglos XVI y XVII. Barcelona : Editorial Labor 1979, p. 69) : “El estamento clerical era el único elemento dinámico dentro del rígido sistema jerárquico, puesto que la pertenencia a él no estaba determinada por normas de descendencia, procediendo sus miembros de todos los estratos sociales.” Cfr. inoltre Antonio Domínguez Ortiz : La sociedad española en el siglo XVII. Tomo II. El estamento eclesiástico (= Monografías histórico-sociales, 8). Madrid : C.S.I.C. 1970. – Francis Brumont : Paysans de Vieille-Castille aux XVIe et XVIIe siècles, pp. 347-350. – Arturo Morgado García : La Iglesia como factor de movilidad social : Las carreras eclesiásticas en la España del Antiguo Régimen. In : F. Chacón Jiménez, Nuno G. Monteiro (eds.) : Poder y movilidad social. Cortesanos, religiosos y oligarquías en la Península Ibérica (siglos XV-XIX). Madrid : C.S.I.C. – Universidad de Murcia 2006 (= Biblioteca de Historia, 64), pp. 61-96. Si deve anche tener sempre presente che se un uomo di Chiesa di umili o modeste origini faceva carriera all’interno della istituzione e riusciva ad accumulare – come prelato, canonico, racionero, priore, ecc. – un buon patrimonio, l’ascesa sociale non rimaneva limitata alla sua persona. Anche la sua famiglia – in particolare i nipoti e, spesso, le nipoti – approfittava considerevolmente della sua promozione sociale . Cfr. Enrique Soria Mesa : El cambio inmóvil. Transformaciones y permanencias en una élite de poder (Córdoba, SS. XVI-XIX), pp. 92-101, p. 165.  



























































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il progressivo abbandono dell’attività militare da parte della vecchia nobiltà di sangue e di spada 111 – buone possibilità di nobilitazione) ; 112 comprare terre e tenute (e magari señoríos 113 – anche soltanto señoríos jurisdiccionales, cioè diritti di giurisdizione senza il corrispondente concreto possesso territoriale o dominio del suolo 114 –, divenendo così  

   





111   Scriveva Cristóbal Suárez de Figueroa : “Esta profession [la disciplina militar] tan estimada y seguida de nuestros predecessores, como medio eficaz de todo aumento y honor, padece en nuestra edad, sino patente menosprecio, por lo menos pernicioso descuydo, causa de que siendo vna siempre en valor la calidad de los desta prouincia, salga por su poco seguito tan escasa la cosecha de ilustres Capitanes. Pocos nobles la tienen por amiga, pocos le muestran aficion, no sè si detenidos en los deleytes de casa, o resfriados por la falta de ocasiones que ay fuera” (Varias noticias, fo. 159v). Sull’abbandono progressivo dell’attività militare da parte della vecchia nobiltà, che sempre piú volentieri si dedicava all’attività politica e burocratica, cfr. Antonio Domínguez Ortiz : La movilización de la nobleza castellana en 1640. In : Anuario de Historia del Derecho Español 25 (1955), 799-822. – Alfonso María Guilarte : El régimen señorial en el siglo XVI. Madrid : Instituto de Estudios Políticos 1962, pp. 269-273. – Antonio Domínguez Ortiz : La sociedad española en el siglo XVII, tom. I, pp. 273-274. – Nuria Sales : La desaparición del soldado gentilhombre. In : SAITABI, Valencia, N. S. 21 (1971), 41-69. – J. A. Maravall : Estado moderno y mentalidad social (siglos XV a XVII), tom. II, pp. 511-584. – J. A. Maravall : Poder, honor y élites en el siglo XVII, pp. 37-38, pp. 99-101, p. 126, pp. 201-214. – Javier Gil Pujol : La proyección extrarregional de la clase dirigente aragonesa en el siglo XVII, p. 35. – J.-M. Pelorson : Les Letrados, pp. 208-210. – Bartolomé Bennassar : La España del Siglo de Oro, p. 55. – Luis Antonio Ribot García : El Ejército de los Austrias. Aportaciones recientes y nuevas perspectivas. In : Temas de Historia Militar. Tomo I. (Ponencias del Primer Congreso de Historia Militar – Zaragoza, 1982). Madrid : Servicio de Publicaciones del EME (Colección ADALID. Biblioteca del Pensamiento Militar) 1983, pp. 157-203 ; qui pp. 177-180. – Luis Antonio Ribot García : El reclutamiento militar en España a mediados del siglo XVII. La ‘composición’ de las milicias de Castilla. In : Cuadernos de Investigación Histórica 9 (1986), 63-89. La perdita della vocazione militare da parte della nobiltà era stata lamentata da vari scrittori contemporanei (cfr. – per esempio – ancora Cristóbal Suárez de Figueroa : El pasajero II, pp. 397-402, p. 469). Naturalmente l’abbandono della attività militare da parte della nobiltà, connesso anche con il declino della cavalleria e il predominio della infanteria, era sí un fenomeno vistoso, ma non generale, ché molti erano i nobili, anche di grandi famiglie, che seguivano la carriera delle armi. Inoltre la nobiltà riassunse in certi periodi la sua antica funzione guerriera (cfr. I. A. A. Thompson : Guerra y decadencia. Gobierno y administración en la España de los Austrias, 1560-1620. Barcelona : Editorial Crítica 1981, pp. 180-197, p. 339). L’affievolirsi della vocazione militare da parte della nobiltà era comunque un fenomeno europeo. Cfr. – per esempio – Davis Bitton : The French Nobility in Crisis, 1560-1640. Stanford, California : Stanford University Press 1969, pp. 27-41. 112   Cfr. Alfonso María Guilarte : El régimen señorial en el siglo XVI, pp. 265-268. – Geoffrey Parker : El Ejército de Flandes y el Camino Español, 1567-1659. La logística de la victoria y derrota de España en las guerras de los Países Bajos. Prólogo de Felipe Ruiz Martín. Madrid : Revista de Occidente 1976, pp. 201-230. – René Quatrefages : Los tercios españoles (1567-77). Traducción de Carlos Batal-Batal. Madrid : Fundación Universitaria Española 1979, pp. 295-304. – Raffaele Puddu : Il soldato gentiluomo. Autoritratto d’una società guerriera : la Spagna del Cinquecento. Bologna : Il Mulino 1982, pp. 8-9, pp. 26-27, pp. 69-79, pp. 118-121, pp. 132-158 (lo studioso ricorda in queste pagine la straordinaria ascesa sociale di semplici soldati di origini umili e spesso oscure, quali Julián Romero, Cristóbal de Mondragón, Francisco de Valdés, Cristóbal Lechuga, Sancho de Londoño, Francisco Verdugo, i celebri eroi dei tercios di Fiandra). – Juan Mañeru López : El reclutamiento militar en Castilla a finales del siglo XVI. Análisis de compañías de soldados levantados en tierras de Burgos, Ávila, Soria, La Rioja, Navarra, Segovia y Cáceres. In : La organización militar en los siglos XV y XVI. Actas de las II Jornadas Nacionales de Historia Militar. Málaga : Cátedra General Castaños 1993, pp. 179-189. – Juan Antonio Sánchez Belén : Colonos y militares : dos alternativas de promoción social. In : La vida cotidiana en la España de Velázquez. Dirigida por José N. Alcalá-Zamora. Madrid : Ediciones Temas de Hoy 1994, pp. 279-304, pp. 384-389. Nel XVII sec. colui che raggiungeva il grado di capitano “adquiría nobleza transmisible a sus descendientes” (Marqués del Saltillo : Historia Nobiliaria Española. Tomo I. Madrid : Imprenta y Editorial Maestre 1951, p. 43). 113   Sui señoríos, le loro diverse forme giuridiche e l’espansione territoriale del régimen señorial, cfr. Salvador de Moxó : Los señoríos. Estudio metodológico (1975). – Los señoríos. En torno a una problemática para el estudio del régimen señorial (1964). – El señorío, legado medieval (1967). In : S. de M. : Feudalismo, señorío y nobleza en la Castilla medieval. Madrid : Real Academia de la Historia 2000, pp. 117-135, pp. 137-204, pp. 205-223. 114   Sui señoríos jurisdiccionales cfr. Salvador de Moxó : Los señoríos. En torno a una problemática para el estudio del régimen señorial, pp. 197-198. D. E. Vassberg (Land and Society in Golden Age Castile, p. 93) scrive : “[…] although it was not necessarily financially profitable to have seigneurial jurisdiction per se, the crown had not trouble finding buyers of jurisdictional rights, because lordship conferred considerable social prestige. The perennially bankrupt Charles V and Philipp II raised money for the royal treasury by selling towns to prestigehungry nobles, and even to non-noble social climbers. Seigneurial jurisdiction conferred upon them the right to appoint or confirm the officials of the town council, to issue decrees and ordinances, and to hold a court of first instance.”  





























































































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señor de vasallos, condizione giuridica che rendeva possibile l’avvicinamento e, successivamente, l’accesso alla nobiltà titolata 115) ; fondare mayorazgos 116 (come fece per i suoi figli il ricordato Diego González de Toledo, fratello dell’importante appaltatore di tasse toledano Pero Franco ; la figlia di Diego González de Toledo sposò un nobiluomo, Commendatore dell’Ordine di Santiago 117), cappellanie 118 – o addirittura conventi, come fece Rodrigo de Dueñas – e ospedali – come fecero i Bernuy a Burgos e Simón Ruiz a Medina del Campo ; 119 comprare uffici di regidor 120 (l’ufficio di regidor costituiva forse “el primer paso verdaderamente importante en la ascensión social de un individuo”, 121 infatti i regidores non solo possedevano automaticamente, in virtù dell’ufficio, dignidad y honra e godevano dell’esenzione fiscale personale, di privilegi protocollari – cioè della preminenza nelle cerimonie, feste, riti e manifestazioni varie – e degli altri privilegi già ricordati, ma potevano anche sperare che venisse loro conferita la facoltà di usare il don, importante segno di distinzione sociale 122) o di jurado ; entrare in confraternite esclusive ; diventare ‘familiare’ dell’Inquisizione. 123  











   













115   Mauro Hernández : A la sombra de la Corona. Poder local y oligarquía urbana (Madrid, 1606-1808), pp. 229-232. 116   Scriveva Fray Antonio de Guevara (Relox de Príncipes, p. 845) : “[…] en alcançando uno dineros para comprar un mayorazgo, sin más ni más luego se llama cavallero”. M. González de Cellorigo considerava la proliferazione dei maggioraschi, assieme alla diffusione dei censos, una delle cause dell’indebolimento del ceto medio e quindi della disgregazione dell’equilibrio sociale : “no ay cosa mas perniciosa, que la excesiua riqueza de vnos, y la extrema pobreza de otros, en que està muy descompasada nuestra republica, ansi por las muchas fundaciones de mayorazgos, que cada dia se hazen, como por el vso de los censos, con que se engrandecen vnos, y se pierden otros” (Memorial de la politica necessaria, y vtil restauracion à la Republica de España, fo. 15v ; v. inoltre fo. 57v-58v). 117   Cfr. A. MacKay : Popular Movements and Pogroms in Fifteenth-Century Castile, pp. 50-51. 118   Cfr. Enrique Soria Mesa : La nobleza en la España moderna. Cambio y continuidad, pp. 265-268. 119   Queste fondazioni, pie o benefiche che fossero, costituivano indubbiamente un titolo di ‘nobiltà’. Nelle prove sostenute da Juan Ruiz de Embito per ottenere le insegne dell’Ordine di Santiago si mette in rilievo, per esempio, che suo nonno “era hermano de Simón Ruiz de Embito, fundador del hospital de Medina del Campo” (cit. da Mauro Hernández : A la sombra de la Corona. Poder local y oligarquía urbana, p. 205). Su Simón Ruiz e le sue attività mercantili cfr. Henry Lapeyre : Une Famille de Marchands. Les Ruiz. Paris : Librairie Armand Colin 1955. – Henry Lapeyre : Una familia de mercaderes : Los Ruiz. Contribución al estudio del comercio entre Francia y España en tiempos de Felipe II. Edición y traducción Carlos Martínez Shaw. Valladolid : Junta de Castilla y León 2008. – Felipe Ruiz Martín : Pequeño capitalismo, gran capitalismo. Simón Ruiz y sus negocios en Florencia. Barcelona : Editorial Crítica 1990. – Ricardo Rodríguez González : Mercaderes castellanos del Siglo de Oro (= Historia y Sociedad, 49). Valladolid : Universidad de Valladolid Secretariado de publicaciones 1995. 120   Cfr. A. Gutiérrez Alonso : Estudio sobre la decadencia de Castilla. La ciudad de Valladolid en el siglo XVII, pp. 309-323. – Mauro Hernández : A la sombra de la Corona. Poder local y oligarquía urbana (Madrid, 1606-1808), pp. 327-333. A Valladolid, dove numerosi mercaderes, letrados e professori universitari acquistarono, durante il XVII secolo, un ufficio di regidor, il prezzo di una regiduría variò dai 1.500 ducati nel 1598, ai 3.500 nel 1608, ai 4.400 nel 1624. A Madrid il prezzo di una regiduría variò dai 3.100 ducati nel 1602, ai 3.750 nel 1608, ai 9.300 nel 1624 (ma alcuni compratori pagarono la regiduría anche 21.200 – nel 1604 –, 26.000 – nel 1613 – e 34.760 – nel 1617 – ducati !). 121   Francisco José Aranda Pérez : Poder y poderes en la ciudad. Gobierno y sociedad en el mundo urbano castellano en la Edad Moderna, p. 141. 122   Cfr. Francisco José Aranda Pérez : Poder y poderes en la Ciudad de Toledo. Gobierno, sociedad y oligarquías urbanas en la Edad Moderna, pp. 280-283. – Francisco José Aranda Pérez : Poder y poderes en la ciudad. Gobierno y sociedad en el mundo urbano castellano en la Edad Moderna, p. 151. A Segovia i regidores, anche se non erano (ancora) accolti nella istituzione dei Nobles Linajes, diventavano automaticamente cavalieri ed erano chiamati, negli scritti ufficiali, caballeros regidores (cfr. Francisco Javier Mosácula María : Los regidores de la ciudad de Segovia : análisis socioeconómico de una oligarquía urbana, p. 103). 123   Tre quarti dei familiari dell’Inquisizione di Toledo erano, come già ricordato, mercanti (cfr. F. J. Aranda Pérez : Poder y poderes en la Ciudad de Toledo. Gobierno, sociedad y oligarquías urbanas en la Edad Moderna, pp. 289-307). Sui ‘privilegi’ (giuridici, fiscali) e il prestigio (soprattutto l’onore acquisito attraverso l’informazione di purezza di sangue) che procuravano le familiaturas del Santo Ufficio, cfr. Jean-Pierre Dedieu : L’administration de la foi. L’Inquisition de Tolède, XVIe-XVIIIe siècle, pp. 199-202. – Adriano Prosperi : Tribunali della coscienza. Inquisitori, confessori, missionari. Torino : Einaudi 1996, pp. 180-193.  























































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Fenomeno correlato alla diffusa aspirazione alla nobilitazione era il disprezzo del lavoro, disprezzo stigmatizzato da Martín González de Cellorigo, 124 da Pedro de Valencia, 125 da Pedro de Guzmán, 126 da Sancho de Moncada, 127 da Fernández Navarrete, 128 e, ancor prima di questi economisti, da Alexo Venegas, che lo considerava peculiare vizio spagnolo 129 (in  











124   Cfr. M. González de Cellorigo : Memorial de la politica necessaria, y vtil restauracion à la Republica de España, fo. 12r, fo. 20v (“no ay quien subjecte nuestros Españoles à los officios seruiles, ni à las artes mecanicas, ni à la lauor del campo”), fo. 25r-v, fo. 56r-57v. 125   Pedro de Valencia : Discurso contra la ociosidad. Madrid, 6 de Enero de 1608, pp. 159-173. Cfr. anche Pedro de Valencia : Discurso sobre el acrecentamiento de la labor de la tierra. (Al Rey nuestro Señor.) Madrid, 1607. In : Pedro de Valencia : Obras completas. Volumen IV/1, pp. 137-158 ; qui p. 154 (“Para que haya gañanes y todo el ministerio de hombres necesarios, lo principal y el todo es quitar a fuego y a sangre la ociosidad, que es en gran exceso y desvergonzadísima hoy en España, y una de las cosas más pestilenciales a las repúblicas y más de temer”). 126   [Dentro una cornice architettonica nella quale sono rappresentati attrezzi di vari mestieri e allegorie riferite al lavoro :] BIENES | DE EL | HONESTO | TRABAJO, Y | DAÑOS DE LA | ociosidad en ocho | discursos. | [Piccolo motivo ornamentale] | POR EL P. PEDRO | de Guzman, natural de Auila, Re- | ligioso de la Compañia de IESVS, | Consultor, Calificador del S. officio | de la Inquisicion. | En Madrid en la emprenta Real. 1614 (Madrid, Biblioteca Nacional : R/7707). 127   Sancho de Moncada scrive sí che la “ociosidad, y holgazanería”, es vicio de los Españoles bien conocido de Extranjeros”, precisa però che l’ozio era “forzoso, no habiendo en que trabajar” (poco oltre, drammaticamente, ripeteva : “No tenemos en qué trabajar.”). E non vi era lavoro sia perché gli “estranjeros como más diligentes que los Españoles, usan en España casi todos los oficios, de modo que lo poco que ha quedado que trabajar lo trabajan ellos, y con su natural presteza han excluido de todo a los Españoles”, sia perché le importazioni avevano distrutto le manifatture e l’artigianato spagnoli. Cfr. Sancho de Moncada : Restauración política de España (1619). Edición a cargo de Jean Vilar, p. 103, pp. 108-109. Jean Bodin aveva scritto : “l’Espagnol et Italien aiment le serviteur François, pour sa diligence et allegresse en toute actions : aussi tous les ans il en passe un nombre infini en Espagne […] pour y bastir, planter, defricher les terres, et faire tous ouvrages de main, que l’Espagnol ne sçauroit faire, et quasi plutost mourroit de faim, tant il est paresseux, et pesant aux actions.” Cfr. Jean Bodin : Les six livres de la République. Livre Cinquième. Texte revu par Christiane Frémont, Marie-Dominique Couzinet, Henri Rochais. Paris : Fayard 1986, pp. 25-26. Nella traduzione spagnola (En Tvrin. Por los Herederos de Bevilaqva. M.D.XC.) il passo è reso cosí : “los españoles se siruen de buena gana de criados frances por la diligencia y presteza en todas sus actiones. Y todos los años va infinito número de franceses a España para fabricar, plantar, romper las tierras, y hazer obras seruiles y manuales, que el español no se aplica de buena gana a ellas.” Cfr. Juan Bodino : Los seis libros de la Republica. Traducidos de lengua francesa y enmendados catholicamente por Gaspar de Añastro Isunza. Edición y estudio preliminar por José Luis Bermejo Cabrero. Madrid : Centro de Estudios Constitucionales 1992, 2 tomi ; qui II, p. 807. Opinioni analoghe avevano espresso, molto prima di Jean Bodin, Francesco Guicciardini e Andrea Navagero. Nella sua Relazione di Spagna Francesco Guicciardini aveva affermato che gli spagnoli “non si dànno alle mercatantie, che lo stimano vergogna” e che “la nazione è inimica” delle attività commerciali, artigianali e agricole (p. 30). In una lettera diretta a Giambattista Ramusio l’ambasciatore veneto aveva scritto : “Gli Spagnuoli, non solo in questo paese di Granata, ma in tutto il resto della Spagna medesimamente, non sono molto industriosi né piantano né lavorano volentieri la terra, ma si danno ad altro, e piú volentieri vanno alla guerra o alle Indie ad acquistarsi facoltà, che per tali vie”. Cfr. Andrea Navagero : Lettera a Giambattista Ramusio. (“A l’ultimo di maggio, di Granata, 1526”.) In : Lettere del Cinquecento. A cura di Giuseppe Guido Ferrero. Torino : U.T.E.T. 1977, pp. 141-156 ; qui p. 152). Francisco Martínez de Mata confuterà nel suo Memorial en razón de la despoblación y pobreza de España y su remedio (Motril, 8 XI. 1650) le opinioni correnti sulla oziosità degli spagnoli (“Algunos dicen con ignorancia, ayudados de la malicia de los extranjeros, que la principal causa de la despoblación y falta de los géneros de mercaderías que se fabrican fuera y nos las meten y llevan a las Indias, es ser los Españoles vagamundos, holgazanes y enemigos del trabajo”). Cfr. Memoriales y Discursos de Francisco Martínez de Mata. Edición y Nota Preliminar de Gonzalo Anes. Madrid : Editorial Moneda y Credito 1971, p. 294 (il Memorial, indirizzato “Al Reino junto en Cortes”, occupa le pp. 287-330). 128   Pedro Fernández Navarrete : Conservación de Monarquías y Discursos Políticos (1626), p. 86 (“los campos fértiles de España … cubiertos de hortigas y espinas, por no haber quien los cultive ; habiéndose los más de los españoles reducido a holgazanes, unos a título de nobles, otros con capa de mendigos”). 129   Alexo Venegas (Vanegas) : Agonía del tránsito de la muerte con los avisos y consuelos que cerca della son provechosos (1544), p. 174. Anche Pedro de Valencia (Discurso contra la ociosidad, p. 165) considererà l’ozio una specifica inclinazione viziosa degli spagnoli (“En España es la gente más inclinada al ocio que en otras provincias, porque, demás de la general inclinación de todos los ombres al ocio i a aborrecer el trabajo, aquí tiene la gente mucho de vanidad i fantasía, más que en otras naciones”). Pedro de Guzmán (Los bienes de el honesto  





















































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realtà era comune a quasi tutta l’Europa 130), e da Cristóbal Pérez de Herrera. 131 Nella « Exortacion a la honra, y favor de los que trabajan contra los ociosos, para las personas de todos estados », con la quale concludeva la sua Noticia general para la estimación de las artes, pubblicata – come il Memorial di Martín González de Cellorigo – nell’anno 1600, Gaspar Gutiérrez de los Ríos, professore utriusque juris di Salamanca, 132 scriveva :  











MVCHOS se admiran grandemente de no ver en España como en otros Reynos, quien se aplique al trabajo siendo abundante de tan buenos ingenios, que en ninguna otra parte los ay mayores para todas las artes y ciencias, y tan rica de materiales, que no tiene necessidad de buscarlos fuera. Pero con todo reboluiendo en si, si bien lo consideran, podrian admirarse mas de ver que aya en ella quien trabaja. Porque […] se puede ver que los que la ayudan por medio de la virtud, y del trabajo, andan tristes, pobres, y abatidos : y por el contrario, gozosos, fauorecidos, y alegres, los que quebrantando la razon diuina y humana con vida ociosa, y sudores agenos se hazen ricos. En lo qual, lo que menos es de sufrir, es, que no solo se contentan con triunfar, y andar  

trabaio. 1614, pp. 130-131) stigmatizzerà “la poca inclinacion al trabajo” e la diffusa predilezione spagnola per i lavori parassitari. La tesi di Alejo Vanegas è stata confutata da José Antonio Maravall : La crisis económica del siglo XVII interpretada por los escritores de la época (1981). In : J. A. M. : Estudios de historia del pensamiento español. Serie tercera. El siglo del Barroco. Segunda edición. Madrid : Ediciones Cultura Hispánica 1984, pp. 153-196 ; qui p. 169. 130   Cfr. Max Weber : Wirtschaft und Gesellschaft. Grundriß der verstehenden Soziologie. Fünfte, revidierte Auflage, mit textkritischen Erläuterungen herausgegeben von Johannes Winckelmann. 2. Halbband. Tübingen : J. C. B. Mohr 1976, pp. 537-538. – Richard Konetzke : Forschungsprobleme zur Geschichte der wirtschaftlichen Betätigungen des Adels in Spanien, pp. 135-151. – Lawrence Stone : La crisi dell’aristocrazia. L’Inghilterra da Elisabetta a Cromwell. Traduzione di Aldo Serafini. Torino : Einaudi 1972, pp. 42-52. – Roland Mousnier : Les hiérarchies sociales de 1450 à nos jours (= SUP, « L’Historien », 1). Paris : P.U.F. 1969, pp. 62-63. – Richard Gascon : Grand commerce et vie urbaine au XVIe siècle. Lyon et ses marchands (environs de 1520 – environs de 1580), pp. 380-381. – José Antonio Maravall : Estado moderno y mentalidad social (siglos XV a XVII), II, pp. 369-386. – Roland Mousnier : Les institutions de la France sous la monarchie absolue, 1598-1789. Tome I : Société et État. Paris : P.U.F. 1974, p. 105, p. 109, p. 189, p. 209. – Robert Mandrou : Introduction à la France moderne (1500-1640). Essai de Psychologie historique. Paris : Albin Michel 1974, p. 199. – Friedrich Zunkel : Ehre, Reputation. In : Geschichtliche Grundbegriffe. Historisches Lexikon zur politisch-sozialen Sprache in Deutschland. Herausgegeben von Otto Brunner, Werner Conze, Reinhart Koselleck. Band 2 : E-G. Stuttgart : Klett Verlag 1975, pp. 1-63 ; qui pp. 37-38. – Roland Mousnier : Recherches sur la stratification sociale à Paris aux XVIIe et XVIIIe siècles. L’échantillon de 1634, 1635, 1636 (= Publications de la Sorbonne. N. S. « Recherches », 22). Paris : Éditions A. Pedone 1976, pp. 65-66, pp. 126-127. – François Billacois : La crise de la noblesse européenne (1550-1650). Une mise au point. In : Revue d’histoire moderne et contemporaine 23 (1976), 258-277 ; qui p. 262. – José Antonio Maravall : Relaciones de dependencia e integración social : criados, graciosos y pícaros. In : Ideologies & Literature, Vol. I, Number 4, Sept.-Oct. 1977, pp. 3-32 ; qui pp. 9-12. – George Huppert : Il borghese-gentiluomo. Saggio sulla definizione di élite nella Francia del Rinascimento. Bologna : Il Mulino 1978, pp. 191-193. – D. Alfonso de Figueroa y Melgar, Duque de Tovar : Los prejuicios nobiliarios contra el trabajo y el comercio en la España del Antiguo Régimen, pp. 415-436. – Régine Pernoud : Histoire de la bourgeoisie en France. 1. Des origines aux temps modernes. 2. Les temps modernes. Paris : Éditions du Seuil 1981, II, pp. 62-63. – José Antonio Maravall : Trabajo y exclusión. El trabajador manual en el sistema social de la primera modernidad (1982). In : J. A. M. : Estudios de Historia del pensamiento español. Serie Segunda. La época del Renacimiento. Madrid : Ediciones Cultura Hispánica 1984, pp. 365-392. La considerazione negativa del lavoro e del commercio aveva, del resto, un’antica tradizione e risaliva alla cultura greca e romana. Cfr. André Aymard : L’idée du travail dans la Grèce archaïque. In : Journal de psychologie normale et pathologique 41 (1948), 29-45. – Jean-Marie André : L’otium dans la vie morale et intellectuelle romaine des origines à l’époque augustéenne (= Publications de la Faculté des Lettres et Sciences Humaines de Paris. Série « Recherches », 30). Paris : P.U.F. 1966 (v. in partic. pp. 135-201, pp. 279-334). – André Aymard : Hiérarchie du travail et autarcie individuelle dans la Grèce archaïque. In : A. A. : Études d’histoire ancienne (= Publications de la Faculté des Lettres et Sciences Humaines de Paris-Sorbonne. Série « Études et Méthodes », 16). Paris : P.U.F. 1967, pp. 316-333. – Robert Ricard : En Espagne : jalons pour une histoire de l’acédie et de la paresse. In : Revue d’ascétique et de mystique 45 (1969), 27-45. 131   Cristóbal Pérez de Herrera : Amparo de pobres (1598). Edición, introducción y notas de Michel Cavillac (= Clásicos Castellanos, 199). Madrid : Espasa-Calpe 1975. 132   Su Gaspar Gutiérrez de los Ríos, che era figlio di un tappezziere, cfr. J.-M. Pelorson : Les Letrados, juristes castillans sous Philippe III, pp. 243-244.  































































































































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seguros por los pueblos : pero aun pretenden, para parecer mayores, sugetar y abatir a los virtuosos. A tanto pues ha llegado el menosprecio del trabajo, y descomedimiento de la ociosidad, que ya algunos hombres de baxos principios les parece que para ganar nobleza e hidalguia sus hijos, importa mucho que sean ociosos : de que han resultados y resultan los grandes daños que vemos. Que es esto Dios ? no es lastimosa cosa que tengan mejor lugar en la republica los que la destruyen, que aquellos que la hazen y conseruan ? Quien ha de seguir con esto el trabajo, antes es de espantar, como ay en ella quien trabaje ? Todo esto despues de auer tratado de las artes me ha mouido grandemente, por ser la bassis de todo su edificio, honrar las liberales, y fauorecer las mecanicas a hazer esta exortacion, para que a ellas y a todo genero de trabajo, segun su calidad, les fauorezcamos : persiguiendo a este maldito vicio de ociosos, que en nuestra España esta encubierto debaxo de varios nombres. 133  













L’invito di Gaspar Gutiérrez de los Ríos a onorare e favorire qualsiasi genere di lavoro e a stimare “en mas al mas minimo y pobre oficial que al mas rico e inchado ocioso”, 134 era destinato naturalmente a rimanere inascoltato. Altrettanto destinata a rimanere inascoltata era l’esortazione a lavorare rivolta a tutti, e in particolare ai nobili e ai potenti (“todos sin excepcion ninguna tenemos obligacion de trabajar, y con mucho mayor cuidado los que son mayores y mas poderosos” 135). La stratificazione sociale ‘feudale’, la corrispondente ideologia nobiliare (soprattutto due suoi elementi : onore e disprezzo del lavoro 136), profondamente radicata, pur nella sua eterogeneità, nella mentalità collettiva, 137 e ancor piú il ruolo determinante della rappresentazione e della ostentazione del potere e della ricchezza nella società dell’epoca, che influenzavano sia i ‘borghesi’ sia i contadini spingendoli ad imitare l’aristocrazia, 138 rendevano inefficaci questi inviti.  











133   NOTICIA | GENERAL PARA LA | ESTIMACION DE LAS | ARTES, Y DE LA MANERA EN QVE | Se conocen las liberales de las que son Mecanicas y ser- | uiles, con vna exortacion a la honra de la virtud y del trabajo | contra los ociosos, y otras particulares para las | personas de todos estados. | Por el L. Gaspar Gutierrez de los Rios professor de ambos Dere- | chos y Letras humanas, natural de la Ciudad de Salamanca. | Dirigido a don Francisco Gomez de Sandoual y | Rojas, Duque de Lerma, &c. | [Scudo del dedicatario con il motto : ARTES TE DVCE FLOREBVNT] | CON PRIVILEGIO | En Madrid, Por Pedro Madrigal, Año M.DC. (Wien, Österreichische Nationalbibliothek : 74.F.88), pp. 255-257. 134   Gaspar Gutiérrez de los Ríos : Noticia general para la estimacion de las Artes, p. 289. 135   Gaspar Gutiérrez de los Ríos : Noticia general para la estimacion de las Artes, p. 298. 136   Sull’eccessivo valore dato dagli spagnoli alla honra – considerata qualità incompatibile con il lavoro e inerente alla nobiltà (quindi esclusiva di questo ceto) –, scriveva Martín González de Cellorigo : “LO que mas ha distraydo à los nuestros de la legitima ocupacion, que tanto importa à esta republica, ha sido poner tanto la honra y la authoridad en el huyr del trabajo : estimando en poco à los que siguen la agricultura, los tratos, los comercios, y todo qualquier genero de manifactura : contra toda buena politica. Y llega à tanto, que por las constituciones de las ordenes militares, no puede tener habito mercader ni tratante : que no parece sino que se han querido reduzir estos Reynos, à vna republica de hombres encantados, que viuan fuera del orden natural. Y si es verdad, como lo es, que nuestros Españoles son todos affectadores de honra, y que quieren mas su estimacion, que quantos thesoros se les pueden dar : que se puede esperar de semejantes constituciones : sino que todos desamparen los tratos, ò que por lo menos en llegando à vna mediana ganancia los dexen : por dexar à sus hijos occasion para adelante, de yr adquiriendo nobleza, por medio de la renta” (Memorial. 1600, fo. 25r-v). Su identificazione di onore e nobiltà cfr. Claude Chauchadis : Honneur, morale et société dans l’Espagne de Philippe II, pp. 111-125. 137   Antonio Domínguez Ortiz : La sociedad española en el siglo XVII. Tomo I, p. 311. – Julio Caro Baroja : Honor y vergüenza, pp. 84-90. – John Lynch : España bajo los Austrias. II. España y América (1598-1700), pp. 26-27, pp. 191-192, p. 332. – Michel Cavillac : « Introducción » a : Cristóbal Pérez de Herrera : Amparo de pobres. Edición, introducción y notas de M. C. (= Clásicos Castellanos, 199). Madrid : Espasa-Calpe 1975, pp. IX-CXCIII ; qui pp. CXI-CXIII. – Jean-Marc Pelorson : Les Letrados, pp. 222-240, pp. 265-280. – Bartolomé Bennassar : Valladolid en el Siglo de Oro, pp. 509-523. – José Antonio Maravall : Trabajo y exclusión. El trabajador manual en el sistema social de la primera modernidad (1982), pp. 365-392. – José Antonio Maravall : Poder, honor y élites en el siglo XVII, pp. 19-20. 138   Cfr. Antonio Domínguez Ortiz : La sociedad española en el siglo XVII. Tomo I, pp. 43-46. – Noël Salomon : La campagne de Nouvelle Castille à la fin du XVIe siècle d’après les Relaciones topográficas, p. 276, p. 278, pp. 290291. – José Gentil da Silva : Desarrollo económico, subsistencia y decadencia en España. Con representación  

























































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La sua inefficacia pratica non diminuisce però il valore di questa apologia della dignità del lavoro, che rappresenta il primo articolato, radicale tentativo di sovvertire la dominante scala dei valori riscattando dal disprezzo persino i mestieri considerati ‘vili e meccanici’. 139 Il giurista salmantino non si limita comunque a rivalutare, con grande sfoggio di erudizione, le professioni e i mestieri, a celebrare la virtù nobilitante del lavoro, a fare appelli utopici e ad illustrare la sua convinzione che la crisi economica della nazione fosse causata dalla oziosità e dal disprezzo del lavoro e che si potesse – combattendo l’oziosità e conferendo prestigio sociale alle arti liberali e meccaniche e, insomma, a qualsiasi “genero de industria y trabajo” – rendere ricca la Spagna 140 e salvare la Monarchia, “que da muestras de perecer”. 141 La Noticia general para la estimación de las artes cerca anche di individuare la causa del disprezzo del lavoro e di proporre rimedi concreti per combattere l’oziosità. (L’ozio era però spesso dovuto alla mancanza di lavoro, come noterà Sancho de Moncada nelle già ricordate pagine della sua Restauración política de España, 142 e comunque era relativo ! 143 Non si deve infatti dedurre dalla  







   

gráfica de las informaciones por Jacques Bertin. Madrid : Editorial Ciencia Nueva 1967, pp. 186-187. – Michael Weisser : Les marchands de Tolède dans l’économie castillane, 1565-1635. In : Mélanges de la Casa Velázquez 7 (1971), 223-236 ; qui pp. 224-225. – Bartolomé Bennassar : Consommation, investissements, mouvements de capitaux en Castille aux XVIe et XVIIe siècles. In : Conjoncture économique, structures sociales. Hommage à Ernest Labrousse. Paris 1974, pp. 139-155 ; qui pp. 147-152. – D. Alfonso de Figueroa y Melgar, Duque de Tovar : Los prejuicios nobiliarios contra el trabajo y el comercio en la España del Antiguo Régimen, pp. 421-425. Enrique Tierno Galván (Sobre la novela picaresca y otros escritos, p. 69, pp. 99-114, p. 43) considera “la homogeneidad ideológica” come fenomeno peculiare della Spagna e sostiene che il processo “muy rápido y fuerte de integración ideológica”, di “identificación ideológica entre clase dominante y clase dominada”, si produsse a partire dalla metà del XVI secolo e si consoliderà verso il 1600, “con la ascensión de una nueva nobleza”. 139   Alla difesa del lavoro e alla condanna della oziosità Pedro Mexía aveva dedicato il capitolo XXXII (« En que se contienen loores y excelencias del trabajo y los bienes que se siguen dél ; y también los daños y males que causa la ociosidad. ») della prima Silva (1540). Cfr. Pedro Mexía : Silva de varia lección. I. Edición de A. Castro, pp. 446-457. Anche altri umanisti, come Cristóbal de Villalón (El Crótalon) e Juan de Pineda (Diálogos familiares de la agricultura cristiana. Salamanca 1589), difendevano il lavoro meccanico. Cfr. Concepción Cárceles Laborde : Humanismo y educación en España (1450-1650). Pamplona : Ediciones Universidad de Navarra 1993, pp. 292-303. Poco prima della Noticia general, Baltasar Álamos de Barrientos (Discurso político al Rey Felipe III al comienzo de su reinado. 1598, p. 124) aveva fatto l’apologia del commercio. Nel 1602 Juan Martí attacca “los que tienen por deshonra el oficio mecanico” (Segvnda parte de la vida del picaro Guzman de Alfarache. Madrid 1603. Libro Tercero, Cap. II, p. 276). Alcuni anni dopo la Noticia general e il Guzmán de Alfarache apocrifo verrà pubblicata un’altra apologia del lavoro, già ricordata sopra : Pedro de Guzmán : Los bienes de el honesto trabaio. 1614. 140   Gaspar Gutiérrez de los Ríos : Noticia general para la estimacion de las Artes, p. 323. 141   Gaspar Gutiérrez de los Ríos : Noticia general para la estimacion de las Artes, p. 335. 142   Sancho de Moncada : Restauración política de España (1619). Edición a cargo de Jean Vilar, pp. 108-109. 143   Nel 1561 la popolazione attiva a Valladolid rappresentava il 40% della popolazione totale, a Segovia il 74,3%. A Medina del Campo la popolazione attiva costituiva nel 1561 il 61,2%, nel 1597 il 61,6% della popolazione totale. A Medina de Rioseco il 40,2% della popolazione era formato, nel XVI secolo, da artigiani, il 5,52% da mercaderes ; vi erano poi especieros e tanti altri venditori di merci al dettaglio. A Madrid, nel 1650, almeno i due terzi della popolazione maschile esercitavano una attività. I dati ricavabili dal censo di Toledo del 1561, dalle pragmáticas del 1627-1628 sui prezzi e i salari e dagli studi sulle corporazioni documentano una grande ricchezza e varietà di attività artigianali. Il numero di persone senza professione e mestiere, che vivevano di rendita o che erano senza lavoro, era certamente elevato, ma non superiore a quello di tante altre città europee. Cfr. Bartolomé Bennassar : Valladolid en el Siglo de Oro, p. 213. – Bartolomé Bennassar : Économie et société à Ségovie au milieu du XVIe siècle. In : Anuario de Historia Económica y Social 1 (1968), 185-205 ; qui pp. 187-189. – Alberto Marcos Martín : Auge y declive de un núcleo mercantil y financiero de Castilla la Vieja. Evolución demográfica de Medina del Campo durante los siglos XVI y XVII. Valladolid : Universidad de Valladolid 1978, pp. 289-306 e pp. 308-321. – Claude Larquié : L’alphabétisation à Madrid en 1650. In : Revue d’histoire moderne et contemporaine 28 (1981), 132-157 ; qui p. 141. – Linda Martz - Julio Porres Mártin-Cleto : Toledo y los toledanos en 1561, pp. 26-33. – Carmelo Viñas : Cuadro económico-social de la España de 1627-28. Pragmáticas sobre tasas de las mercaderías y mantenimientos, jornales y salarios. In : Anuario de Historia Económica y Social 1 (1968), 715-764 ; 2 (1969), 659-731. – Bartolomé Yun Casalilla : Sobre la transición al capitalismo en Castilla. Economía y  



































































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aspirazione ideale alla ‘vita nobile’ e dal correlato disprezzo del lavoro, che gli spagnoli vivessero oziosi e non lavorassero. 144 Anche oggi è diffusa – per la suggestione esercitata dalla hollywoodiana fabbrica dei sogni, dalla televisione, dai rotocalchi, dalla pubblicità, dalle lotterie statali, da tante istituzioni di speculatori e, insomma, da tutti i mezzi usati dalla ‘società dei consumi’ per manipolare le coscienze e plasmare una mentalità collettiva favorevole al raggiungimento dei suoi scopi – l’aspirazione ad appartenere alla ‘classe oziosa’ 145 e, senza ‘produrre’, a ‘consumare’ con ostentazione passando la vita fra feste e viaggi nei paradisi turistici. Eppure la gente lavora !) Gaspar Gutiérrez de los Ríos ravvisa, come Martín González de Cellorigo, nella eccessiva mobilità sociale e nella facilità di realizzare l’aspirazione alla nobilitazione la causa del disprezzo del lavoro e della oziosità. Indica quindi nella possibilità di comprare uffici pubblici, con il denaro ricavato dall’usura e da speculazioni finanziarie e commerciali (“malos y endiablados tratos” 146), e, soprattutto, nella manipolazione dei padrones comunali l’origine della degenerazione del tessuto sociale. Propone perciò un corretto registro comunale dei contribuenti come rimedio principale per combattere i mali denunciati :  









De empadronarse los pueblos con rectitud, y de encomendarse este oficio a personas que le hagan sin sospecha, resultaria el echarse de ver los verdaderos nobles, quien es plebeyo, quien hidalgo, como y de que manera, si fue con trampas, o en buena guerra : Resultaria el deshazerse las telas y embelecos, que algunos plebeyos ricos andan haziendo, tapando bocas con dadiuas y dineros para hazerse nobles durmiendo, y algunos hurtando : los quales haziendose este padron, y no teniendo este agujero, por no pechar buscarian el camino de la virtud de las armas, y de las letras. Finalmente desto resultaria que los ociosos y zanganos que no tienen oficios, pechando no harian burla de los que son oficiales. Por el contrario de no empadronarse resulta vn caos y confusion grandissima, como la ay en esta Corte, que no se echan de ver los verdaderos nobles, ni tienen el lugar que merecen, y es justo que se les de. No ay quien quiera esmerarse ni darse al estudio de las armas, ni de las letras, viendo que por aca à sueño suelto, holgada y viciosamente se hazen los hombres nobles, sin serlo, como he apuntado. Y finalmente los que trabajan dexan sus artes y oficios, por verse tenidos en poco de los ociosos, y no tan virtuosos como ellos. 147  





La manipolazione dei padrones, che Gaspar Gutiérrez de los Ríos – sottovalutando il potere delle oligarchie municipali, del denaro e di quei “mohatreros, logreros y tratantes” 148 a lui tanto invisi – ritiene, non senza ingenuità, eliminabile affidando il controllo  

sociedad en Tierra de Campos (1500-1830). Valladolid : Junta de Castilla y León 1987, pp. 202-205. – Juan Carlos Zofío Llorente : Gremios y artesanos en Madrid, 1550-1650. La sociedad del trabajo en una ciudad cortesana preindustrial (= Biblioteca de Historia, 58). Madrid : C.S.I.C. – Instituto de Estudios Madrileños 2005, pp. 101182. – José A. Nieto Sánchez : Artesanos y mercaderes. Una historia social y económica de Madrid, 1450-1850 (= Colección Ciencia, 297). Madrid : Editorial Fundamentos 2006, pp. 83-159. 144   Polemizzando con i diffusi stereotipi della leyenda negra, Henri Lapeyre, come grande conoscitore della vera ‘realtà storica’ della Spagna, quella ricostruita sui documenti e non con l’immaginazione, scrive : “Est-il donc nécessaire de redire cette vérité élémentaire, que sauf dans l’extrême nord, Asturies, Montaña de Santander, les hidalgos ne constituaient qu’une faible minorité, que les Basques se croyaient tous nobles, mais que cela ne les empêchait pas de cultiver la terre ou de construire des navires, que la Castille comptait des centaines de milliers de paysans laborieux et que les magnifiques monuments qui ornent ses villes n’auraient pu être construits sans une armée d’artisans qui n’étaient pas tous Morisques, bien loin de là ?” Cfr. Henri Lapeyre : Géographie de l’Espagne morisque (= École Pratique des Hautes Études – VIe Section. Centre de Recherches Historiques. Démographie et Sociétés, 11). Paris : S.E.V.P.E.N. 1959, p. 132. 145   Cfr. Thorsten Veblen : Theorie der feinen Leute. Eine ökonomische Untersuchung der Institutionen. München : Deutscher Taschenbuch Verlag 1981 (tit. orig. : The Theory of the Leisure Class. An Economic Study of the Evolution of Institutionen. New York 1899), pp. 41-91. 146   Gaspar Gutiérrez de los Ríos : Noticia general para la estimacion de las Artes, p. 336. 147   Gaspar Gutiérrez de los Ríos : Noticia general para la estimacion de las Artes, pp. 338-339. 148   Gaspar Gutiérrez de los Ríos : Noticia general para la estimacion de las Artes, p. 340.  





























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dei registri fiscali a persone oneste, era effettivamente una delle cause piú rilevanti della mobilità sociale. Simultaneamente era però anche una delle sue conseguenze piú perniciose. Infatti l’effetto della facilità con la quale si poteva ascendere alla classe privilegiata 149 – vuoi ‘vivendo nobilmente’, vuoi comprando patenti di nobiltà, uffici nobilitanti e señoríos, oppure falsificando genealogie –, era la cancellazione dai padrones tributari municipali di coloro che erano riusciti a farsi riconoscere come hidalgos (si ricordi che “los conversos eran con frecuencia dueños de los organismos concejiles, que eran los llamados en la práctica a declarar el estado hidalgo o pechero de sus vecinos” ! 150). Questa cancellazione comportava automaticamente una riduzione del numero dei contribuenti, ma non una riduzione delle tasse da pagare, che venivano cosí a gravare su un numero piú ristretto di persone. Jerónimo Castillo de Bobadilla, che ammoniva il Corregidor ad essere “padre de los huerfanos, Juez de las viudas, refugio de los pobres, y remedio, y consuelo de los necessitados”, ad assistere personalmente ai “repartimientos de alcavalas, tributos, y derramas por abonos” e a far si che “los poderosos no opriman y desuellen à los flacos, y humildes”, denunciava con tutta chiarezza le nefaste conseguenze fiscali della riduzione del numero dei contribuenti :  

   



Y es de saber, que los repartimientos, y sisas que dexan de pagar los privilegiados y essentos, no se quitan ni desfalcan de lo que el Rey, ò la Republica ha de aver y cobrar ni ella lo pierde, sino que se cargan y acrecen à los demas tributarios, à los quales sera la carga, y tributo mayor. 151  

Osserviamo ora la strada percorsa dalla famiglia Bernuy per realizzare la sua ascesa sociale. Questa famiglia ebrea, originariamente insediata nel ghetto di Ávila, si era convertita al cristianesimo nella prima metà del XV secolo. Nella seconda metà del XV secolo la famiglia “tuvo graves conflictos con el Santo Oficio” (un Diego Bernuy fu condannato per eresia). 152 Verso la fine del XV secolo alcuni membri della famiglia lasciarono Ávila e si trasferirono, in parte, a Burgos, in parte, a Siviglia, Medina del Campo, Toulouse ed Anversa. Burgos divenne la sede piú importante delle proficue attività commerciali, bancarie, finanziarie e assicurative (assicurazioni marittime) del ramo della famiglia rimasto in Ispagna. Con un’abile politica matrimoniale i Bernuy si imparentarono con membri delle famiglie delle oligarchie municipali di Ávila, Burgos, Anversa e Toulouse e, man mano che aumentava la loro ricchezza, anche con membri dell’alta nobiltà. Entrarono poi a far parte direttamente delle oligarchie municipali. Così, per esempio, a Burgos, Diego de Bernuy ottenne nel 1513 una regiduría, che nel 1517 trasmise a suo figlio Hernando ; mentre suo fratello, il grande mercante Diego de Bernuy Orense, l’ufficio di regidor lo dovette comprare nel 1529, ma nel 1560 venne eletto procurador per rappresentare Burgos alle Cortes. Anche il servizio nella amministrazione regia era ambito. Diego de Bernuy, che nel 1516 aveva acquistato da Don Diego de Ulloa, signore di Villalón, un castello, terre e altre proprietà, 153 fu Escribano Mayor de las Rentas di Atienza e Escribano  





149   Di questa facilità si lamentava già amaramente Diego de Hermosilla nel suo Diálogo de la vida de los pajes (pp. 60-62). 150   F. Márquez Villanueva : El problema de los conversos : cuatro puntos cardinales, p. 58. 151   Jerónimo Castillo de Bobadilla : Politica para corregidores y señores de vassallos, en tiempo de paz, y de guerra. Tomo segundo. Amberes : Juan Bautista Verdussen 1704 [1ª ed. 1597], pp. 608-609. Luis de Ortiz, oltre a segnalare – come abbiamo ricordato – le gravi conseguenze prodotte dalla concessione della esenzione fiscale a intere città, aveva criticato anche la concessione della esenzione fiscale a monasteri, chierici e hidalgos : “ay grand suma de hijosdalgo, monesterios, clérigos y otras personas de orden que son libres [de pecho], y todo lo bienen a pagar los labradores, que los más son pobres y desbenturados, en lo qual se rreciue gran escrúpulo de conciençia”. Cfr. Memorial del Contador Luis de Ortiz a Felipe II (Valladolid, 1 de marzo 1558), p. 129. 152   Juan Gil : Los conversos y la Inquisición sevillana. Volumen III. Ensayo de Prosopografía, pp. 366-367. 153   Cfr. F. Brumont : Paysans de Vieille-Castille aux XVIe et XVIIe siècles, p. 80.  













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Mayor de la Casa de la Moneda di Burgos. Naturalmente i Bernuy assunsero incarichi nelle parrocchie, protessero chiese e conventi con generose donazioni, appartennero a confraternite religiose, destinarono figli e figlie alla Chiesa, fondarono cappelle funerarie, nelle quali collocarono emblemi con lo scudo della famiglia, e cappellanie. Nel 1561 eressero a Burgos un importante ospedale, quello de La Concepción. Nel 1539 Diego de Bernuy Orense comprò vaste proprietà terriere, nel 1559 l’importante señorío di Benamejí, nella provincia di Córdoba, e vi costruì case, una chiesa e un palazzo. 154 Ora i Bernuy potevano realizzare l’aspirazione a quella nobilitazione verso la quale tendeva tutta la loro strategia di usurpazione di status. 155 Nel 1566 conseguirono la hidalguía in cambio di un prestito di 40 milioni di maravedís (ca. 107.000 ducati) fatto a Filippo II. Nello stesso anno comprarono il “título de mariscales de Alcalá del Valle, cerca de Ronda”. 156 Per proseguire nell’ascesa sociale era ora necessario cancellare ogni traccia della indiscutibile origine ebraica, sulla quale ancora nel 1560 il cardinale D. Francisco de Mendoza y Bobadilla, Vescovo di Burgos dal 1550 al 1566, aveva fatto una ironica osservazione. 157 Con diversi expedientes de limpieza de sangre, il piú antico dei quali risale al 1582, riuscirono a trasformarsi in cristianos viejos. In questi expedientes tutti i testimoni dichiararono, infatti, sotto giuramento, che i Bernuy non erano di origine ebraica e che il Diego de Bernuy (il capostipite della dinastia condannato, e forse bruciato in un autodafé, nel 1492), il cui nome appariva in una tavola appesa nella chiesa del Monasterio de Santo Tomás di Ávila, nella quale si faceva relazione dei sambenitos del Monastero, non aveva nulla a che fare con i Bernuy, trattandosi di un medico che casualmente aveva lo stesso nome. Tutti gli inquisitori accettarono come veritiera questa dichiarazione. A completare l’opera, i Bernuy misero in circolazione una storia fantasiosa sulle loro origini : procedevano dal sud della Francia, erano discendenti dei Conti di Tolosa e imparentati con i re francesi ! Nel corso del XVII e del XVIII secolo i discendenti di Diego de Bernuy Orense divennero Marchesi, Duchi e Grandi di Spagna. Vari membri della famiglia Bernuy furono cavalieri degli Ordini di Santiago e di Calatrava, due furono vescovi, alcuni canonici e dignitari in diverse Cattedrali, altri occuparono incarichi alla Corte. Paradossalmente, non mancò nella famiglia neppure un inquisitore della Suprema y General Inquisición ! 158 Non dissimile dalla strategia della famiglia Bernuy, è quella attuata da Rodrigo de  











   

154   Cfr. Hilario Casado Alonso : Una dinastía de mercaderes castellanos extendida por toda Europa : los Bernuy. In : H. C. A. : El triunfo de Mercurio. La presencia castellana en Europa (siglos XV y XVI). Burgos : cajacírculo 2003, pp. 135-162 ; qui pp. 137-159. 155   Scrive Hilario Casado Alonso : “los comportamientos de la familia Bernuy estaban destinados a conseguir el ascenso social por medio de la búsqueda del enriquecimiento y la adopción de los usos caballerescos y nobiliarios imperantes en la sociedad del momento. Política en la que ellos no innovan, sino que repiten lo que hacen sus vecinos comerciantes. Llegar a ser noble era la máxima aspiración de dichos mercantes castellanos tanto en el extranjero como en la propia España. Suponía haber alcanzado la más alta consideración social en las ciudades donde residían” (Una dinastía de mercaderes castellanos extendida por toda Europa : los Bernuy, p. 151). 156   H. Casado Alonso : Una dinastía de mercaderes castellanos extendida por toda Europa : los Bernuy, p. 157. 157   H. Casado Alonso (Una dinastía de mercaderes castellanos extendida por toda Europa : los Bernuy, p. 157) trascrive dal Tizón de la nobleza di Francisco de Mendoza y Bobadilla questo passo riferito al regidor Diego de Bernuy : “El sambenito de su abuelo dicen que está en Santo Tomás de Ávila. Su hijo tiene cuatro cuentos de renta, con lo que bien puede olvidar su mala nota”. Cfr. El Tizón de la Nobleza Española ó Máculas y Sambenitos de sus Linajes. Por el Cardenal D. Francisco Mendoza y Bovadilla. Valencia 2005, p. 92. 158   Cfr. H. Casado Alonso : Una dinastía de mercaderes castellanos extendida por toda Europa : los Bernuy, pp. 159-160. – D. Alfonso de Figueroa y Melgar, Duque de Tovar : Los prejuicios nobiliarios contra el trabajo y el comercio en la España del Antiguo Régimen, pp. 425-426.  





























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Dueñas, converso di umili origini di Medina del Campo, per realizzare la sua aspirazione ad integrarsi nella classe privilegiata. Divenuto collaboratore di Francisco de los Cobos, sfruttò questa posizione per arricchirsi. Accumulò grandi ricchezze come mercante, appaltatore, esattore, finanziere e, a partire dalla fine del 1529, come banchiere (talvolta in associazione con Francesco Lomellino e con Bartolomäus Welser) di Carlo V (fra il 1529 e il 1551 ‘imprestò’ all’Imperatore 1.121.082 ducati), diventando il piú opulento, forse, degli “hombres de negocios de Castilla”. Nel 1553, ormai vecchio, era entrato, su designazione del Principe Filippo, nel Consejo de Hacienda, non senza suscitare invidie e malumori (mai era avvenuto prima che un mercante, per di piú di origine conversa, divenisse Consejero de Hacienda). 159 Ma “las ambiciones de Dueñas no estaban en ser un « emprendedor burgués », sino que influenciado por la sociedad estamental de la época aspiraba a ocupar un puesto dentro de la oligarquía privilegiada”. 160 Infatti, per realizzare queste ambizioni, comprò terre, case, rendite e un ufficio di regidor nell’Ayuntamiento di Medina del Campo, dove costruì un gran palazzo rinascimentale per sé e la sua famiglia e fondò, il 13 gennaio 1553, un mayorazgo. Con l’acquisto di un señorío si convertì in señor de vasallos, destinò il mayorazgo, al quale era vincolata anche “una regiduría acrecentada en su villa natal”, comprata nel 1557, al primogenito (gli altri figli li destinò alla Chiesa). Nel suo testamento, redatto nel 1558, dispose la fondazione del convento di Nuestra Señora de la Magdalena e legò, per la salvezza della sua anima, un quinto dei suoi beni a opere pie. 161 Come si vede i conversos non avevano mentalità ed aspirazioni diverse dai cristianos viejos. 162 Non vi è differenza fra imprenditori puramente conversos, imprenditori cristianos viejos con legami di parentela con famiglie conversas (si pensi, per esempio, alla grande famiglia degli Espinosa), imprenditori meramente cristianos viejos 163 e addirittura hidalgos 164 “de solar co 















159   Cfr. R. Carande : Carlos V y sus banqueros I, p. 336 ; II, pp. 128-131 ; III, pp. 210-213. – Carlos Javier de Carlos Morales : El Consejo de Hacienda de Castilla, 1523-1602. Patronazgo y clientelismo en el gobierno de las finanzas reales durante el siglo XVI, pp. 65-66. 160   José Martínez Millán y Carlos J. de Carlos Morales : Conversos y élites de poder en Castilla durante la primera mitad del siglo XVI : Rodrigo de Dueñas, consejero de Hacienda de Carlos V. In : Las tres culturas en la Corona de Castilla y los sefardíes. Junta de Castilla y León. Consejería de Cultura y Bienestar social. 1990, pp. 149-163 ; qui p. 153. 161   Cfr. J. Martínez Millán y Carlos J. de Carlos Morales : Conversos y élites de poder en Castilla durante la primera mitad del siglo XVI : Rodrigo de Dueñas, consejero de Hacienda de Carlos V, pp. 149-163. 162   Hilario Casado Alonso, che respinge la tesi di Fernand Braudel sul ‘tradimento della borghesia’ perché ritiene che la mentalità dei mercanti castigliani, come quella dei mercanti di altre parti d’Europa, “nunca fue burguesa en el sentido contemporáneo del término”, osserva, dopo aver illustrato le attività economiche della famiglia Bernuy nella prima metà del Cinquecento : “Si las actividades económicas que a lo largo de esta primera mitad del siglo XVI ejercieron la familia Bernuy son dignas de interés, otro tanto se puede decir acerca de sus comportamientos sociales y políticos, así como de su mentalidad. Aquí, la actuación de esta familia es totalmente concordante con las que he estudiado de otros linajes de comerciantes castellanos asentados tanto en España como en el extranjero. Comportamientos que hemos de enmarcar en el constante deseo de ascenso social, en su trayectoria dirigida a conseguir el acceso al poder político y en su imitación de los usos caballerescos” (Una dinastía de mercaderes castellanos extendida por toda Europa : los Bernuy, p. 151, p. 147). 163   Contrariamente a idee diffuse, documentati studi di storia economica e sociale hanno dimostrato che moltissimi cristianos viejos erano presenti, e sin dal Medioevo, nel ceto mercantile, imprenditoriale ed artigianale. Cfr. Claudio Sánchez-Albornoz : España. Un enigma histórico. Buenos Aires : Editorial Sudamericana 1956, 2 voll. ; qui I, pp. 684-693 ; II, pp. 135-161. – Maria del Carmen Carlé : Mercaderes en Castilla (1252-1512). In : Cuadernos de Historia de España, Buenos Aires, 21-22 (1954), 146-328. – Henry Lapeyre : Deux interprétations de l’histoire d’Espagne : Américo Castro et Claudio Sánchez Albornoz. In : Annales. Économies, Sociétés, Civilisations 20 (1965), 1015-1037 ; qui p. 1031. 164   Come, per esempio, Melchor de Herrera, povero hidalgo, soldato valoroso, ma dedito a vari traffici e di “una fecunda destreza en el manejo de los naipes”, mercante, banchiere, “asentista”, “tesorero general”, e, infine, Marqués de Auñón, dal nome della “villa de Auñón”, che aveva comprato nel 1572 assieme a quella di Berninches – entrambe erano appartenute sino allora all’Ordine di Calatrava – per 204.000 ducati (cfr. Carlos  











































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nocido y de notoria limpieza de sangre” 165 o caballeros. 166 Tutti, indipendentemente dalle loro origini etniche e sociali, esercitavano le attività finanziarie e commerciali per arricchirsi e le abbandonavano – o le facevano abbandonare ai propri discendenti – quando avevano raggiunto il loro scopo : 167 l’integrazione nella classe privilegiata, la nobilitazione. Gli stessi mercanti, uomini di affari e banchieri genovesi e fiorentini, stabilitisi in Ispagna e poi naturalizzati, pur provenendo da città e da famiglie che rappresentavano la tradizione secolare del piú puro spirito imprenditoriale e ‘capitalista’, si trasformarono in nobili titolati e cavalieri di Ordini Militari. 168 Naturalmente nell’esercizio delle loro attività di imprenditori si comportavano secondo principi di calcolo e di razionalità mercantile (si pensi, per esempio, all’organizzazione ‘capitalistica’ delle imprese laniere di Segovia già a partire dal 1522 169) e rivelavano quelle ‘virtù borghesi’ e quello ‘spirito capitalistico’ descritti da Werner Sombart. 170 Ma la loro meta finale era ‘vivere nobilmente’ e, se possibile, integrarsi – o fare integrare i propri discendenti – nella nobiltà. “Llegar a ser nobles era la máxima aspiración” dei mercanti castigliani, 171  



   









Javier de Carlos Morales : Ambiciones y comportamiento de los hombres de negocios. El asentista Melchor de Herrera. In : José Martínez Millán : La Corte de Felipe II. Madrid : Alianza 1999, pp. 379-415) ; oppure, come Juan Alonso de Medina, Matías de Vargas e Juan Ramírez de Zúñiga (cfr. Eufemio Lorenzo Sanz : Comercio de España con América en la época de Felipe II. Valladolid : Diputación Provincial de Valladolid 1979-1980, 2 voll. ; qui I, pp. 113-115). 165   Cfr. Manuel Basas Fernández : Mercaderes burgaleses del siglo XVI. In : Boletín de la Institución Fernán González, números 126-127 (1954), 55-67, 156-169 ; qui p. 157. Cfr. anche Maria del Carmen Carlé : Mercaderes en Castilla (1252-1512), pp. 287-292. 166   Cfr. Maria del Carmen Carlé : Mercaderes en Castilla (1252-1512), pp. 287-292. – Antonio Domínguez Ortiz : Orto y ocaso de Sevilla. Estudio sobre la prosperidad y decadencia de la Ciudad durante los siglos XVI y XVII. Sevilla : Diputación Provincial 1946, pp. 51-52. Cfr. anche Tomas de Mercado : Suma de tratos y contratos (1569). Edición y estudio introductorio de Restituto Sierra Bravo, pp. 124-125. 167   Un interessante e precoce esempio della progressiva estinzione della ‘borghesia’ e della corrispondente dilatazione della nobiltà è offerto dalle città di Cáceres, Plasencia e Trujillo. A Cáceres, per esempio, secondo i registri della popolazione della città, vivevano nel 1557 3 Dones e 10 Doñas, nel 1586 34 Dones e 25 Doñas, nel 1595 41 Dones e 27 Doñas. Cfr. J.-P. Le Flem : Cáceres, Plasencia y Trujillo en la segunda mitad del siglo XVI (15571596), p. 268. 168   Ha scritto D. Alfonso de Figueroa y Melgar, Duque de Tovar (Los prejuicios nobiliarios contra el trabajo y el comercio en la España del Antiguo Régimen, p. 420) : “En la España de los siglos XVI, XVII y XVIII los prestamistas, asentistas, mercaderes y banqueros genoveses y aun florentinos (como los Spinola, Doria, Lercaro, Lomellini, Grillo, Pequenotti [Piquinotti], Grimaldo, Centurion, Negrone, Bocanegra, Fantoni, Imperiali, Serra, etc.) obtienen una verdadera nube de hábitos de Órdenes militares y títulos de Castilla, que hoy nos suenan con timbres de gloria y tienen su origen en la contabilidad por partida doble, en los préstamos usurarios y en la vara de medir lienzos.” A questi nomi si potrebbero aggiungere quelli dei Balbi, degli Strata, Sanguineto. Cfr. Carmen Sanz Ayán : Los banqueros de Carlos II (= Biblioteca de Castilla y León. Serie Historia, 1). Valladolid : Universidad de Valladolid 1989, pp. 180-188, p. 454, pp. 461-462. – Trevor J. Dadson : La Casa Bocangelina : Una familia hispano-genovesa en la España del Siglo de Oro, pp. 24-46, pp. 200-201. – Enrique Soria Mesa : La nobleza en la España moderna, pp. 86-90. 169   Cfr. Felipe Ruiz Martín : Rec. a : José Antonio Maravall : Las Comunidades de Castilla. Una primera revolución moderna, p. 840. – Felipe Ruiz Martín : Un testimonio literario sobre las manufacturas de paños en Segovia por 1625. In : Homenaje al Excmo. Sr. Dr. D. Emilio Alarcos García. Tomo II. Valladolid : Universidad de Valladolid. Facultad de Filosofía y Letras 1967, pp. 787-807. 170   Werner Sombart : Der Bourgeois. Zur Geistesgeschichte des modernen Wirtschaftsmenschen. München u. Leipzig : Duncker & Humblot 1913, pp. 135-193. 171   Hilario Casado Alonso : Las colonias de mercaderes castellanos en Europa (siglos XV y XVI). In : Castilla y Europa. Comercio y mercaderes en los siglos XIV, XV y XVI. Hilario Casado Alonso [Editor]. Burgos : Excma. Diputación Provincial de Burgos 1995, pp. 15-56 ; qui p. 45. Cfr. inoltre José Larraz : La época del mercantilismo en Castilla (1500-1700). Madrid : Aguilar 1963, pp. 43-46. – Felipe Ruiz Martín : Rec. a : José Antonio Maravall : Las Comunidades de Castilla. Una primera revolución moderna, pp. 839-840. – Eufemio Lorenzo Sanz : Comercio de España con América en la época de Felipe II. Tomo I, pp. 112-119. – J. I. Fortea Pérez : Córdoba en el siglo XVI. Las bases demográficas y económicas de una expansión urbana, pp. 46-47, p. 61. – A. Gutiérrez Alonso : Estudio sobre la decadencia de Castilla. La ciudad de Valladolid en el siglo XVII, p. 116. – Bartolomé Yun Casalilla : So 























































































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aragonesi 172 e catalani. 173 E se, in qualche raro caso, non erano direttamente gli imprenditori stessi a nutrire questa ambizione, erano i loro successori immediati a voler essere gentiluomini (il 3 aprile 1572 Andrés Ruiz scriveva amareggiato al fratello Simón, a proposito del nipote Pero : “no quiere ser mercader sino caballero” ; 174 l’erede di Simón Ruiz, il nipote Cosme Ruiz de Embito, riuscirà a diventare nel 1605 regidor di Madrid e suo figlio, Juan Ruiz de Embito, diverrà cavaliere dell’Ordine di Santiago 175). La ‘trahison de la bourgeoisie’ 176 – tradimento ben naturale del resto, “puisque le noble avait tous les avantages, honneurs, exemptions d’impôts, richesse terrienne infiniment plus sûre que le négoce”, 177 e tradimento che, comunque, favoriva gli investimenti nell’agricoltura 178 – avveniva in Ispagna come in quasi tutti gli altri paesi europei : 179 in Francia, 180 in Italia, 181 in Inghilterra, 182  





   









   







bre la transición al capitalismo en Castilla. Economía y sociedad en Tierra de Campos (1500-1830). Valladolid : Junta de Castilla y León 1987, pp. 244-259, pp. 321-330. – Rafael Ramos Cerveró : Valladolid, en sus hombres de negocios. Lección inaugural del curso 1989-90 de la Universidad de Valladolid. Valladolid : Universidad de Valladolid 1989, p. 31. 172   Cfr. José Ignacio Gómez Zorraquino : La burguesía mercantil en el Aragón de los siglos XVI y XVII (15161652), pp. 180-186. – Pere Molas : La burguesía mercantil en la España del Antiguo Régimen. Madrid : Cátedra 1985, pp. 136-141. 173   Cfr. Felipe Ruiz Martín : Joan y Pau Saurí : Negociantes catalanes que intervienen en las empresas imperiales de Felipe II. In : Homenaje al Dr. D. Juan Reglà Campistol. Volumen I. Universidad de Valencia, Facultad de Filosofia y Letras 1975, pp. 457-477. – James S. Amelang : La formación de una clase dirigente : Barcelona 1490-1714. Barcelona : Ariel 1986. – Pere Molas : La burguesía mercantil en la España del Antiguo Régimen, pp. 150-156. 174   Cfr. Henry Lapeyre : Une Famille de Marchands. Les Ruiz, p. 95. – Henry Lapeyre : Una familia de mercaderes : Los Ruiz. Contribución al estudio del comercio entre Francia y España en tiempos de Felipe II. Edición y traducción Carlos Martínez Shaw, p. 75. 175   Cfr. Mauro Hernández : A la sombra de la Corona. Poder local y oligarquía urbana (Madrid, 1606-1808), p. 74, pp. 204-205. 176   Fernand Braudel : Civiltà e imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II. Torino : Einaudi 1965, pp. 837844. 177   H. Lapeyre : Une Famille de Marchands. Les Ruiz, p. 95. – H. Lapeyre : Una familia de mercaderes : Los Ruiz, p. 75. 178   Cfr. Gonzalo Anes Álvarez : Las crisis agrarias en la España moderna (= Biblioteca Política Taurus, 16). Madrid : Taurus 1970, pp. 93-96. 179   Cfr. Werner Sombart : Der Bourgeois, pp. 200-201. – Hugh Redwald Trevor-Roper : Religion, Reformation und sozialer Umbruch. Die Krisis des 17. Jahrhunderts. Berlin : Propyläen Verlag 1970, pp. 15-51, pp. 53-93. – John H. Elliott : La Spagna imperiale, 1469-1716. Bologna : Il Mulino 1982, p. 223. – José Antonio Maravall : Estado moderno y mentalidad social (siglos XV a XVII). Tomo II, p. 191, p. 201 n. 180   Elinor G. Barber : The Bourgeoisie in 18th Century France. Princeton, New Jersey : Princeton University Press 1955, pp. 55-74. – Jean Meyer : La noblesse bretonne au XVIIIe siècle (= Bibliothèque générale de l’École pratique des hautes études. VIe section). Paris : S.E.V.P.E.N. 1966, pp. 1018-1041. – Histoire économique et sociale de la France. Tome II : Des derniers temps de l’âge seigneurial aux préludes de l’âge industriel (1660-1789). Paris : P. U. F. 1970, pp. 632-649. – Richard Gascon : Grand commerce et vie urbaine au XVIe siècle. Lyon et ses marchands (environs de 1520 – environs de 1580), pp. 373-381, pp. 810-870. – Roland Mousnier : Les institutions de la France sous la monarchie absolue, 1598-1789. Tome I, p. 101, p. 172, p. 186. – David Parker : The social Foundation of French Absolutism 1610-1630. In : Past & Present, Number 53, 1971, pp. 67-89. – Robert Mandrou : Introduction à la France moderne (1500-1640). Essai de Psychologie historique, pp. 341-342. – George Huppert : Il borghese-gentiluomo. Saggio sulla definizione di élite nella Francia del Rinascimento, pp. 24-25, pp. 69-85. – Régine Pernoud : Histoire de la bourgeoisie en France, II, pp. 69-71. 181   Cfr. Amintore Fanfani : Le origini dello spirito capitalistico in Italia (= Pubblicazioni della Università Cattolica del Sacro Cuore. Serie terza : Scienze sociali, Volume XII). Milano : Vita e Pensiero 1933, p. 169. – Rosario Villari : La rivolta antispagnola a Napoli. Le origini (1585-1647). Bari : Laterza 1976, pp. 161-194. 182   Cfr. H. R. Trevor-Roper : The Gentry 1540-1640 (= The Economic History Review Supplements, 1). Published for the Economic History Society by Cambridge University Press. London and New York [1953], pp. 6-7. – W. G. Hoskins : The Elizabethan Merchants of Exeter. In : Elizabethan Government and Society. Essays presented to Sir John Neale, edited by S. T. Bindoff, J. Hurstfield, C. H. Williams. University of London. The Athlone Press 1961, pp. 163-187 ; qui pp. 175-176. – A. H. Dodd : Mr. Myddelton, the Merchant of Tower Street. In : Elizabethan Government and Society. Essays presented to Sir John Neale, edited by S. T. Bindoff, J. Hurstfield,  















































































   

























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nei Paesi Bassi 183 e nell’Europa Centrale, 184 ed anche in Cina. 185 Non sono state quindi tanto le discriminazioni e le persecuzioni attuate dall’Inquisizione contro la minoranza conversa a indebolire – non certo a ‘distruggere’, come si è assurdamente immaginato – la ‘borghesia’ (anche se si supponesse che la ‘borghesia’ fosse composta soltanto di conversos ; supposizione questa però del tutto infondata, perché anche in una attività come quella dell’appalto e della riscossione di tasse, ritenuta monopolio esclusivo di ebrei e di conversos, gli appaltatori e gli esattori – almojarifes, recabdadores, arrendadores – di origine ebraica controllavano, in realtà, solo circa la metà degli appalti e delle esazioni 186), ma la mentalità e le aspirazioni sociali, 187 comuni a tutti i ceti, i gruppi e le etnie (fatta eccezione dei moriscos e dei gitanos, completamente emarginati o autoemarginatisi) della società spagnola. 188 Tutti indistintamente, cristiani ‘vecchi’ e ‘nuovi’, desideravano “ser hidalgos”, 189 o, se già lo erano, divenire cavalieri e, possibilmente, nobili titolati. Si deve anzi notare che proprio i conversos, i quali – come gli ebrei (“fidalgos de natura” 190) – si consideravano già di per se stessi nobili, 191 contribuirono molto alla aristocratizzazione della  



















C. H. Williams. University of London. The Athlone Press 1961, pp. 249-281. – Lawrence Stone : Social Mobility in England, 1500-1700. In : Past & Present, Number 33, 1966, pp. 16-55. – Anthony Richard Wagner : English Genealogy. Oxford : Clarendon Press 1972, pp. 155-165. – Lawrence Stone : La crisi dell’aristocrazia. L’Inghilterra da Elisabetta a Cromwell, pp. 41-52. – Peter Clark and Paul Slack : English Towns in Transition 1500-1700. Oxford : Oxford University Press 1979, pp. 120-121. Daniel Defoe consigliava ai commercianti che avessero messo insieme un patrimonio di 20.000 sterline di ritirarsi dagli affari e di vivere di rendita. Cfr. Daniel Defoe : The Complete English Tradesman, in Familiar Letters ; Directing him in all the several Parts and Progressions of Trade. […] Calculated for the Instruction of our Inland Tradesmen ; and especially of Young Beginners. London : Printed for Charles Rivington at the Bible and Crown in St. Paul’s Church-Yard. M.DCC.XXVI-M.DCC.XXVII, 2 voll. (London, British Library : 289.a.30-31), Vol. II, pp. 86-107. 183   Cfr. Pieter Geyl : The Netherlands in the Seventeenth Century. London : Ernest Benn 1961-1964, 2 voll. ; qui II, pp. 199-202. – Ivo Schoffer : La stratification sociale de la Republique des Provinces Unies au XVIIe siècle. In : Problèmes de stratification sociale. Actes du Colloque International (1966) publiés par Roland Mousnier. Paris : P.U.F. 1968, pp. 121-135. 184   Cfr. Josef Polisenský : Bohemia y la crísis española de 1580-1620. In : Historica. Les sciences historiques en Tchéchoslovaquie, Praha, 13 (1966), pp. 157-169 ; qui p. 168. – Otto Brunner : Neue Wege der Verfassungs- und Sozialgeschichte. Göttingen : Vandenhoeck & Ruprecht 1968, pp. 242-280. – Hugh Redwald Trevor-Roper : Religion, Reformation und sozialer Umbruch. Die Krisis des 17. Jahrhunderts, pp. 44-47. 185   Cfr. Francis L. K. Hsu : Under the Ancestors’ Shadow. Kinship, Personality, and Social Mobility in China. Stanford, California : Stanford University Press 1971. 186   Cfr. A. MacKay : Popular Movements and Pogroms in Fifteenth-Century Castile, p. 42. 187   Lo stesso F. Márquez Villanueva, che ritiene la borghesia spagnola del XV e del XVI secolo costituita esclusivamente di conversos – e per questo parla di “burguesía conversa” –, scrive che “la oligarquía dirigente burguesa” era “de hecho ... ya también una aristocracia”, in conflitto con la massa proletaria (El problema de los conversos : cuatro puntos cardinales, p. 73 e p. 53). L’oligarchia municipale borghese conversa non era certamente già una aristocrazia, ma sicuramente voleva entrare a far parte del patriziato, formato da hidalgos e, soprattutto, da caballeros. Aspirava, insomma, a diventare nobile ed a non essere, quindi, piú ‘borghese’. Cfr. anche J. A. Maravall : Poder, honor y élites en el siglo XVII, pp. 19-20. 188   Cfr. G. Lohmann Villena : Les Espinosa. Une famille d’homme d’affaires en Espagne et aux Indes à l’époque de la colonisation, p. 18 e pp. 28-32. – H. Lapeyre : Une Famille de Marchands. Les Ruiz, pp. 45-47 e pp. 95-103. – Trevor J. Dadson : La Casa Bocangelina : Una familia hispano-genovesa en la España del Siglo de Oro, pp. 1-47. – Antonio Domínguez Ortiz : Los extranjeros en la vida española durante el siglo XVII (1960). In : A. D. O. : Los extranjeros en la vida española durante el siglo XVII y otros artículos. Edición dirigida por León Carlos Álvarez Santaló. Sevilla : Diputación de Sevilla 1996, pp. 17-181 ; qui pp. 31-32. – Hilario Casado Alonso : Las colonias de mercaderes castellanos en Europa (siglos XV y XVI), p. 45. 189   A. Castro : España en su historia. Cristianos, moros y judíos, p. 550. 190   A. Castro : España en su historia. Cristianos, moros y judíos, p. 540 : “El judío, « fidalgo de natura » (como dice Sem Tob) ...”. In una pagina precedente Américo Castro aveva citato Rabbí Mosé Arragel, che attribuiva agli ebrei “quatro preheminencias : en linaje, en riqueza, en bondades, en sçiencia” (p. 476). Stephen Gilman scrive che erano “proverbiales las pretensiones de los sefardíes a la aristocracia” (La España de Fernando de Rojas. Panorama intelectual y social de « La Celestina », p. 152). 191   Cfr. A. Castro : España en su historia. Cristianos, moros y judíos, pp. 476-477, p. 540. – Julio Caro Baroja :  

































































































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‘borghesia’ (piú correttamente, del ceto medio) imprenditoriale e mercantile e quindi alla cosiddetta ‘trahison de la bourgeoisie’. 192 Infatti le famiglie conversas, i cui membri avevano ottenuto – per le loro capacità amministrative o come compenso per i servizi resi alla Monarchia – o comprato uffici comunali, svolsero un ruolo importantissimo nella ‘patrimonializzazione’ 193 di questi uffici e nella loro trasformazione in uffici ereditari e quindi nel processo di “transformación en aristocracia de la burguesía concejil”. 194 Divenute parte della oligarchia municipale, queste famiglie intensificarono il processo di aristocratizzazione, sfruttando tutte le possibilità di arricchimento che l’amministrazione della cosa pubblica offriva ai membri del governo comunale 195 e attuando una accorta politica di apparentamenti con le famiglie nobili. 196 Le famiglie conversas che erano riuscite – grazie all’elevato tasso di mobilità sociale che caratterizza la Spagna del XVI e dei primi decenni del XVII secolo – ad entrare a far parte delle élites comunali, “adquieren un especial protagonismo en el proceso de oligarquización del gobierno municipal que tiene lugar con especial virulencia en este siglo [XVII]” 197 e diventano cosí – paradossalmente – responsabili, in misura significativa, di una progressiva chiusura della società. Il commercio interno, europeo e americano, le transazioni finanziarie e le manifatture avevano continuato a fiorire (fenomeno concomitante alla fioritura del commercio e delle manifatture era stato il notevole sviluppo di molte città) dopo l’espulsione degli ebrei, ordinata con l’editto del 31 marzo 1492, 198 e le persecuzioni, particolarmente intense sino al 1505, 199 della Inquisizione contro i conversos. La “época de auge de la eco 















Los Judíos en la España Moderna y Contemporánea. Tomo II, pp. 317-321. – Stephen Gilman : La España de Fernando de Rojas. Panorama intelectual y social de « La Celestina », pp. 151-153. 192   F. J. Aranda Pérez (Poder y poderes en la Ciudad de Toledo. Gobierno, sociedad y oligarquías urbanas en la Edad Moderna, p. 260) constata, sulla base dei dati statistici sopra ricordati sulla presenza dei conversos nel governo municipale toledano nei secoli XV-XVII, “que en la oligarquización del regimiento intervino en gran medida el componente converso de la sociedad toledana, y que fue éste uno de sus máximos responsables en el siglo XVII”. Anche Linda Martz ha messo in rilievo il ruolo fondamentale svolto dai conversos nel processo di oligarchizzazione del governo municipale toledano. Cfr. Linda Martz : Converso families in fifteenth and sixteenth century Toledo : the significance of lineage. In : Sefarad 48 (1988), 117-196. A Soria la famiglia judeoconversa Beltrán, divenuta ricchissima con l’esazione delle imposte e il commercio della lana, abbandona rapidamente gli affari, entra nel governo della città, riservato, in teoria, ai Doce Linajes, si imparenta con famiglie della nobiltà aragonese, vive ‘nobilmente’, ottiene croci di Ordini Militari e ascenderà addirittura alla nobiltà titolata (i Beltrán furono creati Marchesi di La Vilueña). Cfr. Máximo Diago Hernando : El ascenso sociopolítico de los judeoconversos en la Castilla del siglo XVI. El ejemplo de la familia Beltrán en Soria, pp. 244-249. 193   Sulla ‘patrimonializzazione’ degli uffici della amministrazione municipale toledana cfr. F. J. Aranda Pérez : Poder y poderes en la Ciudad de Toledo. Gobierno, sociedad y oligarquías urbanas en la Edad Moderna, pp. 195-252. 194   F. Márquez Villanueva : Conversos y cargos concejiles, p. 526. 195   Scrive F. Márquez Villanueva che “los miembros del regimiento tendían a apoderarse con la mayor desvergüenza de toda clase de bienes comunales, de suerte que las usurpaciones de tierras concejiles son casi siempre realizadas por los mismos regidores”. E ancora : “asusta pensar hasta qué punto [las muchas e inveteradas irregularidades de la administración de los concejos] debieron ser gravosas para el pueblo bajo, pechero y menestral de los vulgares o menudos, como entonces se decía” (Conversos y cargos concejiles, p. 527 e p. 536). Le usurpazioni, le prevaricazioni, gli abusi, le speculazioni, gli imbrogli e le vere e proprie rapine commessi dagli amministratori comunali Jerónimo Castillo de Bobadilla li aveva denunciati, come abbiamo ricordato, nella sua Política para Corregidores, stigmatizzando la vendita delle regidurías. 196   “El manejo de los asuntos locales durante varias generaciones les [a los conversos] permitía acumular riquezas y entroncar con las familias nobles o tenidas por tales. Así se han originado predominios locales que han llegado hasta el siglo XIX” (F. Márquez Villanueva : Conversos y cargos concejiles, p. 526). 197   F. J. Aranda Pérez : Poder y poderes en la Ciudad de Toledo. Gobierno, sociedad y oligarquías urbanas en la Edad Moderna, p. 259. 198   Cfr. Jonathan I. Israel : The Decline of Spain : A Historical Myth ? In : Past & Present, Number 91, May 1981, pp. 170-180 ; qui pp. 173-175. 199   Cfr. Jean-Pierre Dedieu : L’administration de la foi. L’Inquisition de Tolède, XVIe-XVIIIe siècle, p. 31.  



































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nomía castellana”, ha osservato Antonio Domínguez Ortiz, “fue la siguiente a la expulsión de los judíos y la persecución más dura contro los conversos”. 200 Come l’economia, aveva naturalmente continuato a fiorire il ceto medio. L’aspirazione alla nobilitazione, che aveva spinto e spingeva molti ricchi a investire il loro denaro in rendite parassitarie e nell’acquisto di diplomi di hidalguía e di uffici pubblici e ad abbandonare le attività produttive, indeboliva certamente il ceto medio. La ‘borghesia’ imprenditoriale e l’artigianato continuarono però, nonostante le numerose diserzioni, ad esistere. 201 A partire dagli ultimi anni del XVI secolo si incomincia a delineare una ‘crisi’ economica – percepita chiaramente dai contemporanei 202 e analizzata acutamente da molti arbitristas,  





200   Antonio Domínguez Ortiz : Los judeoconversos en la vida española del Renacimiento. In : Actas de las Jornadas de Estudios Sefardíes. Editor : Antonio Viudas Camarasa. Cáceres : Universidad de Extremadura 1981, pp. 189-199 ; qui p. 199. L’osservazione del grande storico è confermata da tutti gli studi sulla storia della economia e della società spagnola del Cinquecento. Oltre agli studi già menzionati sopra a documentazione dell’esistenza della ‘borghesia’ produttiva e dell’artigianato, ricordiamo i seguenti : J. A. Goris : Étude sur les colonies marchandes méridionales (Portugais, Espagnols, Italiens) à Anvers de 1488 à 1567. Contribution à l’histoire des débuts du capitalisme moderne (= Université de Louvain. Recueil de travaux publiés par les membres des Conférences d’histoire et de philologie. 2me série. 4me fascicule). Louvain : Librairie Universitaire. Uystpruyst, éditeur 1925. – André-É. Sayous : La genèse du systeme capitaliste : La pratique des affaires et leur mentalité dans l’Espagne du XVIe siècle. In : Annales d’histoire économique et sociale 8 (1936), 334-354 ; qui p. 353. – Jorge Nadal Oller : La revolución de los precios españoles en el siglo XVI. Estado actual de la cuestión. In : Hispania. Revista española de historia, Madrid, 19 (1959), 503-529 ; qui p. 517. – Felipe Ruiz Martín : La empresa capitalista en la industria textil castellana durante los siglos XVI y XVII. In : Third International Conference of Economic History. Munich 1965. Paris - The Hague 1968-1974, 5 voll. ; qui V, pp. 267-276. – Jaime Vicens Vives : Manual de Historia Económica de España, pp. 277-278, pp. 308-309, p. 322, p. 419. – Ángel García Sanz : Desarrollo y crisis del Antiguo Régimen en Castilla la Vieja. Economía y sociedad en tierras de Segovia de 1500 a 1814, pp. 214-216. – Ralph Davis : The Rise of the Atlantic Economies. London : Weidenfeld and Nicolson 1982, pp. 64-72. – Richard L. Kagan : Pleitos y poder real. La Chancillería de Valladolid (1500-1700). In : Cuadernos de Investigación Histórica 2 (1978), 291-316 ; qui p. 306. 201   Cfr. Bartolomé Bennassar : Medina del Campo. Un exemple des structures urbaines de l’Espagne au XVIe siècle. In : Revue d’histoire économique et sociale 39 (1961), 474-495. – Jean Paul Le Flem : Cáceres, Plasencia y Trujillo en la segunda mitad del siglo XVI (1557-1596), pp. 248-299. – Carmelo Viñas : Cuadro económico-social de la España de 1627-28. Pragmáticas sobre tasas de las mercaderías y mantenimientos, jornales y salarios, pp. 717-719. – Henry Lapeyre : Une Famille de Marchands. Les Ruiz, pp. 118-140. – Michael Weisser : Les marchands de Tolède dans l’économie castillane, 1565-1635, pp. 223-236. – Jean Paul Le Flem : Sociedad y precios en el Siglo de Oro. La Mercurial de Segovia (1540-1705). In : Cuadernos de Investigación Histórica 1 (1977), 59-72. – Ángel García Sanz : Desarrollo y crisis del Antiguo Régimen en Castilla la Vieja. Economía y sociedad en tierras de Segovia de 1500 a 1814. Prólogo de Gonzalo Anes. Madrid : Akal Editor 1977, pp. 212-217. – Bartolomé Bennassar : Valladolid en el Siglo de Oro, pp. 199-227, pp. 307-311, pp. 311-328. – Henry Lapeyre : El comercio exterior de Castilla a través de las aduanas de Felipe II (= Estudios y Documentos, 41). Valladolid : Universidad de Valladolid 1981, pp. 49-52, pp. 95-106, pp. 149-150, pp. 182-183, pp. 229-307. – Bartolomé Bennassar : La España del Siglo de Oro, pp. 189-193. – Alberto Marcos Martín : Auge y declive de un núcleo mercantil y financiero de Castilla la Vieja. Evolución demográfica de Medina del Campo durante los siglos XVI y XVII , pp. 308-321. – Felipe Ruiz Martín : Pequeño capitalismo, gran capitalismo. Simón Ruiz y sus negocios en Florencia. Barcelona : Editorial Crítica 1990, pp. 19-27. – J. I. Fortea Pérez : Córdoba en el siglo XVI. Las bases demográficas y económicas de una expansión urbana, pp. 25-26, pp. 57-62, pp. 335-394, pp. 471-475. – Rafael Ródenas Vilar : Vida cotidiana y negocio en la Segovia del Siglo de Oro, pp. 19-35. – Alfredo Alvar Ezquerra : El nacimiento de una capital europea. Madrid entre 1561 y 1606. Madrid : Turner Libros - Ayuntamiento de Madrid 1989, pp. 255-258. – Henry Kamen : Una sociedad conflictiva : España, 1469-1714, pp. 179-180. – Juan Carlos Zofío Llorente : Gremios y artesanos en Madrid, 1550-1650. La sociedad del trabajo en una ciudad cortesana preindustrial. – José A. Nieto Sánchez : Artesanos y mercaderes. Una historia social y económica de Madrid, 1450-1850. – Juan Carlos Alba López : La ciudad de Toro en el siglo XVI. In : Benjamin González Alonso (Coordinador) : Las Cortes y las Leyes de Toro de 1505. Actas del Congreso conmemorativo del V Centenario de la celebración de las Cortes y de la publicación de las Leyes de Toro de 1505. Toro, 7 a 19 de marzo de 2005. Cortes de Castilla y León 2006, pp. 57-100. 202   Cfr. J. H. Elliott : Introspección colectiva y decadencia en España a principios del siglo XVII (1977), pp. 198-223. – José Antonio Maravall : La conciencia coetánea de crisis y las tensiones sociales del siglo XVII. In : J. A. M. : La cultura del Barroco. Barcelona Ariel 1983 (1.ª ed. 1975), pp. 55-128. – José Antonio Maravall : La crisis económica del siglo XVII interpretada por los escritores de la época (1981), pp. 153-196.  



















































































































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capitolo vi

politici ed economisti 203 – caratterizzata da periodi, piú o meno lunghi, di stagnazione, depressione e recessione, ai quali si alternano fasi di ripresa 204 e di vitalità. 205 La diminu 





203   Cfr. gli scritti, quasi tutti già ricordati, seguenti : Discursos de Bernardino de Escalante al Rey y sus Ministros (1585-1605). – Pedro de Valencia : Obras completas. Volumen IV/1. Escritos sociales. I. Escritos económicos (1590-1608), pp. 1-188. – Baltasar Álamos de Barrientos : Discurso político al Rey Felipe III al comienzo de su reinado (1598). – Martín González de Cellorigo : Memorial de la política necesaria y útil restauración a la República de España y Estados de ella, y desempeño universal de estos Reinos (1600). – Gaspar Gutiérrez de los Ríos : Noticia general para la estimacion de las Artes (1600). – Pedro de Valencia : Consideración acerca de enfermedades y salud del Reino [escrito probablemente entre 1613 y 1617]. In : Pedro de Valencia : Obras completas. Volumen IV. Escritos sociales. 2. Escritos políticos. Estudios Introductorios por Rafael González Canal, Rafael Carrasco, Gaspar Morocho Gayo. Edición crítica y notas por Rafael González Canal, Hipólito B. Riesco Álvarez. León : Universidad de León. Secretariado de Publicaciones 1999, pp. 513-527. – Pedro de Guzmán : Los bienes de el honesto trabajo (1614). – Lope de Deza : Gobierno Político de Agricultura (1618). – Sancho de Moncada : Restauración política de España (1619). – El Consejo Real a Felipe III, Madrid 1.° de febrero de 1619. Consulta hecha por el Consejo Real a Su Magestad sobre el remedio universal de los daños del Reino y reparo dellos ; El Consejo Real a Felipe III. Madrid, 4 de Marzo de 1621. Consulta del Consejo de Castilla sobre las causas de despoblación del Reino y sus remedios ; Don Francisco de Tejada a Felipe IV. Madrid, 26 de Mayo de 1621. Consulta de Don Francisco de Tejada … acerca del breve remedio que se ha de poner al exceso que hay sobre sacar oro y plata de estos Reinos ; La Junta de Reformación a Felipe IV. Madrid, 23 de Mayo de 1621. Consulta de la Junta … sobre los vagos y ociosos ; Anónimo a Felipe IV. Sin fecha. ¿1621 ? Discurso breue y sumario de las caussas porque se an disminuido y despoblado muchas villas y lugares en estos Reynos de Castilla y Leon y venido a tanta pobreça los vassallos dellos, y los remedios que se ofrecen para el reparo desto daños, etc. ; La Junta Grande de Reformación a las Ciudades [con] voto en Cortes. 28 de Octubre de 1622. La carta que se embio por la Junta grande a las Ciudades Voto en Cortes a 28 de Octubre 1622, a la entrada a su Reynado de Phelipe IV, tocante al remedio de la Monarchia ; La Junta de Diputación General a Felipe IV. Madrid 7 de Agosto de 1627. Consulta sobre el remedio para la carestía de las cosas. In : La Junta de Reformación. Documentos procedentes del Archivo Histórico Nacional y del General de Simancas. Transcritos por D. Ángel González Palencia. 1618-1625. Valladolid 1932 (= Archivo Histórico Español, V), pp. 12-30 ; pp. 65-71 ; pp. 73-76 ; pp. 77-87 ; pp. 227-263 ; pp. 379-408 ; pp. 536-538. – Pedro Fernández Navarrete : Conservación de Monarquías y Discursos Políticos. 1626. – Miguel Caxa de Leruela : Restauración de la abundancia de España (Nápoles 1631). – Francisco Martínez de Mata : Memoriales y Discursos (1650-1660). – Francisco Máximo de Moya Torres y Velasco : Manifiesto universal de los males envejecidos que España padece (1730). Edición y estudio preliminar de Antonio Domínguez Ortiz. Madrid : Instituto de Estudios Fiscales 1992. – José Ruiz de Celada : Estado de la Bolsa de Valladolid. Examen de sus tributos, cargas y medios de su extinción. De su gobierno y reforma (1777). Edición y prólogo a cargo de Bartolomé Yun Casalilla (= Historia y Sociedad, 16). Valladolid : Universidad de Valladolid - Caja Salamanca 1990. 204   Felipe Ruiz Martín, il quale ritiene che la crisi economica spagnola inizi verso il 1586/1589, mette in rilievo – per esempio – la fase di congiuntura positiva che si verifica fra il 1609 e il 1617/1619. Cfr. Felipe Ruiz Martín : Las finanzas españolas durante el reinado de Felipe II. In : Cuadernos de Historia. Anexos de la revista Hispania 2 (1968), 109-172. – Felipe Ruiz Martín : Rec. a : José Antonio Maravall : Las Comunidades de Castilla. Una primera revolución moderna, p. 840 (su inizio crisi : 1589). Jaime Vicens Vives (Manual de Historia Económica de España, p. 419) richiama l’attenzione sulla fase di grande espansione commerciale che si ebbe sino al 1606/1610. 205   Vitalità della Spagna che si manifestava, per esempio, nella capacità di rapida ripresa dopo disastri come quello della distruzione della Armada Invencible (cfr. John Lynch : España bajo los Austrias. I. Imperio y absolutismo, 1516-1598. Barcelona : ediciones península 1982, p. 229), di condurre con successo, fra il 1613 e il 1627, importanti campagne militari nel Nuovo Mondo (riconquista, nel 1625, di Bahía occupata dagli olandesi), in Germania e in Fiandra, di ottenere una strepitosa vittoria come quella di Nordlingen nel 1634 (cfr. Geoffrey Parker : El Ejército de Flandes y el Camino Español, 1567-1659, pp. 300-305), di difendere per lungo tempo la propria egemonia in Europa (cfr. Robert A. Stradling : La Armada de Flandes. Política naval española y guerra europea 1568-1668. Madrid : Cátedra 1992, p. 11, p. 41), di sconfiggere piú volte i pirati inglesi Francis Drake e John e Richard Hawkins (cfr. Kenneth R. Andrews : Elizabethan Privateering. English Privateering during the Spanish War, 1585-1603. Cambridge : Cambridge University Press 1964. – Miguel Avilés : Sueños ficticios y lucha ideológica en el Siglo de Oro. Madrid : Editora Nacional 1981, pp. 182-184) e di conseguire importanti vittorie in mare e in terra contro l’Olanda dal 1621 al 1642 (cfr. Jonathan I. Israel : Un conflicto entre imperios : España y los Países Bajos, 1618-1648. In : J. H. Elliott, Ed. : Poder y sociedad en la España de los Austrias. Barcelona : Editorial Crítica 1982, pp. 145-197). Anche l’operazione – moralmente piú che riprovevole ed economicamente dannosa – di espulsione di ca. 275.000 moriscos dimostrò, dal punto di vista dell’organizzazione, la grande efficienza della macchina statale spagnola. Cfr. Henri Lapeyre : Géographie de l’Espagne morisque, pp. 212-213. Sulla espulsione dei moriscos e le sue conseguenze economiche, cfr. inoltre Jordi Nadal Oller : La población española (siglos XVI a XX). Barcelona : Ariel 1971, pp. 47-58. – James Casey : Los moriscos y el despoblamiento de Valencia (1971). In : J. H. Elliott, Ed. : Poder y sociedad en la España de los Austrias. Barcelona : Editorial Crítica 1982, pp.  























































































































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zione della popolazione urbana e lo spopolamento delle campagne, la contrazione del volume del commercio europeo ed americano, la riduzione della produzione laniera, tessile e agraria, l’impoverimento del patrimonio zootecnico, l’indebitamento dello Stato, l’inflazione, la pressione fiscale, sono gli indicatori piú vistosi di questa congiuntura negativa, provocata da un insieme di complessi fattori, fra loro interagenti. 206 La crisi  

224-247. – Eugenio Císcar Pallarés : El régimen señorial en el Reino de Valencia después de la expulsión de los moriscos : los censos en especie. In : Homenaje al Dr. D. Juan Reglà Campistol. Volumen I. Valencia : Universidad de Valencia 1975, pp. 555-569. – James Casey : La situación económica de la nobleza valenciana en vísperas de la expulsión de los moriscos. In : Homenaje al Dr. D. Juan Reglà Campistol. Volumen I. Valencia : Universidad de Valencia 1975, pp. 515-525. – James Casey : The Kingdom of Valencia in the Seventeenth Century. Cambridge : Cambridge University Press 1979, pp. 4-34. – Eugenio Císcar Pallarés : Moriscos, nobles y repobladores. Estudios sobre el siglo XVII en Valencia (= Estudios Universitarios, 58). Valencia : Edicions Alfons el Magnànim - Generalitat Valenciana 1993. – Bernard Vincent : L’expulsion des morisques. In : José Alcalá-Zamora - Ernest Belenguer (Coordinadores) : Calderón de la Barca y la España del Barroco. Volumen I. Madrid : Centro de Estudios Políticos y Constitucionales 2001, pp. 505-513. 206   Sugli indicatori e sui fattori della crisi (recessione demografica generale, forte calo della popolazione delle città, eccessivo numero di sacerdoti, frati e monache, spopolamento delle campagne, emigrazione verso il Nuovo Mondo, cambiamenti climatici – alternarsi di periodi di siccità a periodi di piogge torrenziali –, cattivi raccolti, carestie, epidemie, privatizzazione e usurpazione delle terre comunali e delle terre incolte da parte delle oligarchie municipali, enorme indebitamento della Corona e delle città, eccessiva pressione fiscale – aggravata da una ingiusta ripartizione della tassazione –, manipolazioni della moneta, dichiarazioni di ‘bancarotta’ – sospensione dei pagamenti da parte dello Stato e relativa conversione dei debiti in titoli di credito negli anni 1557, 1575, 1607, 1627, 1647 –, vendita degli uffici e delle terre della Corona – realengos –, dipendenza dal capitale finanziario straniero e da mercati esteri, inflazione, ritardo tecnologico, declino dei centri industriali, diminuzione della produzione tessile e agricola, contrazione drammatica del volume del commercio transatlantico ed eccessiva espansione del volume delle importazioni, estrema passività del commercio delle Filippine con Cina e India, espulsione dei moriscos, enormi costi della politica imperiale e delle spese militari, sottrazione di denaro agli investimenti produttivi per la diffusione della mentalità rentista e correlativo massiccio acquisto di juros e censos, oziosità, litigiosità giudiziaria, trasformazione, attuata dai governi municipali, della tassa universale e diretta sulla ricchezza – millones –, introdotta nel 1589, in una tassa indiretta – sisa – sui generi alimentari e sulla legna, mancanza di protezione della produzione nazionale – diversamente da altri paesi europei la Castiglia non praticò il mercantilismo –, eccessivo ‘consumismo’, accumulo, per donazioni, del patrimonio della Chiesa, ecc. ecc.), cfr. Earl J. Hamilton : El tesoro americano y la revolución de los precios en España, 15011650. Traducción castellana de Ángel Abad. Barcelona : Ariel 1980 (1.ª ed. orig. : American Treasure and the Price Revolution in Spain, 1501-1650. Cambridge, Massachusetts : Harvard University Press 1934), pp. 87-117, pp. 199-233, pp. 277-321. – Earl J. Hamilton : The Decline of Spain : In : The Economic History Review 8 (1938), 168179. – Antonio Domínguez Ortiz : La ruina de la aldea castellana. In : Revista Internacional de Sociología 6 (1948), 99-124. – J. H. Elliott : The Decline of Spain. In : Past & Present, Number 20, November 1961, pp. 52-75. – Modesto Ulloa : La Hacienda Real de Castilla en el Reinado de Felipe II. Roma : Libreria Sforzini. Centro del Libro Español. 1963, pp. 541-558. – Ildefonso Pulido Bueno : La Real Hacienda de Felipe III, pp. 49-72. – J. H. Elliott : The Revolt of the Catalans. A Study in the Decline of Spain (1598-1640). Cambridge : University Press 1963. – José Larraz : La época del mercantilismo en Castilla (1500-1700), pp. 49-63. – Henry Kamen : The Decline of Castile : the last Crise. In : The Economic History Review 17 (1964-1965), 63-76. – Alva V. Ebersole : Examen del problema de la moneda de vellón a través de algunos documentos del siglo XVII. In : Homenaje a RodríguezMoñino. Tomo I. Madrid : Castalia 1966, pp. 155-165. – Josefina Gómez Mendoza : Las ventas de baldíos y comunales en el siglo XVI. Estudio de su proceso en Guadalajara, pp. 499-559. – José Gentil da Silva : Desarrollo económico, subsistencia y decadencia en España. – Bartolomé Bennassar : Recherches sur les grandes épidémies dans le nord de l’Espagne à la fin du XVIe siècle. Problèmes de documentation et de méthode. Paris : Éditions de l’EHESS 2001 (1.ª ed. 1969). – Gonzalo Anes Álvarez : Las crisis agrarias en la España moderna. – Jordi Nadal Oller : La población española (siglos XVI a XX). Barcelona : Ariel 1971. – Pedro Voltes Bou : Historia de la economía española hasta 1800. Madrid : Editora Nacional 1972, pp. 245-246. – Michael Weisser : The Decline of Castile Revisited : The Case of Toledo, pp. 614-640. – Alvaro Castillo : « Decretos » et « medios generales » dans le système financier de la Castille. La crise de 1596. In : Mélanges en l’honneur de Fernand Braudel. Histoire économique du monde méditerranéen, 1450-1650. Toulouse : Edouard Privat, Éditeur 1973, pp. 137-144. – Bartolomé Bennassar : Consommation, investissements, mouvements de capitaux en Castille aux XVIe et XVIIe siècles, pp. 139-155. – David E. Vassberg : La venta de tierras baldías en Castilla durante el siglo XVI, pp. 21-47. – Gonzalo Anes : La « Depresión » agraria durante el siglo XVII en Castilla. In : Homenaje a Julio Caro Baroja. Reunido por Antonio Carreira, Jesús Antonio Cid, Manuel Gutiérrez Esteve y Rogelio Rubio. Madrid : Centro de Investigaciones Sociológicas 1978, pp. 83-100. – I. A. A. Thompson : Guerra y decadencia. Gobierno y admi 































































































































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capitolo vi

si farà acuta nel terzo decennio del XVII secolo, ma si manifesterà, comunque, con notevoli sfasature cronologiche nei vari settori dell’economia 207 e non colpirà uniformemente tutti i territori spagnoli della Corona. Ma torniamo all’analisi della mobilità sociale. Grandi possibilità di ascesa sociale offriva la burocrazia dello Stato 208 agli appartenenti al ceto medio e al ceto contadino  



nistración en la España de los Austrias, 1560-1620. – Pierre Chaunu : Séville et l’Amérique aux XVIe et XVIIe siècles. Avec la collaboration d’Huguette Chaunu. Paris : Flammarion 1977, pp. 272-310. – Ángel García Sanz : Desarrollo y crisis del Antiguo Régimen en Castilla la Vieja, pp. 217-219, 327-336. – Geoffrey Parker and Lesley M. Smith : « Introduction » a : The General Crisis of the Seventeenth Century. Edited by G. P. and L. M. S. London : Routledge & Kegan Paul 1978, pp. 1-25. – Alberto Marcos Martín : Auge y declive de un núcleo mercantil y financiero de Castilla la Vieja. – Henry Kamen : The Decline of Spain : A Historical Myth ? In : Past & Present, Number 81 (November 1978), 24-50. – Jonathan I. Israel : The Decline of Spain : A Historical Myth ? (1981). – Henry Kamen : A Rejoinder. In : Past & Present 91 (1981), 181-185. – Julian Montemayor : Crise rurale en Nouvelle Castille à la fin du XVIe siècle : le cas de Bargas, Cobeja, Orgaz et Los Yebenes. In : Mélanges de la Casa de Velázquez 16 (1980), 163-178. – Ángel García Sanz : Bienes y derechos comunales y el proceso de su privatización en Castilla durante los siglos XVI y XVII : El caso de tierras de Segovia. In : Hispania, Madrid, 144 (1980), 95-127. – J. I. Fortea Pérez : Córdoba en el siglo XVI. Las bases demográficas y económicas de una expansión urbana, pp. 173-219, pp. 413-470. – Jaime Vicens Vives : Manual de Historia Económica de España, pp. 375-393, pp. 394-415. – Antonio Domínguez Ortiz : Política y Hacienda de Felipe IV, pp. 3-62. – David E. Vassberg : Land and Society in Golden Age Castile. – Antonio Domínguez Ortiz : Crisis y decadencia de la España de los Austrias. Barcelona : Ariel 1984. – Antonio Domínguez Ortiz : Política fiscal y cambio social en la España del siglo XVII. Madrid : Instituto de Estudios Fiscales 1984. – Alva V. Ebersole : Dos documentos de 1627 sobre la economía de España. Valencia : Albatros 1986. – Jerónimo López-Salázar-Pérez : Estructuras agrarias y sociedad rural en La Mancha (ss. XVI-XVII). Prólogo de Juan Ignacio Gutiérrez Nieto. Ciudad Real : Instituto de Estudios Manchegos 1986. – Eufemio Lorenzo Sanz : Comercio de España con América en la época de Felipe II. Tomo I, pp. 43-49 ; II, pp. 151-155, pp. 427-428. – A. Gutiérrez Alonso : Estudio sobre la decadencia de Castilla. La ciudad de Valladolid en el siglo XVII. – Ricardo Cerezo Martínez : Las armadas de Felipe II. Madrid : Editorial San Martín 1988. – Francisco Sánchez-Montes González : La población granadina en el siglo XVII, pp. 249-251. – Richard L. Kagan : Pleitos y pleitantes en Castilla, 1500-1700. Valladolid : Junta de Castilla y León 1991. – Antonio García-Baquero González : La carrera de Indias. Suma de la contratación y Océano de negocios. Sevilla : Algaida Editores 1992, pp. 319-326. – Francis Brumont : Paysans de Vieille-Castille aux XVIe et XVIIe siècles, pp. 225-258, pp. 259-320. – Antonio García-Baquero González : Andalusia and the crisis of the Indies trade, 1610-1720. In : The Castilian crisis of the seventeenth century. Cambridge : Cambridge University Press 1994, pp. 115-135. – Ángel García Sanz : Castile 1580-1650 : economic crisis and the policy of ‘reform’. In : The Castilian crisis of the seventeenth century. Cambridge : Cambridge University Press 1994, pp. 13-31. – Felipe Ruiz Martin : Credit procedures for the collection of taxes in the cities of Castile during the sixteenth and seventeenth centuries : the case of Valladolid. In : The Castilian crisis of the seventeenth century. Cambridge : Cambridge University Press 1994, pp. 169-181. – Enrique Llopis Agelán : Castilian agriculture in the seventeenth century : depression or ‘readjustment and adaptation’ ? In : The Castilian crisis of the seventeenth century. Cambridge : Cambridge University Press 1994, pp. 77-100. – Enrique Díez Sanz : La tierra de Soria. Un universo campesino en la Castilla oriental del siglo XVI, pp. 89-129, pp. 142-178. – Bartolomé Yun Casalilla : Spain and the seventeenth-century crisis in Europe : Some final considerations. In : The Castilian crisis of the seventeenth century. Cambridge : Cambridge University Press 1994, pp. 301-321. – Julian Montemayor : Tolède entre fortune et déclin (1530-1640). Limoges : PULIM (Presses Universitaires de Limoges) 1996. – Elena María García Guerra : Reflexiones en torno a las mutaciones de las monedas, elemento generador de conflictividad social. In : Francisco Javier Guillamón Álvarez y José Javier Ruiz Ibáñez (Editores) : Lo conflictivo y lo consensual en Castilla. Sociedad y poder político, 1521-1715. Homenaje a Francisco Tomás y Valiente. Murcia : Universidad de Murcia 2001. – Francisco José González Prieto : La ciudad menguada : población y economía en Burgos, s. XVI y XVII. Santander : Universidad de Cantabria 2005, pp. 81-153, pp. 195-232. – Jerónimo López-Salazar Pérez : El mundo rural de Castilla la Nueva. In : La Monarquía de Felipe III : Los Reinos (volumen IV). Directores : José Martínez Millán, Maria Antonietta Visceglia. Madrid : Fundación MAPFRE - Instituto de Cultura 2008, pp. 61-126. 207   Ancora fra il 1609 e il 1630 la produzione della industria laniera era, per esempio, a Segovia molto sostenuta (cfr. Rafael Ródenas Vilar : Vida cotidiana y negocio en la Segovia del Siglo de Oro, pp. 13-17). Carmelo Viñas (Cuadro económico-social de la España de 1627-28, p. 719) qualifica la società spagnola degli ultimi anni del terzo decennio del XVII secolo, caratterizzata da alti livelli di produzione, di consumo e di lusso, come opulenta, e ritiene che solo a partire dal tragico anno 1640 si avrà una caduta verticale della economia e del livello di vita. A Jaén l’industria tessile (seta, panni, ecc.) era fiorente ancora verso il 1630 (cfr. Luis Coronas Tejada : Jaén, siglo XVII. Jaén : Diputación Provincial de Jaén. Instituto de Estudios Giennenses 1994). 208   Cfr. José Antonio Maravall : Estado moderno y mentalidad social (Siglos XV a XVII). Tomo II, pp. 443 











































































































































































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che avessero assolto gli studi universitari di giurisprudenza. 209 La carriera nella burocrazia statale – in fase di grande espansione nel XVI e nel XVII secolo 210 per il processo di centralizzazione dello Stato e di organizzazione amministrativa dell’immenso Impero, 211 strutturato in vicereami, con le loro sfarzose Corti, 212 i cui dignitari, cortigiani e ufficiali avevano sicuramente delle buone chances di conseguire onori, titoli e ricchezze – offriva infatti non solo buone possibilità di raggiungere un’ottima situazione economica e sociale, 213 ma ad 









510. – Richard L. Kagan : Universidad y sociedad en la España moderna, pp. 119-147. – Jean-Marc Pelorson : Les Letrados, juristes castillans sous Philippe III, Recherches sur leur place dans la société, la culture et l’État, pp. 187-246. – Beatriz Carceles : Nobleza, hidalguía y servicios en el siglo XVII castellano, pp. 71-93. 209   Cfr. Scriveva Lope de Vega : “Tres cosas hacen los hombres / y los levantan del suelo : / las armas, letras y el trato.” Cfr. Lope Felix de Vega Carpio : El premio del bien hablar. In : L. F. de V. C. : Obras escogidas. Tomo I. Teatro*. Madrid : Aguilar 1969, p. 1269. Gonzalo Correas (Vocabulario de refranes y frases proverbiales. Edición de Louis Combet, p. 649) registra questo proverbio : “Por letras, guerra y mar, vienen los hombres a medrar.” 210   L’espansione della burocrazione era considerata come una delle cause della crisi economica spagnola da scrittori politici come Baltasar Álamos de Barrientos e Pedro de Valencia. Nel Discurso político al Rey Felipe III al comienzo de su reinado, dopo aver affermato che “para cobrar un real de tributo, se pierden y gastan ciento en los cobradores y modo con que lo hacen”, Baltasar Álamos de Barrientos scriveva : “esa multitud de jueces, ejecutores y requisidores en civil y en criminal ... tienen desgastada y consumida a España, y con gran sentimiento de sus vasallos, que por el daño que de éstos reciben, no pueden acudir al servicio de Vuestra Majestad, no teniendo haciendas con que hacerlo, ni tiempo ni caudal para beneficiarlas, y siendo los más pleitos en que se ocupan y consumen los procedidos de los agravios que éstos hacen, que son rayos del cielo” (p. 27, p. 113). Nel discorso intitolato Consideración acerca de enfermedades y salud del Reino, indirizzato anch’esso a Filippo III, Pedro de Valencia affermava che “la multiplicación de ministros criados”, conseguente alla espansione imperiale, costituiva uno dei danni che pativa il Regno di Castiglia e León : “Porque los reyes que se hacen monarcas crecen de estado y pompa, acrecentando los caballos y coches, lacayos, los ministros del imperio del reino, los señores, títulos y grandes, todo género de criados de la familia, enviando virreyes, gobernadores y presidentes, oidores, obispos y otras personas que van con poder, sin número de éstos y de las familias de ellos ; para cumplir el número son menester casi cuantos nacen en el Reino, y se pierden y gastan en ello más que en la guerra” (p. 520). 211   Cfr. Ernesto Schäfer : El Consejo Real y Supremo de las Indias. Su historia, organización y labor administrativa hasta la terminación de la Casa de Austria. I, pp. 110-129, pp. 244-267, pp. 351-385 ; II, pp. 157-185, pp. 439-451. – Jaime Vicens Vives : Estructura administrativa estatal en los siglos XVI y XVII. In : J. V. V. : Coyuntura económica y reformismo burgués y otros estudios de historia de España. Nota preliminar y selección de textos de Josep Fontana. Barcelona : Editorial Ariel 1974, pp. 101-141 ; qui pp. 114-126. – J. A. Escudero : Los secretarios de Estado y del Despacho (1474-1724). Tom. I-IV. – José Antonio Maravall : Estado moderno y mentalidad social (Siglos XV a XVII). Tomo II, pp. 443-510. – José García Marín : La burocracía castellana bajo los Austrias. Ediciones del Instituto García Oviedo. Universidad de Sevilla 1976. – Javier Gil Pujol : La proyección extrarregional de la clase dirigente aragonesa en el siglo XVII, pp. 21-64. – J. Fayard : Les membres du Conseil de Castille à l’époque moderne (1621-1746). – Jean-Marc Pelorson : Les Letrados, juristes castillans sous Philippe III. – John Lynch : España bajo los Austrias. I. Imperio y absolutismo (1516-1598), pp. 74-83, pp. 247-263. – Carlos Javier de Carlos Morales : El Consejo de Hacienda de Castilla, 1523-1602. – La Monarquía de Felipe III : Los Reinos (volumen IV). Directores : José Martínez Millán, Maria Antonietta Visceglia. Madrid : Fundación MAPFRE - Instituto de Cultura 2008. Un importante indicatore della espansione della burocrazia è costituito dalla sempre piú elevata frequenza universitaria. Sulla correlazione esistente fra formazione e sviluppo della burocrazia, frequenza universitaria e mobilità sociale, cfr. l’importante lavoro di Richard L. Kagan : Universidad y sociedad en la España Moderna. Sul rapporto fra le sempre maggiori necessità militari (guerra navale nel Mediterraneo e nell’Atlantico, difesa delle coste e dei convogli, guerre europee, ecc.) ed espansione della burocrazia, cfr. – I. A. A. Thompson : Guerra y decadencia. Gobierno y administración en la España de los Austrias, 1560-1620. 212   Sulle Corti dei vicereami cfr. i contributi pubblicati in : La Monarquía de Felipe III : Los Reinos (volumen IV). Directores : José Martínez Millán, Maria Antonietta Visceglia. Madrid : Fundación MAPFRE - Instituto de Cultura 2008, pp. 31-60 (Manuel Rivero Rodríguez : Una Monarquía de Casas Reales y Virreinales), pp. 482-518 (Isabel Enciso Alonso Muñumer : La corte virreinal de Nápoles), pp. 576-581 (Domenico Ligresti : Corte virreinal y nobleza siciliana), pp. 809-859 (Félix Labrador Arroyo : La Casa Real Portuguesa, 1598-1621), pp. 729-786 (Pilar Latasa Vassallo y José de la Puente Brunke : El virreinato del Perú, pp. 733-736 « Capas sociales altas »). 213   Cfr. Felipe Ruiz Martín : Movimientos demográficos y económicos en el Reino de Granada durante la segunda mitad del siglo XVI. In : Anuario de Historia Económica y Social, publicado por la Facultad de Filosofía y Letras de Madrid, 1 (1968), 127-183 ; qui p. 159 e p. 182.  





























































































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dirittura l’opportunità di accedere alla nobleza de servicios 214 (questa opportunità seppero coglierla molti conversos 215). Promuovevano la mobilità sociale anche la pratica della vendita di uffici della amministrazione statale e di uffici della amministrazione municipale 216 (questa pratica determinava la ‘permeabilità’ delle oligarchie municipali, nonostante tutti i tentativi delle vecchie élites di difendere il monopolio nobiliare del potere 217), la consuetudine della Corona di concedere “mercedes en forma de oficios” (quali regidurías e juradurías) a fedeli e leali sudditi, pur se appartenevano ai ceti medi e inferiori, 218 la trasfor 









214   “El servicio a la Corona implica una promoción social y económica, que puede, incluso, provocar el acceso a la alta nobleza, así como el beneficio de cuantiosas mercedes económicas” (María del Pilar Rábade Obradó : Una élite de poder en la Corte de los Reyes Católicos. Los judeoconversos, p. 28). 215   Sulla formazione di una vera e propria ‘nobleza de servicios’ (o ‘nobleza de oficio’) e la presenza in essa di conversos, cfr. I. A. A. Thompson : Neo-noble Nobility : Concepts of hidalguía in Early Modern Castile. In : European History Quarterly 15 (1985), 379-406. – B. Carceles : Nobleza, hidalguía y servicios en el siglo XVII castellano, pp. 71-93. – María del Pilar Rábade Obradó : Una élite de poder en la Corte de los Reyes Católicos, pp. 33-100, pp. 101-172, pp. 173-226. – J. Contreras Contreras : Limpieza de sangre, cambio social y manipulación de la memoria, pp. 98-100. 216   Dopo aver ricordato che a partire dal 1543 le necessità finanziarie dello Stato costrinsero la Corona alla vendita di migliaia e migliaia di uffici pubblici – “oficios de regidor, de jurado, de escribano público y del ayuntamiento, y con el tiempo los cargos más preeminentes de alguacil mayor y alférez mayor” –, Enrique Soria Mesa scrive : “Este impresionante mercado establecido en torno a los oficios públicos municipales supuso, eso creo yo, uno de los principales factores de movilidad social en la España moderna. Si no el que más. Como intuyeron los grandes historiadores que se han acercado al estudio teórico del proceso, la venalidad de los oficios abrió las puertas a los recién llegados al universo del poder local. Y, con él, a la respetabilidad, la influencia y el ennoblecimiento, aspectos que antes les estaban vedados o les resultaban muy lejanos” (La nobleza en la España moderna, pp. 220-221). Sulla vendita degli uffici cfr. Koenraad Wolter Swart : Sale of Offices in the Seventeenth Century. ‘s-Gravenhage : Martinus Nijhoff 1949, pp. 19-44. – J. H. Parry : The Sale of Public Office in the Spanish Indies under the Hapsburgs. Berkeley and Los Angeles : University of California Press 1953. – Antonio Domínguez Ortiz : La venta de cargos y oficios públicos en Castilla y sus consecuencias económicas y sociales. In : Anuario de Historia Económica y Social 3 (1970), 105-137. – Antonio Domínguez Ortiz : Los Judeoconversos en España y América, pp. 243-244. – José Antonio Maravall : Estado moderno y mentalidad social (Siglos XV a XVII). Tomo II, pp. 481-487. – Winfried Küchler : Ämterkäuflichkeit in den Ländern der Krone Aragons. In : Spanische Forschungen der Görres-Gesellschaft. Reihe I : Gesammelte Aufsätze zur Kulturgeschichte Spaniens 27 (1972), 311-336. – Francisco Tomás y Valiente : Las ventas de oficios de regidores y la formación de oligarquías urbanas en Castilla (siglos XVII y XVIII). In : Historia, Instituciones, Documentos 2 (1975), 525-535. – Francisco Tomás y Valiente : Dos casos de ventas de oficios en Castilla. In : Homenaje al Dr. D. Juan Reglà Campistol. Volumen I. Valencia : Universidad de Valencia 1975, pp. 333-343. – Francisco Tomás y Valiente : La venta de oficios en Indias (1492-1606). Madrid : Instituto Nacional de Administración Pública 1982. – Francisco Tomás y Valiente : Venta de oficios públicos en Castilla durante los siglos XVII y XVIII. In : F. T. y V. : Gobierno e instituciones en la España del Antiguo Régimen. Madrid : Alianza Editorial 1982, pp. 151-177. – Antonio Carlos Merchán Fernández : Gobierno municipal y administración local en la España del Antiguo Régimen. Madrid : Tecnos 1988, pp.121-128. – Juan E. Gelabert : Tráfico de oficios y gobierno de los pueblos en Castilla (1543-1643). In : Ciudad y mundo urbano en la época moderna. Dirigido por Luis A. Ribot García y Luigi de Rosa. Madrid : Editorial ACTAS 1997, pp. 157-186. 217   Cfr. Benjamin González Alonso : Sociedad urbana y gobierno municipal en Castilla, pp. 69-70, pp. 79-81. – Francisco José Aranda Pérez : Castilla entre los Felipes : un mundo urbano en la encrucicada. In : La Monarquía de Felipe III : Los Reinos (volumen IV). Directores : José Martínez Millán, Maria Antonietta Visceglia. Madrid : Fundación MAPFRE - Instituto de Cultura 2008, pp. 127-171 ; qui pp. 133-140. Il fenomeno della penetrazione di conversos, di mercanti e di altre persone di ‘bassa’ estrazione nei governi municipali era stato osservato anche dai contemporanei. Cosí - per esempio - Jerónimo Castillo de Bobadilla lamentava che “en nuestra España se va introduziendo ... en los Regimientos, siendo assi, que aun es prohibido ser escrivanos, y mercaderes los que son Regidores, quanto mas personas de peor suerte, y condicion...” (Politica para corregidores y señores de vassallos. Tomo segundo, p. 119). Anche Olivares notava con disappunto nel Gran Memorial del 1624 la “gran relajación en la observancia de calidad [de los regidores]” (Memoriales y cartas del Conde Duque de Olivares. Tomo I, p. 64). Oltre agli studi già menzionati sulla venalità degli uffici come importante fattore di mobilità sociale ascendente, cfr. Roland Mousnier : La Vénalité des Offices et la mobilité sociale en France au XVIIe et au XVIIIe siècles. In : Ämterkäuflichkeit : Aspekte sozialer Mobilität im europäischen Vergleich (17. und 18. Jahrhundert). Unter Mitwirkung von Adolf M. Birke und Ilja Mieck herausgegeben von Klaus Malettke (= Einzelveröffentlichungen der Historischen Kommission zu Berlin, 26). Berlin : Colloquium Verlag 1980, pp. 33-52. 218   B. González Alonso : Sociedad urbana y gobierno municipal en Castilla, p. 79.  































































































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mazione degli uffici municipali da vitalizi a ereditari (la loro “patrimonialización”, quindi), 219 il ricorso sempre piú frequente, determinato dall’incessante e crescente bisogno di denaro della Monarchia spagnola, alla vendita di hidalguías 220 (vendita dagli effetti fatali, come abbiamo già osservato, per i pecheros – in particolare, per i labradores –, sui quali ricadeva il carico di quelle imposte – si trattava dei pechos : servicios ordinarios e servicios extraordinarios – dal pagamento delle quali venivano automaticamente esentati gli acquirenti delle hidalguías 221), di hábitos degli Ordini Militari 222 e di señoríos. 223 Anche il maggiorasco, istituzione nata in Castiglia nel Basso Medioevo, contribuiva alla fluidità sociale e alla fusione biologica delle ‘razze’, poiché i figli cadetti delle famiglie nobili, quando non sceglievano la vita ecclesiastica, erano spesso costretti, se volevano vivere secondo il loro rango, a cercarsi una moglie ricca e questa la trovavano frequentemente fra le figlie dei facoltosi mercanti e banchieri, che spesso erano di origine conversa. Pure il sistema dei mayorazgos cortos 224 intensificava la mobilità sociale. Infatti la facoltà, da  













219   B. González Alonso : Sociedad urbana y gobierno municipal en Castilla, pp. 79-81. L’ereditarietà degli uffici contribuiva naturalmente alla formazione di oligarchie municipali e alla loro chiusura. Ma la possibilità di acquistare un ufficio permetteva a letrados, a mercanti – esclusi dal governo municipale, dominato normalmente da hidalgos e caballeros – e a professori di infrangere il monopolio di potere delle antiche élites urbane. Una volta integrati nei gruppi di potere, i parvenus ‘tradivano’ il loro ceto d’origine, aspiravano alla nobilitazione e tendevano naturalmente, come sempre avviene, a escludere gli altri. 220   Nel 1567 la Tesoreria Generale della Corona incassò 28.050.000 maravedíes (= 74.800 ducati) per la vendita di hidalguías. Particolarmente massiccia fu la vendita di hidalguías negli anni 1580-1598. Sul fenomeno cfr. A. Domínguez Ortiz : La sociedad española en el siglo XVII. Tomo I, pp. 181-184. – I. A. A. Thompson : The Purchase of Nobility in Castile, 1552-1700, pp. 313-360. – James S. Amelang : The Purchase of Nobility in Castile 15521700 : A Comment. In : Journal of European Economic History XI/1 (1982), 219-226. – Ana Guerrero Mayllo : Familia y vida cotidiana de una élite de poder. Los regidores madrileños en tiempos de Felipe II, pp. 12-13. 221   Le Cortes segnalarono gli effetti perversi della vendita delle hidalguías nella seduta del 18 luglio 1618 : “Que atento el daño que sienten los pobres labradores de la venta de las hidalguias mediante la cual se exentan los ricos de la paga de los pechos y tributos y cae toda la carga sobre los pobres, S. M. no pueda vender, donar, ni hacer merced por via de declaracion ni en otra manera alguna de hidalguia para que la goce ninguna persona en estos reinos”. Cfr. Actas de las Cortes de Castilla (1563-1627). Madrid 1869-1918, 45 tom. ; qui tom. XXXII, p. 52 (cit. da N. Salomon : La campagne de Nouvelle Castille à la fin du XVIe siècle d’après les Relaciones topográficas, p. 230). 222   Cfr. Antonio Domínguez Ortiz : Comercio y blasones. Concesiones de hábitos de Órdenes Militares a miembros del Consulado de Sevilla en el siglo XVII, pp. 217-256. – L. P. Wright : Las Órdenes Militares en la sociedad española de los siglos XVI y XVII, pp. 38-41. – F. J. Aranda Pérez : Caballeros de hábito y oligarquías urbanas, pp. 2049-2088. 223   La vendita delle centinaia di nuovi señoríos creati nel XVI e nel XVII dagli Absburgo per motivi fiscali, sottraendo – con l’autorizzazione papale – pueblos agli Ordini Militari, ai vescovati e ai ricchi Monasteri benedettini, che venivano indennizzati con modeste rendite perpetue (juros), e alienando villas, lugares, terre e vasallos de realengo, offrí una importante opportunità di promozione sociale ai loro acquirenti (cortigiani, alti burocrati, alti ufficiali dell’esercito, banchieri, mercanti, esattori, appaltatori, membri delle oligarchie municipali). Questi ascendevano infatti “a la categoría de señores de vasallos, escalón previo indispensable para adquirir título de nobleza” (Antonio Domínguez Ortiz : El Antiguo Régimen : los Reyes Católicos y los Austrias. Madrid : Alianza Editorial Alfaguara 1981, p. 205). Sulla creazione e vendita di señoríos (denominati allora estados), cfr. Alfonso María Guilarte : El régimen señorial en el siglo XVI. Madrid : Instituto de Estudios Políticos 1962, pp. 302-324. – Salvador de Moxó : La incorporación de señoríos en la España del Antiguo Régimen (Estudios y Documentos. Cuadernos de Historia Moderna, 14). Valladolid : Facultad de Filosofía y Letras de la Universidad de Valladolid. Escuela de Historia Moderna del C. S. de I. C. 1959. – Salvador de Moxó : Los señoríos. En torno a una problematica para el estudio del régimen señorial. In : Hispania. Revista Española de Historia (Madrid), 24 (1964), 185-236, 399-430. – R. Carande : Carlos V y sus banqueros. Tomo II, pp. 411-417. – Antonio Domínguez Ortiz : Instituciones y sociedad en la España de los Austrias, pp. 56-75. Il meccanismo della nobilitazione attraverso l’acquisto di señoríos è spiegato bene da Ignacio Atienza Hernández : Aristocracía, poder y riqueza en la España moderna. La Casa de Osuna, siglos XV-XIX, pp. 37-42. Cfr. inoltre Enrique Soria Mesa : La nobleza en la España moderna. Cambio y continuidad, pp. 252-254. 224   Con le Leyes de Toro (1505), precisamente con la Legge 27, l’istituzione – voluta dalle oligarchie municipali – di mayorazgos, prima privilegio esclusivo dell’alta nobiltà, fu trasformata in una istituzione di comune diritto civile, di cui fece abbondante uso la ‘borghesia’, che poté fondare “mayorazgos cortos sobre rentas en juros o  



















































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parte di chiunque, di fondare dei mayorazgos permise “el acceso a la nobleza a familias enriquecidas”, perché accumulare “bienes inalienables para los descendientes significaba asegurarles medios materiales para « vivir noblemente »”. 225 La corruzione dei funzionari delle varie istituzioni rendeva possibili manipolazioni e falsificazioni di vario tipo. La manipolazione dei padrones concejiles, le liste municipali dei contribuenti, permetteva, per esempio, al borghese o plebeo arricchito, anche se di origine conversa, di introdursi nella hidalguía, mentre il vero hidalgo, se impoverito, aveva difficoltà a conservare la sua autentica hidalguía e spesso la perdeva per non poter affrontare i costosi pleitos de hidalguía presso la Real Chancillería di Valladolid o di Granada. 226 La falsificazione di documenti municipali trasformava così le famiglie di mercanti in famiglie di señores o di ricos homes. 227 In ultima analisi erano pur sempre i municipi che creavano gli hidalgos. I processi davanti alla Regia Cancelleria di Valladolid o di Granada, anch’essi manipolabili, 228 avevano infatti solo luogo se il Concejo di una località si rifiutava  











pequeños patrimonios” ( José María Font : « Mayorazgos ». In : Diccionario de Historia de España. Dirigido per Germán Bleiberg. II : F/M. Madrid : Alianza 1981, pp. 979-980). Sulle disposizioni delle Leggi di Toro relative al maggiorasco, cfr. Manuel Bermejo Castrillo : Las Leyes de Toro y la regulación de las relaciones familiares, pp. 522-548 (« Institucionalización legal del mayorazgo »). Sul maggiorasco come importante fattore di mobilità sociale, cfr. Enrique Soria Mesa : El cambio inmóvil. Transformaciones y permanencias en una élite de poder (Córdoba, SS. XVI-XIX), pp. 114-116. – Enrique Soria Mesa : La nobleza en la España moderna, pp. 230-233. Le Cortes di Madrid del 1551 (Petición 106) fecero presente al Re che, dato il permesso indiscriminato di vincolare il patrimonio, fondavano “mayorazgos cortos personas de calidad inferior y no muy gruesa hacienda, en perjuicio de los otros hijos y de la república”. Ma la loro richiesta di concedere la facoltà di istituire maggioraschi solo “á personas calificadas y prévia informacion de su caudal”, non fu accolta dal Monarca. Cfr. D. Francisco de Cárdenas : Ensayo sobre la historia de la propiedad territorial en España. Tom. II, p. 139. Molte notizie su maggioraschi fondati da ‘borghesi’ si trovano in queste due opere : Ángel González Palencia : Mayorazgos españoles (= Biblioteca histórica y genealógica, 1). Madrid : E. Maestre, Editor 1929. – Luis García Cubero : Las alegaciones en derecho (Porcones) de la Biblioteca Nacional. Tocantes a mayorazgos, vínculos, hidalguías, genealogías y títulos nobiliarios. Con un índice de personas, geográfico y de títulos nobiliarios. Madrid : Biblioteca Nacional 2004. M. González de Cellorigo (Memorial de la politica necessaria, y vtil restauracion à la Republica de España, fo. 57v-58v) indicava nella diffusione eccessiva della fondazione di mayorazgos una delle cause maggiori della crisi economica. Consigliava pertanto a Filippo III di proibire l’istituzione di mayorazgos alla gente comune. La loro concessione era da limitarsi unicamente alle persone di illustre lignaggio e di grande ricchezza, perché “mayorazgo es dignidad”. E, chiedeva, “que dignidad puede tener, el que no la teniendo ni en linage ni en hazienda, leuanta los humos à lo que por ningun camino no puede sustentar” ? 225   I. Atienza Hernández : Aristocracía, poder y riqueza en la España moderna, pp. 29-34. Si veda – per esempio – la storia dell’ascesa sociale (ricchezza, fondazione di un maggiorasco, hábitos di Ordini Militari, rapida integrazione nella hidalguía de sangre, alleanze matrimoniali con famiglie illustri) della famiglia di Johannes Jedler (Gelder) – cassiere, poi fattore dei Fugger, giunto nella città di Almagro verso la metà del XVI secolo –, illustrata da Dámaso Alonso : En torno a Góngora : quién era doña Francisca Gelder. In : Homenaje a Don Ramón Carande. Madrid : Sociedad de Estudios y Publicaciones 1963, I, pp. 3-19. Sulla nobilitazione di ‘fattori’ dei Fugger cfr. C. Collonge : Les Allemands dans l’Espagne du XVIème siècle. In : Les langues néolatines 59 (1965), 1-22 ; qui pp. 5-6. 226   Cfr. A. Domínguez Ortiz : La sociedad española en el siglo XVII. Tomo I, pp. 172-180. – N. Salomon : La campagne de Nouvelle Castille à la fin du XVIe siècle d’après les Relaciones topográficas, pp. 298-301. – MarieClaude Gerbet - Janine Fayard : Fermeture de la noblesse et pureté de sang dans les concejos de Castille au XVème [XVIème !] siècle : à travers les procès d’hidalguía, p. 465, pp. 471-472. 227   Scrive Yolanda Guerrero Navarrete (Elites urbanas en el siglo XV : Burgos y Cuenca, p. 89) : “En Burgos es habitual que en la segunda mitad del siglo XVI se manipulen los documentos del Cuatrocientos pertenecientes a ciertas familias, tachando del título mercaderes regidores que precede a algunos apellidos la primera palabra y sustituyéndola, con caligrafía diferente, por adjetivos como señor o rico ome. En Cuenca el año 1536 da inicio a una reforma muy significativa del padrón de hidalgos que busca en última instancia el definitivo cumplimiento de la permanente aspiración del grupo dirigente : la sanción de su condición de hombres honorables, honrados, nobles. Sin duda, el carácter converso, mayoritario en ambas elites [de Burgos y Cuenca], tiene mucho que ver en este anhelado blanqueo de imagen”. 228   Scrive Enrique Soria Mesa a proposito della Real Chancillería di Granada : “los cargos menores de la Chancillería (escribanos, procuradores, receptores), todos enajenados por la Corona a favor de particulares, podían  





































































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di riconoscere l’hidalguía di una famiglia. Se il Concejo non si rifiutava di riconoscerla, la hidalguía del pretendente era ammessa senza altra verifica. Questo apriva le porte, ovviamente, “à tous les abus”, a tutte le usurpazioni 229 e a tutte le falsificazioni, 230 compresa la falsificazione delle patenti regie di nobiltà, come dimostrano i pleitos de hidalguía. 231 La falsificazione delle genealogie, sorretta dalla ricchezza e da una solida rete di relazioni sociali, 232 rendeva facile, oltre al riconoscimento dello status di hidalgo da parte dei Consigli Municipali, anche il conseguimento di familiaturas dell’Inquisizione 233 (un eloquente indicatore della vastità delle pratiche di corruzione : un certo Francisco de Parraga Vargas, giunto povero, verso il 1620, alla Città Imperiale per assumere la “secretaría de pretendientes” del Tribunale della Inquisizione di Toledo, che si occupava non solo delle familiaturas, ma anche di “peticiones para hábitos de la Órdenes Militares”, 234 possedeva vent’anni dopo – sebbene il suo stipendio annuale di segretario fosse di soli 250 ducati – 40.000 ducati e importanti proprietà fondiarie ! 235). Anche in un baluardo della limpieza, come il Colegio de San Bartolomé di Salamanca, si poteva entrare, nonostante le origini ‘impure’, se si falsificava le genealogie e si godeva di forti appoggi ! 236 E lo stesso avveniva nel Colegio de San Ildefonso di Alcalá de Henares 237 o  













   

   



intervenir de múltiples formas para condicionar el resultado de un pleito, por cuantioso que éste fuera ; para obtener sentencia favorable en un proceso de Hidalguía ; para incluso robar y destruir pruebas documentales, aprovechando cualquier descuido de los archiveros, en muchos casos sobornados” (Burocracia y conversos. La Real Chancillería de Granada en los siglos XVI y XVII, p. 110). 229   N. Salomon (La campagne de Nouvelle Castille à la fin du XVIe siècle d’après les Relaciones topográficas, pp. 293-294) ha fatto un tentativo – sulla base delle Relaciones topográficas – di determinare la percentuale delle usurpazioni di hidalguía intorno al 1575. Queste le sue stime : nella provincia di Cuenca le hidalguías usurpate erano 141 su 685, nella provincia di Toledo 40 su 930, nella provincia di Madrid 20 su 213, nella provincia di Ciudad-Real 60 su 560. 230   J. Fayard : Les membres du Conseil de Castille à l’époque moderne (1621-1746), pp. 197-199. 231   Cfr. Richard L. Kagan : Pleitos y pleitantes en Castilla, 1500-1700, pp. 125-126. 232   Sulla pratica, universale, della falsificazione delle genealogie e sui mezzi usati per costruire la documentazione ad hoc e per corrompere, ricattare e impaurire i testimoni, gli escribanos e gli incaricati delle informazioni, cfr. F. M. Burgos Esteban : Los Estatutos de limpiezas y sus pruebas en el siglo XVII, pp. 366-374. – Enrique Soria Mesa : Genealogía y poder. Invención de la memoria y ascenso social en la España moderna, pp. 21-55. – Enrique Soria Mesa : La nobleza en la España moderna. Cambio y continuidad, pp. 300-317. 233   Illuminante è il caso della famiglia toledana López de Tapia, illustrato da Jaime Contreras Contreras. Il mercante converso Pedro López de Tapia, fondatore di una prolifica dinastia di jurados di grande influenza, non riuscì ad ottenere la familiatura del Tribunal del Santo Oficio Toledano che aveva sollecitato, senza però sviluppare la necessaria strategia di corruzione degli ufficiali della Inquisizione e di interventi di persone influenti. E non solo non conseguì la familiatura, ma le prove di informazione genealogica rivelarono inequivocabilmente la sua origine ebraica. I figli, piú accorti del padre, ottennero oltre alla familiatura anche la hidalguía ! Cfr. J. Contreras Contreras : Limpieza de sangre, cambio social y manipulación de la memoria, pp. 93-95. 234   Cfr. J. Contreras Contreras : Limpieza de sangre, cambio social y manipulación de la memoria, p. 97. 235   Cfr. J.-P. Dedieu : Limpieza, pouvoir et richesse. Conditions d’entrée dans le corps des ministres de l’Inquisition. Tribunal de Tolède – XVIe-XVIIe siècles, p. 185. La corruzione connessa alle prove genealogiche non era naturalmente limitata al Tribunale della Inquisizione di Toledo. È documentato, per esempio, come anche alcuni inquisitori e segretari del Tribunale del Santo Ufficio di Siviglia, incaricati delle inchieste genealogiche, estorcessero denaro a coloro che necessitavano un attestato di limpieza de sangre. Cfr. Michel Boeglin : L’Inquisition espagnole au lendemain du concile de Trente. Le tribunal du Saint-Office de Séville (1560-1700), pp. 117-124. Sul ruolo degli ufficiali e segretari della Inquisizione nelle informazioni genealogiche cfr. J. Contreras Contreras : Limpieza de sangre, cambio social y manipulación de la memoria, pp. 96-98. 236   R. Sáez : Aperçus sur les parentés réelles et sur les parentés fictives en Espagne aux XVIe et XVIIe siècles, à travers les archives ecclésiastiques de l’Archevêché de Tolède, p. 17. Cfr. anche Julio Caro Baroja : Los Judíos en la España Moderna y Contemporánea. Tomo II, p. 228. Già nel Discurso sobre algunos Linages de Castilla, Aragon, Portugal y Navarra. Dado a la Magd. Catholica de Phe. III.° [II.°] Por el Cardenal Don Franco. De Mendoza y Bobadilla (Madrid, Biblioteca Nacional : Mss. 7061), si osservava che nel Colegio de San Bartolomé de Salamanca, come in altri Collegi, “ha avido muchos confesos” (fo. 36r). 237   Per volontà del cardinale Cisneros entrò, per esempio, come collegiale nel Colegio de San Ildefonso Juan de Vergara nel 1514, che già prima (1509-1512) vi era stato come familiar. Anche i familiares e i cappellani dovevano  

































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nel Colegio de San Clemente di Bologna. 238 Fu proprio “el enorme fraude genealógico que caracterizó a la España Moderna” – ha dimostrato Enrique Soria Mesa in vari suoi lavori – a rendere il sistema sociale permeabile e flessibile e a permettere “a los grupos en ascenso apropiarse de las señas de identidad nobiliarias (apellidos, tratamientos, estilo de vida...)”. 239 Questo storico, attualmente il piú profondo conoscitore della storia della nobiltà e delle élites municipali, dopo aver affermato che l’ascesa sociale è “uno de los elementos de mayor trascendencia de todos los que caracterizaron a la sociedad moderna [española]”, continua cosí :  





A medida que pasan los años y con ellos llegan nuevas lecturas metodológicas, aumentando a la vez la consulta de la ingente documentación inédita, cada vez parece más claro que la aparente inmovilidad que presidía la sociedad de los siglos XVI al XVIII fue sólo una cortina de humo. Tan sólo una apariencia que se vio en realidad sistemáticamente vulnerada por los efectos demoledores del dinero. La riqueza, como no podía ser menos, se convirtió en el eje sobre el que giraban casi todos los procesos sociales y políticos de la época. No fue el único elemento, ni mucho menos, que conformó el sistema, pero sí fue uno de los principales y tuvo mucha más importancia de la que tradicionalmente se ha venido admitiendo. 240  

La mobilità verticale (mobilità ascendente o discendente) è ovviamente correlata con tutta una serie di altri fenomeni collegati ai complessi processi – primari e secondari – di trasformazione della società. Ecco i piú importanti :  

a) Mobilità geografica, urbanizzazione (con concomitante aumento del proletariato e del numero di emarginati, di ‘sradicati’, di vagabondi e di criminali). 241  

essere cristianos viejos nei Colegios Mayores, come ricorda l’Arcivescovo Silíceo. Cfr. Estatvto de la S.ta Iglesia de Toledo. Relacion de lo que pasó al hacer el Estatuto de Limpieza que tiene la Santa Iglesia de Toledo para los que han de ser Prevendados en ella, el qual se hizo siendo Arzobispo D.n Juan Martinez Siliceo, Año de 1547 (Madrid : Biblioteca Nacional, Ms. 13038), fo. 12v-13r. 238   Cfr. Baltasar Cuart Moner : Colegiales Mayores y limpieza de sangre durante la Edad Moderna. El estatuto de S. Clemente de Bolonia (ss. XV-XIX). Salamanca : Ediciones Universidad de Salamanca 1991 (= Acta Salmanticensia. Estudios históricos y geográficos, 78), pp. 7-9. 239   Enrique Soria Mesa : La nobleza en la España moderna, p. 143 (cfr. inoltre le pp. 294-300 e 300-317, contenenti i sottocapitoli intitolati « La falsedad documental » e « La Genealogía, un fraude sistemático »). – Enrique Soria Mesa : La venta de señoríos en el Reino de Granada bajo los Austrias, pp. 53-70. – Enrique Soria Mesa : Genealogía y poder. Invención de la memoria y ascenso social en la España moderna, p. 34. – Enrique Soria Mesa : El cambio inmóvil. Transformaciones y permanencias en una élite de poder (Córdoba, SS. XVI-XIX). 240   Enrique Soria Mesa : La nobleza en la España moderna. Cambio y continuidad, p. 213. 241   Cfr. Damasio de Frías : Diálogo en alabança de Valladolid , p. 28 (i centri urbani cresciuti rapidamente, come Madrid, erano affollati di “gente vil, sieruos y moços y solteros, sin tener propia casa ni raiz en el lugar donde viven”). – Eugenio de Salazar : Carta a vn hidalgo, amigo del author, llamado Juan de Castejón, en que se trata de la Corte. In : E. de S. : Cartas. Madrid 1966, p. 16 (a Toledo risiede una moltitudine di “bellacos, perdidos, façinoroso, homiçidas, ladrones, capeadores, tahures, fulleros, engañadores, embaucadores, aduladores, regatones, falsarios, rufianes, pícaros, bagamundos y otros malhechores”). – Cristóbal Pérez de Herrera : Amparo de pobres (1598), p. 110 (“en toda España hay más de ciento y cincuenta mil [vagabundos], entre hombres y mujeres”). – M. González de Cellorigo : Memorial de la politica necessaria, y vtil restauracion à la Republica de España, fo. 23v-24r. – Pedro de León S. I. : Grandeza y miseria en Andalucia. Testimonio de una encrucijada histórica (1578-1616). Edición, introducción y notas de Pedro Herrera Puga S. I. Según el ms. de la Universidad de Granada. Prólogo de Antonio Domínguez Ortiz (= Biblioteca Teológica Granadina, 20). Granada : Facultad de Teología 1981 (v. in partic. pp. 394-600). – Cristóbal de Chaves : Relación de la Cárcel de Sevilla. In : César Hernández Alonso - Beatriz Sanz Alonso : Germanía y sociedad en los Siglos de Oro. La cárcel de Sevilla (= Lingüística y Filología, 38). Valladolid : Universidad de Valladolid 1999, pp. 225-316. – P. Fernández Navarrete : Conservación de Monarquías y Discursos Políticos (1626), pp. 85-89. – Diego de Colmenares : Historia de la Insigne Ciudad de Segovia y Compendio de las Historias de Castilla (1637). Nueva edición anotada. II, p. 180, p. 183 (a Segovia si era insediata “gente advenediza, inquieta, atraída de la facilidad de los oficios de la lana” ;  





















































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b) Trionfo della economia monetaria e inflazione dei prezzi, causa di impoverimento e di conseguente emarginazione di vasti gruppi di persone che vivevano di rendite fisse. c) Sviluppo di forme capitalistiche di organizzazione (e sfruttamento) del lavoro nella industria tessile, sottoposta alla egemonia finanziaria e commerciale dei mercanti, trasformatisi in impresari industriali, con conseguente crisi del sistema corporativo e dei suoi ideali di equilibrio e di equità e connessa, progressiva proletarizzazione di un crescente numero di artigiani e di lavoratori (lo stesso avviene nella industria della ceramica, del sapone, della passamaneria, del cordame, delle costruzioni navali e di altre industrie). 242  

d) Trasformazione della statica società degli ‘ordini’ (sacerdoti, guerrieri, agricoltori) e dei ‘ruoli’ ascritti, accettati come voluti dal disegno provvidenziale di Dio, in una dinamica e fluida società, caratterizzata da quella confusione di “clases y jerarquías” lamentata da Pedro Fernández Navarrete. 243 In questa dinamica e fluida società la ricchezza – il potere del denaro, il “dinerismo” 244 –, comunque acquisita, costituisce il fondamento dell’ascesa di individui e di famiglie 245 e determina la stratificazione sociale, 246 formata, sostanzialmente, da due sole classi : quella dei “ricchi” e quella dei “poveri”. 247 Anche  











“gente sin raíz”). Cfr. inoltre Carmelo Viñas y Mey : Notas sobre la estructura social-demográfica del Madrid de los Austrias. In : Revista de la Universidad de Madrid 4 (1955), 461-496 ; qui pp. 493-496. – M. Cavillac : « Introducción » a : Cristóbal Pérez de Herrera : Amparo de pobres, p. LXXXV, p. LXXXVIII, p. CXXXII, pp. CXXXVIICXL, pp. CLVIII-CLIX. – I. A. A. Thompson : A Map of Crime in Sixteenth-Century Spain. In : The Economic History Review 21 (1968), 244-267. – José Antonio Maravall : La literatura picaresca desde la historia social, pp. 698-762. – Ángel Alloza : La vara quebrada de la justicia. Un estudio histórico sobre la delincuencia madrileña entre los siglos XVI y XVIII. Madrid : Catarata 2000. 242   Cfr. R. Carande : Carlos V y sus banqueros. Tomo I, pp. 168-207. – Antonio Domínguez Ortiz : Orto y ocaso de Sevilla, pp. 13-28. – J. I. Fortea Pérez : Córdoba en el siglo XVI. Las bases demográficas y económicas de una expansión urbana, pp. 37-47, pp. 335-394, p. 474. 243   Pedro Fernández Navarrete : Conservación de Monarquías y Discursos Políticos (1626), p. 307. 244   Francisco de Quevedo : L’heure de tous et la fortune raisonnable – La hora de todos y la fortuna con seso, p. 326. 245   “La riqueza conseguida con el comercio, el préstamo y la usura, con la especulación con el grano, con el arrendamiento de rentas, incluso con el trabajo honrado y las inversiones afortunadas, fue la plataforma desde la que miles de familias desplegaron sus estrategias ascensionales en el Antiguo Régimen. La posesión de un destacado nivel de fortuna solía servir de empuje previo, de necesario catalizador para obtener el éxito social” (Enrique Soria Mesa : La nobleza en la España moderna. Cambio y continuidad. Madrid : Marcial Pons Historia 2007, p. 215). 246   L’onnipotenza del denaro era considerata da Pedro Fernández Navarrete una delle cause della decadenza della Monarchia : “[…] donde las riquezas se prefieren a las demás partes, es forzoso queden postradas la nobleza, las letras, el valor y la industria, originándose de ello la ruina de los reinos ; porque si los hombres vieren que el ser ricos los hace capaces de los puestos, y que con eso serán adelantados a los que no tienen tantas riquezas, pondrán la proa en acumularlas, para que les abran las puertas a los honores y magistrados. De que resultará andar la virtud arrastrada, las letras desestimadas, el valor abatido, y la nobleza hollada” (Conservación de Monarquías y Discursos Políticos, p. 234). 247   Secondo M. González de Cellorigo, indebolitosi fortemente e quasi sparito il ceto medio, la struttura sociale è costituita da due sole componenti : i “ricos” e i “pobres” (Memorial de la politica necessaria, y vtil restauracion à la Republica de España, fo. 56r-v). Anche per Miguel de Giginta (Tratado de remedio de pobres, pp. 155-157) i gruppi sociali sono praticamente solo due : quello dei ricchi e quello dei poveri. Cfr. inoltre le numerose dichiarazioni sulla esistenza di due unici lignaggi, il “tener” e il “no tener”, ricordate nelle pagine precedenti. José Antonio Maravall ha scritto : “desde los últimos tiempos medievales se inicia una transformación del régimen de estratificación social que abandona el anacrónico criterio funcional tripartito, remplazado por un principio dicotómico fondamental, en el que el acento no se pone en la idea de función, sino en la posesión de riqueza o en el poder que de ella deriva” (Estado moderno y mentalidad social. Tomo II, p. 14 ; cfr. inoltre le pp. 37-43, 57-94). Sulla “polarización ricos-pobres” si veda inoltre il capitolo che José Antonio Maravall ha dedicato  



















































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il prestigio sociale e lo stesso ‘onore’ dipendono – in questa dinamica e fluida società, nella quale ognuno cerca di valer más 248 e di cambiare di ‘stato’ e di condizione 249 – dalla quantità di denaro e di case e terreni posseduta 250 e sono commisurati all’uso e al ‘consumo’ di beni – soprattutto di quelli superflui, come le carrozze 251 –, al lusso e alla sua ostentazione. 252  









e) Dissoluzione dei vincoli parentali, comunitari e corporativi e dei valori tradizionali (carità, solidarietà, altruismo, fedeltà, lealtà, giustizia – “la virtud mas hidalga” e altruista, secondo l’autore della Pícara Justina 253–, umiltà, generosità, liberalità), connessi alla ‘famiglia’ patriarcale e alla rappresentazione della società come organismo e come comunità del corpo mistico di Cristo, nella quale ognuno aveva un ‘ruolo’ e una funzione ascritti.  

f) Formazione di una ‘moderna’ mentalità, che si manifesta nella comparsa di nuovi valori (‘avarizia’, egoismo, ‘libertà’ – come indipendenza da vincoli e legami personali a « La imagen dicotómica de la sociedad » nella sua ultima opera : La literatura picaresca desde la historia social (pp. 138-163). Sulla profonda trasformazione della società tradizionale operata dal denaro, già a partire dalla fine del XV secolo, cfr. infine Antonio Domínguez Ortiz : Orto y ocaso de Sevilla, p. 6. – Jacqueline Ferreras-Savoye : La Celestine, ou la crise de la société patriarcale. Paris : Ediciones Hispano-Americanas 1977, pp. 5-27, p. 71, pp. 113-122, pp. 143-144. – R. Konetzke : Entrepreneurial Activities of Spanish and Portuguese Noblemen in Medieval Times, p. 115. – José Antonio Maravall : La literatura picaresca desde la historia social, pp. 86-136. 248   Sulla evoluzione del concetto di valer más, fondato nel Medioevo sulla forza del lignaggio e del valore personale e nel XVI e XVII secolo sul potere del denaro, cfr. Julio Caro Baroja : Honor y vergüenza, pp. 86-109, pp. 121-122. 249   Cfr. M. González de Cellorigo : Memorial de la politica necessaria, y vtil restauracion à la Republica de España, fo. 1r, 4r-v, 12r-v, 15r-16v, 25r-v, 56r-57v, 62v-63v. – P. Fernández Navarrete : Conservación de Monarquías y Discursos Políticos (1626), pp. 251-310. Si vedano anche i documenti trascritti da Francisco Rodríguez Marín nel suo « Discurso preliminar » a : Rinconete y Cortadillo. Novela de Cervantes Saavedra. Edición crítica por F. R. M. Madrid : Tipografía de la « Revista de Archivos, Bibliotecas y Museos » 1920, pp. 9-232 ; qui pp. 34-68. 250   Già Fray Antonio de Guevara (Epístolas familiares I, p. 327) constatava : “el que es el mas rico, es el mas honrado, de manera que tanto valemos, quanto tenemos”. Dalla ricchezza dipendono “las honras el dia de oy”, aveva affermato, come sappiamo, J. Castillo de Bobadilla (Politica para Corregidores. Tomo I, Lib. I, Cap. XI, num. 24, p. 129). 251   Già nel 1570, nel Diálogo entre Laín Calvo y Nuño Rasura, si lamentava la diffusione dell’uso delle carrozze : “LAIN. Ya sabes en aquellos siglos dorados quanta verdad se trataba entre los hombres : no auia las traiciones tan a colmo, la auaricia tan rauiosa, ni semeja de mohatras, ni renouexos tan a montones, ni merchantes como agora. Cada çaparrastroso de ruin çepa se haçe a cada rincon reuendedor en suçios tratillos i mercançias, para de alli salir a llamarse Don. No auia las sacaliñas que ai agora, ni tanta locura en España, ni tales trajes tan costosos, locos y vanos entre hombres y mugeres, ni chirriones, ni galeras, ni coches en España sino solos los Reyes, y agora los veras a cada puerta de remendones, i mercaderuelos” (p. 161). Sulla introduzione in Castiglia dei coches e la loro rapida diffusione alla fine del XVI e all’inizio del XVII secolo, cfr. Alejandro López Álvarez : El coche en la sociedad cortesana. In : La Monarquía de Felipe II : La Casa del Rey. Directores : José Martínez Millán - Santiago Fernández Conti. Volumen I : Estudios. Madrid : Fundación Mapfre Tavera 2005, pp. 325-339. – Alejandro López Álvarez : Poder, lujo y conflicto en la Corte de los Austrias. Coches, carrozas y sillas de mano, 1550-1700 (= La Corte en Europa, vol. 1). Madrid : Ediciones Polifemo 2007, pp. 145-264. 252   Le “preeminencias de señor” – scrive Cristóbal Suárez de Figueroa (El pasajero II, p. 449) – sono “vinculadas en la exterioridad solamente”. Pertanto “es forzoso el desperdicio, en la gala, en la librea, en el presente”. Non c’è quindi da stupirsi se poi manca del necessario il signore che gode di “treinta o cuarenta mil de renta”, ma “ocupa toda la vida en comprar lo superfluo”. Sulla produzione e il consumo di beni di lusso cfr. Carmelo Viñas : Cuadro económico-social de la España de 1627-28, p. 719. – B. Bennassar : Consommation, investissements, mouvements de capitaux en Castille aux XVIe et XVIIe siècles, pp. 147-149, pp. 151-152. – José Antonio Maravall : La literatura picaresca desde la historia social, pp. 525-592. – J. C. Zofío Llorente : Gremios y artesanos en Madrid, 1550-1650. La sociedad del trabajo en una ciudad cortesana preindustrial, pp. 145-149. 253   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO SEGVNDO INTITVLADO LA PICARA Romera. En que se trata la jornada de Arenillas. CAPITVLO SEGVNDO DE LA Vigornia burlada. NVMERO SEGVNDO DEL parlamento loco », p. 165.  





































































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–, individualismo) e di nuovi comportamenti (improntati ad aggressività, competitività, conflittualità, volontà di ingannare, 254 cinismo, diffidenza, 255 dissimulazione, falsità e malizia 256) e nell’affiorare di una nuova sensibilità e della coscienza della precarietà della condizione umana (insicurezza, angoscia, pessimismo, crisi di identità, senso di solitudine e di abbandono, inquietitudine, amarezza esistenziale, percezione del mondo come mondo alla rovescia, come caos). 257  







254   “Toda cosa engaña y todos engañamos” (Mateo Alemán : Guzmán de Alfarache. Edición de F. Rico, pp. 508-509). 255   Diego Saavedra Fajardo afferma nella « Empresa 46 » : “ningun Enemigo mayor del Hombre, que el Hombre”. Cfr. Diego Saavedra Fajardo : Idea de un Príncipe político-cristiano representada en cien empresas. Murcia : Real Academia Alfonso X el Sabio 1994, p. 304. Nel Criticón si legge : “Maldito el hombre que confía en otro, y sea quien fuere.” Cfr. Baltasar Gracián : El Criticón. Edición crítica y comentada por M. Romera-Navarro. Tomo Segundo. Philadelphia : University of Pennsylvania Press 1939, p. 22. 256   “La malicia y mala inclinacion, es natural à todos los hombres”, aveva scritto, come sappiamo, Jerónimo Castillo de Bobadilla (Politica para Corregidores. Tomo I, Lib. II, Cap. XI, num. 1, p. 330). Della “mala inclinación de los hombres” è convinto Mateo Alemán (Guzmán de Alfarache. Edición de F. Rico, p. 693). Nella romanza Cantemos, señora musa, composta prima del 1592 ed attribuita a Góngora, si leggono questi versi : “Ya las mentiras se vsan / como valonas y calças, / y porque passan tormenta / ya las verdades amaynan ; / ya el trato llano se veda, / ya se establecen las trampas / como vínculo heredado / y blasón que está en sus armas ; / ya en los hombres la malicia / es como sangre heredada, / y en todos estados cunde, / en fin, como grande mancha”. Cfr. Luis de Góngora : Romances. III. Edición crítica de Antonio Carreira, pp. 213-219 ; qui pp. 216-217. Nell’Oráculo manual di Gracián si trova la celebre frase “Milicia es la vida del hombre contra la malicia del hombre”. Cfr. Baltasar Gracián : Oráculo manual y arte de prudencia. Edición facsímil (Huesca, Juan Nogués, 1647). Prólogo de Aurora Egido. Zaragoza : Institución “Fernando el Católico” 2001, fo. 7v-8r. Una analoga espressione di profondo pessimismo antropologico si trova nella Eufrosina : “a mayor destruição que o homem de sy tem he o mesmo outro homem” ( Jorge Ferreira de Vasconcellos : Comedia Eufrosina. Texto de la edición príncipe de 1555 con las variantes de 1561 y 1566. Edición de E. Asensio, p. 351 ; v. anche p. 276 : “de todo homem ha muyto que temer”). 257   Cfr. José Antonio Maravall : El mundo social de La Celestina, pp. 32-58, pp. 58-78, pp. 79-97, pp. 98-117, pp. 118133, pp. 162-184. – José Antonio Maravall : Saavedra Fajardo : moral acomodaticia y carácter conflictivo de la libertad (1971). In : J. A. M. : Estudios de historia del pensamiento español. Serie tercera. El Siglo del Barroco. Madrid : Ediciones Cultura Hispánica 1984, pp. 225-254. – José Antonio Maravall : Estado moderno y mentalidad social (Siglos XV a XVII). Tomo I, pp. 76-77, pp. 401-455 ; Tomo II, pp. 3-202. – José Antonio Maravall : Teatro y literatura en la sociedad barroca. Madrid : Seminarios y Ediciones, S. A. 1972, pp. 41-42. – José Antonio Maravall : La cultura del Barroco, pp. 50-68, pp. 182-186, pp. 250-266, pp. 314-316, pp. 360-362, pp. 376-382. – José Antonio Maravall : Utopía y contrautopía en el « Quijote ». Santiago de Compostela : Editorial Pico Sacro 1976, pp. 37-81. – Peter N. Dunn : The Spanish Picaresque Novel, pp. 141-142. – Eberhard Geisler : Geld bei Quevedo. Zur Identitätskrise der spanischen Feudalgesellschaft im frühen 17. Jahrhundert, pp. 120-122. – José Antonio Maravall : La literatura picaresca desde la historia social, pp. 86-137, pp. 282-293, pp. 593-638. La correlazione esistente fra la formazione di grandi centri urbani e l’affermazione della economia monetaria, da una parte, e, dall’altra, la Entwurzelung, lo sradicamento, l’aggressività, la distruzione dei valori tradizionali, la dissoluzione dei legami personali e la disgregazione della comunità operata dal denaro, la ‘conquista’ della libertà e della indipendenza individuale, accompagnate dal senso di solitudine e di abbandono, era stata acutamente messa in rilievo da Georg Simmel oltre un secolo fa. Cfr. Georg Simmel : Philosophie des Geldes. Leipzig : Verlag von Duncker & Humblot 1900, pp. 279-302, pp. 414-430. – Georg Simmel : Die Großstädte und das Geistesleben. In : Die Großstadt. Vorträge und Aufsätze zur Städteausstellung (= Jahrbuch der Gehe-Stiftung zu Dresden. Band IX). Dresden : v. Zahn & Jaensch 1903, pp. 187-206. Sull’antitesi società-comunità cfr. Ferdinand Tönnies : Gemeinschaft und Gesellschaft. Grundbegriffe der reinen Soziologie. Darmstadt : Wissenschaftliche Buchgesellschaft 1979 (1.ª ed. 1887). Sulla relazione esistente fra mobilità sociale e distruzione della comunità cfr. Peter Burke : Die Renaissance in Italien. Sozialgeschichte einer Kultur zwischen Tradition und Erfindung. Berlin : Klaus Wagenbach 1985, pp. 213-270. Sulla mobilità sociale, la sua teoria, la sua importanza come agente dei processi di trasformazione delle società e dei loro valori e su i suoi (negativi) effetti sul comportamento e le mentalità, cfr. Pitirim A. Sorokin : Social and Cultural Mobility. Glencoe, Illinois : The Free Press 1959 (1.ª ed. di Social Mobility. New York 1927), pp. 133-211, pp. 508-529. – Carlo Marletti : « Introduzione » a : Pitirim A. Sorokin : La dinamica sociale e culturale. A cura di C. M. Torino : UTET 1975 (1.ª ed. orig. : Social and Cultural Dynamics. New York 1937-1941, 4 voll.), pp. 9-67. – Seymour Martin Lipset y Hans L. Zetterberg : Movilidad vertical : una teoría de la movilidad social (1956). In : Clase, Status y Poder. Tomo III. Por Reinhard Bendix, Seymour M. Lipset. Presentado por Francisco Murillo Ferrol. Madrid : Euramerica, S. A. 1972, pp. 161-190. – Thomas Luckmann and Peter Berger : Social Mobility and Personal Identity. In : Archives Européennes de Sociologie 5 (1964), 331-344. – Karl Ulrich Mayer : Soziale Mobilität. In : E. R. Wiehn / K. U. Mayer : Soziale Schichtung und Mobilität. Eine kritische Einführung. München : C. H. Beck 1975, pp. 122-160. – John H.  



































































































































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Tuttavia la mobilità sociale, che è effetto, causa o concausa di molti dei fenomeni or ora menzionati, costituisce sicuramente l’indicatore piú significativo del processo globale di trasformazione di una società. Lo stesso problema delle difficoltà che incontravano talvolta i conversos nei loro tentativi di ascesa – il problema sul quale hanno concentrato la loro attenzione esclusiva quasi tutti gli studiosi della picaresca che, ignorando completamente sia la storia delle élites locali e nazionali, delle istituzioni e dei centri di potere (Inquisizione, Università, Colegios Mayores, Ordini Militari, Chiesa, Corte, esercito, burocrazia, ecc.), sia la funzione polemica dei testi di questo genere letterario, hanno considerato romanzi e novelle come testimonianze di una reale e generalizzata impossibilità dei convertiti di realizzare le loro aspirazioni al medro e alla nobilitazione –, non è, in ultima analisi, che uno degli aspetti del vasto fenomeno della mobilità sociale che ha caratterizzato la società spagnola del Siglo de Oro. Se i conversos avessero costituito un gruppo di emarginati privo di ogni possibilità e opportunità di ascesa sociale – simile, per esempio, a quello dei moriscos o degli zingari –, non sarebbe sorto il problema ! Invece è proprio la spettacolare ascesa sociale – resa possibile dal potere del denaro nella fluida società del XVI e XVII secolo – di moltissimi conversos, i quali rappresentavano in realtà un “puissant facteur de rupture de la société traditionnelle”, 258 a far nascere nelle persone danneggiate, impoverite o addirittura emarginate dai cambiamenti indotti dal capitalismo incipiente il risentimento e l’odio contro il gruppo emergente dei convertiti di origine ebraica e il desiderio di bloccare la sua ascesa.  



Integrazione sociale, assimilazione culturale e religiosa, amalgamazione biologica. Una società ‘aperta’. Dove tutto – o quasi tutto – si vende e si compra, dove era possibile “clarificar” il sangue “con el unguento aureo de las Yndias”, 259 dove “todo lo puede el dinero”, 260 dove “todo lo sujeta el dinero”, 261 dove “todo lo hace el dinero”, 262 non possono esistere insupera 







Goldthorpe : Social Mobility and Class Structure in Modern Britain. (In Collaboration with Catriona Leewellyn and Clive Payne.) Oxford : Clarendon Press 1980, pp. 1-37. – Anthony Heath : La mobilità sociale. Bologna : Il Mulino 1983 (1.ª ed. orig. : Social Mobility. London - Glasgow 1981), pp. 13-75. – Dominique Merllié : Les enquêtes de mobilité sociale. Paris : P. U. F. 1994, pp. 13-43. 258   Jacqueline Ferreras-Savoye : La Celestine, ou la crise de la société patriarcale, p. 38. 259   Luis Hurtado de Toledo : Memorial de algunas cosas notables que tiene la Imperial Ciudad de Toledo, p. 524. In una sua famosa Letrilla satírica (“Pícaros hay con ventura...”) scrive Quevedo : “Alguno vi que subía, / que no alcanzaba anteayer / ramo de quien descender, sino el de su picardía. / Y he visto sangre judía / hacerla el mucho caudal / (como papagayo real) / clara ya su vena oscura.” Cfr. Quevedo : Obra poética. Ed. de J. M. Blecua. Tomo II. Madrid : Castalia 1970, pp. 155-156, nro. 648. 260   Fernando de Rojas (y « Antiguo Autor ») : La Celestina. Tragicomedia de Calisto y Melibea. Edición y estudio de Francisco J. Lobera y Guillermo Serés, Paloma Díaz-Mas, Carlos Mota e Íñigo Ruiz Arzálluz, y Francisco Rico (= Biblioteca Clásica, 20). Barcelona : Crítica 2000, p. 102. – Gonzalo Correas : Vocabulario de refranes y frases proverbiales, p. 267. 261   Spiegando l’evoluzione del concetto di rico e di ricos homes, Sebastián de Covarrubias Orozco scriveva all’inizio del Seicento : “Hoy día se han alzado con este nombre de ricos los que tienen mucho dinero y hacienda, y éstos son los nobles y los caballeros, y los condes y duques, porque todo lo sujeta el dinero” (Tesoro de la Lengua Castellana. Madrid 1995, p. 866). Già nel 1450, dopo aver affermato che sarebbe cosa degna di lode “guardar la memoria de los nobles linajes” e lamentato che della genealogia “poca cura se faze en Castilla”, Fernán Pérez de Guzmán soggiungeva con amarezza : “a dizir verdad, es poco nesçesario, ca, en este tienpo, aquel es mas noble que es mas rico. Pues ¿para que cataremos el libro de los linajes, ca en la riqueza fallaremos la nobleza dellos ?” Cfr. Fernán Pérez de Guzmán : Generaciones y semblanzas. Edición, introducción y notas de J. Domínguez Bordona, p. 49. 262   D. Francisco Morovelli de Puebla, espertissimo conoscitore delle genealogie delle famiglie sivigliane,  









































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bili barriere sociali 263 e tantomeno ‘caste tibetane’, come hanno potuto sostenere certi studiosi, 264 sopravvalutando l’importanza e la reale efficacia degli Estatutos de limpieza  



quando fu ascoltato come testimone nel corso delle informazioni effettuate per concedere a Don Juan de Orozco y Ayala l’hábito di cavaliere dell’Ordine di Calatrava, dichiarò che a Siviglia erano senza numero le familiaturas della Inquisizione e gli hábitos degli Ordini militari ottenuti da discendenti di ebrei grazie, appunto, al potere assoluto del denaro : “El Consejo (de Ordenes Militares) sabe muy bien que crédito se puede dar a pruebas de familiares de Sevilla, porque sabe de hábitos que tiene detenidos allá de familiares aquí, donde todo lo hace el dinero. [...] Son aquí familiares y calificadores los confesos mas notorios, y mas de pocos años a esta parte, y los mismos inquisidores le han dicho muchas veces que estan llenos de judios y moros, y es fuerza que este testigo traiga a la memoria que aun en tiempos mas justificados estuvo el hábito de D. Alonso Berdugo empatado [detenido] siete años, con tener por la parte que se le empataba dos hábitos de Calatrava, muchas inquisiciones, mas de veinte familiaturas...”. Cfr. Madrid, Archivo Histórico Nacional, Ordenes Militares, Calatrava, expediente número 1.857, fol. 152v ; cit. da Antonio Domínguez Ortiz : Unas probanzas controvertidas. In : Les cultures ibériques en devenir. Essais publiés en hommage à la mémoire de Marcel Bataillon (18951977). Paris : Fondation Singer Polignac 1979, pp. 181-187 ; qui p. 184. Naturalmente Don Alonso Verdugo aveva ottenuto l’hábito di Santiago e, altrettanto naturalmente, Don Juan de Orozco y Ayala otterrà, nonostante l’avversa e circostanziata testimonianza di D. Francisco Morovelli de Puebla, quello di Calatrava. Su Francisco Morovelli, uno dei piú importanti e temuti linajudos di Siviglia, cfr. Ruth Pike : Linajudos and Conversos in Seville. Greed and Prejudice in Sixteenth- and Seventeenth-Century Spain (= American University Studies. Series IX : History, Vol. 195). Bern : Peter Lang 2000, p. 24, pp. 71-72, pp. 94-95, pp. 115-116, p. 152. L’erudizione genealogica di Francisco Morovelli è rivelata anche dalla « Carta que escribió D. Francisco Morovelli á Alonso López de Haro, donde se advierte de algunos puntos de enmienda en su Nobiliario » (Madrid, Biblioteca de la Real Academia de la Historia, Colección : Salazar y Castro, N. 34), riassunta da Cristóbal Pérez Pastor (Bibliografía Madrileña de los siglos XVI y XVII. Tomo III : 1621 al 1625, p. 97). Francisco Morovelli è soprattutto noto per il suo intervento nella polemica sul patrono di Spagna e aver scritto un pamphlet contro il Memorial por el patronato de Santiago (1628) di Quevedo. Cfr. Don Francisco Morovelli de Puebla defiende el Patronato de Santa Teresa de Jesús, Patrona Ilustrísima de España y responde a D. Francisco de Quevedo Villegas, caballero del hábito de Santiago ; a D. Francisco de Melgar, canónigo de la Doctoral de Sevilla y a otros que han escrito contra él (Málaga : Juan Renè 1628). In : Francisco de Quevedo y Villegas : Obras completas. Textos genuinos del autor, descubiertos, clasificados y anotados por Luis Astrana Marín. Edición crítica. Obras en verso. Madrid : Aguilar 1943, pp. 990-1024. 263   L. P. Wright (Las Órdenes Militares en la sociedad española de los siglos XVI y XVII, p. 52) osserva che “el poder del dinero era mucho más implacable que el de la nobleza y ciertamente no menos dominante en el seno de la sociedad española”. Enrique Soria Mesa (La venta de señoríos en el Reino de Granada bajo los Austrias, pp. 53-54) scrive : “La entrada en el estamento privilegiado de categorías paranobiliarias (como los caballeros de cuantía), el ennoblecimiento de mercaderes y otros plebeyos enriquecidos, el ascenso de los conversos de origen judío, son los síntomas más esclarecedores del cambio que se está produciendo en la composición de la nobleza. El factor dinero es el motor determinante de la permeabilidad social que caracteriza a la Modernidad. La tradicional visión del siglo XVII como un periodo de reacción aristocrática o de refeudalización, cuando menos de cierre nobiliario, ha distorsionado grandemente el verdadero carácter de esta centuria. Desde finales del siglo XVI y hasta, por lo menos, la mitad del XVII, numerosos individuos, familias y linajes procedentes de estratos inferiores progresaron hasta alcanzar la cima de la sociedad castellana. Para ello aprovecharon en su beneficio las necesidades financieras de la Corona, es decir, encabezaron las filas de los compradores de oficios, rentas, tierras, título y, por supuesto, señoríos.” 264   Cfr. Juan Ignacio Gutiérrez Nieto : La discriminación de los conversos y la tibetización de Castilla por Felipe II. In questo saggio Juan Ignacio Gutiérrez Nieto fa una breve esposizione delle critiche fatte da alcuni intellettuali – Felipe de la Torre (Institvcion de vn Rey Christiano. En Anvers, En casa de Martin Nucio, à la enseña de las dos Cigueñas. Año de 1556), Fr. Luis de Baltanás, Fr. Luis de León, P. Juan de Mariana, Luis de Ortiz, Salucio – agli Statuti di purezza e poi fonda tutta la sua teoria della “tibetizzazione” di Castiglia su : a) un passo, che egli cita dall’opera di A. A. Sicroff (Les controverses, p. 138 nota nro. 184), della Cédula Real indirizzata ai vassalli di Calatrava, di Alcántara e di Santiago, nel quale Filippo II fa questa osservazione : “Considerese, que por no haver tenido en Francia el advertencia que fuera justo tener en que los de la Generacion de Moros y Judios fueran conocidos y estubieran diferenciados de los demas Catholicos Cristianos Viejos han inficionado con sus herejias, todo aquel Reyno y de aqui se concluye, que todas las herejias que ha havido en Alemania Francia España las han sembrado descendientes de Judios como se ha visto y se ve cada dia En España.” [Mandato para que los basallos de la orden de Santiago juren en las Informaciones (24 de Abril de 1556). In : Estatvto de la S.ta Iglesia de Toledo, fo. 153v-159v, 159v-164r ; qui fo. 162v-164r] ; b) la conferma data dal Re allo Statuto della Cattedrale di Toledo voluto da Silíceo ; c) la Cédula Real y Estatuto que se presentó en el Ayuntamiento de la ciudad de Toledo el miércoles 27 de marzo de 1566, che abbiamo già avuto occasione di illustrare. Base documentaria ben  



















































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esigua e geograficamente poco rappresentativa per potervi costruire sopra la ‘tibetizzazione’ della Castiglia ! Lo studioso non sa, o non ricorda, che se è vero che Filippo II volle imporre all’Ayuntamiento di Toledo lo Statuto di purezza di sangue, è pur anche vero che lo stesso Re si rifiutò di generalizzarlo. Infatti non accolse la petizione presentata nell’aprile del 1570 dalle Cortes con la quale si chiedeva : “Que de aquí adelantes, a lo menos en las ciudades y villas que tienen voto en Corte, no pueda ser regidor ni tenga oficio con voto en el ayuntamiento ningún hombre que no sea hidalgo de sangre y limpio, ni ninguno que haya tenido tienda pública de trato y mercancía, vendiendo por menudo ni a la vara, ni aya sido oficial mecánico ni escribano ni procurador, aunque tenga las cualidades dichas” (Cortes de Córdoba de 1570, sesiones de 6 y 11 de abril. In : Actas de las Cortes de Castilla. III. 1863, p. 87 e p. 97 ; cit. da B. González Alonso : Sociedad urbana y gobierno municipal, p. 76). Richieste analoghe erano state presentate dalle Cortes già nel 1542 e nel 1566 e saranno reiterate ancora nel 1651. Il rifiuto di Filippo II prova chiaramente che non era mai stato possibile escludere dagli Ayuntamientos delle diciotto città con voto nelle Cortes i regidores e i jurados privi dei requisiti di purezza di sangue, hidalguía, ecc. È da ricordare inoltre che quando la Orden de San Juan de Jerusalén cominciò a esigere prove di nobiltà solide e ben fondate, suscitando le proteste di Burgos, città dove numerosissime erano le famiglie di mercanti conversos arricchitisi con il commercio della lana, Filippo II intervenne e impose all’Ordine di non essere piú rigoroso dell’Ordine di Santiago, alle cui procedure doveva attenersi (cfr. F. Márquez Villanueva : Investigaciones sobre Juan Álvarez Gato, p. 78. – F. Márquez Villanueva : El problema de los conversos : cuatro puntos cardinales, p. 59). Il 7 maggio 1566 Filippo II ordinava all’Università di Salamanca di lasciare in sospeso l’esecuzione dell’Estatuto de limpieza de sangre che pretendeva di introdurre (cfr. Luis Gil Fernández : Panorama social del Humanismo español, 1500-1800. Madrid : Alhambra 1981, p. 470). Quando a Murcia, negli anni 1557-1569, esplose un grave conflitto su questioni di limpieza de sangre ed eresia fra la oligarchia della città e l’Inquisizione, il Re preferí sconfessare l’operato del Tribunale della Fede, imporre il silenzio sui problemi di purezza di sangue e di eterodossia ed allearsi con i regidores, cristianos viejos o nuevos che fossero (cfr. Jaime Contreras : Sotos contra Riquelmes. Regidores, inquisidores y criptojudíos, pp. 271-357). Nel 1574 Filippo II vietò il progetto – sostenuto da un forte gruppo di nobili, dai procuratori delle “provincias de Castilla, León, Vizcaya, Navarra, Aragón, Valencia, Cataluña, Asturias y Galicia”, dalla Inquisizione e dalle “iglesias arçobispales de Toledo, Santiago, Sevilla, Çaragoça, Valencia, Tarragona y Granada” – di istituire la già ricordata “orden militar de Santa María de la Espada Blanca”, nella quale “habían de entrar ... solamente cristianos viejos limpios por riguroso examen” (Luis Cabrera de Córdoba : Historia de Felipe II, Rey de España. II, pp. 684-685). Fra i Consiglieri nominati da Filippo II vi erano vari discendenti della nota famiglia toledana conversa dei Toledo Zapata : Agustín Álvarez de Toledo (Consejo de Indias, 1589-1601) ; Gómez de Zapata (Consejo de Indias, 1560-1576 ; Vescovo di Cartagena, 15761582 ; Vescovo di Cuenca, 1583-1587) e suo nipote Francisco Zapata de Cisneros (Presidente del Consejo de Órdenes, 1581-1582, e poi del Consejo Real de Castilla, 1582-1591), creato Conte di Barajas dal Sovrano nel 1572 ; Rodrigo Zapata y Palafox (Consejo de Indias, 1590-1591). Sempre alla famiglia Toledo Zapata apparteneva Antonio Zapata, che Filippo II nominò prima Vescovo di Cádiz (1587) e poi di Pamplona. Segretari del Re furono due convertiti : Gonzalo Pérez e suo figlio Antonio Pérez. Cfr. José Martínez Millán - Carlos J. De Carlos Morales (Directores) : Felipe II (1527-1598). La configuración de la Monarquía Hispana, pp. 321-322 ; 514-518. – J. Goñi : « Zapata, Antonio ». In : Diccionario de historia eclesiástica de España. IV : S-Z. Madrid : C.S.I.C. 1975, pp. 2802-2805). Nel 1597 Filippo II nominò Vescovo di Córdoba Francisco de Reinoso, un sacerdote converso (cfr. H. Kamen : Felipe de España, pp. 329-330. – Henry Kamen : Cambio cultural en la sociedad del Siglo de oro. Cataluña y Castilla : siglos XVI-XVII. Madrid : siglo veintiuno editores 1998, p. 255). J. J. Gutiérrez Nieto, grande ammiratore di Américo Castro e seguace delle sue teorie, non solo tende a far credere che le disposizioni discriminatrici fossero generali, ma elude anche il problema della efficacia concreta delle disposizioni discriminatrici esistenti. Evidentemente gli è sconosciuta la diffusissima pratica della falsificazione delle genealogie, pratica oltremodo facilitata dalla ricordata mancanza di registri parrocchiali di battesimo (sino al 1563 e oltre) e di un registro di anagrafe civile (sino al XIX secolo) e dai procedimenti delle prove d’informazione, costituite unicamente dall’interrogatorio di testimoni, piú o meno informati, piú o meno obiettivi, piú o meno sinceri o corrotti. Ignota gli è anche la pratica della vendita delle regidurías e di altri uffici municipali. Se avesse studiato l’oligarchia municipale toledana degli anni 1566-1598, per verificare se l’esclusione dei conversos era veramente avvenuta (l’esclusione non fu realizzata, come abbiamo visto, neppure nella Cattedrale, nonostante lo Statuto di Silíceo) e se aveva creato “la España de castas filipina”, la sua tesi della “tibetizzazione” si sarebbe dissolta come nebbia al sole. L’Estatuto de limpieza de sangre, promulgato da Filippo II nel 1566 e confermato nel 1567, rimase “sin real éxito en la práctica”, come afferma il migliore conoscitore della oligarchia municipale toledana (F. J. Aranda Pérez : Poder y poderes en la Ciudad de Toledo. Gobierno, sociedad y oligarquías urbanas en la Edad Moderna, p. 178 ; cfr. anche Enrique Lorente Toledo : Gobierno y administración de la ciudad de Toledo y su término en la segunda mitad del siglo XVI. Toledo 1982, p. 18). Regidores di Toledo negli ultimi decenni del XVI secolo e nei primi del XVII furono, per esempio, Hernán Franco, Fernán Suárez Franco e Alonso Suárez Franco, della notissima famiglia conversa dei Franco, imparentata con le famiglie piú ricche e hidalgas della società toledana ; regidores furono anche Juan de Herrera e Pedro de Herrera, anch’essi convertiti di origine ebraica (cfr. J. Gómez-Menor : Cristianos nuevos y mercaderes de Toledo, p. 17, nota nro. 27, p. 41, p. 63). Fra il 1575 e il 1600 si ebbero ben 17 regidores di origine ebraica, mentre fra il 1550 e il 1575 erano stati 14 (cfr. F. J. Aranda Pérez :  







































































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de sangre – di portata, in ogni caso, molto limitata perché precludevano, come abbiamo già ricordato, unicamente il conseguimento di qualche distinzione e onorificenza, l’entrata in certe istituzioni private, come i Colegios Mayores di Salamanca e il Colegio de San Clemente di Bologna oppure la Cofradía del Real Hospital de Nuestra Señora Santa María de Esgueva di Valladolid e la Cofradía de la Caridad di Córdoba, 265 l’accesso ai Capitoli di alcune Chiese Cattedrali, come quelle di Toledo e di Córdoba, 266 e agli Ayuntamientos di  



Poder y poderes en la Ciudad de Toledo. Gobierno, sociedad y oligarquías urbanas en la Edad Moderna, p. 259). Ma chi possiede metafisiche verità aprioristiche e crede fermamente nelle sue ‘autorità’ (Américo Castro, Marcel Bataillon...) non vuole perdere tempo nella ricerca e nell’analisi (ahimé faticose !) di dati empirici e non vuole, soprattutto, rischiare di veder crollare le sue belle costruzioni ideologiche. Negli altri suoi saggi lo studioso ripete la sua tesi sull’encastamiento e continua a ritenere che la limpieza sia stata il fulcro della problematica sociale e culturale della Spagna del XVI secolo. Cfr. Juan Ignacio Gutiérrez Nieto : La estructura castizoestamental de la sociedad castellana del siglo XVI. In : Hispania. Revista Española de Historia. Madrid, Tomo XXXIII, Núm. 125, 1973, pp. 519-563. – Juan Ignacio Gutiérrez Nieto : Limpieza de sangre y antihidalguismo hacia 1600. In : Homenaje al Dr. D. Juan Reglà Campistol. Volumen I. Universidad de Valencia, Facultad de Filosofia y Letras 1975, pp. 497-514. – Juan Ignacio Gutiérrez Nieto : El proceso de encastamiento social de la Castilla del siglo XVI. La respuesta conversa. In : Congreso Internacional Teresiano. 4-7 Octubre, 1982. Volumen I. Edición dirigida por Teófanes Egido Martínez, Victor García de la Concha, Olegario González de Cardedal. Salamanca 1983, pp. 103-120. – Juan Ignacio Gutiérrez Nieto : Los humanistas castellanos ante la limpieza de sangre. Algunas manifestaciones. In : Homenaje a Américo Castro. Madrid : Universidad Complutense 1987, pp. 77-89. – Ignacio Gutiérrez Nieto : La limpieza de sangre. In : Instituciones de la España Moderna. 2 : Dogmatismo e intolerancia. Coordinado por Enrique Martínez Ruiz y Magdalena de Pazzis Pi. Madrid : Actas Editorial 1997, pp. 33-47. Sorprendentemente Juan Ignacio Gutiérrez Nieto (Limpieza de sangre y antihidalguismo hacia 1600, p. 512) riconosce che il XVI secolo spagnolo è caratterizzato da “una intensa movilidad social”, ma non si avvede che una società nella quale la mobilità sociale – geografica e verticale – è intensa, non può essere una “sociedad de castas”, che è tale proprio perché vi è totale assenza (e proibizione) di mobilità. Anche altri storici sono convinti che la società spagnola del Siglo de Oro sia una società di caste. Cosí, per esempio, Janine Fayard ritiene che in Ispagna la limpieza de sangre sia stata “l’un des facteurs responsables de la sclérose de l’économie du pays” e che abbia “façonné la société espagnole en une société de « castes »”. La studiosa pensa però che la limpieza de sangre non solo non abbia limitato “les possibilités d’ascension sociale”, ma che le abbia addirittura, in certi casi, favorite : “La promotion « labradora » en est un témoignage. En étant l’un des facteurs d’honorabilité à la portée de la grande masse de la nation, la limpieza de sangre a souvent facilité l’entrée des roturiers dans la noblesse”. Cfr. J. Fayard : Les membres du Conseil de Castille à l’époque moderne (1621-1746), p. 214. Claude Chauchadis considera gli Statuti di confraternite come un indicatore della chiusura della società spagnola (gli Statuti di infinità di clubs esclusivi documenterebbero allora la chiusura delle moderne società occidentali democratiche !), senza porsi, tra l’altro, neppure la domanda sulla loro efficacia (si pensi a Don Rodrigo Calderón e alla esclusivissima Cofradía del Real Hospital de Nuestra Señora Santa María de Esgueva di Valladolid). Cfr. Claude Chauchadis : Les modalités de la fermeture dans les confréries religieuses espagnoles (XVIe-XVIIIe siècle). In : Les sociétés fermées dans le monde ibérique (XVI-XVIIIe s.). Définitions et problématique (Collections de la Maison des Pays Ibériques, 29). Paris : C. N. R. S. 1986, pp. 83-105. 265   Questa antica e potente Confraternita, che aveva uno Statuto di purezza di sangue almeno dal 1566, aveva fama di effettuare delle rigorose informazioni di limpieza su coloro che desideravano entrarvi. L’analisi delle pruebas conservate smentisce però completamente questa fama di rigore e dimostra non solo che le informazioni erano molto superficiali, ma che per i pretendenti della città non si facevano interrogatori e che questi venivano sostituiti “por el informe escrito ... de unos cuantos cofrades de crédito” (Enrique Soria Mesa : El cambio inmóvil, pp. 142-144). 266   Dopo alcuni tentativi senza successo effettuati nel 1466, l’Estatuto de Limpieza de Sangre della Cattedrale di Córdoba fu approvato nel 1530 e confermato, pare da Roma nel 1555. Scopo dichiarato dello Statuto era naturalmente controllare se i pretendenti alle dignità e alle prebende erano di sangue ‘puro’, per impedire che discendenti di ebrei e di convertiti divenissero canonici o prebendari della Cattedrale. L’analisi delle pruebas relative al XVI e XVII secolo “demuestra la falsedad evidente de ese supuesto control de la sangre impura”. Infatti quando il pretendente appartiene alle famiglie della élite cordobese, “el proceso se reduce a una caricatura”, come rivela – per esempio – il caso di Góngora. Quando Don Francisco de Góngora, lo zio del grande poeta, rinunzia generosamente a favore del nipote alla ración posseduta nella Cattedrale, Don Luis de Góngora y Argote, “de conocida sangre conversa”, supera senza incontrare il minimo ostacolo, le “pruebas para ser racionero” (Enrique Soria Mesa : El cambio inmóvil, pp. 141-142). Sulle “pruebas de limpieza” superate da Góngora “sin dificultad alguna”, cfr. anche Dámaso Alonso : Obras completas. VII. Góngora y el gongorismo. Madrid : Editorial Gredo 1084, p. 44.  























































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alcune città (fra le 18 città con voto en Cortes : Toledo, 1566 ; Sevilla, 1566 ; Córdoba, 1568 ; Madrid, 1603 ; Toro, 1723 ; Jaén, 1730 ; Zamora, 1735 267) – e sottovalutando i fattori economici e, soprattutto, ignorando completamente la machiavelliana “verità effettuale delle cose”, quale si evince da una infinità di dati empirici. 268 (Sarebbe come se uno storico ricostruisse la vita quotidiana del XVI e XVII secolo fondandosi sulle pragmáticas. Quale reale efficacia avevano mai le proibizioni di impiegare certe forme di cortesia, 269 di “poner Coroneles 270 en los escudos de armas, de los sellos y reposteros”, 271 di servirsi di carrozze e di portantine, di fare sfoggio di sete, broccati, tele intessute d’oro o argento, ricami, guarnizioni preziose e gioielli, di usare argenterie, gualdrappe, arazzi, tappezzerie e torce di cera bianca ? 272 La proibizione, già ricordata, di stampare all’estero opere  



























267   Cfr. Enrique Soria Mesa : El cambio inmóvil. Transformaciones y permanencias en una élite de poder (Córdoba, SS. XVI-XIX), p. 135. Sull’efficacia dello Statuto di purezza di sangue e di nobiltà che l’esclusivissimo – in teoria – Ayuntamiento di Córdoba aveva chiesto a Filippo II e ottenuto con Real cédula nel 1568 per impedire che i pretendenti a una veinticuatría privi dei requisiti richiesti entrassero a farne parte, lo studioso scrive : “Una vez conocida por el consejo la pretensión se pone en marcha el mecanismo, que revela de inmediato el bastardeamiento de la concesión regia. Los testigos que han de declarar sobre la genealogía de cada pretendiente son muy pocos, sólo cinco personas, como media. Lo peor es que la mayoría de ellos eran los mismos regidores de Córdoba, que iban a informar sobre las calidades de personas de su inmediato círculo, parientes o amigos. Pero lo más sorprendente es la inane calidad de las probanzas. Los pocos folios que sobre cada veinticuatro se escribieron demuestran hasta qué punto fueron ridículas las investigaciones llevadas a cabo por los comisarios. [...] De todos aquellos veinticuatros de los que tengo constancia son conversos, ni uno sólo es molestado en sus pruebas con la más leve sospecha. Nadie dice nada, nadie recuerda nada. Un pacto de silencio cubre la ciudad. De lo mismo que los abuelos del candidato sean de origen hebraico, o simplemente que no se sepa de ellos nada por haber muerto hace mucho, ser foráneos o incluso extranjeros. De todos se dice son de buena casta y notoria nobleza. Si no fuera divertido sería grotesco” (pp. 137-138). Fra i casi ricordati dallo studioso, particolarmente significativo è il caso di Martín de los Ríos, entrato a far parte dell’Ayuntamiento di Córdoba nel 1578, e di suo fratello Pedro Venegas de los Ríos, anch’egli veinticuatro della città : “ambos regidores fueron hijos de otro Martín de los Ríos y de doña Leonor de Córdoba, hija de Gonzalo de Córdoba y de doña Beatriz de Baeza. Este, el abuelo materno, contador de los señores de Aguilar, fue procesado por el Santo Oficio en 1505 y 1533, y era hijo de Alonso de Córdoba y de Teresa Alvarez, condenados por la Inquisición. Su mujer, doña Beatriz, no se quedaba atrás en cuanto a parentescos conversos, pues era hija de Hernando de Baeza, veinticuatro que fue de Córdoba, relajado, hijo de condenados, y de Leonor de Molina, condenada por el Santo Oficio, hija de reconciliados” (p. 139). Questa è quella discriminazione dei conversos, quella chiusura, quella ‘tibetizzazione’ della società castigliana operata dagli Statuti municipali di purezza di sangue sulle quali tanto hanno fantasticato storici come Juan Ignacio Gutiérrez Nieto ! 268   A proposito del libro di Albert A. Sicroff su Les controverses des Statuts de pureté de sang, l’opera sulla quale si sono per lo piú basati gli studiosi di letteratura del Siglo de Oro ed alcuni storici superficiali, Enrique Soria Mesa scrive : “No se estudia, para nada, la realidad de los Estatutos de Limpieza de Sangre. Es decir, no se analiza el impacto real sobre la sociedad ; no se estudia, de ninguna forma, el grado de su cumplimiento ; no se profundiza para nada en la ingente documentación existente. De nuevo, la atemporal y absurda disyuntiva entre literatura y documentación de archivo como fuentes históricas” (El cambio inmóvil. Transformaciones y permanencias en una élite de poder, p. 128). 269   Luis Cabrera de Córdoba (Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 51) annota che non veniva rispettata “la premática de los títulos”. 270   Sui coroneles – o cimeras –, i cimieri, ornamenti degli elmi militari, divenuti figure araldiche poste sulla parte superiore dello scudo, cfr. Martín de Riquer : Heráldica castellana en tiempos de los Reyes Católicos, pp. 24-27. 271   Pragmatica, En que se da la orden y forma que se ha de tener y guardar, en los tratamientos y cortesias de palabra y por escrito : y en traer coroneles, y ponellos en qualquier partes y lugares. En Madrid, Por Pedro Madrigal, Año de 1586. Esta tassada a cinco marauedis el pliego. Vendese en casa de Blas de Robles, librero del Rey nuestro señor. – Pragmatica de tratamientos y cortesias, y se acrecientan las penas contra los transgresores de lo en ella contenido. En Madrid. Por Iuan de la Cuesta. Año de 1611. Vendese en casa de Francisco de Robles, librero del Rey nuestro Señor. 272   Pragmatica en qve se mandan guardar las vltimamente publicadas, sobre los tratamientos, y cortesias, y andar en coches, y en traer vestidos, y trajes, y labor de las sedas, con las declaraciones que aqui se refieren. En Madrid. Por Iuan de la Cuesta. Año de 1611. Vendese en casa de Francisco de Robles, librero del Rey nuestro Señor. – Pragmatica, y Nveva Orden, cerca de los vestidos, y trajes, assi de hombres, como de mugeres, y otras cosas,  

















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composte nei territori spagnoli, 273 fu forse rispettata ? La probizione giuridica del vagabondaggio e dell’accattonaggio 274 aveva fatto sparire vagabondi e mendicanti dalle città e dalle strade spagnole ? E le pragmáticas contro i giochi d’azzardo eliminarono giocatori e case da gioco ? 275 Erano messe in atto le numerose pragmáticas sul prezzo del grano, del pane e degli altri viveri ? 276 Era osservata la pragmática che proibiva ai mariti di prostituire le mogli ? 277 Ebbero un qualche risultato le innumerevoli disposizioni che – dalla Provisión Real del 5 maggio 1491 e dalla Pragmática de los cortijos del 15 luglio 1492 278 alla  





















que se mandan guardar. En Madrid Por Iuan de la Cuesta. Año de 1611. Vendese en casa de Francisco de Robles librero del Rey nuestro Señor. – Pragmatica en qve se da la forma, cerca de las personas que se prohibe andar en coches, y los que pueden andar en ellos, y como se ayan de hazer, y que sean de quatro cauallos. En Madrid Por Iuan de la Cuesta. Año de 1611. Vendese en casa de Francisco de Robles, librero del Rey nuestro Señor. – Pragmatica, y Nveva Orden, cerca de las colgaduras de casas, y hechura de joyas de oro, y piedras, y pieças de plata, y en la forma que se han de hazer, labrar, y traer, y otras cosas. En Madrid Por Iuan de la Cuesta. Año de 1611. Vendese en casa de Francisco de Robles, librero del Rey nuestro Señor. Luis Cabrera de Córdoba dopo aver esposto sinteticamente il contenuto di queste premáticas pubblicate il 5 gennaio 1611, conclude così : “para todo ponen grandes penas que se duda el guardar estas premáticas será mucha reformacion para la Córte” (Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 427). 273   Pragmatica para qve no se pvedan imprimir fuera destos Reynos las obras y libros que en ellos compusieren, o escriuieren, de qualquier facultad que sean. En Madrid, Por Iuan de la Cuesta. Año de 1610. Vendese en casa de Francisco de Robles, librero del Rey nuestro Señor. Sulla inefficacia di questa prammatica cfr. Fermín de los Reyes Gómez : El libro en España y América. Legislación y Censura (siglos XV-XVIII). I. Madrid : Arco/Libros 2000, pp. 272-285. 274   La Pragmatica que su Magestad manda que se imprima. Sobre los Vagamundos, Ladrones, Blasphemos, Rufianes, Testigos falsos, Inducidores, y Casados dos vezes, y otras cosas. Impressa en Alcala de Henares, en casa de Iuan de Villanueua. Año. M.D.LXVI. Vendense en casa de Alonso Gomez, Librero en corte. 275   Pragmatica y prouision real, contra los que jugaren a los dados, o los hazen, o los venden, o los hazen hazer o vender, y que las casas donde se jugaren o vendieren se confisquen para la camara de su Magestad. En Madrid, En casa de Alonso Gomez, Impressor de la Corte. Año, 1568. – Prematica para que lo dispuesto por las leyes contra los que jugaren, dados, bueltos, y carteta : se entienda y execute, contra los que jugaren los juegos que dizen del bolillo y trompico, palo o instrumento que tengan encuentros, o hazares, o reparos, y los tuuieren, vendieren, o hizieren, y dieren casa y tableros para los jugar. En Madrid, Por Tomas de Iunta. Año M.D.XCIIII. Vendese en la casa de la biuda de Blas y Robles, y Francisco de Robles su hijo, librero del Rey nuestro señor. 276   La Pragmatica que su Magestad mandó hazer ... sobre los precios que se a de vender en estos Reynos el pan, trigo, Ceuada, Centeno, Auena y Panizo. Impresso con privilegio. En Valladolid por Francisco Fernandez de Cordoua. 1558. – La Pragmatica qve su Magestad mandó hazer ... sobre los precios a que se ha de vender en estos reynos el pan, trigo, ceuada, centeno, auena y panizo. En Madrid En casa de Alonso Gomez Impressor de su Magestad. 1567. – Pragmatica y Prouision Real de su Magestad sobre el precio del pan en que se declara la pragmatica del año de cincuenta y ocho en lo que toca a como se ha de vender el trigo harina y pan cozido. Y la instrucion y orden que a cerca dello se da a las Justicias. En Madrid, por Alonso Gomez Impressor de su Magestad Catolica. Año. 1571. – Pragmatica en qve se svbe el precio del pan, y se acrecientan las penas contra los que lo vendieren a mas precio. Impressa en Madrid, con licencia, en casa de Francisco Sanchez, año. 1582 a costa de Blas de Robles mercader de libros. – Prematica que sv Magestad mandó pvblicar sobre la reformación de las causas de la carestía general en estos Reynos y moderación en los precios de las mercaderías y mantenimientos, salarios y jornales. En Madrid En la Imprenta Real Año M.DC.XXVII. – Prematica y ley que sv Magestad ha mandado promulgar, y que se guarde en razón de la tassa, y precio a que se ha de vender el trigo y ceuada. En Madrid Por la Viuda de Alonso Martín. Año M.DC.XXVIII. 277   Pragmatica y Declaracion sobre los que permiten que sus mugeres sean malas, se les da la pena que a los Rufianes. En Madrid, en casa de Alonso Gomez, Impressor de su Magestad. Año 1575. Il 29 agosto 1609 Luis Cabrera de Córdoba scriveva nella sua cronaca di Corte : “Trátase muy de veras de reformar de vicios esta Córte, y principalmente de mugeres que la tienen escandalizada con su mal vivir, debajo de ser casadas ; y así han echado de ella algunas con sus maridos y padres, y estos dias á tres alguaciles de Córte con sus mugeres, señalándoles tres ciudades donde esten, y que los corregidores no los dejen salir de ellas, sin órden de S. M., para que con este ejemplo se recojan las demas ; y tambien se hace lo mesmo con los vagamundos y tablajeros debajo de título de honrados” (Relaciones, p. 382). Evidentemente la Pragmática del 1575 era stata del tutto inefficace ! 278   Su queste disposizioni dei Re Cattolici e sulle analoghe disposizioni del 1525 e del 1539 emanate da Carlo V, cfr. J. I. Fortea Pérez : Córdoba en el siglo XVI. Las bases demográficas y económicas de una expansión urbana, pp. 446-449.  

















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Premática para que no se vendan tierras valdías del 1609 279 – proibivano l’usurpazione e la vendita dei baldíos ? Appena emanate, le premáticas venivano disattese o revocate ! 280) La Spagna era un paese in forte espansione, geografica – la conquista, colonizzazione e organizzazione amministrativa e militare di un immenso Impero, definito giustamente da Bartolomé Yun Casalilla “poderosísima maquinaria de promoción social”, 281 non potevano certamente essere realizzate da una società ‘chiusa’ ! 282 –, economica e demo 



   



   

279   Prematica para qve no se vendan tierras valdias, ni arboles, ni el fruto dellos, y se tenga el vso, y aprouechamiento conforme a las leyes, y ordenanças confirmadas. En Madrid, Por Iuan de la Cuesta. Año. 1609. Vendese en casa de Francisco de Robles librero del Rey nuestro Señor. 280   Il 10 novembre del 1609 fu pubblicata una Prematica para que ningvn natural destos Reynos, y residente en ellos, pueda sin licencia traer, ni vsar en publico, ni en secreto, ni recebir abito alguno militar de los que dan los Principes, y Señores de otros Reynos y Señorios (En Madrid, Por Iuan de la Cuesta, Año 1609. Vendese en casa de Francisco de Robles librero del Rey nuestro Señor). Il 13 marzo 1610 Luis Cabrera de Córdoba annotava nelle sue Relaciones (p. 401) : “Háse dado licencia á los que tenian hábitos dados por Príncipes de fuera de España, que los puedan traer”. Scriveva Pedro Fernández Navarrete : “Ha enseñado la experiencia que en España dura poquísimo tiempo la observancia de pragmáticas y leyes reformatorias ; porque cualquier hombre particular hace pundonor de contravenirlas, juzgando por acto positivo de nobleza el no sujetarse a leyes tan santas, ordenadas con acuerdo del más prudente, más docto y más grave senado del mundo : de que resulta ser menor el fruto que de ellas se consigue, que el daño de habituarse el pueblo a la transgresión de leyes justas” (Conservación de Monarquías y Discursos Políticos, p. 311). La inefficacia delle pragmáticas suntuarie era stata rilevata dal Consejo Real. Cfr. El Consejo Real a Felipe III, Madrid 1.° de febrero de 1619. Consulta hecha por el Consejo Real a Su Magestad sobre el remedio universal de los daños del Reino y reparo dellos, pp. 25-26. 281   Bartolomé Yun Casalilla : Mal avenidos, pero juntos. Corona y oligarquías urbanas en Castilla en el siglo XVI, p. 71. 282   Sull’accelerazione impressa dalla conquista dell’America, dove gli spagnoli fondarono e quindi amministrarono vicereami e centinaia di belle e razionali città, e delle Filippine alla mobilità geografica e sociale, cfr. Fray Tomás de Mercado : Suma de tratos y contratos (1569). Edición y estudio introductorio de Restituto Sierra Bravo, pp. 124-125. – Francisco A. de Icaza : Conquistadores y pobladores de Nueva España. Diccionario autobiográfico sacado de los textos originales. Madrid 1923, 2 voll. – R. Carande : Carlos V y sus banqueros. Tomo I, pp. 413-481. – Richard Konetzke : La formación de la nobleza en Indias. In : Estudios americanos. Revista de síntesis e interpretación 3 (1951), 329-357. – José Durand : La transformación social del Conquistador (= México y lo Mexicano, 16). México : Porrúa 1953. – Mario Góngora : Los grupos de conquistadores en Tierra Firme (1509-1530). Fisonomía histórico-social de un tipo de conquista. Santiago de Chile : Editorial Universitaria 1962. – Juan Friede : Los estamentos sociales en España y su contribución a la emigración a América. In : Revista de Indias, Madrid, XXVI, núms. 103-104 (1966), pp. 13-30. – Francisco Morales Padrón : Historia del descubrimiento y conquista de América. Cuarta edición. Madrid : Editora Nacional 1981, p. 349, pp. 360-363. – James Lockart : The Men of Cajamarca. A social and biographical Study of the First Conquerors of Peru. The University of Texas Press 1972. – David E. Vassberg : Concerning Pigs, the Pizarros, and the Agro-Pastoral Background of the Conquerors of Peru. In : Latin American Research Review 13 (1978), 47-61. – Carmen Gómez Pérez y Juan Marchena Fernández : Los señores de la guerra en la conquista. In : Anuario de Estudios Americanos, Sevilla, 42 (1985), 127-215. – Fernando Iwasaki Cauti : Conquistadores o grupos marginales. Dinámica social del proceso de conquista. In : Anuario de Estudios Americanos, Sevilla, 42 (1985), 217-242. – Eufemio Lorenzo Sanz : Los burgaleses en la Conquista, colonización y comercio con América en la época moderna. In : La Ciudad de Burgos. Actas del Congreso de Historia de Burgos. MC aniversario de la fundación de la Ciudad 884-1984. Valladolid : Junta de Castilla y León 1985, pp. 385-400. – Ricardo Cerezo Martínez : Las armadas de Felipe II, pp. 78-81. – José Durand : La Grandeza mexicana y el ennoblecimiento del mercader. In : Homenaje a Eugenio Asensio. Madrid : Gredos 1988, pp. 159-170. – Marie-Claude Gerbet : La nobleza en la Corona de Castilla. Sus estructuras sociales en Extremadura, 1454-1516, pp. 165-168. – Peter Bakewell : Mining in Colonial Spanish America. In : The Cambridge History of Latin America. Vol. II : Colonial Latin America. Ed. by Leslie Bethell. Cambridge : Cambridge University Press 1989, pp. 105-155. – Guillermo Lohmann Villena : Los americanos en las órdenes nobiliarias. Tomo I. 2.ª edición. Preámbulo de Francisco Solano. Madrid : C.S.I.C. 1993. – Luis Vicente Pelegri Pedrasa : América en Castuera. El impacto del Nuevo Mundo en una villa extremeña (Capítulo III, de Ángel David Martín). Ayuntamiento de Castuera. Diputación Provincial de Badajoz 1993. – J. A. Sánchez Belén : Colonos y militares : dos alternativas de promoción social, pp. 280-292. – Enrique Soria Mesa : La nobleza en la España moderna, p. 245. – Gregorio Salinero : Une ville entre deux mondes. Trujillo d’Espagne et les Indes au XVIe siècle. Pour une histoire de la mobilité à l’époque moderne (= Bibliothèque de la Casa de Velázquez, 34). Madrid : Casa de Velázquez 2006. La relazione tra conquiste coloniali e significativo aumento del tasso di mobilità sociale costituisce per la sociologia una verità incontrovertibile. William J. Goode scrive, per esempio, che quando “una nación compromete a muchos de sus hombres en aventuras coloniales, indudablemente la  

























































































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grafica ; 283 un paese capace di attuare – come la prima potenza marittima e la maggiore potenza europea, 284 quale era – una politica planetaria, dal Mediterraneo all’Oceano Atlantico, dall’Oceano Indiano all’Oceano Pacifico ; 285 un paese che sperimentò, prima di altre nazioni, “la crisis de la modernidad”, 286 una rapida trasformazione e i fenomeni nuovi connessi con il sorgere del capitalismo 287 e il ‘tesoro americano’ ; 288 un paese che possedeva il piú grande centro commerciale d’Europa, Siviglia, una città “where chances for enrichment through trade seemed endless and miracles of social mobility were being performed every day” 289 e dove numerose erano le donne capofamiglia dedite agli affari e ad attività imprenditoriali, commerciali ed artigianali ; 290 un paese piú ‘moderno’ e piú innovativo e avanzato degli altri paesi europei 291 in diversi ambiti (elevata alfabetizzazione 292    



   





   



   





movilidad es alta”. Cfr. William J. Goode : Familia y movilidad. In : Clase, Status y Poder. Tomo III. Por Reinhard Bendix, Seymour M. Lipset. Presentado por Francisco Murillo Ferrol. Madrid : Euramerica, S. A. 1972, pp. 213-264 ; qui p. 236. 283   L’espansione economica e demografica perdurò, nonostante alcune fasi di crisi, sino all’inizio del terzo decennio del XVII secolo. Cfr. Gonzalo Anes Álvarez : Las crisis agrarias en la España moderna, p. 92, p. 99. – Jordi Nadal Oller : La población española (siglos XVI a XX). – Bartolomé Bennassar : Consommation, investissements, mouvements de capitaux en Castille aux XVIe et XVIIe siècles, pp. 139-155. – José Antonio Maravall : La imagen de la sociedad expansiva en la conciencia castellana del siglo XVI. In : Mélanges en l’honneur de Fernand Braudel. Histoire économique du monde méditerranéen, 1450-1650. Toulouse : Edouard Privat 1973, pp. 368-388. 284   Geoffrey Parker : Spain, her Enemies and the Revolt of the Netherlands, 1559-1648. In : Past & Present, Number 49, 1970, pp. 72-95 ; qui p. 73. 285   Cfr. Andrew C. Hess : La batalla de Lepanto y su lugar en la historia del Mediterráneo. In : J. H. Elliott, Ed. : Poder y sociedad en la España de los Austrias. Barcelona : Editorial Crítica 1982, pp. 90-114. – Jonathan I. Israel : Un conflicto entre imperios : España y los Países Bajos, 1618-1648, pp. 145-197. – G. Parker : Spain, her Enemies and the Revolt of the Netherlands, 1559-1648, pp. 72-95. – Ricardo Cerezo Martínez : Las armadas de Felipe II, pp. 162-175, pp. 382-391, p. 417. – Francisco-Felipe Olesa Muñido : La Marina en el siglo XVI. In : Temas de Historia Militar. Tomo I. (Ponencias del Primer Congreso de Historia Militar – Zaragoza, 1982). Madrid : Servicio de Publicaciones del EME (Colección ADALID. Biblioteca del Pensamiento Militar) 1983, pp. 205-245. – José Alcalá-Zamora y Queipo de Llano : La Armada en la política exterior de Madrid : El siglo XVII. In : Temas de Historia Militar. Tomo I. (Ponencias del Primer Congreso de Historia Militar – Zaragoza, 1982.) Madrid : Servicio de Publicaciones del EME (Colección ADALID. Biblioteca del Pensamiento Militar) 1983, pp. 247-262. 286   José Antonio Maravall : Las Comunidades de Castilla. Una primera revolución moderna, p. 16. 287   Sull’esistenza del capitalismo e di forme di produzione capitalistiche in Castiglia, cfr. F. Ruiz Martín : Movimientos demográficos y económicos en el Reino de Granada durante la segunda mitad del siglo XVI. – Felipe Ruiz Martín : Rec. a : José Antonio Maravall : Las Comunidades de Castilla. Una primera revolución moderna. – B. Bennassar : Consommation, investissements, mouvements de capitaux en Castille aux XVIe et XVIIe siècles. 288   Sull’enorme quantità di oro e d’argento americani – secondo i dati ricavabili dai registri dei tesorieri della Casa de Contratación di Siviglia 181.333,180 kg. d’oro e 16.886.815,303 kg. d’argento affluirono in Ispagna fra il 1503 e il 1660 ; le cifre reali (soprattutto quelle relative all’oro), tenuto conto delle quantità contrabbandate, erano però indubbiamente molto superiori – traportata dalle flotte spagnole, cfr. Earl J. Hamilton : El tesoro americano y la revolución de los precios en España, 1501-1650, p. 55. – Peter J. Bakewell : Registered Silver Production in the Potosí District, 1550-1735. In : Jahrbuch für Geschichte von Staat, Wirtschaft und Gesellschaft Lateinamerikas 12 (1975), 67-103. – Eufemio Lorenzo Sanz : Comercio de España con América en la época de Felipe II, tom. I, p. 14 ; tom. II, pp. 145-146, p. 169, pp. 207-223, pp. 225-240, pp. 241-272. – Peter Bakewell : Mining in Colonial Spanish America, p. 141. 289   Ruth Pike : Aristocrats and Traders. Sevillian Society in the Sixteenth Century, p. 100. 290   Cfr. Jean Sentaurens : Seville dans la seconde moitié du XVIe siècle : population et structures sociales. Le recensement de 1561. In : Bulletin Hispanique 77 (1975), 321-390. – Mary Elizabeth Perry : Ni espada rota ni mujer que trota. Mujer y desorden social en la Sevilla del Siglo de Oro. Barcelona : Crítica. Grupo Grijalbo - Mondadori 1993, pp. 23-29. – Pedro Miralles Martínez : Isabel Sánchez : Mujer, viuda y comerciante. Un ejemplo de movilidad social en la Murcia del siglo XVII. In : Francisco Chacón, Xavier Roigé y Esteban Rodríguez Ocaña (eds.) : Familias y poderes. Actas del VII Congreso Internacional de la ADEH. Granada, 1-3 april 2004. Granada : Universidad de Granada 2006, pp. 29-44. 291   Cfr. J. A. Maravall : La imagen de la sociedad expansiva en la conciencia castellana del siglo XVI, p. 276. 292   Si intende, naturalmente, relativamente ad altre nazioni. Ancora intorno alla metà del XVII secolo vasti strati della popolazione della Spagna (proletariato urbano e rurale, per esempio) non sapevano leggere e scrivere. Cfr. Claude Larquié : L’alphabétisation à Madrid en 1650. In : Revue d’histoire moderne et contemporaine 28 (1981), 132-157.  













































































































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e grande numero di Ginnasi e Università 293 – entrambi importanti indicatori di una società ‘aperta’ 294 – ; rilevante produzione libraria in lingua ‘volgare’ ed ampia diffusione del libro e della lettura – in particolare delle opere di poesia e di narrativa – in vasti strati della popolazione ; 295 razionale organizzazione e precoce secolarizzazione dello Stato ; 296 organizzazione commerciale 297 e tecnica bancaria ; 298 ingegneria  





   

   



   

293   Cfr. Marie-Christine Rodriguez et Bartolomé Bennassar : Signatures et niveau culturel des témoins et accusés dans les procès d’inquisition du ressort du Tribunal de Tolède (1525-1817) et du ressort du Tribunal de Cordoue (1595-1632). In : Caravelle. Cahiers du monde hispanique et luso-brésilien 31 (1978), 17-46. – Bartolomé Bennassar : La España del Siglo de Oro, pp. 283-287, p. 321. – Sara T. Nalle : Literacy and Culture in Early Modern Castile. In : Past & Present, Num. 125, Nov. 1989, pp. 65-96. – Richard L. Kagan : Universidad y sociedad en la España moderna, pp. 47-116, pp. 244-245. Sul primato della Spagna sugli altri paesi europei “en materia de educación”, cfr. infine J. M. Pelorson : Aspectos ideológicos. In : La frustración de un Imperio (1476-1714). Barcelona : Labor 1982, pp. 261-285 ; qui p. 275. “Durante il Cinquecento” – ha scritto John H. Elliott – “si erano fondate università e creati collegi a getto continuo : dal 1516 erano sorte ventun nuove università e poi, nella sola Salamanca, erano stati aperti allora ben diciotto nuovi collegi” (La Spagna imperiale, p. 363). 294   Per dimostrare l’importanza del ruolo svolto dall’Università come promotrice della mobilità sociale è sufficiente ricordare un solo dato : negli anni Ottanta del XVI secolo per lo meno 1.000 dei 2.400 studenti dell’Università di Valladolid erano poveri. Una istituzione benefica come quella dei Niños de la Doctrina Cristiana raccoglieva bambini poveri e non solo li allevava, ma li istruiva anche, e i piú dotati per lo studio ricevevano una solida istruzione basata sul latino (questa avrebbe potuto aprire loro le porte dell’Università). Cfr. B. Bennassar : Valladolid en el Siglo de Oro, p. 344, p. 410. Sull’istruzione come importante fattore di promozione sociale cfr. Concepción Cárceles Laborde : Humanismo y educación en España (1450-1650), pp. 201-202. 295   Cfr. F. J. Norton : Printing in Spain, 1501-1520. With a Note on the Early Editions of the ‘Celestina’. Cambridge : The University Press 1966, pp. 126-137. – Maxime Chevalier : Lectura y lectores en la España de los siglos XVI y XVII. Madrid : Turner 1976, – Christian Péligry : Les difficultés de l’édition Castillane au XVIIe siècle à travers un document de l’époque. In : Mélanges de la Casa Velázquez 13 (1977), 257-284. – Bartolomé Bennassar : La España del Siglo de Oro, pp. 283-295, p. 321. – B. W. Ife : Reading and fiction in Golden-Age Spain. A Platonist critique and some picaresque replies. Cambridge : Cambridge University Press 1985, pp. 6-7, pp. 174-175. – Philippe Berger : Libro y lectura en la Valencia del Renacimiento (= Estudios Universitarios, 19-20). Valencia : Edicions Alfons el Magnànim. Institució Valenciana d’Estudis I Investigació 1987, 2 tom. – Bartolomé Bennassar : Valladolid en el Siglo de Oro. Una ciudad de Castilla y su entorno agrario en el siglo XVI, pp. 516519. – Ángel Weruaga Prieto : Libros y lectura en Salamanca : Del Barroco a la Ilustración (1650-1725). Valladolid : Junta de Castilla y León 1993. – Anne Cayuela : Le paratexte au Siècle d’Or. Prose romanesque, livres et lecteurs en Espagne au XVIIe siècle (= Travaux du Grand Siècle, 5). Genève : Librairie Droz 1996. – Ricardo Luengo Pacheco : Libros y lectores en Plasencia (siglos XVI-XVIII). Cáceres : Universidad de Extremadura 2002. – Germán Vega García-Luengos : La transmisión del teatro en el siglo XVII. In : Javier Huerta Calvo (dir.) : Historia del teatro español. I. De la Edad Media a los Siglos de Oro. Abraham Madroñal - Durán Héctor Urzáiz Tortajada (coords.). Madrid : Gredos 2003, pp. 1289-1320. – José Manuel Prieto Bernabé : Lectura y lectores. La cultura del impreso en el Madrid del Siglo de Oro (1550-1650). – Alberto Martino : Die erste deutsche Übersetzung der Garduña de Sevilla. Ein spanischer Beitrag zur Produktion von fi ktionaler >Konsumliteratur< in den 30er Jahren des 18. Jahrhunderts. In : Buchkulturen. Beiträge zur Geschichte der Literaturvermittlung. Festschrift für Reinhard Wittmann. Herausgegeben von Monika Estermann, Ernst Fischer und Ute Schneider. Wiesbaden : Harrassowitz Verlag 2005, pp. 93-187 ; qui pp. 95-100 (« Der deutsche und der spanische Buchmarkt der ersten Hälfte des 17. Jahrhunderts »), pp. 100-109 (« Die schöne Literatur und ihre Leser »). 296   José Antonio Maravall : Consideraciones sobre el proceso de secularización en los primeros siglos modernos (1970). In : J. A. M. : La oposición política bajo los Austrias. Barcelona : Editorial Ariel 1974, pp. 141-209. – José Antonio Maravall : Estado moderno y mentalidad social (Siglos XV a XVII). Tomo II, pp. 443-510. 297   Cfr. André É. Sayous : Les débuts du commerce de l’Espagne avec l’Amérique (1503-1518) d’après des actes inédits de notaires de Séville. In : Revue Historique 174 (1934), 185-215. – André É. Sayous : La genèse du système capitaliste : La pratique des affaires et leur mentalité dans l’Espagne du XVIe siècle. In : Annales d’histoire économique et sociale 8 (1936), 334-354. – Ladislas Reitzer : Some observations on Castilian Commerce and Finance in the Sixteenth Century. In : The Journal of Modern History 32 (1960), 213-223. – Jacques Heers : L’Occident aux XIVe et XVe siècles. Aspects économiques et sociaux (= « Nouvelle Clio ». L’Histoire et ses problèmes, 23). Paris : P. U. F. 1963, pp. 164-165. Henry Lapeyre (Une Famille de Marchands. Les Ruiz, pp. 118-126, pp. 126-140) dimostra che la ‘borghesia’ commerciale spagnola era piú evoluta di quella francese (a Nantes, per esempio, i commercianti cristiano-viejos erano piú forti dei francesi) e che la Francia dei Valois apprendeva il commercio dalla Spagna e dall’Italia. Lo studioso smantella anche la famosa tesi weberiana sulla genesi del capitalismo dall’etica calvinista ricordando che, all’epoca di Filippo II, i paesi protestanti erano ancora in ritardo nella tecnica bancaria e commerciale e che i grandi banchieri – dai Fugger agli Spinola, dai Bonvisi (Stefano e Antonio) ai Capponi – erano tutti cattolici. 298   La Spagna era superiore in tecnica bancaria ai paesi del Nord Europa, naturalmente non all’Italia. Cfr. John Lynch : España bajo los Austrias. I. Imperio y absolutismo, 1516-1598, p. 205.  





























































































































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militare 299 e navale ; tecnica della costruzione di armi da fuoco ; 300 precoce introduzione di inchieste di tipo statistico sulla popolazione e sul territorio 301 e di rilievi sulla evoluzione dei prezzi ; 302 amministrazione, tecnica e tattica militare ; 303 cosmografia, cartografia e scienza della navigazione ; 304 botanica e farmacologia, 305 storia naturale ; 306 medicina, in particolare anatomia, autopsia, neurofisiologia, urologia e chirurgia ; 307 metallurgia e  



   



   

   

   



   

   

299   Cfr. José María López Piñero : Ciencia y técnica en la sociedad española de los siglos XVI y XVII, pp. 240-259, p. 377. 300   Cfr. John Lynch : España bajo los Austrias. I. Imperio y absolutismo, 1516-1598, p. 206. 301   Si pensi – per esempio - alle Relaciones Topográficas, che raccolsero un’enorme quantità di dati preziosi sulla vita sociale, economica e religiosa della popolazione di centinaia di pueblos della Nuova Castiglia. Sulla straordinaria importanza e ‘modernità’ di questa inchiesta, la prima di questo tipo svolta in Europa, cfr. N. Salomon : La campagne de Nouvelle Castille à la fin du XVIe siècle d’après les Relaciones topográficas. – F. Javier Campos y Fernández de Sevilla : La mentalidad en Castilla la Nueva en el siglo XVI (Religión, Economía y Sociedad, según las « Relaciones topográficas » de Felipe II), pp. 1-13. – Alfredo Alvar Ezquerra : « Estudio introductorio » a : Relaciones Topográficas de Felipe II. Madrid, pp. 25-188. 302   Cfr. Jean Paul Le Flem : Sociedad y precios en el Siglo de Oro. La Mercurial de Segovia (1540-1705), pp. 59-72. 303   Cfr. José Antonio Maravall : Estado moderno y mentalidad social (Siglos XV a XVII). Tomo II, pp. 511-584. – René Quatrefages : À la naissance de l’armée moderne. In : Mélanges de la Casa de Velázquez 13 (1977), 119-158. – René Quatrefages : Los tercios españoles (1567-77), pp. 23-236, pp. 316-317. – I. A. A. Thompson : Guerra y decadencia. Gobierno y administración en la España de los Austrias, 1560-1620, pp. 344-345. – Raffaele Puddu : Il soldato gentiluomo. Autoritratto d’una società guerriera : la Spagna del Cinquecento, pp. 13-41, pp. 203-204. – Luis Antonio Ribot García : El Ejército de los Austrias. Aportaciones recientes y nuevas perspectivas, pp. 157-203. 304   La superiorità della Spagna in questo ambito è dimostrata dalle numerose traduzioni inglesi di trattati spagnoli di scienza della navigazione eseguite nel periodo tudoriano (1530-1602). Cfr. John Garrett Underhill : A Bibliography of the Spanish Works published in the Original or in Translation in the England of the Tudors. In : J. G. U. : Spanish Literature in the England of the Tudors. New York : Published for the Columbia University by The Macmillan Company 1899, pp. 375-408. Il piú famoso trattato di navigazione, l’Arte de nauegar (Valladolid : Francisco Fernández de Córdoba 1545) di Pedro de Medina, fu tradotto, oltre che in inglese, in francese, tedesco e italiano. Ancor piú importante sarà per la scienza della navigazione il Regimiento de Navegagión (Madrid : Juan de la Cuesta 1606) del grande astronomo Andrés García de Céspedes. Cfr. inoltre José María López Piñero : Ciencia y técnica en la sociedad española de los siglos XVI y XVII, pp. 196-228. – R. Cerezo Martínez : Las armadas de Felipe II, pp. 125-130. Non furono tradotte solo opere spagnole di scienza nautica. In inglese ed in altre lingue europee (italiano, francese, tedesco, portoghese e olandese) furono tradotte ben 206 opere scientifiche spagnole del XVI secolo. La famosa Historia medicinal de las cosas que se traen de nuestras Indias Occidentales que siruen en Medicina (Sevilla 1574 ; 1.ª ed. : 1565) del celebre medico Nicolás Monárdes fu – per esempio – tradotta in sei lingue. Cfr. José María López Piñero : Ciencia y técnica, p. 34, p. 146. Questo indicatore, che sarebbe ancor piú elevato se – oltre alle traduzioni – si considerassero anche le ristampe di opere spagnole in latino e castigliano al di fuori della Spagna, dimostra in maniera eloquente come fosse grande il prestigio goduto dalla scienza spagnola in Europa. 305   José María López Piñero : Medicina e historia natural en la sociedad española de los siglos XVI y XVII, pp. 91-145. 306   José María López Piñero : Ciencia y técnica en la sociedad española de los siglos XVI y XVII, pp. 279308. 307   José María López Piñero : Ciencia y técnica en la sociedad española de los siglos XVI y XVII, pp.339-370. – José María López Piñero : Medicina e historia natural en la sociedad española de los siglos XVI y XVII, pp. 65-75, pp. 81-91, pp. 208-227. A proposito della chirurgia, David Goodman ricorda che Filippo II dette impulso a questa scienza facendo istituire cattedre di chirurgia presso le Università spagnole (in Europa solo presso l’Università di Padova – qui aveva insegnato l’eminente anatomista fiammingo Andrea Vesalius, medico personale di Carlo V e di Filippo II – e di Bologna esistevano tali cattedre). Lo studioso ricorda anche il grande interesse di Filippo II per la distillazione, le scienze matematiche, la geografia, la cosmografia, la topografia, l’economia nazionale, l’ingegneria militare, l’artiglieria, l’architettura e la storia naturale, della quale promosse lo studio ; ricorda altresí i grandi progetti del Re (rendere navigabile il Tago e creare una rete di fiumi navigabili ; fortificazione delle città americane ; istituzione di scuole di matematica, ingegneria, artiglieria, architettura e cosmografia) e il suo continuo intervento per migliorare la preparazione di medici e farmacisti. Cfr. David Goodman : Philip II’s Patronage of Science and Engineering. In : The British Journal for the History of Science 16 (1983), 49-66. José María López Piñero ricorda la costruzione, fatta per ordine personale di Filippo II, del laboratorio di distillazione, dotato di “un magnífico equipo”, annesso alla farmacia dell’Escorial ; la fondazione, nel 1582, della Academia de Matemáticas, insediata in un proprio edificio situato nei pressi dell’Alcázar Real di Madrid, e del  















































































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tecnologia mineraria ; 308 tecnologia idraulica 309) ; un paese caratterizzato da un elevato tasso di mobilità (geografica, 310 sociale e professionale 311) ; un paese che offriva anche ai figli di modestissime famiglie e addirittura delle piú umili famiglie contadine e artigiane, se dotati di intelligenza e/o di coraggio e intraprendenza, l’opportunità di fare una grande carriera e di accedere ai piú alti onori (si pensi a Pedro Guerrero, Arcivescovo di Granada, a Bartolomé de las Casas, Vescovo di Chiapa, a Juan Martínez Silíceo, Primate di Spagna, a Juan Bautista Pérez, Vescovo di Segorbe, e a Francisco Aguado, Vescovo di Astorga ; si pensi a Juan López de Palacios Rubios, professore delle Università di Sa   













giardino botanico di Aranjuez. Cfr. José María López Piñero : La ciencia en la España de los siglos XVI y XVII. In : La frustración de un Imperio (1476-1714). Barcelona : Labor 1982, pp. 355-423 ; qui pp. 370-372. 308   Cfr. José María López Piñero : Ciencia y técnica en la sociedad española de los siglos XVI y XVII, pp. 259279. – Peter Bakewell : Mining in Colonial Spanish America, pp. 105-155. – David Goodman : Poder y penuria. Gobierno, tecnología y sociedad en la España de Felipe II. Madrid : Alianza Editorial 1990, pp. 288-291. 309   Cfr. Nicolás García Tapia : Técnica y poder en Castilla durante los siglos XVI y XVII (= Estudios de historia de la ciencia, 3). Valladolid : Junta de Castilla y León 1989. – Nicolás García Tapia : Ciencia y técnica en Valladolid en torno a 1596. In : Valladolid. Historia de una ciudad. Congreso Internacional. Tomo II. La ciudad moderna. Valladolid : Ayuntamiento de Valladolid 1999, pp. 525-541. 310   Già alla fine del XV secolo la mobilità geografica era stata fortemente favorita dalla celebre Pragmática dettata dai Re Cattolici il 28 ottobre 1480 a Medina del Campo, con la quale veniva riconosciuta ai “vasallos de señorio” la libertà di domicilio – la libertà, cioè, di abbandonare le terre del signore e di insediarsi in terre di “realengo o en otras tierras del señor”, la libertà di trasferirsi con i beni mobili e di vendere o affittare i beni immobili posseduti – e veniva annullata “toda ordenanza señorial” in contrasto con queste disposizioni (A. M. Guilarte : El régimen señorial en el siglo XVI, pp. 166-167 ; cfr. inoltre J. A. Maravall : Estado moderno y mentalidad social. Tomo I, p. 433). Sull’elevato tasso di mobilità geografica, cfr. Ramón Carande : Carlos V y sus banqueros. Tomo I, pp. 69-71. – Agustín G. de Amezúa : Camino de Trento. Cómo se viajaba en el siglo XVI (1945). In : A. G. de A. y M. : Opúsculos histórico-literarios. Tomo III. Madrid : C. S. I. C. 1951, pp. 212-226 ; qui pp. 212213. – Fernand Braudel : Civiltà e imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II, pp. 711-712. – Jordi Nadal Oller : La población española (siglos XVI a XX), pp. 59-67. – Peter Boyd-Bowman : La emigración española a América : 1560-1579. In : Studia Hispanica in honorem R. Lapesa. II. Madrid : Gredos 1974, pp. 123-147. – J. A. Maravall : La imagen de la sociedad expansiva en la conciencia castellana del siglo XVI, p. 285, pp. 307-309. – Bernard Vincent : Récents travaux de démographie historique en Espagne (XIVe-XVIIIe siècles). In : Annales de démographie historique 1977, pp. 461-491 ; qui pp. 484-485. – Eufemio Lorenzo Sanz : Comercio de España con América en la época de Felipe II. – Jean-Marc Pelorson : Les Letrados, juristes castillans sous Philippe III, pp. 85-95. – Antonio García-Baquero González : La carrera de Indias. Suma de la contratación y Océano de negocios. – Carlos Alberto González Sánchez : Dineros de ventura : la varia fortuna de la emigración a Indias (siglos XVI-XVII). Sevilla : Universidad de Sevilla 1995. – Anke P. Jacobs : Los movimientos migratorios entre Castilla e Hispanoamérica durante el Reinado de Felipe III, 1598-1621. Amsterdam : Rodopi 1995. – Lutgardo García Fuentes : Los peruleros y el comercio de Sevilla con las Indias, 1580-1630. Sevilla : Universidad de Sevilla 1997. John Lynch (España bajo los Austrias. II. España y América, p. 180) calcola una media annuale, approssimativa, di 4.-5.000 emigranti. Sulla mobilità geografica causata, nel XVI e nel XVII secolo, dall’intenso processo di urbanizzazione, cfr. Antonio Domínguez Ortiz : La sociedad española en el siglo XVII. Tom. I, pp. 129-157. – Bernardo Blanco-González : Del cortesano al discreto. Examen de una ‘decadencia’. Volumen I. Madrid : Gredos 1962, pp. 430-443, p. 451. – Juan Carlos Zofío Llorente : Gremios y artesanos en Madrid, 1550-1650. La sociedad del trabajo en una ciudad cortesana preindustrial, pp. 103-116. – Antonio Domínguez Ortiz : Orto y ocaso de Sevilla. Estudio sobre la prosperidad y decadencia de la Ciudad durante los siglos XVI y XVII, pp. 41-43. – Bartolomé Bennassar : Medina del Campo. Un exemple des structures urbaines de l’Espagne au XVIe siècle. – Bartolomé Bennassar : Valladolid en el Siglo de Oro. Una ciudad de Castilla y su entorno agrario en el siglo XVI, pp. 153-196. – J. I. Fortea Pérez : Córdoba en el siglo XVI. Las bases demográficas y económicas de una expansión urbana, p. 14. – Jesús Manuel López Martín : Paisaje urbano de Plasencia en los siglos XV y XVI, pp. 34-36. – Jean Paul Le Flem : Cáceres, Plasencia y Trujillo en la segunda mitad del siglo XVI (1557-1596). – Gregorio Salinero : Une ville entre deux mondes. Trujillo d’Espagne et les Indes au XVIe siècle. Pour une histoire de la mobilité à l’époque moderne. Sull’espansione di Madrid, che da 25.-30.000 ab. nel 1546 passa a 65.000 ab. nel 1597, a 130.000 ab. (150.000 ab. calcolando la popolazione fluttuante) nel 1617 e a 170.-180.000 ab. nel 1630 (la media annua è di 1.400 immigrati fra 1563 e 1597, di 4.600 fra 1597-1630), cfr. David Ringrose : The Impact of a New Capital City : Madrid, Toledo, and New Castile, 1560-1660. In : The Journal of Economic History 33 (1973), 761-791 ; qui p. 765, p. 767. 311   Cfr. J. A. Maravall : La imagen de la sociedad expansiva en la conciencia castellana del siglo XVI, pp. 306312.  



















































































































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lamanca e di Valladolid, membro del Consejo Real e Presidente del Consejo de la Mesta, ambasciatore a Roma ; a Domingo de Soto, professore dell’Università di Salamanca, rappresentante di Carlo V al Concilio di Trento, confessore dell’Imperatore ; ad Andrés Martínez de Campos, professore dell’Università di Alcalá de Henares ; a Pedro Navarro, Conte di Oliveto e Generale in capo della campagna africana ; a Sebastián de Benalcázar, Adelantado e Governatore di Popayán, uno dei piú importanti conquistadores, e, infine, a Miguel de Oquendo, Capitán General de la Armada de Guipúzcoa 312). La struttura della sua società era fluida, permeabile, aperta, come constatava Pedro Fernández Navarrete, che lamentava la confusione delle “clases y jerarquías”, 313 come riconoscevano viaggiatori francesi dell’inizio del Seicento 314 e come riconoscono tutti gli studiosi che analizzano empiricamente la realtà storica e si fondano su dati raccolti  













312   Caso particolarmente degno di nota è quello di Miguel de Oquendo, che non solo divenne prima capitano di navi e poi Capitano Generale della Squadra Navale di Guipúzcoa, ma ottenne, nel 1584, per la sua coraggiosa azione nella battaglia navale di San Miguel (Islas Azóres) del 22 luglio 1582, da Filippo II l’abito di cavaliere di Santiago, nonostante fosse figlio di “pobres trabajadores” (il padre António era, come si dichiarava in un documento dell’epoca, “cordelero, hacedor de cuerdas de cáñamo con torno y con manos”) e nonostante che lui stesso – oltre ad aver servito nella fanciullezza come pastore di pecore – avesse esercitato a Guipúzcoa, Sevilla e Cádiz “oficios viles” (“oficial carpintero y calafateador a jornal”) e fosse stato addirittura imprigionato dal Santo Oficio in Calahorra. Suo figlio, Antonio, divenne Ammiraglio Generale dell’Armata dell’Oceano. Cfr. J. Ignacio Tellechea Idígoras : Miguel de Oquendo, caballero de Santiago (1584). Un episodio social en la vida donostiarra. In : Boletín de Estudios Históricos de San Sebastián 1 (1967), 33-77. – Eugenio Asensio : La España imaginada de Américo Castro, pp. 153-155. L’ascesa sociale riusciva non solo ai figli di contadini poveri, ma anche – e naturalmente molto piú facilmente – ai figli dei contadini benestanti. Si vedano i casi studiati da Jaime Contreras (El Santo Oficio de la Inquisición en Galicia, pp. 193-196), che sulla base di documenti di archivio ha schizzato il percorso abituale attraverso il quale si realizzò l’ascesa di numerose famiglie di ricos labradores della Galizia : proprietà terriera – matrimoni con famiglie di hidalgos notorios – fondazione di capellanías, benefici ecclesiastici, piccoli conventi – studio universitario – accesso ai posti piú elevati dell’amministrazione municipale (mediante acquisto di uffici ereditari) – acquisizione di famigliature della Inquisizione – nobilitazione. A risultati simili è pervenuto Francis Brumont (Paysans de Vieille-Castille aux XVIe et XVIIe siècles, pp. 322-353) studiando i documenti d’archivio relativi alla società rurale di Castiglia la Vecchia, in particolare della Tierra de Campos. Anche in questa regione i casi di ascesa sociale sono frequenti. La base iniziale di questa ascesa è la ricchezza, conservata ed accresciuta con la pratica dell’endogamia sociale. Il potere economico rende quindi possibile l’acquisizione di un potere ‘politico’ con l’accesso agli uffici ‘civili’ (alcalde, regidor) ; successivamente vengono gli studi universitari, talvolta la carriera ecclesiastica e quella universitaria, infine la nobilitazione. Le crisi economiche non solo non bloccano la mobilità sociale, ma la favoriscono. Questa è l’importante, ma non sorprendente scoperta, confermata anche dagli studi di David E. Vassberg (Land and Society in Golden Age Castile, p. 228), alla quale perviene Francis Brumont dopo aver analizzato la storia di tante famiglie : “Les crises économiques sont des périodes propices aux changements, voire aux bouleversements : si la majorité en subit douloureusement les effets, quelques privilégiés profitent de la nécessité générale pour faire payer au prix fort les services qu’ils rendent (prêt d’argent ou de grain) et pour s’approprier à un prix de misère les parcelles que leurs voisins sont contrainte de leur céder” (p. 338). Sulla mobilità sociale, e in particolare sull’acquisto di hidalguías da parte di ricchi contadini, cfr. Noël Salomon : Recherches sur le thème paysan dans la « comedia » au temps de Lope de Vega. Thèse pour le doctorat ès lettres présentée à la Faculté des Lettres et Sciences Humaines de l’Université de Paris. Bordeaux : Institut d’Études Ibériques et Ibéro-Américaines de l’Université de Bordeaux 1965, pp. 780-853. – N. Salomon : La campagne de Nouvelle Castille à la fin du XVIe siècle d’après les Relaciones topográficas, pp. 288-302. 313   Pedro Fernández Navarrete : Conservación de Monarquías y Discursos Políticos (1626), p. 307. 314   Barthélemy Joly notava, non senza una certa meraviglia, nel suo Voyage en Espagne (1603-1604) : “Aussy je ne trouve pas que l’on defere tant aux nobles ny qu’ilz soient ainsy differens et signalés en valeur par dessus le peuple, comme en France. Je crois que c’est pour l’orgueil naturel des petis, qui ne leur veulent beaucoup ceder, ou à cause de la parité des armes qu’ilz portent uns et autres aux compagnies de gens de pied, pouuans estre esleus à tout grades, comme il s’est veu souuent en Antonio de Leyua et autres par leur valeur et grandes oeuures, desquelles ilz se reputent filz, hijo de mis obras, la noblesse leur manquant et dont ilz ne s’estiment rien moings” (pp. 564-565). Un altro viaggiatore francese scriveva qualche anno dopo : “tout naturel castillan, de quelque petite et basse origine qu’il soit, naist tousiours aueq vne bonne fortune qui le rend capable de toutes sortes de charges et honneurs”. Cfr. Relation d’un voyage en Espagne (1612). In : Revue Hispanique 59 (1923), pp. 359-555 ; qui p. 478.  

































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in lunghe, faticose e pazienti ricerche d’archivio, senza indulgere a fantasie dell’immaginazione e senza farsi fuorviare da documenti ‘ideologici’ o guidare da tesi preconcette e dogmatiche ‘verità’ aprioristiche. 315 Quanto aperta fosse la società spagnola, nella quale  

315   Antonio Domínguez Ortiz (Orto y ocaso de Sevilla. Estudio sobre la prosperidad y decadencia de la Ciudad durante los siglos XVI y XVII, p. 49 e p. 55) afferma che a Siviglia non vi era “un régimen de castas o clases muy diferenciadas” e che la nobiltà non formava “una casta cerrada”, ma “se incrementaba constantemente con el aporte de individuos de clases inferiores”. Ruth Pike e Rafael Sánchez Saus hanno abbondantemente confermato con le loro ricerche l’affermazione del grande storico. Cfr. Ruth Pike : Aristocrats and Traders. Sevillian Society in the Sixteenth Century. – Ruth Pike : Seville in the Sixteenth Century. In : The Hispanic American Historical Review 41 (1961), 1-30. – Rafael Sánchez Saus : Caballería y linaje en la Sevilla Medieval Estudio genealógico y social. Altrettanto aperta, fluida e permeabile era la società a Cádiz, a Cartagena, a Granada, a Toledo, a Cuenca, a Segovia, a Madrid e perfino a Córdoba, la città spagnola piú ‘aristocratizzata’. Cfr. Hipólito Sancho de Sopranis : Estructura y perfil demográfico de Cádiz en el siglo XVI. In : Estudios de historia social de España. Director : Carmelo Viñas y Mey. II. Madrid : C. S. I. C. 1952, pp. 525-612. – Vicente Montojo Montojo : El Siglo de Oro en Cartagena (1480-1640). – Enrique Soria Mesa : Burocracia y conversos. La Real Chancillería de Granada en los siglos XVI y XVII. – V. Parello : Les judéo-convers. Tolède XVe-XVIe siècles. De l’exclusión à l’intégration. – F. J. Aranda Pérez : Poder y poderes en la Ciudad de Toledo. Gobierno, sociedad y oligarquías urbanas en la Edad Moderna. – Raphaël Carrasco : Les hidalgos de Cuenca à l’époque moderne (1537-1642). – Francisco Javier Mosácula María : Los regidores de la ciudad de Segovia : análisis socioeconómico de una oligarquía urbana. – M. Del Pilar Rábade Obradó : Una élite de poder en la Corte de los Reyes Católicos. Los Judeoconversos. – Enrique Soria Mesa : El cambio inmóvil. Transformaciones y permanencias en una élite de poder (Córdoba, SS. XVI-XIX). Nella sua classica opera su La sociedad española en el siglo XVII (I, pp. 46-47), Antonio Domínguez Ortiz ha osservato che l’ambiente spagnolo era caratterizzato da relazioni sociali prive di rigidità e da “una extraordinaria movilidad social”. John H. Elliott (La Spagna imperiale, 1469-1716, pp. 127-129, pp. 139-144) parla di “notevole mobilità sociale”, afferma che gli hidalgos “non costituivano affatto una casta chiusa” e dedica un sottocapitolo della sua opera a « La società aperta » del XVI secolo. Posizione condivisa da Joseph Pérez, il quale scrive che “la sociedad del siglo XVI es todavía una sociedad abierta” (España Moderna, 1474-1700. Aspectos políticos y sociales. In : La frustración de un Imperio, 1476-1714. Barcelona : Labor 1982, pp. 135-259 ; qui p. 184). D. Alfonso de Figueroa y Melgar, Duque de Tovar, genealogista, afferma (e illustra la sua affermazione con numerosi esempi, in parte da noi già ricordati, di “linajes próceres ... con antecedentes humildísimos y viles”) che la società spagnola dell’Antico Regime “era una sociedad abierta”, lontanissima da “un sistema de castas bramánicas” (Los prejuicios nobiliarios contra el trabajo y el comercio en la España del Antiguo Régimen, pp. 420-421). I. A. A. Thompson (The Purchase of Nobility in Castile, 1552-1700, p. 355) mette in rilievo “the relative ease of social mobility and the openness of Castilian society in the sixteenth and seventeenth centuries” ; e in un altro saggio (Neo-noble Nobility, p. 397) dichiara che “the so-called ‘fermeture de la noblesse’ of the later sixteenth century was ideological rather than sociological”. David E. Vassberg (Land and Society in Golden Age Castile, p. 5) scrive che la Castiglia del XV e XVI sec. era caratterizzata da una “relatively open society”. Benjamin González Alonso (Sociedad urbana y gobierno municipal, p. 70) sostiene che “la sociedad castellana no era tan rígida, cerrada y monolítica, como con demasiada frecuencia se afirma”. Carla Rahn Phillips (Ciudad Real, 1500-1750. Growth, Crisis, and Readjustment in the Spanish Economy, p. 106) asserisce che la “nobility was never a closed caste in Spain but instead was constantly being renewed by the addition of talented and wealthy newcomers”. Bartolomé Yun Casalilla (Sobre la transición al capitalismo en Castilla. Economía y sociedad en Tierra de Campos, p. 219) nota che il dinamismo economico e demografico del XVI secolo fu “acompañado de una gran movilidad social”. Enrique Sosia Mesa afferma che la società moderna spagnola “era muchísimo más abierta y flexible de lo que se ha venido creyendo” e invita a lasciar da parte “los esquemas preestablecidos y los prejuicios ridículos, sustentados en ningún documento, que tantas veces han hablado y hablan de una sociedad estamental, rígida, ajena en la teoría y en la práctica a la permeabilidad social” (La nobleza en la España moderna, p. 34, p. 114). In un precedente saggio Enrique Soria Mesa aveva definito “muy porosa” la società spagnola (Genealogía y poder. Invención de la memoria y ascenso social en la España moderna, p. 22). In Aragona, Valencia e Catalogna la mobilità e la permeabilità sociale erano elevate come in Castiglia. Cfr. J. H. Elliott : Una aristocracia provincial : la clase dirigente catalana en los siglos XVI y XVII (1967). In : J. H. E. : España y su mundo, 1500-1700. Madrid : Alianza Editorial 1991, pp. 99-121. – J. H. Elliott : The Revolt of the Catalans, pp. 65-68. – James S. Amelang : La formación de una clase dirigente : Barcelona 1490-1714, p. 63, pp. 67-76, pp. 76-82, pp. 96-102. – José Ignacio Gómez Zorraquino : La burguesía mercantil en el Aragón de los siglos XVI y XVII (1516-1652). Sulla elevata mobilità sociale, ascendente e discendente, durante il Medioevo, cfr. Ángela García Rives : Clases sociales en León y Castilla (siglos X-XIII). In : Revista de Archivos, Bibliotecas y Museos. Tercera época, Año XXIV, Tomo XLI, Enero a Diciembre de 1920. Madrid 1921, pp. 233252, pp. 372-393. – Claudio Sánchez-Albornoz : España. Un enigma histórico. Tomo I, pp. 672-693. – Richard Konetzke : Zur Geschichte des spanischen Hidalgos. In : Gesammelte Aufsätze zur Kulturgeschichte Spaniens  









































































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neppure agli schiavi di colore era preclusa per ragioni di principio o di ‘razza’ l’ascesa sociale, 316 è dimostrato anche dalla facilità con la quale numerosi e folti gruppi di stranieri (tipografi, librai, artigiani, banchieri, uomini di affari, ‘fattori’ dei Fugger, gente di mare, commercianti, ingegneri, architetti, tecnici e artisti, ecc. ecc.), provenienti dall’Italia, dalla Francia, dall’Inghilterra, dalla Fiandra, dalla Germania, dal Portogallo e dalla Polonia, potevano insediarsi in Ispagna e integrarvisi pienamente. 317  



(= Spanische Forschungen der Görresgesellschaft. Erste Reihe. 19. Band). Münster Westfalen : Aschendorffsche Verlagsbuchhandlung 1962, pp. 147-160 ; qui pp. 151-152. – Salvador de Moxó : De la nobleza vieja a la nobleza nueva. La transformación nobiliaria castellana en la baja Edad Media, pp. 1-210. – Salvador de Moxó : La elevación de los « letrados » en la sociedad estamental del siglo XIV. In : XII Semana de Estudios Medievales 1974. Pamplona : Institución Príncipe de Viana 1976, pp. 183-215. – Vicente Montojo Montojo : El Siglo de Oro en Cartagena, p. 78. – Marie-Claude Gerbet : La nobleza en la Corona de Castilla. Sus estructuras sociales en Extremadura, 1454-1516, pp. 9-11, pp. 39-43, pp. 55-56, pp. 64-65, p. 168. – Isabel Beceiro Pita - Ricardo Córdoba de la Llave : Parentesco, poder y mentalidad. La nobleza castellana. Siglos XII-XV. Madrid : C.S.I.C. 1990, pp. 331-343. 316   Nel suo studio sulla schiavitú in Castiglia Antonio Domínguez Ortiz scrive : “La mejor prueba de que la sociedad española no era racista es que no oponía ninguna objeción de principio al encumbramiento de individuos de origen servil ; éste era caso rarísimo, porque los obstáculos que hallaban para salir de su abatida condición eran casi insuperables. Sin embargo algunos se conocen ; el más notorio es del negro Juan Latino. […] Acompañó como paje al hijo del duque [de Sesa] a la Universidad de Granada, se aficionó a las letras, cursó estudios, ayudado por sus amos, que le concedieron la libertad ; se licenció en Filosofía en 1557, y años después ganó una cátedra de Latinidad en dicha Universidad. Tuvo amistad con Don Juan de Austria, en cuyo honor escribió « La austríada », poema en hexámetros latinos ; comentó a Terencio y otros poetas clásicos ; casó con una señora blanca distinguida, hija del gobernador del Estado del duque, y murió de edad muy avanzada en 1590.” Cfr. Antonio Domínguez Ortiz : La esclavitud en Castilla durante la Edad Moderna. In : Estudios de historia social de España. Director : Carmelo Viñas y Mey. II. Madrid : C. S. I. C. 1952, pp. 369-428 ; qui pp. 395396 (ora anche in : Antonio Domínguez Ortiz : La esclavitud en Castilla en la Edad Moderna y otros estudios de marginados. Granada : Comares 2003, pp. 1-64 ; qui p. 29). Questo caso e gli altri casi ricordati da Antonio Domínguez Ortiz sono certamente di scarsa rappresentatività statistica, ma la loro importanza è grandissima perché documentano – come lo documentano la tolleranza nei confronti degli zingari (cfr. J. A. Maravall : Poder, honor y élites, pp. 78-79) e, in particolare, le numerosissime unioni di conquistadores e coloni con donne indie – che alla mentalità spagnola era estraneo il ‘razzismo’. Cfr. anche Bartolomé José Gallardo : Ensayo de una Biblioteca Española de libros raros y curiosos. Edición facsímil. Tomo I. Madrid : Gredos 1968, coll. 871-872 (« Negros ilustres de Granada »). – B. Bennassar : L’homme espagnol, pp. 173-175. 317   Cfr. Cristóbal Pérez Pastor : La imprenta en Toledo. Descripción bibliográfica de las obras impresas en la Imperial Ciudad desde 1483 hasta nuestros días. Madrid : Imprenta y Fundición de Manuel Tello 1887, p. XIX. – Cristóbal Pérez Pastor : La imprenta en Medina del Campo, pp. 481-502. – Albert Girard : Le commerce français à Seville et Cadix au temps des Habsbourg. Contribution à l’étude du commerce étranger en Espagne aux XVIe et XVIIe siècles. New York : Burt Franklin 1967 (1.ª ed. Paris : de Boccard 1932). – Roberto Lopez : Il predominio economico dei Genovesi nella Monarchia Spagnola. In : Giornale storico e letterario della Liguria 12 (1936), 65-74. – Antonio Domínguez Ortiz : Orto y ocaso de Sevilla, pp. 46-49. – Carmelo Viñas y Mey : Notas sobre la estructura social-demográfica del Madrid de los Austrias, pp. 490-495. – Antonio Domínguez Ortiz : Los extranjeros en la vida española durante el siglo XVII (1960), pp. 17-181. – Jordi Rubió Balaguer : Integración de los impresores alemanes en la vida social y económica de Cataluña y Valencia en los siglos XV-XVI. In : Gesammelte Aufsätze zur Kulturgeschichte Spaniens (= Spanische Forschungen der Görresgesellschaft. Erste Reihe. 20. Band). Herausgegeben von Johannes Vincke. Münster Westfalen : Aschendorffsche Verlagsbuchhandlung 1962, pp. 103-122. – Hermann Kellenbenz : Die Einwohnerschaft der Stadt Cádiz um 1535 und ihre Fremdenkolonie. In : Gesammelte Aufsätze zur Kulturgeschichte Spaniens (= Spanische Forschungen der Görresgesellschaft. Erste Reihe. 20. Band). Herausgegeben von Johannes Vincke. Münster Westfalen : Aschendorffsche Verlagsbuchhandlung 1962, pp. 79-102. – Jacques Heers : Gênes au XVe siècle. Activité économique et problèmes sociaux. Paris : S.E.V.P.E.N. 1961. – C. Collonge : Les Allemands dans l’Espagne du XVIème siècle. In : Les langues néolatines 59 (1965), 1-22. – Ruth Pike : Enterprise and Adventure. The Genoese in Seville and the Opening of the New World. Ithaca, New York : Cornell University Press 1966. – Daniel Alcouffe : Contribution à la connaissance des émigrés français de Madrid au XVIIe siècle. In : Mélanges de la Casa de Velázquez 2 (1966), 179-197. – Michèle Moret : Aspects de la société marchande de Seville au début du XVIIe siècle. Paris : Éditions Marcel Rivière 1967. – Antonio Domínguez Ortiz : Política y Hacienda de Felipe IV, pp. 103-147. – James C. Boyajian : Portuguese Bankers at the Court of Spain, 1626-1650. – Enriqueta Vila Vilar : Los Corzos : Un « clan » en la colonización de América. Apuntes para su historia. In : Anuario de Estudios Americanos 42 (1985), 1-42. – Teodoro Hampe Martínez : La difusión de libros e ideas en la Perú colonial. Analisis de biblio 











































































































































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Sicuramente la società spagnola – la cui aristocrazia era cosmopolita e aveva legami di parentela con le aristocrazie di diversi paesi europei 318 – era piú aperta di quella inglese 319 e di quella francese. 320 (Naturalmente una società ‘aperta’ non è assolutamente eo ipso anche una società giusta e priva di discriminazioni ed emarginazioni. Prive di ingiustizie, discriminazioni ed emarginazioni non sono però neppure oggi le società dei paesi reputati i piú ‘democratici’, le quali né sono state in passato, né sono  





tecas particulares (siglo XVI). In : Bulletin Hispanique 89 (1987), 55-84 ; qui p. 68. – B. Bennassar : Valladolid en el Siglo de Oro. Una ciudad de Castilla y su entorno agrario en el siglo XVI, pp. 328-330. – Francisco SánchezMontes González : La población granadina en el siglo XVII, pp. 129-131, pp. 214-215. – David Goodman : Poder y penuria. Gobierno, tecnología y sociedad en la España de Felipe II. – Felipe Ruiz Martín : Pequeño capitalismo, gran capitalismo. Simón Ruiz y sus negocios en Florencia, pp. 11-12. – Juan M. de la Obra Sierra : Mercaderes italianos en Granada (1508-1512). Granada : Universidad de Granada 1992. – Vicente Montojo Montojo : El Siglo de Oro en Cartagena (1480-1640), pp. 252-268. – María Dolores Rojas Vaca : Una escribanía pública gaditana en el siglo XVI (1560-1570). Análisis documental. Cádiz : Universidad de Cádiz 1993. – Máximo Diago Hernando : Integración social de los hombres de negocios italianos en Valladolid a comienzos del siglo XVI. In : Valladolid. Historia de una ciudad. Congreso Internacional. Tomo II. La ciudad moderna. Valladolid : Ayuntamiento de Valladolid 1999, pp. 669-678. 318   Cfr. Ángeles Redondo Álamo y Bartolomé Yun Casalilla : « Bem visto tinha... ». Entre Lisbona y Capodimonte. La aristocracia castellana en perspectiva « trans-nacional » (ss. XVI-XVII). In : Bartolomé Yun Casalilla (dir.) : Las redes del Imperio. Élites sociales en la articulación de la Monarquía Hispánica, 1492-1714. Madrid : Marcial Pons 2008, pp. 39-63. – Manuel Herrero Sánchez : La red genovesa Spínola y el entramado transnacional de los marqueses de los Balbases al servicio de la Monarquía Hispánica. In : Bartolomé Yun Casalilla (dir.) : Las redes del Imperio. Élites sociales en la articulación de la Monarquía Hispánica, 1492-1714. Madrid : Marcial Pons 2008, pp. 97-133. 319   Sulla mobilità sociale in Inghilterra cfr. G. E. Mingay : English Landed Society in the Eighteenth Century. London : Routledge and Kegan Paul. Toronto : University of Toronto Press 1963. – Alan Everitt : Social Mobility in Early Modern England. In : Past & Present, Number 33, April 1966, pp. 56-73. – Peter Clark and Paul Slack : English Towns in Transition 1500-1700. Oxford : Oxford University Press 1979. – Lawrence Stone and Jeanne C. Fawtier Stone : An Open Elite ? England 1540-1880. Oxford : Clarendon Press 1984 (si v. in partic. il cap. intitolato « The Myth of Upward Social Mobility », nel quale – a pag. 403 – si afferma che “the degree of upward mobility in England was surprisingly small and not of great social significance”). Soltanto nel periodo 1580-1620 la mobilità sociale ebbe in Inghilterra una intensità paragonabile a quella spagnola (e comunque anche in questi decenni la stragrande maggioranza della popolazione – il 90/95% – apparteneva ai gruppi inferiori della società e gli appartenenti a questi gruppi avevano ben poche chances di ascesa sociale). Cfr. Richard Henry Tawney : The Rise of the Gentry, 1558-1640. In : The Economic History Review 11 (1941), 1-38. – Hugh Redwald Trevor-Roper : The Gentry 1540-1640 (= The Economic History Review Supplements, 1). Published for the Economic History Society by Cambridge University Press. London and New York [1953]. – Lawrence Stone : The Inflation of Honours 1558-1641. In : Past & Present, Num. 13, April 1958, pp. 45-70. – Mark H. Curtis : The Alienated Intellectuals of Early Stuart England. In : Past & Present, Num. 23, November 1962, pp. 25-43. – Lawrence Stone : The Educational Revolution in England, 1560-1640. In : Past & Present, Num. 28, July 1964, pp. 41-80. – Lawrence Stone : Social Mobility in England, 1500-1700. In : Past & Present, Num. 33, 1966, pp. 16-55. – G. E. Aylmer : Caste, ordre (ou Statut) et classe dans les premiers temps de l’Angleterre moderne. In : Problèmes de stratification sociale. Actes du Colloque International (1966) publiés par Roland Mousnier. Paris : P. U. F. 1968, pp. 137-159. – Hugh Kearney : Scholars and Gentlemen. Universities and Society in pre-industrial Britain, 1500-1700. Ithaca, New York : Cornell University Press 1970. – Lawrence Stone : La crisi dell’aristocrazia. L’Inghilterra da Elisabetta a Cromwell, pp. 38-43, pp. 71-139. 320   Sulla mobilità sociale in Francia cfr. Roland Mousnier : La stratification sociale à Paris aux XVIIe et XVIIIe siècles. L’échantillon de 1634, 1635, 1636. – Roland Mousnier : Paris capitale au temps de Richelieu et de Mazarin. Paris : Éditions A. Pedone 1978, pp. 165-191. – Roland Mousnier : Les institutions de la France sous la monarchie absolue, 1598-1789. Paris : Quadrige / PUF 2005, pp. 190-191. – Emmanuel Le Roy Ladurie : Les paysans de Languedoc. Paris : Flammarion 1969, p. 185. – Richard Gascon : Grand commerce et vie urbaine au XVIe siècle. Lyon et ses marchands (environs de 1520 – environs de 1580), pp. 376-377. – Jean-Marie Constant : La mobilité sociale dans une province de gentilshommes et de paysans : la Beauce. In : XVIIe siècle 31 (1979), 7-20. – Evelyne SaiveLever : La mobilité sociale chez les artisans parisiens dans la première moitié du XVIIe siècle. In : XVIIe siècle 31 (1979), 51-60. – Daniel Dessert : Le Laquais-financier au Grand Siècle : mythe ou réalité ? In : XVIIe siècle 31 (1979), 21-36. – Françoise Bayard : Le monde des financiers au XVIIe siècle. Paris : Flammarion 1988. Cfr. inoltre Alberto Martino : Der deutsche Buscón (1671) und der literatursoziologische Mythos der Verbürgerlichung des Pikaro, pp. 274-286.  





















































































































































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al presente così ‘aperte’ come vogliono far credere l’opportunismo e il conformismo imperanti ! 321) Non solo fra i villanos era avvenuta quella fusione di sangue cristiano, arabo ed ebraico messa in rilievo da Salucio. Anche gran parte della ‘vecchia’ alta nobiltà 322 aveva qualche antenato, o antenata, di sangue ebraico o arabo, oppure di bassa condizione sociale. Lo aveva affermato, come già ricordato, Fernán Díaz de Toledo nella sua Instrucción del Relator para el obispo de Cuenca, a favor de la nación Hebrea (1449). 323 Lo aveva dichiarato Francisco López de Villalobos. 324 Lo aveva dimostrato con gran copia di dati Don Francisco de Mendoza y Bobadilla (1508-1566), “una de las grandes figuras del humanismo aristocrático en España”, 325 nel Tizón de la Nobleza de España, 326 scritto nel 1560. 327 Irritato con il Consejo de Órdenes Militares, 328 il quale aveva bloccato, per la mancanza del requisito della limpieza de sangre, la concessione proposta da Filippo II di un hábito 329 a due    

















321   Stephan Thernstrom documenta come la mobilità ascendente sia stata ridottissima nella società americana del XIX secolo (e, in gran parte, ancora in quella del XX secolo) e come l’immagine degli Stati Uniti come terra delle illimitate possibilità e opportunità sia stata pura fantasia, una “leggenda”, tanto autocelebrata, quanto falsa. Cfr. Stephan Thernstrom : Clase y movilidad en una ciudad del siglo XIX. Un estudio de los obreros no calificados. In : Clase, status y poder. Tomo III. Por Reinhard Bendix, Seymour M. Lipset. Presentado por Francisco Murillo Ferrol. Madrid : Euramérica, S. A. 1972, pp. 265-299. Cfr. anche G. D. Berreman : Stratification, Pluralism and Interaction : A Comparative Analysis of Caste. – Hartmut Kaelble : Soziale Mobilität und Chancengleichheit im 19. und 20. Jahrhundert (= Kritische Studien zur Geschichtswissenschaft, 55). Göttingen : Vandenhoeck & Ruprecht 1983, pp. 159-161. 322   L’alta nobiltà veramente ‘vecchia’ si era in gran parte estinta biologicamente fra il 1335 e il 1375. L’alta nobiltà della fine del XVI secolo era quella ‘nuova’ che si era formata sotto la dinastia dei Trastámara e degli Absburgo. Cfr. Salvador de Moxó : De la nobleza vieja a la nobleza nueva. La transformación nobiliaria castellana en la baja Edad Media, pp. 1-210. 323   In questa Instrucción Fernán Díaz de Toledo affermava che tutte le grandi famiglie di Castiglia, Aragona, Navarra e Portogallo erano imparentate con il rabbino Salomon-Ha-Levi – questi dopo la conversione sua e dei suoi figli al cattolicesimo aveva assunto il nome di Pablo de Santa María (la famiglia di Pablo de Santa María era legata alla famiglia dei Cartagena) ed era giunto ad essere Vescovo di Burgos (aveva ottenuto l’annullamento del suo matrimonio giudaico) e Gran Cancelliere di Castiglia – o/e con i discendenti di Juan de Sánchez de Sevilla, di Francisco Fernández Marmolejo e di Diego Sánchez de Valladolid, tutti e tre di origine ebraica e detentori dell’ufficio di “Contador mayor del Rey”. Ecco alcune delle grandi famiglie imparentate, secondo Fernán Díaz de Toledo, con famiglie di origine ebraica : Manrique, Mendoza, Rojas, Ossorio, Miranda, Fernández de Córdoba, Bobadilla, Monroy, Villaquirán, Guzmán, Enríquez, Ayala, Portocarrero, Sandoval, Carrillo, Luna, Pimentel, Zúñiga. Cfr. Fernán Díaz de Toledo : Instrucción del Relator para el obispo de Cuenca, a favor de la nación Hebrea. Año de 1449, pp. 352-354. Sulla Instrucción cfr. Nicholas G. Round : Politics, style and group attitudes in the Instrucción del Relator. – B. Netanyahu : Los orígenes de la Inquisición en la España del siglo XV, pp. 348-380. 324   In una lettera, già ricordata, scritta fra il 1535 e il 1540 al Generale dei Francescani (in quegli anni il Generale dell’Ordine era Fray Vicente Lunel), il medico di Carlo V scrive che infamare ed escludere i conversos con Ordinanze o Statuti di purezza “es negocio que toca á la mayor parte de la nobleza de España”. Cfr. « Carta XLV. El Doctor Villalobos al General de la Órden de San Francisco », p. 166. 325   Marcel Bataillon : Erasmo y España. Estudios sobre la historia espiritual del siglo XVI, p. 338. 326   El Tizón de la Nobleza de España. « Discurso de algunos linages de Castilla, & Aragon, Portugal y Navarra, sacados de la relación, quel el Cardenal Arzobispo de Burgos D.n Francisco de Mendoza, y Bobadilla, dió a la Magestad de Felipe Segundo en la sazon de haverle negado dos mercedes de havitos para sus sobrinos hijos de el Marqués de Cañete su hermano, por decirse que no eran limpios, y por el qual quiso significar quantos linages muy yllustres se hallan con el mismo impedimento sin que hayan sido causa para negarles las gracias de havitos en las ordenes militares, y aun otras maiores dignidades como en este Discurso se verá por extenso ». In : Julio Caro Baroja : Los Judíos en la España Moderna y Contemporánea. Tomo III, pp. 315-327. 327   Cfr. I. S. Révah : Gil González de Ávila et les Statuts de pureté de sang, pp. 504-505. – H. Kamen : Una crisis de conciencia en la Edad de Oro en España : Inquisición contra “Limpieza de sangre”, p. 332. 328   Sul Consejo de Órdenes Militares cfr. F. Fernández Izquierdo : La Orden Militar de Calatrava en el siglo XVI, pp. 130-151. 329   Il Re, come Gran Maestro e amministratore perpetuo degli Ordini Militari, conferiva l’hábito – per sua iniziativa spontanea, oppure su richiesta dell’interessato, o del Consiglio di Stato o del Consiglio delle Indie – e comunicava al Consiglio degli Ordini la sua decisione con una lettera di nomina. Con questa lettera si apriva  













































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suoi nipoti, figli di suo fratello, il Marchese di Cañete, 330 il Cardinale volle dimostrare che anche gran parte delle piú illustri famiglie dell’alta e altissima aristocrazia o non aveva il sangue puro o discendeva da qualche donna “vaja de calidad”, seppure “christiana vieja” 331 (fine delle informazioni genealogiche è accertare, come sappiamo dalle già citate disposizioni dell’Ordine di Santiago, che il candidato al cavalierato è “hijo dalgo, y noble” e “que no le toca raça de judio, ni moro” 332). Filippo II, al quale il Cardinale aveva inviato il Tizón de la Nobleza de España, lo esaminò e lo rimise poi al Consejo de Órdenes Militares, suscitando l’indignazione della nobiltà che dominava gli Ordini Militari. L’opera fu quindi inviata all’Inquisizione perché castigasse l’autore, ma i magistrati del Sant’Ufficio dichiararono che il Tizón non solo non conteneva nulla a detrimento della fede cattolica, ma che anzi la innalzava e favoriva con la difesa della verità, e lodarono il Cardinale per avere avuto il coraggio di rendere noti fatti veritieri, senza il timore di  





la procedura per accertare se la persona nominata dal Sovrano possedeva i requisiti necessari. Se l’informazione genealogica accertava che il candidato possedeva le “qualidades” richieste dagli Ordini, il conferimento diveniva effettivo. Altrimenti il procedimento veniva sospeso definitivamente o prolungato (anche per molti anni) per l’espletazione di ulteriori inchieste genealogiche. Quindi la ‘concessione’, la cosiddetta merced regia era sottoposta a riserva. (Il Re aveva però, come abbiamo ricordato, il diritto di concedere la ‘dispensa’ nel caso che il candidato non possedesse i requisiti necessari.) Il Consiglio degli Ordini poteva anche rifiutare di rendere effettiva la concessione. Questo avvenne, per esempio, nel caso del capitano Sancho Dávila, nonostante il vivo desiderio di Filippo II di premiare questo suo valorosissimo soldato, denominato per le sue gesta militari ‘el rayo de la guerra’, e le pressanti sollecitazioni del Duca d’Alba e gli interventi del Grande Inquisitore, il Cardinale D. Gaspar de Quiroga, Arcivescovo di Toledo, a favore della concessione. I meccanismi della procedura di conferimento degli hábitos sono stati chiaramente e ampiamente illustrati da Martine Lambert-Gorges : Le breviaire du bon enquêteur, ou trois siècles d’information sur les candidats à l’habit des Ordres Militaires. In : Mélanges de la Casa de Velázquez XVIII/1 (1982), 165-198. Sul caso del capitano Sancho Dávila, cfr. F. Fernández Izquierdo : La Orden Militar de Calatrava en el siglo XVI, pp. 215-217. 330   Questo è quanto si afferma nel titolo sopra trascritto della copia manoscritta del Tizón pubblicata da J. Caro Baroja. Ma secondo A. Domínguez Ortiz (Los conversos de origen judío, p. 428) si tratta di “un sobrino suyo, hijo del conde de Chinchón” ; per I. S. Révah (Gil González de Ávila et les Statuts de pureté de sang, p. 505) si tratta di “un neveu du Cardinal (fils du comte de Chinchón)” e per F. Fernández Izquierdo (La Orden Militar de Calatrava en el siglo XVI, p. 219) “del conde de Chinchón, sobrino del cardenal”. I Conti di Chinchón discendevano, come abbiamo già notato, dal converso Andrés Cabrera. Fernando de Cabrera, figlio di Andrés Cabrera e di Beatriz de Bobadilla, era stato creato nel 1520 Conte di Chinchón da Carlo I. Con i Cabrera era imparentata anche la famiglia dei Marchesi di Cañete. Isabel de Cabrera aveva infatti sposato, come sappiamo, D. Diego Hurtado de Mendoza, I Marchese di Cañete. I loro figli erano stati D. Andrés Hurtado de Mendoza e D. Francisco de Mendoza y Bobadilla (1508-1566). Marchese di Cañete era, quando fu redatto il Tizón, D. Andrés Hurtado de Mendoza, nominato Viceré del Perú da Carlo V nel 1554. Dopo la morte di D. Andrés Hurtado de Mendoza, avvenuta nel 1561, divenne Marchese di Cañete suo figlio, García Hurtado de Mendoza (1535-1609), il celebre soldato, fondatore di città nel Sudamerica, Viceré del Perú. Crediamo anche noi che sia stato un Chinchón e non un Cañete il nipote del Cardinale che con la sua disavventura ha originato la redazione del Tizón. 331   « Discurso de algunos linages de Castilla, & Aragon, Portugal y Navarra », p. 321. 332   Piú avanti si specificava che le informazioni dovevano accertare che ai candidati “no les toca mezcla de judio, ni moro, ni conuerso, ni villano”. Cfr. André Ruiz de la Vega : Regla y establecimientos de la Orden de la Cauallería del Señor Sanctiago del Espada (Fue impresso en la muy noble y leal ciudad de Leon, en casa de Pedro de Çelada. 1555) [Facsímil]. Introducción [de] Jesús Paniagua Pérez, fo. 34v, 36r. L’Ordine di Santiago richiedeva – la richiesta è già naturalmente implicita nelle qualità dichiarate necessarie per ricevere l’hábito (essere nobile per parte di padre e di madre ed essere di sangue ‘puro’) – che gli ascendenti del candidato non fossero stati né commercianti o cambiatori, né avessero esercitato un mestiere vile, basso o meccanico. Cfr. M. Lambert-Gorges : Basques et navarres dans l’Ordre de Santiago, pp. 35-36. – M. Lambert-Gorges : Le breviaire du bon enquêteur, ou trois siècles d’information sur les candidats à l’habit des Ordres Militaires, pp. 186-188. Le informazioni per entrare nell’Ordine di Calatrava e di Alcántara dovevano accertare che gli ascendenti del candidato fossero “nobles e generosos, de linahe de hidalgos al modo e fuero de España, sin tener mezcla ninguna de converso ni de villano”. Cfr. « Las preguntas que se han de hazer a los testigos que fueren preguntados por parte de las personas a quien el rey nuestro señor mandare dar los ábitos de las órdenes de Calatrava y Alcántara, para si saben si concurren en ellos las calidades contenidas en las difiniçiones de las dichas órdenes » (Archivo Histórico Nacional, Órdenes Militares, expediente 2.897). Doc. cit. da F. Fernández Izquierdo : La Orden Militar de Calatrava en el siglo XVI, p. 93.  























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eventuali rappresaglie da parte delle potenti famiglie che potevano sentirsi offese dalle sue rivelazioni. Filippo II, conosciuto il giudizio dell’Inquisizione, ordinò di archiviare il memoriale e di tener segreto il suo contenuto. 333 Fra gli innumerevoli lignaggi ‘impuri’ elencati nel Tizón de la Nobleza de España, i bei nomi dell’alta nobiltà castigliana, aragonese e portoghese vi figuravano quasi al completo (tenuto però conto della fitta rete di alleanze matrimoniali, si può fondatamente escludere che qualche lignaggio fosse sfuggito alla ‘contaminazione’). Ne ricordiamo alcuni : i Portocarrero (Marchesi di Villanueva del Fresno), i Pacheco-Téllez Girón (Marchesi di Villena, Duchi di Escalona, Duchi di Osuna, Conti di Ureña), gli Aguilar (Marchesi di Priego), gli Acuña (Conti di Valencia), i Guzmán (Duchi di Medina Sidonia, Conti di Niebla), i Manrique (Duchi di Nájera), i Zúñiga (Duchi di Béjar), i Castro (Marchesi di Sarriá, Conti di Lemos), i La Cerda (Duchi di Medinaceli), i Cárdenas (Duchi di Maqueda), i Ponce de León (Duchi di Arcos), i Velasco (Condestables di Castiglia, Duchi di Frías, Conti di Haro), i Peralta (Marchesi di Falces), i Fajardo (Marchesi di Los Vélez), i Sarmiento (Conti di Salinas), gli Enríquez (Almirantes di Castiglia, Duchi di Medina di Rioseco – e quindi lo stesso Fernando il Cattolico, 334 la cui madre D. Juana, Regina di Navarra e di Aragona, era figlia di Don Fadrique Enríquez, figlio di Alfonso Enríquez, il primo Ammiraglio di Castiglia del suo lignaggio, il quale era figlio di Don Fadrique, Maestre di Santiago, che a sua volta era figlio illegittimo di Alfonso XI e perciò fratellastro di Pedro I e fratello gemello di Enrico II 335), gli Álvarez de Toledo (Duchi d’Alba, Conti di Oropesa), i Rivera (Duchi di Alcalá), i Benavides (Conti di Santisteban del Puerto), i Silva (Conti di Cifuentes), i Cardona (Duchi di Sessa, Conti di Cabra), i Suárez de Figueroa (Conti, Duchi di Feria), i Mendoza (Duchi dell’Infantado, Marchesi di Mondéjar, Marchesi di Cañete, Conti di Tendilla), i Las Cuevas (Duchi di Alburquerque), gli Ayala (Conti di Fuensalida), i Duchi di Villahermosa (discendenti di Juan II, Re di Aragona e di Navarra, figlio di Fernando de Antequera e di Leonor de Alburquerque), i Pimentel (Conti di Benavente), gli Osorio (Marchesi di Astorga), i Padilla (Conti di Santa Gadea e di Buendía), i Cobos (Marchesi di Camarasa), gli Zúñiga-Avellaneda (Conti di Miranda), gli Acevedo (Conti di Monterey), i Rojas (Marchesi di Poza), ecc. ecc. Ma non solo l’alta e l’altissima nobiltà erano ‘macchiate’. A causa dei matrimoni con principesse della Casa di Braganza, che ha origine quando Don Alfonso (D. Francisco de Mendoza y Bobadilla lo chiama Don Albaro), figlio bastardo del Re del Portogallo João I e dell’ebrea “Ynes Fernandez Estevez”, si sposa con Brites Pereira, figlia unica di Nuno Alvares Pereira, Condestável del Regno portoghese, 336 anche “los reyes de Castilla, los de Francia, el emperador, el archiduque, el duque de Saboya, el duque de Mantua, el de Florencia...” erano stati toccati dalla ‘macchia’. 337 Nel suo Discurso sobre los estatutos de limpieza de sangre (1599) – approvato dal Duca di Lerma, che desiderava il trionfo delle idee del domenicano, dal Duca di Medina Sidonia, Don Alonso Pérez de Guzmán, dall’Arcivescovo di Toledo, Cardinale D. Bernardo de Sandoval y Rojas, dal Patriarca-Arcivescovo di Valencia, D. Juan de Ribera, dall’Arcive 











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  Cfr. F. Fernández Izquierdo : La Orden Militar de Calatrava en el siglo XVI, p. 219.   Cfr. anche John H. Elliott : La Spagna imperiale, p. 118. 335   Cfr. Gonzalo Fernández de Oviedo : Batallas y quinquagenas. Edición de Juan Bautista de Avalle-Arce, p. 101. 336   Secondo alcuni era lo stesso Nuno Alvares Pereira di origine conversa. Scrive Eugenio Asensio : “Isabel la Católica tenía sangre impura por la línea de los Braganza : descendía de Nuno Alvares Pereira, el condestable santo, el cual era hijo del Prior de los Hospitalarios Alvaro Gonçalves Pereira, que lo hubo en una cristiana nueva” (La España imaginada de Américo Castro, p. 158). 337   « Discurso de algunos linages de Castilla, & Aragon, Portugal y Navarra », p. 320.  

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scovo di Burgos, D. Antonio Zapata, dal frate francescano Mateo de Burgos, commissario generale dell’Ordine di San Francesco, nominato nel 1600 Vescovo di Pamplona (doveva essere confessore di Margarita d’Austria, ma la Regina non volle rinunziare al confessore che aveva portato con sé dalla Stiria, il padre gesuita Richard Haller 338), dal gesuita Esteban de Ojeda, consulente del Sant’Ufficio, e da molti altri prelati e religiosi, e difeso dallo stesso Inquisitore Generale, Cardinale Fernando Niño de Guevara 339 –, Fray Agustín Salucio, senza fare nomi, aveva scritto :  





El Oficio de la santa Inquisicion de España, los colegios, las ordenes militares y algunas de las monacales, la yglesia de Toledo y algunas otras, conventos particulares y cofradias escluyen por sus estatutos a qualquiera persona, aunque tenga todas quantas calidades se pueden imaginar de nobleza y valor y cristiandad y letras, si por algun lado tiene raça de moro, judio, ereje, o penitenciado : y esta inabilidad se estiende a todos los descendientes de los que aora son escluydos sin termino alguno. Los escluydos paresce que es ya grandissima parte de la gente que ay en España : y a lo meno : de la gente conoscida es el numero muy grande, y entre ellos grande el de gente rica y poderosa, de cuya cristiandad no se duda poco ni mucho, y no poca de la gente noble, y aun de la nobilissima, cuyos padres y abuelos tuvieron abitos, encomiendas, titulos, y aun dignidad de grandes, que es la mayor entre los titulos de España : y ay ciudades principales en que a cundido tanto alguna raça entre las familias nobles y de lustre, que son ya muy pocas las que no rehusaràn el ponerse en cosa, para la qual sea menester rigurosa informacion de limpieça [...]. 340  









Nel suo De Rege et Regis Institutione (1599), uscito quasi contemporaneamente 341 al Discvrso di Fray Agustín Salucio, Juan de Mariana, dopo aver sostenuto che era moralmente ingiusto e politicamente pernicioso escludere dagli onori, per la colpa degli antenati, uomini meritevoli di riceverli, faceva osservare che tale esclusione – forse possibile da realizzare, senza il pericolo di perturbare la pace e l’ordine dello Stato, se i portatori della ‘macchia’ fossero pochi di numero – era sommamente rischiosa attuarla “hoy, que está ya confundida y mezclada la sangre de todas las clases del Estado”. 342  



338   Cfr. Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 62, p. 65, p. 236. 339   I. S. Révah : La controverse sur les Statuts de pureté de sang, p. 281, pp. 286-290, p. 297. 340   Discvrso hecho por Fray Augustin Salucio Maestro en Santa Teologia, de la Orden de santo Domingo, acerca de la justicia y buen govierno de España, en los estatutos de limpieza de sangre, fo. 1v-2r. 341   La « Censvra » del De Rege et Regis Institutione è datata 30 dicembre 1598, la « Summa Regij priuilegij » 15 gennaio 1599. Cfr. IOANNIS | MARIANAE | Hispani, e Soc. Iesu, | DE REGE | ET REGIS INSTITVTIONE | Libri III. | Ad Philippum III. Hispaniae Regem Catholicum. | Anno [Grande stemma reale] 1599. | CVM PRIVILEGIO. | Toleti, Apud Petrum Rodericum typo. Regium (Wien, Österreichische Nationalbibliothek : 35. L. 17), fo. 2r-v. 342   Juan de Mariana : Obras (= Biblioteca de Autores Españoles, vol. 31). Madrid : Rivadeneyra 1872, pp. 540542. Il quarto capitolo (« De honoribus & praemijs in commune ») del terzo libro del De Rege et Regis Institvtione è una vera e propria apologia della mobilità sociale, della meritocrazia e degli homines novi. Nessuno – fosse pure di oscura o di ‘macchiata’ nascita –, se meritevole e virtuoso, deve essere disprezzato, né discriminato, né escluso dagli onori, nemmeno i piú alti (“Quicunque virtutes colendas susceperit, atque in eo studio caeteris praestantior euaserit, is carus me auctore Principi, is nobilis esto. Nullum sit honoris genus, nullum praemium ad quod sit illi aditus interclusus...”). Se nei tempi passati fosse stato sbarrato ai meritevoli l’accesso agli onori, non avremmo oggi nessuna nobiltà : i nobili di oggi furono infatti, un tempo, ‘ignobili’ (“Omnes quicunque hoc tempore clari genere sunt, aliquando ex obscuro loco emersere. si nouis hominibus, si plebeis fuisset olim aditus ad maiora interclusus, nullam hodie haberemus nobilitatem. Num aequum sit, quo itinere ad summa maiores eorum peruenerunt, illud alijs omnibus intercludere ?”). Neppure deve il Principe conferire premi e onori ai ricchi e ai nobili di sangue, se privi di virtù, perché, perduta la speranza di poter emergere, la disperazione spingerebbe gli emarginati a insorgere (“Si diuites quamuis omni virtute vacui, praemijs & honoribus augentur, auaritia, insolentia, ignauia in populo sancietur : solosque beatos credent, quorum erit ingens census, amplae possessiones. egeni in sordibus perpetuo iacebunt nulla emergendi spe : vnde desperatione concepta, concitati in diuites impetum facient. rixae, contumeliae, latrocinia existent : resp. in contrarias partes distracta  































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Francisco de Pisa ricorderà, pochi anni dopo, la “mucha mezcla” della “nobleza de España” con famiglie conversas. 343 In una memoria, indirizzata a Filippo IV e scritta intorno al 1635, il gesuita Hernando de Salazar, confessore del Conte-Duca di Olivares, denuncia, come membro e, molto verosimilmente, come portavoce del Consiglio Supremo della Santa Inquisizione, il carattere fraudolento della maggior parte delle informaciones de limpieza e dichiara, fondandosi sulle prove documentali costituite dalle notizie segrete e dai registri del Sant’Ufficio, che non vi sono quasi famiglie, dalle piú illustri alle piú oscure, il cui sangue non sia “mezclado y infecto” :  



[...] aunque en el sonido es si Pedro ó Juan tienen ó no raza, si son ó no judíos ; pero en efecto no cae sobre esto la substancia ó existencia, sino sobre la opinión : esto es, si hay opinión ó fama de ser tales judíos. Porque si se mira esta materia desapasionadamente, examinando las noticias secretas y los registros de la Inquisicion, son muy contadas las familias que en el hecho de verdad no tengan algo que purgar y disimular ; y esto va creciendo cada día más con los casamientos  





funditus peribit. Si igitur Princeps suae dignitati & saluti publicae seruire cupit, non opes ingentes, si virtute nudatae sint, respiciat : non generis nobilitatem fouebit, si fuerit honestatis luce destituta : sed potius virtutem amplectetur & industriam, vbicunque erit : retentaque statuendi libertate nullius hominis inanem fremitum timebit : ad nullius offensionem mouebitur : nullus erit tantis opibus nixus vel tanta nobilitate clarus, qui leges imperandi imponat, tantumque sibi sumat, vt ab studio ornandae virtutis abducere Principem audeat”). Il Principe non deve tollerare che famiglie intere vengano infamate per vaghi mormorii del volgo e nemmeno che eterna sia la ‘macchia’ (“neque patiatur in eo ipso incertis rumoribus populi integras familias traduci : ne aeternum quidem ea macula infamiaque vigeat. tempus maiorum noxae aut obscuritati praescribatur : vltra quod tempus maiorum nouitas ne posterorum supplicio atque infamia luatur”). Escludere i portatori della ‘macchia’ dagli onori sarebbe, dato il loro grandissimo numero, politicamente pernicioso e sarebbe inoltre operazione propria di un tiranno, che sulla divisione e la discordia dei cittadini fonda il suo potere, e non di un Principe legittimo, la cui cura principale è favorire la concordia generale : “Quam perniciosum exemplum id agere, vt respub. distracta in partes, odio magnae partis ciuium incredibili vexetur : vnde occasione data, rixae & contentiones existant ? Quod si pauci essent ea ignominia notati, sine periculo forsan arcerentur ab honoribus : nunc confuso fere ordinum sanguine, tantum hostium numerum in patria alere, quot sunt ij qui nullo suo merito, sed vitio natalium à publicis honoribus excluduntur, graue sit neque periculo vacet. Et est proprium tyranni inter ciues dissidia serere, ne in vnam voluntatem aliquando conspirent depellendae tyrannidis : Regis legitimi cura eo refertur, vt omnes reip. partes inter se beneuolentia constrictae pro Principis dignitate, pro salute publica, in vnam voluntatem conspirent hostium impetum propulsandi, vindicandi iniurias, belli defendendi, sicunde sit illatum”. Cfr. Juan de Mariana S. I. : De Rege et Regis Institutione, pp. 292-300. Idee simili a quelle di Juan de Mariana sulla pericolosità politica delle esclusioni e delle discriminazioni – “tot hostes – quot exclusi” – le esprime Pedro Fernández Navarrete, che considera lo Stato come un “cuerpo místico” nel quale non devono esistere “miembros separados”. L’esclusione conduce alla disperazione e questa costituisce un pericolo per lo Stato : “todos los reinos en que hubiere muchos excluidos de honor, están en grande riesgo de perderse”. Il buon Principe deve operare per l’integrazione e per la fusione sociale e biologica di tutti i suoi sudditi e non consentire che una parte di essi sia infamata. Cfr. Pedro Fernández Navarrete : Conservación de Monarquías y Discursos Políticos (1626). Edición y estudio preliminar por Michael D. Gordon, pp. 67-74 (« Discurso VII. De la despoblación de España por la expulsión de judíos y moros »). Sulla concezione dello Stato e della società come “cuerpo mistico” è fondata anche la dottrina politica del già ricordato frate francescano Juan de Santa María (Tratado de Republica y Policia Christiana. 1615) e di Geronymo de Zevallos (Arte Real para el bven govierno de los Reyes, y Principes, y de sus vassallos Toledo : Diego Rodríguez 1623, fo. 1r-5v e fo. 117r). La concezione dello Stato o della società come corpo mistico era già molto diffusa fra i trattatisti politici del XV-XVI secolo. Si veda – per esempio – Rodrigo Sánchez de Arévalo : Suma de la Política [1454/1455]. Edición y estudio de Juan Beneyto Pérez (= Publicaciones del Seminario de las Doctrinas Políticas, II). Madrid : C.S.I.C. 1944, p. 122. – Fray Antonio de Guevara : Relox de Príncipes [1529]. Estudio y edición de Emilio Blanco, p. 282. - Cfr. inoltre José Antonio Maravall : La idea del cuerpo místico en España antes de Erasmo (1956). In : J. A. M. : Estudios de historia del pensamiento español. Serie primera. Edad Media. Madrid : Ediciones Cultura Hispánica 1983, pp. 181-199. – Alberto Martino : Il Lazarillo de Tormes e la sua ricezione in Europa (1554-1753). Volume I. L’opera, pp. 452-462. – Ronald W. Truman : Spanish Treatises on Government, Society and Religion in the Time of Philip II. The ‘de regimine principum’ and Associated Traditions (= Brill’s Studies in Intellectual History, Vol. 95). Leiden : Brill 1999, pp. 191-192, pp. 225-228, pp. 235-236. 343   Francisco de Pisa : Descripcion de la Imperial Civdad de Toledo, fo. 214v.  

























































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mezclándose las sangres y las calidades, ó por el interés, ó por la ignorancia de lo que cada uno es, sin que esto se pueda prevenir. Y así de más de lo que hoy hay mezclado y infecto, que es lo más, es fuerza que dentro de poco tiempo no quede nada que no lo sea [...]. Las familias más acreditadas no han conseguido más que la opinión y fama de tener limpieza, la cual han alcanzado las muy esclarecidas con la potencia y superioridad, por la cual no se les atreven los testigos ; las muy obscuras y bajas por la ignorancia, porque no se les conocen los ascendientes ; las de mediano esplendor con la negociación y con hacerse bienquistas ; y las que han quedado presas en el lazo son las que no han tenido caudal para negociar y les han faltado amigos [...]. 344  







Dove sono l’ermetica chiusura sociale, la endogamia e la “incomunicabilidad biológica entre los componentes de las diversas castas”, immaginate – sotto l’influenza della teoria delle tre ‘caste’ elaborata da Américo Castro 345 – da Juan Ignacio Gutiérrez Nieto ? 346 Una ricca dote, un grande patrimonio 347 oppure il fascino erotico di una morisca, 348 di una giudea, 349 o anche di una serva (non aveva sposato il Duca dell’Infantado la Maldonadica,  











344   « El Reuerendissimo Padre Hernando de Salazar, de la Compañia de Iesus, del Consejo supremo de la santa Inquisicion » (= Documento nro. XX). In : I. S. Révah : Gil González de Ávila et les Statuts de pureté de sang, pp. 514-516. 345   Cfr. Américo Castro : La realidad histórica de España. Edición renovada. Septima edición, pp. 28-71. – Américo Castro : España en su historia. Cristianos, moros y judíos, pp. 564-571. Stranamente Américo Castro ammette che le “ejecutorias de hidalguía” si ottenevano “muy a menudo cohechando los oidores” (Fray Bartolomé de Las Casas o Casaus, p. 216). Se l’accesso alla nobiltà era così facile e frequente, come si può parlare di società di caste ? La tesi della stratificazione della società spagnola in caste è stata respinta sia da Antonio Domínguez Ortiz (La clase social de los conversos en Castilla en la Edad Moderna. Granada : Universidad de Granada 1991, p. 154), sia da José Antonio Maravall (Poder, honor y élites en el siglo XVII, p. 129. – Estado moderno y mentalidad social. Tomo II, pp. 16-18). 346   Juan Ignacio Gutiérrez Nieto : La estructura castizo-estamental de la sociedad castellana del siglo XVI, pp. 523-524. 347   Nel Diálogo entre Laín Calvo y Nuño Rasura (1570) si legge a proposito della città di Burgos : “NUÑO. Caualleros, ailos en esta ciudad a centenares en solo el nombre, pero no en la sangre : porque te hago saber que en Castilla mui pocos escapan que no tengan grandes dolores de costado. Porque con este vil dinero an ensuçiado su sangre los nobles que abia, tomando por mugeres por los millares de ducados a una suçia muger de vn merchante reçien bautiçado, atanto, que a dos açadadas en los mas estirados que presumen ser de los godos hallarias agua turbia” (p. 166). Illustrando il fenomeno dei “matrimonios hipogámicos”, cioè delle unioni fra membri della nobiltà e ricche ereditiere di bassa o modesta estrazione sociale, Enrique Soria Mesa scrive : “Como se ve, en el fondo de todo este fenómeno no subyace sino el peso aplastante del dinero. Una realidad indiscutible en la época, que sólo ha podido ser ignorada por algunos historiadores debido a los prejuicios ideológicos o al desconocimiento absoluto de la documentación. El poder del vil metal no sólo se refleja en la literatura coetánea y surge, en negativo, en los escritos de los moralistas, sino que brota inconteniblemente al abrir un protocolo notarial, al consultar un legajo de carácter judicial de una audiencia o chancillería o al utilizar cualquier documento de carácter estatal. Dinero que consigue poder, compra voluntades y por supuesto ... concierta matrimonios” (La nobleza en la España moderna, p. 144). Una abbondante serie di dati – relativi a Córdoba, “la ciudad más aristocratizada de España en la Edad Moderna” – su matrimoni contratti da nobili di antico lignaggio con donne di bassa o modesta estrazione sociale, spesso anche di ascendenza conversa, è offerta in : Enrique Soria Mesa : El cambio inmóvil. Transformaciones y permanencias en una élite de poder (Córdoba, SS. XVI-XIX), p. 15, pp. 87-101, pp. 188-195. 348   Don Pedro Núñez de Herrera, figlio illegittimo di uno dei “señores de Aguilar”, ebbe tre figli da una “esclava morisca”, chiamata Elvira de Herrera, che sarà poi trasformata in una sorella del Re di Tunisi ! Uno di questi tre figli, Don Alonso Fernández de Córdoba, sposò Doña María de Solier, figlia anch’essa di una morisca. Il loro discendente Don Juan Fernández de Córdoba y Solier divenne veinticuatro dell’Ayuntamiento di Córdoba nel 1626 e fu creato Visconte di Torres Cabrera nel 1631. Cfr. Enrique Soria Mesa : El cambio inmóvil. Transformaciones y permanencias en una élite de poder (Córdoba, SS. XVI-XIX), pp. 139-140, p. 185. Sulla trasformazione di Elvira de Herrera in sorella del Re di Tunisi, cfr. – per esempio – Casos notables de la Ciudad de Córdoba (¿1618 ?). Madrid : Sociedad de Bibliófilos Españoles (= Segunda Época, XXIV) 1949, pp. 81-84 (« Caso harto extraño que le sucedió a Don Alonso de Aguilar »). 349   Ricordiamo – tanto per fare un esempio – il caso di Estenga Conejo, la figlia dell’ebreo Aviatar Conejo (o Corejo), ropavejero di Zaragoza. Di lei si innamorò Don Alonso de Aragón, figlio bastardo di Don Juan II, Re d’Aragona. Dalla relazione nacquero quattro figli (tre maschi e una femmina) : Don Juan de Aragón, Conte  









































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la figlia di un suo servo ? ; non si era unito il I Duca di Medinaceli, Don Luis de la Cerda, in articulo mortis con la sua vecchia amante, una conversa di nome Catalina del Puerto, trasformando così il figlio bastardo Juan, avuto da lei nel corso di una lunga relazione adulterina, in suo successore legittimo ? 350), avevano promosso innumerevoli volte la ‘comunicazione biologica’ fra i diversi gruppi etnici e sociali (le caste sono ben altra cosa). 351 La stratificazione della società spagnola non era fondata sulle ‘caste’, ma sugli ‘stati’. E la “sociedad de estados no es una sociedad de castas”. 352 Infatti – come ha notato José Antonio Maravall (e come dimostrano tutti gli studi empirici sulla differenziazione sociale) – “los estamentos, por principio, suponen siempre un margen de movilidad, de reclutamiento de « hombres nuevos », aunque su ascensión de una a otra capa tenga que vencer unos obstáculos reglamentados”. 353 E, in realtà, la stratificazione estamental non aveva impedito neppure durante il Medioevo quella fluidità, permeabilità e mobilità sociale, quel passaggio di individui e di famiglie da uno ‘stato’ all’altro, che in una vera società di caste sarebbero assolutamente impossibili ed impensabili. 354 È da notare, inoltre, che la stratificazione estamental, già di per se stessa mai rigida, stava subendo un processo di intensa, progressiva dissoluzione, sia a causa dei molteplici fenomeni collegati al diffondersi dell’economia monetaria e all’affermarsi del capitalismo, sia a causa della politica fiscale di Filippo II e dei suoi successori, che introdussero imposte che gravavano su tutti e vanificavano così il principio della esenzione fiscale dei ceti privilegiati. 355 Per i piú illustri studiosi – ricordiamo, per fare qualche nome, Antonio Domínguez Ortiz,356  





















di Ribagorza ; Don Alonso de Aragón, Vescovo di Tortosa e poi Arcivescovo di Tarragona ; Don Fernando de Aragón, Commendatore dell’Ordine di San Juan e Priore di Catalogna ; Leonora de Aragón, sposa del Conte di Albaida. Don Alonso de Gurrea (anche : Guerra o Urrea) y de Aragón, Conte di Ribagorza, figlio di Don Juan de Aragón, sposò D. Isabella, figlia del Duca di Cardona. I discendenti – soprattutto alcune delle cinque figlie di Don Alonso de Gurrea y de Aragón e di D. Isabella de Cardona e delle otto figlie di Leonora de Aragón e del Conte di Albaida – si imparentarono con numerose famiglie dell’alta nobilta (Principi di Esquilache, Conti di Cabra, Conti di Buendía, Conti di Gelves, Conti di Portugal, ecc.). Cfr. El Libro Verde de Aragón. Introducción y transcripción : Monique Combescure Thiry. Presentación y estudio preliminar : Miguel Ángel Motis Dolader, pp. 4-9. 350   Cfr. Enrique Soria Mesa : La nobleza en la España moderna, pp. 150-151. Un altro Duca dell’Infantado, Don Diego Hurtado de Mendoza, aveva avuto due figli illegittimi (Don Rodrigo de Mendoza e Don Martín de Mendoza, Arcediano di Guadalajara) da una zingara, donna “muy desproporçionada de la perssona del Duque” (Gonzalo Fernández de Oviedo : Batallas y quinquagenas. Edición de Juan Bautista de Avalle-Arce, p. 403). 351   Cfr. Julio Caro Baroja : Los Judíos en la España Moderna y Contemporánea. Tomo II, pp. 269-276. 352   Antonio Manuel Hespanha : Las estructuras del imaginario de la movilidad social en la sociedad del Antiguo Régimen. In : F. Chacón Jiménez, Nuno G. Monteiro (eds.) : Poder y movilidad social. Cortesanos, religiosos y oligarquías en la Península Ibérica (siglos XV-XIX). Madrid : C.S.I.C. – Universidad de Murcia 2006 (= Biblioteca de Historia, 64), pp. 21-41 ; qui p. 31. 353   José Antonio Maravall : Estado moderno y mentalidad social (Siglos XV a XVII). Tomo II, p. 18. 354   Lo stesso Stephen Gilman, pur fondando la sua interpretazione della Celestina e la sua analisi della storia sociale della Spagna del XV e XVI secolo sul postulato dell’esistenza della ‘casta’ conversa, afferma “que toda familia de conversos que podía procurárselo, de una forma o de otra (por soborno, por compra, por matrimonio, o por simple afirmación propia) había conseguido el status de hidalgo” (La España de Fernando de Rojas. Panorama intelectual y social de « La Celestina », p. 153). 355   Cfr. Antonio Domínguez Ortiz : Política fiscal y cambio social en la España del siglo XVII, pp. 81-156. 356   “Lo que importa recalcar es que a partir de la tercera o cuarta generación, con las naturales e inevitables excepciones, se produce la asimilación total de los conversos, aunque algunos grupos de cristianos viejos hicieran lo posible por dificultarla” (Antonio Domínguez Ortiz : Los conversos de origen judio después de la expulsión, p. 409). In un’opera posteriore Antonio Domínguez Ortiz ribadirà : “la mayoría de los judeoconversos acabaron asimilándose, porque había en ellos una real voluntad de integración a la sociedad circundante” (Los Judeoconversos en España y América, p. 151).  







































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I. S. Révah, 357 Francisco Márquez Villanueva, 358 B. Netanyahu, 359 Enrique Soria Mesa 360 e Rafael Carrasco 361 – il processo di fusione, rapido in certi periodi, dei conversos con la società spagnola cristiano-vieja, è un fatto incontestabile. L’integrazione, l’assimilazione e l’amalgamazione – cioè, la fusione sociale, culturale, religiosa e biologica – dei conversos di origine ebraica erano favorite dalla loro “psicología asimilacionista”, 362 dallo loro “voluntad de integración”, 363 dalla “deliberada tendencia al mimetismo de su origen”, 364 dal loro “deseo incontenible de asimilación”, 365 dal loro “anhelo de integración” e dal loro “afán por borrar la memoria del pasado judío o converso”. 366 Tutti volevano essere cristianos viejos e tutti si dichiaravano tali, come osservò in una lettera dell’agosto 1599 il giovane barone Conrad von Bemelberg al ritorno da un soggiorno in Ispagna. 367 Non stupisce che, date queste disposizioni mentali dei conversos di origine ebraica, il processo di integrazione, di assimilazione e di  





















357   “Pour épargner à leurs descendants les effets de la rigueur inquisitoriale, les Nouveaux-Chrétiens demeurés en Espagne abandonnent, dans leur immense majorité, tout lien avec la religion juive et essaient, généralement avec succès, de se fondre dans la société espagnole en changeant de noms, de professions, de domiciles, et, surtout, en s’alliant par mariage avec les Vieux-Chrétiens : le « sang » juif, réputé « infect » par les racistes, se dilue énormément dans l’ethnie espagnole, en particulier dans les classes sociales supérieures et moyennes” (I. S. Révah : La controverse sur les Statuts de pureté de sang, p. 266). In un saggio posteriore lo studioso tornerà a mettere in rilievo questo processo di fusione biologica e religiosa : “[...] les Nouveaux-Chrétiens demeurés en Espagne avaient tout fait pour se fondre dans l’ensemble de la société espagnole, aussi bien dans sa réalité ethnique que dans sa foi religieuse” (I. S. Révah : Gil González de Ávila, p. 494). 358   “Los conversos de 1391 se han asimilado con increible rapidez, sin mayor dificultad ni incidentes graves, a la sociedad cristiana de los diversos reinos españoles” (Francisco Márquez Villanueva : El problema de los conversos : cuatro puntos cardinales, p. 52). 359   B. Netanyahu, che dedica un intero capitolo della sua opera ad illustrare la “lucha por la asimilación” dei conversos, dopo aver constatato “la absorción étnica de tan grandes masas de conversos en la población cristianovieja”, cosí continua : “Así sucedió que, al cabo de sólo un siglo de los ataques de Silíceo a los conversos de España, su [de los conversos] perfil demográfico había cambiado radicalmente, de modo que en 1670 Spinoza [Tractatus theologico-politicus] pudo escribir que [los conversos] « habían llegado a entremezclarse tanto con los españoles que no habían dejado de sí mismos ni reliquia ni recuerdo »” (B. Netanyahu : Los orígenes de la Inquisición en la España del siglo XV, p. 596 e pp. 969-972). 360   Enrique Soria Mesa mette in rilievo “la enorme capacidad de muchos judeo-conversos para asimilarse a la nobleza española” (La nobleza en la España moderna, p. 109). Cfr. anche Enrique Soria Mesa : La venta de señoríos en el Reino de Granada bajo los Austrias, pp. 53-70. – Enrique Soria Mesa : El cambio inmóvil. Transformaciones y permanencias en una élite de poder (Córdoba, SS. XVI-XIX). – Enrique Soria Mesa : Linajes granadinos. 361   Rafael Carrasco ha evidenziato il “sumo grado de integración logrado por [los conversos españoles]”. Cfr. Rafael Carrasco : Solidaridades judeoconversas y sociedad local, p. 61. In un saggio precedente lo studioso, a proposito dei “judéo-convers espagnols du XVIe siècle”, aveva scritto : “Ils sont parfaitement intégrés à la société vieille-chrétienne. Mêmes formes de sociabilité, même langue, mêmes vêtements, même culture, mêmes occupations, mêmes lieux de résidence, même participation à la vie nationale, à tel point, que nombre d’entre eux sont comptés parmi les représentants les plus lumineux de la civilisation espagnole classique et de ses valeurs spirituels” (Raphaël Carrasco : Solidarités et sociabilité judéo-converses en Castille au XVIe siècle. À propos d’un vieux débat historique, p. 174). 362   B. Netanyahu : Los orígenes de la Inquisición en la España del siglo XV, p. 596. 363   A. Domínguez Ortiz : Los Judeoconversos en España y América, p. 151. 364   F. Márquez Villanueva : Conversos y cargos concejiles, p. 540. 365   J. Contreras Contreras : Limpieza de sangre, cambio social y manipulación de la memoria, p. 99. 366   Moisés Orfali : El judeoconverso hispano : Historia de una mentalidad, p. 119. Già Teófanes Egido aveva parlato di “anhelo de integración, de identificación con las formas religiosas, con la cultura y mentalidades dominantes”, dei convertiti e del loro “afán por borrar la memoria del pasado judío o converso”. Cfr. Teófanes Egido : El problema histórico de los judeos-conversos españoles. In : Las tres culturas en la Corona de Castilla y los sefardíes. Junta de Castilla y León. Consejería de Cultura y Bienestar social. 1990, pp. 165-178 ; qui p. 175. 367   Conrad von Bemelberg : A un Caballero aleman españoliçado (De Boloña, y de Augusto año de 1599). In : Arturo Farinelli : Viajes por España y Portugal. Desde la Edad Media hasta el siglo XX. Divagaciones bibliográficas. Madrid : Centro de Estudios Históricos 1920, pp. 158-160 ; qui p. 159 (“todos en España son Cristianos viejos, sin los Moriscos, quorum non est numerus”).  



































































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amalgamazione – rifiutate invece dai moriscos, 368 fatta eccezione della nobiltà nazarí 369 e dei gruppi privilegiati (“a más riqueza más asimilación” ! 370), nonostante i vantaggi economici decretati per promuoverle 371 – sia stato coronato da successo, come dimostrano – tra l’altro – le ricerche sui tribunali della Inquisizione. 372 Recentemente Teófilo F. Ruiz  



   





368   Cfr. Antonio Domínguez Ortiz - Bernard Vincent : Historia de los moriscos. Vida y tragedia de una minoría. Madrid : Biblioteca de la Revista de Occidente 1979, pp. 17-72. – Louis Cardaillac : Moriscos y cristianos. Un enfrentamiento polémico (1492-1640). Prefacio de Fernand Braudel. Madrid - México - Buenos Aires : Fondo de Cultura Económica 1979, pp. 85-118. – Raphaël Carrasco : Le refus d’assimilation des morisques : aspects politiques et culturels d’après les sources inquisitoriales (1984). In : R. C. : La monarchie catholique et les Morisques (1520-1620). Études franco-espagnoles (= Espagne médiévale et moderne 5). E.T.I.L.A.L. Université Paul Valéry – Montpellier III. 2005, pp. 9-55. Di grande interesse sono anche gli scritti dei contemporanei sul problema della (mancata) assimilazione dei moriscos. Ne ricordiamo alcuni : Carta de Bernardino de Escalante a Felipe II, manifestándole los tres principales problemas de España : los moriscos, Portugal y Aragón, y suplicándole prudencia en la represión, pues de la unidad de España dependen las Indias y los demás estados de la Monarquía. Sevilla 1592. – Discurso de Bernardino de Escalante a Felipe II, sobre el peligro latente que suponía la notable y creciente población de moriscos residentes en la Península, y propuesta de dispersarlos con las debidas precauciones por América y el Pacífico. Toledo 1596. In : Discursos de Bernardino de Escalante al Rey y sus Ministros (1585-1605). Presentación, estudio y transcripción por José Luis Casado Soto. Santander : Universidad de Cantabria 1995, pp. 189-193, pp. 196-200. – Pedro de Valencia : Tratado acerca de los moriscos de España (ca. 1605-1606). Edición crítica por Rafael González Canal. In : Pedro de Valencia : Obras completas. Volumen IV. Escritos sociales. 2. Escritos políticos. Estudios Introductorios por Rafael González Canal, Rafael Carrasco, Gaspar Morocho Gayo. Edición crítica y notas por Rafael González Canal, Hipólito B. Riesco Álvarez. León : Universidad de León. Secretariado de Publicaciones 1999, pp. 67-139. – Pedro de Valencia : Discurso sobre el acrecentamiento de la labor de la tierra. (Al Rey nuestro Señor.) Madrid, 1607. In : Pedro de Valencia : Obras completas. Volumen IV/1. Escritos sociales. I. Escritos económicos, pp. 137-158 ; qui pp. 156-157. – Jaime Bleda : Corónica de los moros de España [Facs. ed. : Valencia : Felipe Mey 1618]. Estudio introductorio por Bernard Vincent, Rafael Benítez Sánchez-Blanco. València : Ajuntament de València - Universitat de València 2001, pp. 869-1072 (= « Libro Octavo, y vltimo. De la justa, y general expulsion de los Moriscos de España, executada por mandado del Catholico Rey don Felipe III. El vltimo, y supremo Conquistador de los Moros de España, gran libertador, y salud de sus Reynos. »). Anche un osservatore imparziale come il gentiluomo fiammingo Jehan Lhermite giudicava i moriscos inassimilati e inassimilabili e li considerava un pericolo potenziale per la sicurezza della Spagna (cfr. El Pasatiempos de Jehan Lhermite. Memorias de un Gentilhombre Flamenco en la corte de Felipe II y Felipe III, pp. 459-460). 369   Cfr. Enrique Soria Mesa : De la conquista a la asimilación. La integración de la aristocracia nazarí en la oligarquía granadina. Siglos XV-XVII. In : Áreas. Revista de Ciencias Sociales. Murcia 14 (1992), 51-64. – Enrique Soria Mesa : Linajes granadinos. pp. 75-84. 370   Javier Castillo Fernández : La asimilación de los moriscos granadinos : un modelo de análisis. In : Antonio Mestre Sanchís y Enrique Giménez López (Coordinadores) : Disidencias y exilios en la España Moderna. Actas de la IV Reunión Científica de la Asociación Española de Historia Moderna. Alicante, 27-30 de mayo de 1996. [Tomo II.] Alicante : Caja de Ahorros del Mediterráneo – Universidad de Alicante – A. E. H. M. 1997, pp. 347361 ; qui p. 353. 371   Per favorire l’assimilazione religiosa, culturale e sociale e l’amalgamazione biologica, si tentò di promuovere i matrimoni e la convivenza fra cristianos viejos e moriscos con l’offerta di alcuni vantaggi economici. Nella Cédula promulgata a Granada l’8 dicembre del 1526, in occasione del suo soggiorno nella città, Carlo V stabiliva infatti quanto segue : “Hazemos merced a los cristianos viejos que casaren en este rreyno con cristianas nuevas e a las cristianas viejas que casaren con cristianos nuevos e a los cristianos viejos que fueren a vivir entre cristianos nuevos que sean libres y exemptos de huéspedes así de los de nuestra corte como de gente de guerra e otros qualesquier y que no den rropa ni bestias de guía ni aves ni otra cosa alguna por vía de aposento e demás desto por les hazer más merced a las tales personas que hizieren lo suso dicho les prometemos que luego que nos conste dello les haremos merced para ellos y para sus herederos y sucesores de les dar y señalar de lo rrealengo e público y concegil algunas roças e tierras e terminos...”. Cfr. Archivo General de Simancas, Cámara de Castilla, leg. 2161, fol. 108, 8 diciembre 1526 ; cit. da Bernard Vincent : La famille morisque. In : Les mentalités dans la Péninsule Ibérique et en Amérique Latine aux XVIe et XVIIe siècles. Histoire et problématique. Actes du XIIIe Congrés de la Société des Hispanistes Français de l’Enseignement Supérieur (Tours, 1977). Tours : Publications de l’Université de Tours 1978 (= Série « Études Hispaniques », I), pp. 67-83 ; qui p. 80. 372   Oltre alle già ricordate ricerche di Jean-Pierre Dedieu (L’administration de la foi. L’Inquisition de Tolède, XVIe-XVIIIe siècle. – Les causes de foi de l’Inquisition de Tolède, 1483-1820. Essai statistique), di Jaime Contreras (El Santo Oficio de la Inquisición en Galicia, 1560-1700) e di Michel Boeglin (L’Inquisition espagnole au lendemain du concile de Trente. Le tribunal du Saint-Office de Séville, 1560-1700), si vedano i seguenti studi : Jean 























































































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ha scritto che “la historia de los judíos en España es una historia de asimilación, es decir, una historia de la exitosa integración de miles de conversos y sus familias en las filas de la sociedad española”. 373 Vasto e intenso fu, in realtà, il processo di integrazione dei convertiti di origine ebraica nella società spagnola cristiano-vieja e nella stessa nobiltà (ceto tutt’altro che ‘chiuso’, ma aperto e permeabile ! 374), processo che – per esempio – emerge ora dall’enorme  

   

Pierre Dedieu : Les Inquisiteurs de Tolède et la visite du district. La sedentarisation d’un tribunal (1550-1630). In : Mélanges de la Casa Velázquez 13 (1977), 235-256. – Gustav Henningsen : El ‘Banco de datos’ del Santo Oficio. Las relaciones de causas de la Inquisición Española, 1550-1700. In : Boletín de la Real Academia de la Historia 74 (1977), 547-570. – Jean-Pierre Dedieu : Les quatre temps de l’Inquisition. In : Bartolomé Bennassar : L’Inquisition espagnole, XVe-XIXe síècle. Paris : Hachette 1979, pp. 15-41. – Ricardo García Cárcel : Herejía y sociedad en el siglo XVI. La Inquisición en Valencia. Barcelona : Ediciones Península 1980. – José María García Fuentes : La Inquisición en Granada en el siglo XVI. Granada : Universidad de Granada 1981. – Rafael Gracia Boix : Autos de Fe y causas de la Inquisición de Córdoba (= Colección Textos para la Historia de Córdoba. Publicaciones de la Excma. Diputación Provincial, 4). Córdoba 1983. – Beñat Zintzo-Garmendía : Actividad habitual del tribunal vasco-castellano. In : Los Inquisidores. Vitoria : Fundación Sancho el Sabio 1993, pp. 195-240. – Iñaki Reguera : Minorías marginadas e Inquisición. In : Los Inquisidores. Vitoria : Fundación Sancho el Sabio 1993, pp. 257-280. – Antonio Bombín Pérez : Los procesados en el tribunal inquisitorial de Logroño. In : Los Inquisidores. Vitoria : Fundación Sancho el Sabio 1993, pp. 283-315. Tutti questi studi documentano come a partire dal 1525/1530 ca. il fenomeno del giudaismo sia o estinto o in via di estinzione. Così – per esempio – delle 1.049 persone processate dal 1560 al 1599 in Galizia dalla Inquisizione, solo 4 (= 0,4%) furono accusate di giudaizzare ; 591 (= 56,3%) furono processate per ‘proposiciones’, 198 (= 18,8%) per bigamia. La grandissima parte dei perseguitati dalla Inquisizione in Galizia era formata da cristianos viejos ( J. Contreras). Nel distretto immenso della Inquisizione di Toledo (47.700 km2 , la metà del territorio totale della Nuova Castiglia), con una popolazione – nel 1591 – di ca. 900.000 anime, già verso il 1540 il giudaismo “n’était plus que résiduel”. Su 3.000 cause (il totale fu di 3.045) promosse nel periodo 1561/1620 dalla Inquisizione del distretto di Toledo, 2.226 furono contro cristianos viejos, 306 contro conversos (di origine ebraica), 465 contro moriscos, 3 contro gitani (le cifre assolute non devono naturalmente mascherare il fatto che, in relazione alla loro consistenza numerica, gli appartenenti al gruppo dei conversos toledani erano stati sottoposti a processi con maggior frequenza dei cristianos viejos) ; su 2.422 cause formali di fede degli stessi anni 1561-1620, quelle contro persone accusate di giudaizzare furono 238 (Dedieu). Su un totale di oltre 5000 persone processate dalla Inquisizione di Valencia fra il 1530 e il 1609, solo 14 erano quelle accusate di giudaizzare e tutte erano di origine portoghese, entrate in Ispagna dopo l’annessione del 1580 (García Cárcel). I conversos di origine ebraica processati fra il 1530 e il 1614 dalla Inquisizione di CalahorraLogroño costituiva solo il 3% del totale dei penitenciados (Reguera). Su un totale di 1.665 processi istruiti dal tribunale inquisitoriale di Logroño fra il 1580 e il 1610, le cause di giudaismo furono soltanto 83, meno del 5% (Bombín Pérez). 373   Teófilo F. Ruiz : Historia social de España, 1400-1600, p. 117. Illustrando il caso specifico della Real Chancillería e della oligarchia municipale di Granada, Enrique Soria Mesa scrive : “El clan Santa Cruz Bocanegra representa un excelente ejemplo de la capacidad que tuvieron las familias conversas para instrumentalizar a su favor las instituciones. Aprovechando hasta el límite las oportunidades que les brindaba el sistema, consiguieron integrarse entre la élite granadina, hacerse olvidar su origen hebraico y su procedencia social más que mediana, y alcanzar por fin la cúspide de la Granada de su tiempo, casando con las mejores familias de su élite, desempeñando oficios públicos y alcanzando la condición señorial e incluso, aunque por línea femenina, la de nobles titulados.” E ancora : “Como todas las familias en proceso de ascenso social, los Santa Cruz fundaron mayorazgos, patronatos y capellanías, a la vez que adquirían todo tipo de simbolos de estatus. El ayuntamiento granadino fue otro de sus objetivos. Inigualable plataforma de poder en el ámbito local, poseer una veinticuatría fue el objetivo básico de las familias enriquecidas de la capital y aún de todo el reino. Ocupar un escaño en el cabildo suponía participar de lleno en la gestión política y económica de un enorme territorio, con todas sus consecuencias, facilitaba el acceso a mayores destinos, cerca de la Corte, y sobre todo limpiaba los orígenes, convirtiendo de facto en noble a quien no lo era. A principios del siglo XVII ya encontramos como veinticuatro a don Luis de Bocanegra, empezando a olvidar el Santa Cruz de tan mala fama…” (Burocracia y conversos. La Real Chancillería de Granada en los siglos XVI y XVII, pp. 119-120 e p. 122). 374   Lo dimostra Enrique Soria Mesa nel corso di tutta la sua monografia sulla nobiltà spagnola, che termina con queste parole : “Hora es ya de que se imponga la verdadera realidad, de que sepamos hasta qué punto la nobleza española triunfó durante siglos precisamente debido a su gran capacidad de adaptación, de mezcla de sangres y de integración en su seno de todo tipo de ricos y poderosos” (La nobleza en la España moderna. Cambio y continuidad, p. 321).  























































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documentazione sui conversos sivigliani raccolta da Juan Gil 375 e che sarebbe del tutto impossibile in una vera società di caste o, semplicemente, in una chiusa e rigida società di ‘ordini’ o di ‘stati’. Numerosi sono i Comendadores, i possessori di señoríos, i nobilitati e i cavalieri di Ordini Militari, numerosissimi gli Escribanos, i Jurados e i Veinticuatros, i Protonotarios, i Canónigos, gli Arcedianos, i Mayordomos, gli Alcaldes Mayores e gli Almojarifes Mayores di origine ebraica ; frequenti i matrimoni di membri di famiglie conversas con appartenenti a famiglie della nobiltà e addirittura dell’alta aristocrazia andalusa, registrati da Juan Gil nel suo Ensayo de Prosopografía. Molte di queste distinte persone di origine ebraica erano discendenti di condannati dall’Inquisizione. Queste nobilitazioni, queste carriere, queste posizioni sociali, questi apparentamenti, questa integrazione, questa assimilazione e questa amalgamazione sarebbero – lo ripetiamo – semplicemente impossibili e impensabili non solo in una società di caste, ma anche semplicemente in una società relativamente ‘chiusa’. La documentazione pubblicata da Juan Gil, tutte le serie analisi genealogiche e tutte le ricerche empiriche sulle élites di potere sfatano il mito della società spagnola come società di ‘caste’ e tante altre idées reçues, diffuse in molti ‘studi’ sulla letteratura del Siglo de Oro. Non solo i convertiti non erano emarginati, ma possedevano – essendo regidores, escribanos, jurados, protonotari (altissimi funzionari della Corona di Aragona 376), arcidiaconi, canonici, ‘maggiordomi’, alcaldes mayores, ecc. ecc. ed appartenendo alle oligarchie municipali – un potere enorme in quasi tutte le città. Enrique Soria Mesa scrive che “la presencia de regidores de procedencia hebraica era muy alta en las principales ciudades del reino durante el siglo XVI y la primera mitad del XVII”, e ricorda “la enorme trascendencia que tuvo el fenómeno en ciudades del rango de Ciudad Rodrigo, Córdoba, Cuenca, Guadalajara, Granada, Logroño, Madrid, Murcia, Palencia, Segovia, Sevilla, Soria y Toledo, entre otras muchas”. 377 Non minore era la presenza dei conversos in istituzioni importantissime come, per esempio, la Real Chancillería di Granada. 378 Per fare sociologia della letteratura spagnola sarebbe necessario conoscere profondamente la storia sociale, e non solo della Spagna ma di tutta l’Europa. Si eviterebbero cosí le deformazioni e la propagazione di clichés non dissimili da quelli della leyenda negra. Purtroppo gran parte delle interpretazioni ‘sociologiche’ sono costruite su tutta una serie di ‘dogmi’ proclamati da Américo Castro 379 in España en su historia (1948), La  











375

  Juan Gil : Los conversos y la Inquisición sevillana. Ensayo de Prosopografía, voll. III-V.   Luis de Valdeavellano : Curso de historia de las Instituciones españolas. De los orígenes al final de la Edad Media, p. 498. 377   Enrique Soria Mesa : La nobleza en la España moderna. Cambio y continuidad, pp. 105-106. In nota al nome delle città menzionate nelle righe da noi trascritte lo studioso elenca gli studi propri e di altri storici sulle oligarchie municipali. Molti di questi studi – precisamente, quelli di Raphaël Carrasco (Les hidalgos de Cuenca), Francisco Javier Mosácula María (Los regidores de la ciudad de Segovia : análisis socioeconómico de una oligarquía urbana), Francisco J. Aranda Pérez (Poder y poderes en la ciudad de Toledo), Enrique Soria Mesa (El cambio inmóvil), Ruth Pike (Aristocrats and Traders. Sevillian Society in the Sixteenth Century), Rafael Sánchez Saus (Caballería y linaje en la Sevilla Medieval. Estudio genealógico y social), Máximo Diago Hernando (El ascenso sociopolítico de los judeoconversos en la Castilla del siglo XVI), Juan Gil (Los conversos y la Inquisición sevillana), M. Del Pilar Rábade Obradó (Una élite de poder en la Corte de los Reyes Católicos. Los Judeoconversos), Jaime Contreras (Sotos contra Riquelmes. Regidores, inquisidores y criptojudíos) – li abbiamo ricordati nel corso di questo lavoro. 378   Cfr. Enrique Soria Mesa : Burocracia y conversos. La Real Chancillería de Granada en los siglos XVI y XVII, p. 118 e p. 123. Non per caso in questa città “como mínimo el cuarenta por ciento de los veinticuatros a finales del siglo XVI eran de origen judío”. Cfr. James Casey : Familia, poder y comunidad en la España moderna. Los ciudadanos de Granada (1570-1739). Traducción de Manuel Ardit Lucas. Valencia : Universitat de València – Granada : Universidad de Granada 2008, p. 64. 379   Robert Ricard fa risalire a Marcel Bataillon la tesi che la Spagna arcicattolica fosse in realtà giudaica e conversa, tesi che costituisce il dogma centrale del pensiero di Américo Castro. Cfr. Robert Ricard : Mateo Alemán  

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realidad histórica de España (1954), De la edad conflictiva (1961 ; ed. riv. 1963), Cervantes y los casticismos españoles (1966) e in molti altri lavori, e successivamente accettati, divulgati e talvolta sviluppati e sistematizzati dai suoi allievi – in primo luogo da Stephen Gilman (The Spain of Fernando de Rojas. 1972) – e da numerosissimi seguaci, per i quali l’opera del Maestro è “un texto casi religioso”. 380 Questi sono i ‘dogmi’ di Américo Castro e della sua ‘scuola’ :  





a) Presenza egemonica del ‘semitismo’ e quasi assenza di radici occidentali nello hispánico, e non solo nel ‘processo vitale’ del Medioevo, ma anche del XVI secolo, permanendo intatta la “contextura cristiano-islámico-judía” (“el telar y los tejedores siguieron siendo los mismos”). 381  

b) Assenza di cristianos viejos – per la loro “incapacidad técnica”, 382 per la loro “incapacidad para hacer cosas”, 383 per la loro “imposibilidad de interesarse por « las cosas »”, 384 per il loro “desdén por las actividades mecánicas, comerciales o de pura razón” 385 – nel ceto imprenditoriale, mercantile, finanziario, 386 artigianale 387 e ‘intellettuale’. Correlata con questa assenza, identità, quindi, di ‘classe’ conversa e ‘classe borghese’ (imprenditori, commercianti, finanzieri, amministratori, intellettuali, sarebbero tutti solo e unicamente conversos). 388  

















y el dogma de la Trinidad. In : Homenaje a Elías Serra Ráfols. Vol. III. La Laguna : Universidad de La Laguna, Secretariado de Publicaciones 1970, pp. 209-214. 380   Antonio Márquez : Literatura e Inquisición en España (1478-1834), p. 203, nota nro.7. 381   Américo Castro : España en su historia. Cristianos, moros y judíos, p. 601. 382   Américo Castro : España en su historia. Cristianos, moros y judíos, p. 483. 383   Américo Castro : España en su historia. Cristianos, moros y judíos, p. 657. Cfr. anche Américo Castro : Aspectos del vivir hispánico, p. 135. 384   Américo Castro : España en su historia. Cristianos, moros y judíos, p. 481. 385   Américo Castro : España en su historia. Cristianos, moros y judíos, p. 36. 386   Neppure alla fine del XV secolo le attività commerciali e finanziarie erano esercitate esclusivamente, o in gran parte, da ebrei. Cfr. Miguel Ángel Ladero Quesada : Sevilla y los Conversos : Los ‘Habilitados’ en 1495. In : Carlos Barros, editor : Xudeus e conversos na historia. Actas do Congreso Internacional, Ribadavia 14-17 de outubro de 1991. Tomo II. Santiago de Compostela : Deputación Ourense - La Editorial de la Historia 1994, pp. 47-67 ; qui pp. 61-66. 387   In realtà, studi recenti dimostrano “la abrumadora superioridad numérica del artesenado cristiano sobre el judío” ( J. M.a Monsalvo Anton : Teoría y evolución de un conflicto social. El antisemitismo en la Corona de Castilla en la Baja Edad Media, p. 61). Per dati concreti sull’artigianato e gli artigiani in centri urbani e in zone rurali, cfr. C. Viñas : Cuadro económico-social de la España de 1627-28. Pragmáticas sobre tasas de las mercaderías y mantenimientos, jornales y salarios. – N. Salomon : La campagne de Nouvelle Castille, p. 97, pp. 131-132, pp. 279-288. – B. Bennassar : Économie et société à Ségovie au milieu du XVIe siècle, pp. 187-189. – L. Martz - J. Porres Mártin-Cleto : Toledo y los toledanos en 1561, pp. 26-33. – Alberto Marcos Martín : Auge y declive de un núcleo mercantil y financiero de Castilla la Vieja. Evolución demográfica de Medina del Campo durante los siglos XVI y XVII, pp. 289-321. – B. Bennassar : Valladolid en el Siglo de Oro, p. 211-227, pp. 307-311. – Manuel Fernández Álvarez : Burgos en el siglo XVI. In : La Ciudad de Burgos. Actas del Congreso de Historia de Burgos. MC aniversario de la fundación de la Ciudad 884-1984. Valladolid : Junta de Castilla y León 1985, pp. 221-230. – Vicente Montojo Montojo : El Siglo de Oro en Cartagena (1480-1640), pp. 64-66, 68-70, 225-229. – F. Brumont : Paysans de Vieille-Castille, pp. 126-143, 183-187, 202-208. – Juan Aranda Doncel : La villa de Castro del Rio durante el último tercio del siglo XVI. Córdoba : Ayuntamiento de Castro del Rio – Diputación Provincial de Córdoba 1993, pp. 73-81. – J. C. Zofío Llorente : Gremios y artesanos en Madrid, 1550-1650. La sociedad del trabajo en una ciudad cortesana preindustrial, pp. 101-182. – J. A. Nieto Sánchez : Artesanos y mercaderes. Una historia social y económica de Madrid, 1450-1850, pp. 83-159. 388   La tesi della inettitudine, o incapacità, dei castigliani a svolgere delle attività amministrative, imprenditoriali e mercantili è perfettamente infondata. Non solo tali attività erano svolte, con successo, da ‘plebei’, ma anche da molti hidalgos e addirittura da numerosi membri della nobiltà titolata. Cfr. Richard Konetzke : Entrepreneurial Activities of Spanish and Portuguese Noblemen in Medieval Times. In : Explorations in Entrepreneurial History 6 (1953), 115-120. – José Durand : La transformación social del Conquistador. – Maria del  



































































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c) Totale mancanza di fluidità e mobilità sociale nella ‘tibetizzata’ società spagnola del Siglo de Oro, vista come società di caste. d) Disprezzo degli spagnoli – avversi, per paura della Inquisizione, al sapere, al pensare, alla lettura 389 – per la cultura, le ‘lettere’, la scienza e il lavoro e le professioni intellet 

Carmen Carlé : Mercaderes en Castilla (1252-1512), pp. 287-292. – Manuel Basas Fernández : Mercaderes burgaleses del siglo XVI, pp. 157-165. – Richard Konetzke : Forschungsprobleme zur Geschichte der wirtschaftlichen Betätigungen des Adels in Spanien, pp. 135-151. – Hans Pohl : Zur Geschichte des adligen Unternehmers im spanischen Amerika (17./18. Jahrhundert). In : Jahrbuch für Geschichte von Staat, Wirtschaft und Gesellschaft Lateinamerikas, Köln - Graz, 2 (1965), 218-244. – Bartolomé Bennassar : Être noble en Espagne. Contribution à l’étude des comportements de longue durée. In : Mélanges en l’honneur de Fernand Braudel. Histoire économique du monde méditerranéen, 1450-1650. Toulouse : Edouard Privat, Éditeur 1973, pp. 95-106. – Helen Nader : Noble Income in Sixteenth-Century Castile : The Case of the Marquises of Mondéjar, 1480-1580. In : Economic History Review, 2nd series, 30 (1977), 411-428. – Carla Rahn Phillips : Ciudad Real, 1500-1750. Growth, Crisis, and Readjustment in the Spanish Economy, p. 112. – Eufemio Lorenzo Sanz : Comercio de España con América en la época de Felipe II. Tom. I, p. 113. – F. Brumont : Paysans de Vieille-Castille, pp. 358-360. – Javier Ortiz de la Tabla Ducasse : De hidalgo castellano a empresario colonial. Rodrigo de Salazar, encomendero y obrajero de Quito, 1510-1584. In : Anuario de Estudios Americanos 42 (1985), 43-126. – G. Lohmann Villena : Les Espinosa. Une famille d’homme d’affaires en Espagne et aux Indes à l’époque de la colonisation, p. 59 (qui viene ricordato che Don Francisco de Mendoza, figlio di Antonio de Mendoza, primo viceré di Nueva España, possedeva un ingenio azucarero). – Ruth Pike : Aristocrats and Traders, pp. 22-34. – R. Pike : Enterprise and Adventure, pp. 6-7. – J. Durand : La Grandeza mexicana y el ennoblecimiento del mercader, p. 159, p. 164. – H. Kamen : Una sociedad conflictiva : España, 1469-1714, p. 175, p. 180. – M.-C. Gerbet - J. Fayard : Fermeture de la noblesse et pureté de sang, pp. 466-468. – Luisa Isabel Álvarez de Toledo : Alonso Pérez de Guzmán, General de la Invencible. Libro 2°, pp. 107-131. 389   “No pensar, no saber, no leer, protegían contra el sadismo y el afán de rapiña de las gentes del Santo Oficio, eficaz remache para la atonía intelectual del español de aquellos tiempos, que compensó con vitalismo expresivo la quietud de su mente” (Américo Castro : España en su historia. Cristianos, moros y judíos, p. 598. Cfr. anche Américo Castro : De la edad conflictiva. Crisis de la cultura española en el siglo XVII, pp. 153-187). Accusare di “no querer leer por miedo a la Inquisición”, la nazione, che come abbiamo visto, superava gli altri paesi europei per la alfabetizzazione e il numero di scuole ‘latine’ e di Università, per la elevata produzione di opere in ‘volgare’, per la diffusione della bellettristica in vasti strati della popolazione e per i progressi realizzati in tanti campi della scienza, è veramente assurdo. Américo Castro ripete qui luoghi comuni della propaganda antispagnola, simili a quelli che si trovano – per esempio – nella Segunda parte del Lazarillo di Juan de Luna. Durante tutto il XVI e sino all’inizio del XVII secolo l’Inquisizione aveva condannato – totalmente o parzialmente – solo un numero limitato di testi scientifici e la condanna era stata unicamente motivata dalla loro eterodossia religiosa. Solo a partire dalla pubblicazione dell’Index di Bernardo de Sandoval y Rojas (1612) e soprattutto del Novus Index di Antonio Zapata (1632) la situazione cambia radicalmente. Quindi sino almeno al 1612/1632 l’Inquisizione non aveva paralizzato i cervelli spagnoli e bloccato lo sviluppo della scienza, che nel XVI e ancora nei primi decenni del XVII secolo fiorisce rigogliosamente (rami delle scienze applicate continuano a fiorire anche oltre il 1632 ; si pensi, per esempio, all’Arte de los metales di Alvaro Alonso Barba, uno dei piú importanti trattati europei di mineralogia e metallurgia, pubblicato nel 1640 e tradotto nel 1676 in tedesco, col titolo Berg-Büchlein, e successivamente in inglese e francese). Per quanto riguarda la bella letteratura, la censura proibì sì, retroattivamente, con l’Indice di Valdés (1559), tutto il teatro di Bartolomé Torres Naharro (nel 1573 fu però permessa la pubblicazione di una edizione espurgata della Propalladia), l’Amadís di Gil Vicente, la Tragedia Josephina di Miguel de Carvajal, Plácida y Victoriano di Juan del Encina, la Segunda Celestina di Feliciano de Silva, la Thesorina di Iayme de Huete, la Tidea di Francisco de las Natas, la Farsa llamada Custodia del hombre di Bartolomé Palau e il Lazarillo de Tormes, ma, nel contempo, fu tanto liberale da non condannare opere come la Lozana andaluza e la Celestina (nel 1632 l’opera di Fernando de Rojas figurerà, per la prima volta, nell’Index, ma verrà disposta unicamente l’espurgazione del testo ; la sua proibizione totale sarà ordinata soltanto nel 1793 !). Negli Indici del 1583 e del 1612 non viene aggiunta alcuna opera nuova, se non, per l’espurgazione, le Obras di Gregorio Silvestre. Nessuno degli autori delle opere censurate sopra elencate fu processato. Nessuno degli autori drammatici attivi negli anni 1560-1700 – il teatro fu sottoposto in Ispagna, come negli altri paesi europei, alla censura piú rigorosa – fu processato per la sua opera. La censura, che per lo piú veniva affidata ad altri autori, era comunque, generalmente, poco efficace. Si deve considerare, inoltre, che una notevole massa di letteratura circolava manoscritta ed era così sottratta alla censura. Sicuramernte l’Inquisizione non soffocò la creatività. Quale altra letteratura europea dei secoli XVI e XVII è paragonabile, nel suo insieme (considerando,  

























































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tuali. Conseguente monopolio culturale degli ebrei e, successivamente, dei conversos (monopolio smentito, in realtà, clamorosamente dalle analisi statistiche ! 390), ai quali    

cioè, i due secoli e tutti i generi letterari), a quella spagnola ? Si dovrebbe comunque tener sempre presente che la persecuzione degli intellettuali dissidenti e la censura di libri non erano una ‘peculiarità’ esclusivamente spagnola. I roghi, le esecuzioni capitali e le persecuzioni degli ‘eretici’ erano abituali anche in Inghilterra, Francia, Svizzera, Germania e Province Unite (Olanda). I calvinisti, gli anglicani, i protestanti e i puritani non mostrarono piú tolleranza dei cattolici per la libertà di ricerca e di pensiero. Nel 1553 si ebbe “la despedida en masa de los sabios de Cambridge por el fanatismo religioso”. Thomas More e John Fisher furono decapitati. John Frith morì sul rogo. Nel 1575 furono bruciati degli anabattisti, nel 1593 furono impiccati dei gesuiti. È necessario ricordare che a Ginevra (ca. 16.000 ab.) tra il 1542 e il 1546 furono giustiziate 58 persone e 76 furono esiliate, che Miguel Servet fu bruciato a Ginevra e Giulio Cesare Vanini a Toulouse ? Libri venivano bruciati ovunque. (Cfr. Otis H. Green : España y la tradición occidental. Tomo III. Madrid : Gredos 1969, pp. 177-181.) Il controllo sociale e intellettuale esercitato da Lutero e dai protestanti, che erano terrorizzati dalla eterodossia e fecero del catechismo e non della Bibbia il fulcro dell’educazione religiosa e civile, era molto forte (cfr. Richard Gawthrop – Gerald Strauss : Protestantism and Literacy in Early Modern Germany. In : Past & Present 104, 1984, pp. 31-55). Nel 1642 fu interdetto l’insegnamento del cartesianesimo a Utrecht ; nel 1647 si ebbe un violento attacco contro Cartesio all’Università di Leida. Anche la comunità ebraica di Amsterdam non si distingueva precisamente per la tolleranza. Si consideri – per esempio – le persecuzioni subite da (Gabriel) Uriel da Costa e la flagellazione (39 colpi di flagello), che lo spingerà al suicidio, inflittagli nella Sinagoga davanti alla comunità ebraica riunita (cfr. Marcelino Menéndez Pelayo : Historia de los heterodoxos españoles. Editionem cvravit Javier María Pérez-Roldán y Suanzes-Carpegna y Carlos María Pérez-Roldán y Suanzes-Carpegna. Madrid : Bibliotheca Homolegens 2007, 2 voll. ; qui II, pp. 74-77. – Carolina Michaëlis de Vasconcellos : Uriel da Costa. Notas relativas à sua vida e às suas obras. Coimbra : Imprensa da Universidade 1921, pp. 28-52) ; oppure l’odio con cui fu perseguitato Baruch Spinoza dalla Sinagoga. Il Consiglio dei rabbini accusò il filosofo di “actions monstrueuses” e di “effroyables hérésies” e scagliò contro di lui, nel 1656, l’anatema e una terribile maledizione (cfr. Roland Caillois : « Vie de Spinoza ». In : Spinoza : Oeuvres complètes. Paris : Gallimard – Bibliothèque de la Pléiade 1984, pp. LI-LVII ; qui pp. LIII-LIV). Non si dovrebbe, infine, dimenticare, che la censura letteraria è stata esercitata da ‘progreditissimi’ e democraticissimi paesi come la Francia, l’Inghilterra e gli U.S.A. ancora nel XX secolo ! Le tesi di Américo Castro sono state confutate da numerosi studiosi. Ricordiamo qui di seguito alcuni studi equilibrati e spassionati – taluni di essi attenti anche a differenziare i vari periodi e i diversi campi attraverso l’analisi quantitativa – sull’influsso della Inquisizione sulle scienze e la letteratura : Ricardo García Cárcel : Orígenes de la Inquisición española. El Tribunal de Valencia, 1478-1530. Prólogo de Henry Kamen. Barcelona : ediciones península 1976, pp. 215-237. – Luis Rubio García : Censuras y prohibición de la Celestina. In : Homenaje al Prof. Muñoz Cortés. Universidad de Murcia. Facultad de Filosofía y Letras 1976-1977, pp. 659-671. – Peter E. Russell : El Concilio de Trento y la literatura profana. Reconsideración de una teoría. In : P. E. R. : Temas de la Celestina y otros estudios. Del Cid al Quijote. Barcelona : Ariel 1978, pp. 441-478. – José María López Piñero : Ciencia y técnica en la sociedad española de los siglos XVI y XVII. Barcelona : Editorial Labor 1979. – Antonio Márquez : Literatura e Inquisición en España (1478-1834). Madrid : Taurus 1980. – Virgilio Pinto : Pensamiento, vida intelectual y censura en la España de los siglos XVI y XVII. In : Edad de Oro 8 (1989), 181-192. – José Pardo Tomás : Ciencia y censura. La Inquisición española y los libros científicos en los siglos XVI y XVII (= Estudios sobre la ciencia, 13). Madrid : C.S.I.C. 1991. – Eugenio Asensio : Censura Inquisitorial de libros en los siglos XVI y XVII. Fluctuaciones. Decadencia. In : El libro antiguo español. Actas del primer Coloquio Internacional. Al cuidado de María-Luisa López-Vidriero y Pedro M. Cátedra. Salamanca : Ediciones Universidad de Salamanca 1993, pp. 21-36. – Henry Kamen : The Spanish Inquisition. A Historical Revision. New Haven - London : Yale University Press 1997, pp. 103-136. – M.a Luisa Cerrón Puga : La censura literaria en el Index de Quiroga (1583-1584). In : Actas del IV Congreso Internacional de la Asociación Internacional Siglo de Oro (AISO). Tomo I. Alcalá : Universidad de Alcalá 1998, pp. 409-417. 390   Le analisi statistiche rivelano, infatti, che la presenza dei conversos fra gli intellettuali era esigua. Secondo Juan J. Linz (Intellectual Roles in Sixteenth- and Seventeenth-Century Spain, pp. 68-69), nel XVI secolo il 9% degli intellettuali era di origine ebraica, nel XVII secolo solo ormai il 4% . I dati di Juan J. Linz si riferiscono a persone che svolgevano genericamente una attività intellettuale (insegnamento universitario, libere professioni, ecclesiastici, burocrati, ecc.), non una attività specifica di ricerca scientifica. In un campione rappresentativo di 572 studiosi di scienze matematiche, fisiche e naturali, autori di almeno un libro, degli anni 1481-1600, raccolto e analizzato da José María López Piñero (Ciencia y técnica en la sociedad española de los siglos XVI y XVII, p. 74), figurano solo due ebrei e quindici judeoconversos (= ca. 3% del campione). Sulle conoscenze di Américo Castro in materia di storia della scienza lo stesso studioso, in un’altra sua opera, scrive : “Castro suscribe en favor de sus tesis los argumentos del nacionalismo masoquista de forma tan fiel que como [José] Echegaray [Historia de las matemáticas puras en nuestra España. 1866] vuelve a aducir la escasa proporción que corresponde a las ciencias en el repertorio de Nicolás Antonio, y parece empeñado en demostrar a toda costa su absoluta falta de información sobre el tema.” Cfr. José María López Piñero : Medicina e historia natural en la sociedad española de los siglos XVI y XVII, pp. 32-33.  































































































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viene attribuito addirittura il merito della trasformazione della Spagna feudale nel primo Stato moderno. 391  

e) Specificità conversa di tutte le correnti spirituali vive e feconde, come l’ascetica, “compensación para la amargura del judío”, 392 la mistica, l’ilumismo (o alumbradismo) 393 e l’erasmismo (identità fra erasmista e converso : “los erasmistas, es decir ... los cristianos nuevos”). 394  







f) Spiritualità degli erasmisti spagnoli come continuazione della spiritualità dei convertiti del XV secolo. 395  

g) Data la “superioridad intelectual” 396 degli ebrei, prima, e dei convertiti, dopo, specificità conversa di ogni importante realizzazione nel campo delle idee, della cultura e della creazione letteraria (di qui gli affannosi tentativi di attribuire alla ‘casta’ conversa di origine ebraica la genesi della mistica e dell’ascetica, 397 la creazione del teatro spagnolo e della novela 398 – sentimentale, pastorale e picaresca 399 – e di ascriverle ogni scrittore e ogni  







391   Così Stephen Gilman, che esalta “la grandeza de la casta [conversa] que hizo posible el casi increíble renacimiento político y cultural de España”, riassume le tesi di Américo Castro sul contributo della casta conversa alla formazione della Spagna moderna : “Castro […] considera a los conversos colectivamente como una continuación de la desaparecida casta de los judíos, una nueva casta que no había perdido casi nada de su tradicional importancia para la marcha de la sociedad. […] Como tal casta, pues, los conversos se dedicaron a pensar, a hacer y a administrar : la indispensable producción, administración y distribución que hizo posible que España se transformara casi de la noche a la mañana de una serie de reinos divididos y anárquicamente feudales en el primer Estado moderno” (La España de Fernando de Rojas. Panorama intelectual y social de « La Celestina », p. 126, p. 129). 392   Américo Castro : España en su historia. Cristianos, moros y judíos, p. 540. 393   La mistica e l’iluminismo hanno, secondo Américo Castro, anche profonde radici islamiche. Cfr. Américo Castro : España en su historia, pp. 176-178, pp. 282-289. – Américo Castro : La realidad histórica de España. Edición renovada, p. 53, p. 281. Sul problema dell’origine islamica delle dottrine degli alumbrados, cfr. Antonio Márquez : Los alumbrados. Orígenes y filosofía (1525-1559), pp. 83-89. Sulla storia posteriore del movimento degli alumbrados cfr. Alvaro Huerga : Historia de los Alumbrados (1570-1630). I : Los alumbrados de Extremadura (1570-1582). II : Los Alumbrados de la Alta Andalucía. Madrid : Fundación Universitaria Española. Seminario Cisneros 1978, 2 tom. 394   Américo Castro : Cervantes y los casticismos españoles. Madrid : Alfaguara 1966, p. 136, nota nro. 67. Già prima di Américo Castro, Marcel Bataillon (Erasmus y España, pp. 179-182) aveva cercato di stabilire un nesso genetico fra i conversos e i movimenti spirituali dell’erasmismo e dell’iluminismo. Sulla fragilità di questa tesi cfr. Eugenio Asensio : El erasmismo y las corrientes espirituales afines. Conversos, Franciscanos, Italianizantes. In : Revista de Filología Española 36 (1952), 31-99 ; qui pp. 56-69. – Eugenio Asensio : La peculiaridad literaria de los conversos. In : Anuario de estudios medievales, Barcelona, 4 (1967), 323-351 ; qui p. 332. Cfr. inoltre A. Martino : Il Lazarillo de Tormes I, pp. 321-345. 395   “Hoy no cabe ya dudar de que la espiritualidad de los erasmistas españoles continuaba la de los conversos del siglo XV, buscadores de la callada soledad del corazón, sólo a Dios manifiesto” (Américo Castro : La realidad histórica de España, p. 281). 396   Américo Castro : Aspectos del vivir hispánico, p. 75. 397   “Ahí yace el problema de la España postinquisitorial : tumefacción eclesiástica […], la colonización de América como un duelo absurdo entre el interés humano y el ansia de dominio eclesiástico (Las Casas) sin posible analogía con nada ; bajo esa atmósfera oprimente florecerán la ascética y la picaresca, hijas gemelas de un judaísmo hecho Iglesia, y de un cristianismo sin fe en el hombre” (Américo Castro : España en su historia. Cristianos, moros y judíos, p. 544). – “[…] la literatura espiritual (desde la mística a la pastoril) lo mismo que la agresiva (el teatro de la primera mitad del siglo XVI, la picaresca), son brotes de un mismo tronco, de una misma situación humana” (Américo Castro : La realidad histórica de España, p. 281). 398   “El nacimiento de la novela y el drama modernos no fue un fenómeno divertido. La novela descansa sobre un « sentimento trágico de la vida » por ser trágica la vida en donde se incubó y salió a la luz […]. Donde no hubo sentimiento trágico de la vida – Italia –, no hubo tampoco novela ni drama” (Américo Castro : España en su historia. Cristianos, moros y judíos, p. 545). 399   Sulla connessione stabilita da Américo Castro fra emarginazione e discriminazione sociale dei conversos  



























































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pensatore di qualche rilievo ; di qui la ricerca di una qualche connessione – e sia pure la piú vaga e ipotetica – dell’autore studiato con la ‘casta’ conversa, ricerca evidentemente fondata sulla convinzione che il piú lontano e tenue filo di ‘raça’, 400 la piú piccola goccia di sangue – mistico elemento di superiorità ! –, abbiano la virtù di trasformare in converso anche un patrimonio genetico di quasi assoluta preponderanza cristiano-vieja 401).  







h) Esclusività conversa di ogni atteggiamento critico o sovversivo nei confronti del sistema vigente dei valori. 402  

i) Insurrezione delle Comunidades come “expresión y explosión de la furia represada de los conversos”, 403 come rivoluzione borghese scatenata dai conversos. 404  



(emarginazione e discriminazione causa della loro insicurezza, del loro pessimismo, della loro angoscia e della loro amarezza) e nascita della picaresca, cfr. Américo Castro : La realidad histórica de España, p. 281. – Américo Castro : España en su historia. Cristianos, moros y judíos, pp. 544-545. – Américo Castro : Fray Bartolomé de Las Casas, pp. 211-220. Ancora nel 1940 Américo Castro, nella sua recensione di Érasme et l’Espagne di Marcel Bataillon, aveva negato – portando l’esempio di Quevedo ! – la relazione fra conversos e genesi della picaresca (cfr. Lo hispánico y el erasmismo, pp. 4-5). Stephen Gilman (La España de Fernando de Rojas. Panorama intelectual y social de « La Celestina », p. 128) celebra così la scoperta della genesi conversa dei generi narrativi fatta dal Maestro : “[Américo Castro] percibió con repentino asombro el gran número de grandes individuos, creadores de valores, que fueron de origen converso. En literatura, aparte de Rojas, podemos observar que los fundadores de las tres o cuatro variantes de novela precervantina (sentimental, pastoril y picaresca) fueron ex illis.” Oltre a Stephen Gilman, molti altri studiosi condividono la tesi di Américo Castro sulla connessione esistente fra emarginazione sociale dei conversos e picaresca. Ne ricordiamo alcuni : J.-A. van Praag : Des problèmes du roman picaresque espagnol. In : Revue de l’Université de Bruxelles. Nouvelle série, 10 (1958), 303-320. – Marcel Bataillon : L’honneur et la matière picaresque. In : Annuaire du Collège de France 63 (1963), 485-490 (anche in : Pícaros y picaresca, pp. 167-176). – Marcel Bataillon : Les nouveaux chrétiens dans l’essor du roman picaresque, pp. 283-298 (anche in : Pícaros y picaresca, pp. 177-199). – Michel Cavillac : Noblesse et ambiguités au temps de Cervantes : Le cas du Docteur Cristóbal Pérez de Herrera, p. 178, p. 209, p. 212 (alla pagina CXCII della « Introducción » alla sua edizione di Amparo de pobres di Cristóbal Pérez de Herrera, uscita anch’essa nel 1975, Marcel Cavillac respinge però la tesi di A. Castro come “restrictiva”). – Alexander Blackburn : The Myth of the Pícaro. Continuity and Transformation of the Picaresque Novel, 1554-1954. Chapel Hill : The University of North Carolina Press 1979, pp. 9-13 (respinge però la spiegazione razziale, o etnica, di Américo Castro). 400   Eugenio Asensio ironizza così sul tentativo di Américo Castro di ascrivere alla casta hispano-hebrea ogni possibile autore e di usare questa ascrizione come chiave interpretativa : “El hecho de poseer en la trama carnal un hilillo de raça – un abuelo ruano morador en la rúa mercantil y por ello tildado de impureza de sangre, o un rebisabuelo bautizado en pie – se convierte en clave de las actitudes o modos de sensibilidad que antes nos parecían explicables por el ambiente, el juego literario o las experiencias visibles. Lo que hasta ayer apenas trascendía de la anécdota biográfica, ha pasado a ser el eje de la vida práctica, la motivación del estilo, el secreto de la visión del mundo, de la aspiración mística, de la vocación evangélica.” Cfr. Eugenio Asensio : La España imaginada de Américo Castro. Barcelona : Edición corregida y aumentada. Barcelona : Editorial Crítica 1992, pp. 87-88. 401   Secondo la moderna antropologia fisica e culturale, né la razza né il ‘sangue’ determinano i processi e i fenomeni culturali : “le caratteristiche di razza, lingua, cultura e nazionalità non hanno fra loro nessuna connessione necessaria ; le caratteristiche razziali sono in gran parte geneticamente determinate e trasmesse per via biologica, mentre le caratteristiche di lingua e di cultura vengono apprese e trasmesse mediante i processi di istruzione e di educazione.” Cfr. R. L. Beals - H. Hoiger : Introduzione all’antropologia. Vol. I : Antropologia fisica. Vol. II : Antropologia culturale. Bologna : Il Mulino 1970 ; qui I, p. 337. 402   Cfr. Américo Castro : Fray Bartolomé de Las Casas o Casaus, p. 212. 403   Américo Castro : Fray Bartolomé de Las Casas o Casaus, p. 214, nota nro. 4. 404   F. Márquez Villanueva, secondo il quale – come già ricordato – la ‘borghesia’ spagnola del XV e del XVI secolo era costituita esclusivamente di conversos ed era quindi una burguesía conversa, ha scritto : “Cuando la primera oleada de furor inquisitorial se calmó un poco a raíz de las intrigas sucesorias y el advenimiento de un monarca extranjero, la burguesía conversa afirmó inmediatamente su conciencia política y provocó el tremendo, aunque desorganizado estallido de las Comunidades. Si este movimiento hubiera triunfado habría venido a constituir, de hecho, la primera revolución burguesa de los tiempos modernos, con Padilla en el inverosímil papel de Cromwell. El resultado de la derrota fue volver totalmente inviable una burguesía española. Comercio, tecnología, administración, pensamiento, se hicieron cosas más o menos vergonzosas, sello de judaísmo,  





































































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de sangre no limpia, de sospecha en la fe y en la conducta política” (El problema de los conversos : cuatro puntos cardinales, p. 73). La tesi che la insurrezione delle Comunidades sia stata scatenata e guidata dai conversos è incompatibile con tutta una serie di fatti incontrovertibili. Ricordiamone alcuni. Scrittori di origine ebraica come Alonso de Cartagena, Hernando del Pulgar e Francisco de Toledo avevano condannato ogni diritto di resistenza al re, anche se tiranno ( J. A. Maravall : Las Comunidades de Castilla, p. 139. – J. Caro Baroja : Los judíos I, p. 147). Una città mercantile, e quindi ‘borghese’, come Burgos e molti dei suoi mercanti cristianos nuevos si opposero al movimento insurrezionale. A Siviglia l’insurrezione delle Comunidades fu diretta proprio contro i conversos, che furono salvati dal Duca di Medina Sidonia (cfr. Ruth Pike : Aristocrats and Traders, pp. 39-40, pp. 102-103, p. 148). Tutta l’Andalusia, regione in cui la popolazione conversa era particolarmente elevata, non solo rimase fedele al Re, ma contrastò attivamente la ribellione. Fra gli avversari delle Comunidades e i fedeli di Carlo I vi furono numerosissimi conversos (fra di essi il famoso Francisco López de Villalobos e Don Francés de Zúñiga). Fra i ribelli delle Comunidades vi erano molti membri dell’alta e della media nobiltà, del patriziato urbano, commendatori e cavalieri degli Ordini Militari, e numerosissimi hidalgos e scudieri. Nobili erano i capi militari dell’insurrezione, da Juan Bravo a Juan Padilla, da Pedro Girón a Francisco Maldonado, da Pedro Maldonado Pimentel a Don Pedro de Ayala, Conte di Salvatierra. Il Vescovo di Zamora, l’indomito comunero guerriero Don Antonio de Acuña, che aveva messo a ferro e a fuoco tanti paesi e città, apparteneva alla famiglia dei Marchesi di Astorga. Una Mendoza era l’eroica D. María Pacheco, moglie di Juan Padilla. Moltissimi frati dell’Ordine francescano e dell’Ordine domenicano (importante fu il ruolo svolto da Fray Pablo de León), sicuramente non animati da spirito ‘borghese’, furono fra i piú attivi, accesi ed efficaci sostenitori, organizzatori e propagandisti dell’insurrezione, quando essa scoppiò ; ma già prima, con i sermoni sovversivi tenuti negli anni 1518 e 1519, avevano contribuito in maniera rilevante a preparare la rivolta delle Comunidades, movimento che ebbe una vistosa componente ‘millenarista’ e messianica. Significativa fu anche la partecipazione alla rivolta del clero secolare delle zone rurali (centinaia di sacerdoti militarono nelle truppe del Vescovo di Zamora), dei contadini e delle plebi urbane. I comuneros appartenevano a diversissimi strati e gruppi sociali ; la ‘borghesia’ (a prescindere dalla problematicità del concetto stesso) non costituiva il nucleo quantitativamente piú rilevante del movimento delle Comunidades e non vi svolse un ruolo egemone né sul piano ideologico e politico, né sul piano organizzativo e militare. Infine, riguardo al tanto conclamato carattere ‘rivoluzionario’ e democratico del movimento delle Comunidades, si deve notare che il programma di organizzazione politica e giuridica dello Stato e delle sue istituzioni elaborato dalla Junta de Tordesilla nell’ottobre del 1520, chiamato « Proyecto de Ley Perpetua », non rivela affatto aspetti rivoluzionari e democratici, ma la concezione, fondamentalmente particolaristica e conservatrice, di una monarchia non assoluta, ma limitata da una scrupolosa osservanza del diritto tradizionale castigliano, da una effettiva partecipazione degli ‘stati’ (estamentos) al governo del Regno, da un reale controllo, esercitato dalle Cortes, della politica fiscale e, infine, dalle prerogative e dai privilegi dei gruppi sociali. L’insurrezione delle città castigliane contro la Monarchia fu, insomma, molto piú simile ad una rivolta sociale antiassolutista – e, in parte, antiseñorial – con profonde radici nella tradizione dei movimenti popolari ‘millenaristi’ e messianici, che ad una moderna rivoluzione democratica ‘borghese’. Cfr. J. A. Maravall : Las Comunidades de Castilla, p. 178. – Joseph Pérez : Moines frondeurs et sermons subversifs en Castille pendant le premier séjour de Charles-Quint en Espagne. In : Bulletin Hispanique 67 (1965), 5-24. – J. Pérez : La revolución de las Comunidades de Castilla, p. 58 n., p. 183, p. 199 n., pp. 247-248, pp. 302-303, p. 306, pp. 474-479, p. 483, pp. 497-500, pp. 502-508, p. 526, p. 608. – Joseph Pérez : Tradición e innovación en las Comunidades de Castilla. In : Hommage des Hispanistes français à Noël Salomon. Barcelona : Laia 1979, pp. 677-689. – A. Domínguez Ortiz : Los Judeoconversos en España y América, pp. 53-55. – Ramón Alba : Acerca de algunas particularidades de las Comunidades de Castilla tal vez relacionadas con el supuesto acaecer terreno del Milenio Igualitario. Madrid : Editora Nacional 1975. – Benjamin González Alonso : Las Comunidades de Castilla y la formación del Estado Absoluto. In : B. G. A. : Sobre el estado y la administración de la Corona de Castilla en el Antiguo Régimen. Las Comunidades de Castilla y otros estudios. Madrid : Siglo XXI de España Editores 1981, pp. 7-56. – Pablo Sánchez León : Absolutismo y Comunidad. Los orígenes sociales de la guerra de los comuneros de Castilla. Madrid : Siglo XXI de España Editores 1998. – Jaime Contreras Contreras : Profetismo y apocalipsismo : Conflicto ideológico y tensión social en las Comunidades de Castilla. In : En torno a las Comunidades de Castilla. Actas del Congreso Internacional Poder, conflicto y revuelta en la España de Carlos I (Toledo, 16 al 20 de octubre de 2000). Coordinador : Fernando Martínez Gil. Cuenca : Ediciones de la Universidad de Castilla-La Mancha 2002, pp. 517-538. – José Ignacio Fortea-Pérez : Las Cortes de Castilla a comienzos del siglo XVI. In : Benjamin González Alonso (Coordinador) : Las Cortes y las Leyes de Toro de 1505. Actas del Congreso conmemorativo del V Centenario de la celebración de las Cortes y de la publicación de las Leyes de Toro de 1505. Toro, 7 a 19 de marzo de 2005. Cortes de Castilla y León 2006, pp. 209-242 ; qui pp. 214-216. Fra gli storici che attribuiscono ai conversos un ruolo molto importante nella insurrezione delle Comunidades è da ricordare Juan Ignacio Gutiérrez Nieto, che però precisa che non furono “los judíos [ !] como grupo social ... los promotores de la rebeldía”. Cfr. Juan Ignacio Gutiérrez Nieto : Los conversos y el movimiento comunero. In : Hispania, Madrid, 24 (1964), 237-261 ; qui p. 249.  









































































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j) Paradossalmente, infine, non solo tutto il bene sarebbe di origine conversa, ma anche tutto il male, poiché di matrice conversa vengono considerati sia i concetti, apparentemente squisitamente ispanici, di honra-opinione 405 e di limpieza de sangre, 406 sia l’Inquisizione. 407  





La falsità di questi dogmi è stata abbondantemente dimostrata. 408 Le loro confutazioni ‘statistiche’ (“El método más adecuado para combatir la imaginación y las ideas preconcebidas es la estadística”, scriveva Antonio Domínguez Ortiz ! 409) vengono però  

   

405

  Cfr. Américo Castro : España en su historia, p. 539.   Cfr. Américo Castro : España en su historia, pp. 512-518, pp. 538-540. La teoria di Américo Castro sull’origine giudaica della limpieza de sangre è stata rigettata da B. Netanyahu (Los orígenes de la Inquisición, p. 885), che scrive : “las pruebas de Castro son defectuosas, basadas en suposiciones equivocadas y, las más veces, en mala interpretación de las fuentes. Es decir, Castro no puede probar su tesis de que las actitudes raciales españolas son mero reflejo de las influencias judías.” Julio Caro Baroja (Los Judíos en la España Moderna y Contemporánea. Tomo II, pp. 317-321) ritiene invece fondata la teoria di Américo Castro. 407   Cfr. Américo Castro : España en su historia, pp. 515-531, pp. 554-555. Scrive Francisco Márquez Villanueva : “La tesis de Américo Castro que ve en la Inquisición un rebrote de la clásica tendencia semítica a superponer y borrar todo limite entre política y religión se muestra como una de las más agudas y fructiferas de su obra”. E in nota aggiunge : “Dicha interpretación no debe ser achacada a un afán de inculpar a los judíos por los aspectos más negativos de la historia española [...]. Nótese aquí que la semitización interior de la vida medieval española constituye una de las más amplias y básicas ideas de Castro, para quien resulta igualmente funcional como causa última de los mayores logros hispánicos en el terreno del espíritu y de la cultura” (El problema de los conversos : cuatro puntos cardinales, p. 69 e p. 69 nota). Con indignazione Israël Salvator Révah (Leçon Inaugurale, p. 26) ha respinto “l’inqualifiable théorie de M. Américo Castro” sulla origine giudaica dell’Inquisizione. 408   La totale inconsistenza delle tesi di Américo Castro è dimostrata da tutti i lavori di ricerca storica empirica fin qui ricordati per documentare : a) la fluidità della struttura della società spagnola, la mobilità verticale e geografica, l’integrazione e l’assimilazione sociale, religiosa e culturale e l’amalgamazione biologica dei conversos ; b) la vertiginosa ascesa di molti convertiti, la forte presenza conversa nelle oligarchie municipali, nella burocrazia statale, in altri gruppi di potere, nelle alte gerarchie ecclesiastiche, nella hidalguía e, addirittura, nella nobiltà titolata ; c) la forte presenza di cristianos viejos, sin dal Medioevo, nel ceto mercantile, imprenditoriale e artigianale e, quindi, l’esistenza di una ‘borghesia’ non conversa ; d) l’elevata alfabetizzazione e l’ampia diffusione del libro e della lettura, l’intensa fioritura della scienza e del commercio nel XVI e nei primi decenni del XVII secolo, la scarsa presenza dei conversos fra gli intellettuali e gli studiosi di scienze matematiche, fisiche e naturali. Qui di seguito ci limitiamo a menzionare le confutazioni dirette delle tesi di Américo Castro : Marcel Bataillon : L’Espagne religieuse dans son histoire. In : Bulletin Hispanique 52 (1950), 5-26. – Maria del Carmen Carlé : Mercaderes en Castilla (1252-1512), 146-328. – Claudio Sánchez-Albornoz : España. Un enigma histórico. – Claudio Sánchez-Albornoz : Las cañas se han tornado lanzas. In : Cuadernos de Historia de España, Buenos Aires, 27 (1958), 43-66. – Richard Konetzke : Forschungsprobleme zur Geschichte der wirtschaftlichen Betätigungen des Adels in Spanien, pp. 135-151. – Henry Lapeyre : Deux interprétations de l’histoire d’Espagne : Américo Castro et Claudio Sánchez-Albornoz. In : Annales. Économies, Sociétés, Civilisations 20 (1965), 10151037. – Eugenio Asensio : Américo Castro Historiador : Reflexiones sobre ‘La realidad histórica de España’. In : MLN 81 (1966), 595-637. – [Israël Salvator Révah :] Collège de France. Chaire de Langues et Littératures de la Péninsule Ibérique et de l’Amérique Latine. Leçon Inaugurale, faite le Jeudi 8 Décembre 1966 par M. I. S. Révah. [Nogent-le-Rotrou,] 1967 [= Collège de France. Collection des Leçons inaugurales, n° 46]. – Eugenio Asensio : La peculiaridad literaria de los conversos. In : Anuario de estudios medievales, Barcelona, 4 (1967), 323-351. – I. S. Révah : Réplica al señor Américo Castro. In : Les langues néolatines 62 (1968), 1-7. – Eugenio Asensio : En torno a Américo Castro. Polémica con Albert A. Sicroff. In : Hispanic Review 40 (1972), 365-385. – Eugenio Asensio : La España imaginada de Américo Castro. Barcelona : EL ALBIR 1976 (2. ª Edición corregida y aumentada. Barcelona : Editorial Crítica 1992. Il libro raccoglie i tre saggi or ora ricordati e contiene varie aggiunte, fra le quali la « Introducción » e – nella seconda edizione del 1992 – « Américo Castro revisa su historia »). – Francisco Abad : Estamentalidad y limpieza de sangre. In : Actas de las jornadas de estudios sefardíes. Cáceres : Universidad de Extremadura 1981, pp. 239-244. – José M.a Monsalvo Anton : Teoría y evolución de un conflicto social. El antisemitismo en la Corona de Castilla en la Baja Edad Media, pp. 34-40, pp. 61-68, p. 85. – Henry Kamen : The Spanish Inquisition. A Historical Revision, p. 313. 409   Antonio Domínguez Ortiz : La sociedad española en el siglo XVII, tom. I, p. 274.  

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ignorate. E non solo per conformismo, opportunismo (se il ‘castrismo’ è una religione per i suoi adepti, è pur una religione istituzionalizzata, fondata, cioè, non solo sulla fede, ma anche sul potere), pigrizia mentale e “inopia cultural”, 410 ma anche perché l’uso di questi dogmi permette liberare l’immaginazione e la fantasia, e, caricando le tinte e semplificando, comporre ‘drammatizzazioni’ ad effetto, affabulazioni, ‘romanzi’, 411 che non sarebbe possibile scrivere se si cercasse di ricostruire faticosamente  



410

  Nicasio Salvador Miguel (v. il passo del suo saggio sulla Celestina citato nella nota che segue).   A proposito de La España de Fernando de Rojas (ed. orig. : The Spain of Fernando de Rojas. The Intellectual and Social Landscape of La Celestina. Princeton : University Press 1972) di Stephen Gilman, che fonda la sua visione della Spagna e la sua interpretazione della Celestina sulle tesi e le ‘intuizioni’ di Américo Castro (La realidad histórica de España, p. 78 : “En 1499, el alma desesperada y evanescente de la España judaica se vertía en la inmortal Celestina, obra del judío converso Fernando de Rojas”), Antonio Márquez parla di “reconstrucción de algún modo novelada y aun a veces novelesca” (Literatura e Inquisición en España, p. 210). Anche P. E. Russell respinge l’interpretazione ‘romanzata’ (“ficción histórica”) di Stephen Gilman come completamente arbitraria, fondata su postulati non dimostrati, su “vuelos hiperbólicos” e su “una compleja estructura de intuiciones e hipótesis derivadas del conocimiento de la situación de converso de Rojas”, sebbene nel testo della Celestina nulla vi sia “que pueda definirse como una referencia directa a los conversos o a su situación”. Cfr. Peter E. Russell : Un crítico en busca de un autor ; reflexiones en torno a un reciente libro sobre Fernando de Rojas. In : P. E. R. : Temas de la Celestina y otros estudios. Del Cid al Quijote. Barcelona : Ariel 1978, pp. 341-375. L’interpretazione ‘conversa’ della Celestina sarà egualmente respinta da Jean Lemartinel : Sobre el supuesto judaísmo de La Celestina. In : Hommage des hispanistes français à Noël Salomon. Publié par les soins de la Société des hispanistes français. Barcelona : Editorial Laia 1979, pp. 509-516. Già molti anni prima della pubblicazione di The Spain of Fernando de Rojas, Maria Rosa Lida de Malkiel (La originalidad artística de La Celestina, p. 24 n.) aveva negato che la condizione di converso di Fernando de Rojas possa costituire la chiave interpretativa “para resolver de un golpe todos los problemas de la Tragicomedia”. José Antonio Maravall aveva ripudiato nettamente ogni spiegazione ‘razziale’ dell’opera e dei suoi contenuti : “Carece de sentido reducir una creación artística a una determinación étnica tan parcial y, en cambio, tan rigurosamente aplicada, cuando la antropología y la etnología han dejado hoy en entredicho la determinación étnica, no sólo entendida biológica, sino socioculturalmente, dejándola reducida a estrechos límites. Andar preocupados por estos problemas, y dejar de lado los más efectivos condicionamientos sociales y económicos no deja de ser una forma un tanto anacrónica de hacer historiografía” (El mundo social de La Celestina, p. 171 ; v. inoltre p. 29 n., p. 105, pp. 160-170, pp. 172-185). Piú recentemente, Nicasio Salvador Miguel, parlando dei vari “enfoques” scelti per interpretare la Celestina, scrive : “el más disparatado [enfoque], aunque muy difundido desde mediados del siglo XX, al socaire de las brillantes y exageradas teorías de Américo Castro sobre el pasado hispánico, es el que inquiere en la Tragicomedia presuntas claves judaicas, a las que se deberían cuantas particularidades de la obra parecen de difícil comprensión. Así, para unos La Celestina refleja las dificultades para contraer matrimonio de dos personas de diverso origen religioso : la conversa Melibea y el cristiano Calisto, si bien para otros Calisto resulta el contrario y Melibea la cristiana vieja ; lo cierto es, sin embargo, que ningún detalle de la obra autoriza a ahijar a uno de los protagonistas una índole conversa, lo que, además, no hubiera impedido el casamiento que siempre se consideró lícito entre cristianos y conversos e incluso fue habitual en la época de La Celestina. También se ha rastreado en el remoto origen converso de Rojas la causa del suicidio de Melibea, como si no se juzgara tan condenable en la religión judía como en la cristiana, amén de haber constituido un motivo recurrente en la novela sentimental coetánea [...]. Pese al emperramiento voluntarista de algunos por mantener ideas semejantes, casi sin excepción como producto de una inopia cultural y un magro bagaje bibliográfico, la aclaración del argumento de La Celestina como reflejo de un problema racial no se apoya en el más mínimo fundamento ; tampoco existe base alguna para pensar que la Tragicomedia plantee una protesta social contra la situación de los conversos ; la actitud del autor no deja al descubierto ningún flanco de supuesto ataque a la Inquisición ; ningún aspecto de la obra se aclara desde la perspectiva del Rojas converso.” Cfr. Nicasio Salvador Miguel : La Celestina. In : Javier Huerta Calvo (dir.) : Historia del teatro español. I. De la Edad Media a los Siglos de Oro. Abraham Madroñal - Durán Héctor Urzáiz Tortajada (coords.). Madrid : Gredos 2003, pp. 137-167 ; qui pp. 158-159. Come appaiono lontane le speculazioni di Stephen Gilman e di Francisco Márquez Villanueva, che afferma che “el legado semítico impregna La Celestina” e parla del “pesimismo desesperado” di Fernando de Rojas e del suo “desprecio absoluto y desesperado por la sociedad y la religión que le rodeaban.” ! Cfr. Francisco Márquez Villanueva : La Celestina como antropología hispano-semítica (1987). In : Santiago López-Ríos (editor) : Estudios sobre la Celestina. Madrid : Ediciones Istmo 2001, pp. 241-278 ; qui pp. 272-273, p. 276. Di Nicasio Salvador Miguel cfr. anche i seguenti saggi : Nicasio Salvador Miguel : El presunto judaísmo de La Celestina. In : The Age of the Catholic Monarchs, 1474-1516. Literary Studies in Memory of Keith Whinnom. Edited by Alan D. Deyermond and Ian MacPherson. Liverpool : Liverpool University Press 1989, pp. 162-177. – Nicasio Salvador Miguel : La autoría de La Celestina y la fama de Rojas (1991). In : Santiago López-Ríos (editor) : Estudios sobre la Celestina. Madrid : Ediciones Istmo 411













































































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ed umilmente, attraverso lo studio delle fonti e di tutta la letteratura storiografica, il contesto sociale, ‘ideologico’ e culturale delle opere letterarie, contesto che sempre è estremamente complesso, differenziato e multiforme, e mai riducibile a semplicistiche schematizzazioni. Certamente, per giungere ad esaminare con serenità, senza pregiudizi e preconcetti, le istituzioni, le élites, i ceti sociali e i complessi processi di trasformazione della società spagnola del XVI e XVII secolo, anche la ricerca storica ha dovuto superare “numerosi ostacoli, ideologici, mentali ed anche politici”, come ha riconosciuto Raphaël Carrasco in una pagina tanto illuminante quanto coraggiosa :  

Le mythe de la tolérante « Espagne des trois religions » médiévale a vécu. De même, la vision apocalyptique des persécutions menées, à l’aube de la Renaissance, par des inquisiteurs racistes abreuvant de sang un peuple vindicatif et fanatisé, n’a plus cours. La vérité historique s’est, comme toujours, frayé un chemin entre les extrêmes, non sans difficulté cette fois, ni malentendus. C’est qu’il fallait franchir de nombreux obstacles, idéologiques, mentaux et même politiques, pour parvenir à dépasser le point de vue résolûment propagandiste et manichéen ayant prévalu durant des lustres dans ce genre d’incursions à travers la mémoire collective d’une Espagne assez encline à réactualiser ses pires traumatismes au gré des soubresauts d’un vécu historique passablement mouvementé. Dans cette conquête de la sérénité, les problématiques importées de l’histoire économique et sociale ainsi que de de l’histoire des « mentalités » ont joué un rôle de premier plan. 412  









Enrique Soria Mesa, che ammette con grande onestà intellettuale di aver condiviso anche lui, “al menos hasta hace bien poco”, la visione tradizionale sull’immobilismo della società spagnola e creduto “en el origen nobiliario de miles de familias que en realidad tenían una procedencia mucho más baja”, 413 inizia le « Conclusiones » della sua profonda e documentatissima monografia su La nobleza en la España moderna con queste parole :  







Mucho es todavía lo que desconocemos de la Historia de España en los siglos que vieron transcurrir la Edad Moderna. Mucho queda por conocer, ciertamente, pero lo que ya no se puede sostener seriamente por parte de la comunidad científica es que la sociedad de la época fuese un mundo inmóvil, una realidad estática. Las investigaciones realizadas en las dos últimas décadas, en especial las relativas a las clases dirigentes locales, no dejan duda alguna. La sociedad de la España moderna fue mucho más abierta de lo que se ha pensado hasta hace bien poco. 414  

2001, pp. 83-102. – Nicasio Salvador Miguel : Fernando de Rojas y La Celestina. In : Tragicomedia de Calisto y Melibea (Valencia, Juan Joffre, 1514). Estudios y edición paleográfica. Valencia : Institució Alfons el Magnànim 1999, pp. 7-15. – Nicasio Salvador Miguel : De nuevo sobre el presunto judaísmo de La Celestina. In : El legado de los judíos al Occidente europeo. De los reinos hispánicos a la monarquía española. Pamplona : Universidad Pública de Navarra 2003, pp. 83-102. 412   Raphaël Carrasco : « Préface » a : Vincent Parello : Les judéo-convers. Tolède XVe-XVIe siècles. De l’exclusión à l’intégration, pp. 5-9 ; qui p. 5. 413   Enrique Soria Mesa : La nobleza en la España moderna. Cambio y continuidad, p. 321. 414   Enrique Soria Mesa : La nobleza en la España moderna. Cambio y continuidad, p. 319. In un precedente lavoro lo studioso, dopo aver illustrato l’ascesa sociale di famiglie di origine ebraica e le connesse vistose falsificazioni genealogiche con relativa usurpazione di nomi e ascendenze nobiliari, aveva scritto : “Creo que a estas alturas de la investigación ningún autor se atreverá a negar que la visión tradicional de la sociedad española de la Edad Moderna se resquebraja por todos los costados, y que la consideración de los siglos XVI y XVII como un período puramente estamental, un universo inmóvil y ajeno al cambio no tiene ya sentido. Todos los trabajos realizados en torno al ámbito de lo social en las últimas décadas, cada uno en su estilo, demuestran la existencia de un mundo cambiante, variable, donde el ascenso – y el descenso, obviamente – en la escala social está a la orden del día, donde la riqueza juega un papel enormemente destacado en la consecución del poder político y el prestigio” (Enrique Soria Mesa : Genealogía y poder. Invención de la memoria y ascenso social en la España moderna, p. 54).  































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Se la ‘comunità scientifica’ cessasse di sostenere che la società spagnola del XVI e XVII secolo era un “mondo immobile”, saremo ben felici. Temiamo però fortemente che molti membri della ‘comunità scientifica’ conserveranno quella “creencia en la inmovilidad social, en la separación efectiva de cristianos viejos y conversos por medio de la discriminación legal, en la validez de los Estatutos de Limpieza de Sangre”, 415 che Enrique Soria Mesa ha tentato di smantellare attraverso ampie e sistematiche indagini d’archivio. Soprattutto fra gli studiosi di letteratura saranno numerosi coloro che rimarranno aggrappati ai vecchi luoghi comuni sulla Spagna moderna e continueranno ad ignorare gli studi empirici di storia sociale e di sociologia della letteratura. 416 Già molti anni fa avevamo ampiamente e documentalmente dimostrato l’infondatezza delle idee correnti sulla immobilità e sulla chiusura ‘tibetana’ della società spagnola del Siglo de Oro e la fragilità delle interpretazioni dei testi di questo periodo basate su tali idee. 417 Il nostro tentativo di determinare una revisione di queste idee o, almeno, di provocare una discussione e far sorgere qualche dubbio sulla loro validità, non ebbe però – se non andiamo errati – alcun effetto.  





Mobilità sociale e genesi della picaresca Abbiamo dedicato ampio spazio alla dimostrazione che la società spagnola del Siglo de Oro era ‘aperta’ – presentava, cioè, un elevato tasso di mobilità ascendente (e naturalmente anche discendente : impoverimento di moltissimi hidalgos, artigiani, operai e contadini) e quindi un elevato grado di fluidità e di permeabilità –, perché riteniamo che la corretta visione del contesto sociale della letteratura di questa epoca sia la condizione necessaria per la sua corretta comprensione. Tanto piú opportuna è questa dimostrazione dato che l’esistenza di mobilità sociale nella Spagna del XVI e XVII secolo è stata ed è aprioristicamente negata dagli esegeti della letteratura del Siglo de Oro ed anche da alcuni storici. Affascinati dalla teoria delle ‘caste’ di Américo Castro, questi studiosi hanno considerato e continuano a considerare – ignorando non solo gli studi specifici sulla storia sociale e sulla storia delle istituzioni, dei centri di potere, delle oligarchie urbane e delle élites nazionali, ma anche, inspiegabilmente, la storiografia divulgativa che pur contiene molte informazioni sull’ascesa di tanti ‘conquistatori’, colonizzatori, navigatori, militari, avventurieri, burocrati, commercianti, speculatori, usurai, esattori, sacerdoti e monaci di umili origini e spesso di sangue ‘impuro’– la società spagnola ermeticamente ‘chiusa’, come è appunto la società di caste, e su questa convinzione hanno costruito e costruiscono, per esempio, la loro interpretazione della novela picaresca, i cui protagonisti simbolicamente dimostre 

415   Enrique Soria Mesa : El cambio inmóvil. Transformaciones y permanencias en una élite de poder (Córdoba, SS. XVI-XIX), p. 169. 416   Si veda, per addurre un solo esempio, la recentissima monografia di Juan Antonio Garrido Ardila : El género picaresco en la crítica literaria (= Colección « Estudios Críticos de Literatura », 34). Madrid : Biblioteca Nueva 2008. In questa superficiale ed estremamente lacunosa rassegna viene perfino ignorata la monumentale monografia José Antonio Maravall su La literatura picaresca desde la historia social ! 417   Cfr. Alberto Martino : Il Lazarillo de Tormes e la sua ricezione in Europa (1554-1753). Volume I. L’opera. Pisa-Roma : Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali 1999, pp. 379-554. – Alberto Martino : Die Rezeption des Lazarillo de Tormes im deutschen Sprachraum (1555/62 - 1750). In : Daphnis 26 (1997), 301-399. – Alberto Martino : Der deutsche Buscón (1671) und der literatursoziologische Mythos der Verbürgerlichung des Pikaro. In : Daphnis 30 (2001), 219-332. – Alberto Martino : Die erste deutsche Übersetzung der Garduña de Sevilla. Ein spanischer Beitrag zur Produktion von fiktionaler >Konsumliteratur< in den 30er Jahren des 18. Jahrhunderts. In : Buchkulturen. Beiträge zur Geschichte der Literaturvermittlung. Festschrift für Reinhard Wittmann. Herausgegeben von Monika Estermann, Ernst Fischer und Ute Schneider. Wiesbaden : Harrassowitz 2005, pp. 93-187.  





























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rebbero, con l’insuccesso costante dei loro tentativi di ascendere socialmente, l’assoluta rigidità della stratificazione sociale. Così – per limitarci ad alcuni casi significativi – Antonio Rey Hazas afferma che la società spagnola del Seicento è “cerrada” e che “no hay posibilidad de remontar la pirámide jerárquica de la sociedad barroca”, e definisce pertanto la picaresca come “novela del inmovilismo social” ; 418 Richard Bjornson sostiene che la Spagna – contrariamente alla Francia, alla Germania e all’Inghilterra – aveva “a rigidly structured social hierarchy”, 419 “a rigidly stratified social order” 420 e che vi mancavano quindi “opportunities for social advancement” 421 (e ancora : “In Spain the bourgeoisie was numerically insignificant, and it remained virtually impossible for individuals from the lower classes to enter the petty nobility” 422) ; Didier Souiller parla di assenza “d’une classe bourgeoise commerçante”, di una “noblesse fermée”, di una “société bloquée”, di una endogamia socioeconomica che blocca “toute mobilité sociale” e di una “structure archaïque et figée à tous les niveaux”. 423    















418   Antonio Rey Hazas : La novela picaresca. Madrid : Anaya 1990, p. 33, p. 62. Lo studioso, che fonda la sua breve storia della picaresca sul postulato della ‘chiusura’ e immobilità della società spagnola e sul postulato della genesi ‘conversa’ del genere (p. 78 : “Los conversos creadores del género…” ; “los cristianos nuevos que seguramente la iniciaron [la picaresca]…” ; p. 80 : “los conversos que iniciaron el género…”), elenca però quali temi principali della narrativa picaresca, i seguenti “temas conflictivos” : “el afán de medro, el anhelo de ascenso social, la integración o marginación en un mundo jerarquizado, la herencia de sangre en relación con ese deseo de elevación social, la honra y su entorno de apariencias, íntimamente ligada a la herencia y al propósito ascensional del pícaro, la casta, el dinero, la pobreza, la injusticia, la educación, etc., siempre unidas a la problemática central de la honra y la movilidad o inmovilidad social” (p. 72). Sicuramente questi sono i temi centrali della picaresca, ma, altrettanto sicuramente, questi temi non sarebbero stati trattati nella narrativa, né dibattuti nella letteratura morale e in quella economica, se la società spagnola fosse stata così “chiusa” e “immobile” come immagina Antonio Rey Hazas. In un saggio del 1982 lo studioso aveva già formulato le idee qui illustrate sulla genesi ‘conversa’ della picaresca e sulla sua tematica. Cfr. Antonio Rey Hazas : Poética comprometida de la « novela picaresca ». In : Nuevo Hispanismo 1 (1982), 55-76 (il saggio è stato riprodotto in : Antonio Rey Hazas : Deslindes de la novela picaresca. Málaga : Universidad de Málaga 2003, pp. 13-35). Nella « Introducción » alla sua edizione del Lazarillo de Tormes (Madrid : Castalia Didáctica 1984, p. 24, p. 28), Antonio Rey Hazas aveva sostenuto che la considerazione della picaresca come letteratura di conversos è una delle “construcciones críticas más sólidas y atractivas acerca del alumbramiento” di questo genere e affermato che “las tensiones sociales entre conversos y nobleza están en la base motriz de la novela picaresca” (cit. da Juan Antonio Garrido Ardila : El género picaresco en la crítica literaria, pp. 70-71). 419   Richard Bjornson : The Picaresque Hero in European Fiction. Madison, Wisconsin : The University of Wisconsin Press 1977, p. 17. Stephen Edward Richards (Towards a Theory of the Picaresque Novel. Thesis. New York : Cornell University 1979, p. 92) ripete che la Spagna ha una immutabile, “rigid social hierarchy”. Anche Anthony N. Zahareas, che pur individua nella mobilità sociale il tema centrale del Buscón, ritiene che in Ispagna la stratificazione sociale fosse perfettamente rigida e la mobilità sociale nulla. Cfr. Anthony N. Zahareas : Quevedo’s Buscón : Structure and Ideology. In : Homenaje a Julio Caro Baroja. Reunido por Antonio Carreira, Jesús Antonio Cid, Manuel Gutiérrez Esteve y Rogelio Rubio. Madrid : Centro de Investigaciones Sociológicas 1978, pp. 1055-1089. 420   Richard Bjornson : The Picaresque Hero in European Fiction, p. 82. 421   Richard Bjornson : The Picaresque Hero in European Fiction, p. 17. 422   Richard Bjornson : The Picaresque Hero in European Fiction, p. 165. Lo studioso, che pur ha il merito di mettere in relazione la picaresca con il mutamento e la mobilità sociale, non conosce purtroppo la storia sociale della Francia, dell’Inghilterra e della Germania, mentre della società spagnola, la cui storia sociale egualmente ignora, ha la visione deformata dagli stereotipi della leyenda negra e dalle tesi di Américo Castro. Individui intraprendenti non solo potevano entrare nella piccola e nella media nobiltà, come si è visto nei casi sopra ricordati di plebei fatti hidalgos e caballeros, ma anche nell’alta nobiltà titolata. Della “imposibilidad esencial de movilidad social entre clases” è convinto anche John Beverley (Lazarillo y la acumulación originaria. In : J. B. : Del Lazarillo al sandinismo. Estudios sobre la función ideológica de la literatura española y hispanoamericana. Minneapolis, MN : The Prisma Institute 1987, pp. 47-64, 172-176 ; qui p. 62). Analoga opinione sulla impossibilità di mobilità sociale ascendente esprime Carlos Blanco Aguinaga (Picaresca española, picaresca inglesa : sobre las determinaciones del género. In : Edad de Oro 2, 1983, pp. 49-65 ; qui p. 55). 423   Didier Souiller : Le roman picaresque. Paris : P. U. F. 1980, p. 9, p. 13.  









































































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Come già appare chiaro dalle affermazioni di Richard Bjornson e di Didier Souiller, l’impossibilità di ascesa e l’assenza di mobilità sociale sono messe soprattutto in relazione con la debolezza o addirittura con la mancanza di una classe borghese. I ‘picari’ sono – secondo Michel Cavillac – “privados de cualquier posibilidad de medrar” 424 per la disfatta, la “traición”, la “deserción” 425 della borghesia spagnola, iniziata con la sconfitta delle Comunidades e conclusasi negli anni 1594-1607, gli anni del definitivo “naufrage du « mercader »”. 426 Affermando che dal “fracaso de la burguesía mercantil nacía el pícaro” 427 e definendo il pícaro come un “« mercader » abortado”, 428 l’ispanista francese si riallacciava alla formula di Alberto del Monte che – convinto della “mancanza di una classe borghese”, della “assenza di una borghesia”, della “mancata formazione di una borghesia” 429 in Ispagna – aveva scritto che il “picaro … è un borghese mancato”. 430 Oltre che da Michel Cavillac, le opinioni di Alberto del Monte sono state riprese da Oldrˇich Beˇlicˇ, 431 da Maurice Molho, 432 da Claudio Guillén, 433 da Walter L. Reed, 434 da Eberhard Geisler 435 e da tanti altri. Fra gli storici che negano l’esistenza di mobilità sociale abbiamo già ricordato Pierre Chaunu, che ha teorizzato il “refus collectif de mobilité” della società spagnola del XVI e XVII secolo e il conseguente blocco della osmosi sociale, provocati dalla ossessione della purezza di sangue e dalla “endogamie”, 436 Janine Fayard, che ha affermato che  

































424

  Michel Cavillac : « Introducción » a : Cristóbal Pérez de Herrera : Amparo de pobres, p. CLXXII.   Michel Cavillac : « Introducción » a : Cristóbal Pérez de Herrera : Amparo de pobres, p. CXVIII, p. CXX. 426   Michel Cavillac : Gueux et marchands dans le Guzmán de Alfarache (1599-1604), pp. 168-172. 427   Michel Cavillac : « Introducción » a : Cristóbal Pérez de Herrera : Amparo de pobres, p. CXXXVI. 428   Michel Cavillac : « Introducción » a : Cristóbal Pérez de Herrera : Amparo de pobres, p. CLXXIX. 429   Alberto del Monte : Itinerario del romanzo picaresco spagnolo, pp. 52-53, p. 57 (v. anche p. 25). 430   Alberto del Monte : Itinerario del romanzo picaresco spagnolo, p. 69. Semmai, piú esattamente, il pícaro è un hidalgo – o meglio ancora – un cavaliere mancato. Anche quando hanno i mezzi o l’opportunità di intraprendere una attività commerciale o, attraverso lo studio universitario, una carriera ‘borghese’, i protagonisti dei romanzi picareschi – ricordiamo, per esempio, Guzmán de Alfarache, Don Pablos de Segovia, Trapaza – preferiscono giocare il tutto per tutto e tentare di entrare a far parte della nobiltà, della quale hanno assimilato mentalità, norme e valori sociali (fra i quali il disprezzo per i lavori manuali, per l’artigianato, per il commercio, per il denaro – da loro considerato, aristocraticamente, solo come mezzo per ‘rappresentare’ il proprio ruolo e il proprio status sociale privilegiato e non come fine). Non dissimili sono, del resto, la mentalità e il comportamento di tanti eroi dei romanzi di Balzac, Stendhal e Maupassant. 431   Oldrˇich Beˇlicˇ : Sˇpaneˇlský pikareskní román a realismus (= Acta Universitatis Carolinae Philologica. Monographia IV. 1963). Praha : Universita Karlova 1963, p. 228 (“El pícaro es … un burgués frustrado, y la novela picaresca puede considerarse, en términos generales, como la expresión literaria de la burguesía española destruída”). 432   Nell’articolo « Picaresque, roman » della Encyclopedia universalis (vol. XIII, p. 33), Maurice Molho definisce il picaro “un bourgeois manqué” (definizione citata e condivisa da B. Bennassar : L’homme espagnol, p. 184). Cfr. inoltre Maurice Molho : « Introduction à la pensée picaresque ». In : Romans picaresques espagnols. Introduction, chronologie, bibliographie par M. M. Traductions, notes et glossaire par M. M. et J.-F. Reille. Paris : Gallimard (Bibliothèque de la Pléiade) 1979 (1.ª ed. 1968), pp. XI-CXLII ; qui p. XVIII (“Sur les ruines d’une bourgeoisie mort-née […] s’élève la classe, désormais dominante, des hidalgos.” Del Monte aveva scritto alle pp. 52-54 : “La supremazia degli hidalgos, la mancanza di una classe borghese […]. La popolazione di Spagna […] era divisa, per l’assenza di una borghesia, in due grandi classi : l’aristocrazia e il popolo”). 433   Claudio Guillén : Genre and Countergenre : The Discovery of the Picaresque. In : C. G. : Literature as System. Essays toward the Theory of Literary History. Princeton, New Jersey : Princeton University Press 1971, pp. 135-158 ; qui p. 144 (“the rise of the novel in sixteenth-century Spain seems to have been rooted not in the triumph but in the frustration of the bourgeoisie”). 434   Walter L. Reed : An Exemplary History of the Novel. The Quixotic versus the Picaresque. Chicago & London : The University of Chicago Press 1981, pp. 34-35. 435   Eberhard Geisler : La identidad imposible. En torno al Buscón. In : Nuevo Hispanismo 1 (1982), 39-54. 436   Pierre Chaunu : Structures sociales et représentations littéraires. La société en Castille au tournant du Siècle d’Or, p. 156, pp. 162-163, pp. 164-165. – Pierre Chaunu : La société espagnole au XVIIe siècle. Sur un refus collectif de mobilité, pp. 104-115. 425

































































































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in Ispagna la limpieza de sangre è stata “l’un des facteurs responsables de la sclérose de l’économie du pays” e ha “façonné la société espagnole en une société de « castes »”, 437 e Juan Ignacio Gutiérrez Nieto, che ha addirittura immaginato “la tibetización de Castilla por Felipe II”. 438 Se moltissimi studiosi hanno negato la mobilità sociale, alcuni altri – da Claudio Guillén 439 a Thomas Hanrahan, S. J., 440 da Rosario Rexach 441 a Peter N. Dunn, 442 da Jean Vilar 443 a W. B. Ife 444 – hanno almeno intuito l’importanza ‘tematica’ di questo fenomeno per la picaresca. Gli studiosi che hanno dedicato maggior attenzione alla correlazione esistente fra mobilità sociale e picaresca sono stati Enrique Tierno Galván e José Antonio Maravall. Già molti anni fa, precisamente nel 1972/1973, Enrique Tierno Galván aveva intuito quanto fosse importante accertare se la società spagnola del XVI e XVII secolo era una società dalla stratificazione rigida o fluida. Nel suo importante saggio Sobre la novela picaresca aveva scritto :  





















Por desgracia, el tema de la movilidad social vertical en el Siglo de Oro, apenas se ha estudiado. Es más, durante mucho tiempo se han aceptado criterios convencionales sin someterles a crítica, ni percatarse de la importancia del tema. Una respuesta afirmativa o negativa respecto de esta cuestión puede alterar la visión de conjunto de nuestra sociedad de los siglos XVI y XVII y sus expresiones culturales. 445  

Pur lamentando l’assenza di studi sulla mobilità sociale ascendente – lamentela in realtà non del tutto giustificata 446 –, Enrique Tierno Galván, che respinge la diffusa tesi della  

437

  J. Fayard : Les membres du Conseil de Castille à l’époque moderne (1621-1746), p. 214.   Juan Ignacio Gutiérrez Nieto : La discriminación de los conversos y la tibetización de Castilla por Felipe  

438

II.



439

  Claudio Guillén : The Anatomies of Roguery. A Comparative Study in the Origins and the Nature of Picaresque Literature. Dissertation Presented in Partial Fulfillment of the Requirements for the Degree of Doctor of Philosophy in the Department of Comparative Literature. Harvard University. Cambridge, Massachusetts 1953 (dattiloscritto). Lo studioso, influenzato da Lionel Trilling (The Liberal Imagination. Essays on Literature and Society. A Donbleday Anchor Book 1950), dalla sociologia di Vilfredo Pareto e da Renato Poggioli (A Tentative Literary Historiography based on Pareto’s Sociology. In : Symposium, Syracuse, N. Y. 3, 1949, pp. 1-28), aveva scritto : “Surely the thematic conflicts which the novel presents since the seventeenth century are to be connected with historical circumstances : especially with the mobility of social classes and the preponderant role of the acquisition of wealth since the breakdown of the medieval structure. The setting of the novel has been a fluent society based on the power of money ; and since the novel dealt so largely … with the life-plan of a hero on a practical level of existence, it was natural for it to concentrate – from Lazarillo to Balzac – on the dynamic connection between human ambition and social or economic conditions” (pp. 56-57 ; su ascesa sociale come tema della picaresca v. anche le pp. 478-485). 440   Thomas Hanrahan, S. J. : La mujer en la novela picaresca española (= Biblioteca Tenanitla. Libros españoles e hispanoamericanos, 9-10). Madrid : José Porrua Turanzas 1967, pp. 31-35. 441   Rosario Rexach : El hombre nuevo en la novela picaresca española. In : Cuadernos Hispanoamericanos 275 (1973), 367-377. 442   Peter N. Dunn : The Spanish Picaresque Novel (= TWAS, 557). Boston : Twayne Publishers 1979, pp. 103105, pp. 131-132. 443   Jean Vilar : Discours pragmatique et discours picaresque. In : Actes de la Table Ronde Internationale du CNRS, Montpellier, Novembre 1974 : Picaresque Espagnole. Montpellier : Études Sociocritiques. Collection du Centre d’Études Sociocritiques U. E. R. II, Université Paul Valery, Montpellier, 1976, pp. 37-55 ; qui p. 28 (“la mobilité sociale est un des thèmes les plus énigmatiques de la matière picaresque, et le plus constant”). 444   B. W. Ife : Reading and fiction in Golden-Age Spain. A Platonist critique and some picaresque replies. Cambridge : Cambridge University Press 1985, p. 151, p. 168, p. 171. 445   E. Tierno Galván : Sobre la novela picaresca y otros escritos, p. 38. Anche due pagine piú avanti Enrique Tierno Galván lamenta la mancanza di studi sulla mobilità sociale : “No tenemos … ningún estudio sobre movilidad social vertical en el Siglo de Oro. De modo muy concreto la movilidad social ascendente no se ha estudiado ni global ni particularmente” (p. 40). 446   Già negli anni precedenti alla pubblicazione del saggio Sobre la novela picaresca esistevano sulla mobilità  









































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inesistenza di una classe media sostenendo che vi fu una “extensísima clase media urbana” 447 ed affermando “que no sólo durante el siglo XVI, también durante el siglo XVII, la clase media o burguesía española tuvo un papel importante en la vida nacional”, 448 asserisce che la società spagnola era “una sociedad de estructuras rígidas y con estamentos poco permeables”. 449 Lo studioso aveva invero prima dichiarato che durante il regno di Filippo III si era formata “una nueva nobleza” e parlato addirittura di un “paroxismo” di mobilità sociale all’inizio del XVII secolo, documentato dall’intenso acquisto di “señoríos” territoriali e di “señoríos jurisdiccionales” da parte dei “nuevos nobles”, 450 ma era poi giunto ad affermare che la stratificazione sociale era rigida e ad asserire che vi fu “una movilidad vertical activa intraclase, pero una movilidad mínima extraclase, con relación a la nobleza”, e che “el hermetismo de grupo de la nobleza castellana en el Siglo de Oro fue casi absoluto”. 451 Come può sostenere lo studioso che “la nobleza castellana” costituiva un gruppo ermeticamente chiuso dopo aver dichiarato che si era potuto formare una “nuova nobiltà”, che si era mescolata anche alla vecchia ? 452 E se lamenta di non disporre di studi sulla mobilità sociale ascendente, su cosa fonda allora, in assenza di una solida base documentaria, la negazione netta dell’esistenza di mobilità sociale ascendente ? Forse la negazione della mobilità sociale è influenzata dalla sua teoria marxiana della storia (la mobilità sociale annulla la lotta di classe !) o determinata dalla sua particolare interpretazione della novela picaresca, che Enrique Tierno Galván, dopo aver parlato di “una gran inmovilidad social” e dichiarato che “homogeneidad ideológica, inmovilidad social y lucha de clases, pueden ser perfectamente compatibles”, formula così :  



















La novela picaresca recoge esta sociedad peculiarísima con mayor fidelidad que ningún otro género literario, rechazando al pueblo y, en general, cualquier intento de movilidad. En el proceso de la lucha de clases, la novela picaresca representa lo que hoy llamaríamos la máxima posición inmovilista [...]. 453  

I piú importanti romanzi picareschi confermerebbero questa interpretazione generale. Riferendosi agli ultimi anni del XVI e ai primi del XVII secolo, Enrique Tierno Galván scrive che “en esta época” si produssero las dos novelas picarescas que son dos parodias acabadas de la vida cortesana y de la sociedad española en general : La Pícara Justina y El Buscón. En las dos con especiales complicaciones, pues La Pícara Justina es la criptoparodia de la minoría cortesana hecha a través de una imaginaria parodia del pueblo, y El Buscón es la parodia perfectista de la sociedad española, hecha a través de la parodia formal del Lazarillo de Tormes, utilizando el proletariado urbano. 454  



Nelle pagine dedicate al Guzmán de Alfarache, considerato come apologia estrema della e la storia sociale numerosi studi, ricordati nel corso di questo lavoro, come i saggi di Salvador de Moxó sui señoríos, utilizzati dallo stesso Enrique Tierno Galván, le monografie di Antonio Domínguez Ortiz sulla società spagnola del XVII secolo, caratterizzata secondo il grande storico da “una extraordinaria movilidad social”, e su Siviglia, il libro e un paio di saggi di Ruth Pike sulla società sivigliana del XVI secolo, il lavoro di Hipólito Sancho de Sopranis su Cadice e tante altre ricerche di storia genealogica e sociale. 447   E. Tierno Galván : Sobre la novela picaresca y otros escritos, p. 72. 448   E. Tierno Galván : Sobre la novela picaresca y otros escritos, p. 79. 449   E. Tierno Galván : Sobre la novela picaresca y otros escritos, p. 60. 450   E. Tierno Galván : Sobre la novela picaresca y otros escritos, pp. 43-44. 451   E. Tierno Galván : Sobre la novela picaresca y otros escritos, p. 92, p. 94. 452   E. Tierno Galván : Sobre la novela picaresca y otros escritos, p. 43. 453   E. Tierno Galván : Sobre la novela picaresca y otros escritos, p. 43. 454   E. Tierno Galván : Sobre la novela picaresca y otros escritos, p. 51.  















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ideologia immobilistica della classe dominante, pur se intrisa di risentimento borghese, lo studioso spiega anche cosa intende per “perfectismo”, concetto frequentemente usato in Sobre la novela picaresca e ricorrente anche nel passo or ora citato. Trascriviamo pertanto queste pagine per esteso :  

Es una novela filipina concebida dentro de los términos de una mentalidad perfectista dentro de la ideología homogénea : perfectismo religioso, perfectismo social y perfectismo económico. Quizá convenga que aclare qué entiendo por perfectismo […]. El adjetivo más común en la cultura española de la Contrarreforma es […] el de perfecto : La perfecta casada, El Gobernador perfecto, El perfecto Corregidor, El Príncipe perfecto. Me parece, no puedo asegurarlo, que el auge de la palabra se inicia en el último cuarto del siglo XVI y llega a una plenitud en el reinado de Felipe IV, para decaer después y perderse. Resulta, pues, un magnífico indicador de la mentalidad de los años que nos ocupan. Parece ser que quienes pretendían hacer un predicador perfecto o un privado perfecto, que de todo hay, entendían, como todos los perfectistas, que perfecto era el resultado de ajustar sin defectos ni resquicios la realidad a la idea a través de la virtud. Todos ellos, al menos los más característicos, estan dentro, de un modo u otro, de la corriente platónica que tanta clientela tuvo en España. Saavedra emplea incluso la palabra Idea, quizá por influjo de la cultura francesa, que tiene en español en su tiempo resonancias platónicas indiscutibles. Idea de un Príncipe Christiano, y el propósito de Saavedra era diseñar un príncipe perfecto. Detrás de cada uno de estos ‘perfectistas’ se esconde un reaccionario. El común criterio que el platonismo engendra reaccionarios se justifica plenamente en este caso. Del abigarrado conjunto de la clase media española de la Contrarreforma, abogados, soldados no profesionales, médicos, sacerdotes que no han llegado a ocupar las jerarquías de la Iglesia, hidalgos de mediana renta o gente que vive como tal, escritores sin más títulos, albéitares e incluso barberos, salen con frecuencia quienes protestan de todo y casi contra todo arremeten porque creen que puede ajustarse la idea de algo a la realidad de modo perfecto. El propio Huarte de San Juan, también en él se descubre un transfondo platónico, no hace en el Examen de Ingenios sino darnos una serie de modelos perfectos de los caracteres más definidos. Estos perfectistas odiaban al vulgo ; querían que cada cual se conservase en su estado y circunstancias sociales. Son inmovilistas casi absolutos que interpretan la libertad como la obediencia voluntaria. La perfección no consiste en progresar, sino en que las cosas vuelvan a su ser, de donde las sacan la malicia y ignorancia humanas. Entre estos perfectistas está Mateo Alemán, al menos en sus libros. En el Guzmán de Alfarache confiesa paladinamente que su fin es hacer un hombre perfecto, 455 y la verdad es que el libro reúne tal virtuoso engreimiento y rezuma tanta perfección que aunque objetivamente parezca un libro que extrema la defensa de la ideología inmovilista de la clase dominante, subjetivamente transparenta mucho rencor personal. La aventura del rencor burgués hasta transformarse en defensa de clase por el propio resentimiento de clase tiene un buen ejemplo en este libro. 456  









Enrique Tierno Galván ha indiscutibilmente il grande merito di avere riconosciuto in tutta la sua importanza il legame esistente fra mobilità sociale e picaresca. Sorprende però che, pur interpretando i grandi romanzi picareschi come espressioni della ideologia immobilistica della classe dominante e come attive apologie di questa ideologia, sia convinto dell’assenza di mobilità sociale ascendente. Quale senso avrebbero in una società dalla stratificazione perfettamente rigida tali apologie ? Fin quando la società degli ‘ordini’ era rimasta intatta ed ogni suo membro aveva accettato, come cosa naturale e predisposta dalla provvidenza divina, l’ascrizione al suo ‘stato’, non era stato necessario difendere l’immobilità della sua struttura. Se opere come il Guzmán de Alfarache, il Bu 

455   La frase che Enrique Tierno Galván definisce “una confesión de perfectismo”, è questa : “Yo también he ido tras de mi pensamiento, sin pensar parar en el mundo. Mas, como el fin que llevo es fabricar un hombre perfeto, siempre que hallo piedras para el edificio, las voy amontonando” (Mateo Alemán : Guzmán de Alfarache. II. Edición de José María Micó. Madrid : Cátedra 1994, p. 127). 456   E. Tierno Galván : Sobre la novela picaresca y otros escritos, pp. 52-53.  







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scón, il Guitón Onofre, la Pícara Justina, il Marcos de Obregón e il Bachiller Trapaza criticano il desiderio universale di valer más, l’ansia di medro, l’esteso abuso del Don, le mistificazioni genealogiche, le usurpazioni di status, la diffusa aspirazione ad integrarsi nella nobilità – almeno esteriormente, con l’aparentar nobleza, con il ‘vivere nobilmente’ –, la degradazione dell’onore, divenuto ormai esclusivo appannaggio dei ricchi ; 457 se queste opere, intrise talvolta della nostalgia di una società ordinata e interiorizzata come comunità del corpo mistico di Cristo, criticano, insomma, tutti i fenomeni connessi alla trasformazione e ai cambiamenti operati dal denaro, rappresentato come potere diabolico capace di attuare ogni metamorfosi e come forza disgregatrice della tradizionale stratificazione sociale, questo significa, evidentemente, che i loro autori erano testimoni di quei quotidiani “miracles of social mobility” di cui ha parlato, come sappiamo, Ruth Pike. Se gli autori delle principali opere picaresche erano, come dice Enrique Tierno Galván, dei ‘reazionari’, dovevano pur reagire a qualcosa che era vistosamente reale e che essi consideravano come una minaccia concreta alla loro ‘idea’ di società perfetta. Questo qualcosa, questo elemento disgregatore della tradizionale stratificazione della società era appunto l’intensa mobilità sociale, l’indicatore piú significativo della trasformazione della società provocata dal denaro. La diagnosi dei ‘mali’ della società spagnola e delle loro cause formulata dagli autori dei romanzi picareschi era uguale a quella fatta da grandi economisti contemporanei come Martín González de Cellorigo, Pedro Fernández Navarrete e Sancho de Moncada. Erano tutti dei visionari ? Una conferma dell’esistenza di una intensa mobilità sociale è costituita, inoltre, proprio da quella omogeneità ideologica della quale ripetutamente parla Enrique Tierno Galván, senza però comprenderne l’origine profonda. L’omogeneità ideologica fra le diversi classi (o meglio, ceti o ‘stati’) della società spagnola è stata, infatti, resa possibile proprio dall’esperienza quotidiana della mobilità sociale. L’ascesa sociale di tanti uomini di modeste origini – fenomeno vistoso sia nei secoli della Reconquista, 458 e in particolare nella sua fase finale, durante il regno dei Trastámara, sia all’epoca della conquista del Nuovo Mondo e di parte dell’Italia – faceva pensare che tutti avessero buone probabilità    





457   Nella Primera Parte de Guzmán de Alfarache (1599) Mateo Alemán scrive : “Mira cuántos buenos están arrinconados, cuántos hábitos de Santiago, Calatrava y Alcántara cosidos con hilo blanco [l’espressione significa : immeritatamente concessi], y otros muchos de la envejecida nobleza de Laín Calvo y Nuño Rasura tropellados. Dime, ¿quién les da la honra a los unos que a los otros quita ? El más o menos tener” (Mateo Alemán : Guzmán de Alfarache. I. Edición de José María Micó. Madrid : Cátedra 1994, p. 290). Nel San Antonio de Padva Mateo Alemán aveva, utopisticamente, scritto : “Los dineros de suyo no pueden dar honra, nobleza ni virtud, porque siendo de su naturaleza viles, como la tierra de donde salieron, forçoso lo seran sus efetos. Que no den honra, ya queda provado, y que la quitan, bien claro se conoce, pues ... a quien tuviere infamia o vicio, el mismo dinero lo pregona. Tampoco puede dar nobleza ni virtud, por no ser cosas venables, ni estimadas por precio de riquezas”. Ma subito dopo aveva aggiunto : “aca [en la tierra] se compran las honras y dignidades ; y si me dixeren que ya no se dan a los que las merecen, que la virtud sola no aprovecha, y que fue necessario sobornar votos, comprar favores, y granjear amistades, yo lavo mis manos de juzgar intenciones agenas, mas por mayor seguridad tuviera que se perdiera el oficio, que no se alcançara la prelacia, que ponerme a peligro de granjearla con dineros”. Cfr. SAN ANTONIO | DE PADVA | DE | Mateo Aleman. | [Piccolissimo ornamento] | DIRIGIDO | Al Reyno y nacion Lusitana. | [Piccolo ornamento] | CON LICENCIA DEL | Santo Oficio de la Inquisicion, y Preui- | legios de su Magestad para Castilla | y Portugal. | [Piccola stella] | IMPRESSO EN SEVILLA | por Clemente Hidalgo. Año. 1604. | [Tre piccole stelle] | (Santander, Biblioteca de Menéndez Pelayo : R-VIII-2-19), fo. 130v-131r. 458   Scrive José Antonio Maravall (Poder, honor y élites, pp. 214-215) : “No cabe duda de que las particulares consecuencias creadas por la manera de desenvolverse las actividades bélicas durante los siglos que llamamos de la Reconquista promovieron un incremento de hidalgos y caballeros que pululaban por tierras peninsulares y llenaron especialmente aldeas y ciudades del reino de Castilla. […] Producción masiva de hidalgos y caballeros es cosa que se repite, más de una vez, al final de una difícil batalla victoriosa, de lo que todavía da ejemplo Carlos V.”  



















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di medrar. Si accettava pertanto la stratificazione sociale data non perché immobile, ma perché, pur rimanendo immutata nella sua articolazione gerarchica e nel suo sistema di valori ‘aristocratici’ e di ‘privilegi’, essa era tanto fluida e permeabile da permettere a uomini intraprendenti e meritevoli di elevarsi ai suoi livelli superiori, di entrare a far parte della ‘stato’ dominante. Questa ‘circulation des élites’, per usare il concetto di Vilfredo Pareto, garantiva (assieme certamente ad altri fattori, come la mobilità geografica, la religione cattolica, i ‘miti’ comuni, il glorioso passato storico, ecc.) la stabilità della stratificazione della società, l’equilibrio sociale dei vari ceti e gruppi sociali e la loro omogeneità ideologica. 459 (Fenomeno analogo a quello che caratterizza gli Stati Uniti. La stratificazione – determinata dalla ricchezza – della società e la corrispondente ideologia vengono accettate da tutti perché tutti credono di avere buone opportunità e probabilità di arricchirsi.) L’ideologia condivisa non era quindi l’ideologia immobilistica, ma quella nobiliare che, come abbiamo visto, era, almeno in teoria, fondata sulla virtù e sul merito personali. Gli esponenti e gli apologeti della “ideología inmovilista” sono quegli intellettuali e quei moralisti che di fronte allo spettacolo frequente di ascese sociali e di usurpazioni di status fondate non sulla virtú e sul merito, ma esclusivamente sul denaro o il favore del principe, ‘reagivano’ esprimendo la loro nostalgia di un passato, di una società ‘perfetta’, stratificata, cioè, secondo valori morali tradizionali e non secondo la ricchezza (già nel ricordato « Proyecto de Ley Perpetua », elaborato dalla Junta de Tordesilla nell’ottobre del 1520, si era manifestata questa nostalgia – ‘reazionaria’ o ‘conservatrice’ – del passato). Anche uno scrittore come Quevedo, considerato la piú pura personificazione della ‘reazione’, accettava una moderata mobilità sociale e considerava legittime le ascese sociali fondate sul merito individuale 460 (nello stesso tempo si burlava – come abbiamo già rilevato – della limpieza de sangre e negava il valore delle genealogie nobiliari – “toda la sangre, ydalguillo, es colorada” 461 – e da buon umanista credeva che fosse la virtù – “el que en el mundo es virtuosso, èsse es hidalgo” 462 – e non il sangue a rendere nobili). Enrique Soria Mesa ha chiaramente riconosciuto che la solidità della struttura della società spagnola del Siglo de Oro e l’omogeneità sostanziale della sua ‘ideologia’ erano proprio dovute al forte tasso di mobilità sociale. Si leggano questi due passi della sua pionieristica e documentatissima monografia su La nobleza en la España moderna :  













Los grupos en progresión supieron aprovechar los resquicios que les brindaba el sistema, y eran 459   Dopo aver illustrato alcuni dei meccanismi di ascesa sociale (fondazione di mayorazgos, conseguimento di hábitos di Ordini militari, acquisti di uffici municipali, di rendite, di señoríos, ecc.) messi in atto da mercanti, da funzionari, da cadetti di famiglie nobili e da appartenenti al patriziato e alle oligarchie municipali e ad altri gruppi sociali, Bartolomé Yun Casalilla (Mal avenidos, pero juntos. Corona y oligarquías urbanas en Castilla en el siglo XVI, p. 73) scrive : “Gracias a estos mecanismos. se estaba consiguiendo un grado de circulación de las élites que sería imprescindible para la reproducción relativamente pacífica del sistema.” Enrique Soria Mesa, dopo aver affermato che la mobilità sociale era fenomeno quotidiano, scrive che essa non pregiudicò affatto il sistema : “El enorme edificio estatal de la Monarquía Hispánica no sufrió, desde luego en los siglos XVI y XVII, por esta circunstancia, sino que se vio reforzado por la integración en su seno de forma continua de nuevos grupos sociales, de miles de familias que a cambio de un estatus privilegiado apoyaban el viejo orden” (Genealogía y poder. Invención de la memoria y ascenso social en la España moderna, p. 54). 460   Cfr. José Antonio Maravall : Sobre el pensamiento social y político de Quevedo (Una revisión). In : Homenaje a Quevedo. Edición dirigida por Victor García de la Concha (= Academia Literaria Renacentista II). Salamanca : Ediciones Universidad de Salamanca 1982, pp. 69-131 ; qui pp. 112-113. Cfr. inoltre A. Martino : Der deutsche Buscón (1671) und der literatursoziologische Mythos der Verbürgerlichung des Pikaro, pp. 314-324. 461   Francisco de Quevedo Villegas : Sueños y Discursos. Tomo I. Edición de James O. Crosby, p. 170. – Francisco de Quevedo : La vida del Buscón llamado Don Pablos. Edición crítica y estudio preliminar de Fernando Lázaro Carreter, p. 151. 462   Francisco de Quevedo Villegas : Sueños y Discursos. Tomo I. Edición de James O. Crosby, p. 170.  



















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muchos, para ascender. Y en el fondo les resultó fácil, globalmente hablando, porque la Corona necesitaba dinero a manos llenas y por ello permitió la integración en la nobleza de grupos de baja procedencia. Con la misma fuerza o mayor que la necesidad financiera, el poder central alentó los ascensos, encubiertos y rígidamente codificados, eso sí, porque de esta forma se estaban reforzando sistemáticamente las bases sociales sobre las que él mismo reposaba. Al integrar en su seno a casi todos los candidatos ricos y poderosos se descapitalizaba cualquier posible oposición política y se asumía nueva sangre que venía a reforzar la ya añeja y caduca. Los advenedizos no venían a destruir el edificio de la monarquía española ; entraban a millares con el objetivo de apuntalarlo, pues en ello les iba el poder y la gloria. El mero sentido común nos dice, y la documentación nos lo demuestra, que la única forma de sobrevivir tanto tiempo un Imperio de tales dimensiones tuvo mucho de ver con su capacidad de integrar a las élites locales y a los grupos más pujantes de advenedizos en el concierto social que le servía de base. La sistemática absorción de los recién llegados, salvo raras excepciones, no cuestionaba en absoluto los principios en que se basaba el sistema. Todo lo contrario, no hacía sino reforzar los cimientos del edificio estatal. Nadie entra en un grupo privilegiado para destruirlo ; se ingresa en este selecto club para mantener su esencia, o reforzarla si cabe. 463  





Purtroppo la fusione della concezione marxiana della storia con la teoria paretiana della circolazione delle élites non è riuscita – e data la loro radicale incompatibilità neppure poteva riuscire – a Enrique Tierno Galván e questa non riuscita fusione è responsabile, a nostro avviso, di alcune delle contraddizioni che caratterizzano il saggio, importantissimo, Sobre la novela picaresca. L’altro studioso che ha riconosciuto l’importanza fondamentale della mobilità sociale ascendente per la genesi della picaresca è, come abbiamo detto sopra, José Antonio Maravall. Il grande storico delle idee ha affrontato in quasi tutti i suoi lavori piú importanti il problema della mobilità sociale. In una pagina de Las Comunidades de Castilla (1963), nella quale si ricordano due fra le piú celebri ‘formule’ della sociologia paretiana – quella relativa alla storia, “cimitero di aristocrazie”, e quella relativa alle rivoluzioni, causate dal “rallentarsi della circolazione della classe eletta” 464 –, afferma che la società spagnola aveva sperimentato per buona parte del XVI secolo “un aumento del índice de movilidad vertical o ascendente”, le cui cause si erano già delineate alla fine del XV. 465 In Antiguos y modernos (1966), dopo aver dichiarato che l’indice di mobilità della società del secolo XVI era stato molto superiore a quello della società del Medioevo e a quello della società del Barocco, scrive :  





El hermetismo que paulatinamente se va imponiendo en la sociedad española desde fines del XVI, y que suscitará situaciones dramáticas como la que nos revela el fenómeno de la novela picaresca, crea más bien un ambiente de recelo, muy diferente del que había reinado en la época del Renacimiento. Encontraremos incluso, en fecha más avanzada, alguna llamada de atención contra lo que pueda ser un espíritu de innovación y contra sus representantes. […] La enérgica vigorización del poder señorial, la pérdida de fuerza de la burguesía y, en general, de los grupos que en el XV y en el XVI habían iniciado un enérgico dinamismo social […], explican esta nueva situación del siglo XVII. 466  

463   Enrique Soria Mesa : La nobleza en la España moderna. Cambio y continuidad, p. 214, p. 320. Cfr. anche Enrique Soria Mesa : Genealogía y poder. Invención de la memoria y ascenso social en la España moderna, p. 54. – Enrique Soria Mesa : El cambio inmóvil. Transformaciones y permanencias en una élite de poder (Córdoba, SS. XVI-XIX), pp. 169-170. 464   Vilfredo Pareto : Trattato di sociologia generale. Introduzione di Norberto Bobbio. Volume II. Milano : Edizioni di Comunità 1964, p. 538, § 2053, pp. 539-540, § 2057. 465   J. A. Maravall : Las Comunidades de Castilla, p. 28. 466   José Antonio Maravall : Antiguos y modernos. La idea de progreso en el desarrollo inicial de una sociedad. Madrid : Sociedad de Estudios y Publicaciones 1966, p. 100, p. 103.  















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In lavori posteriori José Antonio Maravall riprenderà le idee, appena accennate in questo passo, sulla progressiva chiusura ermetica della società nella Spagna del XVII secolo e sul legame esistente fra cessazione della mobilità sociale, provocata dalla interruzione dello sviluppo del capitalismo, e genesi della picaresca : 467 alla fase “espansiva” della società rinascimentale, 468 durante la quale l’elevata mobilità sociale, facendo intravvedere a molti una realistica possibilità di ascendere ai livelli superiori del proprio ceto o perfino di entrare a far parte della ‘classe dominante’, 469 genera dappertutto “desmedidos anhelos de ascensión”, 470 segue la fase della “inmovilización de la estructura social”, 471 della “refeudalización”, 472 del “cierre de los accesos a los niveles superiores”, 473 del “inmovilismo de la estructura social”, 474 della “revigorización del régimen estamental” e “de recesión y de esclerosis” 475 – fenomeni peculiari della società barocca –, durante la quale la fortissima riduzione della mobilità sociale, se non addirittura la chiusura ermetica della ‘classe dominante’, crea la situazione di drammatica frustrazione delle speranze e delle attese di ascesa che genera il fenomeno sociale del picarismo e quello letterario della novela picaresca. 476 Lo studioso stabilirà inoltre una correlazione fra picaresca e questi fenomeni : mobilità orizzontale (geografica) e verticale, diffusione del regime salariale, inurbamento, sradicamento sociale, distruzione della ‘comunità’ (contrapposta a ‘società’, secondo la concezione di Ferdinand Tönnies 477), isolamento e solitudine dell’individuo nella grande città. 478    

























467   “En España, la « desviación » política del siglo XVII que cortó las posibilidades de normal desenvolvimiento del capitalismo, hizo que tomara un desarrollo monstruoso la pasión del juego y que por ese anormal e infecundo cauce derivasen energías y riquezas que hubieran podido emplearse en « inversión » capitalista. El juego es el más alucinante y paralizador vicio de la sociedad barroca. El proceso de racionalización y tecnificación del Estado se alteró de raíz. Y la patológica excrecencia social que surgió en el hueco del capitalismo fue la sociedad picaresca. La novela picaresca no es, como superficialmente se ha dicho, un testimonio antiheroico, sino el negativo de la sociedad capitalista, en sus hábitos y virtudes” ( J. A. Maravall : Estado moderno y mentalidad social. Tomo II, p. 179). 468   Cfr. José Antonio Maravall : La imagen de la sociedad expansiva en la conciencia castellana del siglo XVI. 469   José Antonio Maravall : La cultura del Barroco. Análisis de una estructura histórica. Barcelona : Editorial Ariel 1983, p. 276. – José Antonio Maravall : Estado moderno y mentalidad social (Siglos XV a XVII). Tomo I, p. 413. 470   José Antonio Maravall : Estado moderno y mentalidad social (Siglos XV a XVII). Tomo I, p. 413. 471   José Antonio Maravall : Estado moderno y mentalidad social (Siglos XV a XVII). Tomo II, p. 9. 472   José Antonio Maravall : Estado moderno y mentalidad social (Siglos XV a XVII). Tomo II, p. 591. 473   José Antonio Maravall : Poder, honor y élites en el siglo XVII. Madrid : Siglo XXI de España 1979, pp. 7993. 474   José Antonio Maravall : La cultura del Barroco. Análisis de una estructura histórica, p. 77. L’immobilismo della struttura sociale non doveva però essere assoluto se in altre pagine del libro lo studioso riconosce che nella società del Seicento si verifica “un incremento de nobles” (p. 185) e che la “venta de títulos, hidalguías y encomiendas acentúa la caída de los valores de la vieja sociedad, dando mayor relieve a los valores económicos” (p. 287). Contrasta inoltre con l’idea di una società chiusa, immobile, anche l’affermare che “el siglo barroco se caracteriza por un desmedido incremento de las aspiraciones sociales”. Come avrebbe potuto nascere e universalmente diffondersi la “aspiración social de medro” in una società ermeticamente chiusa ? In Poder, honor y élites (p. 249) José Antonio Maravall aveva scritto che nella chiusa società barocca si era avuto “un corto número de casos de movilidad vertical ascendente, los cuales renovaron parcialmente, gota a gota, la élite de poder, pero no llegaron, ni remotamente, a desplazar su base tradicional”. 475   José Antonio Maravall : La cultura del Barroco. Análisis de una estructura histórica, p. 282, p. 414. 476   José Antonio Maravall : Relaciones de dependencia e integración social : criados, graciosos y pícaros. In : Ideologies & Literature, Vol. I, Number 4, Sept.-Oct. 1977, pp. 3-32. 477   Ferdinand Tönnies : Gemeinschaft und Gesellschaft. Grundbegriffe der reinen Soziologie. Darmstadt : Wissenschaftliche Buchgesellschaft 1979 (1.ª ed. 1887). 478   José Antonio Maravall : Estado moderno y mentalidad social (Siglos XV a XVII). Tomo I, pp. 412-419.  













































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Ma soltanto nella sua ultima grande opera – La literatura picaresca desde la historia social (1986) – il profondo studioso del pensiero spagnolo svilupperà ampiamente le sue idee sul rapporto esistente fra la trasformazione della società e la genesi della picaresca. In questa vasta monografia José Antonio Maravall indica nella mobilità verticale il “fatto centrale” sul quale si costruisce l’argomento delle opere narrative picaresche. Ecco cosa scrive :  

La sociedad de fines del siglo XVI y comienzos del XVII conoció, no una grave, ni menos una insuperable, pero sí una bien visible y – aunque en grado más bien bajo todavía – una eficaz erosión del sistema de distribución de los individuos en grupos estables, estamentalmente diferenciados, una erosión de la estratificación tradicionalmente establecida. Nos encontramos con una sociedad que poseyó un índice de movilidad geográfica – o de desplazamientos territoriales – sin duda bastante elevado (supuesto imprescindible para la novela picaresca) ; un índice de movilidad vertical – o de paso de un estrato a otro –, que es el hecho central sobre el que se construye el argumento de comedias y novelas, especialmente, y, presentado bajo un muy particular punto de vista, lo es más acusadamente en las novelas picarescas. En ese crecimiento de los índices de movilidad se inscribe el repertorio de posibilidades de un tiempo nuevo que vino a desencadenar el mecanismo de aspiraciones sobre el que se monta la figura del pícaro. […] mantener un bajo índice en todos los aspectos de movilidad (pocos individuos, corto radio de la esfera permitida de ascensión), es lo propio de la sociedad tradicional. De no haberse dado en los siglos XVI y XVII – cualesquiera que sean las diferencias entre ellos – más que un estricto modelo tradicional, no se hubiera producido la novela picaresca y su auge ; para ello, hacía falta que esa imagen de sociedad inmovilista subsistiera, pero erosionada de forma tal que fuera posible en ciertos casos llegar correctamente al cambio ascendente de estado, y en segundo lugar, que, a la sombra de esta novedad de elevación, algunos, engañosamente, se lanzaran a conseguirlo con malas artes (artes, quiero decir, juzgadas ilícitas en la época). 479  





Qualche decina di pagine piú avanti José Antonio Maravall pare variare i limiti cronologici della fase di intensificazione e della fase successiva di contrazione della mobilità sociale e stabilisce una relazione causale fra queste due fasi e la nascita del pícaro, come fenomeno sociale di devianza, richiamandosi a Robert K. Merton e alle sue tesi sulla marginalità, sulla anomia e sul comportamento deviante e la dipendenza di questi fenomeni dalla chiusura della struttura sociale (l’assenza, o la forte riduzione, di mobilità sociale rende impossibile la realizzazione dell’aspirazione a un cambiamento di status e genera frustrazioni e ribellioni) : 480    

Si el pobre – que […] no es el indigente sin remisión –, al cual le han llegado los ecos de casos de movilidad social ascendente – precisamente los más llamativos – encuentra, sin embargo, que una reacción social restrictiva le corta los accesos a nuevos logros y rodea de hermetismo los bienes a los que se dirigen sus aspiraciones, puede caer en la cuenta de que, encontrando cerrados ante sí todos los caminos normales de « subir », no le quede más remedio que acudir a vías descalificadas, prohibidas, en cualquier caso irregulares. Le queda la « desviación », en alguna de sus formas, y avanzando por ellas siempre puede contar con el engaño, la « industria », el juego, el fraude, el hurto, prácticas que le proporcionan, además, la venganza. Llegará un momento, incluso, en el que más que obtener aquellos bienes o ventajas a que aspira, por medios que la sociedad reputa ilícitos o despreciables, lo que le satisface sobre todo es anteponer al medro su gusto, su libertad, su despreocupación, ofensiva para los conformistas ; esto es, ejercer los derechos del resentimiento, la venganza que deja fuertemente escocida a la víctima, más que físicamente maltrecha.  













479

359.

  José Antonio Maravall : La literatura picaresca desde la historia social (Siglos XVI y XVII), pp. 356-357, p.

480



  Cfr. Robert K. Merton : Teoria e struttura sociale. Volume II. Analisi della struttura sociale. Bologna : Il Mulino 1983, pp. 373-386, pp. 398-401, pp. 510-525.  



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Pienso que el de « desviación » es el concepto que se ajusta a la interpretación de lo que la picaresca significa en tanto que respuesta a una posición social determinada. Para que se presente ese modo de comportamiento desviado hace falta que se den, previamente, dos experiencias en la vida social cuya contradicción hace saltar el resorte que sujeta con cinturón de hierro las aspiraciones de aquellos individuos pertenecientes a grupos que no son los privilegiados de la misma ; son los postergados, los no distinguidos, los que soportan las cargas o, por lo menos, la exclusión humillante de los privilegios, de las que los textos de la época llaman « honras ». La primera de esas experiencias es la de que la sociedad en la que se hallan insertos ha pasado por una etapa de expansión, en cuya situación coyuntural favorable se han aflojado las normas de exclusión en el goce de bienes y valores, incluso hasta para los componentes de las clases inferiores. No es necesario que esa relajación del sistema de reserva de derechos para los « honrados » se extienda a todo el repertorio de valores en que, voluntaria o compulsivamente, se apoya la ordenación social. Basta con que sean algunos de ellos, de entre los particularmente más codiciados por todos. Esto es lo que entiendo que sucedió con la riqueza, tal vez el primero de entre los bienes estamentalmente reservados, en principio, para los altos y poderosos, que se generaliza y se permite y aun se ofrece a los de nivel bajo. Así sucedió, en cierta medida – suficiente para levantar las esperanzas de muchos –, en la primera mitad del siglo XVI. […] Pero a medidas que se aproxima a su término el siglo XVI y cuando empieza la centuria siguiente, más que el hecho de la crisis, es la conciencia que se difunde de un estado crítico y los temores que con ello se provocan en los grupos privilegiados lo que da lugar a que se vuelvan a cerrar las compuertas y se refuerce el régimen de reserva de valores y bienes para los grupos altos. Se procede así tratando de excluir, o mejor, excluyendo formalmente de sus beneficios a los de abajo, a los que se creyeron y siguen, no obstante, creyendo que tienen su derecho a conseguirlos. En tal fase, se sigue considerando que la riqueza, por ejemplo, puede ser para todos. […] Planteadas en estos términos las cosas, aquellos que se encuentran con que formulariamente se les dice que pueden obtenir riquezas, y, con ellas, el prestigio y el rango social que de hecho llevan asociados, se explica, que difícilmente puedan conformarse con que después se les corte el camino. Su respuesta en tal caso es la disconformidad o discrepancia, en mayor o menor grado, y, como manifestación de la misma, la desviación. […] En las circunstancias de la sociedad barroca, heredera y correctora de la sociedad renacentista, es necesario, pues, contar con dos fases sucesivas del proceso social básico, en el que se enlacen las condiciones desencadenantes de una crisis como la que implica el discurso picaresco : en ella se presentó una primera fase de flexibilización respecto al régimen de reserva de beneficios y derechos que se atribuían para sí los nobles, y una segunda fase, en la que, manteniéndose en buena parte la oferta social de determinados valores a todos, esto se daba sólo formalmente, produciendose de hecho un enérgico endurecimiento de las normas de acceso a esas metas. Tal es la razón de la « anomia », a la que la desviación en alguna medida equivale o a la que por lo menos presupone : en rigor, no se trataba de un abandono, sino de un rechazo de las normas en tanto que éstas se oponían a las aspiraciones. 481  























Data la importanza che per la genesi del picarismo e della picaresca José Antonio Maravall attribuisce alla fase della intensificazione della mobilità sociale ascendente e a quella successiva della cessazione o forte contrazione di questo fenomeno, sarebbe stato assolutamente necessario stabilire con precisione la fine della fase ‘espansiva’ e di ‘apertura’ della società spagnola. Lo studioso però oscilla nel fissare i limiti cronologici del fenomeno. Ora afferma che la mobilità sociale è un fenomeno limitato soltanto al XVI secolo 482 e all’inizio del XVII, poi pare estendere generalmente al XVI e XVII secolo  

481   José Antonio Maravall : La literatura picaresca desde la historia social (Siglos XVI y XVII), pp. 412-413, pp. 415-416. Già molti capitoli prima lo studioso aveva scritto : “Eran necesarias para que ésta [la novela picaresca] apareciera, las dos fases : disparo inicial, cierre posterior. Ante esas barreras, aquel que se contempla siendo menos y se cree capaz de ser más rompe sus lazos, buscando un resquicio por donde subir” (pp. 266-267). 482   A volte lo studioso precisa che già a partire dalla metà del XVI secolo e soprattutto dopo il 1575/1580 la  





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la durata del processo di erosione della tradizionale stratificazione della società, infine dichiara che già verso la fine del XVI secolo e all’inizio del XVII la fase espansiva era esaurita. In altre pagine dell’opera si può constatare questa oscillazione. Nel passo che trascriviamo qui di seguito si afferma addirittura che l’indice di mobilità verticale si elevó con il miglioramento delle condizioni economiche di agricoltori e di mercanti e perdurò, in buona misura, nel XVII secolo :  

A pesar de la crisis del siglo XVII, algo cambió en la estructura social del mismo, no obstante la reacción señorial. El estudio de J. P. [M. !] Pelorson 483 [...] hace referencia a […] intentos de vitalizar una clase media instruida, a los que por mi parte aludí en una obra anterior. 484 Y algunos resultados positivos se alcanzaron. En tal sentido es insostenible la tesis de A. del Monte y otros de que el fracaso y la ausencia de la clase media – que de ningún modo se puede llamar clase burguesa contra el uso que algunos impropiamente hacen de la expresión – dio lugar a la aparición del pícaro. Hay que pensar en todo lo contrario : el índice de movilidad vertical, que de todos modos se elevó con el mejoramiento de labradores y mercaderes y se mantuvo en buena medida en el siglo XVII a pesar de su política de contención, el movimiento de la educación y las fuerzas individualistas, fue lo que incitó a otros individuos aisladamente a intentar también seguir ese ejemplo ascensional, 485 mal entendido y peor logrado, y surgen así los pícaros. Nunca de los dos grupos sociales que acabo de mencionar – labradores y mercaderes de mediana hacienda – proceden los individuos de la población picaresca. Ni nunca la frustración de un burgués da tampoco ese resultado, en una sociedad, eso sí, que por su estado de crisis ofrecía adecuadas condiciones para la desviación, que convertía en pícaros a vagabundos y aventureros de baja estofa. 486  











In un capitolo precedente, José Antonio Maravall, illustrando le condizioni sociali necessarie alla nascita del fenomeno del picarismo – fra le quali considera la circolazione monetaria, 487 la diffusione del regime salariale 488 (per l’influenza decisiva esercitata dal denaro nella trasformazione delle relazioni fra le persone e i gruppi sociali e quindi nella trasformazione della mentalità 489) e l’intenso processo di inurbamento e di formazione di megalopoli con i correlati fenomeni sociali e psicologici (distruzione della ‘comunità’, anonimato, indebolimento dei vincoli e dei rapporti sociali, sradicamento, emarginazione, solitudine, aggressività), 490 mentre rifiuta, oltre alla tesi di Alberto Del Monte sulla assenza di una classe borghese, anche quella di Américo Ca 







mobilità sociale si stava fortemente contraendo, come dimostra il fatto che “son cada vez más frecuentes las duras protestas por los obstáculos y rechazos que se introducían” ( J. A. Maravall : La literatura picaresca desde la historia social, p. 395). 483   Jean-Marc Pelorson : Les Letrados, juristes castillans sous Philippe III. 484   José Antonio Maravall : Poder, honor y élites. 485   Furono, in effetti, proprio membri ricchi del ceto contadino e del ceto mercantile e persone con formazione universitaria – i letrados – a beneficiare, in gran parte, della fluidità della stratificazione sociale, come lo stesso José Antonio Maravall aveva scritto qualche decina di pagine prima : “Si ya en el Renacimiento se llegó a dibujar en la sociedad peninsular una conciencia expansiva, podemos comprobar que ésta, bajo ciertas manifestaciones, sigue en el XVII – a pesar de su honda crisis –, con el ejemplo de muchos labradores ricos (a los que el teatro invita a estimarse como señores), con el ejemplo de burócratas, de mercaderes, de gentes enriquecidas por diversas vías que han adquirido hidalguías vendidas por el rey o han sido ennoblecidas por éste” ( J. A. Maravall : La literatura picaresca desde la historia social, p. 357). 486   José Antonio Maravall : La literatura picaresca desde la historia social (Siglos XVI y XVII), pp. 400-401. 487   “Sin la generalizada introducción del dinero no hubiera habido « picaresca », no ya por el lugar que aquél ocupa en las páginas de ésta, sino porque la vision social de la cual nace la picaresca no se hubiera dado” ( J. A. Maravall : La literatura picaresca desde la historia social, p. 109). 488   José Antonio Maravall : La literatura picaresca desde la historia social (Siglos XVI y XVII), pp. 197-216. 489   José Antonio Maravall : La literatura picaresca desde la historia social (Siglos XVI y XVII), pp. 105-137. 490   José Antonio Maravall : La literatura picaresca desde la historia social (Siglos XVI y XVII), pp. 245-349, pp. 698-762.  















   





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stro e dei suoi seguaci sulla emarginazione dei conversos 491 –, scrive che il vagabondo è un prodotto tipico delle epoche “de desencaje social” e che il pícaro è “una de las más atrevidas manifestaciones de este hombre de los caminos sin meta”. E subito dopo aggiunge :  



Pero con sólo esto no se hubiera podido dar el pícaro. […] Era necesario que un margen amplio de movilidad existiera y que existiera una proporción de éxitos en medrar más allá de los establecidos, para que surgiera con fuerza el impulso de lanzarse a buscar tales resultados. Era necesario que se conocieran o se sospechara fundadamente existir casos, en número apreciable, de individuos cuyo medro más allá de los limites fijados había sido reconocido por la sociedad. Más aún, tenía que existir un aliento hacia estos modos de proceder. 492  

Anche in queste righe la mobilità sociale non è circoscritta al XVI o all’inizio del XVII, ma pare venga estesa a tutto il periodo in cui esistettero i picari (se non altro quelli letterari, e cioè almeno sino al 1646, anno in cui fu pubblicato l’Estebanillo González). In altre pagine della sua monografia José Antonio Maravall afferma però con decisione che nel XVII secolo la mobilità sociale è quasi cessata, che “la ola expansiva del siglo XVI” 493 si è esaurita e che l’erosione della tradizionale stratificazione della società è stata minima. Egli parla, infatti, di “cierre estamental de los accesos (como le acontece al Buscón)”, sostiene che nel secolo XVII “se advierte el cierre del sistema social y con ello una oclusión de los canales de aspiración social”, 494 dichiara che la “crisis social del siglo XVII … suscitó la respuesta picaresca”, 495 afferma che la “reacción, al finalizar el siglo XVI, mantenida hasta los últimos lustros del XVII, con su carácter de severo cierre en los accesos de más posible alcance para individuos de baja extracción, dio lugar a la novela picaresca”, 496 e dedica, infine, un intero sottocapitolo al « Cierre de accesos a los niveles  









491   “Relacionar y, más aún, reducir el desafío que el pícaro lanza contra las dificultades que la vida le presenta para realizar sus aspiraciones, con la situación de marginación que el converso hispano-judío soporta, me parece un intento gratuito. Sobre éste pesaban las dificultades que se sufrían en todos los casos de marginados, menos graves para los conversos, en los aspectos de riqueza y aun de obtención de honras, cuando tan frecuentemente podían servirse de la práctica, archiconocida y hasta tolerada, del soborno. En tales casos es absurdo creer que las dificultades que se tenían que vencer para superar las limitaciones derivadas de una marginación por sangre de converso eran más duras de superar que aquellas sobre las que tenía que saltar con sus artes un pilluelo. Desde luego, el desafío de este era de otro tipo y de otro tipo la preparación anómica que podía adquirir de su familia, diferente por completo de la que podía proporcionarle una familia de conversos honorablemente instalada, a alguno de sus miembros. […] Lo que llama la atención en el mundo de la picaresca es la presencia escasísima, casi nula, de elementos conversos, a poco que se deje de fantasear. Y no podía ser de otra manera, porque – insisto en ello – el tipo de problemas que tenía de plantearse y de dificultades que tenía que vencer el pícaro eran de otro género, diferente de los que acosaban a aquéllos. Sobre todo, eran muy diferentes los recursos que uno y otro podían utilizar para llegar a un objetivo referente a la superación de la marginación, aun en el caso de que hubiera en esta mucho de común” ( J. A. Maravall : La literatura picaresca desde la historia social, p. 537). 492   José Antonio Maravall : La literatura picaresca desde la historia social (Siglos XVI y XVII), p. 251. 493   José Antonio Maravall : La literatura picaresca desde la historia social (Siglos XVI y XVII), p. 395. Già in precedenti lavori lo studioso aveva sostenuto questa opinione. Cosí – per esempio – in Teatro y literatura en la sociedad barroca (1972), dove acutamente individua nella mobilità sociale il grande tema del teatro barocco (“Subir o bajar es el gran tema de la comedia”), scrive : “El auge económico y la movilidad social – con su correlato de desarrollo intelectual – que el siglo XVI había conocido en España, se liquidó con esa reacción de los elementos de la sociedad estática que desde las últimas décadas de tal centuria se está produciendo entre nosotros, para alcanzar toda su fuerza desde 1600 hasta la segunda mitad del siglo XVIII.” E ancora : “la sociedad cerrada aristocrática ... se revitaliza en el siglo XVII”. Cfr. José Antonio Maravall : Teatro y literatura en la sociedad barroca. Edición corregida y aumentada al cuidado de Francisco Abad. Barcelona : Editorial Crítica 1990, p. 35, p. 24, p. 43. 494   José Antonio Maravall : La literatura picaresca desde la historia social (Siglos XVI y XVII), pp. 369-370. 495   José Antonio Maravall : La literatura picaresca desde la historia social (Siglos XVI y XVII), p. 418. 496   José Antonio Maravall : La literatura picaresca desde la historia social (Siglos XVI y XVII), p. 266.  



















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superiores de la estratificación social », 497 nel quale, dopo aver citato una frase delle Aventuras del Bachiller Trapaza (“introduzido pues a Cauallero, que es cosa facil”), 498 asserisce che non era davvero facile nella “engolada sociedad” chiusa del Seicento passare per nobile o diventare nobile. 499 Non è possibile dire, senza timore di sbagliare, quale sia secondo José Antonio Maravall la durata massima della fase espansiva della società. La tesi di fondo sulla genesi del picarismo sociale e della picaresca letteraria è però chiaramente formulata dallo studioso, che si fonda – come abbiamo ricordato – sulla sociologia di Robert K. Merton : le condizioni per la nascita del picarismo sociale e quindi della picaresca letteraria sono una fase di mobilità ascendente – questa fa sorgere l’aspirazione alla promozione sociale, quell’afán de medro, che costituisce “un eje de la novela picaresca” 500 – e una fase successiva di cessazione della mobilità ascendente, con il relativo blocco delle vie di accesso ai livelli superiori dell’ordine sociale – questo blocco genera la frustrazione e i vari fenomeni di devianza –. Si deve allora forzatamente pensare che la fase di espansione si fosse già esaurita negli ultimi anni del XVI e nei primi del XVII secolo, gli anni in cui sono stati scritti il Guzmán de Alfarache e le sue due continuazioni, quella apocrifa e quella autentica, il Buscón, la Pícara Justina e il Guitón Onofre. Se invece, come fanno credere tante decise affermazioni di José Antonio Maravall, la fase della mobilità sociale ascendente si fosse estesa dall’inizio del XVI all’inizio del XVII secolo, come avrebbero potuto le opere or ora menzionate essere scritte negli anni 1596-1604 e riflettere l’amarezza, la frustrazione e il pessimismo provocati dalla chiusura ermetica della società ? Purtroppo il grande storico delle idee e della cultura spagnole, che considera tutta la narrativa picaresca come un solo testo, senza differenziazioni cronologiche, giunge alla fine a negare per il XVII secolo il vasto fenomeno della mobilità sociale, documentato – come si è visto – da moltissimi casi di ascesa sociale e, in particolare, dal grande numero di regidurías, di hidalguías, di hábitos degli Ordini Militari e di titoli nobiliari ottenuti da membri di famiglie della classe media (si pensi al fenomeno vistosissimo dell’ascesa sociale dei conversos portoghesi !). Lo nega – proprio lui che ha voluto studiare la letteratura picaresca “desde la historia social” ! – per motivi morali, ritenendo che riconoscere l’esistenza della mobilità sociale nella società spagnola del XVI e XVII secolo, la cui “estructura estamental” egli definisce “insana”, 501 e accettare la “interpretación multidimensional de la estratificación”, proposta da Roland Mousnier per il Seicento, 502 porti “a relativizar y oscurecer el fenómeno de la desigualdad en el seno de  





















497   José Antonio Maravall : La literatura picaresca desde la historia social (Siglos XVI y XVII), pp. 372-395. Lo studioso ammette poi, verso la fine della sua opera, che “en fin de cuentas, la sociedad de últimos del siglo XVI y del XVII no consiguió ya volver a reconstituirse tan cerradamente como pretendía” (p. 553). 498   AVENTVRAS | DEL BACHILLER | TRAPAZA, QVINTA ESSENCIA | de Embusteros, y Maestro de | Embelecadores. | AL ILLVSTRISSIMO SEÑOR DON IVAN | Sanz de Latràs, Conde de Atares, Señor de las | Baronias y Castillos de Latràs, y Xauierregay, | y de los Lugares de Ançanego, Sieso, | Arto, Belarra, y Escalete, y | Cauallero de la Orden | de Santiago. | Por Don Alonso de Castillo | Solorzano. | [Ornamento] | CON LICENCIA. | En Çaragoça : Por Pedro Verges. Año 1637. | A costa de Pedro Alfay, mercader de libros (London, British Library : 12490.df.14), fo. 90v. Sul tema della mobilità sociale nell’opera narrativa picaresca di Alonso de Castillo Solórzano cfr. A. Martino : Die erste deutsche Übersetzung der Garduña de Sevilla. Ein spanischer Beitrag zur Produktion von fi ktionaler >Konsumliteratur< in den 30er Jahren des 18. Jahrhunderts, pp. 129-147. 499   José Antonio Maravall : La literatura picaresca desde la historia social (Siglos XVI y XVII), p. 382. Cfr. anche José Antonio Maravall : La aspiración social de « medro » en la novela picaresca, p. 611. 500   José Antonio Maravall : La literatura picaresca desde la historia social (Siglos XVI y XVII), p. 395. 501   José Antonio Maravall : La literatura picaresca desde la historia social (Siglos XVI y XVII), p. 160, nota n. 75. 502   Roland Mousnier – Jean-Pierre Labatut – Yves Durand : Problèmes de stratification sociale. Deux cahiers de la noblesse pour les États Généraux de 1649-1651 (= Publications de la Faculté des Lettres et Sciences Humaines  





















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las sociedades”, 503 come ha osservato Frank Parkin. 504 (Fondandosi sulla ‘autorità’ discutibile, piú ideologica che scientifica, di Frank Parkin, 505 José Antonio Maravall ritiene quindi necessario negare la ‘multidimensionalità’ della stratificazione della società del Seicento, empiricamente verificata, 506 per non relativizzare e oscurare il fenomeno della diseguaglianza sociale. Il che significa sostenere che lo storico ha il diritto di ignorare i fatti se questi fatti relativizzano o oscurano i fenomeni da lui ritenuti moralmente riprovevoli. È tristemente nota la manipolazione ‘selettiva’ delle fonti e dei fatti effettuata da certi storici per esaltare i processi di formazione della nazione, per giustificare i nazionalismi o per celebrare le varie incarnazioni del liberalismo e del liberismo, e da certi altri per il desiderio di cambiare la società e per contribuire alla lotta politica e alla ‘rivoluzione proletaria’ alimentando l’odio di classe. Operare con i criteri della bontà morale è certamente molto piú nobile che operare con quelli politico-ideologici. La manipolazione della ‘verità’ storica, anche se a fin di bene, rimane però pur sempre una aberrazione !) Lo nega fondandosi quasi unicamente su fonti ‘ideologiche’ – letteratura morale, religiosa, filosofica, politica e economica (ma Martín González de Celorigo e Pedro Fernández Navarrete, da lui frequentemente citati, testimoniano, come abbiamo potuto constatare, il fenomeno della mobilità sociale !) – e letterarie e ignorando, quasi completamente, sia le ricerche di storia sociale sulle oligarchie municipali, sui gruppi di potere e – in generale – sulle élites, sia le ricerche genealogiche. Questo lo porta a fraintendere i testi letterari, considerati come testi economici e sociologici e non analizzati secondo la loro funzione 507 (questa varia da testo a testo), e a confutare la validità di  













de Paris. Série « Textes et documents », tome IX. Travaux du Centre de Recherches sur la Civilisation de l’Europe Moderne. Fascicule 3). Paris : Presses Universitaires de France 1965, p. 47. In questa pagina della sua introduzione, dedicata ai « Problèmes de stratification sociale » (pp. 9-102), Roland Mousnier aveva illustrato i tre fattori (statut, situation économique, pouvoir) che nella Francia del XVII secolo determinano la stratificazione sociale e aveva scritto : “Ces trois facteurs, statut, situation économique, pouvoir, sont liés et influent les uns sur les autres. [...] Le rang attire le pouvoir et l’argent. Le pouvoir est générateur de prestige et de fortune. Les richesses donnent pouvoir et rang, même, à longue échéance, dans une société d’ordres, car elles permettent d’adopter le style de vie d’un ordre supérieur et, avec le temps, le style de vie permet à la famille de se faire reconnaître comme membre de l’ordre supérieur. Ces trois points de vue sont inséparables et indispensables.” 503   José Antonio Maravall : La literatura picaresca desde la historia social (Siglos XVI y XVII), p. 96. 504   Frank Parkin : Class Inequality and Political Order. Social Stratification in Capitalist and Communist Societies. Frogmore, St. Albans, Herts : Paladin 1972, pp. 48-51. 505   Frank Parkin considera “the process of social mobility” come una delle piú importanti “safety-valves” utilizzate machiavellicamente dalla classe dominante, “to make the rules governing the distribution of rewards seem legitimate in the eyes of all, including those who stand to gain least from such rules” (Class Inequality and Political Order, pp. 48-49). 506   Del grande studioso del fenomeno della stratificazione e della mobilità sociale si vedano, fra i molti studi, i seguenti : Roland Mousnier : Recherches sur la stratification sociale à Paris aux XVIIe et XVIIIe siècles. L’échantillon de 1634, 1635, 1636 (= Publications de la Sorbonne. N. S. « Recherches », 22. Université de Paris IV - Paris-Sorbonne. Travaux du Centre de Recherches sur la Civilisation de l’Europe moderne, fasc. 18). Paris : A. Pedone 1976. – Roland Mousnier : Paris capitale au temps de Richelieu et de Mazarin. Paris : Éditions A. Pedone 1978. – Roland Mousnier : La Vénalité des Offices et la mobilité sociale en France au XVIIe et au XVIIIe siècles. – Roland Mousnier : Les hiérarchies sociales de 1450 à nos jours (= SUP, « L’Historien », 1). Paris : P.U.F. 1969. 507   Sulla funzione della novela picaresca José Antonio Maravall scrive : “La novela picaresca se levanta para combatir (alguna vez desde el lado más bien de los pobres, otras para advertir del peligro que su presencia entraña y mover a la opinion hacia reformas necesarias) las fuerzas que se empeñan en mantener sujetas a las gentes al viejo orden, sólo que su problema es de solución disparatadamente inviable.” – “El auge del cuadro literario de desviación que traza la novela picaresca, los innumerables ejemplos de « materia » picaresca difundidos en obras de otros géneros, las noticias de tal naturaleza abundantemente contenidas en escritos que representan el albor de la « prensa » en el Barroco – « avisos », « relaciones », « anales », « cartas », etc. –, prueban que, en su cerrado conservadurismo monárquico-señorial, la sociedad española del siglo XVII comprendió cómo, desde sus posiciones, la presentación del fantasma de la conducta aberrante podía fortalecer su sistema y para ello era necesario, en la ficción y en la realidad, mantener la imagen amenazadora del que ella misma calificaba  



































































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testimonianze come quella sopra citata di Alonso de Castillo Solórzano, che ovviamente non sosteneva che l’accesso alla nobiltà era facile per un povero pícaro, ma insinuava che lo era per i ricchi, in particolare per i ricchi conversos. La letteratura picaresca non nasce e si sviluppa, contrariamente a quanto crede José Antonio Maravall, come reazione al “bloqueo - vigorizado - de las vias de acceso o de satisfacción de aspiraciones”, 508 come reazione ad una supposta chiusura ermetica della società feudale (a partire dalla fine del XVI sec. – inizio del XVII) e al conseguente azzeramento del tasso di mobilità sociale verticale, e neppure tematizza il problema della impossibilità di arricchimento e quindi di ascesa sociale di “desdichados jovenzuolos, pobres por su origen familiar, de padres que por una u otra razón vivían en la infamia”. 509 La letteratura picaresca nasce e si sviluppa, invece, proprio per l’eccessiva e rapida apertura della società, per la disintegrazione della stratificazione sociale e dell’ordine feudale, e tematizza il problema sociale della proliferazione di nuovi nobili, e non della “proliferación de pícaros”. 510 I picari, gli “sfortunati giovincelli” rappresentati da Quevedo e da Castillo Solórzano simboleggiano, in realtà, i nuovi ricchi che, nonostante le ‘infami’ origini (infami per i mestieri ‘meccanici’ e vili oppure per il commercio o l’usura esercitati dai padri e dagli avi, e/o per il sangue ‘macchiato’), tentano (spesso con successo) di infiltrarsi nel patriziato e nelle oligarchie municipali, di accedere alla piccola, alla media e all’alta nobiltà e di divenire cavalieri degli Ordini Militari. Già Martin González de Cellorigo e Pedro Fernández Navarrete avevano indicato – come vedremo – nella eccessiva mobilità sociale la genesi del picarismo.  





Non è stato solo José Antonio Maravall, grande storico delle idee e della cultura ma privo di un’ampia base di conoscenze di storia sociale e in particolare della conoscenza di dati empirici sufficientemente rappresentativi sulla evoluzione della società e la trasformazione dei suoi ceti – dati che però vent’anni fa neppure erano in abbondanza a disposizione degli studiosi –, ad essere condizionato, anche per ragioni ‘morali’, dall’idea preconcetta che la società della Spagna del Siglo de Oro sia stata prevalentemente una società chiusa, caratterizzata – salvo per brevi periodi – dall’assenza di mobilità sociale ascendente. La forza condizionante di tale idea preconcetta è tale che ha indotto anche alcuni storici di professione a interpretare erroneamente addirittura i dati ricavati dalle loro stesse ricerche ! Così – per esempio – Marie-Claude Gerbet e Janine Fayard 511 credono di poter pro 



de desviado.” – “Yo me atrevería a decir que, en los años de pleno desarrollo de la literatura picaresca, la figura del pícaro había sido aquella de la que se había echado mano (pienso que en el doble plano de la realidad y de la ficción), para eliminar, o por lo menos, para reducir la amenaza del rebelde. Frente a la miopía de algunos abruptos e inservibles moralistas, los dirigentes, los políticos, los escritores preocupados de la situación social, se dieron cuenta de que la tolerancia del pícaro era el precio a pagar por conseguir sustraer a cierto tipo de individuos de llevar a cabo su incorporación a la rebeldía” (La literatura picaresca desde la historia social, p. 48, p. 436, p. 438). Charles Aubrun aveva scritto che la picaresca, “una literatura de clase”, rappresenta un tentativo “de proteger una sociedad, un régimen amenazado por los impostores, los fariseos, los falsos devotos”, e “de sujetar de nuevo las riendas de una sociedad tambaleante a fin de imponer un orden tradicional en un mundo que resulta caótico”. Cfr. Charles Aubrun : La miseria en España en los siglos XVI y XVII y la novela picaresca. In : Literatura y sociedad. Problemas de metodología en sociología de la literatura. Barcelona : Edicions Martínez Roca 1969, pp. 143-158 ; qui pp. 151-152. 508   José Antonio Maravall : La literatura picaresca desde la historia social (Siglos XVI y XVII), p. 383. 509   José Antonio Maravall : La literatura picaresca desde la historia social (Siglos XVI y XVII), p. 366. 510   José Antonio Maravall : La literatura picaresca desde la historia social (Siglos XVI y XVII), p. 382. 511   Marie-Claude Gerbet - Janine Fayard : Fermeture de la noblesse et pureté de sang dans les concejos au XVème [XVIème !] siècle : à travers les procès d’hidalguía, pp. 443-473.  







   









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vare la loro tesi della progressiva ‘chiusura’ della nobiltà nel corso del XVI secolo sulla base dei dati empirici raccolti attraverso l’analisi di 1.792 pleitos de hidalguía (i processi pervenutici completi sono 700, incompleti 1.092), che contrapposero hidalgos e Consigli municipali della Estremadura dal 1491 al 1609 512 davanti agli Alcaldes de los hijosdalgo – i soli giudici autorizzati a sentenziare in materia di hidalguía – della Sala de los hijosdalgo della Real Chancilleria di Valladolid 513 e della Real Chancilleria di Granada. L’analisi dei processi – essi venivano istruiti quando un Consiglio municipale decideva di non riconoscere la hidalguía di una persona, o di una famiglia, 514 e questa persona, o questa famiglia, non accettava tale decisione e ricorreva agli Alcaldes de los hijosdalgo, oppure quando il Consiglio municipale non ritornava sulla propria decisione dopo tale ricorso 515 – fa emergere chiaramente tre fenomeni : a) la tendenza degli Ayuntamientos a non riconoscere la hidalguía di molte persone e famiglie e soprattutto quella di persone e famiglie venute da fuori (“66% des procès ont pour cause le changement de résidence du plaideur ou de ses parents”) ; 516 b) la rinuncia di molti hidalgos a intentare – o, una volta intentata, a proseguirla sino in fondo – la causa per la conferma e il riconoscimento della loro nobiltà e quindi del loro diritto a non essere inseriti nei registri dei pecheros ; 517 c) l’infiltrazione progressiva di plebei ricchi nella hidalguía (“des hidalgos pauvres injustement attaqués ne purent pas se défendre et furent, pour toujours, inscrits sur la liste des pecheros, alors que d’autres furent reconnus hidalgos, grâce au réseau des solidarités, à leurs relations ou à la protection d’un puissant” 518). Il rifiuto, spesso ostinato, dei Consigli municipali (lo studio non raggruppa i processi secondo gli Ayuntamientos, ma il campione ristretto di 255 “procès-types” – scelti per una analisi piú particolareggiata, perché corredati della piú completa, ampia e dettagliata documentazione pervenutaci – concerne “toutes les villes d’Estrémadure” ; 519 i comuni rurali, che senza dubbio piú raramente promuovevano, direttamente o indirettamente, pleitos de hidalguía, non sono quindi rappresentati, o lo sono, forse, solo marginalmente) di riconoscere la hidalguía di diverse persone, o famiglie, dello stesso Comune e di quasi tutte le persone, o famiglie, immigrate, 520 era certamente determinato, come eviden 









   

   



   



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  Marie-Claude Gerbet - Janine Fayard : Fermeture de la noblesse et pureté de sang, pp. 449-450.   La Real Chancilleria di Valladolid era stata l’unica esistente fino al 1494 ; poi fu fondata una seconda Real Chancilleria per le regioni a sud del Tago. Questa seconda Real Chancilleria ebbe sede fra il 1494 e il 1505 a Ciudad Real ; dal 1505 in poi a Granada. 514   Marie-Claude Gerbet - Janine Fayard : Fermeture de la noblesse et pureté de sang, pp. 451-457. I Consigli municipali potevano ‘attaccare’ un hidalgo vuoi direttamente, depositando una denuncia contro di lui presso la Sala de los hijosdalgo, vuoi indirettamente, costringendolo, con la negazione della sua nobiltà e quindi del suo diritto ai privilegi fiscali, a far causa. 515   Le fasi preliminari del processo (denuncia presentata da una delle parti in causa alla Sala de los hijosdalgo, notificazione – fatta dagli Alcaldes de los hijosdalgo – della denuncia alla parte avversa), la sua istruzione (receptoria a la prueba : i giudici, constatata l’indisponibilità delle parti ad accordarsi, invitano ciascuna parte in causa a provare il suo buon diritto) e il suo sviluppo (convocazione dei testimoni nominati dalle parti in causa, probanza, sentenza definitiva – contro questa sentenza è possibile interporre appello davanti alla camera degli Oidores della Cancelleria, che emettono allora una sentencia en grado de vista, contro la quale è egualmente possibile ricorrere davanti agli stessi uditori, che pronunciano allora una sentenza, detta sentencia en grado de revista, che è inappellabile e definitiva) sono illustrati dettagliatamente da Marie-Claude Gerbet e Janine Fayard (Fermeture de la noblesse et pureté de sang, pp. 444-448). 516   Marie-Claude Gerbet - Janine Fayard : Fermeture de la noblesse et pureté de sang, p. 463. 517   Marie-Claude Gerbet - Janine Fayard : Fermeture de la noblesse et pureté de sang, p. 465, p. 469. 518   Marie-Claude Gerbet - Janine Fayard : Fermeture de la noblesse et pureté de sang, p. 471. 519   Marie-Claude Gerbet - Janine Fayard : Fermeture de la noblesse et pureté de sang, p. 449. 520   “Le changement de résidence entraîne normalement un procès d’hidalguía car la notoriété de la petite et de la moyenne noblesse est étroitement limitée géographiquement” (Marie-Claude Gerbet - Janine Fayard : Fermeture de la noblesse et pureté de sang, p. 463).  

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ziano Marie-Claude Gerbet e Janine Fayard, dal desiderio di rimettere in ordine le finanze del Comune riducendo il numero degli esenti dalle tasse. 521 Costituiva però, forse, anche un tentativo di arginare le conseguenze della vendita – ad un prezzo corrente di 4.000 ducati (il prezzo era però variabile : talvolta saliva a 6.000, 7.000 e perfino 10.000 ducati, talvolta scendeva a 3.000, 2.000 e 1.000 ducati 522) – di hidalguías disposta dalla Corona, vendita che faceva aumentare il numero degli hidalgos e riduceva in maniera corrispondente il numero dei pecheros. Nella ostinazione degli Ayuntamientos a disconoscere hidalguías giocavano, inoltre, un ruolo certamente non insignificante gli antichi rancori dei parvenus verso vecchie famiglie veramente nobili, ma poi impoverite, e la tendenza ben nota di ogni oligarchia municipale e di ogni gruppo privilegiato ed elitario a ‘chiudersi’. (Nella “offensive « anti-hidalga »” degli Ayuntamientos delle località rurali, illustrata da Noël Salomon, si manifestava l’odio che i villanos ricos nutrivano per gli hidalgos e che questi vivamente contraccambiavano. Quest’odio reciproco cresceva naturalmente con i tentativi dei ricchi labradores – fra i quali non mancavano, ovviamente, gli aspiranti alla hidalguía – di escludere dal governo del municipio gli hidalgos notorios de sangre y solar, di contestare i loro privilegi fiscali e di costringere i nobili impoveriti e rovinati a pechar 523 o a emigrare in America. 524) La progressiva scomparsa dei pleitos de hidalguía promossi da hidalgos poveri e la progressiva infiltrazione di parvenus nella nobiltà rivelano, incontestabilmente, che a poco a poco “la noblesse va devenir incompatible avec la pauvreté”, 525 che la honra e la hidalguía sono ormai sempre piú inseparabili dalla ricchezza e che la « vie noble » costituisce sempre piú frequentemente la prova piú importante per il riconoscimento della hidalguía. 526 Nella società della Estremadura del XVI secolo si manifestano, quindi, con tutta evidenza i due fenomeni, apparentemente contraddittori ma in realtà correlati, 527 che caratte 























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  Marie-Claude Gerbet - Janine Fayard : Fermeture de la noblesse et pureté de sang, pp. 461-464.   Cfr. Antonio Domínguez Ortiz : La sociedad española en el siglo XVII, tom. I, p. 183. 523   Cfr. Noël Salomon : La campagne de Nouvelle Castille à la fin du XVIe siècle d’après les Relaciones topográficas, pp. 298-301. – Noël Salomon : Lo villano en el teatro del Siglo de Oro, pp. 706-709. Sul tentativo dei ricchi contadini e dei ricchi proprietari rurali ‘borghesi’ di monopolizzare le cariche municipali, che poi naturalmente usavano per consolidare e aumentare la loro ricchezza, cfr. anche David E. Vassberg : Land and Society in Golden Age Castile, p. 149. In un documento delle Cortes, nel quale si protestava contro la Real Cédula emessa da Filippo II nel 1593 per ordinare una revisione dei titoli di hidalguía, si legge : “Con esta provisión se ha dado lugar a que el estado de los pecheros, con el odio natural que tienen al de los hidalgos, persigan al que vieren que es pobre, repartiéndole como a pechero y quebrantándole los privilegios de su nobleza, porque como el medio de conseguirla ha de ser … costosa, y ven la imposibilidad que el hidalgo tiene de hacer estos gastos, quedan con más libertad para perseguirlos … y no es justo que los pobres hidalgos, que con la estimación de sus noblezas recogidos en sus aldeas consolaban su pobreza, queden por este camino inhabilitados, y los pecheros tanto más licenciosos para molestarlos y perderles el respeto que les deben por todo derecho” (cit. da Antonio Domínguez Ortiz : La sociedad española en el siglo XVII, tom. I, p. 176). 524   Dei 20.133 “emigrantes varones”, che secondo i registri dei passeggeri degli anni 1540-1579 si imbarcarono a Siviglia per il Nuovo Mondo, 835 (= 4,1%) erano hidalgos. Cfr. Peter Boyd-Bowman : La emigración española a América : 1560-1579, pp. 129-130. Erano – scrive M. González de Cellorigo (Memorial de la politica necessaria, y vtil restauracion à la Republica de España, fo. 53v) – “los mas buenos” e “los mas honrados”, abitualmente i piú sensibili alla vergogna per la loro povertà, coloro che emigravano alle Indie, spinti dal “pundonor de la honra, que es el mal mas dañoso, de lo que se puede pensar, y el que mas en España ha hecho mella”. 525   Marie-Claude Gerbet - Janine Fayard : Fermeture de la noblesse et pureté de sang, p. 465. 526   Marie-Claude Gerbet - Janine Fayard : Fermeture de la noblesse et pureté de sang, pp. 454-465, pp. 472473. L’importanza del vivir noblemente per il riconoscimento della hidalguía era stata messa in rilievo anche da Antonio Domínguez Ortiz nella Sociedad española en el siglo XVII (tom. I, p. 179). 527   A proposito della lotta fra hidalgos e plebei che la lettura delle Relaciones topográficas rivela, Noël Salomon scrive : “A lire les documents, on a l’impression que, par tous les moyens, les villageois, par l’intermédiaire du conseil municipal, tentaient de réduire ou de bafouer les privilèges des « hidalgos ». Mais, au même moment, des villageois non nobles – sans doute des parvenus et des enrichis – essayaient de s’agréger à la « noblesse » en achetant un parchemin, une « hidalguía ». Ces deux tendances inverses peuvent paraître contradictoires.  

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capitolo vi

rizzano ogni società aperta : la mobilità sociale discendente (i veri hidalgos, se poveri – e povero era un numero rilevante di hidalgos, se non addirittura la loro maggior parte, 528 come documentano le Relaciones topográficas 529 e altri documenti 530 – perdevano il loro status e talvolta erano costretti a vendere la loro ejecutoria de hidalguía 531) e la mobilità sociale ascendente (i plebeyos, se erano divenuti ricchi – con l’artigianato, l’agricoltura, l’allevamento del bestiame, o con traffici, commerci, appalti, esazioni, attività amministrative, speculazioni finanziarie e usurarie, oppure, infine, esercitando professioni per le quali era richiesta una formazione universitaria o rivestendo uffici pubblici – e se conducevano una ‘vita nobile’, usurpavano, nonostante la loro origine, l’hidalguía e si integravano nel patriziato e nel ceto nobile). 532 Marie-Claude Gerbet e Janine Fayard interpretano la perdita di status degli hidalgos poveri e l’accanimento dei Consigli municipali a non riconoscere tutte le hidalguías come  











Elles ne le sont qu’en apparence. Toutes deux, par leur confluence en profondeur, contribuaient à accélérer le tourbillon dans lequel se voyait alors entraînée l’« hidalguía ». C’est un signe du dépérissement historique des valeurs propres à une classe ancienne qu’elles soient achetées en même temps que discutées par une classe antagoniste” (La campagne de Nouvelle Castille à la fin du XVIe siècle d’après les Relaciones topográficas, pp. 295-296). 528   Quando nel 1593, con la Real Cédula ricordata sopra, Filippo II ordinò una revisione dei titoli di hidalguía, le Cortes protestarono lamentando che “habiendo el hidalgo de hacer sus probanzas con un alcalde y un receptor que le llevan 1.400 maravedís de salario cada día, sobre lo cual aún se ha de añadir un alguacil, viene a causarse a los hidalgos pobres, como de ordinario lo son la mayor parte de ellos, una total imposibilidad para seguir las hidalguías” (cit. da Antonio Domínguez Ortiz : La sociedad española en el siglo XVII, tom. I, p. 176). 529   Cfr. Noël Salomon : La campagne de Nouvelle Castille à la fin du XVIe siècle d’après les Relaciones topográficas, pp. 288-301. – José Antonio Maravall : La literatura picaresca desde la historia social (Siglos XVI y XVII), pp. 41-45. 530   David E. Vassberg (Land and Society in Golden Age Castile, p. 108) ricorda che cinque dei dieci hidalgos di La Zarza (Zarza de Montánchez, provincia di Cáceres) erano, secondo un censimento del 1561, registrati come pobres ; non piú prospera era, secondo un censimento del 1558, la situazione economica degli hidalgos di Monleón (Salamanca). Carla Rahn (Ciudad Real, p. 107) scrive : “Of the nobles listed in the Catastro for Ciudad Real, there was at least one small farmer, two servants who cared for livestock, and two day-labourers !” Cervantes constata amaramente “que el ser pobre / al ser hidalgo es anexo”. Cfr. Miguel de Cervantes Saavedra : La Gran Sultana Doña Catalina de Oviedo. In : M. de C. S. : Obras completas. Recopilación, estudio preliminar, prólogos y notas por Ángel Valbuena Prat. Madrid : Aguilar 1960, pp. 365-404 ; qui p. 395. 531   Su questo fenomeno si legge nel Diálogo entre Laín Calvo y Nuño Rasura (1570) : “LAIN. [...] i ansi veras mil de ellos [mercaderes confesos] fechos hidalgos a dinero, comprando las executorias a los pobres cuias eran, por necesidad. No conoçes a un tal Castro, natural de Palençuela, trapero, que de un triste çapatero pobre, natural de Castro de Urdiales, compró la executoria, i se tiene por hidalgo, siendo vn vil judiaço ? Y otro de esta ciudad que compró el priuilegio de uno de la tierra de la Torre de Lara, que descendia por linea recta de los nobles Infantes de Lara, y por pobreça le vendio el priuilegio de cierta renta que tenia sobre este castillo de esta ciudad ; y agora este otro judio honrrado anda mui hinchado con su priuilegio, diciendo que lo tiene por linea de los Infantes, auiendo mudado el nombre de cuio era el priuilegio.” (pp. 168-169). 532   In un Memoriale indirizzato a Filippo IV, in occasione della seduta delle Cortes dell’11 novembre 1624, si spiegava come avveniva l’ascesa dei contadini ricchi e la decadenza degli hidalgos poveri nelle villas e nei villaggi che dipendevano dalla Cancelleria di Granada : “[…] los oficiales de las villas y lugares no se atreven a empadronar a qualquiera que quiere litigar, aunque notoriamente sea pechero, y le dejan reservado como si fuera hijodalgo, y con esto adquiere posesion de tal ; y, por el contrario, si empadronan alguno que es hijodalgo por no ser natural de la tierra, y es pobre, deja de litigar y pierde su hidalguía, y con esto los que vienen a quedar esentos son los ricos contra quien los lugares no se atreben a litigar por las muchas costas del alcalde [de los hijosdalgo] y sus ministros” (Actas de las Cortes de Castilla, 1563-1627. Madrid : Real Academia de la Historia 1918, tom. XXXXII, pp. 11-12). Noël Salomon commenta cosi questo passo, che noi abbiamo trascritto dalla sua opera : “On ne peut mieux dire que la loi d’airain du monde moderne, celle de l’argent et de la puissance économique, jouait au village pour éliminer socialement certains hobereaux et en instituer de nouveaux à leur place. La richesse qui constituait l’assise de la minorité florissante et dynamique des « villanos ricos » aboutissait à un renouvellement du contenu de la petite « noblesse », en même temps qu’elle contribuait à en déprécier la valeur sociale” (La campagne de Nouvelle Castille à la fin du XVIe siècle d’après les Relaciones topográficas, pp. 300-301).  















































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prove della progressiva ‘chiusura’ della società estremegna. Questa ‘chiusura’ sarebbe inoltre anche determinata e vistosamente dimostrata da due circostanze : a) a partire dal 1550, ma soprattutto dal 1560, il litigante deve provare sempre piú frequentemente che il suo linaje (termine sostituito molto spesso da quello di casta) è di sangue ‘puro’ (dopo il 1571 la limpieza de sangre viene quasi sempre menzionata nelle probanzas) ; 533 b) “le roi, au XVIème siècle, n’anoblit pratiquement plus”, così che l’accesso alla nobiltà “se fera désormais en dehors du roi, par des voies nouvelles”. 534 Tralasciamo l’affermazione, completamente infondata, sulla cessazione di nobilitazioni regie (in realtà, i diplomi di nobiltà concessi, molto frequentemente in cambio di denaro, da Filippo II – negli anni 1580-1598 si ebbero massicce vendite di hidalguías –, da Filippo III – soltanto in occasione delle Cortes del Regno di Valencia, che si tennero dal 9 gennaio al 20 febbraio del 1604, il Re concesse, come abbiamo già ricordato, un titolo di duca, un titolo di marchese, 4 titoli di conte, 42 hábitos di Ordini Militari, nobilitò 40 persone e armò 21 cavalieri 535 – e da Filippo IV – solo in un anno, il 1630, le hidalguías vendute ammontarono a ventotto 536 – furono tanto numerosi da provocare, in piú occasioni, la protesta delle Cortes 537), e soffermiamo la nostra attenzione su una vistosa contraddizione : per un lato si sostiene che la ricchezza apriva le porte alla hidalguía, dall’altro si afferma che la richiesta del requisito della limpieza de sangre, queste porte, le chiudeva. Se la richiesta, avanzata durante le probanzas, del requisito della limpieza de sangre avesse causato la “fermeture de la noblesse”, il denaro e il ‘vivere nobilmente’ a nulla allora sarebbero serviti ! La prova, invece, che il denaro eliminava ogni ostacolo – compreso quello rappresentato dalla richiesta di ‘sangue puro’ (ma ricordiamo ancora una volta che Filippo II con Cédula del 4 aprile 1557 aveva messo in vendita 150 hidalguías offrendole a “cualesquier personas de cualesquier estado, o linaje que sean aunque tengan cualesquier oficios e máculas” ! 538) –, la forniscono le stesse studiose, non tanto quando illustrano il caso, che potrebbe non essere rappresentativo, di un converso – per giunta di origini molto basse – al quale viene riconosciuta la hidalguía, 539 ma quando rivelano che in quasi tutti i 700 pleitos de hidalguía pervenutici completi venne riconosciuta la nobiltà di coloro che avevano intentato la causa per tale riconoscimento (“presque tous les procès étudiés reconnaissent l’hidalguía des plaideurs” ; 540 in precedenza avevano osservato che se “les nobles ont gagné généralement”, a vincere sono stati quegli “hidalgos qui ont eu les moyens matériels de plaider pendant des longues années” 541). Ma quante di queste 700 persone che avevano potuto sostenere il costosissimo (le spese ammontavano a centinaia e – piú frequentemente – anche a migliaia di ducati) e lunghissimo pleito de hidalguía (la durata media era stata di quattro anni per 55 processi svoltisi fra il 1491 e il  

   













   



   



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473.

  Marie-Claude Gerbet - Janine Fayard : Fermeture de la noblesse et pureté de sang, pp. 459-460, pp. 472 

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  Marie-Claude Gerbet - Janine Fayard : Fermeture de la noblesse et pureté de sang, pp. 443-444.   John H. Elliott (La Spagna imperiale, p. 361) osserva che la “Spagna di Filippo III, come l’Inghilterra di Giacomo I, assistette ad una vera e propia inflazione di titoli nobiliari”. 536   Cfr. Antonio Domínguez Ortiz : La sociedad española en el siglo XVII, tom. I, pp. 182-184. 537   Si veda, per esempio, le proteste elevate negli anni 1592, 1628, 1630 e 1632 dalle Cortes. Cfr. Antonio Domínguez Ortiz : La sociedad española en el siglo XVII, tom. I, p. 182. 538   Cédula de S. magestad pregonada por el Regidor Luis Pacheco de Arroniz el 4 de Abril de 1557 (Archivo General de Simancas, CJH. Leg. 36 n° 200 ; cit. da Jaime Contreras : Estructuras familiares y linajes en el mundo judeo-converso, p. 220). 539   Marie-Claude Gerbet - Janine Fayard : Fermeture de la noblesse et pureté de sang, p. 461. 540   Marie-Claude Gerbet - Janine Fayard : Fermeture de la noblesse et pureté de sang, p. 469. 541   Marie-Claude Gerbet - Janine Fayard : Fermeture de la noblesse et pureté de sang, p. 455 (v. anche p. 454 : “Les hidalgos gagnent pratiquement tous leurs procès”).  

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capitolo vi

1540, di nove anni e mezzo per 30 processi svoltisi fra il 1541 e il 1560, di un poco piú di tredici anni per 143 processi svoltisi fra il 1561 e il 1609 ; 542 ma talvolta il processo durava decenni e coinvolgeva piú generazioni di una famiglia 543), erano realmente in possesso dei requisiti richiesti (limpieza de sangre, limpieza de oficios, antica hidalguía) ? Certamente solo una piccola parte. Eppure grazie a testimoni comprati, grazie alle relazioni sociali, grazie al ‘vivere nobilmente’, grazie, insomma, al denaro, anche coloro che erano privi di tutti i requisiti richiesti riuscivano a ‘provare’ la loro hidalguía (come dimostrano i pleitos de hidalguía studiati da Jean-Marc Pelorson, 544 tanto per accennare ad alcuni fra i numerosi casi già ricordati). La limpieza de sangre non rappresentava certo un ostacolo insormontabile se doveva essere provata davanti alla Real Chancillería di Granada, nella quale la presenza di convertiti di origine ebraica era così forte da essere definita un “reducto de los confesos”, “un nido converso, un polo de atracción para cientos de familias de sangre manchada”. 545 Ma anche la Real Chancillería di Valladolid non era un bastione incrollabile di difesa della autentica hidalguía, come dimostra – per esempio – il pleito de hidalguía, già ricordato, del Dr. Leonardo de Cos, ricco giurista, regidor di Madrid, che pur essendo discendente di una famiglia di ebrei convertiti, dediti al commercio di tessuti, il cui vero nome era Martínez, era riuscito, usurpando il nome di una famiglia asturiana di autentica e antica nobiltà, dopo un lungo processo, a ottenere, nel maggio del 1604, la ejecutoria de hidalguía. 546 Questo caso non sarebbe degno di particolare nota – i casi di conversos divenuti hidalgos sono innumerevoli –, se in questo processo il fiscal della Real Chancillería di Valladolid incaricato di difendere il patrimonio dello Stato contro le pretese del Dr. Leonardo de Cos, smascherando le frodi, le false testimonianze, le mistificazioni e le usurpazioni tanto abituali nei pleitos de hidalguía, non fosse stato il celebre Jerónimo Castillo de Bobadilla. 547 Se un conservatore, severo fustigatore della corruzione e del malcostume della burocrazia statale e municipale (regidores compresi), come Jerónimo Castillo de Bobadilla, hidalgo autentico dall’alta coscienza morale, che, come abbiamo visto, riteneva che fosse un dovere dei Corregidores impedire ai potenti di opprimere gli umili facendo ricadere su di loro le tasse non pagate dai “privilegiados y essentos” 548 e che sosteneva che il privilegio della esenzione tributaria era “contra la publica utilidad”, 549 non si oppose sino in fondo alla concessione della ejecutoria de hidalguía a uno di quei conversos che egli riteneva indegni di ricoprire uffici pubblici per la loro sediziosità, avidità di ricchezze e ambizione, 550 si può ben immaginare come piú duttili e cedevoli fossero abitualmente i ‘normali’ funzionari della Real Chancillería (soprattutto se non erano di sangue limpia) ! La ricerca dedicata da Marie-Claude Gerbet e Janine Fayard ai pleitos de hidalguía documenta, in maniera chiarissima, due sole cose :    























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  Marie-Claude Gerbet - Janine Fayard : Fermeture de la noblesse et pureté de sang, p. 450.   Cfr. – per esempio – due dei processi (uno della durata di 37 anni, l’altro di 46 anni) studiati da Jean-Marc Pelorson : Les Letrados, juristes castillans sous Philippe III, pp. 226-230. 544   Jean-Marc Pelorson : Les Letrados, juristes castillans sous Philippe III, pp. 224-237. 545   Enrique Soria Mesa : Burocracia y conversos. La Real Chancillería de Granada en los siglos XVI y XVII, p. 118 e p. 123. 546   Cfr. Jean-Marc Pelorson : Les Letrados, juristes castillans sous Philippe III, p. 227-230. 547   Cfr. Jean-Marc Pelorson : Les Letrados, juristes castillans sous Philippe III, p. 229. 548   Jerónimo Castillo de Bobadilla : Politica para corregidores y señores de vassallos, en tiempo de paz, y de guerra. Tomo segundo. Amberes : Juan Bautista Verdussen 1704 [1ª ed. 1597], pp. 608-609. 549   Jerónimo Castillo de Bobadilla : Politica para corregidores y señores de vassallos, en tiempo de paz, y de guerra. Tomo segundo. Amberes : Juan Bautista Verdussen 1704 [1ª ed. 1597], p. 584. 550   Jerónimo Castillo de Bobadilla : Politica para corregidores y señores de vassallos, en tiempo de paz, y de guerra. Tomo primero. Amberes : Juan Bautista Verdussen 1704 [1ª ed. 1597] Lib. I, Cap. IV, num. 25-29, pp. 57-58.  

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l’onnipotenza del denaro, che apriva le porte della nobiltà eliminando ogni ostacolo formale e giuridico, e la forza di condizionamento delle idee precostituite. Marie-Claude Gerbet e Janine Fayard dichiarano di essersi convinte nel corso della loro ricerca della fondatezza della tesi sostenuta da numerosi storici sulla fermeture della nobiltà del Regno di Castiglia e sulla sua trasformazione in ‘casta’, avvenute nel corso del XVI secolo. 551 In realtà questa convinzione era già radicata prima ancora della ricerca effettuata sui pleitos de hidalguía. Janine Fayard, in un passo – del quale abbiamo già citato due volte qualche frammento – della sua bella e documentatissima monografia su Les membres du Conseil de Castille à l’époque moderne, fondandosi sui ben noti postulati dogmatici della storiografia ‘castrista’, aveva infatti scritto :  



La limpieza de sangre, avec tout son cortège de préjugés sociaux et raciaux, est l’un des facteurs responsables de la sclérose de l’économie du pays. Elle entraîna mépris du travail et mépris de l’argent. Elle est responsable de l’échec de la bourgeoisie qui meurt à sa naissance, parce qu’elle fut « confondue avec l’élite économique, intellectuelle et morale des Judéo-chrétiens » 552. Elle a façonné la société espagnole en une société de « castes », en excluant de son sein Juifs, Maures et Judéo-chrétiens. Mais elle n’a pas limité les possibilités d’ascension sociale. Elle les a même, dans certains cas, favorisées. La promotion « labradora » en est un témoignage. En étant l’un des facteurs d’honorabilité à la portée de la grande masse de la nation, la limpieza de sangre a souvent facilité l’entrée des roturiers dans la noblesse. 553  















Essendo queste le convinzioni di partenza, non sorprende affatto che Marie-Claude Gerbet e Janine Fayard abbiano tratto dalla loro ricerca conclusioni perfettamente in contrasto con l’enorme massa di dati tanto meritevolmente reperiti ed elaborati. Diversamente dai moltissimi studiosi moderni che la negano, gli economisti e i moralisti dei primi decenni del XVII secolo non solo non avevano dubbi sull’esistenza della mobilità sociale, ma la consideravano il piú vistoso dei fenomeni collegati ai processi, ai quali assistevano, di trasformazione della struttura sociale e la causa principale della decadenza e crisi della società spagnola. Era stata infatti proprio la facilità dell’accesso alla nobiltà ad avere indotto e ad indurre molte famiglie del ceto medio a tentare di mutare di condizione, vivendo di rendite parassitarie (censos, juros), fondando maggioraschi, comprando diplomi di nobiltà, ostentando ricchezza e moltitudine di servi e conducendo una ‘vita nobile’, cioè oziosa. Una parte, la piú ricca, del ceto medio – constatava Martín González de Cellorigo – era riuscita a fare il salto sociale, prima ritirandosi dalle attività produttive e vivendo di rendita e poi integrandosi nella nobiltà ; mentre un’altra parte, per aver voluto fare lo stesso pur senza possedere i mezzi adeguati ai costi dell’operazione, era precipitata nella povertà. 554 Cosí, constatava ancora Martín González de Cellorigo,  



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  Marie-Claude Gerbet - Janine Fayard : Fermeture de la noblesse et pureté de sang, p. 443.   Pierre Chaunu : L’Empire du Soleil éternel. In : L’Espagne au temps de Philippe II. Paris 1965, pp. 62-111 ; qui p. 111. 553   J. Fayard : Les membres du Conseil de Castille à l’époque moderne (1621-1746), p. 214. 554   Nel suo Memorial de algunas cosas notables que tiene la Imperial Ciudad de Toledo (pp. 524-525), Luis Hurtado de Toledo aveva notato che a Toledo vi era scarsità di gente ricca e abbondanza di poveri “porque en teniendo, uno, dos o tres mill ducados le rebientan por las guarniciones de la capa y gualdrapas de la mula, por cuyo credito muchas vezes con lo que les fian se vandean [bandean : si arrangiano a vivere] e a rratos dan graue caida, con poco se muestran señores y triumphadores, son gente muy gastadora, estiman en mas los amigos que los dineros, no es gente que guarda”. Già Fray Antonio de Guevara aveva osservato come l’abbandono della mercatura da parte dei figli di mercanti e la loro trasformazione in “caballeros” potessero avere conseguenze fatali e aveva ammonito : “En el estado que los hombres ganan de comer, en aquel se debían conservar ; porque, de  

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capitolo vi

“ha venido nuestra republica al estremo de ricos y de pobres : sin auer medio, que los compase : y à ser los nuestros, ò ricos que huelguen, ò pobres que demanden : faltando los medianos, que ni por riqueza, ni por pobreza dexen de acudir a la justa ocupacion, que la ley natural nos obliga”. 555 Le conseguenze della facilità dell’accesso alla nobiltà erano state disastrose per l’economia, le finanze pubbliche e la società, la cui stabilità era fondata, secondo l’economista, sull’armonico equilibrio numerico di tre componenti (“los ricos” – i nobili in possesso di grandi patrimoni –, di numero limitato, “los pobres” e “los medianos”, la produttiva componente centrale, sostentatrice delle due altre componenti e dello Stato). Gli effetti piú perniciosi della mobilità sociale erano stati quindi l’indebolimento e la perdita di prestigio del ceto medio (“está tan desamparada, tan aborrecida, tan deuil, y flaca la mediania” 556), eroso anche dall’interno da giudici, avvocati e legulei, esattori d’imposte, usurai, cambisti, appaltatori di rendite regie (“entre los males, que [la mediania] padece, tiene por daño proprio, el que nace de si misma : porque como la parte cancerada come su propria substancia : ansi ay en la mediania infinita multitud de gente, que [...] consume y gasta à los de su proprio genero” 557). Ristrettosi il ceto medio, fondamento dello Stato per la produzione e distribuzione di beni e per il suo apporto tributario, ed allargatisi il ceto superiore e quello inferiore, l’equilibrio sociale (la “armoniosa composicion” del Regno 558) era stato radicalmente sconvolto.  

















A la parte de los ricos se ha acogido la mayor parte de la mediania, por los censos, por las dotes, y por los mayorazgos, que quitando de los ricos, y de los medianos han hecho vn cierto estado, y genero de gente de por si, que sin ser de los ricos, ni de los pobres, ni medianos, han puesto la republica en el desconcierto, que la vemos. Porque en su desigualdad se han passado muchos al numero de los ricos que no estuuieran mal en el de los medianos : y otros que se han puesto en el de los caualleros, que estuuieran mejor, en los tratos, en las ocupaciones, en los officios, y en la mediania, que siguieron sus passados. Muchos de ellos sienten este daño en sus casas, y hallanse en tal estado, que no lo pueden remediar, y ellos y la republica padecen. A la qual, en auerse por ello salido y desencasado de la compostura del puesto, y del estado, que les pertenece, han echo manca, y como impedida andar arastrada. A la parte de los pobres, han salido tambien muchos de la mediania, por auer de ella querido tantos saltar al tercio de los ricos, y por el al de los caualleros, y dar tan en vazio, que se han buelto à la primera clase, derritiendoseles las alas de la hazienda, por no guardar el medio que se le aconsejo a Ycaro. Muchos daños se les siguen de esto à los medianos : porque demas de su diminucion, y ser pocos para tantos, y de ser acosados de los pobres por su pobreza, y de los ricos por su riqueza, son los que sustentan los ricos, y man 



otra manera, de mercaderes ricos vendrán a ser escuderos pobres” (Epístolas familiares I, p. 409). Anche gli storici moderni ravvisano nel desiderio di ostentare ricchezza per passare da nobili una delle cause della rovina di una parte della ‘borghesia’. Elena Postigo Castellanos (Honor y privilegio en la Corona de Castilla. El Consejo de las Ordenes y los Caballeros de Hábito en el s. XVII, p. 179), per esempio, ha scritto : “el alejamiento de la burguesía de las actividades mercantiles no se produjo solamente por su interés en completar el estilo de vida noble, sino que muchas familias en el esfuerzo de integrarse en un grupo social al que no pertenecían, fueron más allá de sus posibilidades, se endeudaron y finalmente desaparecieron. El orgullo y la vanidad crecientes, estimulados por la necesidad de dar muestras externas de rango social, causaron su ruina”. 555   M. González de Cellorigo : Memorial de la politica necessaria, y vtil restauracion à la Republica de España, fo. 54r. 556   M. González de Cellorigo : Memorial de la politica necessaria, y vtil restauracion à la Republica de España, fo. 56v. 557   M. González de Cellorigo : Memorial de la politica necessaria, y vtil restauracion à la Republica de España, (1600), fo. 56v. 558   M. González de Cellorigo : Memorial de la politica necessaria, y vtil restauracion à la Republica de España, fo. 55v.  









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tienen los pobres, los que conseruan los religiosos, los que enriquezen los ecclesiasticos, los que entretienen las fuerças, los que siruen al Principe, y los que pagan los tributos. 559  

Martin González de Cellorigo non solo analizza la mobilità sociale e mette in luce i suoi effetti perniciosi sulla struttura della società, ma ravvisa la genesi del ‘picarismo’ proprio nella eccessiva intensità del fenomeno e nella conseguente trasformazione della mentalità. In una pagina molto pessimista del suo Memorial, l’Avvocato della Real Chancillería di Valladolid scriveva di aspettarsi, dopo la peste che partendo da Santander aveva desolato dal dicembre del 1596 al 1599 le campagne e le città spagnole, 560 una grave crisi demografica ed economica, simile a quella che la peste del 1348 aveva provocato a Firenze e che Matteo Villani aveva descritto nel primo dei dieci libri aggiunti alla Cronica del fratello Giovanni. Si aspettava questa crisi  

[…] por ver à los mas della [España] tan lleuauados [lleuados] de tanta vana gloria, que los haze despreciar la justa ocupacion de sus personas, y no es tenido por honrado, ni principal sino es el que sigue la holgura y el passeo, à que todos aspiran por ser estimados, y mas respectados del vulgo, contra lo que las demas naciones siguen, y professan. De esto se puede temer seran causa las herencias de los rezien heredados, como lo ha sido hasta aqui, y lo es el dinero, que ha venido de Indias, con que los nuestros han salido tan de madre, que no siguiendo la ordenacion natural, han dexado los officios, los tratos, y las demas ocupaciones virtuosas, y dadose tanto à la ociossidad, madre de todos los vicios. Y no solo han hecho à si este daño, sino à otros muchos, que sacan de sus buenas inclinaciones, y los traen consigo siruiendose de ellos, haziendo […] de la multitud de siruientes, gran pompa y aparato de su grandeza. Esta soberuia y vana presumpcion, ha destruydo esta republica : y de rica y poderosa mas que otra ninguna, la ha hecho pobre, y falta de gente, mucho mas que la peste que ha corrido, porque ninguna cosa la ha puesto en mayor necessidad : quanto el auer sabido tan mal vsar de las riquezas, que por las puertas le han entrado. Y es, que con ella sus naturales han dexado de athesorar las que son verdaderas, dependientes de la industria humana, como es el beneficiar las cosas que dan fructo en el Reyno, y las que por medio de los tratos y comercios de otras partes se adquieren, con que se sustentan todas las prouincias, aora sean fertiles, aora esteriles, ricas, ò pobres. 561  





In pagine sulle “muchas fundaciones de vinculos”, Martin González de Cellorigo, dopo aver affermato che per la restaurazione del “florido estado” precedente era urgente e necessario il ritorno della “republica à la mediania”, scriveva :  

A esto no hazen poco estoruo los vinculos y mejoras de tercio y quinto, donde esta prohibida la enagenacion : por cuyo medio se han muchos salido del estado de los medianos, y han passado al de los ricos, no porque ellos lo sean, sino porque con este titulo leuantan los pensamientos, y ponen casas grandes y graues, mas que las fuerças de su hazienda alcançan : los quales quitando à la tierra su tributo, quieren que ella les de por medio de otros el suyo. Y como cada dia se ordenan semejantes disposiciones, ò con facultad real, ò sin ella, han venido à ser tantos los que à este puesto han llegado, que no à quedado en la mediania, sino renteros y censualistas, que oprimidos con la insufrible carga de las rentas, y emphyteosis, à que estan subjectos jamas pueden arriuar : y ansi los vnos con el pesado tributo que pagan : y los otros, por estar atenidos à el lo vienen a passar tan mal : quanto lo muestran los effectos, que de ello se ven. [...] [...] el ser de  









559   M. González de Cellorigo : Memorial de la politica necessaria, y vtil restauracion à la Republica de España, fo. 56r-v. 560   Cfr. B. Bennassar : Recherches sur les grandes épidémies dans le nord de l’Espagne à la fin du XVIe siècle, pp. 36-44. A Valladolid, la città nella quale Martín González de Cellorigo abitava, la peste era stata particolarmente virulenta. Cfr. B. Bennassar : Valladolid en el Siglo de Oro, pp. 189-194. 561   M. González de Cellorigo : Memorial de la politica necessaria, y vtil restauracion à la Republica de España, (1600), fo. 15r.  







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poca cantidad y calidad los vinculos, y mayorazgos perpetuos, y el auer tantos, es [...] prejudical. Porque demas que leuantando à muchos, à lo que no son : y poniendolos en ocasion de grandeza, no la pudiendo sustentar, no solo distray [distrae] a los posseedores de la buena ocupacion, que deurian tener : mas tambien por este camino, se quitan las fuerças al reyno, con las compras y ventas de los bienes rayzes, que en los vinculos se prohibe summamente necessarias al bien comum y buen vso de las permutaciones, y en particular de la agricultura. Lo qual es causa, de que todo ande por renta, ò censo, y no por lauor [...]. [...] para adelante seria bien, quitar el vso de los vinculos y mayorazgos, que prohiben la enagenacion, en quanto à la prohibicion del traspasso : no siendo por facultad del Principe, que para concederla, vistos los daños y poco fructo, que tales mayorazgos traen à la republica, tendra consideracion, à no darla sino es, que la cantidad, la calidad, el ser de las personas, sea tal, que mueua à semejante concession. Porque si es opinion rescibida entre algunos, que de esta materia han escripto, que el mayorazgo es dignidad : que dignidad puede tener, el que no la teniendo ni en linage ni en hazienda, leuanta los humos à lo que por ningun camino no puede sustentar. 562  









Il denaro delle Indie e la quotidiana esperienza della improvvisa fortuna di tanti parvenus e della facilità di cambiare di condizione e di status sociale avevano promosso una universale aspirazione alla nobilitazione e spinto moltitudine di famiglie della medianía ad abbandonare le attività produttive. Si era così svuotato il ceto medio e formato uno ‘stato’ e un genere di gente particolare, né ricca né povera né ‘borghese’. Gli appartenenti a questo nuovo ‘stato’, che fondavano su un mediocre maggiorasco la loro aspirazione alla ‘dignità’ senza possederne i necessari requisiti genealogici e patrimoniali, avevano turbato e compromesso la stabilità sociale, sia abbandonando il loro ceto d’origine, il loro ruolo ascritto e le relative attività produttive, sia pretendendo di entrare a far parte del ceto dei ‘ricchi’ pur non possedendo un adeguato patrimonio. Questa pretesa li costringeva a condurre una vita dispendiosa, che essendo superiore ai loro mezzi, li conduceva inevitabilmente alla rovina. La loro era una condizione precaria di ‘sradicati’ (non appartevano né al ceto medio, dal quale erano usciti, né al ceto dei ricchi e nobili, nel quale non erano riusciti ad introdursi per insufficienza di mezzi), di ‘sradicati’ che avevano perduto la loro identità originaria per usurpare, attraverso l’assunzione dei ‘valori’, l’imitazione dello stile di vita e dei modi esteriori di comportamento della nobiltà, una identità che non poteva essere che artificiale e posticcia. È evidente la somiglianza fra la condizione e le aspirazioni di questa “gente encantada”, 563 di questi ‘sradicati’, che aspirano a far parte della nobiltà e perciò “leuantan los pensamientos” e “los humos”, e la condizione e le aspirazioni di picari come Pablos de Segovia (“yo, que siempre tuve pensamientos de caballero desde chiquito..”. – “Señor, ya soy otro, y otros mis pensamientos ; más alto pico, y más autoridad me importa tener” 564), Justina (“en mi mesma opinion creci : crecieron mis humos, mis desdenes, mis pensamientos...”. 565 – “yo ... siempre tuue humos de cortesana” 566), Guzmán de  











562   M. González de Cellorigo : Memorial de la politica necessaria, y vtil restauracion à la Republica de España, fo. 57v-58v. 563   M. González de Cellorigo : Memorial de la politica necessaria, y vtil restauracion à la Republica de España, fo. 59r. 564   Francisco de Quevedo : La vida del Buscón llamado Don Pablos. Edición crítica de Fernando Lázaro Carreter, p. 18, p. 94. 565   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO DE la Picara Romera. Capitulo. I. De la jornada de Leon. Numero primero, Del afeyte mal[em] pleado », p. 2. 566   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO SEGVNDO INTITVLADO LA PICARA Romera. En que se trata la jornada de Arenillas. CAPITVLO SEGVNDO DE LA Vigornia burlada. NVMERO TERCERO DE LOS Beodos burlados », p. 181.  













mobilità sociale, integrazione, assimilazione e amalgamazione

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Alfarache (“quise hacerme de los godos...”. – “los míos [pensamientos] fueron siempre nobles” 567), Guitón Honofre (“desde el punto en que comencé a tener entendimiento, que fue bien niño, me pareció que había nacido para [ser caballero]”. – “Yo me vendía por Guzmán o Pimentel según mi pensamiento. Siempre los tuve buenos ; de esto no tengo de quejarme, que más me dio Dios que yo merezco” 568), Bachiller Trapaza (“partió Hernando de la Trampa de Segovia, mudando el apellido de su padre y olvidando el de la madre por lo mismo. Y así tomando el de Quiñones, sin licencia de la casa de los condes de Luna, se vistió deste apellido, y con buena mula caminó a Salamanca”. – “hizo hacer dos vestidos muy galanes ... y compró también una vuelta de cadena ; tomó un criado y con nuevos bríos no quiso pasar plaza de Hernando de Quiñones, sino que añadió a esto un don, que no le tenía de costa más que el ponérsele, y dijo ser un caballero de los Quiñones de León”. – “había intentado hacer lo que muchos que se han salido con ello, que era introducirse a caballeros” 569) e Jaime (“Nací con altos pensamientos, que no queriendo abatirme a ejercer aquel mecánico oficio [de alpargatero], me vine a Castilla...” 570). Questi picari, pur disponendo in certi momenti della loro vita di denari piú che sufficienti per intraprendere una attività produttiva o pur avendo la possibilità di studiare e di acquisire cosí un titolo accademico per poter esercitare una professione dignitosa, non sfruttano queste opportunità e preferiscono tentare di entrare a far parte della nobiltà. 571 Martin González de Cellorigo descrive, in realtà, nel suo Memorial la mentalità ‘nobiliare’ largamente diffusa nei ceti medi e la situazione sociale ed economica che costituisce l’humus dal quale sorge il ‘picarismo’ e quindi la ‘picaresca’ : società popolata di transfughi del ceto medio produttivo, trasformatisi in parassiti (“renteros y censualistas”) con fumi di nobiltà, moltitudine di parvenus riusciti a realizzare bene o male l’aspirazione al cambio di status, moltitudine ancor piú grande di parvenus traditi dalla loro aspirazione alla nobilitazione e precipitati nella povertà (“Pícaros hay con ventura / de los que conozco yo, / y pícaros hay que no…”, osservava Quevedo 572). L’Avvocato della Real Chancillería di Valladolid analizza da economista e da sociologo i vistosi fenomeni della mobilità sociale, della generale diffusione della aspirazione a cambiar ‘stato’ e alla nobilitazione, della riduzione progressiva del ceto medio produttivo, della formazione di una sempre piú vasta ‘classe oziosa’, della trasformazione dei valori tradizionali e della affermazione progressiva di una cultura della apparenza e della ostentazione di ricchezze e di preminenze sociali, vere o fasulle. Sono gli stessi fenomeni trattati, tre o quattro anni dopo, satiricamente e grottescamente nel Buscón (Quevedo già nei suoi primi scritti aveva trattato i problemi della trasformazione dei  

















567   Mateo Alemán : Guzmán de Alfarache. Edición de José María Micó. Madrid : Cátedra 1994, I, p. 378 ; II, p. 157. 568   Gregorio González : El Guitón Onofre. Edición a cargo de Fernando Cabo Aseguinolaza (= Biblioteca Riojana, 5). Logroño : Gobierno de la Rioja 1995, p. 73, p. 201. 569   Alonso de Castillo Solórzano : Aventuras del Bachiller Trapaza. Edición de Jacques Joset. Madrid : Cátedra 1986, p. 69, p. 73, p. 93. 570   Alonso de Castillo Solórzano : La Garduña de Sevilla y anzuelo de las bolsas. Edición, prólogo y notas de Federico Ruiz Morcuende (= Clásicos Castellanos, 42). Madrid : Espasa-Calpe 1972, p. 237. Anche il pícaro Juan Tomás è spinto a “más subir” da “pensamientos altos” (El caballero de Illescas. Obras de Lope de Vega publicadas por la Real Academia Española. Nueva Edición. Obras dramáticas. Tomo IV, p. 127, p. 143). 571   Ricordiamo qui almeno il caso di Trapaza : “Bien le había favorecido la suerte a Trapaza si él supiera usar bien después de haber adquirido mal [...]. Hallábase nuestro Trapaza con dineros muchos, no conocido en Madrid ; y así, le pareció con la moneda que tenía, entablarse con mayor esfera. Lo primero que hizo fue salir de embozo a la calle Mayor y comprar en casa de un bordador media docena de hábitos de Cristo y ponerlos en tres vestidos que tenía, uno negro y dos de color” (Aventuras del Bachiller Trapaza, p. 269). 572   Quevedo : Obra poética. Ed. de J. M. Blecua. Tomo II. Madrid : Castalia 1970, p. 155, nro. 648.  

























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valori e della aspirazione universale alla nobilitazione connessi alla eccessiva mobilità sociale e al potere sempre maggiore del denaro) e nella Pícara Justina. Nell’anonimo Discurso breue y sumario de las caussas porque se an disminuido y despoblado muchas villas y lugares en estos Reynos de Castilla y Leon y venido a tanta pobreça los vassallos dellos, y los remedios que se ofrecen para el reparo destos daños, inviato verso il 1621 a Filippo IV e sottoposto alla famosa Junta de Reformacíon, 573 si ritroveranno – formulate in maniera identica 574 – le argomentazioni di Martín González de Cellorigo sulla relazione fra eccessiva mobilità sociale e grave indebolimento del ceto medio. Talvolta la polemica contro la mobilità sociale verrà resa piú esplicita con piccoli cambiamenti. Si confrontino – per esempio – questi due passi nei quali viene spiegato che la facoltà di istituire maggioraschi, concessa a persone ‘plebee’, è dannosa perché  



demas que leuantando à muchos, à lo que no son : y poniendolos en ocasion de grandeza, no la pudiendo sustentar, no solo distray a los posseedores de la buena ocupacion, que deurian tener : mas tambien por este camino, se quitan las fuerças al reyno, con las compras y ventas de los bienes rayzes, que en los vinculos se prohibe summamente necessarias al bien comum y buen vso de las permutaciones, y en particular de la agricultura. Lo qual es causa, de que todo ande por renta, ò censo, y no por lauor, y que los edifficios, contra el hornato y buena policia à la republica tan necessarios, perezcan : […] y de otros infinitos daños, de mas de los pleytos que sobre las successiones de ellos, y de los aniuersarios, que cada dia ay, que son la mayor causa, y ocasion de todos los daños de vn Reyno. 575 demás de levantar a muchos hombres bajos, que an tenido ventura en las ganançias, a lo que no son y ponerlos en ocasion de grandeça, no la pudieron sustentar, no sólo distraen a los posehedores de la buena ocupaçion que sus padres y ellos debrian tener segun su calidad ; mas tambien por este camino se quitan las fuerças al Reino con la prohibiçion de las compras y ventas de los bienes raiçes que en los uínculos se prohibe, siendo sumamente neçesarias al bien comun y buen vsso de las permutaçiones y en particular de la agricultura y criança de los ganados : lo qual es caussa de que todo ande por renta o çensso y no por labor y de que los edifiçios contra el ornato y puliçia de la Republica perezcan : […] y de otros infinitos daños, demás de los pleitos que sobre las suçesiones dellos y de los patronazgos y aniversarios ay y cada dia se leuantan, que son vna muy gran causa y ocasion de los daños y pobreça del reino […]. 576  















Il desiderio sfrenato di promozione e ascesa sociale, la “competençia y emulaçion perniçiosissima de los vnos para con los otros”, il volersi “igualar en todo a todos”, hanno pervertito “el horden natural” della società, fondato su un rigoroso principio gerarchico (“vnos naçieron para seruir y obedeçer y otros para mandar y gouernar”). 577 Il feno 

573   Discurso breue y sumario de las caussas porque se an disminuido y despoblado muchas villas y lugares en estos Reynos de Castilla y Leon, pp. 245-249. 574   Tanto identica (si confrontino – per esempio – le pagine 245-249 del Discurso con i fogli 56r-58v del Memorial) da far pensare che il Memorial e il Discurso siano stati scritti dalla stessa persona, o che l’autore dell’anonimo Discurso abbia plagiato parte dell’opera di Cellorigo. Naturalmente l’autore ha ‘aggiornato’ lo scritto. Cosí, per esempio, elencando le cause della diminuzione della popolazione, scrive : “No se puede dejar de sentir mucho la gran diminuçion de gente que ay en las poblaçiones destas dos Coronas de Castilla y Leon, causada por la que de ellas a salido y sale cada dia para las Indias, Flandes, presidios de Italia y Africa, y otros desta Monarchia, y por la que a muerto con las pestes, y últimamente con la expulsion de los Moriscos, de que se a seguido la gran neçesidad y aprieto presente” (p. 231). 575   M. González de Cellorigo : Memorial de la politica necessaria, y vtil restauracion à la Republica de España, fo. 58r. 576   Discurso breue y sumario de las caussas porque se an disminuido y despoblado muchas villas y lugares en estos Reynos de Castilla y Leon, pp. 247-248. 577   Discurso breue y sumario de las caussas porque se an disminuido y despoblado muchas villas y lugares en estos Reynos de Castilla y Leon, p. 236.  



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meno della mobilità sociale che l’autore del Discurso lamenta con piú amarezza e stigmatizza con piú asprezza, è l’ascesa di uomini bassi e di vile lignaggio arricchitisi con traffici e commerci, o in qualche altro modo. Grazie al denaro, “el más bajo se ensalça”. Il denaro (in particolare, “los çensos”) ha causato “la destruçion de las familias nobles de nuestra Republica y la exaltaçion de muchas de hombres bajos y de ruin linaje”. 578  

All’intima correlazione esistente fra il fenomeno del ‘picarismo’ e la profonda trasformazione della società e della mentalità spagnola del XVI e dei primi decenni del XVII secolo, provocata dalla eccessiva mobilità sociale, dedicherà anche Pedro Fernández Navarrete molte pagine della sua Conservación de Monarquías (1626). L’economista identifica nella mobilità geografica (in particolare nell’inurbamento, ma soprattutto nel trasferimento massiccio di persone dalle campagne e dai centri urbani minori alla Corte) e nella mobilità sociale i fattori principali della disgregazione della società, da lui concepita come comunità del corpo mistico di Cristo, e di tutta una serie di fenomeni patologici connessi con questa disgregazione : la generale aspirazione alla nobilitazione e al ‘vivere nobilmente’, causa di rovina economica delle famiglie e della Monarchia e di infinite usurpazioni di nobiltà, la diffusione di una mentalità nobiliare parassitaria – favorita dalla possibilità di istituire maggioraschi, anche modesti, e dalla possibilità di vivere, mediante juros e censos, di rendita – e la correlata formazione di una classe ‘oziosa’, incline – ma anche costretta dai meccanismi inesorabili della emulazione di una società (soprattutto quella della città in cui risiede la Corte) nella quale il prestigio sociale dipende ormai, in gran parte, dal consumo di beni (specialmente di quelli superflui) – alla ostentazione dello sfarzo, del lusso e della pompa. La migrazione verso la città residenza della Corte provoca lo spopolamento delle campagne, l’abbandono dell’agricoltura e dell’artigianato e genera un infinito numero di vagabondi, prostitute e nobili oziosi. Sia per le persone benestanti in grado di vivere senza lavorare della rendita improduttiva fornita dai juros, sia per i ‘signori di vassalli’, questa migrazione, determinata dalla aspirazione a salire nella piramide sociale, è spesso causa di rovina economica, perché la costrizione a ‘rappresentare’ in maniera adeguata il loro ruolo sulla scena della Corte distrugge rapidamente le risorse disponibili. Nel caso poi dei ‘signori di vassalli’ la loro rovina economica determina anche quella di molti loro vassalli, servitori, amici e creditori :  



Despuéblase […] Castilla, por el poco cuidado y vigilancia que se tiene en castigar vagamundos y holgazanes, de que es infinito el número en estos reinos, siendo esta la causa de haber tantos pobres. […] Porque lo cierto es, que los que trabajan no conocen la pobreza. […] Y […] los extranjeros […] que pasan por los campos fértiles de España […] los ven cubiertos de hortigas y espinas, por no haber quien los cultive ; habiéndose los más de los españoles reducido a holgazanes, unos a título de nobles, otros con capa de mendigos. Y es cosa digna de reparar el ver que todas las calles de Madrid están llenas de holgazanes y vagamundos, jugando todo el día a los naipes, aguardando la hora de ir a comer a los conventos, y las de salir a robar las casas : y lo que peor es, el ver que no sólo siguen esta holgazana vida los hombres, sino que están llenas las plazas de pícaras holgazanas, que con sus vicios inficionan la Corte, y con su contagio llenan los hospitales : y las que justamente se quitaron de las casas públicas, están expuestas en las calles y plazas, y muy ordinariamente en las gradas de las iglesias ; cosa tan indecente, como digna de remedio. 579  









578   Discurso breue y sumario de las caussas porque se an disminuido y despoblado muchas villas y lugares en estos Reynos de Castilla y Leon, p. 233. 579   Pedro Fernández Navarrete : Conservación de Monarquías y Discursos Políticos (1626), pp. 85-86.  

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[...] una de las causas porque se despueblan las ciudades, villas y lugares del reino, es por la mucha gente que se viene a la gustosa vivienda de la Corte, donde gozando de los juros, sin el trabajo de cultivar las tierras, aspira juntamente a los acrecentamientos que suele dar la fortuna en las cortes, que son los teatros donde ella representa sus comedias y tragedias [...]. El más templado y modesto caballero, en viniendo a la corte, es forzoso se consuma en cuatro días : porque la obligación de aventajarse en lucimiento a los que no son más que él en calidad, le obliga a destruirse y empeñarse : y si él solo se destruyese, sería menor el inconveniente : pero como los árboles grandes, cuando caen llevan tras sí todos los que participan de su sombra, así los señores con sus quiebras destruyen infinidad de vasallos, criados y amigos : y quizá si el hacer pleito de acreedores se juzgara por infamia de derecho, como lo es de hecho, no anduvieran por las calles de las cortes tantas viudas y tantas doncellas pidiendo limosna, por haber sus padres fiado las libreas de algunos caballeros, que si residieran en sus estados, excusaran estos gastos, no destruyeran a sus vasallos, tuvieran caudal para socorrer en las necesidades a sus reyes ; ampararan como padres a sus súbditos, guardándoles justicia, sin dejarlos expuestos a las extorsiones de jueces mercenarios. Y finalmente viendo con sus ojos las necesidades, se dolerían de ellas, y las remediarían, fomentando la labranza y crianza ; ayudando a las artes y oficios mecánicos : con que creciendo en los vasallos el caudal, crecería en los señores el retorno de los servicios y alcabalas, redundando todo en universal beneficio del reino. [...] saliendo ellos [los señores de vasallos] de la corte, saldrían infinidad de personas, y si no digo vagamundas, diré, por lo menos, mal ocupadas, limpiándose de muchos holgazanes, que abrigados a su sombra, cometen muchas insolencias. También saldría cantidad de oficiales, que volverían a poblar sus lugares ; y conseguiríanse otros muchos beneficios, fáciles de comprender ; siendo cierto, que si la confusión es madre de las culpas [...] es forzoso que en la intrincada selva de tan poblada corte haya enormes delincuentes. 580  



















La facilità di accedere alla nobiltà, o di usurparla, dovuta alla libertà di appropriarsi di segni di distinzione sociale come il Don e alla facoltà di istituire modesti maggioraschi, ha favorito il diffondersi di una generale aspirazione alla nobilitazione, che distrugge il fondamento economico e demografico dello Stato e disgrega il “corpo mistico del Regno”. Inoltre la generale aspirazione alla nobilitazione ha contribuito alla formazione di un ampio gruppo di persone che, per simulare una nobiltà fondata su fragili basi o completamente usurpata, sono diventate incapaci di esercitare mestieri utili o di svolgere attività produttive. Questa costrizione a vivere nobilmente – o a fingere di vivere nobilmente – spinge molti di questi ‘pseudonobili’ a vivere di imbrogli, di truffe e di espedienti, a non pagare i debiti (ma anche i nobili veri spesso erano poco solleciti nell’onorare gli impegni presi ! 581) ed anche a compiere neri delitti :    



Es […] ocasión de que en Castilla haya muchos holgazanes, y aun muchos facinerosos, la licencia abierta y el abuso que hay de que cada cual se llame don : pues apena se halla hijo de oficial mecánico, que por esto tan poco sustancial medio no aspire a usurpar la estimación debida a la verdadera nobleza ; de que resulta, que obligados e impedidos con las falsas apariencias de caballería, quedan sin aptitud para acomodarse a oficios y a ocupaciones incompatibles con la vana autoridad de un don. Y así este género de gente que se halla sin hacienda para sustentarse, y con estorbos e impedimentos para granjearla y adquirirla, es el que emprende enormes y feos delitos, de que en esta Corte se tiene suficiente experiencia. […] Porque los que no se ocupan en  



580

215.

  Pedro Fernández Navarrete : Conservación de Monarquías y Discursos Políticos (1626), p. 211, pp. 214 

581   Sappiamo, tanto per fare un esempio tratto da un ambito letterario, la storia del teatro, che uno dei motivi delle difficoltà economiche e, talvolta, dei fallimenti degli “arrendadores” di teatri era “la morosidad de los nobles a la hora de pagar sus aposentos” (Ignacio Arellano : Historia del teatro español del siglo XVII. Madrid : Cátedra 1995, p. 67).  



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hacer algo, se acostumbran a hacer mal ; y lo peor es, que como antiguamente se tenía por infamia la fullería, el hacer aranas, el no pagar las deudas, el estafar, el hacer pleitos de acreedores, ha venido ya todo esto a hacerse acto positivo de nobleza, diciendo que la puntualidad de pagar, el tratar la verdad, el no hacer aranas, estafas y otras cosas, es de escuderos : con lo cual andan las costumbres estragadísimas, habiéndose hecho gallardía de lo que solía causar infamia. Y porque los pocos entendidos en materias de Estado dicen que el llamarse los hombres don, les levanta los espíritus para las acciones nobles, y que con esto se ennoblecen las familias, digo que es al contrario ; porque hallándose sin caudal para sustentar la vana opinión de nobles, y no pudiendo adquirirla con oficios y artes mecánicos, la procuran con malos medios. Y oso afirmar, que si en la fidelidad española pudiera recelarse alguna mancha de poca lealtad a sus reyes, había de ser causada por estos pseudonobles : en que se debe advertir, que no es conforme a buena razón de Estado el permitir que todos los vasallos aspiren a la nobleza : porque con esto se eximen de los servicios reales, impuestos sobre los que no son ; y de las cargas de la república, que vienen a quedar en pocos y de pocas fuerzas. Y añado, que de esta gente es mucha la que se queda sin tomar estado de matrimonio : porque encastillados en la usurpada y vana presunción de nobleza, y figurándose con muchas obligaciones, y con imposibilidad de sustentarlas, no se atreven a casarse, quedándose en un celibato poco casto, en que inquietan la república, sin ser en ella más que número para consumir bastimentos, y para escandalizar con sus depravadas costumbres. No podrá conservarse bien una república, que toda sea de nobles : porque para que con recíprocos socorros se ayuden unos a otros, es forzoso tenga cabeza que gobierne, sacerdotes que oren, consejeros que aconsejen, jueces que juzguen, nobles que autoricen, soldados que defiendan, labradores que cultiven, mercaderes que contraten y artífices que cuiden de lo mecánico ; y en faltando cualquiera de estos miembros, o creciendo con demasía, viene a estar defectuoso el cuerpo de la república. Y como en la música no haría buena consonancia, si todas las cuerdas del instrumento fuesen uniformes, aunque sean las más sutiles y primas, sino que conviene que unas lo sean y otras no, para que de la variedad se componga la armonía : así en el cuerpo de la república conviene que no todo sea plebe, ni toda nobleza, que sin ésta padecerá de atrevimientos populares, y sin aquella tendrá imposibilidad a sustentarse. […] que aunque los nobles son los ojos del cuerpo místico del reino, vendría a ser monstruoso si con muchos ojos estuviese falto de pies y manos […]. Y así parece conveniente, que lo que [el Don] estaba reservado para príncipes, y se daba a [...] valerosos capitanes en remuneración de [...] heroicas hazañas, no esté en libertad de cualquier persona ordinaria el tomárselo : causando confusión en la república con esta vana y tan poco sustancial señal de nobleza. [...] parece que asimismo debieran ser castigados los que usurpan esta aparente señal de nobleza, sin ser evidentemente nobles [...]. 582 Ha dado también motivo a la holgazanería, la introducción de mayorazgos y vínculos cortos ; porque no sirven más que de acaballerar la gente plebeya, vulgar y mecánica : porque apenas llega un mercader, un oficial o labrador y otros semejantes a tener con que fundar un vínculo de quinientos ducados de renta en juros, cuando luego los vincula para el hijo mayor, con lo cual, no sólo éste, sino todos los demás hermanos se avergüenzan de ocuparse en los ministerios humildes con que se ganó aquella hacienda, y así llevándose el mayor la mayor parte de ella, quedan los otros con presunción de caballeros, por ser hermanos de un mayorazgo, y sin querer atender a más que ser holgazanes, viniéndose a la Corte, donde acaban de desechar la poca inclinación que tenían a los oficios mecánicos. 583  





























Strettamente connessa con la diffusa mentalità nobiliare è la emulazione del lusso, che, oltre a rendere indistinta la gerarchica stratificazione della società e a provocare la rovina economica delle famiglie, è anche causa di varie azioni criminose e di delitti – compiuti non solo da persone dei ceti medi o inferiori, ma persino, ed ancor piú frequentemente, da nobili –, di corruzione morale e, in particolare, di corruzione di giudici e di funzionari dello Stato e di corruzione delle donne :  

582

  Pedro Fernández Navarrete : Conservación de Monarquías y Discursos Políticos (1626), pp. 91-94.   Pedro Fernández Navarrete : Conservación de Monarquías y Discursos Políticos (1626), p. 95.

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capitolo vi

[...] es tan fuerte en España la emulación, que confundiéndose las clases y jerarquías, no hay hidalgo particular que porque su mujer no salga en peor coche que sus vecinas, no se anime con vana envidia al gasto a que no es suficiente su patrimonio, arriscando tal vez la reputación. 584 Y tengo por cierto, que de no usarse el rigor competente en la ejecución de ellas [las leyes suntuarias], se origina la ruina de las haciendas ; y del perderlas y consumirlas, se pasa a procurar adquirir por malos medios las que han menester para cumplir con los gastos en que la vanidad y la competencia les han puesto. Y de aquí ha nacido no sólo en los hombres ordinarios, sino mucho más en los que pasan de caballeros, las estafas y las fullerías, y en los de inferior esfera los hurtos y robos, con otras mil catervas de delitos : pasando esta culpa a lo que debía estar sin una mínima mancha, que son los jueces y ministros, en quien se ve muchas veces que la emulación de que sus mujeres, siendo pobres, no tienen iguales galas, joyas y estrados que las ricas, dan algunos ensanches a sus obligaciones. 585 Y si las mujeres ricas se quejaren de que con las pragmáticas [suntuarias] las igualan a las pobres ; y que quitándoles las joyas y galas costosas, no les queda en qué diferenciarse de las que no tienen hacienda, se les puede responder […], que el dar oídos a quejas tan poco sustanciales es poner en continua contienda la república ; pues al paso que las ricas quieren ir adelantándose para diferenciarse de las pobres, han de ir éstas (por encubrir el desprecio y desestimación de la pobreza) procurando (aunque sea con ruina del corto caudal, o con riesgo de su honestidad) igualarse a las más poderosas ; y tomando empacho de lo que no le debieran tener, dejaran de tener vergüenza de lo que debiera avergonzarlas : de que resultará, que las que tuvieren maridos ricos, les pedirán joyas y vestidos costosos y exquisitos, con que los empobrecerán : y las que los  

















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  Pedro Fernández Navarrete : Conservación de Monarquías y Discursos Políticos (1626), p. 307.   Pedro Fernández Navarrete : Conservación de Monarquías y Discursos Políticos (1626), p. 259. Il cupo quadro della criminalità dilagante tracciato da Pedro Fernández Navarrete è confermato dalle ricerche storiche. Fondandosi sull’analisi di migliaia di cause criminali registrate nell’Inventario generale della Sala de Alcaldes de Casa y Corte, Ángel Alloza ha scritto quanto segue sulla diffusione della criminalità nella Madrid degli anni 15811595 : “A fines del siglo XVI, además de la violencia criminal, los delitos contra la propiedad fueron los que más proliferaron en la incipiente capital del estado de los Austrias. No se trataba simplemente de robos y hurtos, sino también de todo un elenco de prácticas fraudulentas como el estelionato, la mohatra, el logro y usura, las estafas y falsedades, el alzamiento de bienes y todo tipo de fraudes en los productos de consumo de primera necesidad – los alimentos o el carbón, por no mencionar el vino. Para conseguir dinero o bienes se hacía cualquier cosa, desde vender a un hombre libre como esclavo, hasta hinchar piezas de carne con agua para luego venderlas. La atracción que la Corte proporcionaba, junto a la incertidumbre generada por su permanencia en Madrid, dieron ocasión a innumerables prácticas especulativas en el sector inmobiliario de la ciudad, entre las cuales el estelionato, o venta de propiedades con ocultación de las cargas y obligaciones que tuvieran, fue de las más perseguidas. Naturalmente, este último delito estuvo protagonizado por los miembros de las clases medias y altas de la ciudad [...]. A la vez, acusados de practicar la usura, el logro o las mohatras fueron detenidos muchos hombres que se hacían llamar mercaderes. [...] A estas prácticas especulativas y sin escrúpulos se unía el clásico fraude de las contraescrituras, más complejo pero muy rentable, que no consistía sino en pedir dinero prestado poniendo como garantía unos bienes que, mediante una contraescritura, pasaban a manos de una persona de confianza del deudor ; cuando el acreedor no recibía su dinero en el plazo estipulado en el contrato, e iba a proceder al embargo de los bienes mediante una querella criminal, descubría con amargura e impotencia que éstos ya no existían, que se habían evaporado, pues ya no pertenecían al deudor. Realizar este fraude requería organización y por supuesto la colaboración de escribanos o notarios. Vender vino y vinagre aguados, caballos con engaño, peces sin postura, empeñar oro falso, introducir naipes franceses, ejercer de médico sangrador sin el correspondiente título oficial, introducir todo tipo de géneros sin pasar por el registro o vender carbón con arena y de mala calidad, constituyen buenos ejemplos del ambiente delictivo que se respiraba ya a fines del Quinientos en Madrid : de los más de 4.000 reos encausados criminalmente por los alcaldes de Corte entre 1580 y 1595, 1.096 fueron fichados por delitos patrimoniales de esa guisa y peores : 807 bajo acusaciones de haber cometido robo o hurto, 40 por receptación de bienes robados, 29 por alzamiento de bienes, 60 por estelionato, 9 por fabricar y expender moneda falsa, 16 por usura y 135 por diferentes fraudes, estafas y falsedades. En conjunto, constituían el 34 por ciento de los reos encausados por la justicia cortesana, con la particularidad de que todos ellos habían cometido sus delitos dentro de la ciudad.” Cfr. Ángel Alloza : La vara quebrada de la justicia. Un estudio histórico sobre la delincuencia madrileña entre los siglos XVI y XVIII., pp. 145-146 (si veda anche, a pag. 145, il quadro statistico « Reos implicados en delitos contra la propiedad, 1581-1595 »).  

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mobilità sociale, integrazione, assimilazione e amalgamazione

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tuvieren pobres, y no les pudieren dar las galas que ellas desean, las buscarán por otros caminos, y será forzoso que cuando las vean los maridos con el vestido costoso, y la joya rica, no se atrevan a preguntarles de dónde han venido, ni quién se las ha dado. 586  

Queste “razones” – soggiunge Pedro Fernández Navarrete, continuando la sua polemica contro il lusso e il suo plaidoyer a favore di leggi suntuarie – potrebbero apparire “algo picantes y maliciosas”, se non fossero conformi “a lo que cada día se ve en infinitas casas, cuyas rentas no son suficientes a una de muchas galas que entre año se sacan”. Piú avanti l’economista scrive che la maggior parte delle “tenderas” (creatrici di moda, proprietarie di sartorie e di negozi di vestiti e accessori di abbigliamento di lusso) “no escrupulean solicitar con tercerías, a las que por competir en galas y nuevos usos con sus vecinas, titubean en la honestidad”. 587 Nello stabilire, nella sua Conservación de Monarquías, una stretta correlazione fra intensa mobilità geografica e il fenomeno del vagabondaggio, fra l’eccessiva mobilità sociale e la generale aspirazione alla nobilitazione, fra il diffuso desiderio di ‘vivere nobilmente’ e la formazione di un vasto gruppo di gente oziosa, di pseudonobili, di sradicati, egualmente estranei al ceto medio produttivo e alla vera nobiltà, fra dissoluzione della società costituita come comunità del corpo mistico e affermazione della ‘società dei consumi’ – nella quale la rappresentazione dei ruoli sociali è fondata sulla ostentazione dello sfarzo e della ricchezza, sulla apparenza, sulla emulazione del lusso –, fra diffusione della mentalità parassitaria e predisposizione a delinquere e fra onnipotenza del denaro e sempre piú estesa corruzione dei costumi, 588 Pedro Fernández Navarrete individua – non meno lucidamente di quanto aveva fatto Martín González de Cellorigo – le radici piú profonde di quel fenomeno del ‘picarismo’ che già all’inizio del secolo era tanto esteso da caratterizzare la società dei primi anni di regno di Filippo III.  



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  Pedro Fernández Navarrete : Conservación de Monarquías y Discursos Políticos (1626), p. 268   Pedro Fernández Navarrete : Conservación de Monarquías y Discursos Políticos (1626), p. 268-269, p.

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273.

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  Pedro Fernández Navarrete : Conservación de Monarquías y Discursos Políticos (1626), p. 234 (abbiamo già ricordato questa pagina).  

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Capitolo VII UNA SOCIETÀ APICARADA Sommario : Il potere del denaro. – La Corte a Valladolid (1601-1606). – La ‘conversazione’ delle dame castigliane. – Comportamenti trasgressivi della nobiltà : risse, duelli, episodi ‘picareschi’.  



Il potere del denaro

I

l potere del denaro, già pur sempre forte, diventa con la salita al trono di Filippo III e la privanza del Marchese di Denia, poi Duca di Lerma, fortissimo (“durante el reinado de Felipe III” – ha scritto Antonio Domínguez Ortiz – “nada había que no se consiguiese con dinero” 1). La Pícara Justina viene scritta proprio negli anni in cui la corruzione raggiunge dimensioni impressionanti e il potere del denaro non conosce più limiti. Quasi tutto dipendeva dal favorito e questi usava il suo potere per arricchirsi e per sistemare nei posti importanti dell’amministrazione dello Stato e della Chiesa sue creature, anche se non avevano le qualità necessarie per ricoprirli (uno dei casi più clamorosi di politica clientelare fu la nomina di Juan Bautista Acevedo – un cappellano di modestissime doti intellettuali a servizio del Marchese di Denia negli anni precedenti alla sua ascesa – prima a Vescovo di Valladolid, poi a Inquisitore Generale e, infine, a Presidente del Consejo Real de Castilla 2). Nella più volte ricordata “relación secreta”, inviata il 1° gennaio del 1606 da Hans Khevenhüller a Rodolfo II, l’ambasciatore cesareo alla Corte di Valladolid, dopo aver  



1

  Antonio Domínguez Ortiz : Los Judeoconversos en España y América, p. 62.   Thomé Pinheiro da Veiga ironizza nella sua Fastigimia (p. 101) sulla carriera di Juan Bautista de Acevedo : “A’ quinta feira, se fês procição solemne da Egreja mayor […] : disse o Bispo a missa […] : não houve couza notavel, senão ver a caza [cara ! v. anche la traduzione della Fastigimia di Narciso Alonso Cortés] do Bispo, que foy um pobre clerigo, capellão do Duque, sendo Marqués de Denia e, entrando na privança, o fês Bispo de Valhadolid e Inquisidor mór de Hespanha, que he cargo para hum irmão del Rey, e elle não tem cara nem para sachristão : e assim me contaram que, hindo elle em huma procissão deytando as bençoens, dissera huma embuçada : « el obispo se vá presignando, y diziendo : yo obispo ? Valgame Dios ; quien tal pensara ! ».” Ancor più severo è il giudizio di Fray Jerónimo de Sepúlveda, che ricorda lo stesso aneddoto : “En este tiempo salió por inquisidor mayor el obispo de Valladolid, cosa que acabó de encantar a todo el mundo y que no saben qué decirse las gentes. […] Las mujeres de Valladolid suelen decir unas a otras cuando sale el obispo y le ven ir echando tantas bendiciones : ¿Que pensáis que hace en aquello el obispo ? ¿Pensáis que nos echa bendiciones ? No por cierto, sino va diciendo como espantado y santiguándose : « Jesus ! ; ¿es posible que yo sea obispo ? » Y de aquí han compuesto otros dichos agudísimos, y bien lo pueden decir y con razón, que harta ventura ha tenido y más de la que yo puedo significar aquí y de esta todo el mundo es testigo, y para aquí basta. El ha tenido harta ventura, como la han tenido otros muchos, que tampoco se rezaba de ellos, como del obispo. Ello es mundo y no hay que espantarnos de cosa que viéremos” (Sucesos del Reinado de Felipe III, XII, 1603, pp. 20-21). Luis Cabrera de Córdoba (Relaciones, p. 168) aveva commentato cosí la nomina a Inquisitore Generale : “A los 10 de este [Febrero 1603], se publicó el breve de Su Santidad de Inquisidor General para el doctor Azevedo, obispo de Valladolid, lo cual admiró á muchos por haberse proveido este cargo siempre en personas muy calificadas y de grande esperiencia en cosas de la Inquisicion y en otros cargos ; pero como sea hechura del duque de Lerma, todo se facilitará.” Gil González D’Avila (Teatro de las grandezas de la Villa de Madrid, pp. 383-389) traccia invece un ritratto tanto lusinghiero quanto poco obiettivo di Juan Bautista de Acevedo. Sulla incredibile carriera di Juan Bautista de Acevedo, che, unicamente grazie al clientelismo, “se convirtió en uno de los hombres más poderosos de toda la monarquía”, cfr. A. Feros : El Duque de Lerma, pp. 242-243 e pp. 394-395. Per la, tacita, correzione di caza con cara cfr. Thomé Pinheiro da Veiga : Fastiginia. Vida cotidiana en la Corte de Valladolid. Traducción y notas de Narciso Alonso Cortés (1916). Valladolid : Ámbito 1989 p. 110. Narciso Alonso Cortés ha utilizzato per la sua traduzione il testo della edizione della Fastigimia (1911) curata da José Pereira Sampaio. Una edizione critica della Fastigimia, eseguita collazionando tutti i manoscritti pervenutici, è, data l’importanza del testo, un urgente desideratum della ricerca.  

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capitolo vii

illustrato all’Imperatore la disastrosa situazione finanziaria in cui – per la folle prodigalità con la quale Filippo III 3 colmava di onori, ricchezze e benefici il Duca di Lerma, i suoi parenti e i suoi clienti – si trovava la Monarchia, governata, dopo la destituzione degli esperti ministri di Filippo II, da persone non solo incapaci ma anche corrottissime, scriveva :  



En suma clementíssimo señor, las mercedes que el rey haze cada día a los de Lerma, a sus adherentes y paniaguados aunque son grandes, copiosas y aun exorbitantes, dañosíssimas a su real hazienda y a todo el reyno no son bastantes a llenar su ambición y desordenada cudicia, y si las continua algunos años como hasta aquí, breuemente no le quedará tuétano en los huesos. Y todo esto se pudiera sufrir con que las materias de pretensiones y justicia no fuessen vendibles y puestas en precio a peso de dinero del que las quiere comprar. Y a llegado ya este desorden a tan grande estremo que los ministros, desde el supremo hasta el más ínfimo como son los porteros, venden y aprecian las audiencias a los pobres negociantes y el despacho y expedición de sus pretensiones y aun de los mismos negocios de justicia, dando a los que no tienen con que pagarlas con las puertas en los ojos. Las audiencias se alcançan con dificultad, y alcançadas paran en palabras de cortesía y generalidad. Muchos están años enteros sin poder alcançar audiencia ni despacho de algunos ministros (aunque para ello se valen de la bolsa) de donde se sigue que los que se hallán con ella bien proueida de dinero procuran y assiguran su justicia, no atendiendo los ministros tanto al seruicio de su rey y bien público como a su vtilidad y interés, y por esta vía se quitaua a los bien intencionados los medios para executar su buena intención. Que aunque su magestad es príncipe temeroso de Dios y bien intencionado no por esto se puede esperar remedio teniendo a su lado personas que no atienden a otra cosa, sino pedir para los suyos, y su magestad estando tan subordinado a la voluntad dellos y a darles gusto, que no sabe negarles cosa alguna, y ellos para más asegurarse desto aduierten a su magestad de los negocios más importantes a otros no tales buscando ocasiones para juegos inmoderados, intempestiuas, y costosas jornadas y continuas y exorbitantes fiestas, procurando ausentarle de la reyna, de la emperatriz y de otros deudos suyos. 4  

Tutto era posto in vendita – onori, cariche e giustizia –, tutto aveva un prezzo, in una Corte, parassitaria e follemente dissipatrice, i cui ministri e dignitari, invece di preoccuparsi del bene pubblico, pensavano unicamente al proprio ‘particolare’, al proprio interesse privato. Anche Simeone Contarini fa della situazione spagnola un’analisi simile a quella dell’ambasciatore cesareo, Reichsgraf von Frankenburg, nella relazione scritta alla fine della sua missione diplomatica a Valladolid, dove aveva risieduto dal 24 dicembre del 1601 al 26 aprile del 1604, e letta, al suo ritorno in patria, davanti al Doge. Quasi con sorpresa l’ambasciatore veneziano constata che tutto veniva venduto nei Regni di Casti3   Il Consejo Real stesso suggerì a Filippo III di revocare “las mercedes … inmensas, e inmoderadas” da lui concesse. Cfr. El Consejo Real a Felipe III, Madrid 1.° de febrero de 1619. Consulta hecha por el Consejo Real a Su Magestad sobre el remedio universal de los daños del Reino y reparo dellos, p. 19. Nella sua Arte Real (1623), dedicata a Filippo IV, Geronymo de Zevallos ammoniva i Principi a non fare “mercedes contra su patrimonio real, porque lo que se dà a vnos, y se quita a otros, no es magnificencia, sino prodigalidad, y no consigue el Principe tanto amor de las personas a quien lo dà, quanto odio de aquellos a quien lo quita ; entonces se ha de alabar la liberalidad de vn Principe, quando dà conforme a lo que puede, y al merito del que recibe, en que consiste el fundamento de la justicia” (Geronymo de Zevallos : Arte Real para el bven govierno de los Reyes, y Principes, y de sus vassallos, fo. 78v). Anche Juan Pablo Mártir Rizo condannava, con chiaro riferimento al defunto Filippo III, la prodigalità nel suo Norte de Príncipes (1626) : “siempre la prodigalidad fue muy dañosa a los príncipes, porque derramando las riquezas y tesoros, vienen a quedar pobres, y el príncipe que se halla con necesidad es fuerza que oprima a los pueblos con tributos”. Cfr. Juan Pablo Mártir Rizo : Norte de Príncipes y Vida de Romulo. Estudio preliminar de José Antonio Maravall. Madrid : Centro de Estudios Constitucionales 1988, p. 59. 4   Diario de Hans Khevenhüller, embajador imperial en la Corte de Felipe II, pp. 614-615.  









una società apicarada

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glia : gli uffici di regidor, 5 come i voti dei procuratori delle città nelle Cortes. A proposito di questo mercimonio scrive :  





Presuponga V. S. [Vuestra Serenísima] que de este Reyno de Castilla son diez y ocho ciudades las cabezas, dellas quales [las cuales] hablan por las demás, y quando el Rey quiere juntarlas, que llaman Cortes, escribe a todas envíen a sus Procuradores, dos cada una, en todos treinta y seis, que confiese cada uno [que confieren] lo que de parte del Rey se les propone y manda, y aunque descubran inconvenientes y daño común de los vasallos todo lo atropella [atropellan] y proponen a las esperanzas de lo que el Presidente de Castilla solicita donde estos servicios [el Presidente de Castilla, solicitador de estos servicios,] les ofreze de parte del Rey, a unos mercedes de honor a otros de intereses conforme a la calidad y codicia de cada uno, que ésta es la santa costumbre de españoles comprar los votos de los que pueden grabar [gravar] el Pueblo con pretexto de que se convierte en usos útiles siendo las más vezes siempre lo contrario ; y aunque estos Procuradores consultan a sus ciudades [,] como los Corregidores y Regidores de ellas tienen la misma ambición y codicia, son liberales del daño público, resultando de esto la destrucción del Reyno y el desconsuelo y acabamiento de los vasallos [,] que con despecho le van desamparando. 6  



L’indifferenza al bene pubblico degli appartenenti alla classe dirigente spagnola e la loro egoistica, esclusiva ricerca dell’interesse personale sono ripetutamente messe in rilievo dall’ambasciatore veneziano : “están tan asidos a lo propio que nadie se acuerda de lo público” ; 7 “los consejeros que llaman de hacienda son los mismos que por acrecentar la suia la destruyen”. 8 Di questo egoismo, di questa mancanza di senso dello Stato degli spagnoli, “siempre apartados de los buenos fundamentos de estado”, 9 Simeone Contarini, che nutre la speranza di vedere l’Italia “algún día sin extrangeros”, 10 cinicamente si rallegra : “la maior guerra que se les puede hacer es dejarlos consumir y acabar con su mal gobierno que, acudiendo cada uno al bien particular, dejarán el público, y los tesoros de las Indias, no apretando el caso, se convertirán en gastos impertinentes y superfluos creciendo más los delitos”. 11 (All’inizio del regno di Filippo IV, l’anonimo autore di uno dei tanti libelli che criticavano il governo faceva la stessa diagnosi dei mali spagnoli e delle loro cause : “Nadié hace por el bien común, todos procuran no más que su ynterés proprio ; esta guerra en casa más daño nos haze que los enemigos de la corona”. 12)  

   

















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  Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, p. 337.   Simón Contarini : Estado de la Monarquía Española a principios del siglo XVII (Manuscrito del siglo XVII), pp. 63-64. Siccome il testo di questo manoscritto è in alcuni punti poco chiaro (o la sua trascrizione è stata poco accurata), abbiamo posto tra parentesi quadra le ‘varianti’ della Relacion que hizo á la República de Venecia Simon Contarini, al fin del año de 1605, de la embajada que habia hecho en España, pubblicata in appendice alle Relaciones (pp. 563-583) di Luis Cabrera de Córdoba. 7   Simón Contarini : Estado de la Monarquía Española a principios del siglo XVII (Manuscrito del siglo XVII), p. 72. 8   Simón Contarini : Estado de la Monarquía Española a principios del siglo XVII (Manuscrito del siglo XVII), p. 81. 9   Simón Contarini : Estado de la Monarquía Española a principios del siglo XVII (Manuscrito del siglo XVII), p. 73. 10   Simón Contarini : Estado de la Monarquía Española a principios del siglo XVII (Manuscrito del siglo XVII), p. 72. 11   Simón Contarini : Estado de la Monarquía Española a principios del siglo XVII (Manuscrito del siglo XVII), p. 82. 12   Diálogo entre quatro personas viniendo de San Lucar de Barrameda a Seuilla en el barco de la vez en el tiempo que se auía dibulgado la venida de Su Magestad al Andaluzía (Wien, Haus,- Hof- und Staatsarchiv : Staaten-Abt. : Spanien – Varia, fasz. 79). Riprodotto da Josep. M. Barnadas : Resonancias andaluzas de la decadencia (Papel anónimo del s. XVII). In : Archivo Hispalense, Sevilla, 2.ª época, Tomo LVI, Núms. 171-173, Año 1973, pp. 109-115 (il testo del Diálogo occupa le pp. 112-115). Sul Diálogo cfr. anche José Antonio Maravall : La cultura del Barroco. Análisis de una estructura histórica. Barcelona : Editorial Ariel 1983, pp. 102-103. Alcuni decenni prima, Ana de Silva, moglie del Duca di Medina Sidonia, aveva affermato che “no hay bien común posible, porque  

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capitolo vii

L’inviato di Mantova, Celliero Bonatti, scrive, in una lettera del 13 gennaio 1606 al Duca Vincenzo Gonzaga, che la Corte spagnola, paragonata ad un intricato “laberinto”, 13 è “ripartita in quattro generi di persone, privati, et privati di privati, pretendenti et malcontenti”, ed è popolata di “sanguisughe” e di “cortegianelli”, che “pelano da una parte e dal altra”. Governata dai favoriti e dai favoriti dei favoriti (fra questi, “il Conte di Villalonga et don Rodrigo Calderon, volgono e rivolgono il mondo a suo modo”), corrotta e dominata dal denaro – il “più potente mezo” lo definisce Celliero Bonatti (un’espressione analoga ricorre nelle Avvertenze per i Nunzi, redatte nei primi anni del pontificato di Paolo V, nelle quali, a proposito della Corte spagnola, si avverte “che il danaro in quella corte è stimato più efficace di qual si voglia altro mezzo” 14) –, la Corte spagnola era avviata, diagnosticava il diplomatico, “a sicura perditione”. 15  





todos miren sus intereses” (Luisa Isabel Álvarez de Toledo : Alonso Pérez de Guzmán, General de la Invencible. Libro 1.°, p. 372 n.). E ancor prima, Eugenio de Salazar, nella « Carta a vn hidalgo amigo del author, llamado Juan de Castejón, en que se trata de la corte », aveva scritto : “Sólo quisiera tratar de vna cosa y casi general costumbre, o por mejor dezir corruptela, que ay en esta corte, que es tener todos los cortesanos puestos siempre los ojos en el blanco de su particular, sin atender al cómmodo ni descómmodo del próximo, como perros o gatos que están al derredor de la mesa quando el señor come, que el que más presto puede coger el hueso o el pedazo de pan que de la mesa se arroja, ése le coge sin attender a la hambre del compañero”. Cfr. Cartas de Eugenio de Salazar. Las reproduce en facsímile La Sociedad de Bibliófilos Españoles. Madrid 1966, pp. 2628. Nella Comedia Eufrosina (1561) la deprecazione dell’egoismo, della avidità di possedere e della onnipotenza del denaro, metro di tutte le cose, è ricorrente : “tudo he interesse particular, affeyção propria, fingir verdade e fazer a guerra com mentiras. Somos soldados que saqueamos o mundo...” ; “neste tempo ... o mundo tem posta sua bemauenturança em ter” ; “tudo se compra e vende” ; “agora nem ha pay pera filho nem filho pera pay, cada hum vay pera seu cabo” ; “os tesouros ... neste tempo dam os quilates de valor aa pessoa”, “noutro tempo ... no ser da pessoa estaua o preço della e nam no dinheyro” ( Jorge Ferreira de Vasconcellos : Comedia Eufrosina, pp. 43-44, p. 45, p. 64, p. 275, p. 38, p. 43). Nel Pasajero, Cristóbal Suárez de Figueroa scriveva verso la fine del regno di Filippo III : “Ya no hay amigos, no hay desengaños, no hay buenas intenciones. Todo es mentira, todo estratagema, todo propio interés” (I, pp. 312-313). E ancora : “El caso es que cada uno juega para sí. No hay valor, no hay esfuerzo, no hay aliento ni determinación para cosa buena. Todo es … propio interés, sin celo de bien común” (II, p. 401). Non aveva formulato già Celestina il nuovo ‘imperativo morale’ – “A tuerto o a derecho, nuestra casa hasta el techo.” – della moderna società ? Cfr. Fernando de Rojas (y « Antiguo Autor ») : La Celestina. Tragicomedia de Calisto y Melibea. Edición y estudio de Francisco J. Lobera y Guillermo Serés, Paloma Díaz-Mas, Carlos Mota e Íñigo Ruiz Arzálluz, y Francisco Rico, p. 74. 13   Diffuso era il paragone della Corte con il labirinto. Juan López Maldonado scrive che “la vida de la Corte tiene gran similitud, si ya no queremos dezir que es lo mismo, con un labirintho entricadíssimo donde los que con poca advertencia entran después ninguna basta para que salgan, porque las calles de este labirintho son infinitas, llenas de bueltas y rebueltas” (Discurso contra la vida de la Corte. 1592. In : Actas de la Academia de los Nocturnos. Volumen III. Valencia : Edicions Alfons el Magnànim 1994, pp. 181-186 ; qui p. 185). Lope de Vega definisce la Corte come “obscuro laberinto, caos confuso” (La fortuna merecida. In : Obras. Madrid : Real Academia Española. Tomos II-XV. Ed. de M. Menéndez y Pelayo 1890-1913 ; tom. IX, p. 248) e il Palazzo Reale come “laberinto” (Los Guzmanes de Toral. In : Obras. Nueva edición. Tomo I-XIII. Madrid : Real Academia Española 1916-1930 ; tom. XI, p. 35). Il trattatista Giulio Antonio Brancalasso, che era stato per molti anni alla Corte di Filippo II e di Filippo III, scrisse un’opera intitolata : Labirinto de Corte. Con los diez Predicamentos de Cortesanos. Dos libros En los quales estan comprehendidos todos los bienes, y males que pueden, y suelen acontecer en las Cortes de Principes à los que las siguen. Y se dan diferentes modos de salir felizmente del Labirinto para gloria de Dios, y con honras, y riquezas del mundo, como tambien para fundar vna Corte Real. Con los Avisos necessarios para ganar, y conseruar la gracia de los mismos Principes, y de todos los generos de personas que en qualquiera manera tratan con ellos. Resumidos de los Autores politicos Catholicos, que hastagora han escrito en materia de estado, y buen gouierno. Por el Doctor Ivlio Antonio Brancalasso Sacerdote natural de la Ciudad de Tursi. En Napoles con licencia de svperiores. Por Juan Bautista Gargano, y Lucrecio Nucci Empressores. Año de nuestra salvaçion. M.DC.IX. (cfr. Eduart Toda y Güell : Bibliografia Espanyola d’Italia. Dels origens de la imprempta fins a l’any 1900. Volum I : A-C. Castell de Sant Miquel d’Escornalbou 1927, pp. 277-278, nro. 780) Su « El Laberinto de la Corte », cfr. Antonio Álvarez-Ossorio : La discreción del cortesano. In : Edad de Oro 18 (1999), 9-45 ; qui pp. 9-23. 14   Cfr. C. Pérez Bustamante : La España de Felipe III, p. 3. 15   Carta del enviado de Mantua Celliero Bonatti al duque Gonzaga del 13 de enero de 1606. In : Sara Veronelli : « Introducción » a : Diario de Hans Khevenhüller, embajador imperial en la Corte de Felipe II, pp. 9-41 ; qui p. 39.  















































































una società apicarada

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La situazione della Corte spagnola, secondo l’analisi fatta dai tre diplomatici, potrebbe potrebbe essere descritta con una icastica espressione di Mateo Alemán, il quale, nella Segunda Parte de La vida de Guzmán de Alfarache (1604), dopo aver paragonato il mondo a La Rochelle, la città considerata covo di banditi e di pirati, aveva esclamato : “cada cual vive para sí, quien pilla, pilla”. 16 In realtà, il saccheggio del patrimonio dello Stato perpetrato dal favorito, dai favoriti del favorito, da cortigiani, da ministri, grandi e piccoli, da consiglieri, da amministratori e da funzionari di ogni ordine e grado – soprattutto da quelli della Real Hacienda, 17 responsabili di “escesos y descuidos […], que han sido de grandisima consideracion en los asientos y aprovechamientos particulares” 18 – e, naturalmente, anche da “los gefes y criados de Palacio” 19 (le spese annue per la Casa Reale, che al tempo di Filippo II ammontavano a 400.000 ducati, erano ora di 1.300.000 ducati, 20 pari – una volta pagati i juros – ad una parte molto rilevante delle entrate della Hacienda), aveva dimensioni incredibili. I funzionari onesti erano rarissimi. Di quelli appartenenti alla ‘clientela’ del Duca di Lerma nessuno doveva essere onesto, se Luis Cabrera de Córdoba, che mai dimentica di lodare le pochissime persone che non si erano arricchite nell’esercizio delle loro funzioni, 21 per comprovare i meriti e l’onestà di alcuni funzionari, sottolinea che non avevano avuto contatti con il privado di Filippo III. 22  















16   Mateo Alemán : Guzmán de Alfarache. II. Edición de José María Micó. Madrid : Cátedra 1994, p. 209. Fra i numerosi documenti sulla universalità del furto citati da José Antonio Maravall (La literatura picaresca desde la historia social, pp. 487-500), spicca un verso tratto da La niñez del Padre Rojas (1625) di Lope de Vega : “Mira ya, todo es hurtar”. 17   Quando, nel 1612, muore il contador mayor Cristóbal de Ipeñarrieta si scopre che aveva fatto figurare a favore degli “hombres de negocios” un credito – non dovuto – di 4.250.000 ducati (1.250.000 ducati erano già stati indebitamente ‘restituiti’). Pochi anni prima, “un oficial de la secretaría de Hacienda” aveva rubato 30.000 ducati “con cédulas falsas firmadas del Rey”. Cfr. Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 496, p. 225. 18   Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 117. 19   Cfr. Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 356. 20   Cfr. Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 312 (1. IX. 1607 : “los procuradores [de las ciudades] han dicho que se moderen los gastos, pues á su padre [Felipe II] le bastaban 400.000 ducados para su casa, y los del Rey llegan á millon y 300.000 ducados cada año”). Nella piú volte ricordata Consulta, il Consejo Real scriveva al Re : “conviene mucho que V. M. en su Real cassa ponga […] moderaçion en los trajes y vestidos […], para que los demás a su imitaçion se moderen y corrijan y bayan a la mano façilmente ; tan efficaz es el remedio del exemplo Real en los súbditos que lo que no han podido acabar tantas leyes y pragmaticas como sobre esto se han hecho, lo acabara el conoçer el grande, el Sr. y el mediano que este es el gusto de su Rey, y que se exeçuta con todo rigor en los que andan mas cerca de su Real persona, temiendo su indignaçion y el mal gusto, que tiene con estas demasias ; y assi mismo en la reformaçion de gastos extraordinarios y en acreçentamiento de criados, porque han añadido de pocos años a esta parte en tanta cantidad que viene a ser el gasto de raçiones y salarios tan inmenso y exçesivo que monta el de las Cassas Reales oy mas que el del Rey nuestro Sr. el año de 98, quando falleçio, dos terçias partes mas ; cosa muy digna de remedio y de poner en consideraçion y aun en conçiencia a V. M., pues ahorrandose las dichas dos terçias partes, que seria muy façil, queriendo usar de la moderaçion y templanza que pide el estado […] de la Real haçienda, podrian servir para otros gastos forzosos, y tantos menos tendria V. M. que pedir a sus vasallos, y ellos que contribuirle” (El Consejo Real a Felipe III, Madrid 1.° de febrero de 1619. Consulta hecha por el Consejo Real a Su Magestad sobre el remedio universal de los daños del Reino y reparo dellos, pp. 25-26). Sui costi delle Case Reali cfr. La Monarquía de Felipe III : La Casa del Rey. Volumen I. Directores : José Martínez Millán, Maria Antonietta Visceglia. Madrid : Fundación MAPFRE - Instituto de Cultura 2008, pp. 1227-1322. 21   Così, per esempio, il cronista scrive che il viceré del Perú, Don Gaspar de Acevedo y Zúñiga, V Conte di Monterrey, “habia muerto […], á los 16 de Febrero [1606], tan pobre, que la Audiencia hubo de contribuir para el entierro, porque dejaba 80.000 ducados de deudas, y en un año y cuatro meses que habia estado allí, habia dado 25.000 ducados de limosna ; […] y así ha dejado ejemplo de gran ministro para los sucesores” (Relaciones, pp. 286-287). 22   “Háse proveido por vice-canciller del Consejo de Aragon, al doctor Clavero, que era regente del mesmo  































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Il denaro era tutto (fingendo di lodare lo stoicismo e la compostezza con cui gli spagnoli soffrono la morte delle persone più care, Thomé Pinheiro da Veiga nota maliziosamente “que [os hespanhoes] nada os perturba senão faltar-lhes dinheyro” 23). Quindi tutto era oggetto di vendita. 24 Il Re vendeva “estados” e “oficios” e gli asentistas li compravano “en gruesas cantidades”, per poi rivenderli, come una merce qualsiasi, quando potevano realizzare il maggior profitto. 25 Lo stesso facevano gli uomini d’affari con i censos emessi dal Re, “sobre los maestrazgos”, per far fronte a necessità impellenti di forti quantità di denaro : li compravano “para venderlos despues con su comodidad”, ossia quando potevano realizzare il maggiore profitto. 26 Per un certo periodo il Re aveva incominciato a vendere anche le alcabalas, favorendo così losche speculazioni (alle quali era stato particolarmente interessato proprio Don Rodrigo Calderón), che danneggiavano gravemente l’economia. 27 Quando i procuradores delle ciudades con voto en Cortes concedevano le gravose imposte richieste dalla Corona, che naturalmente ricadevano principalmente sulle spalle del popolo e non dei membri – quali erano i procuratori – del patriziato e delle oligarchie comunali, il Re li ricompensava, come abbiamo già ricordato a proposito delle Cortes del Principato di Catalogna (1599) e di quelle del Regno di Valencia (1604), con varie mercedes. I procuratori, inviati dai Consigli Municipali, che parteciparono alle Cortes del Regno di Castiglia tenute nel 1611, vennero ricompensati non solo con uffici, hábitos degli Ordini Militari, cariche onorifiche, ma anche con più di 20.000 ducati a testa (somma, nel suo insieme, enorme se si considera che i procuradores erano trentasei, due per ognuna delle diciotto città castigliane che avevano diritto ad essere rappresentate nelle Assemblee convocate dal Re). 28 Insomma i procuratori delle città, che per avidità di cariche, onori  













Consejo ; y por presidente de la chancillería de Valladolid, al que lo era de Granada, el licenciado Zamora, y allí envian al licenciado Lorenzana, oidor de la contaduría mayor de Hacienda ; son tres personas muy beneméritas, y basta para entenderlo así que ninguno de ellos visitaba al duque de Lerma ni trataba de ser proveido, porque apenas conocía el Duque á los dos, y al licenciado Lorenzana nunca le habia visto” (L. Cabrera de Córdoba : Relaciones, p. 357). 23   Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, p. 212. 24   Julián Juderías (Un proceso político en tiempo de Felipe III. Don Rodrigo Calderón, Marqués de Siete Iglesias, p. 348) ha scritto : “Habíase convertido … la administración del Estado en una gran almoneda, donde todo se vendía al mejor postor. Unos cohechaban con los oficios del Gobierno y con las regias mercedes, y se entendían con los que prestaban al Tesoro ; otros se aprovechaban de las alteraciones de la moneda para lucrarse mientras los tesoreros daban á réditos el dinero que cobraban, dilatando su entrega años enteros, engrandeciéndose descaradamente á costa del país y labrando palacios”. 25   Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 230. 26   Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 405. 27   Su queste vendite Luis Cabrera de Córdoba annota nelle sue Relaciones (p. 519), alla data del 1° giugno 1613, quanto segue : “Habíanse comenzado á vender las alcabalas con alza y baja á los señores y particulares que las querian comprar, y se ha conocido que era el mayor daño y destruccion que podia venir al Reino, porque los que las compraban, no se contentaban con pasar por el encabezamiento que tenia el Rey hecho de ellas, sino crecerlas el tercio y la mitad mas, ó ponerlas en administracion, llevando de diez uno, con que se viniera á asolar el Reino, sobre tantas imposiciones y sisas como estan cargadas ; cuyo daño se ha representado á S. M. por su Confesor, y se ha mandado no se vendan mas, y que se den á los lugares por el tanto las que estan vendidas y se quiten á los que las han comprado ; y de lo mas interesados en esto era el conde de la Oliva [Don Rodrigo Calderón].” 28   Il 7 maggio 1611 Luis Cabrera de Córdoba scrive nella sua cronaca : “Háse hecho merced á los treinta y seis procuradores de las Córtes que se han fenecido últimamente, á unos de corregimientos y rentas á otros de hábitos y oficios de contadores y gentiles-hombres de la boca en la Casa Real, y á los que son letrados, de plazas en audiencias, allende de lo que á cada uno le han valido las Córtes, que es á mas de 20.000 ducados” (Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 437).  























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e denaro, erano – come aveva scritto Simeone Contarini – “liberales del daño público”, venivano ‘premiati’ 29 dal Re per essersi fatti corrompere e aver dato così il loro contributo alla distruzione delle finanze pubbliche e della economia del Regno. 30 Non meno corrotti e corruttibili erano i membri delle Diputaciones delle Cortes (spesso i Diputados erano regidores, o, comunque, appartenevano anch’essi alle oligarchie urbane). 31 La Hacienda del Re “está tan empeñada y gastada” – scriveva preoccupato Luis Cabrera de Córdoba il 10 giugno 1606 – “que será menester mucho tiento para no dar en arbitrios que sean en daño del reino”. 32 Un anno dopo il Re è costretto a sospendere il pagamento di 12 milioni di ducati che “debia á los hombres de negocios”. 33 Questi saranno indennizzati con juros. 34 Il Re, che spesso non aveva soldi per far fronte ai suoi impegni con gli hombres de negocios, per pagare i servitori – pagati anche con due anni di ritardo 35 – o i viveri per  













29   Parlando di un titolo di marchese e di un titolo di conte concessi dal Re, Luis Cabrera de Córdoba osserva che “estas mercedes se acostumbran hacer en Córtes para premiar á los que sirven en ellas” (Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 445). 30   A proposito di un nuovo servicio de millones, concesso dalle Cortes convocate nel 1607, Luis Cabrera de Córdoba annotava nella sua cronaca : “Háse otorgado por los procuradores de Córtes la escritura de la concesion de los nuevos millones […], lo cual se siente mucho […] por el daño de todo el reino, y que lo han de acabar de destruir estos diez y siete millones” (Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 354). Sulle Cortes e i Procuradores cfr. Antonio Carlos Merchán Fernández : Gobierno municipal y administración local en la España del Antiguo Régimen, pp. 178-200. 31   Cfr. Francisco Tomás y Valiente : La Diputación de las Cortes de Castilla (1525-1601). In : F. T. y V. : Gobierno e instituciones en la España del Antiguo Régimen. Madrid : Alianza Editorial 1982, pp. 37-150 ; qui pp. 69-75 e pp. 123-129. Sulle oligarchie urbane e il loro potere cfr. – per ricordare qui, fra i numerosissimi lavori già citati, soltanto i più recenti e importanti – Francis Brumont : Le pouvoir municipal en Vieille-Castille au Siècle d’Or. In : Bulletin Hispanique 87 (1985), 123-130. – Jaime Contreras : Sotos contra Riquelmes. Regidores, inquisidores y criptojudíos. Madrid : Anaya & Mario Muchnik 1992. – Ana Guerrero Mayllo : Familia y vida cotidiana de una élite de poder. Los regidores madrileños en tiempos de Felipe II. Madrid : Siglo veintiuno de españa 1993. – Mauro Hernández : A la sombra de la Corona. Poder local y oligarquía urbana (Madrid, 1606-1808). Madrid : Siglo XXI de España Editores 1995. – Francisco José Aranda Pérez : Poder y poderes en la Ciudad de Toledo. Gobierno, sociedad y oligarquías urbanas en la Edad Moderna (= Colección HUMANIDADES, 33). Cuenca : Ediciones de la Universidad de Castilla-La Mancha - Instituto Provincial de Investigaciones y Estudios Toledanos 1999. – Enrique Soria Mesa : El cambio inmóvil. Transformaciones y permanencias en una élite de poder (Córdoba, SS. XVI-XIX). Córdoba : Ayuntamiento de Córdoba (Ediciones de La Posada. Colección Díaz del Moral) 2000. – Francisco Javier Mosácula María : Los regidores de la ciudad de Segovia : análisis socioeconómico de una oligarquía urbana (= Historia y Sociedad, 118). Valladolid : Universidad de Valladolid 2006. – Alfonso de Ceballos-Escalera y Gila : La Real Junta de Nobles Linajes. Sociedad y gobierno municipal en Segovia entre los siglos XIV y XIX. Valladolid : Cortes de Castilla y León 2006. – M.a Ángeles Sobaler Seco : Oligarquía y poder en Soria. La institución de los « Doce Linajes » en los siglos XVI y XVII. Junta de Castilla y León. Consejería de Cultura y Turismo 2007. 32   Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 280. Le spese causate dalla costruzione dell’Escorial, dalle guerre, dalla politica europea, da “l’entretenement de tant d’armees, tant de guarnisons, gaiges, pensions, prouisions de naturelz et d’espions de toutes natures” – scrive Barthélemy Joly – hanno talmente indebitato il Re di Spagna, che solo l’interesse annuo, ammontante a sette milioni di scudi d’oro, “engloutist les tresors des Indes, les assigne et distribue auant d’estre desbarquez, estant comme une merueille et miracle de Dieu que ces innumerables richesses n’ayent de rien auancé l’Espagne, qui y appuyoit sa grandeur, au contraire qu’elles soient cause de l’acheminement à sa ruine” (Voyage en Espagne, p. 596). 33   Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, pp. 319-320. 34   Su questa bancarotta e sulle finanze dello Stato durante il regno di Filippo III, cfr. Antonio Domínguez Ortiz : Política y Hacienda de Felipe IV, pp. 3-9. – Ildefonso Pulido Bueno : La Real Hacienda de Felipe III. – Carlos J. de Carlos Morales : Política y finanzas. In : La Monarquía de Felipe III : La Corte (Volumen III). Directores : José Martínez Millán, Maria Antonietta Visceglia. Madrid : Fundación MAPFRE - Instituto de Cultura 2008, pp. 749-865. 35   Cfr. Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 164.  









































































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la sua mensa, 36 era capace di concedere, come fece nel gennaio del 1603, mercedes per oltre 600.000 ducati (in parte annui) che gravavano sulla dissestata Hacienda dello Stato e sul patrimonio degli Ordini Militari. 37 In altre occasioni concesse, sempre in un solo giorno, 60 encomiendas e piú di 30 hábitos di Ordini Militari. 38 Al Marchese di Denia il Re regalò, nella primavera del 1599, 50.000 ducati per avergli comunicato “la buena nueva” dell’arrivo dei “galeones con la plata” ; pochi mesi dopo gli concesse la “encomienda mayor de Castilla”, che valeva 16.000 ducati di rendita annua. 39 Allo stesso Marchese, che nel frattempo aveva creato Duca di Lerma, Filippo III fece grazioso dono, prima, di 72.000 ducati di rendita, poi delle “almadrabas de la costa” del Regno di Valencia, 40 che valevano 120.000 ducati 41 (le tonnare della costa andalusa fruttavano, in tempi normali, 50.000 ducati l’anno ai Duchi di Medina Sidonia, che – al contrario di tanti altri Grandi di Spagna – erano ricchissimi 42) ; più tardi regalò al favorito gli 80.000 ducati che aveva ricevuto da Tiberio Pignatelli, al quale aveva venduto l’ufficio di “canciller de Nápoles”, e l’1% sulle merci di Siviglia, mercede che fruttava “doce cuentos de renta” annuale (ca. 32.000 ducati). 43 Se da una parte dissipava il denaro a piene mani, e soprattutto lo dilapidava “en sobornos, arma principal de su política”, 44 dall’altra, per racimolarne, il Re si indebitava con i banchieri genovesi (ai quali alla fine, scriveva Contarini,  





















36   Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, pp. 117-118 (“[26 de Setiembre 1601] de presente S. M. no tiene para pagar los gajes de sus criados, ni aun se les da racion, ni aun para el servicio de su mesa hay con que proveerse, sino tomándolo fiado, lo que nunca se ha visto antes de agora en la Casa Real ; y no se vé medio cómo en muchos dias pueda socorrerse de sus rentas por estar todas empeñadas”). Nella “relacion secreta” del 1° gennaio 1606 l’ambasciatore cesareo aveva osservato che a Filippo III mancava il denaro “aun para el gasto ordinario de su cassa”. Sulla situazione della Casa Reale aveva poi riferito all’Imperatore quel che gli aveva confessato, nel corso di un colloquio, la stessa Regina : “Consideradme (dixo) que tal es el duque [de Lerma] que gastando muy de ordinario dos mil ducados al día en fábricas y obras, siempre están llenos de tesoro y riquezas sus cofres y escritorios y los de sus hijos y deudos y amigos, agotando y consumiendo los del rey, y yo, el rey y sus criados passamos necessidad, faltando en palacio muchos días lo necessario para el gasto ordinario, y desto echaréys de ver la razón que tengo para afligirme.” Cfr. Diario de Hans Khevenhüller, embajador imperial en la Corte de Felipe II, p. 614, p. 616. 37   Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 164. 38   Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 368. 39   Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 16, p. 37. 40   Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 150, p. 197 e p. 208. 41   C. Pérez Bustamante : La España de Felipe III, p. 67. 42   Secondo Luis Cabrera de Córdoba, Don Alonso Pérez de Guzmán, VII Duca di Medina Sidonia, possedeva, soltanto in denaro contante e in “bienes libres” – cioè non vincolati al maggiorasco della Casa Ducale –, cinque milioni di ducati (Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 498). Si diceva anche che la rendita annuale dei Duchi di Medina Sidonia ammontasse a 240.000 ducati. Un viaggiatore francese scrive nel 1612 che il Duca di Medina Sidonia “a 200. mil escus de rente et en tire bien cent mil des Almadraues ou pesche des tons”. Cfr. Relation d’un voyage en Espagne (1612), p. 479. Secondo le fonti del XVI secolo la rendita oscillava, variando naturalmente in certi anni, fra i 150 e i 250.000 ducati. Cfr. La Monarquía de Felipe II : La Casa del Rey. Directores : José Martínez Millán - Santiago Fernández Conti. Volumen I : Estudios, p. 579 n. – Ignacio Atienza Hernández : Aristocracia, poder y riqueza en la España Moderna. La Casa de Osuna, siglos XV-XIX. Madrid : Siglo XXI de España Editores 1987, p. 350 (« Anexo 5.I »). Luisa Isabel Álvarez de Toledo ha affermato che la Casa Ducale, che spesso attraversò periodi di gravi difficoltà finanziarie, non dispose mai di rendite così elevate (Alonso Pérez de Guzmán, General de la Invencible. Libro 1°, pp. 53-64, p. 335). Sulla ricchezza della Casa Ducale di Medinia Sidonia e le sue rendite cfr. ora l’ampia analisi di Luis Salas Almela : Medina Sidonia. El poder de la aristocracia, 1580-1670. Madrid : Marcial Pons 2008, pp. 151-221 (« Fiscalidad señorial y riqueza : las rentas »). 43   Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 225, p. 342. 44   Cfr. Luisa Isabel Álvarez de Toledo : Alonso Pérez de Guzmán, General de la Invencible. Libro 2°, p. 154  











































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per un ducato ricevuto in prestito ne restituiva tre 45) o vendeva tutto quello che poteva vendere : uffici, hábitos degli Ordini Militari, titoli nobiliari, e persino decreti – come la Cédula con la quale il Sovrano concedeva, dietro pagamento di 1.860.000 ducati, ai convertiti portoghesi la abilitazione per poter accedere a tutti gli uffici e a tutti gli onori e l’assoluzione o indulto per avere giudaizzato (assoluzione che Filippo III aveva chiesto a Paolo V e che il Papa concesse con il Breve del 23 agosto del 1604, 46 promulgato nel gennaio del 1605). 47 Ogni atto, pur dovuto, ogni piccolo favore e persino le udienze, gli ambasciatori, gli uomini di affari, gli asentistas, gli arrendadores, i pretendientes, i postulanti, i sollecitatori di ogni tipo e condizione sociale, li ottenevano solo con doni e denaro. Al momento (agosto del 1603) in cui fu creato Conte di Villalonga, il segretario di Stato Pedro Franqueza aveva già accumulato un notevole patrimonio che gli fruttava più di 20.000 ducati di rendita annua. 48 In meno di due anni, nell’estate del 1605, il suo patrimonio si era più che raddoppiato, permettendogli di costituire un mayorazgo di 45.000 ducati di rendita annua. 49 Quando, nella notte dal 19 al 20 gennaio (l’ordine di arresto il Re lo aveva firmato il 2 gennaio) del 1607, il favorito del Duca di Lerma fu arrestato – per “haberse enriquecido mas apriesa de lo que fuera justo”, commenta maliziosamente Luis Cabrera de Córdoba 50 –, gli ufficiali giudiziari trovarono nella sua casa di Madrid – il bel palazzo che era appartenuto a Pietro de’ Medici, 51 morto il 25 aprile 1604, 52 e che comprerá il Duca d’Alba per 44.000 ducati 53 – tesori favolosi, come risulta da un loro inventario, che riproduciamo, parzialmente, qui di seguito :  





















45   Simón Contarini : Estado de la Monarquía Española a principios del siglo XVII (Manuscrito del siglo XVII), p. 81. 46   Cfr. Historia de la Inquisición en España y América. Obra dirigida por Joaquín Pérez Villanueva y Bartolomé Escandell Bonet. I. El conocimiento científico y el proceso histórico de la Institución (1478-1834), p. 899. 47   Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 135, p. 141, p. 152, p. 227, pp. 228-229, p. 231. Questa transazione con i ‘marrani’ portoghesi aveva suscitato scandalo e l’opposizione degli arcivescovi di Lisbona, Braga e Evora. Luis Cabrera de Córdoba, nel dare la prima notizia della transazione, scrisse : “(De Valladolid 23 de Febrero 1602) [sus Magestades] se irán acercando poco á poco a aquel reino [de Portugal], de que hay necesidad visitarle por el rumor que en él anda sobre la cédula que se quiere conceder á los cristianos nuevos para habilitarlos para oficios, honras y encomiendas, y perdonarles las culpas pasadas con breve de Su Santidad ; de que todo aquel reino está escandalizadísimo, y dicen que vienen de allá cuatro ó cinco obispos y otras personas graves á suplicar de esta novedad á S. M. : no se sabe si podrán más que un millon y 600.000 ducados con que los dichos nuevos convertidos sirven para esta gracia á S. M.” (p. 135). Successivamente Luis Cabrera de Córdoba indicherà una somma superiore : “(De Valladolid 2 de Octubre 1604) Háse traido breve de Su Santidad, a instancia de S. M., para absolver á todos los portugueses que han incurrido en delitos de judíos hasta agora, por lo cual sirven con un millon y 860.000 ducados ; de lo cual el reino se muestra muy ofendido por infinitos inconvenientes que representaron los tres arzobispos y otros personajes que vinieron á estorbarlo ahora dos años, de que llevaron buenas esperanzas de remedio sin habérselas cumplido” (p. 227). Contro la progettata abilitazione, Bernardino de Escalante compose, nel novembre del 1604, il lungo Discurso a propósito del auto de fe suspendido en Sevilla por orden de Felipe III, sopra ricordato. Il Perdón General fu promulgato, come abbiamo già ricordato, a Lisbona il 16 gennaio 1605. 48   Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 188. 49   Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 258. 50   Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, pp. 297-298. 51   Cfr. Julián Juderías : Los favoritos de Felipe III. Don Pedro Franqueza, Conde de Villalonga, Secretario de Estado. In : Revista de Archivos, Bibliotecas y Museos, 3.a época, tomo XX (1909), 16-27, 223-240 ; qui p. 225. 52   Cfr. Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 216. 53   Julián Juderías : Un proceso político en tiempo de Felipe III. Don Rodrigo Calderón, Marqués de Siete Iglesias, p. 349.  





























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[…] ochenta y tres mil ducados de renta puestos en su cabeza con siete Villas quatro en Castilla y tres en el Reyno de Valencia. Doscientas arrobas [= 2.300,4 Kg. !] de plata labrada entre las quales hauia veinte y seis bufetes grandes y chicos, quarenta y ocho Jarras, veinte y quatro fuentes grandes de aparador, treinta y siete copas, cinquenta orinales, quatrocientos platos trincheros, cinquenta saleros, treinta y dos piezas de beuer y demas desto el aderezo de la Cozina, de plata. Ciento y ochenta escriptorios con un registro cada uno, otro escriptorio de porcelana de la china, y otras lindisimas piezas que ellas y los escriptorios se apreciaron en ochenta mill ducados. Una arroba de ambar y dos de almizcle, cinquenta colettos de ambar y una innumerable cantidad de pares de guantes de ambar y otras cosas de olores. […] quadros en tabla de Oratorio […] con muchas piezas de oro y seis paños pequeños de tapizzeria de oro y seda [fueron tassados] en settenta y dos mill ducados. Los Doze signos del año, de grandeza de un palmo, y la letra con la qual significaua los dichos signos era de diamantes finos, y se tassaron en treinta y seis mill ducados, dicen que se los auia embiado el Rey de francia. […] los siete planetas de la misma manera de los dhos signos fueron tassados en Catorze mill ducados. […] un Dios Pan semicapro, de grandeza de un palmo, hecho todo de esmeraldas, guarnecido de oro, cosa rara. tassose en doce mill ducados dicen que se le hauia embiado el emperador. Un cuerno de Vnicornio, de dos palmos de largo guarnecido de oro de inestimabile valor, que se lo hauia embiado la señoria de Venecia. Tres uasos de tierra segilata, la qual es contra qualquier veneno, guarnecidos de oro y diamantes de grandisimo valor, diosselos el gran duque de florencia, con el qual tenía Correspondencia. Dos carbuncos y un topazio tan grande y de tanta luz que afirmaron los lapidarios desta Corte no hauerlo Jamas visto de tal grandeza. Un San Jorge de oro y diamantes que le dio el Rey de Ingalatterra, tasado en siete mill ducados. Doce tapicerías de oro y seda […]. Diez y ocho Camas de tela de oro y brocado […]. Dos mill y seiscientas sabanas de Olanda […]. Duscientos tapetes turquescos. […] Vn facistol o atril grande de oro, diamantes y perlas, para poner el espexo su muger quando se tocaba, tassose en quince mill escudos. Vn modelo de christal del Monesterio de Nuestra Señora de Monserrate, que dicen se lo hauia embiado la señoria de Genoua cossa inestimable y rara. [...] Hallose en oro noventa y seis mill escudos y veinte y quatro mill en plata sin otra gran cantidad que embiaua a Aragon, que eran ochenta cargas de azemila. Hallose en la necessaria de su cassa, un Baul lleno de perlas limpias, cien cadenas de oro, muchas joyas y diamantes y mas siete çurrones de escudos en oro, estimado en quaranta y un mill escudos. […] Treinta Cauallos regalados. Doze de Coche, seis azemilas de carga y litera. quatro sillas de mano. quatro carrozas y dos coches. Hallaronse otras muchas cossas de Valor […], en fin fue tassada su hazienda en ocho millones y aun dicen que no fue larga la tasacion. 54  



Ma questo non era tutto. Don Pedro Franqueza aveva inviato a Valencia 300.000 ducati, 54   Bienes secuestrados al Conde de Villalonga. Relacion de los bienes de Don Pedro Franqueza Conde de Villalonga Secretario de Estado de Su Mag.d (Año de 1607). In : J. Martí y Monsó : Los Calderones y el Monasterio de Nuestra Señora de Portaceli. Documentos. In : Boletín de la Sociedad Castellana de Excursiones, Año VIII, Núm. 93 (Septiembre de 1910), pp. 492-493 (Doc. Núm. 51. 1607. [Valladolid. Biblioteca de Santa Cruz. - Manuscritos]).  





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che erano stati caricati su sette bestie da soma. Aveva depositato inoltre gioielli e oggetti di valore in vari conventi per sottrarli al sequestro (nel Convento de la Merced, fondato dal Conte di Villalonga, furono trovati, per esempio, in un sepolcro gioielli di inestimabile valore – fra i quali un Gesú Bambino d’oro e un toro dello stesso metallo –, valutati 80.000 ducati). 55 Possedeva “letras y juros por valor de cinco millones de escudos”. Si venne a sapere che aveva rubato al Re un milione di ducati nell’asiento fatto con gli ebrei portoghesi 56 e ricevuto regali da numerosi asentistas e banchieri e 100.000 ducati per il trasferimento della Corte da Valladolid a Madrid. 57 Oltre ai beni mobili, Don Pedro Franqueza aveva accumulato un enorme patrimonio immobiliare costituito di señoríos e terre, da lui stesso elencati nel già ricordato Libro de compras de Villas y Baronias y otras tierras hechas por mi el Conde de Villalonga cassa franqueza, escrito en los libros de los linages yllustres de españa y titulos della por Diego de Vrbina Rey de Armas de su Mgd. La relazione – articolata in 474 capi d’accusa, esposti in 250 fogli (499 pagine) – sull’ispezione effettuata dal licenciado Fernando Carrillo, incaricato dal Re, “aduertido que don Pedro Franqueza Conde de Villalonga procedia en el exercicio de sus oficios con publico escandalo”, 58 d’indagare sulla corruzione del braccio destro del Duca di Lerma, documenta in maniera impressionante la vasta e gravissima degenerazione dell’amministrazione della cosa pubblica durante il regno di Filippo III. La relazione si limita sí ad illustrare dettagliatamente le strategie di concussione praticate da un singolo ministro e le rappresenta – o si sforza di rappresentarle – come azioni criminose di un individuo particolare mosso da insaziabile cupidigia di denaro, dall’ambizione e dalla vanità ; ma Don Pedro Franqueza, che servì in un certo senso da capro espiatorio per arginare il generale malcontento provocato dalla corruzione degli amministratori pubblici, 59 non era il solo a usare gli uffici e le cariche ricoperti per arricchirsi. Il Duca di Lerma, Don Rodrigo Calderón, Alonso Ramírez de Prado e tanti funzionari di tutti i gradi e livelli non attuavano in maniera molto differente. Lo dimostra anche la circostanza che la regia Cédula del 22 dicembre  











55   Cfr. J. Juderías : Los favoritos de Felipe III. Don Pedro Franqueza, Conde de Villalonga, Secretario de Estado, p. 226.. 56   A partire dal 1601 – e soprattutto dal 1627 – le operazioni finanziarie e commerciali vennero progressivamente monopolizzate dagli ebrei portoghesi. Cfr. Albert Girard : Les étrangers dans la vie économique de l’Espagne aux XVIe et XVIIe siècles. In : Annales d’histoire économique et sociale 5 (1933), 567-578 ; qui pp. 572574. – Felipe Ruiz Martín : Las finanzas españolas durante el reinado de Felipe II, p. 111, p. 145, p. 164, p. 172. 57   C. Pérez Bustamante : La España de Felipe III, p. 133. 58   Cfr. Cargos que resultan de la visita hecha a Don Pedro Franqueza, Conde de Villalonga, secretario de Estado, por mandado de S Mg.d el Rey Don Philippe III. La qual executò el Licenciado Don Fernando Carrillo (1606), fo. 1r. Questa relazione di Fernando Carrillo fu conglobata, con qualche modificazione, nella Cédula del 22 dicembre del 1609 redatta da Jorge de Tovar e indirizzata dal Re al “Lizenciado Dn. Juan de Acuña, Presidente del mi Consejo de Hazienda y Contadurías mayores”. In questa Cédula si elencavano i 474 capi di accusa mossi a Pedro Franqueza, si illustrava il comportamento tenuto nel carcere dal Conte di Villalonga difronte al giudice e si enumeravano le pene comminate (sequestro dei beni, privazione perpetua di tutti gli uffici ricoperti, interdizione perpetua dai pubblici uffici, risarcimenti pecuniari alla Real Hacienda, reclusione a vita). Il documento, conservato nel British Museum (Egerton 2060), è stato parzialmente riprodotto da José Antonio Escudero con questo titolo : Visita y cargos de Don Pedro Franqueza, Conde de Villalonga, Secretario de Estado del Señor Rey Don Felipe III de este nombre. En Madrid a 22 de diciembre de 1609. (Fragmento.) In : J. A. Escudero : Los secretarios de Estado y del Despacho (1474-1724). Tomo III, pp. 792-818. 59   Proprio all’inizio della relazione di Fernando Carrillo si afferma che le scandalose pratiche di Pedro Franqueza “onerauan la Real consciencia y su reputacion y obligauan a satisfacion y exemplo publico” (Cargos que resultan de la visita hecha a Don Pedro Franqueza, Conde de Villalonga, fo. 1r). Nella Cédula sopra citata del 1609, Filippo III, riferendosi all’indagine svolta da Fernando Carrillo, scriveva : “Y de la dicha averiguación, la cual fué conmigo consultada, resultó [Dn. Pedro Franqueza] ser culpado gravemente y en casos y cosas dignas de remedio y en que se debía dar satisfacción y ejemplo público” (Visita y cargos de Don Pedro Franqueza, Conde de Villalonga, Secretario de Estado del Señor Rey Don Felipe III de este nombre. En Madrid a 22 de diciembre de 1609, p. 792).  



















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del 1609, nella quale – come abbiamo ricordato – si riproduceva l’intera relazione di Fernando Carrillo con tutti i 474 capi d’accusa, era stata inviata al Presidente del Consejo de Hacienda, il licenciado Don Juan de Acuña, con l’ordine che, riuniti tutti i funzionari, fosse loro integralmente letta, affinché “entiendan y sepan lo que cerca de lo susodicho a pasado y el escarmiento y castigo devido a los ministros que no cumpliendo con sus obligaciones, excedieren en semejantes o tales cosas”. 60 La relazione di Fernando Carrillo rivelava quindi – al di là del caso singolo – la degenerazione del sistema, pur contro la sua stessa volontà e gli intendimenti del Duca di Lerma che, per salvarsi, gli aveva affidato l’incarico d’indagare sui crimini di Don Pedro Franqueza e di Alonso Ramírez de Prado, sue ‘creature’ e favoriti, e di arrestarli. 61 Uno dei modi con i quali Don Pedro Franqueza, che nel Libro de compras aveva anche l’impudenza di dichiarare di aver sostenuto grandi spese a detrimento del suo patrimonio per servire il Re in tutti gli affari di Stato e per seguirlo in tutti i suoi viaggi, 62 realizzava i maggiori profitti – o meglio, le maggiori ruberie – era senz’altro la manipolazione dei debiti contratti dallo Stato con finanzieri, appaltatori ed esattori di tasse e rendite regie e pubbliche :  







siendo ministro en que paraua la resolucion de la Real Hazienda, tenia publicas quentas con hombres de negocios, asentistas, arrendadores, y dependientes della, y era el mas interesado de todos en las ferias por los intereses y cambios que lleuaua de tales personas con quien barataua beneficiandose reciproca mente, y que por continuarse en este estado persuadia el desempeño, siendo engaño traçado en daño de su Mgd y beneficio suyo para conseruarse en tal estado. 63  

Per realizzare queste proficue manipolazioni finanziarie, il Conte di Villalonga si era servito, soprattutto, della Junta del Desempeño General, voluta da lui e da Alonso Ramírez de Prado per sottrarsi al controllo del Consejo de Hacienda, che veniva cosí praticamente esautorato, e istituita col fine dichiarato di risanare le finanze pubbliche nel corso del triennio 1603-1605. 64 (La Junta del Desempeño General era composta di sei membri : Duca di  



60   Visita y cargos de Don Pedro Franqueza, Conde de Villalonga, Secretario de Estado del Señor Rey Don Felipe III de este nombre. En Madrid a 22 de diciembre de 1609, p. 793. 61   Cfr. A. Feros : El Duque de Lerma. Realeza y privanza en la España de Felipe III, pp. 312-326. 62   Nel foglio 87 del Libro de compras aveva scritto infatti : “En consideracion de los continuos y agradables seruicios que en las Vniuersales materias de todo lo que toca a su Real seruicio, bien de sus Reynos y señorios consultas y despachos de negocios tocantes a ellos continua mente, yo Don Pedro franqueza Conde de Villalonga me he ocupado y ocupo siguiendo su Real persona en todas las ocassiones, caminos y jornadas que se han ofrecido hallandome por su Real mandado en tan diuersos consejos y juntas como es not[ori]o y neçessario a semejantes materias de que su Real magd es tambien seruido y en que mi Hazienda ha padecido tantos gastos” (Cargos que resultan de la visita hecha a Don Pedro Franqueza, Conde de Villalonga, fo. 4v). 63   Cargos que resultan de la visita hecha a Don Pedro Franqueza, Conde de Villalonga, fo. 1r. Tutta la relazione di Fernando Carrillo svela gli imbrogli attuati da Pedro Franqueza servendosi degli uomini di affari. E ancora verso la fine della requisitoria lo si accusava di aver sempre continuato ad “aprouecharse de los hombres de negocios asentistas y contratadores” (fo. 208r). 64   Nel secondo capo d’accusa si legge : “Hazesele cargo que para conseguir los dichos intereses y fines e introducirse con los hombres de negocios Asentistas arrendadores y otros dependientes dela Real Hazienda, se estrecho con especial amistad y correspondencia con el liçenciado Alonso Ramirez del consejo de Hazienda, el qual para rreducir assi [a sí] y a el gouierno della con exclusion de otros propusso cierta traça para desempeñarla, Dentro de Tres Años començando desde el de seiscientos y tres y acauando el de seis[cient]os y cinco a que llamo desempeño general y que en este tiempo proueeria para dentro y fuera del Reyno las prouissiones neçessarias y pagaria lo que se deuiese atrasado a las cassas Reales, guardas y fronteras destos Reynos y a los Hombres de negocios de manera que fin del dicho año de seiscientos y cinco dexaria desempeñada de deudas sueltas y consignacion las flotas, las tres gracias [ingresos de gracia : Maestrazgos, Cruzada, Subsidio], seruicio ordinario y extraordinario el delos diez y ocho millones por el tiempo concedido la Hazienda de Portugal el extraordinario que se saca en el consejo de Hazienda, lo qual haria sin perjuicio de terçero, ni nueua impossicion, ni molestia dela contratacion y como medio neçessario para conseguir los dichos interesses el aprouo la dicha traça y se introduxo en la execucion della y con la mano y gracia que el confiessa de si mismo traço se despa 







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Lerma, Conte di Miranda, Don Juan de Acuña, Fray Gaspar de Córdova, Alonso Ramírez de Prado, Pedro Franqueza. Il confessore del Re non veniva però tenuto al corrente degli affari e tutte le pratiche importanti erano sbrigate soltanto da Pedro Franqueza e da Alonso Ramírez de Prado, 65 sicuramente con l’assenso e la complicità del Duca di Lerma. Ma sul ruolo svolto dal favorito del Re e sulle sue responsabilità, 66 tace, ovviamente, l’atto di accusa di Fernando Carrillo, che intratteneva stretti rapporti con il Duca di Lerma e con suo figlio, il Duca d’Uceda, 67 e succederà pochi anni dopo a Don Juan de Acuña nella presidenza del Consejo de Hacienda.) Poche settimane prima di Don Pedro Franqueza, e precisamente il 26 dicembre 1606, era stato arrestato il licenciado Alonso Ramírez de Prado, anch’egli uno dei favoriti del Duca di Lerma e membro del Consejo Real, del Consejo de Hacienda e della Junta del Desempeño General. 68 In casa sua gli ufficiali giudiziari trovarono “30.000 escudos en oro y mucha plata labrada”, 69 gioielli, arazzi, lettere di cambio e juros per un valore di 780.000 ducati. Alonso Ramírez de Prado possedeva inoltre 540.000 ducati in case e terre. 70 Quando Juan Pascual – un hombre de negocios di umili origini, che, come abbiamo già ricordato, era divenuto, grazie alla protezione del Duca di Lerma, Tesorero general e membro del Consejo de Hacienda, cavaliere di Santiago, Conte di Villabrágima e, pare, anche Marchese di Viandrina 71 – morì, nel febbraio del 1605, si scoprì un ammanco di 16 milioni di ducati, nel quale pare fosse coinvolto anche Don Rodrigo Calderón. 72 Anche quest’ultimo, che era altrettanto corrotto di Pedro Franqueza e che si era arricchito in maniera inaudita con la concussione, fu indagato per corruzione. Ma Don  















chase çedula en cinco de Mayo de seisci[ent]os y tres, por la qual se fundo la comission y Junta que se llamo del desempeño general con hiniuicion de todos los consejos y tribunales y plena administracion y distribucion de la Real Hazienda”. Nel quinto capo d’accusa si scrive che Pedro Franqueza sottrasse al “Consejo de Hazienda y Contadurias” tutte le competenze e così “incorporo” la Real Hazienda “en la dicha Junta [del desempeño general]” e la “reduxo a este estado, que excluidos los señores Ministros rreferidos [Duque de Lerma, Conde de Miranda, Don Juan de Acuña, Fray Gaspar de Córdova, Alonso Ramírez de Prado, Pedro Franqueza] en la dicha comission quedandose el [Pedro Franqueza] y el dicho liçenciado Ramirez solos, como se contiene en el cargo terçero, la Real Hazienda quedo indefenssa y sin noticia y defraudada” (Cargos que resultan de la visita hecha a Don Pedro Franqueza, Conde de Villalonga, fo. 5r-6r e fo. 7v). 65   Nel sesto capo d’accusa si dice che Pedro Franqueza “vsurpo los negocios de manera que muy de ordinario sin el dicho padre confesor el y el dicho Liçenciado Ramirez hazian Junta y resoluian assientos arrendamientos y todo lo que se ofrecia de la dicha comission y esto se executaua sin que otro ningun Ministro participase la resolucion dello, por lo qual en graue perjuicio de la Caussa publica oluidado de su obligacion introduxo que lo que se acordase en la dicha Junta bastase estar señalado de Vno de los tres aunque no lo estuuiese de otro” (Cargos que resultan de la visita hecha a Don Pedro Franqueza, Conde de Villalonga, fo. 8r-v). 66   La parte dell’archivio personale di Pedro Franqueza che conteneva “papeles” riguardanti il Re e il Duca di Lerma ed era custodita in sei grandi scrittoi, fu – per ordine di Fernando Carrillo – sequestrata dagli agenti giudiziari, portata a Palazzo Reale, consegnata, assieme alle chiavi degli scrittoi, al favorito di Filippo III e posta sotto la sua custodia diretta ! Cfr. Josep M. Torras i Ribé : Poder i relacions clientelars a la Catalunya dels Àustria. Pere Franquesa (1547-1614), p. 197. 67   Cfr. A. Feros : El Duque de Lerma. Realeza y privanza en la España de Felipe III, p. 325. – F. Benigno : La sombra del rey, p. 74. 68   Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 296. – S. Martínez Hernández : El Marqués de Velada y la Corte en los reinados de Felipe II y Felipe III. Nobleza cortesana y cultura política en la España del Siglo de Oro, p. 453. 69   Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 297. 70   C. Pérez Bustamante : La España de Felipe III, p. 133. 71   Cfr. Cristóbal Pérez de Herrera : Amparo de pobres. Edición, introducción y notas de Michel Cavillac (= Clásicos Castellanos, 199). Madrid : Espasa-Calpe 1975, p. 233 n. 72   Cfr. Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 38, p. 80, p. 164, p. 236. – Carlos Javier de Carlos Morales : El Consejo de Hacienda de Castilla, 1523-1602, p. 217. – C. Pérez Bustamante : La España de Felipe III, p. 48, p. 56, p. 136.  

























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Rodrigo Calderón, al quale era riuscito “de pícaro ser señor” 73 – come scriverà dopo il suo arresto il Conte di Villamediana –, aveva potuto, allora, salvarsi. (Quando, con sentenza del 9 luglio 1621, gli fu sequestrato il patrimonio – essendo stati riconosciuti fondati e provati tutti i 271 “cargos que se le hicieron cerca de lo que recibio y tomo de todas personas y de los officios que tiene” 74 – e condannato alla ‘decapitazione’, 75 Don Rodrigo Calderón aveva accumulato numerosissimi uffici, benefici, cariche e dignità 76 e proprietà che gli assicuravano una ‘rendita’ annua di 200.000 ducati. 77) Quanto al Duca di Lerma, la quantità di denaro e di benefici e beni di varia natura sottratta durante la sua privanza al patrimonio regio, sfruttando l’ascendente da lui esercitato sul Re, era enorme. Luis Cabrera de Córdoba elenca, nelle sue Relaciones, scrupolosamente le mercedes (somme di denaro, rendite, dignità, cariche, benefici, ecc. ecc.) che il Duca di Lerma riceveva, quasi quotidianamente, dal Re. Sono centinaia. 78 Ingente era anche la quantità di denaro, di doni e ‘regali’ estorta agli Ayuntamientos, alle Cortes di vari Regni, a ministri, a vassalli, a Principi e Stati stranieri, a banchieri, a finanzieri, a mercanti e ai privati che aspiravano a qualche carica pubblica. Il privado, che ancora nel 1598 si dibatteva in gravi difficoltà finanziarie ed era considerato ‘povero’ 79 (come abbiamo visto doveva farsi imprestare denaro da Juan Pascual e da suo zio, D. Bernardo de Rojas y Sandoval, per soccorrere il Principe Filippo), già nel 1605 disponeva, secondo la testimonianza di Thomé Pinheiro da Veiga, di quasi “300 mil cruzados de  













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  Conde de Villamediana : Poesía inédita completa, p. 68.   Cfr. « Sentencias civil y criminal contra D. Rodrigo Calderón ». In : J. Martí y Monsó : Los Calderones y el Monasterio de Nuestra Señora de Portaceli. Documentos. In : Boletín de la Sociedad Castellana de Excursiones, Año VIII (1910), p. 457 (Doc. Núm. 67 - 1621). 75   Più precisamente fu condannato ad esser “degollado por la garganta hasta que muera naturalmente” (Don Gerónimo Gascón de Torquemada : Gaçeta y nuevas de la Corte de España desde el año 1600 en adelante, p. 103). L’esame necroscopico del corpo ormai mummificato di Don Rodrigo, esumato pochi anni orsono, ha confermato che non vi fu decapitazione in senso letterale. La testa non fu infatti separata dal tronco. A Don Rodrigo fu tagliata la gola sino alle vertebre cervicali che rimasero intatte. Cfr. Federico Carrascal Antón : Don Rodrigo Calderón. Entre el Poder y la Tragedia. Valladolid : Ayuntamiento de Valladolid 1997, pp. 24-25. 76   Se ne veda la lunghissima lista nel « Memorial de las execuciones que se hizo a don Rodrigo Calderon ». In : J. Martí y Monsó : Los Calderones y el Monasterio de Nuestra Señora de Portaceli. Documentos. In : Boletín de la Sociedad Castellana de Excursiones, Año VIII (1910), p. 557-558 (Doc. Núm. 71 - 1621). Ecco alcuni degli uffici, dignità, titoli e benefici di Don Rodrigo Calderón : Regidor di Valladolid, di Plasencia e di Soria, “Alguacil mayor de Valladolid de Chancilleria y Alcayde de la carzel. R.l de ella”, “Correo mayor de Valladolid”, “Depositario General de la ciudad de Plasencia,” “Mayordomo de las obras de la ciudad de Valladolid”, “Registrador de la chancilleria de Valladolid”, “Archivero mayor de la ciudad de Valladolid”, “Escriuano del Ayuntamiento de la ciudad de Plasencia”, “Marques de siete Iglesias”, “Conde de la oliua”, “Comendador de Ocaña”, “Capitan de la guarda tudesca”, “Contino de la casa de Aragon”. – “La merced que ninguno pudiese tratar ni contratar en las piedras de tahona y de barberos que vienen de fuera del Reyno para ynbiarlas a la India oriental”, “El derecho del palo del Brasil que viene de la India a Lisboa”, “La mitad del Bulio que es treinta quintales de caracoles que entre los negros es como moneda de bellon”. 77   Cfr. Antonio de León Pinelo : Anales de Madrid (desde el año 447 al de 1658), p. 238. 78   Cfr. anche C. Pérez Bustamante : La España de Felipe III, pp. 65-68 (lo storico si basa sulla “demanda de Juan Chumacero de Sotomayor, fiscal del Consejo Real, incoada en 1623 para que [Lerma] devolviese las enormes sumas que había defraudado al patrimonio regio”). – Francesco Benigno : La sombra del rey, pp. 47-48 (questo storico offre dati precisi sul documento utilizzato : Juan Chumacero de Sotomayor, fiscal del Consejo Real : Peticion que dio contra el Duque Cardenal de Lerma : sobre las exorbitantes mercedes que gozaba desde el tiempo que estuvo en la gracia de Felipe III. BNM, Ms. 2355, fo. 466 e sgg.). 79   “El Duque de Lerma […] ahora rico, en otro tiempo pobre” (Simón Contarini : Estado de la Monarquía Española a principios del siglo XVII, p. 52). Nella sua “relación secreta” l’ambasciatore cesareo aveva scritto che il Duca di Lerma (allora Marchese di Denia), prima della morte di Filippo II, era “tan enpeñado, adeudado y pobre que no podía pagar a sus acrehedores”. E ancora : “Es grande amigo de obras y edificios y trae tantas que para acabarlas no bastarán algunos cien mil ducados, siendo verdad que poco años atrás no tenía que lleuar a la boca” (Diario de Hans Khevenhüller, embajador imperial en la Corte de Felipe II, pp. 616-617).  

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renda”. 80 Nonostante le cariche e le ricchezze che quotidianamente accumulava, grazie al favore del Re e con la pratica della concussione, il Duca di Lerma – al quale, più o meno spontaneamente e disinteressatamente, “señores y caballeros” regalavano gioielli e altre cose preziose per decine di migliaia di ducati “para alegrarle la sangre” quando veniva sottoposto a salassi 81 – cercava di aumentare le sue rendite anche con imbrogli e macchinazioni (nel 1610 tentò, per esempio, di assicurarsi una rendita di 150.000 ducati in Portogallo 82). Alla fine della sua privanza, pur avendo speso oltre 10 milioni di ducati in palazzi, ville, conventi, cappelle, giardini, parchi e feste suntuose, 83 il Duca di Lerma era riuscito ad accumulare più di 40.000.000 di ducati (sommando tutte le rendite di cui disponeva in un anno l’Impero spagnolo, non si raggiungono i 24.000.000 di ducati 84) e a disporre di una rendita annua di 240.000 ducati. 85 Non a torto il Conte di Villamediana, in una delle sue corrosive poesie satiriche, chiama il Duca di Lerma “El Caco de las Españas, / Mercurio dios de ladrones”. 86 Nessuna meraviglia, quindi, se – come ha osservato Bartolomé Bennassar – “lo picaresco, como una gangrena, corrompe a toda la sociedad” del XVII secolo (ma i germi del fenomeno erano già operanti negli ultimi decenni del XVI secolo). 87 Tutta la società, nessuno ‘stato’ o ceto escluso. (Neppure il Re. Non fu infatti una colossale frode il raddoppio del valore della moneta di vellón decretato da Filippo III con Cédula Real del settembre del 1603 ? 88)  



















80   Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, p. 59. Più avanti Thomé Pinheiro da Veiga scrive : “He o Duque o mais rico Senhor vassallo, de joyas e recamara, que dizem que ha no mundo, alem de 250.000 cruzados que dizem tem de renda : a que lhe sei he 25.000 do que tinha e lugares que comprou, 60.000 das tuatras de Cecilia que El-Rey lhe deu, das especiarias de Portugal e escravos, 15.000 de general de cavallaria, 12.000 de Estribeiro mór, 24.000 do Arcebispado de Toledo, 24.000 de juro, que agora lhe deo El-Rey em Portugal, 8.000 de Alcalde do Paço, e horta 6.000 ; […] cada dia lhe fás El-Rey mercés” (p. 170). 81   Cfr. Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 336, p. 446. – Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, p. 59. 82   Il 13 marzo 1610 Luis Cabrera de Córdoba annotava nelle sue Relaciones (p. 401) : “Háse dicho, que el haber publicado la jornada de Portugal, ha tenido fundamento de pretender el duque de Lerma le concedan allá cierto derecho que se habia impuesto para traer unas fuentes á Lisboa, y se ha acabado ya, y querian que se continuase para el dicho Duque, que importaria 150.000 ducados cada año ; y sobre ello ha enviado allá un criado del Rey y suyo, con muchos despachos para que se intente, y sin esto S. M. le ha hecho merced de cierta tierra allá, que llaman de Regalía, que vale 10.000 ducados de renta de trigo, que se coge en ella, y para alentar la dicha pretension ha parescido bien echar voz que el Rey irá allá, aunque para el acompañamiento que habia de llevar se veian pocas señales.” 83   Cfr. Bernardo J. García García : Las fiestas de Corte en los espacios del valido : la privanza del duque de Lerma, pp. 35-77. 84   Cfr. Simón Contarini : Estado de la Monarquía Española a principios del siglo XVII, pp. 79-81. 85   Cfr. C. Pérez Bustamante : La España de Felipe III, pp. 65-68. 86   Conde de Villamediana : Poesía inédita completa, p. 124. 87   B. Bennassar : Valladolid en el Siglo de Oro, p. 502. Già Francisco Rodríguez Marín aveva dedicato alcune pagine della sua descrizione della società di Siviglia alla “nobleza apicarada” (« Discurso preliminar » a : Rinconete y Cortadillo, pp. 96-100). La società spagnola è diventata – aveva osservato Marcel Bataillon nel 1931 – una “société … assez fortement picarisée, du haut en bas” (Marcel Bataillon : « Introduction » a : Le Roman Picaresque. Introduction et notes de M. B. Paris : La Renaissance du Livre 1931, pp. 1-41 ; qui p. 16). Antonio Domínguez Ortiz aveva scritto che la “nota picaresca” era latente in tutta la vita spagnola del XVII secolo (La sociedad española en el siglo XVII, tom. I, p. 277). Infine, Antonio José Maravall aveva parlato di una “sociedad señorial-picaresca” (Estado moderno y mentalidad social. Tomo II, p. 180). 88   Già nel 1599 Filippo III aveva autorizzato la coniazione di monete di vellón di puro rame, senza piú la componente d’argento. Con una Ordenanza del 3 giugno del 1602 il Re aveva poi disposto una riduzione del 50% del peso della moneta di vellón puro. Riferendosi al provvedimento del settembre del 1603, Luis Cabrera de Córdoba, che naturalmente dà la colpa di questo “arbitrio” ai ministri, scriveva, il 1° novembre 1603, nelle sue Relaciones (p. 196) : “[…] se ha doblado toda la moneda de vellon en el precio, haciendo que el que era de dos maravedises valga cuatro, y el cuarto ocho maravedises ; y para socorrerse con mas brevedad, han hecho el mesmo crecimiento en todos los ochavos y cuartos que andaban de antes, marcándolos con un señal de cuatro  

















































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capitolo vii La Corte a Valladolid (1601-1606)

La presenza della Corte aveva profondamente e rapidamente trasformato Valladolid. Non solo era mutata e mutava da un giorno all’altro la fisionomia urbanistica 89 – “de hum dia para o outro, se vem huns Palacios encantados onde era monturo”, scrive Thomé Pinheiro da Veiga, 90 al quale dobbiamo la più ampia, bella e plastica descrizione della Valladolid degli anni 1603-1605 e dei costumi e divertimenti dei suoi abitanti 91 –, ma anche quella ‘morale’ della città.  





y de ocho, en lo cual dicen que interesará S. M. seis millones [di ducati] ; aunque los que consideran el arbitrio, juzgan que al adelante ha de ser de grande daño, por ser tan fácil cosa entrar de fuera del reino semejante moneda y trocarla por plata, con que hinchir este reino de ella y vaciarlo de reales, sin otros inconvenientes que se consideran : quiera Dios suceda mejor que se teme.” Per attuare questo tipo di manipolazione monetaria, detto resello, si ordinava alla popolazione di portare alle zecche le monete che deteneva per sottometterle ad una elevazione del loro valore nominale “mediante una marca o sello”. Ai possessori delle monete “se les entregaba la misma cantidad nominal que habían llevado, pero se marchaban con menor numero de piezas. […] La diferencia entre el valor que anteriormente tenía la moneda y el nuevo, se la embolsaba la Real Hacienda”. Sui problemi suscitati dal raddoppio del valore della moneta di vellón Pedro de Valencia scrisse il già ricordato Discurso acerca de la moneda de vellón. Zafra, 1605 (in : Pedro de Valencia : Obras completas. Volumen IV/1. Escritos sociales. I. Escritos económicos, pp. 111-123). Più noto è il Tratado y discurso sobre la moneda de vellón que al presente se labra en Castilla y de algunos desórdenes y abusos (De monetae mutatione) del Padre Juan de Mariana (in : Obras del Padre Juan de Mariana. Colección dispuesta y revisada por D. Francisco Pi y Margall. = Biblioteca de Autores Españoles. Tomo XXXI. Madrid : Atlas 1950, pp. 577-591). Sulle alterazioni del valore della moneta decise da Filippo III, cfr. Ildefonso Pulido Bueno : La Real Hacienda de Felipe III, pp. 150-154. – Elena María García Guerra : Reflexiones en torno a las mutaciones de las monedas, elemento generador de conflictividad social. In : Francisco Javier Guillamón Álvarez y José Javier Ruiz Ibáñez (Editores) : Lo conflictivo y lo consensual en Castilla. Sociedad y poder político, 1521-1715. Homenaje a Francisco Tomás y Valiente. Murcia : Universidad de Murcia 2001, pp. 79-98 ; qui pp. 81-82, nota nro. 3. 89   Sulla intensa attività – nella Valladolid degli anni 1601-1606 – di costruzione di opere di infrastruttura urbana (vie, acquedotti, fontane, ecc.) e di nuove case e di palazzi nobiliari, di restauro e ristrutturazione di quelli vecchi, di ampliamento di strade e piazze, di abbellimento dei luoghi di svago e di ricreazione, cfr. Adriano Gutiérrez Alonso, Juan José Martín González, et al. : Valladolid en el siglo XVII (= Historia de Valladolid. –IV). Valladolid : Ateneo de Valladolid 1982, pp. 111-154. Il più imponente progetto urbanistico realizzato a Valladolid negli anni 1601-1606 fu la trasformazione del Palazzo di Don Francisco de los Cobos y Luna, Marchese di Camarasa, e di vari edifici contigui, prima in Palazzo del Duca di Lerma e, successivamente, in Palazzo Reale. Cfr. Javier Pérez Gil : El Palacio Real de Valladolid, sede de la Corte de Felipe III (1601-1606). Valladolid : Universidad de Valladolid 2006, pp. 27-488, pp. 489-537 (« La configuración del espacio urbano »). Altro gran progetto edilizio fu la trasformazione della Casa de la Ribera, un palazzo in rovina sulla riva del fiume Pisuerga, in uno sfarzoso palazzo rinascimentale, con un vasto giardino, “repartido em quatro quadros, com quatro fontes de invençoens, e no meyo huma de alabastro que mandou o Duque de Florença ao Duque”, e con una piazza “com sua estacada para correr toiros, e jogar canas” (Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, pp. 49-50). Il Duca di Lerma investí nella trasformazione di questo palazzo, nel quale raccolse una collezione di quasi novecento quadri – molti di grandi e famosi pittori come Tiziano e Hieronymus Bosch –, oltre 80.000 ducati (cfr. Javier Pérez Gil : El Palacio de la Ribera. Recreo y boato en el Valladolid cortesano. Valladolid : Ayuntamiento de Valladolid 2002). Sulla trasformazione urbanistica di Valladolid cfr. inoltre Teófanes Egido : Valladolid, Corte del Rey Felipe III (1601-1606). In : Valladolid Capital de la Corte (1601-1606). Dirigido por Jesús Urrea Fernández. Valladolid : Cámara de Comercio e Industria de Valladolid 2002, pp. 15-29 ; qui pp. 17-21. – M.ª Antonia Fernández del Hoyo : Arquitectura y ciudad en los años de la Corte. In : Valladolid Capital de la Corte (1601-1606). Dirigido por Jesús Urrea Fernández. Valladolid : Cámara de Comercio e Industria de Valladolid 2002, pp. 31-39. 90   Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, p. 330. 91   Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, pp. 325-361. Queste pagine di Thomé Pinheiro costituiscono la fonte principale della descrizione che della città di Valladolid degli anni 1601-1606 ha fatto Agustín G. de Amezúa y Mayo. Cfr. Agustín G. de Amezúa y Mayo : « Introducción » a : El casamiento engañoso y El coloquio de los perros. Novelas exemplares de Miguel Cervantes Saavedra. Edición crítica. Con introducción y notas de Agustín G. de Amezúa y Mayo. Madrid : Real Academia Española 1912, pp. 3-256 ; qui pp. 29-60. Sulla descrizione di Valladolid fatta da Thomé Pinheiro da Veiga cfr. Luis Miguel Enciso Recio : “Valladolid en la perspectiva de los viajeros extranjeros”, 1585-1605. In : Valladolid. Historia de una ciudad. Congreso Internacional. Tomo II. La ciudad moderna. Valladolid : Ayuntamiento de Valladolid 1999, pp. 543-579 ; qui pp. 558-570. Thomé Pinheiro  















































































una società apicarada

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In un primo momento si era tentato, con ordine del Re, 92 di impedire alle persone – di qualsiasi qualità e condizione, e addirittura ai gentiluomini della Casa Reale non strettamente necessari – che non fossero state autorizzate espressamente a farlo, di andare ad abitare, seguendo la Corte, a Valladolid e si cercò persino di espellere dalla città la ‘gente oziosa’ e i vagabondi che già vi si trovavano. (Si permise però l’entrata alle prostitute. 93) Ma queste misure non ebbero naturalmente alcun esito, 94 come riconobbe, indirettamente, lo stesso Duca di Lerma quando si dispose, per la gioia dei cortigiani, che sempre si erano sentiti infelici a Valladolid, 95 il ritorno della Corte a  







da Veiga loda molto le bellezze artistiche e naturali di Valladolid e la sua configurazione urbanistica, ma non nasconde gli aspetti brutti della città : la polvere, il fango, la sporcizia e il cattivo odore. Scrive in proposito : “Com ter Valhadolid tantos rios, deve ser a mais suja terra de toda a Hespanha, de mais lodos, peor natureza e cheiro mais pestilencial que se pode immaginar, com que se fás insufrivel e aborrecivel : porque, em passando huma rua, trespassa a gualdrapa e meyas athe vos molhar os pés, e sapatos : o que procede de trez couzas : de estar em baixo e sem corrente e se empapar a agua nella ; da qualidade da terra, que he barro tão forte como gesso, com ser terra solta ; e porque quanta sugidade e esterco e podridão ha nas cazas se deita nas ruas, sem castigo, todas as noites, ainda pelas que lhes passa o rio pelas portas : e, juntando-se tudo, me espantava muytas vezes, vendo huma calsada limpa e, em chovendo meya hora, se abobóra e está brotando lodo que dá pelo joelho, que, como cal, cresta o calsado e vestido, com que assentamos que não dura em Valhadolid ametade que em Lisboa, porque se come com o lodo ou pó e, a não ter estes dous inimigos de verão e inverno, a tivera pela melhor terra de Hespanha” (Fastigimia, p. 329). Questa pagina di Thomé Pinheiro da Veiga ricorda sia la letrilla burlesca ¿Qué lleva el señor Esgueva ? (1603) e alcuni sonetti su Valladolid di Góngora (Letrillas. Edición de Robert Jammes, pp. 139-142, nro. XXXIII. – Sonetos completos. Edición de Biruté Ciplijauskaité, pp. 171-176, nro. 104-108), sia le Alabanzas irónicas a Valladolid, mudándose la Corte de ella, la romanza burlesca con la quale Quevedo – dopo che era stato decretato il ritorno della Corte a Madrid – ‘celebrerà’ le strade brutte e fangose, le cattive acque ed il clima umido e freddo della città del Pisuerga (Obra poética. Ed. de J. M. Blecua. II. Madrid : Castalia 1970, pp. 476-482). Anche Don Diego Hurtado de Mendoza aveva ricordato “los espesos polvos de Valladolid”. Cfr. Don Diego Hurtado de Mendoza : Carta a Feliciano de Silva. In : Sales españolas o Agudezas del ingenio nacional. Recogidas por Antonio Paz y Meliá. Segunda edición de Ramón Paz (= Biblioteca de Autores Españoles, CLXXVI). Madrid : Atlas 1964, pp. 85-86. E ancor prima, Andrea Navagero aveva definito Valladolid “molto fangoso” (Il viaggio fatto in Spagna, et in Francia, fo. 34v). 92   Nella seduta del Consiglio Municipale del 15 gennaio 1601 il Corregidor di Valladolid, Don Antonio de Ulloa, comunicò ai regidores che il Re “le mandaba no dejasse entrar en esta ciudad á se aposentar en ella á ninguna persona de qualquier condición y calidad que fuesse que biniesse de qualquiera parte, y que se echasse della todos los bagamundos, hombres y mugeres que en ella estubiessen.” Cfr. A. G. de Amezúa y Mayo : « Introducción » a : El casamiento engañoso y El coloquio de los perros, pp. 29.-30, nota nro. 1. 93   Scrivendo, ancora da Madrid, il 21 aprile 1601, Luis Cabrera de Córdoba annotava nella sua cronaca : “[…] se va teniendo la mano con que no entren en Valladolid algunos de los gentiles-hombres de la boca, acrois [Gentilhombres de la Casa Real], ni costilleres [Gentilhombres de la Casa Real], ni otros criados de S. M. sino los que son llamados, y mucho menos los que no son necesarios de estar en la Córte ; para lo cual se guardan las puertas de la ciudad, y sin exámen y acuerdo de la Junta que para esto se ha formado, no dejan entrar nadie, sino son oficiales de manos por la necesidad que hay de ellos. Y juntamente está mandado que no dejen entrar allí ninguna cualidad de viudas, aunque tengan negocios, sino que invien personas que entiendan en ellos ; mugeres enamoradas y cortesanas se permite que entren, dando primeramente cuenta de ello á la Junta, por escusar otros inconvenientes ; y con esto hasta agora ha entrado poca gente, y aunque acaben de llegar todos los que han de ir de Madrid, no será con mucho tanta como ha habido en Madrid, y se conseguirá el fin que se ha pretendido en desterrar los vagabundos y ociosos de la Córte y que estaban en ella sin necesidad ; y para los que allí habrá, no serán menester tantos bastimentos como en Madrid, ni se encarecerán tanto como aquí estaban” (Relaciones, p. 99). Le previsioni del cronista sulla poca quantità di gente che si sarebbe insediata a Valladolid, sulla scomparsa di vagabondi e oziosi dalla Corte e sul contenuto rincaro delle vettovaglie si riveleranno, naturalmente, fallaci. 94   Cfr. Enrique Villalba Pérez : El traslado de la Corte y la Justicia : La Sala de Alcaldes de Casa y Corte en Valladolid. In : Valladolid. Historia de una ciudad. Congreso Internacional. Tomo II. La ciudad moderna. Valladolid : Ayuntamiento de Valladolid 1999, pp. 595-604. 95   Thomé Pinheiro da Veiga (Fastigimia, p. 330) nota, nell’estate del 1605, che i “[cortezãos] fallam como apaixonados de Madrid, por quem ainda hoje suspiram”. Di questa passione dei cortigiani per Madrid si trovano frequenti testimonianze anche nelle Relaciones di Luis Cabrera de Córdoba. Quando la notizia del ritorno della Corte a Madrid fu certa, esplose l’allegria dei cortigiani. In data Valladolid 18 febbraio 1606, il cronista annota : “todos los cortesanos se alegraron en gran manera, por la aficion que todos tienen á Madrid” (Relaciones, p.  





















































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capitolo vii

Madrid. 96 E così la popolazione di Valladolid crebbe molto e passò, nel periodo in cui la Corte risiedette nella città (9 febbraio 1601- 20 febbraio 1606), 97 dai ca. 30-35.000 ab. della fine del XVI secolo ai 60-70.000 ab. dell’inizio dell’anno 1606. 98 L’aumento della popolazione urbana non era dovuto soltanto al trasferimento da Madrid a Valladolid dei Consejos, 99 del Corpo diplomatico, della Casa Reale e dell’alta nobiltà. Oltre ai fun 







270). Luis Cabrera de Córdoba non nasconde però la sua preoccupazione sia per l’approvvigionamento sia per le spese che il trasferimento comportava e che naturalmente sarebbero state riversate sul popolo : “La villa de Madrid hizo estraordinarios regocijos, y procesion general cuando llegó la nueva de la merced que S. M. les hacia, porque todos juzgan que de esta vuelta ha de quedar asentada la Córte allí para muchos años, como sitio tan conveniente y á propósito para todo el reino, por caer en medio de él. Aunque muchos han reparado en la mudanza tan repentina, en tiempo tan necesitado de trigo y lo demas como está Madrid, porque se pudiera esperar de ver como sucedia la cogida del año en aquella tierra, por haber faltado dos ó tres de los pasados y puéstola en mucha necesidad ; y sino acertase á ser buena este, seria doblada estando en ella la Córte, está con todo resuelta la mudanza y para la provision de presente ha prestado S. M. 100.000 ducados para traer trigo de Aragon ; mas con haber de ir todos tan apriesa no se acaba de dar el dinero porque acá hay necesidad de él, y no se podrá dejar de padecer mucho allá. Pudiérase esperar la cogida del año, pues aquí hay anchura y capacidad de aposento mas que en Madrid, y provision de trigo muy bastante para este y aun para el que viene, sino acertase á salir el año tan fértil como se espera, por haber mucho pan del pasado en esta tierra ; pero ya que han tomado esta determinacion debe de convenir, y así la quieren ejecutar luego : plegue á Dios sea tan acertada como desean, y para tener mas salud que aquí. Madrid se ha querido cargar de tantos gastos y obligaciones por llevar allá la Córte, que terná mucho trabajo en haber de cumplir con todo, aunque habrá de salir de las sisas que se cargarán al pueblo” (Relaciones, p. 271). Sin dal momento in cui circolarono le prime voci di un trasferimento della Corte da Madrid a Valladolid, si manifestò una forte opposizione al progetto, come documentano – fra l’altro – i memoriali che Cristóbal Pérez de Herrera indirizzò al Re e la Razón de Corte (1601) di Joan de Xerez e Lope de Deza. Cfr. Cristóbal Pérez de Herrera : A la Catolica y Real Magestad del Rey don Felipe III. nuestro señor : suplicando á su Magestad, que atento las grandes partes y calidades desta villa de Madrid, se sirua de no desampararla, sino antes perpetuar en ella la assistencia de su Corte, casa y gran Monarchia (senza data e senza nome del luogo e dello stampatore ; il testo finisce così : “En Madrid a dos de Febrero, de. 600. Por el Doctor Christoual perez de Herrera.”). – Cristóbal Pérez de Herrera : A la Catolica Real Magestad del Rey Don Felipe III. nuestro Señor : cerca de las formas y traça, como parece podrian remediarse algunos peccados, excessos, y desordenes, en los tratos, vestimentos, y otras cosas, de que esta villa de Madrid al presente tiene falta, y de que suerte se podrian restaurar y reparar las necesidades de Castilla la vieja, en caso que su Magestad fuesse seruido, de no hazer mudança con su Corte á la ciudad de Valladolid (senza data e senza nome del luogo e dello stampatore ; il testo fu scritto l’anno 1600). – Joan de Xerez y Lope de Deza : Razón de Corte. Estudio introductorio, notas e ilustraciones por Antonio T. Reguera Rodríguez (= Humanistas Españoles, 21). León : Universidad de León 2001. Sul dibattito suscitato dalla decisione di trasferire la Corte a Valladolid, cfr. l’Estudio introductorio (pp. 11-71) di Antonio T. Reguera Rodríguez alla sua edizione di Razón de Corte. Un’ultima, vasta apologia di Madrid sarà fatta da Alonso Núñez de Castro quando ormai nessuno metteva più in discussione il ruolo di capitale della città. Cfr. Alonso Núñez de Castro : Libro historico politico, solo Madrid es Corte, y el Cortesano en Madrid. Tercera Impression, con diferentes Adiciones : dividido en quatro Libros. Con Privilegio. En Madrid : Por Roque Rico de Miranda, Impressor de Libros, Año de M.DC.LXXV. A costa de Antonio Riero y Texada, Librero, y Familiar del Santo Oficio. Vendese en su Casa, en la Carrera de S. Geronimo (ed. facs. : Valencia : Librerías “Paris-Valencia S. L.”. Servicio de reproducción de libros. 1996). 96   In una delle Ordenes del Duque de Lerma de Parte de su mag.d, dadas à don P.o franqueza, alla fine del 1605, sul ritorno della Corte a Madrid, si comandava “que en la entrada de madrid no se ponga limite, pues la expiriencia ha mostrado que solamente sirue de aprouechar á sus ministros y de molestias y estorsiones á los subditos.” Cfr. A. G. de Amezúa y Mayo : « Introducción » a : El casamiento engañoso y El coloquio de los perros, p. 31, nota nro. 3. 97   Il Re e la Regina erano entrati nella città del Pisuerga il 9 febbraio 1601. A Madrid tornarono il 4 marzo 1606. Cfr. Narciso Alonso A. Cortés : La Corte de Felipe III en Valladolid. Valladolid : Imprenta Castellana 1908, p. 17, p. 67. 98   Sulla popolazione di Valladolid alla fine del XVI secolo cfr. B. Bennassar : Valladolid en el Siglo de Oro, pp. 188-196. Sulla popolazione di Valladolid nei primi sei anni del XVII secolo cfr. Adriano Gutiérrez Alonso : Estudio sobre la decadencia de Castilla. La ciudad de Valladolid en el siglo XVII, pp. 78-90. Thomé Pinheiro da Veiga (Fastigimia, p. 328) stimava che Valladolid aveva “quinze mil vizinhos”, cioè 67.500-75.000 (coeff. 4,5 o 5) abitanti. 99   Il Tribunale dell’Inquisizione e la Real Chancillería furono però trasferite, all’inizio del 1601, da Valladolid a Medina del Campo. Alla fine del 1604 la Real Chancillería abbandonò Medina del Campo e si installò a Burgos. Cfr. Don Gerónimo Gascón de Torquemada : Gaçeta y nuevas de la Corte de España desde el año 1600 en ade 























































una società apicarada

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zionari di Stato di ogni ordine e rango, agli ambasciatori, agli appartenenti alla Casa del Re e alla Casa della Regina, ai cortigiani con i loro famigliari e il loro numeroso seguito di domestici, servitori, lacché, paggi, scudieri, dueñas e schiavi, 100 a un folto numero di scrittori 101 e di artisti (architetti, pittori, scultori, musicisti), 102 anche una moltitudine di poveri, di vagabondi, di zingari, di pícaros, di avventurieri e avventuriere, di “rameras”, di “pretendientes” (“sepulcro de pretendientes” chiamava Quevedo la Corte 103) e di “sabandijas” – come scriveva Lope de Vega, 104 che preferiva vivere a Toledo – aveva invaso la città del Pisuerga. I prezzi delle abitazioni, 105 dei viveri e di tutte le cose di consumo quotidiano salirono vertiginosamente. 106 Uno spettacolo permanente, una festa continua anima Valladolid negli anni del soggiorno della Corte : cerimonie, ricevimenti, mascherate – molto amate da Filippo III 107 –, luminarie, fuochi d’artificio, processioni e riti liturgici, processioni di confraternite con gruppi di flagellanti, tornei cavallereschi, simulazioni di battaglie equestri, juegos de cañas, 108 corse di cavalli (montati, ovviamente, da nobili), banchet 



















lante, p. 20. – Narciso Alonso A. Cortés : La Corte de Felipe III en Valladolid, pp. 18-19, p. 37. – J. A. Escudero : La Corte de España en Valladolid : Los Consejos de la Monarquía a principios del siglo XVII , p. 483. 100   John H. Elliott (La Spagna imperiale, p. 362), riferendosi agli anni del regno di Filippo IV, scrive che il Conte Duca di Olivares aveva 198 tra servitori e domestici, il Duca di Osuna 300, il Duca di Medinaceli 700. (Antonio Domínguez Ortiz – La sociedad española en el siglo XVII, tom. I, p.. 278 –, dal quale John H. Elliott ha ripreso probabilmente parte di questi dati, ritiene che le 300 dueñas della Duchessa di Osuna e i 700 servitori del Duca di Medinaceli siano dati senza dubbio esagerati, ma che “dentro de estas exageraciones se ocultaba una indiscutible realidad”.) Tornato in Ispagna, Don Pedro Girón passeggiava per Madrid, prima di essere arrestato, con una scorta privata di cinquanta militari, giunti con il Duca da Napoli (cfr. Luis M. Linde : Don Pedro Girón, duque de Osuna. La hegemonía española en Europa a comienzos del siglo XVII. Madrid : Ediciones Encuentro 2005, p. 277). In occasione di una festa di carnevale del 1609 il Duca di Osuna era entrato, come abbiamo ricordato, nella Plaza Mayor di Madrid con duecento lacché in livrea. 101   Negli anni in cui vi risiedette la Corte, vissero a Valladolid – continuativamente o per lunghi periodi – Luis Vélez de Guevara, Quevedo, Cervantes, Góngora, Alonso Jerónimo de Salas Barbadillo (studiava Cánones all’Università), Pedro Espinosa (verso la metà del 1603 si era trasferito da Antequera a Valladolid dove strinse amicizia con Quevedo), Bartolomé Leonardo de Argensola, Vicente Espinel, Gabriel Lasso de la Vega, Don Juan de Tassis y Peralta (Conte di Villamediana), Agustín de Rojas Villandrando, Don Diego de Silva (Conte di Salinas) e tanti altri scrittori, fra i quali, naturalmente, l’autore della Pícara Justina. Cfr. Narciso Alonso Cortés : Noticias de una corte literaria, pp. 35-98. – Germán Vega García-Luengos : La trascendencia literaria de la Corte de Felipe III. Memoria sucinta del Valladolid más áureo. In : Valladolid Capital de la Corte (1601-1606). Dirigido por Jesús Urrea Fernández. Valladolid : Cámara de Comercio e Industria de Valladolid 2002, pp. 41-47. 102   Ricordiamo, fra i numerosissimi artisti, gli architetti Francisco de Mora e Diego de Praves, gli scultori Pompeo Leoni, Francisco de Rincón e Gregorio Feranández, i pittori Bartolomé e Vicente Carducho, Juan de Roelas e Enrique Trozo, i musicisti Mateo Romero, Géry de Ghersem, Juan Dufon ( Juan de Namur), Felipe Dubois e Martin Buset. Cfr. Adriano Gutiérrez Alonso, Juan José Martín González, et al. : Valladolid en el siglo XVII (= Historia de Valladolid. –IV). Valladolid : Ateneo de Valladolid 1982, pp. 111-302. 103   Francisco de Quevedo : Capitulaciones matrimoniales. - Vida de Corte y oficios entretenidos en ellos. In : F. de Q. : Obras completas. Edición de Felicidad Buendía. Obras en prosa. Madrid : Aguilar 1979, pp. 53-65 ; qui p. 58. 104   In una lettera del 4 agosto 1604 Lope de Vega scriveva da Toledo : “Dicen en esta ciudad que se viene la Corte a ella. Mire V. m. por dónde me voy a biuir a Balladolid, porque, si Dios me guarda el seso, no más corte, coches, caballos, alguaçiles, musicas, rameras, hombres, ydalguias, poder absoluto y sin P... disoluto, sin otras sabandijas que cria ese occeano de perdidos, Lhotos de pretendientes y escuela de desbaneçidos” (Epistolario de Lope de Vega Carpio, tom. III, p. 4). 105   Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, p. 331. 106   Cfr. i numerosi prezzi registrati da Thomé Pinheiro da Veiga nella sua Fastigimia (p. 218, pp. 337-339). Per un confronto con i prezzi degli anni anteriori all’insediamento della Corte, cfr. B. Bennassar : Valladolid en el Siglo de Oro, pp. 256-273. 107   Cfr. María Luisa Lobato : Nobles como actores. El papel activo de la gente de Palacio en las representaciones cortesanas de la época de los Austrias. In : Dramaturgia festiva y cultura nobiliaria en el Siglo de Oro. Coordinado por Bernardo J. García García – M. L. L. Madrid : Iberoamericana - Vervuert 2007, pp. 89-114 ; qui p. 93. 108   Una lunga descrizione dei juegos de cañas fa Barthélemy Joly nel suo Voyage en Espagne, 1603-1604 (pp. 565567).  













































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ti, saraos, 109 balli, feste parodiche, 110 toreos de caballeros (i grandi signori toreavano a cavallo 111) e corride dei toreri (i professionisti della tauromachia che combattevano a piedi contro i tori), 112 rappresentazioni teatrali 113 (per le piazze e le strade, 114 in corrales, a Corte 115 e in case private, nel corso di banchetti, di feste di ballo, di mascherate), esecuzioni di musica profana e religiosa, giochi acquatici. 116 Le strade principali della città sono percorse incessantemente da splendide carrozze, da variopinte portantine,  















109   Per il “saráo real”, che ebbe luogo il 16 giugno 1605, fu costruito nel Palazzo Reale di Valladolid un grandioso salone in legno con gallerie e finestre, illuminato da candelabri d’argento, ornato di fregi, colonne con capitelli, archi, figure allegoriche e varie altre “invenções”, opera di molti artisti rinomati. Costò “60 mil cruzados”. Cfr. Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, pp. 153-160. – Relación de lo sucedido en la Ciudad de Valladolid, desde el punto del felicísimo nacimiento del príncipe don Felipe Dominico Víctor nuestro señor, hasta que se acabaron las demostraciones de alegría que por él se hicieron, pp. 161-172. – Matías de Novoa : Memorias. Tomo I, pp. 257-260. – Sarao que sus Magestades hiçieron en palaçio por el ... naçimiento del príncipe nuestro señor don Filipe, cuarto deste nombre, en la çiudad de Valladolid, a los dieziséis del mes de junio, año de 1605. In : Teresa Ferrer Valls : Nobleza y espectáculo teatral (1535-1622). Estudio y documentos (= Textos Teatrales Hispánicos del siglo XVI, 1). Valencia : Universitat de València 1993, pp. 235-244. – Javier Pérez Gil : El Palacio Real de Valladolid, sede de la Corte de Felipe III (1601-1606), pp. 433-452. 110   Cfr. Luc Torres : Las fiestas paródicas en la Corte de Valladolid a través de las Relaciones de sucesos. In : La fiesta. Actas del II Seminario de Relaciones de sucesos (A Coruña, 13-15 de julio de 1998). Editadas por Sagrario López Poza y Nieves Pena Sueiro. Ferrol : Sociedad de Cultura Valle Inclán. Colección SIELAE 1999, pp. 339350. 111   Sulla tauromachia a cavallo cfr. José Campos Cañizares : El toreo caballeresco en la época de Felipe IV : Técnicas y significado socio-cultural. Sevilla : Fundación Real Maestranza de Caballería de Sevilla – Universidad de Sevilla – Fundación de Estudios Taurinos 2007, pp.86-90, pp. 141-157, pp. 289-357, pp. 621-684. 112   Thomé Pinheiro da Veiga (Fastigimia, pp. 117-128) descrive minuziosamente la “festa de canas e toiros”, data il 10 giugno 1605 per festeggiare la nascita del Principe Filippo (ed anche per impressionare gli ospiti inglesi), nella quale la Corte ostentò un lusso fiabesco. 113   Sulle compagnie teatrali, gli attori e le opere da loro rappresentate a Valladolid negli anni in cui vi risiedette la Corte, cfr. Narciso Alonso Cortés : Noticias de una corte literaria, pp. 40-49. Diversi dati sulle compagnie e le rappresentazioni teatrali ha raccolto anche Germán Vega García-Luengos : La actividad teatral de la Corte vallisoletana de Felipe III (1601-1606). In : Actes du Congrès International Théâtre, Musique et Arts dans les Cours Européennes de la Renaissance et du Baroque. Varsovie, 23-28 septembre 1996. Études réunies et présentées par Kazimierz Sabik. Varsovie : Éditions de l’Université de Varsovie. Faculté des Lettres Modernes 1997, pp. 205-225. 114   Il 9 giugno 1605 Thomé Pinheiro da Veiga annota nella sua Fastigimia (p. 117) : “Esta tarde e todo este oitavario ha comedias publicas, e dão aos comediantes mil ducados pelas andar reprezentando por las calles a todos os do Conselho real, Regimento e outras pessoas, diante das sua janellas ; e para isso têm sus carros grandes, que cada hum tem 34 palmos, e ajuntando dous reprezentam muy dezembaraçadamente, e nas cabeças têm casas e torres muy bem pintadas e douradas em partes e apozentos de que sahem, e assim correm toda a cidade.” Si tratta della rappresentazione di autos sacramentales in occasione delle celebrazioni del Corpus Christi, che erano finanziate dal Municipio e effettuate su alti e grandi carri trionfali che percorrevano le principali strade e piazze. Assieme all’auto sacramental venivano rappresentati entremeses per divertire il pubblico. Sappiamo, per esempio, che il 16 aprile 1609 Alonso Riquelme si impegnò, come autor (impresario-direttore di una compagnia teatrale), a rappresentare a Valladolid per il Corpus Christi “tres autos de las vidas e historias con un sacramental ... con tres entremeses y tres músicos en cada uno de los dichos autos, en los carros que para el dicho efecto me han de dar” (Archivo Histórico Provincial de Valladolid : Leg. 1.046, 16 IV ; cit. da Anastasio Rojo Vega : Fiestas y comedias en Valladolid. Siglos XVI-XVII, p. 31). Sugli aspetti ‘tecnici’ della rappresentazione di autos sacramentales cfr. Ignacio Arellano : Historia del teatro español del siglo XVII, pp. 63-64, pp. 97-99, pp. 698-705. 115   Ordini di pagamento – indirizzati dalla Regina al “Tesorero Francisco Guillamas Velázquez” e datati 30 gennaio, 14 luglio e 25 agosto 1603 e 2 ottobre, 20 ottobre e 29 novembre 1604 – a favore degli autores de comedias Nicolás de los Ríos, Juan de Morales Medrano, Antonio de Villegas e Gaspar de Porras, documentano la rappresentazione di numerosissime commedie a Valladolid e di una commedia a Burgos alla presenza – e quasi sicuramente nei suoi appartamenti privati – di Margarita d’Austria, grande appassionata di teatro (solo nel breve periodo compreso fra l’agosto e la fine di novembre del 1604 Gaspar de Porras rappresentò per la Regina dodici commedie). Cfr. N. D. Shergold y J. E. Varey : Representaciones palaciegas : 1603-1699. Estudio y documentos (= Fuentes para la historia del teatro en España, 1). London : Tamesis Books Limited 1982, pp. 43-46. 116   Sulle feste date a Valladolid durante la residenza della Corte, cfr. – oltre alle relazioni dei contemporanei e ai lavori degli studiosi sopra citati – Narciso Alonso A. Cortés : La Corte de Felipe III en Valladolid.  



















































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da eleganti cavalieri su superbi cavalli, da nobiluomini, nobildonne e alti funzionari accompagnati da paggi, scudieri e lacché (le nobildonne, naturalmente, anche da dueñas). I suoi dintorni sono meta di pellegrinaggi, scampagnate, gite e merende. Sempre presenti, i Grandi di Spagna, i Señores de título, i Principi e gli ambasciatori stranieri, 117 con il loro corteggio di cavalieri, paggi, hídalgos, scudieri e domestici, 118 fanno ostentazione di un lusso sfarzoso, di una pompa quasi fiabesca, per rendere omaggio al Re e alla Regina. Il Primate di Spagna, che nella ostentazione del lusso gareggiava con i Grandi e lo stesso Re, 119 gli Arcivescovi, i Vescovi, il Patriarca delle Indie, il Generale  





117   In occasione del “passeo de Sancti Spiritus” (1/2 giugno 1605), nel quale “se juntaram mais de 400 coches”, Thomé Pinheiro da Veiga (Fastigimia, pp. 91-94) elenca – elenco non completo perché, dichiara il Cavaliere di Cristo, “somente ponho os que vi e me mostraram”– 2 Principi (di Savoia), l’Ammiraglio d’Inghilterra (accompagnato da 4 Conti, 5 Baroni e da un altro Ammiraglio), 10 ambasciatori, 12 Duchi, 22 Marchesi, 34 Conti, 36 “Outros Senhores” (figli, fratelli, zii e cugini di nobili titolati, gentiluomini “de la Llave dorada”, Priori e Commendatori di Ordini Militari, membri del Consiglio di Guerra, ecc.), il Cardinale Arcivescovo di Toledo, l’Arcivescovo di Burgos, 4 Vescovi, il Patriarca delle Indie, il Generale dei Domenicani, 38 Padri Provinciali. Di diciotto dei grandi signori elencati Thomé Pinheiro da Veiga specifica il numero dei paggi e dei lacché che, ricchissimamente vestiti (lo scrittore descrive dettagliatamente i vestiti e le livree), li accompagnavano : erano, in totale, 402 (mediamente 22 per signore). Al Battesimo del Principe Filippo avevano preso parte “300 titulos e Senhores” (p. 75). 118   M. González de Cellorigo (Memorial de la politica necessaria, y vtil restauracion à la Republica de España, fo. 12r) elenca fra le diverse cause della distruzione dello Stato l’aver “puesto la authoridad y la honra, en aquello que mas nos daña, que es en la ociosidad, y en andar cargados de acompañamiento de gente ociosa, con lo qual sacan de los officios y del trabajo, y de las demas cosas vtiles al bien comun, à la gente que con la vida que tienen se haze inutil, viciosa de tales costumbres, quales de gente holgaçana”. Anche Pedro de Valencia (Discurso contra la ociosidad. 1608, pp. 165-166), che considera l’oziosità “como la causa total del aprieto en que se halla este Reino”, censura severamente la consuetudine del Re, dei nobili – dai grandi signori ai semplici cavalieri – e dei prelati di impiegare un numero eccessivo di criados, in particolare di paggi : “Avíase de ver si Su Magestad tiene mayor casa i más número de ministros i criados del que basta i solía bastar para su servicio i apparato de magnificencia i autoridad. Porque esto, demás del gasto que se recrece, occupa i haze ociosos a un gran número. Porque muchos o todos los criados de Su Magestad tienen criados, i criados de criados, i resulta con esto una gran multiplicación. También en casa de los ministros i los señores, grandes i prelados i cavalleros, se a acrecentado mucho en estos años el número de criados, i se sigue multiplicación de otros ociosos que los criados mayores ocupan en su servicio. Los señores fueran mejor servidos con menos número i escogido de criados, i no fuera tan grande el seminario de ociosos ; porque los que una vez entran allí, particularmente los pages, que entran muchachos, ni estudian ni deprenden officio ni cosa buena, sino los que escriben por las paredes ; generalmente salen viciosos jugadores, i no para soldados ni para trabajos útiles ; gravan a los mismos ministros i señores a quien sirven, con cuidado i obligación de acommodarlos después en comissiones i officios, escrivanías, alguazilazgos i otros entretenimientos nada en favor de la communidad, sino que salen hambrientos i van a robar a los pobres labradores i trabajadores. No es onra tener muchos criados ; de enfermedad i flaqueza es no bastarse a sí i aver menester a otros que nos compongan los cuellos, como si fuéramos mancos. […] Limítese el número de criados a los ministros i señores, principalmente de pages. […] El egemplo desto i de todo lo bueno a de començar de la persona i casa de Su Magestad […].” Pedro de Guzmán critica con eguale rigore i grandi signori spagnoli che si attorniano di gran numero di “pages, lacayos, gentilhombres, y oficiales” e che “libran gran parte de su autoridad y grandeza en esto, al reues de otros Principes, y señores de otros Reynos, que quieren mas emplear su hazienda en alaxas, y grandeza de casa, en joyas, riquezas, asi muebles, como raizes, que gastarla en hartar tantas bocas, y satisfazer a tantas personas ociosas ; que son la polilla, y carcoma de los mayorazgos, y haziendas de España” (Bienes de el honesto trabaio. 1614, p. 124). 119   “Entrou no mesmo dia [25 de Mayo 1605] o cardeal Arcebispo [Don Bernardo de Sandoval y Rojas] que vem para baptizar o Princepe. He o mais rico senhor ecclesiastico de Hespanha […]. O estado com que entrou foy muito grande e authorisado, porque […] trazia 300 criados comsigo e hum coche de carmezi com seis cavallos, que só trás El-Rey, e dous cocheiros, que só trazem os Grandes ; a libré dos Pagens e lacayos foy muy vistoza, porque trouxe 28 Pagens vestidos de grãa fina, côr dos Cardeaes, capa, roupeta e calças e com rocas nas mangas á Ingleza e as capas abertas á Franceza e com rayas á Tudesca e com muitas barras de veludo carmezi por todas ellas, com o que lustravam muito ; meyas de seda, sapatos brancos, gorras de veludo negro com plumas encarnadas, e espadas douradas, seys lacayos vestidos da mesma maneira ; quatro cocheiros com Vaqueiros de veludo carmezi, doze mossos de cavallo vestindo grã, 26 gentis homens de sua caza, de negro com cadeas de ouro, 18 Capellaens com muyto boas mulas, 12 meninos de capela de gorgorão, huma carroça com quatro cavalos entrapados ou manchados de branco e negro, tirante leonado, os melhores da Corte, quatro coches mais e 18 cavallos regallados muy fermozos” (Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, pp. 61-62).  





















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dell’Ordine di San Domenico, i Padri Provinciali, il clero secolare e regolare, assistono alle grandi cerimonie religiose (come il battesimo del principe ereditario, avvenuto il 29 maggio del 1605, il “dia de Pascoa do Spiricto Sancto”, il giorno, cioè, della Pentecoste 120). L’Ayuntamiento e il patriziato emulano i cortigiani e concorrono ai grandi lavori di trasformazione urbanistica, resa necessaria dalla presenza della Corte, e ad addobbare suntuosamente gli edifici della città. 121 Ritornato da poco a Valladolid, Thomé Pinheiro da Veiga, il 10 aprile 1605, giorno di Pasqua, va in carrozza con alcuni amici all’Espolón. Nella sua cronaca-diario (la sua Fastigimia Thomé Pinheiro da Veiga, che scherzosamente chiama se stesso “chronista Real”, 122 ora la definisce “chronica”, 123 ora “relaçoes”, 124 ora “confissoens”, 125 ora “memorias”, 126 ora libro di “lembranças saudozas” 127), il Cavaliere di Cristo descrive così la passeggiata invernale preferita dai vallisoletani :  

















Esta tarde he a das fermosas e dos vestidos novos e louçãos, em que vem a dar vista de suas pessoas, e trages no Esporão, que he uma salida de Inverno, a mais fermosa que tem Valladolid, porque está no muro da cidade sobre o rio Pissuerga, e fica como varanda em alto, com um peitoril com seus assentos e balaustres de ferro, que agora lhe fizeram, com que fica fermosissimo, principalmente com a fonte, que no meyo levantaram este anno, aonde vão tomar agoa, e merendar. Andariam mais de 300 coches com toda a bizarria da Corte, voltando sem outro intento mais que vêr e serem vistos e desenfadar-se. Está todo aquelle campo, com ser larguissimo, cheyo de todo o genero de mulheres assentadas no chão, cercadas de todos os ociosos em replicas e treplicas, e a ribeyra coalhada da mesma sorte de infinidade de barcos enramalhados, passando gente da outra parte do rio, que, entrando mais o verão, se passam a merendar debaixo das arvores, onde, em logar das flores e rosas, não deixam de dizer seus ditos ás diversas côres dos vestidos, que de longe parecem tão bem como de perto […]. 128  

Giunto a Valladolid circa un anno prima di Thomé Pinheiro da Veiga, Barthélemy Joly fa questa descrizione, nel suo Voyage en Espagne, del passeggio dei signori per le strade di Valladolid :  

Sur le vespere, ilz ont pour coustume ordinaire de s’aller promener par la ville, richement habillez, seulz dans leurs coches tirés par quatre ou six cheuaux, attelés telles fois trois de front, suiuis d’autres coches, si sont gens de qualité. Si c’est un moindre et que quelque homme de chambre ou seruiteur entre auec luy en carosse, il sera toujours teste nue, et eux, pour paroistre hommes d’affaires, tiendront, liront ou feront semblant de lire quelques liures ou papiers. S’ilz vont à cheual, ce seront cheuaux d’Andalousie de pris, qu’ilz noment regalados, c’est à dire mignons et bien traictés, harnachés au reste fort superbement. […] Oultre ce, ilz ont coustume de se faire porter par grandeur et delicatesse en chajses à bras, sillas de mano, faictes de toutes couleurs en forme de petites imperiales ; qui veult tire le rideau des costés, quelques unes ont des vitres. Les  

120   Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, pp. 74-84. – Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, pp. 245-247. – Matías de Novoa : Memorias. Tomo I, pp. 253-255. 121   Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, pp. 20-24, p. 31, pp. 41-42, pp. 63-64, pp. 69-71, pp. 74-84, pp. 91-99, pp. 117-128, pp. 153-160, pp. 330-335. 122   Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, p. 8. 123   Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, p. 358. 124   Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, pp. 177-178. 125   Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, p. 178. 126   Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, p. 7. 127   Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, p. 362. 128   Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, pp. 35-36.  





















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esclaues qui les portent sont d’ordinaire vestus de liurees à l’affriquaine et, pour accorder à la varieté des cheuaux, metifz ou mulastres, qu’ilz appellent mulatos, latin hybridas, et nous Mores blancqz, n’estant pas entierement noirs, mais d’une couleur liuide oliuastre. Ou bien se font porter par negres, de ceulx que nous appellons Mores, à grosses lippes, nez camus et poil bruslé, dont y a tel nombre à Valladolid que ne scauriés faire trois pas sans en trouuer un : neantmoins, le plus grand nombre de leurs familles sont pages et guarçons espagnolz et francois, bien vestuz de liurees de leurs maistres, qui est le plus souuent noire. Pour un maistre y a demye douzaine de guarçons louez par jour, par sepmaine ou mois, selon que ces Mrs maistres ont besoing de paroistre une fois plus que l’autre, et encor qu’ilz soient loués par an, ilz seruent de telle sorte qu’ilz sont tenus seulement de se trouuer au leuer de leur maistre pour l’accompagner par la ville jusque à l’heure du disner. Nos seigneurs donc en tel equipage d’habitz, coches, cheuaux, chaises et suittes de valetz, ayans faict un tour par ville, viennent prendre le fraiz au pré appellé Prado [de la Magdalena], plein de rafreschissemens et de recreation grande. Seigneurs et dames, caualliers s’y promenent à pied, en coche, ou sur leurs cheuaux, passans d’un bel air en allure lente, tant pour prendre le plaisir de ce lieu comme pour le donner aux autres. Les caualliers costoient la botte d’une carosse plein de dames ou suiuent la promenade en autre endroict de ce preau ; les uns s’entretiennent de discours ou lisent un liure soubz la foeuillee, autres escoutent le concert de violes ou bien chantent eux mesme, accordans leur voix auec le son des guiterres, passans ainsy le temps à ces gentilz et louables exercices à pied et à cheual, au controlle l’un de l’autre, de toutes sortes de qualité et condition, voire d’Eglise et de religion ; aussy ne se voit rien là que modestie, ceste assemblee tenant plus du silence que du bruict confus et indiscret de populace ou insolence de laquais. Je crois bien qu’il s’y faict d’aduantureuses rencontres de femmes de bonne volonté, mais au moings le scandale en est dehors. 129  







Vedere ed essere visti, distrarsi ; questa era la funzione principale che le passeggiate, in carrozza e a cavallo, all’Espolón o al Prado de la Magdalena avevano per i signori della Corte. Essere visti per ‘rappresentare’ il proprio ruolo. La ‘rappresentazione’ determinava naturalmente, nonostante tutte le ordinanze suntuarie, la gara nell’ostentare il lusso più sfrenato e l’eleganza più sfarzosa – anche nelle livree dei paggi e dei lacché 130 –. In occasione della processione organizzata nel giorno del battesimo del Principe Filippo – alla cerimonia parteciparono anche l’ambasciatore inglese (Ammiraglio Charles Howard, Conte di Nottingham) e il suo seguito –, sfilarono, scrive Thomé Pinheiro da Veiga, circa  



300 titulos e Senhores, quasi todos custosissimamente vestidos de gala, com calsas de canotilho de ouro e prata bordadas, ou negras, forradas ellas e as capas com tella ou seda, e couras de ambar bordadas, gorras com martinetes, cintilhos de peças de diamantes, botoens nas capas e roupeta de perolas, ou diamantes, cadeas de pessas, e isto todos sem exceição ; alguns com couras, capas e tudo o mais bordado. O que melhor sahio foy o Duque de Alva [Don Antonio Álvarez de Toledo y Beaumont, V Duque de Alba de Tormes], com capacoura, calsas bordadas de ouro de lavor de damasco, mas relevado em altura de dedo polegar de ouro fino e mey broslada de alguns vivos de seda, mas tudo bordado de ouro, que tinha a capa em pé, como de ferro. O segundo foy o de Prestana [Don Ruy Gómez de Silva de Mendoza y de la Cerda, III Duque de Pastrana], que sahio da mesma maneira de bordado de prata que se não enxergava e sobre que era armada a prata, e os remates de todos os lavores de granates, que lustravam muito, e lhe custou este vestido 5.000 cruzados […]. 131  



129

  Barthélemy Joly : Voyage en Espagne, pp. 569-570.   Cfr. – per esempio – la descrizione delle livree dei paggi e dei lacchè dei Grandi di Spagna e dei titolati fatta da Thomé Pinheiro da Veiga (Fastigimia, pp. 95-98). Quelle dei paggi e dei lacchè del Duca d’Alba e di Don Juan de Tassis erano le più ricche e sfarzose. 131   Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, p. 75. 130





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Ma alla fine, la gara di esibizione del lusso e dell’eleganza la vinse indubbiamente, apparendo improvvisamente dietro alla processione, il giovane Don Juan de Tassis y Peralta (dalla morte del padre, avvenuta il 12 settembre 1607, 132 sarà il II Conte di Villamediana), bello e raffinato, lodato dai contemporanei per il suo coraggio, la sua cultura e la sua generosità, 133 sempre fra i più eleganti della Corte : 134  



   

De traz da procição sahio D. João de Tassis, filho do Correyo mor [Don Juan Bautista de Tassis y Acuña, Conde de Villamediana], com o mais soberbo vestido e libré que se pode imaginar, porque sahio a cavallo com capa, coura, calsas, sapatos, gualdrapa, guarniçoens, redeas e athe antolhos do cavallo tudo hum, que era um bordado de canotilho de prata de lavor redondo, miudo, mas muy espêsso e com as rosas de altura de hum dedo e tanto, hum sobre outro, que parecia chapa de prata com basteoens e de nenhuma maneira se via que era bordado, que devia levar 60 arrateis [27,5 Kg.] de prata fina e a orla da gualdrapa de lavor muito mais levantado ; os forros de tella imprensada, cadea, botões e medalha tudo de diamantes, e a libré foy de fundos de ouro […] ; e, ainda que fés parvoisse em sahir a cavalo, lustrou mais que todos, porque hião a pé na procição e sem pagens, e assim mostraram os Ingleses grande alvoroço de o ver, como couza extraordinaria. 135  





Non mancava neppure l’autoparodia di tanto sfoggio di lusso, come quella che fu inscenata da Don Alonso Portocarrero, V Marchese di Villanueva del Fresno e signore di Barcarrota (chiamato comunemente Marchese di Barcarrota), amico di Quevedo, che gli dedicò l’Alguaçil endemoniado (altri esemplari manoscritti dell’opera recano la dedica al Conte di Lemos). 136 Ecco cosa ci racconta Thomé Pinheiro da Veiga di questo ricco signore (godeva di una rendita di trentamila ducati 137), che era presente a tutte le feste e cerimonie di Corte e che aveva una particolare predilezione per le burle e le battute scurrili :  





O Marquês de Barcarrota he muy bom homem de cavallo, mas doudo e alocado e tem ametade de Português, de que elle dis se preza muito ; estes dias se vestio de baeta, porque andava de dó, e tomou seis ou sete criados e rompeu-lhes a baeta, descobrindo a camisa e elle com os cotovellos de fóra, feyto D. Guinhapo, rindo-se das librés dos outros ; e assim andou manhãa e tarde do acompanhamento da Raynha. Passando elle á Sancti Spiritus, como he Marquês de Barcarrota, correram as cortinas humas senhoras e comessaram a gritar : « Rota vá la Barca » ; elle, chegando-se, respondeo : « màs rotas vais vós, putas » ; descobriram-se e, perguntando-lhe pela sua librè, disse : « Hermanas, quiero antes vestir uma duzena de dueñas que quando importa me desnudem, otra de donzellas como vós, que darlo á villanos ; por esso la que quiziere mi librea sigame ».  



























132   Cfr. Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 316. 133   Cfr. L. Rosales : Pasión y muerte del Conde de Villamediana. In : L. R. : Obras completas. Volumen 3. Estudios sobre el Barroco. Edición de Félix Grande, Antonio Hernández y Guadalupe Grande. Madrid : Editorial Trotta 1997, pp. 249-422 ; qui pp. 349-350. Quando l’ambasciatore inglese ripartì per l’Inghilterra, Don Juan de Tassis gli regalò sei cavalli “enjaezados, que valiam 6.000 cruzados” (Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, p. 162). 134   Cfr. Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, pp. 89-90, p. 121. – Luis Rosales : Pasión y muerte del Conde de Villamediana, pp. 351-352. 135   Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, p. 76. 136   Cfr. Luis Astrana Marín : Epistolario completo de D. Francisco de Quevedo-Villegas. Edición crítica. (Con extensas anotaciones, apéndices, documentos inéditos y una acabada bibliografía). Madrid : Instituto Editorial Reus 1946, pp. 25-26 (« Carta al duque de Osuna »), pp. 105-106 (« Carta a don Alonso Portocarrero »), pp. 540-541. – J. O. Crosby : Notas al texto. In : Quevedo : Sueños y Discursos. Tomo II. Edición de J. O. C., pp. 1031-1032. – P. Jauralde Pou : Francisco de Quevedo (1580-1645), p. 158, p. 189-190. p. 197. 137   Cfr. S. Martínez Hernández : El Marqués de Velada y la Corte en los reinados de Felipe II y Felipe III. Nobleza cortesana y cultura política en la España del Siglo de Oro, p. 508, nota nro. 43.  









































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Este, hindo uma noyte com humas Primas com Irmãas cazadas e com outras criadas, que hiam ao Plado, topou a justiça e, perguntando « que gente ? », respondeu : « putas, por vida delRey, que es la más y mejor gente de la corte ». 138  



   







Durante la visita dell’ambasciatore Charles Howard alla Corte spagnola, e precisamente il 7 giugno 1605, il Duca di Lerma offrì nel suo Palazzo “hum banquete esplendedissimo aos Inglezes”, che fu “dos mais notaveis e mais ostentação que ha muitos tempos se deu”. 139 Thomé Pinheiro da Veiga, che poté assistere al banchetto (ed anche alla commedia rappresentata alla sua fine) grazie alla gentilezza di un paggio del Duca, lo descrive così :  



Fizeram-se tres copas em tres cazas, huma que tomava toda a parede de alto a baixo, de degráos e da mesma maneira a parede fronteira para a prata, em que havia como 400 vazos, todos de invenção fermozissima, alem da plata ordinaria. Na outra caza estava a baixella de ouro e esmaltes, tudo pessas notaveis, que occupava meza e degráos de huma parede athe sima, cousa admiravel de ver : e na outra havia somente vidros e cristaes engastados em ouros, com pés, azas e coberturas de ouro e lavores por todo o corpo e os vidros de cores, couza nobilissima : de maneira que não sei que Rey da Christandade possa ter mais fermoza e mais rica baixella […]. O Banquete se deu em huma galeria grande, armada de brocados, 140 como as mais das cazas, onde puzeram 24 bofetes pelo meyo da caza para 80 peçoas, que comeram á meza com o Almirante, e com elle estando na salla muytos Senhores e titulares e muytas Damas e Senhoras rebuçadas, que todos entraram com assás trabalho. Estavam as mezas com guardanapos de figuras e o pão cortado de invençoens e os saleyros com toalhas de varias maneiras de flores e animaes, e os antes com flores, como selladas com castellos e lavores dourados e prateados. Serviram á meza 24 pages do Duque, de libré para aquelle dia de negro, couras brancas e cadeas de ouro e Mestre salla, copeiro e mordomo e outros criados da mesma sorte. Estiveram El-Rey e a Raynha vendo tudo por uma gelozia, que ficava defronte do topo da meza, escondidos e affirmam que serviram á meza 2.200 pratos de cozinha : o que mais foy para ver, os doces secos, os vidros de conservas, e, sobre tudo, a invenção de empadas de mil figuras, de castellos e navios, todo dourado e prateado.  







Concluso il banchetto, allietato per tutte le quattro ore della sua durata da “todo o genero de muzicas e instromentos”, fu rappresentato El Caballero de Illescas dalla compagnia di Nicolás de los Ríos (era, forse, la prima rappresentazione assoluta dell’opera di Lope de Vega, che fu pubblicata solo nel 1620, ma che si trova già menzionata nel famoso elenco - redatto verso la fine del 1603 - di commedie contenuto nel prologo premesso al Peregrino en su patria 141) :  



Houve comedia em hum jardim do Duque, todo entoldado por sima com vellas ; e assim as janellas, que vão ao redor dos arcos com vidraças : no topo se fès o theatro em baixo, e defronte se assentaram em duas cadeyras o Almirante e o Duque : no outro campo os mais Senhores Inglezes, em 24 bancos de encosto de velludo carmezi acolchoados. Nas janellas, ou arcos por sima da mão esquerda ficaram as Damas da Raynha, que vieram por  





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  Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, pp. 98-99.   Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, p. 109. 140   La più volte ricordata, ampia Relazione contemporanea – attribuita da alcuni studiosi a Cervantes – dei festeggiamenti organizzati a Valladolid dopo la nascita del Principe Filippo, descrive molto dettagliatamente il vasellame e soprattutto le tappezzerie (quelle di seta e oro raffiguravano le gesta gloriose degli antenati del Duca di Lerma). Cfr. Relación de lo sucedido en la Ciudad de Valladolid, desde el punto del felicísimo nacimiento del príncipe don Felipe Dominico Víctor nuestro señor, hasta que se acabaron las demostraciones de alegría que por él se hicieron. Al Conde de Miranda. Año 1605, pp. 131-135. 141   Cfr. Lope de Vega : Prosa, I. Arcadia. El peregrino en su patria. Madrid : Biblioteca Castro 1997, p. 410. – Emilio Cotarelo y Mori : « Prólogo » a : Obras de Lope de Vega publicadas por la Real Academia Española. Nueva Edición. Obras dramáticas. Tomo IV, pp. VIII-IX.  

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dentro todas á Comedia, e as parentas e Nora 142 do Duque : á mão direita ficaram alguns titulares e Senhores mas poucos e em hum arco d’estes me foy assentar o page do Duque e assim suspetei que a Raynha estava na varanda de fronte, porque, com ser a principal, estavam as vidraças corridas e a Mulher do Duque de Cea e mais Senhoras estavam em publico ; desconheci-a no rostro, por me paresser a mais fermoza, mas era por vidraça. Representou-se a comedia « Del Cavallero de Illescas », com 3 entremezes, que foram muy festejados dos Inglezes e muyto mais os bailles que entendiam melhor que a lingua : estiveram fallando o Duque e o Almirante, muy lustrozo e o mesmo os seus. 143  













In un’altra occasione furono rappresentate a Valladolid dalla compagnia di Alonso de Riquelme una commedia e una portuguezada, un genere di intermezzo burlesco che ridicolizzava i portoghesi 144 e piaceva molto al pubblico della Corte. Thomé Pinheiro da Veiga, che aveva assistito, una sera di metà luglio, con alcuni amici alla rappresentazione, descrive diffusamente la portuguezada, che ricorda molto gli spettacoli della Commedia dell’Arte :  



A comedia foy muy boa e a Portuguezada muy festejada, que eram dous fidalgos portuguezes, Affonso Fernandes e Gomes de Brito, que namoravam huma dama e lhe fôram dar muzica, com chapeos muy grandes e capuzes e botas de vaca e pandeiros e cada hum sua viola, e tudo era dar ays e no meio do baile : « minhos olhos, por Christo, que me mijo e cago por ti, e me escarrapizo todo », e outros destas. Vieram a prometer aneis com empreza ; e chamaram uns ourives e disse hum : « Haveis-me, ouvis, mestre ?, de fazer huma sortiga de prata fina como coral e nella huma pedra e na pedra huma cidade de Lisboa, com a Rua Nova, e na Rua Nova humas cazas com campanario e eu na rua sobre o meu cavallo pombinho ruão, com a minha lança na mão e a minha dama á janella, com os olhos postos no chão, e eu dependurado pelos seus cabellinhos, com o meu cavallo, e letra que diga : Gomes Brito, muy fidalgo, muy muzico, muyto namorado e muyto matante ; e, feito isto, vos darei, Mestre, hum tostão de cruz del Rey Dom João, que venceo os Castelhanos em Aljubarrota, e os fês beijar a todos o seu cavallo no olho do cú » ; e com estas parvoices e outra semilhante, medalha do outro, se matou de rizo. Parou o negocio em que vieram a parar os lanços athe quatro reales, sobre quem havia de levar a Dama : vieram ás gadelhas, prenderam-os, assoutaram-os ; e disse Gomes Brito que aos assoutes não tinha elle que fazer, que era honra, que tãobem os deram a N. Snr. Jesus Christo ; e mais que o que lhe faziam por detrás elle não era obrigado a dar-se por achado nisso, mas « quanto a hir em burro, tenho embargos, que sou muyto fidalgo, e hei de hir em hum cavallo, com huma gualdrapa de velludo, e o algós velhaco, descarapuçado ; e me ha de pedir licença todas as vezes que tocar na minha pessoa ». 145  



































La ‘conversazione’ delle dame castigliane Le ‘merende’, offerte in occasione di corride, di altri spettacoli e di gite, ed usate per corteggiare, 146 e le feste, spesso notturne, favoriscono gli incontri e la ‘conversazione’  

142   Narciso Alonso Cortés traduce “las parientas y nueras del Duque” (Thomé Pinheiro da Veiga : Fastiginia. Vida cotidiana en la Corte de Valladolid, p. 118). 143   Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, pp. 109-112. La Relación de lo sucedido en la Ciudad de Valladolid (p. 136) si limita ad annotare : “se representó una comedia, que fue recetada con general aplauso y gusto, y los reyes la vieron desde una gelosía”. 144   Nella Pícara Justina si trova questo aneddoto : “NO Se le puede negar al amor, que es inuentiuo, y que en trages y disfraces tiene la prima [...]. Digo pues, que con justo titulo, se le dan al amor de incentiuo [inuentiuo], pues muda y disfraça como quiere las gentes : Porque quien es tan poderoso para en vn instante trocar las almas, no es mucho que lo sea para trocar los vestidos, sino es que sean los vestidos del otro Portugues, que se vistio para morir, y dixo, aora mateme Deus, con condeçaon, que el dia do juyzio no me tire este vestido o truque que eo quiero que co o meo me faga Deus ben” (Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO QVARTO DE LA PICARA NOBIA. CAPITVLO SEGVNDO Del pretensor disciplinante », p. 9). 145   Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, p. 246. 146   In data 6 luglio 1605 Thomé Pinheiro da Veiga nota : “[…] couza notavel he ver as merendas destes dias,  

















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fra uomini e donne – grandi signore, ‘borghesi’ e popolane. Questa ‘conversazione’ è caratterizzata dal gusto per i giochi di parola, per i doppi sensi, per i soprannomi, per i motti arguti, per le battute taglienti e salaci, talvolta apertamente oscene, e da una sorprendente libertà di espressione delle donne della città e della Corte. 147 La Fastigimia ci offre numerose testimonianze di questa ‘conversazione’. 148 Qui di seguito riproduciamo alcune delle battute ‘registrate’ da Thomé Pinheiro da Veiga, 149 che sin dalla « Dedicatoria » celebra la “facilidade da conversação, viveza e presteza das respostas das damas castelhanas”, 150 considerate molto superiori alle portoghesi “na agudeza dos dittos e presteza delles” : 151  











   

[Venerdí Santo, 8 aprile 1605] Indo esta noite [la notte della nascita del Principe Filippo] em em que são tão prodigos, os ricos como os pobres, e alguns senhores as mandam levar descobertas ; e o Condestable [Don Juan Fernández de Velasco y Guzmán, V Duque de Frías, Condestable de Castilla] fês passadisso da sua rua ao palanque, por onde a trouxessem em publico, e para entrar sem sobir escadas ; e, como nas janellas estão ordinariamente Damas, os galantes, que as dão nestes dias, mostram suas finezas e ellas se prezam disso. E ordinariamente o modo de namorar não he tanto com interesse, nem se deixam vencer tanto de contado, como destes mimos e serviços (digo as Molheres de conta), e são tantos os doces, que se gastam nestes dias, que me disse a Portugueza, que he a melhor tenda, que gastava este dia 650 ducados de doces, por que o dera a muytos Conselhos ; e he couza incrivel dizer que ha em Valhadolid 105 tendas de doces, alem de outras miudas e taboleiros, onde se vendem biscochos, rosquillas, suplicaciones e couzas semilhantes, que não têm numero ; e por aqui se pode ver o que se gastará nestes dias. Havia, alem disto, em Valhadolid cazas de figones, que eram homens que tinham, a toda a hora do dia e noite, prestes todo o genero de iguarias, empadas, tortas, pasteis e todos os guizados e doces ; e, quando tãobem queria hum homem dar huma merenda, se consertava com elles que havia de dar tantos pratos, para tantas pessoas e em tal hora, por dés, quinze ou vinte mil reis, conforme queriam, e ellos mesmos davam a prata e punham a meza ; mas, porque destruiam a gente e ninguem se podia escuzar com esta comodidade, se prohibiram, pela pouca vergonha com que elles pedem e facilidade com que os officiaes fiam, pela brevidade com que executam ” (Fastigimia, p. 217). 147   La disinvoltura nella ‘conversazione’ delle donne era lamentata come una negativa evoluzione del costume. Pedro de Luján scriveva nei suoi Coloquios matrimoniales (Sevilla : Dominico de Robertis 1550) : “Cosa es de notar y de donaire ver que muchas mujeres presumen de decidoras, y graciosas y mofadoras, el cual oficio no querría yo que lo deprendiesen, ni menos que lo usasen, porque lo que en los hombres llamamos gracia en las mujeres llamamos chocarrería, que más deprenden algunas a chocarrear en una hora que a labrar en un año. Pues vemos que lo uno sabe muy bien hacer, y lo otro el aguja aun no saben tomar. Donaires, fábulas, cuentos feos y llenos de gansefatones, no sólo la que es honrada mujer ha de haber vergüenza de decirlas, mas aun de oírlas ha de haber muy grande empacho. La mujer honesta y grave no se ha de preciar de donosa y decidora, sino de honesta y callada, porque si se precia mucho de hablar y mofar, los mismos que se rieron del donaire que dijo, harán burla de la misma que lo contó, y murmurarán de quien se lo mostró, y aun della porque lo deprendió” (Coloquios matrimoniales. Edición de Asunción Rallo Gruss, p. 77). Oltre mezzo secolo dopo, Francisco de Luque Faxardo osservava nel suo Fiel desengaño contra la ociosidad, y los juegos (Madrid : Miguel Serrano de Vargas 1603) “ Ellas [las mujeres] son libres, mudables, pesadas, aprehensivas [...]. ¿Dónde están aquellos dorados tiempos, dónde la llaneza, encerramiento y virtud de las mujeres ; cuando no era gallardía, como agora, hacer ventanas con desenvoltura ? ¿Dónde está el encogimiento honestísimo que tenían las doncellas, arrinconadas hasta el día de su desposorio, cuando apenas tenían noticia dellas los más cercanos deudos ? Ahora, empero, todo es burlería, el manto al hombro, frecuencia de visitas ; no hay recato ni se guarda el decoro a las mayores. Apenas ha salido de infancia la doncella, cuando hace docena entre casadas ; ya las niñas dan principio a las conversaciones ; que si suelen tomar demasiada licencia en este caso, las madres tienen dello mucha culpa, dándoles mano, fuera de toda razón.” Cfr. Francisco de Luque Faxardo : Fiel desengaño contra la ociosidad, y los juegos II, p. 73. 148   Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, pp. 33-34, pp. 36-37, p. 37, pp. 37-38, pp. 46-48, p. 65, p. 67, p. 83, pp. 104-106, p. 113, p. 115, pp. 137-138, pp. 139-140, p. 143, pp. 151-152, p. 161, pp. 183-184, p. 185, pp. 186-188, pp. 194-195, p. 197, pp. 202-206, pp. 215-216, p. 219, pp. 223-224, p. 225, pp. 234-235, pp. 250-251, pp. 256-257, pp. 259-263, pp. 296-297, pp. 302-307, pp. 343-344, 346-347, p. 348, pp. 351-352. 149   Il giurista portoghese dedicava la giornata alle pratiche inerenti alla sua causa e la sera e le notti alle passeggiate e alle ‘conversazioni’ galanti, come risulta da questa annotazione, fatta il 19 luglio 1605 : “A segunda feyra, gastamos no Paço, a manhãa, nossos negocios como os mais, porque davamos a menhãa ao negocio e desde a huma athe as quatro ás vizitas dos despachadores e couzas de importancia, e ficavam-nos as tardes e as noytes para … romarias e saturnaes” (Fastigimia, p. 259). 150 151   Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, p. 14.   Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, p. 268.  







































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um coche com uns amigos, encalhamos com outro, aonde iam algumas senhoras moças, e no estribo da nossa parte ficava uma velha. Disse-lhe um dos nossos : « Señora Abbadesa, quisiera recogerme a hacer penitencia en esse Monasterio, aun que me cueste a ser guardian ». Respondeu : « No haria officio de buena Pastora en meter el lobo entre las Ovejas ». Replicou : « No ay que temer, que hace muchos dias que tengo perdido los memoriales (que no tiengo colmillos para morder), y soy tiple ». Respondeu : « Tan poco harè [hará] buen Maestro de capilla, que tantos tiples no pueden hacer buena consonancia ». Ficavamos muito juntos a uma tenda de brincos, e adereços de mulher ; disse uma das moças : « Hay ahi algun portuguez, que se enamore de mi ? que soy la màs linda (del bando), y me dè (compre) unas tocas, que no ay en mi casa blanca por aora ? » Respondeu Jorge Castrioto, que hia comnosco : « Por impossible tengo yo que donde V. Md. anduviere, falte ni blancas, ni cornudos ». E ella acudiu : « Y aun por esso ando yo buscando un portugues, por enriquecerlle [enriquecerle] en essa moneda ». Na mesma noite topamos com outro [coche] ; e, como eram tantos, não havia passar. Ouvindo-nos fallar, disse uma : « Hermanos sevozos, no me diran por que los llamam sevozos, siendo tan magros ? » Respondeu um amigo (Marcos Salgado) : « Señora Hermana, por las muchas manchas que avemos echado en las mejores ropas de Castilla ». Estava neste coche uma dama muy fermosa, desposada de pouco, chamada D. Juana Henriques, muy conhecida por avisada e fermosa ; e, por mais que vinha rebuçada, se deixou conhecer. Disse-lhe D. Pedro Cru, que hia comnosco : « Quiere V. Md., prestar-me uno de essos ojos, para traerle en una sortija para mal de corazon ? » Ella, rindo, lhe respondeu : « Llega V. Md. tarde, que ya los tengo engastados, y muy à mi gusto ». Como dissesse outros ditos muy galantes, lhe disse eu : « Por lo menos, Señora, puede V. Md. vivir muy confiada, que no avemos topado Dama mas avisada, ni cortesana que V. Md. ». Respondeu : « Doyle al Diablo ; tan fea le hè parecido (que me alaba de discreta) ? ». E raramente lhes dirão uma cousa que não respondam outra melhor ; mas, assim como têm bom pico, lhes falta a penna, porque não escrevem tão bem como as Portuguezas ; tudo pende do exercicio. 152 Andando nós em hum coche, davamos muitas voltas por outro, donde estava ao estribo huma donzella, filha de D. Catharina de Morcado, que vós conheceis, que se fez muy bonita ; e, parando nós huma vez, ella correu a cortina e cobriu o manto ; disse-lhe eu : – « Si servimos de nublado, y damos disgusto a V. Md., passaremos luego. » Respondeu : « Disgusto nò, mas andando y hablando, como decia la mujer del horcado. » Porque, detendo-se um enforcado em encommendar muitas cousas a sua mulher, dizem que lhe disse : « Marido, hablando y andando que se hace tarde. » 153 Tornando nós a parar outra vez, se enfadou, e voltou as costas, e disse eu : « Victoria !, que el inimigo nos buelve las espaldas » ; e ella, muy sosegada, respondeu : « Y la occasion la frente, para nò bolverla màs a voltar » ; e lhe tornamos : « No enlazan tan poco los hermosos cabellos ». 154 Indo nós a Cantarranas, emparelhamos com hum coche, de quatro ou cinco mulheres, e tres ou quatro homens, que nos começaram a dar vaya de « Portuguezes sevosos », e disse hum amigo : « Señoras, quantas vellacas van en la barca, y no responda sino el mayor cornudo ». E huma respondeu, muy depressa : « Hermano sevozo, respondendo por mi marido ausente, digo que sinco ; y, a nò quedar vuestra mujer con el cura, ivamos una buena media docena » ; e, como nos detivessemos, huma que hia daquella banda me chamou mil nômes ; disse-lhe que se lembrasse que me tinha tirado minha honra, que me havia satisfazer com a sua. Respondeu-me ella, apontando para outro estribo, onde hiam duas donzellas, que pareciam muito bem : « Darè una libranza para estotro quarto de las donzellas, que yo hà muchos dias que me tengo desquitado dessos puntos de honra ». E desta maneyra respondem com alegria, e ás vezes são honradas e vertuosas, e os nossos encautamentos [encantamentos] não tiram aventuras nem aventureyros. 155  































   



















   













   



















   























































































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  Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, pp. 33-34.   Il cuentecillo tradizionale al quale allude Thomé Pinheiro da Veiga è riferito da Juan de Timoneda e da Juan de Mal Lara. Cfr. Maxime Chevalier : Folklore y literatura. El cuento oral en el Siglo de Oro. Barcelona : Editorial Crítica 1978, p. 51 n. Cfr. inoltre Gonzalo Correas (Vocabulario de refranes y frases proverbiales. Edición de Louis Combet, p. 84) : “Andando y hablando, marido, a la horca. (Él deteníase a hablalla, y ella tenía ya 154   Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, pp. 36-37. gana de verle ahorcado.)” 155   Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, pp. 37-38.  

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[Domenica, 29 maggio, Pentecoste] (Dia de Pascoa do Spirito Sancto, á tarde, se fês o baptismo do Principe ). […] estando eu com outro amigo Portuguez, se nos encomendaram humas senhoras, das quais pareciam bem principaes e fermozas duas dellas ; e o luzitano, por não perder o custume, jugava de mãos, do que huma se me queixou, pedindo-me lhe dicesse não fosse Portugues, senão em ser bom namorado ; e, continuando elle, lhe disse huma : « yo di a V. Md. officio de guardian, digame que officio es ese de romperme mi sayo » ; respondeu elle : « señora, queria ser sumilher de corpus » ; e ella acudio logo : « pues los hombres cortezanos con las donzellas como yo, no han de querer ser mas que gentil hombres de la boca ; y, si V. Md. quiziere jugar de manos, jugaremos de chapines, yendonos para caza, y perderemos la fiesta, y la buena converçacion de V. Mds., que ès lo que mas estimamos » ; fis as pazes, dizendo que ficava por seu fiador. 156 8 de Junho [1605]. Vespera do Corpo de Deus, se fês, pela menhãa, ensayo da mostra da cavalaria da guarda de Castella, que está ordenada para os 11, que he huma das festas que se fás ao Almirante. […] Foy muyto para ver o concurso da gente e de coches que acudiram, que não havia lugar para se exercitarem, com ser o Campo, fermozissimo, muy raro e posto em alto e que tem mais de huma legoa em redondo ; haveria mais de 20.000 pessoas a vêr ; e, pela fermozura do campo, grande frequencia de gente, lustre das armas e diversidade das côres, foy huma das couzas que mais folguei de vêr. Estando nós parados, estavam duas mulheres môssas comendo cerejas ; disse-lhes Nuno Alvares Pereira, que estava comnosco, que o faziam como más vezinhas em nos não convidarem : levantou-se a menos fea e disse : « que en hora buena » : e offereceo o lenso com ellas ; e, tomando todos, dise eu : « Señoras, y V. Mds. dan todo lo que le piden ? » Acudio huma dellas, rindo : « señor, aqui nò damos sinò lo que tenemos delante ». 157 (12 de Junho [1605].) Andando nós já tarde, vimos o coche de D. Anna de Souza […] ; vinha no estribo huma dama moça, sua sobrinha, muy linda e muy engraçada […]. […] Despedindo-se, lhe disse em que a podia servir, fóra de zombarias. Respondeo-me : « de servicio » ; 158 acodi eu : « por delante quiziera yo servir a V. Md. y nò por detrás, como traydor » ; e ella : « sea de orinol, y no riñamos mas ya ». E não tinha 16 annos a innocentinha. 159 (24 de Junho, dia de S. João.) Esta tarde, andava o Conde de Cabra [Don Luis Fernández de Córdoba y Folch de Cardona y Aragón, Conde de Cabra ; 1606 : V Duque de Sessa], herdeiro do Duque de Seça [Don Antonio Fernández de Córdoba y Folch de Cardona, IV Duque de Sessa] passeando a cavallo, com outros senhores, o qual he tido por pouco avizado ; passando por hum coche de damas, lhe disse huma : « Conde, he aquelo que somos » ; de que elle se correu muito, e outros se mataram de riso ; fômos após ellas e, perguntando o enigma, disse huma : « Passava aquel nescio ayer por la ronda, y emparejando con este coche, viò un caballo, que mataran los toros, podrido ; y, queriendo decirnos un requiebro, dijo : “Señoras, he aquelo que somos”, y, porque conozcerse una persona es gran prudencia, se lo repetimos, por que se sepa como se conosce por caballo, y se precie de sus buenos concetos ». 160 27 de Junho [1605]. Na noite de S. Pedro ha as mesmas festas que na de S. João : já muyto tarde nos fômos ao Esporão, meu compadre Constantino de Menelao, Diogo Sodré Pereira, que levava hum ferrogôllo meu, e eu. Estando assentados, tomando ar, chegaram duas embuçadas, ama e criada, e disse a ama : « qual de V. Mds. serà buen juès en una duda que traemos ? » Respondeo Diogo Sodré Pereira : « yo soy buen juès, sin sospecha entre Damas, porque tengo pocas barbas » ; respondeo ella : « no lo quiero, que no serà juès recto, que yo le conozco, que no me harà derecho » ; proseguio Menelao : « aqui estoy yo, que soy gallo, y tengo cristas para julgallas con todo el  





















































   

















   























































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  Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, p. 74, p. 83.   Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, p. 113. 158   “SERVICIO. [...] el vaso, que sirve para los excrementos mayores” (Diccionario de Autoridades. Tomo VI, p. 99). 159   Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, pp. 138-140. 160   Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, p. 185. 157









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mundo sobre V. Md. » Respondeu ella : « esto quiero yo ; y, si canta a las 12 ; no harà tuerto a dueña, ni a donzella, como buen cavallero andante » ; quizeram-se hir, e de longe se virou e descobrio o rostro, e ameaçando a Diogo Sodré, e, por mais que se quis hir, a deteve, conhecendo-a […]. Era a Snr.ª D. Anna de la Matta …filha de hum fidalgo principal […]. Pedio-lhe que se assentasse entre nós, e elle, como homem acordado nas brigas, aproveitou-se de hum chapin, em que se assentou, dizendo que não era villão, que deixasse o pé pela mão. Despois de outros dares e tomares, disse eu : que contassemos cada hum seu conto : acodia ella : « yo armarè un juego, y ès, que, pues estoy entre tres cruzados portuguezes, me apoden todos, y el que mejor rezon deere de su dicho, se le haja un fabor a medida de su boca (contanto que no passe della), y el que peyor diere, embie por colacion ». […] Disse eu : « Parecesme bruja en encruzijada » ; disse Diogo Sodré : « Parecesme rincon de San Francisco con dos cruzes y una delante por que no semeen en el ». Disse Menelao : « No, sinò Sancta Helena, haziendo eleccion de las cruzes » ; e ella : « no parezco sinò Magdalena la buena entre dos ladrones » ; acodio Diogo Sodré : « condenada, porque me dexa sin figura ». Respondeo : « no, tu eres Longuiños ; que està delante caballero en el chapin » ; a isto disse elle : « desa suerte yo darè la lançada » ; Prosegui eu : « y yo, como Thomas, meterè la mano » ; e Menelao : « y yo, como Menelao, gozarè la Helena » ; la vellaca, sin pensar, dixo muy à prissa : « condenado en la colacion, porque se ha salido del Breviario, y dexò los Evangelistas por los Poetas » : que, para mim, foy lindissima sentença, e, por mais que se defendeu com a equivocação do nome de Helena, e ter eu falado no nome proprio, não se pôde revogar em vista, nem revista, e fômos ouvindo as suas picardias, dando ar, dias e horas como relogio destemperado. 161 (28 de Junho [1605].) Vindo já noyte pelo Prado, recolhendo-nos, se envolveo hum còrno na roda e, ao voltar, topava no encerado e não o deixava andar : dizendo ao cocheiro como parava ?, respondeo : « un diabo de un cuerno, que no dexa correr el coche » : acudio D. Maria : « puès moneda ès essa que corre » : detendo-se muyto em o tirar, disse eu : que o tomava em bom agoiro, pois pegára o corno tão fortemente na roda. Respondeo : « y con razon, pues puede V. Md. creer que ha hechado un clavo à la rueda de la fortuna » ; e disse D. Joanna : « buena tierra, y buen labrador, que en una tarde sembra y coge » ; acodio a outra : « y aun por esso me guardarè yo de alquilarlas a estrangeros, que, como no quieren propriedad, aprovechanse del alquiler, mientras dura el tiempo ». Deixamol-as hir no coche e ficamos nós no Prado, que estava fermosissimo, occupado, pelo rio, de coches e, pela ribeyra, de infinidade de mulheres, humas assentadas, outras bailando […]. 162 22 de Julho [1605]. Dia de Santa Maria Magdalena he hum dos mais fermozos dias que tem Valhadollid, porque, como a sua Igreja está no Prado que della toma o nôme, ha hum dos mayores concursos da Côrte que tem o anno. […] Esteve o Prado hum jardim de todas as flores e rozas da Corte, que, com baixarem muytas á Igreja, faziam parecer tudo mais formozo. Não logramos o Prado, por nos deixar D. Ursula a pé ; mas fômo-nos eu e Jorge Castrioto e outro amigo á Igreja, que achamos hum Paraizo. Rompemos por muytos bons panos athe nos assentarmos com hum P.e de S. Domingos, que era o P.e Thiedra, grande pregador, e outro companheyro, muy gentil homem e moço de capricho, e hum clerigo gordo como hum odre, mas muyto engraçado ; e, como bons Pastores, tinham diante hum fermozo rebanho, com uma Abelha mestra que revolvia a feyra. Nisto, passava uma moça de muyto bom rosto ; e, como não achava lugar, porque havia muyta gente, disse o Frade á velha : « dê V. Md., señora vizina, lugar a essa donzella, que es mi confesada ». Respondeo a velha : « confesada con tal padre, donzella como su madre ». Acodio ella : « y que ha V. Md. visto en mi para no serlo ? » Respondeo : « que tiene V. Md., mi señora, buena cara y muy rebuena gracia ». Acodio a isto huma das presentes : « y no halla V. Md. que haya en la Iglezia otras buenas caras, y que sean buenas ? » Respondeo ella : « la glorioza Magdalena, y yo, que somos de madera vieja, y seca ». Levantou-se o clerigo gordo, dizendo que se assentasse no banco,  







































































































































































   









   









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  Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, pp. 195-197.   Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, pp. 202-203.

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pois lhe não davam lugar. Respondeo ella : « perdone V. Md., que haze mucho calor, y no quiero estar entre cuero, y carne, como dizia la otra ». 163 Porque, hindo em hum coche dous clerigos, hum mais dado a Venus e outro a Baccho, disseram a huma embuçada no Prado : « mi señora, quiere V. Md. que la metamos aqui ? » e respondeo : « esso seria estar entre cuero, y carne ». 164  









   











Anche la Regina e le Duchesse, Marchese e Contesse, sue dame e dueñas de honor, non facevano eccezione e si divertivano con le parole apertamente oscene, come documenta il seguente aneddoto :  

D. Joseph de Cardona, menino da Raynha, de 20 annos, aragonês e filho de hum grande senhor, he muy simples ; e outros rapazes lhe meteram na cabeça que servisse a snr.a D. Maria Sidonia, que então era dama mimoza da Raynha e agora Condeça de Barajas. Ella, por gallantear, hum dia lhe pedio humas vergamotas que sabia que se não achariam ; foy ao Fruiteyro del Rey, que, despois de lhe afirmar que as não tinha, por zombar com elle, lhe disse : « mas vea V. Md. si quiere la señora D. Maria dos turmas [testículos 165], que ya puede ser que guste mas dellas » ; e, preguntando « si era buena fruita », lhe disse : « que muy linda, y de Aragon ». E hase de presupor que, como temos uvas que se chamam Coração de gállo, ha peras que se chamam turmas. Foi-se o D. Joseph a D. Maria e disse-lhe : « señora, no foy possible descobrir las vergamotas, mas, si vuestra señoria gustare de dós turmas, se las traherá, que son mejores, y gusta la Reyna d’ellas ». O Guarda damas lhe disse : « mirad en hora mala, D. Jusepe, como hablais, que os haré azotar ». Replicou : « digo verdad, que son turmas de Aragon, y las guarda el frutero para la Reyna ». Contou-me D. Cosme Çapata que andaram as damas 8 dias morrendo de rizo, de sorte que a Raynha, ao jantar, apertava com ellas que lhe dissessem a cauza, e que D. Maria mandara a huma rapariga que a contasse e que, com rizo, não comeu mais bocado : e diziam humas a outras se queriam fruita de S. Magestade ou de D. Jusepe. 166  













































La libertà delle donne non si limita alla parola. Il loro comportamento e i loro costumi sono altrettanto liberi. Thomé Pinheiro da Veiga scrive che la “soltura y liviandad” delle donne nella ‘conversazione’ è favorita dal fatto che “os Castilhanos nesta materia são muy pouco escrupulozos e largos de conciencia”. 167 Un esempio di questa larghezza di ‘coscienza’ dei castigliani, considerati “demaziado livres”, 168 è dato da Don Alonso de Ávalos (Dávalos), Commendatore di Ibernia, figlio del IV Marchese di Pescara. Scrive Thomé Pinheiro da Veiga :  





163   “Una señora que se llamaba Espinosa estaba en una sala sentada entre dos hombres, el uno gran bebedor y el otro muy vicioso de mujeres. Diciéndole una doncella que le traía un recaudo desde la puerta de la casa : – ¿Saldrá vuestra merced tan presto, señora Espinosa ?, respondió : – No, porque estoy metida entre cuero y carne.” (Melchor de Santa Cruz : Floresta Española. Edición, prólogo y notas de María Pilar Cuartero y Maxime Chevalier, p. 89.) Sull’espressione entre cuero y carne, documentata già nel Refranero (1527-1547) di Francisco de Espinosa (Madrid : Real Academia Española 1968, p. 90) e usata da Quevedo nell’Infierno (“eran Aduladores, y por esto bufones de entre cuero y carne”), cfr. la dotta nota di James O. Crosby alla sua edizione dei Sueños y Discursos di Francisco de Quevedo Villegas (Tomo II, p. 1174). 164   Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, pp. 295-297. 165   Cfr. María Inés Chamorro : Tesoro de villanos, pp. 792-793. 166   Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, p. 352. Le turmas ricorrono spesso nella poesia erotico-burlesca. Si vedano – per esempio – i romances burleschi di Góngora Diez años vivió Belerma (v. 129-132 : “donde sirven, la cuaresma, / sabrosísimos besugos, / y turmas, en el carnal, / con su caldillo y su zumo”) e Ahora que estoy de espacio (vv. 53-56 : “Veníame por la plaza, / y de paso vez alguna / para mí compraba pollos, / para mis vecinas, turmas”) e l’anonima Letra (“A la dama que en el hablar…” ; vv. 5-8 : “A la viudaza primero, / que con ascos y ternezas / llama borlas y bravezas / a las turmas del carnero”) del Parnaso español (ms. 3915 della Biblioteca Nacional di Madrid). Cfr. Luis de Góngora : Romances. I. Edición crítica de Antonio Carreira, pp. 257-267 (nro. 10), pp. 442-452 (nro. 25). – Pierre Alzieu, Robert Jammes, Yvan Lissorgues : Poesía erótica del Siglo de Oro, pp. 89-90 (nro. 58). 167   Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, pp. 143-144. 168   Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, p. 223. Più avanti (p. 245) lo scrittore portoghese scriverà : “na  

































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O bom D. Alonso de Aválos, cazado com huma das nobres e vertuozas senhoras da Corte, dizia, tratando da tirania que em Portugal se uza com as filhas e mulheres : « Diome Dios, y tomé yo mi muger por mi compañera y no por mi esclava ; entregaronmela sus Padres por hermana, y no por cautiva ; por muy mala la devo tener, pues fio della tan poco ; poco le devo querer, pues tomo para mi los gustos y dexo para ella las pesadumbres. Que ley consiente que la quiera para alivio en mis trabajos, y no quiera su compañia en mis gustos ? que en la afronta o nescecidad las lagrimas de sus mexillas sean el panisuello con que limpió las de mis ojos, y que en las occaziones de la alegria no sea su compañia el parrexil para mis gustos ? que, mientras la enamoro, ande azechando una occazion de fiestas para darle la ventana donde la saque en la plaza, y, tanto que es mi muger, le eche unos grillos a los piès, y cien caudados à la ventana de su caza ? Dieronmela sus Padres para vivir y no para morir solo comigo. Si llaman al cazar tomar vida, porque la ha de perder la muger que se caza ? Si al sancto matrimonio llaman jugo, porque ha de aver hereges que aparten lo que Dios juntò, y quieren que acompañe, y ayude a levar el yugo al labrar de la tierra y no al coger el fruto ? Desta suerte tienen sola la mitad de la hazienda, que vale menos, y nò en la vida y libertad que vale más : con que se paga a una muger el cuidado infalible de su caza, limpiar platos, ordenar comida dos vezes al dia, adereçar camas, y componer ellas, sinò con tener al Domingo para alivio de sus trabajos, puès hasta Dios, dise la Escriptura, se cansó de ordenar la caza, que puso al hombre en el mundo y descansó en el Domingo ? Es la differencia, de la vida y cuidados de la muger a la del marido, lo que ay de la vida del soldado a la del estudiante ; el letrado estudia toda su vida, el soldado en una sola hora se aventura a perderla ò gañarla. Los negocios de un hombre son de una hora en trienta dias, el cuydado de una muger ès de trienta horas en un dia ; apretemos màs el negocio ; vasse mi muger a holgar, con sus amigas ò criada en un coche, dizele el otro galan que es hermoza, dale un ramillete ò sea una merienda, llegamos a lo impossible que tropiesse al pié de un arbol como Eva, ella buelve à la noche para caza muy contente y alegre y traye mas una lecion : quem moriò señores ? ». 169  































   



Ancor piú spregiudicato di Don Alonso de Ávalos era Don Cristóbal de Velasco y de la Cueva, VI Conte di Siruela, che in una conversazione, parlando dei corteggiatori della moglie, D. Isabel Manrique de Vargas, esclamò : “juro a Dios que no sè que quieren a la Condeça estos sus galanes ; deseo desenganarlos que tiene las mas flacas piernas, que no valen 4 maravedis e custaran màs de 50.000 cruzados a partes”. 170 (Thomé Pinheiro da Veiga chiosa maliziosamente l’esclamazione del Conte con il riferimento ad un aneddoto licenzioso : “alguns … podiam responder, como o Cura : Bem o sei, compadre.”) La tolleranza di Don Alonso de Ávalos e la cinica spregiudicatezza del Conte di Siruela non possono certamente venire generalizzate. Thomé Pinheiro da Veiga, che loda “o animo dos Senhores de Castella, que não matam logo, nem se dão por afrontados, mas vivem e deixam viver a gente”, 171 afferma però esplicitamente che alla maggior parte dei castigliani non importano le corna (“os mais não fazem caso dos cornos e o a que chega a honra he o a não querer averigualos”), che addirittura alcuni mariti alle corna “dão a occazião com a muyta liberdade e dissolução com que deixam proceder as mulheres”, 172  













verdade, o trato da gente lá [os Castilhanos] he facilissimo e liberdade muyta”. E arrivato in patria, annoterà con sollievo : “Cheguei, finalmente, a bejar a doce terra de minha amada patria, livre do cativeiro de tanta liberdade…” (p. 317). 169   Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, pp. 144-145. 170   Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, p. 190. 171   Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, p. 160. 172   Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, p. 188.  









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e che “em Castella não pesam tanto os cornos”. 173 E il Cavaliere di Cristo non si limita a fare queste affermazioni, ma le illustra con vari casi ed esempi concreti (l’esistenza delle persone menzionate nella Fastigimia, che non essendo opera scritta per la pubblicazione non ha alcuna necessità di mascherare nomi e di omettere circostanze, è in parte testimoniata da documenti di archivio ; 174 in altri casi si tratta di nobili conosciuti). Ecco un paio di esempi di mariti ‘compiacenti’ e di mariti cornuti e contenti :  

   



Aqui me mostraram hum infame do habito da Monteza, que, com ser muy nobre, concentia que a mulher vivesse amancebada com hum conego de Tolêdo, e, porque ella se inclinou a outro, que tinha menos annos e menos reales, o conego lhe pedio que a atemorisasse, pelos ciumes que tinha e, com preço feyto, o acometeo, achando-o em casa, e o matou. A mulher se acolheo aqui á penitencia onde está e elle anda muy confiado. Lope Garcia de la Torre conheceis vós que deixa sua mulher, muy dama e fermosa, jogando os 200 e 300 cruzados athé a menhaã e elle vai-se deitar, e, quando a chama, responde : « Lope Garcia, callad y dexadme ; no quereis, Lope Garcia ? Cervantes, dadme aquella palmatoria, veremos si le hajo callar : como jogare lo vuestro, reñid ; mientras juego lo mio, callad » ; e a verdade he que estes taes o sabem e dissimulam, porque são as propriedades que mais lhes rendem e os dotes de que vivem. E tinhamos assentado em Castella que, se não são qual e qual, os mais não gastam nada, nem com joyas, nem com vestidos das mulheres, e as ganham as moças com palavras ou obras, e as velhas com a sua boa industria. E assim ouvi a D. Maria Telles, minha visinha, gritar, huma noyte, sobre seu marido lhe querer empenhar hum vestido, dizendo : « mis joyas, mal hombre, distemelas tu ? Custarante tus dineros ? En seis años que estoy casada contigo, si Dios y mi Madre me las dan, quieresme las tu quitar ? Mal año, que antes me quitaras el pelejo [pellejo] que el vestido ! » E he sua lingoage : « D.[on] N. ès mi galan, sirveme, regalame mucho ; hulana ès muy servida y regalada de un muy principal caballero » ; e prezam-se disso e fazem conta che senza amante /Saresta [sareste], come incolta [inculta] vite in orto, / che non ha palo ove s’appoggi, o piante 175 […]. E, assim, me lembra a este proposito que, estando zombando D. Fernando com hum criado nosso, dizendo que o queria cazar com huma criada, entre outras leys que lhe dava, era huma, « y no seràs muy especulativo en preguntar donde vino lo que hallares en casa » : e assim o fazia elle. Por onde, dizia hum amigo meu : « mofino el hombre que no es cornudo, porque tiene mala cama y mala meza, muger fea y poco regalo » : e por isso ficou o proverbio de chamar aos ditozos cornudos, porque não ha melhor ventura que terdes mulher fermoza e, sem pôr nada de caza, ter por tributarias as alheas e a mulher alegre, que, por que vos caleis, vos fás mil mimos. […] Bem conhecestes D. Maria Gadiel, que dizia ao marido : « Cornudo y mohino, no le hè visto como tu lo eres ! » (estando jogando com elle e outros) ; e, quando o D. Gabriel vinha em má conjunção, lhe dizia : « Que hazes aora en casa ? Vete a holgar, que han de venir acà unos caballeros, a holgarse, y tu eres muy triste y afrentasme ». E aqui está hum aguador que tem huma mulher bem assombrada ; e, quando vem a noyte, vem cantando, e, se a mulher tem recado, assobia da janella, e dá elle outra volta em quanto se fregem os ovos. 176  

























   





























   

















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  Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, p. 357.   Cfr. – per esempio – quanto scrive Narciso Alonso Cortés, grande conoscitore degli Archivi e della storia locale di Valladolid, a proposito della documentata esistenza del Lope García de la Torre che menzioneremo subito qui di seguito. Cfr. Thomé Pinheiro da Veiga : Fastiginia. Vida cotidiana en la Corte de Valladolid. Traducción y notas de Narciso Alonso Cortés, p. 184, nota nro. 40. 175   Ludovico Ariosto : Orlando Furioso, canto X, ott. 9 (Tutte le opere di L. A. A cura di Cesare Segre. Volume I. Milano : Mondadori 1964, p. 196). 176   Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, pp. 189-191. Sull’esistenza di molti mariti ‘compiacenti’, cfr. anche Agustín de Rojas Villandrando : El viaje entretenido. Edición, introducción y notas de Jean Pierre Ressot, p. 455.  

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Naturalmente non si può generalizzare, lo ripetiamo. Ma la cronaca di Thomé Pinheiro da Veiga contiene la relazione di molti episodi che contraddicono radicalmente i tradizionali stereotipi sul delicatissimo senso dell’onore, sul pundonor degli spagnoli del Siglo de Oro, derivati soprattutto dalle opere di moralisti e di teorici della dottrina nobiliare e, in particolare, dalla letteratura e dal teatro 177 (le comedias burlescas si burlano però dei ‘valori’ – in particolare, dell’onore ! – celebrati e propagandati nelle opere serie 178). E questi episodi ci costringono a rivedere e a relativizzare certe idées reçues e ad auspicare un’indagine – da condurre elaborando, tra l’altro, cronache e relazioni contemporanee 179 e, soprattutto, la documentazione contenuta negli archivi inquisitoriali, giudiziari, 180 notarili e parrocchiali dell’epoca – su i comportamenti e i costumi concreti, sulle mentalità. È necessaria la verifica empirica della coincidenza, o della divergenza, esistente fra i valori proclamati nei documenti ‘ideologici’, letterari e giuridici – contrastati comunque dalla morale cristiana 181 (ma le stesse leggi sull’adulterio, pur severissime, concedevano  











177   Cfr. – per esempio – Américo Castro : Algunas observaciones acerca del concepto del honor en los siglos XVI y XVII. In : Revista de Filología Española, Tomo III, Cuaderno I.° (Enero-Marzo 1916), pp. 1-50. – José Antonio Maravall : Poder, honor y élites en el siglo XVII. – Claude Chauchadis : Honneur, morale et société dans l’Espagne de Philippe II. 178   Disponiamo ora della bellissima raccolta diretta da Ignacio Arellano : Comedias burlescas del Siglo de Oro. Edición del GRISO dirigida por I. ArellanoTomo I-VI (= Biblioteca Áurea Hispánica, 3, 13, 16, 19, 20, 47). Universidad de Navarra – Iberoamericana – Vervuert 1998-2007. 179   Javier Salazar Rincón scrive che “la lectura de muchas crónicas y relatos de esta época ... y su cotejo con otros datos históricos, nos lleva a la conclusión de que las relaciones sexuales eran entonces bastante más espontáneas, desinhibidas y libres de lo que solemos imaginar hoy en día” (El escritor y su entorno. Cervantes y la Corte de Valladolid en 1605, pp. 146-147). José Deleito y Piñuela, che intitola « El desenfreno erótico » la prima parte del suo libro sulla Mala vida en la España de Felipe IV, scrive : “La inmoralidad de la España de Felipe IV se manifestaba en todos los órdenes por una escandalosa corrupción de costumbres. Muy típica era la sensualidad desenfrenada. Se ve en múltiples relatos de la época, y la reconocen los más especializados historiadores modernos. [...] La licencia sexual era mayor en las clases elevadas [...]”. E ancora : “El adulterio en la mujer no fué, ciertamente, tan general y tan admitido como el del hombre ; pero se dió con progresiva frecuencia a lo largo de la época que nos ocupa. [...] Rigurosas, y aun homicidas, eran la moral conyugal teórica y la ley respecto a deslices femeninos – aquel sanguinario honor calderoniano que ha quedado en proverbio – ; aunque, en la práctica, si algún esposo era implacable con la infelidad femenina, otros tenían para ella un perdón débil, generoso o cristiano.” Cfr. José Deleito y Piñuela : La Mala vida en la España de Felipe IV. Libertinaje – Prostitución – Venganzas, crimenes y atentados – Ladrones y bandoleros – La vida picaresca – Los bajos fondos matritenses – Los mendigos – El juego. Prólogo del Doctor Gregorio Marañón. Segunda edición. Madrid : Espasa-Calpe 1951, pp. 9-10, pp. 23-24. 180   Un’analisi puramente statistica dei casi di adulterio degli anni 1581-1621, fondata sull’Inventario “general de causas criminales de la Sala de Alcaldes de Casa y Corte”, la offre Enrique Villalba Pérez : ¿Pecadoras o delincuentes ? Delito y género en la Corte (1580-1630). Madrid : Calambur 2004 (= Biblioteca Litterae 5), pp. 230-242. Sull’importanza dei documenti giudiziari – sia civili sia inquisitoriali – per la ricostruzione della storia sociale e della storia delle mentalità, ha richiamato l’attenzione Bartolomé Bennassar : Contribution à l’étude des comportements en Andalousie à l’époque moderne : vivre à Andújar au début du XVIIe siècle. In : Les mentalités dans la Péninsule Ibérique et en Amérique Latine aux XVIe et XVIIe siècles. Histoire et problématique. Actes du XIIIe Congrés de la Société des Hispanistes Français de l’Enseignement Supérieur (Tours, 1977). Tours : Publications de l’Université de Tours 1978 (= Série « Études Hispaniques », I), pp. 85-100. 181   Riguardo specificatamente all’adulterio, la morale cristiana condannava l’uccisione dell’adultera e raccomandava la tolleranza e la prudenza al marito offeso anche con ben fondati e razionali argomenti ‘mondani’ : l’uccisione dell’adultera rendeva pubblico e manifesto il disonore e infamava cosí per sempre l’intera famiglia, suscitava, inoltre, l’inimicizia dei parenti dell’uccisa ed esponeva il marito alla loro vendetta, provocava, infine, grandi danni economici ; con il perdono il marito offeso si sarebbe invece assicurato la gratitudine, l’amore e l’obbedienza della moglie adultera. È quanto si legge – per esempio – nel Carro de las donas : “Allende de lo que ya emos dicho (que el hombre deve de hazer por no matar a su muger aunque le cometa adulterio [si riferisce a quanto esposto nei capitoli precedenti : « Que enseña lo que deve hazer el casado quando sabe ciertamente que su muger le comete adulterio » ; « Que muestra de quán gran nobleza usa el hombre que no mata a su muger »]), deve también de considerar que, quando el hombre mata a su muger adúltera, queda infame entre los hombres y enemigo de Dios, porque por haverla muerto no se escusa de dezir que ella fuesse su muger y él su marido,  





























































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al marito la facoltà di non punire la moglie adultera e di perdonarle il fallo commesso 182) – e i reali modi quotidiani di vita e di comportamento delle persone dei vari ceti e gruppi sociali nei diversi ambienti (urbani, rurali) e nelle diverse regioni. Ben lungi dall’uccidere al solo vago sospetto di adulterio, i mariti castigliani – assai poco ‘calderoniani’ – preferiscono chiudere gli occhi anche difronte agli indizi più vistosi dell’avvenuto tradimento. Dopo aver ricordato diversi casi di questo comportamento ‘tollerante’ dei mariti – tolleranza confermata non solo dai moralisti, 183 ma anche da un economista come Martín González de Cellorigo 184 –, Thomé Pinheiro da Veiga scrive :  







y en aquella publicación házesele grande afrenta y vergüença y gran injuria a sus hijos, porque serán de todos menospreciados por aquella pública execución. También deve considerar el mal que se le puede seguir en competir con los parientes de su muger, los quales luego trabajarán por le matar. Deve también considerar el gran daño que se le sigue en su casa y hazienda, porque todo se le perderá y destruyrá, y luego yrá desterrado de su sossiego con gran corrimiento de su honrra y persona. Por lo qual, deve considerar que grandes príncipes y señores encubren y disimulan tales cosas como éstas, teniendo respecto a su honrra, que se podría perder si lo presumiessen castigar [...]. E si tu muger es cuerda, viendo cómo tú usas con ella de liberalidad perdonándole tú su error, se corregirá y se apartará de te ofender, y de aý adelante te obedescerá y servirá con mayor voluntad que hasta aquí, y amará más que a sí mesma porque pensará la gran bondad y nobleza que usas con ella y, confiando della, te será de contino mejor.” Cfr. Carro de las donas. Valladolid, 1542. Adaptación del Llibre de les dones de Francesc Eiximenis O.F.M. realizada por el P. Carmona O.F.M. Volumen I. Estudio y edición de : Carmen Clausell Nácher (Colección « Espirituales españoles »). Madrid : Fundación Universitaria Española – Universidad Pontificia de Salamanca 2007, pp. 352-353. Nel già ricordato Libro intitvlado, Vida politica de todos los estados de mugeres (Alcalá de Henares : Iuan Gracian 1599), Fray Juan de la Cerda scriveva : “Yo querria que me dixesse el Christiano quando mata a su muger, que es que le lastima y ofende ? Dira, que los dichos de las gentes, y el ser tenido por hombre infame, por auerle cometido adulterio su muger, y auerla perdonado, pudiendola matar. Vno de los grandes errores que ay en el mundo, es, que quiera el hombre con acuerdo, y de su voluntad, hazer vn tan gran mal, como quitar la vida a vna mujer que en otro tiempo tanto quiso y amo : por solo cumplir con los hombres malos y mundanos, y satisfazer al vulgo, que todo lo que piensa es vanidad y error : y no ay cosa mas lexos de lo justo y de la verdad, que lo que por opinion tiene” (fol. 391r-v). Faceva quindi suoi gli argomenti di Francesc Eiximenis trascrivendoli quasi parola per parola : “Para no matar el hombre a su muger adultera, deue considerar, que quando la mata, queda infame, entre los hombres y enemigo de Dios : porque por auerla muerto, no se escusa de dezir que ella fuesse su muger, y el su marido : y en aquella publicacion, hazesele grande afrenta y vergüença, y grande injuria a sus hijos : porque seran de todos menospreciados por aquella publica execucion. Deue considerar el mal que se le puede seguir, de la enemistad de los parientes de su muger : los quales podria ser que desde luego procuren matarle. Deue tambien considerar el gran daño que se le sigue en su casa, y hazienda : porque todo se le perdera y destruyra : y el auer de verse desterrado de su sossiego, con grande deshonor y afrenta de su persona. Por lo qual, considere, como grandes señores, Principes, y Reyes, encubren y dissimulan tales cosas como estas : teniendo respecto a su honra, que se podria perder, si lo presumiessen castigar. [...] y si la muger es cuerda, viendo como su marido vsa con ella de liberalidad, perdonandole su yerro : se corrige y aparta de ofenderle mas, y de alli adelante le es muy obediente, y le sirue con mayor amor y voluntad que hasta entonces : y le quiere como a si mesma” (fol. 395r). Sulla posizione dei moralisti e dei confessori sull’adulterio – non tutti erano inclini all’indulgenza come Francesc Eiximenis e Fray Juan de la Cerda, ma quasi tutti condannavano l’uccisione dell’adultera –, cfr. Claude Chauchadis : Honneur, morale et société dans l’Espagne de Philippe II, pp. 87-95. 182   Cfr. Las Siete Partidas del sabio Rey don Alonso el nono, nueuamente Glosadas por el Licenciado Gregorio Lopez del Consejo Real de Indias de su Magestad. Tomo III. Setena Partida, Tit. XVII, fo. 65r-70r. – Hugo de Celso : Reportorio Vniversal de todas las leyes destos Reynos de Castilla, fo. xv-xiir. – Manuel Bermejo Castrillo : Las Leyes de Toro y la regulación de las relaciones familiares, pp. 505-513. 183   Fr. Alonso de Cabrera – per esempio – si rammarica dell’indulgenza con cui attualmente è considerato l’adulterio femminile : “Qué mal opinado fue en los tiempos antiguos el adulterio, qué aborrecido, como detestable maldad, infame, y qué liviano parece ahora, que sin duda es mayor pecado, por la injuria que se hace al matrimonio santo, que en nuestra Ley es Sacramento, no habiendo sido en las otras sino contrato de naturaleza !” E ancora : “la injuria que en el adulterio se hace, no hay cosa en el mundo con que se pueda recompensar. El hombre de punto y sangre en el ojo no se contenta con otra satisfacción, sino con muerte de los adúlteros. Y no perdonerá por ruego, ni por dineros, aunque sean muchos. Era ley de Dios que muriesen ambos. Ya esa no obliga ; pocos vemos justiciados, mil rogadores se oponen luego (no sé con qué misericordia) ...” (Sermones del P. Fr. Alonso de Cabrera de la Orden de Predicadores. Tomo I. Con un discurso preliminar de Don Miguel Mir, pp. 268-269, p. 270). 184   Parlando delle cause della crisi demografica, l’Avvocato della Real Chancillería di Valladolid scrive : “Distrae mucho ansi mismo de la procreacion, el no ser castigados los delictos, y excessos de las mugeres, que  





















































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Vêde agora onde aqui cabem os ciumes, pois ha de haver esta liberdade pouco mais ou menos e, se he necessario para vencer de crime de adulterio que concorram todas as prezunçoens do Direito Canonico – solus cum sola, in eodem lecto, sub eodem tecto –, pois inda que hum homem saiba que sua mulher está merendando em huma horta con huns fidalgos, ou os veja em um coche, dis que foram picardear, ou que foy com outras amigas, como sempre vão, e que zomba delle, porque lhe dá joyas. E, como isto he licito, ou pelo menos não he peccado capital, callam-se as testimunhas, por não levarem o premio do corvo e respondem que bem sabem o que tem em suas mulheres. […] E cada dia vemos que, diante das criadas, criados e cocheiros, fazem quantas dezenvolturas querem e elles muy facilmente dizem quem as serve, e não ha encubrir de nenhum amigo, nem criado do galante, e mais nada ha mexericar ; assim porque he moeda que corre, como porque se não fás caso disso, e estão moendo as criadas e deitando-as de casa no mesmo dia em que foram testimunhas e partes, sem haver quem mexerique, que he grande alivio de caminhantes. 185  



Si potrebbe, ovviamente, considerare soggettiva, se non addirittura malevola e volutamente parziale, la testimonianza del portoghese. Ma Thomé Pinheiro da Veiga è, nei suoi giudizi, molto equilibrato ed è ben lungi dal voler tracciare un ritratto negativo dei castigliani e delle castigliane per far risaltare le ‘virtù’ dei portoghesi e delle portoghesi. Ammira anzi i castigliani per la loro tolleranza, fonte di allegria, e il loro modo di vivere, libero dall’ossessione dell’onore e dei suoi ‘puntigli’, che contrasta con la cupezza e la tetra mentalità dei portoghesi. Dopo aver descritto vari casi di insouciance dei castigliani nei confronti del problema di quell’onore che, scriveva Quevedo, “està junto al culo de las mugeres”, 186 Thomé Pinheiro da Veiga, infatti, scrive :  



Segue-se deste mal hum bem, que he andar a gente sempre alegre e com a cara chea de riso e não com as nossas carrancas, vicio do Diabo e dos precitos, pois nunca pintor pintou hereje nem Diabo bem assombrado. E assim, quando Deus vio a Caim, as palavras que lhe disse fôram : quare decidit vultus tuus ? porque andas com o rostro baixo e carregado que parece que trazes morte de homem ás costas e pareces Portugues ou açoutado ! e, na verdade, em Castella não pesam tanto os cornos, e em Portugal só da sombra andam os homens assombrados e com a honra ás costas, que he a mais pezada carga e mais contraria á ley de Deus e boa Philosophia, que ha no mundo, destruição do descanso, pás e socego da republica, peste deitada no mundo para sua confusão. Digo os pontinhos, e a honra verdadeira, que he a mayor riqueza que o homem possue. Mas, como estas couzas todas são opinião e não sustancia, parece-me desproposito andar-se a gente carregando de pezo tão insofrivel no que se poder escuzar ; e assim aprovo a confiança com que a gente vive, mas não a soltura, a liberdade e o dezavergonhamento : ser Dama, mas não puta, ser confiado, mas não prezar-se de cornudo, ser muy especulativo e lince nas couzas das mulheres mas não ser cumplice e parceiro como o Bode em suas putarias, em que alguns são meeiros. Segue-se outro bem desta confiança, que he a paz entre mulher e marido, não ouvir cada dia arruidos e focinhos quebrados, com que se não emmendam as cazas e se poem as faltas na praça. E o que sei he que o proveito que se tira destas suas diligencias he haver mais homens afrontados por cornudos em Portugal que em Castella, porque huns o encobrem, os outros o apregoam. E, como dizia Ganaça, 187 he huma das 3 couzas por que os homens se desvelam muyto pelas  











quebrantan las leyes del matrimonio, con el rigor que tan graue peccado merece, de que se sigue demasiada libertad en ellas, y à los hombres aborrecer el matrimonio” (M. González de Cellorigo : Memorial de la politica necessaria, y vtil restauracion à la Republica de España, fo. 17v). 185   Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, pp. 355-356. 186   Francisco de Quevedo Villegas : Sueños y Discursos. Tomo I. Edición de James O. Crosby, p. 171. 187   Il celebre comico dell’arte Alberto Ganassa, che Thomé Pinheiro da Veiga aveva ricordato già precedentemente (Fastigimia, p. 230).  





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achar e se enfadam despois de as averiguar : e assim não ha mortes de mulheres senão raramente ; dirão a isto que todos são cornudos e as Portuguesas vertuozas e honradas : eu assim o entendo ; mas sei que fiam elles mais das suas que nós das nossas, que ha menos mulheres infamadas e menos homens afrontados, porque ninguem o quer saber. Emfim vivem com gosto, estimando-as e honrando-as como companheiras, pois, se elle he seu marido, ella he sua mulher e não ha pôr-lhes a mão senão para as regalar. 188  









Certamente la ‘larghezza di coscienza’ dei castigliani e la ‘disinvoltura’ sessuale delle castigliane sono per Thomé Pinheiro da Veiga eccessive e biasimevoli, ma questi ed altri difetti e vizi vengono largamente compensati da quella che egli definisce “a principal excelencia e virtude de Castella” e così illustra :  

E he não haver inveja nem mormuração nella, todos se honram, todos folgam com o bem alheo, não sabem que couza he espreitar faltas nem descobrir os defeytos dos vizinhos e, assim, totalmente desconhecem a mormuração e aborressem os mal dizentes, nem he conversação de que recebam gosto. E, assim, a nobreza dos castelhanos nesta parte he grandissima e merecedora de ser perpetuamente envejada e imitada de nós. E por esta virtude fas Deus tanta mercê a esta gente e merecem esquecerse outros vicios seus, por grandes que sejam. Pois esta largueza de animo he verdadeiramente condição de animo grandiozo e real, de que David dava graças a Deus, emquanto dis : Dilatasti, tu, Domine, cor meum. E, em effeito, fazer bem he proprio de Deus ; folgar com o bem alheo sem pena propria, estado dos bemaventurados ; entristecer-se com elle, officio do Diabo e proprio da inveja, vicio abominavel e natural de gente baixa e acanhada, que mede sua ventura pela desventura alhea e em tanto estima o seu bem emquanto excede aos outros, como se não estivera no que pessue senão no que tira. Afrontoza honra verdadeiramente, pois não conhece outra origem senão o desprezo e afronta alhea e não tem nascimento de minhas obras senão das faltas dos outros. Dizemos dos castelhanos que, preguntando quem he aquelle homem, respondem : « és un principalissimo caballero, que tiene un vizino que tiene veinte mil diñeros de renta ». E sabemos dos Portuguezes que logo respondem : « vedel-o vós ali ? Pois he quarto neto de hum que chamaram o Farças, que foy tetraneto do mayor cornudo de Lisboa ». E não se lembram de Irmãos, Pays e Avós nobilissimos ; Cegonhas e Aranhas peçonhentas, que, esquecidas das Flores, andam buscando a podridão em que se deleitam. He tão natural este vicio em nós que athe a mim me obriga a queixar-me e dizer mal dos meus naturaes, como Portugues, por sahir a acha ao cêpo. E he tão grande bem esta condição e trato da gente e liberdade da terra que prepondera a todos outros defeytos della […]. [...] Esta diferensa ha da nossa vida á de Castella : lá somos captivos e tantos vizinhos temos, outros tantos senhores tirános reconhecemos, que nos olhem por nossas passadas e pensamentos. Vivemos lá em sugeição de padrastos injustos e cá entre irmãos amigos, que dissimulam o mal e nos festejam o bem. […] Estas são as duas joyas que fazem a Valhadolid sem presso : muyta liberdade e nenhuma inveja. E, serto, se Lisboa pessuira este bem e fôra habitada de Castelhanos ou de indios, ou de cafres, fôra a melhor terra que cobre o sol : mas que aproveitam os jardins ao captivo, que não pode gozar delles, senão de o lastimar : e que val ter muytos bens, se de tudo vos hão de dizer mal e fazer peçonha, senão de mor pobreza ? 189  





























   

Non sappiamo quanto fondate siano, nella loro generalizzazione, queste considerazioni di Thomé Pinheiro da Veiga – le ricerche sul problema dei conversos, sugli Statuti di purezza di sangue e sulle relative informazioni e prove ci hanno piuttosto indotto a 188

  Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, pp. 356-357.   Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, pp. 358-359, p. 361.

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pensare che la Castiglia fosse una terra di malsines e che le dichiarazioni positive, ma non veritiere, dei testimoni fossero dettate da interessi personali e non da generosità e mancanza di invidia ! –, ma sicuramente esse provano la simpatia e la equanimità con le quali egli osserva e ritratta 190 usi, costumi, comportamenti e mentalità dei vallisoletani, dei cortigiani e delle altre persone che, per la presenza della Corte, erano andate a risiedere a Valladolid.  



Delle “desenvolturas” 191 e delle “travessuras” 192 delle donne castigliane (o almeno di quelle di Valladolid 193), unicamente intente a soddisfare il loro desiderio sfrenato di lusso e di divertimenti, l’opera di Thomé Pinheiro da Veiga presenta molti esempi concreti. Una vasta schiera di mogli adultere, di giovani donne leggere, di madri mezzane delle loro figlie e di suocere mezzane delle loro nuore, 194 di madri che portano le figlie (sposate !) alle “merendas” e le rimproverano se non concedono i loro favori ai corteggiatori, 195 di madri che con veri e propri contratti stipulati davanti al notaio vendono a dei nobili – come Don Pietro de’ Medici, fratello del Granduca di Toscana (Ferdinando I), e Don Antonio Coloma, Conte di Elda – le loro figlie, 196 è rappresentata nella Fastigimia. E non erano solo la necessità e la tentazione del lusso e della ricchezza a spingere molte madri a prostituire e a corrompere le figlie. Talvolta – come dimostrano il caso di Doña Anna de la Matta e quello di Doña Antonia Enríquez – era la pura e semplice perversione. Uno dei casi più terribili di corruzione raccontati da Thomé Pinheiro da Veiga è quello di Doña Anna de la Matta, una ‘dama’, conoscente (e occasionale amante) del suo amico Diogo Sodré Pereira, incontrata all’Espolón la notte vigilia di San Pietro, il 27 giugno 1605 :  















Era a Snr.a D. Anna de la Matta, moça de capa e espada, filha de hum fidalgo principal, que, hindo-se a Flandes, deixou esta e outra filha com a may e seu coche e caza muy honrrada em 190   Lo stesso Thomé Pinheiro da Veiga dichiara di aver voluto offrire un “ritratto”, una “pittura naturale” di Valladolid : “Não vos offereço aqui historia, senão retrato, nem comedia aprazivel, senão pintura natural ; porque a historia, quanto mais estranha e nova, tanto mais alvoroça e recrea ; mas o retrato, quanto he mais de pessoa conhecida e tratada, tanto mais afeiçoa e deleita” (Fastigimia, p. 361). 191   Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, p. 177. 192   Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, p. 185. 193   Nella romanza burlesca intitolata Al pasarse la Corte a Valladolid, Quevedo dedica alle donne di Valladolid questi due versi maliziosi : “y vi tus campos con flores, / y tus mujeres sin ellas” (Obra poética. Ed. de J. M. Blecua. III, pp. 136-139, nro. 781, vv. 35-36). 194   “E as mays e sogras são as que ordinariamente deitam a perder as filhas e noras, que, como as levam em sua companhia, logo andam em merendas e em coches ; e pelos mimos que herdam, trazem as filhas e noras a estas romarias, e por si se vêm os successos que ás vezes no principio não cuidaram ; e ellas á sombra das mays andam seguras, alem da sua boa habilidade, com que zombam dos pobres maridos : e notamos que ordinariamente os maridos destas andam, como gente pasmada, abobados, ou que ellas os escolham assim, ou que lhes dêm algumas confeiçoens, para os trazerem á sua mão” (Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, pp. 205-206). 195   Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, p. 356. 196   Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, pp. 207-211. In queste pagine viene anche riprodotto un contratto, stipulato davanti al notaio Jerónimo Pereira, fra D. Francisca de Valles e D. Melchior Carlos Inga, “neto del-Rey de Perú”, con il quale la prima vendeva per mille ducati la figlia Anna, di 17 anni, al secondo. Narciso Alonso Cortés, grande conoscitore dei documenti conservati nello Archivo de Protocolos di Valladolid, ritiene autentico il contratto, “no sólo por su forma, sino porque en la época hay repetidos ejemplos de otros semejantes” (Thomé Pinheiro da Veiga : Fastiginia. Vida cotidiana en la Corte de Valladolid. Traducción y notas de N. A. C., p. 198, nota nro. 72). A proposito di questi contratti, Thomé Pinheiro da Veiga (Fastigimia, p. 209) aveva scritto : “Estas escripturas me affirmaram que são ordinarias em Castella e que as fazem com as mays sobre as honras das filhas [...].”  



























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Madrid : quis a may, por não estar occiosa, imitar o marido e exercitar as armas, e, como boa may de familias, acrescentar os talentos, multiplicar a familia e prover as alampadas das virgens loucas das filhas. De maneyra que, tornando o pay, e vendo ellas que não tinham liberdade, e que hia descubrindo os tratos da mulher e suspeitando que as filhas estavam huma com fructo e ambas sem flor e andava tratando de se dezapressar della, se conjurou com as meninas e foy acuzar o pay, que as forçara a ambas […]. Deram com elle no carcere, confessaram as filhas sem tromentos [tormentos] e fizeram despedaçar o pobre pay com elles, athe que deu a alma pedindo a Dios justicia e a El-Rey vingança dizendo : « nò se contentara D. Anna con ser puta, si nò que me quiere a mi hazer puto ! no me matara con pesoña [ponzoña], si no que vende la honrra de sus hijas, y a mi quita la honra y la vida y haze perder el alma ». Ficaram estas filhas perdidas e mal cazadas, e esta [a may], com ter prezença de mulher honrada e ser muy avizada e cortezãa, que a[s] leva de braço ás suas velhacarias. […] E desta gente, que fica assim desgarrada e filhas de bons pays, que se vêm a perder, em que se veem as reliquias do bom natural, ha muyta na corte. 197  











Questo è il caso di Doña Antonia Enríquez, dama ricca di 14.000 cruzados di rendita annuale, esposto diffusamente da Thomé Pinheiro da Veiga, in data 3 luglio 1605, nella sua cronaca-diario :  

Esta tarde, fomos ao Prado, onde havia o passeyo ordinario. Vimos aqui vir em huma cadeyra, com muyta gorgeira e volantes e vestido mourisco, a Snr.a D. Antonia Henriques, com 14.000 cruzados de renda e fregueza continua no Prado, muy dama e muy conocida por ser a mais afamada da cidade de Madrid. Esteve seu marido prezo por 7 mil cruzados, de hum conluyo, mais de hum anno, sem poderem acabar com ella, que empenhasse sequer as suas joyas para o livrar ; já pode ser que as vendera pelo ter prezo e dizia a hum conhecido que não queria ella dar « sus cadenas, pues le havian de servir de grillos, ni sus anillos para servirle de esposas, veniendo su esposo, y meterse en la carcel, por livrarlo y sacarlo a el » : paresse que queria antes por industria que a dinheyro e quereria pagar antes com serviços pessoaes que de contado. Foy a mais servida dama da corte e, ainda que he moça, está gastada, mas bem se vê no fio o panno ; porque, como dizia hum travesso – librés e damas não têm mais que as primeyras mostras, logo perdem o lustre e mostram o fio ; e eu cuido que são como ramilhetes, que, como andam muyto nas mãos, logo perdem a graça e a frescura e ficam murchos e desgraçados. Parece comtudo ainda muyto bem ; tras consigo huma menina de dés annos, que, como outro Phenis, se vay criando nas suas cinzas e colhendo as flores que a may vay perdendo : de quem dis D. Henrique de Gusmão [D. Enrique de Guzmán, II Conte di Olivares, o Don Enrique de Guzmán, gentil-hombre de la Cámara, Marchese di Povar ?] : « cria D. Antonia hum potrillo, que ha de salir un lindo caballo ». Tralla sempre á ilharga, por que saya bem doutrinada, em hum coche de quatro cavallos brancos de caãs que, como mulas de medicos, param em vendo coches de Grandes. 198  

























Alla dissoluzione dei costumi concorrono d’altronde, fortemente, “a liberdade na Corte” e “a liberdade da Corte”, 199 con le sue mode, le sue consuetudini e i suoi ‘riti’. La pratica ‘igienica’ di recarsi un paio d’ore prima dell’alba al Prato della Maddalena per bere dell’acqua ferrosa e poi passeggiare a lungo nel verde, pratica che offrì a Lope de Vega lo spunto per la sua commedia di costume El acero de Madrid, facilitava, per esempio, alle signore e alle signorine che la seguivano, incontri amorosi e, nell’oscurità, dava anche occasione ad avventure boccaccesche :  



197

  Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, pp. 196-197.   Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, p. 213. 199   Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, p. 307. 198



   

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Este dia [7 de Julho], me fizeram levantar de madrugada e vir ao Prado muyto cêdo. […] [...] fazia huma menhaã muy fermoza ; achamos muyta gente e algumas senhoras principaes, que vão, em seus coches ou a pé, fazer exercicio, que ellas chamam tomar el azero, que he beber agua de asso e logo passear huma hora ou duas antes de sahir o sol, que acham muy proveitoso para a saude ; uzãm-nas as doentes do baço por necessidade e as enfermas dos rins por velhacaria ; e assim se vão nestas menhããs ás hortas e jardins colher flores, e ás vezes fruto, e tornam mays para caza, por não dizer noivas ; e assim acodem tambem aventureiros a dar e tomar a mezinha […]. [...] Ellas não terão neste tomar del azero tanto merecimento como Santa Catherina no das navalhas, 200 para a alma, mas para o corpo acham-no proveytozo e para a vida boa, que he o seu mayor cuydado, porque todas são professoras da nova philosophia de D. Oliva de Sabuço, 201 que quer pôr a ocazião e origem de todas as doenças na tristeza que cauzam os descaimentos do cerebro, e o remedio dellas na alegria, que concerva e recrea ; e assim nenhuma occazião de gosto, nem dezenfadamento deixam perder, principalmente como he sahir de caza, e não cuyde que pode haver gente mais amiga de levar boa vida que os castilhanos […]. 202  















Un’altra pratica non meno pericolosa per la ‘castità’ delle donne castigliane era quella di “se hirem meter no rio nuas, debaixo dos seus lençoes”, lenzuoli, nota maliziosamente Thomé Pinheiro da Veiga, “que ás vezes lhes ficam servindo de seu officio”. Queste e “outras liberdades semelhantes” denotano “a largueza das castilhanas”, che al giurista portoghese appare eccessiva. 203 Persino le messe e gli altri riti religiosi e le varie cerimonie in chiese e conventi offrivano alle devote e ai devoti l’occasione di ‘contatti’, non precisamente spirituali :  



Nenhuma pessoa nem titulos tem lugar certo, senão sentar-se onde podem chegar e sobre o P.e que dis missa : alguns dias levam seis duzenas de almofadinhas, porque alcatifas ninguem as levas ; ao outro, que he ordinario, vão sós no seu coche, com huma criada, e assentam-se onde lhes dão lugar, o que se fás com muyta cortezia, porque tambem ellas a sabem ter. E, em huma pessoa se lhe levantando e abrindo lugar, logo agradecem não somente com mizura, mas de palavra, no que são muyto cortezãs e parece muyto bem ; e tãobem são muy modestos em se apertar e agazalhar e nunca ouvi huma má palavra, nem peleija, nem descortezia nesta parte. E, com vermos cada hora picaros que se vão assentar diante de senhorassos e no regaço de suas mulheres, se hum amigo vay para os tirar, o fazem tornar a pôr, dizendo : « dexele V. Md., que está en la Iglezia ». Em effeyto, são homens na lhaneza ; e nós, coitados !, com nossos pontinhos. Estando eu uma vez em S. Francisco, entrou huma senhora rebuçada, a que fizemos lugar, e querendo tirar hum picaro, que se não queria apartar, disse ella : « dexele V. Md., oyremos missa com merecimiento ». Comessou Constantino de Meneláo a apertar com os seus olhos, e com ser o picaro nublado que se opunha ao sol e que viera ver a Deus e que Deus o vinha ver a elle  





















200   Il riferimento è al verso “tomó el acero Catalina hermosa” del sonetto « A SAN GERONYMO dandose con el canto. En metafora de botica », trascritto per esteso da Thomé Pinheiro da Veiga (Fastigimia, pp. 220-221). Questo sonetto, da noi omesso, si può leggere in Alonso de Ledesma : Primera parte de los Conceptos Espirituales y Morales. Edición, introducción y notas de Eduardo Julia Martínez (= Biblioteca de antiguos libros hispánicos, Serie A, Vol. XXVII). Madrid : C. S. I. C. 1969, pp. 317-318. 201   Si riferisce alla Nueva Filosofia de la Naturaleza del hombre (Madrid : Pedro Madrigal 1587) di Miguel Sabuco, che – come è stato già ricordato – fu pubblicata sotto il nome di sua figlia, Oliva Sabuco. Thomé Pinheiro da Veiga si riferisce, in particolare al « Título VII. De la tristeza. Avisa los daños y muertes que acarrea la tristeza » del « Coloquio del conocimiento de sí mismo », il primo e più importante tratado dell’opera. 202   Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, pp. 220-221. 203   Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, p. 147.  





















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com tal vizinha, e ella se ria, athe que lhe disse uma dona : « mire V. Md. con quien habla, que es la señora Marqueza de Falces ». 204 E acodio o Constantino : pois, Mulher, em que estou enganado ? Marqueza e com tais olhos ! juro a Dios que aqui se ha de vender a capa ! E ella, morta de rizo, disse á Donna : « dexadle en hora mala, que tiene previlegio de Portugues ; no estorveis las buenas venturas ; que sabeis vòs las mercedes que Dios le tiene guardadas ? » E, comtudo, nos apartamos logo hum pouco, o que ella agradeceo, quando se foy, com reverencia ; e disse a Dona : « hasta a los lanceros Portuguezes quiero bien, porque todos tienen buen intendimiento e mejor donaire ». 205  























   











Anche il costume di mascherarsi offriva alle signore una grande libertà, come notava l’autore della Pícara Justina in uno dei suoi Aprovechamientos (“EN achaque de mascaras y disfraces, se cometen oy dia, temerarios peccados, por lo qual los padres cuerdos, y Christianos deuen guardar a sus hijas de semejantes ocasiones, en las quales esta solapado el ançuelo del peligro” 206). Thomé Pinheiro da Veiga riferisce nel suo diario questo episodio del quale sono protagonisti il marito della or ora ricordata Marchesa di Falces, Don Jacques de Croy (conosciuto anche come Don Diego de Croy y Peralta – V Marchese di Falces), capitano della “guarda de archeros de corps” e cavaliere di Santiago, suo fratello maggiore, D. Philippe de Croy, Conte di Sempy e di Solre, cavaliere del Toson d’Oro, 207 e la loro sorella, D. Rafaela :  





(3 de Julho [1605]) E isto, que he disfarce, he muy ordinario nellas [le signore della Corte], quando se vão dezenfadar, que ellas chamam picardiar : e assim me lembra que, hum domingo destes, hindo ao Prado, estando cuberta a ribeyra de infinitas mulheres e homens, estava uma roda dellas ao redor de hum álamo, a cujo pé estavam duas embuçadas, muy bizarras com mil travessuras e galanterias ; e andavam o Marquês de Falces e o irmão a pé passeando, mais afastados, matando-se de rizo : e, querendo eu saber o que era, soube como era D. Raphaela, sua irmaã, e outra senhora, que baixaram do coche e se puzeram ali, para que lhes dissessem velhacarias com que rir ; e quando vão assim dizem quanto lhes vem á boca, ainda que, na verdade, são os castilhanos cortezãos no fallar e não têm palavras desonestas, como muytos dos nossos custumam, que parecem muyto mal. A’ noyte, vieram os irmãos por ellas e se meteram todos no coche e se foram pelo Prado, e, passando outras embuçadas bem trajadas e apessoadas, chamô-as D. Raphaela e disse-lhes : « señoras, quieran mostrarnos essas buenas caras, que no pueden dexar de ser semejantes a tan buenos talles ! » Acodio huma : « y que recaudo trae V. Md., señora Monja, para darnos gusto, quando nos halle hermozas ? » Nisto acodio hum de dentro do coche : « no dexen V. Mds. de  











   





   





204   D. Juana María de Peralta, Marchesa di Falces, era figlia di D. Antonio de Peralta, IV Marchese di Falces, Conte di Santisteban, mayordomo mayor perpetuo della Casa Reale di Navarra, Commendatore di Calatrava. Alla morte del padre, avvenuta nel 1596, ne ereditò il titolo e gli ‘stati’. Il 28 febbraio 1596 aveva sposato D. Jacques de Croy, cavaliere di Santiago, capitano della Guardia Reale degli Arcieri. Dopo la morte del suocero, D. Jacques de Croy aveva assunto il titolo di V Marchese di Falces ed ereditato la mayordomía mayor del Regno di Navarra. Su D. Antonio de Peralta, IV Marchese di Falces, cfr. La Monarquía de Felipe II : La Casa del Rey. Directores : José Martínez Millán - Santiago Fernández Conti. Volumen II : Oficiales, Ordenanzas y Etiquetas, p. 354. 205   Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, pp. 343-344. 206   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO SEGVNDO INTITVLADO LA PICARA Romera. En que se trata de la jornada de Arenillas. CAPITVLO PRIMERO, de la Romera Baylona. NVMERO QVARTO DEL Robo de Iustina », p. 151. 207   Su i fratelli D. Jacques de Croy e D. Philippe de Croy si trovano notizie in : El Pasatiempos de Jehan Lhermite. Memorias de un Gentilhombre Flamenco en la corte de Felipe II y Felipe III, pp. 107-112, p. 226, p. 228, p. 230, p. 263. – Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 13. – La Monarquía de Felipe II : La Casa del Rey. Directores : José Martínez Millán - Santiago Fernández Conti. Volumen II : Oficiales, Ordenanzas y Etiquetas, pp. 125-126. – La Monarquía de Felipe III : La Casa del Rey. Volumen I, pp. 999-1012. – La Monarquía de Felipe III : La Casa del Rey. Volumen II, p. 190.  

























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hazerlo, que buen recado traen estas señoras » ; respondeo huma, ouvindo vós de homem : « en verdad, hermana, que mejor se supo aproveychar às escuras que nós otras a la lús, pues oyjo allá voz de varon y quedese a Dios, pues está provida, que vamos tambien a buscar nuestras aventuras ». 208  











La grande libertà della quale godevano le donne si rivelava, agli occhi di Thomé Pinheiro da Veiga, anche nella loro estrema civetteria e nella gratitudine e gioia spontanea che manifestavano per gli omaggi, talvolta sollecitati e comunque sempre attesi, resi alla loro bellezza. Si legga, per esempio, questa pagina della Fastigimia nella quale viene raccontato un episodio che ha come protagoniste delle parenti della Marchesa di Falces :  

(10 de Julho [1605]) Estando eu no Carmo, hum dia destes, com Constantino de Meneláo e D. Pedro [Cru ? o : da Gama ?], vimos que sahiam humas senhoras moças, com sua may, das quais huma nos pareceo hum anjo ; e foram-se antes do Evangelho ; e, como tinhamos ouvido missa, viemos em seu seguimento e disse-lhe eu a mesma oração do cégo : « porque V. Mds. no vayan sin evangelio, digo que no havemos visto ni màs hermoza ni agraciada dama, ni ojos que màs me agradassen, y esto ès evangelio » ; virou-se a may e disse : « hazeran V. Mds. merced a D. Casilda como caballeros que son, aun que ella no lo merezca » ; e ella : « Bezo a V. Md. las manos por la merced que me hase, pues ès el primer regalo con que me he dezayunado hoy » ; tornei-lhe a dizer : « el gusto y regalo reciben los ojos en ver V. Md., y la merced recibiremos en que se sirvan V. Mds. de que las acompañemos, como escuderos, ò se vayan en aquel coche » ; agradeceram-no muyto, dizendo que tinham a caza perto, mas que o aceitavam para a tarde e que mandassemos hum criado que soubesse a caza ; e despois soubemos que hera huma sobrinha da Marqueza de Falces, e gente muy principal e virtuoza ; e comtudo agradessem que lhe chamem fermozas ; porque dizem que para isso se enfeitam e que se folgam quando lhe dizem que são ricas e bem dispostas, e por que não folgarão quando lhe dizem que são fermozas ? E assim, hindo huma vês as duas Damas, toparam huns fidalgos que hiam praticando e não lhes disseram nada ; e disse huma á outra, olhando para elles : « mira, hermana, que perdido fuè el trabajo de estarnos a componer dos horas, pues nò nos dizen nada ; por ti pierdo yo, que deves ser desgraciada y ellos poco cortezanos ». E assim he lingoage ordinaria nas vizitas, em lugar de preguntar pela saude, dizer : guarde Dios a V. Md., que está muy hermoza ; e isto ainda que esteja o marido, porque se não estranha. 209  

































































La “liberdade e nobreza de condição” nella quale le donne vivevano, avevano generato un’altra abitudine pericolosa per la loro ‘castità’. Thomé Pinheiro definisce questa abitudine delle castigliane “huma picardia, que as fás ás vezes pezadas e menos apraziveis”, e così la descrive :  

[…] têm [as Damas] por galantaria pedir sempre, sem que, nem para que, e prezam-se disso, ou pela devoção que têm a S. João, Boca-de-Ouro [S. Giovanni Crisostomo], ou por ver que as estimam e fazem caso dellas. E assim lhes cabe o que se dis dos clerigos, que todas suas oraçoens começam por dá nobis ; e presta nobis : e tudo para nobis, e todos os sermoens acabam – quam mihi et vobis, prestam-me dinheros. Verdade he que a feyra não a põem cara, nem se desavem no presso, mas ellas hão de pedir seja doces, seja fruita, seja pasteis […]. [...] Mas he suave este jugo e leve a carga, assim porque são boas de contentar, como porque se não enojam, inda que lhe mintais, ou zombeis dellas ; e tãobem com a mesma vontade vos convidam, de sorte que, se bem o dizem, melhor o fazem ; e tudo lhes he nescessario para os seus fraldelins, que he toda a sua riqueza e galla de que se prezam ; que mossas e velhas trazem com dous palmos de renda de ouro e he sua linguagem, que como huma mulher tras bons baixos,  









208

  Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, pp. 215-216.   Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, pp. 225-226.

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ande vestida do que quizer, porque, quanto mais perto do thezouro, tanto mais descubra a sua riqueza, que he satisfazer ao coração sem engano dos olhos. 210  

Come vedremo, anche la ‘filosofia’ amorosa di Justina è fondata sulla richiesta continua di omaggi e regali ! Alla ‘libertà’ delle castigliane neppure la religione può porre limiti. Thomé Pinheiro da Veiga osserva : “as castelhanas não querem roupas largas, senão plumas e mais plumas, regalos, passeyos, coches e galas : e a liberdade em que se criam lhes fás não querer apertos de religião”. 211 Tantomeno questa ‘libertà’ poteva essere limitata dai mariti :  









Com esta liberdade que [as castelhanas] tem adquirido, se hum homem quizer reformar a caza, a deitará a perder, vivendo em perpetua guerra, pois não ha de pôr em sua caza os preceitos que não têm as vizinhas, nem parece mal, pelo costume que ha, que he hirem as mulheres folgar sem pedir licença e hir negociar tudo a todas as horas e tomar o manto sem dizer onde vay, mais que « voy a lo que me impuerta ». Não posso eu gabar isto […]. Mas segue-se-lhes hum grande bem para ellas, que he viverem com gosto, que he o que querem e sem ciumes, que não conhecem, porque, como ellas vão por onde querem, he-lhes necessario viverem á boa fée, sem máo engano, pois no ha de andar no seu rabo ; e assim não têm lugar ciumes e aproveitam-se ellas de sorte deste estillo que não querem sahir ás aventuras senão como Marphiza, sem companhia do varão. 212  







Ulteriore prova della ‘libertà’ delle donne potrebbe essere considerata la frequenza con cui delle giovani mogli accusavano i mariti di essere impotenti e richiedevano lo scioglimento del matrimonio per risposarsi con un altro uomo. Così, per esempio, D. Luisa de Cárdenas, figlia di D. Bernardino de Cárdenas, accusò il marito D. Diego de Silva y Mendoza, Duca di Francavila (titolo conteso dal fratello Don Rodrigo, II Duca di Pastrana, figlio primogenito dei Principi di Eboli), di impotenza coeundi e chiese ed ottenne lo scioglimento del matrimonio, che era stato celebrato con grande sfarzo (D. Diego de Silva y Mendoza si sposò in seguito felicemente, prima, con D. Ana de Sarmiento y Villandrando, Contessa di Salinas, e poi, alla morte di questa, con la sorella di D. Ana de Sarmiento, D. Marina). 213 La stessa accusa di impotenza rivolse D. Antonia de Portocarrero y Cárdenas, Marchesa di Alcalá, al marito D. Felipe de Guzmán, figlio di Don Alonso Pérez de Guzmán, VII Duca di Medina Sidonia, ed ottenne anch’essa lo scioglimento del matrimonio (D. Felipe de Guzmán si fece frate geronimita assumendo il nome di Fr. Felipe de la Caridad). 214 In una stessa famiglia – D. Diego de Silva y Mendoza era fratello di D. Ana de Silva, figlia dei Principi di Eboli e moglie di Don Alonso Pérez de Guzmán,  



210   Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, pp. 360-361. Nella romanza Fuego de Dios en el querer bien (anteriore al 1602), attribuita a Góngora, si legge questa strofa : “No pedían las mugeres / antes solo vn alfiler ; / y la que agora no pide / no se tiene por muger.” Cfr. Luis de Góngora : Romances. III. Edición crítica de Antonio Carrei211   Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, p. 347. ra, pp. 477-480 (vv. 31-34). 212   Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, pp. 354-355. 213   Cfr. Luis Rosales : La vida de Don Diego de Silva, Conde de Salinas y Marqués de Alenquer, pp. 30-31. – Trevor J. Dadson : Rodrigo de Silva y Mendoza, II Duque de Pastrana, y sus libros (1596). In : T. J. D. : Libros, lectores y lecturas. Estudios sobre bibliotecas particulares españolas del Siglo de Oro. Madrid : Arco/Libros 1998, pp. 125-154 ; qui pp. 129-131, pp. 149-150. 214   Cfr. Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 165. – Luisa Isabel Álvarez de Toledo y Maura, XXI Duquesa de Medina Sidonia : Alonso Pérez de Guzmán, General de la Invencible. Libro 2°, pp. 22-23, p. 108, p. 112, pp. 145-146. Allo sfortunato caso fu dedicata una breve composizione poetica di scherno attribuita, con buon fondamento, a Góngora : A un hijo del Duque de Medina Sidonia que por ser impotente se metió fraile trinitario (“Señor marqués trinitario...”). In : Luis de Góngora : Obras completas. I. Poemas de autoría segura. Poemas de autenticidad probable. Edición y prólogo de Antonio Carreira. Madrid : Biblioteca Castro. Fundación José Antonio de Castro 2000, pp. 623-624.  



































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VII Duca di Medina Sidonia – si ebbero così due casi di annullamento di matrimonio in seguito all’accusa di impotenza rivolta dalle mogli ai loro mariti. L’eleganza sfarzosa sfoggiata dall’alta nobiltà della Corte, l’ostentazione di tante ricchezze, la grande offerta di gioielli, di tessuti preziosi e di vestiti e accessori raffinati nei numerosi negozi della città, 215 l’uso diffuso delle carrozze (“testigos de tantos yerros” delle castigliane, che “o principal de sua vida passam nos coches” 216), gli spettacoli, le ‘merende’ al Prado de la Magdalena, “o mais fermozo passeio que tem Valladolid”, 217 le feste e  





215   Ecco cosa scrive Thomé Pinheiro da Veiga (Fastigimia, pp. 340-341) su questi negozi di Valladolid : “Venhamos já aos brincos, alfayas e louçanias […], para o que ha as mais e melhores tendas e logeas de todas as sedas e brocados que pode haver em nehuma parte […]. São tambem de grandissima comodidade as tendas de vestidos, feytos de toda a sorte de sedas e riqueza de obra e guarniçoens, principalmente fraldelins com muytas rendas de ouro, roupoens e vasquinhas de muytas maneiras e librés para muytos criados, logo feytas para grandes e pequenas, que, no mesmo dia em que chega huma pessoa, pode sahir com quantos pages quizer de libré, e elle da mesma sorte, e acha logo cavallo com gualdrapa, por quatro reales, lacayos de calças por dous e pagens que o acompanhem, que he grandissima commodidade, e as mulheres cadeiras. […] o melhor […] são as tendas de guantes, brincos, dereços de mulheres, cadeas, plumas, meyas e outras couzas, que são muytas e todas, com tendeiras enfeitadas e o emprego da Corte, e não ha couza que ali se não ache”. Sulla diffusione delle tiendas in Castiglia cfr. José Antonio Maravall : La literatura picaresca desde la historia social (Siglos XVI y XVII), pp. 684-692. 216   Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, p. 333. Sulla carrozza, che ampliando la libertà delle donne, costituiva un pericolo per la loro virtù, cfr. A. López Álvarez : Poder, lujo y conflicto en la Corte de los Austrias. Coches, carrozas y sillas de mano, 1550-1700, pp. 472-564. Quevedo definiva le carrozze alcahuetas e terceras. Cfr. Francisco de Quevedo : Obra poética II. Ed. de J. M. Blecua, p. 10, nro. 521 (Epitafio de una dueña : “Fue más larga que paga de tramposo / [...] más que un coche alcahueta...”) ; III, pp. 129-131, nro. 779 (Sátira a los coches : “Tocóse a cuatro de enero / [...] un coche de dos caballos, / [...] – dijo – [...] ha un año que sirvo / de usurpar a las terceras / sus derechos y su oficio...”). Cfr. anche Francisco de Quevedo y Villegas : Infierno. In : F. de Q. y V. : Sueños y Discursos. Tomo I. Ed. de J. O. Crosby, pp. 159-189 ; qui pp. 166-167 (“para cassarse y sauer si era donzella vna, se hazia informazion si hauia entrado en èl [el coche], porque era señal de corrupçion”). 217   Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, p. 179. Questa è la descrizione che Thomé Pinheiro da Veiga fa del Prado de la Magdalena : “he um bosque de alemos, que tem em redondo mais de cinco mil passos ordinarios, e para o norte lhe fica a Igreja da Magdalena, que he muyto fermoza, e o Mosteiro Huelgas, que fez a mulher del-rey Dom Sancho Bravo, que he o principal de Valladolid, renovado de novo, e muy lindo ; para o sul, lhe fica S. Pedro, e a Inquisição, e o Mosteiro das Descalças, que são como as da Madre de Deus. Para o oriente, lhe ficam muytas hortas, muy frescas, que o cercam, e logo huma porta para a campina livre e rio Esgueva, onde vão lavar ; entra este ribeiro dando agua a dous pares de azenhas, que, com cahir de alto, refresca o Prado, e se divide em braços, com huma areia tam clara que, com andarem os coches todo o dia nella, não se turba ; fica o Prado todo cortado delle em pontes de pedra e madeira, com que fica tudo o que se pode imaginar, e parece que o retratou Ariosto, quando disse : non vide né ‘l più bel né ‘l più giocondo / […] culte pianure e delicati colli, / chiare acque, ombrose ripe e prati molli [Orlando Furioso, c. VI, ott. 20]. Entra-se no Prado por muitas partes e, principalmente pela ponte de pedra, onde logo fica a Carreira dos Cavallos […] e á Casa das Charamellas [Casa de las Chirimías], que he pintada, e feita sómente para alegrar a gente aos dias-sanctos, e assim estava esta manhã tangendo, e era couza fermoza de vêr tantos homens e tantas mulheres, os mais almoçando e folgando por aquellas hervas e convidando a todos os que passavam” (pp. 180-181). E questa è la descrizione che del Prado de la Magdalena fa Barthélemy Joly : “c’est un grand preau delicieux, au bout de la ville, tout planté en allignement de peupliers blancqz, appellés alamos, et autres arbres d’ombrage, non pas en une ou deux allees de promenoirs seulement, mais en plusieurs où les arbres observent distinctement le quincunce. L’herbe y est partout et l’argentin ruisseau y faict mil serpenteaux, garni de petis ponts et planchettes vertes et ajoliuees. L’on y va le matin prendre le frais pour la santé, et le soir pour l’ombrage et esbatement le plus delicieux qu’il est possible” (Voyage en Espagne, 1603-1604, p. 551). Una descrizione del Prado de la Magdalena si trova anche nel Pasatiempos (p. 158) di Jehan Lhermite : “[el río Esgueva] tiene su cauce por un prado que está dentro de la ciudad y que aquí llaman El prado de la Magdalena, donde se han plantado hermosos árboles en forma de gancho, y esta ribera se reparte en varios otros arroyuelos que muy a menudo riegan este prado, y por ser este lugar uno de los más frescos, agradables y amenos de la ciudad acuden allí todas las noches infinidad de personas para solazarse, combatir los calores y aliviarse de los trabajos de la jornada. Los gentilhombres tienen también allí un lugar adecuado para espolear a sus caballos y ejercitarse en las artes ecuestres ; debajo de estos árboles en forma de gancho se ven bellos paseos que son frecuentados por damas y gentilhombres, tanto a caballo como en carruajes, lo que es ciertamente una cosa bastante digna de observar”.  









































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le stesse romarias (erano fatte, come di costume, a dorso d’asino, 218 ed erano occasione di perdizione per le donne, 219 come testimoniano i refranes, già ricordati : “Ir romera y volver ramera”. – “Muchas van en romería que paran en ramería” 220), promuovono l’emulazione del lusso, considerato – come abbiamo visto – dagli economisti contemporanei una delle cause della crisi economica e sociale, 221 alimentano la voglia di divertimenti e concorrono alla corruzione dei costumi. Ma soprattutto contribuiscono alla diffusione di una mentalità ‘aristocratica’ che costituisce un grande ostacolo alla formazione del risparmio e della piccola proprietà e quindi all’ampliamento e al consolidamento del ceto medio. Thomé Pinheiro da Veiga, acuto osservatore dei costumi e dei comportamenti, ‘registra’ in una pagina di notevole interesse ‘sociologico’ (di simili pagine la Fastigimia abbonda !) come la mentalità ‘aristocratica’ – la funzione primaria del denaro, privo di un valore ‘economico’ autonomo e disprezzato quale cosa sudicia, si realizza nella sua ... spesa (“usus pecuniae est in emissione ipsius” 222) e dissipazione, 223 essendo soltanto un mezzo per la ‘rappresentazione’ del rango, prestigio, potere e splendore della casata 224 – sia largamente diffusa e stia ormai penetrando anche negli strati inferiori della società :  



















218   “Estando nós, huma vês, eu e Jorge Castrioto, a huma janella baixa de rexas onde vivia, passava D. Marianna Dux, que he muyto muzica e moça bem assombrada, e hia com outras amigas, como he costume, á romaria em burrico, e, dizendo-lhes elle que entrassem, que, aun que eran quartos baxos, estavan limpios y vazios, respondeo ella : « no suelen essos ser los quartos que los Portugueses trahen vazios » ; y elle : « ni V. Mds. los baxos desocupados »” (Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, p. 267). 219   Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, p. 205. Il tema della romaria come occasione d’incontri amorosi è ampiamente trattato nella lirica medievale galiziano-portoghese. Cfr. Cancioneiro da Ajuda. Edição de Carolina Michaëlis de Vasconcelos. Vol. II. Reimpressão da edição de Halle (1904), acrescentada de um prefácio de Ivo Castro e do glossário das cantigas (Revista Lusitana, XXIII). Lisboa : Imprensa Nacional-Casa da Moeda 1990, pp. 861-902 (in partic. pp. 881-889). I giudizi dei moralisti sulle romerías li abbiamo già ricordati sopra. 220   Gonzalo Correas : Vocabulario de refranes y frases proverbiales (1627). Edición de Louis Combet, p. 401, p. 533. 221   L’anonimo autore del più volte ricordato Discurso inoltrato verso il 1621 alla Junta de Reformación, dopo aver illustrato varie cause della crisi economica, demografica e sociale del Regno, scriveva : “No es menor caussa de la miseria y pobreça en que los nuestros se hallan, y por el consiguiente de la desolacion de los pueblos, el abusso tan grande de los trajes y vestidos costossos, que se a introduçido en nuestra España, sin genero de diferençia por dignidad, ofiçio, puesto ni calidad ; de que se sigue forçosamente la grande desorden en que nos hallamos” (Discurso breue y sumario de las caussas porque se an disminuido y despoblado muchas villas y lugares en estos Reynos de Castilla y Leon, p. 258). Molte sono le pagine – e alcune le abbiamo trascritte – della Conservación de Monarquías (pp. 251-320) nelle quali Pedro Fernández Navarrete illustra gli effetti nefasti del lusso sulla economia, la società e i costumi, la sua azione disgregatrice sulla morale (sulla stessa morale sessuale) e il suo contributo alla formazione e diffusione di una mentalità ‘picaresca’. 222   La frase, di Tommaso d’Aquino, è citata da Werner Sombart nelle pagine in cui caratterizza la “seigneuriale Lebensführung“ (Der Bourgeois. Zur Geistesgeschichte des modernen Wirtschaftsmenschen. München u. Leipzig : Duncker & Humblot 1913, pp. 12-13). 223   “Ogni spesa non molto necessaria non veggo io possa venire se non da pazzia”, dichiarava invece Leon Battista Alberti, che celebrava la “masserizia”, definendola “santa”, “necessaria”, “onesta”, “buona, utile e lodevole”, ed affermava che gli “essercizii accomodati a fare roba”, “ad accumulare ricchezze”, consistono esclusivamente “in comperare e vendere, prestare e riscuotere”. Il “danaio ... di tutte le cose o radice, o esca, o nutrimento”, è cosí al centro di tutto ! Cfr. Leon Battista Alberti : I Libri della Famiglia. A cura di Ruggiero Romano e Alberto Tenenti. Nuova edizione a cura di Francesco Furlan (= Nuova Universale Einaudi, 102). Torino : Einaudi 1994, pp. 199-204, p. 173, p. 302. 224   Sulla mentalità ‘aristocratica’, antitetica a quella ‘borghese’, per la quale la funzione del denaro – considerato un valore in se stesso, un valore assoluto, un fine ultimo – consiste nell’offrire, attraverso il suo risparmio e la sua accumulazione, chances di investimenti, imprenditoriali o finanziari, atti ad aumentarlo ulteriormente, cfr. – oltre all’opera or ora citata di Werner Sombart – Norbert Elias : Die höfische Gesellschaft. Neuwied – Berlin : Hermann Luchterhand 1969. Sulla evoluzione della concezione del denaro, la sua trasformazione, da mezzo a fine, e la sua Verabsolutierung, cfr. l’opera classica di Georg Simmel : Philosophie des Geldes. Herausgegeben von David P. Frisby und Klaus Christian Köhnke (= Georg Simmel – Gesamtausgabe. Herausgegeben von Otthein Rammstedt, Band 6). Frankfurt am Main : Suhrkamp 1989 (1.ª ed. Leipzig : Duncker & Humblot 1900).  











































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capitolo vii

He a gente de Valhadolid facil na conversação, aprazivel no trato, lustroza nas pessoas, aguda e graciosa nas palavras e bem inclinada em todo o seu proceder, e gente verdadeiramente cortezãa nas obras e razoens, muy amigos de levar boa vida e de comer e vestir largo e explendidamente e sempre com alegria, avarentos no adquerir e prodigos no gastar : pagam-se e pagam com igual largueza, porque são Hircanos em cobrar e Alexandres em despender : assim não ha couza mais cara, nem mais barata que o dinheyro. E ao contrario de Midas ; em quanto lhes não chega ás mãos, tem preço nellas, he ouro de duendes, que se lhes torna em carvão. O sapateiro e o alfayate he o primeiro que leva o salmão a sinco reales, e as truitas a quatro, e a sua neve para o vinho de tres e meyo, e toda a sua renda ás costas, porque não ha official que tenha mais rais que sua agulha ou thezoura, e por isto os Senhores de Castella são tão ricos, porque as terras todas são suas e de seus lavradores, que não ha em Portugal quem não dê a sua vinha ou olival em dote com a sua Briolanja, e não ha official em Castella que dê outra rais mais que o seu dedal em dote á sua D. Gosmia de Muñatones. E contentou-me um Barbeiro, por natureza e officio rethorico, sobre que, chamando-lhes eu vadios, que não tratavam de adquirir, para darem dottes aos filhos, respondeo : « Oyga V. Md. dos razones, com que hirè callar otro caballero, tan engañado como V. Md., que ha estado dos annos em Portugal con El-Rey. Allá en Portugal, con sus viñas, ellos bivem morriendo de hambre, rotos, y desgarrados, ansi bivieron sus Padres, y han de morir sus hijos : yo ando como V. Md. vê, mi muger no la trahe mejor el Conde de Benavente, tengo dos hijas casadas, sin viña, ni olivedo, que andan como reynas ; ansi bivió mi Padre, y han de bivir mis hijos, Dios queriendo. Pues, porque hè de querer bivir roto con la viña, y no harto, y aropado sin ella ? biva la industria de la persona, que quien no tiene rais fia en Dios, y busca remedio, y el no falta, que no faltó à mis dueños, ni ha de faltar à mis nietos : y sinó murir à Flandres, y no cavar en la viña con los ganapanes ». E, assim, as mulheres seguen a mesma ley, e toda a sua riqueza he seus vestidos e cadeas, e o seu Deus o seu gosto, não perder domingo sem horta, nem horta sem merenda e enforque-se o diabo […]. 225  





















Anche il vertiginoso rincaro dei prezzi, causato dalla presenza della Corte, stimola “la industria de la persona”, l’arte di arrangiarsi, e favorisce la ‘vita picaresca’. Molte donne riuscivano, con “la industria de la persona”, a fare fortuna. 226 Thomé Pinheiro da Veiga ci racconta diversi casi di ‘successo’ ottenuto con “la industria”. Eccone uno :  



225   Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, pp. 353-354. Osservazioni analoghe fa Barthélemy Joly, che dopo aver parlato della albagia e della mania di grandezza non solo dei nobili, ma persino degli hidalgos e addirittura dei “pauures escuderos”, scrive : “Quand aux petis et gens de mestier, ne pouuans autrement faire que de trauailler à gaigner leur vie, ilz le font par une maniere d’acquist, ayans d’ordinaire le manteau sur l’espaule tant que le mestier le peult permettre, comme par exemple les orfeures en toute la platerie de Valladolid ; et si la plus part du temps ilz sont dedaigneusement assis pres leur boutique des les deux ou trois heures de l’apres dinee, pour se promener auec l’espee au costé, que s’ilz arriuent d’auoir amassé deux ou trois cents reales, les voila nobles ; il n’y a plus d’ordre qu’ilz facent rien jusque à ce qu’estans despencez ilz retournent à travailler et en gaigner d’autre pour fournir à cest equipage exterieur. L’entretien, duquel ilz appellent sustentar la honra, voila leur honneur sans proffict, qui leur cause en partie la sterilité d’Espagne. Aussy sont ces artisans cy bien plus pauures, bien plus mal meublés, bien moins accommodés en leurs maisons et se traictent beaucoup plus meschament que les nostres en France, combien qu’ilz se prisent mil fois plus, n’estans riches que de presomption” (Voyage en Espagne, pp. 616-617). Pochi anni prima il barone Konrad von Bemelberg aveva scritto : “lo más del dinero que en España se gasta, es o en jugar, o en vestir, o en mugeres, o en Cauallos. Y en confirmación desto puedo asegurar a VM. que en Valencia vn Cauallero, que por solo parecer entre los demas superbemente, se empeñó hasta en las orejas, vendiendo tierras y castillos ; y el Almirante de Castilla vna noche jugando a primera perdio veynte mil ducados.” Cfr. Conrad von Bemelberg : A un Caballero aleman españoliçado (De Boloña, y de Augusto año de 1599), p. 159. 226   Nella romanza Con vna niña me casan (posteriore al 1595 ; anteriore al 1600 ?), attribuita a Góngora, si racconta la storia di una ragazza e di sua madre che, rimaste poverissime alla morte del capofamiglia, divennero ricche in breve tempo grazie alla loro “buena yndustria” (questa consisteva negli uffici di mezzana della madre e nella prostituzione della figlia). Cfr. Luis de Góngora : Romances. III. Edición crítica de Antonio Carreira, pp. 349-353.  



















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Aos 30 de Junho [1605], quinta feira, vindo eu e Francisco Mancias e André Alciato no seu coche pela calle dos Mouriscos, passava outro de damas ; e huma dellas, que hia vestida de gorgurão de seda de ouro, roxo, com suas gorgeiras, emparelhando, disse : « Señor Turpin [Thomé Pinheiro da Veiga], que lexos và V. Md. de conocerme, y acordarse de aquel buen tiempo de la calle de los Manteros y de las vesinas en frente » ; e, por mais signais que me foy dando, não acabava de a conhecer, e assim lhe disse : « no puedo crer sinò que me tenga V. Md. hecho muchos agrabios, puès me olbido dellos, que, si fueran fabores, ni yo fuera ingrato, ni desconoscido ». Enfim, pouco a pouco, vim a conhecer quem era, a Snr.a D. Maria de Salinas, no anno de 603, 227 in antiquis, Maria de Salinas, filha de Maria Alvares, moça de 20 annos, bem assombrada e melhor fallada, meya dama e meya fragona [fregona], que vivia a may de alquilar caza, cama e moça e havia 3 annos que andava amancebada com o Embaixador de Parma, com muyta honra e recolhimento, como a may me dizia, sem ver sol nem lua ; e com a pelle mudou o nome e rostro e vinha com tanta authoridade como a Duqueza de Nayera [Nájera], e a vi tão contente que me dizia huma vês : « está la muchacha, señor, una perla, que le dirè que ver aquellas muñecas de aquella garganta ès una tortilla nueva, que le prometo, como acá veniere, que la vea » : e dizia isto, lambendo os beiços, « y que le haja ver una media, que pasmará V. Md. ». E não ha mais gloria para huma may destas que ver sua filha querida e servida e tida por fermosa : e isto que he mostrar meya, sapatinho, onde ha conhecimento, qualquier o fás […]. 228  



































A volte, una morte precoce interrompeva una ‘carriera’ molto promettente :  

Anna de Obregon, hospeda de D. Vasco da Gama, nosso amigo, tem hum retrato de huma filha, que lhe morreo de 18 annos e lhe deixou 14.000 cruzados em dinheiro, que empregou em juro ; afirmaram-me pessoas que a conheceram que foy extremo de fermoza e que sempre pareceo donzella ; e, enganado com esta sua natureza, Diogo Botelho cuida que foy o primeiro pessuidor [possuidor], andando o prazo já em setima vida ; e assim corre hoje com a may, a qual confessou que o Duque de Alva somente fòra primeiro que elle e eu sei de certo que o Duque de Alva e D. Pedro e hum fidalgo português foram primeiras vidas. A may confeça o Duque e acrescenta El-Rey ; porem dis que nenhum delles alcansou victoria, nem pôde entrar a fortaleza, e que nenhum chegou onde chegou o Ruy de Sande, português, porque todos, ao dobrar do cabo de Boa Esperança, arribavam e que El-Rey parou nas Colunas de Hercules e o Duque lhe sahio a sorte em branco : mas outra pessoa me affirmou o contrario e que chegara plus ultra, por onde os mais passaram de verga de alto róta batida. 229  











Vogliamo concludere questo sottocapitolo trascrivendo alcune righe della Fastigimia nelle quali prima si insinua che le donne, tutte, della Corte non sono meno peccatrici delle prostitute e poi si fa una maliziosissima allusione alla licenziosità delle Senhoras, le nobili titolate (in particolare, le appartenenti alla Grandeza) :  

Na Segunda feira [da Semana Sancta] se faz uma procissão na Igreja da Magdalena, ás mulheres publicas, que se pudera fazer a toda a Corte ; onde a justiça levou onze ; quando acudimos, ás oito horas, não houve entrar, nem se converteu alguma, antes estão fazendo caretas, e descomposturas, que servem de escandalo, mais que de proveito. Quando alguma se converte, as Senhoras que estão presentes a recolhem para a casarem, ou lhe dar vida, ainda que nós dizemos que as levam para mestras de ceremonias. 230  





227

  Il 1603 è l’anno del primo, lungo soggiorno di Thomé Pinheiro da Veiga a Valladolid.   Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, p. 207.   Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, pp. 210-211. 230   Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, pp. 24-25. 228

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capitolo vii Comportamenti trasgressivi della nobiltà : risse, duelli, episodi ‘picareschi’  

Numerosi sono gli episodi narrati da Luis Cabrera de Córdoba nella sua cronaca di Corte, a taluni di essi accennano anche Thomé Pinheiro da Veiga e Girolamo da Sommaia, che rivelano la corruzione di membri della nobiltà e la loro mancanza di rispetto per la legge. Le risse e i duelli erano frequentissimi, spesso originati da futili motivi. Luis Cabrera de Córdoba ci racconta, per esempio, questo episodio di cui fu protagonista il secondogenito del Duca di Lerma una sera del maggio (o dell’aprile) del 1605 :  

[...] una noche de la semana pasada [Don Diego de Gómez de Sandoval y Rojas, Conde de Saldaña] se puso á dar matraca á los que daban cierta música en la Platería, los cuales pusieron mano á las espadas contra él y los que le acompañaban, y le dieron una estocada que le pasó el broquel y le hirió en el pecho hácia la tetilla, que fue necesario decir quien era, con que le dejaron, y hubo heridos de una y otra parte. 231  

Per questa rissa e per altri “escesos”, 232 Don Diego de Gómez de Sandoval y Rojas, che aveva sposato D. Luisa de Mendoza, Contessa di Saldaña, nipote ed erede di Don Iñigo López de Mendoza, V Duca dell’Infantado, fu fatto incarcerare dal padre nella Fortezza di Ampudia, dove rimase per un paio di mesi. Anche Don Pedro Téllez Girón, III Duca di Osuna, che era solito accompagnarsi a “gente perdida” e conduceva una vita dissipata ad Alcalá de Henares (qui aveva avuto Quevedo come compagno di avventure 233), a Siviglia e a Madrid, era stato incarcerato, per i suoi “escesos” 234 (uccisioni, amori con attrici, duelli, risse in case da gioco 235), più  







231   Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 242. Thomé Pinheiro da Veiga questo episodio lo riferisce così : “(24 de Abril 1605) [...] esta tarde veyo o Conde de Saldanha e [ ? !] Marquês de Barcarrota, que anda á Plataria com outros sette ou oito quebrando as calçadas e despedaçando os cavallos diante de damas suas parentes ; e á noite, andando com huns criados embuçados, topou com huns gallantes que estavam dando muzica a huma Portuguesa chegada de novo ; quis estrova-los, e sobre palavras, vieram a arrancar e deram-lhe huma estocada pella tetilha esquerda, que a entrar mais huma unha o acabavam ; mas, nomeando-o os seu, o conheceram e lhe pediram perdão e se foram entregar ao Duque de Lerma, que, ainda que os prenderam, os fês soltar, e prender o filho em casa de seu sogro, e assim esteve mais de dous mezes sem entrar em festa alguma, nem sahir fóra senão escondido, sem bastar o Embaixador, nem outro algum meyo para o soltarem” (Fastigimia, p. 45). I due cronisti discordano sulla data. La Relazione di Luis Cabrera de Córdoba è datata “De Valladolid á 14 de Mayo 1605”, la “settimana passata” dovrebbe essere quindi la seconda settimana di maggio ; ma il cronista la cui precedente Relazione era del 16 aprile, fa un resoconto di quello che era successo a partire da questa ultima data ed è possibile una sua svista. Nella Fastigimia l’episodio reca invece una data precisa : 24 aprile, domenica. Il testo di Thomé Pinheiro da Veiga contiene un errore. Il Conte di Saldaña e il Marchese di Barcarrota [Don Alonso de Portocarrero, Marqués de Villanueva del Fresno, Señor de Barcarrota] erano due distinte persone. Forse per una svista dell’amanuense o del curatore della edizione si è scritto “veyo o Conde de Saldanha e Marquês de Barcarrota” invece di “veyo o Conde de Saldanha com o Marquês de Barcarrota”. Narciso Alonso Cortés non si accorge dell’errore e traduce : “esta tarde vino el conde de Saldaña y marqués de Barcarrota, que andaba en Platería...”. Cfr. Thomé Pinheiro da Veiga : Fastiginia. Vida cotidiana en la Corte de Valladolid. Traducción y notas de Narciso Alonso Cortés, p. 64. 232   Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 242. 233   Cfr. Pablo Jauralde Pou : Francisco de Quevedo (1580-1645), p. 108 e p. 118. 234   Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 67, p. 84, p. 148. Sulle scapestrataggini giovanili del Duca di Osuna scrissero una comedia Cristóbal de Monroy y Silva (Las mocedades del Duque de Osuna) e Francisco Antonio de Bances Candamo (Más vale el hombre que el nombre). 235   Cfr. Carmen Sanz Ayán : Recuperar la perspectiva : Mateo de Salcedo, un adelantado en la escena barroca (1572-1608). In : Edad de Oro 14 (1995), 257-286 ; qui pp. 274-281.  



   





























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volte (fuggirà dall’ultima prigione e si recherà a combattere in Fiandra negli eserciti dell’Arciduca Alberto, iniziando così la sua grande carriera). 236 Non meno scapestrato del Duca di Osuna era, per esempio, Don Jorge de Cárdenas Manrique de Lara, IV Duca di Maqueda (figlio di D. Bernardino de Cárdenas, III Duca di Maqueda, e di D. Luisa de Acuña, figlia – ed ereditiera dei titoli e degli ‘stati’– di D. Manrique de Lara Acuña y Manuel, IV Duca di Nájera, V Conte di Treviño e VI Conte di Valencia de Don Juan ; sarà anche VII Duca di Nájera dopo la morte del fratello D. Jaime, VI Duca di Nájera 237), Conte di Treviño e Marchese di Elche, che diventerà anch’egli un gran soldato 238 (nel dedicargli la commedia Pobreza no es vileza, Lope de Vega lo chiamerà l’Africano per le sue imprese guerriere in Barberia 239). Il 23 marzo 1605 il Duca di Maqueda e i suoi fratelli, Don Juan de Cárdenas, “menino de la Reina”, e Don Jaime de Cárdenas, attaccarono nella Plaza Mayor di Valladolid, impugnando le spade sguainate, Don Luis de Velasco, che per sfuggire agli aggressori cadde in un pozzo e vi affogò miseramente. 240 Nel novembre del 1608 Don Jorge de Cárdenas Manrique de Lara e tre o quattro servitori aggredirono a bastonate un escribano, che aveva notificato al Duca di Maqueda “una provision del Consejo Real”, e “le dejaron por muerto”. 241 Nell’estate del 1609, per una serenata, assalí e ferí con la spada Don Luis Fernández de Córdoba y Folch de Cardona y Aragón, V Duca di Sessa (il ferimento del suo protettore provocò “notable pena” a Lope de Vega, nella cui casa Don Luis si era intrattenuto prima di subire l’aggressione 242). La pagina nella quale Luis Cabrera de Córdoba descrive l’accaduto sembra il bozzetto di una scena di commedia di cappa e spada :  

















Sucedió jueves 23 del pasado [Julio 1609], que el duque de Sesa se salió á media noche con un mulatillo que tañía y cantaba, y un pajecillo á tomar el fresco, y fue á parar á la plazuela de la duquesa de Nájera [D. Luisa de Acuña, V Duquesa de Nájera 243], y de una ventana pidieron al músico que táñese y cantase ; y el Duque se lo mandó, y en esta ocasion llegó el de Maqueda [Don Jorge de Cárdenas y Manrique, IV Duque de Maqueda] con el de Pastrana [Don Ruy Gómez de Silva de Mendoza y de la Cerda, III Duque de] y Barcarrota [Don Alonso de Portocarrero, Marqués de Villanueva del Fresno, Señor de], que venian del Prado, y el de Maqueda se enfadó de la música ;  





236   Cfr. Francisco Rodríguez Marín : « Discurso preliminar » a : Rinconete y Cortadillo, pp. 98-99. – Luis M. Linde : Don Pedro Girón, duque de Osuna. La hegemonía española en Europa a comienzos del siglo XVII, pp. 38-60. 237   Alla morte di D. Bernardino de Cárdenas (1601), il titolo di Duca di Maqueda passò a Don Jorge de Cárdenas Manrique de Lara ; mentre alla morte di D. Manrique de Lara Acuña y Manuel (1600), il titolo di Duca di Nájera, di cui era ‘proprietaria’ D. Luisa de Acuña, fu trasmesso a D. Jaime, figlio secondogenito della signora. D. Luisa de Acuña, “pese a ser por derecho duquesa de Nájera, se reservó el condado de Valencia de Don Juan, título por el que fue conocida hasta su muerte en 1627” (Santiago Martínez Hernández : Los cortesanos. Grandes y títulos frente al régimen de validos, pp. 448-449). 238   Sul Duca di Maqueda cfr. Agustín G. de Amezúa : Introducción al Epistolario de Lope de Vega Carpio. I, pp. 42-47. – Santiago Martínez Hernández : Los cortesanos. Grandes y títulos frente al régimen de validos, pp. 453-456. 239   Lope Felix de Vega Carpio : Obras escogidas. Estudio preliminar, biografía, bibliografía, notas y apéndices de Federico Carlos Sainz de Robles. Tomo III. Teatro**. Madrid : Aguilar 1967, pp. 1366-1398 ; qui p. 1366. 240   Cfr. Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, pp. 239-240 e p. 265. – Anche Thomé Pinheiro da Veiga (Fastigimia, pp. 45-46) racconta con molti particolari l’episodio. La vittima dell’aggressione sarebbe stata però – secondo Thomé Pinheiro da Veiga – Don Pedro de Ulloa e non Don Luis de Velasco. 241   Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 355. 242   Cfr. Epistolario de Lope de Vega Carpio que por acuerdo de la Real Academia Española publica Agustín G. de Amezúa. III. Madrid 1941, pp. 10-11 (lettera nro. 6, di fine luglio 1609). 243   Alonso López de Haro : Nobiliario genealógico. I, p. 310 (“Doña Luisa Manrique de Lara quinta Duquesa de Najera, Condesa de Treuiño y Valencia, señora de la casa y Estado de los Manueles, sucedio en estos grandes Estados al Duque su padre...”).  





























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capitolo vii

porque el conde de Villamor [Don Alonso ? Alvarado] que posa allí, habia dado otras en aquella plazuela ; y como tenga una hermana, le pesaba, y así se despidió de los que iban con él, y entró en casa y se armó, y tomó un broquel, y con dos ó tres se fue para el que tañía y quebróle la guitarra en la cabeza, y echó mano contra el de Sesa sin conocerle ; y estándose acuchillando se le quebró la espada al de Sesa en el broquel del contrario y el de Maqueda le dió una grande cuchillada en la cabeza, hácia el lado izquierdo, y otra en el rostro que le baja por el carrillo de la mesma parte y le llega á cortar el labio inferior, y en esto el pajecillo alzó voces, diciendo que era el duque de Sesa, su señor. Hecho el daño lo dejó el de Maqueda, y los que con él habian salido y se entraron en su casa, y el de Pastrana y Barcarrota que habian entendido el desabrimento con que habia quedado el de Maqueda, dieron vuelta por allí para ver lo que habria sucedido, y hallaron al de Sesa sentado en el umbral de una puerta, cubierta la herida del rostro con un pañuelo, y sin conocerle le preguntaron si estaba herido ; el cual les dijo, que si lo estaba que él se curaria, y que le habia quedado media espada para vengarse de cobardes gallinas, con lo cual se fueron, y el Duque á su casa á curarse. El cual se acuchilló como valeroso caballero, solo y con la espada que traia de ordinario en la cinta, porque no venia con ninguna prevencion de armas ni criados, como fuera justo á aquella hora ; ni el de Maqueda, si le acometió sin conocerle, hizo la demostracion que fuera justo con él, pues supo quien era con lo que el paje publicó ; y el de Sesa no dió lugar al músico que cantase por ofenderle, ni entre ellos habia disgusto ninguno, y el de Maqueda estaba aqui de secreto, porque habia venido á dar la norabuena á su madre de la sentencia que habia tenido en su favor, en el pleito de Treviño, contra el conde de Paredes [Don Antonio Manrique de Lara, Conde de Paredes de Nava]. El Duque estaba en Torrijos con pleito homenaje, cumpliendo la reclusion de seis meses de la sentencia del Consejo de Ordenes por el caso pasado, y así se volvió allá al almanecer, y tras él se partió un alcalde ; y pasó adelante que no se sabe si fue á Portugal ó á Valencia ; y se mandó ocuparle el estado y poner guardas en su casa al de Pastrana, y el de Barcarota se recogió en San Gerónimo y le fue á sacar un alcalde, y sin topar con él se salió del monasterio y se ha ido fuera de aquí, aunque no se hallaron en la pendencia. El de Sesa hasta ahora va con mejoría en la cura de las heridas. 244  

















Sebbene i Re Cattolici avessero proibito il duello ‘privato’ con la Pragmática emanata a Toledo nel 1480, 245 i duelli erano frequenti 246 e spesso originati, come si è detto, da futili motivi, 247 come quello fra Don García Álvarez de Toledo Osorio y Mendoza, III Duca di Fernandina, figlio di Don Pedro Álvarez de Toledo Osorio y Colonna, V Marchese di Villafranca del Bierzo, e Don Rodrigo Girón :  







Sucedió á los 29 del pasado [Enero 1608] que amaneció muerto Don Rodrigo Giron, hijo de Don Gaspar de la casa de la Puebla de Montalban, sobrino del cardenal de Toledo [D. Bernardo de Rojas y Sandoval] y del obispo de Cuenca [D. Andrés Pacheco], que habia poco que llegó de Flandes donde era capitan de caballos ; al cual mató el duque de Fernandina, hijo de don Pedro de Toledo, á la una de la noche en la calle de la Cruz, sobre ciertas palabras muy ligeras que antes y allí tuvieron, con ser amigos de antes. Pusieron mano á las espadas, y el Duque dió una herida sobre el ojo á don Rodrigo con que le hizo perder el sentido, y así le dió otras siete ú ocho con defenderse poco, con que se despartieron, y don Rodrigo con la daga en las manos fue á casa de don Alonso de Mesa que posaba cerca, y murió dentro de un cuarto, sin confesion, por la brevedad ; y el Duque se fue con una herida en el carrillo á casa del duque de Alba, cuyo huesped  



244   Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, pp. 378-379. 245   Il testo della Pragmática, emanata in occasione delle Cortes riunite a Toledo nel 1480, è riprodotto e commentato da Claude Chauchadis : La loi du duel. Le code du point d’honneur dans l’Espagne des XVIe-XVIIe siècles (= Anejos de Criticón, 8). Toulouse : Presses Universitaires du Mirail 1997, pp. 205-207. Cfr. anche Ángel Alloza : La vara quebrada de la justicia. Un estudio histórico sobre la delincuencia madrileña entre los siglos XVI y XVIII, p. 132. 246   Sulla frequenza dei duelli cfr. Claude Chauchadis : La loi du duel, pp. 393-401, pp. 475-483. 247   Sui molteplici motivi che originavano i duelli cfr. Claude Chauchadis : La loi du duel, pp. 403-415.  











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era, y como llegó aviso de la muerte de don Rodrigo, se fue á San Martin, de donde le mandaron sacar con órden de S. M. y lo pusieron en casa de un caballero particular del hábito de Montesa, llamado Garcia de Pareja, con seis aguaciles y otras cinco guardas, entretanto que se declara la competencia sobre volverle á la iglesia. Créese que le restituirán, porque no se prueba ser caso acordado, aunque se habia dicho que las palabras comenzaron en casa de ciertas mugeres llamadas las Mirandas, y por esta sospecha las pusieron en la carcel ; pero no se ha podido averiguar ni que ayudase en la pendencia al Duque su camarero y un mozo de cámara que le acompañaban, si bien se han ausentado por no probar algunos tormentos, y los han enviado á buscar ; mas el Duque es muy diestro en jugar de la espada y pudo en esto llevar ventaja al contrario, aunque no es mas que de diez y nueve años 248 y delgado, y don Rodrigo mas dispuesto y fornido y de veinte y seis años. Ha hecho mucha lástima el suceso á toda la Córte por ser los dos muy bien quistos, y hasta ahora no ha venido respuesta del aviso que se dió de esto á don Pedro de Toledo, que está en el Puerto de Santa María, el cual habia pedido licencia los dias pasados para venir aquí, y no se la habian querido dar. 249  







Da ancor più futile motivo fu originato il duello che ebbe luogo fra Don Manuel de Moura y Corte Real, II Marchese di Castelo Rodrigo e I Conte di Lumiares, figlio di Don Cristóbal de Moura, I Marchese di Castelo Rodrigo, e Don Luis Guillén de Moncada, figlio di Don Francisco de Moncada, Duca di Montalto : 250 l’essersi dati l’un l’altro del Vuestra Merced, mentre la Pragmática de tratamientos permetteva (non obbligava) di rivolgersi ai nobili titolati con la forma di cortesia di Vuestra Señoría 251 (la forma era invece obbligatoria nei confronti dei Grandi di Spagna 252). A volte i duelli erano originati da rivalità nate nel corteggiare e frequentare donne di    





248   Secondo “el expediente para su ingreso en la Orden de Santiago”, il Duca aveva, nel 1612, 25 anni. All’epoca del duello doveva quindi avere 21 anni. Cfr. Luis-Alfonso Vidal de Barnola : Los títulos nobiliarios concedidos a los Álvarez de Toledo. In : María del Pilar García Pinacho (Ed.) : Los Álvarez de Toledo. Nobleza viva. Junta de Castilla y León 1998, pp. 53-89 ; qui p. 74. 249   Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, pp. 330-331. Due anni dopo il Re concesse il perdono al Duca di Fernandina per la uccisione di Don Rodrigo Girón (p. 430). 250   In data 18 dicembre 1611, Luis Cabrera de Córdoba scrive nelle sue Relaciones (pp. 458-459) : “Los dias pasados el hijo de Cristóbal de Mora, en Lisboa, salió en compañía de otro, en desafio con el hijo del conde [Duque] de Montalto, que tambien sacó compañero ; los cuales se hirieron, pero no de peligro, y así el de don Cristóbal estaba ya bueno, y el otro no se sabe como se habia ausentado, por hallarse culpado por haberle desafiado sobre el pleito homenaje que entrambos habian hecho de ser amigos, antes de venir á la pendencia, lo cual resultó de haber visitado el de don Cristóbal al otro que estaba malo y le trató de merced, como se solia, y como se la volvió, siendo título, el de don Cristóbal, dijo al que le acompañaba : « vámonos de aquí que este enfermo está con frenesí », que fue la causa del desafio.” 251   “Permitimos que a los Marquesses, Condes, Comendadores mayores de las Ordenes de Santiago, Calatraua, y Alcantara, y Comendador mayor de Montessa, y Claueros de las dichas Ordenes de Calatraua, y Alcantara, y a las hijas de los Grandes se pueda llamar, y escriuir Señoria…”. Cfr. Pragmatica de tratamientos y cortesias, y se acrecientan las penas contra los transgresores de lo en ella contenido. En Madrid. Por Iuan de la Cuesta. Año de 1611. Vendese en casa de Francisco de Robles, librero del Rey nuestro Señor (Wien, Österreichische Nationalbibliothek : 390.472-C Alt), fo. 3v. 252   “[…] mandamos que a los Arçobispos, Obispos, y Grandes, y a las personas que mandamos cubrir, sean obligados todos a llamarles Señorias, assi por escrito, como de palabra, y tambien al Presidente del nuestro Consejo, al qual permitimos que le puedan llamar Señoria Illustrissima” (Pragmatica de tratamientos y cortesias. 1611, fo. 3v). Questa Pragmática confermava, sostanzialmente, le disposizioni contenute nella Pragmática emanata da Filippo II, la prima su questa materia : Pragmatica, En que se da la orden y forma que se ha de tener y guardar, en los tratamientos y cortesias de palabra y por escrito : y en traer coroneles, y ponellos en qualquier partes y lugares. En Madrid, Por Pedro Madrigal, Año de 1586. Esta tassada a cinco marauedis el pliego. Vendese en casa de Blas de Robles, librero del Rey nuestro señor (Wien, Österreichische Nationalbibliothek : 156.120-C Alt). Sulla genesi della Pragmática del 1586 cfr. José Martínez Millán : El control de las normas cortesanas y la elaboración de la Pragmática de cortesías (1586). In : Edad de Oro 18 (1999), 103-133. L’impiego di una forma di cortesia erronea – a volte volutamente erronea – dava origine non solo a duelli, ma anche a episodi divertenti come quelli narrati da Thomé Pinheiro da Veiga nella sua Fastigimia (pp. 107-109).  































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facili costumi, nubili o sposate. Cosí – tanto per ricordare un fatto ben noto – Don Gaspar de Ezpeleta, un hidalgo navarrese cavaliere dell’Ordine di Santiago e intimo amico di Don Jacques (Diego) de Croy y Peralta, V Marchese di Falces, fu ferito a morte in un duello avvenuto il 27 giugno 1605 a Valladolid nei pressi della casa dove abitavano sia Cervantes e le molte donne della sua famiglia (“las Cervantas”), sia la vedova del poeta Pedro Laynez ed altre ‘signore’ che vivevano della “industria” della loro persona ed erano frequentate da nobiluomini come Don Ruy Gómez de Silva y Mendoza, III Duca di Pastrana, Don Gastón Ruiz de Corella, Conte di Concentaina, Don Jorge de Cárdenas Manrique de Lara, IV Duca di Maqueda, Don Fernando Álvarez de Toledo, signore di Higares e cavaliere di Santiago, e Don Diego de Miranda, cavaliere di Santiago. 253 Frequenti erano anche i duelli originati da liti sorte al tavolo da gioco. 254 Il disprezzo della legge molti giovani nobili lo manifestavano non solo nel battersi in duello, ma anche nel non rispettare le autorità pubbliche. Il giovane Duca di Maqueda aggredì, come abbiamo visto, un pubblico escribano. Don Fernando Enríquez de Ribera, III Duca di Alcalá de los Gazules, fece bastonare dai suoi lacchè un regidor di Sevilla, “por no habérsele descubierto pasando cerca de él”. 255 Don Gómez Suárez de Figueroa y Mendoza, III Duca di Feria, Don Antonio Sancho Dávila Toledo Colonna, figlio del Marchese di Velada, il Marchese di Orellana e Don Pedro Pacheco, fratello di Don Luis Carrillo de Toledo, Marchese di Caracena e viceré di Valencia, aggredirono due alguaciles di Madrid e ne ferirono uno. 256 Il giovane Ammiraglio di Castiglia, D. Juan Alfonso Enríquez de Cabrera y Colonna, V Duca di Medina di Rioseco, che amava avere fra i suoi servitori dei valentones, “dió de palos, por su mano, á un alguacil de Córte en su casa, que cierta noche habia desarmado un criado suyo, de los valentones que trae consigo”. 257 Ai giovani nobili queste trasgressioni, con le quali ostentavano il loro disprezzo della legge, non costavano troppo care (qualche mese di arresto, con tutte le comodità, e una  









253   A seguito della morte di Don Gaspar de Ezpeleta fu istruito un processo i cui atti furono pubblicati da Cristóbal Pérez Pastor : Causa criminal sobre la muerte de don Gaspar de Ezpeleta. In : C. P. P. : Documentos Cervantinos, hasta ahora inéditos, recogidos y anotados. Tomo II. Madrid : Establecimiento Tipográfico de Fortanet 1902, Apéndice I, pp. 453-537. Con il titolo Transcripción del proceso a Cervantes por Cristóbal Pérez Pastor ora accessibile in : Cristóbal Pérez Pastor – Nicomedes Sanz y Ruiz de la Peña – Amalia Prieto Cantero : Cervantes en Valladolid. Edición facsímil. Valladolid : Grupo Pinciano – Caja España 1992, pp. 193-289. Questo volume, curato da José Delfín Val, contiene (alle pp. 17-187) anche il facsimile del manoscritto degli atti del processo, conservato nella Biblioteca de la Real Academia Española e intitolato : Averiguaciones hechas por mandado del señor Alcalde Cristóval de Villarroel sobre las heridas que se dieron á don Gaspar de Ezpeleta, caballero del hábito de Santiago. Recentemente è stata pubblicata una nuova edizione degli atti del processo : El proceso Ezpeleta. Edición de Carlos Martín Aires. Burgos : Fundación Instituto Castellano y Leonés de la Lengua 2005. Su questo celebre processo cfr. Joaquín de Entrambasaguas : « Estudio preliminar » a : Obras de Pedro Laynez. Estudio preliminar, edición y notas de J. de E. con la colaboración de Juana de José Prades y Luis López Jiménez. Tomo I (= Nueva colección de libros raros o curiosos, vol. 2). Madrid : C.S.I.C. 1951, pp. 1-364 ; qui pp. 74-86. – Jean Canavaggio : Aproximación al caso Ezpeleta. In : J. C. : Cervantes, entre vida y creación (= Biblioteca de Estudios Cervantinos, 7). Alcalá de Henares : Centro de Estudios Cervantinos 2000, pp. 45-63. – Javier Salazar Rincón : El escritor y su entorno. Cervantes y la Corte de Valladolid en 1605, pp. 315-358. 254   Il 3 luglio 1610 Luis Cabrera de Córdoba annota : “Los dias pasados sobre el juego, en casa del marqués de Cañete [Don Hurtado de Mendoza], se desafiaron el conde de Chinchon [Don Luis Jerónimo Fernández de Cabrera y Bobadilla, IV Conde de Chinchón], y su primo don Andrés de Castro ; y se salian á acuchillar hácia el Prado de San Gerónimo, y salió el Corregidor trás ellos y los pusos presos en sus casas” (Relaciones, p. 411). 255   Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 227. 256   Cfr. Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 550, p. 558, p. 561. 257   Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 559, p. 561.  



















































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somma, più o meno rilevante, di denaro da corrispondere alle vittime o alle loro famiglie, nei casi di aggressioni a persone private 258 o a pubblici ufficiali) e, soprattutto, non impedivano una futura brillante carriera (il Duca di Osuna divenne Viceré di Sicilia e, successivamente, di Napoli ; il Duca di Feria si distinse come generale e diplomatico, fu Viceré di Valencia e governatore dello Stato di Milano ; il Duca di Fernandina fu nominato “General de las galeras de Nápoles” ; 259 il Duca di Maqueda fu insignito del Toson d’Oro, suo fratello Don Juan Manrique de Cárdenas fu maese de campo, governatore ad interim di Orán, dove combattè valorosamente e con successo ; 260 il Duca di Pastrana ebbe importanti incarichi e cariche e finí la sua brillante carriera di cortigiano come ambasciatore a Roma ; 261 Don Pedro Pacheco sarà creato Marchese di Castrofuerte nel 1627, diverrà Mayordomo Mayor della Regina Isabella di Borbone, membro del Consiglio di Guerra e poi del Consiglio di Stato ; il Duca di Medina di Rioseco divenne gentilhombre de Cámara e Mayordomo Mayor di Filippo IV, membro dei Consigli di Stato e di Guerra, Viceré di Napoli). Nei casi in cui qualche nobile commetteva un vero e proprio assassinio e veniva giustiziato (con la decapitazione, privilegio dei nobili), il disprezzo della legge diffuso nella nobiltà veniva manifestato con i grandi onori che si tributavano al morto. Facciamo un esempio. Il 16 giugno del 1605 262 venne assassinato di notte, con ventidue pugnalate, Don Mendo de Solís, in casa sua, nel suo letto, in un “lugar” di sua proprietà, situato nei pressi di Salamanca. In un primo tempo fu sospettato dell’assassinio il Conte di Villanueva di Cañedo, poi si scoprì che gli assassini erano Don Antonio de Paz e Don Francisco Maldonado (cognato del Conte di Villanueva di Cañedo). Complici degli assassini erano state la moglie di Don Mendo de Solís, la suocera e una serva. 263 Si era trattato, probabilmente, di un delitto passionale. Don Francisco Maldonado fu arrestato e decapitato. Dopo la decapitazione, i nobili cavalieri di Salamanca “sotterrorno il corpo e la testa di Don Francisco […] con solennità”. 264 Il comportamento di alcune nobildonne non era meno trasgressivo. La Contessa di Villalonga 265 e la Marchesa di Siete Iglesias 266 erano corrotte e avide di denaro come i  





   

   

   













258   In una rissa che ebbe luogo a Siviglia nel 1592 e che fu provocata da alcuni nobili, fra cui il Marchese di Peñafiel (Don Pedro Téllez Girón, il futuro Duca di Osuna), fu ucciso il fratello di un mercante fiammingo, certo Guillermo Corinse. I nobili coinvolti nell’uccisione se la cavarono con un indennizzo di 3.000 ducati d’oro pagati al mercante. Cfr. Francisco Rodríguez Marín : « Discurso preliminar » a : Rinconete y Cortadillo, pp. 99-100. 259   Cfr. Andrés de Almansa y Mendoza : Obra periodística, p. 179. 260   Cfr. Andrés de Almansa y Mendoza : Obra periodística, p. 232, p. 244 e p. 286. 261   Cfr. Trevor J. Dadson : Inventario de los cuadros y libros de Ruy Gómez de Silva, III Duque de Pastrana (1626). In : Revista de Filología Española 67 (1987), 245-268 (riprodotto in : Trevor J. Dadson : Libros, lectores y lecturas. Estudios sobre bibliotecas particulares españolas del Siglo de Oro. Madrid : Arco/Libros 1998, pp. 165-175). 262   Diario de un estudiante de Salamanca. La crónica inédita de Girolamo da Sommaia (1603-1607), p. 364 (“[Al di 17 di Giugno (1605)] Venne nuoua come Don Mendo de Solis era stato Ammazzato in sua casa e letto hiersera”). 263   Cfr. Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 254, p. 264. – Diario de un estudiante de Salamanca, p. 564. 264   Diario de un estudiante de Salamanca, pp. 413-415. Successivamente furono giustiziati Don Antonio de Paz e la moglie di Don Mendo de Solís, D. Antonia Miñaia ; la serva che aprì la porta agli assassini fu fustigata (cfr. Diario de un estudiante de Salamanca, p. 409, p. 442, p. 562, p. 564). 265   Cfr. J. A. Escudero : Los secretarios de Estado y del Despacho (1474-1724), I, p. 229. – Josep M. Torras i Ribé : Poder i relacions clientelars a la Catalunya dels Àustria. Pere Franquesa (1547-1614), p. 182. In una certa occasione la moglie di Pedro Franqueza si fece regalare “vna cadena de Diamantes del Valor de cinco mill ducados” (Cargos que resultan de la visita hecha a Don Pedro Franqueza, Conde de Villalonga, fo. 210r). 266   Cfr. « Real decreto concediendo diversas mercedes al padre de don Rodrigo Calderón, á la viuda y al hijo  































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loro mariti. La Duchessa di Nájera (si tratta di D. Luisa de Acuña Manrique de Lara, moglie del III Duca di Maqueda e – come erede dei titoli paterni – V Duchessa di Nájera e Contessa di Valencia de Don Juan ?) tenne la figlia maggiore prigioniera in convento per costringerla a farsi monaca e potere cosí far sposare una sua altra figlia con una grande dote. 267 Un’altra (o la stessa ? 268) Duchessa di Nájera (moglie di D. Jaime ?) tentò  









mayor. El Consejo hace observaciones en contrario ». In : J. Martí y Monsó : Los Calderones y el Monasterio de Nuestra Señora de Portaceli. Documentos. In : Boletín de la Sociedad Castellana de Excursiones, Año VIII (1910), p. 558-559 (Doc. Núm. 74 - 1622). Il Consejo Real si oppose alle mercedes fatte caritativamente alla moglie di Don Rodrigo Calderón, ricordando “que coopero ella con el recibiendo de pretendientes dineros, muchas y muy grandes dadivas, joyas y otras cosas de grande precio”. 267   Cfr. Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 316, p. 367. 268   Le Duchesse di Nájera menzionate da Luis Cabrera de Córdoba erano due diverse persone, o una identica persona ? Esistevano due diverse Contesse di Valencia de Don Juan ? Negli ultimi giorni di luglio del 1610 Luis Cabrera de Córdoba annotava nella sua cronaca : “Tiénes por muy cierto el casamiento del duque de Lerma con la señora condesa de Valencia, y que para efectuarlo solamente se espera la dispensacion del voto de religion de él y de castidad de ella ; la cual es señora de muchas partes y hermosura, aunque ha engordado, como pasa de los cuarenta años ; y si bien fue casada con el conde de Valencia, su sobrino, hijo mayor y sucesor del duque de Nájera, que murió antes que su padre, por estar muy enfermo cuando se casó se entiende que no pudo llegar á ella, y siempre ha sido muy estimada su descripcion, y dicen que tiene de renta 14.000 ducados y grande recámara de cosas muy ricas y curiosas ; y se dice que los duques de Uceda sienten mucho este casamiento, porque si hubiere hijos de él, tratará su padre de hacer mayorazgo de lo que habia de acrecentar en la casa principal” (Relaciones, p. 412). La Contessa di Valencia, il cui matrimonio con il Duca di Lerma alla fine non si realizzò, è – almeno secondo il compilatore del pessimo « Indice de nombres propios », largamente lacunoso (la Duchessa di Nájera è ricordata da Luis Cabrera de Córdoba non solo alle pagine 411 – in realtà, 412 – 415, 492, 545, ma anche alle pagine 316, 358, 361, 367, 378) e confuso, della edizione delle Relaciones del 1857 (sarebbe stato estremamente necessario far compilare in occasione della pur meritoria “edición facsímil” del 1997 un nuovo indice dei nomi, che non soltanto fosse completo e corretto, ma risolvesse anche vari problemi di omonimie e di confusioni d’identità e identificasse in maniera certa ognuna delle infinite persone citate nella cronaca di Corte) – la stessa Duchessa di Nájera protagonista della lite con la Contessa di Medellin. Ma “D. Luisa de Acuña y Portugal, Condesa de Valencia de Don Juan” (Santiago Martínez Hernández : El Marqués de Velada, pp. 513-514, p. 530, p. 623), la dama corteggiata dal Duca di Lerma, non può essere la D. Luisa de Acuña, Contessa di Valencia de Don Juan, che era nata nel 1558 ed aveva sposato nel 1580 D. Bernardino de Cárdenas, III Duca di Maqueda. Questa signora – madre di D. Bernardino de Cárdenas, Marchese di Elche (morto nel 1599), di D. Jorge Manrique de Cárdenas, IV Duca di Maqueda, di D. Jaime de Cárdenas, Duca di Nájera (per rinunzia della madre), e di D. Juan de Cárdenas – dei titoli ereditati dal padre D. Manrique de Lara Acuña y Manuel, IV Duca di Nájera, V Conte di Treviño e VI Conte di Valencia de Don Juan, aveva conservato per sé soltanto quello di Contessa di Valencia de Don Juan. D. “Luisa de Acuña y Portugal, Condesa de Valencia de Don Juan”, era sicuramente la moglie di Don Manrique de Lara, Conte di Valencia de Don Juan, morto nel 1593, prima del padre D. Manrique de Lara Acuña y Manuel (1533-1600), IV Duca di Nájera, e, come tale, cognata di D. Luisa de Acuña. Come mai portavano lo stesso titolo ? Perché D. Luisa de Acuña, fra i titoli che possedeva, scelse proprio quello di Contessa di Valencia de Don Juan, che era portato – legittimamente, evidentemente – dalla cognata ? E perché D. Luisa de Acuña veniva comunemente chiamata Duchessa di Nájera – come, in realtà, avveniva in documenti legali, come quelli relativi alla causa che la contrappose a Don Antonio Manrique de Lara, Conde de Paredes de Nava (cfr. Luis García Cubero : Las alegaciones en derecho - Porcones - de la Biblioteca Nacional. Tocantes a mayorazgos, vínculos, hidalguías, genealogías y títulos nobiliarios, p. 513, p. 614, p. 675) –, pur avendo rinunziato a questo titolo ? D. Luisa de Acuña y Portugal veniva forse, occasionalmente, chiamata Duchessa di Nájera, essendo stata la moglie del primogenito di D. Manrique de Lara Acuña y Manuel, IV Duca di Nájera ? Non abbiamo purtroppo saputo dare una risposta a questi interrogativi. E neppure abbiamo saputo risolvere un altro enigma. Esistettero fra il 1600 e il 1615 due Duchesse di Nájera ? Un’utima osservazione. Secondo il Nobiliario genealógico (I, p. 310) di Alonso López de Haro, la cognata di D. Luisa de Acuña, V Duchessa di Nájera, si chiamava Juana e non Luisa : “Casó [Don Manrique de Lara Conde de Valencia] con doña Iuana Manrique de Lara, su tia, [...] hija de Don Iuan Manrique de Lara señor de San Leonardo, y de doña Ana Fajardo su muger, i murio sin hijos en vida del Duque su padre, y sucedio en la casa y Estado doña Luisa Manrique su hermana.” Il nome, che – secondo Santiago Martínez Hernández – portava la mancata moglie del Duca di Lerma, è corretto ? Secondo la testimonianza del Nobiliario genealógico la signora avrebbe dovuto, infatti, chiamarsi non “D. Luisa de Acuña y Portugal, Condesa de Valencia de Don Juan”, ma D. Iuana Manrique de Lara, con l’aggiunta, forse, dell’apellido Acuña o Fajardo. Ma da dove viene “y Portugal” ? Nella Segvnda parte del nobiliario genealógico, nelle pagine (295-301) dedicate ai Duchi di Maqueda, Alonso López  













































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di fare uccidere la Contessa di Medellin dopo un violento diverbio, nel corso del quale le due nobildonne si erano scambiate insulti sanguinosi. Protagoniste di una lite altrettanto violenta, seppur senza tentativo di omicidio, furono la Contessa di Puñonrostro (D. Hipólita de Leiva, moglie di D. Francisco Arias Dávila y Bobadilla, IV Conte di Puñonrostro ?) e la Marchesa di Loriana (Velázquez Dávila). 269 Doña Ana de la Cerda, sorella del Conte della Puebla di Montalbán (Don Juan Pacheco) e moglie di Don Pedro Cortés de Arellano, IV Marchese del Valle de Guaxaca, che aveva sposato alla fine del 1602, 270 fu protagonista, assieme a Don Juan de Tassis e il Duca di Cea (Don Cristóbal Gómez de Sandoval y Rojas, primogenito del Duca di Lerma), di un clamoroso episodio, la cui relazione Pascual de Gayangos trovò aggiunta al manoscritto della Fastigimia conservato nel British Museum e tradusse – assieme ad altre parti dell’opera portoghese – pur ritenendo, a ragione, che essa non fosse stata scritta da Thomé Pinheiro da Veiga. 271 Innamoratosi della Marchesa del Valle, che era sua cugina essendo egli marito di Ana de Mendoza, figlia di Don Enrique de Mendoza e nipote del Duca dell’Infantado, 272 il figlio del Conte di Villamediana le aveva fatto, con successo, una corte serrata, spendendo in regali e vari omaggi più di 30.000 ducati. Nell’agosto del 1605 – in questo mese il Re e la Regina soggiornarono a Burgos 273 – il Duca di Cea (era sposato con D. María Ana de Padilla Acuña y Manrique, figlia di D. Martin de Padilla, Conte di Buendía e Santa Gadea, Adelantado Mayor di Castiglia), tornato a Valladolid 274 in compagnia del Conte di Gelves e del Marchese di San Germán per assistere il fratello, il Conte di Saldaña, ammalatosi, si invaghì della Marchesa del Valle, che in un primo tempo fece la ritrosa, ma poi, consenziente il marito, cedette. Fu così organizzato per la notte del 23 agosto – con la complicità di D. Diego de Alderete, “corregidor de Burgos” e membro del Consejo Real (dal 1614 lo sarà anche del Consejo de Cámara 275), e di sua moglie, D. Mencía, “dama  















de Haro scrive che Don Bernardino de Cárdenas, Marchese di Elche, “murio en vida del Duque su padre [Don Bernardino de Cárdenas, II Duca di Maqueda] en edad floreciente, siendo Cauallero de grandes esperanças, y casado con doña Iuana de Portugal, hija de don Iayme Quarto Duque de Bergança, y de la Duquesa doña Iuana de Mendoça su segunda muger, cuyos hijos fueron don Bernardino de Cardenas, que sucedio en la casa [come Don Bernardino de Cárdenas III Duca di Maqueda], Don Jayme de Cardenas, D. Ysabel de Cardenas...”. L’apellido Portugal derivava allora da D. Juana de Portugal ? 269   Nella Relazione dell’8 febbraio 1614 Luis Cabrera de Córdoba scrive : “Los dias pasados la duquesa de Nájera riñó estando de visita en casa de la condesa de Villalonso [D. Magdalena de Ulloa], con la condesa de Medellin, que despues de viuda se casó con don Luis de Sosa, caballero portugués ; las cuales se dijeron tan malas palabras, que la Duquesa llamó criados para que matasen la Condesa, y sacaron dagas y espadas para ello, y lo ejecutarán si los de casa no lo impidieran ; pero no se ha hecho sobre ello demostracion ninguna. Y asimesmo riñeron estos dias la condesa de Puño en Rostro y la marquesa de Loriana, su huéspeda, tratándose de malas palabras ; pero tampoco se ha hecho ninguna demostracion con ellas, sino que se ha disimulado con entrambos sucesos” (Relaciones, p. 545). 270   Cfr. Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 163. 271   La Corte de Felipe III y Aventuras del Conde de Villamediana de Bartholomé Pinheiro da Veiga, publicadas en la REVISTA DE ESPAÑA, tomo CIV, por D. Pascual de Gayangos, de la Real Academia de la Historia. Madrid : Establecimiento tipográfico de El Correo, á cargo de F. Fernández. 1885, pp. 61-66. 272   Cfr. Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 111. – L. Rosales : Pasión y muerte del Conde de Villamediana, pp. 364n.-365n. 273   Cfr. Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, pp. 258-260. 274   Come già aveva notato Narciso Alonso Cortés e come risulta dai riferimenti contenuti nella stessa relazione (“la mejor farsa que se representara en todo Valladolid” ; “diole cita para el Prado aquella misma noche”), gli avvenimenti si svolsero a Valladolid e non a Burgos, come suppose Pascual de Gayangos. Cfr. Narciso Alonso Cortés : La muerte del Conde de Villamediana. Valladolid : Imprenta del Colegio Santiago 1928, p. 52. 275   Cfr. Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 543.  



























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famosa y mejor oficial en tahurerías que no el marido”, della moglie di D. Tomás Ortiz Jiménez, “corregidor de Valladolid”, 276 di un’altra nobile dama, di Don Juan de Mendoza, Marchese di San Germán, e di Don Fernando de Castro y Sandoval, Conte di Gelves, entrambi gentileshombres de Cámara, 277 cugino, il primo, nipote, il secondo, del Duca di Lerma, quindi cugini del Duca di Cea e parenti di Doña Ana de la Cerda – un convegno amoroso in un palco durante la rappresentazione, allestita in casa di Don Diego de Alderete, di una commedia nella quale recitava l’attrice Jerónima de Burgos, moglie di Pedro de Valdés 278 e futura amante di Lope de Vega. 279  







La Marquesa, por engañar a don Juan, anduvo toda aquella tarde en un coche encerrada con él, y para más asegurar el lance usó de una galana traza, que fue pedirle al Conde [de Villamediana 280] zelos de Gerónima de Burgos, la comedianta, diciéndole que no perdía comedia y que [por] las noches la estaba viendo vestir y la regalaba con joyas. Esto fingió la Marquesa con tantas lágrimas que el pobre caballero le prometió con mil juramentos no ver nunca comedia en que entrase la dicha comedianta de noche, ni ir tampoco al teatro. En cambio de las perlas que la vio derramar, don Juan diole una gargantilla de ellas de gran precio, y, además, prometióle para el día siguiente un firmalle de dos mil ducados. Y en efecto, fue desde allí a casa de un joyero, a quien dio cien reales porque lo tuviese todo pronto para la hora que él señaló. Con esto fuese el Conde muy contento a su casa, cuidando que dejaba a la Marquesa presa con grillos al pescuezo y cabellos y ella, considerándose ya segura, entróse embozada en casa del corregidor. […] Don Juan, mientras tanto […], ya sea que el corazón le presagiase su desgracia, ó que la novedad de tantos y tan repentinos zelos como le diera la Marquesa le diese que sospechar, fuése para su casa, preguntó por ella y dijéronle que había salido ; y como don Juan sabía que había comedia, dirigióse al teatro, y llegó á tiempo que comenzaba la loa, al paso que se representaban al vivo y en secreto sus propias tragedias, tan públicas y manifiestas que todos estaban en la maraña. Siendo como era el Conde la principal figura en aquella comedia, hiciéronle luégo lugar el marqués del Valle y don Pedro de Porras, 281 y de esta manera entre los tres hicieron una yunta de bueyes perfecta. Callaba el Marqués como buey viejo, sin toser ni mugir. El novillo de don Juan, como impaciente debajo del aguijón, preguntó al don Pedro si estaba allí la Marquesa. Contóle éste el entremés, diciéndole había perdido […] la mejor farsa que se representara en todo Valladolid, y que la autora estaba en aquel momento tomando colación con el de Cea, al paso [que] los amigos ayunaban contra su voluntad. Al oír esto don Juan, sintióse tan fuera de sí que comenzó á decir que el de San Germán era el alcahuete y el truchimán, y además un traidor bellaco que le engañaba, fingiéndose su amigo. Y queriendo don Pedro de Porras apaciguarle con decirle que lo entendería el marqués del Valle, que á su lado estaba, levantóse diciendo : « Juro á Dios que no hay cornudo que no lo sepa, ni traidor que no lo pague », y fuése en medio de la comedia que parecía más bien natural invención de nuestro Chiado. Acabada aquélla, salió la novia, y viendo al marido, tragóse de un golpe la merienda, y contò cómo había estado con el de Cea ; esto lo dijo por engañar al marido con la verdad. Dadas las manos marido y mujer, fuéronse como azotados á meter en el coche, muy de paz y día bueno, y aquellos dos días primeros que el negocio andaba como roto y descompuesto, salieron al Prado  













276   Non lo era però al momento degli avvenimenti narrati. Nell’agosto del 1605, Corregidor della città era infatti il Duca di Cea. Cfr. Narciso Alonso Cortés : La muerte del Conde de Villamediana, p. 54, nota nro. 2. 277   Cfr. S. Martínez Hernández : El Marqués de Velada, p. 441. 278   Cfr. Anastasio Rojo Vega : Fiestas y comedias en Valladolid. Siglos XVI-XVII, p. 289, p. 375. 279   Cfr. Agustín G. de Amezúa : Introducción al Epistolario de Lope de Vega Carpio. II, pp. 283-311. 280   Come abbiamo già ricordato, Don Juan de Tassis y Peralta sarà Conte di Villamediana alla morte del padre, avvenuta il 12 settembre 1607. 281   Su Don Diego de Porras si trova nelle Relaciones (p. 59) di Luis Cabrera de Córdoba, in data 4 febbraio 1600, questa annotazione : “Dicen que envian por embajador á Génova á don Pedro de Porras, un caballero natural de Madrid.”  









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ambos en un coche, porque ella no se atrevía á salir sino á la sombra del marido, y él quería disipar la niebla con aquella seguridad y confianza. El pobre don Juán, ardiendo en deseos de venganza, y no hallando ocasión para saciarla, escribió una carta a la Marquesa de agraviado, aunque sufrido, diciéndole que, aun cuando el Duque fuera primo suyo, no debiera dar que decir á las gentes y que hablar al público, que estaba mal con ella por esto y otras cosas á este tenor ; con lo cual la aseguró de tal manera, que dióle cita para el Prado aquella misma noche. Llegando al estribo del coche á pie, ella comenzóse a disculpar con el mucho poder del Duque, y los favores que a un su primo hiciera por amor de ella, prometiendo enmendarse en lo sucesivo. Entonces don Juan, saltando dentro del coche, y echándole mano a la gargantilla, la dijo : – « ¿Es posible, infame, que lo confieses, y ni aun engañarme quieras ? Juro á Dios que vale más la zapatilla de Hieronima que toda tu bellaquería ». Dicho lo cual, le dió doscientas patadas y bofetadas, dejándola medio ahogada y dentro del coche, y arrancándole además la gargantilla, de tal manera que hubieron de sangrarla tres veces en tres días y quedó llena de cardenales. Hízose, además, el lance público, por la mucha gente que a sus gritos acudió.  









La stessa sera un tal Don Francisco, cavaliere di Malta, si presentò al Duca di Cea per dargli le prove (i colori di alcuni capi di biancheria intima : “medias de nácar, ligas pajizas y listones verdes”) che la “desvergonzada” Marchesa del Valle, “deuda de V. E.”, aveva concesso al suo amico Don Juan de Tassis i propri favori, non solo prima che a lui, ma addirittura nelle ore immediatamente precedenti la rappresentazione teatrale. Il figlio del Duca di Lerma non raccolse la provocazione e si guardò bene dallo sfidare a duello l’insolente quanto audace messaggero o il così poco delicato, ma temibile rivale. Dopo lo scandalo e l’affronto fatto al figlio del favorito, Don Juan de Tassis, accompagnato dall’amico Don Francisco, abbandonò precipitosamente la Spagna e prese il cammino per la Fiandra, 282 passando per la Francia. 283 La relazione di questo episodio scandaloso, che ha lasciato anche tracce nella poesia del Conte di Villamediana, 284 mostra un’immagine molto negativa della Corte : nobiluomini e nobildonne che prestano servizi ruffianeschi per aiutare il figlio del potente favorito a soddisfare un capriccio ; un marito che, pur godendo di “doscientos mil duca 











282   La Corte de Felipe III y Aventuras del Conde de Villamediana de Bartholomé Pinheiro da Veiga, pp. 61-66. La relazione portoghese degli amori fra Don Juan de Tassis e la Marchesa del Valle, nella versione di Pascual de Gayangos, l’ha trascritta integralmente, ma con qualche modifica ortografica, Luis Rosales (Pasión y muerte del Conde de Villamediana, pp. 364-367). La relazione non corrisponde minimamente allo stile di Thomé Pinheiro da Veiga, al quale viene attribuita da Luis Rosales. Vi è inoltre da considerare l’incongruenza cronologica. Thomé Pinheiro da Veiga aveva intrapreso il viaggio di ritorno in patria il 26 luglio 1605, non si trovava quindi più in Ispagna il 23 agosto. Forse gli era stata inviata la relazione dei burrascosi amori fra Don Juan de Tassis e la Marchesa del Valle da uno dei compatrioti rimasti a Valladolid. Nella relazione, molto succinta e modificata, che Tallemant des Réaux fa dell’episodio (forse raccontatogli da Madame de Rambouillet, che – come moglie dell’ambasciatore straordinario alla Corte di Spagna – aveva soggiornato a Madrid dalla fine del 1626 all’inizio del 1628), le perle strappate alla Marchesa del Valle, Juan de Tassis le dona “à une comedienne nommée Gentilezza [così assurdamente è stato cambiato il nome di Jerónima de Burgos !], grande courtisane”, con queste parole : “Tiens, Gentilezza, je les viens d’oster à une telle, la plus grande putain de Madrit, pour les donner à la plus honneste femme qui y soit.” Cfr. Tallemant des Réaux: Historiettes. I. Texte intégral établi et annoté par Antoine Adam. Paris : Gallimard (Bibliothèque de la Pléiade) 1960, pp. 186-187. 283   Cfr. Juan Manuel Rozas : « Introducción biográfica y crítica » a : Villamediana : Obras. Edición, introducción y notas de J. M. R. Segunda edición, revisada. Madrid : Clásicos Castalia 1980, pp. 7-59 ; qui pp. 11-12. 284   Si veda il sonetto « A la Marquesa del Valle le quitó unas joyas y puso las manos » (“No pierda más quien ha perdido tanto”). Forse anche il poema con glosa « A una mujer que ponía los cuernos al Conde » (“Lágrimas de embuste…Niña del negro cabello”) si riferisce al tempestoso amore con la Marchesa del Valle. Cfr. Juan de Tassis, Conde de Villamediana : Poesía impresa completa. Edición de José Francisco Ruiz Casanova. Madrid : Cátedra. Letras Hispánicas 1990, p. 264 (nro. 188*). – Conde de Villamediana : Poesía inédita completa. Edición de José Francisco Ruiz Casanova. Madrid : Cátedra. Letras Hispánicas 1994, p. 183 (nro. 74*).  



































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dos de renta”, 285 non esita a tollerare, se non a favorire, l’adulterio della propria moglie ; altissimi funzionari, come lo erano i corregidores di Burgos e di Valladolid, pronti, con le loro mogli, ad organizzare in un palco, trasformato in alcova, un incontro galante fra due persone dell’alta aristocrazia (entrambe legittimamente sposate) ; una marchesa che nello spazio di poche ore, prima in una carrozza chiusa, poi in un “camarote”, ha rapporti sessuali con due diversi uomini, entrambi suoi parenti ; infine, un elegantissimo, coltissimo, raffinatissimo e splendidissimo giovane cavaliere che, comportandosi come un jaque o valentón sivigliano, concia l’amante come il Repolido del Rinconete y Cortadillo concia la sua Cariharta. Nell’introdurre la sua trascrizione della relazione portoghese scoperta e tradotta da Pascual de Gayangos, Luis Rosales scrive che il quadro che essa presenta “tiene un valor descriptivo inigualable, y revela el cinismo y la extraordinaria laxitud moral de la corte de Felipe III”. 286 Il poeta e critico letterario osserva, inoltre, che non è “fácil encontrar una descripción de la vida galante de la corte tan minuciosa y desenfadada” e che sarebbe “muy difícil encontrar una anécdota más contundente y expresiva del tremendo « patriarcado » español y del falso concepto de la hombría, que tiene aún tanto predicamento entre nosotros.” 287 Luis Cabrera de Córdoba non accenna minimamente allo scandalo clamoroso di cui furono protagonisti la Marchesa del Valle, D. Juan de Tassis e il Duca di Cea. L’agosto del 1605 la coppia reale lo trascorse, come abbiamo già ricordato, a Burgos. Accompagnati solo da un piccolo seguito di cortigiani, il Re e la Regina avevano lasciato Valladolid il 21 giugno per recarsi prima alla Ventosilla 288 e poi a Lerma, dove giunsero il 27 giugno e dove rimasero sino alla fine di luglio. Per divertire Filippo III e Margarita d’Austria i cortigiani del seguito e il Duca di Lerma organizzarono una festa con travestimenti “á lo pícaro”, rappresentazioni di commedie, corride, juegos de cañas e persino una ‘burla’. Ecco la relazione che, da Valladolid, Luis Cabrera de Córdoba fa, sulla base delle informazioni scritte e orali che gli pervenivano, dei divertimenti offerti ai Sovrani nell’estate del 1605 :  



















Los Reyes se partieron de aquí [Valladolid] à los 21 del pasado [Junio (1605)], para la Ventosilla, donde estuvieron el dia de San Juan ; y aquella noche en el campo, à la luna, debajo de cierta enramada para holgarse, quisieron ver la fiesta de la máscara y sarao que se habia hecho en el salon  

285   La Corte de Felipe III y Aventuras del Conde de Villamediana de Bartholomé Pinheiro da Veiga, p. 61. – Luis Rosales : Pasión y muerte del Conde de Villamediana, p. 364. 286   Luis Rosales : Pasión y muerte del Conde de Villamediana, p. 364. 287   Luis Rosales : Pasión y muerte del Conde de Villamediana, p. 367-368, nota nro. 51. 288   Justina afferma : “soy cofrada de la ventosilla, que antes me faltarà el huelgo que vn cuento ; no se [te] escandalize, que tengo abuelo barbero” (Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO PRIMERO, INTITVLADO LA PICARA Montañesa. CAPITVLO SEGVNDO DEL abolengo alegre. NVMERO SEGVNDO DEL Abolengo festiuo », p. 66). Julio Puyol y Alonso commenta : “Hace alusión Justina al oficio de barbero que tuvo su abuelo, pues los que ejercían aquel oficio, aplicaban las ventosas y gozaban ... fama de charlatanes” (La Pícara Justina. Tomo III, « Glosario », p. 252). Non si potrebbe pensare ad un riferimento a La Ventosilla, dove Filippo III amava ritirarsi e dedicarsi alla caccia e dove si celebrerà la famosa festa á lo pícaro ? Rende alquanto verosimile questa ipotesi l’invito precipitoso di Justina a non scandalizzarsi (di che ? di essersi dichiarata consorella del luogo di piacere del Re ?) e l’immediato riferimento al mestiere dell’avo, fatto – sembrerebbe – per neutralizzare una allusione irriverente o comunque l’inevitabile associazione con La Ventosilla, scattata subito nella mente del lettore o dell’ascoltatore. Nel gergo della malavita ventoso era il ladro che si introduceva nella casa attraverso la finestra, essendo stata chiamata ventosa la ventana. Cfr. José Luis Alonso Hernández : El lenguaje de los maleantes españoles de los siglos XVI y XVII : La Germanía, p. 74. – María Inés Chamorro : Tesoro de villanos, p. 805. Su La Ventosilla, la riserva e il casino di caccia nella cui ricostruzione e decorazione il Duca di Lerma profuse 184.347 ducati, cfr. Patrick Williams : « Un estilo nuevo de grandeza ». El Duque de Lerma y la vida cortesana en el reinado de Felipe III (1598-1621), p. 185.  





































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de Palacio, disfrazada á lo pícaro, componiéndola los que acá la habian hecho, vistiéndose los caballeros de hábito de mugeres y otros de galanes, y las personas de los Reyes representaron, el conde de Gelves la del Rey, y Alcacerico [Alcocer, Alcocerico] el truan, la de la Reina ; lo cual dió mucho gusto á los Reyes, porque juntamente un cochero representó la del cardenal de Toledo, y otro criado de casa la del duque de Lerma, y otro que es un capon, llamado Sevillano, hombre dispuesto, la del almirante de Inglaterra, con que se entretuvieron gran parte de la noche. En lo que dicen que se ocupan los Reyes en Lerma ahora, es en oir comedias, para lo cual han llevado de aquí á [Nicolás de los] Rios y su compañía, y en andar por el rio en cierta galerilla que echaron el dia de San Pedro ; y dicen que mañana domingo ó otro dia de la semana que viene, se han de casar allí los condes de Aguilar [Don Felipe Ramirez de Arellano, VII Conde de Aguilar] y se han de correr toros y hacer juego de cañas, en el cual dicen ha de entrar S. M., y para ello hann llevado caballos y jaeces de aquí. 289  





Anche Thomé Pinheiro da Veiga riferisce dei divertimenti – fra i quali una parodia recitata dal buffone di Margarita d’Austria e da un altro buffone, assieme a diversi nobili – offerti a Lerma al Re e alla Regina :  

(11 e 12 de Julho [1605]) Mandaram hir lá [a Lerma] os comediantes [la compagnia di Nicolás de los Ríos], [...] que trouxeram muytas danças e athe de Portugal chegou a folia 290 de Aldea Gallega, muy bem adereçada, que foram 13 com o tambor, de vaqueiros de setim encarnado sobre telilha de prata e sapatos do mesmo e outra quadrilha de azul e suas meas de seda ; levavam todos os dias sinco reales, e mullas e des cruzados as suas mulheres e seus pandeiros prateados : dizem que folgou El-Rey de os ver e ouvir. Tiveram torneyo e saráos, mas o mais festijado foy hum contrafeito, em que entrou Rebello, em nome de El-Rey, e outro chocarreyro, em nome do Duque, e em nome das Damas o Conde de Magalde [Don Francisco de Borja, Comendador mayor de Montesa, Conde de Mayalde], por D. Catharina de Lacerda ; 291 o irmão por D. Luiza Henrriques [Enríquez], e outros fidalgos e capoens pelas outras Damas, e o Conde de Nieve velho [Don Francisco Enríquez, Conde de Nieva] e outros barbarrões por Duenas de Honor, e tiravam a dançar huns aos outros ; e assim está Lerma chea de recreaçoens [...]. 292  





   





Fra i tanti divertimenti, non potevano mancare le burle. Luis Cabrera de Córdoba fa la relazione di una burla, particolarmente crudele, di cui fu vittima uno dei buffoni di Corte :  

Entre otras cosas que se han escrito de entretenimiento que han tenido sus Magestades en Lerma, ha sido una burla que se hizo á Alcocer [Alcocerico], el truan, por los príncipes de Saboya, los cuales con sabiduría de los Reyes, fueron del lugar donde estan alojados á media legua de Lerma, con veinte y cinco ó treinta criados una noche con arcabuces, y cercaron la posada de Alcocer, disparando diferentes tiros y echaron las puertas en tierra y subieron con gran estruendo donde estaba acostado ; y diciéndole muchas injurias sin que conociese á ninguno, le sacaron de la cama y desnudo le envolvieron en una manta y le ataron, amenazándole que por sus vellaquerías le llevaban á castigar ; el cual cobró tanto miedo que comenzó á dar voces pidiendo confesion, diciendo que estaba en pecado mortal, y de esta manera sobre una acémila lo llevaron por las calles de Lerma y le sacaron de la villa á la posada de los Príncipes, donde le pusieron con grillos en cierto aposento, y enviaron al otro dia á decir á la Reina, si les queria rescatar un prisionero, la  



289   Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 253, p. 254. 290   Danza molto rapida al suono di tamburi, eseguita da numerosi ballerini. 291   Essendo D. Catalina de la Cerda, Duchessa di Lerma, morta nel 1603, deve trattarsi o di D. Catalina de la Cerda Sandoval, Contessa di Lemos, oppure di D. Catalina de la Cerda y Mendoza, dama della Regina e moglie di D. Martin Valerio Franqueza, figlio di Don Pedro Franqueza, Conte di Villalonga. 292   Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, p. 229.  



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cual respondió que sí ; y se lo enviaron de aquella manera y dió por él una cadena de oro de 150 escudos, y los Príncipes se la daban al Alcocer, y no la quiso por entonces, diciendo que quedaba afrentado y no podia parar entre gentes, sino irse á vivir á un desierto, y estuvo algunos dias muy malo de la burla. 293  



Questa ‘burla’ sembra un episodio tratto da una novela picaresca. Luis Cabrera de Córdoba registra altri fatti che sembrano tratti da romanzi o novelle picareschi. All’inizio di luglio del 1604, annota il cronista, “se le fue de casa al conde Chinchon [Don Diego Fernández de Cabrera y Bobadilla, III Conte di Chinchón] su hijo [Luis Gerónimo], que no tiene otro varon y es de 18 años, y le llevó hasta 8.000 escudos de joyas y 12.000 reales que tomó al mayordomo, y se partió con dos criados camino de Búrgos en mulas de alquiler, con fin de pasar á Flandes.” 294 Un tentativo di fuga intraprese anche il “condecito de Aranda” abbandonando la casa di sua madre, D. Blanca Manrique de Aragón, Marchesa di Astorga, per recarsi “á Aragon donde tiene su estado” 295 (al padre, defunto, del giovane Conte, era stato restituito questo ‘stato’ con il perdono generale pubblicato a Zaragoza nel settembre 1599 durante la visita di Filippo III alla città 296). Come aveva già avuto modo di constatare il padre gesuita Pedro de León in una delle sue numerose missioni ai luoghi delle almadrabas del Duca di Medina Sidonia, la “vida picaresca” esercitava un grande fascino anche su alcuni figli di nobili titolati. 297 Episodio ‘picaresco’ sembra, ugualmente, un furto clamoroso commesso in occasione del battesimo del Principe Filippo (il rito fu celebrato, come abbiamo già ricordato, il 29 maggio 1605). Durante la sfarzosa cerimonia – alla quale parteciparono, come ‘comparse’, Grandi di Spagna, nobili titolati e cavalieri della Corte con le loro mogli e figlie, e, come ‘attori’ principali, l’Arcivescovo di Toledo (Cardinale Don Bernardo de Sandoval y Rojas), l’Inquisitore Generale (Don Juan Bautista de Acevedo, Vescovo di Valladolid), l’Arcivescovo di Burgos (Don Alonso Manrique), il Vescovo di Segovia (Don  







293   Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 257. 294   Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 221. 295   Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 221. 296   Cfr. Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 42. 297   Cfr. Pedro de León S. I. : Grandeza y miseria en Andalucia. Testimonio de una encrucijada histórica (15781616). Edición, introducción y notas de Pedro Herrera Puga S. I. Según el ms. de la Universidad de Granada. Prólogo de Antonio Domínguez Ortiz (= Biblioteca Teológica Granadina, 20). Granada : Facultad de Teología 1981, p. 76 (“Es tanta la golosina que algunos tienen de esta vida picaresca, que algunas veces se van a ella algunos mozos, hijos de gente principal, y de allí los han sacado algunas veces ; más no aprovecha, porque luego se vuelven y son ciertos el año siguiente. Y dos años de los que yo fui allí vi a un hijo de un Conde de España. Y tantas veces lo sacaban de allí y luego se volvía. Y fuese a confesar con mi compañero, y según parece, no le quiso absolver hasta que le dijese que volvería a la casa de su padre el Conde tal, y vinose a mí con muy donoso denuedo, diciéndome : Padre, que le va a su compañero en que yo no sea pícaro, que no me quiere absolver si no me voy a casa de mi padre. Yo no quiero ser caballero, sino jabeguero, y ya han dos o tres veces conmigo y me han llevado y luego me vuelvo...”). Sul significato di jábega e jabeguero (= pícaro de la jábega), cfr. Sebastián de Covarrubias Orozco : Tesoro de la lengua castellana, p. 675. – María Inés Chamorro : Tesoro de villanos, p. 505. Justina si era definita, come abbiamo già ricordato, “moça de la jabega” (Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO DE la Picara Romera. Capitulo III. De las dos cartas graciosas », p. 67). Nel prologo « A el Lector » della Vida y hechos de Estebanillo González si legge : “Aquí hallará el curioso dichos agudos [...] ; el recogido en su albergue, las flores de la fullería, las leyes de la gente de la hampa, las preminencias de los pícaros de la jábega...” Cfr. La vida y hechos de Estebanillo González, hombre de buen humor. Compuesto por el mesmo. I. Edición de Antonio Carreira y Jesús Antonio Cid (= Letras Hispánicas, 309). Madrid : Cátedra 1990, p. 16.  

































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Pedro de Castro Nero), il Vescovo di Astorga (Don Antonio de Cáceres), il Vescovo di Osma (Don Enrique Enríquez), il Principe di Piemonte (Vittorio Amedeo di Savoia), che fece da padrino (madrina fu l’Infanta, Anna Maurizia d’Austria), il Duca di Lerma (seguito dal figlio, il Duca di Cea 298), che portò nelle sue braccia il bimbo, mostrandolo al popolo, sino alla Chiesa di San Pablo, il Condestable di Castiglia (Don Juan Fernández de Velasco y Guzmán, Duca di Frias), i Duchi d’Alba (D. Antonio Álvarez de Toledo y Beaumonte), dell’Infantado (D. Juan Hurtado de Mendoza), di Alburquerque (Don Beltrán de la Cueva) e di Pastrana (Ruy Gómez de Silva) e il Conte di Alba de Liste (Don Antonio de Guzmán y Toledo), che recavano i vari oggetti necessari al rito 299 – sparirono i preziosi gioielli con reliquie che ornavano il Principe Filippo. Scrive Luis Cabrera de Córdoba :  





[…] en medio de la capilla mayor habia parada una rica cama de tapices con solo el cielo de ella, con los mastiles de plata, sobre una tarima de cuatro gradas y debajo la pila en que fue bautizado Santo Domingo, que se habia traido de cierto monasterio de monjas de la Rioja ; la cual es de piedra tosca, mal tratada alrededor por muchas partes, de la antiguedad ; y aparte habia otra cama con cortinas, dentro de la cual desenvolvieron al Príncipe y le pusieron en manos del de Piamonte, el cual le tuvo en la pila, y le pusieron por nombre Felipe Dominico Victorio : por el padre, por la pila de Santo Domingo en que le bautizaron, y por el padrino. Acabada la solemnidad tornó á tomar el Duque en brazos á su Alteza y se volvió con el acompañamiento por donde habia ido ; llevando menos el Príncipe los dijes que habia traido, porque al tiempo de desenvolverle se los tomaron, sin saber quien, que si bien por ser muy ricos se sintió la pérdida, pero mas por las reliquias que tenian, y una de Lignum Crucis, que habia sido del Emperador y Rey difunto. 300  









Dopo che furono tolte – da uno dei grandi personaggi sopra menzionati, oppure da D. Leonor Sandoval y Rojas, Contessa d’Altamira, moglie di Don Lope Moscoso Osorio, sorella del Duca di Lerma e aia degli Infanti, o dalla balia, o dalla levatrice, presenti alla cerimonia 301 – al principino le fasce e la “mantilha de tafetá branco, mosqueada de aljofar e atorcelada de ouro, lavor muyto alto”, 302 per portarlo “todo nu” 303 a ricevere il battesimo, qualcuno si impadronì con enorme sangue freddo dei preziosi gioielli, praticamente sotto gli occhi degli astanti. Era, il ladro, una persona del seguito ? Quasi sicuramente. Ogni altra persona che si fosse avvicinata alla “cama con cortinas”, che era alla vista di tutti, sarebbe stata notata e quindi, nel corso delle indagini, identificata. Il ladro rimase, invece, sempre sconosciuto. Evidentemente era un insospettabile. Ancora due episodi ‘picareschi’. Nella relazione datata “Madrid 8 de Marzo 1614” Luis Cabrera de Córdoba narra quanto segue :  









Sucedió en Sevilla, los dias pasados, que el conde de Tovar, hijo del marqués de la Algaba [D. Luis de Guzmán y Guzmán, Marqués de Ardales y de la Algaba], entró en casa de unas mugeres que cantaban, cierta noche, y porque le impedian la entrada con decir que habia dentro cierto 298

  Cfr. Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, p. 79.   Cfr. Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 245-246. – Relación de lo sucedido en la Ciudad de Valladolid, desde el punto del felicísimo nacimiento del príncipe don Felipe, pp. 114-122. – Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, pp. 77-83. 300   Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, pp. 246-247. 301   Cfr. Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, p. 78. 302   Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, p. 79. 303   Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, p. 83. Il cavaliere portoghese descrive molto più minuziosamente di Luis Cabrera de Córdoba la cerimonia del battesimo, ma non parla del furto dei gioielli. Neppure fa accenno al furto la Relación de lo sucedido en la Ciudad de Valladolid, desde el punto del felicísimo nacimiento del príncipe don Felipe.  

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valenton, que por muertes y cosas mal hechas andaba escondido y retirado, llamado don Rodrigo de Zárate, hijo de un veinticuatro de allí, subió arriba, y con los criados que llevaba le quitó dos pistolas, y la espada y daga y echó de la casa, que este respeto guarda esta manera de gente á los señores de allí ; y paresciéndole al conde de Palma [Don Luis Fernández Portocarrero], su deudo, que se le podia seguir daño al Conde, porque habia andado demasiado, dió cuenta á su padre, que vino luego á Sevilla, que estaba dos leguas, y el de Palma procuró traer al valenton donde estaba el de Tovar, y tratando de reducirle á la amistad, pidió se le diese del Conde alguna satisfaccion, á lo cual le respondieron que le harian dar de palos por un lacayo, de lo que se indignó, y dió una puñalada en el brazo al de Palma y otra en el pecho derecho al de Tovar, y al ruido acudieron los criados, y dando muchas heridas al don Rodrigo, vino tambien el de la Algaba, y comenzó á pedir su favor el don Rodrigo, y así hizo apartar los criados porque no le matasen, y llegó el Asistente y le prendió y llevó á la cárcel, y le dió dos horas de descargo, y luego le condenó á muerte ; y él apeló á la Audiencia, la cual dió cuenta acá al Consejo y la inhibieron y cometieron la causa al alcalde Madera que poco ha le absolvieron en la visita, y sobre esto estaba Sevilla revuelta, y los condes de Palma y Tovar estaban ya fuera peligro de las heridas y tambien el preso.  



Poche righe oltre, il cronista scrive :  

Estos dias han preso aquí un caballero de Granada, don Garcia de Alarcon, hijo de padre muy rico y principal, porque hacia moneda de plata falsa, y dicen se le ha averiguado el delito por confesion suya, y haberle hallado los instrumentos, y de hechicero, y así se puede creer que lo quemarán. 304  

Sintomo di una società ‘apicarada’ era anche il vizio, diffusissimo pure a Corte, del gioco. 305 Il Re, che dedicava gran parte delle sue giornate alla caccia, passava quasi tutte le notti giocando a carte. Al gioco delle carte, al quale Filippo III perdeva somme molto rilevanti, si dedicavano anche la Regina con la Contessa di Lemos e le Duchesse di Medina di Rioseco e dell’Infantado, 306 e il Duca di Lerma, che giocava con banchieri genovesi. 307  





Le Relaciones di Luis Cabrera de Córdoba e, in particolare, la cronaca della vita quotidiana vallisoletana composta da Thomé Pinheiro da Veiga contengono, come si è potuto constatare, tanti passi e tante pagine che ricordano motivi ricorrenti nella Pícara Justina (ed anche nel Guzmán de Alfarache e nel Buscón) e che contribuiscono non poco a farci capire come l’opera offra, pur attraverso i travestimenti parodici e le grottesche deformazioni ‘surrealiste’, una rappresentazione ‘realistica’ di certi aspetti del mondo della Corte (nel suo duplice significato di residenza e di seguito del Re). 304   Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, pp. 548-549. 305   Cfr. José Antonio Maravall : Estado moderno y mentalidad social (Siglos XV a XVII). Tomo II, pp. 177-180. – B. Bennassar : Valladolid en el Siglo de Oro, pp. 504-505. 306   Francisco de Luque Faxardo (Fiel desengaño contra la ociosidad, y los juegos II, pp. 70-77) lamenta la diffusione del vizio del gioco fra le donne, anche “entre lo más poderoso y granado” della società castigliana. 307   Nella Relazione del 28 dicembre 1604 Luis Cabrera de Córdoba scrive : “Por ser tiempo de invierno no se trata de salir S. M. á ninguna parte, sino algunos dias que hace claros y serenos, al campo, á caza de volateria, para volver la mesma tarde, y muchas noches se entretiene en jugar con los señores y gentiles-hombres de su Cámara á los naipes, y han sido las pérdidas de estos dias atrás de manera, que don Enrique de Guzman le ha ganado 100.000 ducados en dos veces, y el duque de Lerma tambien juega aparte con ginoveses, como son Nicolao Doria, Simon Sauli y Pompeo Espinola ; y la Reina asimesmo se entretiene con su camarera mayor [D. Catalina de Zúñiga y Sandoval, Contessa di Lemos, sorella del Duca di Lerma], las duquesas de Medina [de Rioseco (D. Vittoria Colonna Ursino)] y del Infantado [D. Ana de Mendoza], y suelen perder 3 y 4.000 ducados” (Relaciones, p. 231). Sulla passione del gioco del Re e le sue perdite cfr. inoltre Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones, p. 508 e p. 523.  











una società apicarada

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In una descrizione della vita che animava il famoso Prado de la Magdalena, la sera e la notte di San Giovanni (24 giugno) del 1605, Thomé Pinheiro da Veiga ricorda, per esempio, il diffuso costume di dar matraca e motejar :  

Pela tarde, nos fòmos a S. João e dahi ao Prado [da Magdalena], que andavam aguando 24 carros de mulas que a cidade tem, os quaes, todos os dias de verão, regam aquelle Prado com pipas que trazem, desde uma até ás 5, em que a gente começa vir a elle […] ; e com isto, e com os regatos, que o cortam todo, a fermozura da Alameda, a herva do campo, a alegria das charamelas, e diversidade de homens e mulheres que o cobrem todo, assentados aos pés dos alamos, e pela ribeira, fica a mais fermosa vista que se pode imaginar, e em particular neste dia, em que não […] ficou pessoa na Corte que lá se não achasse, até os principaes, que andaram lá toda a tarde, sem mais differença que em andarem em coches e cavallos, e pararem, quando elles passavam, os que ficavam junto, a que faziam sua cortezia ordinaria. Dura este concurso até ás dez da noite, e muytos se deixam ficar, e outros tornam até ás 2 e 3 da noite, e ha muitas matracas de estudantes, que trovam de repente, e em competencia ; divididos em prosa e verso, motejam e zombam huns dos outros, e dão vaya aos que passam, com muyta graça ; outros cantam muyto bem, e em outra parte andavam dançando muytas mulheres, de maneyra que he a mayor grandeza que a Corte tem, vendo as travessuras que vos dizem e a festa que fazem ao que ouvem. 308  







L’arte del motejar e del dar matraca e la vaya, della battuta ingegnosa e acuta e dell’invenzione di apodos fulminei, grotteschi e annichilatori – arte in cui eccelle Justina, definita “vnica en dar apodos” 309 –, era coltivata non solo dalle “damas castelhanas” e dagli studenti, ma – come vedremo nel prossimo capitolo – costituiva uno degli ornamenti del ‘perfetto cortigiano’ ed era esercitata a Corte come nelle Università e nelle Accademie.  

308

  Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, pp. 184-185.   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « Prologo summario de ambos los tomos, de la Picara Iustina », fo. [A 9r].  

309





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Capitolo VIII Il contesto letterario della Pícara Justina Sommario : Libri di facezie, repertori di ‘burle’, di buffonerie, di motti e di arguzie, novelle. – I trattati italiani del comportamento e l’ideale del cortigiano ‘faceto’. – Le lettere facete. – La poesia giocosa e burlesca. – Lirica popolare intessuta nella Pícara Justina. – La letteratura celestinesca. – Entremeses e farse. – Letteratura misogina. – Letteratura del gioco e dell’intrattenimento. Letteratura satirica degli umanisti. Letteratura folklorica. Letteratura carnevalesca. Commedia dell’Arte. – Geroglifici ed emblemi. – I discorsi e gli elogi burleschi delle Università e delle Accademie letterarie. – La diffusione del costume di motejar, apodar, dar matraca, echar pullas, dar vayas, fisgar e burlar. – La lettura a Valladolid e a Salamanca. – Le corrispondenze fra la Pícara Justina e il Buscón : affinità spontanee o gioco intertestuale ? – Letteratura agiografica e oratoria sacra.  





C

ome abbiamo avuto occasione di ricordare più volte, la Pícara Justina è stata inserita da Marcel Bataillon e Francisco Márquez Villanueva e, sulla loro scia, da Valentín Pérez Venzalá e da altri, nella tradizione della letteratura giocosa e buffonesca, considerata specificamente e addirittura esclusivamente conversa. 1 Questo inserimento si fonda unicamente su una triade di postulati concatenati : Francisco Lòpez de Úbeda è converso, è medico chocarrero dei grandi signori, ride della sua ascendenza ebraica e del suo sangue ‘impuro’. Stabiliti questi postulati – molto traballanti, in realtà –, diventano automatici il paragone del medico toledano con Francisco López de Villalobos e Don Francesillo de Zúñiga e il conseguente ‘innesto’ della Pícara Justina nella tradizione dei buffoni di Corte del XVI secolo (la comicità di Francisco López de Úbeda, scrive – come abbiamo già ricordato – Francisco Márquez Villanueva richiamandosi a Marcel Bataillon, è “heredera de la sátira bufonesca de Francesillo y Villalobos” 2). In realtà, la tradizione letteraria nella quale affonda le sue radici la Pícara Justina è molto più vasta e complessa e non è assolutamente riconducibile e riducibile alla sola letteratura buffonesca, sia essa, come ritiene Francisco Márquez Villanueva, “cien por cien judeoconversa”, 3 sia essa priva di un legame esclusivo con questa etnia, come risulterebbe sicuramente da una storia del genere e dei fous de Cour in Europa 4 e – per quanto riguarda particolarmente la Spagna – da un elenco completo dei buffoni vuoi delle varie Corti (Casa de Borgoña, Casa de Castilla, Casa portuguesa) dei re, delle regine e dei principi di san 









1   Recentemente anche Katharina Niemeyer ha messo in relazione il ‘discorso’ di Justina con quello dei buffoni di Corte : “su discurso se acerca al del bufón o loco de corte, o sea, a un discurso satírico-burlesco cuyos ataques e ingeniosidades verbales sirven para entretenimiento de un público distinguido, que admitía las burlas y críticas justamente porque las enunciaba un sujeto (fingidamente) loco y de categoría social ínfima”. La studiosa condivide però le “buenas razones” addotte da J. M. Oltra Tomás per rifiutare le tesi sull’origine conversa di López de Úbeda. Cfr. Katharina Niemeyer : « ¿Quién creerá que no he de decir más mentiras que letras ? » El Libro de entretenimiento de la pícara Justina, de Francisco López de Úbeda (Medina del Campo, 1605), p. 216, p. 209 nota nro. 22. 2   Cfr. Francisco Márquez Villanueva : La identidad de Perlícaro, p. 423 3   Francisco Márquez Villanueva : La quinta langosta de ‘La pícara Justina’, p. 375. 4   Per la Francia cfr. Maurice Lever : Le sceptre et la marotte. Histoire des fous de Cour. Paris : Fayard 1983, pp. 117-131, pp. 133-179, pp. 184-315 (di nessuno dei numerosissimi buffoni francesi di Corte si dice che era di origine ebraica !). Pochi e scarni dati su alcuni buffoni di Corte in Francia e in Inghilterra sono offerti da Georges Minois : Histoire du rire et de la dérision. Paris : Fayard 2000, pp. 202-206, pp. 326-329.  





   















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capitolo viii

gue reale, 5 vuoi delle Corti dei grandi signori, come gli Ammiragli di Castiglia, i Duchi d’Alba e i Conti di Benavente. 6 (Anche un nobile, con antenati di sangue reale, come Don Alonso Enríquez de Guzmán, 7 cavaliere di Santiago, definito da Don Francés de Zúñiga “casquileve de chocante memoria” 8 e “onbre de libianos caxcos”, 9 non disdegnò di fare il buffone alla Corte di Carlo V e di suo figlio e nei palazzi dei grandi signori 10 e di scambiarsi comiche “cartas de desafíos” con Perico de Santervás, 11 hombre de placer del principe Filippo ! 12) Ma può essere la letteratura buffonesca considerata come genere praticato esclusivamente da buffoni ? Motejar era monopolio dei buffoni ? Che differenza esiste fra le cattiverie burlesche e le chanzas, in verso e in prosa, che Francisco López de Villalobos indirizzava a Don Fadrique Enríquez e quelle che l’Ammiraglio di Castiglia indirizzava al famoso medico ? 13 Appartengono forse a generi letterari diversi i versi burleschi di nobili  













   









5   Un ‘catalogo’ dei buffoni e di altri hombres de placer della Corte spagnola è stato approntato da José Moreno Villa. Lo studioso elenca 123 persone e offre i dati biografici che su di esse ha potuto reperire nell’Archivio Amministrativo del Palazzo Reale di Madrid. Purtroppo le fonti utilizzate dallo studioso non contengono – se non in rarissimi casi – i “datos de nacimiento, lugar o familia”, cosí che queste scarne ‘biografie’ sono prive di informazioni sulla etnia di appartenenza dei biografati. Cfr. José Moreno Villa : Locos, enanos, negros y niños palaciegos. Gente de placer que tuvieron los Austria en la Corte Española desde 1563 a 1700. Estudio y Catálogo. México : La Casa de España en México. Editorial Presencia 1939. Il ‘catalogo’ di José Moreno Villa è certamente incompleto. Non vi figurano, per esempio, né Alcocer, il “truan” vittima della crudele burla descritta da Luis Cabrera de Córdoba (Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 257) e da noi già ricordata, né Rebello, “chocarreyro da Raynha”, menzionato nella Fastigimia (p. 264) di Thomé Pinheiro da Veiga (a meno che Rebello e il “loco” Manuel Ravelo – cfr. José Moreno Villa, p. 45, p. 135 – non siano la stessa persona). Nella sua monografia Locos, enanos y hombres de placer en la Corte de los Austrias, Fernando Bouza ricorda numerosi buffoni e afferma che “muchos [de los truhanes en palacio] tienen una clara ascendencia de cristianos nuevos”. Più avanti, parlando della preoccupazione di tanti buffoni di Corte di “fundar mayorazgos, labrar escudos de armas, meter hijos en religión, dotar capellanías”, lo studioso scrive : “Al hacerlo parecen seguir una manifiesta voluntad de integración y ascenso social que les hubiera podido ser negado por su oficio de burlas y por su humilde origen, recuérdese, además, no siempre cristiano viejo”. Erano molti dei buffoni di chiara ascendenza ebraica, o non sempre i buffoni erano di origine cristiano vieja ? Comunque sia, l’unico buffone che Fernando Bouza espressamente definisce come ebreo è Alegre, “un judío albardán de Fernando el Católico”, e l’unico buffone che egli classifica come “cristiano nuevo” – o “de sangre hebraica” – è Don Francesillo de Zúñiga. Cfr. Fernando Bouza : Locos, enanos y hombres de placer en la Corte de los Austrias. Oficio de burlas. Madrid : Ediciones Temas de Hoy, 1991, p. 25, p. 112, p. 127, p. 142. 6   Il VI Conte di Benavente (Don Antonio Pimentel) aveva, per esempio, come buffone, Perejón (Pero Hernández de la Cruz), il cui ritratto, dipinto da Antonio Moro, si conserva al Museo del Prado. (Perejón e Perico de Santervás, anche lui originariamente al servizio dei Pimentel, saranno i buffoni preferiti del principe Filippo). Anche il Marchese di Eliche, il Conte-Duca di Olivares e il Duca di Medina de las Torres avevano i loro hombres de placer. Cfr. José Moreno Villa : Locos, enanos, p. 18, pp. 123-124. – José Deleito y Piñuela : El rey se divierte. Madrid : Alianza Editorial 2006, pp. 128-137. – Fernando Bouza : Locos, enanos y hombres de placer en la Corte de los Austrias, pp. 77-80. 7   Don Alonso Enríquez de Guzmán discendeva da Don Alonso, Conte di Girón e Noroña, figlio di Enrique II di Castiglia e marito di Isabel, figlia di Fernando I di Portogallo. Cfr. Hayward Keniston : « Introducción » a : Libro de la vida y costumbres de Don Alonso Enríquez de Guzmán. Publicado por H. K. (= Biblioteca de Autores Españoles, 126). Madrid : Atlas 1960, pp. VII-LXIII ; qui p. VII. 8   Crónica de don Francesillo de Zúñiga. In : Curiosidades bibliográficas. Colección escogida de obras raras de amenidad y erudicción. Con apuntes biográficos de los diferentes autores. Por D. Adolfo de Castro, p. 18 (questo riferimento a Don Alonso Enríquez de Guzmán manca nella edizione della Crónica curata da José Antonio Sánchez Paso). 9   Don Francés de Zúñiga : Crónica burlesca del Emperador Carlos V. Edición, introducción y notas de José Antonio Sánchez Paso, p. 144 (v. anche p. 92 : “don Alonso Enríquez de Sevilla, contino de Su Magestad y en seso no cotidiano”). 10   Cfr. Hayward Keniston : « Introducción » a : Libro de la vida y costumbres de Don Alonso Enríquez de Guzmán, pp. LIII-LIV. – Fernando Bouza : Locos, enanos y hombres de placer en la Corte de los Austrias. Oficio de burlas, p. 42, p. 77, p. 79, pp. 120-121, pp. 135-136. 11   Cfr. Libro de la vida y costumbres de Don Alonso Enríquez de Guzmán, p. 336. 12   Fernando Bouza : Locos, enanos y hombres de placer en la Corte de los Austrias, p. 77. 13   Cfr. Juan Bautista de Avalle-Arce : El Almirante Don Fadrique Enríquez. Esbozo biográfico, pp. 186-193.  



















































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signori come Don Juan de Mendoza, 14 Don Antonio de Velasco – della famiglia di Don Íñigo de Velasco, II Duca di Frías, IV Conte di Haro, e cugino dell’Almirante di Castiglia 15 – e Don Diego Hurtado de Mendoza e i versi burleschi di Gabriel de Mena (Graviel), 16 di Francisco de Santestevan (Santisteban) 17 e di Francisco López de Villalobos, tutti e tre criados – ‘servitori’ che però non esitavano a chiamare il loro signore (discendente della famiglia reale dei Trastámara e cugino del re Fernando il Cattolico e vincitore, con il Condestable di Castiglia, della battaglia di Villalar) judío, a canzonarlo per la sua piccola statura e a paragonarlo a una scimmia, 18 come faceva anche Don Francés de Zúñiga, 19 e a dargli  











14   Don Juan de Mendoza era figlio di Don Pedro González de Mendoza, Cardinale-Arcivescovo di Toledo. Gonzalo Fernández de Oviedo gli dedica alcune pagine delle sue Batallas y quinquagenas, nelle quali Alcaide e Sereno, i due interlocutori dei dialoghi che formano l’opera, così lo caratterizzano : “ALCAIDE : […] don Johan de Mendoça […] [fue] ombre de poco o ningún rreposo, pero acutíssimo e de biuo ingenio para liuiandades, empleándose en perder su tiempo en cosas de poco onor e prouecho. […] SERENO : Yo le conosçí a don Johan e era biuo sobremanera e de linda dispusiçión e graçioso e muy bien hablado, gentil latino, trobaua e tañía e cantaua, e hazía muy bien qualquiera cosa de cauallero diestro a pie o a cauallo, e en todo tenía buena maña como es público, sino en las cosas de importançia”. Sereno ricorda infine i suoi “chistes y rremoquetes y aquel encaxar de maliçias en sus versos y coplas” (Gonzalo Fernández de Oviedo : Batallas y quinquagenas. Edición de Juan Bautista de Avalle-Arce, pp. 222-223). Don Juan de Mendoza svolse un importante ruolo nella guerra delle Comunidades delle quali fu capitano (cfr. Joseph Pérez : La revolución de las Comunidades de Castilla, p. 215, p. 220, p. 263, p. 266, p. 279, p. 439, p. 440, p. 475, p. 570, p. 596, p. 617n.). Joseph Pérez lo definisce una “de las grandes personalidades de la insurrección” (p. 596). Sue poesie burlesche si trovano nella seconda edizione (Valencia 1514) del Cancionero general e nella Segunda parte del Cancionero general (Zaragoza : Esteban de Nájera 1552). Cfr. Juan Bautista de Avalle-Arce : El Almirante Don Fadrique Enríquez. Esbozo biográfico. In : Juan Bautista de Avalle-Arce : Cancionero del Almirante Don Fadrique Enríquez, pp. 194-195. 15   Cfr. Juan Bautista de Avalle-Arce : El Almirante Don Fadrique Enríquez. Esbozo biográfico, pp. 209-212. 16   Gabriel de Mena (Graviel) fu “poeta, cantor y músico, primero de la Capilla del Rey Católico y a su muerte en 1516 pasó al servicio del Almirante” ( Juan Bautista de Avalle-Arce : El Almirante Don Fadrique Enríquez. Esbozo biográfico, p. 215). Sue composizioni si trovano nel Cancionero general (Valencia 1511), nel Cancionero musical de Palacio, nel Cancionero general de obras nuevas (Zaragoza 1554) e nella Miscelánea di Luis Zapata. 17   Francisco de Santisteban era contador, probabilmente della casa di Don Fadrique Enríquez ( Juan Bautista de Avalle-Arce : El Almirante Don Fadrique Enríquez. Esbozo biográfico, p. 214). 18   Ecco una copla di Francisco López de Villalobos sull’Ammiraglio di Castiglia : “De gatilla tiene el tono / quando más alto se entona, / de la cinta arriba es mona, / de la cinta abaxo es mono ; / los pies de macho los toma, / las piernas son de vencejo, / algo tiene de conejo, / mucho tiene de paloma” (cfr. Juan Bautista de Avalle-Arce : El Almirante Don Fadrique Enríquez. Esbozo biográfico, p. 193). Luis de Pinedo raccoglie questi tre chistes : “El Conde de Urueña [D. Juan Téllez Girón, Conde de Ureña] y el Almirante Don Fadrique, estando reñidos sobre cierta cosa que el Conde había dicho del Almirante, el Almirante le escribió una carta de desafío, y el Conde, después de haber detenido muchos días al mensajero, le respondió por otra carta que decía : – « Muy ilustre Señor : vuestra carta rescebí, que ni quiero matar mono, ni que mono mate a mí ». – Porque el Almirante era muy pequeño.” – “El Almirante D. Fadrique servía de maestresala un día a la Reina Doña Isabel, y Don Juan Mendoza hacía aire con un ventalle, porque era verano, y una vez descuidóse, y díjole la Reina : – Por qué no echas aire ? – Respondió : – Señora, por no levar al maestresala de la mesa. (El Almirante era muy pequeño.)” – “Doña Lucía, una loca que tuvo Diego de Rojas, estando en Cabra, vino el Almirante D. Fadrique a ver a Diego de Rojas, y Doña Lucía estaba echada de pechos en un corredor, y el Almirante llegóse a ella y díjole : – Señora Doña Lucía, ¿cómo estáis ? – Y como no le respondiese, tornó otra vez a hablarla el Almirante. Ya ella, muy enojada, volvió y dixo : – Quitaos allá : ¿no vistes qué fantasía trae ? ¡Como si no hobiésemos visto otros monos sino a él ! (Porque el Almirante era muy pequeño).” Cfr. Luis de Pinedo : Libro de chistes, p. 97, pp. 112-113, p. 113. Il primo chiste è raccolto anche da Luis Zapata nella sua Miscelánea in questa forma : “Vn gran señor, muy pequeño de cuerpo, sobre çierto enojo embió a desafiar a otro gran señor, su deudo muy çercano, el qual haziendo burla del desafío, concluyó la rrespuesta de la carta : « Que ni quiero matar mono, ni que mono mate a mí »,” Cfr. Luis Zapata : Varia Historia (Miscelánea). I, p. 89. 19   Instancabile era Don Francesillo nel canzonare l’Ammiraglio di Castiglia : “Don Fadrique Enríquez de Cabrera, almirante de Castilla, llegó al rey [Carlos I] muy acompañado, como gran almirante, y dixo a su Alteza : « Señor, quanto a lo de Dios soy ombre, y no lo parezco quanto al mundo. Y lo más del tiempo ando debaxo de tierra, como topo »”. – “El almirante dixo : « […] yo que voi armado, parezco caxcavel plateado y si por caso en la batalla me perdiere no me busquen hasta que llueva como alfiler »”. – “las yslas de las Monas, donde fueron naturales el conde de Siruela y el almirante de Castilla”. – “En este tiempo Don Fadrique Enríquez, almirante de Castilla, después de la muerte de la condesa de Módica, su muger, paresció ratón con gualdrapa”. In una lettera burlesca a  



















































































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dell’avaro 20 – di Don Fadrique Enríquez ? Non si comprende poi perché mai l’autore della Pícara Justina avrebbe avuto bisogno di riallacciarsi proprio alle opere di Francisco López de Villalobos e di Don Francesillo de Zúñiga, autori morti da molti decenni, quando viva e presente era tutta una ricca e viva letteratura burlesca e quando, soprattutto, il burlar, il motejar, l’apodar e il giocare sugli equivoci osceni erano – come abbiamo visto – largamente praticati nella società. Nella introduzione alla sua edizione della Crónica burlesca, José Antonio Sánchez Paso scrive che nell’opera di Don Francés de Zúñiga  



por aquí y por allá nos encontramos con pasajes que, constituidos medularmente por alguna facecia, no son otra cosa que la traslación escrita de los más ingeniosos momentos y chispeantes lucubraciones de las conversaciones de los círculos cortesanos o palaciegos en los que se movía el bufón, fijándose por escrito unas materias orales que estaban a la ordén del día y que eran del gusto de todos. Recordemos, a título de ejemplo, el capítulo XXVII, en el que Carlos V pide consejo a sus médicos para la curación de sus cuartanas y donde preguntas y respuestas engarzan un diálogo disparatado rebosante de ingenio y comicidad sin que la medicina, divertidamente, aparezca por ningún lado. 21  

Il motteggiare, l’affibbiare soprannomi o fare paragoni ingegnosi fra persone e animali o oggetti per ridicolizzarle e tracciarne una grottesca immagine caricaturale, era esercizio quotidiano di nobili e nobilissimi cortigiani e degli stessi principi. 22 Ciò che distingue Don Francés de Zúñiga, che naturalmente faceva uso – oltre che dei materiali che gli offrivano le conversazioni e i pettegolezzi della Corte – di materiali della tradizione orale e scritta (burle, facezie, chascarrillos, motti di spirito, arguzie), è la sua inesauribile fantasia nell’inventare apodos grotteschi e nello stabilire similitudini, è la sua arte incomparabile nel motteggiare. Le sue frecce “se clavan en todo aquello que por momentos no fuera del agrado del emperador, ya sean los comuneros, el Turco, el Papa, Francisco I o los propios nobles”. 23 Gli stessi cortigiani contro i quali il buffone scagliava le sue chanzas, le accettavano – quasi sempre – con spirito, considerandole innocue e non offensive. Tali, evidentemente, le giudicavano – per fare un esempio – il Duca di Béjar, l’antico padrone di Francesillo e per tutta la vita suo amico e grande protettore, suo figlio e suo fratello, rappresentati tutti e tre grottescamente nella Crónica burlesca (“El duque de Béjar … parece onbre que trae ruybarbo o que vende xabón de Chipre” 24. – “don Pedro de Çúñiga, hijo del duque de Béjar, … pareçía garça demorada en el río  





Don Fadrique Enríquez, inserita nella Crónica, Don Francesillo scrive : “parece por una parte vuestra señoría debe estar enojado, y por otra vuestra señoría no parece nada a Salaçar el Grande. Y esto digo porque todos los ratones, por la mayor parte, son coléricos […]. Vuestra señoría sea çierto que la liga y amistad que hizimos, por mí nunca se quebrará, y por vuestra señoría menos, porque nunca grillo quebró lança ni otra cosa. […] Las nuebas que acá ay son que dizen que vuestra señoría se quiere meter frayle, y de mi consejo no lo debe de hazer […] porque con el ábito parescería vuestra señoría duende-casa” (Don Francés de Zúñiga : Crónica burlesca del Emperador Carlos V. Edición, introducción y notas de José Antonio Sánchez Paso, p. 71, p. 81, p. 113, p. 140, p. 143). 20   Cfr. Juan Bautista de Avalle-Arce : El Almirante Don Fadrique Enríquez. Esbozo biográfico, pp. 56-57, pp. 192-193, 212-216. Sulla genealogia di Don Fadrique Enríquez cfr. anche Gonzalo Fernández de Oviedo : Batallas y quinquagenas. Edición de Juan Bautista de Avalle-Arce, pp. 101-109. 21   José Antonio Sánchez Paso : « Introducción » a : Don Francés de Zúñiga : Crónica burlesca del Emperador Carlos V, pp. 44-45. 22   Cfr. Fernando Bouza : Locos, enanos y hombres de placer en la Corte de los Austrias, pp. 146-147. – Maxime Chevalier : El arte de motejar en la Corte de Carlos V. In : Cuadernos para la investigación de la Literatura Hispánica, Madrid, 5 (1983), 61-77. – M. Chevalier : Quevedo y su tiempo : la agudeza verbal, pp. 11-90. – Monique Joly : El truhán y sus apodos. In : Nueva Revista de Filología Hispánica 34 (1985-86), 723-740. 23   José Antonio Sánchez Paso : « Introducción » a : Don Francés de Zúñiga : Crónica burlesca del Emperador Carlos V, p. 45. 24   Don Francés de Zúñiga : Crónica burlesca del Emperador Carlos V, p. 148. Sul Duca di Béjar cfr. anche p. 85, p. 90, p. 112, p. 114, p. 124, p. 134.  











































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de Duratón” 25. – “vi al duque de Béjar sentado en una silla muy alta ... y al marqués, hermano deste duque, que dezía el marqués al duque : – « Frater me domine, la muger me engañó ». El duque le respondía : – « Fulminabite draconis super te »...” 26). Quando Francesillo pensava che qualcuno non avrebbe gradito i suoi motteggi e i suoi apodos, prudentemente taceva (“Estos cavalleros … fueron demasiadamente esforçados, y por esso y por ser de Estremadura el autor no los quiso apodar, porque fue ynformado que davan espaldarazos que quitavan la habla” 27). La sua famosa aggressività era, quindi, ‘sovversiva’ e ‘trasgressiva’ solo nella misura che la ‘sovversione’ e la ‘trasgressione’ erano gradite al Principe e tollerate dai cortigiani. Non ci pare pertanto corretto attribuire alla sua Crónica burlesca un valore trascendentale di corrosiva critica della società feudale e della nobiltà : la Narrenfreiheit era, da sempre, inerente appunto all’ufficio di buffone ! A nostro parere la Pícara Justina – opera ‘ingegnosa’ intessuta di ‘concetti’, di “agudezas”, di “chistes”, di “donayres”, di “gracias” e di “dichos donosos”, scritta non per “el vulgo ignorante”, non per “los villanos”, che “nada bueno alaban”, 28 ma per il “noble Lector”, per “los corteses” 29 e “los discretos”, ossia per un pubblico socialmente, intellettualmente e culturalmente elitario, e resa volutamente inaccessibile agli ignoranti 30 – va inquadrata nel complesso, aggrovigliato contesto di molteplici, spesso interdipendenti, tradizioni, forme e generi letterari : la ‘letteratura del riso’, nelle sue diverse espressioni e manifestazioni, la letteratura folklorica, celestinesca, misogina, satirica, picaresca, emblematica e ‘geroglifica’. Nella genesi della Pícara Justina giocano, inoltre, un ruolo di primo piano il costume, molto diffuso nella società, di motteggiare, affibbiare nomignoli, burlare, beffare, schernire e dar la baia, e la moda, parte integrante di questo costume, dei discorsi e degli elogi burleschi delle Università (vejámenes, gallos) e delle Accademie letterarie (vejámenes). Infine, anche la letteratura agiografica e l’oratoria sacra hanno influenzato, in certa misura, la composizione del Libro de entretenimiento.  





























Libri di facezie, repertori di ‘burle’, di buffonerie, di motti e di arguzie, novelle I libri di facezie – l’autore della Pícara Justina, che loda le “dulces façetias”, “los discretos”, “los facetos”, “los graciosos, y bien hablantes” 31 e le “facetas gracias”, 32 di facezie ne  

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  Don Francés de Zúñiga : Crónica burlesca del Emperador Carlos V, p. 76.   Cfr. Don Francés de Zúñiga : Crónica burlesca del Emperador Carlos V, p. 134. 27   Don Francés de Zúñiga : Crónica burlesca del Emperador Carlos V, p. 118. 28   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO SEGVNDO INTITVLADO LA PICARA Romera. En que se trata la jornada de Arenillas. CAPITVLO PRIMERO, de la Romera Baylona. NVMERO TERCERO DEL Conuite alegre, y triste », p. 130 (« ENDECHAS CON BVELTA »). Nella pagina seguente Justina, che si dispone a “soltar el chorro a la vena de las gracias, y apodos, que es sciencia de entre bocado y sorbo”, afferma che “las gracias no son para villanos” (p. 131). 29   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « INTRODVCCION GENERAL, PARA TODOS los tomos y libros. Escrita de mano de Iustina. Intitulada la Melindrosa Escriuana. DIVIDESE ESTA INTRODVCCION en tres numeros. Numero segundo [tercero !]. Del melindre a la culebrilla », p. 32, p. 31 e p. 31, nota marginale (“Capta la beneuolencia a los corteses”). 30   Nella prima nota marginale della Introduzione Generale si legge : “Es tan artificiosa introduccion, que con su ingenio capta la beneuolencia a los discretos : y con su difficultad despide desde luego a los ignorantes” (Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « INTRODVCCION GENERAL, PARA TODOS los tomos y libros. Escrita de mano de Iustina. Intitulada la Melindrosa Escriuana. DIVIDESE ESTA INTRODVCCION en tres numeros. Numero Primero, Del melindre al pelo de la pluma », p. 1). 31   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « INTRODVCCION GENERAL, PARA TODOS los tomos y libros. Escrita de mano de Iustina. Intitulada la Melindrosa Escriuana. DIVIDESE ESTA INTRODVCCION en tres numeros. Numero segundo [tercero !]. Del melindre a la culebrilla », p. 26, p. 29. 32   “El discreto haze las gracias del ayre, y de que el otro escupio recio, o paso, saca facestas [facetas] gracias, 26



































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intesse innumerevoli nella sua opera –, i repertori di ‘burle’, di buffonerie, di motti e di arguzie erano in gran voga in Europa. Si pensi, per esempio, al Liber facetiarum (1470), molto diffuso anche in Ispagna, 33 di Gian Francesco Poggio Bracciolini, ai quattro libri De dictis et factis Alphonsi regis Aragonum et Neapolis (1455) di Antonio Beccadelli (detto il Panormita), tradotti in castigliano da Juan de Molina, 34 ai Detti piacevoli (o : Bel libretto), raccolti fra il 1477 e il 1482, di Angelo Poliziano, alla Margarita facetiarum (1508) di Johann Adelphus Muling (o : Mühling), alle Facetiae (1508-1512) di Heinrich Bebel, allo Schimpff und Ernst (1522) di Johannes Pauli, alla Scelta di facetie (Venezia : Domenico Imberti 1536), alle Facezie, motti e burle (1548) di Lodovico Domenichi, al Libro de chistes (ca. 1550) – raccolti, pare, dalla bocca di Diego Hurtado de Mendoza 35 – di Luis de Pinedo, al Libro de Apothegmas, que son dichos graciosos y notables (En Envers … en casa de Martin Nucio. 1549. – Zaragoza : Esteban de Nájera 1552) di Erasmo (la traduzione è di Francisco Tamara), 36 a La Zvcca del Doni (1551), 37 a I motti, le facezie, arguzie, burle e altre piacevolezze (1561)  

















dichos donosos, y entretenimientos suabes” (Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO De la Picara Romera. Capitulo IIII. de la romera de Leon. Numero 5. del engaño meloso », p. 109). 33   Sulla diffusione del Liber facetiarum in Ispagna cfr. José Fradejas Lebrero : Las « facecias » de Poggio Bracciolini en España. Primer centenar. In : Varia bibliographica. Homenaje a José Simón Díaz. Köln : Reichenberger 1988, pp. 273-282. – José Fradejas Lebrero : Las « facecias » de Poggio Bracciolini en España. In : Dicenda. Cuadernos de Filología Hispánica 7 (1988), 57-72. Facezie di Poggio Bracciolini si trovano non solo in raccolte di brevi racconti e di aneddoti come quelle di Timoneda o di Sebastián Mey (Fabvlario, 1613), ma anche in opere come La tercera Celestina (Tragicomedia de Lisandro y Roselia) di Sancho de Muñón (p. 121) e – lo vedremo più avanti – nei Coloquios de Palatino y Pinciano di Juan Arce de Otálora. 34   Libro de los dichos y hechos del Rey don Alonso. Valencia : Juan Jofre 1527. – Burgos : Juan de Junta 1530. – Libro de los dichos y hechos elegantes y graciosos del sabio Rey don Alonso de Aragon. Añadido y mejorado en esta postrera impresion. Año. 1552. Col. : Impresso en Caragoça en casa de Agostin millan a costas de Miguel de çapilla mercader de libros. – Zaragoza : Agustín Millán 1553. – Anvers : Juan Steelsio 1554. Riguardo a quest’ultima edizione, Alberto Blecua afferma che si tratta di una nuova traduzione di un anonimo. (Secondo Clara Louisa Penney e Jean Peeters-Fontainas il traduttore sarebbe Antonio Rodríguez Dávalos.) Questo è il suo frontespizio : Dichos y Hechos notables, graciosos y elegantes, del sabio Rey don Alonso de Aragon, y de Napoles. Adicionados por Eneas Siluio, Obispo de Sena, otramente dicho Papa Pio, aora nueuamente traduzidos y recopilados en lengua Castellana. Dirigidos al Illustre Señor don Alonso Fernandes de Cordoua y Figueroa. En Anvers, En casa de Iuan Steelsio. Año. M.D.LIIII. Con Priuilegio Imperial. (Col. : Fve Impresso en casa de Iuan Lacio. Año M.D.LIIII.) Cfr. Alberto Blecua : La literatura apotegmática en España. In : A. B. : Signos viejos y nuevos. Estudios de historia literaria. Edición y apéndice bibliográfico al cuidado de Xavier Tubau. Barcelona : Crítica 2006, pp. 273-294 ; qui p.281, nota nro. 22. – Mercedes Fernández Valladares : La imprenta en Burgos (1501-1600). Volumen I. Madrid : Editorial Arco / Libros 2005, p. 654 (nro. 224). – Juan M. Sánchez : Bibliografía Aragonesa del siglo XVI. Tomo II. 1551-1600. Madrid : Imprenta Clásica Española 1914, pp. 17-19 (nro. 326), pp. 38-39 (nro. 346). – Jean Peeters-Fontainas : Bibliographie des impressions espagnoles des Pays-Bas Méridionaux. I, p. 58 (nro. 107). – Printed Books (1468-1700) in The Hispanic Society of America. A Listing by Clara Louisa Penney. New York : The Hispanic Society of America 1965, p. 55. 35   Cfr. Antonio Paz y Melía : « Introducción » a : Sales españolas o Agudezaz del ingenio nacional. Recogidas por Antonio Paz y Melía. Segunda edición de Ramón Paz (= Biblioteca de Autores Españoles, 176). Madrid : Atlas 1964, pp. I-XII, qui p. IX. 36   Nello stesso anno apparve un’altra traduzione, eseguita da Juan Jarava, degli Apothegmata di Erasmo : Libro de vidas, y dichos graciosos, agvdos y sentenciosos, de mvchos notables varones Griegos y Romanos. En Anvers, En casa de Iuan Steelsio. M.D.XLIX. Con priuilegio Imperial. Cfr. Juan M. Sánchez : Bibliografía Aragonesa del siglo XVI. Tomo II. 1551-1600, pp. 19-21 (nro. 327). – Jean Peeters-Fontainas : Bibliographie des impressions espagnoles des Pays-Bas Méridionaux. I, pp. 205-206 (nro. 386), p. 206 (nro. 387). – Alberto Blecua : La literatura apotegmática en España, pp. 280-282. 37   Quest’opera di Anton Francesco Doni, costituita di tre libri intitolati I Cicalamenti, Le Baie e Le Chiachiere, fu tradotta in castigliano pochi mesi dopo la pubblicazione dell’originale italiano e pubblicata presso lo stesso tipografo-editore veneziano : La Zvcca del Doni En Spañol. (In Venetia per Francesco Marcolini Il mese d’ottobre MDLI.) La traduzione conserva la stessa struttura tripartita dell’originale : Cicalamentos, Chistes, Bvrlas, Donaires Del Doni : Bveltos en Castellano. – Las Baias De La Zvcca Del Doni en Castellano. – Las Chacheras De La Zvcca Del Doni en Castellano. La Zvcca contiene, come scrive Maxime Chevalier nel « Prólogo » premes 





















































































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di Orazio Toscanella, a El Sobremesa y Aliuio de Caminantes (1563) di Juan Timoneda, 38 a L’Hore di ricreatione, contenenti Detti e Fatti piacevoli (Venezia : Giorgio Cavalli 1565) di Lodovico Guicciardini, 39 alle Facezie, motti, buffonerie e burle del Piovano Arlotto, del Gonnella e del Buralacchio (Firenze : Giunti 1565), ai Cuentos de Garibay (XVI sec.), alla Floresta española (1574) di Melchor de Santa Cruz, ai Doce Cuentos di Juan Aragonés, inclusi in due edizioni dell’Alivio de caminantes di Juan de Timoneda (Medina del Campo : Francisco del Canto 1563. – Alcalá de Henares : Sebastián Martínez 1576), 40 a Las seiscientas apotegmas (1596) di Juan Rufo, 41 ai Diálogos de apacible entretenimiento (1605) di Gaspar Lucas Hidalgo e ai Cuentos muy mal escritos que notó don Juan de Arguijo. 42 Queste sillogi erano, in parte, costituite di motti, facezie e aneddoti arguti raccolti direttamente dalla viva voce di chi li aveva pronunciati o ‘inventati’. La presenza di facezie, arguzie e brevi racconti ‘graziosi’ in opere come la Silva de varia lección (Sevilla : Dominico de Robertis 1540) di Pedro Mexía, la Philosophía vulgar (Sevilla : Hernando Díaz 1568) di Juan de Mal Lara, il Teatro Universal de Proverbios di Sebastián de Horozco, i Contos e Histórias de proveito e exemplo (1.ª-2.ª parte : Lisboa : Antonio Gonçalvez 1575-1576 ; 3.ª parte : Lisboa : Simão Lopez 1595 43) di Gonçalo Fernandes Trancoso, la Miscelánea (ca. 1592-1595) di Luis Zapata, non appartenenti specificamente alla letteratura faceta, testimoniano di quanto fossero vivi e diffusi il gusto e l’interesse per questo genere. E ancor più efficacemente il gusto e l’interesse per i motti di spirito, le facezie e i rac 

































so alla riproduzione facsimile dell’originale italiano e della versione castigliana, “cartas encomiasticas, elogios burlescos, cuentos jocosos, observaciones satíricas, anécdotas divertidas” e, soprattutto, “dichos de ingenios italianos, famosos u olvidados, entre los cuales ocupa preferente lugar el propio Doni, quien no vaciló en recoger e imprimir sentencias y donaires suyos”. Cfr. La Zucca del Doni (Venetia 1551, Francesco Marcolini). Prólogo de Maxime Chevalier (= Biblioteca Hispánica Puvill. Sección : Literatura, 2). Barcelona : Puvill-Editor 1981, p. 8. 38   Nella Pícara Justina vengono ricordati El Patrañuelo (Valencia : Joan Mey 1567) e El Sobremesa y Aliuio de Caminantes (Valencia : Joan de Timoneda 1563) di Joan de Timoneda. Cfr. Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « Prologo summario de ambos los tomos, de la Picara Iustina », fo. [A 9r]) ; « LIBRO SEGVNDO INTITVLADO LA PICARA Romera. En que se trata la jornada de Arenillas. CAPITVLO SEGVNDO DE LA Vigornia burlada. NVMERO SEGVNDO DEL parlamento loco », p. 166. 39   L’opera – molto diffusa in Europa (ne fu fatta anche un’edizione trilingue) – di Lodovico Guicciardini fu tradotta in castigliano da Vicente de Millis Godínez (Horas de recreacion. Bilbao : Mathias Mares 1586) e da Jerónimo Mondragón (Primera Parte, De los Ratos de recreacion, del excelente Humanista M. Ludouico Guichiardino, patricio Florentino. Traduzidos de lengua Italiana, i añadidos otros muchos que se an puesto, en lugar de algunos que se an dexado de traduzir, por ser de poco prouecho. Impressos en Çaragoça en casa Pedro Puig i Iuan Escarrilla, año 1588). 40   Juan Aragonés : Doce cuentos. In : Novelistas anteriores a Cervantes (= Biblioteca de Autores Españoles, 3). Madrid : Atlas 1975), pp. 167-168. Su Juan Aragonés cfr. Marcelino Menéndez Pelayo : Orígenes de la novela. Edición preparada por D. Enrique Sánchez Reyes (= Edición Nacional de las Obras Completas, XV). Tomo III, pp. 72-74. 41   Sulla letteratura apotegmatica in Ispagna cfr. Alberto Blecua : la literatura apotegmática en España. 42   Cuentos muy mal escritos que notó don Juan de Arguijo. In : Obra completa de Don Juan de Arguijo (1567-1622). Introducción, edición y notas de Stanko B. Vranich. Ediciones Albatros Hispanófila 1985, pp. 475-497 (questa edizione contiene 107 cuentos). – Cuentos recogidos por D. Juan de Arguijo. In : Sales españolas o Agudezaz del ingenio nacional. Recogidas por Antonio Paz y Melía. Segunda edición de Ramón Paz (= Biblioteca de Autores Españoles, 176). Madrid : Atlas 1964, pp. 233-269 (questa raccolta contiene 316 cuentos !). 43   La 1.ª parte dell’opera fu composta prima del 1569 e pubblicata verso il 1570. La più antica edizione pervenutaci è però del 1575. La 2.ª parte fu anch’essa, forse, pubblicata intorno al 1570. La più antica edizione pervenutaci è senza data, ma fu stampata, sempre “en casa de Antonio Gonçaluez impressor”, probabilmente nel 1576. La più antica edizione conosciuta della 3.ª parte è del 1595 e fu pubblicata, unitamente alla 1.ª e alla 2.ª parte a Lisbona “Em casa de Simão Lopez”. Cfr. Cristina Nobre : « Prefácio » a : Gonçalo Fernandes Trancoso : Contos e Histórias de Proveito e Exemplo. Edição de C. N. (= Colecção Obras Clássicas da Literatura Portuguesa, 129). Leiria : Edições Magno 2003, pp. 11-45 ; qui pp. 13-18, p. 43, p. 150.  



















































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conti ‘graziosi’ sono testimoniati da un particolarissimo documento storico : la Instruction y memoria de las diligencias y relaciones que se han de hacer y embiar a Su Magestad para description y historia de los pueblos de España, que manda se haga para honra y ennoblecimiento de estos Reynos (1575), il questionario inviato a tutti i pueblos spagnoli per l’indagine storico-geografica e statistica voluta da Filippo II, preparata da Juan Páez de Castro, Ambrosio de Morales e Juan de Ovando 44 e svoltasi fra il 1575 e il 1580. Fra le 57 domande poste da questo questionario per raccogliere le informazioni necessarie all’indagine vi era – come numero 38 – la seguente : “[Se declare y diga :] Las personas señaladas en letras o armas, o en otras cosas buenas o malas que haya en dicho pueblo, o hayan nascido o salido de él, con lo que se supiese de sus hechos y dichos, y otros cuentos graciosos que en los dichos pueblos haya habido”. 45 I detti e i racconti ‘graziosi’ apparivano dunque agli estensori del questionario di grande importanza per la ricostruzione della storia e della cultura locale ! Se i vecchi dei paesi avessero risposto alla domanda si sarebbe formato un fondo documentario di straordinaria ricchezza e rilevanza, soprattutto per lo studio del folclore. Purtroppo le risposte a questa domanda (già il questionario del 1578 chiedeva però soltanto informazioni su “hechos y dichos señalados” 46 e non più su “cuentos graciosos”) sono poco frequenti e limitate, abitualmente, alla scarna menzione delle “personas señaladas en letras o armas” della località. 47  















44   Cfr. Alfredo Alvar Ezquerra : Relaciones Topográficas de Felipe II. Madrid. Estudio introductorio, pp. 29-38. 45   Alfredo Alvar Ezquerra : Relaciones Topográficas de Felipe II. Madrid. Estudio introductorio, pp. 203-208 (« Apéndices y mapas : Interrogatorio de 1575 ») ; qui p. 206. Cfr. anche Carmelo Viñas y Ramón Paz : Relaciones histórico-geográfico-estadísticas de los pueblos de España hechas por iniciativa de Felipe II. Ciudad Real. Madrid : C.S.I.C. 1971, p. XVIII. – Carmelo Viñas y Ramón Paz : Relaciones histórico-geográfico-estadísticas de los pueblos de España hechas por iniciativa de Felipe II. Reino de Toledo (Primera parte), p. XVI. 46   Alfredo Alvar Ezquerra : Relaciones Topográficas de Felipe II. Madrid. Estudio introductorio, pp. 209-213 (« Apéndices y mapas : Interrogatorio de 1578 ») ; qui p. 213 (nro. 33). – Carmelo Viñas y Ramón Paz : Relaciones histórico-geográfico-estadísticas de los pueblos de España hechas por iniciativa de Felipe II. Reino de Toledo (Primera parte), p. XXII (nro. 33). 47   Se – per fare un esempio – analizziamo le 52 relazioni delle località sotto la giurisdizione di Madrid contenute nel primo volume della edizione di Alfredo Alvar Ezquerra, otteniamo questi dati : in 49 relazioni manca completamente la risposta alla domanda, oppure vi è una risposta di questo tipo : “dijeron que no saben ni hay cosa de lo que en el capítulo [cioè la domanda – nro. 38 o 33 – della Instruction] se contiene” ; in tre relazioni si risponde interpretando stricto sensu la parola cuento, e cioé come “relación ó noticia de alguna cosa sucedida” (Diccionario de Autoridades). In una relazione si racconta che Don Juan de Austria fu portato segretamente da uno straniero, chiamato “Francesquín flamenco”, a Leganés quando aveva un anno e mezzo e qui rimase sino all’età di undici anni, senza che si conoscesse la sua identità. In due relazioni si risponde alla domanda sui “cuentos graciosos” riferendo questi due ‘casi’ : “A los treinta y ocho capítulos respondieron que no hay cosa notable que poder decir que haya acontecido en el dicho pueblo [Alcorcón], ni de personas que hayan nacido en él, sólo por cuento gracioso se puede notar haber en el dicho lugar al presente un hombre que casi ha setenta años que está casado con una sola mujer, y han vivido y viven tan en paz, que nunca se ha sabido que entre ellos en todo el dicho tiempo haya habido cuestión, rencilla, ni enojo, ni mala palabra, y que al presente se tratan amigablemente como si fueran recién casados, que es cosa para estos tiempos bien de notar, llámase él Juan de la Rubia y ella María Corchuela.” – “Hay en este pueblo [Getafe] un hombre que siendo mozo fue concertado por palabras de presente con una hija de vecino de aquí, y sobre cosa hecha llevó el cordero la Pascua Florida de casa de su suegro como es costumbre en el pueblo, comióse el cordero, y deshízose el desposorio, casóse con otra, y estuvo algún tiempo casado con ella, y enviudó primera vez, y tornóse a casar con otra, y estuvo algún tiempo con ella casado, y tornó a enviudar, y casóse tercera vez con una mujer de Villaverde, que es una legua de aquí, y enviudó de ésta, y dentro de un año que murió esta tercera, se tornó a casar otras tres veces, y estuvo concertado con otra, y hechas las amonestaciones que manda el santo Concilio, y tenida ocho días en su casa, y por cierto enojo que tuvieron se deshizo el matrimonio, y se dijeron que no se querían el uno al otro, por manera que dentro del año enterró tres mujeres con que fue casado y velado, y concertado con la que tuvo en casa ocho días, y casado con la que tiene en casa viva. Esto ponemos por cuento gracioso como lo dice el capítulo.” Cfr. Alfredo Alvar Ezquerra (Coordinador) : Relaciones Topográficas de Felipe II. Madrid. Volumen I, p. 67, p. 394, p. 447.  







































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Anche i novellieri italiani contribuivano al successo della letteratura burlesca. Moltitudine di novelle italiane celebrano festosamente l’arte sottile del burlare, beffare, gabbare, schernire, ingannare e motteggiare ingegnosamente, astutamente, piacevolmente e giocosamente, talvolta crudelmente (l’arte nella quale eccelle Justina come dimostrano la beffa giocata alla bigornia, la beffa scatologica dell’engaño meloso di cui è vittima il bachillerejo e la beffa della vizma pegajosa di cui è vittima Sancha Gómez, tutte beffe che sembrano ricalcare modelli offerti da novelle italiane !). Si pensi, per esempio, al Decameron, 48 ricco repertorio di burle – segnalato dallo stesso Baldesar Castiglione 49 –, di beffe e di “leggiadri motti”, 50 o alle Novelle Porretane di Giovanni Sabadino degli Arienti, al Novellino di Masuccio Salernitano (Masuccio Guardati), alle Novelle di Matteo Bandello, al Fuggilozio di Tomaso Costo, opere la cui materia è costituita, in parte altrettanto rilevante che nel capolavoro del Boccaccio, da burle, beffe, inganni, detti piacevoli, acuti e faceti, e motti salaci, mordaci e arguti. Nei Diporti di Girolamo Parabosco è addirittura inserita, fra le novelle, una intera sezione sui « Motti ». 51  













I trattati italiani del comportamento e l’ideale del cortigiano ‘faceto’ Al successo della letteratura faceta aveva notevolmente contribuito l’importanza che all’arte di sapere dire un motto arguto, di raccontare una facezia e di burlare, era stata data da Baldesar Castiglione 52 – riallacciandosi al De Oratore di Cicerone, 53 alla Institutio  



48   Sulla ricezione del Boccaccio e del suo capolavoro in Ispagna cfr. C. B. Bourland : Boccaccio and the Decameron in Castilian and Catalan Literature. In : Revue Hispanique 12 (1905), 1-232. – Marcelino Menéndez Pelayo : Orígenes de la novela. Edición preparada por D. Enrique Sánchez Reyes (= Edición Nacional de las Obras Completas, XV). Tomo III, pp. 4-29. – Joseph V. Ricapito : Boccaccio and the Picaresque Tradition. In : Americo Bugliani. General Editor : The Two Hesperias. Literary Studies in honor of Joseph G. Fucilla on the occasion of his 80th birthday. Madrid : José Porrúa Turanzas 1977, pp. 309-328. Il Decameron figura nella lista dei libri “mejor representados en las bibliotecas madrileñas” elaborata da José Manuel Prieto Bernabé (Lectura y lectores. La cultura del impreso en el Madrid del Siglo de Oro. I, p. 303). Sulla importanza del Decameron, del Liber facetiarum e del Cortegiano per la formazione e il successo della letteratura ‘faceta’ in Ispagna (sino alla Floresta di Santa Cruz), cfr. Antonio Prieto : La prosa española del siglo XVI. I. Madrid : Cátedra 1986, pp. 17-57. 49   “Degli esempi [di burle] poi n’avemo infiniti, ché ogni dì ne veggiamo ; e tra gli altri, molti piacevoli ne sono nelle novelle del Boccaccio, come quelle che faceano Bruno e Buffalmacco al suo Calandrino ed a maestro Simone, e molte altre di donne, che veramente sono ingeniose e belle” (Baldesar Castiglione : Il Libro del Cortegiano. A cura di Bruno Maier. Torino : Unione Tipografico-Editrice Torinese 1964, p. 319). 50   Si vedano le novelle della sesta, settima e ottava giornata dell’opera. Sulle beffe nel Decameron (22 sono le novelle con beffa, 9 le novelle con motto), nel Novellino (tre novelle con beffa, 13 con motto) e nelle Trecentonovelle (qui le beffe, numerosissime, “non sono più le beffe classiche, ma burle” ; i motti “sono più spesso battute scherzose o sarcastiche o velenose”) di Franco Sacchetti, cfr. Cesare Segre : La beffa e il comico nella novellistica del Due e Trecento. In : Passare il tempo. La letteratura del gioco e dell’intrattenimento dal XII al XVI secolo. Atti del Convegno di Pienza, 10-14 settembre 1991. Tomo I (= Pubblicazioni del Centro Pio Rajna – Sez. I/3*). Roma : Salerno Editrice 1993, pp. 13-28 (a pag. 18 i dati statistici ; a pag. 27 le frasi citate fra virgolette). 51   Girolamo Parabosco : I Diporti. In : Girolamo Parabosco – Gherardo Borgogni : Diporti. A cura di Donato Pirovano (= I Novellieri Italiani, vol. 32). Roma : Editrice Salerno 2005, pp. 55-329 ; qui pp. 259-282. 52   Baldesar Castiglione : Il Libro del Cortegiano. A cura di Bruno Maier, pp. 254-321 (Libro Secondo, XLILXXXIX). Il “cortegiano” – raccomandava Castiglione – “sappia con una certa dolcezza recrear gli animi degli auditori e con motti piacevoli e facezie discretamente indurgli a festa e riso, di sorte che, senza venir mai a fastidio o pur a saziare, continuamente diletti” (pp. 254-255). E ancora : “l’arte che s’appartiene a tutta questa sorte di parlar piacevole per indurre riso e festa con gentil modo … a me pare che importi assai e molto si convenga al cortegiano” (p. 255). La burla non è altro per Baldesar Castiglione che una ‘facezia in atto’ : “parmi che la burla non sia altro che un inganno amichevole di cose che non offendano, o almeno poco ; e sì come nelle facezie il dir contra l’aspettazione, così nelle burle il far contra l’aspettazione induce il riso. E queste tanto più piacciono e sono laudate quanto più hanno dello ingenioso e modesto […]. […] i lochi donde cavar si posson le burle son quasi i medesimi delle facezie” (p. 311). 53   Cfr. M. Tullio Cicerone : Opere retoriche. Volume primo. De Oratore, Brutus, Orator. A cura di Giuseppe Norcio. Torino : U.T.E.T. 1970, pp. 358-405 (De Oratore : Lib. II, 216-290).  

























































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oratoria di Quintiliano 54 e al De sermone (Napoli : Sigismondo Mayr 1509) di Giovanni Pontano, 55 il Conte, elogiatore della “acutezza recondita”, 56 aveva elaborato una sistematica tipologia dei motti di spirito 57 – e, nella scia del suo Cortegiano (1528), da altri trattatisti italiani della urbanitas e della cortesia, come Giovanni della Casa (Trattato ... cognominato Galatheo, overo de’ costumi. Vinegia : Nicolò Bevilacqua 1558) 58 e Stefano Guazzo (La civil conversatione. Brescia : Tomaso Bozzola 1574). 59 In Ispagna il Cortegiano, di cui si ritrovano chiare reminiscenze nella stessa Pícara Justina, 60 era diffusissimo – nella lingua originale e ancor più nella classica traduzione di Juan Boscán (Los cuatro libros del cortesano. Barcelona : Pedro Montpezat 1534) 61 –, non solo fra i membri della nobiltà, ma, sia pur in misura minore, fra gli appartenenti a vari ceti socio-professionali. 62  

























54   Marco Fabio Quintiliano : L’Istituzione Oratoria. A cura di Rino Faranda. Volume primo. Torino : U.T.E.T. 1968, pp. 720-761 (« De risu », VI, 3, 1-112). 55   Sulla concezione pontaniana della facetudo cfr. Franco Pignatti : La facezia tra Res Publica Literarum e società cortigiana. In : Educare il corpo educare la parola nella trattatistica del Rinascimento. A cura di Giorgio Patrizi e Amedeo Quondam (= « Europa delle Corti ». Centro studi sulle società di antico regime / Biblioteca del Cinquecento, 80). Roma : Bulzoni 1998, pp. 239-269 ; qui pp. 240-252. Sull’influsso di Cicerone, Quintiliano e Pontano sul Cortegiano cfr. Margherita Morreale : “Cortigiano faceto” y “burlas cortesanas”. Expresiones italianas y españolas para el análisis y descripción de la risa. In : Boletín de la Real Academia Española 35 (1955), 57-83. 56   “[...] se le parole che usa il scrittore portan seco un poco, non dirò di difficultà, ma d’acutezza recondita, [...] dànno una certa maggior autorità alla scrittura e fanno che ’l lettore va più ritenuto e sopra di sé, e meglio considera e si diletta dello ingegno e dottrina di chi scrive ; e col bon giudicio affaticandosi un poco, gusta quel piacere che s’ha nel conseguir le cose difficili. E se la ignoranza di chi legge è tanta, che non possa superar quelle difficultà, non è colpa dello scrittore...” (B. Castiglione : Il Libro del Cortegiano. A cura di Bruno Maier. Libro Primo, XXX, pp. 132-133). 57   B. Castiglione : Il Libro del Cortegiano, Libro Secondo, LVIII-LXV, LXX, LXXV, LXXVII, LXXXIII. 58   Giovanni della Casa : Galateo, ovvero de’ costumi. In : Prose di Giovanni della Casa e altri trattatisti cinquecenteschi del comportamento. A cura di Arnaldo Di Benedetto. Torino : Unione Tipografico-Editrice Torinese 1970, pp. 193-263 ; qui pp. 229-234. 59   Stefano Guazzo : La civil conversazione. A cura di Amedeo Quondam. I. Testo e appendice. Modena : Franco Cosimo Panini 1993, pp. 50-51 e p. 292. Stefano Guazzo condanna i motti dei “maldicenti mordaci”, i quali “se ben motteggiano spesso il vero, sono però viziosi, perché ciò fanno con animo torto e ingiurioso”, e sono “così indiscreti e insolenti, che vogliono più tosto perder uno amico ch’una parola” ; ammette invece i motti di coloro che “provocati rispondono motteggiando” e, in particolare, “i graziosi motti” con cui “si vanno, senza mordere, stuzzicando” due protagonisti del convito di Casale. 60   Cfr. Monique Joly : La bourle et son interpretation. Recherches sur le passage de la facétie au roman (Espagne, XVIe – XVIIe siècles), pp. 76-77. 61   Los cuatro libros del cortesano. Compuestos en italiano por el conde Balthasar Castellón y agora nuevamente traduzidos en lengua castellana por Boscán. In : Juan Boscán – Garcilaso de la Vega : Obras completas. Madrid : Biblioteca Castro 1995, pp. 637-1019 ; qui pp. 790-837. I passi sopra citati del Cortegiano così li traduceva Juan Boscán : “el cortesano … sepa con una buena dulçura hazer que huelguen con él los que le oyeren, y levantallos discretamente con motes y gracias y buenas burlas, y hazellos reír de manera que, sin jamás ser pesado, sea gustoso para los que lo uviere de ser” (p. 791). – “el arte que conviene a toda suerte de burlas y de donaires, para mover risa y dar plazer con gentil manera […], yo pienso que […] haga mucho al caso y sea necesario al cortesano” (p. 791). – “paréceme que recaudo falso no es otra cosa sino un engaño que puede pasar entre amigos de cosas que no ofenden nada, o a lo menos poco ; y como en las gracias el dezir al revés de lo que se espera trae risa, así en las burlas hechas, también la trae el hazer al revés de lo que esperamos, y éstas tanto más plazen cuanto son más sotiles por una parte, y por otra moderadas […]. […] los fundamentos destas burlas son casi los mismos de las gracias” (pp. 829-830). Sulla traduzione spagnola delle pagine del Cortegiano sul riso cfr. Margherita Morreale : “Cortigiano faceto” y “burlas cortesanas”. Expresiones italianas y españolas para el análisis y descripción de la risa, pp. 57-83. 62   Luis Milán, parlando della Corte valenziana di D. Fernando d’Aragona, Duca di Calabria, e della Regina Germana de Foix, racconta di “ciertas damas de Valencia, que tenian entre manos el Cortesano del conde Baltasar Castillon” e che lo sollecitarono a scrivere un’opera simile. Cfr. Libro intitulado El Cortesano, compuesto por D. Luis Milan. Libro de motes de damas y caballeros, por el mismo, p. 4. Sulla diffusione del Cortegiano e sulla vasta letteratura spagnola del comportamento ispirata all’opera di Castiglione, cfr. Antonio Alvarez-Ossorio Alvariño : Corte y cortesanos en la Monarquía de España. In : Educare il corpo educare la parola nella trattati 































































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Non meno diffuso del Cortegiano – modello sia de El Scholástico (ca. 1542) di Cristóbal de Villalón, che non solo imita la struttura dell’opera di Baldesar Castiglione, ma dedica anche un ampio capitolo all’opportunità di sapere inframmezzare nella conversazione “donaires y dichos graciosos” e di sapere “motejar”, “burlar” e “narrar cuentos y fasceçias”, 63 sia del Libro intitulado : El cortesano (Valencia : Joan de Arcos 1561) del cavaliere di Valencia D. Luis Milán, che spiega come devono essere le “burlas” 64 e ne intesse  







stica del Rinascimento. A cura di Giorgio Patrizi e Amedeo Quondam (= « Europa delle Corti ». Centro studi sulle società di antico regime / Biblioteca del Cinquecento, 80). Roma : Bulzoni 1998, pp. 297-365. Sullo status sociale e professionale dei lettori del Cortegiano si vedano i dati statistici, fondati sulla analisi degli inventari postmortem – sicuramente rappresentativi, sebbene limitati a Madrid e agli anni 1550-1650 –, offerti da José Manuel Prieto Bernabé (Lectura y lectores. La cultura del impreso en el Madrid del Siglo de Oro I, p. 294) nella tabella « Evolución y reparto socio-profesional de El Cortesano de B. de Castiglione, (1550-1650) ». Nell’inventario del 1573 della biblioteca di Don Alonso Osorio, VII Marchese di Astorga, figurava “El cortesano traduçido de ytaliano en nuestro bulgar castellano por Boscán”. Cfr. Pedro M. Cátedra : Nobleza y lectura en tiempos de Felipe II. La biblioteca de Don Alonso Osorio Marqués de Astorga. Junta de Castilla y León. Consejería de Educación y Cultura 2002, p. 336. Don Diego Hurtado de Mendoza possedeva ben tre esemplari del “Libro del cortesano”. Cfr. Ángel González Palencia y Eugenio Mele : Vida y obras de Don Diego Hurtado de Mendoza. Tomo tercero. Madrid : Instituto de Valencia de Don Juan 1943, pp. 538-539. Francesco Sansovino afferma, nel suo Simulacro di Carlo V imperatore (Venezia 1567, fo. 21), che Carlo V “si dilettava di leggere tre libri solamente li quali esso haveva fatto tradurre in lingua propia. L’uno … fu il Cortigiano del Conte Baldassar da Castiglione, l’altro … fu il Principe co’ Discorsi del Machiavello, e il terzo … la Historia … di Polibio” (cit. da Helena Puigdomenech Forcada : Maquiavelo en España. Presencia de sus obras en los siglos XVI y XVII. Madrid : Fundación Universitaria Española 1988, p. 184, nota nro. 5). Qualche scarno dato, di seconda mano, sui lettori del Cortegiano è offerto da Peter Burke : The Fortunes of the Courtier. The European Reception of Castiglione’s Cortegiano. Cambridge : Polity Press 1995, p. 63. 63   Cfr. Cristóbal de Villalón : El Scholástico. Edición de José Miguel Martínez Torrejón. Barcelona : Crítica 1997, pp. 321-339 (« Libro IV. Capítulo XVII, en el qual propone el Rector que se le debe enseñar al scolástico cómo se debe haber en todo género de conversación açerca de graçias y donaires, porque en sus pasatiempos no sea enojoso, pesado ni perjudiçial, mas a todos graçioso y apazible »). Questo capitolo ricalca da vicino il Cortegiano, dal quale mutua anche un paio di aneddoti. Nonostante il titolo, non appartiene alla letteratura del comportamento El estudioso cortesano (Valencia 1573), seconda parte de El Estudioso de la Aldea (Valencia : Ioan Mey 1568), di Lorenzo Palmireno. Nel prologo di questa curiosa miscellanea – o piú esattamente, guazzabuglio – di pseudo erudizione, consigli, proverbi, aneddoti e annotazioni bibliografiche, indirizzato « Al benigno Lector », si legge : “Yo imagino mi aldeano, que es venido a ciudad, y por hauer mudado de assiento le llamo Cortesano, y no por pretender que tiene todo lo que el Conde don Balthasar de Castellon en su Cortesano enseña.” In realtà, l’opera non solo non contiene “tutto” quello che insegna il Cortegiano, ma neppure una sia pur minimissima parte ! Cfr. El Estudioso Cor- | tesano de Lorencio Palmireno. | Agora en esta vltima impression | añadido el Prouerbiador, | o Cartapacio. | CONTIENENSE, | El estudioso { | Pobre por bouedad, o grosseria. | En conuersacion. | Combidado. | Enfermo. | Caminante. | Discreto en sus persecuciones. | [Vignetta : una croce, sullo sfondo edifici di una città] | CON PRIVILEGIO. | En Alcala de Henares, en casa de Iuan Iñi | guez de Lequerica, Año 1587. | A costa de Luys de la Puerta mercader | de libros (Madrid, Biblioteca Nacional : USOZ 1394). 64   “Dixo el Duque [Don Fernando d’Aragona, Duca di Calabria e Principe di Taranto, marito della Regina D. Germana de Foix, vedova di D. Fernando il Cattolico, e interlocutore principale dell’opera di D. Luis Milán] : […] las burlas no deben ser largas aunque sean buenas, que si turan mucho, pueden hacer mal estómago, por ser de mala digestion el burlar, y si son pocas puédense digerir ; y pues los caballeros no deben reñir de burlas, no se ha de burlar para que puedan reñir de véras, porque sufriendo muchas, parescen hombres de burlas, y siendo pocas, no apocan á los burladores en sufrillas”. Piú avanti, Diego Ladrón, un interlocutore del Cortesano, riprendendo Joan Fernández, un altro degli interlocutori, gli dice che parla “como diablo” per una sua ‘burla’ pesante e maligna : “Pues el buen dejo del avisado ha de ser dulce, y no como del truhan, que es amargo ; que lo mejor del cortesano es que el burlado quede contento del burlador, y quien esto no sabe hacer, déjese de burlar si no quiere enojar, que si malas burlas apénas se pueden sufrir á ley de honra de un truhan, no es razon se sufran á un galan, que lo que enoja no es cortesanía, sino descortesía, que puesto que no obliga á honra uno que vive de hacer el loco, pero no se le ha de sufrir que desautorice la autoridad, porque la reputacion no se pierda en ser reida de quien debe ser acatada, que los ignorantes no tienen ojo sino á la risa ; y por lo que se puede decir que entre avisados se sufre burlar lo que entre simples no se debe hablar, tengo por bien que don Luis Milan disimule y dé en callar, y Joan Fernandez en no enojar, que la cólera en todos tiempos se debe templar”. Cfr. Libro intitulado El Cortesano, compuesto por D. Luis Milan. Libro de motes de damas y caballeros, por el mismo, p. 60. Il secondo passo, nel quale si fa una importante distinzione fra lo ‘spirito’ del cortigiano e  























































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numerose nella sua opera, assieme alla descrizione di passatempi e feste di Corte 65 e alla ‘registrazione’ di “conversaciones jocosas de graves cortesanos”, di “pláticas risueñas de donosos y truhanes”, 66 di farse, con dialoghi in castigliano e valenziano, e di moltitudine di motti arguti, “apodos”, 67 aneddoti, scherzi, facezie e versi –, era il Galateo Español di Lucas Gracián Dantisco, 68 l’adattamento del Galateo di Giovanni  







quello del buffone di professione, si trova alle pp. 266-267 (a p. 281 si torna sulla differenza che deve esistere tra il motejar di un galán, cioè di un cavaliere, e quello di un truhán). Il breve Libro de motes de damas y caualleros : Intitulado el juego de mandar. Compuesto por don Luys Milan. Dirigido a las damas (Valencia : Francisco Díaz Romano 1535) è in versi (occupa le pp. 473-502 della edizione del Cortesano curata dal Marqués de la Fuensanta del Valle e da José Sancho Rayón). Il colofone del Libro intitulado El Cortesano recita così : “Fué impresa la presente obra en la insigne ciudad de Valencia, en casa de Joan de Arcos, corregida á voluntad y contentamiento del autor. Año MDLI. VT. BLASIUS NAVARRO.” Se D. Luis Milán corresse le bozze del libro, questo non è stato pubblicato “bastantes años después de su muerte” (Diccionario de Literatura Española e Hispanoamericana. A-M. Madrid : Alianza 1993, p. 1034). La dedica a Filippo II, re dal 1556, concorda con quanto si deduce dal colofone. 65   La Corte, come abbiamo già ricordato, è quella vicereale valenziana di D. Germana de Foix (era stata Regina d’Aragona come moglie di Fernando il Cattolico), e di suo marito, Don Fernando d’Aragona, Duca di Calabria, figlio primogenito dell’ultimo Re di Napoli della Casa d’Aragona, Don Fadrique III. Nella dedica a Filippo II, D. Luis Milán, nel presentare il suo libro, scrive : “Representa la córte del real duque de Calabria y la reina Germana, con todas aquellas damas y caballeros de aquel tiempo…” (Libro intitulado El Cortesano, compuesto por D. Luis Milan, p. 5). D. Germana de Foix, aveva sposato, per desiderio di Carlo V, il Duca di Calabria nel 1526. Morì nell’ottobre del 1537. Alla morte di D. Germana de Foix, Don Fernando d’Aragona sposò D. Maria de Mendoza, figlia di D. Rodrigo de Vivar y Mendoza, I Marchese del Cenete. Il Duca di Calabria rimase viceré del Regno di Valencia sino alla sua morte (1556). 66   Libro intitulado El Cortesano, compuesto por D. Luis Milan, p. 471. 67   Ecco – per esempio – uno scampolo di ‘conversazione’ cortigiana alla quale partecipa naturalmente anche il Duca di Calabria : “Dixo don Diego [Ladrón] : Don Francisco [Fenollet], pareceisme sacabuche, pues del buche de Joan Fernandez habeis sacado lo que habeis dicho contra mí por vuestra boca ; y vos, Joan Fernandez, me pareceis ventosa, que por vos ha salido el humor malencólico de don Francisco, que vuestra malicia le ha engendrado para dañarme, diciendo que yo estaba un toma muerto te lo do, de envidia de don Luis Milan de su toma vivo te lo do ; y decis verdad, que no puede haber cosa buena que no sea envidiada, ni cosa mala que no sea reprendida. Dixo Joan Fernandez : Don Diego, pues nos habeis apodado, á Don Francisco á sacabuche, y á mí á ventosa, y’os apodo á vos á cinfoynero de perro ballador, que nunca tañe la cinfoyna sino para sacar dineros ; y es el perro vuestro pensamiento, que siempre va rondando, como á bailador, para embaucar á quien de vos se deja ; sino, dígalo la córte á cuantos habeis embaucado, para sacarles presentes, tañendo las cuerdas de vuestra armonía ; pues lo son tanto que saben sacar joyas burlando de vuestros valencianos en Castilla, como vuestro padre don Luis Ladron de Castellanos en Portugal, que es oficio de lisonjeros, que por él vos podrian decir don Diego lisonjero. Dixo don Francisco : Joan Fernandez, pues vos os habeis vengado de don Diego en apodarle á cinfoynero, yo le apodo á melcochero, que se hace pagar mala miel por buena á los que no tienen gusto […]. Dixo el Duque : […] buenas lanzas han corrido estos caballeros cortesanos, y cuán poco se han corrido de los apodos que se han hecho, mostrando la severidad que los avisados han de tener para mostrar que ni en las burlas ni en las véras deben salir de seso, sino estar siempre en consideracion, para bien responder y obrar en todo lo que conviene…” (Libro intitulado El Cortesano, compuesto por D. Luis Milan, pp. 406-409). 68   Lucas Gracián Dantisco : Galateo español. Estudio preliminar, edición, notas y glosario por Margherita Morreale (= Clásicos Hispánicos. Serie II, Vol. XVII). Madrid : C.S.I.C. 1968 (le pp. 147-152 sono dedicate all’uso dei motti). Anche Lucas Gracián Dantisco condannava, come non confacente a un gentiluomo, il continuo apodar e i motti che schernivano difetti fisici o che ferivano l’onore – quindi, in particolare, i motti sul linaje – delle persone motteggiate : “[...] acontece que el que es motejado por solaz y amistad, suele afrentarse y recebir enojo dello, por ser inconsiderado. Y aunque sea assí que los motes y burlas suelen ser bien recebidos, no le aconsejaría yo al plático gentilhombre se diesse mucho a ellos. Ni deve procurar dezillos a menudo, y en todo tiempo y ocasión. Porque bien mirado, los motes no son otra cosa más que ardides y engaños sotiles. Y assí esto como el estar siempre apodando, dévese dexar a los que viven dello, que aunque más os digan, no os puede perjudicar, antes merecen ser premiados si dizen graciosamente. Pero quando el gentilhombre galateo dize alguna agudeza, considere que a cada uno le duele de que le digan su falta ni error. Y assí por muchas causas parece que quien procura de ser bienquisto no se deve hazer maestro de befas, y mucho menos se precie de dezir dichos satíricos y escandalosos, siendo como son perjudiciales, aunque sean más agudos y graciosos, ni tomen tanta gulosina que pierdan el amigo. Y especialmente es reprovado el hazer burla del defecto natural de alguno. [...] Pero aun más en hondo entran estos dichos satíricos, quando se tocan en el linage y en la honra  



































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della Casa, 69 del quale si conoscono otto edizioni uscite fra il 1593 e il 1603, ma non la princeps, anteriore verosimilmente al 1583 (la dedica a Gonzalo Argote de Molina è del 1° gennaio 1582) o, perlomeno, al 1586 (anno in cui quattro esemplari dell’opera furono inviati al Nuovo Mondo). 70 Un più modesto, ma non insignificante contributo alla conoscenza del Galateo è costituito dalla versione che dell’opera di Giovanni della Casa fece, “con fidelidad, pericia y hasta elegancia”, 71 il sacerdote sivigliano Domingo de Becerra, 72 forse ad uso soprattutto degli spagnoli residenti in Italia (ma l’opera ebbe una certa diffusione anche in Ispagna : un suo esemplare figurava, per esempio, nella biblioteca del Comendador Don Juan Enríquez de Guzmán, “mayordomo de sus alteças”, morto nel 1591, 73 e in quella di Francisco Moreno, “guantero de la Reina”, che possedeva anche il Galateo español di Lucas Gracián Dantisco e Los cuatro libros del cortesano di Juan Boscán 74) e degli italiani che volevano imparare il castigliano con l’aiuto della traduzione di un testo italiano. Della ricezione di Stefano Guazzo in Ispagna noi sappiamo poco. La sua Civil conversatione, della quale dal 1574 al 1604 furono pubblicate ben 24 edizioni (o ristampe) solo a  













[...]. Por esto digo que si el agudeza y habilidad se emplea en dichos assí perjudiciales, más valdría que nunca los tuviessen, porque no se puede esto hazer con seguridad de conciencia, si no fuesse en las cosas que los hombres hablan sin perjuizio de su próximo, y con discreción y agudeza. Verdad es que para passar esta trabajosa vida, procuramos algún solaz y passatiempo, y los motes y burlas suelen ser instrumentos de risa y recreación. Por lo qual son amados, los que saben solaçar y dezir bien sin agraviar a nadie. Y son muy pocos los que esto saben hazer, porque han de estar advertidos de muchas cosas para no caer a desgracia, y acontece que lo que con unos se suelen grangear ganándoles la voluntad, se puede perder con otros. Y comúnmente, donde no ha lugar el reir y gustar, se reprueva el motejar y burlar de nadie, porque no hay peor burla que la verdadera” (pp. 148-149). Molti anni dopo, anche Alonso Núñez de Castro ammoniva i cortigiani a non usare “chistes picantes, y donaires”. Cfr. Alonso Núñez de Castro : Libro historico politico, solo Madrid es Corte, y el Cortesano en Madrid. Tercera Impression, con diferentes Adiciones : dividido en quatro Libros, p. 529 69   Justina menziona il Galateo (“Moneda no la saque, porque no fache geyto, como dixo el Galateo...”). Si tratta probabilmente dell’adattamento di Lucas Gracián Dantisco, ma il riferimento è troppo vago per poter essere identificato. Cfr. Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO TERCERO DE LA PICARA PLEYTISTA. Capitulo primero de la hermana perseguida », p. 195. 70   Cfr. Margherita Morreale : « Estudio preliminar » a : Lucas Gracián Dantisco : Galateo español, p. 5, p. 16, p. 68 e pp. 70-76. Il Galateo español figura nella lista dei libri “mejor representados en las bibliotecas madrileñas” elaborata da José Manuel Prieto Bernabé (Lectura y lectores. La cultura del impreso en el Madrid del Siglo de Oro I, p. 305). 71   Margherita Morreale : « Estudio preliminar », p. 4. 72   Tratado de M. Iuan de la Casa ; llamado Galatheo, o tratado de Costumbres, Traduzido de lengua Toscana en Castellana por el Doctor Domingo de Bezerra, natural de Siuilla. En Venecia. Por Iuan Varisco. 1585. La traduzione di Domingo de Becerra fu inclusa in : La Galatee, premierement composé en Italien par I. de la Case, et depuis mis en François, Latin, et Espagnol par diuers auteurs. Par Iean de Tournes. M.D.XCVIII. Questa edizione del Galateo in quattro lingue fu pubblicata nuovamente – accresciuta della traduzione tedesca – nel 1609 (A Geneve par Iean de Tournes M.DC.IX) e nel 1615 (A Montbeliart, par Iaqves Feuillet M.DC.XV). Cfr. Margherita Morreale : « Estudio preliminar », pp. 91-94. 73   José Manuel Prieto Bernabé : Lectura y lectores. La cultura del impreso en el Madrid del Siglo de Oro (1550-1650). Tomo II, p. 51. Don Juan Enríquez (de Guzmán) era stato maggiordomo del principe Filippo dal 1585 al 1591. Cfr. La Monarquía de Felipe II : La Casa del Rey. Directores : José Martínez Millán - Santiago Fernández Conti. Volumen II : Oficiales, Ordenanzas y Etiquetas, p. 680. 74   José Manuel Prieto Bernabé : Lectura y lectores. La cultura del impreso en el Madrid del Siglo de Oro (1550-1650). Tomo II, p. 390 e p. 395. L’inventario registra “Un galateo” e subito dopo “Otro galateo y laçarillo”. La prima registrazione si riferisce, a nostro parere, alla versione di Domingo de Becerra. Perché, altrimenti, Francisco Moreno, che era chiaramente interessato alla letteratura del comportamento, avrebbe dovuto comprare due esemplari del Galateo español ? La seconda registrazione si riferisce ad una di queste due edizioni : Galateo Español ... Y la vida de Lazarillo de Tormes. En Madrid, Por Luis Sanchez. Año M.D.XCIX. Vendense en casa de Iuan Berrillo. – Galateo Español ... Y la vida de Lazarillo de Tormes. En Valladolid, Por Luis Sanchez. Año de 1603. A costa de Miguel Martinez (vi sono altre edizioni delle due opere congiunte, ma sono posteriori alla data dell’inventario : 27. XII. 1627).  

















































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Venezia, 75 era presente – con il “cortesano de castillón” – nella biblioteca di Jácome de Trezzo, “escultor de Su Majestad”, morto nel 1589, 76 e nella biblioteca di D. Francisco Arias Dávila y Bobadilla, IV Conte di Puñonrostro, 77 morto nel gennaio del 1610 ; 78 figurava inoltre – insieme al Cortegiano di Baldesar Castiglione e al Galateo di Giovanni della Casa – nella biblioteca del giovane Filippo IV, sia nell’originale italiano (Vinegia : Altobello Salicato 1586), sia nella traduzione francese di François de Belleforest (La civile conversation. Lyon : Benoist Rigaud 1592). 79 Da una annotazione del diario di Girolamo da Sommaia risulta che il patrizio fiorentino, che risiedette a Salamanca dal 1603 al 1607, aveva imprestato un suo esemplare della Civil conversatione a Don Alonso Ramírez de Prado. 80 Per quanto scarsi, questi dati fanno supporre che la Civil conversatione non fosse sconosciuta. Grazie al Cortegiano e alla trattatistica del comportamento sorta a sua imitazione, il “cortesano ideal del Siglo de Oro” viene ad essere l’homo facetus, l’uomo ameno che è “ingenioso, festivo, gracioso con elegancia” e che a Corte dà continuamente “pruebas de donaire por su presteza en colocar dichos y por los agudos que son los cuentecillos a los que recurre”. Come negazione di questo ideale è considerato invece colui che abusa di burlas e fisgas : “El anticortesano es el hombre de burlas y fisgas que siempre se està riendo, con y a costa de todos, y por su desmesura los discretos los descalifican por bufón”. 81 Naturalmente la teoria e gli ideali che essa traccia sono una cosa, la pratica un’altra. Il successo, che tanti “Buffones, Truanes, juglares y chocarreros” – per usare la nomenclatura di Quevedo 82 – e tanti ‘cortigiani faceti’ riscuotevano presso principi e grandi signori, era fondato proprio sulla loro “desmesura” e sull’abuso, tanto severamente condannato da Baltasar Gracián, 83 di burlas e fisgas. L’autore della Pícara Justina, che esercita senza misura l’arte di motejar, 84 poteva comunque essere sicuro di far ridere i suoi lettori – e ascoltatori ! 85 – di ogni rango.  





   



















   

75   Cfr. Stefano Guazzo : La civil conversazione. A cura di Amedeo Quondam. I. Testo e appendice, pp. LXIX-LXXII. 76   José Manuel Prieto Bernabé : Lectura y lectores. La cultura del impreso en el Madrid del Siglo de Oro (1550-1650). Tomo II, p. 435, p. 441 e p. 443. 77   Cfr. Trevor J. Dadson : Libros, lectores y lecturas. Estudios sobre bibliotecas particulares españolas del Siglo de Oro, 9. 343 (nro. 13). Il Conte, la cui biblioteca era costituita in parte notevole di libri in italiano, possedeva anche i Dialoghi piacevoli di Stefano Guazzo (p. 344, nro. 17). 78   Cfr. Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 398. 79   Fernando Bouza : El libro y el cetro. La Biblioteca de Felipe IV en la Torre Alta del Alcázar de Madrid, p. 468, p. 472, p. 473 e p. 474. 80   Diario de un estudiante de Salamanca. La crónica inédita de Girolamo da Sommaia (1603-1607), p. 584. 81   Fernando Bouza : Locos, enanos y hombres de placer en la Corte de los Austrias, pp. 93-94. 82   Francisco de Quevedo Villegas : Sueños y Discursos. Tomo I. Edición de James O. Crosby, p. 167. 83   Cfr. Baltasar Gracián : El Discreto. Edición facsímil (Huesca, Juan Nogués, 1646). Prólogo de Aurora Egido. Zaragoza : Institución “Fernando el Católico” 2001, pp. 150-164. 84   Cfr. Luc Torres : Dialectique burlesque et arte de motejar dans La Pícara Justina de Francisco López de Úbeda. In : Écriture, pouvoir et société en Espagne aux XVIe et XVIIe siècles. Hommage du CRES à Augustin Redondo. Coordinateur Pierre Civil (= Travaux du “Centre de Recherche sur l’Espagne des XVIe et XVIIe siècles”, XVII). Paris : Publications de la Sorbonne 2001, pp. 339-346. 85   Normalmente Justina si rivolge al lettore – talvolta in maniera molto confidenziale e scherzosa (“diras hermano lector. Pues Iustina adonde apuntan los registos de esse breuiario ? Anda dexame letorcillo, que en haziendo vn pinico de predicadora luego me tiras nabos”). In una occasione però Justina si rivolge all’ascoltatore : “Por tu vida, oyente mio, que aunque te parezca fuera de proposito, me escuches, y juzgues si tengo yo razon...” (nella glossa apposta al margine è nominato invece il lettore e non l’ascoltatore : “Capta la atencion al lector” !). Cfr. Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « TERCERA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO De la Picara Romera. Capitulo 2. de la vizma de Sancha Gomez. Numero. 2. De la vizna [vizma] pegajosa », p. 146 ; « Capitulo 4. de la partida de Leon. Numero primero de la despedida de Sancha », p. 164.  









































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Le lettere facete Alle raccolte di facezie e di novelle e al Cortegiano dovevano ricorrere coloro che si dedicavano a scrivere lettere facete. Non a caso Antonio de Torquemada, nell’illustrare nel suo Manual de escribientes (1552) lo “stile grazioso”, indicava proprio le novelle – esplicitamente veniva menzionato Giovanni Boccaccio – e soprattutto l’opera di Baldesar Castiglione fra le fonti di burle e facezie e i modelli di questo stile. 86 E Rodrigo Espinosa de Santayana raccomandava, nel manuale Arte de Retórica (1578), a colui che “quisiere escrivir bien Epistolas jocosas” in lingua volgare”, di esercitarsi “en leer los libros que contengan cosas de burlas, assi como todo genero de novelas”. 87 Le lettere facete (cartas jocosas, cartas graciosas) del Rinascimento si riallacciano direttamente alla tradizione della epistolografia del XV secolo – coltivata sia da nobili, come Don Enrique de Villena (nipote, per linea materna, di Enrico II, Re di Castiglia, e pronipote, per linea paterna, di Pedro IV, Re d’Aragona), Don Iñigo López de Mendoza, Marchese di Santillana, Fernán Pérez de Guzmán, signore di Batres, Don Diego Hurtado de Mendoza, I Duca dell’Infantado, Don Gómez Manrique, nipote del Marchese di Santillana, e Fernando de la Torre, cavaliere burgalese, sia da intellettuali, come Diego de Valera, Juan de Lucena, Diego Rodríguez de Almela, Fernando del Pulgar e lo sconosciuto autore della già ricordata Carta de Privilegio que el Rey Don Juan ij°. dió a un hijo dalgo –, 88 tradizione che, a sua volta, si era ispirata al genus familiare et iocosum delle epistole di Cicerone, come ricorda l’autore di Claros varones de Castilla nella celebre lettera « Para un amigo encubierto », nella quale giustifica l’abitudine di intercalare talvolta “cose giocose” nelle sue epistole. 89 I più importanti cultori del genere sono, nei primi decenni del  











86   “Estilo graçioso es aquel que demás de hablarse o escreuirse con razones muy bien ordenadas y elegantes, contiene en sí cosas graçiosas y aplazibles para los que las oyen o leen, las quales pueden consistir en el hecho de lo que se trata por la relaçión y tanbién en las mesmas palabras que ençierran y lleuan encubiertas algunas subtilezas o burlas donosas, o qüentos verdaderos y fingidos que deleitan y dan contentamiento al gusto de los lectores. En este género de escreuir comúnmente se hallan escritas fábulas, que demás de lo que muestran en la letra, contienen en sí otras alegorías y sentençias escondidas, y tanbién las novelas, las comedias, las bucólicas, y otras obras de diuersas maneras que escriuieron diuersos autores como son : Ovidio, Terençio, Plauto, Juan Bocaçio, Luçiano en los libros De vera narraçione. Y en nuestra lengua son tantos que no ay para qué nonbrarlos por autores de obras y cosas de burlas, que avnque açiertan a dezir bien lo que quieren, las materias les quitan la autoridad que se requiere, como el autor que escriuió el libro de Çelestina, el qual verdaderamente açertó tan bien que ninguno lo podiera hazer mejor si fuera sobre materia más graue, avnque no dexa de tener devaxo de aquella corteza que de fuera pareçe, encubiertas con las burlas donosas, muchas veras de muy gran prouecho. Y para escreuir en este stilo no es pequeño el artifiçio que se requiere, y vno de los que bien han açertado me pareçe a mj que fue Baltasar Castelión en el Libro del perfeto cortesano. No sé si a los otros pareçerá lo mesmo / porque en las cosas que cuenta, demás de la buena orden y eloqüençia, ay muchos qüentos donosos, y muchas burlas graçiosas mezcladas con autoridad.” Cfr. Antonio de Torquemada : Manual de escribientes. Edición de M.ª Josefa C. de Zamora y A. Zamora Vicente (= Anejos del Boletín de la Real Academia Española, Anejo XXI). Madrid 1970, pp. 193-194. 87   Rodrigo de Espinosa de Santayana : Arte de Retorica. En el qval se contienen tres libros. El primero enseña el arte generalmente. El segundo particularmente, el arte de Hystoriador. El tercero escriuir Epistolas y Dialogos. Con Privilegio. Impressa en Madrid en casa de Guillermo Drouy impressor de libros. Año de. 1578, fo. 66r. Cit. da Domingo Yndurain : Las cartas en prosa. In : Literatura de la época del Emperador. Edición dirigida por Victor García de la Concha (= Acta Salmanticensia. Academia Literaria Renacentista, 5). Salamanca : Universidad de Salamanca 1988, pp. 53-79 ; qui p. 76 (la frase dell’Arte de Retórica che abbiamo trascritto si trova nella nota nro. 39). 88   Cfr. J. N. H. Lawrance : Nuevos lectores y nuevos géneros. Apuntes y observaciones sobre la epistolografía en el primer Renacimiento español. In : Literatura de la época del Emperador. Edición dirigida por Victor García de la Concha (= Acta Salmanticensia. Academia Literaria Renacentista, 5). Salamanca : Universidad de Salamanca 1988, pp. 81-99. 89   “Reprehendésme asimismo de alvardan porque escrivo algunas vezes cosas jocosas ; y ciertamente señor  





















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Cinquecento, Francisco López de Villalobos, 90 Don Fadrique Enríquez, Ammiraglio di Castiglia, 91 Fray Antonio de Guevara, 92 che pur condanna i “truhanes” e le loro “burlas”  





encubierto, vos dezís verdad ; pero yo vi a aquellos nobles y magníficos varones, marqués de Santillana, don Yñigo Lopes de Mendoça, e don Diego Hurtado de Mendoça, su fijo, duque del Infantadgo, e a Fernand Peres de Guzmán, señor de Batres, y a otros notables varones escrevir mensajeras de mucha dotrina, interponiendo en ellas algunas cosas de burlas que davan sal a las veras. Leed, si os plaze, las epístolas familiares de Tulio […] y fallarés interpuestas asaz burlas en las veras ; y aun Plauto y Terencio no me paresce que son reprehendidos porque interpusieron cosas jocosas en su escritura” (Fernando del Pulgar : Letras. Edizione critica, introduzione e note a cura di Paola Elia, « Letra XXI », p. 80). 90   Cfr. le epistolae iocosae inserite in appendice a : (Francisco López de Villalobos) : Congressiones : vel duodecim principiorum liber nuper editus. Cum priuilegio. (Colophon : Impressum Salmantice et exactissime castigatum. Ex expensis venerabilis viri Laurentij de Liom dedeis. Anno domini millesimo quingentesimo decimo quarto. decima quinta. Mensis septembris. Laus deo.), fo. il (= xxxix)v-xliij (= xliiij)r : « Eiusdem doctoris epistole quedam familiares de vita eius et fortuna parum tangentes » (Madrid, Biblioteca Nacional : R-164412). Nella breve prefazione « Ad lectores » si legge : “Epistolas quasdam iocosas libuit hic inserere : vt qui ex bello preterito duodecim congressionum defatigati et fastidiosi remanserint : aliquantulam recipiant mentalem recreationem. Non ergo diiudicet eas lector immodestas. Namque de morbis in qualibet domo contingentibus referunt hystorias lepidas atque facetas” (fo. ilr=xxxixr). Francisco López de Villalobos aveva scritto anche delle epistole giocose in castigliano, che – in gran parte – uscirono in una edizione a stampa soltanto nel XIX secolo, ma che circolavano manoscritte in certi ambienti (per esempio, nell’ambiente universitario di Salamanca, come dimostrano le due lettere pubblicate da Ramón Menéndez Pidal). Cfr. Algunas obras del doctor Francisco López de Villalobos. Publícalas La Sociedad de Bibliófilos Españoles. Madrid. MDCCCLXXXVI, pp. 1-184 (« Cartas castellanas »). – Ramón Menéndez Pidal : Cartapacios literarios salmantinos del siglo XVI, pp. 154-157 (« Carta del doctor Villalobos, en respuesta de vna carta que le escriuio vn bachiller de Salamanca en vn pedaço de papel ». – « Carta del doctor Villalobos a vna amiga suya »). 91   Cfr. – per esempio – la lettera « XIX. El Almirante de Castilla al Doctor Villalobos » e la lettera, in versi, « XXVI. El Almirante al Doctor Villalobos » (in : Algunas obras del doctor Francisco López de Villalobos, pp. 6769 e p. 87). Anche le Preguntas, in verso, rivolte da Don Fadrique Enríquez al francescano Fray Luis de Escobar sono, talvolta, burlesche (v. – per esempio – le seguenti : CLXXIX, CLXXX, CLXXXV-CC, in : Juan Bautista de Avalle-Arce : Cancionero del Almirante Don Fadrique Enríquez, pp. 402-405, pp. 414-421). Il costume di Don Fadrique Enríquez di scrivere lettere burlesche ci è testimoniato dalle Epístolas familiares di Fray Antonio de Guevara, che contengono quattro epistole (XXX, XXXI, XXXIII, LXV) indirizzate all’Ammiraglio. Nella XXX epistola, datata “Madrid, a XV de octubre de MDXXIX”, il francescano scrive : “Osaré con verdad escrebir a Vuestra Señoría que ninguna cosa a la sazón estaba tan fuera de mi memoria como era su carta cuando la vi entrar por mi celda, y luego imaginé entre mí que me escrebía alguna burla, o me enviaba a declarar alguna dubda. […] Podré con verdad decir que algunas veces, señor, me escrebís algunas burlas que me alegran y otras veces me pedís algunas cuestiones que me desvelan.” Nella LXV epistola, datata “Valladolid, a XXX de marzo de MDXXXIIII”, Fray Antonio de Guevara fa di nuovo riferimento alle “burle” dell’Ammiraglio : “Dexadas aparte sus burlas y mis quexas, yo, señor, estoy determinado de aquí adelante de responder con toda brevedad a sus cartas, y declararle todas sus dubdas”. Cfr. Libro primero de las Epístolas familiares de Fray Antonio de Guevara. Edición y prólogo de José María de Cossío. I, pp. 199-200 e p. 459. 92   Si vedano – per esempio – nel Relox de Príncipes (1529), seconda redazione del Libro áureo de Marco Aurelio, composto nel 1525 e pubblicato nel 1528, le lettere inviate da Marco Aurelio alle cortigiane romane (“enamoradas romanas”) e a Bohemia e la lettera di questa all’Imperatore, definite da Augustin Redondo “cartas de escarnio”. Cfr. Fray Antonio de Guevara : Relox de Príncipes. Estudio y edición de Emilio Blanco, pp. 10401045, pp. 1046-1048, pp. 1049-1053. – A. Redondo : Antonio de Guevara (1480 ? - 1545) et l’Espagne de son temps, p. 484. Anche alcune Epístolas familiares (1539-1541), possono essere considerate, interamente o in parte, come appartenenti al genere delle cartas jocosas. Cfr. – per esempio – Libro primero de las Epístolas familiares de Fray Antonio de Guevara. Edición y prólogo de José María de Cossío. I, pp. 99-103 (« Letra para Don Enrrique Enrríquez, en la cual el auctor le responde a muchas demandas graciosas »), pp. 114-119 (« Letra para el Marqués de los Vélez, en la cual se escribe algunas nuevas de Corte »), pp. 218-224 (« Letra para el Gobernador Luis Bravo, porque se enamoró siendo viejo »), pp. 286-291 (« Letra para Mosén Rubín, valenciano y enamorado, en la cual se ponen los enojos que dan las enamoradas a sus amigos »), pp. 342-362 (« Letra para el Doctor Melgar, médico, en la cual se toca por muy alto estilo el daño y el provecho que hacen los médicos »), pp. 406-411 (« Letra para Mosén Rubín, valenciano y viejo, en la cual se le responde a ciertas preguntas muy notables. Es letra para la muger que se casa con algún viejo »). – Libro primero [Segundo !] de las Epístolas familiares de Fray Antonio de Guevara. Edición y prólogo de José María de Cossío. II, pp. 174-175 (« Letra para el Doctor micer Sumier, regente de Nápoles »), pp. 238-239 (« Letra para el Doctor Don Juan de Biamonte, veinte y cuatro de Sevilla »), pp. 383-399 (« Letra para Don Alonso Espinel, corregidor de Oviedo »), pp. 405-411 (« Letra para una señora y sobrina del  



















































































































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e “donayres” e critica il costume dei grandi signori di “tener en su casa a un truhán chocarrero”, 93 e Don Francés de Zúñiga, 94 che forse parodiava le lettere del Marco Aurelio. 95 Nei decenni centrali del XVI secolo si distinguono come autori di lettere facete Don Diego Hurtado de Mendoza 96 – nel Libro de chistes di Luis de Pinedo, sono registrati, come abbiamo già ricordato, pare, i motti arguti e faceti dell’ambasciatore cesareo, del quale l’Aretino diceva che era “giocondo con gli alegri” e “arguto co i piacevoli” ; 97 le sue epistole burlesche in verso le ricorderemo più avanti – e Eugenio de Salazar. 98 Il successo clamoroso ottenuto dal primo libro De le lettere di Pietro Aretino (Venetia : Francesco Marcolini da Forlì 1538 [nel colofone si specifica : “Il mese di Genaro”] 99) e dai successivi Libri de le lettere (Secondo libro. Venetia : Francesco Marcolini da Forlì 1542. – Terzo libro. Venetia : Giolito 1546. – Quarto libro. Venetia : Cesano 1550. – Quinto libro. Venetia : Comin da Trino 1550. – Sesto libro. Venetia : Giolito 1557), generò una vera e propria moda delle ‘carte messaggiere’ di vario tipo e fra di esse delle ‘lettere facete’. Soprattutto il primo libro delle Lettere, nel quale l’Aretino esplora “tutta la gamma del « mover il riso » : dalla narrazione della burla alla fulminea similitudine” e tutto gli è “motivo di riso e di facezia”, 100 promuove la pubblicazione di raccolte di Lettere facete, di  







   



























auctor, que se cayó mala del pesar que tuvo, porque se le murió una perrilla. Es letra cortesana, y con palabras muy graciosas escripta »). Sono state sicuramente le cartas jocosas e lo stile scherzoso e burlesco di molte pagine del Marco Aurelio a determinare il duro giudizio espresso da Thomé Pinheiro da Veiga sul Vescovo di Mondoñedo e a fargli considerare buffonesca la sua celeberrima opera (cfr. Fastigimia, p. 103). 93   Fray Antonio de Guevara : Relox de Príncipes. Estudio y edición de Emilio Blanco, pp. 917-936. 94   La Crónica burlesca del buffone di Carlo V contiene sette episole facete. Cfr. Don Francés de Zúñiga : Crónica burlesca del Emperador Carlos V. Edición, introducción y notas de José Antonio Sánchez Paso, pp. 96-98 e pp. 130-131 (epistole a Clemente VII), pp. 131-133 (epistola al sultano turco Solimano I, il Magnifico), pp. 133-135 (lettera a Carlo V), pp. 140-141 (lettera a Don Fadrique Enríquez, Almirante de Castilla), pp. 146-147 (lettera all’Imperatrice Isabel), pp. 147-149 (lettera al Re d’Ungheria e Boemia, Fernando, fratello di Carlo V). Cfr. inoltre le lettere facete di Francesillo pubblicate da D. Adolfo de Castro : Comienza el epistolario del famoso coronista Don Francés, y son cartas enviadas á diversas ilustres personas, pp. 55-62. 95   Sulla questione dell’eventuale influsso di Fray Antonio de Guevara su Don Francesillo cfr. José Antonio Sánchez Paso : « Introducción » a : Don Francés de Zúñiga : Crónica burlesca del Emperador Carlos V, pp. 4752. 96   Carta del bachiller de Arcadia [Don Diego Hurtado de Mendoza] al capitán [Pedro de] Salazar y Respuesta de éste. – Carta de D. Diego de Mendoza en nombre de Marco Aurelio, a Feliciano de Silva. – Sermón de Aljubarrota con las glosas de D. Diego Hurtado de Mendoza. In : Sales españolas o Agudezaz del ingenio nacional. Recogidas por Antonio Paz y Melía. Segunda edición de Ramón Paz (= Biblioteca de Autores Españoles, 176). Madrid : Atlas 1964, pp. 29-86. Marcelino Menéndez Pelayo (Orígenes de la novela. Edición preparada por D. Enrique Sánchez Reyes. Tomo III, pp. 97-98) dubita che l’autore delle Glosas al Sermón de Aljubarrota sia proprio Don Diego Hurtado de Mendoza. 97   Pietro Aretino : Lettere. Il primo e il secondo libro. A cura di Francesco Flora. Con note storiche di Alessandro Del Vita. Milano : Mondadori 1960, p. 930. 98   Cartas de Eugenio de Salazar. Las reproduce en facsímile La Sociedad de Bibliófilos Españoles. – Cartas inéditas de Eugenio de Salazar (1570), pp. 273-292 (queste pagine contengono 11 lettere che non figurano nella edizione della Sociedad de Bibliófilos Españoles). Fra le lettere più interessanti e riuscite artisticamente sono da annoverare la Carta a vn hidalgo, amigo del author, llamado Juan de Castejón, en que se trata de la Corte, la Carta scripta al muy ilustre señor don Juan Hurtado de Mendoça, en que se trata de los catarriberas, la Carta al licenciado Augustín Guedeja … en que se describe la villa de Tormaleo … y se trata algo de la gente della e la Carta para una vieja tripera y partera que se preçiava de hermosa, y se jactaua de muchos seruidores. Sulle lettere di Eugenio de Salazar cfr. Antonio Prieto : La prosa española del siglo XVI. I, pp. 89-98. 99   Edizioni successive : Venetia : Marcolini 1538. – Venetia : Roffinelli 1538. – Venetia : Zanetti 1538. – Venetia : s. t. 1538. – Venetia : Zoppino 1538. – Venetia : Padovano 1538. – Venetia : Roffinelli 1539. – Venetia : Padovano 1539. – Venetia : Navò 1539. – Venetia : Tortis 1539. – Venetia : Marcolini 1542. 100   Adriana de Nichilo : La lettera e il comico. In : Le « carte messaggiere ». Retorica e modelli di comunicazione epistolare : per un indice dei libri di lettere del Cinquecento. A cura di Amedeo Quondam (= Centro studi « Europa delle Corti » / Biblioteca del Cinquecento, 14). Roma : Bulzoni 1981, pp. 213-235 ; qui p. 218.  





































































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Lettere piacevoli, di Lettere argute. 101 La moda italiana delle lettere facete si trasmise alla Spagna e dette nuovo impulso a questo genere letterario (promosse anche tutta una serie di manuali di epistolografia 102), grazie anche a intermediari come Don Diego Hurtado de Mendoza, che aveva vissuto a Venezia dal 1539 al 1547 ed era stato amico e mecenate del Divino, frequentatore assiduo del palazzo ospitale dell’ambasciatore cesareo 103 e instancabile celebratore, nelle Lettere, della sua generosità e delle sue doti intellettuali e morali. 104 Forse già le stesse Epístolas familiares di Fray Antonio de Guevara, loda 







101   Cfr. – per esempio – le seguenti raccolte registrate nella « Bibliografia » posta in appendice a : Le « carte messaggiere ». Retorica e modelli di comunicazione epistolare : per un indice dei libri di lettere del Cinquecento, pp. 279-326 : L’argute et facete lettere di M. Cesare Rao di Alessano Città della Leucadia. Nelle quali si contengono molti leggiadri Motti, et solazzevoli Discorsi. Di nuovo ristampate. Vicenza : Heredi di Perin Libraro 1596 (1.ª ed. : Brescia : Lisandro 1562. Successive ed. : Pavia : G. Bartoli 1567, 1573, 1576, 1580, 1584, ecc. ecc.). – Delle lettere facete, et piacevoli, di diversi grandi huomini, et chiari ingegni, Scritte sopra diverse materie. Raccolte per M. Dionigi Atanagi, Libro primo. Venetia : [Andrea Muschio] 1582 (1.ª ed. : Venetia : Zaltieri 1561. – 2.ª ed. : Venetia : Zaltieri 1565). – Delle lettere facete, et piacevoli […]. Raccolte per M. Francesco Turchi, Libro secondo. Venetia : Andrea Muschio 1575. – Alcune lettere piacevoli, una dell’Arsiccio Intronato [Antonio Vignali] in proverbi, l’altre di M. Alessandro Marzi Cirloso Intronato, con le risposte, e con alcuni Sonetti. Siena : Luca Bonetti 1587 (1.ª ed : Siena : Bonetti 1577. – 2.ª ed. : Siena : Bonetti 1583). – Lettere facete, e chiribizzose in lengua antiga, venitiana […]. El tutto composto e dao in luse da Vincenzo Belando, dito Cataldo. Parigi : Angelieri 1588. – Lettere argute del S.or Tomaso Buoni. Venetia : Marco Guarisco 1603. Lettere ‘comiche’ sono presenti anche nelle Pistole vulgari (Venezia : Antonio Gardane 1539) di Nicolò Franco (ricordiamo, in particolare la sua Epistola alle Puttane), nei Tre libri di lettere (Vinegia : Francesco Marcolino 1552. Precedenti edizioni del Libro I e del Libro II : Venetia : Scotto 1544 e 1545 : Firenze : [Doni] 1546 e 1547) di Antonfrancesco Doni e, soprattutto, nei quattro libri delle Lettere di Andrea Calmo (Libro I : Venetia : Comin di Trino 1547. – Libro II : Venetia : Comin di Trino 1548. – Libro III : Venetia : Alessi 1552. – Libro IV : Venetia : Farri 1562), che furono, afferma Adriana de Nichilo, “uno dei best sellers della lettera a stampa del Cinquecento” (i quattro libri ebbero, in totale, 65 ristampe) e che divennero, secondo Ludovico Zorzi, “in breve tempo la principale fonte di materiali per il repertorio di Pantalone (o meglio, del Magnifico), alla quale avrebbero attinto … più generazioni di comici dell’arte”. Si deve inoltre ricordare che un grande influsso esercitarono sul “sottogenere « lettera faceta »” (Adriana de Nichilo) la poesia e le lettere di Francesco Berni (delle sue 46 lettere ‘personali’ pervenuteci, solo 14 furono pubblicate nell’edizione delle Lettere facete, et piacevoli curata da Dionigi Atanagi ; le altre non giunsero alla stampa ma ebbero un’ampia circolazione manoscritta). Cfr. Adriana de Nichilo : La lettera e il comico, pp. 222-234 (le due citazioni poste fra virgolette si trovano, rispettivamente, alla pagina 225 e alla pagina 231). – Ludovico Zorzi : L’attore, la commedia, il drammaturgo. Torino : Einaudi 1990, p. 68. 102   Cfr. Francisco Rico : Nuevos apuntes sobre la carta de Lázaro de Tormes. In : Serta philologica F. Lázaro Carreter natalem diem sexagesimum celebranti dicata. II. Estudios de literatura y crítica textual. Madrid : Cátedra 1983, pp. 413-425 ; qui p. 420. – Domingo Yndurain : Las cartas en prosa, pp. 53-79. 103   Sul periodo trascorso da Don Diego Hurtado de Mendoza a Venezia, nello splendido palazzo sul Canal Grande da lui abitato, sui suoi rapporti con Pietro Aretino, gli artisti e gli eruditi, e sulla sua – già allora – notevole biblioteca, cfr. Ángel González Palencia y Eugenio Mele : Vida y obras de Don Diego Hurtado de Mendoza. Tomo primero. Madrid : Instituto de Valencia de Don Juan 1941, pp. 87-307 (« Don Diego de Mendoza, embajador en Venecia »). Sul soggiorno di Don Diego Hurtado de Mendoza a Siena (1527-1529, 1547-1552), dove intrattenne stretti rapporti con l’Accademia degli Intronati e con Alessandro Piccolomini (Lo Stordito), e a Venezia, cfr. Simonetta Losi : Diego Hurtado de Mendoza, ambasciatore di Spagna presso la Repubblica di Siena (1547-1552). Monteriggioni (Siena) : Il Leccio 1997, pp. 27-33, pp. 38-47. Su tanti altri spagnoli residenti in Italia e sui tipografi e librai italiani, che funsero da tramite di diffusione della cultura italiana in Ispagna, sui rapporti dell’ambasciatore cesareo con Alessandro Piccolomini e sull’influsso dello Stordito e di alcuni altri membri dell’Accademia degli Intronati sullo sviluppo del teatro spagnolo, cfr. Othón Arróniz : La influencia italiana en el nacimiento de la comedia española. Madrid : Editorial Gredos (Biblioteca Románica Hispánica) 1969, pp. 13-34, pp. 197-208. 104   L’Aretino definisce Don Diego Hurtado de Mendoza “giovane di universal pratica, di viva dottrina, di prestante ingegno […], di grata maniera”, “persona mirabile”, “spirito elegantissimo”, “giovane degno di assai lode e ornato di molto valore”, “calamita de le affezioni, essempio de la caritade e splendore de la dottrina”, “generosissimo” ; loda “le eccellenze e le magnificenzie del suo animo e de le sue azioni”, la sua “magnanimità e … la scienza” ; scrive un sonetto sul celebre ritratto di Tiziano (“il mirabile Tiziano ha mirabilmente ritratto dal natural don Diego Urtado di Mendozza”) e un sonetto “sul ritratto che Tiziano fece di donna bella per conto del Mendozza”. La lettera che il 2 agosto 1542 l’Aretino indirizza a Don Diego Hurtado de Mendoza è, infine, tutto un inno alle “doti celesti”, alla “generosità” dell’ambasciatore cesareo e una profferta “d’amorevo 























































































































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to per l’eleganza del suo stile dall’autore della Pícara Justina, 105 devono qualcosa alle Lettere dell’Aretino. La cronologia delle pubblicazioni rende plausibile l’ipotesi di un influsso – la stampa del primo libro delle Lettere, iniziata negli ultimi mesi del 1537 (“io sto aspettando che l’opera”, scriveva l’Aretino il 23 ottobre 1537 a Ottaviano dei Medici, “fornisca d’imprimersi” 106), fu ultimata nel mese di gennaio del 1538 ; la stampa della prima parte delle Epístolas familiares fu conclusa, nella officina vallisoletana di Juan de Villaquirán, il 29 agosto 1539 ; quella della Segunda parte il 31 luglio 1541 107 – e la rapidità degli scambi di novità librarie fra l’Italia e la Spagna, che formavano allora uno spazio culturale unico, 108 rafforza questa ipotesi. Una “carta donosa” inserisce Mateo Alemán nel suo Guzmán de Alfarache per “entretenimiento” dei lettori. 109 Due begli esempi di “cartas graciosas” sono la lunga lettera indirizzata da Marcos Méndez Pavón a Justina e la ancor più lunga risposta inviata dalla “Guzmana de Alfarache, y picara de prima por claustro” al “bachiller Marcos Mendez, fullero, burlon de palabras, y burlado de obras, nariz de alquitara, ojo de besugo cozido, pescueço de tarasca, cuerpo de costal, piernas de rastrillo, pies de mala copla”. 110 Quevedo coltivò intensamente il genere e scrisse lettere facete sia in prosa (Carta a una monja. – Cartas del Caballero de la Tenaza. – Carta a la rectora del colegio de las vírgenes. – Carta de un cornudo a otro), sia in verso (Carta de Escarramán a la Méndez. – Respuesta de la Méndez a Escarramán. – Carta de la Perala a Lampuga, su bravo. – Respuesta de Lampuga a la Perala), che ebbero una grande diffusione.  















La poesia giocosa e burlesca Come accadde con le epistole facete, anche la poesia giocosa e burlesca spagnola, pur avendo le sue origini nella tradizione autoctona medievale, venne influenzata, nel corso le servitù”. Cfr. Pietro Aretino : Lettere. Il primo e il secondo libro. A cura di Francesco Flora, p. 582, p. 623, p. 639, p. 640, p. 665, p. 938, p. 744, p. 678, pp. 678-679, pp. 941-942, pp. 928-930. 105   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « Prologo summario de ambos los tomos, de la Picara Iustina », fo. [A 9r] (“no ay ... elegancia en Gueuara...”). 106   Pietro Aretino : Lettere. Il primo e il secondo libro. A cura di Francesco Flora, p. 263. 107   Cfr. A. Redondo : Antonio de Guevara (1480 ? - 1545) et l’Espagne de son temps, pp. 761-762. 108   “Italia y España constituían entonces un espacio cultural único. Aquí llegaban las messaggiere de allí, y además se les creaban o redescubrían análogos en castellano. No por otro motivo, las Letras de Hernando del Pulgar, tras cuatro lustros de olvido, se reimprimían en 1543 y, en seguida, en 1545 […]. Las Epístolas familiares (1539 y 1541) de Guevara no son en absoluto ajenas al éxito espectacular del primer tomo del Aretino y a su vez, vueltas al toscano, revirtieron – contribuyendo a reorientarlo – al caudal originario de las lettere volgari.” Cfr. Francisco Rico : Nuevos apuntes sobre la carta de Lázaro de Tormes, p. 420. La traduzione italiana delle Epístolas familiares di Antonio de Guevara, alla quale accenna F. Rico, è questa : Libro Primo delle Lettere (Vinegia : Gabriel Giolito de Ferrari 1545. – 1547. – 1549. – 1550. – 1555. – 1559. – 1560. – 1564). – Libro Secondo delle Lettere (Vinegia : Gabriel Giolito de Ferrari 1546. – 1547. – 1550. – 1552. – 1553. – 1555. – 1559 – 1560. – 1564). Erano state tradotte da “Dominico di Gaztelù [Domingo de Gaztelú] Hispano, residente nell’inclita città di Vinegia appresso il Signor Don Diego Hurtado di Mendozza ambasciator Cesareo”. A partire dal 1565 uscirà, sempre a Venezia, la ‘nuova’ traduzione di Alfonso Ulloa, che si limita a riprodurre – con qualche leggero cambiamento – la traduzione di Gaztelú, accrescendola di un terzo e quarto libro confezionato con materiali eterogenei. Cfr. Eduart Toda y Güell : Bibliografia Espanyola d’Italia. Dels origens de la imprempta fins a l’any 1900. Volum II : D-L. Castell de Sant Miquel d’Escornalbou 1928, pp. 234-237. 109   Mateo Alemán : Guzmán de Alfarache. II. Edición de José María Micó, pp. 484-486. 110   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO DE la Picara Romera. Capitulo III. De las dos cartas graciosas », pp. 59-71 (le righe citate si trovano a pag. 64). Su queste due lettere e il loro rapporto con il Cortegiano, cfr. Luc Torres : Discours festif, pp. 310-322. Maxime Chevalier (Quevedo y su tiempo, p. 152) scrive che con la lettera di Justina al Bachiller Marcos Méndez Pavón “López de Úbeda concibe una forma aguda original, la carta escrita en apodos”. Anche Monique Joly (La bourle et son interpretation, p. 77) sottolinea la “grande originalité du débat épistolaire entre Justina et son adversaire [Méndez Pavón]”.  































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capitolo viii

del XVI secolo, dai modelli italiani offerti dalla letteratura burchiellesca 111 e da quella bernesca, 112 che erano coltivate anche nelle Corti – a Firenze, a Venezia, a Bologna, a Roma, a Napoli e in tante altre città 113 – e si riallacciavano alla tradizione della poesia giocosa del Duecento (Rustico di Filippo, Cecco Angiolieri) e del Trecento (Antonio Pucci). Impulsi e suggestioni emanarono anche dalla lirica carnevalesca (Lorenzo de’ Medici : Canzone carnascialesche. – Giovambattista dell’Ottonaio : Canzoni, o vero mascherate carnascialesche. – Niccolò Machiavelli : Canti carnascialeschi) e dai poemi e poemetti comico-burleschi (Antonio Pucci : Le proprietà di Mercato Vecchio. – Lorenzo de’ Medici : Nencia da Barberino ; I Beoni. 114 – Luigi Pulci : Beca da Dicomano ; Morgante. – Gaspare Visconti : Transito di Carnevale) e maccheronici (Michele Odasi : Macharonea. – Teofilo Folengo : Maccheronee ; Baldus), tanto importanti per la genesi della novela picaresca per il personaggio picaresco di Margutte raffigurato nel Morgante 115 (trasportato in castigliano da Jerónimo Aunés, che pubblicò il Libro del esforzado gigante Morgante negli anni 1533-1535 116) e per le autobiografie picaresche di Cingar e di Falchetto intercalate nel Baldus, 117 liberamente tradotto in castigliano nel 1542. 118 (« Versos heroycos macarronicos » si trovano nella Pícara Justina. 119) All’inizio del XVII secolo esercitò, forse, un certo influsso anche qualche componi 













































111   Cfr. Domenico di Giovanni, detto il Burchiello : Sonetti . – Antonio Cammelli, detto il Pistoia : Sonetti faceti. – Antonio Alamanni : Sonetti. – Luigi Pulci : Libro dei sonetti. – Lorenzo de’ Medici : Canzona de’ fornai. – Pier Francesco Giambullari : Canzona de’ materassai. – Pietro Aretino : Sonetti sopra i XVI modi. 112   Francesco Berni : Capitoli ; Sonetti. – Anton Francesco Grazzini, detto il Lasca : Rime. – Agnolo Firenzuola : Capitoli ; Rime burlesche e satiriche. – Giovanni della Casa : Capitolo sopra il forno. – Benvenuto Cellini : Capitolo in lode del carcere. – Ludovico Dolce : Capitolo del naso. – Cesare Caporali : Rime piacevoli. 113   Cfr. Raffaele Nigro : « Introduzione » a : Burchiello e Burleschi. A cura di R. N. Roma : Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato 2002, pp. III-XXXI ; qui p. XXV. 114   Come titolo del poemetto in terzine I Beoni “oggi si è definitivamente affermato” quello di Simposio. Cfr. Lorenzo de’ Medici : Tutte le opere. A cura di Paolo Orvieto. Tomo II (= Testi e documenti di letteratura e di lingua, XIV**). Roma : Salerno 1992, pp. 605-608 (« Nota introduttiva » al Simposio). 115   Luigi Pulci : Morgante. A cura di Franca Ageno (= La Letteratura Italiana. Storia e Testi. Vol. 17). Milano - Napoli : Ricciardi 1955, pp. 520-533. 116   Libro del esforzado gigante Morgante y de Roldan y Reynaldos, hasta agora nunca impresso en esta lengua. Valencia : Francisco Díaz Romano 1533. – Libro segundo de Morgante. Valencia : Nicolás Durán de Salvanyach 1535 (questo libro narra “las faceciosas burlas de Margutte y las hazañosas victorias de Morgante”). Cfr. Don Pascual de Gayangos : Catálogo razonado de los libros de caballerías que hay en lengua castellana ó portuguesa, hasta el año de 1800. In : Libros de caballerías. Con un discorso preliminar y un catálogo razonado por D. P. de G. (= Biblioteca de Autores Españoles, 40). Madrid : Atlas 1963, pp. LXIII-LXXXVII ; qui p. LXV. – Bartolomé José Gallardo : Ensayo de una Biblioteca Española de libros raros y curiosos. Edición facsímil. Tomo I, coll. 957-958 (nro. 949 e nro. 950). – José Manuel Lucía Megías : Imprenta y libros de caballerías. Madrid : Ollero y Ramos 2000, pp. 408-409, p. 429, p. 604. 117   Cfr. Teofilo Folengo : Baldus. A cura di Emilio Faccioli. Testo a fronte. Torino : Einaudi 1989, pp. 118-123. – Alberto Blecua : Libros de caballerías, latín macarrónico y novela picaresca : La adaptación castellana del “Baldus” (Sevilla, 1542). In : Boletín de la Real Academia de Buenas Letras de Barcelona 34 (1971-1972), 147239. – Bernhard König : Der Schelm als Meisterdieb. Ein famoso hurto bei Mateo Alemán (Guzmán de Alfarache II, II, 5-6) und in der Cingar-Biographie des spanischen Baldus-Romans (1542). In : Romanische Forschungen 92 (1980), 88-109. – Bernhard König : Margutte – Cingar – Lázaro – Guzmán. Zur Genealogie des pícaro und der novela picaresca. In : Romanistisches Jahrbuch 32 (1981), 286-305. – Folke Gernert : « Introducción » a : Baldo (Sevilla, Dominico de Robertis, 1542). Edición de F. G. (= Libros de Rocinante, 13). Alcalá de Henares : Centro de Estudios Cervantinos 2002, pp. IX-XXV. Sulla ricezione, particolarmente intensa fra l’ultimo quarto del XVI e i primi anni del XVII secolo, di Teofilo Folengo e della letteratura maccheronica in Ispagna, cfr. Francisco Márquez Villanueva : Fuentes literarias cervantinas (= Biblioteca Románica Hispánica. II. Estudios y Ensayos, 199). Madrid : Gredos 1973, pp. 258-358. 118   Aqui comiença el quarto libro del esforçado cauallero reynaldos de montaluan que trata de los grandes hechos del inuencible cauallero Baldo. Y las graciosas burlas de Cingar. Sacado delas obras del Mago Palagrio en nuestro comun Castellano. Sevilla : Dominico de Robertis 1542. 119   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO TERCERO DE LA PICARA PLEYTISTA. Capitulo segundo, de la Marquesa de las Motas », pp. 197-198.  















































































































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mento burlesco e giocoso di Alessandro Tassoni, che dal 1600 al 1603 aveva soggiornato in Ispagna – in particolare a Madrid e a Valladolid, città sulle quali scrisse nel 1602 due sonetti – come segretario del Cardinale Ascanio Colonna (Viceré di Aragona dal 1602 al 1604 120). Ma limitiamoci a questi brevi cenni sui modelli italiani che influenzarono lo sviluppo della poesia giocosa e burlesca spagnola e rivolgiamo ora la nostra attenzione alla sua diffusione. La poesia giocosa e burlesca è rappresentata, talvolta largamente, in diversi canzonieri collettivi del XVI secolo. Ne ricordiamo alcuni. Il Cancionero Musical de Palacio, compilato presumibilmente negli anni 1505-1520 121 e pervenutoci manoscritto, contiene molte “obras de burlas”, 122 fra le quali alcune di Juan del Encina, e alcune erotiche. 123 Il celebre Cancionero general (1511) di Hernando del Castillo dedica a “las obras de burlas” una intera sezione, 124 che sarà modificata, con l’esclusione di alcune composizioni – come l’Aposentamiento en Juvera, Ombre de muy buen consejo, o Con pura melanconia – e con l’aggiunta di altre – come El Pleito del manto, piccante e oscena contesa giudiziaria fra il Coño e il Carajo, o la Visión delectable, apoteosi, di Matihuelo, ossia del membro virile –, nella seconda edizione dell’opera (Valencia : Jorge Costilla 1514). 125 Il Cancionero de obras de burlas provocantes a risa, pubblicato nel 1519 a Valencia, 126 è formato da “obras de burlas” apparse nell’ultima sezione della prima e della seconda edizione del Cancionero general, alle quali viene aggiunta unicamente l’oscenissima Carajicomedia, parodia burlesca delle Trescientas di Juan de Mena. 127 L’anonimo Cancionero manoscritto dei primi decenni del XVI secolo, descritto da Bartolomé José Gallardo, 128 contiene poesie giocose e burlesche come il  



















120   Cfr. Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 133 e p. 217. 121   Cfr. Joaquín González Cuenca : El Cancionero de Palacio. Letras para un cancionero. In : Cancionero Musical de Palacio. Edición al cuidado de J. G. C. (Biblioteca Filológica Hispana, 24). Madrid : Visor Libros 1996, pp. 9-18 ; qui p. 14. 122   Cfr. Cancionero Musical de los siglos XV y XVI. Transcrito y comentado por Francisco Asenjo Barbieri. Madrid : Real Academia de Bellas Artes de San Fernando 1890 (Edición facsímil del Departamento de Publicaciones del Centro Cultural de la “Generación del 27”. Málaga 1987), pp. 208-230. 123   Cfr. Cancionero Musical de los siglos XV y XVI. Transcrito y comentado por Francisco Asenjo Barbieri, p. 211, nro. 412 (“Dale si le das, / Mozuela de Carasa…”), p. 213, nro. 415 (“¡Si habrá en este baldrés / Mangas para todas trés !...”), pp. 219-220, nro. 432 (“Caldero y llave, madona…”), p. 227, nro. 451 (“No me le digais mal, / Madre, á Fray Anton…”), p. 228, nro. 453 (“¡Al cedaz, cedaz !...”). I testi di queste composizioni erotiche, talvolta crudamente oscene, sono stati riprodotti in : Pierre Alzieu, Robert Jammes, Yvan Lissorgues : Poesía erótica del Siglo de Oro, pp. 106-113, pp. 141-142, pp. 145-147. 124   Cancionero general. Recopilado por Hernando del Castillo (Valencia, 1511). Sale nuevamente a luz reproducido en facsímile por acuerdo de la Real Academia Española. Con una introducción bibliográfica, índices y apéndices por Antonio Rodríguez-Moñino. Madrid 1958, pp. ccxix-ccxxxiiij. – Hernando del Castillo : Cancionero general. Edición de Joaquín González Cuenca (= Nueva Biblioteca de Erudición y Crítica, 26). Madrid : Castalia 2004, 5 tomi ; qui tomo III, pp. 451-592 (« Obras de burlas »). 125   Le poesie aggiunte in questa seconda edizione sono state riprodotte in : Hernando del Castillo : Cancionero general. Edición de Joaquín González Cuenca. Tomo IV, pp. 349-384 (il Pleito del manto si trova alle pp. 349-374, la Visión delectable alle pp. 379-384). 126   Cancionero de | obras de burlas prouocantes a Risa. (Col. Aqui se acaba el libro llamado cancio | nero de obras de burlas : el qual fue | impreso en la muy noble cibdad | de valencia por Juan Viñao | a xxij. De febrero. Año. M. | D.xix). [Ed. facs. de Antonio Pérez Gómez : Valencia : Tipografía Moderna 1951]. 127   Siguese vna especulatiua obra intitulada caragicomedia / compuesta por el Reuerendo padre fray bugeo montesino / ymitando el alto estilo de las trezientas del famosissimo poeta Juan de mena. Dirigida al muy antiguo carajo del noble cauallero Diego Fajardo que en nuestros tiempos en gran luxuria Florecio en la ciudad de guadalajara por cuyo fin sus lastimados cojones fueron lleuados y trasladados en la Romana ciudad. Cuya vida y martirio la presente obra recuenta (« Al muy impotente : carajo profundo de diego fajardo : de todos abuelo »). 128   Bartolomé José Gallardo : Ensayo de una Biblioteca Española de libros raros y curiosos. Edición facsímil. Tomo I, coll. 610-640 (nro. 487).  

















































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capitolo viii

Diálogo entre el autor y su pluma di Cristóbal de Castillejo e le Coplas de ¡Ay Panadera ! di Juan Fernández de Heredia. 129 Il Cancionero general de obras nuevas (Zaragoza : Esteban de Nájera 1554) raccoglie alcuni componimenti burleschi di poeti come Don Fadrique Enríquez, Don Juan de Mendoza, Luis de Narváez e Gabriel de Mena. 130 Il manoscritto Cancionero sevillano de Toledo, compilato a Siviglia fra il 1560 e il 1570, presenta componimenti erotici, satirici e giocoso-burleschi, come quelli di Baltasar del Alcázar, 131 Gutierre de Cetina, 132 Don Fadrique Enríquez, 133 Juan Farfán, 134 D. Diego Hurtado de Mendoza, 135 Francisco López de Villalobos, 136 D. Juan de Mendoza, 137 Antonio de Soria, 138 D. Antonio de Velasco 139 e altri. Il fortunatissimo Cancionero llamado Flor de enamorados (Barcelona 1562, 1573, 1601, 1608, 1612, 1626, ecc.) riunisce componimenti giocosi e burleschi, come la Ventura de gitana, i Motes para disfraçarse de gitana, il Chiste de maldiciones e le Preguntas muy graciosas y sentidas. 140 Il Cancionero de poesías varias, vastissima antologia manoscritta la cui compilazione fu probabilmente ultimata fra il 1568 e il 1571, presenta fra le poesie burlesche del XVI secolo versi di Don Fadrique Enríquez 141 e tutta una serie di componimenti contro l’Ammiraglio di Castiglia di Don Juan de Mendoza, 142 di Don Antonio de Velasco, 143 di Gabriel de Mena, 144 del Dottor Melgar, medico di Carlo V, 145 di Francisco de Santisteban 146 e di Soria, 147 prolifico  









































129   Juan Fernández de Heredia : Coplas de ¡Ay Panadera ! (“Un miércoles que partiera…”). In : Bartolomé José Gallardo : Ensayo de una Biblioteca Española de libros raros y curiosos. Edición facsímil. Tomo I, coll. 613-617. 130   Cancionero general de obras nuevas (Zaragoza, 1554). Edición de Carlos Clavería. Barcelona : Edicions Delstre’s 1993, pp. 54-55, pp. 141-144, pp. 173-174. 131   Cfr. Cancionero sevillano de Toledo. Manuscrito 506 (fondo Borbón-Lorenzana). Biblioteca de CastillaLa Mancha. Edición de José J. Labrador Herraiz, Ralph A. DiFranco, Juan Montero. Prólogo de Begoña López Bueno. Sevilla : Universidad de Sevilla 2006, p. 285 (nro. 196) ; pp. 365-366 (nro. 302) ; pp. 367-368 (nro. 305). 132   Cancionero sevillano de Toledo, pp. 181-185 (nro. 109), pp. 317-322 (nro. 230 : Epístola de Gutierre de Çetina, que trata de la vida de la çibdad y del aldea). Nel Cancionero sevillano de Toledo figurano anche, fra le composizioni di Gutierre de Cetina, la Epístola a vn compadre. Trata de vna pulga (pp. 162-168, nro. 97) e la Epístola en alabanza de la cola (p. 168, nro. 98), entrambe di D. Diego Hurtado de Mendoza. 133   Cancionero sevillano de Toledo, pp. 394-395 (nro. 371), p. 408 (nro. 401). 134   Cancionero sevillano de Toledo, pp. 381-382 (nro. 341-342). 135   Cancionero sevillano de Toledo, pp. 155-161(nro. 96), pp. 162-168 (nro. 97 : Epístola a vn compadre. Trata de vna pulga), p. 168 (nro. 98 : Epístola en alabanza de la cola), p. 329 (nro. 241), p. 330 (nro. 242), pp. 359-361 (nro. 290-293). 136   Cancionero sevillano de Toledo, p. 408 (nro. 402). 137   Cancionero sevillano de Toledo, pp. 393-394 (nro. 369-370), p. 396 (nro. 376). 138   Cancionero sevillano de Toledo, pp. 403-404 (nro. 391-392). 139   Cancionero sevillano de Toledo, pp.395-396 (nro. 372-375), pp. 407-408 (nro. 400). 140   Cancionero llamado Flor de enamorados (Barcelona 1562). Reimpreso por vez primera del ejemplar único, con un estudio preliminar de Antonio Rodríguez-Moñino y Daniel Devoto (= Floresta. Joyas Poéticas Españolas, 2). Valencia : Editorial Castalia 1954, fo. 41r-42r (« Ventura de gitana para dezir a qualquier galan muy graciosa »), fo. 104v-106v (« Ventura de Gitana para dezir qualquier dama muy graciosa y sentida »), fo. 43v-45v, fo. 62v-63r, 107r-108r. 141   J. Labrador, C. A. Zorita, R. A. Di Franco : Cancionero de poesías varias. Manuscrito N° 617 de la Biblioteca Real de Madrid. Madrid : Visor 1994, pp. 325-326 (nro. 283), p. 334 (nro. 311). 142   J. Labrador, C. A. Zorita, R. A. Di Franco : Cancionero de poesías varias. Manuscrito N° 617 de la Biblioteca Real, p. 325 (nro. 282), p. 334 (nro. 312), pp. 334-335 (nro. 314). 143   J. Labrador, C. A. Zorita, R. A. Di Franco : Cancionero de poesías varias. Manuscrito N° 617 de la Biblioteca Real, p. 326 (nro. 285 e nro. 286), p. 336 (nro. 318). 144   J. Labrador, C. A. Zorita, R. A. Di Franco : Cancionero de poesías varias. Manuscrito N° 617 de la Biblioteca Real, p. 335 (nro. 316), p. 336 (nro. 317). 145   J. Labrador, C. A. Zorita, R. A. Di Franco : Cancionero de poesías varias. Manuscrito N° 617 de la Biblioteca Real, p. 336 (nro. 319). 146   J. Labrador, C. A. Zorita, R. A. Di Franco : Cancionero de poesías varias. Manuscrito N° 617 de la Biblioteca Real, p. 336 (nro. 320). 147   J. Labrador, C. A. Zorita, R. A. Di Franco : Cancionero de poesías varias. Manuscrito N° 617 de la Biblioteca Real, p. 336 (nro. 321).  















































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ma sconosciuto poeta. 148 La Flor de Romances, y Glosas, Canciones, y Villancicos (Zaragoza : Juan Soler 1578) accoglie diversi componimenti burleschi. 149 Il Cancionero de Juan Fernández de Ixar, antologia manoscritta compilata nel corso del XV e del XVI secolo, contiene nelle sue parti cinquecentesche numerose poesie giocose e burlesche ; la gran parte sono anonime, tre sono di Don Fadrique Enríquez, di Boscán e di Don Juan de Mendoza. 150 Il Cancionero sevillano de Nueva York, amplissimo florilegio manoscritto preparato probabilmente fra gli anni 1580 e 1590, offre diversi componimenti giocoso-burleschi (alcuni anonimi, altri di Diego Hurtado de Mendoza – attribuiti –, di Fray Melchor de la Serna, di Juan de Timoneda, di Manuel de Gallegos, di Juan Iranzo, di Baltasar del Alcázar), sebbene l’interesse maggiore del suo compilatore fosse riservato alla poesia religiosa. 151 Nel Cancionero de poesías varias, manoscritto del 1586 in possesso della Biblioteca Vaticana che contiene gran copia di liriche d’amore, numerose composizioni religiose e ben 14 romances ispirati all’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto, figurano solo alcuni pochi componimenti burleschi e erotico-boccacceschi : le Coplas de Don Diego de Mendoza contra Don Francisco de Fonseca (si tratta in realtà del famoso poema di Baltasar del Alcázar noto anche con diversi altri titoli : Coplas a un caballero que tuvo un concierto y no pudo concertarse ; Coplas a un ynpotente ; A un capón que por serlo se descasó su mujer ; ecc. 152), il Soneto (“Si yo, señora mía, conoçiera...”), anonimo, la Ensalada (“Satanás, que no reposa...”) di Pedro de Padilla, le Coplas (“Vestirme quiero de luto...”) e il Romançe  























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  Juan Bautista de Avalle-Arce : El Almirante Don Fadrique Enríquez. Esbozo biográfico, p. 212.   Flor de romances, glosas, canciones y villancicos (Zaragoza 1578). Fielmente reimpresa del ejemplar único, con un prólogo de Antonio Rodríguez-Moñino (= Floresta. Joyas Poéticas Españolas, 3). Valencia : Editorial Castalia 1954, pp. 136-138, pp. 146-153, pp. 235-236, pp. 241-245. 150   Cancionero de Juan Fernández de Ixar. Estudio y edición crítica por José María Azaceta (= Clásicos Hispánicos. Serie II. Ediciones críticas. Vol. I-II). Madrid : C.S.I.C. 1956, 2 tomi. Cfr. Tomo II, pp. 763-764 (nro. LXXXIII), p. 764 (nro. LXXXIV e nro. LXXXV), pp. 768-771 (nro. XC), pp. 775-778 (nro. XCIII), 785-794 (nro. CII), pp. 796-798 (nro. CV), pp. 798-799 (nro. CVI), pp. 812-814 (nro. CXVII), pp. 814-817 (nro. CXVIII), p. 817 (nro. CXIX), p. 818 (nro. CXX). 151   Cancionero sevillano de Nueva York. Prólogo de Begoña López Bueno. Edición de Margit Frenk, José J. Labrador Herraiz, Ralph A. DiFranco. Sevilla : Universidad de Sevilla 1996, pp. 85-86 (nro. 75), pp. 97-98 (nro. 96), pp. 98-100 (nro. 98), p. 101 (nro. 106), pp. 101-102 (nro. 107), p. 102 (nro. 108), p. 232 (nro. 379), pp. 232-233 (nro. 380), pp. 263-264 (nro. 426), pp. 264-265 (nro. 427), p. 298 (nro. 510), p. 309 (nro. 533), pp. 309-310 (nro. 534), pp. 310-311 (nro. 535), p. 315 (nro. 544), pp. 350-351 (nro. 617). Componimenti burleschi e satirici sono i Sonetos del receuimiento que Seuilla hizo a la Marquesa de Denia scritti alla fine del 1599, in occasione della visita che la moglie del favorito di Filippo III fece alla città, e riprodotti in : Cancionero sevillano B 2495 de la Hispanic Society of America. Edición de José J. Labrador Herraiz, Ralph A. DiFranco, José Manuel Rico García. Prólogo de Sagrario López Poza. Sevilla : Universidad de Sevilla 2006, pp. 476-480 (nro. 283-289). A questa visita e a questi Sonetti, politicamente trasgressivi, accenna Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, pp. 49-50, pp. 51-52. 152   Nella recente edizione della Obra poética di Baltasar del Alcázar, il titolo è questo : Don Francisco Chacón casó en años pasados con Doña Juana de Acebedo y dentro de poco tiempo, a título de impotente, se deshizo del casamiento por sentencia. A este propósito hizo Baltasar del Alcázar los versos que siguen (“¿Quién os engañó, señor, / en aceptar desafío / ... / sin fuerza, talle, ni brío / para batallas de amor ?”). Cfr. Baltasar del Alcázar : Obra poética. Edición de Valentín Núñez Rivera (= Letras Hispánicas, 508). Madrid : Cátedra 2001, pp. 430-440 (nro. 122). Il testo di queste coplas, nelle quali si deride un cavaliere che si sposò pur essendo impotente, era stato riprodotto anche in : B. J. Gallardo : Ensayo de una Biblioteca Española de libros raros y curiosos. Tomo I, coll. 85-88. – Pierre Alzieu, Robert Jammes, Yvan Lissorgues : Poesía erótica del Siglo de Oro. Barcelona : Crítica 2000, pp. 191-193. Motivo prediletto della poesia erotica burlesca erano i ‘capponi’. Cfr. – per fare alcuni esempi – anche le seguenti composizioni : Di, hija, ¿por qué te matas por amores del capón, que tiene grandes las patas y chiquito el espolón ? – A Juana enamorada de un capón (Poesía erótica del Siglo de Oro, pp. 185-188, pp. 193-195). – Redondillas a una dama enamorada de un capón (1592) di Miguel Beneyto (in : Actas de la Academia de los Nocturnos. Volumen III. Valencia : Edicions Alfons el Magnànim 1994, pp. 65-67). – A una dama que se quería casar con un Don Fulano de Castro, impotente (in : Conde de Villamediana : Poesía inédita completa. Edición de José Francisco Ruiz Casanova, pp. 377-382).  

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capitolo viii

(“En una pequeña villa...”). 153 Il Códice 22.028 de la Biblioteca Nacional de Madrid, antologia poetica formata nell’ambiente universitario salmantino negli anni 1587-1590, raccoglie centinaia di poesie, fra le quali diverse composizioni ‘pornografiche’ di Fray Melchor de la Serna – come i sonetti Entre unos sentenales yo ui un día e Rapándoselo estaba cierta hermossa, la lunga novella in ottave intitolata El sueño de la viuda e il Cuento de las madexas 154 – e altre composizioni non meno oscene, come la Canción anonima (“Aquel si viene o no viene”) con la corrispondente Glosa, che descrive l’amplesso con profusione di dettagli e vivo realismo e inizia col verso “Aquel llegar y vesarla”. 155 Il Cancionero de poesías varias della Biblioteca Real di Madrid, compilato nel penultimo decennio del XVI secolo, contiene oltre al già menzionato ‘pornografico’ Sueño de la viuda di Melchor de la Serna, l’oscena Novela del cangrejo di D. Diego Hurtado de Mendoza 156 e tre novelle erotiche in verso di Cristóbal de Tamariz : la Nobela de un estudiante e la Novela de dos vandos, 157 tratte dal Pecorone, 158 e la Novela de Mathea y su marido. 159 Il Cancionero del Bachiller Jhoan Lopez, compilato fra il 1582 e il 1600, è, fra le raccolte di varia poesia pervenuteci manoscritte sinora menzionate, quella con il maggior numero di composizioni giocose, burlesche, erotiche (talvolta crudamente oscene). 160 Numerose poesie burlesche ed erotiche, spesso apertamente oscene – come, per esempio, la Fábula del cangrejo di D. Diego Hurtado de Mendoza, i 44 componimenti del Jardín de Venus, attribuito a Fra’ Melchor de la Serna, e quelli anonimi intitolati Madre que me muero ; Soy muy delicada ; ¿Qué haçéys, çapatero mochoso ? ; Dámelo, Periquito, perro. Periquito, dámelo ; Dy, hyja, ¿por qué te matas por amores del capón, que tiene grandes las patas y chiquito el espolón ? ; Enseña la madrina a la nobia cómo se lo tiene de hazer : alçando las piernas ariba y con el culo çerner –, sono presenti anche nel Libro romanzero de canciones romances y algunas nuebas para passar la siesta, raccolta manoscritta compilata a Madrid nel 1589 da “Alonço de Nabarrette de Pisa”, conservata  

































153   Cancionero de poesías varias. Ms. Reginensis Latini 1635 de la Biblioteca Vaticana. Edición de José J. Labrador Herraiz, Ralph A. DiFranco, Carmen Parrilla García. Prólogo de Cayetano Aranda Torres. Almería : Editorial Universidad de Almería 2008, pp. 66-70 (nro. 42), p. 87 (nro. 79), pp. 125-129 (nro. 144), pp. 139-140 (nro. 153), pp. 216-217 (nro. 244). 154   Poesías de Fray Melchor de la Serna y otros poetas del siglo XVI. Códice 22.028 de la Biblioteca Nacional de Madrid. Edición de José J. Labrador Herraiz, Ralph A. DiFranco, Lori A. Bernard. Prólogo de José Lara Garrido (= Analecta Malacitana. Anejo XXXIV de la Revista de la Sección de Filología de la Facultad de Filosofía y Letras). Málaga : Universidad de Málaga 2001, pp. 43-45 (nro. 46, nro. 48), pp. 58-74 (nro. 70), pp. 100-108 (nro. 90). 155   Poesías de Fray Melchor de la Serna y otros poetas del siglo XVI. Códice 22.028 de la Biblioteca Nacional de Madrid, pp. 244-247 (nro. 185-186). 156   Cancionero de poesías varias. Manuscrito 2803 de la Biblioteca Real de Madrid (= Cancioneros Reales). Prólogo de Maxime Chevalier. Edición de José J. Labrador Herraiz [y] Ralph A. DiFranco. Madrid : Editorial Patrimonio Nacional 1989, pp. 313-317. 157   Cancionero de poesías varias. Manuscrito 2803 de la Biblioteca Real de Madrid, pp. 283-298, pp. 302-313. 158   Cfr. Ser Giovanni : Il Pecorone. A cura di Enzo Esposito. Ravenna : Longo Editore 1974, pp. 18-35 (Giornata I, Novella 2 : « Bucciolo e il maestro »), pp. 44-59 (Giornata II, Novella 2 : « Buondelmonte e Niccolosa »). 159   Cancionero de poesías varias. Manuscrito 2803 de la Biblioteca Real de Madrid, pp. 298-301. 160   Cancionero del Bachiller Jhoan Lopez. Manuscrito 3168 de la Biblioteca Nacional de Madrid. Edición, Estudio, Bibliografías e Indices por Rosalind J. Gabin. Madrid : José Porrúa Turanzas 1980, 2 tomi. Cfr. Tomo I, pp. 120-121 (nro. LXXX), pp. 121-122 (nro. LXXXI), pp. 141-142 (nro. XCI), pp. 147-148 (nro. XCVI), pp. 151-152 (nro. XCIX), pp. 153-154 (nro. CI), pp. 178-179 (nro. CIX), pp. 187-196 (nro. CXIV), pp. 199-200 (nro. CXVI), pp. 208-209 (nro. CXXIII), pp. 240-242 (nro. CXXXV), pp. 242-247 (nro. CXXXVI), pp. 247-248 (nro. CXXXVII), pp. 257-258 (nro. CXLIV), pp. 261-262 (nro. CXLVIII), pp. 262-263 (nro. CXLIX), pp. 285-286 (nro. CLXI), pp. 286-287 (nro. CLXII), pp. 323-324 (nro. CLXXVII), pp. 338-340 (nro. CLXXXIII), pp. 354-358 (nro. CLXXXVIII), pp. 359-362 (nro. CLXXXIX) ; Tomo II, pp. 377-391 (nro. CCXI), pp. 391-401 (nro. CCXII), pp. 401-412 (CCXIII), pp. 412-418 (nro. CCXIV), pp. 423-448 (nro. CCXVI), pp. 449-452 (nro.CCXVII), pp. 452-454 (nro. CCXVIII), pp. 460-461 (nro. CCXX), pp. 462-474 (nro. CCXXI), p. 526 (nro. CCXLVII), pp. 527-528 (nro. CCXLVIII), pp. 528-530 (nro. CCXLIX), pp. 530-532 (nro. CCL), pp. 532-536 (nro. CCLI), pp. 547-549 (nro. CCLV), pp. 554-556 (nro. CCLX), pp. 560-561 (nro. CCLXIV), pp. 561-562 (nro. CCLXV).  

























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nella Biblioteca Classense di Ravenna e accessibile ora in una bellissima edizione. 161 Rare sono invece le poesie erotiche e burlesche presenti nel Cancionero hispano-saboyano (Manuscrito Patetta 840 de la Vaticana), redatto verosimilmente nel 1594, 162 e nel Cancionero musical hispano-napolitano (Chigi L.VI.200), compilato nel 1599. 163 Più rari dei canzonieri collettivi, sono i canzonieri – a stampa o manoscritti – che raccolgono l’intera produzione lirica di quegli autori che si dilettavano a scrivere anche poesie giocose e burlesche. Il Cancionero de las obras de Juan del enzina, pubblicato per la prima volta a Salamanca nel 1496, ma accresciuto nelle edizioni successive (Sevilla : Juan Pegnicer y Magno Herbst 1501, Burgos : Andrés de Burgos 1505, Salamanca : Hans Gysser 1507, Salamanca : Hans Gysser 1509, Zaragoza : Jorge Coci 1512, Zaragoza : Jorge Coci 1516), offre famosi esempi di poesia burlesca, giocosa e grottesca, come i Disparates trobados, l’Almoneda trobada e il Juyzio sacado de lo más cierto de toda la astrología. 164 Il Cancionero de las obras de don Pedro Manuel de Urrea (Logroño : Arnao Guillén de Brocar 1513. – Toledo : Juan de Villaquirán 1516) contiene Disparates 165 e Villancicos burleschi, come quello che inizia con i versi “Madre, cuando enviudaré / A Zaragoza me iré…”. 166 Il cosiddetto Cancionero gótico, pubblicato verso il 1535-1540, è una specie di genere misto fra il canzoniere collettivo e quello individuale. Esso contiene infatti sia componimenti anonimi – come il romance intitolato Mira Nero de Tarpeya, 167 che già figura nella Celestina 168 ed era diffuso in pliegos sueltos 169 –, sia componimenti di Velázquez de Ávila, il poeta al quale è stata attribuita la paternità della raccolta. Alla produzione poetica di Velázquez de Ávila, che occupa la maggior parte del Cancionero gótico, appartengono sicuramente tutte le coplas giocose e burlesche (fra queste composizioni ricordiamo la Copla a vno que andaua en forma de letrado y no lo era, la Copla a vno que le pregunto que gracias tenia, la Copla a vn confesso que se auia dormido sobre vna silla, la Copla a vn frioliego e la Copla a vn ropauejero 170).  



































161   Libro romanzero de canciones, romances y algunas nuebas para passar la siesta a los que para dormir tienen la gana compilato da Alonso de Navarrete (ms. 263 della Biblioteca Classense di Ravenna). Edizione, studio introduttivo e commento di Paolo Pintacuda (= Pubblicazioni della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Pavia. Dipartimento di Lingue e Letterature Straniere Moderne, 113). Pisa : Edizioni ETS 2005, pp. 167-191 (nro. 131-176), pp. 161-163 (nro. 124), pp. 145-146 (nro. 112), pp. 97-98 (nro. 54), pp. 206-207 (nro. 182), pp. 230-231 (nro. 203), pp. 81-83 (nro. 49), pp. 83-85 (nro. 50). 162   Dos cancioneros hispano-italianos. Patetta 840 y Chigi L.VI.200. Edición de José J. Labrador Herraiz y Ralph A. DiFranco. Prólogo de Giovanni Caravaggi (= Analecta Malacitana, Anejo LXVIII). Málaga : Universidad de Málaga 2008, pp. 66-67 (nro. 21-22), pp. 99-100 (nro. 60), pp. 163-164 (nro. 126-127). 163   Dos cancioneros hispano-italianos. Patetta 840 y Chigi L.VI.200, pp. 351-353 (nro. 10-11), pp. 353-354 (nro. 12), pp. 381-382 (nro. 50). 164   Juan del Encina : Obras completas. II. Poemas jocosos y cultos. Tragedia trovada a la dolorosa muerte del Príncipe Don Juan. Otros poemas a la Muerte. Viaje a Jerusalén. Edición, introducción y notas de Ana M. Rambaldo (= Clásicos Castellanos, 219). Madrid : Espasa-Calpe 1978, pp. 1-24. 165   Sul genere poetico del disparate cfr. Blanca Periñán : Poeta ludens. Disparate, perqué y chiste en los siglos XVI y XVII. Estudio y textos (= Collana di testi e studi ispanici. II : Saggi, 3 ). Pisa : Giardini 1979, pp. 13-78. 166   Il testo del villancico è riprodotto in : Bartolomé José Gallardo : Ensayo de una Biblioteca Española de libros raros y curiosos. Tomo IV, col. 843. 167   Cancionero gótico de Velázquez de Ávila. Fielmente reimpreso del único ejemplar. Con un Prólogo de Antonio Rodríguez-Moñino. Valencia : Editorial Castalia 1951, pp. 99-102. 168   Fernando de Rojas (y « Antiguo Autor ») : La Celestina. Tragicomedia de Calisto y Melibea. Edición y estudio de Francisco J. Lobera y Guillermo Serés, Paloma Díaz-Mas, Carlos Mota e Íñigo Ruiz Arzálluz, y Francisco Rico, p. 33. 169   Siguese vna Glosa nueuamente | hecha al romance que dize. Triste estaua el padre sancto y el ro | mance de mira Nero de Tarpeya, a Roma como se ardia. Y | vn romance del rey don Alonso que gano a Toledo. | [Incisione dentro una cornice floreale rettangolare : cavalieri, armati di lancia, e dame, che cavalcano verso un castello]. In : Pliegos Poéticos Españoles en la Universidad de Praga. Prólogo del Excmo. Sr. D. Ramón Menéndez Pidal. Madrid : Joyas Bibliográficas 1960, 2 tomi ; qui I, pp. 289-296. 170   Cancionero gótico de Velázquez de Ávila, pp. 92-93, pp. 107-109.  

































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capitolo viii

Un “auténtico cancionero de burlas” 171 costituiscono i componimenti di Cristóbal de Castillejo – influenzato, come poeta, da Pietro Aretino, con il quale corrispondeva, 172 e vicino, come uomo, “al modelo humanístico del homo facetus diseñado por Castiglione en su Cortesano” 173 –, raggruppati da Juan López de Velasco, nel secondo ‘libro’ della sua edizione del 1573, sotto il titolo di Obras de conuersacion y passatiempo. 174 Moltissime sono le poesie satiriche, giocose e burlesche scritte da Sebastián de Horozco, che alcuni suoi pochi contemporanei – soprattutto, se non addirittura esclusivamente, toledani – conobbero in copie manoscritte o ascoltarono dalla viva voce dell’autore e che ci sono state trasmesse, assieme ad altre sue opere (in particolare le Representaciones), dal codice conservato nella Biblioteca Colombina di Siviglia, originariamente datato, secondo una annotazione di Cayetano Alberto de la Barrera y Leirado, “Toledo 1580” e chiamato Cancionero del licenciado Horozco. 175 Fra le composizioni di questo Cancionero – pubblicato per la prima volta da José María Asensio nel 1874, 176 un secolo dopo da Jack Weiner e recentemente da Florence Dumora – ricordiamo La vida pupilar de Salamanca, 177 El Auctor burla de un casamiento, El Auctor burlando de uno que dezia que no se avia de casar sino con una viuda y rica, El Auctor a un cornudo porque se casó con una mançeba de un clérigo, El Auctor motejando a uno de pelado, El Auctor motejando a uno de cobarde, El Auctor motejando a uno de bermejo, El Auctor a un amigo suyo christiano viejo padrino de boda de un confeso, El Auctor a un amigo suyo, que le embio a preguntar como le iba con la Corte, estando en Toledo, el año de 1560, El Auctor contra los medicos, El Auctor hablando con un galan que reventaba de hidalgo, El auctor sobre que un confesso en Toledo compro una juraderia, El Auctor sobre los coches. 178 Nel Cancionero (ca. 1578) manoscritto di Pedro de Padilla, poeta la cui fama  















171   Rogelio Reyes Cano : « Introducción » a : Cristóbal de Castillejo : Obra completa. Madrid : Biblioteca Castro 1999, pp. IX-XXXI ; qui p. XVIII. – Rogelio Reyes Cano : Otra muestra de la “Literatura del loco” en el Renacimiento español : El caso de Cristóbal de Castillejo. In : Nueva Revista de Filología Hispánica 34 (1985-86), 808-838 ; qui p. 814. 172   Cfr. Pietro Aretino : Lettere. Il primo e il secondo libro, pp. 59-60, p. 535, pp. 577-578. 173   Rogelio Reyes Cano : « Introducción », p. XI. Su Castillejo e la poesia giocosa e buffonesca cfr. inoltre R. Reyes Cano : Otra muestra de la “Literatura del loco” en el Renacimiento español : el caso de Cristóbal de Castillejo. 174   Las obras de Cristoual de Castillejo. Corregidas, y emendadas, por mandato del Consejo de la Santa, y General Inquisicion. En Madrid, por Pierres Cosin. M.D.LXXIII. Le pagine 264-533 contengono il « Libro segundo de las obras de conuersacion y passatiempo ». 175   Cayetano Alberto de la Barrera y Leirado : Catálogo bibliográfico y biográfico del teatro antiguo español, desde sus orígenes hasta mediados del siglo XVIII. Madrid : Imprenta y Estereotipia de M. Rivadeneyra 1860, p. 186. Su questo codice, attualmente privo del foglio con i dati comunicati da La Barrera, cfr. Antonio RodríguezMoñino : Historia de una infamia bibliográfica : La de San Antonio de 1823. Realidad y leyenda de lo sucedido con los libros y papeles de don Bartolomé José Gallardo. Estudio bibliográfico. Madrid : Editorial Castalia 1965, pp. 91-99. – Fernando González Ollé : « Noticia bibliográfica ». In : Sebastián de Horozco : Representaciones. Edición, introducción y notas de F. G. O. Madrid : Clásicos Castalia 1979, pp. 56-61. 176   Cancionero de Sebastián de Horozco. Poeta toledano del siglo XVI (= Sociedad de Bibliófilos Andaluces. Primera Série). Sevilla : Imprenta de D. Rafael Tarascó y Lassa 1874. Il curatore dell’edizione del Cancionero fu José María Asensio e non Antonio Martín Gamero, come spesso affermato in vari manuali. Già nel 1867 José María Asensio aveva pubblicato l’opera drammatica di Sebastián de Horozco, ad eccezione della Representación de la famosa historia de Ruth : Sebastián de Horozco. Noticias y obras inéditas de este autor dramático desconocido. Por D. José María Asensio y Toledo. Sevilla : Imp. De D. José María Geofrin 1867. 177   Secondo Francisco Márquez Villanueva (Sebastián de Horozco y la literatura bufonesca, p. 148 n.), con La vida pupilar de Salamanca “Horozco inició el tema del « hambre pupilar » a lo dómine Cabra”. Come vedremo, il tema è stato trattato anche da Juan Arce de Otálora nei suoi Coloquios de Palatino y Pinciano (ca. 1555-1560). Non essendo nota la data di composizione de La vida pupilar de Salamanca, non è possibile affermare con assoluta certezza quale dei due scrittori abbia per primo trattato il tema, che era peraltro di origine folclorica e che affiora anche nel Libro de chistes (ca. 1550) di Luis de Pinedo (p. 100). 178   Sebastián de Horozco : El Cancionero. Introducción, edición crítica, notas, bibliografía y genealogía de Juan de Horozco por Jack Weiner (= Utah Studies in Literature and Linguistics, 3). Bern und Frankfurt/M.  







































































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e la cui presenza nei canzonieri manoscritti era, negli ultimi decenni del XVI secolo, “comparable a la de Diego Hurtado de Mendoza”, 179 non mancano, accanto alle romanze ariostesche 180 e alle numerosissime poesie religiose, pastorali e ‘petrarchesche’, le composizioni burlesche e satiriche contro le donne – avide e interessate, volubili e incostanti, simulatrici e ingannatrici, crudeli e perverse –, contro gli innamorati sciocchi e millantatori, contro le vecchie, invidiose guardiane delle giovani (“estas viejas son el perro del ortelano”), 181 e contro Cupído. 182 La poesia giocosa e burlesca di D. Diego Hurtado de Mendoza fu esclusa dalla prima edizione delle sue Obras, pubblicata a Madrid nel 1610, pur costituendo una parte molto rilevante della sua produzione poetica. Juan Díaz Hidalgo, curatore dell’edizione, motivò in maniera alquanto contraddittoria la sua decisione arbitraria, 183 ma l’esclusione non pregiudicava minimamente la diffusione dei componimenti burleschi dell’ambasciatore di Carlo V, diffusissimi in copie manoscritte e presenti in vari canzonieri collettivi, e la sua fama. (In un sonetto composto in occasione della edizione delle Obras, Cervantes celebrava D. Diego Hurtado de Mendoza e la sua fama “EN La memoria viue de las gentes...”. 184) Dei componimenti burleschi di D. Diego Hurtado de Mendoza ricordiamo – oltre a quelli già menzionati (A la pulga, 185 A la zanahoria, 186 Fábula del  















1975, p. 48 (nro. 4), pp. 48-49 (nro. 5), p. 49 (nro. 6), pp. 50-51 (nro. 9), p. 74 (nro. 78, nro. 79, nro. 80), pp. 119-120 (nro. 183), pp. 183-186 (nro. 296), pp. 186-187 (nro. 298), p. 204 (nro. 304), p. 220 (nro. 338), p. 232 (nro. 355). 179   José J. Labrador Herraiz - Ralph A. DiFranco : « Estudio preliminar » a : Cancionero autógrafo de Pedro de Padilla. Manuscrito 1579 de la Biblioteca Real de Madrid. Edición de José J. Labrador Herraiz - Ralph A. DiFranco (Colección Cancioneros Castellanos, 8). Moalde, Po. 2007, pp. 19-33 ; qui p. 20. 180   Cancionero autógrafo de Pedro de Padilla, pp. 82-118 (nro. 41-49). 181   Cancionero autógrafo de Pedro de Padilla, pp. 54-58 (nro.20-21), pp. 63-73 (nro. 31), pp. 149-151 (nro. 86-88), pp. 159-161 (nro. 100), pp. 164-166 (nro. 105), pp. 167-168 (nro. 109), pp. 202-205 (nro. 149), pp. 209-210 (nro. 155), pp. 216-217 (nro. 165), pp. 220-222 (nro. 168), p. 227 (nro. 227), pp. 235-237 (nro. 183), p. 243 (nro. 189). p. 244 (nro. 190), pp. 312-313 (nro. 255), p. 314 (nro. 256). 182   Cancionero autógrafo de Pedro de Padilla, pp. 257-258 (nro. 202). Queste terzine contro il Dio dell’Amore (“¿Por qué se á de creer de un niño ciego... ? / Con los pícaros viles da la plaza / se muestra muy de veras poderoso.../ Malaya un çiego dios tan asqueroso / que entre jente tan vil anda metido...) ricordano i sonetti di Diego Hurtado de Mendoza contro Cupído (XL : “Rapaz tiñoso ... / te daré de azotes con la venda / y pelarte he las alas pluma a pluma.”. – CXLV : “... rapaz mocoso, / hijo de una gran puta, malmirado, / de muy bajo solar, malinclinado, / chiquito, merdosillo, cegajoso”. – CLXXX : “... rapaz bellaco, antojadizo .../ ... Hideputa, traidor..../ ... cagaos en vuestras flechas de oro fino...”), citati piú avanti con i relativi dati bibliografici. 183   Nel prologo « AL LECTOR » Juan Díaz Hidalgo scrive : “En sus obras de burlas (que por dignos respectos aqui no se ponen) mostrò tener agudeza, y donayre, siendo satirico, sin infamia agena, mezclando lo dulce con lo prouechoso. La azanahoria [« A la Zanahoria »], cana [« A una señora que le envió una cana »], pulga [« A la pulga »], y otras cosas burlescas, que por su gusto, o por el de sus amigos compuso, por no contrauenir a la grauedad de tan insigne Poeta, no se dan à la estampa : y por esto, que ya por no ser tan comunes, seran mas estimadas de quien las tenga, y las conozca”. Cfr. OBRAS | DEL INSIGNE | CAVALLERO DON | DIEGO DE MENDOZA, EMBAXA- | DOR DEL EMPERADOR CARLOS | QVINTO EN ROMA. | RECOPILADAS POR FREY IVAN | Diaz Hidalgo, del Habito de San Iuan, Capellan, y Mu- | sico de Camara de su Magestad. | DIRIGIDAS A DON IÑIGO LOPEZ | de Mendoza, Marques de Mondejar, Conde de Tendilla, | Señor de la Prouincia de Almoguera. | Año [Scudo dei Mendoza] 1610. | Con Priuilegios de Castilla, y Portugal. | [Linea tipografica.] | En Madrid, Por Iuan de la Cuesta. | Vendese en casa de Francisco de Robles, librero del Rey nuestro señor (Wien, Universitätsbibliothek : I /170505 A), fo. [6v]. I versi, inframmezzati di allusioni oscene, indirizzati A una señora que le envió una cana (altro titolo : A una Dama que le embio una cana motejandole de viejo) si leggono nell’edizione qui sotto menzionata della Poésia completa (pp. 205-207, nro. XCV) di Diego Hurtado de Mendoza. 184   Miguel de Ceruantes a Don Diego de Mendoza, y a su fama. SONETO. In : Obras del insigne Cavallero Don Diego de Mendoza. Madrid 1610, fo. 4v. Cfr. anche Cervantes : Obras completas. Recopilación ... y notas por Ángel Valbuena Prat, p. 49 (“En la memoria vives de las gentes...”). 185   Diego Hurtado de Mendoza : Poesía completa, pp. 3-8 (nro. I). Il poemetto A la pulga è stato attribuito da Joaquín Hazañas y la Rua a Gutierre de Cetina (cfr. Obras de Gutierre de Cetina. Con introducción y notas del Doctor D. Joaquín Hazañas y la Rua. Tomo II, pp. 89-97 ; cfr. anche il Cancionero sevillano de Toledo, pp. 162-168, nro. 97), ma è sicuramente di Diego Hurtado de Mendoza, come testimonia lo stesso Juan Díaz Hidalgo. 186   Diego Hurtado de Mendoza : Poesía completa, pp. 13-15 (nro. V). Egualmente ricco di allusioni oscene  



















































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capitolo viii

cangrejo, 187 Epístola en alabanza de la cola 188) – i sonetti dedicati al mondo della malavita e dei lenoni, 189 ai mariti cornuti, 190 alle vecchie brutte, 191 alle divinità greco-latine ; 192 il poemetto in terzine En loor del cuerno ; 193 i chistes in verso, 194 l’Epístola (“Hay una, quien quisiere saber de ella...”), contenente i consigli di una vecchia Celestina ad una giovane donna, 195 e l’Epístola a manera de matraca. 196 Molto diffusi erano anche i componimenti burleschi e giocosi di Baltasar del Alcázar 197 – influenzato, come Gutierre de Cetina 198 e D. Diego Hurtado de Mendoza, da Francesco Berni, il ‘maestro e padre del burlesco stile’, 199 e dalla poesia ‘bernesca’ 200 –, fra i quali sono celebri la Cena jocosa (“En Jaén, donde resido…”), il Diálogo entre dos perrillos (“¿Cómo os llamais, gentil hombre ?”…), 201 le Coplas a un caballero que tuvo un concierto y no pudo concertarse (“¿Quién os engañó, señor… ?”), già ricordate, e la Vida del aldea (“Oir misa  









   

   





















è il Romançe a la zahanoria (1592) di Hernando Pretel (in : Actas de la Academia de los Nocturnos. Volumen I. Valencia : Edicions Alfons el Magnànim 1988, pp. 409-411). 187   Diego Hurtado de Mendoza : Poesía completa, pp. 232-235 (nro. CXV ; attribuita). 188   Diego Hurtado de Mendoza : Poesía completa, pp. 353-360 (nro. CXCVII ; attribuita). L’Epístola en alabanza de la cola è stata attribuita da Joaquín Hazañas y la Rua a Gutierre de Cetina (cfr. Obras de Gutierre de Cetina. Con introducción y notas del Doctor D. Joaquín Hazañas y la Rua. Tomo II, pp. 68-79 ; cfr. anche il Cancionero sevillano de Toledo, p. 168, nro. 98). 189   Cfr. Diego Hurtado de Mendoza : Poesía completa. Edición, introducción y notas de José Ignacio Díez Fernández. Barcelona : Planeta 1989, pp. 84-85 (nro. XLI), p. 85 (nro. XLII), p. 248 (nro.CXXIV ; attribuito). 190   Diego Hurtado de Mendoza : Poesía completa, p. 344 (nro. CXCI ; attribuito). 191   Diego Hurtado de Mendoza : Poesía completa, pp. 86-87 (nro. XLV), p. 312 (nro. CLXVIII ; attribuito), pp. 363-364 (nro. CC ; attribuito). 192   Diego Hurtado de Mendoza : Poesía completa, p. 84 (nro. XL : “Quien de tantos burdeles ha escapado...”), pp. 85-86 (nro. XLIII : “¡Oh Venus, alcahueta y hechicera, / que nos traes embaucados tierra y cielo ! […] No me andes rodeando, puta vieja…”), p. 302 (nro. CLX : A Venus. Soneto : “Ella, la bien casada y mal contenta, / harta de encornudar a su marito, por vida de los rufos que ha tenido…”), p. 130 (nro. LXI : “A vos [Diana] la cazadora gorda y flaca…”), pp. 274-275 (nro. CXLIV : “Señora [Diana], la del arco y las saetas…”), p. 275 (nro. CXLV : “Amor, cuerpo de Dios con el merdoso, / cochino, porquezuelo, malmirado...”), p. 324 (nro. CLXXX : “Amor, ¡cuerpo de Dios con quien os hizo !”), p. 360 (nro. CXCVIII : “Don Marte, capitán, y crespa, Aurora, / Venus, la novia del herrero flaco, / Ceres, la panadera, brindis, Baco…”). 193   Diego Hurtado de Mendoza : Poesía completa, pp. 96-101 (nro. LI). 194   Diego Hurtado de Mendoza : Poesía completa, p. 274 (nro. CXLIII ; attribuito), pp. 391-392 (nro. CCXVIII ; attribuito). 195   Diego Hurtado de Mendoza : Poesía completa, pp. 91-96 (nro. L). 196   Diego Hurtado de Mendoza : Poesía completa, pp. 278-281 (nro. CXLVII ; attribuita). 197   Cfr. Baltasar de Alcázar : Poesías. In : Poetas líricos de los siglos XVI y XVII. Colección ordenada por Don Adolfo de Castro. Tomo primero (= Biblioteca de Autores Españoles, 32). Madrid : Atlas 1966, pp. 406415. – Bartolomé José Gallardo : Ensayo de una Biblioteca Española de libros raros y curiosos. Edición facsímil. Tomo I, coll. 73-108 (nro. 93 e nro. 94). – Baltasar del Alcázar : Obra poética. Edición de Valentín Núñez Rivera, pp. 187-223 (« Sonetos satírico-burlescos »), pp. 288-306 (« Tercetos » : Epístola de Baltasar de León [Baltasar del Alcazár !] a Cetina. – A la fiesta de Toros en Los Molares,), pp. 367-454 (« Octosílabos burlescos »), pp. 455-529 (« Epigramas »), pp. 530-536 (« Glosas burlescas »), pp. 537-555 (« Canciones burlescas »), pp. 556-559 (« Villancicos burlescos »). 198   Gutierre de Cetina usa lo stile giocoso e burlesco nelle epistole in versi indirizzate A la Princesa de Molfeta e A Baltasar de León e nella Paradoja en alabanza de los cuernos, in prosa. Cfr. Obras de Gutierre de Cetina. Con introducción y notas del Doctor D. Joaquín Hazañas y la Rua. Tomo II, pp. 79-84, pp. 125-140, pp. 207-239. 199   Sebbene ancora in gran parte inediti alla sua morte, avvenuta nel 1535, i Capitoli in terza rima e i sonetti burleschi del poeta erano notissimi grazie ad una loro intensa circolazione manoscritta. A partire dal 1548 saranno comunque disponibili nel loro insieme in una edizione a stampa : Il primo libro dell’opere burlesche di M. Francesco Berni. [A cura di Anton Francesco Grazzini.] Firenze : Giunti 1548. – Il secondo libro dell’opere burlesche di M. Francesco Berni. Firenze : Giunti 1555. 200   Cfr. Antonio Prieto : La poesía española del siglo XVI. II. Madrid : Cátedra 1987, p. 487. – Valentín Núñez Rivera : « Introducción » a : Baltasar del Alcázar : Obra poética, pp. 11-110 ; qui pp. 72-73, pp. 109-110. 201   Baltasar de Alcázar : Poesías. In : Poetas líricos de los siglos XVI y XVII, pp. 406-408 e p. 413. – Baltasar del Alcázar : Obra poética, pp. 377-386 (V. Núñez Rivera riproduce due diverse versioni della Cena), pp. 426-429.  









































































































































il contesto letterario della pícara justina

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cada dia…”). 202 Suoi epigrammi e chistes in verso figurano nell’antologia Flores de poetas ilustres (1605). 203 Verso la fine del XVI secolo (ca. 1593-1600) Cosme de Aldana, “Gentilhombre entretenido por su Magestad Catolica”, 204 fece stampare, probabilmente a Milano o a Firenze, città nelle quali aveva trascorso lunghi anni e pubblicato diverse opere, 205 l’Asneida, poema burlesco in terzine. 206 Numerosissimi sono i romances, 207 le letrillas 208 e i sonetti 209 di tipo burlesco e satírico composti da Góngora, o a lui attribuiti, 210 prima del 1605. La gran parte di questi compo 

















202   B. J. Gallardo : Ensayo de una Biblioteca Española de libros raros y curiosos. Tomo I, coll. 88-89. Nella sua edizione della Obra poética di Baltasar del Alcázar, dalla quale ha escluso tutte le composizioni di dubbiosa attribuzione, Valentín Núñez Rivera non riproduce la Vida del aldea, che pur ricorda la Epístola de Baltasar de León a Cetina. Cfr. Valentín Núñez Rivera : « Introducción » a : Baltasar del Alcázar : Obra poética, pp. 113-114. 203   Pedro Espinosa : Flores de poetas ilustres. Edición, introducción y notas de Belén Molina Huete. Sevilla : Fundación José Manuel Lara 2005, p. 52 (nro. XII], p. 70 (nro. XVIII), p. 151 (nro. LX), p. 162 (nro. LXVII), p. 389 (nro. CLXVI), p. 417 (nro. CLXXXII). 204   Così si legge nel frontespizio della Invectiva contra el vulgo y sv maledicencia (Madrid : Luis Sánchez 1591). Nel frontespizio della Segvnda parte de las obras del Capitan Francisco de Aldana (Madrid : P. Madrigal 1590) si trova invece scritto “Gentil hombre entretenido del Rey nuestro señor”. 205   A Firenze aveva pubblicato il Discorso contro il volgo (1578), le Octavas, y canciones espirituales (1578), il Reconocimiento y lloro de pecados (1587), e la Segvnda parte de Octavas y Sonetos … En lamento de la muerte de su hermano el Capitan Francisco de Aldana (1587) ; a Milano i Sonetos y Octavas … En lamentacion de la Muerte de su Hermano el Capitan Francisco de Aldana (1587), le Rime (1587) e la Primera parte de las obras … del Capitan Francisco de Aldana (1589). Cfr. Eduart Toda y Güell : Bibliografia Espanyola d’Italia. Dels origens de la imprempta fins a l’any 1900. Volum I : A-C. Castell de Sant Miquel d’Escornalbou 1927, pp. 50-53 (nro. 113-118). 206   Sulla Asneida, obra irrisoria de las necedades más comunes de las gentes, pubblicata senza indicazione del luogo e della data di stampa, cfr. Francisco Layna Ranz : La disputa burlesca. Origen y trayectoria. In : Criticón, Toulouse, 64 (1995), 7-160 ; qui pp. 49-59. 207   Cfr. Luis de Góngora : Romances. Edición crítica de Antonio Carreira. Barcelona : Quaderns Crema 1998, 4 tomi ; qui tom. I, pp. 210-218, 233-235, 238-243, 247-253, 257-267, 293-303, 347-355, 359-362, 397-403, 421-439, 442-452, 454-464, 467-475, 480-488, 511-525, 530-538, 540-545, 550-555, 571-581, 593-609 ; tom. II, pp. 21-28, 32-37, 40-47, 119-130, 133-145. 208   Cfr. Luis de Góngora : Letrillas. Edición, introducción y notas de Robert Jammes, pp. 51-99, 115-149. 209   Cfr. Luis de Góngora : Sonetos completos. Edición, introducción y notas de Biruté Ciplijauskaité, pp. 163-176 (nro. 98-108). 210   Come, per esempio, la romanza, composta in data anteriore al 1591, che ridicolizza gli scudieri, poveri ma pieni di albagia genealogica, e che inizia con i versi “Mal huuiesse el cauallero / que de escudero se fía : / pobres son, y enamorados, / couardes a mediodía, / van y vienen a palacio, / de palacio, a la cozina, / hoy traen cadena de oro, / mañana no traen camissa…”. In : Luis de Góngora : Romances. III. Edición crítica de Antonio Carreira, pp. 164-174. – Romancero General I, pp. 59-60, nro. 79 (Ángel González Palencia – « Prólogo », p. XLI – attribuisce il romance a Juan de Salinas y Castro). Ricordiamo altre romanze giocose, burlesche ed erotiche attribuite, con maggior o minore fondamento, a Góngora : Los galanes de la Corte (1588), Güérfanas las de la Corte (1588 ?), Hermano Perico (anteriore al 1589), La villana de las borlas (ant. al 1589), Tenía vna biuda triste (ant. al 1591), Vn lencero portugués (ant. al 1592), A los boquirrubios (ant. al 1593), En arena de la gorda (ant. al 1593), Quando yo peno de veras (ant. al 1592), Por los chismes de Chamorro (ant. al 1593), Viua mil años Philipo (1593 ?), Madrugasteis, vecina mia (ant. al 1595), Con vna niña me casan (posteriore al 1595 ; ant. al 1600 ?), Comadres, las mis comadres (ant. al 1596), Paseándome vna noche (ant. al 1596), Lo que me quise, me quise, me tengo (ant. a 1597), Quien tiene el texado de vidrio (ant. a 1597), Mugeres del tiempo (ant. a 1597), A reñir salen furiosos (ant. al 1597), Hermosa Mençía (ant. al 1600), Siempre lo e oýdo dezir (ant. al 1600 ?), Quál más, quál menos (ant. al 1600 ?), En el almoneda (ant. al 1602), En aquel siglo dorado (ant. al 1602), Fuego de Dios en el querer bien (ant. al 1602), De vnas enigmas que traygo (ant. al 1602), Ya estoy vengado de vos (ant. al 1602), No viene a mi el sobrescrito (ant. al 1602), Pensáuase mi bezina (ant. al 1602), Toca, Giraldo, la lyra (ant. al 1602), Agamos paces, Cupido (ant. al 1602), Galanes, los que tenéis (ant. al 1602), Con ropilla y sin camissa (ant. al 1602), Jurado tiene Symocho (ant. al 1602), Señor dotor Desengaño (ant. a 1603 ?), Henares el de Sigüença (posteriore al 1603), Trébole oledero, amigo (ant. al 1604), Quiero dejar de llorar (ant. al 1604), Damas cortesanas (ant. al 1604), Ya, señora mía (ant. al 1604), Recibí vuestro villete (ant. al 1605), Vn hidalgo de vna aldea (ant. al 1605). Cfr. Luis de Góngora : Romances. III, pp. 80-83, pp. 85-88, pp. 125-129, pp. 137-141, pp. 175-178, pp. 221-230, pp. 267-272, pp. 273-276, pp. 277-282, pp. 283-292, pp. 293-299, pp. 339-342, pp. 349-353, pp. 367-372, pp. 374-381, pp. 391-397, pp. 399-401, pp. 419-426, pp. 431-434, pp. 439-443, pp. 445-451, pp. 453-456, pp. 469-472, pp. 473476, pp. 477-480, pp. 481-484, pp. 485-487, pp. 489-493, pp. 495-500, pp. 501-504, pp. 505-509, pp. 511-517, pp. 519-522,  







































































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capitolo viii

nimenti (alcuni risalivano agli anni nei quali Góngora era stato studente a Salamanca) circolava in copie manoscritte. 211 Alcuni erano stati però anche stampati e pubblicati nel Romancero General, altri inseriti in pliegos sueltos, come le letrillas, molto conosciute, Si las damas de la Corte 212 e Dineros son calidad, 213 il romance satirico Si sus mercedes me escuchan 214 e la ensalada intitolata Bautismo de Marina en Orgaz ( “DE su esposo Pingarron / pario Marina en Orgaz / vn Minguillo por detras…”). 215 Come queste di Góngora, cosí anche moltissime altre composizioni burlesche erano diffuse in pliegos sueltos. Ricordiamo poemetti burleschi e satirico-burleschi, come La vida del estvdiante pobre (“YO el que mas miserias / passo en esta vniuersidad…”), 216  











pp. 523-527, pp. 531-534, pp. 537-542, pp. 547-549, pp. 551-557, pp. 559-562, pp. 563-571, pp. 591-596, 597-600. Moltissimi altri componimenti – con esclusione dei romances – giocosi, burleschi ed erotici, attribuiti, quasi sempre con pochissimo fondamento, a Góngora, ha riunito Antonio Carreira in una sua precedente pubblicazione. Ad eccezione di quelli pubblicati nel Romancero general, sono pochissimi i componimenti scritti in anni anteriori al 1604/1605. Cfr. Antonio Carreira : Nuevos poemas atribuidos a Gongora (letrillas, sonetos, décimas y poemas varios). Prólogo de Robert Jammes. Barcelona : Quaderns Crema 1994. 211   Cfr. – per esempio – Ramón Menéndez Pidal : Cartapacios literarios salmantinos del siglo XVI, pp. 168169 (Cartapacio de Pedro de Lemos, vecino de Toro), pp. 314-315 (Cartapaçio. Es de Pedro de Penagos. Començose a 9 de Agosto Año de 1593). 212   PRIMERO | QVADERNO DE | varios Romances los mas moder- | nos que hasta hoy se han | cantado. | 1 Que soberuio esta el farandulo. | 2 Si las damas de la Corte. | 3 Si yo men bau in França. | 4 Las tres de la noche han dado. | 5 Romance de vna dama a su galan. | 6 Do va la niña tan de mañana. | 7 Entremos en cuenta agora. | [Tre figure : suonatore di chitarra, pastore – o mendicante ? –, galán] | Vendense en casa de Ioan Baptista Timo | neda, junto a la Merced. (Col. : Impresso en Valencia, junto al molino, de | la Rouella. Año 1596). In : Pliegos Poéticos Españoles en la Biblioteca Universitaria de Pisa (Facsímil). Madrid : Joyas Bibliográficas 1974, pp. 77-78. Questa Letrilla sarà pubblicata anche nella dodicesima parte del Romancero General (cfr. R. G. Edición de Ángel González Palencia II, p. 99, nro. 950). 213   QVARTO | QVADERNO | DE VARIOS ROMANCES, | los mas modernos que hasta oy | se han cantado. | 1 Loa de Lisandro a la Niña de los | Luzeros. | 2 Del Real de Mançanares. | 3 Dineros son calidad. | [Vignetta] | Impresso en Valencia, junto al molino de | Rouella. Año. M.DC.II. | Vendense en casa de Iuan Bautista Ti | moneda, junto a la merced. In : Pliegos Poéticos Españoles en la Biblioteca del Estado de Baviera de Munich (Facsímil). Madrid : Joyas Bibliográficas 1974, pp. 175-177. La Letrilla è riprodotta anche nel Romancero General (1604 ; cfr. R. G. Edición de Ángel González Palencia II, pp. 58-59, nro. 880 bis). 214   SEPTIMO | QVADERNO DE | varios Romances, los mas moder- | nos que hasta hoy se han | cantado. | 1. Lisardo vn pastor de agrauios. | 2 Si sus mercedes me escuchan. | 3 Mirando esta de Sagunto. | 4 Pues que ya tan dura estas. | 5 Vn grande taur de amor. | Hermosa y dulce Menandra. | [Due figure : pastore, suonatore di chitarra.] | Vendense en la calle de los flaçaderos, | junto a la Merced. | (Col. Impresso en Valencia, en casa de los he | rederos de Iuan Nauarro, junto al | molino de la Rouella. Año | 1595.) In : Pliegos Poéticos Españoles en la Biblioteca del Estado de Baviera de Munich (Facsímil), pp. 380-382. 215   TERCERO | Quaderno del | Bautismo de Marina en Or- | gaz. | 1 Prometiole Gil a Bras. | 2 A Dios señora sotana. | 3 Sal y ponte en tu açotea. | Marina de Orgaz. La comadre. Pingarron. | [Sotto queste tre scritte le figure corrispondenti.] | Impresso en Valencia, junto al molino | de Rouella. Año 1597. | Vendese en casa de Iuan Baptista Timo | neda, junto a la Merced. In : Pliegos Poéticos Españoles en la Biblioteca Universitaria de Pisa (Facsímil), pp. 106-109. Per l’attribuzione a Góngora, cfr. María Cruz García de Enterría : « Estudio ». In : Pliegos Poéticos Españoles en la Biblioteca Universitaria de Pisa. Madrid : Joyas Bibliográficas 1974, p. 92. Questo testo non figura però nelle edizioni delle opere di Góngora. Le Redondillas, che iniziano con il verso “Casó Justina en Mansilla” e che figurano all’inizio dell’ultimo capitolo della Pícara Justina (Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO QVARTO. DE LA PICARA NOBIA. CAPITVLO QVINTO DE LA boda del meson », p. 38), imitano, secondo Maxime Chevalier (Quevedo y su tiempo, p. 213), il Bautismo de Marina en Orgaz. 216   [Benito Carrasco] OBRA NVEVA | LLAMADA LA VI- | DA DEL ESTVDIANTE PO- | bre, diligente y industrioso, junta- | mente con la del necio ocioso. | Estudiante. Tendera. | [Figurine dello studente e della bottegaia sotto la corrispondente scritta.] | Impresso en Valencia en casa de los herederos de Iuan Nauarro, junto al mo- | lino de la Rouella, Año 1593. | Vendese en la calle de los flaçaderos | junto a la Merced. In : Pliegos Poéticos Españoles en la Biblioteca Ambrosiana de Milán (Facsímil). Madrid : Joyas Bibliográficas 1973, pp. 241-256. – La VIDA DEL | ESTVDIANTE POBRE, | POR GENTIL ESTILO, SACADA | por vn Estudiante en cierto premio, sobre quien me- | jor compusiesse la vida del Estudiante pobre : es | obra muy graciosa. Con vn Romance de | don Diego de Azebedo, y al cabo | vn Villancico a lo | diuino. | Compuesta por Benito Carrasco. |  















































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diffuso in più edizioni a stampa e numerosi manoscritti ; 217 La vida del pícaro (1601) ; La vida de la Galera (1603) ; 218 la Nueva instruccion y ordenança, para los cofrades de grillimon, o mal Frances ; 219 La Famosa Gaticida 220 e Los Purrates de Valencia, che illustrano le opportunità di “muchos negocios carnales” offerte dalle fiere tenute in occasione di feste religiose ; 221 sermons joyeux, come il Sermón de amores (1542) di Cristóbal de Castillejo ; 222 dialoghi burleschi, come Los trabajos que passa la triste Bolsa ; 223 letrillas burlesche, come    



   

   



   

   

   

[Incisione che rappresenta l’aula di una scuola con vari bambini e un maestro nell’atto di dare palmate ad uno di loro sulla mano sinistra.] | CON LICENCIA. | En Barcelona en casa de Sebastian de Cormellas al Call. Año. 1600. In : Pliegos Poéticos Españoles en la British Library, Londres. (Impresos antes de 1601.) Tomo I (Facsímil). Madrid : Joyas Bibliográficas 1989, pp. 73-77. Una edizione critica del poemetto è stata curata da Víctor Infantes : Textos y texto de un poema áureo : La vida del estudiante pobre (c. 1584). In : Ignacio Arellano – Jesús Cañedo (Eds.) : Crítica textual y anotación filológica en obras del Siglo de Oro (= Nueva Biblioteca de Erudición y Crítica, 4). Madrid : Editorial Castalia 1991, pp. 259-292 (il testo occupa le pp. 266-278). 217   Cfr. Antonio Rodríguez-Moñino : Nuevo Diccionario Bibliográfico de Pliegos Sueltos Poéticos (Siglo XVI). Edición corregida y actualizada por Arthur L.-F. Askins y Víctor Infantes, pp. 199-201. – V. Infantes : Textos y texto de un poema áureo : La vida del estudiante pobre (c. 1584), pp. 260-263. Il testo del poemetto si trova, con il titolo La uida de los estudiantes, anche nel Cancionero del Bachiller Jhoan Lopez (pp. 423-448, nro. CCXVI). 218   Mateo de Brizuela : La vida de la Galera, muy graciosa y por galan estilo sacada. Barcelona : Sebastián de Cormellas 1603. Cfr. Bartolomé José Gallardo : Ensayo de una Biblioteca Española de libros raros y curiosos. Edición facsímil. Tomo II, col. 145 (nro. 1487). – Catálogo de pliegos sueltos poéticos de la Biblioteca Nacional. Madrid : Biblioteca Nacional 1998, p. 154 (nro. 204). 219   Nueua instruccion y or- | denança, para los que son, o han sido, cofrades | del grillimon, o mal Frances, con las libertades | y essenciones a el necessarias. A do cla- | ro se conoceran los que deuen | ser llamados a esta her- | mandad y cofradia. | [Due figure : galán con un fiore, uomo con un bastone.] | CON LICENCIA. | Impressas en Barcelona en casa Sebastian de | Cormellas al Call. Año. 1600. In : Pliegos Poéticos Españoles en la Biblioteca de Cataluña (Facsímil). Madrid : Joyas Bibliográficas 1976, pp. 253-259. Justina menziona “los señores cofrades del grillimon” (Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « INTRODVCCION GENERAL, PARA TODOS los tomos y libros. Escrita de mano de Iustina. Intitulada la Melindrosa Escriuana », p. 6). 220   LA FAMOSA GATICIDA, | la qual trata, la sotileza y vigilancia que | tienen los gatos en coger lo mal alçado, | y trata de los demasiados descuydos de | algunas moças, y como son castigadas de | los gatos. Tambien trata de vna junta | de gatos, que puestos en vn tejado | cada vno contò en particular | sus hazañas. | Compuesta por Francisco | Nauarro. | [Due figurine di donna.] | Impresso en Valencia, a la Pelleria vieja, | y alli se venden. | (Col. : V. Petrus Ioannes Assensius.) In : Pliegos Poéticos Españoles en la Biblioteca del Estado de Baviera de Munich (Facsímil), pp. 513-520. 221   Los Purrates de | Valencia, a peticion de vna dama | desseosa de saber que cosa | son. | COMPVESTO POR MEL- | chior Talauera. | [Incisione che rappresenta un carricoche.] | Impressos en Va | lencia en casa de los herederos de | Iuan Nauarro, junto al moli | no de Rouella. Año | 1597. | Vendense en la misma Emprenta. | (Col. : V. Petrus Ioannes Assensius.) In : Pliegos Poéticos Españoles en la Biblioteca del Estado de Baviera de Munich (Facsímil), pp. 505-512. 222   [Cristóbal de Castillejo :] Sermon de amores | del maestro buen talan | te llamado fray Ni- | del de la orden del | fristel. Agora | nueuamente | Corregido y enmendado | Año de. M.D.xlij. [Titolo e note tipografiche dentro una bellissima cornice gotica. Il titolo è sovrastato da tre figure : dama, galán, viandante.] In : Pliegos Poéticos Españoles en la British Library, Londres. (Impresos antes de 1601.) Tomo I (Facsímil), pp. 81-120. Sul Sermon de amores cfr. Rogelio Reyes Cano : Otra muestra de la “Literatura del loco” en el Renacimiento español : El caso de Cristóbal de Castillejo, pp. 834-838. La composizione di ‘sermoni giocosi’ era naturalmente particolarmente coltivata negli ambienti universitari, dove – come il Sermon en vituperio del oçio y loor del juego, y como se a de vsar la Nauidad, hecho por el Licenciado Otalora, rector del colegio del Arçobispo – circolavano soprattutto manoscritti. Cfr. Ramón Menéndez Pidal : Cartapacios literarios salmantinos del siglo XVI, pp. 52-53, p. 157. Sui ‘sermoni giocosi’ cfr. inoltre Rogelio Reyes Cano : « Predicadores locos », « Locos predicadores » y « Locos agudos » en la literatura española del Siglo de Oro : Los cuentecillos de Juan García. In : Philologica (Homenaje al profesor Ricardo Senabre). Cáceres : Universidad de Extremadura 1996, pp. 461-480. Qualche cenno sul sermón burlesco si trova anche in : Luis Estepa : « Notas introductorias » a : Sermones predicables del loco Don Amaro. Edición y notas introductorias, por L. E. Madrid : Mayo de Oro 1987, pp. 15-135. 223   [Cristóbal Bravo :] Obra llamada, Los trabajos que | passa la triste bolsa. Aora nueuamente, para reyr | y passar tiempo. | [Quattro figure : pellegrino, viandante, donna, soldato con picca.] | (s. d.). In : Pliegos Poéticos Españoles en la British Library, Londres. (Impresos antes de 1601.) Tomo I (Facsímil), pp. 53-60.  































































































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capitolo viii

quella dedicata ai Señores papantes ayres, 224 cioè ai devotos de monjas, qui definiti “galanes de monasterio” ; parodie di romances, come il Romance de vn confrade viejo que se yua a curar con el palo de las Indias, 225 parodia del romance molto conosciuto Por la matança va el viejo ; 226 villancicos burleschi, come il Villancico de la muerte y almoneda de los bienes de Juan Garrido, il Villancico de la biuda 227 e i Villancicos muy graciosos de vnas comadres muy amigas del vino ; 228 romances burleschi, come il Romance a vn Capon enamorado (“NO quieras hermano mio / desgraciado, e infeliz…”) 229 e la Boda pastoril graciosa (“Passaua por tagarete...”) ; 230 romances ‘picareschi’, come El Espejo de miserias (“EN el tiempo mas  





   



   



   

224   QVARTO | QVADERNO DE | Letrillas, las mas modernas que | hasta oy se han cantado. | 1. Señores papantes ayre. | 2. Vestido vn Gaban leonado. | 3. Hagamos paces Cupido. | Anda vete con Dios Moreno. | [Due figurine : uomo con chitarra - dama.] | Vendese en la calle de los Flaçaderos | junto a la Merced. | Impresso en Valencia, por Francisco Nauarro. | junto a Sant Martin [ca. 1592-1596]. In : Pliegos Poéticos Españoles en la Biblioteca Ambrosiana de Milán (Facsímil), pp. 210-211 (Señores papantes aire è stata riprodotta nell’ottava parte del Romancero General. Cfr. R. G. Ed. de Ángel González Palencia I, pp. 440-441, nro. 665). Non rare erano le satire contro i corteggiatori delle monache. Si vedano – per esempio – il componimento intitolato Dulce musa picaril e il poemetto A los debotos de monjas, glosándole el Paternoster, y aplicándoselo bien acomodado, attribuiti entrambi, senza fondamento, a Góngora (il primo, con il titolo Sátira contra devotos de monjas, è attribuito, in un altro manoscritto, anche a Mateo Vázquez de Lecca). Cfr. Antonio Carreira : Nuevos poemas atribuidos a Gongora (letrillas, sonetos, décimas y poemas varios). Prólogo de Robert Jammes, pp. 346-347 e pp. 389-395. Un altro componimento sui devotos de monjas è El Padre Nuestro Glosado para monjas (“Rey alto a quien adoramos…”), attribuito al Conte di Salinas. Cfr. Cancionero Antequerano. Recogido por los años de 1627 y 1628 por Ignacio de Toledo y Godoy y publicado por Dámaso Alonso y Rafael Ferreres. Madrid : C.S.I.C. 1950, pp. 219-226. – Luis Rosales : Obras completas. Volumen 5 : La obra poética del conde de Salinas. Edición de Antonia María Ortiz Ballesteros. Madrid : Editorial Trotta 1998, pp. 319-327. 225   Romance de vn confrade viejo que se yua a curar con el palo de las Indias In : Nueva instruccion y or- | denança, para los que son, o han sido, cofrades | del grillimon, o mal Frances, con las libertades | y essenciones a el necessarias. A do cla- | ro se conoceran los que deuen | ser llamados a esta her- | mandad y cofradia. | [Due figure : galán con un fiore, uomo con un bastone.] | CON LICENCIA. | Impressas en Barcelona en casa Sebastian de | Cormellas al Call. Año. 1600. In : Pliegos Poéticos Españoles en la Biblioteca de Cataluña (Facsímil). Madrid : Joyas Bibliográficas 1976, p. 259. Una parodia delle romanze cavalleresche è la romanza En aquel siglo dorado (ant. al 1602), attribuita a Góngora. Anche qui il protagonista è un sifilitico. Cfr. Luis de Góngora : Romances. III. Edición crítica de Antonio Carreira, pp. 473-476. 226   Por la matança va el viejo. In : Cancionero de Romances impreso en Amberes sin año [c. 1547-1548]. Edición facsímil con una introducción por R. Menéndez Pidal. Nueva Edición, fo. 188r-v. La parodia di Por la matança va el viejo si trova già qui con il titolo : OTRO Romance contrahaziendo el de arriba mudado en otro proposito y fundado sobre la yda de vn cauallero a curarse con el palo de las Indias (fo. 189r-v). Cristóbal de Castillejo aveva dedicato una glosa alla parodia. Cfr. Glosa del romance « Por la dolencia va el viejo », contrahecho [al que dize « Por la matança va el viejo »]. In : Cristóbal de Castillejo : Obra completa. Madrid : Biblioteca Castro 1999, pp. 332-337. 227   Obra nueuamente compuesta en la | qual se trata vn Romance y que dize de Ronda sale Almadan. | con tres Villancicos. El primero, de la muerte y almoneda de | Juan garrido. El segundo de la biuda, que dize Terezica daca mi | manto. El tercero, de las bodas. Compuestos por Francisco de | Godoy priuado de la vista corporal : natural de la villa | de Motril y residente en Seuilla. | [Grande incisione con cavaliere a cavallo, con la spada sguainata.] | Impressa en Seuilla en casa de Fernando de Lara, impressor | de libros. Año de mil y quinientos y nouenta y quatro. In : Pliegos Poéticos Españoles en la Biblioteca Universitaria de Gotinga (Facsímil). Madrid : Joyas Bibliográficas 1974, pp. 4-5, pp. 5-6. 228   Aqui comiençan vnos villancicos muy graciosos de vnas comadres muy amigas del vino. Agora nueuamente impressos. In : Bartolomé José Gallardo : Ensayo de una Biblioteca Española de libros raros y curiosos. Tomo I, coll. 1229-1235 (nro. 1272). Cfr. inoltre Antonio Rodríguez-Moñino : Nuevo Diccionario Bibliográfico de Pliegos Sueltos Poéticos (Siglo XVI). Edición corregida y actualizada por Arthur L.-F. Askins y Víctor Infantes, pp. 579-580 (nro. 698 e nro. 699). 229   SEPTIMO | QVADERNO | DE VARIOS ROMANCES, | Letras, y Siguidillas, las mas moder- | nas, que hasta hoy se han | cantado. | 1 Romance a vn Capon enamorado. | 2 Redondillas a otro Capon. | 3 Quatro Romances de Lautaro, y | Guacolda. | 4 Bullicioso era el arroyuelo. | 5 Alamos del prado, &c. | [Tre figure : guerriero, dama, suonatore di chitarra.] | Impresso en Valencia, junto al molino de | Rouella. Año M.D.cj. | Vendese en casa de Iuan Baptista Timo | neda, junto a la Merced. In : Pliegos Poéticos Españoles en la Biblioteca del Estado de Baviera de Munich (Facsímil), pp. 282-284. 230   Boda pastoril graciosa (“Passaua por tagarete...”). In : Caso gustosissimo y agradable su | cedido en la Ciudad de Toledo a vna graciosa Dama, la qual por | que vn esclauo suyo le hizo cierta afrenta, ella se burlo de vn galan | que era su requiebro. Es obra muy graciosa. Compuesta en ver | so Castellano por Benito Carrasco vezino de  



























































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humilde / que jamas se vio en Valencia…”) ; 231 componimenti ‘celestineschi’, come le Coplas de las comadres di Rodrigo de Reinosa, 232 le Coplas que hizo tremar a vna alcahueta, 233 il Testamento de Celestina, 234 la Glosa de tiempo es el cauallero nueua y de passatiempo (“EN dança mil putas viejas / a modo de Celestina...”) 235 e le MVgeres del tiempo, 236 attribuita a Góngora ; 237 composizioni erotiche, come la romanza MArica la de la viuda, 238 la villanel   











   



Auila. Vistas y ex- | aminadas, Impressa con licencia en guesca por Julian Floret. | Año de M.D.xCiiij. | [Tre figure : galán, pastore, mora.] In : Pliegos Poéticos Españoles en la Biblioteca Universitaria de Gotinga (Facsímil), pp. 38-39. 231   TERCERO | QVADERNO DE | varios Romances, los mas moder- | nos que hasta hoy se han | cantado. | 1. A los hierros de vna rexa. | 2. Quando sale mi niña. | 3. Con lo que no tengo biuo. | 4. Tanto nos enriquecistes. | 5. En vna junta solene. | 6. Ansaladilla. | 7. Espejo de miserias. | [Figurina di uomo che suona la chitarra e di donna.] | Vendense en la calle de los flaçaderos | junto a la Merced. In : Pliegos Poéticos Españoles en la Biblioteca Universitaria de Pisa (Facsímil), pp. 196-200. 232   Aqui comiençan vnas coplas de las comadres. Fechas a ciertas comadres no tocando en las buenas : saluo digo de las malas y de sus lenguas y hablas malas : y de sus afeytes y de sus azeytes y blanduras y de sus trajes y otros sus tratos. Fechas por Rodrigo de reynosa. In : Bartolomé José Gallardo : Ensayo de una Biblioteca Española de libros raros y curiosos. Tomo cuarto. Madrid : Imprenta y Fundición de Manuel Tello 1889, coll. 42-60. Su questo pliego suelto, stampato a Burgos, fra il 1515 e il 1519, da Fadrique de Basilea o da Alonso de Melgar, genero e successore nella conduzione della officina del tipografo svizzero, cfr. F. J. Norton : A descriptive catalogue of printing in Spain and Portugal, 1501-1520. Cambridge : Cambridge University Press 1978, p. 110 (nro. 304). – Antonio Rodríguez-Moñino : Nuevo Diccionario Bibliográfico de Pliegos Sueltos Poéticos (Siglo XVI). Edición corregida y actualizada por Arthur L.-F. Askins y Víctor Infantes, pp. 428-429 (nro. 465 e 466). 233   Coplas que hizo tremar a vna al | cahueta que auia engañado ciertos caualleros trayendo los en | trespasso engañosamente [Sevilla : Jacobo Cromberger (1515 ?)]. In : Pliegos Poéticos Españoles de la Biblioteca Nacional de Viena (Facsímil). Madrid : Joyas Bibliográficas 1975, pp. 129-132. Il poemetto burlesco ci è stato tramandato anche in un altro pliego suelto, conservato nella Biblioteca Nacional (R/3652) di Madrid e intitolato Copla que hizo tremar a vna alcahueta que auia engañado ciertos caualleros trayendolos en traspassos engañosamente. Il testo di questa Copla, che già nel titolo presenta delle varianti, si può leggere nella edizione curata da Luis C. Pérez : Coplas desconocidas del tema celestinesco. In : Homenaje a Rodríguez-Moñino. Estudios de erudición que le ofrecen sus amigos o discípulos hispanistas norteamericanos. II. Madrid : Editorial Castalia 1966, pp. 51-57. Sulla tipografia in cui fu stampato il pliego suelto conservato a Vienna e la sua datazione, cfr. F. J. Norton : A descriptive catalogue of printing in Spain and Portugal, 1501-1520, p. 322 (nro. 880). Cfr. inoltre Antonio Rodríguez-Moñino : Nuevo Diccionario Bibliográfico de Pliegos Sueltos Poéticos (Siglo XVI). Edición corregida y actualizada por Arthur L.-F. Askins y Víctor Infantes, pp. 512-513 (nro. 604 e nro. 605). Il Nuevo Diccionario Bibliográfico interpreta tremar come nome dell’autore. 234   [Cristóbal Bravo :] AQVI SE CON | TIENEN DOS TESTA | mentos muy graciosos | El vno es de la Zorra, y el otro de Celestina, | de Duarte, juntamente el Codicillo, | y el Inuentario. | [Tre figure : dama, beata, vecchio.] | Impresso en Barcelona en casa | Valentin Vilomar. | Año 1597. In : Pliegos Poéticos Españoles en la Biblioteca del Estado de Baviera de Munich (Facsímil), pp. 441-456 (Testamento de Celestina, Inuentario, Codizillo de Celestina, Carta de Celestina). Del Testamento de Celestina esistono anche quattro versioni manoscritte, fra le quali quella contenuta nel Cancionero del Bachiller Jhoan Lopez (nro. CCXXI, pp. 462-466), che non riproduce però il Codizillo de Celestina e la Carta de Celestina. 235   Glosa de tiempo es el cauallero nueua y de passatiempo (“EN dança mil putas viejas / a modo de Celestina…”). In : Disparates muy graciosos y | de muchas suertes hechos. Y vn apara | to de guerra que hizo Montoro. Y vnos fieros | que haze vn rufian contra otro. | [Dentro una cornice rettangolare quattro incisioni : galán, uomo, soldato, albero.] In : Pliegos Poéticos Españoles en la British Library, Londres. (Impresos antes de 1601.) Tomo III, (Facsímil). Madrid : Joyas Bibliográficas 1989, pp. 1181-1182. 236   SEXTO | Quaderno de va | rios Romances los mas modernos | que hasta hoy se han canta- | do. | 1 La reliquias de la noche. | 2 A quien contare mis quexas. | 3 Donde vas mi pensamiento. | 4 Tres Sonetos a la niña de Plata. | 5 Tendiendo sus blancos paños. | 6 Eco contra el amor. | [Tre figure : pastore, suonatore di chitarra, dama.] | Impresso en Valencia, junto al molino | de Rouella. Año 1597. | Vendese en casa de Iuan Baptista Timo | neda, junto a la Merced. In : Pliegos Poéticos Españoles en la Biblioteca del Estado de Baviera de Munich (Facsímil), pp. 98-102 (Mvgeres del tiempo = Las reliquias de la noche). 237   Cfr. Luis de Góngora : Romances. III. Edición crítica de Antonio Carreira, pp. 419-426. 238   SEPTIMO | QVADERNO DE | varios Romances, los mas moder- | nos que hasta hoy se han | cantado. | 1. De vna, de dola, de tela, canela, çuma | que de vela, de vela velon : | cuentalas bien que las onze son. | 2 Oydme atentos agora. | 3 La verde primauera. | [Vignetta : giovane trebbiando con due cavalli.] | Impresso en Valencia, junto al molino de | la Rouella. Año 1596. | Vendense en casa de Ioan Baptista Timo | neda, junto a la Merced. In : Pliegos Poéticos Españoles en la Biblioteca del Estado de Baviera de Munich (Facsímil), pp. 114-116 (De vna, de dola, de tela, canela... = MArica la de la viuda). Riprodotto anche in : Pierre Alzieu, Robert Jammes, Yvan Lissorgues : Poesía erótica del Siglo de Oro, pp. 286-289.  





































































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capitolo viii

la Porque me beso perico 239 e la Letra al tono de Chacona (“Al son del rumor sabroso…”) ; 240 ensaladas, come il centone burlesco nel quale si citano versi di 51 romances viejos intitolato Ensalada de romances viejos, 241 e ensaladillas, come Los requiebros discretissimos que tuuo vn galan con vna tendera (“PAsseandome vna noche / con ferreruelo y espada…”), 242 attribuiti a Góngora ; 243 coplas su storielle boccaccesche, come le Coplas compuestas a modo de chiste de vn clerigo que tenia amores con vna labradora ; 244 canciones burlesche su mariti cornuti e consenzienti, su prostitute e sul trionfo dell’interesse sull’amore, come quelle raccolte da Juan Timoneda nel Truhanesco ; 245 ‘chistes’, 246 come i Chistes  

   





   

   

   



239   Romance nueuo por muy gentil | estilo : con vna glosa nueua al romance que dize En castilla | esta vn castillo que se llama rocha frida. Y el romance de [l]a | reyna Elena. Y vnas coplas y villancicos. | [Incisione : castelli ; un cavaliere con una dama, sulla groppa dello stesso cavallo ; dietro uno scudiero con due cavalli.] In : Pliegos Poéticos Españoles en la Universidad de Praga. Prólogo del Excmo. Sr. D. Ramón Menéndez Pidal. II, pp. 241-248 (il Villancico si trova alle pp. 244-245 ; è riprodotto anche in : Pierre Alzieu, Robert Jammes, Yvan Lissorgues : Poesía erótica del Siglo de Oro, pp. 102-103). 240   QVARTO | QVADERNO | DE VARIOS ROMANCES | y letras las mas modernas que hasta | oy se han cantado. | 1 Romance de vn galan, que por or | den del confessor, quemo los ca- | bellos de su dama. | 2 A penas el Sol rayaua. | 3 Romance a vna ingratitud. | 4 Que necio que era yo antaño. | 5 Romance de los presos de la carcel. | 6 Antes quel alma sugetes. | 7 Al son del rumor sabroso. | [Tre incisioni : dama, torre, galán.] | Vendese en casa de Iuan Baptista Timo | neda, junto a la Merced. In : Pliegos Poéticos Españoles en la Biblioteca del Estado de Baviera de Munich (Facsímil), pp. 78-80. La Letra al tono de Chacona (=Al son del rumor sabroso) è riprodotta in : Pierre Alzieu, Robert Jammes, Yvan Lissorgues : Poesía erótica del Siglo de Oro, pp. 198-199. 241   Aqui comiença vn romance de vn | desafio entre don Vrgel y Bernardo del Carpio | Mas vna ensalada de muchos roman | ces viejos y cantarcillos. | [Incisione nella quale sono raffigurati due cavalieri che, in piena armatura e lancia in resta, combattono l’un contro l’altro ; sullo sfondo, da una parte, un palazzo e le mura fortificate di una città, dall’altra parte, mare e navi a vele spiegate. (Sotto l’incisione inizia il testo, a due colonne)]. In : Pliegos Poéticos Españoles en la Universidad de Praga. Prólogo del Excmo. Sr. D. Ramón Menéndez Pidal. I, pp. 1-8 (la Ensalada occupa le pp. 4-8.] Sulla Ensalada de romances viejos cfr. il « Prólogo » di D. Ramón Menéndez Pidal (pp. XVI-XVII) e Antonio Rodríguez-Moñino : Tres romances de la « Ensalada » de Praga (Siglo XVI). In : A. R.-M. : La transmisión de la poesía española en los siglos de oro. Doce estudios, con poesías inéditas o poco conocidas. Prólogo y edición al cuidado de Edward M. Wilson. Barcelona : Ariel 1976, pp. 233-240. 242   SEGVNDO | QVADERNO QVE | trata los requiebros discretissimos que tuuo | vn galan con vna tendera, hecho a modo | de Ensaladilla, con otras letras | curiosas. | 1 Aguas cristalinas. | 2 Galeritas de España. | 3 Mirando estaua Belisa. | 4 La mar de Valencia. | 5 Hermosissima pastora. | [Due figure : Galán con spada facendo una riverenza ad una donna.] | [Valencia.] Vendense en casa de Iuan Bautista Timo- | neda, junto a la Merced. | 1602. (Col. : V. Petrus Ioannes Assensius). In : Pliegos Poéticos Españoles en la Biblioteca del Estado de Baviera de Munich (Facsímil), pp. 137-152 (la Ensaladilla occupa le pp. 138-142). La Ensaladilla (“Paseandome una noche...”) figurava già nell’ottava parte della edizione del 1600 del Romancero General (cfr. R. G. Ed. de Ángel González Palencia I, pp. 431-432, nro. 655). 243   Cfr. Luis de Góngora : Romances. III. Edición crítica de Antonio Carreira, pp. 374-381. 244   Coplas compuestas a modo de chiste de | vn clerigo que tenia amores con vna labradora : y de como vn dia | mientras fue su marido al arada el entro con ella / y vieronlo sus | vezinas y luego se vinieron a sentar a su puerta : y ella no tuuo re | medio de sacallo sino en vn seron de estiercol / y lleuandolo fuera | topo con su marido : y ansi huuo de lleuar el marido el estiercol jun | tamente con el clerigo y ella se boluio a su casa y delo que les acaesceo. In : Pliegos Poéticos Españoles en la British Library, Londres. (Impresos antes de 1601.) Tomo III, (Facsímil), pp. 1033-1036. 245   El Truhanesco | [Incisione che rappresenta un pescatore con canna da pesca, inserito in una cornice ovale all’interno della quale si trova questa iscrizione : “Con sofrimiento i callar suelo pescar”.] | El Truhanesco | copilado por Joan Ti- | moneda, en el qual se con- | tienen apazibles y graciosas | Canciones para cantar. Con | todas las obras del honrado | Diego Moreno, que hasta | aqui se han compuesto. | Año. 1573. | Vendese en casa de Joan | Timoneda. (Col. : Impresso en Va | lencia en casa de Joan Nauarro.) In : Pliegos Poéticos Españoles de la Biblioteca Nacional de Viena (Facsímil), pp. 73-96. Nella officina degli eredi di Juan Navarro fu stampata anche la seguente composizione dedicata al tema della venalità dell’amore : A vna cortesana qve se puso en precio (“CON mi crescido cuydado…”). In : Aqui se contienen | muchas Octauas, las quales ha compuesto | el Pastor Secreto, por su Pastora Ga- | latea. Con otras obras muy | graciosas. | Secreto, Pastor. Galatea, Pastora | [Sotto le figurine corrispondenti di un pastore e di una pastora.] | Impressas en Valencia en casa de los he- | rederos de Iuan Nauarro, junto al moli- | no de la Rouella, en este presen- | te Año. In : Pliegos Poéticos Españoles en la Biblioteca del Estado de Baviera de Munich (Facsímil), pp. 473-504 ; qui pp. 484-485. 246   Sulla forma della composizione poetica denominata chiste, cfr. Blanca Periñán : Poeta ludens. Disparate, perqué y chiste en los siglos XVI y XVII. Estudio y textos, pp. 100-108.  











































































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nueuos y galanes di Francisco de Arguello. 247 Anche la poesia germanesca e rufianesca è intensamente diffusa in pliegos sueltos, a partire dalle coplas di Rodrigo de Reinosa, considerato l’iniziatore di questa forma letteraria. 248 Un pliego suelto di due fogli in-4°, stampato a Toledo intorno al 1505/1510 nella officina dello sconosciuto successore di Pedro Hagenbach, ci ha tramandato il più antico esempio di poesia germanesca e rufianesca : Comienza vn razonamiento por coplas en que se contrahaze la jermania y fieros de los rufianes y las mugeres del partido : y de vn rufian llamado cortauiento : y ella catalina torres altas. Fechas por rodrigo de reynosa. 249 Di poco posteriori sono i Fieros que hizo vn rufian en çamora con vna puta (“Yo te voto a dios ximena…”), 250 le cui più antiche edizioni pervenuteci sono quelle stampate a Siviglia nella officina di Jacobo Cromberger, tra il 1511 e il 1515, e nella officina di Juan Varela de Salamanca, tra il 1515 e il 1519, 251 e il Gracioso razonamiento en que se introduzen dos rufianes, anch’esso impresso nella officina di Juan Varela de Salamanca (ca. 1518/1519). 252 Degli anni intorno al 1520 sono i Disparates muy graciosos 253 nei quali figurano i Fieros que haze vn rufian llamado Mendoça contra otro que se dezia Pardo (“PEse a tal reniego de tal...”), 254 mentre il pliego suelto che contiene Vn con 





















247   Chistes nueuos | y galanes nueuamente com | puestos por francisco de arguello. | Y este primero es contra vna mu- | ger enamorada que le hizo vn gran | enojo. Con otras coplas del mismo. In : Pliegos Poéticos Españoles en la British Library, Londres. (Impresos antes de 1601.) Tomo I (Facsímil), pp. 37-44. Si veda anche questa raccolta : Chistes hechos por diuersos | autores por gentil modo y estilo | nueuamente impressos. | [Dentro una cornice cinque incisioni : castello, donzella, galán, viandante, albero.] | (s.d.). In : Pliegos Poéticos Españoles de la Biblioteca Nacional de Lisboa (Facsímil). Madrid : Joyas Bibliográficas 1975, pp. 133-140. 248   Cfr. M. Chevalier : Quevedo y su tiempo, pp. 86-87. 249   Cfr. F. J. Norton : A descriptive catalogue of printing in Spain and Portugal, 1501-1520, p. 382 (nro. 1063). – Antonio Rodríguez-Moñino : Nuevo Diccionario Bibliográfico de Pliegos Sueltos Poéticos (Siglo XVI). Edición corregida y actualizada por Arthur L.-F. Askins y Víctor Infantes, p. 433 (nro, 473). Il romance, che Rodrigo de Reinosa scrisse verso la fine del XV secolo, fu trascritto da Bartolomé José Gallardo nel suo Ensayo de una Biblioteca Española de libros raros y curiosos (Tomo IV, coll. 1405-1408, nro. 4487). Recentemente è stato editato e commentato da César Hernández Alonso - Beatriz Sanz Alonso : Germanía y sociedad en los Siglos de Oro. La cárcel de Sevilla, pp. 321-331. 250   Coplas hechas por Aluaro de solana. En que cuenta como en çamora vido hazer a vn rufian con vna puta los fieros siguientes. In : Coplas de Madalenica. | Otras de tambuen ganadico aña | didas por Jaques normante. | Otros fieros que hizo vn rufian | en çamora con vna puta [Sevilla : Jacobo Cromberger ca. 1511-1515]. In : Pliegos Poéticos Españoles en la British Library, Londres. (Impresos antes de 1601.) Tomo III, (Facsímil), pp. 1043-1046. 251   Cfr. F. J. Norton : A descriptive catalogue of printing in Spain and Portugal, 1501-1520, p. 319 (nro. 863) e p. 358 (nro. 983). – Antonio Rodríguez-Moñino : Nuevo Diccionario Bibliográfico de Pliegos Sueltos Poéticos (Siglo XVI). Edición corregida y actualizada por Arthur L.-F. Askins y Víctor Infantes, pp. 638-639 (nro. 792 e nro. 793). 252   Gracioso razonamiento en que se introduzen dos rufianes el vno preguntando el otro respondiendo en germania de sus vidas y arte de biuir quando viene vn alguazil los quales como vieron fueron huyendo y no pararon hasta el burdel a casa de sus amigas la vna de las quales estaua riñendo con vn pastor sobre que el se quexaua que le auia hurtado los dineros de la bolsa y viendo ella su rufian haze se muerta y el se haze fieros y dize al pastor que se confiesse el qual haziendo lo assi acaba la obra. In : Bartolomé José Gallardo nel suo Ensayo de una Biblioteca Española de libros raros y curiosos. Tomo IV, coll. 1417-1422 (nro. 4491. Testo incompleto. La confesión del pastor, 6 strofe, è stata soppressa “por estar llena de brutales y hediondas obscenidades” !). Cfr. inoltre F. J. Norton : A descriptive catalogue of printing in Spain and Portugal, 1501-1520, pp. 358-359 (nro. 986). – Antonio Rodríguez-Moñino : Nuevo Diccionario Bibliográfico de Pliegos Sueltos Poéticos (Siglo XVI). Edición corregida y actualizada por Arthur L.-F. Askins y Víctor Infantes, pp. 700-702 (nro. 897 e 898). 253   Così vengono datati da Pedro Salvá y Mallen : Catálogo de la Biblioteca de Salvá. Tomo I. Valencia : Imprenta de Ferrer de Orga 1872, p. 16 (nro. 36). 254   Fieros que haze vn rufian llamado Mendoça contra otro que se dezia Pardo porque le requeria a su amiga de amores. In : Disparates muy graciosos y | de muchas suertes hechos. Y vn apara | to de guerra que hizo Montoro. Y vnos fieros | que haze vn rufian contra otro. In : Pliegos Poéticos Españoles en la British Library, Londres. (Impresos antes de 1601.) Tomo III, (Facsímil), pp. 1183-1184. Il testo si legge – con diverse varianti e con il titolo Fieros nueuamente trobados, de vn rufian Mendoça llamado en la ciudad de Seuilla, a otro rufian el Pardo, llamado, sobre vna amiga por que se la requeria de amores – anche in questo pliego suelto : Romance nueuamente trobado de |  













































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capitolo viii

sejo que dio vn Rufian a vnas donzellas, 255 è stato stampato, forse a Valladolid o a Medina del Campo (le coplas contengono una dettagliata enumerazione di strade, vicoli, piazze, piazzette, ponti e fontane delle due città), verso il 1530. 256 Della fine del XVI secolo sono invece romances de jaques, come Vn grande taur de amor, 257 EN vn estrado de damas 258 e Alguno que canta, cantando reniega (“ALta mar esquiua / de ti doy querella…”). 259 Intanto, fra il secondo e l’ultimo decennio del Cinquecento, e precisamente nel 1557, era uscita ad Anversa, “en casa de Martin Nucio, a la enseña de las dos cigüeñas”, una edizione del Cancionero general che costituisce una tappa importante nella storia del genere germanesco e rufianesco. Vi figurano infatti tre composizioni (Soneto : “De quantas coymas tuve toledanas…”. – Carta a vna señora en la Germania, con su canción : “Plega al coyme de las cumbres...”. – Cancion en la Germania : “¿Quien te me enojó, Ysabel ?…”. 260) che rappresentano, osserva Maxime Chevalier, un avvenimento letterario per tre motivi : nella prima composizione “aparece ... por primera vez, 261 el personaje de la Méndez”  























los doze pares de francia. Con vn A.b.c. de Juan | del enzina. Y vnos fieros de vn rufian. | [Incisione nella quale sono raffigurati due cavalieri che, in piena armatura e lancia in resta, combattono l’un contro l’altro ; sullo sfondo, da una parte, un palazzo e le mura fortificate di una città, dall’altra parte, mare e navi a vele spiegate. (Sotto l’incisione inizia il testo, a due colonne)] |. In : Pliegos Poéticos Españoles en la Universidad de Praga. Prólogo del Excmo. Sr. D. Ramón Menéndez Pidal. I, pp. 121-128 (i Fieros occupano le pp. 127-128). 255   Este es vn consejo que dio vn Rufi- | an a vnas donzellas con las coplas del hueuo. | [Cinque incisioni : albero, dama, galán, dama, galán.] In : Pliegos Poéticos Españoles en la British Library, Londres. (Impresos antes de 1601.) Tomo III, (Facsímil), pp. 1229-1233. 256   Cfr. Pedro Salvá y Mallen : Catálogo de la Biblioteca de Salvá. Tomo I, pp. 7-8 (nro. 16). 257   SEPTIMO | QVADERNO DE | varios Romances, los mas moder- | nos que hasta hoy se han | cantado. | 1. Lisardo vn pastor de agrauios. | 2 Si sus mercedes me escuchan. | 3 Mirando esta de Sagunto. | 4 Pues que ya tan dura estas. | 5 Vn grande taur de amor. | Hermosa y dulce Menandra. | [Due figure : pastore, suonatore di chitarra.] | Vendense en la calle de los flaçaderos, | junto a la Merced. | (Col. Impresso en Valencia, en casa de los he | rederos de Iuan Nauarro, junto al | molino de la Rouella. Año | 1595.) In : Pliegos Poéticos Españoles en la Biblioteca Universitaria de Pisa (Facsímil). Madrid : Joyas Bibliográficas 1974, pp. 240-242. Il romance (“Un grande tahur de amor…”) sarà riprodotto nel Romancero General (Ed. de Ángel González Palencia I, pp. 112-113). 258   TERCERO | QVADERNO | de varios Romances, los mas | modernos que hasta oy se han cantado. | 1 En Valencia estaua el Cid. | 2 La que a nadie non perdona. | 3 Banderas antiguas tristes. | 4 La tragedia lastimosa. | 5 En vn estrado de damas. | 6 La noche de S. Dionis. | 7 Si quando juega Marica. | 8 Vida y bona, vida y bona. | [Tre figure : galán, dama, cacciatore.] | Impresso en Valencia, en casa de Diego de la | Torre, junto al Estudio. Año 1598. | Vendense en casa Ioan Batista Timoneda, | à la Merced. In : Pliegos Poéticos Españoles en la Biblioteca Universitaria de Pisa (Facsímil), pp. 33-35. 259   QVINTO | QVADERNO DE | varios Romances los mas modernos | que hasta hoy se han can- | tado. | 1 A Don Aluaro de Luna. | 2 Con amarilla marlota. | 3 En aquella edad dichosa. | 4 Alguno que canta, cantando reniega. | 5 Quando las aguas del Tajo. | 6 Estos son los asnos de sant Anton. | 7 Y no espere mi dolor. | [Due figure : galán che suona la chitarra, donzella.] | Impresso en Valencia, junto al molino de | Rouella. Año 1598. | Vendese en casa de Ioan Baptista Timo- | neda, junto a la Merced. In : Pliegos Poéticos Españoles en la Biblioteca Universitaria de Pisa (Facsímil), pp. 47-49. Alguno que canta, cantando reniega si trova – con il titolo Romance de los presos de la carcel – anche nel già citato Qvarto Qvaderno de varios romances (Vendese en casa de Iuan Baptista Timoneda, junto a la Merced.). Cfr. Pliegos Poéticos Españoles en la Biblioteca del Estado de Baviera de Munich (Facsímil), pp. 74-76. Un romance de jaques è quello, attribuito a Góngora, intitolato A reñir salen furiosos (ant. al 1597), che forse ha ispirato il Desafío de dos jaques di Quevedo. Cfr. Luis de Góngora : Romances. III. Edición crítica de Antonio Carreira, pp. 431-434. – Francisco de Quevedo : Obra poética. Edición de José Manuel Blecua. Tomo III, pp. 328-331 (nro. 858). 260   Cfr. Antonio Rodríguez-Moñino : « Introducción » a : Cancionero general. Recopilado por Hernando del Castillo (Valencia, 1511). Sale nuevamente a luz reproducido en facsímile por acuerdo de la Real Academia Española, pp. 7-174 ; qui pp. 75-77. Le tre composizioni di germanía inserite nella edizione di Amberes del 1557 (si ritroveranno anche nella successiva edizione del Cancionero general : En Anvers, en casa de Philippo Nucio, a la enseña de las dos cigüeñas. Año MDLXXIII. Con privilegio del Rey), sono state riprodotte in : Hernando del Castillo : Cancionero general. Edición de Joaquín González Cuenca. Tomo IV, pp. 704-706, pp. 731-735, pp. 738-739. La Carta a vna señora en la Germania, con su canción e il Soneto sono stati trascritti e commentati in : César Hernández Alonso - Beatriz Sanz Alonso : Germanía y sociedad en los Siglos de Oro. La cárcel de Sevilla, pp. 333-337 e p. 341. 261   Mentre nel Soneto la Méndez viene appena menzionata (“las Méndez, las Correas y Gaitanas...”), nel ro 















































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(la prostituta, menzionata anche nella Pícara Justina, 262 che sarà resa famosa da due celeberrime jácaras di Quevedo : la Carta de Escarramán a la Méndez e la Respuesta de la Méndez a Escarramán) ; la seconda composizione “corresponde al primer ensayo de mitología agermanada” ; la terza composizione, infine, “es la primera poesía germanesca que ha de alcanzar ruidoso éxito”. L’importanza di queste composizioni è poi accresciuta dalla circostanza che esse “se deben al ingenio de unos caballeros españoles que residieron en Londres en 1555” e documentano così “la afición de los caballeros a esta forma de literatura jocosa”. 263 La storia editoriale del genere germanesco e rufianesco culmina con la pubblicazione della raccolta dei Romances de germanía, curata da Juan Hidalgo. Per influsso di questa raccolta, stampata sicuramente prima del 1605, 264 sebbene la sua più antica edizione pervenutaci sia quella allestita nel 1609 nell’officina di Sebastián de Cormellas 265 (successive edizioni : Zaragoza : Juan de Larumbe 1624, 1644, 1654 ; Madrid : Antonio de Sancha 1779), Quevedo scriverà le famose jácaras, 266 che ben possono essere considerate il culmine poetico del genere letterario germanesco e rufianesco. Sia nella prima edizione del Romancero general (En Madrid, Por Luis Sanchez, A costa de Miguel Martinez. 1600), formata riunendo le nove parti della Flor de varios romances nuevos (1589-1597), sia nella seconda edizione dell’opera (En Madrid, por Iuan de la Cuesta. Vendese en casa de Francisco Lopez. 1604), accresciuta di quattro parti, i romances de germanía, con la sola eccezione di Un grande tahur de amor, 267 non figurano. 268 Nelle  



























mance intitolato Perotudo (“En la Ciudad de Toledo / donde flor de Bayles son...”), che Juan Hidalgo considera il piú antico composto nella lingua della germanía, alla figura della Méndez vengono dedicati numerosi versi : “Por gozar de las Pelozas / de los que visoños son, / [el Bayle, el Jaque] trahe tres Marcas godéñas / que le ganen el Cayron. / La una era la Gamez, / la otra la Salmeron, / y la otra era la Mendez, / Mendez de Sotomayor. / [...] / De lo que las Marcas ganan / comprára el Rufo un Troton : / fuerase de feria en feria / que le ganen el Cayron. / La Gamez dexó en Toledo, / en Burgos la Salmeron : / la Mendez lleva consigo / que es Marca de Arte mayor. / [...] / Ponenlo [el Bayle (ladron), el Jaque] en Finibusterre [la horca] / qual la sentencia mandó. / Por allí pasó la Mendez, / dicho le habia ésta razón : / tostadico estais, amigo, / tostadico y puesto al Sol. / Quien ay os puso, amores, / cien dias ganó de perdon, / que à mi sacó de ser Marca, / y à vos de Rufo y Ladron. / Antes que de aqui me vaya / os diré una oracion : / Cuervos os saquen los ojos, / y Aguilas el corazon.” Cfr. PEROTUDO. Este romance es el primero que se compuso en esta lengua : y advierta el Lector que se llama Bayle, porque trata de Ladron que ahorcaron. In : Juan Hidalgo : Romances de Germanía de varios autores. Madrid : Antonio de Sancha 1779, pp. 7-16 ; qui pp. 9-10, p. 16. 262   “Parecian cotorreras de à seys en libra, y no lo eran mas que la Mendez” (Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO : De la Picara Romera. Capitulo I. De la jornada de Leon. Numero tercero. de la entrada de Leon », p. 21). 263   M. Chevalier : Quevedo y su tiempo, pp. 87-88. 264   Cfr. Manual bibliográfico de Cancioneros y Romanceros. I. Impresos durante el siglo XVII. Por Antonio Rodríguez-Moñino. Coordinado por Arthur L.-F. Askins. Madrid : Editorial Castalia 1977, p. 212. 265   ROMANCES DE | GERMANIA | DE VARIOS AVTO- | res con su Bocabulario al cabo | por la orden del a, b, c, para | declaracion de sus ter- | minos y lengua. | Compuesto por Iuan Hidalgo. | Garrancho. La Mendez. | [Sotto questi due nomi, rispettivamente, la figura di un uomo armato di spada e di una donna con un fiore in mano.] | CON LICENCIA, | Del Ordinario, en Barcelona, en casa | Sebastian de Cormellas, al Call, | Año, 1609. | [Linea tipografica] | Vendense en la mesma Emprenta. Cfr. Antonio Rodríguez-Moñino : Manual bibliográfico de Cancioneros y Romanceros. I. Impresos durante el siglo XVII. Coordinado por Arthur L.-F. Askins, pp. 213-215. 266   M. Chevalier : Quevedo y su tiempo, p. 88. 267   Romancero General (1600, 1604, 1605). Edición, Prólogo e Índices de Ángel González Palencia. Madrid : C.S.I.C. 1947, 2 tomi ; qui Tomo I, pp. 112-113 (nro. 161). 268   E non a caso. L’editore-libraio Francisco López – a sue spese fu allestita l’edizione del Romancero general del 1604 stampata nella officina di Juan de la Cuesta e accresciuta delle parti X-XIII – assicura infatti il lettore della raccolta di “no poner cosa que ofenda a orejas castas, ni al exemplo publico”. Cfr. A. Rodríguez-Moñino : Manual bibliográfico de Cancioneros y Romanceros. I. Impresos durante el siglo XVII, pp. 64-65 (qui è riprodotta l’introduzione di Francisco López « Al Lector »). La censura esercitata dagli editori del Romancero non era però così severa da sopprimere composizioni erotiche che giocavano su doppi sensi chiaramente osceni, come Ya empieça a deletrear Perico (nro. 135), Madrugastes, vecina mia (nro. 613), Caracoles me pide la niña (nro. 977) ed altre.  











































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capitolo viii

tredici parti che compongono la vasta antologia numerosissime sono invece le composizioni festive, satiriche e burlesche 269 (tra di esse spiccano i ritratti – e autoritratti – caricaturali di hidalgos e escuderos poveri, 270 di donne vecchie 271 o di donne interessate, disposte ad amare solo in cambio di denaro e regali 272). Fra queste composizioni festive, satiriche e burlesche del Romancero general (1600-1604), diverse sono di poeti come Góngora, 273 Lope de Vega, 274 Juan Salinas y Castro, 275 Pedro Liñán de  













269   Romancero General (1600, 1604, 1605). Edición, Prólogo e Índices de Ángel González Palencia. Tomo I, nro. 4, 78, 79, 85, 86, 87, 88, 89, 90, 99, 100, 101, 102, 118, 119, 125, 126, 128, 145, 146, 152, 161, 195, 198, 206, 209, 264, 273, 274, 278, 281, 282, 299, 300, 301, 303, 311, 313, 333, 343, 428, 467, 475, 476, 501, 508, 552, 568, 599, 604, 613, 614, 621, 622, 631, 633, 639, 641, 655, 665, 667, 669, 673, 675, 676, 686, 687, 688, 695, 699, 701, 704, 712, 743, 744, 755, 756, 757, 767, 768, 769, 777, 803. Tomo II, nro. 818, 822, 826, 827, 851, 860, 863, 877, 879, 880, 880 bis, 881, 882, 884, 904, 906, 910, 914, 915, 916, 920, 927, 931, 936, 938, 939, 941, 947, 948, 949, 950, 954, 955, 956, 958, 959, 963, 967, 970, 971, 972, 973, 974, 976, 977, 979, 982, 983, 992, 1.006, 1.009, 1.010, 1.014, 1.016, 1.027, 1.029, 1.034, 1.037, 1.040, 1.046, 1.049, 1.054, 1.056 bis, 1.059, 1.062, 1.065, 1.067, 1.070, 1.074, 1.078, 1.081, 1.091, 1.093, 1.097, 1.098, 1.099, 1.101, 1.106. Il tomo I dell’edizione di Ángel González Palencia contiene le parti I-IX (Romancero general, en qve se contienen todos los Romances que andan impressos en las nueue partes de Romanceros. Aora Nueuamente impresso, añadido, y emendado. Año 1600. Con licencia, En Madrid, Por Luis Sanchez. A costa de Miguel Martinez), pubblicate negli anni 1589-1597 (la « Licencia » di stampa concessa a Miguel Martínez è datata Madrid, 4 settembre 1599) ; il tomo II le parti X-XIII, aggiunte alla nuova edizione (Romancero general, en qve se contienen todos los Romances que andan impressos. Aora Nueuamente añadido, y enmendado. Año 1604. Con licencia, En Madrid, por Juan de la Cuesta. Vendese en casa de Francisco Lopez), che probabilmente erano state in precedenza pubblicate, singolarmente, sino al 1601 (la « Licencia » di stampa concessa a Francisco López è datata Madrid, 16 febbraio 1601). Il tomo II dell’edizione del Romancero general di Ángel González Palencia contiene anche gran parte dei testi raccolti nella Segunda parte del Romancero general (Valladolid : Luis Sánchez 1605), compilata da Miguel de Madrigal. Anche questa Segunda parte, che ottenne l’approvazione del censore, Antonio de Herrera, il 18 ottobre 1604 e la licenza di stampa di Filippo III, firmata da Juan de Amezqueta, il 12 novembre 1604, contiene composizioni satirico-burlesche, come quelle del nro. 1.183 e del nro. 1286 sotto citate. 270   Romancero General (1600, 1604, 1605). Edición, Prólogo e Índices de Ángel González Palencia I, pp. 59-60 (nro. 79), pp. 509-510 (nro. 757) ; II, p. 75 (nro. 914), p. 87 (nro. 931), p. 195 (nro. 1.097). 271   Romancero General (1600, 1604, 1605). Edición, Prólogo e Índices de Ángel González Palencia II, p. 108 (nro. 963), pp. 111-112 (nro. 970), p. 155 (nro. 1.046), p. 191 (nro. 1.091), p. 257 (nro.1.183), pp. 309-310 (nro. 1.286). Questi ‘ritratti’ si ricollegano alla tradizione del vituperium vetulae, tema tanto coltivato, da Marziale al Boccaccio, dal Poliziano al Machiavelli, da Diego Hurtado de Mendoza a Sebastián de Horozco e a Quevedo. Cfr. Marco Valerio Marziale : Epigrammi. A cura di Giuseppe Norcio. Torino : U.T.E.T. 1980, p. 278 (Epigrammaton Libri : III, 93), p. 434 (VI, 93), p. 570 (IX, 37). – Giovanni Boccaccio : Corbaccio. In : G. B. : Opere minori in volgare. A cura di Mario Marti. IV. Milano : Rizzoli 1972, pp. 200-308. – Angelo Poliziano : Poesie. A cura di Francesco Bausi. Torino : U.T.E.T. 2006, pp. 377-380 (“Una vecchia mi vagheggia…”). – Niccolò Machiavelli : Lettera a Luigi Guicciardini (Verona, 8 dicembre 1509). In : Opere. II. A cura di Corrado Vivanti. Torino : Einaudi (Biblioteca della Pléiade) 1999, pp. 205-206. – Diego Hurtado de Mendoza : Poesía completa. Edición, introducción y notas de José Ignacio Díez Fernández. Barcelona : Planeta 1989, pp. 270-271, nro. CXXXIX (“Ser vieja y arrebolarse…”), p. 312, nro. CLXVIII (“Gesto de crueza, vieja desambrida…”), pp. 363-364, nro. CC (“Tenéis, señora Aldonza, tres treinta años…”). – Florence Dumora : Le Cancionero de Sebastián de Horozco, auteur tolédan du XVIe siècle. (Édition, Introduction et Notes), I, pp. 288-289, nro. 46 (El auctor a una puta vieja alcagüeta : “Puta vieja embaïdora…”). – Francisco de Quevedo : Obra poética. II. Edición de José Manuel Blecua. Madrid : Castalia 1970, pp. 482-486, nro. 738 (“Marca Tullia se llamaba…”), pp. 508-513, nro. 748 (“Viejecita, arredro vayas…”). – Francisco de Quevedo : Obra poética. III. Edición de José Manuel Blecua. Madrid : Castalia 1971, pp. 139-147, nro. 782 (“Salió trocada en menudos…”) ; pp. 166-177, nro. 788 (“Ya que al hospital de Amor…”). 272   Romancero General (1600, 1604, 1605). Edición, Prólogo e Índices de Ángel González Palencia I, p. 174 (nro. 264), p. 288 (nro. 439), p. 289 (nro. 440), pp. 467-468 (nro. 701) ; II, p. 73 (nro. 910), pp. 84-85 (nro. 925), pp. 169-170 (nro. 1.065), pp. 347-348 (nro. 1371 = Quevedo : Obra poética II, nro. 736, pp. 467-475). 273   Romancero General (1600, 1604, 1605). Edición, Prólogo e Índices de Ángel González Palencia, nro. 4, 85 (apocrifa), 90, 198, 428, 744 (attribuita), 756, 822, 880 bis, 906, 938, 950, 959, 974, 976 (apocrifa), 977 (apocrifa), 983 (apocrifa). Della Letrilla apocrifa Caracoles me pide la niña (nro. 977) il Romancero General riproduce solo tre strofe. Il testo completo, composto di sette strofe, di questa Letrilla trasparentemente oscena è trascritto in : Luis de Góngora : Letrillas. Edición, introducción y notas de Robert Jammes, pp. 251-254. – Pierre Alzieu, Robert Jammes, Yvan Lissorgues : Poesía erótica del Siglo de Oro, pp. 166-168. 274   Romancero General (1600, 1604, 1605). Edición, Prólogo e Índices de Ángel González Palencia, nro. 209, 303, 552, 910. 275   Romancero General (1600, 1604, 1605). Edición, Prólogo e Índices de Ángel González Palencia, nro. 79, 667, 704, 743, 920.  

































































il contesto letterario della pícara justina

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Riaza, 276 e – in particolare – di Gabriel Lobo Lasso de la Vega. 277 Fecondo autore di romances, talvolta amaramente autobiografici, Gabriel Lobo Lasso de la Vega è uno dei pochi poeti che li riunisce e li fa stampare : nel 1601 esce a Zaragoza il suo Manojuelo de romances nuevos (di questa editio princeps un solo esemplare è conosciuto, quello conservato nella Biblioteca Nazionale di Napoli 278) ; nel 1603, sempre a Zaragoza, viene pubblicata la Segunda parte del manojuelo de romances nuevos (di questo libro, il cui contenuto era stato però descritto dettagliatamente da Bartolomé José Gallardo, 279 non ci è pervenuto alcun esemplare). Molte sono le composizioni festive, satiriche e burlesche del Manojuelo de romances nuevos ; ne ricordiamo alcune : Ya tengo gastadas las losas del patio ; Por cierto, señora Tirsi – in questo romance si leggono i versi : “Yo soy un hidalgo pobre, / sólo falta el ser de aldea / para no faltar en nada / a todo lo que es laceria / […] / Sigo la Corte, pendiente / de unas remotas promesas, / que de ciertos personajes / tengo por vías secretas…” – ; Allá nos aguarda a todos ; Ya entendí que estaba libre ; Arrimar quiero las coplas ; Ya callo, señora. 280 Oltre al Manojuelo di Gabriel Lobo Lasso de la Vega, furono pubblicati nei primi tre anni del Seicento quei Romanceros che – come la Flor de varios romances nuevos (Zaragoza : Alonso Rodríguez 1602) o la Flor de varios romances (Madrid 1603 ?) – contribuirono a formare le parti X-XIII della edizione del Romancero general uscita a Madrid nel 1604. Purtroppo questi Romanceros non ci sono pervenuti o ci sono pervenuti incompleti e privi del frontespizio. 281 Anche molte canzoni popolari erano satiriche e burlesche, come documenta il monumentale Nuevo Corpus de la antigua lírica popular hispánica di Margit Frenk. E burlesche erano molte delle composizioni erotiche, come testimonia l’antologia Poesía erótica del Siglo de Oro curata da Pierre Alzieu, Robert Jammes e Yvan Lissorgues. Sebbene parziali, i dati sinora illustrati danno una sia pur approssimativa idea di quanto grande fosse la produzione di composizioni festive, giocose, satiriche e burlesche e di quanto intensa fosse la loro diffusione, vuoi attraverso pliegos sueltos, Cancioneros e Romanceros stampati, vuoi attraverso manoscritti 282 (soprattutto attraverso la circolazione  





































276   Romancero General (1600, 1604, 1605). Edición, Prólogo e Índices de Ángel González Palencia, nro. 278, 281, 282. 277   Romancero General (1600, 1604, 1605). Edición, Prólogo e Índices de Ángel González Palencia, nro. 979, 1.034, 1.037, 1.040, 1.046 (attribuito, senza fondamento, anche a Góngora), 1.056 bis, 1.059, 1.062 (attribuito senza fondamento anche a Góngora), 1.065, 1.067, 1.070, 1.074, 1.081, 1.093, 1.097, 1.098, 1.099, 1.101, 1.106. 278   Antonio Rodríguez-Moñino (Manual bibliográfico de Cancioneros y Romanceros. I. Impresos durante el siglo XVII, 18) segnala anche un altro esemplare : “Cieza, Biblioteca de A. Pérez Gómez (ejemplar de Krauss)”. 279   Cfr. Antonio Rodríguez-Moñino : Manual bibliográfico de Cancioneros y Romanceros. I. Impresos durante el siglo XVII, pp. 51-54. 280   Gabriel Lasso de la Vega : Manojuelo de romances. (Edición de Eugenio Mele y Ángel González Palencia.) Madrid : Editorial Saeta 1942, pp. 33-37 (nro. 11), pp. 137-140 (nro. 50), pp. 143-146 (nro. 52), pp. 151-154 (nro. 55), pp. 243-245 (nro. 90), pp. 340-343 (nro. 122). 281   Cfr. Ángel González Palencia : « Prólogo » a : Romancero General (1600, 1604, 1605), pp. V-LXVII ; qui pp. XXI-XXII. – Antonio Rodríguez-Moñino : Manual bibliográfico de Cancioneros y Romanceros. I. Impresos durante el siglo XVII, pp. 28-45. 282   Negli ambienti letterari toledani circolava manoscritta la poesia satirica di Sebastián de Horozco e di Luis Hurtado de Toledo (Hospital de neçios. ca. 1582 ?). La poesia satirica e burlesca era particolarmente coltivata anche a Valladolid. Si ricordino, per esempio, le Coplas del Provincial Segundo, che circolarono negli anni 15461547 per Valladolid suscitando tanto scandalo da provocare l’arresto e poi la condanna all’esilio del suo autore, Don Diego de Acuña, regidor di Valladolid, o la Descripción burlesca de la fiesta que el 3 de mayo [de 1594] hizo en aquella villa [Valladolid] la cofradía de la Veracruz en la Puerta del Campo junto al Humilladero. Citanse nombres de personas principales, que por aquella época residían en Valladolid. Cfr. Luis Antonio Ribot García et al. : Valladolid, corazón del mundo hispánico. - Siglo XVI (= Historia de Valladolid. - III). Valladolid : Ateneo de Valladolid 1981, p. 258 e pp. 267-268.  

























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capitolo viii

di copie manoscritte di singole composizioni, come avveniva in particolare per la poesia erotica e la satira politica, anch’essa ricca di motivi burleschi 283).  

Lirica popolare intessuta nella Pícara Justina I cantarcillos e i villancicos ricordati nella Pícara Justina, sui quali aveva richiamato l’attenzione già Julio Puyol y Alonso, 284 sono stati ora tutti schedati nel Nuevo Corpus de la antigua lírica popular hispánica di Margit Frenk. Eccoli :  



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“Mas valeis vos antona, que la corte toda”. (= “Más valéis vos, Antona, / que la corte toda.” 286) “No auia moça que no gustase de tenerle contento [al tamborilero y gaytero], y ser su parroquiana, teniendo muy en la memoria aquel refran que dize : A ruydo de gaytero erame yo casamentero.” 287 (= “Madre, kasarme kiero, / ke me lo dixo el tamborilero.” 288) “Y si a caso yo al descuydo les daua vna onça, de mirame Miguel, alli era el alcachofar el alma, y regraciar mi vista, con tanto del meneo, que parecian sus rostros colas de mula rabona [...]. Es risa pensar que esta atenido el amor a mirame Miguel, no creo en amor, si esse es amor.” 289 (= “Pues que me tienes, Miguel, por esposa, / ¡mírame, Miguel, cómo soi hermosa !” 290) “Y le pudieran cantar las moças del meson, el cantar de Carmona, que dize, Mas valeys vos Diego Gil, que otros cien mil.” 291 (= “Más valéys vos, Diego Gil, / que otros cien mil.” 292) “vean que soys picara de ocho costados, y no como otros, que son pícaros de quien te me enojô Isabel, que al menor repiquete de broquel, se meten a ganapanes”. 293 (= “¿Quién te me enojó, Ysabel ? / ¿Quién con lágrimas te tiene ? Que hago voto solene / que pueden doblar por él.” 294) “Miren que aliño para vna pobre diez y ochena, que era niña y manceba y nunca en tal se  



























283   Sulla diffusione manoscritta della poesia satirica secentesca offre una moltitudine di dati il vastissimo « Corpus documental » messo insieme da Mercedes Etreros (La sátira política en el siglo XVII. Madrid : Fundación Universitaria Española 1983, pp. 211-402). 284   Julio Puyol y Alonso : Estudio crítico de la Pícara Justina. In : Licenciado Francisco López de Úbeda : La Pícara Justina. Tomo III, pp. 12-14. 285   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO PRIMERO, INTITVLADO LA PICARA Montañesa. CAPITVLO SEGVNDO DEL abolengo alegre. NVMERO SEGVNDO DEL Abolengo festiuo », p. 69. 286   Margit Frenk : Nuevo Corpus de la antigua lírica popular hispánica (siglos XV a XVII). Volumen I, p. 112, nro. 103. 287   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO PRIMERO, INTITVLADO LA PICARA Montañesa. CAPITVLO SEGVNDO DEL abolengo alegre. NVMERO SEGVNDO DEL Abolengo festiuo », p. 68. 288   Margit Frenk : Nuevo Corpus de la antigua lírica popular hispánica (siglos XV a XVII). Volumen I, pp. 171173, nro. 197. 289   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO QVARTO DE LA PICARA NOBIA. CAPITVLO TERCERO DE LOS Pretendientes, que ni quiero, ni creo », pp. 20-21. 290   Julio Puyol y Alonso : Notas. In : Licenciado Francisco López de Úbeda : La Pícara Justina. Tomo III, pp. 320-321, nota nro. 103. – Margit Frenk : Nuevo Corpus de la antigua lírica popular hispánica (siglos XV a XVII). Volumen I, pp. 122-123. 291   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO PRIMERO, INTITVLADO LA PICARA Montañesa. CAPITVLO SEGVNDO [TERCERO !] DE LA vida de el meson. Numero primero. De el mesonero consejero », p. 84. 292   Julio Puyol y Alonso : Notas. In : Licenciado Francisco López de Úbeda : La Pícara Justina. Tomo III, pp. 274-275, nota nro. 22. – Margit Frenk : Nuevo Corpus de la antigua lírica popular hispánica (siglos XV a XVII). Volumen I, p. 262, nro. 333. 293   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO PRIMERO, INTITVLADO LA PICARA Montañesa. CAPITVLO SEGVNDO DEL abolengo alegre. Numero primero. Del abolengo parlero », p. 58. 294   Julio Puyol y Alonso : Notas. In : Licenciado Francisco López de Úbeda : La Pícara Justina. Tomo III, pp. 267-269, nota nro. 14. – Margit Frenk : Nuevo Corpus de la antigua lírica popular hispánica (siglos XV a XVII). Volumen I, pp. 323-324, nro. 449.  





























































il contesto letterario della pícara justina 295

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vio”. (= “Señor Gómez Arias, duélete de mí : / soy niña y muchacha / y nunca en tal me vi.” 296) “mi picarillo, de quando en quando, me soliuiaua con vn cantarcito, que dezia, no durmays ojuelos verdes, que por la mañanita lo dormiredes” 297 (= “Rrecordad, mis ojuelos verdes, / c’a la mañana dormiredes.” 298) “cantaua. Tarraga por aqui van a Malaga, &c. y dezia la copla, Tarraga por que camino rendire de amor el pecho ? [...] Tarraga por aqui van a Malaga : Tarraga por aqui van alla.” 299 (= “Tárraga, por aquí van a Málaga, / tárraga, por aquí van allá.” 300) “Lo que me quise me quise : lo que me quise me tengo yo.” 301 (= “Lo que me quise, me quise, me tengo, / lo que me quise me tengo yo.” 302) “No en vano dize el cantar : Mariquita daca mi manto que no puedo estar encerrada tanto.” 303 (= “Teresica, daca mi manto, / que no puedo estar encerrada tanto.” 304) “Yo soy due[ro], / que todas las aguas be[uo]”. 305 (= “Yo soy Duero, / que todas las aguas bevo.” 306) “Sali de noche [...] me vio vn tauernero, por señas que me dixo, viendome yr vestida de colorado. Colorada va la nouia : ella resbalara, o cayra, o cayra.” 307 (= “Kavallera va la novia, ¡há ! / Ella rresvalará i kaerá.” 308)  









































295   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO SEGVNDO INTITVLADO LA PICARA Romera. En que se trata la jornada de Arenillas. CAPITVLO SEGNDO DE LA Vigornia burlada. Numero primero. De la entretenedora astuta », p. 153. 296   Julio Puyol y Alonso : Notas. In : Licenciado Francisco López de Úbeda : La Pícara Justina. Tomo III, p. 280, nota nro. 34 (Cantar de Gómez Arias). – Margit Frenk : Nuevo Corpus de la antigua lírica popular hispánica (siglos XV a XVII). Volumen I, pp. 601-606, nro. 888 A – 888 C. Luis Vélez de Guevara trattò il tema del cantarcillo nella commedia La niña de Gómez Arias, che a sua volta ispirerà a Calderón la commedia dallo stesso titolo. I versi del cantarcillo Calderón li ‘citerà’ anche nella commedia La dama duende (“Señora Dama Duende, / duélase de mi, / que soy niño y solo, / y nunca en tal me vi.” Cfr. Primera Parte de Comedias de don Pedro Calderón de la Barca. Edición de A. Valbuena Briones. I (= Clásicos Hispánicos. Serie II, Vol. XX). Madrid : C.S.I.C. 1974, p. 498 (vv. 1569-1572). 297   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO DE la Picara Romera. Capitulo IIII. De la romera de Leon. Numero primero de la romera dormida y dispierta », p. 73. 298   Margit Frenk : Nuevo Corpus de la antigua lírica popular hispánica (siglos XV a XVII). Volumen I, pp. 739-740, nro. 1086. 299   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO DE la Picara Romera. Capitulo quarto [segvndo !] del fullero burlado. Numero segundo : de la vergonçosa engañadora », p. 37. 300   Margit Frenk : Nuevo Corpus de la antigua lírica popular hispánica (siglos XV a XVII). Volumen I, pp. 1014-1015, nro. 1492. 301   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO DE la Picara Romera. Capitulo. I. De la jornada de Leon. Numero primero, Del afeyte mal[em] pleado », p. 6. 302   Margit Frenk : Nuevo Corpus de la antigua lírica popular hispánica (siglos XV a XVII). Volumen II, pp. 1090-1091, nro. 1546. 303   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO TERCERO DE LA PICARA PLEYTISTA. Capitulo primero de la hermana perseguida », p. 191. 304   Margit Frenk : Nuevo Corpus de la antigua lírica popular hispánica (siglos XV a XVII). Volumen II, p. 1293, nro. 1811. 305   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « TERCERA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO : De la Picara Romera, Capitulo 4. de la partida de Leon. Numero tercero, de los trajes de Montañeses y Coritos », p. 180. 306   Margit Frenk : Nuevo Corpus de la antigua lírica popular hispánica (siglos XV a XVII). Volumen II, pp. 1342-1343, nro. 1875 A – 1875 B. 307   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO SEGVNDO INTITVLADO LA PICARA Romera. En que se trata la jornada de Arenillas. CAPITVLO PRIMERO, de la Romera Baylona. Numero primero. De la castañeta repentina », p. 118. Cfr. anche « CAPITVLO SEGVNDO DE LA Vigornia burlada. NVMERO SEGVNDO DEL parlamento loco », p. 168 (“colorada va la dama”). 308   Margit Frenk : Nuevo Corpus de la antigua lírica popular hispánica (siglos XV a XVII). Volumen II, p. 1471, nro. 2038.  



























































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“juego que llaman los niños, pelos a la mar”. 309 (= “Pelillos a la mar, / para nunca desquitar.” 310) “Madre, la mi madre / Remedia[d]me vos, / Que me miran ojos, / Con amor traydor. / Prestadme vnos ojos, / Contra el mal miron. / Porque me desquite, / Y le cante yo.” 311 Il primo verso – forse l’intera composizione – appartiene alla poesia tradizionale (“Madre, la mi madre, / guardas me ponéys...” ; “Madre, la mi madre, / guardarme queréis...” 312).  









Nella prosa della Pícara Justina sono intessuti anche versi di romances, o allusioni ad essi. 313 Cosí, per esempio, viene citata La bella malmaridada (“La musica fue buena, y cantaron el cantar de la bella malmaridada, que fue pronostico de mis sucessos” 314), uno dei più popolari romances. 315 Ricordiamo, inoltre, due versi tratti dal Romance de Doña Vrraca (“Morir vos queredes padre...”) e trascritti quasi letteralmente in prosa (“hallan [halla] en Castilla la vieja, vn rincon se me oluidara”. 316 – “alla en castilla la vieja / vn rincon se me oluidaua” 317) e un verso tratto dal romance intitolato De la tristeza que tuvieron los zamoranos (“Tristes van los zamoranos...”), uno dei romances dell’assedio di Zamora (“todos duermen en Zamora”. 318 – “todos duermen en Zamora, / mas no duerme Arias Gonzalo” 319). Nella frase “Sacaron a la infanta detras de la manta”, 320 è chiara l’allusione al primo verso del Romance del conde Alarcos y de la infanta Solisa (“Retrayda está la infan 















309   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « INTRODVCCION GENERAL, PARA TODOS los tomos y libros. Escrita de mano de Iustina. Intitulada la Melindrosa Escriuana. DIVIDESE ESTA INTRODVCCION en tres numeros. Numero primero, Del melindre al pelo de la pluma », p. 12. 310   Margit Frenk : Nuevo Corpus de la antigua lírica popular hispánica (siglos XV a XVII). Volumen II, p. 1490, nro. 2056. 311   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO DE la Picara Romera. Capitulo quarto [segvndo !] del fullero burlado. Numero segundo : de la vergonçosa engañadora », p. 36. 312   Margit Frenk : Nuevo Corpus de la antigua lírica popular hispánica (siglos XV a XVII). Volumen I, p. 142, nro. 152. 313   Nel « Prologo » l’autore affermava : “no ay cosa buena en romancero, comedia, ni poeta Español cuya nata aqui no tenga : y cuya quinta essencia no saque” (Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « Prologo summario de ambos los tomos, de la Picara Iustina », fo. [A 9r]). 314   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO QVARTO. DE LA PICARA NOBIA. CAPITVLO QVINTO DE LA boda del meson », p. 43. 315   Cfr. Cancionero Musical de los siglos XV y XVI. Transcrito y comentado por Francisco Asenjo Barbieri, pp. 104-107. – F. J. Norton : A descriptive catalogue of printing in Spain and Portugal, 1501-1520, p. 345 (nro. 949). – Hernando del Castillo : Cancionero General. Tomo cuarto. Edición de Joaquín González Cuenca. Madrid : Castalia 2004, p. 710 (nro. 98**). – Antonio Rodríguez-Moñino : Nuevo Diccionario Bibliográfico de Pliegos Sueltos Poéticos (Siglo XVI). Edición corregida y actualizada por Arthur L.-F. Askins y Víctor Infantes, p. 288 (nro. 240), p. 310 (nro. 271), p. 369 (nro. 369.5), p. 567 (nro. 677), p. 587 (nro. 712), p. 644 (nro. 804). Il romance ispirò a Lope de Vega la commedia intitolata La Bella malmaridada. Innumerevoli dati sulla diffusione della Bella malmaridada (anche : mal casada) sono offerti da José J. Labrador Herraiz e Ralph A. DiFranco nelle « Notas » (pp. 385-400) alla loro dotta edizione del Cancionero autógrafo di Pedro de Padilla. 316   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO PRIMERO, INTITVLADO LA PICARA Montañesa. CAPITVLO SEGVNDO [TERCERO !] DE LA vida de el meson. Numero primero. De el mesonero consejero », p. 71. 317   Cancionero de Romances impreso en Amberes sin año [c. 1547-1548]. Edición facsímil con una introducción por R. Menéndez Pidal, fo. 158r-v. 318   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO SEGVNDO INTITVLADO LA PICARA Romera. En que se trata la jornada de Arenillas. CAPITVLO SEGVNDO DE LA Vigornia burlada. NVMERO SEGVNDO DEL parlamento loco », p. 172. 319   Romancero español. Selección de romances antiguos y modernos, según las colecciones más autorizadas y estudio preliminar por Luis Santullano. Madrid : Aguilar 1968, pp. 462-464. 320   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO DE la Picara Romera. Capitulo quarto [segvndo !] del fullero burlado. Numero segundo : de la vergonçosa engañadora », p. 37 [45 !].  



































































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ta...” 321) e ad un refrán registrado da Gonzalo Correas (“Retraída está la infanta detrás de la manta, bien así como solía, sin basquiña” 322).  



La letteratura celestinesca La Celestina, l’opera più frequentemente citata nella Pícara Justina, 323 ha goduto, come è noto a tutti gli studiosi della letteratura del Siglo de Oro, sin dall’inizio del XVI e fino alla metà del XVII secolo, di “prodigiosa fama”, 324 di “inmensa popularidad”. 325 Fra il 1500 e il 1644 furono stampate – senza contare quelle che non ci sono pervenute – quasi novanta edizioni in castigliano della Tragicomedia de Calixto y Melibea, un successo editoriale che fece dell’opera di Fernando de Rojas “the most successful piece of fiction in the entire Golden Age”. 326 Nella sola Salamanca, dove la “madre Celestina” (madre de putas, ovviamente) faceva parte – come ricorderemo pià avanti parlando dei Coloquios de Palatino y Pinciano – del folclore studentesco, vennero pubblicate fra il 1543 e il 1590 ben otto edizioni della Tragicomedia de Calisto y Melibea. 327 Nel 1540 era stata stampata a Salamanca, nell’officina di Pedro de Castro, la Celestina versificata : Tragicomedia de Calixto y Melibea : nueuamente trobada y sacada de prosa en metro castellano por Juan Sedeño. 328 Era talmente di moda la Celestina da ispirare diversi romances, diffusi in pliegos sueltos – come quelli già ricordati, o come il Romance nueuamente hecho de Calisto y Melibea  















321   Cancionero de Romances impreso en Amberes sin año [c. 1547-1548]. Edición facsímil con una introducción por R. Menéndez Pidal, fo. 107v. 322   Gonzalo Correas : Vocabulario de refranes y frases proverbiales (1627). Edición de Louis Combet, p. 710 (Correas annota : “Es imitación en chocamoca de un romance viejo”). 323   Cfr. Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605. « PROLOGO AL LECTOR. EN EL QVAL DEclara el Autor el intento de todos los tomos, y libros, de la Picara Iustina », fo. [A 7r]. – « Prologo summario de ambos los tomos, de la Picara Iustina », fo. [A 9r]. – « INTRODVCCION GENERAL, PARA TODOS los tomos y libros. Escrita de mano de Iustina. Intitulada la Melindrosa Escriuana. DIVIDESE ESTA INTRODVCCION en tres numeros. Numero segundo [tercero !]. Del melindre a la culebrilla », p. 30. – « LIBRO PRIMERO, INTITVLADO LA PICARA Montañesa. CAPITVLO PRIMERO, de la Escriuana fisgada. Numero primero. Del fisgon medroso », p. 40. – « LIBRO PRIMERO, INTITVLADO LA PICARA Montañesa. CAPITVLO SEGVNDO [TERCERO !] DE LA vida de el meson. NVMERO SEGVNDO DE LA Mesonera Astuta », p. 87 [85 !]. – « LIBRO PRIMERO, INTITVLADO LA PICARA Montañesa. CAPITVLO SEGVNDO [TERCERO !] DE LA vida de el meson. NVMERO TERCERO DE LA muerte de los Mesoneros », p. 107. – « LIBRO SEGVNDO INTITVLADO LA PICARA Romera. En que se trata la jornada de Arenillas. CAPITVLO SEGVNDO DE LA Vigornia burlada. NVMERO SEGVNDO DEL parlamento loco », p. 166 (“Dile algunos sorbos de Celestina [...]. [...] los cuentos de mi señora madre Celestina). – « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO DE la Picara Romera. Capitulo. I. De la jornada de Leon. Numero primero, Del afeyte mal[em]pleado », p. 9. – « TERCERA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO De la Picara Romera. Capitulo 4. de la partida de Leon. Numero tercero, de los trajes de Montañeses y Coritos », p. 180 (« Sextillas vnisonas de nombres y verbos cortados »). – « LIBRO TERCERO DE LA PICARA PLEYTISTA. Capitulo tercero de la vieja Morisca », p. 209. 324   Maxime Chevalier : Lectura y lectores en la España de los siglos XVI y XVII. Madrid : Turner 1976, p. 138. 325   Miguel Ángel Pérez Priego : « Introducción » a : Cuatro comedias celestinescas. [Edición de] M. A. P. P. (= Textos Teatrales Hispánicos del siglo XVI, 3). UNED. Universidad de Sevilla – Universitat de València 1993, pp. 9-47 ; qui p. 9. 326   Keith Whinnom : The problem of the ‚best seller’ in Spanish Golden-Age literature. In : Bulletin of Hispanic Studies 57 (1980), pp. 189-198 ; qui p. 191 e p. 193. 327   Juan de Junta 1543. – s. s. 1552. – Herederos de Juan de Junta 1558. – Mathias Mares 1569. – Por Mathias Gast. A costa de Simón Borgoñón 1570. – Alvaro Ursino de Portonariis 1575. – Pedro Lasso 1577. – En casa de Juan y Andres Renaut. A costa de Claudio Curlet 1590. Cfr. Lorenzo Ruiz Fidalgo : La imprenta en Salamanca (1501-1600), I, p. 330 (nro. 249), p. 412 (nro. 377) ; II, p. 513 (nro. 514), pp. 663-664 (nro. 724), pp. 694-695 (nro. 763), p. 805 (nro. 914), p. 840 (nro. 955) ; III, pp. 1112-1113 (nro. 1311). 328   Cfr. Lorenzo Ruiz Fidalgo : La imprenta en Salamanca (1501-1600), I, p. 316 (nro. 229). – M. Menéndez Pelayo : Orígenes de la novela. Edición preparada por D. Enrique Sánchez Reyes. IV, pp. 16-18.  





















































































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(Sevilla : Jacobo Cromberger 1513) 329 –, da influenzare, già a pochi anni dalla sua pubblicazione, autori come Pedro Manuel de Urrea (Égloga de la Tragicomedia de Calisto y Melibea, de prosa trobada en verso. 1513. 330 – Penitencia de Amor. 1514 331), Juan del Enzina (Égloga de Plácida y Vitoriano. 1513 332), Bartolomé de Torres Naharro (Ymenea. 1517 333) e Gil Vicente (Auto do velho da Horta. 1512. – Barca do Inferno. 1517. 334 – Farsa do juyz da Beyra. 1525. – Auto das Fadas. 1527 ca. 335), e da dare origine a tutta una serie di imitazioni e di continuazioni. 336 Julio Puyol y Alonso, inserendo la Pícara Justina nella tradizione delle opere chiamate lupanarias, 337 menzionava sommariamente – oltre al Libro de Buen Amor (episodio di Don Melón e Doña Endrina ; figura di Trotaconventos) di Juan Ruiz – la Tragicomedia de Calixto y Melibea e le seguenti opere di derivazione ‘celestinesca’ : la Comedia llamada Thebayda, la Comedia llamada Ypolita e la Comedia llamada Seraphina (Valencia :  

























329   Romance nueuamente hecho de Calisto y Melibea que trata de todos sus amores y de las desastradas muertes suyas, y de la muerte de sus criados Sempronio y parmeno y de la muerte de aquella desastrada muger Celestina intercessora en sus amores. Cfr. M. Menéndez Pelayo : Orígenes de la novela. Edición preparada por D. Enrique Sánchez Reyes. IV, pp. 15-16. – Antonio Rodríguez-Moñino : Nuevo Diccionario Bibliográfico de Pliegos Sueltos Poéticos (Siglo XVI). Edición corregida y actualizada por Arthur L.-F. Askins y Víctor Infantes, pp. 787-788 (nro.1042). 330   Cancionero delas obras de don Pedro Manuel de Vrrea. Logroño : Arnao Guillén de Brocar 1513. Cfr. Bartolomé José Gallardo : Ensayo de una Biblioteca Española de libros raros y curiosos. Tomo IV, coll. 838-846 (nro. 4121). – F. J. Norton : A descriptive catalogue of printing in Spain and Portugal, 1501-1520, p. 150 (nro. 420). 331   Penitencia de amor compuesta por don pedro manuel de vrrea. Burgos : Fadrique Alemán de Basilea 1514. Cfr. F. J. Norton : A descriptive catalogue of printing in Spain and Portugal, 1501-1520, p. 101 (nro. 271). 332   Il (6 gennaio) 1513 è la data della rappresentazione allestita a Roma nel palazzo del Cardinale di Arborea, Jacobo Serra. Cfr. Alessandro D’Ancona : Origini del Teatro Italiano. Volume II. Roma : Bardi 1996, pp. 8182. – Fabrizio Cruciani : Teatro nel Rinascimento. Roma 1450-1550 (= « Europa delle Corti ». Centro studi sulle società di antico regime. Biblioteca del Cinquecento, 22). Roma : Bulzoni 1984, p. 363. – Miguel Ángel Pérez Priego : « Introducción » a : Juan del Encina : Teatro completo. Edición de M. A. P. P. Madrid : Cátedra 1998, pp. 9-94 ; qui pp. 15-16 e p. 75. Prima edizione a stampa : Egloga nueuamente trobada por juan del enzina. Enla qual se introduzen dos enamorados llamada ella Placida y el Vitoriano. [Burgos : Alonso de Melgar (c. 1518-1520 ?)]. Cfr. F. J. Norton : A descriptive catalogue of printing in Spain and Portugal, 1501-1520, pp. 119-120 (nro. 331). – A. Rodríguez-Moñino : Nuevo Diccionario Bibliográfico de Pliegos Sueltos Poéticos (Siglo XVI). Edición corregida y actualizada por A. L.-F. Askins y V. Infantes, pp. 245-246 (nro. 178). 333   Comedia Ymenea. In : Propaladia de Bartholome de Torres Naharro (Napoles : Ioan Pasqueto de Sallo 1517). Sale nuevamente a luz reproducida en facsímile por acuerdo de la Academia Española y a sus expensas. Madrid : Tipografía de Archivos M CM XXXVI, fo. Riiiv-Uiir. 334   Fu tradotta in castigliano con il titolo Tragicomedia alegórica d’el Paraiso y d’el Infierno (Burgos : Juan de Junta 1539). Cfr. Bartolomé José Gallardo : Ensayo de una Biblioteca Española de libros raros y curiosos. Tomo I, coll. 980-988 (nro. 1012). 335   Le date poste accanto ai titoli delle quattro opere nelle quali appaione le figure ‘celestinesche’ delle alcouviteiras (Branca Gil, Brísida Vaz, Ana Diez, Genebra Pereira), sono le date delle rappresentazioni. Fatta eccezione della Barca do inferno, della quale ci è pervenuta anche una edizione a stampa approntata in vita di Gil Vicente e “per seu mandado”, il testo delle altre opere sopra menzionate ci è stato trasmesso unicamente dalla edizione curata dai figli del poeta, Luís e Paula Vicente : Copilação de todas las obras de Gil Vicente. Lixboa : Ioam Aluarez. M.D.LXII. Cfr. ora la magnifica edizione che contiene sia la riproduzione in facsimile della Copilação del 1562, della Copilação del 1586 e di tutte le altre stampe cinquecentesche pervenuteci di singole opere (sette autos), sia la loro trascrizione moderna con relativo apparato filologico : As obras de Gil Vicente. Direcção científica de José Camões. Lisboa : Centro de Estudos de Teatro da Facultade de Letras da Universidade de Lisboa – Imprensa Nacional-Casa da Moeda 2002, 5 voll. 336   Sulle imitazioni e continuazioni della Celestina cfr. M. Menéndez Pelayo : Orígenes de la novela. Edición preparada por D. Enrique Sánchez Reyes. III, pp. 434-458 ; IV, pp. 3-198. – Maria Rosa Lida de Malkiel : La originalidad artística de La Celestina. – Pierre Heugas : La Celéstine et sa descendance directe. Bordeaux : Institut d’Études Ibériques et Ibéro-Americaines de l’Université de Bordeaux 1973. – Keith Whinnom : El género celestinesco : origen y desarrollo. In : Literatura de la época del Emperador. Edición dirigida por Victor García de la Concha (= Acta Salmanticensia. Academia Literaria Renacentista, 5). Salamanca : Universidad de Salamanca 1988, pp. 119-130. – Miguel Ángel Pérez Priego : « Introducción » a : Cuatro comedias celestinescas, pp. 9-41. 337   Julio Puyol y Alonso : « Estudio crítico de la Pícara Justina », pp. 7-9.  



































































































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George Costilla 1521), 338 tutte e tre di autore anonimo ; il Retrato de la Loçana andaluza (Venezia [1528]) di Francisco Delicado ; 339 la Comedia intitulada Tesorina ([Zaragoza : Pedro Hardouyn 1528/1532]) di Jaime de Güete (Huete) ; 340 la Segunda comedia de Celestina (Medina del Campo : Pedro Tovans 1534) di Feliciano de Silva, 341 autore di cui si ricorda nel romanzo picaresco il Don Florisel de Niquea (Partes I-II : Valladolid : Nicolás Tierri 1532. – Parte III : Sevilla : En las casas de Juan Cromberger 1546. 342 – Parte IV : Salamanca : Andrea de Portonaris 1551) ; 343 la Tercera parte de la tragicomedia de Celestina (Medina del Campo 1536. – Toledo : Hernando de Santa Catalina 1539) di Gaspar Gómez ; 344 la Tragicomedia de Lysandro y Roselia llamada Elicia y por otro nombre quarta obra y tercera Celestina ([Salamanca : Juan de Junta] 1542) di Sancho de Muñón ; 345 la Tragedia Policiana (Toledo : [Fernando de Santa Cathalina.] A costa de Diego Lopez 1547) di Sebastián Fernández ; 346 la Comedia llamada Tidea (1550) di Francisco de las Natas ; 347 la Comedia llamada Seluagia (Toledo : Joan Ferrer 1554) di Alonso de Villegas ; 348 la Comedia Eufrosina (Coimbra : Joam de Barreyra 1555) di Jorge Ferreira de Vasconcellos, 349 ricordata due volte nella Pícara Justina. 350 Alle opere lupanarias in senso stretto si potrebbe aggiungere il già ricordato Colo 



   



   



















   



   



   



   

   



   







338   Marcelino Menéndez Pelayo : Orígenes de la novela. Edición preparada por D. Enrique Sánchez Reyes. IV, pp. 29-44. Della Thebayda e della Serafina Bartolomé José Gallardo (Ensayo de una Biblioteca Española de libros raros y curiosos. Tomo I, coll. 1170-1190, nro. 1208) registra una edizione posteriore : Sevilla : Andres de Burgos 1546. 339   Eduart Toda y Güell : Bibliografia Espanyola d’Italia. Dels origens de la imprempta fins a l’any 1900. Volum II, p. 6 (nro. 1431). 340   Pedro Salvá y Mallen : Catálogo de la Biblioteca de Salvá. Tomo I, pp. 449-451 (nro. 1279). – Juan M. Sánchez : Bibliografía Aragonesa del siglo XVI. Tomo I. Madrid : Imprenta Clásica Española 1913, pp. 204-205 (nro. 151). – Miguel Ángel Pérez Priego : « Introducción » a : Cuatro comedias celestinescas, p. 42. 341   Cristóbal Pérez Pastor : La imprenta en Medina del Campo, p. 5 (nro. 12). – Feliciano de Silva : Segunda Celestina. Edición de Consolación Baranda, pp. 91-97 e p. 103. 342   Non esistenti o non pervenuteci le edizioni della Tercera Parte di Medina del Campo (1535) e di Sevilla (1536), registrate da Cristóbal Pérez Pastor (La imprenta en Medina del Campo, p. 11, nro. 18) e da Francisco Escudero y Perosso (Tipografía Hispalense. Anales bibliográficos de la Ciudad de Sevilla desde el establecimiento de la imprenta hasta fines del siglo XVIII, p. 190, nro. 373). Cfr. Daniel Eisenberg y M.a Carmen Marín Pina : Bibliografía de los libros de caballerías castellanos. Zaragoza : Prensas Universitarias de Zaragoza 2000, p. 252. – Javier Martín Lalanda : « Introducción » a : Feliciano de Silva : Florisel de Niquea (Tercera parte). Edición de J. M. L. (= Los Libros de Rocinante, 6). Alcalá de Henares 1999, pp. IX-XL ; qui p. XXXVI. 343   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO SEGVNDO INTITVLADO LA PICARA Romera. En que se trata la jornada de Arenillas. CAPITVLO SEGVNDO DE LA Vigornia burlada. NVMERO SEGVNDO DEL parlamento loco », p. 166 (“Contele medio libro de don Florisel de Niquea...”). 344   Cristóbal Pérez Pastor : La imprenta en Medina del Campo, p. 11 (nro. 19). – Cristóbal Pérez Pastor : La imprenta en Toledo, p. 76 (nro. 183). 345   Lorenzo Ruiz Fidalgo : La imprenta en Salamanca (1501-1600), I, pp. 327-328 (nro. 246). 346   Cristóbal Pérez Pastor : La imprenta en Toledo, p. 89 (nro. 220). – Miguel M. García-Bermejo Giner : Catálogo del teatro español del siglo XVI. Índice de piezas conservadas, perdidas y representadas. Salamanca : Ediciones Universidad de Salamanca 1996, p. 112. Da alcuni studiosi la Tragedia Policiana è stata attribuita a Luis Hurtado de Toledo, che però fu semplicemente il curatore (o correttore delle bozze) della seconda edizione (Toledo : Fernando de Santa Cathalina 1548). 347   Miguel Ángel Pérez Priego : « Introducción » a : Cuatro comedias celestinescas, pp. 42-43. – Miguel M. García-Bermejo Giner : Catálogo del teatro español del siglo XVI. Índice de piezas conservadas, perdidas y representadas, pp. 117-118. 348   Cristóbal Pérez Pastor : La imprenta en Toledo, p. 110 (nro. 275). 349   Il legame della Comedia Eufrosina con la Celestina è però abbastanza tenue. Si limita alla figura di Philtra, ma questa “alcouiteyra” non svolge nessuna funzione nell’azione drammatica. Scene erotiche non ve ne sono. Classificarla fra le opere “lupanarias” è quindi del tutto arbitrario. 350   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « Prologo summario de ambos los tomos, de la Picara Iustina », fo. [A 9r]. – « LIBRO PRIMERO, INTITVLADO LA PICARA Montañesa. CAPITVLO SEGVNDO [TERCERO !] DE LA vida de el meson. Numero primero. De el mesonero consejero », p. 71 (“vn librito intitulado la Eufrosina, que ley siendo donzella...”).  





















































   

























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quio de las damas (1548), la traduzione che Fernán Xuarez fece, cercando di attenuarne l’oscenità, della « Terza Giornata » della Prima parte dei Ragionamenti dell’Aretino, dedicata alla « Vita delle puttane ». Alle commedie celestinesche citate da Julio Puyol y Alonso potrebbero poi essere aggiunte numerose altre, come – per esempio – la Comedia llamada Vidriana (ca. 1528/1535) di Jaime de Güete 351 (il suo testo ci è pervenuto unicamente grazie a due pliegos sueltos, 352 testimonianze della esistenza di “un teatro de cordel” ! 353), l’Auto llamado Clarindo (Toledo ?, ca. 1535 ?) di autore sconosciuto, 354 la Comedia Pródiga (Sevilla : Martín de Montesdoca 1554) di Luis de Miranda, 355 la Comedia Florinea (Vendense en Medina del Campo en casa de Adrian Ghemart. 1554. Col. : Impressa en Medina del Campo en casa de Guillermo de Millis, tras la iglesia mayor. Año de 1554) di Juan Rodríguez Florián, 356 la Comedia llamada Salvaje (Sevilla : Andres Pescioni 1582) di Joaquín Romero de Cepeda 357 e La Lena di Alfonso Velázquez de Velasco (En Milan, Por los herederos del quon. Pacifico Poncio, & Juan Baptista Picalia, compañeros. 1602. – 2.ª ed. : El Celoso. En Milan, por los herederos del q. Pacifico Poncio y J. Baptista Picalia, compañeros 1602). 358 Scene di manifesta oscenità figurano in molte di queste opere, dalla Celestina 359 alla Égloga de Plácida y Vitoriano, 360 dalla Seraphina alla Thebayda, 361 dalla Loçana andaluza alla Lena, dalla Segunda comedia de Celestina alla Tragicomedia de Lysandro y Roselia. Molti studiosi si sono impegnati, come abbiamo già ricordato, a decriptare le oscenità ‘na 











   





























351   La prima edizione della Comedia llamada Vidriana fu presumibilmente stampata, come la Tesorina, a Zaragoza nella officina di Pedro Hardouyn. Cfr. Pedro Salvá y Mallen : Catálogo de la Biblioteca de Salvá. Tomo I, pp. 452-453 (nro. 1280). – J. M. Sánchez : Bibliografía Aragonesa del siglo XVI. Tomo I, p. 205 (nro. 152). – M. García-Bermejo Giner : Catálogo del teatro español del siglo XVI, p. 88. 352   [Jaime de Güete :] Comedia llamada Vidriana : agora nueua- | mente compuesta en la qual se recitan los amores de vn ca- | uallero y de vna señora de Aragon a cuya peticion : por serles | muy sieruo se ocupo en la obra presente : el sucesso y fin | de cuyos amores va metaphoricamente tocado justa | el processo y execucion de aquellos : hay los interlo | cutores siguientes : Secreto moço de vi.[driano]. Vidriano. cauallero. Lepidano. Modesta. padre y madre de la dama. Perucho. ortelano. | Gil Lanudo. pastor de lepi.[dano]. Cetina. moça de lepi. Carmento. moço de vi. Leriana. dama. Oripesta. donzella de leri. [Sotto ognuno di questi nomi, una figurina corrispondente.] In : Pliegos Poéticos Españoles de la Biblioteca Nacional de Lisboa (Facsímil), pp. 249-284. L’altro pliego suelto – anch’esso senza indicazione dello stampatore e del luogo e della data di stampa – pervenutoci è conservato nella Biblioteca Nacional (R-5009) di Madrid. 353   María Cruz García de Enterría : Pliegos Poéticos Españoles de la Biblioteca Nacional de Lisboa. Madrid : Joyas Bibliográficas 1975, p. 39. 354   Auto llamado Clarindo, sacado delas obras del captiuo por Antonio Díez, librero sordo, y en partes añadido y emmendado. In : Cuatro comedias celestinescas. [Edición de] Miguel Ángel Pérez Priego (= Textos Teatrales Hispánicos del siglo XVI, 3). Valencia : Universitat de València 1993, pp. 211-285 (per i dati tipografici cfr. p. 32 e p. 43 della « Introducción »). 355   Luis de Miranda : Comedia Pródiga. In : Cuatro comedias celestinescas, pp. 287-374. 356   Cfr. Cristóbal Pérez Pastor : La imprenta en Medina del Campo, pp. 128-130 (nro. 114 e nro. 115). – M. Menéndez Pelayo : Orígenes de la novela. Edición preparada por D. Enrique Sánchez Reyes. IV, pp. 138-147. 357   Cfr. M. Menéndez Pelayo : Orígenes de la novela. Edición preparada por D. Enrique Sánchez Reyes. IV, pp. 165-168. 358   Sulla Lena cfr. M. Menéndez Pelayo : Orígenes de la novela. Edición preparada por D. Enrique Sánchez Reyes. IV, pp. 176-196. 359   Sulla oscenità e lubricità di situazioni nella Celestina cfr. Maria Rosa Lida de Malkiel : La originalidad artística de La Celestina, pp. 324-330. Per la studiosa la Celestina “sólo admite la obscenidad como resorte dramático”, mentre in generale “las imitaciones han sembrado a manos llenas los lances y relatos salaces” (p. 329). Di oscenità vera e propria è impregnata la Celestina secondo Eukene Lacarra Lanz : Sobre los « dichos lascivos y rientes » en Celestina. In : Santiago López-Ríos (ed.) : Estudios sobre la Celestina. Madrid : Ediciones Istmo 2001, pp. 355-377. 360   Crudo e celestinesco è il dialogo fra Eritea e Flugencia. Cfr. Juan del Encina : Teatro completo. Edición de Miguel Ángel Pérez Priego, pp. 309-314 (vv. 656-776). 361   M. Menéndez Pelayo (Orígenes de la novela. Edición preparada por D. Enrique Sánchez Reyes. IV, pp. 3236, p. 38) considerava “ferozmente obscena” la Seraphina e blasfema e sacrilega, oltre che oscena in alto grado, la Thebayda.  



























































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scoste’ della Pícara Justina, considerate come una prova della ‘trasgressività’ estetica e ideologica del suo autore. Ma quanto poco ‘trasgressive’ esse ci appaiono a confronto della scena “francamente pornográfica” 362 dell’amplesso di Pármeno e Areúsa in presenza di Celestina, della scena degli amplessi di Calisto e Melibea in presenza di Lucrecia 363 o dell’amplesso di Felides e Polandria in presenza di Poncia e di Sigeril, 364 oppure a confronto di scene analoghe fra Oligides e Drionea e fra Lisandro e Roselia 365 o delle crude e dettagliate descrizioni di coiti della Loçana andaluza ! 366  







   

Entremeses e farse Gli entremeses 367 – rappresentazioni “brevi, giocose e burlesche”, per riprendere la definizione che dell’entremés dà il Diccionario de Autoridades 368 –, che talvolta sono la drammatizzazione di facezie 369 (“patrañas escenificadas” sono stati definiti i pasos di Lope de Rueda, 370 il “creador del entremés” 371) o di novelle italiane, 372 e che talvolta contengono elementi (in particolare lazzi e battute) e spunti tratti dalla Commedia dell’Arte, 373 costituiscono, assieme alle forme anticipatrici del genere, 374 un elemento non trascurabile del contesto letterario della Pícara Justina. Sia i cosiddetti “entremeses primitivos” 375 – come l’Entremés entre un procurador y un  

















362   Peter E. Russell : « Introducción » a : La Celestina Comedia o Tragicomedia de Calisto y Melibea. Madrid : Castalia 2001, pp. 11-165 ; qui p. 95. 363   Fernando de Rojas (y « Antiguo Autor ») : La Celestina. Tragicomedia de Calisto y Melibea. Edición y estudio de Francisco J. Lobera y Guillermo Serés, Paloma Díaz-Mas, Carlos Mota e Íñigo Ruiz Arzálluz, y Francisco Rico, pp. 181-183, pp. 320-322. 364   Feliciano de Silva : Segunda Celestina. Edición de Consolación Baranda, pp. 571-572, pp. 579-581. 365   Sancho de Muñón : La tercera Celestina (Tragicomedia de Lisandro y Roselia). Copia y reducción hechas sin una sola alteración por Joaquín López Barbadillo, que la imprime a su costa. Madrid : Biblioteca de Joaquín López Barbadillo y sus amigos 1918, pp. 104-105, pp. 136-137. 366   Cfr. Francisco Delicado : La Lozana Andaluza. Edición de Bruno Damiani, pp. 74-77, p. 106, pp. 122-123, p. 160, pp. 197-198. 367   Sugli entremeses cfr. D. Emilio Cotarelo y Mori : « Introducción general » a : Colección de Entremeses, Loas, Bailes, Jácaras y Mojigangas desde fines del siglo XVI á mediados del XVIII. Ordenada por D. E. C. y M. Tomo I. – Volumen 1.° (= Nueva Biblioteca de Autores Españoles, 17). Madrid : Bailly/Bailliére 1911, pp. ICCCXV ; qui pp. LIV-CLXIII. – Eugenio Asensio : Itinerario del entremés. Desde Lope de Rueda a Quiñones de Benavente. Con cinco entremeses inéditos de D. Francisco de Quevedo. – Javier Huerta Calvo : Los espejos de la burla. Raíces de la comedia burlesca. In : Javier Huerta Calvo, Emilio Peral Vega y Jesús Ponce Cárdenas (Editores) : Tiempo de burlas. En torno a la literatura burlesca del Siglo de Oro. Madrid : Verbum 2001, pp. 161-176. 368   Real Academia Española : Diccionario de Autoridades. Edición facsímil. D-Ñ. Madrid : Gredos 1984, Tomo IV, p. 519 (“ENTREMES.Representacion breve, jocósa y burlesca, la qual se entremete de ordinario entre una jornada y otra de la comedia, para mayór variedad, ò para divertir y alegrar al auditório”). 369   Sulla influenza della facezia sull’entremés cfr. E. Asensio : Itinerario del entremés, pp. 26-32, pp. 44-45, p. 95. 370   F. García Pavón : « Prólogo » a : Lope de Rueda : Pasos completos. Prólogo de G. G. P. Madrid : Taurus 1979, pp. 5-26 ; qui p. 17. 371   Eugenio Asensio : Itinerario del entremés. Desde Lope de Rueda a Quiñones de Benavente, pp. 41-62. 372   Come – per esempio – l’Entremés de un viejo ques casado con una mujer moza, tratto dal Decameron (VII, 9) del Boccaccio. Cfr. Colección de Entremeses, Loas, Bailes, Jácaras y Mojigangas desde fines del siglo XVI á mediados del XVIII. Ordenada por D. Emilio Cotarelo y Mori. Tomo I. – Volumen 1°, pp. 62-65. Un motivo simile si ritrova nell’Entremés sin título, cuyos interlocutores son un Sacristán, Filipina, Qurcio y Albertos (pp. 72-76). 373   Cfr. Eugenio Asensio : Itinerario del entremés, p. 47, p. 61. – Javier Huerta : Arlequín español (Entremés y ‘commedia dell’arte’). In : El Crotalón, Madrid, 1 (1984), 785-797. 374   Ricordiamo, tanto per addurre come esempio soltanto opere di Juan del Encina, le due rappresentazioni carnevalesche intitolate Égloga representada en la noche postrera de Carnal e Égloga representada la mesma noche de Antruejo e l’Aucto del repelón (vi sono narrate le burle giocate dagli studenti di Salamanca ai rustici recatisi in città per vendere i loro prodotti al mercato). Cfr. Juan del Encina : Teatro completo. Edición de Miguel Ángel Pérez Priego, pp. 139-149, pp. 151-160, pp. 221-235. 375   Cfr. D. Emilio Cotarelo y Mori : « Introducción general » a : Colección de Entremeses, Loas, Bailes, Jácaras y Mojigangas, pp. LX-LXV.  





















































































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litigante, intercalato nella Representación de la Historia evangélica del capítulo nono de San Juan e l’Entremés que hizo el auctor a ruego de una monja parienta suya di Sebastián de Horozco, 376 i famosi pasos di Lope de Rueda, i “passos y entremeses” di Juan Timoneda 377 o gli anonimi Entremés del Estrolago borracho (1583), Famoso entremés de Mazalquiví, Entremés famoso de la Mamola, 378 Entremes de las esteras 379 –, sia gli entremeses composti all’inizio dell’epoca (1600-1620) della grande fioritura del genere 380 – come, sicuramente, l’Entremés famoso de los Romances 381 e parte dei dodici entremeses pubblicati nella raccolta, a cura di Bernardo Grassa, intitolata Las comedias del famoso poeta Lope de Vega Carpio (Valladolid : Juan de Bostillo 1609) 382 e come, forse, l’Entremés de las Gorronas 383 –, offrirono vari spunti all’autore della Pícara Justina. Essi presentano, infatti, un ricco repertorio di beffe e ‘burle’, talvolta crudeli, spesso grossolane e oscene, frequentemente ‘ingegnose’ e puramente linguistiche, 384 una vasta galleria di ‘figure’ e tipi ‘comici’ (il soldato fanfarrone, gli studenti burlatori, i gorrones e le gorronas, i mariti cornuti, ingenui o compiacenti, le mogli adultere, lascive e astute, i contadini paurosi e sempliciotti,  



















376   Sebastián de Horozco : Representaciones. Edición de Fernando González Ollé. Madrid : Castalia 1979, pp. 99-134, pp. 135-174. 377   Turiana. Colección de Comedias y farsas que sacó a luz Juan de Timoneda (Ioan Diamonte). Reproducida en facsímile por la Academia Española. Madrid : Tipografía de Archivos 1936, fo. B 1r. 378   Colección de Entremeses, Loas, Bailes, Jácaras y Mojigangas desde fines del siglo XVI á mediados del XVIII. Ordenada por D. Emilio Cotarelo y Mori. Tomo I. – Volumen 1°, pp. 52-54, pp. 65-68, pp. 68-72. 379   Colección de Autos, Farsas, y Coloquios del siglo XVI. Publiée par Léo Rouanet. Barcelona : « L’Avenç » Madrid : Librería de M. Murillo 1901, Tomes I-IV ; qui II, pp. 43-48. Alcuni studiosi hanno attribuito, più o meno timidamente o più o meno risolutamente, a Lope de Rueda questo entremés. Fra questi studiosi non si può però annoverare – contrariamente a quanto sostiene M. García-Bermejo Giner (Catálogo del teatro español del siglo XVI, p. 178) – Léo Rouanet, che si limita ad affermare che Las esteras sono scritte “dans la manière des pasos de Lope de Rueda” (Tome I, p. XI della « Introduction » ; v. anche Tome IV, p. 217 delle « Notes »). Anche Emilio Cotarelo y Mori (« Introducción general », p. LXII) definisce Las esteras come “pieza anónima”. Fra le “obras de atribución dudosa” a Lope de Rueda vengono elencate Las esteras da José Luis Canet : Lope de Rueda y el teatro profano. In : Javier Huerta Calvo (dir.) : Historia del teatro español. I. De la Edad Media a los Siglos de Oro. Abraham Madroñal - Durán Héctor Urzáiz Tortajada (coords.). Madrid : Gredos 2003, pp. 431-474 ; qui p. 443. 380   Cfr. E. Asensio : Itinerario del entremés, pp. 63-97. 381   Colección de Entremeses, Loas, Bailes, Jácaras y Mojigangas desde fines del siglo XVI á mediados del XVIII. Ordenada por D. Emilio Cotarelo y Mori. Tomo I. – Volumen 1°, pp. 157-161. Sul problema della datazione di questo entremés cfr. E. Asensio : Itinerario del entremés, pp. 73-75. 382   Sono : Melisendra, El padre engañado, El capeador, El doctor simple, Pedro Hernández y el Corregidor, Los alimentos, Los negro de sancto Thome, El indiano, La cuna, Los ladrones engañados, La dama fingida, La endemoniada. I primi cinque entremeses erano stati già pubblicati in una precedente edizione, anch’essa curata da Bernardo Grassa, de Las comedias del famoso poeta Lope de Vega Carpio (Valencia, en casa de Gaspar Leget, 1605). Priva degli entremeses era invece l’edizione de Las comedias del famoso poeta Lope de Vega Carpio apparsa nel 1604 a Valencia, con una “aprobación” di Gracián Dantisco, datata “Valladolid, 17 de febrero 1604”. Questa “aprobación” è la stessa che si trova nella edizione di Valladolid, stampata nel 1609 nella officina di Juan de Bostillo. Evidentemente gli entremeses furono aggiunti senza che venissero sottoposti alla censura (oppure erano effettivamente tutti e dodici già presenti in una edizione de Las comedias del famoso poeta Lope de Vega Carpio apparsa nel 1604 a Valladolid, come afferma Mariano Alcocer y Martínez in una sua scheda bibliografica fondandosi, però, su notizie di altri studiosi). Comunque non solo i cinque entremeses della edizione di Valencia del 1605, ma anche alcuni degli altri sette della edizione di Valladolid del 1609 erano stati composti nei primissimi anni del XVII secolo. Sulle varie edizioni citate della raccolta di Bernardo Grassa cfr. Catálogo de la Biblioteca de Salvá. Tomo I, pp. 536-537, nro. 1469. – Mariano Alcocer y Martínez : Catálogo razonado de obras impresas en Valladolid, p. 204, nro. 482, pp. 225-226, nro. 548. I dodici entremeses della edizione vallisoletana de Las comedias del famoso poeta Lope de Vega Carpio sono stati pubblicati in : Colección de Entremeses, Loas, Bailes, Jácaras y Mojigangas desde fines del siglo XVI á mediados del XVIII. Ordenada por D. Emilio Cotarelo y Mori. Tomo I. – Volumen 1°, pp. 105-147. 383   Colección de Entremeses, Loas, Bailes, Jácaras y Mojigangas desde fines del siglo XVI á mediados del XVIII. Ordenada por D. Emilio Cotarelo y Mori. Tomo I. – Volumen 1°, pp. 88-94. 384   Cfr. Abraham Madroñal Durán : La burla lingüística en el entremés del Barroco. In : Javier Huerta Calvo, Emilio Peral Vega y Jesús Ponce Cárdenas (Editores) : Tiempo de burlas. En torno a la literatura burlesca del Siglo de Oro. Madrid : Verbum 2001, pp. 177-197.  

























































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il bobo, il simple, le prostitute, le mezzane, i ruffiani vigliacchi, i valentones e jaques del mondo della malavita) e una grande varietà di elementi folcloristici e di vivide scene di costumbrismo locale o regionale. Simili burle, ‘figure’ e tipi, elementi folcloristici e scene di costumbrismo locale, o regionale, si ritrovano nelle farse 385 – dalla Farsa o cuasi comedia di Lucas Fernández, nella quale appare per la prima volta la figura del soldato fanfarrone, 386 alle varie Farsas (Quem tem farelos ?. – Auto da Índia. – Juiz da Beira. – Almocreves. – Velho da Horta. – Inês Pereira. – Ciganas. – Fadas, ecc.) di Gil Vicente, 387 dalle Farças (Farsa theologal. – Farsa del Molinero. – Farsa Militar. – Farça de Salomon. – Farsa de la ventera. – Farsa del matrimonio. – Farsa de una vieja hechizera) di Diego Sánchez de Badajoz 388 alla Farsa llamada Salamantina (1552) di Bartolomé Palau, 389 dalle farse di Juan de Timoneda (Paliana. – Trapaçera. – Rosalina. – Floriana 390) alla anonima Farsa del sordo (1568) 391 –. All’autore della Pícara Justina – il quale, oltre a menzionare genericamente gli entremeses 392 e le loro “ruynes representaciones”, 393 ricorda concretamente “el entremes de la encandiladora”, 394 purtroppo non pervenutoci, “el entremes de los sacristanes enarinados” 395 e la  























385   La farsa è un genere spesso non distinguibile dall’entremés per la grande abbondanza di elementi comuni e viene quindi frequentemente assimilato all’entremés. Cfr. D. Emilio Cotarelo y Mori : « Introducción general » a : Colección de Entremeses, Loas, Bailes, Jácaras y Mojigangas desde fines del siglo XVI á mediados del XVIII, pp. LX-LXI. – Eugenio Asensio : Itinerario del entremés, p. 35. 386   Farsa ó cuasi comedia, hecha por Lúcas Fernandez. In : Bartolomé José Gallardo : Ensayo de una Biblioteca Española de libros raros y curiosos. Tomo segundo, coll. 1022-1039. 387   As obras de Gil Vicente. Direcção científica de José Camões, Vol. II, pp. 153-170, pp. 171-186, pp. 291-318, pp. 327-350, pp. 205-228, pp. 257-290, pp. 319-326, pp. 229-256. 388   Recopilación en metro del Bachiller Diego Sánchez de Badajoz (Sevilla, 1554). Reproducida en facsímile por la Academia Española, fo. IXv- XXv, fo. CVIIr-CIXv, fo. LXVIr-LXXIv, fo. XXXVIIr-LXIIIIr, fo. CXXXIVvCXXXVIv, fo. LXXXVv-XCIIv, fo. CXXXv-CXXXIVv. 389   Bartolomé Palau : Farsa llamada Salamantina. … Es obra que passa entre los estudiantes en Salamanca (1552). Ed. de Alfred Morel-Fatio. In : Bulletin Hispanique 2 (1900), 237-304. Eugenio Asensio la definisce “sátira realista y despiadada de las rudas costumbres estudiantiles”. Cfr. Eugenio Asensio : « Prólogo » a : Jorge Ferreira de Vasconcellos : Comedia Eufrosina. Texto de la edición príncipe de 1555 con las variantes de 1561 y 1566, pp. VII-LXXXVIII ; qui p. LXVIII. 390   Turiana. Colección de Comedias y farsas que sacó a luz Juan de Timoneda (Ioan Diamonte). Reproducida en facsímile, fo. D1r-D10r, G1r-G10v, fo. H1r-H10v (anche in : Obras de Juan de Timoneda. Las publica la Sociedad de Bibliófilos Españoles. Tomo III. Madrid 1948, pp. 103-151, pp. 217-266, pp. 267-317, pp. 319-328). 391   Farsa d’El Sordo. Alcalá de Henares : Sebastián Martínez 1568. In : Bartolomé José Gallardo : Ensayo de una Biblioteca Española de libros raros y curiosos. Tomo I, coll. 1146-1164 (nro. 1189). 392   “Mil vezes veras en los entremeses ofrecerse necessidad de traças repentinas, y por la mayor parte las dan las mugeres, que son vnicas para de repens” (Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO SEGVNDO INTITVLADO LA PICARA Romera. En que se trata la jornada de Arenillas. CAPITVLO SEGVNDO DE LA Vigornia burlada. NVMERO TERCERO DE LOS Beodos burlados », p. 174). 393   Pur essendo preoccupato “que acaso algunos leyendo este libro, seria posible aprendiessen algun enredo, que no atinaran sin la letura suya”, l’autore della Pícara Justina si è deciso a pubblicare la sua opera perché “ya son tan publicos los pecadores, y los pecados, escandalos, y malos exemplos, ruynes representaciones de entremeses, y aun comedias, alcahueterias, y romances, coplas y cartas, cantares, quentos y dichos, que ya no ay porque temer el poner por escrito en papel lo que con letras viuas de obras y costumbres manifiestas, anda publicado, pregonado, y blasonado por las plaças y cantones” (Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « Prologo al Lector », fo. [A 8r]). 394   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO SEGVNDO INTITVLADO LA PICARA Romera. En que se trata la jornada de Arenillas. CAPITVLO SEGVNDO DE LA Vigornia burlada. NVMERO SEGVNDO DEL parlamento loco », p. 167. 395   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO DE la Picara Romera. Capitulo quarto [segvndo !] del fullero burlado. Numero primo de la del penseque », p. 27. Francisco Sánchez-Castañer ritiene che “el entremes de los sacristanes enarinados” sia da identificarsi con un anonimo entremés in versi dal titolo Los sacristanes enarinados y burlados, trasmessoci “en un pequeño manuscrito de siete folios en 4.°, con letra del siglo XVII”, conservato nella Biblioteca Municipale di Madrid. Cfr. Francisco Sánchez-Castañer : Alusiones teatrales en « La Pícara Justina ». In : Revista de Filología  































































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“figura de mostoles”, 396 personaggio popolare di entremeses, bailes e jácaras, accenna agli “entremeses antiguos” 397 e cita quattro versi di un entremés a noi sconosciuto in cui figurano i personaggi di Marcela e Garcerán 398 – i generi teatrali dell’intermezzo e della farsa non hanno solo fornito materiali linguistici e spunti per burle, ‘figure’ e tipi, per motivi folcloristici e per scene di costumbrismo. L’entremés e la farsa influenzano il ritmo e il movimento narrativo, la struttura stessa di vari episodi della sua opera, in particolare gli episodi della Bigornia – definito da Marcel Bataillon, come abbiamo già ricordato, “farsa carnavalesca” 399 –, di Antón Pintado, di Sancha Gómez e del flagellante Machuca, che con lievi ritocchi potrebbero essere adattati alla rappresentazione teatrale.  







Española 25 (1941), 225-244 ; qui pp. 238-244. Nelle Aventuras de don Fruela (1656) di Francisco Bernardo de Quirós è inserito l’Entremés de los sacristanes burlados. Luis Quiñones de Benavente scrisse l’Entremés famoso de los sacristanes burlados (1664) ; Augustín Moreto l’Entremés de los sacristanes burlados (1670). Quello dei sacrestani burlati era un motivo diffusissimo. Cayetano Alberto de la Barrera y Leirado elenca nel suo Catálogo bibliográfico y biográfico del teatro antiguo español (pp. 646-647) ventisei entremeses dedicati alla figura del sacrestano ! 396   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO PRIMERO, INTITVLADO LA PICARA Montañesa. CAPITVLO SEGVNDO DEL abolengo alegre. NVMERO SEGVNDO DEL Abolengo festiuo », p. 67 ; « LIBRO SEGVNDO INTITVLADO LA PICARA Romera. En que se trata la jornada de Arenillas. CAPITVLO SEGVNDO DE LA Vigornia burlada. NVMERO TERCERO DE LOS Beodos burlados », p. 177 ; « TERCERA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO De la Picara Romera. Capitulo 2. de la vizma de Sancha Gomez. Numero. 2. De la vizna [vizma] pegajosa », p. 152. 397   Ecco l’intero passo (al margine del testo si trovano due glosse : “Fiestas de Leon”, “Entremeses antiguos”) in cui si parla di commedie e di entremeses rappresentati in occasione delle feste leonesi di agosto dedicate alla Vergine : “Lo primero Granado, y la granada auian desembarcado alli : y auian de representar la comedia de S. Tatays [de S. Tays ?], y santa Egiciaca, y auia de salir la granada con vna calabera en la mano, que quando la vi salir pense que era vieja que salia a hechar agua bendita a algun cimenterio. Tambien trayan el entremes de los sacristanes enarinados que parecian puramente torrijas enaluardadas : y otros muchos entremeses, que començauan Digo que somos las mas desgraciadas del mundo, estas que somos hermosas, como es vso y costumbre en todos los entremeses de maricastaña, miren si auia que ver, assi vuiera que beber : pero todo el vino que auia era vino a la malicia” (Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo : Cristoual Lasso Vaca 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO DE la Picara Romera. Capitulo quarto [segvndo !] del fullero burlado. Numero primo de la del penseque », pp. 27-28). Granado è il nome di diversi autores di commedie del Siglo de Oro. Diego Granado el Viejo fu attivo a Madrid fra il 1577 e il 1587. Juan Granado, uno dei più noti capocomici, fu incaricato di inaugurare con la sua compagnia e la compagnia di Jerónimo Gálvez il Corral de la Cruz il 29 novembre 1579. Documentata è inoltre l’attività teatrale, svolta a Madrid fra il 1584 e il 1604, di un Juan Granado, figlio di Diego Granado. Questo Juan Granado è probabilmente lo stesso che inaugurò il Corral de la Cruz. Noti sono anche un Alonso Granados (1592) e un Antonio Granados, nato nel 1570, che fu attivo a Siviglia nel 1598 e formò nel 1602 una sua compagnia con la quale rappresentò varie commedie di Lope de Vega in Ispagna e Portogallo. La sorella di questo Antonio si chiamava Antonia ed era conosciuta come la “divina Antandra” (cfr. Licenciado Francisco López de Úbeda : La Pícara Justina. Tomo III. Estudio crítico, glosario, notas y bibliografía por Julio Puyol y Alonso. p. 290). Anastasio Rojo Vega (Fiestas y comedias en Valladolid. Siglos XVI-XVII, p. 322) documenta un Antonio Granados “autor” (1613) e un Juan Granado, “autor de comedias, casado con Luisa de Aranda”, che nel maggio del 1580 si impegnò a rappresentare a Tordesillas due autos e “la comedia de los abencerrajes, con sus entremeses” ; poco tempo dopo dovette morire perché sua moglie nel marzo del 1582 era già sposata con l’attore Avagaro Francisco Baldi (il famoso Stefanello Bottarga). La commedia di S. Tatays (o meglio, di Santa Tays) è da identificarsi probabilmente con l’anonimo Aucto dela conbersion de Santa Tais ; la commedia di Santa Egiciaca con l’Auto de Santa María Egipciaca di Alonso Díaz (cfr. Francisco Sánchez-Castañer : Alusiones teatrales en « La Pícara Justina », pp. 227-238). L’autore della Pícara Justina ricorda anche lo sconosciuto Auto de Llerena : “a ser yo tan blasfema, como el picaro del auto de Llerena fuerale respondiendo, ora pro nobis” (glossa marginale : “El blasfemo de Llerena”). Cfr. Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO DE la Picara Romera. Capitulo quarto [segvndo !] del fullero burlado. Numero segundo : de la vergonçosa engañadora », p. 40. 398   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « TERCERA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO De la Picara Romera. Capitulo 4. de la partida de Leon. Numero 2. del desenojo astuto », p. 175. 399   Marcel Bataillon : Pícaros y picaresca, p. 156. Come abbiamo già ricordato, l’intero episodio del pellegrinaggio ad Arenillas è stato trattato successivamente da François Delpech (Los de la Bigornia, pp. 77-107), che ne ha illustrato ampiamente gli aspetti carnevaleschi e gli elementi folclorici (maschere e travestimenti della gioiosa compagnia dei bigornios, canti, balli, carro, tregende, gesticolazioni, cédulas, Pero Grullo, la Boneta).  







































































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Letteratura misogina La misoginia è stata considerata, già a partire da Marcelino Menéndez Pelayo, 400 uno dei caratteri peculiari della narrativa picaresca. Jonas Andries van Praag ha parlato di “matiz antifeminista” delle opere picaresche aventi come personaggio principale una donna e ha osservato che queste opere continuano “una añeja tradición, representada en el Corbacho, en Jaume Roig, en Torrellas, y en Lucena”. 401 Secondo Antonio Rey Hazas l’antifemminismo del Libro de entretenimiento non solo è – come abbiamo già ricordato – “absoluto y constante”, il suo “tema obsesivo y predominante”, ma costituisce anche l’elemento basilare che trasforma in coerente tutto ció che nel romanzo picaresco appare incoerente :  





[...] las abundantes inconsecuencias, los elementos deshilvanados, la falta de trabazón, de unidad, de organización ... Todo el carácter inorgánico de la novela se explica y justifica por un hecho básico que forma parte axial de ella : la misoginia. Y es que Justina carece de orden y guía en su caminar porque, como mujer, es (así reza el tópico) mudable, inconstante y vana. 402  



Più recentemente Francisco M. Soguero ha sostenuto che il “rasgo diferenciador más significativo de la novela picaresca femenina es el antifeminismo”. 403 Ultimamente Regula Rohland de Langbehn, richiamandosi alle osservazioni di Jonas Andries van Praag, ha inserito la Pícara Justina nella tradizione della misoginia medievale. 404 Dal Libro de los engaños y de los assayamientos de las mugeres, la traduzione castigliana dall’arabo di Sendebar, effettuata nel 1253 per ordine di Don Fadrique, fratello di Alfonso X el Sabio, 405 al Libro de Buen Amor di Juan Ruiz, Arcipreste de Hita, dal Corbacho di Alfonso Martínez de Toledo, Arcipreste de Talavera, alla Repeticion de amores (ca. 1496-1497) di Luis de Lucena, dall’Espill o Libre de les dones di Jaume Roig al Maldezir de mugeres di Pedro Torrellas, 406 dal Contr’as molheres di Jorge d’Aguyar 407 alle Trouas a huma dama di Francisco da Silveira, 408 dalle Coplas de las comadres al Pater nuestro contra las mujeres di Rodrigo de Reinosa, 409 le opere di misoginia radicale della letteratura medievale della  













400   Marcelino Menéndez Pelayo : Orígenes de la novela. Edición preparada por D. Enrique Sánchez Reyes. Tomo III, pp. 454-455. 401   Jonas Andries van Praag : La pícara en la literatura española. In : The Spanish Review, New York, 3 (1936), 63-74 ; qui p. 73. 402   Antonio Rey Hazas : La compleja faz de una pícara : Hacia una interpretación de la « Pícara Justina », pp. 91-92. Cfr. anche Katharina Niemeyer : « ¿Quién creerá que no he de decir más mentiras que letras ? » El Libro de entretenimiento de la pícara Justina, de Francisco López de Úbeda (Medina del Campo, 1605), p. 213. 403   Francisco M. Soguero : El discurso antifeminista de las pícaras. Misoginia en la picaresca femenina. In : Dicenda. Cuadernos de Filología Hispánica, Madrid, 15 (1997), 289-303 ; qui p. 290. 404   Regula Rohland de Langbehn : Das Spiel mit der Krankheit : die Syphilis in der Pícara Justina (2006), pp. 169-184. 405   Sendebar. Il Libro degli inganni delle donne. A cura di Pietro Taracci (= Biblioteca Medievale, 90). Roma : Carocci editore 2003, p. 90. 406   Hernando del Castillo : Cancionero general. Edición de Joaquín González Cuenca. Tomo II, pp. 170-175, nro. 168. Su Pedro Torrellas e la controversia poetica fra detrattori e difensori delle donne provocata dal suo Maldezir de mugeres e, più in generale, sulla misoginia nella letteratura del XV secolo, cfr. Barbara Matulka : The Novels of Juan de Flores and their European Diffusion. A Study in Comparative Literature. Genève : Slatkine Reprints 1974 (1.ª ed. New York 1931), pp. 5-166. 407   Cancioneiro Geral. Altportugiesische Liedersammlung des Edeln Garcia de Resende. Neu herausgegeben von E. H. v. Kausler. Zweiter Band (= Bibliothek des Literarischen Vereins in Stuttgart, XVII). Stuttgart : Literarischer Verein 1848, pp. 3-4. 408   Cancioneiro Geral. Altportugiesische Liedersammlung des Edeln Garcia de Resende II, pp. 161-163. 409   Rodrigo de Reinosa : Pater nuestro contra las mujeres. In : Cancionero Antequerano. Recogido por los años de 1627 y 1628 por Ignacio de Toledo y Godoy y publicado por Dámaso Alonso y Rafael Ferreres, pp.  



















   

























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Penisola Iberica sono certamente numerose quanto significative. 410 Ma l’autore della Pícara Justina poteva trovare anche nella letteratura rinascimentale molte opere di cruda misoginia. Ricordiamo, per fare alcuni esempi, opere come la Celestina, 411 l’Auto de Clarindo (1535 ?) 412 e la Tragicomedia de Lysandro y Roselia (1542), 413 nelle quali si ripetono gli antichi topoi sulla facile ‘infiammabilità’ e l’insaziabile lussuria delle donne, o opere come la Comedia Tesorina (1528 ?), 414 la Comedia Eufrosina, 415 il Relox de Príncipes di Fray Antonio de Guevara, 416 il Diálogo de mujeres (Venezia 1544) di Cristobal de Castillejo, 417 El Scholástico 418 e El Crotalón di Cristóbal de Villalón, 419 nelle quali si raffigurano le donne come unicamente intente a sfoggiare vestiti, a truccarsi e profumarsi e a far le civette, come interessate, frivole, ingannatrici, mentitrici, vanitose, infedeli, prive di intelligenza, litigiose, ciarliere, sempre pronte a contraddire, eccessive, dissolute, senza  























223-226. L’edizione più antica conosciuta del Pater nostro trobado y dirigido a las damas fu pubblicata in un pliego suelto, contenente anche altre composizioni di Rodrigo de Reinosa, a Burgos intorno all’anno 1500. Cfr. F. J. Norton : A descriptive catalogue of printing in Spain and Portugal, 1501-1520, pp. 120-121 (nro. 336). 410   Sulla misoginia nella letteratura medievale cfr. – oltre all’opera di Barbara Matulka – Kenneth R. Scholberg : Sátira e invectiva en la España medieval, pp. 272-280. 411   “Coxquillosicas son todas [las mujeres], mas después que una vez consienten la silla en el envés del lomo, nunca querrían holgar : por ellas queda el campo ; muertas sí, cansadas no.” Cfr. Fernando de Rojas (y « Antiguo Autor ») : La Celestina. Tragicomedia de Calisto y Melibea, pp. 102-103. Nella Celestina comentada si indicano le varie fonti dell’espressione muertas sí, cansadas no : Giovenale (Satira VI, v. 130 : “et lassata uiris necdum satiata recessit”), Salomone : Proverbi (“In mulieribus concupiscentia insaciabilis est”), ecc. Lo stesso commentatore chiosa : “de su naturaleza las mujeres en la concupisciencia de la carne por la maior parte son insaciables”. Cfr. Celestina comentada. Edición de Louise Fothergill-Payne, Enrique Fernández Rivera y Peter Fothergill-Payne. Con la colaboración de Ivy Corfis, Michel García, Fabienne Plazolles (= Textos recuperados, XX). Salamanca : Ediciones Universidad de Salamanca 2002, p. 169. Alla insaziabilità sessuale delle donne dedica Fray Melchor de la Serna questo sonetto : “Entre unos sentenales yo ui un día / dos hombres y una moça hermoça entre ellos : / jamás faltaua encima el vno dellos ; / quando el uno bajaba, otro subía. / Cada qual su deber mui bien azía ; / mas pudo tanto más ella que ellos / que después de cansallos y bencellos / aún le quedaua brío y lozanía. / Cansada, dixo : « Sí cossa es posible, / que no ai tal exerçiçio que no canse / por más que sea gustoso i agradable ; / pero quedar contenta es imposible, / que el apetito nuestro es insaçiable, / y no consiente al cuerpo que descanse. »” (Poesías de Fray Melchor de la Serna y otros poetas del siglo XVI. Códice 22.028 de la Biblioteca Nacional de Madrid. pp. 44-45.) 412   Auto de Clarindo (1535 ?), p. 243 (“Son brasa [las hijas] / con que se quema la casa, / acarrean mil ultrajes, / por ser hechas de vil masa, / dan menguas de sus linajes”). 413   Sancho de Muñón : La tercera Celestina (Tragicomedia de Lisandro y Roselia), p. 51 (“¿Roselia no es mujer ? Sí ; luego liviana ; que las mujeres somos como veletas, que, con poco aire, volvemos a todos vientos. ¿No es moza ? Sí ; luego de enamorada voluntad y lascivos pensamientos ; que los aguijones de la carne, y más, nueva, algo le moverán a que condecienda a mi petición. ¿No es hermosa ? Sí ; luego no casta...”). 414   Comedia Tesorina (1528 ?). In : Cuatro comedias celestinescas. [Edición de] Miguel Ángel Pérez Priego (= Textos Teatrales Hispánicos del siglo XVI, 3). Valencia : Universitat de València 1993, pp. 51-133 ; qui pp. 53-57. 415   Jorge Ferreira de Vasconcellos : Comedia Eufrosina. Edición de Eugenio Asensio, p. 183, p. 235, p. 320. In quest’opera si trova però anche una nota ‘femminista’, laddove si lamenta la triste condizione delle donne, “sogeitas, encaceradas” (p. 260). 416   Fray Antonio de Guevara : Relox de Príncipes. Estudio y edición de Emilio Blanco, pp. 481-504. 417   Cristobal de Castillejo : Diálogo de mujeres. In : Cristobal de Castillejo : Obra completa. Edición e introducción de Rogelio Reyes Cano. Madrid : Biblioteca Castro 1999, pp. 358-457. 418   Cristóbal de Villalón : El Scholástico. Edición de José Miguel Martínez Torrejón, pp. 260-265. A pagina 262 si trova un passo (“si el hombre las sirve, llámanle neçio, si las menospreçia, llámanle tibio y que es para nada ; si las ama, no le estiman, y si las dexa le aborrescen ; si las sigue dizen que es importuno, y si las huye dizen que es cobarde ; si habla llámanle pesado parlero, y si calla llámanle frío neçio ; si es alegre dezidor, dizen que es loco, y si es honesto grave llámanle bobo ; si les da algo, todo lo menospreçian, y si nunca les da, llámanle escaso”) che Cristóbal de Villalón ha, con poche modificazioni, trascritto dal Relox de Príncipes (p. 491) di Fray Antonio de Guevara. Questo piccolo ‘plagio’ potrebbe costituire un ulteriore indizio a favore della congettura che fissa l’inizio della prima stesura de El Scholástico intorno all’anno 1528 (le prime tre edizioni del Relox de Príncipes furono pubblicate negli anni 1529-1531). 419   Cristóbal de Villalón : El Crótalon de Cristóforo Gnofoso. Edición de Asunción Rallo. Madrid : Cátedra 1990, Canto XX, pp. 434-444 (si vedano anche i Canti III, V, VII, IX, XVI).  































































































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pudore, perverse, corrotte, incostanti, avide di piaceri e di denaro, volubili, incontentabili, ingrate, presuntuose, ambiziose, desiderose di comandare, false, maliziose, astute, crudeli, vendicative, avare, malvagie, traditrici, gelose, capricciose, ipocrite, superbe, orgogliose, lascive, lussuriose, adultere. Anche nel Romancero General, come abbiamo già osservato, i ‘ritratti’ di donne interessate, disposte ad amare solo in cambio di denaro e di regali, sono numerosi. Si ricordi, per esempio, l’anonimo romance che inizia con i versi “Cierta dama cortesana / de las de arandela y toldo, / de las de buen talle y pico, / y pícara sobre todo…”, nel quale si avverte il giovane innamorato inesperto che ormai le donne “se van tras el interés” e che “con las damas, / un metal que llaman oro, / es el discreto, el galán, / el gentilhombre, el gracioso ...” ; 420 oppure il romance, scritto da Quevedo a Valladolid prima del 1605, che inizia con i versi “Diéronme ayer la minuta, / señora doña Teresa, / de las cosas que me manda / traer para cuando vuelva...”, nel quale il poeta accusa la dama corteggiata di essere una scroccona (“Son sus ternezas con uñas, / como el sol de aquesta tierra, / pues se me muestra amorosa / con fondos de pedigüeña”) perché gli ha inviato una lunga lista di tessuti, scarpine, gioielli, gingilli, leccornie, calze, ornamenti femminili e acconciature che vuole ricevere in regalo 421 (lo stesso tema è ampiamente trattato nelle Cartas del Caballero de la Tenaza). La ‘filosofia’ amorosa di questa dama cortigiana, “pícara sobre todo”, e di questa “señora doña Teresa”, “pedigüeña”, ricorda quella esposta estesamente da Justina verso la fine del Libro de entretenimiento :    





Sepan todos quantos quieren conquistar coraçon de hembra, que las menos se rinden â poder de passion de amor ó aficion : porque en las mugeres las passiones de amor no solo son como dixo el otro reposadas y raposadas, sino son lentas y amortiguadas. Es su amor fruta que no nace en ellas : y si nace, no madura, sino es con humanas diligencias, de regalos, importunidades, y seruicios. Es como fruta, que a vezes madura en paja, otras en pez, y otras en arena : y si huuiera fruta, que madurara en la bolsa, era la comparacion nacida. Si quieres saber por que caminos le viene a la muger de acarreo, el amor, yo te lo dire. Por vna de tres razones, ama vna muger. La primera, y mas principal es, por dadivas, ê interes. Por manera que si estimamos calidades, partes prendas, y grandeza, es por pensar que es plata quebrada, por la qual hallaremos moneda, ê interes. En fin que trocamos la estima del honor, por el valor del vtil, que desseamos ? Nadie se espante de que yo diga lo mucho que puede con las mugeres el interes, pues natural razon lo persuade, y patentes exemplos lo declaran. O si atinasse a contrapuntear este puntillo. Tres generos de gente ay que por tener auinculada la necessidad pagan fuero a la auaricia : niños, viejos, y, mugeres. Los niños porque ni tienen, ni saben que es tener. Los viejos porque han menester mucho, 422 y no tienen nada. Las mugeres porque demas de que tienen el mal de los niños, 423 y los viejos, tienen estremo en antojos, con el qual pueden menguar el caudal, imaginable, no te quexaras que esta razon ha salido mal hilada. Quieres ver quan codiciosas somos las mugeres ? Pues repara, que no ay muger, por excelente que sea, que no recatee en lo que compra, aunque sea vna Reyna, nadie ay que se salga del numero de las damas, ni del da mas. Y si es verdad, que al oro todas las cosas  















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  Romancero General. Edición, Prólogo e Índices de Ángel González Palencia. I, pp. 467-468 (nro. 701).   Romancero General. Edición, Prólogo e Índices de Ángel González Palencia. II, pp. 347-348 (nro. 1.371). – Francisco de Quevedo : Obra poética. Edición de J. M. Blecua II, pp. 467-475 (nro. 736). Cristóbal de Villalón (El Scholástico, p. 263) aveva scritto : “Son todas [las mugeres] pesadas, moledoras, pedigüeñas, avarientas, luxuriosas, parleras, astutas, sagaçes, arteras, embaidoras, encantadoras, hechizeras ; en fin : inventoras de toda maldad, engaño y traiçión.” 422   Sia Julio Puyol y Alonso (La Pícara Justina II, p. 285) che Antonio Rey Hazas (la pícara justina II, p. 723) inseriscono un tener fra “menester” e “mucho”, che non figura neppure nella edizione del 1608 (Libro de entretenimiento. Brvcellas : Oliuero Brunello M.D.C.VIII., p. 434), senza segnalare la loro interpolazione. Rosa Navarro Durán (Libro de entretenimiento de la píca Justina, p. 461) segue, invece, la princeps. 423   “[...] el que solo dessea su pro, es hombre vna vez, y ciento muger, cuyo es (como dize el Filosofo) ser codiciosa, como niño, y descontentadiza , como viejo” (Fray Andrés Pérez : Sermones de Qvaresma, p. 455). 421













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le obedecen, la muger, jamas cometio crimen lese majestatis, contra esta obediencia, deuida al Rey de Oros. Assi, que el interes es la primera, y principal cosa que acarrea nuestro amor. 424 Esto bien claro va. Perdonen las Alexandras. Aunque no. No perdonen. Que no ha auido mas de vn Alexandro, macho, y hembra deste nombre, ni deste humor ninguna. Lo segundo que nos rinde y obliga es, ver que vn hombre nos esta sugeto, rendido, puntual, reconocedor de nuestras excelencias y hermosura, protestador de que es indigno sieruo, y nosotras Reynas meritissimas. Este es gran punto, y su fundamento tambien es muy natural, y si no me engaño es este. Las mugeres nacimos esclauas y sugetas, y como por nuestros pecados todo el dominio y sugecion es aborrecible, aunque sea natural y para nuestro bien, ni cosa mas amable que el mandar, 425 viene a ser, que no ay cosa de nosotras mas estimada que vernos con cetro sobre las vidas, y sobre las almas, aunque sepamos que ha de durar poco, y lo peor es, que no dura mas el cetro que si fuesse hecho de humo, y si lo es, humo es, que nace de fuego de estopa. [...] El tercer modo, tambien muy cosario para rendir voluntades mugeriles, es la importunacion perseuerante, o perseuerancia importuna. No lo digo por dezir, sino porque es verdad notoria : y la razon lo es mucho mas. Las mugeres nacimos para dar gusto, y no ay cosa que a nuestro natural mas le contradiga, que dexar a nadie descontento. 426  







Queste pagine – e tante altre 427 – della Pícara Justina non lasciano dubbi sulla misoginia  

424   Nel « Prologo » indirizzato al lettore, l’autore, direttamente, afferma “que ya en estos tiempos, las mugeres perdidas no cesan sus gustos para satisfacer a su sensualidad (que estos fuera menos mal) sino que hazen desto trato ordenandolo a vna insaciable codicia de dinero. De modo que mas parecen mercaderas, tratantes de sus desuenturados apetitos, que engañadas de sus sensuales gustos. Y no solo lo parece assi, pero lo es [...].” (Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « Prologo al Lector », fo. [A 7r].) Giovanni della Casa aveva scritto : “Viget ... avaritia in feminis plurimum ; nam ut angustissimo quisque est animo, ita pecuniae maxime cupidus appetensque esse consuevit. Quare siquae sunt – qui quidem numerus sane perexiguus est – quae neque libidinis ipsae suae stimulis agitatae matrimonii ius violent, neque amatorum illecebris captae inductaeque castitatem deserant, eae pretio pecuniaque redemtae sese omnemque familiam probris flagitiisque faedant. Fit autem nescio quomodo, uti nemo tam reliquis in rebus sit parcus et tenax, quin simul atque libidine atque amore exarsit, non profusus largitor exsistat. At mulier quidem, cum id, quod nihil ipsa esse intelligit quodque admiretur inveniri quenquam, qui recipere utique ne gratis quidem velit, tanti venire docetur posse, frugi etiam sese existimat esse, cum tantum lucri tantumque praedae e manibus non amittat” (Giovanni della Casa : Quaestio lepidissima an uxor sit ducenda. In : Prose di Giovanni della Casa e altri trattatisti cinquecenteschi del comportamento. A cura di Arnaldo Di Benedetto. Torino : Unione Tipografico-Editrice Torino 1970, pp. 47-133 ; qui pp. 118, 120). 425   “Todas las mugeres quieren hablar y quieren que todos callen ; todas quieren mandar y no quieren ser mandadas ; todas quieren ser libres y que todos les sean captivos ; todas quieren regir y ninguna ser regida ; finalmente una cosa sola quieren y en ésta todas conforman, y es que quieren gozar de los que aman y vengarse de los que aborrescen. Puédese de lo sobredicho colegir que a los moços livianos que siguen sus liviandades acocean como a esclavos, y a los cuerdos que como cuerdos recuten sus apetitos persiguen como a enemigos” (Fray Antonio de Guevara : Relox de Príncipes. Estudio y edición de Emilio Blanco, p. 486). 426   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO QVARTO DE LA PICARA NOBIA. CAPITVLO QVARTO DE LAS obligaciones de amor », pp. 31-34. 427   Si legga, per esempio, questa pagina : “el dia que nacemos, [d]el cuerpo de Eua, heredamos las mugeres ser gulosas, y dezir que sabe bien lo que solo probamos con el antojo, parlar de gana, aunque sea con serpientes, como quiera que tengan cara y hablen gordo. Comprar vn pequeño gusto, aunque cueste la honra de vn linage. Poner a riesgo vn hombre por vn jug[u]ete, echar la culpa al diablo de lo que peca la carne, y finalmente heredamos comprar caro, y vender barato” (Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO PRIMERO, INTITVLADO LA PICARA Montañesa. CAPITVLO SEGVNDO DEL abolengo alegre. NVMERO SEGVNDO DEL Abolengo festiuo », p. 65). O questa : “Es necedad pensar, que muger estimada, aya de hazer caso de quien la mira. Antes hara mercedes a vn verduguo [verdugo], si la amenaza con la penca, que fauores, a quien la quita vna gorra, y se le humilla. Somos como pulpo, que nos halla mejores, quien nos obstiga mas” (« LIBRO SEGVNDO INTITVLADO LA PICARA Romera. En que se trata la jornada de Arenillas. CAPITVLO PRIMERO, de la Romera Baylona. NVMERO SEGVNDO DEL Escudero enfadoso », p. 124). Oppure questa : “Confiesso, que las mugeres somos de casta de plaça, que siempre gustamos de lo de acarreo, y somos como el desseo, que siempre endereça a lo mas remontado. Y somos como perros, que no nos hallamos donde no ay gente...” (« LIBRO SEGVNDO INTITVLADO LA PICARA Romera. En que se trata la jornada de Arenillas. CAPITVLO SEGVNDO DE LA Vigornia burlada. NVMERO TERCERO DE LOS Beodos burlados », p. 181). O questa ancora : “[...] y crean que las mugeres en orden a cumplir vn antojo de galas,  





















































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del suo autore, che indica nell’attività sessuale la funzione quasi esclusiva della donna, definita maliziosamente “ayuda de camara” dell’uomo. 428 S’incontrano però nel romanzo anche pagine nelle quali si depreca la condizione di ‘schiavitù’ della donna, 429 si loda – ambiguamente – la sua sapienza e la sua pronta  



somos estrañas, y si nos determinamos a comprar vna gala, nos ha de venir a las manos aunque nos cueste lo que la mançana de Paris, es herencia de Eua, y desde que ella por vn gusto que el Diablo pinto, puso a riesgo vn hombre, y en el el mundo todo : quedamos mal enseñadas, a poner a riesgo quanto vuiere, y atropellarlo todo, a trueco de salir con nuestros gustos...” (« SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO DE la Picara Romera. Capitulo. IIII. De la romera de Leon. Numero tercero de la romera enuergonzante », p. 88). Si tengano presenti anche affermazioni come le seguenti : “Mira que embidiosas somos las mugeres, que aun de la burra tuue embidia, de verla venir tan galana. Mas no es nueua en nosotras esta flaqueza...” (« SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO DE la Picara Romera. Capitulo. I. De la jornada de Leon. Numero primero, Del afeyte mal[em] pleado », pp. 5-6). – “Somos las mugeres como mosquitos que se van con mas desseo al vino mas fuerte, en que mas presto se ahogan. Somos como rabos de pulpo, que quien mas le açota le come mejor sazonado. Somos como mariposas, que dexando la apazibilidad del Sol, y de la Luna, con toda propiedad morimos por la abrasadora luz de la candela, donde juntamente hallamos el desengaño y el castigo. Muere muy antes vna muger, por vn atreuido que ofendio su honor (y aun su gusto) que por vn comedido que la guarda el ayre...” (« SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO : DE la Picara Romera. Capitulo. I. De la jornada de Leon. Numero segundo de la pulla del fullero », pp. 13-14). – “Entonces eche de ver lo que sabemos dissimular las mugeres, y con quanta razon pintaron a la dissimulacion como donzella modesta, la qual debaxo del vestido tenia vn Dragon, que assomaua por la faltriquera de su saya” (« SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO DE la Picara Romera. Capitulo quarto [segvndo !] del fullero burlado. Numero segundo : de la vergonçosa engañadora », pp. 38-39). – “nadie se espante, si nos viere a las mugeres fingidoras, dissimuladas, recetistas, vizmadoras, saludadoras, y todo sobre falso, que todo es heredado...” (« TERCERA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO De la Picara Romera. Capitulo 2. de la vizma de Sancha Gomez. Numero. 2. De la vizna [vizma] pegajosa », p. 146). 428   Ecco quanto Justina, inferocita per essere stata chiamata cinquantenne, dice a Perlícaro : “Si quiere saber que lo que ha dicho allâ entre cuero y carne, no tiene entre si mas semejança, que vn hueuo con vnas medias calças, sepa que los hombres, solo por tener derecho, a enfadar de oficio, huelgan que los llamen viejos, pero las mugeres, como huelgan de ser bonazas, prouechosas, salsa de gusto, pollas comederas, rabanitos de Mayo, perritos de falda, por esso gustan de parecer mocitas, y desgustan de que las llamen talludas. [...] sepa que el hombre fue hecho para enseñar, y gouernar, en lo qual las mugeres, ni damos, ni tomamos. La muger fue hecha principalmente para ayudarle, (no a este oficio, sino a otro de a ratos, conuiene a saber) a la propagacion del linaje humano, y a cuydar de la familia. De aqui nace (atencion por charidad) de aqui nace, que porque el varon en la vejez estâ mas a proposito, para el gouierno, por estar mas instruydo, y experimentado, lo mismo es, llamarle viejo, que dezirle vn requiebro : y le pesa encontrar con Iordanes, que le remocen (digo de dia, que de noche, ay otro Kalendario) por el contrario, la muger (como fue hecha para ayuda de camara) en viendo que los años se van de camaras, y los hombres las tienen por dezirselo, ponen vn gesto de puxo : y el llamarlas moças, o niñas, es tañerles vna almendrada” (Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO PRIMERO, INTITVLADO LA PICARA Montañesa. CAPITVLO PRIMERO, de la Escriuana fisgada. NVMERO SEGVNDO DE LA contrafisga colerica », pp. 49-50). 429   “Aueys de supponer,” – sostiene la “donzella Theodora” spiegando la ragione delle “dos inclinaciones de andar y baylar” peculiari delle donne – “(illustres madamas y dayfises,) que aunque es cosa tan natural como obligatoria, que el hombre sea señor natural de su muger, pero que el hombre tenga rendida a la muger, aunque la pese, esso no es natural, sino contra su humana naturaleza, porque es captiuidad, pena, maldicion, y castigo. Y como sea natural el aborrecimiento desta seruidumbre forçosa, y contraria a la naturaleza, no ay cosa, que mas huyamos, ni que mas nos pene, que el estar atenidas contra nuestra voluntad, a la de nuestros maridos, y generalmente a la obediencia de qualquier hombre. De aqui viene que el deseo de vernos libres desta penalidad, nos pone alas en los pies, Vean aqui la razon, porque somos andariegas. Y la que ay para que seamos tan amigas de baylar, es la siguiente. En el baylar ay dos cosas, la vna es andar mucho, y la otra es alegrarnos mucho con el alegre son, y como en el estar sujetas ay dos males, el vno estar atadas para no salir donde queremos, el otro estar tristes de vernos oprimidas, y tanto que no ay neçio, a quien no le parezca que haze suerte, en dezir mal de nosotras, como si fueramos todas burras de venta, y en mala seria [feria], que para ser compradas ayamos de ser vituperadas : y como en el baylar ay dos bienes, contra estos dos males, el vno el andar, y el otro el alegrarnos, tomamos por medio estas dos alas, para huyr de nuestras penas, y estas dos capas para cubrir nuestras menguas” (Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO SEGVNDO INTITVLADO LA PICARA Romera. En que se trata la jornada de Arenillas. CAPITVLO PRIMERO, de la Romera Baylona. Numero primero. De la castañeta repentina », pp. 115-116). Sulla Historia de la Doncella Teodor, cfr. Julio Puyol y Alonso : « Notas », pp. 276-277.  



















































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intelligenza 430 e si fa l’apologia di quella ‘libertà’ femminile di cui Justina, che in tutta la sua vita non altri beni e tesori ha accumulato “sino vna mina de gusto y libertad”, 431 è paladina e simbolo (“estatua de libertad” 432). Cosí non sono mancati studiosi che hanno negato la misoginia dell’opera, la cui protagonista è certamente presentata con simpatia (“IVstina fue muger de raro ingenio, feliz memoria, amorosa y risueña, de buen cuerpo, talle y brio, ojos çarcos, pelinegra, nariz aguileña y color moreno. De conuersacion suaue, vnica en dar apodos : fue dada a leer libros de romance...”. 433 – “verdad es que era moça alegre, y de  









430   “Has oydo mi traça, no has atendido como en ella acudi a todo ? que portillo dexe por cerrar ? que razon sobro ni falto ? Y despues diras que las mugeres somos indiscretas, e incapazes, y que por esso no nos dan estudio. Engañanse, y crean que si nos niegan el estudio es, porque de ante mano sabe mas vna muger en la cama, que vn estudiante en la vniuersidad desoxandose. Es nuestra sciencia natural, y por tanto las sciencias de acarreo son de sobra. No conuiene que a las mugeres nos ocupen en estudios, que duren de media hora arriba, porque si tal nos ocuparan, se acabaran todas las buenas traças repentinas. Los hombres traçan de tarde en tarde, y con tinta y pluma, nosotras, en el ayre, y por esso para que se conseruen las sciencias repentinas, no es justo nos ocupen en las de assientos. Que predicador ni que Apolo pudiera con mas presteza, remediar vn peligro como el que yo remedie, con solas quatro palabras ? Acaua pues de creer que ay sophias, y que son mugeres” (Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « TERCERA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO De la Picara Romera. Capitulo tercero del bobo atreuido », p. 159). 431   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO SEGVNDO INTITVLADO LA PICARA Romera. En que se trata la jornada de Arenillas. CAPITVLO PRIMERO, de la Romera Baylona. Numero primero. De la castañeta repentina », p. 117. 432   Naturalmente la parola “libertad” ha nella Pícara Justina una connotazione negativa. È infatti intesa come “licencia exorbitante, desenvoltura y desvergüenza” (Diccionario de Autoridades, t. IV, p. 396). Si legga l’intero « APROUECHAMIENTO » e il seguente, ultimo paragrafo dell’opera in cui ricorre la definizione della protagonista come “estatua de libertad” : “GEneralmente en el discurso de este primer tomo y en el de la mocedad de esta muger o (por mejor dezir) desta estatua de libertad, que è fabricado) echaras de ver, que la libertad que vna vez echa en el alma rayzes, por instantes crece con la ayuda del tiempo y fuerça de la ociosidad : veras ansimismo, como la muger que vna vez echa al trançado el temor de Dios, de nada gusta sino es de aquello en que le contradize. siendo ansi, que sin Dios no ay cosa que merezca nombre de gusto, sino de pena mayor que los mil infiernos. Mas como Dios sea infinitamente bueno, de los males saca bienes para los suyos, y para su diuino nombre honrra y gloria.” – “TODO lo que en este libro se contiene sujeto a la correccion de la santa Iglesia Romana, y de la santa Inquisicion. Y aduierto al Lector que siempre que encontrare algun dicho en que parece que ay vn mal exemplo, repare que se pone para quemar en estatua, aquello mismo, y en tal caso se recorra al aprouechamiento que ê puesto en el fin de cada numero, y a las aduertencias que hize en el Prologo al Lector, que si ansi se haze, sacarse a vtilidad de ver esta estatua de libertad que aqui ê pintado, y en ella los vicios que oy dia corren por el mundo. Vale. LAVS DEO” (Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO QVARTO. DE LA PICARA NOBIA. CAPITVLO QVINTO DE LA boda del meson », pp. 47-48). 433   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « Prologo summario de ambos los tomos, de la Picara Iustina », fo. [A 9r]. Questa immagine di Justina giovane contrasta fortemente con il ritratto che Justina, ormai sulla cinquantina e devastata dalla sifilide, fa di se stessa quando, apprestandosi a raccontare la sua vita, descrive “su persona y qualidades” cosí : “soy pobre, picara, tundida de çexas y de verguença, y [...] de puro pobre, he de dar en comer tierra, para tener mejor merecido que la tierra me coma a mi, que si me rasco la cabeça no me come el pelo, y segun mi pluma lleua la corriente atreuida y dissoluta, a poca mas licencia la tomaran [tomará] para ponerme de lodo, porque quien me ha dado seys nombres de P. conuiene a saber, Picara, Pobre, poca verguença, Pelona, y Pelada, Que he de esperar, sino que como la pluma tiene la P. dentro de su casa, y el alquiler pagado, me ponga algun otro nombre de P. que me eche a puertas” (Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « INTRODVCCION GENERAL, PARA TODOS los tomos y libros. Escrita de mano de Iustina. Intitulada la Melindrosa Escriuana. DIVIDESE ESTA INTRODVCCION en tres numeros. Numero primero, Del melindre al pelo de la pluma », pp. 12-13). Nel numero seguente Justina scrive che il suo viso presenta rughe (“alforjas o bregadures”) cosí profonde “que parece ojaldrado” (« Numero segundo, Del melindre a la mancha », p. 14). Infine, nell’« Aprovechamiento », posto alla fine del terzo numero, si trovano queste righe : “con razon pinta el Author esta mugercilla tan hueca, de quatro giroblificos que leyò en qualque Romancero, en el entretanto que se le secauan los paños, o trahian el medio para medir ceuada” (Numero segundo [tercero !]. Del melindre a la culebrilla, p. 33). L’età di Justina viene precisata cosí da Perlícaro : “Yo bien estoy (señora miadora) que despues de ser quinquagesima, de en carnestolendas : pero no en historiogarfia [historiógrafa]. Segun esso, a quando aguarda ? Dirame que es mozita la rezien nacida, No medre don Perlicaro, si a buena cuenta, tomada el bisiesto en que nacio, hasta el presente, en que estamos, no haze oy quarenta y ocho, tan justos como baraja de naypes...” (Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina.  























































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la tierra, y en viendo baylar, me retoçaua la risa en el cuerpo” 434). Secondo Patricia D. Zecevic l’autore della Pícara Justina – riallacciandosi alla tradizione cabalistica – esprimerebbe, attraverso la “melindrosa” voce di Justina, “lo divino femenino”. 435 Valentín Pérez Venzalá nega l’antifemminismo dell’opera facendo notare che Justina trionfa sempre sugli uomini 436 e che molti dei suoi comportamenti e pensieri mostrano un certo “pre-feminismo” (non è disposta, per esempio, come le sue ‘cugine’ a lasciarsi maltrattare dagli uomini). Le caratteristiche negative di Justina – incostante, prostituta e incapace di mantenere un segreto –, che testimonierebbero della misoginia dell’autore, vanno, secondo lo studioso, considerate nell’ambito di una “tradición misógina carnavalesca”, nella quale tutte queste ‘indegnità’ hanno anche un “polo positivo”. Così, nell’ambito del carnevale, la promiscuità femminile non è negativa, ma un simbolo della fecondità e della libertà. 437  







Letteratura del gioco e dell’intrattenimento. Letteratura satirica degli umanisti. Letteratura folklorica. Letteratura carnevalesca. Commedia dell’Arte Costituenti non meno importanti del contesto letterario della Pícara Justina, che contiene molte voci ed espressioni di germanía, 438 sono la letteratura medievale e rinascimentale del gioco e dell’intrattenimento, 439 la letteratura satirica degli umanisti, 440 la letteratura folklo 





Medina del Campo 1605, « LIBRO PRIMERO, INTITVLADO LA PICARA Montañesa. CAPITVLO PRIMERO, de la Escriuana fisgada. Numero primero. Del fisgon medroso », p. 41). 434   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO SEGVNDO INTITVLADO LA PICARA Romera. En que se trata la jornada de Arenillas. CAPITVLO PRIMERO, de la Romera Baylona. Numero primero. De la castañeta repentina », p. 117. 435   Patricia D. Zecevic : La Pícara Justina y la Kabbalah española. In : Actas del XIII Congreso de la Asociación Internacional de Hispanistas. Madrid. 6-11 de Julio de 1998. I. Medieval. Siglos de Oro. Edición de Florencio Sevilla y Carlos Alvar. Madrid : Editorial Castalia 2000, pp. 837-847 ; qui pp. 838-839. Katharina Niemeyer si oppone alle “lecturas feministas de la Pícara Justina”, elaborate “pasando por alto de que se trata de una figura y un discurso inventados por un autor masculino – y tomando en serio la defensa explícita de Justina de su « entereza »”. Cfr. Katharina Niemeyer : « ¿Quién creerá que no he de decir más mentiras que letras ? » El Libro de entretenimiento de la pícara Justina, de Francisco López de Úbeda (Medina del Campo, 1605), p. 197, nota nro. 11. 436   Antifemminismo e superiorità sugli uomini non sono incompatibili secondo Encarnación Juárez Almendros, che scrive : “Paradójicamente, a pesar de que Justina encarna la concepción misoginista de la feminidad, tanto en su configuración externa como en otros aspectos de su personalidad, resiste someterse a los hombres. Como narradora asume el poder de expresar su particular visión de ellos mientras presenta una difusa identidad de sí misma y como protagonista muestra capacidad de burlarlos, saquearlos y abortar la consumación de relaciones de desigualdad con los varones. Con la fragmentación, movimiento e impulso del personaje se consigue revertir las prácticas falocéntricas en el texto” (El cuerpo vestido y la construcción de la identidad en las narrativas autobiográficas del Siglo de Oro, p. 117). 437   Valentín Pérez Venzalá : Del bufón al pícaro. El caso de la Pícara Justina, p. 26 n. 438   Cfr. César Hernández Alonso - Beatriz Sanz Alonso : Germanía y sociedad en los Siglos de Oro. La cárcel de Sevilla, pp. 363-366. 439   Sulla letteratura medievale e rinascimentale del gioco e dell’intrattenimento, cfr. Passare il tempo. La letteratura del gioco e dell’intrattenimento dal XII al XVI secolo. Atti del Convegno di Pienza, 10-14 settembre 1991 (= Pubblicazioni del Centro Pio Rajna – Sez. I/3*-3**). Roma : Salerno Editrice 1993, 2 tomi. Si vedano, in particolare, i seguenti saggi : Nicola De Blasi : Intrattenimento letterario e generi conviviali (farsa, intramesa, gliommero) nella Napoli aragonese (I, pp. 129-159). – Paolo Orvieto : Carnevale e feste fiorentine del tempo di Lorenzo de’ Medici (I, pp. 161-188). – Laura Riccò : L’invenzione del genere “Veglie di Siena” (I, pp. 373-398). – Danilo Romei : Il “doppio gioco” dei poeti burleschi del Cinquecento (I, pp. 399-442). – Emilio Speciale : Il gioco della conversazione (II, pp. 707-719). 440   Specialmente la bizzarra operetta latina Momus di Leon Battista Alberti, con la sua satira di dei e semidei, deve aver suscitato l’interesse dell’autore della Pícara Justina, nella quale è frequentemente intessuta la parodia di favole mitologiche. Due volte viene citato il Momo, conosciuto probabilmente attraverso la traduzione castigliana di Agustín de Almaçán (Alcalá de Henares : Joan de Mey Flandro 1553. – Madrid : Várez de Castro 1598).  























   

























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rica 441 – molto presente nel Libro de entretenimiento con le sue genealogie parodiche, le sue burle, i suoi cuentecillos 442 e chascarrillos, 443 i suoi refranes 444 – e la letteratura carnevalesca del XVI secolo (forse qualcuno dei numerosi studenti spagnoli del Colegio de San Clemente di Bologna, fondato dal cardinale Gil de Albornoz, si era dilettato a leggere alcune opere di Giulio Cesare Croce, quali L’Eccellenza, et Trionfo del Porco, La solenne e trionfante entrata dello squaquaratissimo, e sloffeggiantissimo Signor Carnevale o lo Sbandimento, esamine, e processo del fraudolente, insolente, & prodigo Carnevale), 445 il cui capolavoro, il Gargantua et Pantagruel (1532-1564) di François Rabelais, non poco deve alle Maccheronee di Merlin Cocai. Anche la Commedia dell’Arte italiana, la cui origine è strettamente legata al Carnevale, 446 intessuta com’è di lazzi, burle e beffe e di grottesche deformazioni, esercita sulla Pícara Justina 447– così come sul Quijote 448 – un influsso importante. Essa fu inten 















Cfr. Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « Prologo summario de ambos los tomos, de la Picara Iustina », fo. [A 9r] (“no ay ... chistes en Momo...”) ; « LIBRO SEGVNDO INTITVLADO LA PICARA Romera. En que se trata la jornada de Arenillas. CAPITVLO SEGVNDO DE LA Vigornia burlada. NVMERO SEGVNDO DEL parlamento loco », p. 166 (“Començe a contar cuentos, los mas de risa, que se me ofrecieron, para diuertirle la sangre. [...] Del momo vn poquito : mas dixo al momo no no”). 441   Sulla presenza sempre più ampia di raccontini folklorici nella letteratura spagnola del Siglo de Oro, cfr. Maxime Chevalier : Folklore y literatura. El cuento oral en el Siglo de Oro. – Domingo Ynduráin : Cuento risible, folklore y literatura en el siglo de oro. In : Revista de dialectología y tradiciones populares 34 (1978-79), 109-134. – Literatura y folklore : Problemas de intertextualidad (Acta Salmanticensia. Serie varia, 46). Redacción de J. L. Alonso Hernández. Universidad de Groningen - Universidad de Salamanca 1983. – Augustin Redondo : Folklore, referencias histórico-sociales y trayectoria narrativa en la prosa castellana del Renacimiento. De Pedro de Urdemalas al “Viaje de Turquía” y al “Lazarillo de Tormes”. In : Actas del IX Congreso de la Asociación Internacional de Hispanistas. Publicadas por Sebastian Neumeister. I. Frankfurt am Main : Vervuert Verlag 1989, pp. 65-88. – José Fradejas Lebrero : De un refrán al cine : « Le quitay de la horca como puta ». In : Rafael Beltrán - Marta Haro (Eds.) : El cuenro folclórico en la literatura y en la tradición oral. Valencia : Universitat de València 2006, pp. 151-185. 442   Cfr. M. Chevalier : Quevedo y su tiempo, pp. 102-133. – M. Chevalier : Folklore y literatura, pp. 111-115. M. Chevalier segnala alcuni esempi di cuentecillos tradicionales, di cuentecillos-pullas, intessuti nella Pícara Justina (molti sono stati segnalati anche da Antonio Rey Hazas nelle note alla sua edizione della pícara justina), e considera di origine folclorica il ritratto della mesonera, madre di Justina (Folklore y literatura, pp. 54-55, pp. 68-69, pp. 142-143). Cfr. inoltre Maxime Chevalier : Cuentecillos tradicionales en la España del Siglo de Oro (= Biblioteca Románica Hispánica. IV. Textos, 9). Madrid : Gredos 1975, pp. 111-112, p. 196, p. 230, pp. 246-247, p. 265, pp. 321-322. 443   Luc Torres (Discours festif, p. 397) afferma di aver contato nella Pícara Justina “un total de trente et un contes ou allusions directes ou indirectes à des contes « plaisants » (fabliellas)”. 444   Il Libro de entretenimiento contiene “una carretada de refranes” (Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « INTRODVCCION GENERAL, PARA TODOS los tomos y libros. Escrita de mano de Iustina. Intitulada la Melindrosa Escriuana. DIVIDESE ESTA INTRODVCCION en tres numeros. Numero segundo, Del melindre a la mancha », p. 21). Secondo José Gella Iturriaga i refranes dell’opera sono 362 (poco più di 200 secondo la selezione più rigorosa di Luc Torres, che ha realizzato “un cotejo pormenorizado con los Refraneros más representativos de la Edad Media y de los Siglos XVI y XVII”). Cfr. José Gella Iturriaga : El refranero en la novela picaresca y los refranes del Lazarillo y de La Pícara Justina. In : La picaresca. Orígenes, textos y estructuras. Actas del I Congreso Internacional sobre la Picaresca organizado por el Patronato « Arcipreste de Hita ». Dirección : Manuel Criado de Val. Madrid : Fundación Universitaria Española 1979, pp. 231-255 (i 362 refranes della Pícara Justina sono elencati alle pp. 237-250). – Luc Torres : Usos, abusos y desusos del Refranero en la Pícara Justina de F. López de Úbeda. In : Cahiers du P.R.O.H.E.M.I.O. N° 2. Usages de la formule. Actes du Colloque International 21-22 novembre 1997. Orléans : Presses Universitaires d’Orléans 1998, pp. 61-88 (pp. 72-88 : « Corpus de expresiones »). 445   Sulla letteratura carnevalesca rinascimentale cfr. Michail Bachtin : L’opera di Rabelais e la cultura popolare. Riso, carnevale e festa nella tradizione medievale e rinascimentale, pp. 69-157. – Piero Camporesi : Il paese della fame. Bologna : Il Mulino 1978, pp. 187-232. 446   Cfr. Mario Apollonio : Storia della Commedia dell’Arte. Firenze : Sansoni 1982, pp. 18-24. 447   Nell’opera, laddove si descrive la festa per le nozze di Justina, si trova anche un diretto riferimento a una commedia all’improvviso : “Vna comedia hizieron los estudiantes de Mansilla, de repente, y era la historia del Rey Morcilla, y las cortes del mal cozinado” (Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO QVARTO. DE LA PICARA NOBIA. CAPITVLO QVINTO DE LA boda del meson », p. 43). 448   Cfr. Augustin Redondo : Otra manera de leer el Quijote. Historia, tradiciones culturales y literatura, pp.  

































































































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samente recepita in Ispagna grazie alla compagnia di Zan Ganassa (Alberto Naselli), attiva dal 1574 al 1584 a Madrid, Valladolid, Toledo, Siviglia e in Portogallo, 449 alla sfortunata compagnia de “I Cortesi” di Massimiliano Milamino, presente a Valladolid e a Madrid negli anni 1581-1582, 450 alla compagnia di Stefanello Bottarga (Abagaro - o Avagaro - Francesco Baldi, o Francobaldi), che per lunghi anni – a partire dal 1582 – rappresentò a Valencia, a Sevilla e a Valladolid 451 (la sua attività in questa città è documentata sino al 1588 452), alla compagnia de “Los Italianos” – la loro presenza a Valencia è documentata per gli anni 1583, 1585, 1587, 1589, 1593, 1597 453 – e alla compagnia de “I Confidenti” di Tristano Martinelli, il famoso Arlecchino, che giunse in Ispagna nel 1587 per una breve tournée. 454 Naturalmente, accanto agli influssi più specificamente letterari, anche la festiva atmosfera della Corte di Filippo III, negli anni del suo soggiorno vallisoletano, stimolò e favorì la nascita di opere ‘carnevalesche’, come il Buscón, il Don Quijote, la Pícara Justina e i Diálogos de apacible entretenimiento di Gaspar Lucas Hidalgo. 455  













209-218. – Fausto De Michele : Quello che il Don Chisciotte deve alla maschera del Capitano della Commedia dell’Arte. In : Italienisch. Zeitschrift für italienische Sprache und Literatur 31. Jahrgang (2009/1), pp. 51-70. 449   Cfr. Norman D. Shergold : Ganassa and the Commedia dell’Arte in Sixteenth-Century Spain. In : Modern Language Review 51 (1956), 359-368. – John V. Falconieri : Historia de la Commedia dell’Arte en España. In : Revista de Literatura XI-XII (1957), 3-37 ; 69-90. – O. Arróniz : La influencia italiana en el nacimiento de la comedia española, pp. 209-238. – Bernardo José García García : La compañía de Ganassa en Madrid (1580-1584) : tres nuevos documentos. In : Journal of Hispanic Research 1 (1992-1993), 355-370. – Marco Presotto : Teatro spagnolo e comici italiani nel secolo XVI. In : Annali di Ca’ Foscari 23 (1994), 335-366. – Carmen Sanz Ayán - Bernardo J. García García : El « oficio de representar » en España y la influencia de la comedia dell’arte (1567-1587). In : Cuadernos de Historia Moderna 16 (1995), 475-500 ; qui pp. 477-491. – Rinaldo Froldi : I comici italiani in Spagna. In : Origini della Commedia Improvvisa o dell’Arte. A cura di M. Chiabò e F. Doglio. Centro Studi sul Teatro Medioevale e Rinascimentale. Roma : Torre d’Orfeo Editrice 1996, pp. 273-289. – Bernardo J. García García : L’esperienza di Zan Ganassa in Spagna tra il 1574 e il 1584. In : Zani mercenario della piazza europea. Introduzione e cura di Anna Maria Testaverde. Presentazione di Alberto Castoldi. Giornate Internazionali di Studio, Bergamo 27-28 Settembre 2002. Bergamo : Moretti & Vitali 2003, pp. 131-155. 450   Cfr. O. Arróniz : La influencia italiana en el nacimiento de la comedia española, pp. 238-242. 451   Cfr. O. Arróniz : La influencia italiana en el nacimiento de la comedia española, pp. 242-249. – María del Valle Ojeda Calvo : Nuevas aportaciones al estudio de la Commedia dell’arte en España : el zibaldone de Stefanello Bottarga. In : Criticón, Toulouse, 63 (1995), 119-138. – Anastasio Rojo Vega : Fiestas y comedias en Valladolid. Siglos XVI-XVII, p. 284. – Maria Grazia Profeti : Ganassa, Bottarga e Trastullo in Spagna. In : Zani mercenario della piazza europea. Introduzione e cura di Anna Maria Testaverde. Presentazione di Alberto Castoldi. Giornate Internazionali di Studio, Bergamo 27-28 Settembre 2002. Bergamo : Moretti & Vitali 2003, pp. 178197. – Giuseppe Mazzocchi : La Commedia dell’Arte y su presencia en España. In : Javier Huerta Calvo (dir.) : Historia del teatro español. I. De la Edad Media a los Siglos de Oro. Abraham Madroñal - Durán Héctor Urzáiz Tortajada (coords.). Madrid : Gredos 2003, pp. 549-579. – María del Valle Ojeda Calvo : Stefanello Botarga e Zan Ganassa. Vol. I. Scenari e zibaldoni di comici italiani nella Spagna del Cinquecento (= Biblioteca Teatrale, 137). Roma : Bulzoni 2007. 452   Anastasio Rojo Vega (Fiestas y comedias en Valladolid. Siglos XVI-XVII, p. 316) documenta il contratto stipulato il 25 agosto 1592 fra “Jorge Ganasa, autor italiano” e il “músico Alonso de Briones”. Questo Giovan Giorgio Ganassa – la presenza sua e della sua compagnia è documentata anche a Madrid nel 1603 – è stato erroneamente identificato con Alberto Naselli, che aveva definitivamente lasciato la Spagna nel 1584 per tornare in Italia, dove poco dopo morì. Cfr. Jaime Sánchez Romeralo : El supuesto retorno de Ganassa a España. In : Quaderni Ibero-Americani 67-68 (1990), 121-133. 453   Cfr. Henri Mérimée : Espectáculos y comediantes en Valencia (1580-1630). Traducido y anotado por Vicenta Esquerdo Sivera (= Estudis Universitaris, 96). Valencia : Institució Alfons el Magnànim – Diputació de València 2004, pp. 110-111, pp. 169-171. – O. Arróniz : La influencia italiana en el nacimiento de la comedia española, pp. 249-252. 454   Cfr. O. Arróniz : La influencia italiana en el nacimiento de la comedia española, pp. 252-256. – Carmen Sanz Ayán - Bernardo J. García García : El « oficio de representar » en España y la influencia de la comedia dell’arte (1567-1587), p. 499. 455   Cfr. Augustin Redondo : Otra manera de leer el Quijote. Historia, tradiciones culturales y literatura, p. 206, pp. 209-213, p. 332, p. 422.  

































































































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capitolo viii Geroglifici ed emblemi

Con la scoperta, effettuata nel 1419 da Cristoforo Buondelmonti nell’Isola di Andros, del manoscritto greco degli Hieroglyphica di Horapollo, che circolò immediatamente negli ambienti umanistici fiorentini e piú tardi suscitò grande interesse nei circoli neoplatonici formatisi attorno a Marsilio Ficino, e soprattutto con la comparsa, nel 1505, della princeps aldina del trattato, subito seguita da due traduzioni latine (Bologna 1517. – Basilea 1518), iniziò la grande moda dei ‘geroglifici’. Il successo enorme degli Hieroglyphica (Hieroglyphicorum, ex sacris Aegyptiorum literis, libri octo. Florentiae 1556. – Hieroglyphica, sive de sacris Aegyptiorum literis commentarii. Basileae 1556. – 1567. – 1575. – 1602. – 1604. – ecc. ecc.) di Giovanni Pierio Valeriano, tradotti in francese (Commentaires hiéroglyphiques. Lyon 1576) e in italiano (Ieroglifici. Venetia 1602) e variamente imitati (Andrés de Acitores O. Cist. : Theologia symbolica sive hieroglyphica. Salmanticae. Excudebat Didacus à Cussio, M.D.XCVII. – Fray Lorenzo de Zamora : Monarchia mystica de la Iglesia, hecha de hieroglyficos, sacados de las humanas y diuinas letras : en que se trata de la composicion del cuerpo mystico de la Iglesia. Año 1603. En Çaragoça por Alonso Rodriguez. A costa de Jvan de Bonilla, mercader de libros. – Madrid : Luis Sánchez 1604), intensificò fortemente la moda dei ‘geroglifici’, che durò sino al XVIII secolo. 456 Alla moda dei ‘geroglifici’ si sovrappose quella del genere emblematico, la cui origine e fortuna sono strettamente collegate all’interesse per l’epigramma greco – suscitato dalla raccolta di epigrammi costituita da Maximos Planudes (redazione ultimata il 1° settembre 1299) e pubblicata da Giano Làscaris (Anthologia Planudea. Firenze : Lorenzo d’Alopa 1494. – Venezia : Aldo Manuzio 1503) – e all’intensa circolazione degli Hieroglyphica di Horapollo. 457 Iniziata con l’Emblematum liber (Excvsvm Avgvstae Vindelicorvm, per Heynricum Steynerum die 28. Februarij, Anno M.D.XXXI. – Emblemata. Lvgd. Apvd Gvliel. Rovilivm. 1550), la fortunatissima opera di Andrea Alciato, 458 la moda degli emblemi fu notevolmente rafforzata dalla pubblicazione della Iconologia (Roma : Heredi di Gio. Gigliotti 1593 ; 2ª ed. – la prima illustrata con figure ! – Roma : Lepido Facij 1603 459) di Cesare Ripa. 460 In Ispagna, dove era diffusa sia nell’edizione latina originale sia nella traduzione di Bernardino Daza Pinciano (Los emblemas de Alciato traducidos en rimas españolas. Lyon : Guillaume Roville 1549), 461 l’opera di Andrea Alciato ebbe un grande successo e dette origine – unitamente ai trattati delle imprese (Paolo Giovio : Dialogo  



































456   Cfr. Cristina Vernizzi : « Geroglifici, libri di ». In : Manuale enciclopedico della bibliofilia. Milano : Edizioni Sylvestre Bonnard 1997, pp. 303-306. 457   Cfr. Mario Praz : Emblema, impresa, epigramma, concetto. In : M. P. : Studi sul concettismo (= Biblioteca Sansoniana Critica, IX). Firenze : Sansoni 1946, pp. 1-57. 458   Cfr. la bellissima edizione, or ora pubblicata, Andrea Alciato : Il libro degli emblemi, secondo le edizioni del 1531 e del 1534. Introduzione, traduzione e commento di Mino Gabriele (= Classici, 74). Milano : Adelphi 2009. 459   Cfr. Cesare Ripa : Iconologia. Edizione pratica a cura di Piero Buscaroli. Prefazione di Mario Praz. Milano : TEA 1992, p. XIV. 460   Cfr. Cristina Vernizzi : « Emblemi, libri di ». In : Manuale enciclopedico della bibliofilia. Milano : Edizioni Sylvestre Bonnard 1997, pp. 219-222. – Albrecht Schöne : Emblematik und Drama im Zeitalter des Barock. München : C. H. Beck’sche Verlagsbuchhandlung 1968, pp. 18-63. – Emblemata. Handbuch zur Sinnbildkunst des XVI. und XVII. Jahrhunderts. Herausgegeben von Arthur Henkel und Albrecht Schöne. Ergänzte Neuausgabe. Stuttgart : J. B. Metzlersche Verlagsbuchhandlung 1976. 461   Cfr. Rafael Zafra : « Introducción » a : Andrea Alciato : Los emblemas de Alciato. Traducidos en Rimas Españolas. Lyon, 1549. Edición preparada por R. Z. (= Medio Maravedí, 5). Barcelona : José J. de Olañeta, Editor y Edicions Universitat de les Illes Balears 2003, pp. 11-34.  





















































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delle Imprese militari e amorose. Roma 1555 ; Lyon 1574. – Girolamo Ruscelli : Le imprese illustri. Venezia 1572. – Luca Contile : Ragionamento sopra la proprietà delle imprese. Pavia 1574. – Scipione Bargagli : Dell’Imprese. Siena 1578 ; Venezia 1594) e delle divise (Claude Paradin : Devises héroïques et emblèmes. Lyon 1551 ; 1557) 462 – a opere come le Empresas morales (Praga : Jorge Nigrín 1581) di D. Juan de Borja (1533-1606), I Conte di Mayalde e Ficalho, ambasciatore, dal 1576 al 1581, di Filippo II alla Corte di Rodolfo II e successivamente Mayordomo Mayor della Imperatrice María (1581-1603) e quindi della Regina Margarita (1603-1606), 463 gli Emblemas morales (Segovia : Juan de la Cuesta 1589) di Juan de Horozco y Covarrubias, le Emblemas Moralizadas (Madrid : Herederos de Juan Íñiguez de Lequerica 1599) di Hernando de Soto, gli Emblemas morales (Madrid : Luis Sánchez 1610) di Sebastián de Covarrubias Orozco e le Empresas espirituales y morales (Baeza : Fernando Díaz de Montoya 1613) di Juan Francisco de Villava. 464 Geroglifici ed emblemi, cosí come le divise e le imprese, si fusero – spesso si confusero, come scrive Sebastián de Covarrubias Orozco nel suo Tesoro all’articolo « Emblema » (“Este nombre se suele confundir con el de simbolo, hieroglífico, pegma, empresa, insignia, enigma, etc.” 465) – dando origine ad opere come gli Emblemata partim Ethica, et Physica : partim veò Historica, & Hieroglyphica (Francoforti ad Moenvm : Ioannes Feyerabendt 1581) di Nicolas Reusner, i Discours des hiéroglyphes Aegyptiens, emblêmes, devises et armoires (Paris : Abel l’Angelier 1583) di Pierre l’Anglois, sieur de Bel-Estat, e la Insignium, armorum, emblematum, hieroglyphicorum, et symbolorum, quae ab Italis Imprese nominantur, explicatio (London : Excud. Thomas Orwinus 1588) di Abraham Fransus (Fraunce). La moda degli emblemi e dei geroglifici, che penetrò anche nell’oratoria sacra, 466 non fu un fenomeno limitato esclusivamente alla sfera della erudizione libresca. Considerata come un passatempo – D. Juan de Borja aveva dedicato le sue Empresas morales (1581) a Filippo II affinché il Re con la loro lettura si intrattenesse e si divertisse nei momenti di ozio –, l’emblematica divenne “una moda, una forma de entretenimiento mundano y social”, per “una sociedad culta y sofisticada”. 467 Non sorprende, quindi, che l’autore della Pícara Justina, la cui funzione precipua era l’intrattenimento della società di Corte, si sia dilettato a intessere nella sua opera una  















































462   Sui trattati delle imprese e delle divise cfr. Cristina Vernizzi : « Imprese, libri di ». In : Manuale enciclopedico della bibliofilia. Milano : Edizioni Sylvestre Bonnard 1997, pp. 364-366. 463   D. Juan de Borja era il cuarto figlio di D. Francisco de Borja (1510-1572), il Marchese di Lombay che alla morte (1543) del padre, D. Juan de Borja, diverrà IV Duca di Gandía e sarà in seguito Generale della Compagnia di Gesú (beatificato nel 1624, canonizzato nel 1671). Cfr. La Monarquía de Felipe III : La Casa del Rey (volumen II). Directores : José Martínez Millán, Maria Antonietta Visceglia. Madrid : Fundación MAPFRE - Instituto de Cultura 2008, pp. 797-798. – Santiago Martínez Hernández : Los cortesanos. Grandes y títulos frente al régimen de validos, p. 513. 464   Sulla letteratura emblematica spagnola cfr. Giuseppina Ledda : Contributo allo studio della letteratura emblematica in Spagna (1549-1613). Pisa : Giardini 1970 (= Istituto di Letteratura Spagnola e Ispano-Americana. Collana di Studi diretta da Guido Mancini, 18). Si veda inoltre Antonio Bernat Vistarini - John T. Cull : Enciclopedia de Emblemas Españoles Ilustrados (= Akal/Diccionarios, 23). Madrid : Akal 1999. 465   S. de Covarrubias Orozco : Tesoro de la lengua castellana o española. Edición de Felipe C. R. Maldonado revisada por Manuel Camarero. Segunda edición corregida, pp. 460-461. Sulle imprese e gli emblemi e le loro affinità e differenze, cfr. Emanuele Tesauro : Il Cannocchiale aristotelico. O sia Idea dell’argvta et ingeniosa elocvtione. Quinta impressione. In Torino. M.DC.LXX. Per Bartolomeo Zauatta. Con licenza de’ Superiori (ed. facs. Savigliano, Cuneo : Editrice Artistica Piemontese 2000), pp. 624-734 (sulla “mescolanza degli Emblemi” con le imprese si veda, in particolare, le pp. 706-707). 466   Cfr. Giuseppina Ledda : Los jeroglíficos en los sermones barrocos : Desde la palabra a la imagen, desde la imagen a la palabra. In : Literatura Emblemática Hispánica. Actas del I Simposio Internacional. La Coruña. 14-17 de Septiembre 1994. Editadas por Sagrario López Pozas (= Cursos, Congresos e Simposios, 15). A Coruña : Universidade da Coruña 1994, pp. 111-128. 467   Carmen Bravo-Villasante : « Introducción » a : Hernando de Soto : Emblemas moralizadas. Edición e Introducción de C. B.-V. Madrid : Fundación Universitaria Española 1983, pp. V-XXVIII ; qui pp. XV-XVI.  





















































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capitolo viii

quantità tanto elevata di ‘geroglifici’ (simboli, emblemi, empresas) 468 che José Miguel Oltra Tomás, modificando leggermente una espressione di M. Bataillon, 469 ha potuto definire « libro jeroglífico » 470 il Libro de entretenimiento. Justina stessa, “lectora de romancistas” – come dichiara una glossa marginale –, confessa “que no ay oja, en los giroblificos, ni en quantos Authores Romancistas ay, que yo no tenga cançelada, rayada, y notada”. 471 In un’altra occasione si burla degli autori dei trattati di geroglifici definendoli “los relatores de la giroblera”. 472  













I discorsi e gli elogi burleschi delle Università e delle Accademie letterarie Di particolare rilevanza per la genesi della Pícara Justina è, a nostro parere, la tradizione della parodia delle dispute dialettiche universitarie, che culmina nel Pantagruel di Rabelais, e, in particolare, l’usanza dei discorsi e degli elogi burleschi delle Università e delle Accademie letterarie. 473  

468   Sui numerosi ‘jeroglíficos’ ed emblemi intessuti nel testo della Pícara Justina, cfr. Joseph R. Jones : “Hieroglyphics” in La Pícara Justina, pp. 415-429. – Bruno M. Damiani : Francisco López de Úbeda, pp. 108-117. – J. M. Oltra Tomás : La parodia como referente en La Pícara Justina, pp. 221-236. – José Miguel Oltra Tomás : Los emblemas en La Pícara Justina : El caso de la « Introducción General ». In : Voz y Letra X/1 (1999), 51-70. – Lucas Torres : Emblemática y Literatura : El caso de La Pícara Justina. – Antonio Rey Hazas : El bestiario emblemático de La Pícara Justina. In : Edad de Oro 20 (2001), 119-145. – Thomas Bodenmüller : Literaturtransfer in der Frühen Neuzeit, pp. 109-127. – Luc Torres : Discours festif et parodie dans La Pícara Justina, pp. 67-71. – Regula Rohland de Langbehn : Los versos de “cabo roto” en el Quijote y su uso por Francisco López de Úbeda. 469   Marcel Bataillon aveva scritto che “para los lectores ávidos de novedad que leían La Pícara Justina en 1605, ésta era, por excelencia, el libro de los « jeroglíficos »” (Picaros y picaresca, p. 70). 470   José Miguel Oltra Tomás : Los emblemas en La Pícara Justina : El caso de la « Introducción General », p. 51. Lo studioso scrive inoltre : “nuestro autor aprovecha intensamente una cultura visual de amplia presencia en su entorno, diversificando tanto los materiales acogidos como la proyección artística que de los mismos hace, poniendo de relieve una potencia creadora de primera magnitud. Este arte, de indudable voluntad enmascaradora, dejó profunda huella entre sus contemporáneos, una huella negada o no reconocida en la mayoría de los casos. Si en una decimoquinta parte, aproximadamente, de su novela (la abarcada por los tres números de la « Introducción General ») hallamos una intensidad cultural y artística tan notable, invito al lector a descubrir el contenido del extenso conjunto de tan formidable escritura.” 471   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « INTRODVCCION GENERAL, PARA TODOS los tomos y libros. Escrita de mano de Iustina. Intitulada la Melindrosa Escriuana. DIVIDESE ESTA INTRODVCCION en tres numeros. Numero segundo [tercero !]. Del melindre a la culebrilla », p. 27. 472   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO : De la Picara Romera. Capitulo I. De la jornada de Leon. Numero tercero. de la entrada de Leon », p. 21. 473   Il primo studioso che ha messo in relazione l’opera con certi esercizi e pratiche del mondo universitario, è stato Julio Puyol y Alonso. Nel suo « Estudio crítico de la Pícara Justina » egli ha infatti osservato che i monologhi, le riflessioni e gli enigmi di Justina “se asemejan, más bien que á una narración novelesca, á un ejercicio dialéctico ó á una controversia de certamen, en los que se guardan puntualmente todas las reglas que hubiera podido observar un estudiantón adocenado de los tiempos de la decadencia universitaria” (p. 37). Successivamente, Antonio Rey Hazas ha interpretato la Pícara Justina come parodia della retorica che costituiva il fondamento dell’insegnamento universitario (Parodia de la retórica y visión crítica del mundo en « La Pícara Justina »). Direttamente in relazione con i vejámenes accademici la Pícara Justina è stata messa da Marcel Bataillon, laddove scrive che il “fisgón” Perlícaro – “una caricatura del Quevedo de entonces, ... que escandalizaba Valladolid” – “inflige a Justina una especie de vejamen anticipado, de estilo académico-picaresco” (Pícaros y picaresca, p. 72). Monique Joly (La bourle et son interpretation. Recherches sur le passage de la facétie au roman, p. 198), riferendosi alla genealogia burlesca di Justina – collocata, come nel Guzmán de Alfarache di Mateo Alemán, non nelle prime pagine dell’opera – e alla sua disputa con Perlícaro, accenna specificatamente al rapporto della Pícara Justina con i vejámenes de grado : “López de Úbeda développe … de façon hypertrophique l’idée du débat scolaire, en se tournant toutefois vers l’exercice de style parodique dont le discours de réception à l’Université d’un nouveau docteur inséré dans les Dialogues de Lucas Hidalgo (B.A.E., XXXVI, pp. 283b-286b), nous fournit un échantillon. Le début hybride de La Pícara Justina manifesterait ainsi son double enracinement, dans la tradition facétieuse estudiantine d’abord, dans la picaresque de façon seconde et, peut-on dire, subsidiaire.” A proposito della disputa di Justina con Perlícaro, Luc Torres (Discours festif, p. 308) scrive : “dispute  







































































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I vejámenes de grado, ai quali “acudía la flor y la nata de la sociedad universitaria, y personajes principales, y los mismos monarcas”, 474 erano previsti dagli ordinamenti universitari 475 e costituivano parte integrante delle cerimonie di conferimento del dottorato, che duravano più giorni ed erano molto costose (per il dottorando). Prima di poter ricevere il titolo, gli aspiranti dottori venivano infatti sottoposti ad un examen jocosum, un bejamen che consisteva in un discorso di burla e di scherno sui loro ‘meriti’, pronunziato da uno degli ‘anziani’. 476 Analoghi ai vejámenes erano i gallos, costume però esclusivo degli studenti delle Facoltà di Teologia, in particolare della Facoltà di Teologia dell’Università di Salamanca, 477 quando conseguivano il magisterio, grado equivalente, come abbiamo già avuto occasione di ricordare, al dottorato. 478 Dai vejámenes de grado erano derivati, con ogni probabilità, 479 i vejámenes coltivati nelle Accademie letterarie. 480 La finalità dei gallos e dei vejámenes era “apodar, hacer motes,  













universitaire burlesque au plus grand avantage de la pícara de Mansilla. Dans sa réplique enflammée, l’heroïne semble surtout adopter la position du nouveau docteur qui se défend des injures et blasons lancés contre lui par ses collègues, dans ce qui s’apparente à une parodie de la pratique universitaire des gallos”. Sulla storia della disputa burlesca, cfr. F. Layna Ranz : La disputa burlesca. Origen y trayectoria, pp. 7-74. Alla relazione fra i vejámenes delle accademie letterarie e la Pícara Justina accenna J. M. Oltra Tomás (La parodia como referente en La Pícara Justina, p. 214-215). Francisco Layna Ranz dopo aver rilevato la quasi identità fra i vejámenes e le cosiddette cédulas, che egli definisce “oráculo burlesco” e che erano diffuse sia nei vejámenes delle Università e soprattutto in quelli delle Accademie, ricorda che nella Pícara Justina “la turba estudiantil de la Vigornia organiza una máscara de repente, con disfraces de tipos o figuras fácilmente identificables, incluida una variante del célebre obispillo, además de bailes y ademanes, y [...] la entrega de cédulas, motes, papeletas escritas que eran arrojadas desde el carro”. Cfr. Francisco Layna Ranz : Dicterio, conceptismo y frase hecha : A vueltas con el vejamen. In : Nueva Revista de Filología Hispánica 44 (1996), 27-56 ; qui pp. 40-41 e p. 42. 474   F. Layna Ranz : Dicterio, conceptismo y frase hecha : A vueltas con el vejamen, p. 32. 475   L’examen jocosum è, per esempio, contemplato dalle Constituciones cisnerianas (1510) dell’Università di Alcalá de Henares per la cerimonia di dottorato in teologia e diritto canonico. Cfr. Abraham Madroñal Durán : Sobre el vejamen de grado en el Siglo de Oro. La Universidad de Toledo. In : Epos. Revista de Filología, Madrid, 10 (1994), 203-231 ; qui p. 204, nota nro. 4. Cfr. inoltre Abraham Madroñal Durán : Razones de la risa en el claustro (los procedimientos humorísticos en los vejámenes de grado). In : Demócrito Áureo. Los códigos de la risa en el Siglo de Oro (= Colección Iluminaciones, 26). Edición de Ignacio Arellano y Victoriano Roncero. Sevilla : Editorial Renacimiento 2006, pp. 143-178. – Abraham Madroñal : “De grado y de gracias”. Vejámenes universitarios de los Siglos de Oro. Prólogo de Aurora Egido (= Anejos de Revista de Literatura, 66). Madrid : C. S. I. C. 2005, pp. 62-74. 476   Cfr. A. Madroñal Durán : Sobre el vejamen de grado en el Siglo de Oro, pp. 204-206. Uno dei primi riferimenti letterari ai vejámenes de grado si trova nel Crotalón (Canto XVII) : “era tanta la çeguedad de aquellos vanos saçerdotes que sin templança alguna proseguían en aquella vanidad con tanta disoluçión, perdida la magestad y reverençia debida a tan alta dignidad y representaçión de nuestro Dios ; y para alguna consolaçión mía pensé ser aquello como vexamen de doctor, porque aquel nuevo saçerdote no se ensoberbezca por ser de nuevo admitido a tan alta dignidad”. Cfr. Cristóbal de Villalón : El Crotalón de Cristóforo Gnofoso. Edición de Asunción Rallo (= Letras Hispánicas, 155). Madrid : Cátedra 1990, p. 392. Sebastián de Horozco dedica una delle composizioni del suo Cancionero al vejamen. Cfr. Florence Dumora : Le Cancionero de Sebastián de Horozco, auteur tolédan du XVIe siècle. (Édition, Introduction et Notes), I, pp. 421-423, nro. 108 (El auctor para el vexamen de uno que se avía de hazer doctor in utroque…). Anche Melchor de Santa Cruz accenna ai vejámenes de grado : “Dando en Salamanca el grado de doctor a un legista, como acostumbraban poner las armas de las Escuelas y las del maestrescuela y las del doctor do se hace el vejamen, un estudiante quitò las armas del doctor, antes que fuese de día ; y puso en un escudo pintadas siete o ocho maneras de vasijas…” (Floresta Española. Edición, prólogo y notas de María Pilar Cuartero y Maxime Chevalier, p. 92). 477   Girolamo da Sommaia ricorda di aver assistito ai “Galli” e annota che “cominciano in Latino, et passano al Romance presto” (Diario de un estudiante de Salamanca, p. 595). 478   Cfr. Aurora Egido : De ludo vitando. Gallos áulicos en la Universidad de Salamanca. In : El Crotalón. Anuario de Filología Española, Madrid, 1 (1984), 609-648. – Francisco Layna Ranz : Ceremonias burlescas estudiantiles (siglos XVI y XVII) : 1. Gallos. In : Criticón, Toulouse, 52 (1991), 141-162. 479   Cfr. Abraham Madroñal Durán : Sobre el vejamen de grado en el Siglo de Oro. La Universidad de Toledo, pp. 203-204. – F. Layna Ranz : Dicterio, conceptismo y frase hecha : A vueltas con el vejamen, pp. 40-45. 480   Famosi sono i vejámenes di Anastasio Pantaleón de Ribera, pubblicati, purtroppo con censure e omissioni, da José Pellicer (Obras. Madrid : Francisco Martínez 1631. A costa de Pedro Coello). Del Vexamen segundo è stato  































































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dar vaya, remoquete o matraca” con “los filos lacerantes de la agudeza”, a spese del dottorando, dei membri delle Accademie letterarie e dei partecipanti a un certamen poético. 481 Non diversa era la finalità di Justina. Variavano soltanto le persone bersaglio delle sue burle, delle sue canzonature e dei suoi scherni. Uno dei più antichi vejámenes universitari, fra i non molti pervenutici, 482 è quello inserito da Juan Arce de Otálora nei suoi Coloquios de Palatino y Pinciano (ca. 1555/1560), 483 fonte importantissima per la conoscenza di tanti aspetti della vita degli studenti dell’Ateneo di Salamanca. 484 Juan Arce de Otálora – buon conoscitore del Cortesano di Baldesar Castiglione 485 (non a caso è convinto, come Cristóbal de Villalón, che il letterato  









pubblicato il testo integrale da José Manuel Blecua : El vejámen segundo de Anastasio Pantaleón de Ribera. In : Americo Bugliani. General Editor : The Two Hesperias. Literary Studies in honor of Joseph G. Fucilla on the occasion of his 80th birthday. Madrid : José Porrúa Turanzas 1977, pp. 55-67. 481   F. Layna Ranz : Dicterio, conceptismo y frase hecha : A vueltas con el vejamen, pp. 49-50. 482   In Sales españolas (= Biblioteca de Autores Españoles, 176) sono stati pubblicati tre vejámenes del XVII secolo, conservati manoscritti nella Biblioteca Nacional di Madrid : Vejamen de Don Francisco de Rojas (pp. 311-314). – Vejamen de Don Antonio Coello (pp. 317-321). – Vejamen de Don Juan de Orozco (pp. 325-331). Aureliano Fernández-Guerra y Orbe aveva richiamato l’attenzione sul Vejámen que dió el Dr. Salcedo al Dr. Alonso de Salazar, en la Universidad de Granada, el año de 1598 e sull’Actus gallicus ad magistrum Franciscum Sanctium per fratrem Ildephonsum de Mendoza Augustinum (1593, Universidad de Salamanca), trasmessici in un codice (AA141-4) conservato nella Biblioteca Colombina (cfr. B. J. Gallardo : Ensayo de una Biblioteca Española de libros raros y curiosos. Tomo Primero, coll. 1245-1247 ; il Vejamen è riprodotto alle coll. 1329-1332). Aurora Egido ha pubblicato il vejamen tenuto nel 1598 all’Università di Granata e due gallos salmantini conservati nella Biblioteca Nacional (Ms. 9572) di Madrid. Cfr. Aurora Egido : Un vejamen de 1598 en la Universidad de Granada. In : Silva de Andalucía (Estudios sobre poesia barroca). Málaga : Diputación Provincial de Málaga 1990, pp. 173-204. – Aurora Egido : De ludo vitando. Gallos áulicos en la Universidad de Salamanca, pp. 627-648. Di altri gallos salmantini, conservati nella Biblioteca Colombina (Ms. 82-3-38), la studiosa ha annunciato la pubblicazione. Cfr. Aurora Egido : Literatura efímera : Oralidad y escritura en los certámenes y Academias de los Siglos de Oro. In : Edad de Oro 7 (1988), 69-87 ; qui p. 72 n. Ci sono pervenuti anche alcuni vejámenes dell’Università di Granada, stampati fra il 1642 e il 1765 e conservati nella Biblioteca Nacional di Madrid (R- 10.995). Cfr. Aurora Egido : Floresta de vejámenes universitarios granadinos (siglos XVII-XVIII). In : Bulletin Hispanique 92 (1990), 309-332. Abraham Madroñal Durán ha pubblicato due vejámenes dell’Università di Toledo, uno in versi e prosa, l’altro interamente in versi. Cfr. Abraham Madroñal Durán : Sobre el vejamen de grado en el Siglo de Oro. La Universidad de Toledo, pp. 217-229 (Vexamen de los dotores Juan y Alonso de Narbona) e pp. 229231 (Vexamen de el dotor Geronimo de Segobia). Molti altri ne ha pubblicato successivamente lo studioso. Cfr. Abraham Madroñal : “De grado y de gracias”. Vejámenes universitarios de los Siglos de Oro, pp. 125-485 (solo due dei 15 vejámenes qui editati sono anteriori al 1605 : l’Actus gallicus ad magistrum Franciscum Sanctium per fratrem Ildephonsum de Mendoza Augustinum, sopra ricordato, e il Vejamen de grado en la Universidad de Valladolid, trascritto dai Coloquios de Palatino y Pinciano di Juan Arce de Otálora, che stiamo per trattare). Scherzosi vejámenes in verso composero Góngora (Vexamen que se diò en Granada a vn sobrino del Administrador del hospital Real : que es la casa de los locos : “Tenemos vn Doctorando…”. 1611) e Quevedo (Vejamen que da el ratón al caracol : “Riéndose está el ratón…” ). Cfr. Obras de Don Luis de Góngora [Manuscrito Chacón]. II. Introducción de Manuel Sánchez Mariana. Madrid : Real Academia Española – Caja de Ahorros de Ronda 1991, pp. 214-219 (nro. LXIIII). – Obras poéticas de D. Luis de Góngora. [Edición de R. Foulché-Delbosc.] Tomo Segundo. New York : The Hispanic Society of America 1921, pp. 11-16 (nro. 242). – Luis de Góngora : Romances. II. Edición crítica de Antonio Carreira. Barcelona : Quaderns Crema 1998, pp. 252-263 (nro. 65). – Francisco de Quevedo : Obra poética. Edición de José Manuel Blecua. Tomo III, pp. 35-37 (nro. 758). Un ampio vejamen, scritto da Alfonso de Batres e da Francisco de Rojas, concluse l’Academia burlesca che fu celebrata nel 1637 in onore di Filippo IV. Cfr. Academia burlesca que se hizo en Buen Retiro a la Majestad de Filipo Cuarto el Grande. Año de 1637. Edición crítica, prólogo y notas de M. Teresa Julio (= Biblioteca Áurea Hispánica, 41). Madrid : Iberoamericana 2007, pp. 202-243. 483   Juan Arce de Otálora : Coloquios de Palatino y Pinciano. Tomo II, pp. 662-680. 484   I Coloquios de Palatino y Pinciano sono stati ignorati da Luis Cortés Vázquez, la cui ricostruzione della vita studentesca salmantina pur si fonda – purtroppo ! – esclusivamente su fonti letterarie. Cfr. Luis Cortés Vázquez : La vida estudiantil en la Salamanca clásica (= Acta Salmanticensia. Historia de la Universidad, 37). Salamanca : Ediciones Universidad de Salamanca 1989. 485   Juan Arce de Otálora : Coloquios de Palatino y Pinciano. Tomo I, p. 72, p. 181. – Juan Arce de Otálora : Coloquios de Palatino y Pinciano. Tomo II, p. 1166, p. 1200.  









































































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debba “saber burlas y veras, que esto llaman ser cortesano y de palacio” 486), della Crónica burlesca di Don Francés de Zúñiga, 487 di Francisco López de Villalobos, 488 della Celestina, 489 delle opere di Fray Antonio de Guevara, 490 del Decameron di “Juan Bocacio”, 491 che menziona ripetutamente ed imita nella lunga novella raccontata alla fine dei suoi Coloquios de Palatino y Pinciano, 492 dei romanzi di cavalleria, 493 del Cancionero General, 494 della Silva de varia lección di Pedro Mexía, 495 delle Maccheronee di Merlin Cocai (Teofilo Folengo) 496 e del Liber facetiarum di Gian Francesco Poggio Bracciolini, dal quale riproduce alcune facezie 497 – fa narrare ai due studenti Pinciano e Palatino numerose burle e beffe, 498 aneddoti, cuentos, cuentecillos e cha 

























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  Juan Arce de Otálora : Coloquios de Palatino y Pinciano. Tomo II, p. 1078.   Juan Arce de Otálora ricorda più volte “Don Francesico, el truhán de buena memoria”, e i suoi chistes (cfr. Coloquios de Palatino y Pinciano. Tomo I, p. 583 ; Tomo II, p. 890, p. 920). 488   “PINCIANO : Villalobos dicen que es gracioso de mil maneras. PALATINO : Así paresce por sus Diálogos. Una razón hallo yo por que los médicos han de ser agudos y graciosos, y es porque los más son cristianos nuevos. […] PINCIANO : […] En Salamanca los más son limpios, y todos muy honrados y letrados. […] PINCIANO : […] Para salud y buena conversación holgara yo, si fuera gran señor, tener un médico que fuera muy curioso y gran filósofo natural y moral, y de buena gracia y cuentos, como el doctor Villalobos” ( Juan Arce de Otálora : Coloquios de Palatino y Pinciano. Tomo I, p. 293, p. 295). I Diálogos a cui si riferisce Juan Arce de Otálora sono sicuramente i Dialogos de Medicina ([El dialogo de las fiebras interpoladas]. – El dialogo del calor natural. – El dialogo que passo entre el [Doctor] y un grande deste reyno), inseriti nel Libro titulado Los problemas de Villalobos (Zaragoza : George Coci 1544. – Sevilla : Cristóbal Alvarez 1550). Sono riprodotti in : Curiosidades bibliográficas. Colección escogida de obras raras de amenidad y erudicción (= Biblioteca de Autores Españoles, 36), pp. 434-449. 489   Ripetutamente Palatino e Pinciano menzionano la Celestina, spesso con l’espressione “nuestra madre Celestina” ( Juan Arce de Otálora : Coloquios de Palatino y Pinciano. Tomo I, p. 28, p. 284, p. 398, p. 456. – Tomo II, p. 606, p. 740), opera che “formaba parte del folclore estudiantil salmantino” ( José Luis Ocasar Ariza : « Introducción » a : Juan Arce de Otálora : Coloquios de Palatino y Pinciano. Tomo II, pp. XI-XXIII ; qui p. XV). Anche la Segunda Celestina di Feliciano de Silva e la Tercera Celestina di Sancho de Muñón vengono ricordate (I, p. 456). 490   Cfr. Juan Arce de Otálora : Coloquios de Palatino y Pinciano. Tomo I, p. 182 (Epístolas), p. 318 (Menosprecio de Corte y Alabanza de Aldea). Il Vescovo di Mondoñedo è ricordato, talvolta, anche senza riferimento alle sue opere (v. per es. I, p. 551 ; II, p. 1189). 491   Juan Arce de Otálora : Coloquios de Palatino y Pinciano. Tomo I, p. 444 ; Tomo II, p. 1394, p. 1398, p. 1411. 492   Juan Arce de Otálora : Coloquios de Palatino y Pinciano. Tomo II, pp. 1394-1410. 493   Nei Coloquios de Palatino y Pinciano sono ricordati l’Amadís de Gaula, il Primaleón, il Tristán de Leonís, il Lanzarote del Lago e Las sergas de Esplandián (Tomo I, pp. 454-455 ; Tomo II, p. 858, p. 1055). Vi è anche una frase (“decirles … más amores que Feliciano de Silva”) che contiene, forse, un’allusione ai romanzi di cavalleria di Feliciano de Silva – Lisuarte de Grecia, Amadís de Grecia, Don Florisel de Niquea – e non alla sua Segunda Celestina (Tomo II, p. 802). Mentre Palatino condanna i libros de caballerías, Pinciano – qui senz’altro portavoce di Juan Arce de Otálora – li difende : “No se pueden condenar de todo puncto esos libros, que a rato dan recreación y estorban otros peores ejercicios. Y por esto se ha de permitir, que por ventura algunos que gastan el tiempo en ellos, si no lo hiciesen, jugarían o hurtarían ; y a este fin, por huir de un mal grande, permite la república otro menor. En Sevilla dicen que hay oficiales que las fiestas, a las tardes, llevan un libro desos a las gradas y le leen, y muchos mozos y oficiales y trabajadores, que habían de jugar o reñir o estar en la taberna, se van allí a oír, y si fuese menester, pagarían a maravedí por que los dejasen” (Tomo I, pp. 454-455). 494   Juan Arce de Otálora : Coloquios de Palatino y Pinciano. Tomo II, p. 1076. 495   Juan Arce de Otálora : Coloquios de Palatino y Pinciano. Tomo II, p. 986 (e altrove). 496   Juan Arce de Otálora (Coloquios de Palatino y Pinciano. Tomo I, p. 402) cita la Macharronea, ma non si riferisce sicuramente alla Macharonea, poema burlesco in lingua maccheronica di Tifi (Michele di Bartolomeo Odasi), ma all’opera di Teofilo Folengo. L’edizione postuma dei Macaronicorum poemata (Venetiis 1552) aveva, infatti, per la brevità dell’uso assunto il titolo di Macaronea. Cfr. Tifi Odasi : Macaronea. In : Opere di Teofilo Folengo. Appendice : I Maccheronici prefolenghiani. A cura di Carlo Cordié (= La Letteratura Italiana. Storia e Testi. Vol. 26, tomo I). Milano - Napoli : Ricciardi 1977, pp. 957-975. 497   Juan Arce de Otálora : Coloquios de Palatino y Pinciano. Tomo I, pp. 171-172 ; Tomo II, pp. 1167-1168, p. 1219, pp. 1220-1221. 498   Juan Arce de Otálora : Coloquios de Palatino y Pinciano. Tomo I, pp. 36-38, pp. 46-51, pp. 90-95 ; Tomo II, pp. 683-690, pp. 799-800, pp. 1065-1072, pp. 1394-1410.  

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capitolo viii

scarrillos, 499 e recitare poesie burlesche, sia proprie sia dell’Almirante Don Fadrique Enríquez e di Francisco López de Villalobos. 500 In particolare, il famoso giurista, che all’Università di Salamanca aveva prima studiato – come borsista dell’elitario Colegio del Arzobispo – e poi insegnato, registra nei Coloquios de Palatino y Pinciano numerosi motti di spirito, giochi di parola, pullas 501 e chistes degli studenti universitari, i quali nel dar matraca a los nuevos, nel mofar e motejar e, soprattutto, nell’arte di burlar (fra le loro vittime predilette erano gli “opositores de cátedras”, alla cui “vida amarga” vengono dedicate moltissime pagine 502) pare fossero dei maestri e superassero addirittura i cortesanos (“sabe más en burlas y en veras un estudiante que haya estado seis años en Salamanca que otro de la misma habilidad que haya estado en corte ocho”, 503 dichiara Juan Arce de Otálora, che essendo nato e avendo insegnato a Valladolid, città che dal 1543 al 1559 aveva ininterrottamente ospitato la Corte, valutava certamente con cognizione di causa). Descrivendo la misera vita che gli studenti conducevano nei pupilajes, in pagine che sembrano prefigurare alcuni celebri passi del Guzmán de Alfarache e del Buscón ed alcuni, meno celebri, brani del Diálogo intitulado El Capón, 504 Juan Arce de Otálora ricorda anche diversi chistes sulle esigue porzioni di cibo e sulle pessime bevande 505 (su di essi Maxime Chevalier aveva richiamato l’attenzione prima ancora che i Coloquios de Palatino y Pinciano fossero editati ; 506 noi li abbiamo trascritti nel secondo capitolo). Tornando al vejamen – Pinciano specifica che fu fatto “en Valladolid a un colegial mi amigo” 507 –, una delle sue parti più interessanti è quella in cui l’oratore si burla dell’origine familiare del dottorando e deride il suo ardente desiderio di ascesa sociale :  













   





[...] señor doctor, veis aquí cómo vais engañado, porque vos tenéis por toda felicidad y gloria de vuestro doctoramiento que os conozcan por docto y letrado las gentes y que, siendo conoscido, seáis noble. Y para este papo de aire hacéis sacrificio de quinientos ducados repartidos entre vuestros enemigos, pues son de vuestro oficio. Y lo que es más caro, que ... venís a tomar la corona, o corocha, de nescio y a entrar en la orden de Calatrava, y estáis ya tan trabado de pies y manos que aunque queráis echar a huir, os estorbarán las sueltas y las espuelas doradas que ayer calzastes. Y de aquí a un rato os echarán un capirote ... y quedaréis mas nescio y ciego [...]. 499   Juan Arce de Otálora : Coloquios de Palatino y Pinciano. Tomo I, pp. 139-140, p. 195, pp. 201-204, pp. 236237, p. 265, pp. 267-271, pp. 271-272, pp. 302-303, pp. 443-444, pp. 529-530, p. 539, pp. 544-545, p. 598 ; Tomo II, p. 914, pp. 1185-1186, pp. 1191-1198. 500   Juan Arce de Otálora : Coloquios de Palatino y Pinciano. Tomo II, pp. 684-690, pp. 776-785. 501   Justina vanta la sua prontezza nel ribattere le pullas : “Si entre chançonetas y donayres venia de mascara alguna pulla, aunque fuesse mayor de marca la rebatian [rebatia !] con la presteza possible, y procuraua hazer el retorno, con el mejor consonante que podia destilar mi alquitara. Esto de repens, es como sale : aunque los buenos dichos de las mugeres (como son todo paja) son los que mas presto salen al pelo del agua. De todas y todos me desquitè : solo de vn picaro, medio estudiante, medio rufian, no me desquitè...” (Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO : DE la Picara Romera. Capitulo. I. De la jornada de Leon. Numero segundo de la pulla del fullero », p. 16). Sulle pullas, battute e burle spesso fortemente oscene, cfr. Monique Joly : La bourle et son interpretation. Recherches sur le passage de la facétie au roman, pp. 247-267. 502   Juan Arce de Otálora : Coloquios de Palatino y Pinciano. Tomo II, pp. 1040-1045, pp. 1159-1255. 503   Juan Arce de Otálora : Coloquios de Palatino y Pinciano. Tomo I, p. 449. 504   Cfr. Francisco Narváez de Velilla : Diálogo intitulado El Capón, (¿1597 ?). Prólogo y edición de Víctor Infantes y Marcial Rubio Árquez (= Biblioteca Filológica Hispana, 14). Madrid : Visor Libros 1993, pp. 54-58. 505   Juan Arce de Otálora : Coloquios de Palatino y Pinciano. Tomo I, pp. 550-568 (per i chistes sul vitto dei pupilajes, da noi già parzialmente citati, cfr. le pp. 552-554). 506   Cfr. Maxime Chevalier : Quevedo y su tiempo : la agudeza verbal, p. 119. – Maxime Chevalier : Folklore y literatura. El cuento oral en el Siglo de Oro, pp. 120-127. 507   Juan Arce de Otálora : Coloquios de Palatino y Pinciano. Tomo II, p. 660.  









































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Por vida vuestra, señor licenciado, que estemos aquí a cuenta y razón un rato, y no me tengáis a mal que os diga mi parecer como a amigo verdadero. No hagamos aquí torres de viento, que entre estos señores vuestros cofrades y mis amigos, bien pueden pasar las verdades. Vuestro solar de padres y abuelos y vuestra naturaleza es de Val de Esgueva. Ellos y vos nacistes y os criastes en Castrillo de los Ajos, siete leguas de aquí, donde nunca hobo doctor ni licenciado ni aun bachiller, si no fue un abuelo de vuestro padre, que se llamaba bachiller a secas, por excelencia ; y aun no era bachiller en cánones ni leyes, como vos, sino in phisica o albeitería, y curaba de ensalmar y dar unas nóminas para las lombrices y cortaba el bazo y conjuraba los ñublados, porque era clérigo, y otras cosas deste jaez y cualiterio. Vuestro padre se llamó Pedro Terrón, y vuestra madre Teresa de la Tierra, y vuestro abuelo Toribio de los ajos, y vuestra abuela Bárbola de Esgueva ; y vos, antes que os confirmásedes, os llamábades Juan Terrón. ¿No fuera razón que, pues queríades ser doctor, que mirarádes primero que todos los hombres fueron criados del limo de la tierra ? Mas vos, particularmente, sois hijo de Terrón y de Tierra, que es el más vil elemento de todos cuatro. Y ya que os comunicó naturaleza el otro del agua, que es el segundo de los ruines, es verdad que no fue clara de río o de fuente, sino de Esgueva, que dicen en esta villa de Valladolid por refrán : « Más sucio que agua de Esgueva ». […] Ya que la tierra y presunción de vuestros padres y su linaje no os ayudan a esta fiesta, su oficio os convidaba a ella. No podéis negar que de todos cuatro costados no les alcanzó a vuestros mayores la maldición que echó Dios al primer hombre : « In sudore vultus tui vesceris pane tuo », y que nunca supieron otro oficio ni beneficio sino arate et cabate, non intretis in tentationem. Verdad es que un vuestro tío fue pregonero el año de las Comunidades, cuando azotaron un gitano en vuestro lugar. Y el suegro de vuestra mujer, mirá qué parentesco os tuvo : fue mayordomo de Toro otro año y alcalde de la Hermandad. Y un vuestro cuñado fue por peón al real de Granada, porque le cupo la suerte. Y vuestro hermano es herrador y sirve a tres lugares más ; y vuestros padres nunca tuvieron otro oficio sino el de Caín. Pues a vos, señor licenciado, ¿quién os puso en tanto estado ? ¿No os contentárades con ser bachiller, como vuestro bisagüelo, y un buen sacristán y clérigo, como él, sin buscar tres pies al gato y querer subir al cielo sin escalera, para que os echen de allá por necio y soberbio, como a Lucifer ? Decidme una verdad : no se hallará que a ninguno de vuestros antepasados se les comiese ropa de polilla, si no fue a vuestra abuela Bárbola, que le royó una puerca un brial bermejo a cabo de once años que no le había vestido sino los días de Pascua, que le llevaba doblado, cubierto por manto. Fue gente tan honrada que nunca se les halló que tuviesen so el sayal ál, ni por premática ni capítulo de cortes se les quitó guarnición ni seda ni recamado, sino siempre in puris naturalibus, su gesto y cara descubierta, sus ropas de estambre, sus sayas con jirones, borceguiles de leche. Y cuando más, sus jubones con puntas y collar y camisones azules, y las carapuzas con cintillas. ¿Que os engañó a vos en hacer balandranes de seda, que os lo han de pedir cada año en vuestra tierra para el monumento ? ¿No os bastara una ropa de Londres o de morado, ferrete y vuestras calzas con descansadero, la bragueta de hechura de lengüeta de vaca que se atacara a la pretina, como andaba vestido en su tiempo vuestro bisagüelo, que era el más honrado del lugar ? ¿Pensáis que, porque él se vestía las fiestas casullas de seda para decir misa, que por eso tenéis vos licencia para hacer ropas y ropetas de seda y rasos y tafetanes ? ¡Mal recado ! 508  

































   

La genealogia burlesca ricorreva spesso nei vejámenes delle cerimonie universitarie. 509  

508   Juan Arce de Otálora : Coloquios de Palatino y Pinciano. Tomo II, pp. 663-666. Come abbiamo ricordato sopra, Abraham Madroñal ha recentemente pubblicato una edizione del vejamen, mantenendo la grafia del manoscritto apografo dei Coloquios de Palatino y Pinciano conservato nella British Library di Londra (Col. Egerton, 578) e corredando il testo di eruditissime note. Cfr. Anónimo : Vejamen de grado en la Universidad de Valladolid (c. 1550). In : Abraham Madroñal : “De grado y de gracias”. Vejámenes universitarios de los Siglos de Oro. Prólogo de Aurora Egido (= Anejos de Revista de Literatura, 66). Madrid : C. S. I. C. 2005, pp. 129-151. 509   Cfr. il Gallo Benito. In : Aurora Egido : De ludo vitando. Gallos áulicos en la Universidad de Salamanca, pp. 627-634. – Aurora Egido : Linajes de burlas en el Siglo de Oro. In : Studia Aurea. Actas del III Congreso de la AISO (Toulouse, 1993). I. Plenarias. General. Poesia. (Eds.) I. Arellano, M. C. Pinillos, F. Serralta, M. Vitse. Toulouse-Pamplona : PUM 1996, pp. 19-50 ; qui pp. 27-28.  





















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capitolo viii

Il vejamen di Juan Arce de Otálora contiene anche una interpretazione burlesca del significato delle “insignias doctorales” (un “libro cerrado”, un “birrete redondo”, un “anillo en el dedo pulgar”), consegnate ai dottorandi nella cerimonia di conferimento del grado di dottore. 510 Ma sono soprattutto il banchetto al quale il dottorando villano ha invitato nobili cavalieri cortesanos (“gente de palacio, de pluma y gorra y capa”) e le cerimonie preliminari, nelle quali il conferimento del dottorato è ‘messo in scena’ come una investitura del cavalierato, 511 ad essere oggetto di scherno :  





[...] ayer distes una colación de cuarenta platos a todos estos caballeros en la calle, y a estos señores doctores muy más cumplidamente, y [...] hoy les tenéis aparejada una comida de pavos y pavitos y capones y gallinas y manjar blanco y manjar prieto y pasteles y faisanes y mil boberías [...]. ¡En hora mala se haga, y en mal punto ! [...] ¡No bastan dineros, sino esas gollerías ! No aprendistes vos a dar esa colación en Castrillo de los Ajos, que allá en la Cofradía de Sanct Miguel, que es la principal fiesta, no dan sino avellanas y vino, y en las bodas ricas, piñones mondados y obleas, y en las comidas sopas con patos, y aun salen a diez maravedís de escote. ¡Qué desatino fue el vuestro ! Dos castellanos a cada uno de propina, y al padrino y maestrescuela, doblados, y otras adahalas. Ya si le diérades con el diablo en propina a cada uno un horco de ajos, que es fruta de vuestra tierra y la que nace en los jardines de vuestros padres, allá pasara ; mas pavos y faisanes y necedades... Lástima os tengo, ya que es hecho. Es verdad que lo dais a gente agradescida y que dirán bien de la comida, sino que si una salsa va mal hecha, dirán todos : « Nunca medre el doctor y el cocinero que tan ruin salsa nos da ». Y responderán los demás : « Amén, amén ». Y si hay mayor falta, yo os prometo que perdáis quince della y que no os la dejen tomar ni ir a pagar al otro mundo, sino que os condenen en ella. Estotra gente de palacio, de pluma y gorra y capa, es bonita y buena de contentar, sino que, como cada día comen en banquetes en sus casas y en las ajenas, todo les parecerá nada ; y si no se sirven las mesas con las cerimonias y circunstancias que entre ellos se usan, luego mofan y se ríen y entre ellos dicen : « Estos dómines bachilleres no saben salir de su ordinario ni alcanzar primor ». ¡Maldito aquel ! ¿Quién vio jamás tan gran desvarío como el vuestro ? : ¡Convidar a comer y hacer banquete a la gente más contraria y enemiga de vuestra nación y padres que hay en el mundo, que naturalmente hay enemistad entre gente de palacio y de aldea como entre perros y gatos ! Más repelones han dado estos caballeros y sus padres y abuelos a los vuestros, que vos tenéis pelos en la cabeza. Y quiera Dios no quieran continuar en vos su posesión, que al tomar de los guantes he visto yo aquí repelar a algún doctor nuevo como vos, y no tan bozal. [...] se usa esta vanidad y necedad de doctoramientos, porque nunca han faltado necios atrevidos que quieren ser doctores ; y ninguno cae en la cuenta hasta que ha caído en la pena, e por su honra e interés lo callan, aunque se arrepientan. Si no, tomen juramento a estos señores vuestros compañeros, cuántas veces se han arrepentido de la borla y de la burla después que se hallaron con cuatrocientos ducados menos. Y si no los creyéredes, yo os creeré a vos de aquí a un mes. [...] aún estáis en tiempo que podéis remediar algo de la honra y costa, y no consentir que se ejecute en vuestra persona y bienes tan cruda sentencia y que os hagan tantos baldones y escarnios, que esta fiesta y honra de vuestro doctoramiento es burla y escarnio […]. [...] Si lo habéis por ser conocido y por ganar nobleza, también vais engañado. [...] Si lo habéis por salir de vuestra tierra y publicar y estender vuestro nombre por la corte y por  





























   





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  Juan Arce de Otálora : Coloquios de Palatino y Pinciano. Tomo II, pp. 658-659, p. 672.   Così Pinciano aveva illustrato a Palatino le cerimonie di conferimento del grado di dottore : “en el doctoramiento le arman caballero con toda la fiesta y solenidad que veís, y le dan el triunfo en sus trabajos sacándole a la tarde a caballo en hábito militar con su padrino, el más limpio y ataviado y galano que pueden […]. También le calzan espuela dorada y le pasean por la ciudad, mostrándole a las gentes, con diversos géneros de instrumentos de música. Y a la mañana llévanle a la iglesia mayor con la misma fiesta y súbenle a un tálamo alto, y allí, antes que le den el grado y insignias doctorales, le baldonan y dicen muchos denuestos y burlas en el vejamen” ( Juan Arce de Otálora : Coloquios de Palatino y Pinciano. Tomo II, p. 657). 511







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el mundo, acordaos que dice Seneca : « Alios fama garrula vehat per orbem, me mea tellus lare securo tutoque tegat ». 512 Baste que ayer os publicaron y os trajeron a la vergüenza por las calles públicas en un caballo do nunca subió hombre de vuestro linaje, con tanto peligro y afrenta de vuestra persona que yo tuve ojo en vos, y cada vez que tocaban las trompetas y él se alteraba, oía cómo decíades el anima Christi y os encomendábades a Dios. Y aun creo que diérades el caballo y la cadena, si fuera vuestro, por veros abajo. Trajéronos vestido de púrpura como a loco empiolado, y encapirotado como halcón y casi tapados los ojos como asno de noria, que se me antojó de daros un « chipe chape » y dezir : « Profetiza, quis te percussit ? ». ¿Pudo ser mayor desvarío – con sentir tal burla y que os pusiesen en los pies espuelas doradas para remembraros los espolones que solíades traer en los zancajos y las antiguardas y antiparas que traen vuestros parientes – salvo si no lo hiciese para que no deshiciésedes la rueda, mirándos a los pies y para que púdiésedes decir, contemplando las espuelas y la borla : « A planta pedis usque ad verticem capitis non est sanitas mentis in me » ? ¿Quién os engañó tan mal ? Después no bastó engañado, sino septenado. Dísteles tanto mazapán y confitura que podrían empedrar las calles con ello. Creo que pensábades que era la caridad que se da en vuestra tierra al acompañamiento de los mortuorios. Y no bastó la burla y justicia de ayer, sino que hoy os han traído otra vez a la vergüenza, ensillado y enfrenado, de Pilatos a Gaifás, del padrino al chanciller, muy reverendo y engualdrapado, como obispillo de sanct Nicolás. Y agora os tienen al pie de la horca y a mí me habían hecho pregonero de vuestras inocencias, sino que por el amistad y por ser muchas, nunca quise aceptar el oficio ni trataros traición, sino desengañaros y declararos estos falsos misterios. 513  































La derisione (qui burlesca) della usurpazione di rango sociale, perpetrata dal dottorando – villano 514 sí, ma in grado di acquisire il titolo di dottore perché disponeva del molto denaro necessario per le propine da distribuire (500 ducati !), 515 i vestiti da indossare, le cerimonie ‘cavalleresche’ da organizzare, i dolciumi e i banchetti da offrire –, era senz’altro condivisa da Juan Arce de Otálora. Hidalgo de cuatro costados (“nobles e hidalgos” sono anche Palatino e Pinciano 516), seguace della dottrina organicistica dello Stato 517 e convinto che la causa della crisi della società fosse la mobilità sociale, 518 l’illustre giurista lamenta infatti che, “especialmente hoy”, il grado di dottore “no se gana con virtud sola, sino con muy buenos dineros”, e che licenciados “ruines”, ma ricchi, possono comprarsi le prerogative e i privilegi (in primis l’esenzione fiscale e l’esonero dal servizio militare) connessi con il dottorato. 519 La genealogia burlesca, il motivo dell’usurpazione di status, la critica dei mercanti (“los mercaderes siempre roban”), delle operazioni  













512   La citazione, parzialmente alterata, è tratta – come ha segnalato Abraham Madroñal – dalla tragedia Hercules Furens. Cfr. Seneca : Sämtliche Tragödien. Lateinisch und Deutsch. Übersetzt und erläutert von Theodor Thomann. Band I. Zürich : Artemis Verlag 1961, p. 76 (vv. 192-197). 513   Juan Arce de Otálora : Coloquios de Palatino y Pinciano. Tomo II, pp. 667-668, pp. 673-675. 514   Nel caso del dottorando del vejamen la genealogia era in gran parte – non del tutto però ! – burlesca : “PALATINO : [...] el vejamen fue agudo y discreto, aunque si el doctor no lo era se pudiera correr de oír su genealogía. – PINCIANO : Sí era, y no le tocaba tanto la villanía. Lo más que le dijeron fue inventado, y tuvo mucha gracia el que se lo dijo aquel día” ( Juan Arce de Otálora : Coloquios de Palatino y Pinciano. Tomo II, p. 681). 515   Cfr. Juan Arce de Otálora : Coloquios de Palatino y Pinciano. Tomo II, p. 653 e p. 664. 516   Juan Arce de Otálora : Coloquios de Palatino y Pinciano. Tomo II, p. 649. 517   Cfr. Juan Arce de Otálora : Coloquios de Palatino y Pinciano. Tomo II, p. 973. 518   “[…] es razón que en la república cada uno guarde su estado y use su oficio, sin usurpar el ajeno ; que […] una de las cosas que tiene puesto el mundo en punto de perdición es no guardar las gentes la orden y regla de sus estados y condiciones, y querer el jornalero ser labrador, y el labrador, oficial, y el oficial, mercader, y el mercader, escudero, y el escudero, caballero, y el caballero, señor, y el señor, grande, y el grande, rey. Si cada uno supiese que, en saliendo de su estado, juega treta falsa, y por ello le castigaren, como a soldado que sale de su ordenanza y deja la bandera, no estaríamos en tantos trabajos como estamos” ( Juan Arce de Otálora : Coloquios de Palatino y Pinciano. Tomo II, p. 974). 519   Juan Arce de Otálora : Coloquios de Palatino y Pinciano. Tomo II, pp. 652-653, pp. 681-683.  



























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capitolo viii

finanziarie, assimilate all’usura, 520 dei giudici corrotti, 521 della ricchezza (“las riquezas decienden de injusticia”) 522 e della mobilità sociale, resa possibile dal potere nefasto del denaro, le amare riflessioni sulla arretratezza della Spagna nelle scienze matematiche, nella meccanica, nella ingegneria, nella industria manifatturiera e nell’artigianato, e sugli spagnoli, “tan inciviles y rudos” e inabili ad “aprovecharse de sus manos”, che non sia “hurtando y peleando”, 523 la raffigurazione di certi tipi come lo scudiero povero, 524 la descrizione della misera vita degli studenti nei pupilajes, il tema della frequentazione e del corteggiamento delle monache, 525 cosí come le burle, i raccontini folclorici, le facezie, i refranes, le pullas e i chistes, intercalati nel testo, anticipano temi ‘ideologici’ ed elementi narrativi della picaresca e ricordano, in particolare, alcune pagine del Buscón, del Lazarillo de Tormes, del Guzmán de Alfarache, del Guitón Onofre e della Pícara Justina. (Naturalmente fra i Coloquios de Palatino y Pinciano, il cui testo – mai stampato – ci è pervenuto solamente in quattro copie manoscritte, e le opere picaresche or ora menzionate non sussiste, con tutta probabilità, alcun nesso genetico.) Nei Diálogos de apacible entretenimiento del madrileno Gaspar Lucas Hidalgo, definiti da Maxime Chevalier “una olla podrida de fragmentos jocosos y agudos”, 526 si trovano alcuni gallos – gli unici a essere stati stampati nel Siglo de Oro –, elogi burleschi pronunciati all’Università di Salamanca alla fine di giugno del 1600, alla presenza del Re e della Regina, in occasione del conferimento del grado di maestro in teologia ad un frate carmelitano. 527 I Diálogos contengono anche una ingegnosa e irriverente apologia burlesca delle bubas, 528 ossia della sifilide, definita “la muy ilustre, y noble  

















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  Juan Arce de Otálora : Coloquios de Palatino y Pinciano. Tomo II, pp. 1118-1123.   Juan Arce de Otálora : Coloquios de Palatino y Pinciano. Tomo II, pp. 893-921. 522   Juan Arce de Otálora : Coloquios de Palatino y Pinciano. Tomo II, p. 1153. 523   Juan Arce de Otálora : Coloquios de Palatino y Pinciano. Tomo II, pp. 1110-1118. 524   Pinciano ( Juan Arce de Otálora : Coloquios de Palatino y Pinciano. Tomo I, pp. 236-238), dopo aver ricordato che gli scudieri sono nobili (“escudero es hombre hijodalgo que desciende de caballeros” ; “escudero quiere decir noble e hijodalgo”), ma per la maggior parte poveri, tratteggia rapidamente la figura dello scudiero “que muere de hambre y se anda paseando con una capa frisada y ¡viva la gala ! Mucha honra y susténtala con locura y pobreza, que son dos joyas que cualquiera dellas envilesce et ridiculos homines facit”. Al che Palatino opina che “dificultosamente un pobre puede ser hidalgo ni noble, por más escudero que sea” e che “la hidalguía sin hacienda, como la de los escuderos, es hidalguía muerta, como la fe sin obras”. Più avanti anche Pinciano afferma : “No hay honra donde […] mora” la “negra pobreza” (p. 266). 525   Juan Arce de Otálora : Coloquios de Palatino y Pinciano. Tomo II, pp. 796-870. 526   M. Chevalier : Quevedo y su tiempo : la agudeza verbal, p. 110. 527   DIALOGOS | DE APACI- | BLE ENTRETENIMIEN- | TO, QVE CONTIENE VNAS | Carnestolendas de Castilla. Diuidido en | las tres noches, del Domingo, Lunes | y Martes de Antruexo. | COMPVESTO POR GASPAR | Lucas Hidalgo, vezino de la Villa | de Madrid. | PROCVRA EL AVTOR EN | este libro entretener al Letor con varias | curiosidades de gusto, materia permitida | para recrear penosos cuydados a to- | do genero de gente. | CON LICENCIA. | [Linea tipografica] | En Barcelona, en casa de Sebastian de | Cormellas al Call, Año. 1605. (Madrid, Biblioteca Nacional : R-10.464), fo. 9v-20v (« Dialogo Primero, Del Sarao en el Domingo de Carnestolendas en la noche. Cap. II. Que contiene vnos gallos, que se dieron en Salamanca, en presencia de los Reyes »). Secondo Francisco Layna Ranz (Ceremonias burlescas estudiantiles pp. 157-161), la cerimonia in presenza del Re e della Regina dovette essere abbreviata e la parte relativa ai gallos fu omessa. 528   Gaspar Lucas Hidalgo : Dialogos de apacible entretenimiento. Barcelona : Sebastian de Cormellas 1605 (Madrid, Biblioteca Nacional : R-10.464), fo. 72v-79r (« Dialogo Tercero del martes en la noche. Cap. II. Que trata de las excelencias de las bubas »). Una apologia burlesca della sifilide, intitolata Paradoja en loor de las bubas, y que es razon que todos las procuren y estimen (1569), era stata scritta alcuni decenni prima e ci è stata trasmessa dallo stesso codice conservato nella Biblioteca Colombina che fu “formado en la primera década del siglo XVII” e che contiene il Vejámen e l’Actus gallicus sopra menzionati, la Paradoja en alabanza de los cuernos composta da Gutierre de Cetina, una Paradoxa en alabança de las Narices grandes, il Torneo burlesco en San Juan de Alfarache, la Novela de la Tia fingida, vari scritti burleschi di Quevedo, la Genealogía de los Modorros e la celebre Relacion de lo que pasa en la Cárcel de Sevilla (cfr. D. Aureliano Fernández-Guerra y Orbe : Noticia de un precioso códice de la Biblioteca Colombina, con varios rasgos inéditos de Cetina, Cervantes y Quevedo. In : D. Bartolomé José  

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enfermedad de las bubas”, “santa enfermedad” e “santa dolencia”, chiamata “la Pelona” 529 – come fa Justina (“las amargas memorias de mi Pelona Francesa” ; “quereys publicar mi pelona, antes que yo la escriua” ; “Concedo que soy pelona, dozientas dozenas de vezes” 530) – e considerata malattia propria della aristocrazia 531 (anche Justina definisce ‘nobile’ la malattia : “las bubas son nobles, y siempre vienen de caualleros y caualleria” 532). Nelle Accademie letterarie 533 di Toledo si incontravano illustri prelati, membri dell’alta nobiltà e dell’oligarchia municipale con letterati venuti dalla Corte. 534 Cosí, per esempio, l’Academia del Conde de Fuensalida (Don Diego López de Ayala) era frequentata, verso il 1602/1603, da José de Valdivielso, da (Gaspar de) Barrionuevo, da Francisco de Pisa, da Alonso de Contreras, da Diego Duque de Estrada, dal Dottor Cristóbal Pérez de Herrera, il “gran médico social, escritor económico y urbanista”, amico di Mateo Alemán, 535 da suo figlio, il Licenciado Juan Antonio de Herrera Teminyo, da vari altri letterati, dottori e licenciados, da artisti come Dominikos Theotokopulos (El Greco), 536 da  





















Gallardo : Ensayo de una Biblioteca Española de libros raros y curiosos. Tomo I, coll. 1245-1370). Cristóbal de Castillejo aveva scritto delle coplas in lode del guaiaco – Guaiacum officinale –, o legno santo delle Indie, che aveva sostituito il mercurio nella cura della sifilide (Loor del palo de Indias, estando en la cura dél. In : Cristóbal de Castillejo : Obra completa. Madrid : Biblioteca Castro 1999, pp. 337-340). Anche Agnolo Firenzuola aveva composto, intorno al 1532/1534, rime burlesche In lode del legno santo (cfr. Agnolo Firenzuola : Opere. A cura di Adriano Seroni. Firenze : Sansoni 1993, pp. 954-957). Delle virtù terapeutiche del guaiaco, con il cui commercio guadagnarono molto denaro i Fugger, aveva trattato in una sua operetta l’autore della Lozana andaluza (cfr. Francisco Delicado : Il modo de adoperare el legno de India occidentale salutifero remedio a ogni piaga e mal incurabile, et si guarisce il mal Francese. Col. : Impressum Venetij sumptibus vener. Presbiteri Francisci Delicati Hispani de opido Martos, die 10 Februarij 1529). 529   Gaspar Lucas Hidalgo : Dialogos de apacible entretenimiento. Barcelona : Sebastian de Cormellas 1605 (Madrid, Biblioteca Nacional : R-10.464), fo. 73r, fo. 74v. 530   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « INTRODVCCION GENERAL, PARA TODOS los tomos y libros. Escrita de mano de Iustina. Intitulada la Melindrosa Escriuana. DIVIDESE ESTA INTRODVCCION en tres numeros. Numero primero, Del melindre al pelo de la pluma », pp. 4-5, p. 5, p. 6. Sul motivo della sifilide nella Pícara Justina, cfr. R. Rohland de Langbehn : Das Spiel mit der Krankheit : die Syphilis in der Pícara Justina. 531   “Quieres saber con quien tratan y comunican estas señoras [las bubas] ? Pues notad que siempre las vereys con gente mayor, con señores, caualleros, principes y gente ilustre. No ayays miedo, que las halleys con ganapanes, pícaros, ni trabajadores. Nunca el rustico supo si auia bubas en el mundo. (Miserable ignorancia.) El cabador, segador, y la demas gente baxa, no merecen tratar con estas nobles donzellas. No se hizieron bubas, para fregonas trabajadores [trabajadoras], y moças de cantaro : sino para las vizarras, y gallardas damas, para las que arrastran sedas, y coraçones. Estas son las que las tienen, porque las merecen. Y assí estaras aduertido, que quando por la calle quitares la gorra al cauallero, o a la dama, la mitad de aquel acatamiento se haze á la persona, y la otra mitad a las bubas que lleua” (Gaspar Lucas Hidalgo : Dialogos de apacible entretenimiento. Barcelona : Sebastian de Cormellas 1605, fo. 76v-77r). 532   Libro de entretenimiento. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO DE la Picara Romera. Capitulo. I. De la jornada de Leon. Numero tercero. de la entrada de Leon », p. 22. 533   Sulle Accademie letterarie cfr. Gregorio Marañón : Las Academias toledanas en tiempo de El Greco. In : Los Papeles de Son Armadans, Madrid - Palma de Mallorca, 1 (1956), 13-26. – José Manuel Blecua : La Academia del Conde de Fuensalida. In : Nueva Revista de Filología Hispánica, México, 15 (1961), 459-462. – José Sánchez : Academias literarias del Siglo de Oro español (= Biblioteca Románica Hispánica. II. Estudios y Ensayos, 48). Madrid : Gredos 1961. – Willard F. King : Prosa novelística y Academias literarias en el siglo XVII (= Anejos del Boletín de la Real Academia Española, Anejo X). Madrid 1963. – Actas de la Academia de los Nocturnos. Estudio introductorio, edición crítica y notas de José Luis Canet, Evangelina Rodríguez, Josep Lluís Sirera. Valencia : Edicions Alfons el Magnànim 1988-1996, 4 voll. ; qui I, pp. 31-47 ; III, pp. 11-19. 534   J. Vilar Berrogain : Conciencia nacional y conciencia económica. Datos sobre la vida y la obra del doctor Sancho de Moncada, p. 72. 535   J. Vilar Berrogain : Conciencia nacional y conciencia económica. Datos sobre la vida y la obra del doctor Sancho de Moncada, p. 58 n. e p. 72 n. 536   Fra i membri della Accademia di Toledo elencati nel suo Statuto (« El Orden que se guarda en esta Academia de Toledo siguiendo el que se ha oseruado en las de Madrid ». In : J. M. Blecua : La Academia del Conde  









































































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cavalieri e da membri della oligarchia municipale (come il regidor Don Pedro Vaca de Herrera o i jurados Dottor Gregorio de Angulo, protettore di Dominikos Theotokopulos, 537 e Andrés de Quirós). 538 L’Accademia, presieduta da D. Pedro Diego López de Ayala, Conte di Fuensalida, era, come si vede, aperta a tutti coloro che si dilettavano di poesia, nobili e non nobili, cristianos viejos e conversos. Nel suo Statuto, che ricalcava quello delle Accademie madrilene, era espressamente stabilito “no auerse cerrar la puerta a ningún hombre o muger que fuera principal o plebeyo”. 539 L’Academia del Conde de Mora, che si riuniva nel palazzo di Don Francisco de Rojas y Guzmán, Conte di Mora (nipote del Cardinale Don Bernardo Sandoval y Rojas ; un altro suo nipote, Don Diego Gómez de Sandoval y Rojas, Conte di Saldaña, secondogenito del Duca di Lerma, fondò – forse nel 1605 – a Madrid l’Accademia che porta il suo nome – Academia del Conde de Saldaña – e che era frequentata da Grandi di Spagna e Títulos e da scrittori come Lope de Vega, Cervantes, Quevedo, Góngora 540), aveva fra i suoi frequentatori Martín Chacón, autore di vejámenes e di altri “poemas de burla”, 541 José de Valdivielso, Francisco de Pisa, Jerónimo de Ceballos, Alonso de Contreras, Andrés de Quirós, José de Tovar, Pedro e Juan Vaca de Herrera, Gregorio de Angulo, regidor di Toledo, Gil Pérez Sarmiento, Francisco de Céspedes, Decano del Capitolo della Cattedrale, Cristóbal Pérez, Juan de Sepúlveda, Tomás Tamayo de Vargas, Lope de Vega (quando si trovava a Toledo), Baltasar Elisio de Medinilla, autore del già ricordato Discurso sobre el remedio de las cosas de Toledo (detto anche Memorial a la Imperial Ciudad de Toledo), e altri. 542 Anche le riunioni di interesse letterario che si tenevano nel suntuoso Palazzo di Buenavista, situato in una tenuta sulle rive del Tajo con giardini ornati di molte statue, del Cardinale Don Bernardo Sandoval y Rojas, protettore degli uomini di lettere, 543 erano aperte a letterati di varia origine (ad esse partecipava assiduamente Baltasar Elisio de Medinilla, autore di una Descripción de Buenavista 544 in versi). 545 Aperte erano, naturalmente, anche le Accademie letterarie di Madrid, 546 sui cui Statuti – come abbiamo or ora ricordato – era stato modellato lo Statuto dell’Academia del Conde de Fuensalida.  





















de Fuensalida, pp. 460-462 ; qui p. 462), figura “el Pintor”, che Gregorio Marañón (Las Academias toledanas en tiempo de El Greco, p. 20) ritiene essere, “con toda verosimilitud”, El Greco. 537   G. Marañón : Las Academias toledanas en tiempo de El Greco, p. 19. 538   Diego Duque de Estrada : Comentarios del desengañado de sí mismo. Vida del mismo autor. Edición, introducción y notas de Henry Ettinghausen. Madrid : Castalia 1982, pp. 93-94. – D. Jerónimo López de Ayala y Álvarez de Toledo, Conde de Cedillo, Vizconde de Palazuelos : Toledo en el siglo XVI después del vencimiento de las Comunidades, p. 71. – J. M. Blecua : La Academia del Conde de Fuensalida, p. 462. 539   « El Orden que se guarda en esta Academia de Toledo siguiendo el que se ha oseruado en las de Madrid », p. 462. 540   Cfr. J. Sánchez : Academias literarias del Siglo de Oro español, pp. 36-46. – Willard F. King : Prosa novelística y Academias literarias en el siglo XVII, pp. 42-47. 541   Abraham Madroñal Durán : Baltasar Elisio de Medinilla y la poesía toledana de principios del siglo XVII. Con la edición de sus Obras divinas. Prólogo de Victor García de la Concha (= Biblioteca Áurea Hispánica, 2). Pamplona : Universidad de Navarra 1999, pp. 27-28. 542   Cfr. D. Jerónimo López de Ayala y Álvarez de Toledo, Conde de Cedillo, Vizconde de Palazuelos : Toledo en el siglo XVI después del vencimiento de las Comunidades, p. 146. – G. Marañón : Las Academias toledanas en tiempo de El Greco, pp. 20-23. – J. Sánchez : Academias literarias del Siglo de Oro español, p. 301. – Willard F. King : Prosa novelística y Academias literarias en el siglo XVII, pp. 37-39. 543   Cfr. Rafael Láinez Alcalá : Don Bernardo de Sandoval y Rojas, protector de Cervantes, (1546-1618). Salamanca : Ediciones Anaya 1958, pp. 175-224. 544   Su questo poema cfr. Abraham Madroñal Durán : Baltasar Elisio de Medinilla y la poesía toledana de principios del siglo XVII. Con la edición de sus Obras divinas, pp. 101-104. 545   Cfr. G. Marañón : Las Academias toledanas en tiempo de El Greco, pp. 23-25. – J. Sánchez : Academias literarias del Siglo de Oro español, pp. 301-302. 546   Sulle Accademie letterarie madrilene cfr. J. Sánchez : Academias literarias del Siglo de Oro español, pp. 26 











































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Nelle sessioni straordinarie di queste Accademie si coltivava la satira allegra e giocosa, il poemetto burlesco – come La vida del pícaro (1601), 547 scherzosa apologia in terzine del picaro, incurante delle convenzioni e delle costrizioni dell’onore, e della libertà picaresca, 548 scritta, per gli accademici 549 e per i “cortesanos”, 550 forse da Gallegos, segretario del Duca di Feria, nella cui Accademia letteraria sarebbe stata letta l’opera, 551 o da Pedro  









-116. – Anne J. Cruz : Las Academias : Literatura y poder en un espacio cortesano. In : Edad de Oro 17 (1998), 49-57. 547   LA VIDA DEL PICARO compuesta por gallardo estilo en tercia rima, por el dichosissimo y bien afortunado Capitan Longares de Angulo, Regidor perpetuo de la hermandad picaril en la ciudad de Mira, de la Prouincia del Ocio : sacada a luz por el mesmo Autor, a peticion de los Cortesanos de dicha ciudad. Van al fin las Ordenanças picariles, por el mesmo Autor. [Incisione : Tre figurine che rappresentano tre picari.] Impresa en Valencia junto al molino de la Rouella. Año 1601. Vendese en el enlosado de la Lonja. Di questa edizione a stampa, descritta già nel Catálogo de la Biblioteca de Salvá (Tomo II, pp. 154-155, nro. 1861), ci è pervenuto un esemplare, scoperto oltre due decenni fa, conservato nella Biblioteca Universitaria di Valencia [R-3/23 (3)]. Inoltre ci sono pervenute quattro copie manoscritte de La vida del pícaro più complete della edizione a stampa, che omette ben sessanta versi, ma che include le Ordenanças picariles trascritte pari pari dalla prima parte del Guzmán de Alfarache, dove recano però il titolo di Ordenanzas mendicativas. Adolfo Bonilla y San Martín ha pubblicato il testo de La vida del pícaro trasmessoci dal manoscritto 3796, conservato nella Biblioteca Nacional di Madrid (il poemetto burlesco ci è stato trasmesso anche dal ms. 17556, proveniente dalla biblioteca di Pascual de Gayangos, della Biblioteca Nacional, che raccoglie Poesias barias y recreación de buenos ingenios e che probabilmente rimase sconosciuto o non ancora accessibile allo studioso), collazionandolo con il testo del manoscritto della Biblioteca Universitaria di Zaragoza e con quello della Biblioteca Corsini di Roma (Biblioteca della Accademia dei Lincei, fondo Corsini). Cfr. [Adolfo Bonilla y San Martín (Ed.) :] La vida del pícaro, compuesta por gallardo estilo en tercia rima. In : Revue Hispanique 9 (1902), 295-330 (il testo del poema burlesco occupa le pp. 304-321). – Francisco Carrillo : “La vida del pícaro” (1601) : Testimonio contextual de la picaresca. In : Actas del VIII Congreso de la Asociación Internacional de Hispanistas (22-27 agosto 1983). Ed. de A. D. Kossoff et al. Madrid : Istmo 1986, pp. 357-366. – Matías Barchino : Sobre La Vida del pícaro y sus autores. In : Stylus 2 (1987-1989), 77-85. – Marcial Rubio Árquez : Para la edición de La vida del pícaro (1601). In : Filologia dei testi a stampa (area iberica) a cura di Patrizia Botta con la collaborazione di Aviva Garribba ed Elisabetta Vaccaro (= Studi, Testi e Manuali. Collana di Filologia romanza. Nuova serie, 7). Modena : Mucchi Editore 2005, pp. 459-466. 548   “Muera por casos de honrra … / el que a lo picaril no se motila [A. B. y S. M. spiega : el que no toma las órdenes picariles]. / | ¡O picaros cofadres ! ¡quien pudiese / sentarse qual vosotros en la calle, / sin que a menos valer se le tubiese ! / | ¡Quien pudiese vestir a vuestro talle, / desabrochado el cuello y sin petrina, / y el corto tiempo a mi sauor goçalle ! / […] | ¡O picaros, amigos desonrrados, / cofadres del plaçer y de la hanchura / que libertad llamaron los pasados ! / […] | ¡O vida picaril, trato picaño ! / confieso mi pecado : diera vn dedo / por ser de los sentados en tu escaño”. Cfr. Adolfo Bonilla y San Martín (Ed.) : La vida del pícaro, pp. 318-319. 549   “Academicos mios, que el discreto / discretamente acariçiais en todo : / no deis a mi rudeza nueuo reto”. Cfr. Adolfo Bonilla y San Martín (Ed.) : La vida del pícaro, pp. 318-319. 550   “La Vida del Pícaro … sacada a luz por el mesmo Autor, a peticion de los Cortesanos” (frontespizio della edizione a stampa). 551   Adolfo Bonilla y San Martín (La vida del pícaro, pp. 301-303) avanza l’ipotesi che La vida del pícaro possa essere attribuita a Gallegos. Tale ipotesi di attribuzione è condivisa totalmente da Marcial Rubio Árquez (Para la edición de La vida del pícaro, p. 460, nota nro. 8). Adolfo Bonilla y San Martín e Marcial Rubio Árquez ritengono che il Duca di Feria, di cui Gallegos si dichiara segretario in un manoscritto della Bibliothèque Nationale di Parigi (Coplas de vituperio de la vida de Palaçio y alavanza de aldea. Hechas por Gallegos, secretario del duque de Feria. Editate da Alfred Morel-Fatio nel Bulletin Hispanique del 1901), sia D. Gómez Suárez de Figueroa y Córdoba, V Conte di Feria e – dal 28 settembre 1567 – I Duca di Feria, che morì il 7 settembre del 1571. La Vida del pícaro è però sicuramente posteriore alla Primera parte de Guzmán de Alfarache (Madrid : Várez de Castro 1599), opera che a partire dalla edizione di Sebastián de Cormellas (Barcelona 1599) fu frequentemente intitolata Primera parte de la vida del pícaro Guzmán de Alfarache. Come può quindi essere “probable que los picarescos tercetos fuesen leídos en alguna Academia particular celebrada en casa del Duque de Féria, Mecenas de nuestro Gallegos” (Adolfo Bonilla y San Martín, p. 303) ? Lo stesso studioso aveva pur affermato, due pagine prima, che l’autore del poema “lo leyó en alguna Academia literaria de las muchas que se celebraron durante el siglo XVII” (p. 301) ! A nostro parere, o si tratta di un altro Duca di Feria, e precisamente di D. Lorenzo Suárez de Figueroa, II Duca di Feria, nato nel 1559 e morto nel 1607, oppure l’autore delle Coplas de vituperio de la vida de Palaçio e l’autore de La Vida del pícaro difficilmente possono essere la stessa persona. Il Cancionero Sevillano de Nueva York, compilato verosimilmente fra il 1580 e il 1590, contiene le Coplas en alabanza de aldea, che si ritrovano anche in 4 codici degli  

























































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Liñán de Riaza, 552 autore di romances burleschi come quello, talvolta attribuito a Góngora, che inizia con i versi “¡Aquí de Dios, que me casan, / señores que me desvían / de mi placenteras noches / y de mis alegres días !” 553 –, il discorso burlesco – come l’apologia delle corna, già ricordata, di Gutierre de Cetina 554 – e il vejamen, “agresión verbal”, che, “además de recoger una tradición culta”, affonda le sue radici “en la amplia categoría de la tradición oral que comprende los dictados tópicos, el dar vaya o matraca, el motejar, la burla y las pullas”. 555 I discorsi burleschi, che si pronunciavano anche nei certámenes delle Università, 556 vertevano su vari temi, ma su tutti prevalevano quelli dedicati alla donna, sempre considerata “como sujeto de fisga y broma”. 557  













ultimi venti anni del Cinquecento (Paris, Bibliothèque Nationale : Esp. 373. – Madrid, Biblioteca Real : II-1579 e II-973. – Madrid, Biblioteca Nacional : 2856) e ricordano la Cena jocosa di Baltasar del Alcázar ; nel Cancionero de varias poesías – manoscritto della fine del XVI, o dei primi anni del XVII secolo, che appartenne a D. Luis de Usoz y Rio e che è attualmente conservato nella Biblioteca Nacional – figura invece una Obra de Gallegos, que es Vida de Palaçio. Sembra quindi che Gallegos possa essere situato cronologicamente negli ultimi decenni del XVI e nei primi anni del XVII secolo e questo renderebbe abbastanza verosimile l’ipotesi che Gallegos sia stato segretario del II Duca di Feria. Notiamo, infine, che a ritenere che il non specificato “duque de Feria” sia da identificarsi con D. Gómez Suárez de Figueroa y Córdoba, V Conte di Feria e I Duca di Feria, è stato, per primo, Alfred Morel-Fatio [Les coplas de Gallegos. In : Bulletin Hispanique 3 (1901), 17-34]. Adolfo Bonilla y San Martín e Marcial Rubio Árquez ripetono semplicemente quanto affermato dal grande ispanista francese. Il prenome di Gallegos sembra sia rimasto sconosciuto. Solo nello « Estudio preliminar » (p. XXXVIII) e nell’« Índice onomástico » della recente edizione del Cancionero Sevillano de Nueva York (p. 487), il poeta viene elencato – non sappiamo con quale fondamento – come “Gallegos, Manuel de (secretario del duque de Feria”), divenendo cosí omonimo del noto autore della Gigantomaquia (1628) e delle Obras varias al Real Palacio del Buen Retiro (1637). D. Gómez Suárez de Figueroa y Córdoba, I Duca di Feria (il suo principale señorío era la città di Zafra), aveva fatto parte, assieme ad un folto e scelto gruppo di giovani nobili cortigiani, della Academia letteraria fondata e presieduta da D. Fernando Álvarez de Toledo, III Duca d’Alba (cfr. S. Martínez Hernández : El Marqués de Velada y la Corte en los reinados de Felipe II y Felipe III. Nobleza cortesana y cultura política en la España del Siglo de Oro, pp. 75-112 ; v. in partic. p. 97 sul I Duca di Feria). Numerosi furono i nobili cavalieri che fondarono in seguito, sull’esempio del III Duca d’Alba, una propria Accademia letteraria. Vi furono tra questi anche il I Duca di Feria, come afferma Marcial Rubio Árquez (p. 460, nota nro. 8), o il II Duca di Feria ? 552   Il poeta toledano è indicato come autore de La Vida del pícaro nei tre manoscritti utilizzati da Adolfo Bonilla y San Martín (La vida del pícaro, pp. 298-299). J. E. Randolph include La Vida del pícaro nella sua edizione delle poesie di Liñán. Cfr. Pedro Liñán de Riaza : Poesías. Edición de J. E. Randolph. Barcelona : Puvill Libros 1982, pp. 133-146. 553   Pedro Liñán de Riaza : Poesías. Edición de J. E. Randolph. Barcelona : Puvill Libros 1982, p. 297 (nro. 47). 554   Paradoja. Trata que no solamente no es cosa mala, dañosa ni vergonzosa ser un hombre cornudo, mas que los cuernos son buenos y provechosos. In : Obras de Gutierre de Cetina. Con introducción y notas del Doctor D. Joaquín Hazañas y la Rua. Tomo II. Sevilla : Imp. De Francisco de P. Díaz 1895, pp. 207-239. Con la soppressione di vari paragrafi, la Paradoja, che Gutierre de Cetina aveva letto in una Accademia, era stata già pubblicata da Aureliano Fernández-Guerra y Orbe (in : Gallardo : Ensayo I, coll. 1332-1341). 555   María Soledad Carrasco Urgoiti : La oralidad del vejamen de Academia. In : Edad de Oro 7 (1988), 49-57 ; qui p. 53. – Cfr. anche Aurora Egido : Literatura efímera : Oralidad y escritura en los certámenes y Academias de los Siglos de Oro. In : Edad de Oro 7 (1988), 69-87. Su fisgar, zaherir, apodar, motejar, dar vaya, dar matraca e su pullas e remoquetes, cioè sul “vocabulaire de l’aggression verbale” nella Pícara Justina, cfr. Luc Torres : Discours festif, pp. 335-356 556   J. Sánchez : Academias literarias del Siglo de Oro español, p. 15. 557   Agustín G. De Amezúa : Introducción al epistolario de Lope de Vega Carpio, que por acuerdo de la Real Academia Española pública A. G. De A. II. Madrid : Artes Gráficas « Aldus » 1940, p. 77. Numerosissime sono le composizioni poetiche contro le donne recitate nelle sessioni della Academia de los Nocturnos. In due sessioni Don Gaspar Mercader lesse un Discurso contra las mugeres (1593). Cfr. Actas de la Academia de los Nocturnos, III, pp. 343-353 ; IV, pp. 59-69.  

































































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La diffusione del costume di motejar , apodar , dar matraca , echar pullas , dar vayas , fisgar e burlar La pratica di motejar, apodar, dar matraca, 558 echar pullas, 559 dar vayas, fisgar e burlar, 560 era diffusissima e quotidianamente coltivata a Corte (ma anche fuori della Corte ; in particolare, negli ambienti universitari), 561 come abbiamo già osservato. La documentano numerose testimonianze. Così, per esempio, quando il Duca d’Alba (Don Fadrique Álvarez de Toledo y Enríquez) dà del chocarrero a Francisco López de Villalobos, il famoso medico gli risponde – come abbiamo già ricordato – di aver appreso ad esserlo da lui e dai suoi figli e definisce la Corte ducale “una buena escuela desta profesion [de chocarrero]”. 562 Baldesar Castiglione, che aveva messo in rilievo nel suo Cortegiano la particolare disposizione degli spagnoli per il “motteggiare”, 563 ricorda alcuni motti arguti pronunciati da Alfonso V il Magnanimo, 564 Re d’Aragona, da Don Gonzalo Fernández  















558   L’espressione dar matraca era nata probabilmente nell’ambiente studentesco, come fa supporre Sebastián de Covarrubias Orozco (Tesoro de la lengua castellana o española, p. 742) : “En Salamanca llaman dar matraca burlarse de palabra con los estudiantes nuevos o novatos”. Juan Huarte de San Juan giudicava negativamente le persone abili nel dire motti spiritosi e arguti, nel burlare e nel canzonare : “Los graciosos, decidores, apodadores y que saben dar una matraca, tienen cierta diferencia de imaginativa muy contraria del entendimiento y memoria. Y, así, jamás salen con la gramática, dialéctica, teología escolástica, medicina ni leyes ; pues que sí son agudos in agilibus, mañosos para cualquiera cosa que toman a hacer, prestos en hablar y responder a propósito. Estos son proprios para servir en palacio, para solicitadores, procuradores de causas, para mercaderes y tratantes, para comprar y vender ; pero no para letras. Con éstos se engaña mucho la gente vulgar viéndolos tan mañosos para todas las cosas ; y, así, les parece que si se dieran a letras salieran grandes hombres ; y realmente no hay ingenio para ellas más repugnante” (Examen de ingenios para las ciencias Cap. VIII, p.173). L’abilità nell’apodar era invece considerata da Sebastián de Covarrubias Orozco (Tesoro, p. 105) “cosa de mucho ingenio y de gusto”. 559   Sebastián de Covarrubias Orozco (Tesoro, p. 841) definisce così la pulla : “Es un dicho gracioso, aunque algo obsceno, de que comúnmente usan los caminantes cuando topan a los villanos que están labrando los campos, especialmente en tiempo de siega o vendimias.” Secondo Gonzalo Sobejano “la pulla tiene una intención punzante, burlescamente ofensiva […]. El que echa pullas … quiere humillar, avergonzar, vejar”. Come “buen ejemplo de pulla” lo studioso cita « La pulla del fullero » (Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO : DE la Picara Romera. Capitulo. I. De la jornada de Leon. Numero segundo de la pulla del fullero »). Cfr. Gonzalo Sobejano : « Bernardinas » en textos literarios del Siglo de Oro. In : Homenaje a Rodríguez-Moñino. Estudios de erudición que le ofrecen sus amigos o discípulos hispanistas norteamericanos. II. Madrid : Editorial Castalia 1966, pp. 247-259 ; qui p. 249. 560   Tutto il lessico relativo alla ‘burla’ è stato analizzato e sistematizzato da Monique Joly nella sua tesi La bourle et son interpretation. Recherches sur le passage de la facétie au roman. La Pícara Justina ha costituito, forse, la fonte che ha offerto alla studiosa la più ricca documentazione per la sua ricerca. 561   Scrive l’autore della Pícara Justina : “los hombres ignorantes y viciosos, adulteran la lengua, y las palabras, vsando dellas para comunicar entre si mismos cosas frusleras y vanas, mas proprias para calladas, que dignas de salir a luz. Tales son las que en las fisgas y matracas vsan de ordinario, pajes estudiantes, damas cortesanas, y gente de la faction de Iustina, y Perlicaro” (Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO PRIMERO, INTITVLADO LA PICARA Montañesa. CAPITVLO PRIMERO, de la Escriuana fisgada. Numero primero. Del fisgon medroso. APROVECHAMIENTO », p. 83). Cfr. inoltre Monique Joly : La bourle et son interpretation. Recherches sur le passage de la facétie au roman, pp. 192-198. – Maxime Chevalier : El arte de motejar en la Corte de Carlos V, pp. 61-77. – M. Chevalier : Quevedo y su tiempo : la agudeza verbal, pp. 11-90. 562   [Francisco López de Villalobos :] Este es el transunto de un diálogo entre un grande deste reino de Castilla, estando con el frío de la cuartana, y el doctor de Villalobos, que estaba allí con él, en presencia de sus hijos y de la noble juventud de su casa. In : Curiosidades bibliográficas. Colección escogida de obras raras de amenidad y erudicción. Con apuntes biográficos de los diferentes autores. Por D. Adolfo de Castro (= Biblioteca de Autores Españoles, 36). Madrid : Atlas 1950, pp. 443-449, qui p. 445a. Poco più avanti, al Duca che gli dice “volvamos á mi enfermedad ; no sea todo chocarrerías”, Villalobos risponde : “Estas chocarrerías, despues de Dio, le dan la vida á vuestra señoría, porque os criastes en ellas y son los aires de la patria” (p. 445b). 563   Baldesar Castiglione : Il Libro del Cortegiano, p. 255 (Lib. II, XLII). 564   Baldesar Castiglione : Il Libro del Cortegiano, pp. 296-297 (Lib. II, LXXIII).  































































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de Córdoba, 565 dal capitano Diego de Quiñones, luogotenente del Gran Capitano, e da Alfonso Carrillo, 566 un nobile cavaliere della Corte dei Re Cattolici che era nipote dell’Arcivescovo di Toledo Alfonso Carrillo ed era famoso per le sue burle e le sue graziose arguzie (numerose ne registra anche la Floresta española di Melchor de Santa Cruz, 567 che nella sezione « De apodos » del secondo capitolo della parte settima ricorda fra i motteggiatori e gli apodadores anche D. Alonso de Aguilar, il fratello maggiore del Gran Capitano, e D. Diego de Mendoza, Conte di Mélito 568). Fray Antonio de Guevara ammonisce la sorella D. Francisca de Guevara, dama di Palazzo, a non essere “habladora y chocarrera, porque con las damas desta estofa y librea huélganse todos en palacio de hablar y huyen de se casar”. 569 Cristóbal de Villalón scrive, nel dialogo El Scholástico, che fra “todas las naçiones del mundo tiene la castellana por natural el mofar y burlar, porque entre todas es la gente más simuladora y parlera, y pícanse por buenas maneras de afrentar a quien les pareçe, y préçianse con sus simulaçiones hazer a todos locos”. 570 Matteo Bandello dedica, nella terza parte delle sue Novelle, un’intera novella (XLVIII) ad “alcuni bei motti d’un argutissimo spagnolo”, un certo Rodrigo di Siviglia, “faceto e pronto cortegiano” dei Re d’Aragona, che nel motteggiare “era il piú industrioso, sagace, solerte e pronto che fosse in corte”. 571 Nel suo Fuggilozio (Napoli 1596. – Venezia 1600, 1601, 1604, 1605, ecc.), che contiene una vastissima sezione dedicata ai “detti piacevoli ed arguti” e una sezione, quasi altrettanto vasta, dedicata ai “detti notabili”, 572 Tomaso Costo registra un motto “argutissimo e significante” di Carlo V, 573 un motto di Pedro Afán de Ribera, I Duca di Alcalá de los Gazules e Viceré del Regno di Napoli (1559-1571), “accortissimo nel motteggiare”, 574 un motto “argutissimo e mordace” di Don Antonio Dávalos, “notissimo … per l’arguzia e prontezza del suo dire”, 575 un mot 

























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  Baldesar Castiglione : Il Libro del Cortegiano, p. 297 (Lib. II, LXXIV).   Baldesar Castiglione : Il Libro del Cortegiano, p. 284 (Lib. II, LXIII), p. 300 (Lib. II, LXXVI ; ripreso a p. 323, Lib. II, XCII), p. 303 (Lib. II, LXXVIII), p. 324 (Lib. II, XCIII). 567   Melchor de Santa Cruz : Floresta Española. Edición, prólogo y notas de María Pilar Cuartero y Maxime Chevalier, p. 52 (Parte II, Cap. II, 42), p. 201 (Parte VII, Cap. II, 1-8), p. 258 (Parte IX, Cap. IV, 9), p. 262 (Parte IX, Cap. VI, 5), p. 288 (Parte XI, Cap. III, 23), p. 290 (Parte XI, Cap. IV, 1). 568   Melchor de Santa Cruz : Floresta Española. Edición, prólogo y notas de María Pilar Cuartero y Maxime Chevalier, pp. 201-205. 569   Libro primero [Segundo !] de las Epístolas familiares de Fray Antonio de Guevara. Edición y prólogo de José María de Cossío. II, p. 269. In una precedente epistola Fray Antonio de Guevara aveva biasimato le donne, “decidoras, y graciosas, y mofadoras”, perché “lo que en los hombres llamamos gracia, se llama en las mugeres chocarrería”. Cfr. Libro primero de las Epístolas familiares de Fray Antonio de Guevara. Edición y prólogo de José María de Cossío. I, p. 371. Justina schernirà il tipo di donna ‘grave’ e seriosa tanto stimato dal Vescovo di Mondoñedo : “dirà la otra vieja roñosa, hija no vees el seso de fulanita, que ni rie, ni burla ni dize gracias, ni donayres ni es chocarrera ? Dire yo pues vieja maldita, ay cosa mas facil que dexar de hazer lo impossible ? pues porque alabas en aquella lo que es forzoso ? que donayres quieres que diga, quien si se hecha al ayre, no tiene alas con que bolar : que gracias quieres que diga, quien por naturaleça salio en desgracia, con las tres hermanas, que son las madres de las gracias ? que burlas quieres que haga, quien no sabe, que son veras, ni que son burlas ?” (Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « TERCERA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO De la Picara Romera. Capitulo 4. de la partida de Leon. Numero primero de la despedida de Sancha », p. 165). Fray Luis de León critica severamente la “mujer parlera”. Cfr. Fray Luis de León : La perfecta casada. In : Obras completas castellanas de Fray Luis de León. I. Prólogos y notas del Padre Felix García, O. S. A. Madrid : Biblioteca de Autores Cristianos 1957, pp. 243-358 ; qui pp. 333-337. Gonzalo Correas (Vocabulario de refranes y frases proverbiales, p. 443) registra questo proverbio : “La ramera, gran parlera ; y la parlera, ramera.” 570   Cristóbal de Villalón : El Scholástico. Edición de José Miguel Martínez Torrejón, p. 252. 571   Matteo Bandello : Le novelle. La seconda parte (XXXVIII-LIX), la terza e la quarta parte. In : Tutte le opere di Matteo Bandello. A cura di Francesco Flora. II. Milano : Mondadori 1972, pp. 491-495. 572   Tomaso Costo : Il fuggilozio. A Cura di Corrado Calenda (= I Novellieri Italiani, vol. 36). Roma : Salerno Editrice 1989, pp. 171-268, pp. 475-565. 573 574   Tomaso Costo : Il fuggilozio, pp. 196-197.   Tomaso Costo : Il fuggilozio, pp. 179-180. 575   Tomaso Costo : Il fuggilozio, pp. 184-185. Un altro motto dello stesso personaggio è ricordato alle pp. 217-218.  

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to di Don Giovanni Dávalos, figlio del Marchese del Vasto, “prontissimo e graziosissimo nel motteggiare”, 576 una facezia di Don Giovanni Cardona, 577 un detto acuto di Antonio de Leiva 578 e vari motti di spagnoli anonimi. 579 Brantôme (Pierre de Bourdeille, seigneur de), anch’egli ammiratore della ‘acutezza’ spagnola, annota nei Discours d’aucunes rodomontades et gentilles rencontres et parolles espagnoles, nei Sermens et juremens espagnols e nelle Dames galantes numerosissimi detti arguti, raccolti, in parte, dalla viva voce di cavalieri spagnoli. 580 Alla fine del XVI secolo, il barone Conrad von Bemelberg, profondo conoscitore e grande ammiratore della lingua castigliana, 581 scrive, in una sua lettera già ricordata del 1599, che in Ispagna e particolarmente in Castiglia i forestieri sono accolti “con burlas y matracas”, che le dame “precianse de muy entendidas y vnicas maestras de burlar” e che l’abitudine di dire “donayres” è tanto diffusa “que quien q[u]isiere ser tenido por hijodalgo, fuerça le es de ser más que medianamente instruido en esta preciada sciencia”. 582 All’inizio del XVII secolo, Barthélemy Joly osservava, nel suo Voyage en Espagne, che “dire le mot et donner l’attaque, qu’ilz appellent apodo, matraca ou pulla, […] est tant usité et affecté en Espagne, qu’il n’y a celuy qui ne s’en mesle et qui ne fust bien fasché de n’estre estimé adroict et ingenieux à cela”. 583 Testimoniano quanto fosse diffuso in Ispagna il costume di motteggiare, di burlare, di dire detti acuti, di apodar (Baltasar Gracián, che dedicherà agli apodos un intero « Discurso » della Agudeza y arte de ingenio, li definirà “sutilezas prontas, breves relámpagos del ingenio”, e metterà in rilievo la loro affinità con le “semejanzas conceptuosas” 584) e di giocare con i doppi sensi, 585 anche diversi altri scritti. Ricordiamo i seguenti : a) la Crónica burlesca del Emperador Carlos V di Don Francés de Zúñiga, che registra, nel già ricordato Cap. XXVII, diversi motti di Carlo V ; b) il Libro de motes de damas y caballeros (Valencia : Francisco Díaz Romano 1535) e El Cortesano (Valencia : Joan de Arcos 1561) di Luis Milán, che offrono una “rica cantera de dichos y réplicas agudas ‘recogidos’ en la corte valenciana de Germana de Foix hacia 1534-1536” ; 586 c) i Dichos graciosos de españoles (ca. 1540-1550), raccolta manoscritta che appartenne ad Antonio Rodríguez-Moñino e che ora è accessibile in una bella edizione con il titolo Miscelánea de dichos ; 587 d) El Scholástico (ca. 1542) di Cristóbal de Villalón ; e) il Libro de chistes (ca. 1550) di Luis de Pinedo, che documenta l’abitudine di membri dell’alta nobiltà – come il Conte di Ureña (Don Juan Téllez Girón), famoso per i suoi detti acuti, il Conte di Chinchón, il Condestable D. Pedro Fernández de  































   

   



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577   Tomaso Costo : Il fuggilozio, pp. 209-210.   Tomaso Costo : Il fuggilozio, pp. 244-246.   Tomaso Costo : Il fuggilozio, pp. 488-489. 579   Tomaso Costo : Il fuggilozio, pp. 174-175, p. 218, pp. 241-242, pp. 262-263. 580   Cfr. M. Chevalier : Quevedo y su tiempo : la agudeza verbal, pp. 91-101. 581   Cfr. Arturo Farinelli : Viajes por España y Portugal, pp. 154-158. 582   Conrad von Bemelberg : A un Caballero aleman españoliçado (De Boloña, y de Augusto año de 1599), pp. 158-159. 583   Barthélemy Joly : Voyage en Espagne, p. 612. 584   Agvdeza y arte de ingenio. Por Lorenço Gracian. Avmentala El mesmo Autor en esta segunda impression, con vn tratado de los Estilos. Impresso en Huesca, por Ivan Nogves. Año M.DC.XLVIII. (Edición facsímil. Estudio preliminar de Aurora Egido. Zaragoza : Institución « Fernando el Católico ». Excma. Diputación de Zaragoza 2007), pp. 301-306 (« Discvrso XLVIII. De la Agudeza en Apodos »). – Baltasar Gracián : Obras completas. Estudio preliminar, edición, bibliografía y notas e índices de Arturo del Hoyo. Madrid : Aguilar 1967, pp. 447-451. 585   Nel Cortesano di Luis Milán si legge “que es mucho del palacio [Corte] levantar conversacion jugando del vocablo” (p. 266). 586   Maxime Chevalier : « Prólogo » a : La Zucca del Doni (Venetia 1551, Francesco Marcolini), p. 14. 587   Alonso de Fuentes : Miscelánea de dichos. In : Más de mil y un cuentos del Siglo de Oro. Edición e introducción de José Fradejas Lebrero (= Biblioteca Áurea Hispánica, 53). Madrid : Iberoamericana 2008. pp. 181-224. Il titolo Dichos graciosos era stato dato alla raccolta da Maxime Chevalier (« Prólogo » a : La Zucca del Doni. Venetia 1551, Francesco Marcolini, p. 15). Antonio Rodríguez-Moñino aveva intitolato il manoscritto Miscelánea de anécdotas y curiosos casos.  

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Velasco, il Duca di Nájera, l’Almirante Don Fadrique Enríquez, il Marchese Don Rodrigo de Cenete, il Duca di Alburquerque, il Marchese di Aguilar (D. Luis Manrique) – e di altri personaggi, nobili e non nobili, di apodar, motteggiare, burlare, dire acutezze ed anche di scherzare – come fa Don Juan de Mendoza 588 – sulla propria nascita illegittima ; f ) Los coloquios de Palatino y Pinciano (ca. 1555/1560) di Juan de Arce de Otálora ; g) la Floresta Española di Melchor de Santa Cruz, che raccoglie “dichos jocosos de títulos y caballeros como el Conde de Ureña, Alonso Carrillo y Alonso de Aguilar” 589 e ha una sezione, già ricordata, intitolata « De apodos » e una intitolata « De motejar de linaje » 590 (pratica considerata – come già sappiamo – di cattivo gusto da Lucas Gracián Dantisco 591 e ancora, decenni dopo, sconsigliata da Juan de Robles 592) ; h) la Miscelánea (ca. 1590/1596) di Luis Zapata de Chaves, che offre – oltre a moltissime “historietas” – una grande quantità di “subtilezas corteses, donosas burlas, chistes, apodos, motes y gracejos” 593 dell’epoca di Carlo V e di Filippo II e insegna, ispirandosi alla versione di Juan Boscán del Cortegiano, come devono essere i detti, i motti e le burle ; 594 i) i Dichos famosos (fine XVI sec.), raccolta manoscritta – recentissimamente editada 595 – che appartenne ad Antonio RodríguezMoñino e che il grande studioso ha legato alla Real Academia Española ; j) i Diálogos de apacible entretenimiento di Gaspar Lucas Hidalgo, una raccolta – frequentemente presente nelle biblioteche private madrilene della prima metà del XVII secolo 596 – di motti, burle e facezie, nella quale abbondano i chistes sui cristianos nuevos e sulla limpieza de sangre ; 597 k) i Cuentos muy mal escritos que notó don Juan de Arguijo. Queste testimonianze, pur significative, danno un’idea solo approssimativa della va 

























   







   

588   “La Reina Doña Isabel estaba leyendo una carta, y D. Juan de Mendoza púsose delante de la claridad. Díjole la Reina : – Quitate delante, que no veo –. Respondió Don Juan : – Señora, perdone Vuestra Alteza, que pensé que era verdadero el refrán que los hijos de clérigo se traslucían – : porque él era hijo del Cardenal D. Pedro González de Mendoza” (Luis de Pinedo : Libro de chistes, p. 115). 589   Maxime Chevalier : « Prólogo » a : La Zucca del Doni (Venetia 1551, Francesco Marcolini), p. 14. 590   Melchor de Santa Cruz : Floresta Española. Edición, prólogo y notas de María Pilar Cuartero y Maxime Chevalier, pp. 201-205, pp. 206-211 (chistes su cristianos nuevos si trovano anche a p. 295, nro. 1, p. 296, nro. 6, p. 297, nro. 10). 591   Lucas Gracián Dantisco : Galateo español. Estudio preliminar, edición, notas y glosario por Margherita Morreale, p. 148. 592   Juan de Robles : El culto sevillano [1631]. Edición de Alejandro Gómez Camacho. Sevilla : Universidad de Sevilla 1992, p. 55. 593   Marcelino Menéndez Pelayo : Orígenes de la novela. Edición preparada por D. Enrique Sánchez Reyes (= Edición Nacional de las Obras Completas, XV). Tomo III, pp. 59-60. Sulla Miscelánea di Luis Zapata cfr. anche Antonio Prieto : La prosa española del siglo XVI. I. Madrid : Cátedra 1986, pp. 237-244. 594   “[…] en los dichos y motes y recaudos falsos […] se an de guardar estos términos : que no sean zucios, ni desonestos, ni desacatados a Dios ni al Rey. Ni lástima ni maliçia, ni contra la honrra que en los hombres consiste en la valentía y en la onestidad de las mugeres. Ni de cosa que se está ella dicha, ni común, ni al pobre ni afligido, ques crueldad ; ni al poderoso, que no conviene. Ni al amigo, que no es rrazón y es perderle ; ni al enemigo, ques provocarle. Ni al padre ni al hijo, ni al hermano ni a la muger, sino lixitimadas la personas como en pleyto. Que sean las cosas galanas, agudas y nuevas, y leves ; que no toquen en lo vivo, sino que solamente pasen por las plumas por alto. Tanvién se a de considerar el tienpo y lugar, que sea de vurlas, y tanvién no siempre, porque vna vianda continua enfada, y la myel a muchos les enpalaga. Y como a las graçias llaman sal, la sal a de ser poca que sea sabrosa y no amargue. Por lo que estos dichos, motes y rrecados falsos se an de tener en mucho, quando salen derechos, sin dar al través por entre tantos peñascos.” Cfr. Luis Zapata : Varia Historia (Miscelánea), p. 97. 595   Dichos famosos. In : Más de mil y un cuentos del Siglo de Oro. Edición e introducción de José Fradejas Lebrero (= Biblioteca Áurea Hispánica, 53). Madrid : Iberoamericana 2008. pp. 415-564. 596   Cfr. José Manuel Prieto Bernabé : Lectura y lectores. La cultura del impreso en el Madrid del Siglo de Oro I, p. 306. 597   Gaspar Lucas Hidalgo : Dialogos de apacible entretenimiento. Barcelona : Sebastian de Cormellas 1605 (Madrid, Biblioteca Nacional : R-10.464), fo. 26r-29v (« Dialogo Primero, Del Sarao en el Domingo de Carnestolendas en la noche. Cap. IIII. Que contiene chistes que motejan de Christiano nueuo »).  























































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stità del fenomeno. Oltre a quelle pervenuteci, esistevano infatti, sicuramente, 598 numerose raccolte manoscritte di motti e di chistes andate perdute, come Los cuentos, agudezas y genialidades del famoso monaco agostiniano Juan Farfán 599 e la Floresta de chistes, prontitudes y ocurrencias por la mayor parte de hijos de vecino de Sevilla y personas señaladas de aquel tiempo, che facevano parte della famosa miscellanea compilata, al principio del Seicento, dal canonico Francisco Porras de la Cámara per intrattenere Don Fernando Niño de Guevara, Cardinale-Arcivescovo di Siviglia. 600 Un altro indizio della diffusissima abitudine di motejar e apodar è costituito, infine, dalle lettere dei cortigiani. Scrive Fernando Bouza che “quien lee cartas de cortesanos de los siglos XVI y XVII se encuentra con tal número de apodos, motes y dichos maliciosos que podría creer que tras muchos corresponsales había un don Francesillo o una Magdalena Ruiz.” 601 Di tutte le testimonianze, quella di gran lunga più preziosa per lumeggiare il contesto culturale della Pícara Justina è però, senza dubbio, la Fastigimia di Thomé Pinheiro da Veiga, che – come abbiamo visto – documenta con grande ricchezza di esempi quanto intensamente si coltivasse a Valladolid, nel periodo in cui vi risiedette la Corte e vi fu concepito il Libro de entretenimiento, l’arte di apodar, 602 di motejar, di dar matraca e di giocare con i doppi sensi e gli equivoci osceni. 603  











La lettura a Valladolid e a Salamanca A Valladolid grande era l’interesse per il libro, come testimoniano le numerose officine 598

  Cfr. Maxime Chevalier : « Prólogo » a : La Zucca del Doni (Venetia 1551, Francesco Marcolini), pp. 14-15.   Juan de Robles, che possedeva un “cartapacio” contenente “dichos” di Fray Juan Farfán, ne trascrive diciotto nel suo Culto sevillano (pp. 148-150). Numerosi altri figurano fra i Cuentos muy mal escritos que notó don Juan de Arguijo. 600   Cfr. Felipe B. Pedraza Jiménez : « Prólogo » a : Miguel de Cervantes Saavedra : Novela de Rinconete y Cortadillo, famosos ladrones que hubo en Sevilla, la qual pasó así en el año de 1569. Novela del zeloso estremeño, que refiere quanto perjudica la ocasión (edición del Gabinete de lectura española, 1788). Reproducción facsimilar cuidada y prologada por F. B. P. J. Aranjuez : Editorial Ara Iovis 1984, pp. 11-61 ; qui pp. 14-15. – Maxime Chevalier : « Prólogo » a : La Zucca del Doni (Venetia 1551, Francesco Marcolini), p. 15. Sul codice Porras cfr. Antonio RodríguezMoñino : Historia de una infamia bibliográfica : La de San Antonio de 1823. Realidad y leyenda de lo sucedido con los libros y papeles de don Bartolomé José Gallardo, pp. 59-61. – F. B. Pedraza Jiménez : « Prólogo », pp. 11-18. 601   Fernando Bouza : Corre manuscrito. Una historia cultural del Siglo de Oro. Madrid : Marcial Pons 2001, p. 127. 602   Su “l’art d’apodar” – coltivata da dame e gentiluomini della Corte di Valladolid – e la Pícara Justina, che “se spécialise dans la caricature en apodos”, cfr. Maxime Chevalier : Le gentilhomme et le galant. A propos de Quevedo et de Lope. In : Bulletin Hispanique 88 (1986), 5-46 ; qui pp. 26-37. 603   L’importanza della testimonianza di Thomé Pinheiro da Veiga è stata evidenziata anche da Maxime Chevalier : “Su Fastiginia […] presenta una fascinadora imagen de la agudeza española, tal como se manifestaba en la vida cotidiana y en el habla coloquial. […] Tomé Pinheiro da Veiga nos muestra damas y caballeros vallisoletanos ejercitándose en el arte de apodar. Estos apodos no siempre resultan originales […]. Otras veces manifiesta el apodo creatividad […]. Y el apodar es visiblemente pasatiempo y juego de ingenio, […] según evidencia un framento de nuestro texto en el cual una señora […] pide que jueguen a apodarla [Fastigimia, p. 197 – pagina da noi trascritta sopra]. Tampoco brilla constantemente por su novedad el motejar […]. En el manejo del equívoco es donde sobresalen damas y caballeros […]. […] En eso no para la agudeza de los vallisoletanos. Practican con fervor el juego de palabras por disociación, juego que aplican con frecuencia a los apellidos […]”. Infine, con riferimento ai passi citati della Fastigimia, l’ispanista francese scrive : “los fragmentos reunidos más arriba demuestran que a primeros años del siglo existe en Valladolid – y pronto ha de existir en Madrid – una sociedad de damas y caballeros que sumamente aprecia el apodo, el motejar, el equívoco, el juego de palabras por disociación. Esta sociedad, cuyo carácter lúdico sólo en forma parcial se ha estudiado y entendido, juega con pasión. Juega a la pelota y juega a los naipes. Juega también con las palabras, y con idéntica pasión, rasgo éste que evidencian con claridad meridiana la relación de Pinheiro da Veiga igual que los Diálogos de Gaspar Lucas Hidalgo o los Cuentos de Juan de Arguijo. Tal pasión forzosamente había de dejar huella en la literatura de aquellos años.” Cfr. M. Chevalier : Quevedo y su tiempo : la agudeza verbal, pp. 102-107.  

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tipografiche e librerie 604 – alle “tendas dos livreiros” 605 fa un rapido accenno anche Thomé Pinheiro da Veiga – e le numerose biblioteche, specialmente quelle nobiliari (“en el XVII s. los nobles tienen gran avidez de libros”, 606 constata Anastasio Rojo Vega, il più profondo conoscitore della diffusione del libro e dei suoi fruitori a Valladolid nel periodo compreso fra il 1530 e il 1660), fra le quali spiccavano per la ricchezza dei loro fondi e la presenza di molte opere di letteratura quella dei Conti di Benavente, dei Conti di Chinchón e di Don Diego Sarmiento de Acuña, corregidor di Valladolid negli anni 16021605 (nel 1617 sarà nominato Conte di Gondomar). 607 Non disponiamo purtroppo di una fonte che ci offra informazioni dettagliate sulle opere che circolavano a Valladolid nell’ambiente interessato alla letteratura negli anni intorno al 1605, data di pubblicazione della Pícara Justina. 608 Il Voyage en Espagne di Barthélemy Joly contiene solo una fugace annotazione sulla lettura e la frequentazione delle rappresentazioni teatrali, alle quali assistevano, osserva con stupore il viaggiatore francese, anche preti e, addirittura, monaci di clausura. Ecco cosa scrive – parlando in generale de “les Espagnols”, ma riferendosi soprattutto a “les nobles d’Espagne” – il consigliere aulico francese :  











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  Cfr. A. Rojo Vega : Impresores, libreros y papeleros en Medina del Campo y Valladolid en el siglo XVII.   Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, p. 266.   Anastasio Rojo Vega : Libros y bibliotecas en Valladolid (1530-1660). In : Bulletin Hispanique 99 (1997), 193-210 ; qui p. 206. Sull’amore dei nobili per i libri – taluni fra di loro, come il Duca di Lerma o il Duca di Medina de las Torres, possedevano nei loro palazzi anche una piccola officina tipografica – (e i manoscritti !), cfr. anche Fernando Bouza Álvarez : Escribir en la Corte. La cultura de la nobleza cortesana y las formas de comunicación en el Siglo de Oro. In : Bartolomé Bennassar Perillier, Fernando Bouza Álvarez, et al. (eds.). : Vivir el Siglo de Oro. Poder, cultura e historia en la época moderna. Estudios en homenaje al profesor Ángel Rodríguez Sánchez (= Actas Salmanticensia. Estudios Históricos & Geográficos, 119). Salamanca : Ediciones Universidad de Salamanca 2003, pp. 77-99 ; qui pp. 89-94. – Pedro M. Cátedra : Nobleza y lectura en tiempos de Felipe II. La biblioteca de Don Alonso Osorio Marqués de Astorga. – José Manuel Prieto Bernabé : Lectura y lectores. La cultura del impreso en el Madrid del Siglo de Oro (1550-1650), Tomo II, pp. 15-86. – Isabel Enciso Alonso-Muñumer : Nobleza, Poder y Mecenazgo en tiempos de Felipe III. Nápoles y el Conde de Lemos, pp. 128-145. 607   Cfr. Anastasio Rojo Vega : Libros y bibliotecas en Valladolid (1530-1660), pp. 205-210. 608   Per il XVI secolo fornisce alcuni dati sulla lettura Bartolomé Bennassar (Valladolid en el Siglo de Oro, pp. 472-485), che ha analizzato gli inventari di 29 biblioteche, redatti fra il 1536 e il 1599. Fondandosi sui dati ricavabili da questi inventari, lo studioso afferma che “la literatura imaginativa parece tener poca importancia”. In particolare, figurano raramente in questi inventari i romanzi di cavalleria : solo in due delle 29 biblioteche le “novelas de caballerías” sono “bien representadas” (si tratta delle biblioteche del commerciante Bartolomé de Ávila e dell’hidalgo Alonso de Salazar, i cui inventari erano stati redatti, rispettivamente, nel 1542 e nel 1598) . Un inventario, conservato nell’Archivo Histórico Provincial di Valladolid e sconosciuto a B. Bennassar, documenta un notevole interesse proprio per la letteratura di immaginazione e, in particolare, per la narrativa. Infatti nella biblioteca dell’autor de comedias Tomás de la Fuente – l’inventario, redatto nel 1594, elenca 161 libri ed è stato pubblicato da Anastasio Rojo Vega (Fiestas y comedias en Valladolid. Siglos XVI-XVII, pp. 38-43) – le opere di narrativa e soprattutto le novelas de caballerías, sono molto numerose. La biblioteca di Tomás de la Fuente non sarà, data la sua attività, forse molto rappresentativa. Ma neppure rappresentative sono, forse, le biblioteche analizzate da Bartolomé Bennassar. Sorprende, infatti, che proprio nei decenni di intensa produzione e di gran voga dei romanzi di cavalleria, questo genere sia ben rappresentato solo in due biblioteche su 29. Altrettanto sorprendente è l’assenza quasi totale di un best seller come il Guzmán de Alfarache o il Don Quijote nelle dieci biblioteche dei primi tre decenni del XVII secolo i cui inventari sono stati studiati e riprodotti da Trevor J. Dadson (Libros, lectores y lecturas. Estudios sobre bibliotecas particulares españolas del Siglo de Oro. Madrid : Arco/Libros 1998). Solo nella biblioteca di D. Diego Silva de Mendoza, Conte di Salinas, figura un esemplare del Guzmán de Alfarache, in nessuna un esemplare del Don Quijote (in compenso, nei fondi della libreria madrilena di Cristóbal López, morto nel 1606, si trovavano 36 copie dell’opera di Cervantes). Si può – con una certa fondatezza – pensare che la scarsa presenza della narrativa nei cataloghi e inventari pervenutici non prova che essa venisse raramente comprata e letta, ma forse il contrario. Intensamente lette e frequentemente imprestate le opere di narrativa si usuravano o andavano perdute. Altre, forse, venivano regalate, vendute o distrutte da quei lettori che, essendosi convinti nel corso del tempo della loro futilità, se non addirittura peccaminosità, ritenevano disdicevole il possederle.  

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Apres auoir disné et dormy une bonne heure, ilz lisent quelques liures de cheualerie ou histoire en leur langue (fort peu entendent le latin), s’entretiennent aussy de visites cerimonieuses ou bien, si bon leur semble, aux comedies qui se font pour les trois ordres, Eglise, noblesse et tiers estat ; et se peult-on esbahir que la grande bigoterie d’Espagne y laisse aller non seulement les ecclesiastiques seculiers, mais les moynes subiectz à regle et closture y vont sans aulcun scandale. 609  



La cronaca di Luis Cabrera de Córdoba mai parla di opere letterarie o dei loro autori, solo contiene qualche raro e vago accenno alla rappresentazione di ‘commedie’. Ricca di riferimenti a opere della letteratura è, invece, la Fastigimia di Thomé Pinheiro da Veiga, che si dilettava di poesia e spesso e volentieri inseriva nel suo diario componimenti propri. Nella sua ‘cronaca’ vengono ricordati Omero, Juan de Mena, Camões, Baldesar Castiglione, Terenzio, Giulio Cesare, Diego Hurtado de Mendoza, “o grande poeta e cortezão”, 610 Garcilaso, il poeta toledano Pedro Liñán de Riaza, che risiedeva allora a Valladolid come segretario di Don Francisco de los Cobos y Luna, Marchese di Camarasa, la Celestina, la Comedia Eufrosina, la Menina e Moça di Bernardino Ribeiro, l’Amadís de Gaula, l’Amadís de Grecia di Feliciano de Silva, la Crónica do famoso e muito esforçado cavaleiro Palmeirim d’Inglaterra di Francisco de Morais, 611 Le Chevalier délibéré di Olivier de La Marche, la Ciropedia di Senofonte, l’Epistolario di Angelo Poliziano, il Marco Aurelio e il Menosprecio de Corte y Alabanza de Aldea 612 di Antonio de Guevara, gli Apotegmas di Juan Rufo, il Galateo, 613 l’Asino d’oro di Apuleio, la Storia vera di Luciano di Samosata, l’Utopia di Tommaso Moro, i Commentaires di Blaise de Monluc e la Gerusalemme liberata di Torquato Tasso. Thomé Pinheiro da Veiga cita con una certa frequenza versi di Orazio, di Francisco de Sá de Miranda, di Catullo, di Marziale, di Virgilio, di Giovenale, di Ausonio, di Ovidio, di Garcilaso, dell’Eneide, di vari romances (fra i quali uno di Góngora 614), di Alonso de Ledesma. 615 La sua ‘bibbia’ – non solo poetica – è però  









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  Barthélemy Joly : Voyage en Espagne, p. 567.   Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, p. 108.   Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, p. 84 (“em tudo parece encantamento, ou pintura de Palmeirim”). 612   Thomé Pinheiro da Veiga (Fastigimia, p. 316) allude burlescamente all’opera in questo passo : “Chegando a Melhorido muy cançados, sem acharmos que comer, estava hum villão comendo ovos e sabolas e se levantou e nos fês seu brindes, offerecendo a meza ; o que he geral em Castella serem Alexandres na Estalagem, sobre que compôs um Ampharador de menosprecio de la Aldea, e alabanças de la corte ; e, entretanto que não sahe á lus, remete-se o Auctor a Merlim Cocayo, no 6.° da Macarronia.[...]”. 613   Thomé Pinheiro da Veiga (Fastigimia, p. 265) scrive : “tão cortezão como o Conde Castilion e Galates”. Riteniamo che lo scrittore portoghese si riferisca, dopo aver menzionato Baldassar Castiglione, al Galateo di Monsignor Giovanni della Casa – forse alla traduzione di Domingo de Becerra (Tratado de M. Iuan de la Casa ; llamado Galatheo) o al Galateo español di Lucas Gracián Dantisco (cfr. Tomé Pinheiro da Veiga : Fastiginia. Vida cotidiana en la Corte de Valladolid. Traducción y notas de Narciso Alonso Cortés, p. 241, nota nro. 218). 614   “Madre, ayudame a llorar hoy biuda, y sola, ayer por cazar estaba cazada, mas yaseme el novio, y dexame prenhada” (Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, p. 303) : “La más bella niña / de nuestro lugar, / hoy vïuda y sola, / y ayer por casar, / viendo que sus ojos / a la guerra van, a su madre dice, / que escucha su mal : « Dejadme llorar… »” (Luis de Góngora : Romances. I. Edición crítica de Antonio Carreira. Barcelona : Quaderns Crema 1998, pp. 184-185). Thomé Pinheiro da Veiga (Fastigimia, p. 137) cita anche il primo verso di un sonetto attribuito a Góngora, ma scritto in realtà da Bartolomé Leonardo de Argensola : “En la manchada holanda del tributo...”. Cfr. Tomé Pinheiro da Veiga : Fastiginia. Vida cotidiana en la Corte de Valladolid. Traducción y notas de Narciso Alonso Cortés, p. 139, nota nro. 217. – Obras poéticas de Góngora. [Ed. de R. Foulché-Delbosc]. Tomo tercero. New York : The Hispanic Society of America 1921 (Reprinted 1970), p. 130. – Luis de Góngora : Sonetos completos. Edición, introducción y notas de Biruté Ciplijauskaité. Madrid : Castalia 1982, p. 317. 615   Thomé Pinheiro da Veiga considera “o seu livro [Conceptos espirituales. Madrid : Imprenta Real 1602] o melhor que nesta materia lirica se compôs athe hoje em Hespanha, na galanteria dos trocados, abundancia de conceitos, fertilidade das sentenças, gentileza de versos, suavidade, seguimento e propriedade de methaforas, amphibologias das rezoens e equivocação das palavras” (Fastigimia, p. 220).  

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l’Orlando Furioso del suo “amico Ariosto” (“meu amigo Ariosto” 616). Tutta la Fastigimia è intessuta di versi del grande poema cavalleresco che, evidentemente, il giurista portoghese conosceva quasi a memoria. Il coltissimo Cavaliere di Cristo rivela anche una particolare predilezione per la letteratura d’intrattenimento. Nella sua relazione del viaggio di ritorno in patria, da Valladolid a Lisbona, iniziato il 26 luglio 1605, accenna infatti a diverse opere di questo genere : 617 “Alivio de caminhantes”, 618 “Floresta Hespanhola”, 619 “Viage entretenida”, 620 “Conde Lucanor”, 621 “Lope de Rueda”, 622 “Jardim de flores”, 623 “Entretenimiento de  

   













616   Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, p. 114. Sulla predilezione di Thomé Pinheiro da Veiga per l’Orlando Furioso cfr. Maxime Chevalier : L’Arioste en Espagne (1530-1650). Recherches sur l’influence du “Roland furieux”. Bordeaux : Institut d’Études Ibériques et Ibéro-Américaines de l’Université de Bordeaux 1966, p. 310. 617   Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, p. 311, p.316. 618   El Sobremesa y Aliuio de caminantes, de Joan Timoneda. En el qual se contienen affables, y graciosos dichos, cuentos heroycos, y de mucha sentencia, y doctrina. Agora de nueuo añadido por el mismo autor, assi en los cuentos, como en las memorias de España, y Valencia. Impresso con Licencia. Vendese en casa de Joan Timoneda (Col. : Acabo se de imprimir este libro … en casa de Joan Nauarro, a 5. de Mayo. Año de.1569). La princeps è sconosciuta. Edizioni precedenti e successive all’edizione del 1569, la più completa : Medina del Campo : Francisco del Canto 1563. – Zaragoza : Miguel de Guesa 1563. – Alcalá de Henares : Sebastián Martínez 1576. Cfr. Catálogo de la Biblioteca de Salvá. Tomo II, pp. 242-243, nro. 2178. – Cristóbal Pérez Pastor : La imprenta en Medina del Campo, p. 151, nro. 140. – Juan M. Sánchez : Bibliografía Aragonesa del siglo XVI. Tomo II. Madrid : Imprenta Clásica Española 1914, pp. 133-134, nro. 441. – Juan Catalina García : Ensayo de una tipografía complutense, pp. 159-160, nro. 514. 619   Floresta Española de Apothegmas, o Sentencias, sabia y graciosamente dichas, de algunos Españoles. Colegidas por Melchior de Sancta Cruz de Dueñas, vecino de la ciudad de Toledo. Dirigido al Excelentissimo señor don Iuan de Austria. Impresso con licencia de la C.R.M. en Toledo. En casa de Francisco de Guzman. Año de 1574. Está tassado en tres maravedis el pliego (successive edizioni : Zaragoza : Pedro Sánchez de Ezpeleta 1576. – Salamanca : Pedro Lasso 1576. – Alcalá de Henares 1576. – Bilbao 1578. – Coimbra 1579. – Valencia 1580. – Cuenca 1588. – Salamanca 1592. – Medina del Campo 1598. – Brucellas : Roger Velpius 1598. – Alcalá de Henares 1598. – Brucellas : Roger Velpius 1605). Cfr. Melchor de Santa Cruz : Floresta Española. Edición, prólogo y notas de María Pilar Cuartero y Maxime Chevalier, pp. LVII-LIX, pp. 489-497. 620   El Viage Entretenido de Agustin de Rojas, natural de la villa de Madrid. Con vna exposicion de los nombres Historicos y Poeticos, que no van declarados. A Don Martin Valero de Franqueza, Cauallero del habito de Santiago, y gentil hombre de la boca de su Magestad. Con Priuilegio de Castilla, y Aragon. En Madrid, En la Emprenta Real. M.DC.III. Vendese en casa de Francisco de Robles. 621   El Conde Lvcanor. Compuesto por el excelentissimo principe don Ioan Manuel, hijo del Infante don Manuel, y nieto del sancto rey don Fernando. Dirigido Por Gonçalo de Argote y de Molina, al muy Illustre señor Don Pedro Manuel Gentil hombre de la Cámara de su Magestad, y de su Consejo. Impresso en Seuilla, en casa de Hernando Diaz. Año de 1575. Con Privilegio Real. (Prima edizione a stampa.) Cfr. José Manuel Blecua : « Introducción » a : Don Juan Manuel : Obras Completas. Edición, prólogo y notas de J. M. B. II. Madrid : Gredos 1983, pp. 9-18 ; qui p. 12. 622   Las primeras dos elegantes y graciosas comedias del excelente poeta y representante Lope de Rueda. Sacadas á luz por Juan de Timoneda. Valencia, en casa de Joan Mey, á la plaça de la Yerba. Año 1567. – Las segundas dos comedias … (+ Los colloquios pastoriles. – Diálogo sobre la invencion de las calças que se usan agora). Impressas en Valencia en casa de Joan Mey á la plaça de la Yerba. Año 1567. Vendese en casa de Joan Timoneda. – El deleitoso. Valencia : Joan Mey 1567. – Registro de Representantes. Valencia 1570. Cfr. Cayetano Alberto de la Barrera y Leirado : Catálogo bibliográfico y biográfico del teatro antiguo español, pp. 346-348. – Lope de Rueda : Pasos completos. Prólogo de F. García Pavón. Madrid : Taurus 1979. – Miguel M. García-Bermejo Giner : Catálogo del teatro español del siglo XVI, pp. 157-160, p. 166. 623   Iardin De Flores curiosas, en que se tratan algunas materias de humanidad, philosophia, theologia, y geographia, con otras cosas curiosas, y apazibles. Compuesto por Antonio de Torquemada. Dirigido al Muy illustre y Reuerendissimo señor don Diego Sarmiento de Soto Mayor, Obispo de Astorga, etc. Va hecho en seys tratados, como parecera en la sexta pagina de esta obra. En Salamanca. En casa de Iuan Baptista de Terranoua. M.D.LXX. Con Privilegio. Está tassado en dos reales y medio (edizioni successive : Zaragoza : Viuda de Bartholomé de Nagera 1571. – Lérida : Pedro de Robles y Ioan de Villanueva 1573. – Anveres : Iuan Corderio 1575. – Salamanca : Alonso de Terranoua y Neyla 1577. – Medina del Campo : Francisco del Canto 1587. – Anvers : Nucio 1599. – Medina del Campo : Christoual Lasso Vaca 1599. A costa de Iuan Boyer mercader de libros). Cfr. Antonio de Torquemada : Jardín de flores curiosas. Edición, introducción y notas de Giovanni Allegra. Madrid : Castalia 1982, p. 81 (« Noticia Bibliográfica »).  





















































































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Damas y Galanes”, 624 “Novelas de Bocacio”, “contos de Trancozo”, 625 “Macarronia” di “Merlim Cocayo”. 626 Questi numerosissimi riferimenti a opere della letteratura documentano, soprattutto, le personali predilezioni letterarie di Thomé Pinheiro da Veiga e il suo gusto estetico e non possono essere considerati, automaticamente, come testimonianze rappresentative del gusto e delle letture del pubblico letterario della Valladolid degli anni in cui vi risiedette la Corte. Concrete e importanti informazioni sulla lettura e la circolazione di opere letterarie a Valladolid nei primi anni del Seicento, non mancano però del tutto nella Fastigimia. La cronaca di Thomé Pinheiro da Veiga contiene, infatti, alcuni cenni sui personaggi del Don Quijote, che costituiscono una preziosa testimonianza della popolarità dell’opera di Cervantes già a pochi mesi dalla sua pubblicazione 627 (l’autore della Pícara Justina, che la menziona e la definisce famosa, 628 la conosceva – o ne conosceva alcune parti o perlomeno il titolo – evidentemente ancor prima che fosse stampata), ed alcune notizie, non meno preziose, su rappresentazioni teatrali (in particolare sulla già ricordata prima rappresentazione della commedia di Lope de Vega El Caballero de Illescas). La Fastigimia documenta, inoltre, la popolarità della poesia di Don Diego de Silva y Mendoza, Conte di Salinas, e di Don Juan de Tassis y Peralta (il futuro, famoso Conte di Villamediana). Ecco cosa annota il 30 maggio 1605 Thomé Pinheiro da Veiga nella sua cronaca :  











[…] já quasi noite, vimos sahir da Igreja [de Sancti Spiritus] humas senhoras, que conhecia de vista, mulher e irmãa del Doctor Herrera, phizico del Rey, com huma filha muy linda e que canta em extremo bem, que chamam D. Maria de Herrera, e outras ; dissemos-lhe que faziam bem em sahir com as Estrellas, acodio huma : que antes como feas buscavam a capa da noyte e hiam lograr as luminarias. Replicamos que ao menos não pagariam pena de coche em as levar, pois nelle hiam tão bons olhos e rostros ; disse-me ella : « y como puede V. Md. ver y de noche no siendo de gato, sino ne 









624   Primera y Segvnda Parte del honesto y agradable entretenimiento de Damas y Galanes, Compvesto por Ivan Francisco Caruacho, Cauallero Napolitano. Tradvzido de lengua Toscana, en la nuestra vulgar, por Francisco Truchado vezino de la ciudad de Baeça. Con Privilegio. En Madrid, Por Luis Sanchez : Año M.D.XCVIII. A costa de Miguel Martinez mercader de libros (precedenti edizioni : 1578 ? –. Granada : René Rabut 1583). Cfr. Yolanda Clemente San Román : Tipobibliografía madrileña. La imprenta en Madrid en el siglo XVI (1566-1600). III. Kassel : Edition Reichenberger 1998, pp. 934-935, nro. 820. Originale italiano : Giovanfrancesco Straparola da Caravaggio : Le piacevoli notti. Vinegia : Orfeo dalla carta 1550-1551, 2 voll. Successive ed. : Venezia : Comin da Trino 1555. - 1557. - 1562. – Venezia : Domenico Giglio 1558. – Venezia : Francesco Lorenzini 1560 ; ecc. ecc. (dal 1562 al 1604 uscirono altre sedici edizioni). Cfr. Donato Pirovano : « Nota al testo ». In : Giovan Francesco Straparola : Le piacevoli notti. A cura di D. P. Tomo II. Roma : Editrice Salerno 2000, pp. 805-826 ; qui pp. 805-809. 625   Gonçalo Fernandes Trancoso : Primeira [- Segunda] Parte dos contos & historias de proveito & exemplo. Dirigido á rainha nossa senhora. Impresso em Lixboa, em casa de Antonio Gonçalves impressor. Con licença e authoridade dos illustrissimos & reverendissimos Senhores do conselho da sancta & geral Inquisiçam. Com Privilegio Real. Está taxado em 50 réis (ed. successive : Lisboa : Marcos Borges 1585. – Lisboa : Ioão Alvres 1589. – Primeira, Segvnda, e Terceira parte dos Contos & historias… Lisboa : Simão Lopez 1595). Cfr. António Joaquim Anselmo : Bibliografia das obras impressas em Portugal no século XVI. Lisboa : Biblioteca Nacional 1926, p. 202, nro. 705 ; p. 101, nro. 376 ; pp. 28-29, nro. 108 ; pp. 234-235, nro. 812. 626   [Teofilo Folengo :] Merlini Cocai poetae mantuani Liber macaronices : libri XVII non ante impressi (Colophon : Venetiis, in aedibus Alexandri Paganini. Inclito Loredano principe. Kal. Ianua. M.D.XVII). Successive edizioni : Tusculani 1521. – Venetiis, apud haeredes Petri Ravani et socios 1552. Cfr. Teofilo Folengo : Baldus. A cura di Emilio Faccioli. Testo a fronte. Torino : Einaudi 1989, p. XXXIX-XLI (« Nota biobibliografica »). 627   Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, pp. 119-120 (10. 6. 1605 : “D. Quixóte”, “Sancho Panço”, “Dulcenia del Tobozo”), p. 204 (28. 6. 1605 : “D. Quixote”). 628   “Soy la Reyn de Picardi, / mas que la Rud conoci, / Mas famo que doña Oli, / Que don Quixo y Lazari, / Que alfarche y Celesti...”. Cfr. Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « TERCERA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO De la Picara Romera. Capitulo 4. de la partida de Leon. Numero tercero, de los trajes de Montañeses y Coritos », p. 180 (« Sextillas vnisonas de nombres y verbos cortados »).  



























































































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gros los mios ? » Respondi : « que las estrellas mejor se ven de noche que de dia, y mas que la luna de enbidia del sol nos viene seguiendo ; que hiziera si vyera cantar a V. Md. ? » ; emfim, viemos, sobre preço, que cantaria, se lhe dessemos hum pucaro de agua de Portugal. Fomos ao Prado, onde cantou em extremo bem hum soneto do Conde de Salinas, que despois lhe fizemos repetir, e lhe pedi me fizesse mercê dar-mo escrito, e ella o prometeo : ao outro dia lh’o mandamos pedir com hum escrito, e hum soneto que fizemos de mão comum [...]. 629    







   







In effetti, la promessa viene mantenuta e D. Maria de Herrera invia al Cavaliere di Cristo sia il testo del sonetto del Conte di Salinas da lei cantato – si tratta del sonetto Nunca ofendí la fe con la esperanza 630 –, sia il testo di un sonetto di Don Juan de Tassis (El que fuere dichoso será amado 631), testi, all’epoca, ancora inediti ! Di una importanza documentale ancor maggiore, almeno per i nostri fini, sono, infine, le pagine, egualmente inedite, di Quevedo riprodotte nella Fastigimia. Si tratta della traduzione, con qualche omissione, interpolazione e variante, delle Indulgencias concedidas a los devotos de monjas 632 e di un frammento delle Premáticas y aranceles generales – scritte prima del 1603 633 e rifuse ( ?) nella Premática del tiempo 634 –, due testi quevediani che circolavano sicuramente a Valladolid in copie manoscritte. Ma la presenza di Quevedo nella Fastigimia non si limita alle « Indulgencias e previlegios concedidos pelo amor aos devotos das freyras » 635 – così Thomé Pinheiro da Veiga ‘intitola’ la sua libera  

















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  Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, pp. 84-85.   Thomé Pinheiro da Veiga (Fastigimia, p. 86) trascrive il testo di questo sonetto, che Luis Rosales definisce “bellísimo” e riproduce, con qualche variante, nella sua edizione. Cfr. Luis Rosales : Obras completas. Volumen 5 : La obra poética del conde de Salinas. Edición de Antonia María Ortiz Ballesteros. Madrid : Editorial Trotta 1998, pp. 117-327 ; qui pp. 159-160, nro. 24. Thomé Pinheiro da Veiga cita, nella « Dedicatoria » (Fastigimia, p. 10), altri due versi di Don Diego de Silva, tratti dal sonetto, anch’esso allora inedito, Ya rendido Leandro agua bebía (L. Rosales : Obras completas. Volumen 5 : La obra poética del conde de Salinas, pp. 178-179). 631   Thomé Pinheiro da Veiga (Fastigimia, p. 86) trascrive il testo di questo sonetto che è riprodotto, con diverse varianti, in : Conde de Villamediana : Poesía impresa completa. Edición de José Francisco Ruiz Casanova, p. 269, nro. 193*. 632   Memorial que dio don Francisco de Quevedo Villegas en una Academia, pidiendo una plaza en ella. Y las indulgencias concedidas a los devotos de monjas, que le mandaron escribir interín que vacaban mayores cargos. In : Francisco de Quevedo : Obras festivas. Edición de Pablo Jauralde Pou. Madrid : Castalia 1984, pp. 101-105. Sulla paternità del Memorial, scritto – come prova la Fastigimia – intorno al 1602/1603 durante il soggiorno di Quevedo a Valladolid, cfr. Pablo Jauralde Pou : Introducción a : Obras festivas, pp. 7-48 ; qui pp. 35-36. – Antonio Azaustre Galiana : « Autoría y fecha ». In : Memorial ... y Indulgencias ... Ed. de A. A. G. (= Francisco de Quevedo : Obras completas en prosa. Volumen segundo. Tomo primero. Dirección de Alfonso Rey. Madrid : Editorial Castalia 2007, pp. 147-178 ; qui pp. 149-152). Thomé Pinheiro da Veiga attribuisce stranamente le Indulgencias a Frei Bernardo de Brito (Fastigimia, pp. 273-274). 633   Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, p. 20 : “[…] topamos huma quadrilha de genovezes com dez tochas negras, e eram os amos, e os que se açoutavam eram dous caixeiros seus, que o deviam merecer, por tão bons ladrões como seus amos, se he verdadeira a praga do outro travesso que, em humas pragmaticas que fez sobre o bom governo da Corte, dizia huma dellas : Ordenamos, e mandamos, que todo o que for achado de noite com escada de corda, gazua, ou genovez, como instrumentos prejudiciaes á moeda e patacas de Hespanha, seja açoutado, por que he gravemente suspeito aos Reales Castelhanos etc.”. Cfr. Quevedo : Premáticas y aranceles generales : “Mandamos que puedan cualesquier de nuestras justicias prender a cualesquier personas que toparen de noche con garabato, escala, ganzúa o ginovés por ser armas contra las haciendas guardadas” (F. de Q. : Obras completas. Edición de Felicidad Buendía. Obras en prosa. Madrid : Aguilar 1979, pp. 75-81 ; qui p. 81). 634   Premática del tiempo. In : Francisco de Quevedo : Obras completas. Edición de Felicidad Buendía. Obras en prosa, pp. 112-119 ; qui p. 116. Cfr. ora : Premática del tiempo. Edición de Antonio Azaustra Galiana. In : Francisco de Quevedo : Obras completas en prosa. Volumen segundo. Tomo primero. Dirección de Alfonso Rey. Madrid : Editorial Castalia 2007, pp. 65-107 ; qui p. 95 (“Ítem, mandamos a cualesquier justicias que prendan a todas y cualesquier personas que toparen de día o de noche con garabato, escala, ganzúas o ginovés, por ser armas contra las haciendas guardadas.”). Sul difficile problema del rapporto, poco chiaro, di filiazione testuale fra le Premáticas y aranceles generales e la Premática del tiempo, cfr. l’introduzione di Antonio Azaustra Galiana alla sua edizione della Premática del tiempo (pp. 69-79). 635   Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, pp. 273-274.  

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versione delle Indulgencias concedidas a los devotos de monjas – e al frammento tratto dalle Premáticas y aranceles generales, o dalla Premática del tiempo. Tutte le pagine della cronaca dedicate ai ‘devoti’ delle monache 636 ricordano il famoso capitolo del Buscón nel quale Don Pablos si trasforma in “galán de monjas” e potrebbero costituire un ulteriore indizio per fissare la stesura del romanzo intorno al 1602/1603. È più che probabile che Thomé Pinheiro da Veiga conoscesse Quevedo, che negli anni 1601/1602-1605 abitò e studiò a Valladolid. 637 Lo fa pensare la confidenziale definizione del giovane scrittore come “travesso”. 638 Forse un’altra allusione a Quevedo è contenuta in queste righe già ricordate : “como dizia hum travesso – librés e damas não têm mais que as primeyras mostras, logo perdem o lustre e mostram o fio”. 639 Anche il ritratto caricaturale del Licenciado Francisco Gomes Cavallos, tratteggiato nella Fastigimia alla data del 26 luglio 1605, sembra raffigurare, come ha supposto Marcel Bataillon, 640 Quevedo. Ma di questo ritratto ci occuperemo piú avanti.  











Di informazioni sulla lettura e la circolazione di opere letterarie (in particolare manoscritte) nell’ambiente di Salamanca negli anni 1604-1606, 641 è ricchissimo il diario di Girolamo da Sommaia, che offre anche una miniera di dati preziosissimi per la storia delle rappresentazioni teatrali allestite nella città. 642 Salamanca non è, ovviamente, Valladolid. Data l’intensa osmosi culturale fra la città universitaria e la città sul Pisuerga, i dati offerti dal diario del patrizio fiorentino possono però essere considerati rappresentativi, in gran parte almeno, anche per la Corte. Molti studenti dell’Università di Salamanca (ed anche molti dell’Università di Alcalà de Henares) appartenevano al mondo della Corte e la stessa città era considerata come una specie di Corte ‘parallela’. 643 Nobili  





636   Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, pp. 268-295. Sulla tradizione letteraria del corteggiatore di monache, cfr. Jesús Gómez : La tradición literaria del galán de monjas. In : Edad de Oro 9 (1990), 81-91. 637   Cfr. P. Jauralde Pou : Francisco de Quevedo (1580-1645), pp. 123-125. 638   Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, p. 20. 639   Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, p. 213. 640   M. Bataillon : Pícaros y picaresca, p. 30 (“El « matraquista semiastrólogo » que López de Ubeda enfrenta con Justina nos recuerda al « Licenciado Francisco Goméz de Zeballos », pintado, en 1605, con mayor indulgencia, por la Fastiginia de Pinheiro de Veiga, como notorio burlador y pseudo astrólogo. Se trata, con seguridad casi plena, de una caricatura del Licenciado Francisco Gómez de Quevedo, estudiante cojo y barbirojo. El joven Quevedo escandalizaba en aquel entonces la ciudad de Valladolid con su vida y su poesía rufianescas”). 641   Sulla distribuzione del libro a Salamanca nel XVI secolo offre molti dati, ottenuti attraverso l’analisi degli inventari dei fondi delle librerie della città, Vicente Bécares Botas : Librerías salmantinas del siglo XVI (= Colección Beltenebros, 15). Caja Segovia. Obra Social y Cultural – Instituto Castellano y Leonés de la Lengua 2007. Di particolare interesse sono per noi i dati sulla diffusione della letteratura d’intrattenimento contenuti nel sottocapitolo « Narrativa de ficción y pliegos de cordel, cancioneros, comedias... » (pp. 48-51). Il genere letterario di gran lunga piú rappresentato è quello dei libros de caballería. Forte è anche la presenza di ‘commedie’ (Celestina, Comedia Florinea, Comedia Selvagia, Propalladia, Tercera Celestina, Tragedia Polixena), di romanzeros e di cancioneros. Nell’elenco figurano, fra altre opere, anche : Lazarillo, Calila y Dimna, Entretenimiento de damas (G. F. Straparola), Floresta española, Patrañuelo, [Historia de la] Doncella Teodor, Historia de Teágenes y Clariclea, [Historia del] Abad don Juan [de Montemayor] ( Juan de Flores). 642   Il patrizio fiorentino, assiduo frequentatore delle rappresentazioni teatrali, registra il titolo di 188 ‘commedie’, messe in scena a Salamanca dal settembre del 1603 al gennaio del 1607 da nove diverse compagnie teatrali. Oltre il titolo delle ‘commedie’, Girolamo da Sommaia annota il giorno, il mese e l’anno della loro rappresentazione e il nome dei capocomici delle compagnie. Cfr. George Haley : « Introducción » a : Diario de un estudiante de Salamanca. La crónica inédita de Girolamo da Sommaia (1603-1607), pp. 9-96 ; qui pp. 46-47. 643   Juan de Arce de Otálora scriveva nei suoi Coloquios de Palatino y Pinciano : “PALATINO : […] fuera de la persona real, hay tanta corte en Salamanca como donde anda el rey, pues hay muchos ilustres y generosos hijos de señores y grandes del reino que residen allí la mejor parte de su vida. Y sin ellos, otros muchos caballeros y hijosdalgo, naturales y estranjeros, que tienen y mantienen toda la policía y buena conversación del mundo, así en letras como en armas y buenas costumbres. Y de allí, como de fuente, se deriva lo bueno que hay en corte, pues cuantos obispos y arzobispos y cardenales y oidores y presidentes hay en ella salieron de Salamanca y pa 











































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di grandi casate che frequentarono l’Università di Salamanca negli anni nei quali vi fu iscritto Girolamo da Sommaia e che sovente si recavano a Corte, furono, per esempio, Don Gaspar de Guzmán (il futuro, famoso Conte-Duca di Olivares), Don Fernando de Córdoba, Don Francisco Pimentel – questi tre nobili furono eletti Rettori dell’Ateneo salmantino, rispettivamente, negli anni 1603, 1604 e 1605 –, Don Francisco de Mendoza, Don Pedro Pimentel (Don Francisco Pimentel e Don Pedro Pimentel erano figli del Conte di Benavente), il figlio del Duca di Alburquerque, il Conte di Peñaranda e il Conte Sforza. Innumerevoli erano fra gli studenti i cavalieri, membri della media nobiltà. Membri dell’alta aristocrazia – come Don Alonso Diego López de Zúñiga y Sotomayor, VI (VII) Duca di Béjar, i Conti di Haro o Don Pedro de Zúñiga y de la Cueva (futuro ambasciatore di Filippo III in Inghilterra, che lo creerà nel 1612 Marchese di Flores Dávila) – lasciavano di tanto in tanto la Corte e si recavano a Salamanca per soggiornarvi per qualche tempo. 644 Lo stesso Girolamo da Sommaia, che frequentava molti di questi nobili (annota, per esempio : “Accompagnai a Don Gaspar [de Guzmán] nuouo Rettore, et fù bello accompagnamento senza essere di obbligatione” 645), intratteneva stretti rapporti con persone residenti a Valladolid, dove occasionalmente si recava. Il patrizio fiorentino e molti dei suoi amici e conoscenti si dilettavano di letteratura, soprattutto contemporanea. Leggevano le novità letterarie – come il Romancero general, la Pícara Justina, la Segvnda parte de la vida del picaro Guzman de Alfarache, Las Comedias di Lope de Vega, i Conceptos Espirituales di Alonso de Ledesma e il Don Quijote di Cervantes – appena uscivano dai torchi tipografici e si scambiavano le copie manoscritte di testi inediti di autori come D. Diego Hurtado de Mendoza, Fray Luis de León, Góngora e Quevedo. Girolamo da Sommaia compra il 17 maggio 1604, da Miguel Blasco, le “Comedias de Lope de Vega” e i “Concetos de Ledesma” 646 (nei primi mesi del 1604 erano apparse, a Valladolid, Madrid, Valencia e Zaragoza – l’approvazione e le licenze di stampa di  







saron allí sus años ciertos. Y así saldrán siempre, hasta que el mundo se acabe. Y aun muchos de los principales y famosos soldados y capitanes de Italia fueron primero pupilos y escolares que soldados ni capitanes. Fuera déstos, entremos por letrados, doctores y maestros, frailes y predicadores, y decidme : ¿dónde hay tantas ni tales personas eclesiásticas ? Racioneros y canónigos, abades y dignidades hay más y más ricos que en otra parte. Mancebos y hijosdalgo, pobres y ricos, y cristianos viejos y nuevos, de buenas gracias y donaires, cuerdos, y locos, nescios y bobos, abundosamente. Mujeres honradas y de palacio, como arenas en la mar. ¿Qué más corte queréis ?” (I, pp. 440-441). Più avanti Palatino noterà que Salamanca “tiene docientos mayoradgos y personas de lustre, y pone en campo y en plaza un día de regocijo cuatrocientos de a caballo, muy lucidos y bien enjaezados” (II, pp. 618-619). Negli anni in cui vi soggiornava Girolamo da Sommaia, Gil González Dávila scriveva su Salamanca : “FVE siempre Salamanca vna de las mas nobles Ciudades de España, de vezindad de mas de cinco mil vezinos, con tres casas de Señores titulados : Condes de Fuentes, Condes de Monte Rey, y Marqueses de la Piouera, y mas de ciento de Caualleros mayorazgos, quales son Rodriguez, Zuñigas, Palomeques, Cabeça de Vaca, Maldonados, Añayas, Henriquez, Fonsecas, Azeuedos, Oualles, Nietos, Pazes, Solises, Suarez, Mexias, Arias, Abarcas, Pimenteles, Tejedas, Pereiras, Brocheros, Arauços, Coronados, Sotomayores, Sossas, Vandas, Figueroas, Cornejos, Flores, Frias, Godinez, Bonales, Ordoñez, Osorios, Manriques, Santiesteuan, Villenas, Castillos, Monroyes, Herreras, y Guzmanes. Nobilissimas familias, como lo fueron otras muchas antiguas en esta Ciudad, las memorias de las quales ya acabaron. Todas estas familias han tenido grandes y señalados varones...”. Cfr. Historia de las Antigvedades de la Civdad de Salamanca : Vidas de svs Obispos y cosas sucedidas en su tiempo. Dirigida al Rey N. S. don Felipe III. Por Gil Gonçalez de Avila, Diacono y Racionero en la S. Iglesia de Salamanca. En Salamanca, En la Imprenta de Artvs Taberniel. M.DC.VI. (ed. facs. Salamanca : Ediciones Diputación de Salamanca – Ediciones Universidad de Salamanca 1994), pp. 34-35. 644   Diario de un estudiante de Salamanca. La crónica inédita de Girolamo da Sommaia (1603-1607), p. 174, p. 182, p. 189, p. 240, p. 241, p. 261, p. 337, p. 424, p. 425, p. 503, p. 513. 645   Diario de un estudiante de Salamanca. La crónica inédita de Girolamo da Sommaia (1603-1607), p. 261. 646   Diario de un estudiante de Salamanca. La crónica inédita de Girolamo da Sommaia (1603-1607), p. 186 (v. anche p. 125 : “[9. VI. 1604] A Miguel Velasco Reali otto per la seconda parte del Piquero, et per i concetti di Ledesma”, e p. 283 : “[17. V. 1604] A Gomez [del Rio] … la seconda parte del Piquero, et Conceti di Ledesma”).  

















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questa edizione furono concesse fra il 15 ottobre e il 12 novembre 1603 –, la prima parte de Las Comedias del famoso poeta Lope de Vega Carpio, recopiladas por Bernardo Grassa 647 e, a Madrid, la quarta edizione, accresciuta, della prima parte dei Conceptos Espirituales di Alonso de Ledesma, stampata da Juan Flamenco nella Imprenta Real, a spese di Pedro de la Torre 648). Il 17 maggio 1604 Girolamo da Sommaia aveva comprato, sempre da Miguel Blasco, anche la “Seconda Parte del Piquero”, ma non si tratta, come crede George Haley, 649 della continuazione di Mateo Alemán, che uscì nel dicembre del 1604, 650 bensí della continuazione apocrifa di Juan Martí (Segvnda parte de la vida del picaro Guzman de Alfarache. Valencia 1602). Il 7 luglio 1604 Girolamo da Sommaia acquista da Juan Comán la prima edizione (Madrid : Luis Sánchez 1600), o una sua ristampa (En Medina del Campo, por Iuan Godinez de Millis, A costa de Pedro Ossete y Antonio Cuello libreros de Valladolid. Año 1602), del Romancero General 651 (nel 1604 era apparsa anche la seconda edizione, accresciuta di quattro parti, del Romancero general – Madrid : Iuan de la Cuesta 1604 –, ma le date delle « Erratas » – 25 agosto 1604 –, della « Tasa » – 11 settembre  





















647   Cfr. Cayetano Alberto de la Barrera y Leirado : Catálogo bibliográfico y biográfico del teatro antiguo español, p. 437. – Cristóbal Pérez Pastor : Bibliografía Madrileña. Tomos II : 1601-1620, p. 80, nro. 896. – Mariano Alcocer y Martínez : Catálogo razonado de obras impresas en Valladolid, 1481-1800, p. 204, nro. 482. – Manuel Jiménez Catalán : Ensayo de una tipografía zaragozana del siglo XVII. Zaragoza : Tipografía « La Académica » 1927, p. 83, nro. 31. 648   Cfr. Cristóbal Pérez Pastor : Bibliografía Madrileña. Tomos II : 1601-1620, pp. 59-60, nro. 872. 649   Cfr. George Haley : « Introducción » a : Diario de un estudiante de Salamanca. La crónica inédita de Girolamo da Sommaia (1603-1607), p. 61. 650   L’esame dell’opera, eseguito da Frei Antonio Freire “por Mandado do supremo Conselho da Sancta Inquisição”, è datato “Lisboa, a sete de Septembro de 1604”. L’imprimatur firmato da Marces Teixeira e Ruy Pirez da Veyga reca la data “Em Lisboa a nove de Septembro de 1604”. Il « Privilegio » fu firmato in nome del Re da Sebastião Pireira “em Lisboa a quatro de Dezembro de mil seiscentos, & quatro”. Quando il « Privilegio » fu richiesto, l’opera, – a parte i fogli preliminari con l’approvazione, la licenza di stampa e il privilegio – era già stata stampata : “EV el Rey faço saber aos que este aluara virem, que Mateo Alemão ora estante nesta Cidade, me enviou dizer por sua petiçao, que elle compos a segunda parte do liuro intitulado Guzmão de Alfarache Atalaya da vida umana. O qual imprimio nesta Cidade com licença do Sancto Officio. E me pedia lhe fizesse merce concederlhe Privilegio para por tempo de dez annos…”. Cfr. SEGVNDA | PARTE DE LA VI- | DA DE GVZMAN DE | Alfarache, Atalaya de la | vida umana. | POR MATEO ALEMAN | Su verdadero Autor. | DIRIGIDA A DON IVAN DE | Mendoça Marquez de San German, Comenda- | dor del Campo de Montiel, Gentilombre de la Ca | mara de el Rey nuestro señor, Teniente Ge- | neral de las Guardas i Cavalleria de Es- | paña, Capitan General de los | Reynos de Por- | tugal. | EN LISBOA. | Impresso con licencia de la Sancta Inquisi- | cion, Por Pedro Crasbeeck. | Año de 1604 (Madrid, Biblioteca Nacional : R 15733), fo. 2r-v. L’unica “Seconda Parte del Piquero” in commercio nel maggio del 1604 era quella apocrifa : “Compuesta por Matheo Luxan de Sayauedra, natural vezino de Seuilla” (Mateo Luján de Sayavedra è lo pseudonimo di Juan Martí). Di questa Segvnda parte de la vida del picaro Guzman de Alfarache esistevano, fra il 1602 e i primi mesi del 1604, la prima edizione (Impressa en Valencia, por Pedro Patricio Mey, junto a S. Martin. MDCII. A costa de Francisco Miguel mercader de libros a la calle de Caualleros) e numerose ristampe (Impressa en Barcelona en casa de Ioan Amello Año. MDCII. A costa de Antich Ribera librero. – Impressa en Barcelona en casa de Ioan Amello Año. MDCII. A Costa de Ioan Simon librero. – En Çaragoça, por Angelo Tauanno, 1603. – Impresso en Barcelona, en casa Sebastian de Cormellas al Call M.DCIII. A costa de Geronimo Aleu Mercader de Libros. – En Tarragona, en casa de Felipe Roberto. 1603. A costa de Hieronymo Martin, Mercader de libros.– Em Lisboa MDCIII. Impresso con Licenssa por Iorge Rodriguez. – En Salamanca, por Andres Renaut. 1603. – En Madrid, En la Imprenta Real [Juan Flamenco]. M.DC.III. Vendese en casa de Francisco Lopez librero. – En Brvcellas, Por Roger Velpius, en el Aguila de oro, çerca del Palacio. Año 1604. Con Licencia [il Privilegio concesso a Roger Velpius è datato “Bruçelas en 15. de enero 1604”]). Cfr. R. Foulché-Delbosc : Bibliographie de Mateo Alemán, 1598-1615. In : Revue Hispanique 42 (1918), 481-536 ; qui pp. 504-525. Esisteva inoltre anche una ristampa che presentava la continuazione apocrifa di Juan Martí come opera di Mateo Alemán : DELA VIDA | DEL PICARO | GVZMAN DE ALFARACHE. | SEGVNDA PARTE. | Compuesta por Matheo Aleman criado del | Rey Don Felipe III. nuestro Señor, y | natural vezino de Seuilla. | CON PRIVILEGIO. | [Marca tipografica] | Con licencia de Superiores. | [Linea tipografica] | Impresso en Milan por Ieronimo Bordon, y Pedromartir Locarno. Año 1603. (Wien, Österreichische Nationalbibliothek : 38.J.35.) 651   “Presi il Romançero da Comman”. Pagherà il libro l’8 novembre 1604 (“A Comman Librero per il Romanzero Reali 8”). Cfr. Diario de un estudiante de Salamanca. La crónica inédita de Girolamo da Sommaia (1603-1607), p. 204, p. 130, p. 239.  



















































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1604 – e della prefazione – 30 settembre 1604 –, firmata da Francisco López, dimostrano che questa edizione non può essere quella aquistata dal patrizio fiorentino). 652 Girolamo da Sommaia legge le “Comedie di Lope”, le fa rilegare, le impresta a numerosi amici e conoscenti. 653 Anche il Romancero general, 654 la “Seconda Parte del Piquero” 655 e i Conceptos Espirituales, 656 il patrizio fiorentino li impresta ad amici e conoscenti. Ecco alcune annotazioni che documentano l’intenso scambio di libri e manoscritti fra Girolamo da Sommaia e i suoi amici e conoscenti :  











1604. A di 15 di maggio Comprai da Mercadillo las fiestas de Carnestolendas per tre Reali. 657 1604. A di 20 di Giugno A Don Antonio de Figueroa las Fiestas de Carnestolendas. 658 1605. A di 14 di Agosto A Don Iuan de Contreras prestai 5 Libri : Epitecto, Galateo Español, Refranes, 659 Romancero, Fiestas de Carnestolendas. 660 1605. A di 11 di Ottobre Dal Signor Don Iuan de Contreras los Refranes, y las fiestas de Carnestolendas. Gli resta il Romancero, el Epicteto, y el Galateo. 661 1605. A di 21 di Nouembre Da Don Iuan de Contreras i 3 Libri che teneua. Da Hernesto il Libro di Scritture. 662 1606. A di 7 di Marzo Dal Rationero Gil Gonzalez 3 scritture. Restangli due. Di Sancio Hurtado sono : La tierra de Vasco Memorial de Canonici di Roncesualles Carta mia sopra la del Tostado. Oratione di Colonna a Paolo V. Libro de Carnestolendas. Dal detto Rationero in presto Trattato in Italiano del modo di far l’imprese. 663  

















652   Cfr. Ángel González Palencia : « Prólogo » a : Romancero General (1600, 1604, 1605), pp. VIII-X. – Cristóbal Pérez Pastor : Bibliografía Madrileña. Tomos II : 1601-1620, pp. 75-78, nro. 891. – Cristóbal Pérez Pastor : La imprenta en Medina del Campo, pp. 325-326, nro. 253. 653   Diario de un estudiante de Salamanca. La crónica inédita de Girolamo da Sommaia (1603-1607), p. 203 (1° e 3 luglio 1604), p. 125 (v. anche p. 189, p. 191), p. 160, p. 148, p. 204, p. 211, p. 214, p. 233, pp. 309-310, p. 315, p. 319, p. 329, p. 347, p. 356, p. 365, p. 455, p. 464, p. 495, p. 528. 654   Diario de un estudiante de Salamanca. La crónica inédita de Girolamo da Sommaia (1603-1607), p. 389, p. 411, p. 507, p. 570. 655   Diario de un estudiante de Salamanca. La crónica inédita de Girolamo da Sommaia (1603-1607), p. 283. 656   Diario de un estudiante de Salamanca. La crónica inédita de Girolamo da Sommaia (1603-1607), p. 283. 657   Diario de un estudiante de Salamanca. La crónica inédita de Girolamo da Sommaia (1603-1607), p. 186. 658   Diario de un estudiante de Salamanca. La crónica inédita de Girolamo da Sommaia (1603-1607), p. 199. 659   Si tratta, quasi certamente, della – allora – recentissima edizione vallisoletana della conosciuta paremiografia di Hernán Núñez de Toledo y Guzmán (conosciuto come El Comendador Griego, essendo Commendatore dell’Ordine di Santiago e Cattedratico di Greco dell’Università di Salamanca) : Refranes o proverbios en romance que nueuamente coligio y gloso el Comendador Hernan Nuñez de Guzman. Con licencia. En Valladolid por Luis Sanchez. Año 1602. Vendelos Geronimo Martinez a la puerta de San Francisco (precedenti edizioni : Salamanca : Juan de Canoua 1555. – Salamanca : Antonio de Lorenzana 1578). È del tutto improbabile che il libro imprestato da Girolamo da Sommaia a Don Juan de Contreras sia da identificarsi con i Refranes o proverbios traduzidos en lengua francesa (Paris : Marc Orry 1605) di César Oudin. 660   Diario de un estudiante de Salamanca. La crónica inédita de Girolamo da Sommaia (1603-1607), p. 389. 661   Diario de un estudiante de Salamanca. La crónica inédita de Girolamo da Sommaia (1603-1607), p. 411. 662   Diario de un estudiante de Salamanca. La crónica inédita de Girolamo da Sommaia (1603-1607), p. 429. 663   Diario de un estudiante de Salamanca. La crónica inédita de Girolamo da Sommaia (1603-1607) ; p. 476, p. 520 “[6.VII.1606] Al Rationero Gil Gonzalez resi il suo trattato dell’Imprese”. Numerosissime sono le opere  

























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1606. A di 12 di Marzo Dal Licenciado Madrigal la Historia de las tres Ordenes. 664 Al detto un Libro negro di molte scritture curiose. Dal Carmona una relatione dell’armata de Indias. Al Romano la Relatione della flotta. 665 1606. A di 13 di Marzo Al Licenciado Madrigal il Libro di Villalobos. 666 1606. A di 15 de Marzo A Don Iuan del Riego una memoria sopra la Condesa de Villalonga. Dal Rationero Gil Gonzalez il Libro de Carnestolendas. Al detto la Istoria della Florida. 667 1606. A di 20 di Marzo Dal Romano il Libro del Bembo. 668 Fui a casa Don Sebastiano [de Salazar] e gli detti la Gazzetta. Da Don Sebastiano la Gazzetta et la prestai a Gil Gonzalez con il Billette all’Inglese. Da Gil Gonzalez la Gazzetta et la scrittura contra Baronio. Al detto il libro del Contestabile. A Don Sebastiano 7 scartafacci di Poesie di Fra Luys de Leon. 669 1606. A di 27 di Marzo Resi al detto [Licenciado Sancio] Hurtado 8 scritture et mi resta in mano le appresso sue : De Canonici di Roncesualle un memoriale. La tierra de Vascos comincia un altro papel.  













italiane sulle ‘imprese’. Ricordiamo, per esempio, quelle di Scipione Ammirato (Il Rota, overo dell’imprese. Napoli : Giov. Maria Scotto 1562. – Firenze : F. Giunti 1598), di Scipione Bargagli (Dell’Imprese. Venezia : Francesco de’ Franceschi 1594), di Simon Biralli (Dell’imprese. Venezia : Giov. Battista Ciotti 1600) e di Torquato Tasso (Dialogo dell’imprese. Napoli : Stigliola 1594). Le uniche due opere il cui titolo è molto simile a quello annotato da Girolamo da Sommaia sono però queste : Francesco Caburacci : Trattato [...]. Dove si dimostra il vero, & novo modo di fare le imprese. Bologna : Giovanni Rossi 1580. – Giulio Cesare Capaccio : Delle imprese, trattato [...]. In tre libri diviso. Nel primo, del modo di far l’impresa [...]. Nel secondo, tutti Ieroglifici, Simboli, e cose mistiche [...]. Nel terzo, nel figurar degli Emblemi di molte cose naturali per l’Imprese si tratta. Napoli : Giovanni Giacomo Carlino & Antonio Pace 1592. 664   Chronica de las tres Ordenes y Cauallerias de Sanctiago, Calatraua y Alcantara : en la qual se trata de su origen y successo, y notables hechos en armas de los Maestres y Caualleros de ellas : y de muchos Señores de Titulo y otros Nobles que descienden de los Maestres : y de muchos otros Linages de España. Compuesta por el Licenciado Frey Francisco de Rades y Andrada, Capellan de su Magestad, de la orden de Calatraua. Dirigida á la C. R. M. del Rey Don Philippe nuestro señor, Administrador perpetuo destas Ordenes. Impressa con licencia en Toledo, en casa de Iuan de Ayala. Año. 1572. Abbiamo potuto identificare l’opera – almeno lo speriamo – perché è stata la fonte utilizzata da Lope de Vega per Fuenteovejuna. 665   Diario de un estudiante de Salamanca. La crónica inédita de Girolamo da Sommaia (1603-1607), pp. 478479. 666   Diario de un estudiante de Salamanca. La crónica inédita de Girolamo da Sommaia (1603-1607), p. 479. 667   Diario de un estudiante de Salamanca. La crónica inédita de Girolamo da Sommaia (1603-1607), p. 481. La Istoria della Florida è da identificarsi con la seguente opera : La Florida del Ynca. Historia del Adelantado Hernando de Soto, Gouernador y capitan general del Reyno de la Florida, y de otros heroicos caualleros Españoles è Indios ; escrita por el Ynca Garcilasso de la Vega, capitan de su Magestad, natural de la gran ciudad del Cozco, cabeça de los Reynos y prouincias del Peru. Dirigida al serenissimo Principe, Duque de Braganza,&c. Con licencia de la santa Inquisicion. En Lisbona. Impresso por Pedro Crasbeeck. Año 1605. Con priuilegio Real (Edición facsímil con introducción y notas de Sylvia-Lyn Hilton. Madrid : Fundación Universitaria Española 1982). 668   Piú avanti : “le prose del Bembo”. Si tratta quindi di questa opera : Delle Prose di M. Pietro Bembo nelle quali si ragiona della volgar lingua scritte al cardinale de’ Medici che poi è stato creato sommo pontefice et detto Papa Clemente settimo, divise in tre libri. Venezia : Tacuino 1525 (Venezia : Marcolini 1538. – Firenze : Torrentino 1549). 669   Diario de un estudiante de Salamanca. La crónica inédita de Girolamo da Sommaia (1603-1607), p. 482.  









































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Memorial del Almiranta. Desempeño del Rey. 670 1606. A di 29 di Marzo A Don Iuan del Riego detti una memoria sopra Doña Gabriella [Condesa de Villalonga]. 671 1606. A di 8 [di Aprile] Dal detto [Dottor] Pareja una Commedia dell’Aretino et i Discorsi, et Arte militare del Machiauello. 672 1606. A di 13 d’Aprile All’Androsilla resi la Gazzetta Spagnuola. Il Romano fù a mi casa, et gli prestai le prose del Bembo. Da Don Iuan del Riego una memorita circa de parenti di Doña Gabriella Condessa de Villalonga. A Don Luys Cid prestai la gazzetta et me la rese. 673 1606. A di 15 di Aprile Don Ambrosio fù a mi casa, et gli prestai la Gazzetta Spagnuola. Al Rationero Gil Gonzalez prestai la Italiana et resi certe nuoue d’Inghilterra che per errore restorno del suo libro. Da Don Francisco Guajardo certe poesie di Don Luys de Gongora. 1606. Al di 16 [di Aprile] Fui a casa Don Iuan Emanuel, Salas, et Don Sebastiano a chi detti le poesie di Don Luys de Gongora. 674 1606. A di 25 [di Luglio] A Fray Rodrigo Saraus de Carnestolendas. 675 1606. A di 27 di Luglio A Fray Rodrigo le Comedie di Lope. 676 1606. A di 4 di Agosto Da Fray Rodrigo le Comedie di Lope, et Saraos de Carnestolendas. 677  















Riteniamo che il libro comprato il 15 maggio 1604 da Girolamo da Sommaia e da lui chiamato ora Fiestas de Carnestolendas, ora Libro de Carnestolendas, ora Saraos de Carnestolendas, possa essere identificato come la princeps dell’opera di Gaspar Lucas Hidalgo, conosciuta con il titolo di Diálogos de apacible entretenimiento, que contiene vnas Carnestolendas de Castilla. Le più antiche edizioni conosciute dei Diálogos sono sí le due edizioni approntate nel 1605 a Barcellona nella officina di Sebastián de Cormellas, 678 ma la « Aprouacion », firmata “El Secretario,Thomas Gracian Dantisco” – lo stesso che scrive in quegli anni la « Aprovacion » della Pícara Justina, del Viaje entretenido (Madrid : Imprenta Real 1603) di Agustín de Rojas Villandrando, della Eloqvencia Española en Arte (Toledo : Thomas de Guzmán 1604) di Bartolomé Jiménez Patón, della antologia Flores de poetas ilustres de España (Valladolid : Luis Sánchez 1605) di Pedro Espinosa e della Historia de las Antigvedades de la Civdad de Salamanca (Salamanca : Artvs Taberniel 1606) di  

















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  Diario de un estudiante de Salamanca. La crónica inédita de Girolamo da Sommaia (1603-1607), p. 485.   Diario de un estudiante de Salamanca. La crónica inédita de Girolamo da Sommaia (1603-1607), p. 486. 672   Diario de un estudiante de Salamanca. La crónica inédita de Girolamo da Sommaia (1603-1607), p. 489. 673   Diario de un estudiante de Salamanca. La crónica inédita de Girolamo da Sommaia (1603-1607), p. 490. 674   Diario de un estudiante de Salamanca. La crónica inédita de Girolamo da Sommaia (1603-1607), p. 491. 675   Diario de un estudiante de Salamanca. La crónica inédita de Girolamo da Sommaia (1603-1607), p. 526. 676   Diario de un estudiante de Salamanca. La crónica inédita de Girolamo da Sommaia (1603-1607), p. 526. 677   Diario de un estudiante de Salamanca. La crónica inédita de Girolamo da Sommaia (1603-1607), p. 528. 678   Su queste due edizioni, identiche per il contenuto ed entrambe in-8°, ma con diverso numero di fogli (una ne ha 108, l’altra 129), cfr. Catálogo de la Biblioteca de Salvá. Escrito por D. Pedro Salvá y Mallen. Tomo II. Valencia 1872, p. 151, nro. 1846 e nro. 1847 671

il contesto letterario della pícara justina

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Gil González Dávila –, reca la data : “En Valladolid a onze de Diziembre, de mil y seyscientos y tres”. 679 Il diario di Girolamo da Sommaia testimonierebbe quindi l’esistenza, ritenuta del resto più che probabile, 680 di una edizione uscita all’inizio del 1604, forse con il titolo di Fiestas de Carnestolendas o di Saraos de Carnestolendas (il titolo corrente apposto sul verso di tutti i fogli della edizione barcellonese di Sebastián de Cormellas è : « Sarao de Carnestolendas »). Il prezzo pagato da Girolamo da Sommaia per il libro – “tre Reali”, cioè 102 maravedíes – corrisponde approssimativamente (tenendo anche conto della rilegatura) a quello della edizione barcellonese composta di 108 fogli, che reca questa tassa : “Esta tassado este libro por los señores del supremo Consejo a tres marauedis cada pliego” (per la Pícara Justina, un’opera in-4° di 480 pagine complessive per la quale il patrizio fiorentino aveva pagato 10 reales, il prezzo era stato fissato, invece, “en tres marauedis y medio cada pliego” 681). Noi non conosciamo nessuna opera anteriore al 1605 intitolata Fiestas de Carnestolendas, Libro de Carnestolendas o Saraos de Carnestolendas. Marcelino Menéndez Pelayo scrive che “en Gaspar Lucas Hidalgo comienza el género de los Saraos de Carnestolendas”. 682 Non è quindi azzardato affermare che il libro registrato nel diario di Girolamo da Sommaia era un esemplare della prima edizione dell’opera di Gaspar Lucas Hidalgo pubblicata nei primi mesi del 1604. Ancora qualche altra annotazione del Diario :  



















1603. A di 26 d’Ottobre [Girolamo da Sommaia si trova a Valladolid] Detti un Paio di Guanti d’Ambra al Signor Don Vldarico. Riceuetti l’Academia Francese, 683 la Celestina, 2 Libretti d’esempi da scrivere […]. Dio l’accompagni. 684 1603. A di 5 di Nouembre Al Signor Conte la Celestina. 685 1604. A di 11 [di Febbraio] Comprai una Celestina [evidentemente il Conte non gli aveva restituito l’opera !], et le opere del Aldana 686 da Mercadillo per 5 Reali et ½. 687 1604. A di 26 di Giugno Fini di Leggere la Celestina. 688 1605. Al di 4 di Settembre Arralde mi rese la Celestina che teneva Petro. 689  















679   La licenza di stampa – con relativo ‘privilegio’ della durata di dieci anni – concessa dal Re e firmata da “Iuan de Amazqueta” è datata “en Valladolid a treinta y vn dias del mes de Enero de. 1603. años” ! Siccome però, necessariamente, ogni libro, prima di poter ottenere la licenza di stampa, doveva venire approvato dal censore, una delle due date costituisce un errore del compositore, che ha sbagliato o la data dell’approvazione – dicembre 1603, invece di dicembre 1602 –, o la data della licenza di stampa – gennaio 1603, invece di gennaio 1604. Riteniamo che erronea sia la data – in numeri arabi – della licenza di stampa. Cfr. Gaspar Lucas Hidalgo : Dialogos de apacible entretenimiento. Barcelona : Sebastian de Cormellas 1605 (Madrid, Biblioteca Nacional : R-10.464), fo. A 1v-A 3r. 680   Cfr. Catálogo de la Biblioteca de Salvá. Tomo II, p. 151, nro. 1847. 681   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « Tassa », [fo. A 4v]. 682   Marcelino Menéndez Pelayo : Orígenes de la novela. Edición preparada por D. Enrique Sánchez Reyes (= Edición Nacional de las Obras Completas, XV). Tomo III, p. 188. 683   Si tratta forse del trattato morale intitolato L’Académie françoise (Tom. I : Paris 1577 ; Tom. II : Paris 1580 ; Tom. III : Lyon 1596) di Pierre de La Primaudaye, sieur de la Barrée. 684   Diario de un estudiante de Salamanca. La crónica inédita de Girolamo da Sommaia (1603-1607), p. 303. 685   Diario de un estudiante de Salamanca. La crónica inédita de Girolamo da Sommaia (1603-1607), p. 281. 686   Francisco de Aldana : Primera Parte de las Obras. Milán : Pablo Gotardo Poncio 1589. – Segunda Parte de las Obras. Madrid : P. Madrigal 1591. O, forse : Todas las Obras. Madrid : Luis Sánchez 1593. 687   Diario de un estudiante de Salamanca. La crónica inédita de Girolamo da Sommaia (1603-1607), p. 279 (v. anche p. 121). 688   Diario de un estudiante de Salamanca. La crónica inédita de Girolamo da Sommaia (1603-1607), p. 201. 689   Diario de un estudiante de Salamanca. La crónica inédita de Girolamo da Sommaia (1603-1607), p. 396.  

































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capitolo viii

1604. A di 5 di Febbraio Spesi [tre] Reali nel Galateo español. 690  

Girolamo da Sommaia – lettore assiduo di opere di Justus Lipsius, Juan de Mariana, Scipione Ammirato, Jean Bodin, Tacito, Plutarco, Cornelio Nepote, Machiavelli, Seneca, Petrarca, Tommaso Moro, Stefano Guazzo (I Dialoghi piacevoli. Venezia 1586, 1590, 1591, 1594 ; Piacenza 1587. – La ciuil conversatione. Brescia : Tomaso Bozzola 1574 ; Venezia : Salicato 1574, 1575, 1577, 1580, 1583, 1586, ecc. ecc. Venezia : Imberti 1596, 1599, 1600, 1603, 1604), Baldesar Castiglione, Pietro Bembo, Giovanni Botero, Poliziano, Gabriello Chiabrera, Gian Giorgio Trissino (Sofonisba), Marco Girolamo Vida, Giovanni Andrea dell’Anguillara (Metamorfosi) 691 e di tanti altri autori ‘seri’– aveva, evidentemente, una particolare predilezione per quei libri che Bartolomé Jiménez Patón definiva “librillos de entretenimiento, y donayre” e fra i quali ricordava “Carnestolendas, Lazarillo de Tormes, Celestina”. 692 Questa sua affezione per la letteratura di intrattenimento, satirica, burlesca e giocosa, è rivelata anche dalla sua raccolta di “Poesie satiriche” spagnole, messa insieme copiando (o facendo copiare) componimenti che circolavano in copie manoscritte ed imprestata occasionalmente ad amici, 693 dalla copia che si era fatto approntare del Diálogo entre Caronte y el alma de Pedro Luis Farnesio, hijo del papa Paulo III, attribuito a Don Diego Hurtado de Mendoza, dalla sua lettura di autori come Petronio Arbitro, 694 Luciano di  

















L’edizione della Celestina ricevuta in dono e l’edizione acquistata sono, probabilmente, una delle tre edizioni plantiniane uscite nel 1599 (due) e nel 1601, oppure l’edizione madrilena del 1601, stampata da Andrés Sánchez. 690   Diario de un estudiante de Salamanca. La crónica inédita de Girolamo da Sommaia (1603-1607), p. 121, p. 277. Si tratta quasi sicuramente di una delle due edizioni del Galateo Español di Lucas Gracián Dantisco stampate nel 1603 : a Valladolid, nell’officina di Luis Sánchez, l’una ; a Medina del Campo, nell’officina di Cristóbal Lasso e Francisco García, l’altra. Entrambe queste edizioni, come già l’edizione madrilena del Galateo Español stampata da Luis Sánchez nel 1599, contenevano La vida de Lazarillo de Tormes, castigado. Cfr. Cristóbal Pérez Pastor : La imprenta en Medina del Campo, pp. 326-327, nro. 257. – M. Alcocer y Martínez : Catálogo razonado de obras impresas en Valladolid, 1481-1800, p. 189-191, nro. 434. – Margherita Morreale : « Descripción bibliográfica » in : Lucas Gracían Dantisco : Galateo Español. Estudio preliminar, edición, notas y glosario por Margherita Morreale. Madrid : C.S.I.C. 1968, pp. 65-94 ; qui pp. 74-77. – A. Martino : Il Lazarillo de Tormes e la sua ricezione in Europa (1554-1753). Volume I. L’opera, pp. 80-83. 691   Diario de un estudiante de Salamanca. La crónica inédita de Girolamo da Sommaia (1603-1607), p. 102, pp. 150-151, p. 152, p. 155, p. 156, p. 157, p. 158, p. 168, p. 179, p. 213, p. 274, p. 282, p. 283, p. 319, p. 321, p. 380, p. 382, p. 413, p. 425, p. 495, p. 534, p. 555, p. 568, p. 571, p. 582, p. 584, p. 626. 692   ELOQVENCIA ESPANOLA EN ARTE, DIRIGIDA à don Fernando de Ballesteros, y Saauedra Capitan de la Infanteria del Campo de Montiel. De nueuo muy corregida y aumentada, por su autor. [Scudo di don Fernando de Ballesteros y Saavedra con il motto : mori potius quam foedari]. EL MAESTRO BARTOLOME XIMENEZ Paton Catedratico della en Villanueua de los Infantes, Correo Mayor, y Notario del archiuo de la Curia Romana, y del santo Oficio de la Inquisicion de Murcia : natural del Almedina, campo de Montiel. In : MERCVRIVS TRIMEGISTVS, SIVE DE TRIPLICI ELOQVENTIA SACRA, Española, Romana. OPVS CONCIONATORIBVS VERbi sacri, poetis vtriusque linguae, diuinarum, & humanarum literarum studiosis vtilissimum. Ad D. IHONNEM DE TARSIS COMItem de Villamediana Archigrammathophorum Regis. AVTHORE MAGISTER BARTHOLOmaeo Ximenio Patone Almedinensi, eius publico Doctore, & Prothogrammatophoro in oppido Villanueua de los Infantes, Curiae Romanae, & sancti Officij Scriba. CVM PREVILEGIO. Petro de la Cuesta Gallo Typographo Biatiae. Anno. 1621 (Madrid, Biblioteca Nacional : R-12143), fo. 196r. 693   Diario de un estudiante de Salamanca. La crónica inédita de Girolamo da Sommaia (1603-1607), p. 599 (“[7.III.1607.] Visitai il Barone et Don Sebastiano [de Salazar] a chi prestai le Poesie Satiriche. Rese”). 694   Diario de un estudiante de Salamanca. La crónica inédita de Girolamo da Sommaia (1603-1607), p. 387 (“Da Guglielmo Pesnot Petronio Arbitro”), p. 398 (“A Petronio Arbitro comprai … Reali 6”). Sul libraio Juan Guillermo Pesnot – era originario di Lione ed aveva lavorato a Medina del Campo nella libreria di Pierre Landri –, cfr. A. Rojo Vega : Impresores, libreros y papeleros en Medina del Campo y Valladolid en el siglo XVII, p. 176.  

































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Samosata 695 e Apuleio, 696 e di opere come i sonetti burleschi del Burchiello, 697 le Piacevoli notti di Giovan Francesco Straparola 698 e la Crónica burlesca del Emperador Carlos V di Don Francés de Zúñiga, che Girolamo da Sommaia aveva preso in prestito da Valentín de Céspedes e fatto copiare da uno dei suoi amanuensi. 699 Data la sua predilezione per la letteratura di intrattenimento, non sorprende certamente l’interesse di Girolamo da Sommaia per due opere uscite nel 1605 : il Don Quijote (Madrid : Iuan de la Cuesta 1605) e la Pícara Justina. L’opera di Cervantes il patrizio fiorentino l’acquista il 19 novembre del 1605, assieme a La Florida del Inca di Garcilaso de la Vega, la fa rilegare e la dà in prestito a diversi amici e conoscenti. 700 Il 19 giugno 1605 Girolamo da Sommaia riceve “in presto il Libro della Picara” dal libraio Juan Comán (Comman). La lettura dovette interessarlo. Comprò infatti la Pícara Justina (29 ottobre 1605 : “Al Comman per la Pichera Reali 10”), che aveva imprestato prima di averla pagata (15 agosto 1605 : “Mi rese Maricca il Libro della Piquera”). Un anno dopo imprestò di nuovo l’opera (28 luglio 1606 : “Dal Licenciado Madrigal 5 libri. Gli restò la Pichera” ; ma già il 31 luglio 1606 poteva annotare : “Dal Licenciado Madrigal la Piquera”). Il 7 agosto 1606 imprestò “la Piquera” a Fray Rodrigo, al quale aveva anche imprestato, come già sappiamo, il 25 luglio “Carnestolendas” e il 27 luglio “le Commedie di Lope”. Il frate gli restituí il libro, che Girolamo da Sommaia imprestò di nuovo. Il 15 novembre 1606 il patrizio fiorentino annota infatti : “Don Juan de Contreras tiene di mio la Piquera, et Don Quixote” (il 3 dicembre potrà scrivere : “Da Don Iuan de Contreras la Piquera che teneua di mio. Gli resta Don Quixote”). 701 Risulta chiaramente da queste annotazioni che Girolamo da Sommaia non appuntava tutti i prestiti che faceva della Pícara. Questi pochi dati rivelano comunque un forte interesse per la Pícara Justina nella cerchia degli amici e dei conoscenti del patrizio fiorentino.  































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  Diario de un estudiante de Salamanca. La crónica inédita de Girolamo da Sommaia (1603-1607), p. 387.   Diario de un estudiante de Salamanca. La crónica inédita de Girolamo da Sommaia (1603-1607), p. 309. 697   “(A di 27 di giugno 1604 :) Lessi il Burchiello comentato dal Doni.” – “(A di 21 di Ottobre 1604 : Lessi il Burchiello.” (Diario de un estudiante de Salamanca. La crónica inédita de Girolamo da Sommaia, p. 201, p. 235). Le edizioni del Burchiello commentate da Anton Francesco Doni sono le seguenti : Rime del Burchiello, comentate dal Doni. In Vinegia per Francesco Marcolini 1553. – In Venetia : appresso Francesco Rampazetto 1566. – Firenze : Giunti 1568. Forse il patrizio fiorentino possedeva la piú recente : Rime del Burchiello, comentate dal Doni. Et piene di capricci, fantasie, umori, strauaganze, grilli, frenesie, ghiribizzi, argutie, motti e sali. Ritocche da quel che poteua già offendere il buon lettore. In Vicenza, per gli heredi di Perin libraro, 1597. Cfr. Raffaele Nigro : « Bibliografia ». In : Burchiello e Burleschi, pp. 5-6. 698   Diario de un estudiante de Salamanca. La crónica inédita de Girolamo da Sommaia (1603-1607), p. 568. 699   Diario de un estudiante de Salamanca. La crónica inédita de Girolamo da Sommaia (1603-1607). p. 315 (“[21.2.1605.] Al Racionero Gil Gonzalez resi il suo Libro del Tauera [si tratta, a nostro parere, dell’opera seguente : Chronica de el Cardenal Don Iuan Tauera. Por el Doctor Pedro de Salazar y Mendoça. Toledo : Pedro Rodriguez 1603], et prestai el de Don Frances”) ; p. 379 ([“22.7.1605.] Al detto [Iuan Dionisio] perche copiassi la Chronica di Don Frances che è di [Valentino] Cespedes”) ; p. 396 (“[3.IX.1605.] Al Maestro Cespedes resi il Libro di Don Frances”). 700   Cfr. Diario de un estudiante de Salamanca. La crónica inédita de Girolamo da Sommaia (1603-1607), p. 428 (“Da Miguel de Velasco un Don Quixote de la Mancha, et la Historia de la Florida, sciolti”) ; p. 434 (“[2. XII.1605] Al detto [Gomez del Rio] Don Quixote de la Mancha sciolto, et l’inquaderna Gaspar de Alua. Detti il nastro”) ; p. 534 (“[28.VIII.1606], Da Don Gomez il Don Quixote, et gli resi Monita di Lipsio”) ; p. 556 (“[5.X.1606] A Don Iuan de Contreras Don Quixote”) ; p. 569 “([15.XI.1606] Don Iuan de Contreras tiene di mio la Piquera, et Don Quixote”) ; p. 574 ([3.XII.1606] “Da Don Iuan de Contreras la Piquera che teneua di mio. Gli resta Don Quixote”) ; p. 577 (“[14.XII.1606] A Don Iuan de Contreras la storia del Re Don Filippo in 2 Corpi [Antonio de Herrera : Primera parte de la Historia general del mundo de XVII años del tiempo del Señor Rey don Felipe II .... - Segunda parte …. Valladolid : Juan Godinez de Millis 1606, 2 tom.]. Resemi il Don Quixote”) ; p. 585 (“[10.I.1607] A Iuan Ortuño Don Quixote”). 701   Diario de un estudiante de Salamanca. La crónica inédita de Girolamo da Sommaia (1603-1607), p. 365, p. 419, p. 389, p. 527, p. 529, p. 569, p. 574. 696















































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capitolo viii

Girolamo da Sommaia non limitava il suo interesse ai libri pubblicati, che egli spesso acquistava freschi di stampa. Con interesse forse maggiore si faceva prestare – da amici, conoscenti e librai – opere ancora inedite che circolavano in copie manoscritte, le leggeva e poi le copiava o le faceva copiare dai numerosi amanuensi che impiegava quasi quotidianamente per tale lavoro. Vivo era l’interesse di Girolamo da Sommaia – e dei suoi amici e conoscenti – per le poesie, ancora inedite, di Góngora 702 e di Fray Luis de León, 703 per gli scritti, in verso e prosa, anch’essi non ancora pubblicati, di D. Diego Hurtado de Mendoza, 704 per i romances e per componimenti del Conte di Salinas,  





702   Diario de un estudiante de Salamanca. La crónica inédita de Girolamo da Sommaia (1603-1607), p. 153 (“[17.VIII.1604] Copiai unas Coplas de Don Luys de Gongora”) ; p. 153 ([13.VIII.1604] “Resi a Don Giouanni de Salas las Coplas del Gongora”) ; p. 454 (“[24.I.1606] A Don Luis Cid coplas di Don Luys de Gongora”) ; p. 455 (“[26.I.1606.] Da Don Luis Cid las coplas de Don Luis de Gongora”) ; p. 491 (“[15.IV.1606] Da Don Francisco Guajardo certe poesie di Don Luys de Gongora”) ; p. 491 (“[16.IV.1606] Fui a casa Don Iuan Emanuel, [Don Giouanni de] Salas, et Don Sebastiano [de Salazar] a chi detti le poesie di Don Luys de Gongora”) ; p. 499 (“[3.V.1606] Dal Carmona 3 sonetti di Don Luys de Gongora, gli copiai et resi”) ; p. 499 (“[5.V.1606] A Don Luis Cid i sonetti di Don Luis de Gongora”) ; p. 506 (“[24.V.1606] Fui in casa Don Lorenzo Ramirez, Don Sebastiano [de Salazar] a chi prestai le poesie di Don Luys de Gongora, et di Don Iuan de Salas, et di [Don Iuan de] Contreras”). 703   Diario de un estudiante de Salamanca. La crónica inédita de Girolamo da Sommaia (1603-1607), p. 415 (“[21.X.1605.] A Simon Danti […] il Libro di Fra Luys de Leon”) ; p. 418 (“[26.X.1605.] Dal Romano [Simon Danti] 3 fogli di Fra Luys de Leon copiati”) ; p. 433 (“[1.XII.1605.] Dal Romano il Libro di Fra Luys, et foglio 1 ½ scritto.” – “A Comman resi il Libro dell’opere di Don Diego de Mendozza. Restanmi due suoi : Fra Luys de Leon, et il Giardino [Antonio de Torquemada : Jardín de flores curiosas ?]”) ; p. 434 (“[4.XII.1605.] A Iuan Comman i due Libri. Quel di Fra Luis de Leon resta copiato sino a carta 127 en la Egloga 8 en el uerso : En los passados [años, aquel ciego = v. 169. Trad. da Vergilius : Bucolicon Liber, VIII : Damonis et Alphesiboei Certatio, v. 91]. L’altro Libro grande intitulado il Jardin [de flores curiosas ?]”) ; p. 482 (“[20.III.1606.] A Don Sebastiano 7 scartafacci di Poesie di Fra Luys de Leon”) ; p. 494 (“[20.IV.1606.] Da Don Sebastiano le mie poesie di Fra Luis de Leon”). 704   Diario de un estudiante de Salamanca. La crónica inédita de Girolamo da Sommaia (1603-1607), p. 405 (“[26.IX.1605.] Da Don Ioan de Salas las Historias [Guerra de Granada] de Don Diego de Mendozza, e las prestai a Don Ioannes Bodeckero”) ; p. 407 (“[29.IX.1605.] Da Iuan Dionisio el Dialogo di Pier Luigi [Don Diego Hurtado de Mendoza : Diálogo entre Caronte y el alma de Pedro Luis Farnesio, hijo del papa Paulo III] copiato in 5 fogli, resto a deuerli due. Gli detti fogli per scriuere, et altro da copiare”) ; p. 407 (“[30.IX.1605.] Visitai Don Ioannes Bodeckero et gli resi il Dialogo di Pier Luys Farnes”) ; p. 413 (“[15.X.1605.] Don Iuan mi uisitò et rese le Relationi del Botero, et mi dette un Libro di uersi del Carvajal che l’ho da rendere a Comman, il quale anco mi ha prestato l’opere di Don Diego de Mendozza”) ; p. 413 (“[16.X.1605.] Al Biscaino per comprare fogli Reali 30. Al detto per copiare le opere di Don Diego de Mendozza”) ; p. 418 (“[27.X.1605.] A Don Iuan de Salas resi il Libro di Granada [Guerra de Granada] di Don Diego de Mendozza”) ; p. 432 (“[28.XI.1605.] A Lesmes Perez Reali 8. Dal detto fogli 7 scritti con que fini le Poesie di Don Diego de Mendozza”) ; p. 433 (“[1.XII.1605.] A Comman resi il Libro dell’opere di Don Diego de Mendozza. Restanmi due suoi : Fra Luys de Leon, et il Giardino”) ; p. 440 (“[19.XII.1605.] Dal Dottor Pareja ricuperai le scritture. Solo manca la di Don Diego de Mendozza”) ; p. 473 (“[1.III.1606.] Al Licenciado Sancio Hurtado la Gazzetta et molti scartafacci. […] Di Diego de Mendozza 3 Quaderni”) ; p. 498 (“[1.V.1606.] A Don Sebastiano gli scartafacci del Mendozza”) ; p. 505 (“[19.V.1606.] Da Don Luys Cid 12 scartafacci del Mendozza che haueuo prestato a Don Sebastiano”) ; p. 574 (“[2.XII.1606.] A Don Lorenzo Ramirez due Libri d’opere del Bembo [Prose della volgar lingua ; Rime ; Lettere ; Asolani ; Historia Veneta. Venezia : Scotto 1552-1553 ?], et di Don Diego di Mendozza scartafacci”) ; p. 582 (“[4.I.1607.] Visitai Don Lorenzo Ramirez et l’accompagnai sino alla porta di Toro, che parti per Madrid. Dal detto un Libro del Bembo, restagli altro mio pur del Bembo, et le Poesie di Don Diego de Mendozza”) ; p. 584 (“[8.I.1607] Visitai Don Alonso Ramirez [i fratelli Ramírez de Prado, figli di Alonso Ramírez de Prado, arrestato con la moglie il 26 dicembre 1606, erano 4 : Lorenzo, il maggiore, Alonso, Juan, Marco]. Gli resta gli Asolani del Bembo, et la Ciuil Conuersatione del Guazzo di mio. […] Et più di Don Diego di Mendozza scartafacci che sono mia. Io tengo di suo il Dante Italiano piccolo”) ; p. 595 (“[26.II.1607.] Fui a casa Don Lorenzo Ramirez a buscar los papeles di Don Diego de Mendozza. Non si trouorno, et mi disse Martinez che gli teneua un Sanchez che uiue rimpetto ala casa del Marques della Piouera [Provera]”) ; p. 598 (“[3.III.1607.] Fui a casa Francisco Sanchez hidalgo per los papeles que tenia Don Lorenzo Ramirez”) ; p. 599 (“[6.III.1607.] Parlai al Gazetta de los papeles di Don Diego de Mendozza”) ; p. 601 (“[11.III.1607.] Fù a mi casa Francisco Garcia per le Poesie di Don Diego de Mendozza”) ; p. 628 (“[26.IV.1607.] A Francisco Garcia dette Arralde Reali 8. Sono per l’opere di Don Diego di Mendozza”) ; p. 633 (“[9.V.1607.] A Don Sebastiano resi il Libro di Don Diego di Mendozza”) ; p. 635 (“[13.V.1607.] A Francisco de Ouiedo dette Arralde Reali 4. Dal detto alcuni fogli copiati dell’opere di Don Diego”) ; p. 636 (“[18.V.1607.]  





























































































   





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di Lope de Vega e di Pedro Liñán de Riaza, come documentano il suo diario e il suo “Libro delle Poesie Españole” 705 (codici D-353 e D-354 della Biblioteca Nazionale di Firenze). Particolarmente intenso era l’interesse di Girolamo da Sommaia per la poesia erotica e burlesca di Fray Melchor de la Serna, il Vicentino, che il patrizio fiorentino probabilmente conosceva personalmente, essendo il trasgressivo monaco benedettino, grande ammiratore di Ovidio, professore di latino e maestro di novizi nel convento salmantino di San Vicente. Nelle Varie poesie spagnuole copiate da monsignor Girolamo da Sommaia le composizioni di Fray Melchor de la Serna sono sei ; nelle Poesie spagnuole copiate da Arnaldo, Cameriere di Monsig. Girol. da Sommaia, quarantadue. 706 Ma fra le opere che circolavano manoscritte nell’ambiente universitario salmantino, quella che riscosse maggiormente l’interesse del discendente di Francesco Guicciardini fu, forse, il Sueño del Juicio Final (o Sueño de las calaveras) di Quevedo, come dimostrano i seguenti dati, desunti dal suo diario :  







Il 22 aprile 1605, il Licenciado Juan Solórzano Pereyra – il futuro autore della Política Indiana, che dopo pochi mesi, nel 1606, sarebbe divenuto Catedrático de Vísperas dell’Università di Salamanca, nel 1608 Dottore dello stesso Ateneo e nel 1609, su proposta del Presidente del Consejo de Indias, Don Pedro Fernández de Castro, Conte di Lemos, Oidor della Audiencia di Lima – impresta “il sogno di Queuedo” a Girolamo da Sommaia, che ne fa eseguire una copia dal suo cameriere Juan de Arralde. Il 23 aprile il patrizio fiorentino restituisce a Juan Solórzano Pereyra il “sueño de Quebedo” e impresta la copia fatta da Arralde a Gil González Dávila, che glielo restituisce il 29 aprile. Il 29 aprile Girolamo da Sommaia impresta il “sueño” a Don Francisco de Oviedo, che glielo rende il 4 maggio. Il 4 maggio Girolamo da Sommaia impresta il “Sueño di Quevedo” al Licenciado Velázquez, che glielo restituisce il 7 maggio. Il 7 maggio Girolamo da Sommaia impresta il “Sueño” a Don Guglielmo, che glielo rende l’11 maggio. Il 22 maggio Girolamo da Sommaia impresta “il sueño di Queuedo” a Don Sebastiano de Salazar, che glielo rende il 31 maggio. Il 13 giugno Girolamo da Sommaia impresta “il sueño di Queuedo” a “Don Alonso Paceccho [Pacheco]”. Il 21 giugno Girolamo da Sommaia annota : “Don Francisco Guajardo, et Don Alonso Pacecho partirno et questi mi portò uia il sogno”. Il 6 agosto il “Rationero Gil Gonzalez [Dávila]” impresta al patrizio fiorentino “il sueño de Queuedo” (evidentemente l’autore della Historia de las Antigvedades de la Civdad de Salamanca aveva copiato, o si era fatto copiare, fra il 23 e il 29 aprile, la copia del Sueño eseguita da Arralde). Girolamo da Sommaia consegna immediatamente il manoscritto a Simon Danti, il “Romano”, che copia numerosissimi scritti per incarico del patrizio fiorentino, ricevendo da questi, a volte  

A Francisco de Ouiedo dette Arralde per ogni resto Reali 16. Per 135 fogli et ½ che ha scritti a 30 Maravedis il foglio”). 705   Diario de un estudiante de Salamanca. La crónica inédita da Girolamo da Sommaia (1603-1607), p. 211. 706   “[29.VI.1606] Al Biscaino Iuan de las Heras per copiare Poesie del Frayle Benito in 2 quaderni” (Diario, p. 518). Nelle Poesie spagnuole copiate da Arnaldo cameriere di Mons. Girol. da Sommaia – codice VII-354 della Biblioteca Nazionale di Firenze, che conserva i quaderni sui quali il patrizio fiorentino copiava o faceva copiare le opere che lo interessavano – le Obras del Frayle Benito occupano i fogli 232-348. Nelle Varie poesie spagnuole copiate da Monsignor Girolamo da Sommaia – codice VII-353 – figurano Coplas (“Solamente en los fregones….”) del Frayle Benito e la Elegia de Ovidio, traducida por el Vicentino (Fray Melchor de la Serna era detto Vicentino perché monaco del Convento benedettino di San Vicente di Salamanca). La Elegia è probabilmente la libera traduzione, o piuttosto imitazione, dell’Ars amandi di Ovidio – imitazione non meno licenziosa dell’originale secondo Menéndez Pelayo (Biblioteca de traductores españoles. Tomo IV, pp. 244-245). Sulle poesie di Fray Melchor de la Serna contenute nei codici fiorentini, cfr. anche José J. Labrador Herraiz, Ralph A. DiFranco, Lori A. Bernard : « Estudio preliminar » a : Poesías de Fray Melchor de la Serna y otros poetas del siglo XVI. Códice 22.028 de la Biblioteca Nacional de Madrid, pp. XXXII-XXXIII.  







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quasi quotidianamente, una remunerazione di 2-4 “reali” e talvolta una “Limosina”, con le quali questo studente romano dell’Università di Salamanca si manteneva, più male che bene, agli studi. Il 7 agosto Girolamo da Sommaia annota : “Da Simon Danti il Sueño di Queuedo copiato”. L’8 agosto Girolamo da Sommaia impresta “il sogno di Queuedo” a Antechera [Antequera], che glielo rende il 10 agosto. Il 12 agosto Girolamo da Sommaia impresta “il sueño di Queuedo” a “Don Ioannes Bodanquer [Bodeker]”, uno studente tedesco. Il 14 agosto Girolamo da Sommaia annota : “Dal Romano il sueño di Queuedo”. Timoroso di perdere ancora una volta l’opera di Quevedo, il discendente di Guicciardini aveva, evidentemente, incaricato l’amanuense di farne una seconda copia. Il 18 agosto Don Johannes Bodeker restituisce “el sueño”. Il 21 agosto Girolamo da Sommaia restituisce al “Rationero Gil Gonzalez … il sueño”. L’ultima annotazione di Girolamo da Sommaia sul Sueño è del 4 luglio 1606 : “Dal Biscaino [Juan de las Heras] il sueño copiato”. 707  







Nel 1605/1606 circolavano, nella ristretta cerchia degli amici e conoscenti di Girolamo da Sommaia, 6 copie del Sueño (il ms. di Juan Solórzano Pereyra, le quattro copie fatte eseguire dal patrizio fiorentino – una da Arralde, due dal ‘Romano’ 708 e una dal ‘Biscaino’ – e la copia di Gil González Dávila). Girolamo da Sommaia prestò il Sueño, in una delle sue copie manoscritte, a otto diverse persone della sua cerchia di amici e conoscenti. Ci si può quindi facilmente immaginare l’intensità della circolazione del manoscritto della satira di Quevedo.  

Questi dati sulla lettura a Valladolid e a Salamanca negli anni 1603-1606 corrispondono, in gran parte, ai dati sul contesto letterario della Pícara Justina illustrato nelle pagine precedenti. Si leggevano raccolte di facezie, aneddoti, raccontini, racconti, novelle, motti e arguzie – come El Sobremesa y Alivio di caminantes di Joan Timoneda, la Crónica burlesca del Emperador Carlos V di Don Francés de Zúñiga, gli Apotegmas di Juan Rufo, la Floresta Española di Melchior de Santa Cruz, El Conde Lucanor di Don Juan Manuel, il Decameron, i Contos di Trancoso, Le piacevoli notti (e la loro traduzione : Entretenimiento de Damas y Galanes) di Giovan Francesco Straparola da Caravaggio – ; trattati del comportamento – come il Cortegiano di Baldesar Castiglione, il Galateo di Giovanni della Casa, il Galateo Español di Lucas Gracián Dantisco, i Dialoghi piacevoli (Dialogo quinto : “Delle imprese”) e la Civil conversatione di Stefano Guazzo – ; libri di ‘imprese’ (emblemi, geroglifici) ; opere ‘celestinesche’ – come la Tragicomedia de Calisto y Melibea (La Celestina) e la Comedia Eufrosina – ; opere misogine come il Marco Aurelio di Antonio de Guevara ; entremeses (pasos di Lope de Rueda) ; componimenti poetici giocosi e burleschi – come quelli contenuti nel Romancero general e nelle ‘Obras’ di D. Diego Hurtado de Mendoza, 709 come i sonetti del Burchiello, le Maccheronee di Teofilo Folengo o taluni romances di Góngora – ; poesie licenziose – come quelle di Fray Melchor de la Serna e di D. Diego Hurtado de Mendoza – ; opere ‘carnevalesche’ – come il Don Quijote, i  





















707   Diario de un estudiante de Salamanca. La crónica inédita da Girolamo da Sommaia (1603-1607), p. 341, p. 343, p. 346, p. 347, p. 349, p. 353, p. 355, p. 362, p. 366, p. 385, p. 386, p. 387, p. 388, p. 389, p. 390, p. 391, p. 519. 708   Il manoscritto piú antico pervenutoci del Sueño del Juicio Final è una delle due copie effettuate da Simone Danti. Cfr. George Haley : The Earliest Dated Manuscript of Quevedo’s Sueño del Juicio Final. In : Modern Philology (University of Chicago), 67 (1969-1970), 238-262. – George Haley : « Introducción » a : Diario de un estudiante de Salamanca, pp. 9-96 ; qui pp. 66-67. – Francisco de Quevedo Villegas : Sueños y Discursos. Tomo I. Edición de James O. Crosby, pp. 64-67. 709   Le Obras de Diego de Mendoça occupano i fogli 1-228 delle Poesie spagnuole copiate da Arnaldo cameriere di Monsig. Girol. da Sommaia (Firenze, Biblioteca Nazionale : cod. VII-354).  

















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Diálogos de apacible entretenimiento di Gaspar Lucas Hidalgo e la Pícara Justina – ; opere picaresche – come il Lazarillo, la Segunda parte de la vida del pícaro Guzmán de Alfarache di Juan Martí e la Pícara Justina –, o parzialmente picaresche – come El viaje entretenido di Agustín Rojas Villandrando – ; scritti satirici e burleschi – come il Diálogo entre Caronte y el alma de Pedro Luis Farnesio, hijo del papa Paulo III, attribuito a D. Diego Hurtado de Mendoza, o come le Indulgencias concedidas a los devotos de monjas, le Premáticas y aranceles generales e il Sueño del Juicio Final di Quevedo.  



Le corrispondenze fra la Pícara Justina e il Buscón : affinità spontanee o gioco intertestuale ?  



Il grande interesse di Thomé Pinheiro da Veiga per i primi scritti satirici e burleschi di Quevedo e l’ancor più grande interesse di Girolamo da Sommaia e dei suoi amici e conoscenti dell’Università Salamanca per il Sueño del Juicio Final, costituiscono preziose testimonianze ai fini della ricostruzione del contesto letterario della Pícara Justina, ma non sorprendono. Quevedo era molto conosciuto e considerato già nei primissimi anni del Seicento, come dimostrano alcuni dati significativi : nel 1602 Lope de Vega gli dedica un sonetto encomiastico e lo chiama “Claro Francisco” ; 710 nel 1603 diciotto suoi componimenti vengono accolti nella antologia poetica Flores de poetas ilustres de España (Valladolid : Luis Sánchez 1605 711) curata da Pedro Espinosa ; nel 1604 Bartolomé Jiménez Patón pubblica, nella sua Eloquencia Española en Arte (Toledo : Thomas de Guzman 1604), “vn Madrigal a san Esteuan” del “ingenioso y agudo don Francisco de Queuedo”. 712 I suoi scritti avevano una grande diffusione. Circolavano manoscritti sia fra gli studenti (e gli insegnanti !) delle Università di Alcalá de Henares e di Valladolid 713 (Atenei presso i quali il poeta aveva studiato, rispettivamente, ne 

   















710   SEGVNDA | PARTE DE LAS | Rimas de Lope de Vega | Carpio. | A don Iuan de Arguijo, Veinti- | quatro de Seuilla. | [Scudo d’armi del mecenate con la leggenda : Virtud y nobleza, / Arte y naturaleza] |. In : La | HERMOSVRA | DE ANGELICA, | Con otras diuersas Rimas. | De Lope de Vega Carpio. | A don Iuan de Arguijo, Veinti- | quatro de Seuilla. | [Scudo d’armi del mecenate ai cui lati sono stampate queste due righe : Virtud y nobleza, / Arte y naturaleza.] | EN MADRID, | En la emprenta de Pedro Madrigal. | [Linea tipografica] | Año. 1602. |, fo. 243r-341v ; qui fo. 305v-306r (« A don Francisco de Queuedo ». SONETO. CXXVIII. “VOs de Pisuerga, nueuamente Anfriso, / Viuis Claro Francisco, las riberas...”). Ed. facs. : Lope de Vega : Rimas. Los doscientos sonetos. (Facsímil de la edición príncipe, Madrid, 1602). Reproducción cuidada y prologada por Felipe B. Pedraza Jiménez. Aranjuez : Editorial Ara Iovis 1984. – Lope de Vega : Obras poéticas. Rimas – Rimas sacras – La Filomena – La Circe – Rimas humanas y divinas del Licenciado Tomé de Burguillos. Edición, introducción y notas de José Manuel Blecua (= Clásicos Universales Planeta, 66). Barcelona : Planeta 1983, p. 99, nro. 128. A sua volta Quevedo compose un sonetto laudatorio per El peregrino en su patria (1604). Cfr. Lope de Vega : Prosa, I. Arcadia. El peregrino en su patria. Madrid : Biblioteca Castro 1997, p. 402. – Francisco de Quevedo : Obra poética. I. Edición de José Manuel Blecua. Madrid : Castalia 1969, pp. 477-478, nro. 284. 711   La « Aprobación », firmata da Tomás Gracián Dantisco, è datata “En Valladolid, a 24 de noviembre 1603”. La licenza di stampa e il ‘privilegio’ furono concessi l’8 dicembre 1603 e firmati da Juan de Amezqueta “por mandado del Rey nuestro señor”. Cfr. Pedro Espinosa : Flores de poetas ilustres. Edición, introducción y notas de Belén Molina Huete. Sevilla : Fundación José Manuel Lara 2005, p. 7 e p. 11. 712   ELOQVENCIA | Española en Arte. Por el Maestro | Bartholome Ximenez Paton. | [Scudo di D. Fernando de Ballesteros y Saavedra] | En Toledo por Thomas de Guzman. Año 1604 (Oviedo, Universidad de Oviedo, Biblioteca Central : R. 33.336 – A-379, A-438), fo. 64v. Il Madrigal a San Esteuan (“El que a Esteuan las piedras endereça...”) José Manuel Blecua (Francisco de Quevedo : Obra poética I, p. 374, nro. 194) lo riproduce dal Mercvrivs Trimegistvs (1621) e non dalla Eloqvencia Española en Arte (1604), che lo studioso non cita. Pablo Jauralde Pou (Francisco de Quevedo, p. 129) confonde il Madrigal a San Esteuan con il sonetto A San Esteban cuando le apedrearon, che inizia con il verso “De los tiranos hace jornaleros...” (Obra poética I, p. 334, nro. 186). 713   Sulla circolazione di opere manoscritte di Quevedo fra gli studenti delle Università di Alcalá de Henares e di Valladolid, cfr. P. Jauralde Pou : Francisco de Quevedo (1580-1645), pp. 113-114. Un’idea di quanto intensa sia stata la circolazione di opere manoscritte di Quevedo si può ricavare dal Catálogo de los manuscritos de Francisco de Quevedo en la Biblioteca Nacional (Madrid : Ollero & Ramos 1997) curato da Isabel Pérez Cuenca.  













































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gli anni 1596-1600 e 1601/1602-1605 714), sia fra gli studenti – come ci testimonia proprio il Diario di Girolamo da Sommaia – dell’Università di Salamanca. Erano sicuramente letti anche nell’ambiente della Corte – Quevedo, ‘protetto’ dalla Duchessa di Lerma e dalla Contessa di Barajas, 715 D. María Sidonia, la ‘favorita’ 716 della Regina Margarita, conosceva molti nobili ed era amico, come abbiamo ricordato, del Marchese di Barcarrota e del Duca di Osuna – e delle persone colte di Valladolid, frequentato da Thomé Pinheiro da Veiga. Gaspar Lucas Hidalgo menziona nei suoi Diálogos de apacible entretenimiento (l’approvazione dell’opera è, come abbiamo già ricordato, del dicembre 1603) “el autor de los sueños” 717 e riprende, forse, dal Buscón l’episodio di Poncio de Aguirre. 718 Erano noti gli scritti di Quevedo anche all’autore della Pícara Justina ? Sicuramente erano note all’autore della Pícara Justina opere festivas e burlesche come la Pregmática que este año de 1600 se ordenó, la Vida de Corte y oficios entretenidos en ella (ca. 1599/1600 719), le Cartas del Caballero de la Tenaza, 720 se furono composte l’anno 1600 come farebbe credere la data apposta in un manoscritto della Biblioteca Nacional, e, in particolare, le Indulgencias concedidas a los devotos de monjas, che, come abbiamo visto, circolavano nell’ambiente vallisoletano. Inoltre doveva conoscere alcune delle seguenti composizioni (Canciones, Letrillas e Romances) satiriche e burlesche : A una mujer flaca (“No os espantéis, señora Notomía…”), A una dama hermosa, rota y remendada (“Oye la voz de un hombre que te canta…”), Con su pan se lo coma (“Que el viejo que con destreza…”), Punto en boca (“Las cuerdas de mi instrumento…”) e Poderoso caballero es  

















714   Quevedo risiedette a Valladolid dal 1601 al 1605 (ancora nel maggio di quest’anno partecipava alle votazioni per l’assegnazione di cattedre dell’Università di Valladolid, dove fece gran parte dei suoi studi accademici). Cfr. Narciso Alonso Cortés : Noticias de una corte literaria, pp. 56-63. – P. Jauralde Pou : Francisco de Quevedo (1580-1645), pp. 94-96, pp. 108-109, pp. 123-124. 715   Cfr. P. Jauralde Pou : Francisco de Quevedo (1580-1645), p. 122, pp. 128-129. 716   Come abbiamo già ricordato, D. María Sidonia Riederin, unitasi in matrimonio nella primavera del 1603 con D. Diego Zapata de Mendoza, II Conte di Barajas, era “muy querida de la reyna” (Diario de Hans Khevenhüller, p. 574 ; v. anche p. 557 e p. 615). Cfr. inoltre Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, p. 352. – Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 90 (“la señora Sidonia, muy privada de la Reina”), p. 163 (“doña María Sidonia, la dama privada de la Reina”), p. 165, p. 172, p. 209. 717   Gaspar Lucas Hidalgo : Dialogos de apacible entretenimiento. Barcelona : Sebastian de Cormellas 1605, fo. 29v. 718   “Otro efeto de palabras mal entendida me acuerdo que sucedio a vnos mochachos de cierto barrio que dieron en perseguir a vn hombre llamado Ponce Manrique, llamandole Poncio Pilato por las calles, el qual como se fuesse a quexar al Maestro, en cuya escuela andauan los muchachos, el Maestro los açoto muy bien, mandandoles que no dixessen mas desde alli adelante Poncio Pilato, sino Poncio Manrique. A tiempo que ya los querian soltar del escuela, començaron a dezir en voz la dotrina Christiana, y quando en el Credo llegauan a dezir, y padecio so el poder de Poncio Pilato, dixeron : Y padecio so el poder de Ponce Manrique” (Gaspar Lucas Hidalgo : Dialogos de apacible entretenimiento. Barcelona : Sebastian de Cormellas 1605, fo. 93v-94r). L’aneddoto è, come si vede, sostanzialmente uguale a quello su Poncio de Aguirre narrato nel secondo capitolo del primo libro del Buscón (Francisco de Quevedo : La vida del Buscón llamado Don Pablos. Edición crítica y estudio preliminar de Fernando Lázaro Carreter, pp. 24-26). Naturalmente è possibile che Hidalgo e Quevedo abbiano, come fonte comune, un cuentecillo tradizionale (di questo parere era Marcelino Menéndez Pelayo), oppure che Quevedo abbia mutuato il chascarrillo dai Diálogos de apacible entretenimiento (questa è l’opinione di Raimundo Lida e di Domingo Ynduráin). È però anche probabile, come crede Pablo Jauralde Pou, che sia stato Gaspar Lucas Hidalgo a prendere il breve racconto dal Buscón. Anche noi propendiamo per questa ipotesi. Cfr. Marcelino Menéndez Pelayo : Orígenes de la novela. Edición preparada por D. Enrique Sánchez Reyes (= Edición Nacional de las Obras Completas, XV). Tomo III, p. 187. – Raimundo Lida : Prosas de Quevedo. Barcelona : Editorial Crítica 1980, pp. 252-254. – Francisco de Quevedo : La vida del Buscón llamado Don Pablos. Edición de Domingo Ynduráin (= Letras Hispánicas, 124). Madrid : Cátedra 1995, p. 109, nota nro. 28. – Francisco de Quevedo : El Buscón. Edición, introducción y notas de Pablo Jauralde Pou (= Clásicos Castalia, 177). Madrid : Editorial Castalia 1990, p. 85, nota nro. 52. 719   Cfr. Marcial Rubio Árquez : De La vida de la Corte a La vida del Buscón. In : La Perinola 10 (2006), 287-296 ; qui p. 288. 720   Marcel Bataillon (Pícaros y picaresca, p. 41) scrive : “El enfrentamiento epistolar final del fullero [licenciado Marcos Méndez Pavón] y de la Pícara, en el que ésta logra una segunda victoria, nos recuerda ... las Cartas del Caballero de la Tenaza, de Quevedo”.  













































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Don Dinero (“Madre, yo al oro me humillo”), 721 tutte anteriori al 20 settembre 1603 (data della dedica della antologia di Pedro Espinosa Flores de poetas ilustres, nella quale queste Canciones e Letrillas figurano) ; A una dama hermosa y borracha (“Óyeme riguroso…”) e Marica, yo confieso, composte verso il 1603 ; 722 Responde con equivocación a las partidas de un inventario de peticiones (“Diéronme ayer la minuta…”), 723 A la sarna (“Ya que descansan las uñas”) e Al pasarse la Corte a Valladolid (“De Valladolid la rica”), 724 romances burlescos scritti sicuramente prima del 18 ottobre 1604, data della già ricordata « Aprovacion » della Segunda parte del Romancero General (Valladolid : Luis Sánchez 1605) compilata da Miguel de Madrigal. 725 Il medico toledano (o il frate domenicano) conosceva, forse, anche la Confesión que hacen los mantos de sus culpas (“Allá van nuestros delitos...”) 726 – contiene diversi riferimenti, piú o meno criptici, al Buscón e risale, “con casi absoluta seguridad”, agli anni vallisoletani 727 – e il Romance burlesco (“Salió trocada en menudos...”). 728 Quasi sicuramente l’autore della Pícara Justina conosceva le satire contro Góngora (Ya que coplas componéis ; En lo sucio que has cantado ; Dime, Esguevilla), composte nel 1603, 729 e – in particolare – il Sueño del Juicio Final – o Sueño de las calaveras, scritto, forse, a Valladolid nel 1604 e già in circolazione in più copie manoscritte prima dei 1605. 730 (Fra Quevedo e Fray Baltasar Navarrete – probabile autore della Pícara Justina – sussisteva molto probabilmente anche una conoscenza personale dati gli stretti rapporti del domenicano con l’Università pinciana, presso la quale insegnava e presso la quale il poeta studiò teologia dall’autunno del 1602 al 1605.) È possibile che l’autore della Pícara Justina, che della narrativa picaresca ricorda unicamente il Guzmán de Alfarache 731 e il Lazarillo, 732 conoscesse  



   































721   Cfr. Francisco de Quevedo : Obra poética. Edición de J. M. Blecua. II, pp. 70-75 (nro. 620), pp. 75-77 (nro. 621), pp. 146-148 (nro. 645), pp. 160-162 (nro. 652), pp. 175-182 (nro. 660). 722   Cfr. Francisco de Quevedo : Obra poética. Edición de J. M. Blecua. II, pp. 77-87 (nro. 622), pp. 87-91 (nro. 623). 723   Cfr. Romancero General. Edición, Prólogo e Índices de Ángel González Palencia II, pp. 347-348 (nro. 1.371). – Francisco de Quevedo : Obra poética. Edición de J. M. Blecua. II, pp. 467-475 (nro. 736). 724   Cfr. Francisco de Quevedo : Obra poética. Edición de J. M. Blecua. III, pp. 131-136 (nro. 780), pp. 136-139 (nro. 781). 725   Miguel de Madrigal : Segunda parte del Romancero General y Flor de diversa poesía. Edición de Joaquín de Entrambasaguas. Tomo I [- Tomo II] (= Biblioteca de antiguos libros hispánicos. Serie B, Vol. III [- Vol. IV]). Madrid : C.S.I.C. 1948, p. 7. In questa edizione i tre romances di Quevedo si trovano nel tomo II, rispettivamente, alle pp. 167-171, 43-47 e 52-55. 726   Francisco de Quevedo : Obra poética. Edición de J. M. Blecua. II, pp. 264-270 (nro. 687). 727   P. Jauralde Pou : Francisco de Quevedo (1580-1645), p. 144. 728   Francisco de Quevedo : Obra poética. Edición de J. M. Blecua. III, pp. 139-147, nro. 782. 729   Cfr. Francisco de Quevedo : Obra poética. Edición de J. M. Blecua. III, pp. 228-230 (nro. 826), pp. 231-237 (nro. 827), pp. 238-239 (nro. 830). 730   Cfr. Francisco de Quevedo Villegas : Sueños y Discursos. Edición de James O. Crosby, I, pp. 64-67, p. 327 ; II, pp. 927-928. – P. Jauralde Pou : Francisco de Quevedo, p. 134. 731   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « PROLOGO AL LECTOR. EN EL QVAL DEclara el Autor el intento de todos los tomos, y libros, de la Picara Iustina », fo. [A 6v-A7r] (“el libro del Picaro tan reciuido”). – « Prologo summario de ambos los tomos, de la Picara Iustina », fo. [A 9r]). – « INTRODVCCION GENERAL, PARA TODOS los tomos y libros. Escrita de mano de Iustina. Intitulada la Melindrosa Escriuana. DIVIDESE ESTA INTRODVCCION en tres numeros. Numero segundo [tercero !]. Del melindre a la culebrilla », p. 30. – « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO DE la Picara Romera. Capitulo. IIII. De la romera de Leon. Numero tercero de la romera enuergonzante », p. 93 ([Nota marginale : “El Picaro Alfarache loado”] “Bien dize el Picaro mi señor, Que nadie cree quan sabrosa es la vida del picaro pobre, si vna vez le paladean con ochauo tras ochauo”). – « TERCERA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO De la Picara Romera. Capitulo primero. De la mirona gustosa. Numero 2. del barbero embobado », p. 133. – « TERCERA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO De la Picara Romera. Capitulo 4. de la partida de Leon. Numero primero de la despedida de Sancha », p. 166 (“no quiero predicar, porque no me digan que me bueluo picara a lo Diuino, y que me passo de la tauerna a la Yglesia” – maliziosa allusione velata alle digressioni moraleggianti del Guzmán de Alfarache). – « TERCERA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO De la Picara Romera. Capitulo 4. de la partida de Leon. Numero tercero, de los trajes de Montañeses y Coritos », p. 180 (« Sextillas vnisonas de nombres y verbos cortados »). 732   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « Prologo summario de ambos los  































































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anche il Buscón. 733 L’opera è stata, infatti, scritta, como fondatamente ha sostenuto Fernando Lázaro Carreter, “en un periodo de tiempo inmediatamente anterior a 1604” ; 734  

   

tomos, de la Picara Iustina », fo. [A 9r]. – « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO DE la Picara Romera. Capitulo III. De las dos cartas graciosas », p. 64. – « TERCERA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO De la Picara Romera. Capitulo 4. de la partida de Leon. Numero 2. del desenojo astuto », p. 172. – « TERCERA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO De la Picara Romera. Capitulo 4. de la partida de Leon. Numero tercero, de los trajes de Montañeses y Coritos », p. 180 (« Sextillas vnisonas de nombres y verbos cortados »). – « LIBRO TERCERO DE LA PICARA PLEYTISTA. Capitulo segundo, de la Marquesa de las Motas », p. 207 : “Con este tratillo muerto vine a reuiuir y juntar muy buenos Reales, con que hize mis negocios, passando como Marquesa, y de lo restante comprè vna borrica que me costo veynte ducados (que las borricas de aquella tierra andan muy subidas.) Esta di a comision a vn aguador por vn real y de comer cada dia, y el saco en condicion que las fiestas gozasse de los alquileres de traginar dueñas honradas, y corriasele el oficio...”. 733   Antonio Rey Hazas dice che non sa se López de Úbeda conosceva il Buscón, ma ritiene “posible” che lo conoscesse. Cfr. Antonio Rey Hazas : Parodia de la retórica y visión crítica del mundo en « La Pícara Justina », p. 217. 734   Fernando Lázaro Carreter : « Estudio preliminar ». In : Francisco de Quevedo : La vida del Buscón llamado Don Pablos. Edición crítica y estudio preliminar de F. L. C., pp. IX-LXXVIII ; qui p. LIV. – Fernando Lázaro Carreter : Originalidad del Buscón. In : F. L. C. : Estilo barroco y personalidad creadora. Salamanca : Anaya 1966, pp. 109-141 ; qui pp. 117-122. Cfr. anche Pablo Jauralde Pou : Francisco de Quevedo (1580-1645), pp. 131-133. Gonzalo Díaz Migoyo sostiene invece che il termine a quo della composizione del Buscón sia il 1608, fondandosi soprattutto sulla “disputa histórica de Quevedo con Pacheco de Narváez en 1608, tan semejante a la relatada en la novela”. Cfr. Gonzalo Díaz Migoyo : Las fechas del Buscón. In : Alfonso Rey (Editor) : Estudios sobre el Buscón. Pamplona : EUNSA. Ediciones Universidad de Navarra 2003, pp. 19-36 ; qui p. 31. In un saggio precedente Gonzalo Díaz Migoyo aveva parlato di “incidente histórico” avvenuto “en casa del condestable [ !] de Castilla”, confondendo il “Presidente de Castilla”, di cui parla la sua fonte (Pablo Antonio de Tarsia), con il Condestable de Castilla, dignità che da oltre un secolo era vincolata alla casata dei Velasco, Duchi di Frías. Cfr. Gonzalo Díaz Migoyo : Las fechas en y de El Buscón de Quevedo. In : Hispanic Review 48 (1980), 171-193 ; qui pp. 175-176. Ecco la relazione del “fatto storico”, o “incidente storico”, cui si riferisce Gonzalo Díaz Migoyo, senza neppure porsi il problema della sua veridicità : “Hallòse Don Francisco en vn concurso de los mayores Señores de la Corte en casa del Presidente de Castilla, donde se arguyò sobre las cien conclusiones de la destreza de las armas, que sacò Don Luis Pacheco de Naruaez, Maestro, que fue del Rey nuestro Señor en esta profession, y mayor en los Reynos de España ; y despues de auer discurrido algunos, è impugnado las conclusiones, saliò Don Francisco contradiziendo la que en vn genero de acometimiento dezia no auer reparo, ni defensa ; y para la prueba, combidò al Maestro, à que tomasse con èl la espada ; el qual, aunque lo reusaua, alegando, que la Academia se auia juntado para pelear con la razon, y no con la espada, obligaronle sin embargo los Señores à salir con ella, y al primer encuentro le diò Don Francisco en la cabeça, derribandole el sombrero. Retiròse el Naruaez algo enojado del sucesso ; y Don Francisco, para saçonar la fiesta, dixo : Probò muy bien el señor D. Luis Pacheco la verdad de su conclusion, que à auer reparo en este acometimiento no le pegàra yo” (Pablo Antonio de Tarsia : Vida de don Francisco de Quevedo y Villegas, pp. 59-60). Fra questo episodio ‘storico’ della disputa – in realtà un vero assalto di spada – di Quevedo con Pacheco de Narváez e l’episodio dell’incontro di Pablos con l’autore del Libro de las Grandezas de la Espada (1600), narrato nel Buscón (Libro II, Cap. I), non vi è alcuna somiglianza. Cade quindi l’argomento della “precedencia del hecho histórico respecto del ficticio” (Gonzalo Díaz Migoyo, p. 31). Si deve inoltre notare che la ‘storicità’ dell’episodio riferito da Pablo Antonio de Tarsia, piuttosto agiografo – incline all’invenzione romanzesca ed in particolare ad immaginare fantasiosi duelli di Quevedo per trasformarlo in una figura eroica (p. 58 : “en el valor le dieron renombre de Marte” !) – che biografo, è tutt’altro che sicura e che vi sono invece non solo “motivos para dudar de su autenticidad” ( J. O. Crosby : Notas al texto. In : Quevedo : Sueños y Discursos. Edición de J. O. C. II, p. 988), ma fatti concreti che dimostrano la sua falsità. L’episodio è ambientato nella casa del Presidente del Consejo Real de Castilla durante la riunione di una Accademia. Pablo Antonio de Tarsia non specifica né l’anno in cui avvenne lo scontro fra Quevedo e Pacheco de Narváez, né il nome del Presidente del Consejo Real de Castilla. È stato Aureliano Fernández Guerra a fissare, nella sua edizione delle Obras di Quevedo (B. A. E. XXIII, p. XLIV), come data la primavera del 1608, l’anno in cui erano uscite a Madrid le Cien conclusiones, e a ritenere che il Presidente fosse il Conte di Miranda. Ma D. Juan de Zúñiga Avellaneda y Cárdenas, Conte di Miranda e I Duca di Peñaranda, molto malato da tempo, aveva lasciato Madrid nel febbraio del 1608 e si era ritirato ad Alcalá, come ci informa Cabrera de Córdoba, che nella relazione datata “De Madrid 16 de Febrero 1608 da Madrid” scrive : “Habia muchos dias que el conde de Miranda procuraba licencia de S. M. para irse á recoger, por estar muy impedido de sus achaques, y no poder acudir á las obligaciones que tenia por su cargo, y siempre se le ha defendido sin aprovecharle decir que conocia se iba muriendo ; y el miércoles de esta semana se salió á la sorda en silla de manos para Alcalá, donde estará esta cuaresma, y dicen se hará una fuente en el brazo, y hay duda si volverá ó se irá á su casa de Peñaranda”. Il  



































































































il contesto letterario della pícara justina

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Conte non tornerà più a Madrid. Ancora Cabrera de Córdoba annota il 15 marzo nelle sue Relaciones : “El conde de Miranda está en Alcalá tratando de su salud, la cual trae tan quebrada como cuando estaba aqui, y hoy se habia de hacer una fuente en el brazo, y estos dias se habia aparejado con sangrías y purgas para ello : quiera Dios mejore con esto, que mucho se teme no le ha de ser de provecho, por estar muy gastado el sugeto y con muchos achaques, y que todavia le aprieta el de la orina, y asi se cree que no volverà al cargo de presidente, sino se halla con mucha mejoría.” In effetti il Conte di Miranda non accetterà di tornare ad esercitare l’ufficio di Presidente del Consejo Real de Castilla, come ancora una volta Cabrera de Córdoba scrupolosamente ci fa sapere (“De Madrid 12 de Abril 1608”) : “El conde de Miranda está todavía en Alcalá y se halla mejor despues que le abrieron la fuente en el brazo, y le han ido á ver todos los señores y ministros de esta Córte, desde el duque de Lerma, el cual le fue á persuadir la vuelta al cargo de presidente ; pero de ninguna manera lo ha querido aceptar, y así le declaró la voluntad de S. M. que era proveer en su lugar al Patriarca Inquisidor General, con retencion de ambos cargos, y se entiende que tomará la posesion de la presidencia de Castilla muy presto”. D. Juan Bautista Acevedo, Vescovo di Valladolid e Inquisitore Generale prese effettivamente possesso della presidenza due giorni dopo, il 14 aprile. Il Conte di Miranda da Alcalá si recò a Peñaranda (Cabrera, “De Madrid 7 de Junio 1608 : “El conde de Miranda se partió el lunes de esta semana para su tierra, el cual dicen salió de Alcalá con mas salud que habia entrado allí. Escribesele ya duque de Peñaranda y conde de Miranda, por la merced que el Rey le ha hecho del título de duque.”). In realtà il Conte di Miranda non si riprese più e morì a Peñaranda il 4 settembre 1608 (Cabrera : Relaciones, pp. 331-332, p. 333, p. 335, p. 337, p. 341, p. 349. – Gil González D’Avila : Teatro de las grandezas de la Villa de Madrid, p. 382). Il suo successore, D. Juan Bautista Acevedo, non godeva di migliore salute (Cabrera, “De Madrid 7 de Junio 1608 : “está tan malo de la orina y otros achaques, que se duda de su vida”) e morì il 9 luglio 1608 (Cabrera : Relaciones, p. 342, p. 344). La Presidenza del Consejo Real de Castilla fu allora affidata a D. Pedro Manso, prima Alcalde de Corte e successivamente Presidente della Cancelleria di Valladolid, che a causa di una sua grave “enfermedad de melancolia” sarà giubilato nell’ottobre del 1610 (morirà il 30 novembre 1610) e sostituito con Juan de Acuña (Cabrera : Relaciones, p. 346, p. 418, p. 420, p. 422, p. 426). Come si vede il Conte di Miranda non si trovava a Madrid nella primavera del 1608, né farà mai più ritorno alla Corte. Inoltre né lui, malato gravissimo, né tantomeno gli altri due Presidenti, non meno gravemente malati e per di piú lontanissimi per professione e origine sociale da Accademie e da materie cavalleresche come la scherma, potevano avere voglia e interesse o essere in grado d’invitare “los mayores Señores de la Corte” per discutere sulle Cien conclusiones o formas de saber la verdadera destreza fundada en ciencia di Luis Pacheco de Narváez. Questa operetta rarissima, nota allo stesso Cristóbal Pérez Pastor (Bibliografía Madrileña II, p. 144, nro. 1014) solo grazie alla Bibliotheca Hispana Nova (II, p. 57) di Nicolás Antonio, nessuno degli studiosi di Quevedo – neppure Gonzalo Díaz Migoyo – l’ha vista. Noi – sperando di poter accertare in quale mese del 1608 fosse uscita – l’abbiamo cercata, reperita e letta. Non vi abbiamo però trovato – essendo priva di ‘approvazioni’, licenza, ‘tassa’ e colofone – nessuna data al di fuori di quella apposta sul frontespizio. La dedica dell’operetta “Al Reino de Castilla Junto en Cortes” contiene un indizio cronologico, che però non è di alcuna utilità. Le Cortes castigliane, impegnate a prorogare il servicio de millones già dal 1607, erano ancora riunite nel novembre del 1608 (“Hase otorgado por los procuradores de Córtes – annota Luis Cabrera de Córdoba il 22 novembre 1608 – la escritura de la concesión de los nuevos millones”). Cfr. LAS CIEN | CONCLVSIONES, O | formas de saber de la verdade- | ra Destreza, fundada en sciencia : y deziocho | contradiciones a las tretas dela Destreza comun : | Por don Luis Pacheco de Naruaez, Sargento ma | yor de la Isla de Fuerteuentura. Sustentaranse en | modo escholastico y demostratiuo, donde, y quando los se- | ñores Procuradores del Reyno, Comissarios don Pedro de | Granada, don Geronimo Manrique y don Garcia del | Hoyo ordenaren. ¶ Defenderalas don | Alonso de Villegas. | DIRIGIDAS AL REYNO DE CASTILLA | Junto en Cortes. | [Scudo del Regno di Castiglia] | [Linea tipografica] | Impresso En Madrid, Año de 1608 (Madrid, Biblioteca Nacional : R/ 31506). Comunque sia, ancor prima della “disputa histórica de Quevedo con Pacheco de Narváez en 1608”, e precisamente nel 1605, Quevedo aveva attaccato nel Sueño del Juycio il “Maestro de Esgrima” (Quevedo : Sueños y Discursos. Edición de J. O. Crosby I, p. 135 ; II, pp. 985-988). Non era quindi necessario che un “hecho histórico” (Gonzalo Díaz Migoyo) precedesse quello fittizio. Le pagine del Buscón su Luis Pacheco de Narváez non sono state generate da un’avversione maturata in seguito al presunto scontro in casa del Presidente del Consejo Real de Castilla, ma dall’avversione che nutriva Quevedo per la sua teoria della scherma. Sui rapporti fra Quevedo e Luis Pacheco de Narváez, cfr. Pablo Jauralde Pou : Francisco de Quevedo (1580-1645), pp. 193-196. Non possiamo dilungarci ulteriormente sul problema della data della stesura del Buscón. Vorremmo qui soltanto richiamare l’attenzione su un indizio molto importante per stabilire questa data. Questo indizio è rappresentato dalle note e numerose coincidenze esistenti fra il Buscón e El Guitón Onofre (la dedica a Don Carlos de Arellano y Navarra è datata “De Alcanadre y ... de 1604”), che costituiscono per Fernando Cabo Aseguinolaza la prova di “una relación directa” fra le due opere e che hanno fatto affermare a Francisco Rico che la narrazione picaresca di Gregorio González è il “testimonio básico” del fatto che “el Buscón se compuso y circuló hacia 1604”. Cfr. Fernando Cabo Aseguinolaza : « Introducción » a : Gregorio González : El Guitón Onofre. Edición a cargo de F. C. A., pp. 15-49 ; qui p. 19 . – Francisco Rico : Puntos de vista. Posdata a unos ensayos sobre la novela picaresca. In : Edad de Oro 3 (1984), 227-240 ; qui p. 234 e p. 234, nota nro. 11. Condividiamo pienamente l’affermazione di Francisco Rico e riteniamo priva di fondamento l’ipotesi, avanzata da alcuni studiosi, che sia stato il Guitón Onofre ad influenza 

















































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capitolo viii

forse la sua prima redazione era stata iniziata già nel 1602/1603. 735 (La Pícara Justina potrebbe essere considerata addirittura uno degli indizi a favore della tesi che situa la stesura del Buscón intorno al 1602-1603.) Numerose sono le corrispondenze e le omologie esistenti fra la Pícara Justina e il Buscón. Vistosa è la somiglianza esistente fra la figura di Don Toribio 736 e la figura di Machuca, il pretendente di Justina, prima vestito poveramente, 737 con “harapos dignos del Don Toribio”, 738 e poi travestito da penitente flagellante. L’episodio di Machuca, al quale i monelli tirano “varro y terrones ... como si fuera encoroçado”, 739 ricorda inoltre  









re il Buscón. Non perché escludiamo che un’opera di valore letterario inferiore possa influenzare un’opera di grande valore (è, per esempio, chiara l’influenza esercitata proprio sul Buscón dalla Segunda parte de la vida del pícaro Guzmán de Alfarache di Juan Martí), ma perché non vi è alcuna prova della notorietà di Gregorio González e della diffusione del suo romanzo picaresco al di fuori del piccolo señorío di Alcanadre della famiglia Arellano Navarra, mentre è conosciuta la grande notorietà del giovane Quevedo e l’intensissima circolazione delle sue prime opere, documentata dai tre manoscritti pervenutici del Buscón e dai numerosissimi manoscritti di tanti altri suoi scritti. Ricordiamo infine che Quevedo, rispondendo ad una invettiva, nella quale era schernito come “el gran maestro de Buscones” e si affermava che “no son los « breves » Sueños ni Buscones / para engañar el tiempo / con excusado ocioso pasatiempo”, scriveva che “los Sueños y otras burlas ... libros son de mi niñez y mocedad”. Essendo stati scritti i primi tre Sueños dal 1604 all’aprile del 1608, si potrebbe azzardare l’ipotesi che Quevedo ascriva questi al periodo della mocedad e le burlas, fra le quali annovera il Buscón, che per la prima e unica volta – sia pur senza nominarlo esplicitamente – riconosce come suo, al periodo della ‘niñez’. Cfr. Valerio Vicencio (Fray Gaspar León de Tapia ?) : Al Poema delírico de don Francisco de Quevedo contra el patronato de la gloriosa virgen santa Teresa (1628). In : Francisco de Quevedo y Villegas : Obras completas. Textos genuinos del autor, descubiertos, clasificados y anotados por Luis Astrana Marín. Edición crítica. Obras en verso, pp. 983-989 ; qui p. 984 e p. 987. – Francisco de Quevedo y Villegas : Su espada por Santiago. In : F. de Q. : Obras completas. Edición de Felicidad Buendía. Obras en prosa. Madrid : Aguilar 1979, pp. 450-501 ; qui p. 498. Nello studio premesso alla sua utilissima edizione critica delle quattro versioni dell’opera di Quevedo, Alfonso Rey sostiene che non vi sono “indicios de que el Buscón hubiese gozado de la menor popularidad antes de ser impreso en 1626, pues las huellas que dejó en otros autores son, como señaló Chevalier tardías.” E ancora : “Resulta poco cauto ... dar por sentado que el Buscón circuló en numerosas copias manuscritas y que fue leído e imitado antes de su publicación en 1626 porque, a día de hoy, nadie ha podido aducir pruebas de tal difusión.” Cfr. Alfonso Rey : « El problema textual del Buscón ». In : Francisco de Quevedo : El Buscón. Edición crítica de las cuatro versiones por A. R. Madrid : C.S.I.C. 2007, pp. XI-LXII ; qui p. XIII, pp. LIV-LV. Né Alfonso Rey né Maxime Chevalier (Quevedo y su tiempo : la agudeza verbal, pp. 190-196) affrontano il problema costituito dal Guitón Onofre, che neppure menzionano. La stessa esistenza dei tre manoscritti pervenutici del Buscón potrebbe poi essere legittimamente considerata come un indizio, se non addirittura come una prova, della sua popolarità. 735   Cfr. P. Jauralde Pou : Francisco de Quevedo (1580-1645), p. 125 e p. 131. – Pablo Jauralde Pou : [« Introducción »] a : Francisco de Quevedo : Historia de la vida del Buscón llamado Don Pablos, ejemplo de vagamundos y espejo de tacaños. Edición de P. J. P. (= Francisco de Quevedo : Obras completas en Prosa. Volumen segundo. Tomo segundo. Dirección de Alfonso Rey. Madrid : Castalia 2007), pp. 529-546. 736   Francisco de Quevedo : La vida del Buscón llamado Don Pablos. Edición crítica y estudio preliminar de Fernando Lázaro Carreter, pp. 148-153. 737   “[...] le vi vn dia con vnas calças, que para no perderse el pie y pierna al embocarse en ellas, era menester vna guia de hilo a hilo, los gregescos tan repelados, que mas trahia gesto de toreador acornado, que de pretendiente amoroso : sayo y capa de la misma muerte [suerte]” (Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO QVARTO DE LA PICARA NOBIA. CAPITVLO SEGVNDO Del pretensor disciplinante », p. 11). 738   Marcel Bataillon : Pícaros y picaresca, pp. 43. Poco più avanti il grande ispanista scrive : “El menos inadecuado de los términos de comparación es Quevedo, siempre que pensemos en Los Sueños y en las bromas de la juventud estudiantil al mismo tiempo que en El Buscón. Sólo que la autobiografía de Pablillos de Segovia trata de conseguir un ritmo de vida auténtico mientras que Justina se desentiende de ello” (p. 44). Sulla somiglianza fra la figura di Machuca e quella di Don Toribio, Luc Torres (Discours festif, p. 215) osserva : “Bon nombre des critiques de La Pícara Justina ont voulu associer la description de Machuca à celle que fait Quevedo de Don Toribio dans le Buscón. On trouve effectivement plusieurs points communs : le drap de Rouen du prétendant et l’habit militaire des courtisans comme masque grotesque de leur pauvreté, la description dénaturante de la garde-robe habituelle de Machuca et celle de don Toribio, leur revendication outrée de l’ascendance paternelle. Cependant, la satire religieuse est absente du personnage de don Toribio où seule prédomine la critique du type social de l’hidalgo pauvre”. 739   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO QVARTO DE LA PICARA NOBIA. CAPITVLO SEGVNDO Del pretensor disciplinante », p. 16.  













































































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l’episodio nel quale a Pablillos, “rey de gallos”, le verduraie tirano melanzane, navoni, carote e altri ortaggi, e il ragazzino, spaventato, incomincia a dire “Hermanas, aunque llevo plumas, no soy Aldonza de San Pedro, mi madre”, 740 pensando scioccamente di essere stato scambiato per la madre, che come “obispa”, 741 cioè encorozada, era stata bersagliata anch’essa con melanzane ed aveva subito la pena dell’emplumamiento inflitta alle streghe. 742 Altrettanto vistosa è l’affinità esistente fra la tecnica – la Zerstücklungstechnik, la tecnica dello smembramento del corpo illustrata da Leo Spitzer 743 – impiegata nel disegnare i ritratti burlesco-grotteschi del Buscón 744 (ritratto del “caballo ético y mustio”, 745 del Licenciado Cabra, del “mulatazo”, 746 del “mulato zurdo y bizco” 747) e la tecni 















740   Francisco de Quevedo : La vida del Buscón llamado Don Pablos. Edición crítica y estudio preliminar de Fernando Lázaro Carreter, pp. 28-29. Il ritratto della madre di Pablos ricorda un poco quello della “vieja morisca”, forse perché entrambe sono streghe : “[Mi padre] Estuvo casado con Aldonza de San Pedro, hija de Diego de San Juan y nieta de Andrés de San Cristóbal. Sospechábase en el pueblo que no era cristiana vieja, aunque ella, por los nombres y sobrenombres de sus pasados, quiso esforzar que era decendiente de la letanía. [...] Mi madre, pues, no tuvo calamidades. Un día, alabándomela una vieja que me crió, decía que era tal su agrado, que hechizaba a cuantos la trataban. Sólo diz que se dijo no sé qué de un cabrón y volar, lo cual la puso cerca de que la diesen plumas con que lo hiciese en público. Hubo fama que reedificaba doncellas, resucitaba cabellos encubriendo canas. Unos la llamaban zurcidora de gustos ; otros, algebrista de voluntades desconcertadas, y por mal nombre alcagüeta. Para unos era tercera, primera para otros, y flux para los dineros de todos. [...] No me detendré en decir la penitencia que hacía. Tenía su aposento [...] todo rodeado de calaveras que ella decía eran para memorias de la muerte, y otros, por vituperarla, que para voluntades de la vida. Su cama estaba armada sobre sogas de ahorcados, y decíame a mí : - « ¿Qué piensas ? Estas tengo por reliquias, porque los más déstos se salvan »”. Non è tutto. Nella lettera di Alonso Ramplón al nipote Pablos veniva completato così il ritratto di Aldonza de San Pedro : “[...] vuestra madre [...] está presa en la Inquisición de Toledo, porque desenterraba los muertos sin ser murmuradora. Dícese que daba paz cada noche a un cabrón en el ojo que no tiene niña. Halláronla en su casa más piernas, brazos y cabezas que en una capilla de milagros. Y lo menos que hacía era sobrevirgos y contrahacer doncellas” (Francisco de Quevedo : La vida del Buscón llamado Don Pablos. Edición crítica y estudio preliminar de Fernando Lázaro Carreter, pp. 16-18, pp. 92-93). La “vieja morisca” è ritrattata cosí : “[...] vna Morisca, vieja hechizera, experta, bisabuela de celestina [...]. De la gente en procession se espantaua y huya y quando auia truenos, se salia a la calle. Si passaua el Sacramento, luego tenia en que entender, en algun retrete : y si auia vn ahorcado se desceruigaua por mirarle, y hasta perderle de vista le hazia ventana, que era pura dama de ahorcados. El dia que los auia era el dia de sus plazeres, y con ser coja, todos aquellos tres dias siguientes, no coxeaua, antes con gran prisa salia todas aquellas tres noches de casa, lo cierto era que no yua a rezar por ellos, sino que la primer noche traya los dientes que podia, la segunda de la soga, y la tercera hazia conjuros al pie de la horca, que demonio ? Dauala osadia el diablo, que es el maesso destas obras. Era cosa particular el agua que gastaua en lauatorios y cozimientos. Malditas sean personas que tan sin gusto, ni honra, ni prouecho se dexan engañar del diablo. Siempre yo entendi della que era bruxa, y no me engañaua porque ella hazia vnos vnguentos, y vnos ensalmos que no era possible ser otra cosa” (Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO TERCERO DE LA PICARA PLEYTISTA. Capitulo tercero de la vieja Morisca », p. 209, p. 211). 741   Francisco de Quevedo : La vida del Buscón llamado Don Pablos. Edición crítica y estudio preliminar de Fernando Lázaro Carreter, p. 22 (“Yo le tiré dos berenjenas a su madre cuando fue obispa”). 742   In una pagina precedente, sopra più estesamente trascritta, era stato detto che la madre aveva solo rischiato di subire l’emplumamiento : “se dijo no sé qué de un cabrón y volar, lo cual la [mi madre] puso cerca de que la diesen plumas con que lo hiciese en público” (Francisco de Quevedo : La vida del Buscón llamado Don Pablos. Edición crítica y estudio preliminar de Fernando Lázaro Carreter, p. 17). 743   Leo Spitzer : Zur Kunst Quevedos in seinem Buscón, pp. 539-540. A proposito del Licenciado Cabra, Leo Spitzer nota, che “die Gestalt nicht als ein Organismus, gleichsam wie aus deren Innerem heraus, gesehen ist, sondern zusammengestellt aus Teilen, einzelnen Zügen, die gesondert geschaut worden sind : der ‚Zug’ ist aber etwas aus einem Organismus Herausisoliertes, Atomisiertes, sprachlich Benanntes – so kann die Summe von Zügen doch nur einen Automaten geben“ (p. 535). 744   Sui ‘ritratti’ grotteschi nelle opere di Quevedo, cfr. James Iffland : Quevedo and the Grotesque. London : Tamesis Books 1978-1983, 2 voll. (v. in particolare il capitolo dedicato al Buscón : II, pp. 76-140). 745   Francisco de Quevedo : La vida del Buscón llamado Don Pablos. Edición crítica y estudio preliminar de Fernando Lázaro Carreter, pp. 26-27. 746   Francisco de Quevedo : La vida del Buscón llamado Don Pablos. Edición crítica y estudio preliminar de Fernando Lázaro Carreter, p. 105. 747   Francisco de Quevedo : La vida del Buscón llamado Don Pablos. Edición crítica y estudio preliminar de Fernando Lázaro Carreter, pp. 136-137.  

















































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capitolo viii

ca impiegata nel disegnare i ritratti burlesco-grotteschi della Pícara Justina 748 (ritratto del “tocinero enamorado”, della “sotadera”, 749 di Marcos Méndez Pavón, 750 del “soldadillo Leones”, 751 di Sancha Gómez, degli “Asturianos llamados coritos”, 752 di Maximino de Umenos 753). Si confrontino, per esempio, il ritratto del Licenciado Cabra con i ritratti di Juan Pancorvo, il “tocinero enamorado”, e di Sancha Gómez :  













El era un clérigo cerbatana, largo sólo en el talle, una cabeza pequeña, pelo bermejo (no hay más que decir para quien sabe el refrán 754), los ojos avecindados en el cogote, que parecía que miraba por cuévanos, tan hundidos y escuros, que era buen sitio el suyo para tiendas de mercaderes ; la nariz, entre Roma y Francia, porque se le había comido de unas búas de resfriado, que aun no fueron de vicio porque cuestan dinero ; las barbas descoloridas de miedo de la boca vecina, que, de pura hambre, parecía que amenazaba a comérselas ; los dientes, le faltaban no sé cuántos, y pienso que por holgazanes y vagamundos se los habían desterrado ; el gaznate largo como de avestruz, con una nuez tan salida, que parecía se iba a buscar de comer forzada de la necesidad ; los brazos secos, las manos como un manojo de sarmientos cada una. Mirado de medio abajo, parecía tenedor o compás, con dos piernas largas y flacas. Su andar muy espacioso ; si se descom 













748   Cfr. Maxime Chevalier : Quevedo y su tiempo, pp. 135-136. – Luc Torres : Discours festif, pp. 423-444 . Monique Joly, che dedica una vasta analisi alla figura della mesonera nella Pícara Justina, nel Marcos de Obregón e in altre opere (La bourle et son interpretation, pp. 394-446), scrive che “les comparaisons, hyperboles ou métaphores développées à propos de l’hôtesse appartiennent toutes … au domaine spontanément conceptiste de la caricature burlesque” (p. 397). 749   “[...] las cantaderas de Señor [Sant] Marciel, lleuauan por guia delante de si vna que llamauan la Sotadera la cosa mas vieja y mala, que vi en toda mi vida [...]. La cara pense visiblemente que era hecha de pellejo de pandero ahumado. La facion del rostro puramente como cara pintada en pico de jarro, en [vn] pescueço de tarasca, mas negro que tasajo de macho, vnas manos embesadas, que parecian auerlas tenido en cecina tres meses...” (Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO DE la Picara Romera. Capitulo quarto [segvndo !] del fullero burlado. Numero primo de la del penseque », p. 35). 750   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO DE la Picara Romera. Capitulo III. De las dos cartas graciosas », p. 64. Luc Torres osserva che nel ritratto che Justina fa di Marcos Méndez Pavón, la “pícara de Mansilla commence par employer un style qui rappelle quelques descriptions impitoyables de Quevedo” (Discours festif, p. 322). 751   “Encontrome vn soldadillo Leones, donosa figura, trahia vn alpargate, y calça de lienço, vn gregesco de sarga, o per mejor dezir arjado [sarjado : sajado] de puro roto, y descosido, vna ropilla frayleña, que de puro manida parecia de papel de estraça, vn sombrero tan alicaydo como pollo mojado, vna capa Española, aunque segun era vieja, y mala, mas parecia de la Prouincia de picardia, vn cuello mas lazio que oja de rauano trasnochado, y mas suzio que paño de colar tinta, vna espada del cornadillo, en vna vayna de orillos. Era pequeño, azogado, inquieto, bullicioso, y gran vachiller, otro segundo melado” (Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « TERCERA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO De la Picara Romera. Capitulo primero. De la mirona gustosa. Numero 2. del barbero embobado », p. 131). Encarnación Juárez Almendros scrive che questa figura di soldato è “de especial interés por recordarnos muy de cerca el estilo caricaturesco quevediano en La vida del Buscón”. Cfr. Encarnación Juárez Almendros : El cuerpo vestido y la construcción de la identidad en las narrativas autobiográficas del Siglo de Oro, p. 118. 752   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « TERCERA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO De la Picara Romera. Capitulo 4. de la partida de Leon. Numero tercero, de los trajes de Montañeses y Coritos », pp. 287 [182 !] (glossa marginale) – 183. Luis Vélez de Guevara (El diablo cojuelo, pp. 203-204) ricorderà gli acquaiuoli galiziani e asturiani nelle cui mani si trovava, in gran parte, il commercio dell’acqua a Madrid : “ésa es la Puerta del Sol y la plaza de armas de la mejor fruta que hay en Madrid. Aquella bellíssima fuente de lapislázuli y alabastro es la del Buen Suceso, adonde, como en pleito de acreedores, están los aguadores gallegos y coritos gozando de sus antelaciones para llenar de agua los cántaros.” 753   “El primer pretendiente mio (a lo menos de los primeros) fue vno tan faltoso de hazienda y traça, quan sobrado de amor y buen despejo, mozito espigado, barbiponiente, bermejuelo, pintojo, espadachin, no mal talle, sino que tenia la cabeça chica, que parecia porra de llaues, señal de poco seso, y la cara oyosa de viruelas, tal que parecia molde de picar botas, llamauase Maximino de Vmenos (y aun era menos de lo que parecia [)]” (Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO QVARTO DE LA PICARA NOBIA. CAPITVLO PRIMERO, del pretendiente tornero, llamado Maximino », p. 2). 754   “Pelo bermejo, mala carne y peor pellejo” (Gonzalo Correas : Vocabulario de refranes y frases proverbiales, p. 630).  



































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ponía algo, le sonaban los güesos como tablillas de San Lázaro. La habla ética ; la barba grande, que nunca se la cortaba por no gastar, y él decía que era tanto el asco que le daba ver la mano del barbero por su cara, que antes se dejaría matar que tal permitiese ; cortábale los cabellos un muchacho de nosotros. Traía un bonete los días de sol, ratonado con mil gateras y guarniciones de grasa ; era de cosa que fue paño, con los fondos en caspa. La sotana, según decían algunos, era milagrosa, porque no se sabía de qué color era. Unos, viéndola tan sin pelo, la tenían por de cuero de rana ; otros decían que era ilusión ; desde cerca parecía negra, y desde lejos entre azul. Llevábala sin ceñidor ; no traía cuello ni puños. Parecía, con los cabellos largos y la sotana mísera y corta, lacayuelo de la muerte. Cada zapato podía ser tumba de un filisteo. Pues su aposento, aun arañas no había en él. Conjuraba los ratones de miedo que no le royesen algunos mendrugos que guardaba. La cama tenía en el suelo, y dormía siempre de un lado por no gastar las sábanas. Al fin, él era archipobre y protomiseria. 755 Y en este numero entra vn tocinero, obligado de la tozineria de rio seco, muy gordo de cuerpo, y chico de braços, que parecia puramente cuero lleno. Vnos ojos tristes, y medio bueltos, que parecian de besugo cozido. Vna cara labrada de manchas, como labor de caldera. Vn pescueço de toro. Vn cuello de escarola esparragada. Vn sayo de nesgas, que parecia çarçera de bodega. Vnas calças redondas, con que parecia mula de alquiler, con atabales. Vnas botas de vaqueta, tan quemadas, que parecian de vidrio helado. Vna espada, con sarampion en la oja, y viruelas en la bayna. Vna capa de paño tan tosco y tiesso, que parecia cortada de tela de artesa. Con esta figura, salia mas tiesso, que si fuera almidonado. 756 ERA la dueña deste meson, viuda de dos maridos o (por mejor dezir) de marido, y fiador, 757 a cuya causa, traia vna toca roquetal, muy larga, que en razon de exceder la grauedad de su persona aquel auito, y toca, se puede creer, que la mitad de la toca era por el marido, y la mitad por el fiador. Pareciome algo coja, y no lo era, sino que las gordas siempre cojean vn poco, porque como traen tanta carne en el peso, nunca pueden andar tan en el fiel, que no se desquilate vna balança mas que otra, y esta era gorda en tanto extremo, que de quando en quando le sacauan el vnto, para que no se haogase de puro gorda. [...] la cuytada para echar el resto a sus pesadumbres, trahia vn muy grueso cordon, que mas parecia bordon, segun era duro, ñudoso, y grueso, que [y !] a los dos lados deste gordo gordon [cordon], vna bolsa y llauero de llaues, la bolsa de la echura de hueuo de abestruz, el llauero tamaño, y con tanto yerro como el incensario de Santiago. Miren si esta carga era para doblegar vna muger que parecia que constaua de solo carne momia, ò que era carne sin hueso, como carne de membrillo ? sin duda era mala vision, toda ella junta parecia roço de roble : era gorda y repolluda, no traia chapines, sino vnos çapatos sin corcho viejos, errados de ramplon con vnas duras suelas, que en piedras hazen señal, los anillos de sus manos eran berrugas, que parecian botones de coche en cortina enzerada, nariz roma, que parecia al gigante negro, los labios como de brocal de poço, gruesos y raydos, como con señal de sogas, los ojos chicos de yema, y grandes de clara, gran escopidora, que si començaua a arrancar, arrancaua los sesos desleydos en forma de gargajos. Tenia dos lunares en las dos mexillas, tan grandes, que entendi eran bolargas [botargas ?] vntadas con tinta, parecia ella por cierto en la sodomia del rostro no muy auisada, aunque para su cuento nada voba, y menos descuydada [...]. 758  



























755   Francisco de Quevedo : La vida del Buscón llamado Don Pablos. Edición crítica y estudio preliminar de Fernando Lázaro Carreter, pp. 32-34. 756   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO SEGVNDO INTITVLADO LA PICARA Romera. En que se trata la jornada de Arenillas. CAPITVLO PRIMERO, de la Romera Baylona. NVMERO SEGVNDO DEL Escudero enfadoso », pp. 124-125. 757   Julius Puyol y Alonso (Pícara Justina III, p. 180) dichiara di non sapere quale sia “el significado que la palabra fiador tiene en el texto” ; secondo María Inés Chamorro (Tesoro de villanos, pp. 401-402), che cita proprio questa frase della Pícara Justina, la parola significa “ahorcado”. 758   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « TERCERA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO De la Picara Romera. Capitulo 2. de la vizma de Sancha Gomez. Numero I. de la enfermedad, de Sancha la gorda », pp. 136-138.  











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capitolo viii

Comune all’autore del Buscón e all’autore della Pícara Justina è anche il gusto per il grottesco macabro e addirittura per il macabro orrifico. 759 Si confrontino – per esempio – la descrizione dello squartamento, dopo l’impiccagione, e dell’esposizione dei ‘quarti’ del corpo del padre di Pablos e la descrizione del banchetto antropofago in casa del boia Alonso Ramplón con la descrizione dello scempio del cadavere del padre e la descrizione della morte della madre di Justina :  



[Lettera di Alonso Ramplón a Pablos] Vuestro padre murió ocho días ha, con el mayor valor que ha muerto hombre en el mundo ; dígolo como quien lo guindó. Subió en el asno sin poner pie en estribo. [...] Llegó a la N de palo, puso el un pie en la escalera, no subió a gatas ni despacio y, viendo un escalón hendido, volvióse a la justicia, y dijo que mandase aderezar aquél para otro, que no todos tenían su hígado. No sabré encarecer cuán bien pareció a todos. Sentóse arriba, tiró las arrugas de la ropa atrás, tomó la soga y púsola en la nuez. [...] encomendóme que le pusiese la caperuza de lado y que le limpiase las barbas. Yo lo hice así. Cayó sin encoger las piernas ni hacer gesto ; quedó con una gravedad que no había más que pedir. Hícele cuartos, y dile por sepultura los caminos. Dios sabe lo que a mí me pesa de verle en ellos, haciendo mesa franca a los grajos. Pero yo entiendo que los pasteleros desta tierra nos consolarán, acomodándole en los de a cuatro. 760 En estas pláticas, vimos los muros de Segovia, y a mí se me alegraron los ojos, a pesar de la memoria, que con los sucesos de Cabra, me contradecía el contento. Llegué al pueblo y, a la entrada, vi a mi padre en el camino, aguardando ir en bolsas, hecho cuartos, a Josafad. 761  







[Banchetto in casa di Alonso Ramplón] Parecieron en la mesa cinco pasteles de a cuatro. Y tomando un hisopo, después de haber quitado las hojaldres, dijeron un responso todos, con su requiem eternam, por el ánima del difunto cuyas eran aquellas carnes. Dijo mi tío : – “Ya os acordáis, sobrino, lo que os escribí de vuestro padre”. Vínoseme a la memoria ; ellos comieron, pero yo pasé con los suelos solos, y quedéme con la costumbre ; y así, siempre que como pasteles, rezo una avemaría por el que Dios haya. Menudeóse sobre dos jarros ; y era de suerte lo que hicieron el corchete y el de las ánimas, que se pusieron las suyas tales, que, trayendo un plato de salchichas que parecía de dedos de negro, dijo uno que para qué traían pebetes guisados. Ya mi tío estaba tal, que, alargando la mano y asiendo una, dijo, con la voz algo áspera y ronca, el un ojo medio acostado, y el otro nadando en mosto : – “Sobrino, por este pan de Dios que crió a su imagen y semejanza, que no he comido en mi vida mejor carne tinta”. 762 Cerramos nuestra puerta como gente recogida, y aunque quisimos velar al difunto, no pudimos, porque el ratiño de porta alegre [il cavaliere portoghese uccisore del padre di Justina], en viendo cerrar las puertas, nos conuidô a vna muy buena cena. Mi madre (como estauamos a puerta cerrada, y sin nota) aceptô el conbite. Verdad es que le dixo. Señor somos muchas : o todas, o ninguna. El cauallero hizo a todas. Era honrado. Fuymonos. Dexamos en guarda de mi señor padre, vn perrillo que teniamos, linda pieça. Valia por seys hombres. Y assi nos parecio que para guarda, aquello era lo que hazia al caso, que para lo que es responsos y oraciones, las de sobre mesa auian de ser todas suyas. Con todo esso, el diablo del perrillo, como olio olla, y carne, començo  













759   Cfr. Bruno Mario Damiani : Notas sobre lo grotesco en La Pícara Justina. In : Romance Notes 22 (1982), 341-347. 760   Francisco de Quevedo : La vida del Buscón llamado Don Pablos. Edición crítica de Fernando Lázaro Carreter, pp. 91-92. 761   Francisco de Quevedo : La vida del Buscón llamado Don Pablos. Edición crítica de Fernando Lázaro Carreter, p. 132. 762   Francisco de Quevedo : La vida del Buscón llamado Don Pablos. Edición crítica de Fernando Lázaro Carreter, pp. 139-140.  









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a ladrar por salir, y viendo que no le abriamos, fuesse a quexar a su amo, que estaua tendido en el duro suelo. Y como vio que tampoco el se leuantaua a abrir la puerta, pensando que era por falta de ser oydo, determinò de dezirselo al oydo. Y como le parecio que no hazia caso del, ni de quanto le dezia, afrentose, y en vengança, le asio de vna oreja, y viendo que perseueraua en su obstinacion, sacola con rayzes, y todo, y trasplantola en el estomago. Con todo esso, por si era sordo de aquel oydo, acudio al otro, acordandose que suele ser respuesta de discretos, a essotra puerta, que esta no se abre. En fin acudio a la otra oreja, hizo su arenga y la misma diligencia. El perro deuio de hazer su cuenta. este està muy muerto, y mis amas muy viuas, yo muerto de hambre, y ellas de boda. Assi que sin mi hazen la boda ? Pues yo hare la mia sin ellos. Y pardiez diole de tajo, y destaxole, el cuerpo y cara, de modo que no le conociera el mismo diablo, con ser su camarada. Quando yo lleguê, y vi al perro harto de carne de mesonero, y la cara de mi padre tan descarada, y el cuerpo tan emperrado, diome lastima. Y aun yo creyera que la tenia mi madre, sino la oyera dezir. Valga el diablo tanto muerto. Donde tengo yo aora aqui, ylo, y aguja, para andar a coser muertos ? Por ay lo remendamos, aunque mal. Lo que es la carne no tuuo remiendo. Yo quisiera, quitar vnos pedaços de carne, a vn tauernero vezino : pero como mi padre era mesonero, no venia bien, remendarlo con carne de tauernero, que es remendar paño de Londres con sayal. Con esto, determinamos enterrarle muy en haz, y en paz. Mi madre era muy deuota de cosa de assador, en especial, era perdida por cosa de longaniza, y solomo. Sucedio pues, que vna noche, viendo que ciertos pedaços de longaniza medio assada, passauan carrera en la plaça de vna chiminea, y a cauallo en su assador corrian parejas con otra quadrilla de pedaços de pierna de carnero, les mandò, que vista la presente, se apeassen del assador. Los pedaços de longaniza se escusaron con dezir, que no estauan tambien assados como era razon, y que estando assi no podrian hazer cosa que fuesse de prouecho. Los otros pedaços de pierna de carnero, se excusaron, con que estauan desnudos y en piernas, y que no se podian apear sin tratarlo con su amo. Pero ella les dixo que sin embargo obedeciessen lo decretado. Ellos por via de fuerça apelaron en segunda instancia, para su amo, que era vn tocinero de Valladolid [...]. [...] Ella (vista su rebeldia) enuiste en ellos, derribalos del cauallo, y assi como estauan, metio la mayor parte dellos en la carcel del estomago, y a los otros les temblaua la contera. Ella que estaua encarniçada, vebida, y enbeuida, vele aqui el tocinero, que venia en fauor de su gente. Ella por no ser sentida, metio sin mazcar mas de dos varas de longaniza, repartida en quadrillas. Aunque mal ordenadas, y peor mazcadas. Y como toda esta gente entrò tan a prissa, por el postiguillo del gaznate, y sin auisar a la mucha gente que auia dentro, que se arredrasse, pardiez atorô la quadrilla de longaniza, de modo que ni podian 763 passar atras, ni adelante : ni ella hablar, ni respirar, porque estaua atacada, hasta la gola. Entro el tocinero, y pediale razon de si, y de su gente, mas a essotra puerta, que aquella estaua cerrada de longaniza. Y lo lindo era, que demas de estar relleno el gaznate, le sobraua fuera de la boca, vn pedaço de longaniza, que a vnos parecia sierpe de armas con la lengua fuera, a otros ahorcada, a otros vota con llaue, a otros garguelo con rauo, a otros que era boca rezien nacida sin ombligo cortado, a otros tropelista con trenzas en la boca, [a] otros culebra a boca de vibar. Solo al tocinero que le dolian, le parecia enboscada de enemigos, y cueua de ladrones, y en fin fin le parecia sepultura de su longaniza. Pedimos fauor para que aquella longaniza desocupase el passo, los criados del tocinero enojados del tuerto, que se auia echo a su amo, y del derecho que a ellos se le auia quitado, yuan a enbocarla el assador, por el gaznate, y el mas propicio, le metio la punta de vn cuerno albar, con que la maltratô, no poco. En fin quedô tan lisiada, que de harta y atormentada, de assada y assadorada, la dio dentro de quatro horas vna aplopexia, que la assô el anima, y la sacò de este mundo malo, sin lleuar mas subsidio, que la longaniza en la boca. 764  











763   Nel testo si legge chiaramente “podiã”. Julius Puyol y Alonso (Pícara Justina I, p. 123), Antonio Rey Hazas (la pícara justina I, p. 230) e Rosa Navarro Durán (Libro de entretenimiento, p. 118) leggono – o correggono tacitamente – : “podía”. 764   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO PRIMERO, INTITVLADO LA PICARA Montañesa. CAPITVLO SEGVNDO [TERCERO !] DE LA vida de el meson. NVMERO TERCERO DE LA muerte de los Mesoneros », pp. 88 [96 !]-97, pp. 101-103.  









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capitolo viii

Marcel Bataillon ha osservato che “las páginas consagradas por Justina a la muerte de sus padres y el frenesí con que en ellas se entrega a la broma sobrepasan, con mucho, los más amargos sarcasmos del Buscón”. 765 Lo stesso studioso, per il quale lo stile “ambiguo y recargado” della Pícara Justina “está más cerca del « barroquismo » del joven Quevedo que del « manierismo » del siglo anterior”, 766 scorge “una muestra del realismo burlesco que hace que el autor se asemeje al Quevedo de los Sueños y del Buscón” in questo passo già ricordato : 767  











   

[...] estos Asturianos encontre en diuersas tropas, o piaras con tales figuras, que parecian soldados del Rey longaniça, o mensajeros de la muerte de hambre, lo qual creyera qualquiera que los viera, flacos, largos[,] desnudos, y estruxados, y con guadañas al hombro... 768  

Non meno vistosa della somiglianza dei ritratti grotteschi delle due opere, è la somiglianza fra l’aspirazione all’ascesa sociale di Pablos de Segovia e quella di Justina :  

769

[Buscón] “yo, que siempre tuve pensamientos de caballero desde chiquito ...”. – “Señor, ya soy otro, y otros mis pensamientos ; más alto pico, y más autoridad me importa tener”. 770  





771

[Justina] “yo ... siempre tuue humos de cortesana”. – “en mi mesma opinion creci : crecieron mis humos, mis desdenes, mis pensamientos...”. 772 – “Mi presumpcion no era poca, pues casando con hijo de algo auia de salir de la nada en que me crie. [...] me determinê meterme a cavallera, y muger de algo”. 773  







Naturalmente l’ascesa sociale di Pablos de Segovia e di Justina non si realizza, data l’infame ascendenza di entrambi. Questo ‘determinismo biologico’ (“la picardia es herencia” ! 774) e l’estensione e l’accresciuta negatività della genealogia infame costituiscono ulteriori, importantissimi aspetti che accomunano la Pícara Justina e il Buscón. La genealogia di Justina è molto più simile a quella di Pablos de Segovia che non a quella di Lazarillo e di Guzmán de Alfarache, limitata ai soli genitori e – al confronto – molto meno infame. Sembra addirittura che l’autore della Pícara Justina abbia voluto superare Quevedo, che già aveva esteso l’albero genealogico della famiglia di Pablos – includen   

765

  Marcel Bataillon : Pícaros y picaresca, p. 36.   M. Bataillon : Los asturianos de La Pícara Justina, p. 129. 767   M. Bataillon : Los asturianos de La Pícara Justina, p. 130. Frank Wadleigh Chandler (Romances of Roguery, p. 239) aveva osservato che l’autore della Pícara Justina fu “the first to herald the brilliant burlesque of Quevedo’s Buscon”. 768   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « TERCERA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO : De la Picara Romera, Capitulo 4. de la partida de Leon. Numero tercero, de los trajes de Montañeses y Coritos », p. 183. 769   Francisco de Quevedo : La vida del Buscón llamado Don Pablos. Edición crítica de Fernando Lázaro Carreter, p. 18. 770   Francisco de Quevedo : La vida del Buscón llamado Don Pablos. Edición crítica de Fernando Lázaro Carreter, p. 94. 771   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO SEGVNDO INTITVLADO LA PICARA Romera. En que se trata la jornada de Arenillas. CAPITVLO SEGVNDO DE LA Vigornia burlada. NVMERO TERCERO DE LOS Beodos burlados », p. 181. 772   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO DE la Picara Romera. Capitulo. I. De la jornada de Leon. Numero primero, Del afeyte mal[em] pleado », p. 2. 773   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO QVARTO DE LA PICARA NOBIA. CAPITVLO QVARTO DE LAS obligaciones de amor », p. 34. 774   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO PRIMERO, INTITVLADO LA PICARA Montañesa. CAPITVLO SEGVNDO DEL abolengo alegre. Numero Primero. Del abolengo parlero », p. 56.  

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dovi un nonno (Diego de San Juan) e un bisnonno (Andrés de San Cristóbal) materni, uno zio boia (Alonso Ramplón) e un fratellino ladro – e caricato delle tinte più fosche il ritratto di Clemente Pablo e di Aldonza de San Pedro. Egli estende, infatti, la genealogia di Justina sino a comprendere i trisavoli paterni e materni e vi concentra varie nefandezze, tutta una serie di mestieri bassi e vili, o persino infami, e alcune morti ignominiose. Come già abbiamo messo in rilievo illustrando le varie interpretazioni della Pícara Justina, José Miguel Oltra Tomás ha osservato che il continuo “bromear sobre la genealogía” e le crudeli “burlas sobre la sangre y los cristianos nuevos” ricordano “al Quevedo más mordaz (paradigma obligado para las bromas y sarcasmos genealógicos)”. 775 In effetti, la rappresentazione negativa degli ebrei e dei loro discendenti è costante nella Pícara Justina. Non solo gli ascendenti di Justina, ma anche altri personaggi di origine ebraica vengono descritti con i tratti fisici e morali considerati tipici dei giudei. Cosí Pero Grullo, “Patriarcha de Ierusalem” – “judio”, come specifica, invero senza necessità, una glossa marginale –, “las narizes ... las tenia sobresalientes vn poco, y aun vn mucho”. 776 Rimasto vittima della beffa ordita da Justina, “los de la Vigornia” lo schernirono crudelmente : “No dexaron cosa que no tocassen, ni punto que no glosassen. Hasta dezirle, bien pareces Patriarchon de Ierusalem, y nacido alla : pues tan vil y cobarde naciste. Henchianlo de necio, cobarde, y pusillanime...”. 777 Il bachiller Marcos Méndez Pavón (“Tenia vn ojo rezmellado, y el parpado buelto afuera, que parecia saya de mezcla regazada, con forro de bocaci colorado, y el ojo, que parecia de besugo cozido, y no poco gastado a puro brujulear.” 778 – “nariz de alquitara, ojo de besugo cozido, pescueço de tarasca, cuerpo de costal, piernas de rastrillo, pies de mala copla”), non solo è “hijo de Cornelio Tacito por via de hembra, y por la del varon de Raby sidraque” – figlio, cioè, di un “putatiuo padre” cornuto e giudeo – e “parientes suyos [fueron], los que labraron la cruz de Christo”, ma è anche omosessuale, come gli dice chiaramente Justina ricorrendo al gergo della malavita : “Ofrecile vn quarto, pregunta si es trasero, o delantero ? el que su merced mandare, que para el tanto monta, que me dize haze a dos luzes como candil 779 de meson, y que ha estado a pique de vna plaça el y otro por ser amigos de atras, 780 y aun dizen de el que es dado a perros”. 781 Inoltre si trovano qua e là brevi, generici riferimenti dispregiativi vuoi a “vna nariz jerusalena”, 782 vuoi a “vn judio  























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  J. M. Oltra Tomás : La parodia como referente en La Pícara Justina, p. 38, p. 40.   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO SEGVNDO INTITVLADO LA PICARA Romera. En que se trata la jornada de Arenillas. CAPITVLO SEGVNDO DE LA Vigornia burlada. NVMERO SEGVNDO DEL parlamento loco », p. 169, p. 171. 777   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO SEGVNDO INTITVLADO LA PICARA Romera. En que se trata la jornada de Arenillas. CAPITVLO SEGVNDO DE LA Vigornia burlada. NVMERO TERCERO DE LOS Beodos burlados », p. 179. 778   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO : DE la Picara Romera. Capitulo. I. De la jornada de Leon. Numero segundo de la pulla del fullero », p. 18. 779   Nel gergo della malavita candil significa criado de rufián o de manceba (o anche : coño). Cfr. María Inés Chamorro : Tesoro de villanos, p. 214. 780   Nel gergo della malavita atrás sono gli omosessuali. Cfr. María Inés Chamorro : Tesoro de villanos, p. 118. V. anche la poesia A un puto (“A un puto, sin más ni más / prendieron por delincuente, / no por culpas de presente, / sino por culpas de atrás...”). In : Pierre Alzieu, Robert Jammes, Yvan Lissorgues : Poesía erótica del Siglo de Oro, pp. 250-251. 781   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO DE la Picara Romera. Capitulo III. De las dos cartas graciosas », p. 64, p. 68, p. 69. 782   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO DE la Picara Romera. Capitulo. IIII. De la romera de Leon. Numero tercero de la romera enuergonzante », p. 92.  

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triste”, uno dei “mal hechores” che “tuuieron parte en la inuencion de los candiles” 783 – inventando la “torcida” –, vuoi alla infamia eterna degli ebrei (“Quedò tan asentado el nombre del bachiller melado, y con el tal mancha y mal olor en su fama, que por muchos años que dure no le jabonara taborda”). 784 Come Quevedo, l’autore della Pícara Justina fa la parodia del linaje e satirizza l’ossessione genealogica dei conversos e la diffusa pratica dell’usurpazione di status e di falsificazione delle genealogie. La sua posizione ‘ideologica’ è quindi molto simile, anzi identica a quella di Quevedo. 785 Raphael Carrasco ha osservato, parlando degli Statuti di purezza di sangue, costantemente citati ma mai analizzati nei loro effetti, che l’elaborazione sistematica delle considerevoli fonti amministrative, giudiziarie e inquisitoriali esistenti permetterebbe di conoscere meglio i comportamenti delle famiglie conversas di origine ebraica di fronte a questo ostacolo sociale e che “tout semble indiquer qu’il y eut à partir des années 1580 un mouvement de révision des généalogies – ce mouvement atteignit son apogée, semble-t-il, durant les deux premières décennies du XVIIe siècle – qui se solda par bien des renversements de fortunes, des réglements de comptes, des alliances difficiles”. 786 Orbene, questo movimento di “revisione delle genealogie”, cioè di usurpazioni di identità e di falsificazioni genealogiche, non è forse il tema di fondo della Pícara Justina ? E l’usurpazione genealogica, favorita dalla mobilità sociale ascendente e realizzata, con maggiore o minore successo, da famiglie e individui di origine ebraica, non è anche il grande tema di fondo del Buscón ? 787 Soltanto l’interpretazione fuorviante di Marcel Bataillon e dei suoi seguaci ha sinora impedito di riconoscere che l’usurpazione genealogica è anche il tema di fondo della Pícara Justina.  













Oltre a tutte queste vistose corrispondenze, coincidenze, concomitanze e omologie – alle quali si potrebbe aggiungere anche la rappresentazione negativa degli studenti (Buscón : “no había sino estudiantes y pícaros – que es todo uno”. 788 – Pícara Justina : “estudiantes : gente ingrata, gente que en ser boltaria compite con la misma rueda de la fortuna” ; 789 “aunque aborrecia estudiantes, senti, y me dio pena, que no me hablassen y mirassen....” ; “vn picaro, medio estudiante, medio rufian...” 790) –, che accomunano la  







   





783   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « TERCERA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO De la Picara Romera. Capitulo 2. de la vizma de Sancha Gomez. Numero 1. de la enfermedad, de Sancha la gorda», p. 143. 784   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « TERCERA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO De la Picara Romera. Capitulo 4. de la partida de Leon. Numero 2. del desenojo astuto », p. 180. Antonio Rey Hazas (la pícara justina II, p. 610, nota nro. 72) spiega cosí la frase : “Es decir, la mancha de su fama durará eternamente, porque es como la de un judío, que hereda su infamia en el momento de nacer y nunca la abandona – puesto que Taborda es ‘del monte Tabor’, luego hebreo.” 785   A proposito del Buscón e della Pícara Justina, Richard Bjornson (The Picaresque Hero in European Fiction, p. 87) ha scritto : “The same ideology and reductionist techniques appear in both works”. Alcuni punti della affinità ‘ideologica’ esistente fra il Buscón e la Pícara Justina sono stati messi in rilievo – come abbiamo già ricordato – da José Antonio Maravall (La literatura picaresca desde la historia social, pp. 290-291). 786   Raphaël Carrasco : Solidarités et sociabilité judéo-converses en Castille au XVIe siècle. À propos d’un vieux débat historique, p. 178. 787   Alberto Martino : Der deutsche Buscón (1671) und der literatursoziologische Mythos der Verbürgerlichung des Pikaro, pp. 296-314. 788   Francisco de Quevedo : La vida del Buscón llamado Don Pablos. Edición crítica de Fernando Lázaro Carreter, p. 87. 789   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO SEGVNDO INTITVLADO LA PICARA Romera. En que se trata de la jornada de Arenillas. CAPITVLO PRIMERO, de la Romera Baylona. NVMERO QVARTO DEL Robo de Iustina », p. 149. 790   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LI 





















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Pícara Justina e il Buscón, il Libro de entretenimiento pare contenere anche allusioni burlesche alla stessa persona di Quevedo. La “Madre Celestina” è raffigurata nella « NAVE DE LA VIDA PICARA » con un copricapo a foggia di galero e con degli occhiali dello stesso tipo che usava Quevedo. Questi elementi – totalmente estranei alla tradizionale iconografia celestinesca 791 – costituiscono allusioni burlesche al poeta ? La “Madre Celestina” con cappello cardinalizio e quevedos è una caricatura scherzosa, quanto maligna e maliziosa, di Quevedo, allora già “ordenado de menores” 792 e quasi laureato in teologia, disciplina che abbracciava tutte le materie umanistiche (filologia, storia, filosofia, ecc.) ? Sappiamo che il grande scrittore era, come egli stesso scrisse nel Memorial pidiendo plaza en una Academia, “corto de vista”, 793 ed anzi “tan corto de vista, que lleuaua continuamente anteojos”, come leggiamo nel ritratto dell’aspetto fisico del poeta delineato da Antonio de Tarsia, il suo primo biografo. 794 Ma non sappiamo se il poeta i famosi quevedos li portasse già a 24-25 anni. Essendo la sua, evidentemente, una forte miopia congenita, è però quasi sicuro che Quevedo sia stato costretto a portare gli occhiali già in giovane età. Oltre che in questa possibile caricaturale raffigurazione grafica, Quevedo è forse rappresentato nella Pícara Justina nella figura del “matraquista” Perlícaro. Della identità Perlícaro-Quevedo Marcel Bataillon era sicuro, come lo saranno Claude Allaigre e René Cotrait. 795 Il grande ispanista ha ripetutamente affermato che il Quevedo “bohemio”,  

















BRO SEGVNDO : DE la Picara Romera. Capitulo. I. De la jornada de Leon. Numero segundo de la pulla del fullero », p. 13, p. 16. 791   Si veda – per esempio – come è raffigurata Celestina nelle seguenti edizioni : [Comedia de Calisto y Melibea. Burgos ? Fadrique de Basilea ? 1499 ?]. – Comedia de Calisto y Melibea. Toledo : [Pedro Hagenbach] 1500. – Tragicomedia de Calisto y Melibea. Valencia : Juan Joffre 1514. – Tragicomedia de Calisto y Melibea. Sevilla : Jacobo Cromberger aleman y Juan Cromberger 1528. – Tragicomedia de Calisto y Melibea. Toledo : Juan de Ayala 1538. – Ain Hipsche Tragedia von ... ainem Ritter Calixtus vnd ainer Edlen junckfrawen Melibia ... Augspurg : Sigismund Grimm vnnd Marx Wirsung 1520. – Ainn recht Liepliches büchlin vnnd gleich ain traurige Comedi. Augspurg : Haynrich Stayner 1534. Illustrazioni del Libro de Calixto y Melibea y dela puta vieja Celestina (Sevilla : 1502 [1518]) sono riprodotte in : Anonimo / Fernando de Rojas : Tragicomedia de Calisto y Melibea. V centenario : 1499-1999. Edición crítica, con un estudio sobre la Autoría y la « Floresta celestinesca » de Fernando Cantalapiedra Erostarbe. Tomo II : Edición crítica (= Teatro del Siglo de Oro. Ediciones críticas, 103). Kassel : Edition Reichenberger 2000. La Tragicomedia de Calisto y Melibea (Zaragoza : Jorge Coci 1507) contiene una unica incisione nella quale sono raffigurati soltanto i due amanti. In mancanza di uno studio completo sulla iconografia della Celestina – in nota all’ultima pagina (730 n. nro. 4) de La originalidad artística de La Celestina (1962), María Rosa Lida de Malkiel aveva scritto : “El estudio iconográfico de la Tragicomedia está por hacerse” –, ci siamo potuti valere soltanto delle riproduzioni in facsimile delle edizioni or ora citate, presenti nella nostra biblioteca, e di questi brevi lavori : F. J. Norton : The early editions of the Celestina. In : F. J. N. : Printing in Spain, 1501-1520. Cambridge : University Press 1966, pp. 141-156. – Kathleen V. Kish - Ursula Ritzenhoff : « Introduction » a : Die Celestina-Übersetzungen von Christof Wirsung. Hildesheim : Georg Olms 1984, pp. 1-123 ; qui pp. 11-15 (« The Woodcuts and their Artist »). – Joseph T. Snow : La iconografía de tres Celestinas tempranas (Burgos, 1499 ; Sevilla, 1518 ; Valencia, 1514) : unas observaciones. In : Santiago López-Ríos (editor) : Estudios sobre la Celestina. Madrid : Ediciones Istmo 2001, pp. 56-82. – Carlos Alvar : De La Celestina a Amadis : el itinerario de un grabado. In : Filologia dei testi a stampa (area iberica) a cura di Patrizia Botta con la collaborazione di Aviva Garribba ed Elisabetta Vaccaro (= Studi, Testi e Manuali. Collana di Filologia romanza. Nuova serie, 7). Modena : Mucchi Editore 2005, pp. 97-109. – Joseph T. Snow : Imágenes de la lectura / lectura de las imágenes : el caso de la Comedia burgalesa impresa por Fadrique de Basilea. In : Filologia dei testi a stampa (area iberica) a cura di Patrizia Botta con la collaborazione di Aviva Garribba ed Elisabetta Vaccaro (= Studi, Testi e Manuali. Collana di Filologia romanza. Nuova serie, 7). Modena : Mucchi Editore 2005, pp. 111-129. 792   Cfr. Pablo Jauralde Pou : Francisco de Quevedo (1580-1645), pp. 124-126, pp. 156-157. 793   Memorial que dio en una academia pidiendo una plaza, y indulgencias que le mandaron escribir, en ínterin que vacan mayores cargos, concedidas a los devotos de monjas. Edición de Antonio Azaustre Galiana. In : Francisco de Quevedo : Obras completas en prosa. Volumen segundo. Tomo primero. Dirección de Alfonso Rey. Madrid : Editorial Castalia 2007, pp. 147-178 ; qui p. 174. 794   Antonio de Tarsia : Vida de don Francisco de Quevedo y Villegas, p. 151. 795   Claude Allaigre e René Cotrait : « La escribana fisgada » : Estratos de significación en un pasaje de la Pícara Justina, pp. 45-46.  























































































































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zoppo e dalla barba rossa, che nei primi anni del Seicento scandalizzava Valladolid “con su vida y su poesía rufianescas”, 796 è ritratto caricaturalmente dall’autore della Pícara Justina nella figura di Perlícaro. 797 Questa figura, che “se parece al joven Quevedo como una gota de agua a otra gota”, 798 gli ricordava inoltre – come abbiamo già notato – il licenciado Francisco Gomes Cavallos, “pintado, en 1605, con mayor indulgencia, [...] como notorio burlador y pseudo astrólogo” 799 da Thomé Pinheiro da Veiga nella sua Fastigimia (1605). Questo è il ‘ritratto’ del licenciado Francisco Gomes Cavallos :  









Partimos 3.ª feyra, despois de meya noyte, tempo acomodado, com que nos desterravamos para nossas patrias, feytos já homens sabios, confeçando que : Ibi patria, ubi bene, e ao diuturno silencio com que a noite acompanhava nossas tristezas, por que nem nos podemos dezembaraçar mais depressa, nem os amigos das suas Didos, nem as calmas sofriam caminhar senão de noite thé ás 8 e recolher ás seis : e ainda áquellas horas achamos dous magotes de pandorgas, que, como Eriphale e Damas de Alcina, nos vinham tentar ao caminho : mas, encomendando-nos á sabia Legostilla, fomos dormir a Fuente de Duero e ás nove jantar a Medina del Campo e á noyte a Salamanca, como pela posta, onde nos ficou o licenciado, que vinha comnosco, e com elle perdemos as reliquias dos bens da côrte e a mais aprazivel converçação que se pode imaginar […]. Era o lecenceado Francisco Gomes Cavallos, estudante das escolas, ou Covas de Salamanca, donde sahio Phizico, Serurgião, Emsalmador, Astrologo, Sortilego, Advinhador de futuros, Alchimista, Saccador de quintas essencias, muy versado em toda a arte de passa-passa, buenas dichas de siganas, benzimentos escolares, grande compozitor de Almanaques e perfeyto na Chiromancia, e morto por dar a entender que tinha familiar e mendracula, com que na côrte estava muy acreditado que advinhava tudo, e disso vivia. E assim veyo, todo o caminho, levantando figura de cór e deitando juizo sobre as pelles de meus camaradas, que alguns se espantavam de lhes advinhar quanto via e pronosticar os sucessos : porque eu sempre me ri destas superstiçoens, que são para velhas e beatas e não para gente de entendimento, e foy assim que, tomando á parte o lecenciado, lhe preguntei se alguma daquellas couzas tinha fundamento, e, como era amigo, me disse : que se espantava de mim ; que nenhum modo de fundamento tinha, mas que ganhava assim de comer com gente nescia, e que fazia que estudava athé se informar e dizer o que lhe diziam. 800  













Un dato della genealogia del poeta sembrerebbe rafforzare l’ipotesi di Marcel Bataillon : il nonno materno del licenciado Francisco Gómez de Quevedo y Villegas si chiamava Juan Gómez de Santibáñez Ceballos 801 (era “Contino de Castilla” 802). Ma il nome che si  



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  Cfr. Marcel Bataillon : Pícaros y picaresca, p. 30.   A proposito del “« matraquista semiastrólogo » que López de Ubeda enfrenta con Justina”, Marcel Bataillon osservava nel suo corso del 1958 : “Se trata, con seguridad casi plena, de una caricatura del Licenciado Francisco Gómez de Quevedo, estudiante cojo y barbirojo.” E due anni dopo, nel saggio Urganda entre Don Quijote y La Pícara Justina, ripeteva : “Este personaje [Perlícaro] parece una caricatura del Quevedo bohemio de entonces, del estudiante « cojo y barbirrojo » que escandalizaba a Valladolid”. In nota a questa frase Marcel Bataillon scriveva : “En otra ocasión demostraremos esta identificación, que apoya el retrato del licenciado Francisco Gómez de Cevallos o Zeballos por Pinheiro da Veiga”. (Purtroppo l’annunciata dimostrazione di questa identificazione lo studioso non ha potuto effettuarla.) Cfr. Marcel Bataillon : Pícaros y picaresca, p. 30, p. 72 e p. 72, n. nro. 45. 798   Marcel Bataillon : Pícaros y picaresca, p. 189. Nell’originale francese si legge che Perlícaro “ressemble au jeune Quevedo comme un frère” (Marcel Bataillon : Les nouveaux chrétiens dans l’essor du roman picaresque, 800   Marcel Bataillon : Pícaros y picaresca, p. 30. p. 290). 800   Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, pp. 311-312. 801   Cfr. Pablo Antonio de Tarsia : Vida de don Francisco de Quevedo y Villegas (Facsímil de la edición príncipe, Madrid, 1663). Reproducción cuidada por Melquíades Prieto Santiago. Prólogo de Felipe B. Pedraza Jiménez. Aranjuez : Editorial Ara Iovis 1988, p. 10. – James O. Crosby y Pablo Jauralde Pou : Quevedo y su familia en setecientos documentos notariales (1567-1724). Edad de Oro (Universidad Autónoma de Madrid) 1992, p. 11.– P. Jauralde Pou : Francisco de Quevedo (1580-1645), pp. 69-70. 802   La Monarquía de Felipe II : La Casa del Rey. Directores : José Martínez Millán - Santiago Fernández Conti.  

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legge nella Fastigimia è “Francisco Gomes Cavallos” e non “Francisco Gómez de Cevallos o Zeballos” come scrive Marcel Bataillon, 803 riprendendo verosimilmente il “Francisco Gómez Ceballos” della traduzione di Narciso Alonso Cortés. 804 Naturalmente il “Cavallos” di Thomé Pinheiro da Veiga potrebbe essere una deformazione voluta del nome “Ceballos”, o un errore commesso dall’amanuense. Ed ecco il ritratto di Perlícaro :  





Al començar Iustina, entrô Perlicaro / Llamado el matraquista, semi astrologo. / Mirò a medio mogate, al vso picaro. / Y viendo vn libro sin titulo, ni prologo, / Hizo el columbron, y pino de Icaro. / Tossio. Sentosse, y dixo. Yo el Theologo, / Condeno por nefando esse capitulo, / Pues va sin nombre prologo, ni titulo. // A sora chronicona, ya es Deyfica. / No responde ? pues oya, es vn mal pessimo, / Que porque ha visto ya que no es prolifica, / De en coronista, el año quinquagesimo. / Metase a bruja que es arte mas pacifica. / Que aguarda ? ello ha de ser, y no, al centesimo. / Corrose [Corriose] Iustina. Brabèa como vn Hercules, / Aquel que dio famoso nombre al Miercoles. 805 [...] [...] todo lo he bien menester, para responder al reto de vn fisgon, que (andando ayer cuellidegollado) ha salido oy con vna escarola de lienço, tan aporcada, como engomada, mas tiesso y carrancudo, que si huuiera desayunadose con seys taraçones de assador, y para los que no le conocen, yo les pintarê su traça, postura, y talle. Llamase Perlicaro, â contemplacion de vna su doña Almirez, 806 que por el gran concepto que concibio de sus buenas partes, le llamô Perlicaro, dandole nombre de perla, por su hermosura, y el de Icaro, por la alteza de su redoma[da] sabiondez. Mejor me parece a mi que fuera denominarle Perlicaro [Perpícaro], 807 de que en ser murmurador de ventaja, era perro ladrador (que el perro symbolo fue de la murmuracion por el ladrar, como de la lisonja por el lamer) y en el trato era picaro : y de vno y otro se venia a hazer la chimera de vn Perlicaro [Perpícaro]. Mas passe : que esto de dar nombres xacarandinos, es pintar como querer. Entrô el muy picaro, husmeando, como perro perdiguero : jugando de punta y talon, como si pisara sobre hueuos, deshombreçiendose, por mirar lo que yo hazia, haziendo columbrones de sobre ojo, con la mano sobre la frente : empinandose por momentos, al modo que los picaros se realçan, y alean de rebuelto, quando dizen que hazen los pinicos de Icaro. Ya que confrontò conmigo, y tuuo llena la barjuleta, de lo que pensaua dezir de repens, co 

















Volumen II : Oficiales, Ordenanzas y Etiquetas, p. 190. Sulle funzioni dei continos – originariamente hombres de armas adetti alla guardia e alla difesa della famiglia reale (come tali erano chiamati Guardias de Castilla), successivamente impiegati anche come corregidores e ‘agentes’ della volontà del Monarca –, cfr. La Monarquía de Felipe II : La Casa del Rey. Directores : José Martínez Millán - Santiago Fernández Conti. Volumen I : Estudios, pp. 685-692. 803   Marcel Bataillon : Pícaros y picaresca, p. 72, nota nro. 45 (v. anche il passo a pag. 30, trascritto sopra). 804   Tomé Pinheiro da Veiga : Fastiginia. Vida cotidiana en la Corte de Valladolid. Traducción y notas de Narciso Alonso Cortés, p. 276. 805   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO PRIMERO, INTITVLADO LA PICARA Montañesa. CAPITVLO PRIMERO, de la Escriuana fisgada. Numero primero. Del fisgon medroso », p. 34 (« OCTAVAS DE ESDRVGVLOS »). 806   Spiega Julio Puyol y Alonso (Pícara Justina III, p. 160) : “Con esto ha querido decir la protagonista que Perlícaro era un majadero, que es como se llama la mano del almirez.” A sua volta majadero, lo strumento “con que se maja ò machaca alguna cosa” (Diccionario de Autoridades) nel mortero (almirez), ha anche il significato osceno di “pene” (María Inés Chamorro : Tesoro de villanos, p. 551 e p. 595). Sebastián de Horozco scriveva maliziosamente : “Pues ay tantos majaderos / [...] no faltaran morteros / en que se ocupen y majen” (Teatro universal de proverbios, p. 581, nro. 2782). 807   A ragione Rosa Navarro Durán, correggendo una evidente svista del compositore, sostituisce qui e nelle righe immediatamente seguenti Perlícaro con Perpícaro, perché “no tiene sentido el juego verbal, el cambio que sugiere la Pícara, si no se modifica la palabra (si es perro y pícaro, será « Perpícaro »)”. Cfr. Rosa Navarro Durán : « Introducción » a : Francisco López de Úbeda (Baltasar Navarrete) : Libro de entretenimiento de la Pícara Justina, p. LXXV (e p. 54 del testo). Cfr. anche Rosa Navarro Durán : Acerca del verbo brincar, de una pantera con alas y otros casos : Problemas en la edición de textos picarescos. In : Edad de Oro 28 (2009), 249268, qui p. 263.  













































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menço a retorcer, y hilar vn bigote, mas corpulento que maroma de guindar campanas, mirando de lado, y sobre hombro, como juez de comision a criados alquilones, torcido el ojo yzquierdo a fuer de ballastero ; cabizbaxandose a ratos, mas que oueja en fiesta, bolteando la lengua sobre el arco de sus dientes, con mas priessa que perro de ciego, quando salta por la buena tauernera, con vn, si es, no es, de asperges de narizes, hablando algo gangoso, como monja que canta con antojos : y a punteria, me hablô assí. Sora Iustiniga, sora picara, en requinta, de quando acâ da en ser chronicona de su vida, y milagritos ? Escriue la historia de Penelope, de cirçe, de porcia, y de otras desta birlada ? Su vida guachapea ? Bien haze, que quiça no hallarâ otro historiador, que contara la vida de vna persona tan necessaria como secreta. Pocos huuieran, que a quatro açadonadas de su leyenda no quedaran oliendo a pastel de ronda. Para coronista, no tiene poco andado, que algun dia abra tenido mas de quatro coronas en su casa. Tienes verecundia, coronista de Bercebue ? [...] A buen tiempo lleguê. (Señora niña) pues vine a punto, en que (por mi gran culpa) la vi nacer, embuelta en las pares de los dos officios mas comunes de la republica. Pregunte a mama, si quiere que la enalbarde con miel y hueuos gueros, vnas torrijas, y baga [haga] por ella, los demas officios de partero ? Mas como no gritò su madre, pariendo vna hija tan grande ? Aunque deue de ser, que como V. M. es hija tercera, y su madre pare como descosida, la pario sin puxo : como quien se purga con pepinos. Digale a su madre, si quiere vnas cuentas de leche, para desenconar los peçones. Digaselo. Ande. Ea. Aunque no. Tengase, no se tenga. La verdad. En mi almario, que cumpliera todo lo que la he ofrecido, si su madre tuuiera la mitad de años que v. m. alcança, por el presente. No se me enoje dayfa, 808 que vengo enfermo, de vomitos. Y aun aora, en prencipio. [...] [...] En esto tosio, y con gran astrondidad, se sentô. Y (como si fuera vn Senador, o Concilista) dixo. Digo yo el Licenciado Perlicaro, ortographo, musico, perspectiuo, mathematico, arismetico, geometra, astronomo, gramatico, poeta, retorico, dialectico, phisico, medico, flebotomo, notomista, metaphisico, y theologo ; que declaro ser este primer capitulo, y todo el libro el segundo pecado nefando, pues no tiene nombre, prologo, ni titulo. Señora supputante, la que fue nacida del año moquero, en el mes gatuno, a quantos numeros, o capitulos, piensa poner el de mi camarada, el alferez Santolaja, llamado por otro nombre el Moscon celibato, que fue su marido ? No ha de dezirnos con muy buena corriente, como la barqueò, y lo de la purga surrepticia, con que le hizo afloxar las cinchas vn coto ? [...] Diganos, madre Berecinta, si a caso es su intencion, traspalarnos su vida, a embiones de capitulos, y sorbetones de numeros, como si fueran las obras del buen S. Buenauentura, (buena nos la de Dios) porque se oluidaua los mejores dos tercios de su historia ? Lo primero, el abolengo de la christiandad de su padre, cuyos abuelos son tan conocidos, que nadie lo puede ignorar : sino es, quien no sabe que aquellos son christianos, a quien dan el sancto bautismo, especialmente quando son gente que lo haze a sabiendas ? Lo segundo, porque no alegrò la fiesta, con la cascauelada de los abuelos de parte de madre ? Que si los pusiera en ringla, sonaran mas que requa encascauelada, Pues, aun sin estos dos lios, se oluidò otro muy perteneciente a su vita. Declarome porque callò su concepcion, refiriendonos por estupendissimo portento, que supo callar los nueue meses que anduuo en el vientre de aquella su madrona, que en el cuerpo fue ballena, y en el alma Celestina ? [...] Aqui puso mi paciencia el non plus vltra, a la espera de la enfadosa matraca. Ya has oydo lo que me dixo este alquilador de verbos. [...] Yo no digo que quien tiene por oficio el fisgar, no viua de matracas, que es su oficio [...]. 809 [...] Y pues v. m. [Perlicaro] toda su vida ha viuido a ratos perdidos, porque algunos de los que  





































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174).

  Daifa significa prostituta (César Hernández Alonso – Beatriz Sanz Alonso : Diccionario de germanía, p.  

809   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO PRIMERO, INTITVLADO LA PICARA Montañesa. CAPITVLO PRIMERO, de la Escriuana fisgada. Numero primero. Del fisgon medroso », pp. 35-37, p. 38-41, p. 45.  



il contesto letterario della pícara justina

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ha ocupado en leer cartispitis, no los aplicô a leer, que los Griegos [...]. [...] Bien parece que no es hombre, pues no sabe en que cae el serlo, ni donde el hombre tiene el tuetano, 810 ni la muger, la cañada 811 [...]. [...] Digame (irregular) ha me visto dexar de comer nuezes, por falta de muelas ? Soy yo como el, que para refinar y ennegrecer la barba, ouera, se peyna con escarpidor de plomo, y no vee el pobreto, que estâ como el puerro, con porretas verdes, y rayzes blancas ? No gasto yo mi patrimonio (como el) en agallas, ferreto, nuezes, granadas, piñones, mirra, saluia, y lexia, con que haze vnguento y liga para que el Rey negro restaure su barbacana. [...] No sabe que los Christianos, ni tenemos nombre, ni edad, ni historia, hasta estar bautizados, siquiera de socorro ? Aun podria ser, que vna sola carcel que le falta de visitar, le hiziesse yo que la tresnase, 812 y me soñase. Ola, ola. Conmigo, no. Y haze gestos ? [...] Enojeme con tales ademanes, que se espantô el valenton, mostrandose tan liebre como yo libre. Y (mas por costumbre vieja, que por audacia nueua) retocô, y espoluoreô la halda del chapeo, y mirandome, con vn ojo de verguença, y otro de miedo, me dixo lo siguiente el medroso fisgon entonando en vt. Perdone sarçe, sora Iustisissima, que no entendi que tenia calafeteada essa anima, de tan varia historia, ni entendi, que voarced auia acusado a la verdad por sometica. Al punto baxê la mano para desembaynar vn chapin Valenciano : mas el començô a huyr, y medir tierra a varas de pescar. Y de trecho en trecho, tornaua a mirar como cieruo acossado, cuydando si a caso se le aparecia, mi chapin, en forma de bala, o lagrima de Moysen. Que en fin, los corridos, el nombre se lo dize, que tienen caras de tornillo, para bornearse, y pies de pluma, para el traspontin. Cansada quedo de acuchillarme con vn necio, que es tanto como batallar con vna fantasma, que para herir, es furia infernal, y para herida es ayre : y por tanto, reseruo para el dia y capitulo siguiente, el dar a mi libro cabeça, pues la mia por aora està encalmada y vocinada de oyr las dichas ronçerias, o rocinerias, deste asnal mancebo, el qual (para que veas quien es) pretendiendo hazer, su informacion, para graduarse de cola en alcolà, intentô prouar, que descendia de Balaan, y saco en limpio, que por linea recta, descendia del asna de Balaan. 813  



















A proposito di questo ritratto di Perlícaro, tracciato nei primi versi e in passi successivi del primo numero (« Del fisgon medroso »), Claude Allaigre e René Cotrait scrivono :  





Es muy fácil ver en este pasaje ciertos rasgos característicos de Quevedo. Las expresiones jugando de punta y talón, empinándose por momentos, de lado y sobrehombro, deshombreciendose, sugieren la cojera, la cual encuentra una correspondencia fonética en las rimas proparoxítonas de las octavas, los gerundios y los participios enclíticos y hasta en el nombre de Perlícaro, el cual puede además derivarse paronímicamente de pierna (pernícaro). En cuanto a la palabra esdrújulo, que se encuentra en las octavas, era de importación demasiado reciente (1575, cf. Corominas) para que su etimología (it. sdrucciolo, de sdrucciolare, resbalar) no estuviese viva todavía. El retrato atribuido a Velázquez nos presenta a Quevedo con un buen bigote, una nariz acusada y los anteojos que en el siglo pasado tomaron de él su nombre, rasgos todos ellos que se actualizan en la comparación bigote/maroma y la serie nasal ; en cuanto a la miopía, los esfuerzos que hace Perlícaro para ver mejor la evocan suficientemente. Sin duda los contemporáneos veían otras alusiones que no advertimos nosotros. Podemos preguntarnos si pinicos no alude a las graves enfermedades que padeció Quevedo en Valladolid, las expresiones reto de un fisgón y jugando de punta y talón a la esgrima, en lo que descollaba. ¿Denuncia cuellidegollado su falta de dinero ? el cambio de vestido y de porte, la expresión juez de comisión, ¿no aludirían al cargo obtenido gracias a la duquesa de  



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  “Tuetano, vello. Órgano masculino” (María Inés Chamorro : Tesoro de villanos, p. 790).   “La voz cañada es de uso general en León para designar el tuetano“ ( Julio Puyol y Alonso « Glosario ». In : Pícara Justina III, p. 136). 812   “Tresnar, por estrenar, es de uso frecuentísimo en toda la provincia de León“ ( Julio Puyol y Alonso « Glosario ». In : Pícara Justina III, p. 247). 813   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO PRIMERO, INTITVLADO LA PICARA Montañesa. CAPITVLO PRIMERO, de la Escriuana fisgada. NVMERO SEGVNDO DE LA contrafisga colerica », p. 48, pp. 48-49, pp. 50-52.  

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capitolo viii

Lerma ? ¿Hay que ver en la palabra pícaro el recuerdo de algunos expedientes de los cuales él se hubiera valido en Alcalá, leer en una su doña Almírez y monja alusiones a amores domésticos o monjiles, y en otra parte a la frecuentación de lugares no santos ? En todo caso encontramos en Perlícaro el tono punzante y mordaz que Quevedo empleó con Góngora, y en pintar como querer y nombres jacarandinos su gusto por los apodos maliciosos, pero quizá también un ataque contra sus propias pretensiones nobiliarias o el uso de pseudónimos. 814  





Non è forse inutile ricordare qui anche l’ironico e umoristico autoritratto di Quevedo, che era il primo a scherzare sui suoi difetti (“Nací tarde, porque el sol / tuvo de verme vergüenza, / en una noche templada...” 815), contenuto nel famoso Memorial degli anni vallisoletani (1601-1605) :  



Don Francisco de Quevedo, hijo de sus obras y padrastro de las ajenas, dice : que habiendo venido a su noticia las constituciones del Cabildo del Regodeo, como cofrade que ha sido y es de la Carcajada y Risa ; atento que es hombre de bien, nacido para mal ; hijo de algo pero no señor ; hombre de muchas fuerzas y de otras tantas flaquezas ; puesto en tan buen estado que, de no comer en alguno, se cae del suyo de hambre ; persona que, si se hubiera echado a dormir, no le faltaran mantas con la buena fama que tiene ; ha echado en muchas ocasiones el pecho al agua por no tener vino ; es rico y tiene muchos juros de por vida de Dios ; señor del valle de lágrimas ; ha tenido siempre y tiene, así en la corte como fuera de ella, muy grandes cargos de conciencia, dando de todos muy buenas cuentas pero no rezándolas ; ordenado de corona, pero no de vida ; es de buen entendimiento, pero no de buena memoria ; es corto de vista como de ventura ; hombre dado al diablo, prestado al mundo y encomendado a la carne ; rasgado de ojos y de conciencia, negro de cabello y de dicha, largo de frente y de razones, quebrado de color y de piernas, blanco de cara y de todo, falto de pies y de juicio ; mozo amostachado y diestro en jugar las armas, a los naipes y a otros juegos, y poeta sobre todo – hablando con perdón – descompuesto componedor de coplas, señalado de la mano de Dios. 816  

































Non privi d’interesse sono anche gli ‘autoritratti’ morali e fisici che Quevedo ha inserito in varie composizioni poetiche. Nel romance intitolato Refiere él mismo sus defectos en bocas de otros, il poeta schizza un autoritratto morale frammischiando i difetti attribuitigli dagli altri e i difetti – in primo luogo la maldicenza e la mutevolezza – che egli stesso confessa di avere : “Muchos dicen mal de mi, / y yo digo mal de muchos : / [...] Confieso que mis sucesos / han parecido columpio : / rempujones y vaivenes, / poco asiento y mal seguro. / Yo doy que por condición / tenga la propria del humo, / que tizno y hago llorar, / y de la luz salgo obscuro. / [...] Yo confieso que mi vida / es una mesa de trucos : / zarandajas, golpes, idas / y malogrados apuntos...”. 817 Nel romance intitolato Sacúdese de un hijo pegadizo (“Yo, el menor padre de todos”) si descrive cosí : “yo soy un hombre zurdo, / cecijunto y medio bizco, / más negro que mi sotana, / más áspero que un erizo”. 818 Nelle terzine burlesche della Sátira a una dama, Quevedo si dipinge in questa maniera :  















Es como tu linaje mi cabello, escuro y negro ; y tanta su limpieza,  

814   Claude Allaigre y René Cotrait : « La escribana fisgada » : Estratos de significación en un pasaje de la Pícara Justina, pp. 45-46. 815   Francisco de Quevedo : Obra poética. Edición de José Manuel Blecua. II, pp. 298-305 (nro. 696). 816   Memorial que dio en una academia pidiendo una plaza, y indulgencias que le mandaron escribir, en ínterin que vacan mayores cargos, concedidas a los devotos de monjas. Edición de Antonio Azaustre Galiana, pp. 173-174. Qualche piccola variante presenta il testo del Memorial editado da Pablo Jauralde Pou (in : Francisco de Quevedo : Obras festivas. Edición de Pablo Jauralde Pou, pp. 101-105). 817   Francisco de Quevedo : Obra poética. Edición de José Manuel Blecua. III, pp. 110-111 (nro. 775). 818   Francisco de Quevedo : Obra poética. Edición de José Manuel Blecua. II, pp. 449-458 (nro. 732).  

















il contesto letterario della pícara justina que parece que no has llegado a vello. Es como tu conciencia mi cabeza, ancha, bien repartida, suficiente para mostrar por señas mi agudeza. No es de tu avara condición mi frente ; que es larga y blanca, con algunas viejas heridas, testimonio de valiente. Son como tus espaldas mis dos cejas, en arco, con los pelos algo rojos, de la color de las tostadas tejas. Son como tu vestido mis dos ojos, rasgados, aunque turbios (como dices), serenos, aunque tengan mil enojos. Son como tus mentiras mis narices, grandes y gruesas ; mira cómo escarbas contra ti, mi Belisa : no me atices. Como tus faldas tengo yo las barbas, levantadas, bien puestas ; no me apoca que digas que hago con la caspa parvas. Es como tú, para acertar, mi boca, salida, aunque no tanto como mientes, con brava libertad de necia y loca. Como son tus pecados, son mis dientes, espesos, duros, fuertes al remate, en el morder de todo diligentes. Es como tu marido mi gaznate, estirado, mayor que tres cohombros ; que el llamalle glotón es disparate. Como son los soberbios son mis hombros, derribados, robustos a pedazos, que causa el verme al más valiente asombros. Como tus apetitos son mis brazos, flacos, aunque bien hechos y galanos, pues han servido de amorosos lazos. Traigo como tus piernas yo las manos, abiertas, largas, negras, satisfecho, que dan envidia a muchos cortesanos. Como tu pensamiento tengo el pecho, alto, y en generosa compostura, donde pueden caber honra y provecho. Como es tu vida tengo la cintura, estrecha, sin barranco ni caverna, que parezco costal en la figura. Como tu alma tengo la una pierna, mala y dañada ; mas, Belisa ingrata, tengo otra buena, que mi ser gobierna. Como tu voluntad tengo una pata, torcida para el mal, y he prevenido  











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capitolo viii que le sirva a la otra de reata. 819 Como tu casamiento es mi vestido, mal hecho y acabado : que un poeta jura de no ser limpio ni pulido. Es como tu conciencia mi bayeta, raída, y esto basta, aunque imagino que aguardas, por si pinto, alguna treta. Mas yo quedarme quiero en el camino ; que, aunque trato de ti, tengo recato : no digan que a la cólera me inclino. Ésta mi imagen es y mi retrato, adonde estoy pintado tan al vivo, que se conoce bien mi garabato. 820  









Pablo Antonio de Tarsia descrive così l’aspetto fisico di Quevedo :  

Fue Don Francisco de mediana estatura, pelo negro, y algo encrespado, la frente grande, sus ojos muy viuos, pero tan corto de vista, que lleuaua continuamente antojos ; la nariz, y demas miembros proporcionados, y de medio cuerpo arriba fue bien hecho, aunque coxo, y lisiado de entrambos pies, que los tenia torcidos azia dentro, algo abultado, sin que le afeasse ; muy blanco de cara, y en lo mas principal de su persona concurrieron todas las señales, que los Fisonomos celebran por indicio de buen temperamento, y virtuosa inclinacion [...]. 821  





Pur se deformati dal rancore, dall’odio personale e dalla violenza polemica, non sono privi d’interesse anche i ritratti che di Quevedo tracciano la Venganza de la lengua española e il Tribunal de la justa venganza :  

[...] yo, que no me espanto de dobles ojos ni de pies pirriquios, oso emprender no guerra, sí disputa caritativa con él [Quevedo], porque me duele su tentada flaqueza, desatentada lengua y papeles hechos a tiento de pintor, que todo es caña vacía, inútil y engañoso arrimo. Lástima tengo de verle toda la vida andar de pie quebrado, y que con la experiencia, ya mediana, no mude pelo y no mejore de ojos, para que, dejando su condición burlona, nos diga algo con veras razonado, y no hablado solamente para provocar a risa al vulgo indocto e indócil, que, como le oye ensartar sinrazones con donaire, ríese de lo que él quiere que se ría, debiendo reírse de quien así lo dijo. [...] ¿Qué general solemnidad se habrá hecho a aquella su pregunta : si se ha visto algún bazo cagado ? 822 Yo diría que, sin haberlo visto, lo está el suyo todo entero ; porque este estilo de hablar tan cagativo no puede ser efecto de otra cosa en su persona, sino de opilación de su cagado bazo, que despide humores tan biliosos y fétidos por su boca, que él parece que caga, y ella culo. ¿Que no ha de ser limpio en sus días, señor de Juan Abad ? Que mal parece en un tal cortesano, si acaso le parieron en la calle alguna noche, y por su mala dicha le dieron por mantillas algún volador sombrero que le envolvió, y dejó cagado para mientras viva [...]. 823  

   







819   In Pinta el suceso de haber estado una noche con una fregona (“Ya que al hospital de amor...”) si trovano questi versi : “Tropecé y caí, señores, / no de privanzas reales, / mas de los más malos pies / que han visto nuestras edades” (Francisco de Quevedo : Obra poética. Edición de José Manuel Blecua. III, pp. 166-177, nro. 788). 820   Francisco de Quevedo : Obra poética. Edición de José Manuel Blecua. II, pp. 125-133 (nro. 640), vv. 187-249. 821   Antonio de Tarsia : Vida de don Francisco de Quevedo y Villegas, p. 151. 822   Francisco de Quevedo : Cuento de cuentos. In : F. de Q. : Obras completas en prosa. Volumen primero. Tomo primero. Dirección de Alfonso Rey. Madrid : Castalia 2003, pp. 35-77 ; qui p. 41. 823   Don Juan Alonso Laureles [Fray Juan Ponce de León] : Venganza de la lengua española. Contra el autor del « Cuento de cuentos » (1629). In : Francisco de Quevedo y Villegas : Obras completas. Textos genuinos del autor, descubiertos, clasificados y anotados por Luis Astrana Marín. Edición crítica. Obras en verso. Madrid : Aguilar 1943, pp. 1028-1033 ; qui p. 1028, p. 1031.  































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[...] don Francisco de Quevedo, poeta bastardo, legitimo entremesista, autor de bufonerías, chanzas, apodos, matracas, romances y jácaras rufianescas, malicioso censor y calumniador perpetuo de ajenas obras ; siendo las suyas tan perversas, que han causado universal escándalo en todos los de ajustada conciencia [...]. [...] como era público y notorio, no se le había dado el hábito [de la Orden de Santiago] por servicios que hubiese hecho a Dios ni al rey, porque siempre fué en las Universidades un pobre capigorrón y misero porcionista, sino por las intercesiones de los duques de Uceda y Osuna, contra quien, ingrato a tan noble beneficio y honra no merecida, y al haberlo enriquecido cuando estaba en el miserable estado de la mendiguez, juró contra ellos judicialmente [...]. [...] caballero tan bien admitido de los grandes señores, a quien hacen amigable acogida y le oyen con singular gusto sus chistes, agudezas y donaires [...]. 824 [...] Si como ha puesto diligencia y particular estudio en saber los sucios y viles términos a la rufianesca, leyes y costumbres infames de las casas donde públicamente se peca, lo hubiera puesto en lo que le importa para salvarse, diferente vida fuera la suya. [...] con ser el mismo desaliño, andrajoso y extremo de mendiguez, viéndose su talle tan abominable y asqueroso (que en ambas cosas sólo se excede a sí mismo a cuya causa le llaman y es conocido por el diablo cojuelo, como también por el de patacoja y derrengado) [...]. [...] dijeron que don Francisco de Quevedo parecía ser aprendiz o segunda parte del ateista y pintor Jerónimo Bosque, porque todo lo que éste ejecutó con el pincel, haciendo irrisión de que dijesen que había demonios, pintando muchos con varias formas y defectos, había copiado con la pluma el dicho don Francisco [...]. [...] don Francisco de Quevedo, mal poeta y peor prosista, lisonjero temporal, bufonador perpetuo, símbolo de la ingratitud y de la iniquidad, vano presumidor de ciencias (ignorándolas todas), graduado en torpes y deshonestos vicios, catedrático de la sensualidad, cuya mordaz y satírica lengua dijo y escribió mal de todo y de todos sin exceptar lo divino ni lo humano. [...] entró este desventurado autor con tal mal pie (como quien los tiene tan torpes y derrengados que para un banco de herrador aun fueran defectuosos) [...]. [...] Y no dejaré de decir cuán grande sea barbarismo de este hombre en usar del retruécano del vocablo, a quien llaman algunos conversión de sentido, sin advertir si en lo uno y otro hay propriedad o equívoco, que aunque sea ésta una niñería, el desprecio della será castigo a su presumpción de agudeza de ingenio y a los que en este grado lo califican. [...] ¿Por fuerza has de traer en todas las viles ocasiones que murmuras, detraes y satirizas, lo divino, lo sagrado y lo consagrado ? [...] juguetes y burlas heréticas como las escribe don Francisco de Quevedo [...]. [...] Esta voz « mosca » la introdujeron los pícaros, y quiere decir dinero, y él [Quevedo], como tan versado en aquella lengua y en la rufianesca, usa de ambas con particular elegancia. [...] para ultrajarla [nuestra lengua castellana] de bárbara, [Quevedo] no dejó taberna, bodegón, Matadero, Rastro ni rústicos aldeanos de quien no inquiriese las voces más bajas y de menos significación que en tales lugares y por tales personas se hablan [...]. 825  











Molti dettagli del ritratto di Perlícaro – “astronomo, gramatico, poeta, retorico, dialectico, phisico, ... metaphisico, y theologo”, “ocupado en leer”, matraquista, che schernisce Justina, perché “da en ser chronicona de su vida” dimenticando “el abolengo de la christiandad de su padre”, e la “moteja de alcahueta”, “de christiana nueua” e “de parlera, y enredadora” 826 – si attagliano perfettamente a Quevedo. Il giovane scrittore  

824   Antonio de Tarsia annota : “[Quevedo] tuuo en la gracia de Principes, y Grandes Señores mucha cabida ; de suerte, que despertó embidia en los que al mayor cuydado de sus escritos, no vian corresponder la menor parte del aura que grangeaua Don Francisco à lo descuydado. No huuo Señor en España, que con extraordinarias demonstraciones no le honrasse...” (Vida de don Francisco de Quevedo y Villegas, p. 45). 825   Licenciado Arnaldo Franco-Furt [Luis Pacheco de Narvaez et al.] : El Tribunal de la Justa venganza, p. 1095, pp. 1096-1097, p. 1102, p. 1107, p. 1112, p. 1124, p. 1127, p. 1131, p. 1135, p. 1148, p. 1155, pp. 1156-1157. 826   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO PRIMERO, INTITVLADO LA PICARA Montañesa. CAPITVLO PRIMERO, de la Escriuana fisgada. Numero primero. Del fisgon medroso », p. 37 e p. 39 (glosse marginali).  









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capitolo viii

– “estudiante pendenciero e ingenioso”, frequentatore di taverne e di postriboli, 827 dalla vita scandalosa e scapestrata, cui accenna velatamente, con molta prudenza, lo stesso Pablo Antonio de Tarsia (“No niego, que en el verdor de sus años tuuo mocedades, y condicion algo fuerte” 828), incarcerato (prigione tutelada come studente 829) per ‘delitti’ ai quali accennano, probabilmente esagerandoli, anche Góngora in versi del 1603 830 e Juan Ruiz de Alarcón in una satira del 1632 che contiene un riferimento agli anni burrascosi trascorsi ad Alcalá dal poeta 831 – fu “lettore vorace”, 832 fisico, forse anche un poco ‘medico’, 833 metafisico, dialettico, poeta, retorico, grammatico (“era dueño de todas las materias”, scrive il suo agiografo ; 834 “universal en todas materias”, lo considerava Lorenzo van der Hammen y León 835). All’Università di Alcalá de Henares Quevedo aveva studiato – dall’autunno del 1596 alla fine del 1600 –, fra l’altro, astronomia, logica, biologia, fisica, metafisica e filosofia naturale ; il 31 dicembre del 1600 gli era stato conferito il titolo accademico di Bachiller en Artes. 836 Sempre ad Alcalá de Henares aveva iniziato, nel novembre del 1600, 837 gli studi di teologia, proseguiti poi, dall’autunno del 1602, all’Università di Valladolid e qui terminati nel 1605 con il grado di “licenciado” 838 (si ‘firmava’ però “Theólogo Complutense” ! 839). Era aggressivo, misogino e incline a  













   











   

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  Pablo Jauralde Pou : Francisco de Quevedo (1580-1645), p. 158, p. 885.   Antonio de Tarsia : Vida de don Francisco de Quevedo y Villegas, p. 151.   Pablo Jauralde Pou : Francisco de Quevedo (1580-1645), p. 119. 830   Cfr. A Miguel Musa [Francisco de Quevedo] que escriuiò contra la Canción de Esgueva. In : Obras poéticas de D. Luis de Góngora. Tomo tercero. New York : The Hispanic Society of America 1921, pp. 34-35 (v. 31 : “delictos tan soezes”). In un altro ms. si legge “muertes tan soeces”. Cfr. Invectivas contra Don Francisco de Quevedo. In : Francisco de Quevedo y Villegas : Obras completas. Ed. Luis Astrana Marín. Obras en verso, pp. 963-1162 ; qui p. 964. 831   Juan Ruiz de Alarcón : Sátira contra Don Francisco de Quevedo. In : Invectivas contra Don Francisco de Quevedo. In : Francisco de Quevedo y Villegas : Obras completas. Ed. Luis Astrana Marín. Obras en verso, pp. 1045-1046, vv. 19-27 : “– ¿Quién era pícaro ayer, / y agora se ha puesto don, / y quién por sólo bufón / la cruz llegó a merecer ? / ¿Quién estuvo para ser / en Alcalá sagitario, / por ladrón y por falsario, / y agora nobleza arroja ? – Pata-coja.” Ricordiamo che nel gergo della malavita sagitario è la “persona a la que azotan públicamente, para que sirva de escarmiento a los demás, montado en un burro” (César Hernández Alonso – Beatriz Sanz Alonso : Diccionario de germanía, p. 432). 832   Lía Schwartz : Las preciosas alhajas de los entendidos : Un humanista madrileño del siglo XVII y la difusión de los clásicos. In : Edad de Oro 17 (1998), 213-230 ; qui p. 217. 833   Senza precisare, neppure approssimativamente, gli anni della vita di Quevedo ai quali si riferisce, Antonio de Tarsia scrive : “Hizo en la Medicina particular estudio, assi para preseruarse de los accidentes, que suele traher la flaqueza humana, y el comun descuido ; como porque juzgaua necedad fiar à la indiscrecion agena lo importante de la propria salud. Tenia grande noticia de las propriedades de las yeruas, y piedras, y del vso dellas” (Vida de don Francisco de Quevedo y Villegas, p. 55-56). 834   Pablo Antonio de Tarsia : Vida, p. 35. Alcune pagine prima aveva scritto : “Demas del conocimiento, que tuuo de lenguas, fue versadissimo casi en todas facultades, y ciencias ; como en las letras humanas, en el Derecho Ciuil, y Canonico, en la Matematica, Astrologia, Etica, Politica, Medicina, y Filosofia natural” (p. 21). 835   In una lettera a Quevedo, Lorenzo van der Hammen y León scriveva : “Quien como yo conociere a vuesa merced y le comunicare [...], se admirará cada día más hallándole tan universal en todas materias, y tan particular en cada ciencia o arte, que nadie juzga sino que [...] fué criado para todas” (Luis Astrana Marín : Epistolario completo de D. Francisco de Quevedo-Villegas. p. 133). Il Tribunal de la Justa venganza riprese questo giudizio per confutarlo : “se conocerá la suma idiotez deste autor [Quevedo] y lo engañado que tiene al pueblo vulgo de que es universal en todas materias” (Licenciado Arnaldo Franco-Furt [Luis Pacheco de Narvaez et al.] : El Tribunal de la Justa venganza, p. 1152). 836   Cfr. Francisco de Quevedo y Villegas : Obras completas. Textos genuinos del autor, descubiertos, clasificados y anotados por Luis Astrana Marín. Edición crítica. Obras en verso, pp. 788-791 (Documentos XVI, XVIII, XXII, XXIII, XXV, XXVI). – Pablo Jauralde Pou : Francisco de Quevedo (1580-1645), pp. 94-96, pp. 108-112. 837   Francisco de Quevedo y Villegas : Obras completas. Textos genuinos del autor, descubiertos, clasificados y anotados por Luis Astrana Marín. Edición crítica. Obras en verso, p. 792 (Documento XXVII). 838   Pablo Jauralde Pou : Francisco de Quevedo (1580-1645), p. 157. 839   Cosí – per esempio – in un’opera dedicata a “Don Bernardo de Sandoval y Rojas, Cardenal Arzobispo de Toledo, del Consejo de Estado y Inquisidor General de España” : Lagrimas de Hieremías castellanas. Ordenan 

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schernire i falsificatori della loro genealogia (in un sonetto già ricordato ammoniva : “No revuelvas los huesos sepultados ; / que hallarás más gusanos que blasones, / en testigos de nuevo examinados. / Que de multiplicar informaciones, / puedes temer multiplicar quemados, / y con las mismas pruebas, Faetones.” 840). Soprattutto, il giovane Quevedo era fisgón e matraquista. Come lo è Perlícaro, che travolge Justina con un fuoco d’artificio di fisgas e matracas : “Matraca del fisgon que fisga”, “Fisga de que Iustina escriua su vida”, “Fisga de que auia començado, a contar su nacimiento”, “Motejala de alcahueta, y a su madre de lo otro”, “Fisga de que el libro trata sin titulo ni prologo”, “Fisga de su abolengo”, “Motejala de christiana nueua”, “Motejala de parlera, y enredadora”, “Motejala de que no a sacado a luz ningun hijo”. 841 Altri tratti del ‘ritratto’ di Perlícaro – a parte quelli, messi in rilievo da Claude Allaigre e René Cotrait, relativi a certi elementi dell’aspetto fisico e, in particolare, al suo modo peculiare di muoversi e di guardare, che rivelerebbero la sua cojera e la sua miopia – non trovano una concreta corrispondenza nel ‘ritratto’ di Quevedo, o perlomeno in elementi a noi noti di questo ‘ritratto’. Ma quello di Perlícaro è un ‘ritratto’ caricaturale, che tende naturalmente alla esagerazione e alla deformazione grottesca. Dettaglio chiaramente in contrasto con l’età che aveva allora Quevedo sarebbe la barba bianca (“barbacana” – parola che significava anche “lugar de reunión de pícaros y truhanes” 842), che Perlícaro si tinge di nero. Ma questo dettaglio, forse introdotto per depistare, è subito dopo completamente privato di valore dalla definizione di Perlícaro come “asnal mancebo”. Non solo. Si specifica che questo “asnal mancebo” si era graduado, fra gli ultimi posti (“de cola”), ad Alcalá (“alcolà”) de Henares. Specificazione priva di significato o allusione a Quevedo, che – come cinquantottesimo della lista – aveva ottenuto il grado de bachiller ad Alcalá de Henares ? 843 (L’allusione a Quevedo – se tale fosse – potrebbe rafforzare l’ipotesi della paternità di Fray Baltasar Navarrete. Soltanto pochi – e, fra questi pochi, sicuramente chi, come il frate domenicano, aveva insegnato ad Alcalá de Henares – potevano sapere che il giovane poeta si era graduado de cola.) Se Perlícaro non fosse da identificare con Quevedo, sarebbe inevitabile chiedersi – essendo certo che Perlícaro rappresenta un poeta allora molto conosciuto a Valladolid e quindi facilmente identificabile per i lettori della Pícara Justina – quale scrittore, fra i molti che risiedevano nella città del Pisuerga nei primi anni del Seicento, meglio corrisponderebbe a questa figura caricaturale. Francisco Márquez Villanueva considera, come abbiamo già ricordato, Perlícaro come la “máscara”, la caricatura di Mateo Alemán, e afferma che non vi sono “motivos específicos para inmiscuir a Quevedo en la génesis de La pícara Justina”. Nega pertanto validità alla ipotesi di Marcel Bataillon e di Claude Allaigre e René Cotrait.  















do. Y declarando la Letra Hebrea con Paraphrasi y Comentarios. Avtor L.do D. Francisco Gomz. de Villegas. Theologo Complutense. Cfr. Francisco de Quevedo : Obra poética. Edición de José Manuel Blecua. IV. Madrid : Castalia 1981, p. 347. 840   Francisco de Quevedo : Obra poética. Edición de José Manuel Blecua. I, p. 213 (nro. 62). 841   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO PRIMERO, INTITVLADO LA PICARA Montañesa. CAPITVLO PRIMERO, de la Escriuana fisgada. Numero primero. Del fisgon medroso », p. 36-40 (glosse marginali). 842   María Inés Chamorro : Tesoro de villanos, p. 138 (qui si spiega anche che la barbacana “era la parte exterior de la muralla de Sevilla. Lugar de reunión de la rufianesca”). La studiosa registra (p. 684) inoltre il termine puta barbacanera, che César Oudin (Tesoro de las dos lenguas española y francesa. Paris 1675) cosí delucida : “Putain ou garse qui suit les soldats, et celle qui ordinairement se tiennent et prostituent vers les rempars des villes”. 843   Pablo Jauralde Pou scrive : “La solemne ceremonia de entrega de los grados de bachiller a la promoción de Quevedo tuvo lugar en Alcalá el 4 de octubre de 1599, pero él, que ocupaba el número 58 de la lista, faltó y se lo otorgó el doctor Mansilla el primero de junio de 1600” (Francisco de Quevedo, p. 94).  















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capitolo viii

La sua identificazione di Perlícaro con Mateo Alemán non è però affatto convincente. Mateo Alemán viveva dalla fine del 1601 a Siviglia, dove nella primavera del 1604 uscirà il suo San Antonio de Padua, opera scritta per sciogliere un voto fatto al Santo 844 (la prima « Aprobacion » della agiografia fu concessa da Fray Luys dos Anjos “en San Francisco de Xobregas em Lixbona a veinticuatro de Novembro de mil y seyscientos y tres” 845). Per sorvegliare la stampa della Segvnda parte de la vida de Gvzman de Alfarache, Atalaya de la vida umana (Lisboa : Pedro Crasbeeck 1604), Mateo Alemán nell’aprile del 1604 lascerà Siviglia e si recherà a Lisbona, dove soggiornerà per lo meno sino alla fine dell’aprile dell’anno successivo. Al più tardi all’inizio dell’ottobre del 1605 lo scrittore era sicuramente di nuovo a Siviglia. 846 A differenza di molti altri scrittori, Mateo Alemán non aveva mai soggiornato a Valladolid negli anni in cui vi risiedette la Corte. Mentre Quevedo, ben introdotto a Corte per gli antichi legami della sua famiglia con la Casa Reale, veniva ‘protetto’, come abbiamo già ricordato, dalla Duchessa di Lerma, era compagno di avventure del giovane Duca di Osuna ad Alcalá de Henares, e forse già a Siviglia, e intratteneva amichevoli relazioni con vari altri membri dell’alta nobiltà – specialmente con il più volte evocato “doudo e alocado” Don Alonso Portocarrero, V Marchese di Villanueva del Fresno e signore di Barcarrota, al quale dedicherà El alguacil endemoniado (la dedica inizia con queste parole : “Bien sè que a los ojos de V. Señoria es màs endemoniado el autor que el subgeto...” 847) –, Mateo Alemán, definito da Lope de Vega “historiador sagrado”, 848 era completamente estraneo all’ambiente della Corte e a quello dell’alta nobiltà. (La dedica della Primera parte de Guzmán de Alfarache a Don Francisco de Rojas, Marchese di Poza, e la dedica della Segunda parte de la vida de Guzmán de Alfarache a Don Juan [Hurtado] de Mendoza, Marchese di San Germán e cugino del Duca di Lerma, potrebbero costituire indizi di un qualche legame di Mateo Alemán con l’aristocrazia di Corte. Ma la dedica a Don Francisco de Rojas deve essere quasi sicuramente messa in relazione con l’attività di “Presidente del Consejo de la hazienda de su Magestad, y tribunales della”, 849 svolta, dal 1595 al 1602, dal Marchese di Poza 850 – come “contador de resultas” nella “contaduria mayor” 851 Mateo Alemán era un suo subordi 























844   Cfr. Mateo Alemán : San Antonio de Padva. Sevilla 1604, fo. 5r-9v (« IVAN LOPEZ DEL VALLE, en alabança de Matheo Aleman. ELOGIO », qui fo. 9r. L’incidente che indusse Alemán a fare il voto, è narrato ai fo. 347v-349r). – Mateo Alemán : Segunda parte de la vida de Guzman de Alfarache, Atalaya de la vida umana, « El Alferes Lvis de Valdes, a Mateo Aleman. Elogio », fo. 8r-11r ; qui fo. 10r. 845   Mateo Alemán : San Antonio de Padva. Sevilla 1604, fo. [2r]. La seconda « Aprobacion » fu concessa da Fray Gregorio Ruy “en San Francisco de Valladolid a siete de Diziembre de 1603” [fo. 2v]. 846   Cfr. Discursos leídos ante la Real Academia Española en la recepción pública del Excmo. Señor Don Francisco Rodríguez Marín el día 27 de Octubre de 1907. Madrid : Tipografía de la Revista de Archivos, Bibl. y Museos 1907, pp. 3-53 (« Discurso del Excmo. Señor Don Francisco Rodríguez Marín [= Vida de Mateo Alemán] ») ; qui pp. 24-25, pp. 33-34. – Documentos referentes a Mateo Alemán (1546-1607). Hallados por Francisco Rodríguez Marín. Madrid : Tipografía de Archivos 1933, pp. 51-52. – Edmond Cros : Mateo Alemán : introducción a su vida y a su obra. Salamanca : Anaya 1971, p. 51. 847   Quevedo : Sueños y Discursos. Edición de J. O. Crosby I, p. 145. 848   Mateo Alemán : San Antonio de Padva. Sevilla 1604, [fo. 10r-12r] (« A MATHEO ALEMAN, Lope de Vega Carpio. CANCION »). 849   [All’interno di una cornice architettonica, nella cui parte superiore figura, al centro, lo stemma del dedicatario e in quella inferiore il motto : « LEGENDO SIMVL Q PERAGRANDO » :] PRIMERA PARTE | DE GVZMAN DE AL- | farache, por Mateo Aleman, criado del | Rey don Felipe. III. nuestro señor, | y natural vezino de Seuilla. | Dirigida à D. Francisco de Rojas, Mar- | ques de Poza, Señor de la casa de Monçon, | Presidente del Consejo de la hazien- | da de su Magestad, y tribu- | nales della. | Con licencia y priuilegio. | [Linea tipografica] | En casa del Licenciado Varez de Castro, | En Madrid, Año de 1599. | (London, The Britsh Library : 1074.d.4. – Wien, Österreichische Nationalbibliothek : 40.S.37). 850   Cfr. José Martínez Millán – Carlos J. De Carlos Morales (Directores) : Felipe II (1527-1598). La configuración de la Monarquía Hispana, p. 474. 851   [All’interno di una cornice floreale rettangolare :] ORTOGRAFIA | CASTELLANA. | ¶ A DON IVAN DE  



























































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nato –, mentre la dedica a Don Juan [Hurtado] de Mendoza costituisce verosimilmente un omaggio alla dignità di “Capitan General de los Reynos de Portugal” 852 della quale era allora insignito il Marchese di San Germán, 853 futuro Marqués de la Hinojosa, General del Mar e Gobernador del Milanesado. Sia la Segunda parte de la vida de Guzmán de Alfarache, che Mateo Alemán volle pubblicare a Lisbona, sia il San Antonio de Padua, dedicato « Al Reyno y nacion Lusitana », testimoniano la particolare affezione che lo scrittore nutriva per il Portogallo e i portoghesi. 854 Nessun elemento possediamo invece per ipotizzare le ragioni che spinsero Mateo Alemán a dedicare a Don Diego Fernández de Córdoba, Duca di Cardona y Segorbe e Marchese di Comares, la traduzione in verso di due Odi di Orazio. 855 Ad eccezione delle dediche, nessun documento è conosciuto su eventuali rapporti di Mateo Alemán con Don Francisco de Rojas, Don Juan de Mendoza e Don Diego Fernández de Córdoba. Forse, come ha supposto Francisco Rodríguez Marín, lo scrittore doveva a questi nobili “algunos favores”. Nessuno di questi “encopetados” fu però il suo “verdadero protectector”. 856) Il Guzmán de Alfarache era sicuramente diffuso fra i nobili che si dilettavano di letteratura, ma il suo autore era, come persona ‘fisica’, perfettamente sconosciuto, o conosciuto solo attraverso il ritratto a mezzo busto che orna la princeps della prima parte del romanzo e lo raffigura come austero e maturo scrittore ‘politico-morale’ : tiene la mano sinistra su una edizione delle opere di Cornelio Tacito e con l’indice della mano destra indica un emblema ‘politico’ : un ragno che si cala, inavvertito, su un serpente, con la legenda “ab insidiis non est prudentia”. 857 Nessuno avrebbe quindi potuto identificare il vivacissimo “mancebo” Perlícaro, scanzonato “matraquista”, con un grave moralista, con un austerissimo agiografo di quasi sessant’anni. Vi è anche da evidenziare una certa contraddizione nella tesi di Francisco Márquez Villanueva, studioso fermamente convinto della origine ebraica di Mateo Alemán. Ebbene, se Perlícaro è Mateo Alemán, l’agiografo che nel San Antonio de Padva illustra la vanità dei beni e degli onori terreni – linaje e honra, “tan pesada carga”, com 



















BILLELA, | del consejo del rei nuestro señor, presi- | dente de la real audiencia de Guada- | lajara, visitador jeneral de la | Nueva España. | [Piccolo ramo di fiori] POR MATEO ALEMAN, [Piccolo ramo di fiori] | criado de su majestad. | [Grande stemma] | Con previlejio por diez años. | EN MEXICO. | En la emprenta de Ieronimo Balli. Año 1609. | Por Cornelio Adriano Cesar. | (Wien, Österreichische Nationalbibliothek : 73.G.12), fo. 77v. Nella pagina successiva alla dedica a Don Juan de Billela vi è una specie di dedica-omaggio – « M. A. à Mejico » – alla “ilustre ciudad” del Nuovo Mondo. 852   Mateo Aleman : Segvnda parte de la vida de Gvzman de Alfarache, Atalaya de la vida umana. Dirigida a Don Ivan de Mendoça Marquez de San German, Comendador del Campo de Montiel, Gentilombre de la Camara de el Rey nuestro señor, Teniente General de las Guardas i Cavalleria de España, Capitan General de los Reynos de Portugal. Lisboa 1604. 853   Don Juan [Hurtado] de Mendoza, Marchese di San Germán, apparteneva alle casate dei Castro, Mendoza e Velasco. 854   Nella Ortografia Castellana si trova questo passo sui portoghesi : “verdaderamente les [los Lusitanos] tengo aficion i deuda, por las muchas amistades que dellos tengo recibidas, estimando jeneralmente mis papeles, no como de Castellano, mas cual si yo fuera de su propia nacion, i cercano deudo de cada uno, haziendome la merced que siempre dela suya esperé recebir” (fo. 70v). 855   A Don Diego Fernandez de Cordoua, Duque de Cardona y Segorbe, Marques de Comares. Odas de Horacio, traduzidas por Mateo Aleman. Si tratta di un pliego suelto di quattro fogli, privo di dati sul luogo e l’anno di stampa e sul tipografo o editore. Le Odi tradotte sono : “Rectius vives, Licini...” e “Eheu fugaces...” (Carmina II, X e XIV). Cfr. B. J. Gallardo : Ensayo de una Biblioteca Española I, col. 141, nro. 130. – Marcelino Menéndez Pelayo : Biblioteca de traductores españoles I, pp. 67-68. 856   Francisco Rodríguez Marín : Discurso [= Vida de Mateo Alemán], p. 26. 857   Primera parte de Gvzman de Alfarache, por Mateo Aleman, criado del Rey don Felipe. III. nuestro señor, y natural vezino de Seuilla. Madrid 1599. Il ritratto di Mateo Alemán, inciso su rame da Pedro Perret, si trova a fronte del primo foglio del testo (fo. 1r : « COMIENCA EL LIBRO PRIMERO DE Guzman de Alfarache. CAPITVLO PRIMERO, En que se cuenta quien fue su padre »).  























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capitolo viii

presi 858 –, perché si burla della origine ebraica di Justina ? Naturalmente la cosa, per quanto inverosimile, non sarebbe impossibile. Costituirebbe però comunque un problema da affrontare. Lo studioso non affronta questo problema e si limita a meravigliarsi della inimicizia, che la sua identificazione presuppone, fra l’autore della Pícara Justina e l’autore del Guzmán de Alfarache : “Nada sabemos de los motivos de tanta enemiga de López de Úbeda hacia aquel otro converso, médico, escritor y andaluz. En lugar de hermanarlos, la cuádruple coincidencia vital los condenaba más bien, en el seno de recónditas y perversas paradojas, a un enfrentamiento encarnizado”. 859 Neppure si può pensare a Cervantes o a Góngora, sebbene il poeta cordobese si dilettasse a scrivere poesie satiriche e burlesche. Jerónimo de Salas Barbadillo era allora ancora sconosciuto come scrittore e non era una figura che potesse suscitare la curiosità e l’interesse dei lettori per i quali era stata scritta la Pícara Justina. Lo stesso si può dire di Vélez de Guevara, che aveva studiato e conseguito il titolo di bachiller all’Università di Osuna e che a Valladolid era stato solo per un breve periodo, nel 1603 (nel 1604 si trovava già a Siviglia). Il futuro Conte di Villamediana era un cavaliere troppo raffinato, bello, elegante e aristocratico per poter essere trasformato in una simile grottesca deformazione caricaturale nella quale nessuno l’avrebbe riconosciuto. Si può quindi continuare a supporre con buon fondamento che Perlícaro sia effettivamente il ritratto caricaturale di Quevedo. Nessuno degli indizi sinora illustrati costituisce di per sé solo la prova che l’autore della Pícara Justina – che indubbiamente “conocía personalmente a Quevedo”, 860 come conosceva Cervantes – conoscesse il Buscón. Tutti insieme rendono però – a nostro avviso – molto verosimile la nostra congettura. (Naturalmente le corrispondenze e le omologie esistenti fra le due opere potrebbero essere spiegate come il risultato dell’influsso esercitato dalla Pícara Justina sul Buscón. Questa spiegazione – proposta da Rosa Navarro Durán, che ha messo in luce numerosi vocaboli identici e qualche espressione simile ricorrenti nelle due opere 861 – è poco convincente perché si basa necessariamente sulla ipotesi che il Buscón sia stato scritto nel 1605, dopo la pubblicazione della Pícara Justina, o negli anni successivi, 862 ipotesi che a sua volta si fonda sulla errata convinzione  













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  Mateo Alemán : San Antonio de Padva. Sevilla 1604, fo. 98r, fo. 408r.   Francisco Márquez Villanueva : La identidad de Perlícaro, pp. 424-425, p. 431. 860   Encarnación Juárez Almendros : El cuerpo vestido y la construcción de la identidad en las narrativas autobiográficas del Siglo de Oro, p. 119 n. 861   Quali – per esempio – “pelo ... pospelo” (Buscón. Ed. F. Lázaro Carreter, p. 182. – Libro de entretenimiento. Medina del Campo 1605, p. 10) ; “batalla nabal” (Buscón. Ed. F. Lázaro Carreter, p. 28. – Libro de entretenimiento. Medina del Campo 1605, p. 11) ; “cerbatana” (Buscón. Ed. F. Lázaro Carreter, p. 32. – Libro de entretenimiento. Medina del Campo 1605, p. 61) ; “monteria de corchetes” – “monteria de bolsas” (Buscón. Ed. F. Lázaro Carreter, p. 278. – Libro de entretenimiento. Medina del Campo 1605, p. 63) ; “pepitoria” (Buscón. Ed. F. Lázaro Carreter, p. 268. – Libro de entretenimiento. Medina del Campo 1605, « LIBRO SEGVNDO INTITVLADO LA PICARA Romera. En que se trata la jornada de Arenillas. CAPITVLO SEGVNDO DE LA Vigornia burlada. Numero primero. De la entretenedora astuta », p. 152) ; “caballete de tejado” – “cauallete de texado” (Buscón. Ed. F. Lázaro Carreter, p. 27. – Libro de entretenimiento. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO DE la Picara Romera. Capitulo. I. De la jornada de Leon. Numero tercero. de la entrada de Leon », p. 19) ; “gargajos” (Buscón. Ed. F. Lázaro Carreter, p. 63. – Libro de entretenimiento. Medina del Campo 1605, « TERCERA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO De la Picara Romera. Capitulo 2. de la vizma de Sancha Gomez. Numero 1. de la enfermedad, de Sancha la gorda », p. 138) ; “A cual se le perdía una pierna en los callejones de las calzas, y la venía a hallar donde menos convenía asomada” – “Sin duda, que le vi vn dia con vnas calças, que para no perderse el pie y pierna al embocarse en ellas, era menester vna guia de hilo a hilo” (Buscón. Ed. F. Lázaro Carreter, p. 170. – Libro de entretenimiento, de la Picara Ivstina. Medina del Campo 1605, « LIBRO QVARTO DE LA PICARA NOBIA. CAPITVLO SEGVNDO Del pretensor disciplinante », p. 11). Cfr. Rosa Navarro Durán : « Introducción » a : Francisco López de Úbeda (Baltasar Navarrete) : Libro de entretenimiento de la Pícara Justina, pp. XXXIII-XXXV (« La presenza de La pícara Justina en La vida del Buscón »). 862   Cfr. Rosa Navarro Durán : « Introducción » a : Francisco López de Úbeda (Baltasar Navarrete) : Libro de entretenimiento de la Pícara Justina, p. XXXIII.  

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della ‘storicità’ dell’episodio, raccontato da Pablo Antonio de Tarsia, della disputa di Quevedo con Luis Pacheco de Narváez. 863)  

Letteratura agiografica e oratoria sacra Il primo studioso che mise in relazione la Pícara Justina con la letteratura agiografica fu Julio Puyol y Alonso. Convinto che Andrés Pérez fosse l’autore del romanzo picaresco, Julio Puyol y Alonso analizzò la Historia de la vida y milagros del glorioso sant Raymundo de Peñafort, frayle de la orden de Predicadores (En Salamanca en casa de Pedro Lasso. Año de. 1601) del frate domenicano e – come abbiamo già ricordato – scoprí che fra alcune note marginali e alcuni passi della agiografia e alcune note marginali e alcuni passi della Pícara Justina esisteva una certa somiglianza. 864 Le note marginali della Historia ritenute simili a note marginali e passi della Pícara Justina sono queste :  



La histo.[ria] de S. Raym.[undo] es para satisfazer qualquier inclinacion (Historia). 865 En este libro hallara la donçella el conocimiento de su perdicion, los peligros en que se pone vna libre muger que no se rinde al consejo de otros, aprenderan las casadas los inconuinientes de los malos exemplos, y mala criança de sus hijas, los estudiantes, los soldados, los oficiales, los mesoneros, los ministros de justicia, y finalmente todos los hombres de qualquier calidad y estado aprenderan los enredos de que se han de librar, los peligros que han de huir[,] los pecados que les pueden saltear las almas (Pícara Justina). 866 Beneuolencia al lector (Historia). 867 Capta la beneuolencia a los corteses (Pícara Justina). 868 Pregunta hecha al autor en Valladolid. – Respuesta del author a la duda. – Simil a proposito (Historia). 869 Obiection contra lo dicho. – Respuesta. – Cuentos a proposito (Pícara Justina). 870 Hieroglifico de la verdad al proposito. – Hieroglifico de la ver[dad] (Historia). 871  













863   Cfr. Rosa Navarro Durán : Más datos sobre la fecha de escritura del Buscón. In : La Perinola. Revista de Investigación Quevediana. Número 10 (2006), 195-208 ; qui pp. 295-296. La studiosa è anche convinta che il Buscón mostri tracce della lettura del Guitón Onofre (1604), un’opera la cui “divulgación” considera un dato di fatto definitivamente acquisito ! Cfr. Rosa Navarro Durán : La composición del Buscón. In : Alfonso Rey (Editor) : Estudios sobre el Buscón. Pamplona : EUNSA. Ediciones Universidad de Navarra 2003, pp. 99-129 ; qui pp. 128129. – Rosa Navarro Durán : Más datos sobre la fecha de escritura del Buscón, p. 196, p. 206, 864   J. Puyol y Alonso : « Estudio crítico de la Pícara Justina », pp. 82-89. 865   Andrés Pérez : Historia de la vida y milagros del glorioso sant Raymundo de Peñafort, frayle de la orden de Predicadores, p. 4 (« PROLOGO AL Lector, en que se persuade, con razones efficaces, la deuocion a San Raymundo : y el gusto con que todos deuen leer su historia, en especial los Españoles »). 866   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « PROLOGO AL LECTOR. EN EL QVAL DEclara el Autor el intento de todos los tomos, y libros, de la Picara Iustina », fo. [A 7v]. 867   Andrés Pérez : Historia de la vida y milagros del glorioso sant Raymundo de Peñafort, frayle de la orden de Predicadores, p. 8 (« PROLOGO AL Lector »). 868   Libro de entretenimiento, de la Picara Ivstina. Medina del Campo 1605, « INTRODVCCION GENERAL, PARA TODOS los tomos y libros. Escrita de mano de Iustina. Intitulada la Melindrosa Escriuana. DIVIDESE ESTA INTRODVCCION en tres numeros. Numero segundo [tercero !]. Del melindre a la culebrilla ». p. 31. 869   Andrés Pérez : Historia de la vida y milagros del glorioso sant Raymundo de Peñafort, frayle de la orden de Predicadores, pp. 5-7 (« PROLOGO AL Lector »). 870   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO PRIMERO, INTITVLADO LA PICARA Montañesa. CAPITVLO PRIMERO, de la Escriuana fisgada. NVMERO SEGVNDO DE LA contrafisga colerica », p. 48-49. 871   Andrés Pérez : Historia de la vida y milagros del glorioso sant Raymundo de Peñafort, frayle de la orden de Predicadores, p. 19 [16 !], p. 17 (« PROLOGO AL Lector »).  



































































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Geroglifico de la injusticia. – Giroglifico de la esperança, y de la enuidia. 873 – Geroblifico de la paciencia de los reyes. 874 – Giroblifico de la odiosidad de la vejez. 875 – Giroblificos del meson. 876 – Giroblifico de la vista del aguila. 877 – Giroblifico de las juntas de vellacos. 878 – ecc. ecc. (Pícara Justina). Simil. – Simil. – Simil. – Simil. – Simil del lustre que la nobleza da a la humildad.– ecc. (Historia). 879 Similes para consolarse vn buboso. 880 – Similes del consejo dado a caso. 881 – Similes del meson. 882 – ecc. ecc. (Pícara Justina).  

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E questi sono i passi – li abbiamo controllati, talvolta citati piú estesamente e corretti sul testo originale, e abbiamo annotato la pagina in cui si trovano – della Historia de la vida y milagros del glorioso sant Raymundo de Peñafort che, secondo Julio Puyol y Alonso, contengono “conceptos, ideas y modos de expresión que traen á la memoria pasajes de la Pícara Justina” : 883    

Y porque desseo entretener espiritualmente al lector, para que conforme a buena rhetorica, procedamos, afficionando la voluntad de los que se ocuparen en nuestro libro (Historia). 884 he tenido buena ocasion para pintar mi persona y qualidades, lo qual es documento rethorico, y necessario para qualquier persona que escriue historia suya o ajena (Pícara Justina). 885  



872   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « INTRODVCCION GENERAL, PARA TODOS los tomos y libros. Escrita de mano de Iustina. Intitulada la Melindrosa Escriuana. DIVIDESE ESTA INTRODVCCION en tres numeros. Numero segundo, Del melindre a la mancha », p. 20. 873   Libro de entretenimiento, de la Picara Ivstina. Medina del Campo 1605, « INTRODVCCION GENERAL, PARA TODOS los tomos y libros. Escrita de mano de Iustina. Intitulada la Melindrosa Escriuana. DIVIDESE ESTA INTRODVCCION en tres numeros. Numero segundo [tercero !]. Del melindre a la culebrilla ». p. 24. 874   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO PRIMERO, INTITVLADO LA PICARA Montañesa. CAPITVLO PRIMERO, de la Escriuana fisgada. Numero primero. Del fisgon medroso », p. 42. 875   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO PRIMERO, INTITVLADO LA PICARA Montañesa. CAPITVLO PRIMERO, de la Escriuana fisgada. NVMERO SEGVNDO DE LA contrafisga colerica », p. 48. 876   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO PRIMERO, INTITVLADO LA PICARA Montañesa. CAPITVLO SEGVNDO [TERCERO !] DE LA vida de el meson. Numero primero. De el mesonero consejero », p. 72. 877   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO PRIMERO, INTITVLADO LA PICARA Montañesa. CAPITVLO SEGVNDO [TERCERO !] DE LA vida de el meson. NVMERO SEGVNDO DE LA Mesonera Astuta », p. 92 [90 !]. 878   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO SEGVNDO INTITVLADO LA PICARA Romera. En que se trata la jornada de Arenillas. CAPITVLO SEGVNDO DE LA Vigornia burlada. NVMERO SEGVNDO DEL parlamento loco », p. 162. 879   Andrés Pérez : Historia de la vida y milagros del glorioso sant Raymundo de Peñafort, frayle de la orden de Predicadores, p. 20, p. 20, p. 22, p. 23, p. 47. 880   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « INTRODVCCION GENERAL, PARA TODOS los tomos y libros. Escrita de mano de Iustina. Intitulada la Melindrosa Escriuana. DIVIDESE ESTA INTRODVCCION en tres numeros. Numero primero, Del melindre al pelo de la pluma », p. 6. 881   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO PRIMERO, INTITVLADO LA PICARA Montañesa. CAPITVLO SEGVNDO DEL abolengo alegre. Numero Primero. Del abolengo parlero », p. 54. 882   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO PRIMERO, INTITVLADO LA PICARA Montañesa. CAPITVLO SEGVNDO [TERCERO !] DE LA vida de el meson. Numero primero. De el mesonero consejero », p. 72. 883   J. Puyol y Alonso : « Estudio crítico de la Pícara Justina », pp. 83n.-84n. 884   Andrés Pérez : Historia de la vida y milagros del glorioso sant Raymundo de Peñafort, frayle de la orden de Predicadores, p. 8 (« PROLOGO AL Lector »). 885   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « INTRODVCCION GENERAL, PARA TODOS los tomos y libros. Escrita de mano de Iustina. Intitulada la Melindrosa Escriuana. DIVIDESE ESTA INTRODVCCION en tres numeros. Numero primero, Del melindre al pelo de la pluma », p. 12.  



































































il contesto letterario della pícara justina

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No querria parecer que bueluo la historia en sermon, aunque los historiadores, que de profession lo tienen, y de officio no es razon digan a secas las historias, y mas en passos tan fecundos como aqueste (Historia). 886 vaya de juego, no quiero predicar, porque no me digan que me bueluo picara a lo Diuino (Pícara Justina). 887 por ser soldados de consciencia rota, tanto, que al menor repiquete de campana dan al traste con ella [la fee] (Historia). 888 que son pícaros de quien te me enojô Isabel, que al menor repiquete de broquel, se meten a ganapanes (Pícara Justina). 889 Y con esso bien vendria dezir, que Raymundo es lo mismo que Radius mundi, rayo del mundo (Historia). 890 Quien dixo hermano, dixo herir con la mano (Pícara Justina). 891  











Ma sono soprattutto i quattro passi seguenti che, secondo lo studioso, la critica dovrebbe tenere presente “antes de emitir un fallo definitivo respecto del autor de la Pícara Justina” : 892    

Por cierto para excelencia de mi orden, no me quiero acordar, de que sus frayles, desde san Vicente aca, han sido los maestro del sacro Palacio [...]. Ni me acuerdo que sus frayles han sido cathedraticos de prima de Theologia en Salamanca, por largos años, despues que se fundo aquella insigne vniuersidad (Historia). 893 [Nota marginale : Nombres de Catedraticos de Salamanca.] Pero dexado esto para los Sotos [Fray Domingo de Soto O.P.], frescos, para los Gallos [Fray Juan Gallo O. P.] briosos, y para las Peñas [Fray Juan de la Peña O. P.] fuertes (que son los floridos de nuestra Salamanca) concluyo... (Pícara Justina). 894 [Nota marginale : Aues en especial el aguila.] Entre las aues, el Aguila absconde los hijos agenos en su nido, pero la misma, à su tiempo los prueua, y los descubre en hazerlos mirar al sol, para sacar de engaño, a quien viere en su nido, los hijos de la cigueña montañesa, abscondidos y tenidos por hijos proprios (Historia). 895 [Numerose note marginali sull’aquila : Propriedades del Aguila. – Aguila. 896 – Propriedad del  













886   Andrés Pérez : Historia de la vida y milagros del glorioso sant Raymundo de Peñafort, frayle de la orden de Predicadores, p. 324. 887   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « TERCERA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO De la Picara Romera. Capitulo 4. de la partida de Leon. Numero primero de la despedida de Sancha », p. 166. 888   Andrés Pérez : Historia de la vida y milagros del glorioso sant Raymundo de Peñafort, frayle de la orden de Predicadores, p. 132. 889   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO PRIMERO, INTITVLADO LA PICARA Montañesa. CAPITVLO SEGVNDO DEL abolengo alegre. Numero primero. Del abolengo parlero », p. 58. 890   Andrés Pérez : Historia de la vida y milagros del glorioso sant Raymundo de Peñafort, frayle de la orden de Predicadores, p. 28. 891   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO TERCERO DE LA PICARA PLEYTISTA. Capitulo primero de la hermana perseguida », p. 191. 892   J. Puyol y Alonso : « Estudio crítico de la Pícara Justina », p. 88. 893   Andrés Pérez : Historia de la vida y milagros del glorioso sant Raymundo de Peñafort, frayle de la orden de Predicadores, p. 273. 894   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO SEGVNDO INTITVLADO LA PICARA Romera. En que se trata la jornada de Arenillas. CAPITVLO SEGVNDO DE LA Vigornia burlada. NVMERO SEGVNDO DEL parlamento loco », p. 165. 895   Andrés Pérez : Historia de la vida y milagros del glorioso sant Raymundo de Peñafort, frayle de la orden de Predicadores, p. 11. 896   Libro de entretenimiento, de la Picara Ivstina. Medina del Campo 1605, « INTRODVCCION GENERAL,  

































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capitolo viii

aguila. – giroblifico de la vista del aguila. 897 – Propriedad de las alas del Aguila. 898 – Especies naturales de aguila. – Aguila mestiça. – Aguila, como se remoza. 899 – Aguila. 900 – Aguila quito el sombrero a Macrino. 901 – Traese el geroglyphico de la Aguila y corneja. 902 – ecc.]. – y qualquier Aguila (no digo yo la Morphnos, ni Ossifraga, ni Halicto, ni Pigargo, que son las especies naturales del Aguila, sino la bastarda, o mestiza, llamada cigueña Montañesa) le vence y acobarda (Pícara Justina). 903 Esto cuenta ansi Pedro de Palude Patriarcha de Hierusalem en el quarto de las sentencias (Historia). 904 Mas ella asiendo del latigo torno a hazer segunda impression de palude [Petrus de Palude, o Petrus Paludanus : In quartum Sententiarum scriptum] y palaços [Miguel de Palacio : Disputationes theologicae in quartum librum Sententiarum] sobre el cuarto derecho delantero (Pícara Justina). 905 A Abraham le dio titulo, y officio de padre de los del Limbo, el qual se llama seno de Abraham. Y no porque el fuese el primero que alli entro (que primero entro Abel) ni tampoco, porque el fuesse el mas sancto, (que mas sancto fue sant Ioan Baptista, y estaua alli.) Sino que como alli estauan los sanctos padres de prestado, y como huespedes de posada : quiso el señor, que el officio de hospedero y titulo de tal, le tuuiesse Abraham : el qual en esta vida tuuo aquella virtud de hospedador de peregrinos, con mucha perfection, y recibio con la charidad, que sabemos, a aquellos tres angeles, que encontro, en el feruor de el calor del medio dia (Historia). 906 Digolo por vn librito intitulado la Eufrosina, que ley siendo donzella, en el qual se refiere de vn discrepito Poeta, que para alabar el meson, dixo. Que Abraham se preciô en vida de ventero de Angeles, y en muerte, de mesonero de los peregrinos, y passajeros del limbo, los quales tuuieron posada en su seno (Pícara Justina). 907  





























PARA TODOS los tomos y libros. Escrita de mano de Iustina. Intitulada la Melindrosa Escriuana. DIVIDESE ESTA INTRODVCCION en tres numeros. Numero segundo [tercero !]. Del melindre a la culebrilla », pp. 25-26. 897   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO PRIMERO, INTITVLADO LA PICARA Montañesa. CAPITVLO SEGVNDO [TERCERO !] DE LA vida de el meson. NVMERO SEGVNDO DE LA Mesonera Astuta », pp. 91-92 [89-90 !]. 898   Libro de entretenimiento. Medina del Campo 1605, « LIBRO SEGVNDO INTITVLADO LA PICARA Romera. En que se trata la jornada de Arenillas. CAPITVLO SEGVNDO DE LA Vigornia burlada. Numero primero. De la entretenedora astuta », p. 157. 899   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO DE la Picara Romera. Capitulo. I. De la jornada de Leon. Numero primero, Del afeyte mal[em] pleado », p. 2, p. 10. 900   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO DE la Picara Romera. Capitulo quarto [segvndo !] del fullero burlado. Numero primo de la del penseque », p. 26. 901   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO De la Picara Romera. Capitulo IIII. de la romera de Leon. Numero 5. del engaño meloso », p. 112. 902   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO TERCERO DE LA PICARA PLEYTISTA. Capitulo primero de la hermana perseguida », p. 192. 903   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO DE la Picara Romera. Capitulo. I. De la jornada de Leon. Numero primero, Del afeyte mal[em] pleado », p. 2. 904   Andrés Pérez : Historia de la vida y milagros del glorioso sant Raymundo de Peñafort, frayle de la orden de Predicadores, p. 99. 905   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO De la Picara Romera. Capitulo IIII. de la romera de Leon. Numero 5. del engaño meloso », p. 114. 906   Andrés Pérez : Historia de la vida y milagros del glorioso sant Raymundo de Peñafort, frayle de la orden de Predicadores, pp. 174-175. 907   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO PRIMERO, INTITVLADO LA PICARA Montañesa. CAPITVLO SEGVNDO [TERCERO !] DE LA vida de el meson. Numero primero. De el mesonero consejero », pp. 71-72.  



















































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Questi passi possono costituire, nel loro insieme, una prova della conoscenza che l’autore della Pícara Justina aveva della Historia de la vida y milagros del glorioso sant Raymundo de Peñafort, frayle de la orden de Predicadores, ma non certo una prova che il romanzo picaresco sia stato scritto da Andrés Pérez. Provano forse che l’autore del Libro de entretenimiento abbia voluto burlarsi dell’opera del frate domenicano ? Marcel Bataillon ha ripetutamente sostenuto questa tesi e, riferendosi al passo su Abramo or ora trascritto della Pícara Justina e della Historia, la formula, già nel Cours di lezioni dell’anno accademico 1959/1960, cosí :  



Seguramente Puyol acertó cuando halló estrecha relación entre este trozo de la obra y aquella página de la Vida de San Raymundo de Peñafort, en la que fray Andrés Pérez, ya en 1602, 908 había evocado el hospitalario papel de Abraham en esta vida y en la otra, según los dos Testamentos (Génesis, XVIII, y San Lucas, XIV, 22 [XVI, 22 !]). Pero este paralelismo no se debe a un azar ni a que el autor de las dos obras sea el mismo. Lo que aparece claro es que el médico López de Ubeda quiso burlarse del libro del dominico que tan bien conocía y que tan poco apreciaba. Indudablemente por esto, si bien saquea aquel gordo librote, por otro lado descarría al lector poniéndole sobre una pista falsa : « Dígolo – dice Justina – por un librito intitulado La Eufrosina, que leí siendo donzella... ». Esta clase de burla que tanto encanta a nuestro autor, gustó no sólo a Rabelais y a don Francesillo de Zúñiga, sino hasta al muy serio Fray Antonio de Guevara. (A ello alude, burlonamente, Lope de Vega en su novela corta La desdicha por la honra.) No. Desde luego López de Ubeda no fue un seudónimo de fray Andrés Pérez, aunque toda la historia de estos personajes aún está por estudiar. En son de sátira multiplicó nuestro médico las notas marginales, como en serio lo hizo también el fraile, y como él, y aún más que él, abusó de los jeroglíficos literarios entonces de moda. Pero los « giroblíficos del mesón », como los llama Ubeda, prestando a su pícara una ignorancia sanchopancesca de las palabras cultas, se convierten bajo su pluma en jeroglíficos de burlas, como tantos otros que inventó. 909  















Marcel Bataillon tornerà a parlare dei rapporti esistenti fra la Historia de la vida y milagros del glorioso sant Raymundo de Peñafort e il Libro de entretenimiento nel saggio Una visión burlesca de los monumentos de León en 1602 (1961) e nel saggio La picaresca. A propósito de La Pícara Justina (1963). Nel primo saggio, alludendo all’attribuzione della Pícara Justina al frate domenicano, scrive : “Al considerar pacientemente la cuestión, me di cuenta que no es del todo inadecuado el relacionar a Fray Andrés Pérez con la génesis de esta obra enigmática y que aquel fraile fue una víctima más de las que sufrieron, de pasada, la ironía del médico humorista López de Úbeda.” 910 Nell’altro saggio Marcel Bataillon  



908   La Historia de la vida y milagros del glorioso sant Raymundo de Peñafort esce nel 1601, come risulta dal frontespizio, dal colofone (“EN SALAMANCA. En casa de Pedro Lasso. Año. 1601), dalla « Summa del Priuilegio » (“Dada en la ciudad de Valladolid a. 5. dias del mes de Agosto de. 1601.”), dalla « TASSA » (“Fecha en Valladolid a diez y nueue de Octubre de. 1601.”) e dalle « ERRATAS » (“En Salamanca, oy. 7. de Octubre de. 1601”). Ma il già ricordato « PRECEPTO » di Fray Andrés de Caso – con il quale il “Prior Prouincial” dell’Ordine domenicano ingiungeva a Fray Andrés Pérez “que procure con toda breuedad, hazer imprimir vn libro que tiene compuesto, de la vida y milagros de el glorioso S. Raymundo” –, è del 9 gennaio 1601 e documenta che il libro era già stato scritto. La sua Historia Fray Andrés Pérez l’aveva quindi già ultimata nel corso dell’anno 1600, se non prima. 909   Marcel Bataillon : Redescubrimiento de una obra literaria (1958-1960). In : M. B. : Pícaros y picaresca, pp. 35-36. Questi concetti furono ripetuti, sintetizzati, nel saggio Los asturianos de La pícara Justina (in : Pícaros y picaresca, p. 129). 910   Marcel Bataillon : Pícaros y picaresca, p. 104. Riferendosi a queste parole, José Miguel Oltra Tomás scrive : “Marcel Bataillon intuyó, aunque no acertase a plasmar en una visión más amplia, la importancia de fray Andrés Pérez en la génesis de la obra”. Secondo lo studioso, “Úbeda utiliza el arte alusivo para novelar sobre una caricatura de fray Andrés”. Il domenicano sarebbe stato messo in caricatura dall’autore della Pícara Justina nella figura del “vachillerejo”, che “en virtud de ciertos cursos interpolados, que auia tenido en el Colegio de  



























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afferma che “la pretendida referencia de la heroína a la Eufrosina (« un librito ... que leí siendo donzella »)” non è credibile e che sotto il libro di Jorge Ferreira de Vasconcellos  



se oculta, para algunos iniciados, la recentísima Vida de San Raymundo (1601), del dominico Fray Andrés Pérez (nuestro autor [López de Ubeda] se burla de él, apropiándose sus referencias a textos bíblicos según los cuales Abraham sería el arquetipo de los mesoneros en este mundo y en el otro). 911  

Quindi, in nota a queste parole, 912 scrive :  



La semejanza del contenido de este pasaje con una página de la Vida de San Raymundo de Peñafort (págs. 174-175) ya había sido advertida por Puyol (III, pág. 87), que había visto en ella un argumento entre otros a favor de su tesis de unidad de autor. Pero Puyol no había comprendido la doble burla de que López de Ubeda hace blanco a fray Andrés. No contento con remitir burlonamente a la Comedia Eufrosina, libro que no era tan pequeño como él afirma, y donde no existe nada semejante, trata el autor a quien, en realidad, saquea de « escritor monobiblio », 913 aludiendo maliciosamente al final de la epístola dedicatoria de fray Andrés Pérez, quien, al ofrecer su Vida de San Raymundo a una su noble protectora, le presenta « este pequeño libro » como su obra primera y expresa su esperanza de publicar otros « calificados con ver dedicado a V. M. este primero ». 914  















los Dominicos de Trianos, lleuaua vn pujo de dezir necedades” (Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO De la Picara Romera. Capitulo IIII. de la romera de Leon. Numero 5. del engaño meloso », pp. 107-108). Anche i riferimenti, sopra ricordati, alle Disputationes theologicae in quartum librum Sententiarum di Miguel de Palacio e all’In quartum Sententiarum scriptum di Petrus de Palude, costituirebbero un’allusione alla “formación teológica del fraile” domenicano. All’attività di predicatore di Fray Andrés Pérez alluderebbero, invece, queste parole che il vachillerejo, “gran abladorcillo”, rivolge a Justina : “Mala hembra, porque has querido authorizar con la honra que me as quitado, tu mesonera è ingrata descendencia ? serpiente, porque me has hecho arrastrar por los suelos de las camas, bañandome de espurcicia ? no sabes lo que yo y tu oymos en vn sermon, que el estiercol de vna golondrina, causo mil pesares en casa de vn santo, que no se me acuerda como se llamaua ?” (Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « TERCERA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO De la Picara Romera. Capitulo 4. de la partida de Leon. Numero 2. del desenojo astuto », p. 174.) José Miguel Oltra Tomás fa notare, infine, come le lettere iniziali del nome della vittima dell’engaño meloso, Antón Pintado, coincidano con le lettere iniziali del nome di Fray Andrés Pérez. Affermare che “Antón Pintado se identifica con fray Andrés Pérez”, fondandosi su questi ‘indizi’, è ipotesi molto azzardata, ma non del tutto priva di verosimiglianza. La verosimiglianza sarebbe, naturalmente, maggiore se l’autore del romanzo fosse Fray Baltasar Navarrete. José Miguel Oltra Tomás stesso accenna al rapporto, che non conosciamo precisamente, ma che – “quizá a causa de alguna fricción literaria en algún cenáculo vallisoletano o tal vez leonés” – non era certamente caratterizzato da “cordialidad”, fra l’autore della Pícara Justina e Fray Andrés Pérez, e pone in relazione la diatriba fra i due con la pubblicazione della Vida de sant Raymundo e la conseguente accusa di plagio sollevata da Fray Francisco Diago. Francisco López de Úbeda – scrive infatti lo studioso – “prosigue su burla como seguro conocedor del lamentable incidente que provocó la aparición de la obra de fray Andrés Pérez”. Cfr. J. M. Oltra Tomás : La parodia como referente en La Pícara Justina, pp. 79-84. 911   Marcel Bataillon : Pícaros y picaresca, pp. 154-155. Anche nel saggio Los asturianos de La Pícara Justina (1964) accenna “alla falsa referencia a La Eufrosina, que ... va dirigida contra fray Andrés Pérez y su Vida de San Raimundo” (Pícaros y picaresca, p. 129). 912   Marcel Bataillon : Pícaros y picaresca, p. 155, nota nro. 15. 913   A continuazione delle righe sopra riportate su Abramo, l’autore della Pícara Justina aveva scritto : “Pero este escritor monobibilio [monobiblio ?], no aduirtio dos cosas, lo vno que es necedad traer tales personas en materias tales, y lo otro porque Abraham dio de comer a su costa en su casa a los viuos, y a los del limbo no lleuô blanca de posada : lo qual no habla cou [con] los mesoneros deste mundo : ni tal milagro acaecio en casa de mi padre. De mas de que yo no me quiero meter en historias diuinas, no porque las ignoro, sino porque las adoro” (Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO PRIMERO, INTITVLADO LA PICARA Montañesa. CAPITVLO SEGVNDO [TERCERO !] DE LA vida de el meson. Numero primero. De el mesonero consejero », p. 72). 914   Alla fine della sua dedica « A D. ISABEL DE ACVÑA Y Castro Manrique, singular bienhechora de el habito y religion de S. Domingo, patrona y fundadora del conuento de S. Cathalina de Cisneros, y residente en la misma villa », Fray Andrés Pérez aveva scritto : “Yo ... confiesso que he recibido beneficios, que no puedo pagar. Mas si por desquite, valen desseos de seruir, yo los offrezco en compañia deste pequeño libro, que es primicia de mis continuos  









































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Non crediamo che con l’uso delle note marginali e, in particolare, con l’abuso dei geroglifici l’autore della Pícara Justina abbia voluto schernire Fray Andrés Pérez. L’uso delle note marginali era infatti diffusissimo. Per quel che riguarda poi i geroglifici, essi sono troppo rari nell’opera del domenicano (la parola “Hieroglifico” è usata solo tre volte in tutta l’opera : due nelle note marginali, una nel testo 915) per poter aver generato nell’autore della Pícara Justina l’idea di farne oggetto di satira ! Il passo su Abramo “mesonero” costituisce invece, sicuramente, una burla con la quale l’autore della Pícara Justina ha voluto colpire – con velenosa malizia – Fray Andrés Pérez e la sua Historia de la vida y milagros del glorioso sant Raymundo de Peñafort. Vorremmo ora ricordare alcuni fatti. Fray Francisco Diago O. P. legge la Pícara Justina, uscita a Medina alla fine di maggio o all’inizio di giugno, nei giorni immediatamente successivi alla sua pubblicazione e il giorno 10 luglio 1605 firma per l’edizione barcellonese di Sebastián de Cormellas la sua « Aprovacion », nella quale il Libro de entretenimiento è definito – come sappiamo – “muy docto y curioso para qualquier ingenio”. 916 Il frate domenicano, celebre storico e agiografo, nutriva una forte avversione per il confratello Fray Andrés Pérez perché questi aveva trascritto nella Historia de la vida y milagros del glorioso sant Raymundo de Peñafort, senza indicazione della fonte, molte delle pagine della agiografia che egli aveva dedicato al Santo nella Historia dela prouincia de Aragon dela Orden de Predicadores, desde su origen y principio hasta el año de mil y seyscientos (Impressa por Sebastian de Cormellas en Sancta Catherina martyr de Barcelona, a costa de la Prouincia : Año de. M.D.XCVIIII). 917 La dura accusa di plagio rivolta da Fray Francisco Diago nella sua Historia de los Victoriosíssimos Antigvos Condes de Barcelona (Barcelona : Sebastián de Cormellas 1603) a Fray Andrés Pérez, 918 che non solo aveva ‘copiato’ molte  



















estudios, y principio de otros libros, que espero en Dios saldran a luz, calificados con ver dedicado a v. m. este primero. Y a mi como humilde capellan de v. m. a quien Dios prospere en su seruicio : y guarde eßos señores para la honra de España y augmento de eßa casa, tan importante a toda la Christiandad. Fray Andres Perez.” Alla fine del « PROLOGO AL Lector » il domenicano ripeterà : “si este pequeño libro diere el gusto que desseo offrezco mayores seruicios. Consuelome mucho con que este librito (aunque pequeño) es el primer que imprimo. Porque terne por cierto que offreciendo a tal patron las primicias, de mis trabajos, saldran con gusto a luz otros muy mayores, a seruicio de Dios y augmento de la deuocion Christiana con Dios y con la Virgen Maria señora nuestra” (p. 17). Il libro di Fray Andrés Pérez non era – con le sue 575 pagine e i fogli preliminari non numerati – in realtà “piccolo” ! 915   Andrés Pérez : Historia de la vida y milagros del glorioso sant Raymundo de Peñafort, frayle de la orden de Predicadores, pp. 16-17. 916   La Picara Montañesa llamada Ivstina. Barcelona : Sebastian de Cormellas 1605, fo. A 2r. 917   Fray Francisco Diago O. P. amplierà poco dopo l’agiografia e la pubblicherà come opera autonoma con il titolo Historia del B. cathalan barcelones S. Raymundo de Peñafort, tercero Maestro General de la Orden de Predicadores. Con vna relacion de la Canonización del Sancto, y de las fiestas que se han hecho en Barcelona y con la vida que del sieruo de Dios compuso en Latin el antiguo Fray Pedro Marsilio. Barcelona : Sebastian de Cormellas 1601 (cfr. José Simón Díaz : Bibliografía de la Literatura Hispánica. Tomo IX. Madrid : C.S.I.C. 1971, p. 332). Fray Francisco Diago O. P. è anche autore di una agiografia il cui titolo inizia con le stesse parole del titolo della Historia de la vida y milagros di Fray Andrés Pérez : Historia de la vida, milagros, muerte, y discipulos del bienauenturado predicador apostolico Valenciano S. Vincente Ferrer de la Orden de Predicadores. En Barcelona, En la Emprenta de Gabriel Graells y Giraldo Dotil. Anno M.DC. Cfr. Le cinquecentine della Biblioteca Casanatense. I : Spagna e Portogallo. A cura di Ada Corongiu e Giuseppina Florio. Roma : Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato 1994, p. 45, nro. 86. La Biblioteca Casanatense possiede anche un esemplare della Historia dela prouincia de Aragon. 918   In quest’opera Fray Francisco Diago scrive che Fray Andrés Pérez “trasladô la mayor parte” della Historia de la vida y milagros del glorioso sant Raymundo dalla sua Historia de la provincia de Aragon de la orden de Predicadores. La sua “larga y curiosa aueriguacion” relativa all’anno della “institucion de la orden de la Merced”, Fray Andrés Pérez l’ha trascritta – accusa Fray Francisco Diago – “tan al pie de la letra ... que leyendola me parecio passaua los ojos por mi propia Historia”. La narrazione della “milagrosa nauegacion de san Raymundo desde la Isla de Mallorca hasta Barcelona”, avvenuta nel 1269, Fray Andrés Pérez – accusa ancora Fray Francisco  

























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pagine sulla vita di San Raimondo contenute nella Historia dela prouincia de Aragon dela Orden de Predicadores ma si era anche permesso di confutare alcuni punti della esposizione storica del celebre confratello, 919 causa probabilmente la brusca interruzione del progetto di pubblicare altri libri, annunziato – come abbiamo visto – dal domenicano sia nella dedica a Isabel de Acuña sia nel prologo al lettore, premessi alla Historia de la vida y milagros del glorioso sant Raymundo de Peñafort. Solo vent’anni dopo l’uscita della agiografia, Fray Andrés Pérez pubblicherà i Sermones de Qvaresma (Valladolid 1621), dedicati alla città di León e presentati come “primicias de sus desuelos” 920 (ripudiava quindi, indirettamente, la sua prima opera ! 921), e i Sermones de los Santos (Valladolid 1622). A questo ventennale silenzio aveva forse contribuito anche l’attacco sferrato, appena due anni dopo l’uscita della Historia de los Condes de Barcelona, contro lo sfortunato – ma anche parecchio incauto – plagiario dall’autore della Pícara Justina, che si burla della Historia de la vida y milagros del glorioso sant Raymundo de Peñafort e del suo autore, definito – come abbiamo visto – “escritor monobibilio” e sciocco (“no aduirtio ... que es necedad ....”). Nel conflitto fra due frati domenicani si inserisce cosí l’autore della Pícara Justina, opera che Fray Francisco Diago riceve subito dopo la sua pubblicazione, loda, non senza un evidente interesse personale, e – come censore – approva. Ma l’accusa di plagio scagliata da Fray Francisco Diago non solo feriva Fray Andrés Pérez, ma anche il Padre Provinciale dell’Ordine dei Domenicani. Fray Andrés de Caso aveva infatti ordinato a Fray Andrés Pérez di stampare il suo libro su S. Raimondo : “Porque nos parece, y creemos de su erudicion y diligencia, que sera este libro de mucha importancia, para el seruicio de Dios, y honor de el habito de S. Domingo N. P. y para gran augmento de la deuocion al glorioso S. Raymundo.” 922 Ora, dichiarando che il libro di Fray Andrés Pérez era un plagio e che non era frutto di quelle oneste ricerche di archivio sulle quali era fondata invece la sua propria biografia del Santo, 923 Fray Francisco Diago, che per  



   







Diago – l’ha fatta “vaziando enteramente con los proprios terminos y lenguage (aunque sin atribuyrmela) la copiosa y curiosa aueriguacion que yo hago de esse año”. Cfr. HISTORIA | DE LOS VICTORIO- | SISSIMOS ANTIGVOS | Condes de Barcelona. | DIVIDIDA EN TRES LIBROS. | En la qual allende de lo mucho que de todos ellos y de su decendencia, hazañas, y conquistas se es- | criue, se trata tambien de la fundacion de la ciudad de Barcelona y de muchos successos y | guerras suyas, de sus Obispos y Santos, y de los Condes de Vrgel, Cerdaña, | y Besalu, y de muchas otras cosas de Cathaluña. | COMPVESTA POR EL PRESENTADO FRAY FRANCISCO DIAGO DE | la Orden de Predicadores, lector primero de Theologia del Conuento de santa Catherina martyr | de Barcelona y Calificador del santo tribunal de la Inquisicion de la propria ciudad. | DIRIGIDA AL ILLVSTRISSIMO Y EXCELENTISSIMO SEÑOR | don Iuan Teres Arçobispo de Tarragona, Lugartiniente y Capitan general por su | Magestad en el Principado de Cathaluña. | Año [Grande scudo con quattro pali verticali sovrastato da un cimiero cinto da una corona con sopra un drago alato] 1603. | CON LICENCIA Y PRIVILEGIO. | [Linea tipografica] | Impressa en Barcelona en casa Sebastian de Cormellas al Call. (Wien, Österreichische Nationalbibliothek : 60.F.11), fo. 274r, fo. 279r, fo. 279v. 919   Alla dimostrazione della falsità dei rilievi mossi da Fray Andrés Pérez ad alcuni punti della sua agiografia, Fray Francisco Diago dedica i capitoli IV-VII (fo. 273v-280r) del « Libro tercero » della Historia de los victoriosissimos antigvos Condes de Barcelona. 920   Andrés Pérez : Sermones de Qvaresma, fo. 4r (« EL PRESENTADO FRAY ANDRES PEREZ Predicador del Conuento, y Collegio de sancto Thomas de Madrid, a la Real ciudad de Leon »). 921   Cfr. Fr. Maximiliano Canal, O. P. : El padre fray Andrés Pérez de León O. P., autor de « La pícara Justina » y del falso « Quijote », p. 326. 922   Andrés Pérez : Historia de la vida y milagros del glorioso sant Raymundo de Peñafort, frayle de la orden de Predicadores, fo. [2r] (« PRECEPTO DEL MUY REVErendo Padre Prouincial de España, de la orden de S. Domingo, al author »). 923   Dopo aver affermato che Fray Andrés Pérez aveva trascritto gran parte della Historia de la vida y milagros del glorioso sant Raymundo dalle pagine della sua Historia de la provincia de Aragon de la orden de Predicadores, Fray Francisco Diago cosí aveva continuato : “No lo digo por offenderle, pues ya se sabe que vnos Historiadores han de tomar de otros, sino es que quieran contar fabulas o se resueluan de reboluer como yo los oluidados Archiuos, en los quales se halla la Historia limpia y pura” (Historia de los Victoriosíssimos Antigvos Condes de Barcelona, fo. 274r).  





























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soprammercato definirà “muy docto” il Libro de entretenimiento, dava, indirettamente, dell’ignorante al Padre Provinciale dell’Ordine dei Domenicani, che tanto aveva lodato la Historia de la vida y milagros del glorioso sant Raymundo de Peñafort. Egualmente, le pagine della Pícara Justina su Abramo “mesonero’ nelle quali si scherniva Fray Andrés Pérez erano rivolte anche contro Fray Andrés de Caso. Poiché Fray Francisco Diago e l’autore della Pícara Justina non potevano ignorare le lodi che il Padre Provinciale aveva dispensato alla Historia de la vida y milagros del glorioso sant Raymundo de Peñafort, il loro attacco era quindi chiaramente rivolto sia contro Fray Andrés Pérez sia contro Fray Andrés de Caso. In misura minore, l’attacco di Fray Francisco Diago e dell’autore della Pícara Justina coinvolgeva anche il “P. presentado Fr. Gregorio de Paredes, rector de el insigne collegio de S. Gregorio de Valladolid” e il “P. M. Fr. Diego Nuño, regente mayor de el mismo collegio”, che “de parte de la religion de S. Domingo” avevano approvato la Historia de la vida y milagros del glorioso sant Raymundo de Peñafort. 924 Questi i fatti. Collegandoli si delinea una rete di rapporti – di ostilità e di alleanza – fra diversi appartenenti all’Ordine dei Predicatori e l’autore della Pícara Justina. All’esistenza di fazioni e di inimicizie all’interno dell’Ordine dei Predicatori accenna lo stesso Fray Andrés Pérez :  



Esta peña (que sobre las aguas tuuo tanta firmeza) 925 me basta a mi, para que en medio de vn mar de difficultades vaya yo sin temor de padecer mil olas de soberuios, e inuidiosos, que quieren contrastar a los que nauegan, como yo, no lleuando por mastil, mas que vna pluma, con que escriuen, y aun que en lugar de carta de marear, pudiera allegar varios estudios, y exercicios dellos, mucha lectura de historia en la qual (especialmente) me ocupe tres años que fuy nouicio en esta sancta religion, desde los treze hasta los diez y seis años, en los quales ley todas las historias de los Sanctos de mi orden, que son muchos. Pero bien veo, que para este particular, nunca sobra sufficiencia : y aun pocas bastan, y mas si estan a dichos de murmuradores. [...] No era sant Raymundo como algunos, que para los forasteros son piadosos, y apazibles, y para los de casa mal condicionados, e insufribles. Antes si era benigno con los seglares, era tambien mansissimo, y por estremo compassiuo, con los religiosos [...]. [...] Era tanta su humildad en medio de tanta Monarchia, que no excedio vn punto de su modo ordinario. El mismo trato, la misma llaneza, y pobreza en el vestido, y celda : y solo tenia nueua la pesadumbre de verse tan estimado, que quisiera el el trabajo sin tanta honra. Bien al reues de lo que oy passa, que quieren algunos la honra sin el trabajo. [...] De mas de esta nobleza que sant Raymundo tenia : no era mal intencionado, ni tenia vandos, ni seguia parcialidades [...]. 926  









Molti anni dopo, nel Sermon en la fiesta del glorioso evangelista San Lvcas, il frate domenicano lamenterà ancora le discordie esistenti fra i predicatori :  

Vna cosa firmara yo de mi nombre, y es, que si en los que predicamos viessen que tenemos paz, aun con los que nos ofenden, hechos corderos entre lobos : este bastara para conuertir todo el Paganismo. 927  



Ancora alcuni fatti. La Historia de la vida y milagros del glorioso sant Raymundo de Peñafort è stampata da Pedro Lasso Vaca, lo stesso tipografo che stampa, nella officina del Con924   Andrés Pérez : Historia de la vida y milagros del glorioso sant Raymundo de Peñafort, frayle de la orden de Predicadores, fo. [2r] (« Approbacion »). 925   Andrés Pérez gioca con il nome di Peñafort e allude alla “marauillosa nauegacion de sant Raymundo sobre el mar y su capa”, che narrerà nel capitolo XVII (pp. 306-329). 926   Andrés Pérez : Historia de la vida y milagros del glorioso sant Raymundo de Peñafort, frayle de la orden de Predicadores, pp. 45-46, p. 231, p. 240, p. 269. 927   Fray Andrés Pérez : De los sermones de los Santos. Valladolid : Geronimo Morillo 1622, p. 423.  











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vento domenicano di San Pablo, il primo tomo delle Controversiae in Divi Thomae et eius scholae defensionem (Valladolid 1605) di Fray Baltasar Navarrete. La Pícara Justina è stampata dal fratello di Pedro Lasso, Cristóbal Lasso Vaca, che pochi anni dopo stamperà nell’officina del Convento domenicano di San Pablo il tomo secondo delle Controversiae (Valladolid 1609) di Fray Baltasar Navarrete. Come abbiamo già ricordato, Fray Baltasar Navarrete aveva ricevuto l’abito dell’Ordine domenicano nel Convento di San Pablo di Valladolid e qui era stato “Maestro de estudiantes”. Negli stessi anni della fine del XVI e dell’inizio del XVII secolo, Fray Andrés Pérez aveva insegnato nel Convento di San Pablo di Valladolid (“mando” – si legge nel « Precepto » del Padre Priore Provinciale Fray Andrés de Caso – “al padre Fr. Andres Perez, lector de nuestro conuento de S. Pablo de Valladolid, hazer imprimir vn libro que tiene compuesto, de la vida y milagros de el glorioso S. Raymundo.” 928). Se ora – passando dai fatti alle ipotesi – si considerasse, sulla base del contratto scoperto da Anastasio Rojo Vega, Fray Baltasar Navarrete come autore della Pícara Justina, l’intreccio di relazioni messo in luce dai fatti sopra esposti sarebbe facilmente spiegabile. È infatti ovvio che un frate domenicano possedesse una profonda conoscenza della Historia de la vida y milagros del glorioso sant Raymundo de Peñafort, dedicata a un Santo dell’Ordine dei Predicatori e scritta da un frate dello stesso Ordine. Ed è anche molto verosimile – seppur non propriamente cristiano – che, per una qualsiasi ragione, un frate domenicano potesse nutrire una forte avversione per un confratello, condividendo questa avversione con un altro confratello (gelosie, rivalità e fazioni all’interno di un Ordine religioso non erano certamente una rarità), e si formasse cosí una specie di alleanza di Fray Francisco Diago O. P. e Fray Baltasar Navarrete O. P. contro lo sprovveduto Fray Andrés Pérez O. P. Rendendo omaggio ad un influente e celebre confratello, Fray Baltasar Navarrete invia una copia fresca di stampa della Pícara Justina a Fray Francisco Diago che, lusingato ed anche gioiendo per il velenoso attacco sferrato nel libro contro Fray Andrés Pérez, raccomanda la pubblicazione del romanzo a Sebastián de Cormellas, l’editore-tipografo che ha stampato molte opere sue 929 e che, come già sappiamo, intratteneva eccellenti relazioni con l’Ordine dei Predicatori. Quanto fossero stretti i rapporti del domenicano con il tipografo-editore è dimostrato anche dalle diverse Aprobaciones che Fray Francisco Diago, all’occasione poeta, 930 scrisse per opere stampate da Sebastián de Cormellas. Oltre alla « Aprovacion » della Pícara Justina, il domenicano scrisse, infatti, Aprobaciones per altre opere stampate nella celebre officina barcellonese 931 e, in particolare, la « Licencia », datata 7 dicembre 1602, per la Segvnda parte de la vida  



















928   Andrés Pérez : Historia de la vida y milagros del glorioso sant Raymundo de Peñafort, frayle de la orden de Predicadores, fo. [2r] (« Precepto del muy reverendo Padre Prouincial de España, de la orden de S. Domingo, al author »). 929   Oltre alla Historia dela prouincia de Aragon (1599), alla Historia del B. cathalan barcelones S. Raymundo de Peñafort (1601) e alla Historia de los Condes de Barcelona (1603), Sebastián de Cormellas stamperà, fra il 1605 – anno di pubblicazione della Pícara Justina – e il 1607, queste altre opere di Fray Francisco Diago : Historia de la vida exemplar, libros, y muerte del insigne y celebrado padre maestro Fray Luis de Granada. Barcelona : Sebastián de Cormellas 1605. – Historia del bienaventurado cardenal San Pedro de Lucemburgo. Barcelona : Sebastián de Cormellas 1605. – Vida del B. Fr. Humberto de Romanis, Quinto Maestro General de la Orden de Predicadores. Barcelona : Sebastián de Cormellas 1607 (cfr. Tomás Tamayo de Vargas : Junta de libros. Edición crítica de Belén Álvarez García, pp. 329-330, nro. 710. – Bibliotheca Hispana Nova. Tomus Primus, p. 419. – José Simón Díaz : Bibliografía de la Literatura Hispánica. Tomo IX, p. 333). 930   Compose, per esempio, il sonetto “La Corte de los cielos populosa...” per le Ivstas poeticas hechas a devocion de Don Bernardo Catalan de Valeriola (Valencia : Iuan Chrysostomo Garriz 1602, pp. 10-11). Cfr. José Simón Díaz : Impresos del siglo XVII. Bibliografía selectiva por materias de 3.500 ediciones príncipes en lengua castellana. Madrid : C.S.I.C. 1972, p. 497 (nro. 1805). 931   Espejo de bienechores y agradecidos : qve contiene los siete libros de Beneficios de Lucio Aneo Seneca,  

























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del picaro Gvzman de Alfarache (Impresso en Barcelona, en casa Sebastian de Cormellas Al Call M.DC.III. A costa de Geronimo Aleu Mercader de Libros) del valenziano Juan Martí 932 e la « Aprovacion », datata 5 ottobre 1605, della Segunda parte de la vida de Guzman de Alfarache, Atalaya de la vida humana (Año 1605. Con licencia. Impressa en Barcelona en casa de Sebastian de Cormellas, al Call. Vendense en la mesma Emprenta) di Mateo Alemán. 933 Fra l’inizio di dicembre del 1602 e l’inizio di ottobre del 1605 Fray Francisco Diago legge tre romanzi picareschi e concede, con parole di lode, la ‘licenza’ per la loro pubblicazione. Fatti casuali e privi di significato o rivelatori di uno specifico interesse di Fray Francisco Diago per la picaresca e i suoi autori ? Naturalmente è anche verosimile che un medico come Francisco López de Úbeda conoscesse la Historia de la vida y milagros del glorioso sant Raymundo de Peñafort. Meno verosimile è però che avesse un qualche motivo ed interesse per dileggiare il suo autore, un frate domenicano alla sua prima esperienza di scrittore, cappellano di una nobildonna esaltata per la sua “sangre Real” e la sua “virtud diuina”. 934 Ancor meno verosimile è che un medico conoscesse opere come le Disputationes theologicae in quartum librum Sententiarum di Miguel de Palacio, il Breviloquium e la Vita seu legenda maior s. Francisci di San Bonaventura da Bagnoregio e la Summa de exemplis et similitudinibus rerum del frate domenicano Giovanni da Sangimignano (Giovanni Gorini), oppure  











insigne Filosofo moral : agora de nueuo traduzidos de Latin en Castellano por Fr. Gaspar Ruyz Montiano. Barcelona : Sebastian de Cormellas 1606 (la « Aprovacion » di Fray Francisco Diago è datata “2 de mayo de 1606”). – Fray Blas Verdú : Libros de las agvas potables, y milagros de la fuente de nuestra Señora del Auellá, que nace en el termino del lugar de Cati, Reyno de Valencia. Barcelona : Sebastian de Cormellas 1607 (la « Aprovacion » di Fray Francisco Diago è datata “19 de junio de 1607”). Cfr. José Simón Díaz : Impresos del siglo XVII. Bibliografía selectiva por materias de 3.500 ediciones príncipes en lengua castellana, p. 4 (nro. 6), p. 251 (nro. 1148). – José Simón Díaz : Bibliografía de la Literatura Hispánica. Tomo IX, p. 334 (nro. 2735 e nro. 2737) 932   “POR comission del muy Illustre y Reuerendissimo Señor don Alonso Coloma, Obispo de Barcelona, y del Consejo de su Magestad &c. He visto yo el Presentado F. Francisco Diago de la Orden de Predicadores, lector de Theologia del Conuento de Santa Catherina Martyr de Barcelona : el Libro intitulado Segunda parte de la vida del Picaro Guzman de Alfarache, compuesta por Matheo Luxan de Sayauedra natural vezino de Seuilla : y en el no he hallado cosa que contradiga a la Fe Catholica y a las buenas costumbres : antes bien he aduertido mucha historia muy buena, leuantado ingenio, extrauagante estilo y lenguage, y tanta erudicion en vituperar el vicio y engrandecer a la virtud que lo menos que tiene es de lo que promete el titulo de Picaro. Y por ser ello assi digo que es razon salga a luz, y lo firmo de mi mano, en el Conuento de santa Catherina Martyr de Barcelona en 7. de Deziembre de 1602. El Presentado Fray Francisco Diago.” In : SEGVNDA | PARTE DE | LA VIDA DEL PI- | CARO GVZMAN | de Alfarache. | COMPVESTA POR MATHEO | Luxan de Sayauedra, natural vezino | de Seuilla. | DIRIGIDO A DON GASPAR | Mercader y Carroz, heredero legitimo de | las Baronias de Buñol, y Sie- | te Aguas. | [Piccolo ornamento] | CON LICENCIA. | Impresso en Barcelona, en casa Sebastian de | Cormellas al Call M.DCIII. | A costa de Geronimo Aleu Mercader de Libros. | (Paris, Bibliothèque Nationale : Y2. 11127), fo. A 2v (« LICENCIA »). 933   “[...] he leydo yo el Maestro Fray Francisco Diago de la orden de Predicadores Calificador del Santo Officio de Barcelona esta segunda parte de la vida de Guzman de Alfarache, Atalaya de la vida humana, compuesta por Matheo Aleman, su verdadero autor, y dexando a parte que no contiene cosa contra la Fe ni contra las buenas costumbres, soy de parecer, se puede imprimir, señaladamente estando ya (como lo esta) aprouada por la Santa Inquisicion de Portugal. La vida es de vn Picaro, pero tan adornada de sus contrayeruas que tiene muy merecido el nombre de atalaya de la vida humana. Por lo qual, la tengo por vtil y prouechosa. En S. Catherina martir de Barcelona a 5 de Octubre de 1605.” In : Segunda parte de la vida de Guzman de Alfarache, Atalaya de la vida humana. Por Matheo Aleman su verdadero Autor. Y aduierta el Letor que la segunda parte que salio antes desta no era mia, solo esta lo es. Dirigida a Don Migvel de Caldes Señor de las Baronias de Segur, &c. Año 1605. Con licencia. Impressa en Barcelona en casa de Sebastian de Cormellas, al Call. Vendense en la mesma Emprenta, fo. 3r (cit. da R. Foulché-Delbosc : Bibliographie de Mateo Alemán, 1598-1615, p. 539). Cfr. inoltre Bartolomé José Gallardo : Ensayo de una Biblioteca Española de libros raros y curiosos. Tomo primero, p. 138 (nro. 122). – José Simón Díaz : Bibliografía de la Literatura Hispánica. Tomo V. Madrid : C.S.I.C. 1973, p. 135 (nro. 727). – José Simón Díaz : Bibliografía de la Literatura Hispánica. Tomo IX, p. 334 (nro. 2734). 934   Andrés Pérez : Historia de la vida y milagros del glorioso sant Raymundo de Peñafort, frayle de la orden de Predicadores, fo. [3r] (« A D. Isabel de Acvña y Castro Manrique »).  



















































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l’eresia gnostica valentiniana, un episodio poco conosciuto 935 della storia della Chiesa del secondo secolo. Vagliando con prudenza i fatti e con prudenza ancora maggiore le ipotesi, le pagine su Abramo “mesonero”, nelle quali l’autore della Pícara Justina si burla di Fray Andrés Pérez, potrebbero essere fondatamente considerate un piccolo indizio a favore della attribuzione del romanzo a Fray Baltasar Navarrete.  

Ma torniamo alle affermazioni di Marcel Bataillon sui rapporti esistenti fra la Historia de la vida y milagros del glorioso sant Raymundo e il Libro de entretenimiento. È assolutamente fondata l’affermazione che nelle pagine su Abramo “mesonero” l’autore della Pícara Justina si burla di Fray Andrés Pérez. Infondate sono invece l’affermazione che l’autore della Pícara Justina “saccheggia” la Historia de la vida y milagros del glorioso sant Raymundo e l’affermazione che la moltiplicazione delle note marginali e l’abuso dei ‘geroglifici’ costituiscono una satira dell’opera di Fray Andrés Pérez. Fatta eccezione delle sedici righe su Abramo “mesonero” e dei parallelismi – quasi sempre vaghi – esistenti fra alcune frasi della Historia de la vida y milagros del glorioso sant Raymundo e della Pícara Justina, messi in rilievo da Julio Puyol y Alonso, null’altro si trova nel Libro de entretenimiento che possa essere messo in relazione con l’opera di Fray Andrés Pérez. Troppo poco, quindi, perché si possa fondatamente parlare di ‘saccheggio’. Quanto alle note marginali, il loro uso – come abbiamo già osservato – era troppo diffuso per poter suffragare l’affermazione che l’autore della Pícara Justina le ha mutuate, con intenzione burlesca, dalla Historia de la vida y milagros del glorioso sant Raymundo. I ‘geroglifici’, infine, sono cosí rari nell’opera del domenicano che è assurdo fare derivare l’abuso che se ne fa nella Pícara Justina dalla Historia de la vida y milagros del glorioso sant Raymundo. Pur attribuendo al libro di Fray Andrés Pérez un certo influsso sulla conformazione di alcuni aspetti della Pícara Justina (uso e abuso di note marginali e di geroglifici letterari) e pur interpretando – correttamente – il passo su Abramo “mesonero” come prova che il suo autore si burla della Historia de la vida y milagros del glorioso sant Raymundo, il grande ispanista francese ha dato una limitata importanza ermeneutica al rapporto fra le due opere, evitando prudentemente di interpretare il romanzo picaresco come un attacco alla letteratura agiografica. Questa prudenza è mancata invece ad altri studiosi. Cosí Alexander A. Parker, convinto che la genesi della picaresca e in particolare del Guzmán de Alfarache, definito “tratado religioso”, 936 sia da mettersi in relazione con il movimento di riforma religiosa della Controriforma e la sua letteratura 937 – specificatamente le agiografie, soprattutto la Conversión de la Magdalena, 938  





935   Naturalmente negli ambienti colti della Chiesa era noto. Andrés Pérez, per esempio, cita nei Sermones de Qvaresma (p. 175) l’opera Aduersus Valentinum (Adversus haereses) scritta da Ireneo contro gli gnostici. 936   Alexander A. Parker : Los pícaros en la literatura. La novela picaresca en España y Europa, p. 94. Come un “traité d’ascétique” è stato interpretato il Guzmán de Alfarache in una dotta e profonda monografia uscita due decenni dopo la pubblicazione di Literature and the Delinquent dell’ispanista inglese : Monique Michaud : Mateo Alemán, moraliste chrétien. De l’apologue picaresque à l’apologétique tridentine. Préface d’André Tuilier (= Collection des Mélanges de la Bibliothèque de la Sorbonne, 14). Paris : Aux Amateurs de livres 1987. 937   Cfr. Alexander A. Parker : Los pícaros en la literatura. La novela picaresca en España y Europa, 1599-1753, p. 58. 938   “Al emplear el realismo narrativo para llevar a cabo su tarea [scrivere un’opera verdadera come chiedeva esplicitamente la Controriforma], Alemán se basó en el único precedente disponible, el del Lazarillo de Tormes, pero ampliando su primitiva estructura novelística de una manera casi irreconocible. Parte de esta ampliación resulta de combinar la narración con un tratado didáctico. Estos dos planos no se funden sino que se van desarrollando paralelamente, interpolándose el tratado en la trama de la ficción como una serie de digresiones discursivas. Alemán no tomó esta forma dualista del Lazarillo, sino más bien de la estructura de los escritos religiosos de la época y, en particular, de las vidas de los santos. Precisamente La conversión de la Magdalena tiene esta forma, aunque peor enhebrada y más desequilibrada, de digresiones entremezcladas con partes de  









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e i sermoni 939 –, ha scritto che “el método peculiar de Úbeda se nos muestra como un ataque contra escritores religiosos como Malón de Chaide y Alemán”. 940 Per verificare questa affermazione abbiamo riletto la Conversión de la Magdalena (1588) del padre agostiniano Pedro Malón de Chaide e il San Antonio (1604) di Mateo Alemán, piú volte ricordato in Literature and the Delinquent (1967). 941 Justina è, come Maria Maddalena, una peccatrice che si convertirà. Alcune analogie fra le due peccatrici sono evidenti. Quando P. Pedro Malón de Chaide, riferenendosi al periodo in cui Maria Maddalena conduceva una vita dissoluta ed era chiamata “la cantonera, o, por otro nombre más disimulado, la cortesana”, ricorda che, rimasta libera per la morte del marito o per averlo lasciato, “comenzó a gustar del billete y de la guitarilla, y del sarao y conversación, del paseo y fiestas y músicas”, accenna alla “desenvoltura desmasiada”, alla “libertad”, ai “donaires” e alle “libertades” della futura Santa, stigmatizza l’esibizione che faceva dei suoi scandalosi peccati e il suo gloriarsene e la definisce, infine, “suelta, profana, llena de pecados, infame, sin nombre”, “pecadora, infame, perdida y sin nombre”, “infame, profana, deshonesta, sin nombre, llena de afrenta”, 942 sorge, immediatamente, nella mente del lettore la figura di Justina, amante della musica, delle feste, del passeggio, dei “donaires” e della ‘conversazione’, ‘disinvolta’, “libre”, “estatua de libertad”, “pieça suelta” 943 e, ovviamente, ‘infame’. Ma queste qualità negative, questi tratti della Maria Maddalena peccatrice, annotati qua e là, data la tecnica espositiva di P. Pedro Malón de Chaide, che frammenta la narrazione della vita della Santa con l’inserimento continuo di ampie digressioni, hanno una concreta relazione con la figura che della picara delinea l’autore del Libro de entretenimiento, o non sono piuttosto comuni a tanti altri ‘ritratti’ di donne ‘libere’ ? Le analogie esistenti fra il ‘ritratto’ di Justina e quello di Maria Maddalena sono forse casuali o, comunque, troppo  











narración” (Alexander A. Parker : Los pícaros en la literatura. La novela picaresca en España y Europa, 15991753, p. 60). 939   Alexander A. Parker (Los pícaros en la literatura. La novela picaresca en España y Europa, 1599-1753, pp. 72-73, nota nro. 7) si riallaccia qui a Miguel Herrero e alla sua “interesante sugerencia de que la novela picaresca debe sus orígenes a la influencia de los sermones”. In effetti Miguel Herrero, dopo aver affermato che la “novela picaresca es un producto seudoascético” e che la “novela picaresca es un sermón con alteración de proporciones de los elementos que entran en su combinación [la parte doctrinal y la parte práctica o aplicación moral]”, scriveva : “La génesis de este género novelesco creo que hay que buscarla en el movimiento de reforma que sacudió a España después del Concilio de Trento.” Purtroppo lo studioso, che pur era un profondo conoscitore della oratoria sacra del Siglo de Oro, non approfondí e non sviluppò – adducendo esempi concreti dai sermonari – la sua tesi sulla “novela-sermón”. Cfr. Miguel Herrero : Nueva interpretación de la novela picaresca. In : Revista de Filología Española 24 (1937), 343-362 ; qui pp. 348-349, p. 353, p. 362. Quasi contemporaneamente a Miguel Herrero, Venanzio Todesco asseriva che “eloquenza sacra” e “prosa dei sermoni sacri” avevano esercitato una notevole influenza sulla gestazione del Guzmán de Alfarache e del San Antonio e – pur non adducendo anch’egli, a sostegno della sua tesi, esempi concreti dai sermonari – dichiarava di potere “affermare la dipendenza dello stile di gran parte dei due maggiori scritti dell’Alemán da quello dell’oratoria sacra”. Cfr. Venanzio Todesco : La forma espressiva di Mateo Alemán e il carattere predominante dell’opera sua. In : Atti e Memorie della Reale Accademia di Scienze, Lettere ed Arti, Padova, 54 (1937-1938), 89-109 ; qui pp. 106-108. 940   Alexander A. Parker : Los pícaros en la literatura. La novela picaresca en España y Europa, 1599-1753, p. 95. 941   Cfr. Alexander A. Parker : Los pícaros en la literatura. La novela picaresca en España y Europa, 1599-1753, p. 72, nota nro. 5 ; p. 73, nota nro. 9 e 10. 942   Malón de Chaide : La conversión de la Magdalena. Prólogo y notas del P. Félix García (Agustino). Tercera edición, I, p. 151, p. 152, p. 157, p. 163, pp. 166-167, p. 234 ; II, p. 21, p. 265. 943   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « INTRODVCCION GENERAL, PARA TODOS los tomos y libros. Escrita de mano de Iustina. Intitulada la Melindrosa Escriuana. DIVIDESE ESTA INTRODVCCION en tres numeros. Numero primero, Del melindre al pelo de la pluma », p. 4. – « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO DE la Picara Romera. Capitulo III. De las dos cartas graciosas », p. 67. – « LIBRO TERCERO DE LA PICARA PLEYTISTA. Capitulo primero de la hermana perseguida », p. 190.  





































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generiche per poter fondatamente parlare di una connessione testuale genetica, di una derivazione, cioè, del ‘ritratto’ della picara da quello della grande peccatrice tracciato da P. Pedro Malón de Chaide nella Conversión de la Magdalena. Nell’opera dell’agostiniano vi è anche un ‘ritratto’ delle donne peccatrici invecchiate che ha una certa vaga somiglianza con il ‘ritratto’ di Justina vecchia, “pelona”, “desmelenada”, deturpata dalla sifilide, “podrida por dedentro”, “sentina de mil viscosidades”, “planta, cuya rayz secò, y marchitò el roedor caracol”, “cargada de parches por la cara”, “pobre, picara, tundida de çexas y de verguença”. 944 Infatti, dopo aver parlato, in generale, delle “mujeres profanas”, delle “rameras”, “parleras, chocarreras y aun blasfemas”, “astutas y maliciosas”, “livianas de seso, voltizas, inconstantes, soberbias, pomposas, importunas, desdeñosas, ajenas de amor, de fe, de consejo ; crueles...”, 945 e precisato però che tale era anche Maria Maddalena, 946 P. Pedro Malón de Chaide scrive :  









Llegó la vejez, pasáronse los buenos días, deslustróse la tez del rostro, aróse la frente tersa, nevóse el dorado cabello, la boca se tornó negra y acabóse aquel buen parecer exterior, marchitóse aquella frágil florecilla de la hermosura, y dejáronlas sus amadores. No les quedó a las desventuradas sinó la afrenta de su torpe vida, la hediondez de sus vicios, el cuerpo cargado de enfermedades incurables, rodeadas de pobreza, vestidas de infinita miseria, colmadas de ajes, aborrecibles a todo el mundo, odiosas aun a sí mismas [...]. 947  

Siamo anche qui di fronte a casuali coincidenze di luoghi comuni sull’inevitabile processo di degradazione delle belle peccatrici ? Una relazione forse piú concreta sembra sussistere fra le pagine del « Prólogo del autor a los lectores », in cui P. Pedro Malón de Chaide si scaglia con veemenza contro i “libros lascivos y profanos” – “los libros de amores” e “los monstruosos libros y silvas de fabulosos cuentos y mentiras”, “los Libros de Caballerías, que ... se llamaran mejor de bellaquerías que de caballerías” 948 –, e il « Prólogo al lector », nel quale l’autore della Pícara Justina, pur fingendo di condividere la condanna che “hombres doctissimos, graues, y calificados” hanno pronunciato contro “comedias, y libros profanos, tan inutiles como lasciuos, tan gustosos para el sentido, quan dañosas [dañosos] para el alma”, 949 giustifica la pubblicazione di libri d’intrattenimento (e del suo proprio Libro de entretenimiento) con questi argomenti :  















944   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « INTRODVCCION GENERAL, PARA TODOS los tomos y libros. Escrita de mano de Iustina. Intitulada la Melindrosa Escriuana. DIVIDESE ESTA INTRODVCCION en tres numeros. Numero primero, Del melindre al pelo de la pluma », p. 6, p. 7, p. 11. 945   Malón de Chaide : La conversión de la Magdalena. Prólogo y notas del P. Félix García (Agustino), II, pp. 259-261. 946   “Tal era la Magdalena, como puerco sucia, vil como el lodo, insaciable como el fuego, como el viento mudable, como hoja ligera, pomposa como pavón, cruel como tigre, apretada como lazo, y fogosa como pedernal” (Malón de Chaide : La conversión de la Magdalena II, p. 261). 947   Malón de Chaide : La conversión de la Magdalena. Prólogo y notas del P. Félix García (Agustino), II, pp. 263-264. 948   Malón de Chaide : La conversión de la Magdalena. Prólogo y notas del P. Félix García (Agustino), I, pp. 23-29. 949   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « PROLOGO AL LECTOR. EN EL QVAL DEclara el Autor el intento de todos los tomos, y libros, de la Picara Iustina », fo. [A 6v]. Si attaglia perfettamente a P. Pedro Malón de Chaide il ‘ritratto’ che l’autore della Pícara Justina traccia, in questa pagina, degli uomini dottissimi, dei “varones Euangelicos : los quales no consienten, que la honra propria del Euangelio (que consiste en vna publicidad y notoriedad famosa) se de a futiles, e impertinentes representaciones de cosas mas dignas de perpetuo oluido, que de estamparse en las memorias humanas”, degli “Insignes varones”, che in questo “han mostrado ... ser Custodios Angelicales, que defienden los sentidos, para que por ellos no entre al alma memoria del pecado”.  

















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[...] si el siglo presente siguiera tan docto, y sano consejo, como el de estos famosos varones, no me atreuiera avn à imaginar el estampar este libro : pero atendiendo a que no ay rincon que no este lleno de romances impressos, inutiles, lasciuos, picantes, audaces, improprios, mentirosos : ni pueblo donde no se represente amores, en habitos, y trajes, y con ademanes, que incentiuan el amor carnal y por otra parte no ay quien arrastre a leer vn libro de deuocion, ni vna historia de vn sancto me he determinado à sacar a luz este juguete, que hize siendo estudiante en Alcala, a ratos perdidos, aunque algo aumentado despues que salio a luz el libro del Picaro, tan reciuido. Este hize por me entretener, y especular los enrredos del mundo, en que via [= veía] andar. Esto saldra a ruego de discretos, e instancia de amigos [...]. Si este libro fuera todo de vanidades, no era justo imprimirse, si todo fuera de santidades leyeranle pocos (que ya se tiene por tiempo ocioso segun se gasta poco) pues para que le lean todos, y juntamente parezca bien a los cuerdos, y prudentes, y deseossos de aprouechar : di en vn medio, y fue : que despues de hazer vn largo alarde de las ordinarias vanidades, en que vna muger libre se suele distraer, desde sus principios, añadi como por via de presumption [resumption/resumpcion !], o moralidad (al tono de las fabulas de Hisopo [y] giroblificos de Agaton) consejos, y aduertencias vtiles, sacadas, y hechas a proposito, de lo que se dize, y trata, no es mi intencion, ni hallaras que he pretendido, contar amores al tono del libro de Celestina : antes si bien lo miras, he huydo de esso totalmente : porque siempre que de esso trato, voy a la ligera, no contando lo que pertenece a la materia de deshonestidad, sino lo que pertenece a los hurtos ardidosos de Iustina [...]. Finalmente, pienso (debajo de mejor parecer) ser muy licito mi intento, y sino condenense las historias grauissimas, que refieren insignes bellaquerias de hombres facinerosos, lasciuos y insolentes, condenese el procesar a vista de testigos, y de todo el mundo : y el relatar feysimos crimines, y delitos, segun y como se haze en las Reales salas del Crimen, donde reside suma grauedad, acuerdo y peso : Condenense los edictos, en que se haze publica pesquisa de crimines, enormes y graues. Condenense las reprehensiones, de los predicadores, que hazen inuectiuas contra algunos vicios, en presencia de algunos que estan sin memoria e imaginacion dellos. Pero pues esto no se condena, antes es santo y justo, quiero que por lo menos, se conceda que mi libro es (no digo santo, que esso fuera presumpcion loca, ni tal qual es la menor de las cosas que he referido) pero a lo menos concedasse [= concédase] que el permitirse sera justo, pues no ay en el numero ni capitulo, que no se aplique a la reformacion espiritual de los varios estados del mundo [...]. 950  



















Il ripetuto accenno allo scarsissimo interesse che incontrano i libri di devozione e le storie di santi è di grande interesse. È una malinconica e amara constatazione o una ironica – o addirittura velenosa – frecciata data agli scrittori di libri di devozione e di vite di santi ? Ma lo stesso P. Pedro Malón de Chaide aveva giustificato – nella dedica della Conversión de la Magdalena « A la Ilustre Señora Doña Beatriz Cerdán y de Heredia, religiosa en el Monasterio de Santa María de Casbas, en Aragón » – la mescolanza di versi e di cose di poesia nella sua agiografia con la necessità di rivestire con mille ingredienti gli insegnamenti religiosi e morali per renderli graditi ai lettori :  







Podría parecer a alguno que es menos gravedad en materia santa mezclar versos y cosas de poesía, que parece que desautoriza en alguna manera así la escritura donde se pone como la persona que los hace [...]. Razón tienen, y aun yo soy enemigo de ello [...]. La razón de esto es porque ya, por nuestros pecados, tenemos tan estragado el gusto para todo lo que es Dios y virtud, que para tragar lo que de esta materia se nos dice, es menester dárnoslo con mil salsillas y sainetes y muy bien guisado [...]. 951  

950   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « PROLOGO AL LECTOR. EN EL QVAL DEclara el Autor el intento de todos los tomos, y libros, de la Picara Iustina », fo. [A 6v-A8r]. 951   Malón de Chaide : La conversión de la Magdalena. Prólogo y notas del P. Félix García (Agustino), I, pp. 14-15.  





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Possiamo considerare allora la Pícara Justina come un attacco contro gli scrittori religiosi o addirittura – come sostiene José Miguel Oltra Tomás –, piú specificatamente, come una risposta parodica non solo al Guzmán de Alfarache, ma alla “literatura de conversiones”, in generale, e alla Conversión de la Magdalena, in particolare, per essere questi libri e questa letteratura una “mezcla disparatada de cosas humanas y divinas” ? 952 Sicuramente vi erano molte persone, anche negli stessi Ordini religiosi, che avversavano sia l’uso del romance – difeso invece da Fray Luis de León, 953 da P. Pedro Malón de Chaide, 954 da Fray José de Sigüenza 955 e da altri –, sia la mescolanza di cose divine e profane ed ogni tentativo di rendere accessibili e graditi ad un vasto pubblico le vite dei santi, le questioni teologiche e gli insegnamenti religiosi e morali presentandoli e offrendoli “con mil salsillas y sainetes”. Anche nella dedica, sopra ricordata, di P. Pedro Malón de Chaide si accenna alla diffusa avversione per i “tratadillos en lenguaje ordinario”. Era l’autore della Pícara Justina uno di coloro che volevano dissuadere P. Pedro Malón de Chaide dal proposito di comporre la Conversión de la Magdalena dicendogli che “es bajeza escribir en nuestra lengua cosas graves”, oppure che la sua agiografia “es leyenda para hilanderuelas y mujercitas”, o che “las doctrinas graves y de importancia no han de andar en manos del vulgo liviano, despreciador de los misterios sagrados” ? 956  













Relazioni di affinità e somiglianza, istituite in funzione di un piú o meno velato attacco polemico, la Pícara Justina non ne presenta con il San Antonio (o, dato lo stretto rapporto esistente fra l’agiografia e il Guzmán de Alfarache, 957 ne presenta solo di indirette). Una sola espressione – usata per illustrare una radicale trasformazione spirituale – ricorre quasi identica nelle due opere. Al termine di un profondo processo di trasformazione interiore, occasionato dal martirio cercato e subito da cinque monaci francescani italiani, il giovane Hernando, il futuro Sant’Antonio, rinunziò all’ “Abito de Canonigo Reglar, de la Orden de San Agustin”, Ordine nel quale aveva passato undici anni, 958 e chiese di essere accolto nell’Ordine francescano dei Frati Minori. Quindi, “viendose ya otro, que antes era ... se hizo llamar Antonio. A devocion de San Antonio Abad....”. 959 Justina – come abbiamo visto –, dopo aver spiegato di essere stata priva di devozione solo nei suoi anni giovanili, gli anni anteriori alla sua conversione (“el tiempo que mis mocedades me trahian como corcho sobre el agua”), la trasformazione spirituale compiutasi in lei la illustra con questa espressione icastica : “Ya soy otra”. 960 Qual’è il valore  







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  J. M. Oltra Tomás : La parodia como referente en La Pícara Justina, p. 124.   Cfr. la dedica del Libro Tercero de los nombres de Cristo a Don Pedro Portocarrero (Fray Luis de León : De los nombres de Cristo. Edición, introducción y notas de Federico de Onís, III, pp. 5-13). 954   Malón de Chaide : La conversión de la Magdalena. Prólogo y notas del P. Félix García (Agustino), I, pp. 31-38. 955   Nella dedica, premessa alla sua Vida de S. Geronimo (Madrid : Tomas Iunti 1595), Fray José de Sigüenza afferma di aver seguito con gioia il consiglio e il precetto di scrivere l’opera in romance, “porque tiene no se que de humildad entre Españoles escriuir en su lengua propria” (« A la Religion de San Geronimo Fray Ioseph de Siguença su hijo », in : Cristóbal Pérez Pastor : Bibliografía Madrileña de los siglos XVI y XVII. Tomo I, p. 256, nro. 500). 956   Malón de Chaide : La conversión de la Magdalena. Prólogo y notas del P. Félix García (Agustino), I, pp. 33-34. 957   Sullo stretto rapporto esistente fra il San Antonio e il Guzmán de Alfarache, cfr. Venanzio Todesco : La forma espressiva di Mateo Alemán e il carattere predominante dell’opera sua, pp. 89-109. – Edmond Cros : Protée et le gueux. Recherches sur les origines et la nature du récit picaresque dans Guzmán de Alfarache (= Études de Littérature Étrangère et Comparée, 54). Paris : Didier 1967, pp. 166-170. – Monique Michaud : Mateo Alemán, moraliste chrétien. De l’apologue picaresque à l’apologétique tridentine, pp. 392-394, p. 396, pp. 397-399, pp. 399-414. 958   Mateo Alemán : San Antonio de Padva. Sevilla 1604, fo. 39v, fo. 72v. 959   Mateo Alemán : San Antonio de Padva. Sevilla 1604, fo. 70r. 960   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « TERCERA PARTE DEL LIBRO  

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di questa coincidenza ? L’espressione ‘ser otro’ o ‘ser otra’ non era certamente rara e poteva essere usata non solo per illustrare l’illuminazione di un Santo o la conversione e la palingenesi di una peccatrice, ma anche per caratterizzare una trasformazione spirituale negativa. Quevedo la usa, per esempio, nel Buscón. Pablos de Segovia, che ha deciso di tentare l’ascesa sociale per la carriera furfantesca già intrapresa, rifiuta l’offerta di Don Diego di metterlo a servizio presso un cavaliere suo amico con queste parole : “Señor, ya soy otro, y otros mis pensamientos ; más alto pico, y más autoridad me importa tener.” 961 Certamente vi sono fra il San Antonio e la Pícara Justina, cosí come fra altre agiografie di Santi e altri romanzi picareschi, analogie ‘strutturali’ determinate dalla appartenenza allo stesso genere : la biografia o la autobiografia. Cosí, per esempio, le agiografie contengono sempre una genealogia del Santo, a volte ampia, a volte brevissima. Sulla famiglia di San Raymundo de Peñafort, scrive Fray Andrés Pérez : “Fueron sus Padres ... gente illustre, y de noble sangre. Eran de el linaje militar : que es cosa de mucha qualidad en Cataluña. Y mas en Barcelona. Mas esto es lo menos porque la casa solar de Peñafort : es conocida en Cataluña. [...] Añaden graues authores que los de este linaje [de Peñafort] son ramo y descendencia de la casa de los Reyes de Aragon.” 962 Della famiglia di Sant’Antonio vengono menzionati da Mateo Aleman solo i genitori : “Nacio ... de padres limpios, hijosdalgo en linaje, nobles en condicion, virtudes y trato”. 963 P. Pedro Malón de Chaide si limita ad annotare che Maria Maddalena aveva un fratello “caballero y deudos nobles”. 964 Se non nobili, i genitori degli uomini santi erano, perlomeno, onesti e onorati. Fray Luis de Granada scrive che Fray Bartolomé de los Mártires “era hijo de honestos padres, no ricos, sino de humilde fortuna” 965 e che i genitori di San Juan de Ávila “eran de los mas honrados y ricos deste lugar [Almodóvar del Campo]”. 966 L’arcivescovo di Valencia, D. Martín de Ayala, scrive nella sua autobiografia : “Nací de honestos padres y de legítimo matrimonio, aunque obscuro, por el tener poco.” 967 La genealogia dei picari e delle picare è, naturalmente, infame. Gli episodi salienti della vita dei Santi sono ‘stazioni’ verso la gloria celeste, quelli della vita dei picari sono tappe verso una sempre maggiore abiezio 































SEGVNDO De la Picara Romera. Capitulo primero. De la mirona gustosa. Numero 2. del barbero embobado », p. 133. 961   Francisco de Quevedo : La vida del Buscón llamado Don Pablos. Edición crítica de Fernando Lázaro Carreter, p. 94. 962   Andrés Pérez : Historia de la vida y milagros del glorioso sant Raymundo de Peñafort, frayle de la orden de Predicadores, p. 49, p. 54. 963   Mateo Alemán : San Antonio de Padva. Sevilla 1604, fo. 32v. 964   Malón de Chaide : La conversión de la Magdalena. Prólogo y notas del P. Félix García (Agustino), I, p. 152. 965   Fray Luis de Granada : Vida de Fray Bartolomé de los Mártires. In : Fray Luis de Granada : Obras. Tomo tercero (= Biblioteca de Autores Españoles, XI). Madrid : Atlas 1945, pp. 431-448 ; qui p. 431. 966   Fray Luis de Granada : Vida del venerable Maestro Juan de Ávila. In : Fray Luis de Granada : Obras. Tomo tercero (= Biblioteca de Autores Españoles, XI). Madrid : Atlas 1945, pp. 449-486 ; qui p. 451. Il Licenciado Luis Muñoz scrive nella sua Vida y virtudes del venerable varón el P. Maestro Iuan de Ávila (Madrid : Imprenta Real 1635) : “Fueron los padres de nuestro V. Maestro ... de familia pura y limpia, sin mezcla de aquella sangre que una gota dicen que inficiona mucha buena ; en nuestro vulgar, cristianos viejos, de limpieza asegurada, muy buen puestos de hacienda...” (cit. da Luis Sala Balust : Estudio biográfico. In : San Juan de Ávila : Obras completas. Nueva edición crítica. Introducciones, edición y notas de L. S. B. y Francisco Martín Hernández. Madrid : Biblioteca de Autores Cristianos 2000, pp. 3-373 ; qui p. 19, nota nro. 23). In realtà, mentre la madre del Santo era “de linaje de hijosdalgo”, la famiglia dei Xixones, “su padre procedía más o menos remotamente de cristianos nuevos” (Luis Sala Balust : Estudio biográfico, pp. 18-19). 967   Discurso de la vida del ilustrísimo y reverendísimo señor Don Martín de Ayala, Arzobispo de Valencia. Escrito por sí mismo. In : Autobiografías y Memorias. Coleccionadas é ilustradas por M. Serrano y Sanz (= Nueva Biblioteca de Autores Españoles, 2). Madrid : Casa Editorial Bailly/Bailliére 1902, pp. 211-238 ; qui p. 212..  





















































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ne. Analogie, quindi, per contrasto ! Altra importante analogia ‘strutturale’ è, talvolta, la forma autobiografica, la narrazione in prima persona. Sono state proprio queste analogie ‘strutturali’ ad indurre alcuni studiosi a credere di poter stabilire un nesso genetico fra biografie o autobiografie di Santi e romanzo picaresco. Hans Robert Jauß, per esempio, aveva messo in relazione, già nel 1957, l’autobiografia di Sant’Agostino con l’autobiografia fittizia di Lazarillo de Tormes. Il noto romanista e teorico dell’estetica della ricezione aveva infatti affermato che erano state le Confessiones a fornire il modello autobiografico del Lazarillo de Tormes e aveva interpretato il capostipite del romanzo picaresco come una “Travestie” della celebre opera di Sant’Agostino, come una “Verkehrung der christlichen Lebensbeichte” e una “Kontrafaktur der seit 1540 auf blühenden nationalspanischen Mystik”. 968 Ma torniamo alla Pícara Justina. Alcuni anni dopo la pubblicazione della monografia di Alexander A. Parker sulla picaresca, Ulrich Stadler – influenzato dalla interpretazione della Pícara Justina elaborata da Marcel Bataillon e da quanto il Maestro francese aveva scritto sui rapporti fra il Libro de entretenimiento e la Historia de la vida y milagros del glorioso sant Raymundo, e suggestionato sia dalle teorie di Américo Castro sulla società spagnola e i cristianos nuevos, sia dal saggio di Hans Robert Jauß – aveva interpretato il romanzo picaresco come una parodia della letteratura agiografica. Ecco quanto Ulrich Stadler, dopo aver affermato che l’episodio della Bigornia varia il tema del martirio che Santa Giustina affronta per conservare la sua castità, ha scritto :  





Die Nähe zu hagiographischen Werken ist unverkennbar. Schon der Name ‘Justina’ verweist auf eine Heilige, von der ein ähnliches Ereignis berichtet wird : Sancta Justina, die Jungfrau, die etwa um 280 n. Ch. den Märtyrertod erlitten haben soll, blieb – so berichtet die Legenda aurea – gegenüber allen Betörungsversuchen des heidnischen Zauberers Cyprianus standhaft und bewahrte ihre Jungfräulichkeit. Auch Justina Dietzin bewahrt sie, sofern sie sie überhaupt noch besitzt, und man ehrt die Landstörtzerin nach jenem Vorfall wie eine Heilige. [...] Die Episode mit Grullus wirkt wie eine Parodie : Motive aus der hagiographischen Literatur scheinen hier übernommen und zugleich – mit noch nicht klar erkennbarer Absicht – kräftig abgewandelt worden zu sein. Justina widerstrebt wie eine Heilige allen Anfechtungen, aber was sie dazu veranlaßt, ist nicht ein Übermaß an Keuschheit, sondern ihre Abneigung gegen den Aufschneider Petrus Grullus. 969  





Fra l’episodio della Bigornia e quanto narra Iacopo da Varazze sui tentativi fatti da Cipriano, con l’aiuto del demonio, per possedere Giustina, 970 non vi è la minima relazione. Inoltre, né nella traduzione tedesca, 971 della quale si serve quasi esclusivamente Ulrich  



968   Hans Robert Jauß : Ursprung und Bedeutung der Ich-Form im Lazarillo de Tormes. In : Romanistisches Jahrbuch 8 (1957), 290-311. 969   Ulrich Stadler : Parodistisches in der Justina Dietzin Picara. Über die Entstehungsbedingungen und zur Wirkungsgeschichte von Úbedas Schelmenroman in Deutschland. In : Arcadia 7 (1972), 158-170 ; qui pp. 161-163. 970   Cfr. Iacopo da Varazze : Legenda aurea. A cura di Alessandro e Lucetta Vitale Brovarone. Torino : Einaudi 1999, pp. 781-785 (« Santa Giustina vergine »). 971   Cfr. Die Landstörtzerin | IVSTINA DIETZIN PICARA | genandt | Jn deren wunderbarlichen Le- | ben vnd Wandel / alle List vnd Betrug / | so in jtzigen zeit verübt vnd getrieben werden / vnd | wie denselbigen zubegegnen / artig | beschrieben. | Beneben allerley schönen Sprüchen / | Politischen Regeln / Lehrhafften Erinnerun- | gen / trewhertzigen Warnungen / vnd kurtzwei- | ligen / anmuhtigen Fabeln. | Erstlichen | Durch Herrn Licentiat FRANCISCVM di | VBEDA von TOLEDO in Spanischer Spraach | beschrieben / vnnd in zwey Bücher | abgetheilt. | Nachmals von BARETZO BARETZI in J- | talianisch transferiert / vnd nun zum letzten | auch in vnser hochteutsche Spraach | versetzt. | [Piccolo motivo ornamentale] | Franckfurt am Mayn / | Gedruckt bey Johann Friderichen Weissen / | [Linea tipografica] | M.DC.XXVI. – Der Landtstürtzerin | JVSTINAE DIETZIN PICARAE | II. Theil/ | Die frewdige DAMA genannt : | Jn deren wunderbarlichem Le- | ben vnd Wandel alle List vnd betrüg / so in | den jetzigen Zeiten hin vnd wider verübet vnd getrie- | ben werden / vnnd wie man denselbigen zu | begegnen / sehr fein vnd artig be- | schrieben. | Beneben allerley  



















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Stadler per la sua analisi, né nella traduzione di Barezzo Barezzi 972 – il testo utilizzato dall’anonimo traduttore tedesco per la sua versione –, e neppure nell’originale spagnolo 973 si dice che dopo l’episodio della Bigornia Justina è venerata come una santa. Gli altri episodi della Pícara Justina analizzati da Ulrich Stadler sono quelli del fullero Marcos Méndez Pavón e del falso eremita Martín Pavón, due figure perfettamente distinte – sia nel testo originale, sia nella traduzione italiana e tedesca –, che però lo studioso, distrattamente, fonde in una sola figura : “der Pfaw”. 974 Anche questi due episodi sono messi in relazione con narrazioni agiografiche :  









schönen vnd denckwür- | digen Sprüchen / Politischen Regeln / arglistigen | vnnd verschlagenen Grieffen vnd Erfindungen / lehr- | hafften Erinnerungen / trewhertzigen Warnungen / | anmutigen vnd kurtzweiligen | Fabeln. | Erstlichen | Durch Herrn Licentiat FRANCISCVM di Ubeda von | TOLEDO in Spannischer Sprach beschrieben / vnd in zwey | sonderbare Bücher abgetheilt. | Nachmals von BARETZO BARETZI in Jtalianisch | transferiert : Vnd nun zum letzten auch in vnsere hoch Teut- | sche Sprach versetzt. | [Piccolo motivo ornamentale] | Franckfurt am Mayn / | Getruckt bey Caspar Röteln / Jn Verlegung | Johannis Ammonii Burgers vnd | Buchhändlers. | [Linea tipografica] | M.DC.XXVII. (Berlin, Staatsbibliothek Preußischer Kulturbesitz : Xl 3304) ; I, pp. 371-375, pp. 447-451. 972   VITA DELLA | PICARA | GIVSTINA | DIEZ ; | Regola de gli animi licentiosi : | In cui con gratiosa maniera si mostrano gl’inganni, | che hoggidì frequentemente s’vsano ; s’additano | le vie di superarli ; e si leggono | Sentenze graui, Precetti Politici, | Documenti Morali, Auuenimenti curiosi, | e Fauole facete, e piaceuoli. | Composta in lingua Spagnuola dal Licentiato Francesco | di Vbeda naturale della Città di Toledo : | Et hora trasportata nella fauella Italiana | da BAREZZO BAREZZI, Cremonese. | Dedicata al Molto Illustre, e generosissimo Sig. | IL SIG. GIOVANNI DA STETTEN. | [Marca tipografica] | IN VENETIA, MDCXXIV. | [Linea tipografica] | Appresso Barezzo Barezzi. | Con Licenza de’ Superiori, & Priuilegio. – DELLA VITA | DELLA PICARA | GIVSTINA DIEZ | Volume Secondo, Intitolato | LA DAMA VAGANTE, | Saggia ne’ detti, Accorta nell’ingannare, | Gratiosa nel conuersare, Svegliata nell’adormentare, | Gentile nello Schernire, Segretaria nello scriuere, | Viuace nel motteggiare, Presta nel prendere, e non mai Pronta nell’inuentare, rendere ; | Et Ingegnosa nel raccontar a tempo, e sotto finti sembianti, Dicerie, | & Auuenimenti notabili, con Sentenze, e Detti singolari. | Lettione veramente graue, curiosa, picante, lieta, & vtile. | Composta in lingua Spagnuola dal Licentiato | FRANCESCO VBEDA DI TOLEDO ; | Et hora trasportata nella fauella Italiana | DA BAREZZO BAREZZI | Cremonese Venetiano. | DEDICATA AL MOLTO ILLVSTRE | SIG. CAVALIER ROVELLO. | [Marca tipografica] | IN VENETIA Presso il Barezzi. MDCXXV. | [Linea tipografica] | Con Licenza de’ Superiori, & Priuilegio (Washington, Library of Congress : PQ 6420. P 5 I 5), I, fo. 175v-177r, fo. 205r-206v. 973   Libro de entretenimiento. Medina del Campo 1605, « LIBRO SEGVNDO INTITVLADO LA PICARA Romera. En que se trata la jornada de Arenillas. CAPITVLO SEGVNDO DE LA Vigornia burlada. NVMERO TERCERO DE LOS Beodos burlados », pp. 180-182. 974   “War es im ersten Teil des Werkes der Studentenführer Petrus Grullus, den sie [Justina] überlistete, so ist im zweiten Teil ein weitaus gefährlicherer und durchtriebenerer Gegner ihr Opfer, der Kartenspieler, Betrüger und Landstörzer Martinus Pfaw. [...] Justina begegnet zweimal dem Pfawen, und beide Male betrügt sie ihn in dem Augenblick, da dieser sie betrügen wollte. Bei der ersten Zusammenkunft gelingt es der Picara, dem Picaro ein goldenes Kruzifix abzuschwindeln. [...] Bei der zweiten Begegnung erscheint der Pfaw im Gewande eines Eremiten. Trotz seiner Verkleidung erkennt ihn die Picara, während umgekehrt der Picaro, der aus der Haft entflohen ist und nun von der Obrigkeit gesucht wird, Justina für eine Fremde hält” (Ulrich Stadler : Parodistisches in der Justina Dietzin Picara, pp. 163-164). Justina conosce Martín Pavón perché è di Mansilla : “En mi pueblo, vuo vno destos [bellacos hypocritones], tan gran ladron como hypocrita, que en habito de hermitaño era gran garduño, por tal le prendio el Corregidor. Escapose dos dias antes de nuestra Señora de Agosto, y fue a posar en el mesmo meson del fullero [Bachiller Marcos Méndez Pavón], con quien tenia especial conocencia : porque se llamauan Pabones. (La bellaca que fuera la paua.) [...] Este bellacon tenia tantos ojos para censurar vidas agenas, que nunca hazia sino dar memoriales, y en ellos noticia de los amancebados, y amancebadas de Mansilla. Tenianos enfadadas a las pobres moças de meson : y el tenia tres por falta de vna, todas, hormas de su çapato” (Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo : Cristoual Lasso Vaca 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO DE la Picara Romera. Capitulo quarto [segvndo !] del fullero burlado. Numero tercero de la burla del hermitaño », pp. 50-52).  









































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capitolo viii

Beide Begegnungen der Justina mit dem Pfawen erscheinen wie negative Hohlformen einer in Legenden häufig beschriebenen Situation, in welcher sich zwei heilige Personen gegenseitig aufsuchen und in einen edlen Wettstreit einlassen, der klären soll, wer von den beiden den anderen an tugendhaften Taten zu überbieten vermöchte. Der höhere Grad an Heiligkeit des einen, der zugleich im Titel der Legende jeweils genannt ist, offenbart sich im Wunder, das zu übertreffen dem anderen trotz aller aufgewandten Mühe nicht gelingt. Dem Wunder in der Vita des Heiligen steht in der Lebensbeschreibung der Justina der geglückte Betrug gegenüber. Dieser ist es, der die Picara als die aller vortrefflichste vnnd öberste Landstürtzerin 975 ausweist. Er wird zum Deckel / welcher die Substanz der Lehren gantz verderbt ; die Substanz jedoch riecht noch ein wenig nach etwas guts : 976 Requisiten und Kostüme, Mienenspiel und Gebärden sind in dem von Justina und ihrem Kontrahenten ausgetragenen Kampff 977 so beschaffen, als seien der männliche und der weibliche Picaro Akteure eines Spiels, dem eine hagiographische Vorlage zugrunde liege. 978  



   





Confessiamo che non riusciamo a scorgere la minima analogia fra gli incontri di Justina con il baro Marcos Méndez Pavón e il falso eremita Martín Pavón e l’incontro di due Santi che gareggiano in santità. Riteniamo anche molto problematico fondare l’interpretazione della Pícara Justina sulla lettura – peraltro frettolosa – della Landstörtzerin, tanto piú che la traduzione tedesca non è stata eseguita sull’originale ma sulla sua versione italiana, che, oltre ad essere parziale 979 e molto libera, ‘gonfia’ enormemente, con interpolazioni, digressioni e novelle, il testo castigliano. Un esempio di interpolazione : non sono presenti nel testo originale le parole, messe in particolare rilievo da Ulrich Stadler, Deckel e Kampff (l’intera frase “Hiemit rüstet ich mich widerumb zum Kampff / vnndt sagt...” – traduzione della frase italiana “Ritornai à battagliarlo, e dissi...” 980 – non esiste nel Libro de entretenimiento). Le omissioni sono innumerevoli. Barezzo Barezzi – e quindi l’anonimo traduttore tedesco – omette tutte le pagine e le frasi della Pícara Justina che erano o potevano sembrare irrispettose nei confronti della religione cattolica, dei suoi riti, delle sue chiese, dei suoi conventi e dei suoi rappresentanti. 981 E quando non le omette, le trasforma. Si consideri – tanto per scegliere di nuovo un esempio da uno dei tre episodi sui quali Ulrich Stadler fonda la sua tesi – la pagina nella quale vengono presentati i componenti della Bigornia :  









[...] viddi apparire vna compagnia di Scolari trauestiti, che veniuano in ordinanza come essercito di grue 975   Der Landtstürtzerin JVSTINAE DIETZIN PICARAE II. Theil, p. 361. Traduzione dell’espressione “Picara Illustrissima di prima catedra” (Vita della picara Giustina Diez, vol. II, fo. 157v-158r), che a sua volta traduceva l’espressione “picara de prima por claustro” (Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO DE la Picara Romera. Capitulo. III. De las dos cartas graciosas », p. 64). 976   Der Landtstürtzerin JVSTINAE DIETZIN PICARAE II. Theil, p. 340. Nel testo originale si legge : “Dezia sin duda buenas cosas : pero con vn modillo, que destruya la substancia de la dotrina, que bien parecia obra de diferentes dueños : pues la sustancia olia a Dios, y el modillo a Berzebu” (Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO DE la Picara Romera. Capitulo quarto [segvndo !] del fullero burlado. Numero tercero de la burla del hermitaño », pp. 54-55). 977   Der Landtstürtzerin JVSTINAE DIETZIN PICARAE II. Theil, p. 341. 978   Ulrich Stadler : Parodistisches in der Justina Dietzin Picara, p. 165. 979   Thomas Bodenmüller ha calcolato che Barezzo Barezzi ha tradotto solo il 60% della Pícara Justina. Cfr. Thomas Bodenmüller : Literaturtransfer in der Frühen Neuzeit. Francisco López de Úbedas und ihre italienische und englische Bearbeitung von Barezzo Barezzi und Captain John Stevens, p. 218. 980   Vita della picara Giustina Diez, vol. II, fo. 149v. 981   Thomas Bodenmüller, al quale si deve la piú dettagliata analisi della traduzione di Barezzo Barezzi, vi ha rilevato “eine stringente Eliminierung aller antiklerikalen und areligiösen Stellen” (Literaturtransfer in der Frühen Neuzeit, p. 274).  



















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ballando, & cantando marauigliosamente. Erano sette di camerata, famosi furfanti, che per eccellenza s’intitolauano la Vigornia [...]. Questi conduceuano per Capitano vn giouane alto, e secco, al quale chiamauano l’Ammiraglio D. Pietro Grullo [...]. Costui veniua in habito d’Ammiraglio della Picararia, & haueua a lato vn altro Scolaro vestito da Picara sguatara, a cui essi chiamauano la Bonetta (cioè Beretta) [...]. Li altri cinque ueniuano trauestiti da Capitani, e Caualieri al modo picarale. L’uno si chiamaua il Capitano Mameluco, l’altro il Scorpione ; il terzo il Birlo ; il quarto il Polpo, & l’vltimo il Drago. 982  





Nell’originale i componenti della Bigornia vengono cosí descritti :  

[...] vi assomar vna quadrilla de estudiantes, disfraçados que venian en ala como bandada de grullas, dançando y cantando a las mil marauillas. Eran siete de camarada : famosos vellacos, que por excelencia se intitulauan la Vigornia [...]. Estos trahian por capitan a vn moço alto y seco, a quien ellos llamauan el Obispo don Pero Grullo [...]. Este venia en habito de Obispo de la Picarançona. Trahia al lado otro estudiante vestido de picarona, piltrafa, a quien ellos llamauan la Bonêta [...]. Los otros cincos venian disfraçados de Canonigos, y Arcedianos, a lo picaral. El vno se llamaua el Arcediano Mameluco. El otro el Alacran. El otro el Birlo. Otro Pulpo. El otro el Draque. 983  



Ogni riferimento a dignità ecclesiastiche – vescovo, canonici, arcidiaconi – è sparito nella versione del prudentissimo Barezzo Barezzi e quindi nella traduzione tedesca :  

[...] sihe da erschienen etliche Studenten in vermumten Kleiden / die dantzten in der ordnung einer nach dem andern wie die Kränch / vnd führeten ein wunderbarlich Gesäng. Es waren sieben in der Company / beschreyte böse Buben / wegen ihrer Excellenz oder Fürtrefflichkeit in bösen Stücken / Vigornia genannt [...]. Diese hatten einen schönen vnnd langen Jüngling der Ammiral Peter Grull genannt / zu einem Hauptmann. [...] Dieser Hauptmann kam in dem Habit eines Ammirals der Landtstürtzerey / hat neben jhm einen andern Studenten wie ein Jungfraw angethan vnd Bonetta oder Beretta / [...] genannt [...]. Die vbrige fünffe giengen wie Capitain vnd Ritterliche Personen : der eine nennet sich Hauptman Mamelux / der ander Scorpion / der dritte Herr Birlo / der vierdte Polpo / vnd der fünffte Drago oder Drach [...]. 984  



Come si vede, proprio la traduzione tedesca della Vita della picara Giustina di Barezzo Barezzi – il tipografo ed editore veneziano, timoratissimo qual’era, mai si sarebbe sognato di pubblicare scritti che potessero, sia pur lontanamente, essere considerati una contraffazione satirica della vita dei Santi o una offesa alla religione cattolica e alla Chiesa – era la meno adatta ad offrire spunti per una interpretazione della Pícara Justina come parodia della letteratura agiografica e come opera di “carattere anticlericale”. 985 Le sue ardite proposte ermeneutiche Ulrich Stadler le avrebbe potuto rendere piú plausibili servendosi del testo originale !  



Mentre Julio Puyol y Alonso, Marcel Bataillon, Alexander A. Parker e Ulrich Stadler hanno messo in relazione la Pícara Justina con la letteratura agiografica, altri studiosi hanno creduto di poter stabilire una connessione fra il romanzo picaresco e l’oratoria sacra. Il primo a farlo è stato Joseph R. Jones. Nel saggio pionieristico pubblicato nel 1974, nel quale ha tentato una prima analisi e redatto un primo inventario dei ‘geroglifici’ presenti nella Pícara Justina – utilizzando, purtroppo, non la princeps dell’opera, ma 982

  Vita della picara Giustina Diez, vol. I, fo. 105r-v.   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO SEGVNDO INTITVLADO LA PICARA Romera. En que se trata de la jornada de Arenillas. CAPITVLO PRIMERO, de la Romera Baylona. NVMERO QVARTO DEL Robo de Iustina », p. 143. 984   Die Landtstörtzerin IVSTINA DIETZIN PICARA genandt, pp. 210-211. 985   Ulrich Stadler : Parodistisches in der Justina Dietzin Picara, p. 167. 983







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capitolo viii

l’edizione di Ángel Valbuena Prat, nella quale le note marginali, ricche di riferimenti ai ‘giroblificos’, sono state soppresse ! –, lo studioso ha infatti affermato :  



I think ... that one may expand the theory of Julio Puyol and Bataillon – that López de Ubeda is satirizing the abuse of hieroglyphics in fray Andrés Pérez’s Vida de San Raimundo – to say that he is satirizing the popularity of hieroglyphics among fashionable pulpit orators. The unfortunate Pérez seems to be merely the representative of his class. 986  

Non essendoci – come abbiamo già osservato – quasi ‘geroglifici’ nella Historia de la vida y milagros del glorioso sant Raymundo de Peñafort, questa affermazione di Joseph R. Jones, che peraltro della agiografia di Andrés Pérez – cosí come del commento di Julio Puyol y Alonso – conosce solo quanto ne ha scritto Marcel Bataillon, è del tutto infondata. Piú recentemente, Luc Torres ha interpretato – come abbiamo già ricordato – il Libro de entretenimiento non solo come parodia della letteratura emblematica, della picaresca, dei manuali dei confessori e dei trattati di urbanità, ma anche come parodia sacra 987 e, in particolare, come parodia dei sermoni e dei loro elementi costitutivi : similitudini, ‘geroglifici’, exempla :  





De toutes les manifestations de la parodia sacra, la pratique des sermons inversés et la tradition médiévale de la prédication joyeuse, sont à l’origine d’un des aspects fondamentaux du discours de la pícara de Mansilla. Celle-ci, à travers des digressions souvent indigestes, développe, en effet, toute une rhétorique grossière et hyperbolique qui emprunte les figures les plus éprouvées de la prédication, telle qu’on la pratiquait souvent à l’époque. 988  

La parodia della “rhétorique du sermon”, Luc Torres la ravvisa nella dispositio di ciascuno dei Capítulos e Números del Libro de entretenimiento. Questa dispositio, scrive lo studioso, “pourrait, en effet, se lire en fonction des trois étapes canoniques du prêche” : expositio, argumentatio, amplificatio. 989 Ed è soprattutto nella amplificatio – nella quale la pícara utilizza “similitudines et comparaisons diverses”, “hiéroglyphes et figures symboliques diverses” e “exemples, histoires, fables” 990 – che si realizza e si manifesta, secondo Luc Torres, l’intento parodico di Justina : “Les trois figures de la amplificatio rhétorique mises à contribution par Justine : similitudo [...], figures symboliques [...], et figures de l’exemplarité [...], subissent, chez López de Úbeda, un degré de déformation et d’hyperbole dont l’intention ne peut être que parodique”. 991 Ma la retorica sacra dell’ultimo terzo del XVI e dei primi anni del XVII secolo – dal De methodo concionandi 992 (Complvti. Ex officina Andreae de Angulo : Anno. 1570) di Alfonso García de Matamoros ai De Praedicatione Evangelica libri qvatvor (Complvti. Excvdebat Ioannes Gratianvs. Anno M.D.LXXIII.) di Fray Juan de Segovia, dalla Retórica Eclesiástica (Ecclesiasticae Rhetoricae, sive de ratione concionandi libri sex, nunc primum in lucem editi. Olysippone, Excudebat Antonius Riberius, expensis Ioannis Hispani Bibliopolae. Anno Domini. 1576. Com Privilegio) di Fray Luis de Granada al Modvs concionandi (Salmanticae Ex officina Ioannis Baptistae à Terranpua. M.D.LXXVI.) di Fray Diego de Estella, dagli Avisos para los predicadores del Santo Evangelio (fine XVI sec.) di Fray Agu 













986



  Joseph R. Jones : “Hieroglyphics” in La Pícara Justina, p. 418.   Luc Torres : Discours festif et parodie dans La Pícara Justina, pp. 216-331. Cfr. anche Lucas Torres : Emblemática y Literatura : El caso de La Pícara Justina. 988   Luc Torres : Discours festif et parodie dans La Pícara Justina, p. 55. 989   Luc Torres : Discours festif et parodie dans La Pícara Justina, p. 256. 990   Luc Torres : Discours festif et parodie dans La Pícara Justina, pp. 259-295. 991   Luc Torres : Discours festif et parodie dans La Pícara Justina, pp. 294-295. 992   Allegato a : De tribus dicendi generibus, siue de recta informandi styli ratione commentarius.  

987







     





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stín Salucio all’Arte o Instrucción de predicadores 993 (Granada : Bartolome de Lorençana 1617) di D. Francisco Terrones Aguilar del Caño, Vescovo di Túy – prescriveva semplicità e condannava similitudini sproporzionate e amplificazioni ipertrofiche. 994 Lo stesso Luc Torres, che cita passi significativi della Retórica Eclesiástica e della Arte o Instrucción de predicadores sull’uso delle similitudini e dei ‘geroglifici’, 995 dichiara che Justina non segue le regole della retorica sacra, la quale rigettava “l’utilisation hyperbolique du hiéroglyphe”, 996 richiedeva una giusta proporzione fra “le comparant et le comparé” e condannava “les développements inutiles”. 997 E allora, come si può affermare che nella Pícara Justina viene parodiata la “rhétorique du sermon” ? Che senso avrebbe parodiare per mezzo dell’abuso di similitudini ipertrofiche precetti retorici che prescrivevano proprio un ricorso molto moderato ai paragoni e vietavano ogni loro sproporzionata dilatazione ? Rendendosi conto, forse, della contraddizione, Luc Torres scrive allora che Justina “s’inspire davantage des différentes pratiques atypiques du sermon qu’elle a pu voir à l’oeuvre dans la réalité” e che il fine della pícara è “de se moquer des prédicateurs fantaisistes”. 998 Qualche pagina piú avanti afferma poi che “les hiéroglyphes de La Pícara Justina se rapportent à une parodie de l’utilisation des figures symboliques dans la pratique des sermons”. 999 Quali sono, in concreto, questi sermoni atipici ai quali Justina si ispira e ai quali ha “potuto” assistere ? Quali sono i predicatori “fantaisistes” dei quali vuole burlarsi Justina ? Quali sono i sermoni caratterizzati dalla eccessiva utilizzazione dei ‘geroglifici’ parodiata dall’autore del Libro de entretenimiento ? Luc Torres, che scrive che l’allusione (“Donde va S. Geminiano, con sus similes ?” 1000) fatta da Justina alla Summa de exemplis et similitudinibus rerum (Venezia : De Gregoriis 1487. – Anversa 1597) del frate domenicano Giovanni da Sangimignano (Giovanni Gorini) gli sembra “une parodie des recueils de similitudes à l’usage des prédicateurs”, 1001 non documenta mai le sue affermazioni – attenuate, quasi sempre, in qualche modo da espressioni dubitative – con concreti riferimenti a relazioni intertestuali fra il Libro de entretenimiento e l’uno o l’altro determinato sermone.  

































993   Questo è il titolo della edizione curata dal P. Félix G. Olmedo. Il titolo originale dell’opera è : Arte o Instrucción y Breve Tratado que dize las partes que ha de tener el predicador evangélico : como ha de componer el sermón : que cosas a de tratar en él, y en que manera las a de dezir. 994   Cfr. Miguel Herrero García : Ensayo histórico sobre la Oratoria Sagrada Española de los Siglos XVI y XVII. In : Sermonario Clásico. Con un Ensayo sobre la Oratoria Sagrada por M. H. G. Madrid - Buenos Aires : Escelicer 1942, pp. VII-LXXXIX. – P. Félix G. Olmedo, S. I. : « Prólogo » a : Don Francisco Terrones del Caño : Instrucción de predicadores. Prólogo y notas del P. Félix G. Olmedo, S. I. (= Clásicos Castellanos, 126). Madrid : Espasa-Calpe 1946, pp. IX-CLVI ; qui pp. LVI-CLVI. – Otis H. Green : Se acicalaron los auditorios : An Aspect of the Spanish literary Baroque. In : Hispanic Review 27 (1959), 413-422. – Antonio M. Martí : La Retórica Sacra en el Siglo de Oro. In : Hispanic Review 38 (1970), 264-298. – Félix Herrero Salgado : La oratoria sagrada en los siglos XVI y XVII. Madrid : Fundación Universitaria Española 1996. – Félix Herrero Salgado : La oratoria sagrada en los siglos XVI y XVII. II. Predicadores dominicos y franciscanos. Madrid : Fundación Universitaria Española 1998, pp. 77-184, pp. 267-272, pp. 537-554, pp. 622-626. – Félix Herrero Salgado : La oratoria sagrada en los siglos XVI y XVII. III. La predicación en la Compañía de Jesus. Madrid : Fundación Universitaria Española 2001, pp. 186-230, pp. 282-375. – Miguel Ángel Núñez Beltrán : La oratoria sagrada de la época del Barroco. Doctrina, cultura y actitud ante la vida desde los sermones sevillanos del siglo XVII. Sevilla : Universidad de Sevilla - Fundación Focus-Abengoa 2000, pp. 35-49. 995   Luc Torres : Discours festif et parodie dans La Pícara Justina, pp. 63-64, p. 69. 996   Luc Torres : Discours festif et parodie dans La Pícara Justina, p. 69. 997   Luc Torres : Discours festif et parodie dans La Pícara Justina, p. 262. 998   Luc Torres : Discours festif et parodie dans La Pícara Justina, pp. 262-263. 999   Luc Torres : Discours festif et parodie dans La Pícara Justina, p. 278. 1000   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO PRIMERO, INTITVLADO LA PICARA Montañesa. CAPITVLO SEGVNDO DEL abolengo alegre. Numero Primero. Del abolengo parlero », p. 54. 1001   Luc Torres : Discours festif et parodie dans La Pícara Justina, pp. 62-63.  



















   



































   







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Non lo fa neppure quando, sorprendentemente, attraverso l’analisi delle similitudines presenti nella Pícara Justina, ‘scopre’ una coincidenza fra i temi preferiti dal romanzo picaresco e i temi preferiti dai predicatori :  

En résumé, les principaux thèmes évoqués sont les suivants : une image traditionnelle de la femme (éternel feminin et vierge), une représentation de l’amour profane (séduction et maladie vénérienne), une isotopie de la vie picaresque (auberge, mauvaises rencontres), une réflexion philosophique. Enfin, un éloge, certes burlesque, de la Nature. Une constatation paraît s’imposer au premier abord : les sujets favoris du prédicateur apparaissent au grand jour. Les trois principaux thèmes mis en avant (la femme, l’amour profane, la vie picaresque) sont ceux que les précheurs enflammés de l’époque devaient priser en priorité. La réflexion morale et le souci esthétique n’arrivent qu’en quatrième et cinquième positions. 1002  





Quali sono i sermoni i cui temi preferiti erano la donna, l’amore profano e la vita picaresca ? Quali sono i “predicatori infiammati” che li pronunciavano ? Luc Torres non documenta in nessun modo queste sue asserzioni. Anche quando, non meno sorprendentemente, lo studioso parla “du mépris dans lequel les courtisans tenaient les prédicateurs”, 1003 non documenta la sua assurda asserzione adducendo qualche concreto esempio di cortigiani che disprezzavano i predicatori, ma si limita a dire che la “littérature festive contemporaine de la Pícara Justina” offre alcuni esempi di questo disprezzo e a citare, non molto a proposito, la Nueva filosofia de la naturaleza del hombre di Miguel Sabuco e alcune pagine della Fastigimia di Thomé Pinheiro da Veiga. 1004 Orientarsi nella “inmensa selva de Sermones y Sermonarios” stampati in Ispagna nel XVI e XVII secolo 1005 – e sempre si deve tener presente che per “un sermón publicado ... hay cien de los cuales no queda rastro” 1006 –, è certamente impresa difficilissima, nonostante i grandi progressi che la ricerca sulla oratoria sacra ha fatto negli ultimi quindici anni, soprattutto grazie a Félix Herrero Salgado. Per potere sostenere la tesi che la Pícara Justina fa la parodia della oratoria sacra o, piú precisamente, dei sermoni dei “prédicateurs fantaisistes”, sarebbe stato però assolutamente necessario riferirsi a un concreto campione rappresentativo di testi degli anni 1598-1605. Sappiamo che già alla fine del XVI e nei primi anni del XVII secolo incominciarono ad affiorare tendenze alla ‘teatralizzazione’ dei sermoni – gesticolazione concitata ed esibizione, nei momenti opportuni e soprattutto nei momenti culminanti della predica,  











1002

  Luc Torres : Discours festif et parodie dans La Pícara Justina, p. 264.   Luc Torres : Discours festif et parodie dans La Pícara Justina, p. 57.   Di seguito alla frase sul disprezzo dei cortigiani per i predicatori, Luc Torres scrive : “En effet, l’éloge de la gravité, selon les principes tridentins, était en parfaite opposition avec les divertissements légers et spirituels très prisés dans les ambiances curiales. C’est sous le concept générique d’eutrapelia, glosé dans un ouvrage publié en 1587 sous le pseudonyme d’Olivia de Sabuco de Nantes, que l’on désignait à l’époque l’état d’esprit enjoué et salutaire, ennemi de la mélancolie, qui devait être celui de la plupart des hommes de cour. C’est ce qu’illustre parfaitement le débat entre un prêcheur dominicain et un courtisan rapporté par Pinheiro da Veiga dans sa chronique.” Nelle pagine della Fastigimia (pp. 297-301) alle quali allude Luc Torres, Thomé Pinheiro da Veiga descrive una compagnia molto allegra di uomini e donne della quale fanno parte “hum clerigo gordo como hum odre, mas muyto engraçado”, e il padre domenicano Thiedra, “grande pregador” – figure, queste dei due religiosi, tutt’altro che gravi e austere – e riproduce le idee esposte dal “P.e de S. Domingos” sulla allegria (“Toda a tristeza naturalmente aperta e encolhe, e toda a alegria abre e deleita : a rezão he porque na tristeza e medo acode o sangue e espiritos vitaes, como bons vassalos, ao animo e coração ; e na alegria elle, como bom Principe, comunica aos membros o sangue e espiritos alegres e fica dezemparado...” ), idee che non sono dissimili da quelle di Miguel Sabuco. 1005   Miguel Herrero García : Ensayo histórico sobre la Oratoria Sagrada Española de los Siglos XVI y XVII, p. XXIII. 1006   Robert Ricard : Los vestigios de la predicación contemporánea en el Quijote. In : R. R. : Estudios de literatura religiosa española, pp. 264-278 ; qui p. 264. 1003

1004





















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di oggetti (teschi e ossa di morti, ceneri, Cristi crocifissi, corone di spine, strumenti della passione del Redentore, quadri, immagini dell’Ecce-Homo, ecc.) atti a suscitare una forte emozione negli uditori-spettatori – e tendenze ad una eccessiva ‘ornamentazione’ retorica – uso e abuso di ‘concetti’, ‘geroglifici’, emblemi, similitudini, ‘favole’ 1007 –. Su queste tendenze abbiamo potuto raccogliere diverse testimonianze, tutte relative agli anni 1601-1605. Il 22 marzo 1601 il racionero Tejada presentò al “Claustro de doctores y maestros en todas facultades” dell’Università di Salamanca una memoria del padre “presentado fray alonso Giron predicador general” dell’Ordine domenicano, sulla quale il Consejo de la general y S.ta Inquisición chiedeva il parere del consesso accademico salmantino. 1008 In questo suo Scripto Fray Alonso Girón, preoccupato per “la muchedumbre de libros y authores que cadal dia van saliendo” nei Regni della Monarchia spagnola, 1009 sostiene che è inopportuno e dannoso trattare in lingua volgare dei misteri della fede 1010 e biasima, in particolare, “los que escriben sermones en Romanze”. 1011 I sermoni scritti – e pubblicati ! – in lingua volgare, infatti, oltre ad essere causa della perdita di prestigio delle Sacre Scritture e dei suoi misteri, favoriscono la decadenza dell’oratoria sacra e la diffusione di errori dottrinali :  













[...] aunque el zelo delos muchos de los authores debe ser bueno en el escribir Romanze para que todos se edifiquen y consuelen pero Resultan dello muchos y grandes ynconuinientes porque lo prime.o pierden mucho de su magestad y estima la escriptura sagrada, y sus misterios [...]. Lo segundo los discretos predicadores con mucha Razon, temen ya el offiçio de predicar, lo vno porque apenas hallaran cosa que dezir que no este ya escripta en los libros de Romançe / y lo otro temen con mucha Razon la censura del vulgo que como lo hallan todo escripto enlos libros de Romanze todos se hacen çensores de lo que el predicador dize por mucho que se aya desuelado y estudiado / tambien resulta de aqui otro daño prinçipal, que los buenos ingenios afloxan en los estudios viendo la façilidad que ay para poder predicar approbechandose destos libros de romanze, y aun otro daño mayor = que quanto los discretos predicadores cobran de temor y los buenos ingenios de floxedad ; cobran los ignorantes de osadia para predicar / y como no entienden el spiritu y sentido de la scriptu.a ni los fundamentos y prinçipios de la fee tienen abierta la puerta por este camino para caher en muchos eRores [...] / delo qual se ha visto por experiençia averse sembrado en alemaña infinidad de Errores por gente ydiota e ynorante y  

1007   Cfr. Emilio Orozco Díaz : Sobre la teatralización del templo y la función religiosa en el Barroco : El predicador y el comediante. In : Cuadernos para Investigación de la Literatura Hispánica, Madrid, Núm. 2-3, 1980, pp. 171-188. – José Lara Garrido : La predicación barroca, espectáculo denostado (textos y considerandos para su estudio). In : Analecta Malacitana, Málaga, 6 (1983), 381-387. – Giuseppina Ledda : Forme e modi di teatralità nell’oratoria sacra del Seicento. In : Studi Ispanici, Pisa, 1982, pp. 87-107. – Giuseppina Ledda : “Predicar a los ojos”. In : Edad de Oro 8 (1989), 129-142. – Giuseppina Ledda : Antiguos y nuevos predicadores : Una polemica sull’oratoria sacra del ‘600. In : Symbolae pisanae. Studi in onore di Guido Mancini. A cura di Blanca Periñan e Francesco Guazzelli. I. Pisa : Giardini 1989, pp. 311-325. – Francis Cerdan : El sermón barroco : Un caso de literatura oral. In : Edad de Oro 7 (1988), 59-68. – Francis Cerdan : « Introducción crítica » a : Fray Hortensio Paravicino : Sermones cortesanos. Edición, introducción y notas de F. C. (= Clásicos Madrileños, 6). Madrid : Castalia 1994, pp. 9-32. 1008   Scripto del p.e fr. alonso Giron. In : Pedro Urbano González de la Calle : Documentos inéditos acerca del uso de la lengua vulgar en los libros espirituales. In : Boletín de la Real Academia Española, Madrid, Tomo XII, Cuaderno LVII, Abril de 1925, pp. 258-273 ; qui pp. 258-259 e p. 273. 1009   Scripto del p.e fr. alonso Giron, p. 261. 1010   “[...] no conviene que la magestad de los misterios de nra. fee, y del S.to Evangelio ande en Romanze tan comun y vulgarm.te en manos de todo genero de gentes asi ydiotas como sabios / assi officiales como cavalleros /, asi mugeres como hombres que avnque bautizen y disfrazen los libros con exquisitos nombres / de discursos, meditaçiones, sermones, vita cristi / y de otros qualesquier nombres en Realidad de berdad es andar la sagrada escriptura y el Evangelio y sus más secretos misterios en publica plaza que es hazer mucho agravio y barato de los misterios que son de tanto valor y preçio” (Scripto del p.e fr. alonso Giron, p. 261). 1011   Scripto del p.e fr. alonso Giron, p. 265.  



















































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confirmase esta Razon por los peligros grandes que tiene la translaçion de la scriptura sancta en Romançe asi por la negligen.a de los impressores en trocar y mudar a vezes vna letra / o palabra, con que se trueca todo el sentido / o por diligençia que a vezes ponen en ello los hereges para estableçer sus errores como vemos que lo an hecho, y siempre procuran hazer en las biblias y en otros libros sanctos / y en estos sermonarios de Romanze es mayor el peligro porque andan en manos ydiotas que beuen el error que hallan escripto / y no saben salir del / el qual daño no coRe tanto en los que entienden el latín [...]. 1012  

La composizione e la pubblicazione di sermonari in lingua volgare sono, secondo il frate domenicano, forse anche responsabili, in gran parte, della poca devozione con la quale si ascoltano i sermoni, frequentati ormai da molti, che già ne posseggono il testo nelle loro case, solo per la curiosità di verificare se il predicatore dice cose non contenute nel suo libro o per il piacere che, come dolce musica, procura il suo stile fiorito :  

[...] y otro daño no demenos consideraçion que cada dia mas se experimenta dela poca devocion que ay el día de oy en oyr los sermones, que quiza mucha parte proçede de tenerlos en su casa en Romanze ; y los que los van a oyr muchos van por curiosidad / o de cotejar y conferir si dixo mas que ay en su libro / o por entretenimiento y gusto del lenguaje de las floridas Razones, como quien va a oyr vn rato de musica que suena dulze y suauemente, y no buscan el espíritu y verdad del Evangelio y la Reformacion de las costumbres que en los sermones se pretende. 1013  



1014

Fray Alonso Girón condanna severamente “la florida eloquentia”, “la artificial eloquentia adornada de exquisitos vocablos y flores de los maestros y predicadores”, e definisce i sermoni che la usano “fabulas”, “Cuentos vanos comedias y Representaçiones para entretenimj.o y gusto del oydo”. 1015 Propone pertanto di proibire e bruciare i libri di sermoni in lingua volgare  



para conservar mejor el Credito y dignidad del Evangelio scriptura santa y sus misterios para que no afloxen en sus estudios los buenos ingenios por la façilidad con que se pueden aperçibir para la predicacion con los sermones en Romançe / para que no se Resfrie tanto la devocion de los fieles de oyr la viua voz de los predicadores por la qual habla dios al alma / para que los predicadores doctos no teman ni se desganen de predicar / y para que los ydiotas no sean atrevidos a vsurpar el offi.o que no entienden y finalm.te para cerrar la puerta al evidente peligro de Eregias y errores en que podran dar assi por hierros de las ympresiones, Como por el poco saber asi de los ynorantes predicadores, como de los oyentes y lectores de tales libros que indiferentem.te son officiales, sastres, y çapateros que queRan saltar de puntos de aguja a puntos de theologia, como se vee cada dia entre los hereges // y en esto coRen mayor Riesgo y peligro las mugeres que como tienen flaco entendimj.to con la lection de los altos mysterios que alCançan facilm.te se desvaneçen y presumen de bachilleres [...]. 1016  

Dopo aver proposto che si proibiscano e brucino i “sermones de Romançe”, “libros llenos de tantas flores curiosidad y dulzura”, 1017 Fray Alonso Girón, concludendo il suo “papel”, 1018 ci fa sapere che la composizione – o traduzione e trascrizione –, pubblicazione  



1012

  Scripto del p.e fr. alonso Giron, pp. 266-267.   Scripto del p.e fr. alonso Giron, pp. 268-269. 1014   “[...] si les piden alos authores porque no escriben en latin, responden que perdera su obra toda la gracia y donayre estima y applauso porque Consiste en la florida eloquentia y persuasibles Razones humanas / sin memoria del espiritu, vida y verdad que Christo nro. s.or y su apostol s. Pablo y los demas apostoles pretendieron en su doctrina” (Scripto del p.e fr. alonso Giron, pp. 270-271). 1015   Scripto del p.e fr. alonso Giron, p. 269. 1016   Scripto del p.e fr. alonso Giron, pp. 271-272. 1017   Scripto del p.e fr. alonso Giron, p. 272. 1018   Scripto del p.e fr. alonso Giron, p. 259, p. 273. 1013

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e commercializzazione di questi libri, che certamente avevano molti sostenitori e difensori, 1019 è fenomeno recente :  



Los ... daños e inconbenientes se siguen de la publica negociacion y mercancia que en esta Corte y fuera della se a comenzado a usar de pocos años a esta parte de escriuir y trasladar sermones de los mas famosos predicadores de estos reynos, para tratar en ellos conprando y vendiendo [...] 1020  

Due anni dopo la presentazione dello Scripto del frate domenicano al Claustro salmantino, il francescano Fray Diego Murillo pubblicò i suoi Discvrsos predicables sobre los Evangelios qve canta la Iglesia en los quatro Domingos del aduiento, y fiesta principales que ocurren en este tiempo hasta la Septuagessima (Año 1603. En Çaragoça, por Angelo Tauanno). Molti capitoli di questa opera sono dedicati al tentativo di contrastare la tendenza all’amplificazione e all’abuso di similitudini, all’esibizionismo e alla ‘teatralizzazione’, e la tendenza all’uso dello stile culto e ‘fiorito’, i due fenomeni che si stavano diffondendo nell’oratoria sacra :  

Cap. VII. No cumple su obligación el predicador predicando flores en las fiestas. – Cap. VIII. Falta a la obligación de procurar la gloria de Dios el que no busca sino la suya. – Cap. IX. Falta a la obligación de hacer guerra a las culpas el que predica para su aplauso. – Cap. X. Falta a la obligación de remediar las almas el que en las fiestas sólo las entretiene. – Cap. XI. Fáltase en las fiestas a la obligación con las comparaciones y exageraciones infructuosas. – Cap. XII. Lamentación y quejas de los Santos por el uso vano del estilo culto. – Cap. XIII. Queréllase la Iglesia de los predicadores cultos que la persiguen. – Cap. XIV. Respóndese a la excusa de que es impropia en las fiestas la doctrina. – Cap. XV. Se responde a la excusa de que no se usa predicar doctrina en las fiestas. – [...] Cap. XVIII. Respóndese a la excusa de que está desganado el gusto de los oyentes. – [...] Cap. XX. Se hallará el predicador culto sin excusa en el temeroso juicio de Dios. – Cap. XXI. Tema el predicador que Dios le castigue en esta y en la otra vida si no se enmienda. 1021  

Un altro francescano, Fray Diego de la Vega, si lamenta, nel « Prólogo al lector » premesso al primo tomo del suo sermonario Empleo y exercicio sancto sobre los Evangelios de las Dominicas de todo el año (En Toledo por Thomas de Guzman Impressor de libros. Año 1604), della “locura y devarío de algunos predicadores deste tiempo tan dados a la curiosidad y sutileza de ingenio”. 1022  





1019   “[...] bien entiendo que los dichos libros [los libros, que de prinçipal yntento / o de lado tratan de sermones] ternan muchos fautores y defensores, vnos por amistad y afiçion delos autores, otros por seguir su propio gusto ynclinado a nouedad y curiosidad. pero es cierto que tienen consigo el temor de que se an de vedar y traen Como dizen la soga aRastrando que este temor les haze appresurar ympresiones y buscar ynvençiones de nuevos titulos para disfrazar el hecho de predicadores y declaradores del Evangelio y de sus misterios en Romanze ...” (Scripto del p.e fr. alonso Giron, p. 270). 1020   Scripto del p.e fr. alonso Giron, p. 272. 1021   Cfr. Miguel Herrero García : Ensayo histórico sobre la Oratoria Sagrada Española de los Siglos XVI y XVII, p. XVIII, nota nro. 1. – Manuel Jiménez Catalán : Ensayo de una tipografía zaragozana del siglo XVII. Zaragoza, pp. 81-82, nro. 27. – Félix Herrero Salgado : La oratoria sagrada en los siglos XVI y XVII. II. Predicadores dominicos y franciscanos, pp. 617-645. Giá Fray Luis de Granada aveva condannato il ricorso di alcuni predicatori ad uno stile ricercato e a frasi a effetto : “Hay [...] en algunos una hojarasca de voces huecas ; los cuales, queriendo apartarse del uso comun de hablar, agradados de ciertos fantásticos relumbrones, cargan de una copiosa locuacidad todo cuanto quieren decir : despues juntando y mezclando aquella misma serie con otra semejante, la extienden mas allá de lo que ningun aliento puede durar. [...] La claridad [...], á nuestro gusto y juicio, ha de ser la primer virtud de la elocucion, las palabras propias, el órden recto, la conclusion nada prolija, y que nada falte ni sobre.” Cfr. Fray Luis de Granada : Los seis libros de la Retórica eclesiástica, o de la manera de predicar, pp. 570-571. 1022   Cit. da José Jurado : « Introducción » a : José Francisco de Isla : Historia del famoso predicador Fray Gerundio de Campazas alias Zotes. Edición crítica de J. J. (= Biblioteca Románica Hispánica. IV. Textos, 21). Madrid : Gredos 1992, pp. 7-62 ; qui p. 29.  



























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Bartolomé Jiménez Patón biasima, nella sua Eloqvencia Española en Arte (1604), quei predicatori che, “por venderse por grandes letrados”, trattano di “doctrinas eleuadas con terminos exquisitos” e che, per ostentazione, “predican de suerte que no los entiendan sus oyentes”. Per ridicolizzare questi rappresentanti dello stile culto oscuro, il celebre maestro di retorica racconta questo episodio :  

Como testigo de vista puedo afirmar que predicando cierto predicador de los de este jaez ciertos caualleros mozos mas amigos de chocarrerias que de doctrina deuota en sauiendo quando y donde predicaua hazian lleuar sillas con cuydado diciendo que no auia comedia mas barata que oyr aquel predicador, ni truhan Velasquillo mas de valde. Asi que este vicio no solo por ser contra preceptos de Rhetorica, mas por ser contra religion debe ser huydo [...]. 1023  

Barthélemy Joly, nel suo Voyage en Espagne (1603-1604), parlando dei monaci e dei frati dei vari Ordini, osserva :  

En leurs predications, ilz usent d’une vehemence trop grande, au dire mesme d’un d’entre eux, en une de ses predications imprimés. Esta grauedad y compostura, esta moderacion en el decir es la que me contenta y apprueuo, y confiesso que soy del parecer que reprueua predicadores vocingleros que hazen gestos y meneos prouocatiuos a risa, que lloran y piensan que imitan a Christo, que con tanta suauidad abriua su boca y enseñaua a todos. C’est pourquoy deux choses me troubloient aux sermons d’Espagne, ceste vehemence extreme, presque turbulente, du predicateur et les soupirs continuelz des femmes, si grans et vehements qu’ilz perturboient toute l’attention. 1024  

Non sappiamo purtroppo da quale sermone stampato Barthélemy Joly abbia tratto la sua citazione. I critici della nuova moda di predicare erano numerosi. Fray Agustín Salucio e D. Francisco Terrones Aguilar del Caño (1551-1613), predicatore di Filippo II e di Filippo III, quindi Vescovo di Túy (1601-1608) e di León (1608-1613), erano sicuramente fra i piú severi e autorevoli. Nei suoi Avisos para los predicadores del Santo Evangelio, composti alla fine del XVI secolo ma stampati soltanto nel 1959, Fray Agustín Salucio raccomanda ripetutamente ai predicatori di non leggere i romanzi di cavalleria, di non frequentare i teatri, di parlare con semplicità e chiarezza, di evitare sottigliezze e oscurità, agudezas, emblemi e ‘geroglifici’, di non ostentare il proprio ingegno, di non far mostra di arroganza intellettuale, di non ‘recitare’ nel pulpito e di non esibirvi, per suscitare il pianto, teschi, ossa di defunti e croci :  

De todo linaje de libros de esos que llaman de caballerías se ha de huir como de pestilencia ; y de oír farsas, que es lo mismo. Porque la lengua castellana ha sido poco venturosa en estos dos géneros, en que, en otras, se halla algo de lo bueno, aunque de más bajos quilates que lo que en latín alcanzamos. Y ha sido la causa porque ningún español que haya tenido ingenio lo ha tenido en tan poco que lo haya empleado en semejantes frasquerías. Y así, los que se han aplicado a esas composturas de cosas fabulosas, en prosa o verso, han sido parleros y vanos idiotas sin ninguna noticia ni lección de buenos autores ni de buenas letras. Todo es mentir de ventaja, sin orden ni tiento, ni lenguaje, y sin estilo, sin saber guardar el decoro ni aún a el bajo argumento que tratan. Visto he algunos que suben en púlpitos, por no decir predicadores, aficionados a la lección inútil de libros tan excusados ; pero entendí, tratándolos, que de pura pobreza de ingenio lo hacían y de ignorancia de mejores autores. [...] Débense guardar los predicadores [...] de sutileza y agudezas espinosas. Y, cuando no pudieren excusarlas, deben allanarlas con ejemplos y comparaciones manuales y familiares, pi 



1023

  ELOQVENCIA Española en Arte. Por el Maestro Bartholome Ximenez Paton (1604), fo. 11r-v.   Barthélemy Joly : Voyage en Espagne, p. 554.

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diendo atención para tratarlos, pero sin fausto ni arrogancia y sin desprecio del auditorio y sin quitarles la esperanza de poder entenderlo, si atienden a ello. [...] Quien no puede decir lo oscuro claramente, no se meta en ello. Porque el oficio no le obliga sino a enseñar lo que puedan y deban entender todos. [...] Y aunque todas las arrogancias, como dijo Cicerón, son molestas, illaque ingenii aut eloquentiae est multo molestissima. [...] Cuán diferente es el trato de la iglesia del de la sacristía, tanto lo es el predicador del representante de la comedia y tan diferente la una representación de la otra ; aun cuando la del representante fuese la que debe, que no se ve en los que se usan, fuera a lo más de aquellos que representan personas que mueven a risa, que en esto algunos aciertan más en Castilla que en Italia. Pero esto muy fuera es de lo que el púlpito demanda, que es todo grave y cuerdo y fuera de burla. [...] Hay quien, de frecuentar la comedia, se le ha pegado el tonillo de los farsantes, que es muy desautorizado y, para el púlpito, desconvenientísimo, donde se habla de veras. [...] [...] [las palabras] no han de ser otras sino aquellas de que comúnmente en las pláticas y conversaciones usamos. [...] Y, en el caso [...] que de un sermón se toma la entrada para otro, cumple que se haga [...] sin nota de vanidad en hacer ostentación de ingenio o de memoria, sino con simplicidad y llaneza. Porque hay algunos que más parece que estudian en decir cosas que traben y correspondan a las dichas, que en lo que cumple al argumento que tienen entre manos. Y como esto tiene no poco resabio de vanidad, ofende mucho, y más por ser al principio, porque desde allí comienza el predicador a perder crédito en el auditorio y a serle pesado. Porque, como dijo Marco Tulio, y arriba dijimos ya, aunque cualquiera muestra de arrogancia es odiosa, aquella que es de ingenio o de elocuencia es la más molesta de todas. [...] Comenzó un predicador su sermón por no sé qué desenvoltura y emblema, diciendo que el amor tenía cuatro saetas con que hería : una de oro, y otra de plomo etc. Y prosiguió ese argumento como pudo, o como su ingenio bastó a aplicar a cosa tan peregrina del evangelio un disparate tan vano. Holgara yo de preguntarle si Jesucristo [...] comenzó alguno de sus sermones por tal exordio, si imaginó que San Pablo o San Pedro comenzaran a predicar por tal devaneo, o si San Ambrosio, San Basilio, San Crisóstomo o San Vicente [...] comenzaran su sermón por tal emblema o hieroglífico [...]. [...] Hállanse [predicadores] [...] que en los púlpitos, predicando, sacan cruces, calaveras de finados y huesos que se echan al cuello, no más que para mover al vulgo, que con tales invenciones suele provocarse a lágrimas dignas de risas y mal empleadas, pues no se emplean en lo que deben, ni por causas justas y legítimas. A quien no mueve a lágrimas la misma palabra divina y la historia verdadera, leída o escuchada, de ninguna importancia es que le mueva con vanas representaciones representada. En las comedias que llaman ‘a lo divino’, se representa la vida de San Francisco y la conversión de Santa María Egipciaca y lloran a voz en grito cuantas mujercillas y rameruelas allí se hallan ; y, de verlas y oírlas llora también la gente más cuerda, si, con todo, se puede llamar cuerdo quien tal disparate hace, como es oír cosas cuerdas a locos, y santas a profanos, y buenas a bellacos. Yo suplico que me diga, quien quisiere sin pasión juzgar de las cosas, qué tanto darán por todas las lágrimas que se derraman en cuantas comedias se representan, de cualquier argumento que sean. [...] [...] Y díganme, ¿cuándo San Pedro, en aquellas sus primeras y maravillosas predicaciones, en que tantos millares de hombres pescó, usó de estas invenciones para hacer llorar ? ¿Cuándo San Pablo mostró calaveras, ni sacó cruces, ni supo qué cosa era sino predicar a Cristo crucificado ? 1025  







   

1025   Fray Augustín Salucio : Avisos para los predicadores del Santo Evangelio. Estudio preliminar, edición y apéndices por Alvaro Huerga O. P. (= Espirituales Españoles. Serie A : Textos. Tomo II). Barcelona : Juan Flors 1959, pp. 144-145, pp. 159-160, p. 181, p. 195, pp. 196-197, p. 205, p. 206, pp. 211-212.  





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Nella sua Arte o Instrucción de predicadores, pubblicata nel 1617 ma ultimata già nel 1605 – la lettera al nipote Alonso del Caño, che accompagnava la “breve artecica, que a instancia suya compuso para saber predicar”, 1026 era datata “En Tuid, a nueve de Agosto de mil y seiscientos y cinco” 1027 –, D. Francisco Terrones Aguilar del Caño, il confessore e cappellano di Filippo II che alle esequie del Re tenne il sermone funebre, 1028 ci offre una preziosa testimonianza sulla diffusione della moda dei ‘geroglifici’ e degli emblemi nei sermoni e sulla influenza esercitata dal culteranesimo e dal teatro sulla oratoria sacra :  







[...] están ya los auditorios tan acicalados, que predicándoles cosas muy comunes, las desprecian. [...] Lo de los jeroglíficos ha cundido de manera que hay predicadores que los componen de su cabeza, fingidos al propósito de lo que quieren decir, y fingen la ninfa y el sátiro con una letra que decía etc. Un jeroglífico o dos, cuando más, en un sermón, si son de Alciato o Pierio Valeriano u otros autores simbólicos, pueden pasar. Pero en todo un sermón : “Pintaban los antiguos.” Sí, que no eran todos pintores, que otros oficios también harían los antiguos. Y esto, de “Una letra que decía...”, basta una vez en cincuenta sermones. Una fabulilla de cuando en cuando es una perla ; pero cuando se traigan estas cosas, particularmente si tocan en amores, hanse de deçir sin preámbulo ni encarecimiento, sino antes con desdén, y como quien las arroja y menosprecia. [...] Los predicadores, que tratan de predicar sus sueños, hinchan sus sermones de fábulas y pinturas, que el predicador de veras no ha de predicar sino grano de palabras de Dios, en cuya comparación, las fábulas y jeroglíficos son paja ; salvo, si, para que el auditorio coma el grano y no se acebade fuere menester mezclar un poco de esta paja. De lo dicho se colige que también se han de traer pocas veces versos de poetas en el sermón, si no fuere algún versico muy a propósito, porque el exceso en esto enfría el auditorio, y no ganan nada los cascos del predicador, especialmente si dixese alguna cosa de romance, que desto se ha de guardar, si no fuere tan grave que edifique [...]. [...] tampoco se han de traer demasiadas comparaciones, que es de predicadores mozos, y la flor y hervor de la juventud se las ofrece. Bastarán siete u ocho comparaciones en un sermón, si son buenas y vivas ; que, si son frías, mejor es dexarlas. [...] Cerremos este capítulo con vedar en todas maneras al predicador el decir gracias y donaires en el púlpito, que hagan reír al auditorio. [...] De lo dicho queda condenada para el púlpito la elocuencia poética y de los tablados : “La hierba verde y aljoforada, matizada con la roja sangre que la cruda mano, que la sobrehumana ninfa derramó”, etc. Esto mejor es para farsa que para sermón. El sustancial lenguaje del púlpito es el que dijo ... Quintiliano : propria verba. 1029 Y en otra parte dice que han de ser ex sellectissimis vocabulis vulgi. De manera que el lenguaje no ha de ser curioso, poético, profano, afectado, muy compuesto y numeroso, sino, de los vocablos del vulgo, los mejores y más propios ; pero, al fin, del vulgo, pues los ha de entender el vulgo.  















1026   « Fray Juan Terrones de la Orden de nuestro Padre San Francisco, predicador apostólico y consultor del Santo Oficio de la Inquisicion, Al discreto Lector ». In : Don Francisco Terrones del Caño : Instrucción de predicadores. Prólogo y notas del P. Félix G. Olmedo S. I. (= Clásicos Castellanos, 126). Madrid : Espasa-Calpe 1946, pp. 5-7 ; qui p. 6. 1027   « Don Francisco Terrones del Caño, Obispo y Señor de Tuid, de el Consejo de el Rey Nuestro Señor, Al Doctor Alonso del Caño collegial de el Collegio Mayor del Arçobispo y Catedrático en la Universidad de Salamanca, su sobrino ». In : Don Francisco Terrones del Caño : Instrucción de predicadores, pp. 8-12 ; qui p. 12. D. Alonso del Caño aveva scritto allo zio, il 15 febbraio 1605, pregandolo “que le diese alguna forma de estudiar la Sagrada Escritura y predicar, porque se quería dedicar a este ministerio” (P. Félix G. Olmedo, S. I. : « Prólogo » a : Don Francisco Terrones del Caño : Instrucción de predicadores, p. LIII). 1028   Cfr. El Pasatiempos de Jehan Lhermite. Memorias de un Gentilhombre Flamenco en la corte de Felipe II y Felipe III, p. 443. 1029   Marco Fabio Quintiliano : L’Istituzione Oratoria. A cura di Rino Faranda e Piero Pecchiura. Volume secondo. Torino : U.T.E.T. 1996, p. 140 (VIII, 2, [22]).  



































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[...] no se han de decir muchos sinónimos ; basta un vocablo o dos para una cosa [...]. [...] mucho menos se han de decir en el púlpito vocablos apicarados [...]. [...] no se ha de tomar libertad en el púlpito para forjar vocablos nuevos, ni usar de los muy recientes [...]. [...] El lenguaje y estilo de decir sea claro [...] [e non] “oscuro y extraordinario y remontado”. [...] Ha de estar el cuerpo del predicador derecho, y no echado de pechos sobre el púlpito ; vuelto el rostro al medio del auditorio [...]. [...] Las acciones no han de ser vehementes ni descompuestas, hundiéndose en el púlpito, braceando apriesa, etc. [...]. No se hagan gesticulaciones menudas, como si decimos que uno se rascaba, no se ha de rascar el predicador, para darlo a entender. Si decimos que llegó a Cristo un cojo a pedir salud cojeando, no ha de hacer el predicador meneos de cojo. Si se trae una comparación de los que se acuchillan, no se han de dar tajos ni reveses, ni abroquelarse en el púlpito. [...] De manera que no se han de hacer acciones de representantes, sino representar grave y modestamente. 1030  





Una dura critica contro le moderne tendenze dell’oratoria sacra si trova nel San Antonio de Padva (1604 ; le Aprobaciones sono, come abbiamo già ricordato, della fine del 1603) di Mateo Alemán :  



[...] no todos los que dizen de Dios predican lo que dize Dios [...]. Ni permita su Divina Magestad, que haga el Predicador [...] sermon de palabras, porque son al fin palabras, tan ligeras, que no hazen assiento, y quedan reboleadas en los aires. Ni sea el fin de la predicacion hazer alarde publico de su retorica, de su elegancia, de su facilidad, ni de que diga el oyente, que predicó buen lenguaje, que mejor es Catolica dotrina. No, que dixo buenos conceptos, que predicó magistralmente, que no tiene tal pieça el mundo, de tanta gracia en el dezir, artificio en reprehender, y compostura en bracear. Ni sea de aquellos que se subian en los pulpitos, no a evangelizar, sino a torear, a tirarse garrochitas desde lo alto, a declamar unos de otros, a pregonar y dezirse cantaletas, echarse pullas, descubrirse flaquezas, vengar sus injurias, declarar sus passiones, y tratar de pundonores : porque a los tales no los yvan a oir predicar, sino satirizar. 1031  



Preziosissime testimonianze su alcune prediche tenute a Valladolid negli anni 1603-1605 – proprio gli anni della Pícara Justina – e sul modo di sermonare dei predicatori castigliani, le dobbiamo a Thomé Pinheiro da Veiga. Parlando dei sermoni tenuti nella Settimana Santa dell’anno 1605, il Cavaliere di Cristo, oltre a offrirci una serie di notizie interessanti e curiose, osserva che i predicatori castigliani sono molto screditati e “predicano come commedianti” (osservazione, questa, della massima importanza per noi) :  

As pregações de toda esta Semana são infinitas, com diversos titulos : Descendimento da Cruz, Soledad de la Virgen, Entierro, el buen Ladron, lagrimas de las Marias, y de la Magdalena, e outras muitas. Na Segunda feira se faz uma procissão na Igreja da Magdalena, ás mulheres publicas, que se pudera fazer a toda a Corte ; onde a justiça levou onze ; quando acudimos, ás oito horas, não houve entrar, nem se converteu alguma, antes estão fazendo caretas, e descomposturas, que servem de escandalo, mais que de proveito. Quando alguma se converte, as Senhoras que estão presentes a recolhem para a casarem, ou lhe dar vida, ainda que nós dizemos que as levam para mestras de ceremonias. Succedem nestas ocasiões farças solemnes, e me contaram que estes annos atraz, prégando um Franciscano velho, tirou uma Cruz, e uma caveira, e, vendo que uma pobre moça se enternecia, e um rufião estava torcendo os bigodes, e ameaçando-a, começou a gritar : « Puto ladron, quitate delante, dexadme dar con el infame en el Infierno, qui ponit obicem Spiritui Sancto ». E toma a caveira, e atira-lhe com ella, e com a Cruz á cabeça ; e com esta graça acabou o sermão. Outro, vendo uma velha que puxava pelo manto a outra, tomou tanta raiva  













1030

  Don Francisco Terrones del Caño : Instrucción de predicadores, p. 58, pp. 86-88, pp. 130-134, pp. 152-153.   Mateo Aleman : San Antonio de Padva. Sevilla 1604, fo. 110v-111v.

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que, tirando o capello, lhe atirou com elle, gritando : « Puta vieja rayda, quitate delante, sinò juro a Dios, cara de mona, que te tire el pelejo » ; e poz tanta força que cahiu o pulpito, e pegou-lhe das grenhas que ainda está a puxar por ellas. E não ha que estranhar, porque, na verdade, são muy desauthorisados no pulpito e pregam como comediantes ; e, ponderando bem o modo de prégar, os discursos dos Sermões, ordem e divisao delles, as materias que elegem, mais apostilam os Evangelhos do que prégam sermão em forma e por discursos, no modo que hoje se tem posto. E sem falta os bons prégadores portuguezes levam tão conhecida vantagem aos grandes prégadores castelhanos que não admittem comparação, principalmente na gravidade, modestia, composição das acções, e muito mais na pronunciação ; porque são charlatães muito soltos nas palavras, e muito mais nas razões. E o mesmo são nas Missas e administração dos Sacramentos ; e, assim, me lembra que, indo ouvir missa á Sé na 4.a feira da Cinza este anno, estando a Igreja cheia de gente, sahiu um conego a dizer missa no altar da mão direita do Cruzeiro, e, tardandolhe com a estante, lançou mão do chapeo de um pagem, e, encostando-lhe o missal, a foi dizendo até ao cabo, servindo-lhe o chapeo de estante. E, aos nove de Julho, vi dizer missa no Carmo um clerigo manco, com barba e bigodes como um carreteiro, que não disse a metade d’ella, e, quando levantava a hostia, era ás avessas, ou atravessada a imagem d’ella, sem reparar n’isso. Disse a missa em um instante ; mas, quando chegou ás Orações do cabo, como não tinha registado o livro, deteve-se muito em as buscar, e, vendo-o um fidalgo castelhano que ahi estava, travesso, se chegou a mim dizendo : « Juro a Dios que es lástima que echò a perder la mejor missa que hè oído en dias de mi vida, segun era abreviada ». 1032  























Dopo la nascita del principe Filippo, avvenuta l’8 aprile, il frate francescano Sebastián de Bricianos [o : Brecianos] 1033 tenne per il fausto evento, nella Cappella Reale e alla presenza di Filippo III, un sermone di ringraziamento, il cui inizio Thomé Pinheiro da Veiga riferisce a memoria :  





A 1.ª Oitava houve pregação na Capella, a que me achei, por ser muy afamado o Padre Brivanos [Bricianos], antigo pregador de El-Rey ; e, por me parecer tão bem o acomettimento do principio, como todo o mais discurso pezado e enfadonho, o refirirei sómente, segundo minha fraca memoria : « Holgara hallarme presente com aquellos primeros Grandes, y Cortesanos que fueron besar a V. Magestad la mano, e darle la en-ora-buena, y las prosages y buenas Pascoas, por que de ellos pudiera deprender el termino, el modo, y las palabras con que aora las diera a V. Magestad, por que Sermon de Pascua de Flores en occasion de Principe nuevo, tan deseado en España, màs parece que pide capa, y gorra de Cortesano que manto y capilla de frayle. Yo estos terminos de Palacio nos [no] los truxe de mi cosecha, ni me he creado con ellos, ni tuve tiempo de preguntarlos ; y, cuando me los enseñaran como a papagayo, los representara como Mono. Por donde me determino huir para mi breviario, y ver lo que del puedo deprender para salir desto trabajo : y hallo en S. Lucas que, cuando a Zacharias le nació su hijo San Juan, se juntaran los vezinos y amigos : Et congratulabantur ei ; que se alegravan y davam [davan] la enorabuena, mas no declara en que manera. De suerte que ya tenemos que las enorabuenas son debidas en ocasion de Mayorazgos. Sepamos aora quales han de ser. En la historia de Ruth, leemos que, aviendo ella parido a Obed, aguelo de David, se juntaron las vesinas a visitar la buena suegra Nohemi, y las enorabuenas que le dieron fueron estas : Benedictus Dominus qui non est passus ut deficeret successor familiae tuae, et habeas qui consoletur animam tuam et nutrit senectutem tuam. Muchas gracias a Dios, que no permittiò que faltasse sucessor varon en Vuestra familia, compañero en Vuestra juventud, y bordon en Vuestra larga vejez. Estas son las bendiciones, que por parte de la Iglesia, y todos  















1032

  Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, pp. 24-25.   Il nome del francescano, futuro Vescovo di Orense, è Sebastian [de] Bricianos secondo Narciso Alonso Cortés (Tomé Pinheiro da Veiga : Fastiginia. Vida cotidiana en la Corte de Valladolid. Traducción y notas de N. A. C., p. 55, nota nro. 13) e Luis Cabrera de Córdoba (Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 364 e p. 443) ; Sebastián Brecianos secondo La Monarquía de Felipe III : La Casa del Rey (vol. II, p. 109).  

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los fieles echamos a V. Magestad, a la Reyna N. Señora ; en nombre de las Señoras Princesas sus hermanas, diremos con las de Rebeca : Soror nostra es, crescas in mile milia, et possideat semen tuum portas inimicorum suorum. Nuestra hermana eres, y la menor en edad, hoy mayor en grandesa, crezcas a millares, y prevalezcan tus hijos de suerte que rompan y possean las murallas de sus inimigos. Y a Vos Grandes, y Señores dirè con el Angel : Annuntio vobis gaudium magnum. Dadme albricias de tan regozijada nueva, Princepe nuevo en España, que con sus virtudes juntas à las de sus Padres, sea ocasion con que podamos dezir : Gloria in excelsis Deo, et in terra pax hominibus ; que por su medio se acrecientem los loores y gracias a Dios en el Cielo, con nos procurar eterna paz en el suelo. Esto, en quanto al Principe nacido en el suelo : quanto al ressucitado para nuestro bien en el Cielo, para subir tan alto, es menester gracia etc. » O corpo do sermão me pareceu de palha ; por isso, o deixo [...]. 1034  

















Il 4 giugno del 1605 fu commemorata la Duchessa di Lerma, morta il 2 giugno 1603, nella Chiesa del Convento domenicano di San Pablo di Valladolid. Il sermone lo tenne – alla presenza del vedovo, il munifico patrono del Convento (il Duca di Lerma e sua moglie avevano dotato il Monasterio de San Pablo di una rendita annuale di 4.000 ducati) – il già ricordato padre domenicano Thiedra ( Jerónimo de Tiedra, “lector de teología del Colegio de San Gregorio de Valladolid”, futuro Vescovo di Charcas) 1035. Thomé Pinheiro da Veiga, che assistette con ironico spirito critico e molto fastidio al sermone, appunta nella sua cronaca :  



[...] plegou o Padre Thiedra, prégador del-Rey, tão mal e friamente que fês verdadeiro o aphorismo dos rethoricos, que o genero panegirico ou laudativo he o mais perigozo e dificultozo : porque pôs elle ao Duque sobre as Virgens e a Duqueza pouco abaxo dos Duques, e quis dizer tanto que não disse nada. Fês de Valhadolid paraiso terreal : del-Rey Deus Padre, que com a sua providencia o governa e fertiliza : do Pisuerga, Ganges ; do Esgueva, cheyo de immundicies, Euphrates ; dos Lôdos boninas, do pó polvilhos ; engrandeceo a honestidade e recolhimento das Mulheres, as grades e rexas das janellas : e fês o Duque, que o guarda com duas espadas, ou huma de dous gumes, do zello e prudencia, com que deffende, mas escuzo-o em quanto como bom e insigne chronista ; de baixo da figura do que disse que era, quis debuxar o que devia a Corte de ser ; e assim se salva da mentira, em que como em fabula quis pintar o estado a que se devia reduzir a corte : assim como vemos que é fabula a Ciropedia de Xenophonte, mas nella nos pinta hum perfeito Rey : Fabulas as de Homero, mas nellas nos retrata hum capitão animoso e hum varão prudente ; fabula o « Asno de ouro » de Apuleyo, mas nella nos mostra o estado a que os apetites trazem o homem : fabulas as de Izopete, mas nellas vemos os varios effeytos humanos : fabula a taboa de Cebetis, mas nella se retrata todo o discurso da vida mortal : fabulas as « verdadeiras historias » de Luciano, mas nellas nos mostra os enganos que ha nas mais de superstiçoens gentilicas : fabula a « Utopia » de Thomás Moro, mas nella ordena o governo politico de huma republica : fabula a do Cavalheiro determinado de Monsieur de la Mar[ch]e, mas nella vemos o processo de nossas vidas e edades ; fabula, finalmente, o Marco Aurelio do Embaixador das Gralhas, Estorninhos, Papagayos e Canarios : o falador mor D. Antonio de Guevara, mas nella, querendo-nos pintar hum Imperador justo e prudente, nos pinta hum Imperador chocarreiro e hum Philozopho rufião e chalrretão : e pouco menos aconteceo ao nosso Prégador, que me deixou moido. 1036  





















































Non vi erano però solo predicatori adulatori e ciarlatani, ma anche “prégadores da verdade”, 1037 come il già ricordato Fray Francisco de Castroverde, predicatore di Corte che,  

1034

  Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, pp. 34-35.   La Monarquía de Felipe III : La Casa del Rey, vol. II, p. 642. Luis Cabrera de Córdoba (Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 267) annota il 24 dicembre 1605 : “han enviado al padre maestro Tiedra, predicador de S. M., por Prior de San Esteban de Salamanca”. 1036   Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, pp. 102-103. 1037   Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, p, 230. 1035











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per aver predicato contro la corruzione dilagante nella concessione di uffici e benefici e contro lo strapotere del favorito e la colpevole inerzia del Re, fu esiliato da Valladolid, con altri predicatori che avevano tenuto sermoni simili, nel dicembre del 1605. 1038 Thomé Pinheiro da Veiga riferisce alcuni dei passi delle prediche del frate agostiniano che provocarono l’irritazione di Filippo III e del Duca di Lerma :  



Castro Verde he frade agostinho e o mais antigo prégador que El-Rey tem, velho, santo e livre, que dis, com Solon a Pizistrato : a velhice me faz ouzado. Este, prégando sobre aquelle passo do Apocalipse que dis que vio S. João anjos que andavam medindo, disse que todos nós eramos medidores e, virando-se para El-Rey, continuou : e esta obrigação he principalmente dos Anjos, dos Princepes e dos Reys, medir os merecimentos para os premios, as culpas para a pena e medirse a si mesmos e o seu passo, a sua vida conforme a lei de Deus, e os seus gostos conforme a possibilidade do seu povo ; medir suas jornadas conforme suas rendas e suas festas pelo prejuiso dos seus vassalos. Explicando, em quarta feira de Cinza, aquellas palavras : haec omnia tibi dabo, disse estas : darte-hei todos os reinos da terra, promessa e obra do Diabo dar tudo a hum : outra vês disse : « acustunbran en el mundo dar las enhoras buenas en las mercedes que reciben : dizenme que me voy al infierno, sino os digo, señor, la verdad, y ès que hay mercedes de que se han de dar las enhoramalas, que cojan el leche a las ovejas en horabuena, mas tocarse la sangre en horamala : que dexen levar las aguas sobradas a un por gusto, es horabuena, mas que esten los canales llenos y el estanque vazio, es en horamala. Donde han de beber los pobres, si se detiene el agua en los canales, sin llegar al estanque ? » ; e, ainda que alguns o entenderam dos dous privados [Lerma, Franqueza], não havia muyta razão, porque elles guardam huma modestia, que he não tomar terras del-Rey, como fazem outros privados, senão somente rendas, que são de menos prejuiso : e El-Rey tãobem snr. do seu para o poder dar ao seu criado, como eu ao meu. E, assim, he o Duque tão prudente que o foy vizitar aquella tarde e o honra e respeita, donde se vê que os que se castigaram devia ser por atrevidos e ignorantes e não por prégarem a verdade, como huns quatro religiosos de diversas Ordens que prégaram em hum mesmo dia hum mesmo conceito, por onde foram desterrados. 1039  



















   







1038   Don Francisco Terrones del Caño loda molto, nella lettera sopra ricordata al nipote Alonso del Caño, Fray Francisco de Castroverde : “El Padre Maestro Castroverde ... el predicador de mayor caudal que yo he oído” (p. 11). Il Vescovo di Túy raccomandava però ai predicatori molta prudenza : “Para donde es menester más prudencia son los auditorios de los reyes, porque verdaderamente no han de ser reprehendidos en público ellos ni los prelados, de manera que el pueblo eche de ver sus faltas, porque ellos se irritan, y no quedan aprovechados ; y el pueblo les pierde el respeto [...]. Todo lo que he dicho de predicar a reyes se entiende aún con mayor rigor de predicar a privados de reyes, porque son más delicados y sensibles que los mismos reyes” (Instrucción de predicadores, pp.94-97). Fray Francisco de Castroverde fu qualche anno dopo reintegrato nella sua funzione. Il 14 febbraio 1609, Luis Cabrera de Córdoba annota : “Al padre maestro fray Castroverde, predicador de S. M., que en Valladolid lo desterraron con tanta demostracion, han dado licencia para volver á la Córte, donde ha venido ya de ocho dias á esta parte, y predicará como de antes, en la Capilla Real” (Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614, p. 362). Fray Francisco de Castroverde, che era nato a Siviglia nel 1536 “de noble linage”, morirà a Madrid nel maggio del 1610 (cfr. La Monarquía de Felipe III : La Casa del Rey, vol. II, pp. 161-162). 1039   Thomé Pinheiro da Veiga : Fastigimia, pp. 230-231. Già anni prima, quando negli ultimi giorni del 1599 era stato messo in circolazione a Madrid, negli ambienti della Corte, un libello diffamatorio e denigratorio su Filippo II e il suo governo, il coraggioso frate non aveva esitato a riprendere severamente il Re. Il libello circolò sicuramente con il consenso del Duca di Lerma (e forse anche dello stesso Filippo III) e molto probabilmente era stato addirittura scritto – da Íñigo Ibáñez de Santa Cruz, segretario personale del favorito – su suo suggerimento diretto. Il I° gennaio del 1600 Luis Cabrera de Córdoba annota nella sua cronaca : “De algunos dias á esta parte anda en esta Córte un papel intitulado : El Confuso é ignorante gobierno del Rey pasado, con aprobacion del que agora hay, y en él se habla muy mal y con grande libertad del Rey difunto y de sus ministros ; el cual se ha tomado muy mal por todos los que lo han leido, y aun se entiende que han ido á Italia y Francia y otras partes diferentes traslados de él, y conforme á esto se ha mormurado de no se hacer proceder á la averiguacion y castigo contra quien le hubiese hecho. Los predicadores han comenzado á reprenderlo en los púlpitos, y el último domingo del adviento fray Castroverde, en la capilla Real, cargó la mano á S. M. sobre ello. Y dentro de  

















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La “molesta afectación de lenguaje”, che Cristóbal Suárez de Figueroa tanto biasimava nei sermoni 1040 e che era divenuta di moda grazie al grande successo delle prediche di Fray Hortensio Paravicino, era – come rivelano le testimonianze qui sopra addotte – già diffusa ben prima dell’inizio dei trionfi oratorii del celebre frate trinitario. Sarebbe quindi, come abbiamo già osservato, assolutamente necessario reperire ed analizzare alcuni sermoni degli anni 1598-1605 caratterizzati dall’uso e dall’abuso di artifici retorici, concetti, similitudini, ‘geroglifici’ e ‘favole’. Se tale difficile ricerca avesse successo – sono certamente rari i sermoni di tale tipologia manoscritti (come le opere di altri generi letterari, anche i sermoni circolavano in copie manoscritte ! 1041), ma forse ancor piú rari quelli stampati 1042 –, si potrebbe verificare la fondatezza della tesi formulata da Luc Torres sulla Pícara Justina come parodia dei sermoni, di stile culto e fiorito, dei “prédicateurs fantaisistes” (certamente il romanzo non fa la parodia della oratoria sacra e dei predicatori in generale). È però opportuno domandarsi, prima di considerare utile una ricerca cosí difficoltosa e di esito tanto incerto, se questa tesi è verosimile. Nella Pícara Justina i riferimenti ai predicatori, ai sermoni e alla predicazione sono numerosi. Justina stessa gioca ad affermare e a negare, alternativamente, la sua inclinazione a ‘predicare’. Ora si paragona con compiacimento a un buon predicatore (“Luego, como buen predicadero, di vna buelta al auditorio, con los ojos” 1043), ora prega il lettore di ascoltare un suo sermone (“Hermano letor ruegote que sino te duele la muela del seso, escuches vn poco de sermon cananeo” 1044), ora riprende il lettore che le “tira navoni” non appena si appresta a fare i primi passettini di predicatrice per provare che la donna è “inuentora de estratagemas y fictiones” (glossa marginale) :  

   









dos dias despues, prendió un alcalde de Córte á Iñigo Ibañez, secretario del Rey y del duque de Lerma, porque se averiguó que lo habia hecho él ; al cual llevó á la cárcel de Córte y puso en la cámara del tormento, donde está, y juntamente han preso á otros diez ó doce, por haber escrito y dado traslado del dicho papel, con lo cual parece que el pueblo se ha sosegado, esperando se ha de hacer ejemplar castigo. Tenian creido que S. M. y el duque de Lerma lo sabian y disimulaban, lo que á todos parescia mal, principalmente que se decia que estando en Valencia S. M., lo leyeron muchos allá, y que segun ha andado público, no era posible haber dejado de llegar á sus oidos ; pero agora afirman entrambos que hasta que se predicó en la capilla Real, no lo habian entendido ; esto constará del castigo que se hiciere, que si es conforme á lo que merece tan grande atrevimiento, será muy ejemplar.” (Relaciones, pp. 55-56.) Il castigo inflitto a Íñigo Ibáñez de Santa Cruz sarà, in realtà, tutt’altro che severo ed esemplare ! Su questo episodio e i suoi antecedenti, cfr. Antonio Feros : El Duque de Lerma, pp. 127-134. 1040   Cristóbal Suárez de Figueroa : El Pasajero. Presentación José Manuel Blecua Teijeiro. Introducción, edición, notas e índices de Mª Isabel López Bascuñana. Vol I, p. 286. 1041   Cfr. Dámaso Alonso : Predicadores ensonetados. La Oratoria Sagrada, hecho social apasionante en el siglo XVII (1943). In : D. A. : Obras completas. III. Estudios y ensayos sobre literatura. Madrid : Gredos 1974, pp. 973-982 ; qui p. 974. Dámaso Alonso ricorda qui che Góngora aveva chiesto a Fray Hortensio Paravicino una copia di un suo sermone, copia che il poeta avrebbe poi fatto avere a Don Francisco de Corral. Cfr. Luis de Góngora : Epistolario completo. Edición de Antonio Carreira, pp. 68-69. 1042   I predicatori, come scrittori di libri di materia religiosa, dovevano sottomettere i loro sermoni e i loro sermonari alla censura e alla approvazione delle autorità del loro Ordine e della Chiesa per potere ottenere le necessarie licenze di pubblicazione (cfr. Félix Herrero Salgado : La oratoria sagrada en los siglos XVI y XVII. II. Predicadores dominicos y franciscanos, p. 282). Si può quindi facilmente supporre che a sermoni e sermonari intessuti di ‘geroglifici’, di ‘favole’, di sproporzionate similitudini e di artifici culterani, tali licenze non sarebbero state concesse volentieri da propugnatori della semplicità stilistica e della chiarezza di espressione quali D. Francisco Terrones del Caño, D. Jérónimo Batista de Lanuza, Fray Luis de Granada, Fray Agustín Salucio, Fray Alonso Girón, Fray Alonso de Cabrera, Fray Diego Murillo, Fray Diego de la Vega e tanti, tanti altri. 1043   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO SEGVNDO INTITVLADO LA PICARA Romera. En que se trata la jornada de Arenillas. CAPITVLO PRIMERO, de la Romera Baylona. Numero primero. De la castañeta repentina », p. 118. 1044   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO DE la Picara Romera. Capitulo. IIII. De la romera de Leon. Numero tercero de la romera enuergonzante », p. 98.  

































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LA primera que oyò fictiones en el mundo fue la muger. La primera que chimerizo, y fingio auer remedio cierto para muerte cierta, fue ella. La primera que buscò aparentes remedios, para persuadirse que en vn daño claro auia remedio infalible, fue muger. La primera, que con dulzes palabras hizo a vn hombre de padre amoroso, padrastro tyrano, y de madre de viuos, abuela de todos los muertos, fue vna muger. En fin la primera que falseò el bien y la naturaleza, fue muger : diras hermano lector. Pues Iustina adonde apuntan los registros de esse breuiario ? Anda dexame letorcillo, que en haziendo vn pinico de predicadora luego me tiras nabos : sabes a que voy, a que nadie se espante, si nos viere a las mugeres fingidoras, dissimuladas, recetistas, vizmadoras, saludadoras, y todo sobre falso, que todo es heredado ? y mas que yo me callo [...]. 1045  









Nello stesso tempo Justina ironizza sulla sua inclinazione a salire sul pulpito. Sorprendendosi a ‘predicare’ sulle finzioni e dissimulazioni delle donne, esclama : “Mas que boba ? aora me subo yo a quebrar pulpitos ?” 1046 Con riferimento ironico all’arcipicaro (Guzmán de Alfarache), afferma poi : “no predico, ni tal huso (como sabes)”. 1047 Dichiara, infine, con decisione di non voler predicare : “no quiero predicar, porque no me digan que me bueluo picara a lo Diuino”. 1048 Justina – come documentano i passi trascritti in una digressione del secondo capitolo (« Justina e la religione ») – si burla dei predicatori sofisti che fanno sottili distinzioni fra finzione e menzogna (fingir sin mentir), 1049 dei predicatori che impiegano eufemismi per significare che una ragazza ha perduto la verginità 1050 e dei predicatori ignoranti che usano maldestramente cartapacios de alquiler, cioè sermoni altrui, 1051 e critica severamente la diffusa pratica di stampare sermoni in lingua volgare (“fue la causa del tripularme, y del engaño esta negra habla Española que despues que ay sermones impressos en romance, da de si mas que vnto de anguila” 1052).  



























1045   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605. « TERCERA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO De la Picara Romera. Capitulo 2. de la vizma de Sancha Gomez. Numero. 2. De la vizna [vizma] pegajosa », p. 146. 1046   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO DE la Picara Romera. Capitulo quarto [segvndo !] del fullero burlado. Numero segundo : de la vergonçosa engañadora », p. 39. 1047   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO DE la Picara Romera. Capitulo. IIII. De la romera de Leon. Numero tercero de la romera enuergonzante », p. 99. 1048   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « TERCERA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO De la Picara Romera. Capitulo 4. de la partida de Leon. Numero primero de la despedida de Sancha », p. 166. 1049   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO DE la Picara Romera. Capitulo quarto [segvndo !] del fullero burlado. Numero segundo : de la vergonçosa engañadora », p. 39. 1050   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO DE la Picara Romera. Capitulo. IIII. De la romera de Leon. Num. 4. del pleyto de la Romera con Iustina », p. 192 [102 !]. 1051   Justina si burla – in una pagina già trascritta – di un predicatore che “predicaua coplas desleydas”, ma poi finge di scusarlo dicendo che il sermone “quiza lo hallô aquel bendito, escrito en algun cartapacio de alquiler, y se le dieron con condicion que lo dixesse todo como en ello se contenia, y emborrólo” (Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO PRIMERO, INTITVLADO LA PICARA Montañesa. CAPITVLO SEGVNDO [TERCERO !] DE LA vida de el meson. NVMERO TERCERO DE LA muerte de los Mesoneros », pp. 108-109). 1052   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO DE la Picara Romera. Capitulo. IIII. De la romera de Leon. Num. 4. del pleyto de la Romera con Iustina », p. 192 [102 !]. Emilio Orozco Díaz osserva : “Era natural, dada la importancia concedida al sermón como pieza rica en toda clase de artificios y recursos de seducción sensorial, que se elaborasen y se escribiesen cuidadosamente, como si se tratara de un poema. Y si en un primer momento los aficionados buscaban las copias manuscritas de los buenos sermones, muy pronto comenzaron a imprimirse en abundancia con la  















































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Può essere annoverato Fray Andrés Pérez, l’unico predicatore messo in relazione con la Pícara Justina, fra i fautori delle nuove tendenze dell’oratoria sacra all’interno di quell’Ordine domenicano che vantava – nella teoria e nella pratica – classici ‘conservatori’ dell’importanza di Fray Luis de Granada, Fray Agustín Salucio, Fray Alonso de Cabrera, Fray Jérónimo Batista de Lanuza ? 1053 Nel Libro de entretenimiento vi sono tracce ed echi della polemica sul giusto modo di predicare condotta, nei primissimi anni del XVII secolo, dai ‘conservatori’ contro gli ‘innovatori’ ? Nella Historia de la vida y milagros del glorioso sant Raymundo de Peñafort si trova una pagina nella quale Fray Andrés Pérez, dopo aver ricordato che “deleytaua muchissimo” la “dulcissima y sabrosa conuersacion” di San Raimondo, scrive :  







Y verdaderamente, bien puede ser, que muchissimos predicadores sean, y ayan sido verdaderos pescadores de las almas ; pero muchos, por lleuar el anzuelo muy descubierto (digo las palabras muy asperas, y rigidas al descubierto) pescan poco. Que no basta anzuelo de fortaleza, plomo de grauedad, sedal de rhetoricas, y vara de poder. Es necessario (que de mas y allende de todo esto) vaya el anzuelo cubierto, con alguna pastura, de buena conuersacion, y de apazible trato. Que lo de mas, todo es espantar la pesca : y tanto me daria echar cantos en el rio, que pescar de aquesse modo. 1054  





Il frate domenicano, che in altre pagine della sua agiografia critica gli storici che espongono “a secas las historias” 1055 e corregge se stesso quando la sua esposizione gli pare divenuta arida (“Y porque no sea todo, yr a secas refiriendo cartas, sera bueno, sepa el lector...” 1056), si mostra qui, chiaramente, avversario del modo di predicare severo, grave, aspro e autoritario, perché lo ritiene poco fruttuoso. I predicatori devono, secondo Fray Andrés Pérez, coprire l’insegnamento religioso e morale, se lo vogliono efficace, con gli allettamenti della buena conuersacion e dell’apazible trato. Il frate domenicano usa, sorprendentemente, due termini specifici non della precettistica retorica, ma della letteratura del comportamento. Le espressioni italiane, ricorrenti nel Cortegiano di Bal 



forma de pliegos sueltos, contribuyendo a la general difusión de todo tipo de sermones y a incrementar los apasionados comentarios de las gentes. [...] Lo que ... ocurría con frecuencia es que el plagio y repetición se favorecía con la publicación , ya que, a distancia y sin poderse comprobar, sólo el que conociera el original podía descubrir el latrocinio. El interés que como espectáculo religioso adquirió la oratoria hizo que se prodigaran esas ediciones y que se leyeran con verdadera pasión ; y naturalmente que la gente aficionada se diera cuenta de esos plagios” (Sobre la teatralización del templo y la función religiosa en el Barroco : El predicador y el comediante, pp. 180-181). Giuseppina Ledda, dopo aver affermato – sulla base di una analisi statistica degli indici della Biblioteca Hispana (1672) di Nicolás Antonio – che l’oratoria sacra “costituiva, forse, la piú cospicua parte di quel che veniva venduto e destinato alla lettura”, scrive : “notizie interessanti sono riservate a chi affronti con salutare pazienza la lettura di quella zona dei sermonari preliminare ai testi, che a volte occupa poche facciate, a volte si estende per decine e decine di pagine, ed in cui si succedono aprobaciones, licencias, prólogos. Vi si apprende di lucrose operazioni di pirateria editoriale, di edizioni non autorizzate e clandestine prima dello scadere dei 10 anni (è questo il caso in cui incorsero varie opere del Padre Diego Murillo), di furti ed appropriazioni di manoscritti (ne testimonia il fratello di Francisco Terrones del Caño), del vertiginoso riproporsi di edizioni costosissime e voluminose, richieste dal pubblico e dietro committenza di nobili e di alti prelati” (Forme e modi di teatralità nell’oratoria sacra del Seicento, pp. 87-88). 1053   Su questi importanti predicatori e la teoria domenicana della predicazione, cfr. Félix Herrero Salgado : La oratoria sagrada en los siglos XVI y XVII. II. Predicadores dominicos y franciscanos, pp. 77-124, pp. 125-301, pp. 312-321. 1054   Andrés Pérez : Historia de la vida y milagros del glorioso sant Raymundo de Peñafort, frayle de la orden de Predicadores, pp. 219 [218 !]-214 [219 !]. 1055   Andrés Pérez : Historia de la vida y milagros del glorioso sant Raymundo de Peñafort, frayle de la orden de Predicadores, p. 324. 1056   Andrés Pérez : Historia de la vida y milagros del glorioso sant Raymundo de Peñafort, frayle de la orden de Predicadores, p. 394.  

















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desar Castiglione, “gentil ed amabil manera”, “conversare cotidiano”, “intrinseca pratica” (cioè, intima e stretta relazione), “consorzio umano”, “commerzio”, 1057 Juan Boscán le traduce con “gentil y gracioso trato”, “ conversación familiar”, “estrecha conversación”, “conversación humana”, “trato” ; 1058 traduce la parola “piacevolezza” con “buena conversación y burlas”. 1059 Proprio all’inizio del Galateo di Giovanni della Casa ricorrono le espressioni “comune conversazione”, “essere costumato e piacevole e di bella maniera”, “modi”, 1060 che Lucas Gracián Dantisco traduce con “común conversación”, “seas bien acostumbrado y tengas trato y conversación apazible y agradable”, “conversación y trato”. 1061 Stefano Guazzo scriveva nella Civil conversazione che “la benivolenza ... è il vero legame della conversazione”. 1062 Fray Andrés Pérez raccomanda quindi ai predicatori di usare lo stile del discorso colloquiale e familiare, i modi e le maniere dolci e gradevoli del comportamento e della comunicazione sociale. 1063 Il domenicano non specifica concretamente quali dovessero essere gli allettamenti, ma questi erano illustrati nei manuali di comportamento e di ‘conversazione’ or ora ricordati ed erano : aneddoti, facezie (Boscán : gracias, burlas, donaires), arguzie (donaires, agudezas), motti e detti acuti (gracias, chistes, dichos agudos), burle (recaudos falsos, burlas). 1064 Non pare, invece, che Fray Andrés Pérez volesse raccomandare, per attrarre l’attenzione dell’auditorio e incuriosirlo e commuoverlo, lo stile ‘fiorito’, le parole e le immagini preziose. Nella Historia de la vida y milagros del glorioso sant Raymundo de Peñafort i preziosismi sono rari. In una pagina, nella quale Fray Andrés Pérez cerca di spiegare perché San Raimondo è stato canonizzato con grande ritardo, troviamo questa similitudine :  

   



















Y bien ansi como el que va sembrando de pedreria, vn frontal, o adornando de quadros vn aposento, si juntas encuentra quatro o cinco piedras preciosas, o quadros ricos y bien acabados, los aparta, y los pone en quatro partes principales, donde estando apartados no menos cabe el valor y hermosura de otro : y entre vna y otra pieça rica, pone otras no tales : ansi queriendo Dios sembrar de pedreria su Iglesia, y de estas imagines (que lo son de Dios) sacadas conforme a la imagen de su hijo : no fue conueniente, collocarlas juntas, canonizando de tropel muchos sanctos, sino que quiso, su diuina prouidencia, yr de trecho en trecho sacando estas ricas piedras. 1065  







Parlando del nome del Santo, Andrés Pérez fa questo paragone :  

Que ansi como la rayz, tronco, corteza, ramos, hojas y flores, de vn arbol se ordenan solo a fin 1057   Baldesar Castiglione : Il Libro del Cortegiano, p. 215 (Lib. II, XVII), p. 235 (Lib. II, XXIX), p. 236 (Lib. II, XXX), p. 248 (Lib. II, XXXVII). 1058   Baldassare Castiglione : El cortesano. Traducción de Juan Boscán. Edición de Mario Pozzi. Madrid : Cátedra (Letras Universales, 206) 1994, p. 230 (Lib. II, 17), p. 248 (Lib. II, 29), p. 249 (Lib. II, 30), p. 260 (Lib. II, 37). 1059   Cfr. Margherita Morreale : Castiglione y Boscán : El ideal cortesano en el Renacimiento español. Tomo I (Estudio léxico-semántico). Madrid 1959 (= Anejos del Boletín de la Real Academia Española, Anejo I), p. 224, nota nro. 1. 1060   Giovanni della Casa : Galateo, ovvero de’ costumi, pp. 193-194. 1061   Lucas Gracián Dantisco : Galateo español, pp. 105-106. 1062   Stefano Guazzo : La civil conversazione. A cura di Amedeo Quondam. I. Testo e appendice, p. 109. 1063   Non crediamo – ma la cosa non è del tutto impossibile – che il domenicano usi la parola trato nell’accezione molto particolare registrata da Sebastián de Covarrubias, ma non piú dal Diccionario de Autoridades : “Trato. En la universidad de Alcalá, vale, lo mesmo que en la de Salamanca, matraca, que es afligir a los nuevos con decirles algunas cosas de chocarrería y libertad” (Tesoro de la lengua castellana o española. Edición de Felipe C. R. Maldonado revisada por Manuel Camarero, p. 934). 1064   Sul vocabolario del riso nell’opera di Castiglione e nella traduzione di Boscán, cfr. Margherita Morreale : Castiglione y Boscán : El ideal cortesano en el Renacimiento español. Tomo I, pp. 203-227. 1065   Andrés Pérez : Historia de la vida y milagros del glorioso sant Raymundo de Peñafort, frayle de la orden de Predicadores, pp. 7-8.  























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de tener fruta : ansi si los de vn linaje tienen renombre y apellido honroso, es endereçado a los virtuosos sanctos, que en el estan como la fruta en los arboles. Son los sanctos las Estrellas de la gloria y ella vn cielo estrellado. 1066  



Tali rari ‘fiori’ stilistici non costituiscono prove sufficienti a classificare Fray Andrés Pérez come seguace delle nuove tendenze della oratoria sacra. Una pagina dei Sermones de los Santos – precisamente, del Sermón en la fiesta del Apostol S. Bartolome –, che è stata trascritta da Miguel Herrero García, con innumerevoli modificazioni della ortografia e della interpunzione e qualche omissione, nell’Ensayo histórico sobre la Oratoria Sagrada Española de los Siglos XVI y XVII, 1067 e che ci ha poi indotto a cercare e a leggere tutti i sermoni del domenicano, sembra però dimostrare proprio che Fray Andrés Pérez era uno di quei predicatori ‘contagiati’ dalla nuova moda culterana, ‘preziosista’ e ‘immaginifica’. La pagina, che chiude il sermone dedicato al Santo Apostolo scorticato vivo, è questa :  



SEa me lícito, Rey glorioso (que ansí os puedo llamar estando vestido de essa purpurea librea) sea me lícito deziros lo que mi rudeza siente de vuestra gallarda vestidura, y lo que me pareceys, quedando desollado : que no ay cosa buena a que no os semejeys. Pareceysme al arca del testamento, forrada en vadanas coloradas, De pellibus arietum rubricatis. Pareceysme en el color al Brasil sacro, de quien se hizo el altar del Sol. Clauellina colorada trasplantada en el jardín del cielo. Pareceys diestro Toreador, que dexays al tyrano el pellexo en los cuernos, y os subis a la talanquera del empíreo, quedando burlado el toro. Exemplo de los hijos de Adam, que en vuestra desnudez conoceran quan desnudos nos dexan los pecados por quien vos padeceys. Pareceys fruta aparada, que dexando al tyrano la cascara, poneys la medula en la mesa de Dios. Galan, galan, que vestis como Rey purpura real. Honrado Comendador, que tiene vn habito, que le coge todo el cuerpo. Ioseph, que en vez de manto, dexays a Putifar el pellexo. Nube arrebolada, con la luz del Sol, que passò por el fuego del diuino amor. Mercader gruesso, que diò por la margarita de la vida eterna, hasta el pellexo. Pellem pro pelle, &c. Colorido de color de coraçon, para que el soberano Nebli se zeue [cebe] asaz en el [.] Oficial de pesquería de jacintos, pues para caçarlos se desuella como cordero a quien se pegan los jacintos de las cuebas de Scythia. Pintura preparada de encarnacion, para que sobre ella assiente el oro de inmortalidad. Question del tormento del demonio, y llamas segundas [M. Herrero García : fecundas] del Rubi encendido, que adorna la corona del Rey del cielo. Triunfador, que mofando de su enemigo, le ofrece su piel para atambor de sus exercitos, baina de su cortadera espada, piel para el vino de su colera : victima diuina soys, que conforme a la ley, se ofrece sin piel. Segundo Christo desollado en la columna a açotes. Profeta santo, que en medio de sus tormentos repite con el santo Iob. Iterum circundabor pelle mea, & in carne mea videbo Deum. Esperò vestirme de mi piel, y sallir con ella rico, y galan a las bodas de mi Dios, en la eterna gloria, Quam mihi, &c. 1068  







1066   Andrés Pérez : Historia de la vida y milagros del glorioso sant Raymundo de Peñafort, frayle de la orden de Predicadores, p. 20. 1067   Miguel Herrero García : Ensayo histórico sobre la Oratoria Sagrada, pp. LXV-LXVI. 1068   [Fregio floreale] | DE LOS SERMONES | DE LOS SANTOS. | Contiene los de todos los Apostolos, y Euangelistas, y san Ioan | Anteportam Latinam. | Compuesto por el P. Presentado Fr. Andres Perez, Predicador General, y es- | pecial del Conuento de S. Tomas de Madrid, de la Orden de Predicadores. | DIRIGIDO A NVESTRO R.mo P. MAESTRO Fr. ANTONIO DE | Soto Mayor, Confessor del Rey nuestro Señor, y de su Consejo. | [Scudo dei Sotomayor : campo, sovrastato da una corona, con tre fasce orizzontali formate di quattro linee di quadretti alternativamente bianchi e neri ; lo scudo è racchiuso in un rettangolo intorno ai cui lati, all’esterno, si leggono queste scritte : lungo il lato destro : « GRATIAS AGO DEO MEO. » ; lungo il lato superiore : « CVI SERVIO A PROGENITORIBVS MEIS » ; lungo il lato sinistro : « IN CONSCIENTIA PVRA. » ; lungo il lato inferiore : « AD TIMOTHEVM. I. num 3. »] | CON PRIVILEGIO. | [Linea tipografica] | En Valladolid, por Geronimo Morillo, Impressor de la Vniuersidad. | Año de M.DC.XXII. (Madrid, Biblioteca Nacional : 3/ 11400), pp. 116-152 (« SERMON. | EN LA FIESTA DEL | APOSTOL S. BARTOLOME. »), qui pp. 151-152. Il fregio floreale sembra quasi – per quanto si possa giudicare da una xerocopia – essere una striscia di carta sovrapposta al foglio del frontespizio. La descrizione del libro fatta da M. Alcocer y Martínez (Catálogo razonado de obras impresas en Valla 













































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La grande copia di paragoni e la loro assurdità, l’artificiosità delle immagini e il cattivo gusto, sembrano rivelare l’appartenenza di Fray Andrés Pérez a quel gruppo di predicatori che erano avversati, ed anche ridicolizzati, dai fautori di una oratoria sacra chiara, naturale e semplice, diretta al cuore degli ascoltatori, aliena da ogni verbosità, freddezza intellettuale, stravaganza, leziosaggine, affettazione, bizzarria e artificio. Ma questa pagina è rappresentativa della oratoria del frate domenicano ? La lettura di tutti i Sermones de los Santos – intessuti di innumerevoli riferimenti ad autori e testi della letteratura cristiana e di quella pagana greca e latina e di altrettanto innumerevoli e spesso molto ampi brani latini stampati in corsivo – non conferma l’impressione suscitata dalla pagina sopra trascritta. Nelle 502 pagine a due colonne del sermonario sono molto rari – come aveva già osservato Miguel Herrero García 1069 – i cultismi, i passi di stile fiorito, immaginifico, i paragoni artificiosi ; 1070 altrettanto rari sono i “cuentos”, 1071 “humanas ficciones” ; 1072 inesistenti i ‘geroglifici’ (una sola volta viene ricordato un emblema di Andrea Alciato 1073). La quasi generale rinunzia agli stilemi e agli ingredienti costitutivi della oratoria sacra culterana non è casuale. Fray Andrés Pérez manifesta infatti apertamente, in una specie di dichiarazione programmatica contenuta nel Sermon en la fiesta del Apostol San Andres, la sua avversione per gli artifici retorici, per le ‘favole’, i ‘geroglifici’, le raffinatezze stilistiche, i giochi di parola, la gestualità ‘teatrale’, il desiderio di intrattenere l’auditorio e ricercarne l’applauso :  



   



   





El sermon solo se ha de ocupar en verdades, (sean metafisicas, sean morales) tales, que sea obligacion morir por ellas, y ser martyr en su defensa [...]. [...] el ordinario discurso de todo sermon, sean verdades euangelicas. [...] Pues que dirè del predicador, que ocupa la mayor parte de su sermon, en explicar historias humanas, fabulas, poetas, geroglificos, con animo de caçar solo el aplauso humano : no cierro la puerta, ni la cierran los Doctores, al traer algunas historias, o poesias, y humanidades. [...] Pero ha de ser como quien toma la cosa prestada [...]. Pero vsar de esso, como si no tuuiera la Iglesia otro caudal ; abominacion, sacrilegio. Euangelico Euangelio. Pro rete euangelium expandunt. Los que lo contrario hazen, sabeys que pretenden ? ser vuestros idolos de oro, plata y metal, para que los adoreys por apacibles, y seays ydolatras de sus antojos. [...] Infeliz cuydado es, ponerle principalmente en jugar de los vocablos, medir las clausulas, y periodos, ademanes de manos, sonrisos de voca, posturas de rostro. O padres predicadores, el arte es pedir a Dios su gracia. [...] hallo yo en S. Prudencio, que los predicadores que no pretenden pescar hombres para Dios, sino aplauso para si : son pescadores de ranas vozingleras : contentanse con que vayan diziendo, ò que bien predicò el padre. 1074  











E in altri sermoni il frate domenicano biasima duramente i predicatori che impiegano il loro tempo a ricercare ‘curiosità’, che perseguono il proprio tornaconto invece di fustigare i vizi e riprendere con nude verità chi dà scandalo, che preferiscono dilettare dolid, 1481-1800, nro. 680, pp. 266-267) non menziona il fregio e inizia cosí : Tomo segvndo. De los sermones de los Santos ! Neppure Julio Puyol y Alonso (La pícara Justina III, p. 49 n.) menziona il fregio. La sua descrizione inizia cosí : De los sermones || de los Santos. Lo scudo che orna il frontespizio – secondo Julio Puyol y Alonso (III, p. 49 n.) è l’Escudo de la Orden domenicana – abbiamo potuto identificarlo come appartenente al lignaggio dei Sotomayor grazie a Gonzalo Argote de Molina : Nobleza de Andalucía, pp. 273-278, p. 389. 1069   Miguel Herrero García : Ensayo histórico sobre la Oratoria Sagrada, p. LXV. 1070   Fray Andrés Pérez : Sermones de los Santos, p. 85, p. 115, p. 443, p. 467. 1071   Fray Andrés Pérez : Sermones de los Santos, pp. 342-343, p. 411. 1072   Fray Andrés Pérez : Sermones de los Santos, p. 414. 1073   Fray Andrés Pérez : Sermones de los Santos, p. 380. 1074   Fray Andrés Pérez : Sermones de los Santos, pp. 108-110.  



















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invece di commuovere e farsi ammirare invece di essere utili medici delle infermità dell’anima. Nel Sermon en la fiesta del glorioso evangelista San Marcos, Fray Andrés Pérez, richiamandosi prima ad un passo del Salmo 91 (“Et bene patientes erunt, vt annuncient”) e poi ad uno dell’Esodo 25 (“Si quis habet aurum hyacinthum, &c. coccumque bis tinctum [seda dos vezes teñida]”), scrive :  

Para ser predicadores, han de ser bene ... patientes. [...] Mucha ocasion me da esta palabra, bene, para aduertir a los predicadores, que miren si son bene patientes, el trabajo que se padece por estudiar curiosidades, el que se padece por no tener animo para dezir las verdades desnudas contra escandalosos, los trabajos que se padecen para cobrar estipendios gruessos, los que se padecen por tener buenos puertos, no los haze bene patientes, sino male patientes. Entre los donatiuos que lista Moysen, solo vna materia pone duplicada, que es la seda de dos tintes : por lo qual se entienden los predicadores que reciben vn color de sciencia, y otro de valor, para reprehender ; seda sin ambos colores, no es don acepto ; predicador sin ambas calidades, tampoco [...]. Derribar idolos es, que especialmente se endereça su intento a derribar, y moler soberuios : ay un genero de pecadores, que con quatro escodadas, y facil pulimento se ajustan : a estos no es razon deshazerlos, ni molerlos, sino labrarlos. [...] Pero si es vn genero de pecadores soberuios, mofadores, despreciadores, idolos de si mismos : a essos molerlos, y deshazerlos. [...] En resolucion, somos leones, y con las muelas auemos de moler a los soberuios que idolatran en si mismos, para que mediante nuestro ministerio se diga. Contrita sunt sculptilia eius. Y si nuestro oficio es de Leones, que mostramos dientes, que molemos los huessos, bien es que no nos ocupamos en cortesias impertinentes [...]. 1075  













Nel Sermon en la fiesta del glorioso evangelista San Lvcas, il frate domenicano lamenta con amarezza :  

O quantos predicadores ay Catolicos de lengua y Hereges de obras, y tanto mas fuertes Hereges, quanto son mas eficazes para dañar las obras, y malos exemplos que las palabras ! Dezidme Diaconos, Arcedianos, Presbyteros. Dezidme Obispos, de que siruen tan superfluos vestidos ? Como, ô porque vsays tan esplendidos, y opiparos conuites. Viuis para comer, y comeys para viuir, y al cabo, vida, y comida. [...] No es sola la culpa de los Predicadores, y Perlados aquesta, sino el no reprehender el vniuersal excesso de comidas, y caeme en gracia, por no dezir impaciencia, la excusa de los que dizen, que no se puede reprehender todo, y que es cosa dura a cada passo el azote en la mano. [...] Lo que tiene destruydas las Iglesias, es, que ni vosotros quereys oyr cosa que os dè pena, ni nosotros os la queremos dar, hechos guitarreros, y cytaristas de vuestros gustos. Es como vn Padre que a su hijo enfermo, en vez de quitarle lo que le daña, le dà agua, y comidas nociuas, y diziendole el medico ... porque ha hecho tanto mal a su hijo ? Responde, que no tiene entrañas para verle llorar. [...] Esto nos sucede a los que en vez de reprehender excessos de comidas, y otros vicios, queremos deleytar, y no mouer, parecer admirables predicadores, y no vtiles medicos. 1076  







L’austera concezione che Fray Andrés Pérez ha dei sermoni (“quiere Dios que nuestros sermones tengan sabiduria, y paz” 1077), del predicatore – eroico “medico Euangelico”, 1078 che per potere curare i peccati degli altri deve essere privo di ogni peccato (soprattutto invidia, 1079 ira ed avarizia 1080) – e della sua missione esclude ogni indulgenza ed ogni mon 







1075

  Fray Andrés Pérez : Sermones de los Santos, p. 382, pp. 389-391.   Fray Andrés Pérez : Sermones de los Santos, pp. 430-431. 1077   Fray Andrés Pérez : Sermones de los Santos, p. 424. 1078   Fray Andrés Pérez : Sermones de los Santos, p. 390. 1079   Fray Andrés Pérez : Sermones de los Santos, pp. 416-419. 1080   Fray Andrés Pérez : Sermones de los Santos, pp. 423-426. 1076













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dano riguardo verso i peccatori, ogni cedimento ed ogni concessione alle tendenze di moda, ogni compromesso con il ‘gusto’ e le aspettative dell’auditorio, piú desideroso di piacevole intrattenimento che di severa reprensione e correzione morale. Anche nei Sermones de Qvaresma, nei quali Fray Andrés Pérez loda “la llaneza del estilo”, 1081 parla, forse non senza un pizzico di autocompiacimento, della propria “rudeza” (“DE lo que con mi rudeza he dicho en este sermon en alabança de los templos, se puede colegir que son retratos de la gloria...” 1082) e rampogna i predicatori del suo tempo, 1083 molto rari sono i cultismi e i paragoni ricercati e ‘preziosi’ 1084 e questi pochi sono, per lo piú, citazioni dalle Sacre Scritture e dalla patristica greca e latina. Nelle 625 pagine, a due colonne, del quaresimale nulla si trova che potrebbe far pensare alla ricerca di effetti ‘teatrali’. I Sermones de Qvaresma – come i Sermones de los Santos – sono caratterizzati da una erudizione esegetica e da una dottrina teologica tanto lodate dai censori dell’opera 1085 quanto farraginose. Raramente s’incontra nei Sermones di Fray  









1081

  Fray Andrés Pérez : Sermones de Qvaresma, p. 363.   Fray Andrés Pérez : Sermones de Qvaresma, p. 165.   “Sabeys como somos los Predicadores de ogaño ? [...] Van tan llenos nuestros sermones de lisonjas, y remotes, que ni bien dezimos verdad, ni bien mentira, y ansi nuestros sermones son chimeras, dignos de maldicion diuina. No me he declarado como quisiera, pero esto baste, para entender, que no tiene oy dia la verdad ministros ni criados, que la metan en poblado como conuiene. [...] si para entrar de paz, no tiene la verdad ministros, creed que tiene muchos menos, para entrar de guerra, porque los que la auemos de introduzir, somos muy cobardes, y no nos atreuemos a dezir verdades. No nos pesa de que otros las digan, pero, no nos atreuemos nosotros a introduzirlas. [...] O quantas vezes, el Predicador se triza, no de que se digan verdades, contra el cauallero amancebado, o contra el mercader vsurero, o contra el Prebendado escandaloso, no porque se dixeron, sino porque piensan, que el lo dixo. Señor D. fulano, por el habito que tengo, que no me passô por el pensamiento ofender a V. m. O mal ministro de la verdad. Si tan cobarde soys, nunca podra entrar la verdad, ni de paz, ni de guerra” (Fray Andrés Pérez : Sermones de Qvaresma, pp. 503-504). 1084   Cfr. – per esempio – Fray Andrés Pérez : Sermones de Qvaresma, p. 3 (“que el oyente pida a la Virgen, que qual diuina Vestale ayude a conseruar en las cenizas el fuego santo, y el predicador, que su Magestad qual diuino Galbano, cuya calidad es aclarar vozes, de a las mias tal sonido, que penetren el cielo, y alcancen la diuina gracia”) ; p. 22 [“Pedisme que bañe mi mortificacion con interior, y exterior alegria, mas como soy arbol abrassado con el yelo de la culpa, en la rayz (digo en mi cabeça, que es la rayz del arbol humano) pondre cenizas, porque renazcan flores de alegria”] ; p. 140 (« Leuantase vna columna en honor de los Ojos de Christo » : “A Iulio Cesar leuantò Roma vna Piramide, y en ella el retrato de sus clementes ojos : otra quiero yo leuantar a vuestros ojos, hecha de piedras preciosas. [...] Son vuestro ojos Ametistes, que si este echa llamas ... descubris llamas de amor. El Verilo, quanto mas desbastado luze mas, y vos ... quando soys mas perseguido. El Crisopaso en tinieblas muestra su valor, y vos en sacar dellas al ciego. [...] El Iaspe aguza la vista, y vos la days de nueuo. [...] El Opalo al cercano alumbra, y al distante ciega : y vos para el que se os acerca soys luz, y para el que se aleja, tinieblas. Pyrites arroja fuego : y vos ... bolcanos de amor. [...] Selenites, y Topacio siguen el curso de la Luna y Sol, y vos ... soys Sol del alma, que la days vida y gloria”) ; pp. 199-200 (“El lilio es la mas perfecta flor, el amor de enemigos, la cumbre del christianismo. [...] El lilio es el que da principio a la inouacion del año en la primauera [...]. Digo yo : que el amor de enemigos es el lirio, que haze primauera, flor que innovò los tiempos [...]. El lilio es el Rey de las flores...”, ecc. ecc.). 1085   Fray Antonio de Sotomayor ordina, nel suo Mandato, a Fray Andrés Pérez “que con toda breuedad presente a los señores de Consejo Real, los tomos, y libros de sermones de sanctos, y de tiempo que tiene compuesto, y auida licencia para imprimirlos, los imprima con toda breuedad, por quanto se espera de su gran ingenio, erudicion, y largo exercicio de predicar en los auentajados puestos de estos Reynos, que sera obra de mucha importancia para el seruicio de Dios, y augmento del credito, y esplendor que tiene nuestra sagrada Religion, por el continuo exercicio de las letras y predicacion en que de officio se ocupan siempre nuestros Religiosos” (il Mandato è riprodotto identico e con la stessa data – “20. de Nouiembre de 1618” – anche nei Sermones de los Santos). Fray Thomas de Torres scrive nella sua Aprouacion “que conuiene al esplendor y authoridad de nuestra Prouincia, que estos sermones [de Quaresma] salgan a luz, por quanto su author descubre en ellos grande agudeza, mucha lection de sanctos, profunda inteligencia de la Escriptura. Variedad de lection, estilo casto, y graue, notable disposicion, y traça de sermones, en los quales con gran destreza, y concission, resuelue muchas questiones Theologas, acomodandolo todo a la enseñança de las buenas costumbres”. Infine, Fray Diego de Campo definiva, nella sua Censura, i Sermones de Qvaresma “obra de mucho ingenio en que muestra su autor ser muy docto en Theologia, muy leydo en la sagrada Escriptura, y sus sagrados expositores, eloquente rethorico y de singular election, y con singular destreza acomoda las cosas muy altas, y subtiles, a la reformacion de las costumbres”. E aggiungeva : “y si como el libro lo merece  

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Andrés Pérez una nota personale, 1086 un riferimento concreto, 1087 un aneddoto 1088 o una espressione 1089 atti a dar colore al discorso e ravvivare l’attenzione dell’auditorio. Piú che prediche dal pulpito tenute in determinate occasioni ad un determinato auditorio, i Sermones sembrano astratte lezioni di esegesi biblica e di generica morale 1090 tenute a studenti di teologia. La loro efficacia spirituale e morale sugli ascoltatori non deve essere stata elevata. Naturalmente si può supporre, con una certa fondatezza, che la versione orale dei sermoni fosse priva delle vaste citazioni latine e che la trattazione fosse piú stringata e forse un poco piú ‘colorita’. Ma nella funzione e nella tendenza di fondo i sermoni ‘orali’ non differivano certamente da quelli scritti e pubblicati. La via praticata da Fray Andrés Pérez per persuadere e insegnare e riformare “las buenas costumbres” era, come avevano riconosciuto con grande apprezzamento i ‘censori’ dei suoi sermonari, quella della esegesi biblica e della esposizione e delucidazione delle questioni teologiche. E questa esegesi, questa esposizione e questa delucidazione erano svolte con uno “estilo casto, y graue”. Senza alcun ricorso, quindi, ad artifici retorici o ‘teatrali’ per intrattenere, divertire e stupire gli ascoltatori.  









es recibido, lo serà este con singular aplauso de todo genero de gente, especialmente de los Predicadores que justamente pueden preciarle, y estimarle mucho.” Cfr. Fray Antonio de Sotomayor. Prior Prouincial : Mandato de nuestro Reuerendissimo Padre Prouincial, Confessor de su Alteza el Principe nuestro Señor. – Aprouacion del muy Reuerendo señor Don Fr. Tomas de Torres, Obispo de Paraguay. – Censura del P. Maestro Fr. Diego de Campo, Calificador de la sancta general Inquisicion, y examinador general del Arçobispado de Toledo, de la Orden de N.P.S. Agustin. In : Fray Andrés Pérez : Sermones de Qvaresma, fo. 2r, fo. 2v, fo. 2v-3r. Anche la Censura scritta da Fray Francisco Sedano per i Sermones de los Santos conteneva lodi simili : “el Sermonario ... compuesto por el R. P. Presentado Fr. Andres Perez ... es muy magistral, muy docto, y agudo, y en el muestra su Autor gran caudal, è ingenio : y ansi es muy digno que se imprima, y le lean todos” (Censura del P. Fr. Francisco Sedano de la Orden de nuestro Serafico P. S. Francisco, Calificador del Consejo Supremo de la santa, y General Inquisicion. In : Los Sermones de los Santos, fo. 5v). 1086   Fray Andrés Pérez : Sermones de Qvaresma, p. 213 (“en este oficio que a treynta años que le exercito”) ; p. 428 (“No ha muchos dias, que por curiosidad fuy a la oficina de vn gran pintor de esta ciudad de Seuilla, y vide que estaua bañando, y dando la vltima mano a vn quadro. Mirele atentamente, y pareciome, que competia la valentia de la pintura, con la necedad de el pensamiento. Dixele mi parecer, y entendio de mi pensamiento, que no me contentaua el del que ideò su quadro. A esto me respondio el pintor. Padre yo como solo atiendo a que me paguen mi trabaxo, no me meto en mas dibuxos. Tapome la boca.”). 1087   Fray Andrés Pérez : Sermones de Qvaresma, p. 187 (“vn refran que algunas vezes he oydo en Andaluzia..,”) ; p. 195 (“Oyd nobles Seuillanos, oy quiero ser vuestro Cid...”) ; p. 358 (“BIen puede ser señores estudiantes ... [glossa marginale : Predico el Author este sermon en Salamanca]”) ; p. 518 (“Yo zeloso de ver, quan lindos ramos de palma han dado a estos señores prebendados de esta insigne Iglesia de Seuilla...”). 1088   Fray Andrés Pérez : Sermones de Qvaresma, pp. 131-132 (“Estaua en su balcon aqui en Seuilla vna dama honesta y de buen parecer, estaua en vna esquina de la misma calle vn pisa verde, y en otra vn noble y virtuoso cortesano. Passò vn galan, quitò el sombrero, y dixo el mal miron : Sin duda que el mancebo la sirue. Passò vn casado anciano, hizola el deuido acatamiento, y dixo. Tambien pica el señor don fulano. Passò vn canonigo principal, quitò el bonete : y dixo : Tambien el Licenciado se echa al mundo. Passò vn religioso, quitò su capilla, y dixo : No es todo sano el padre, pero el noble y virtuoso curial dixo de el mancebo, es galan, del casado, honrado, del canonigo, cortes, del frayle, humilde, de todos bien. El otro como cueruo todo lo ensuzia, y lleua por vn rasero, estotro como paloma todo lo abona”). 1089   Fray Andrés Pérez : Sermones de Qvaresma, p. 212 (“Ay confessores que lauan con el jabon de Palencia, lauan a palos.”) ; p. 427 (“Suele el cuello adornarse con gargantillas, collares, cabestrillos, pendientes, y firmezas : mas esto dexese para las damas que alquilan la hermosura...”) ; p. 469 (“Es refran que el flamenco pide cantando, el frances, llorando, y el Español, renegando...”) 1090   Il domenicano fustiga genericamente i prelati e i predicatori ambiziosi, definisce l’ambizione “peste diabolica”, biasima con durezza i “murmuradores e i “malsines”. Solo qua e là l’accusa si fa un poco piú concreta e incisiva : “LA ... qualidad del buen ministro, es mostrar que le puso Dios en el ministerio para dar, y no para recebir. [...] El Obispo, donde se viste ricamente, se torna a desnudar, que le vistio la Iglesia para que la dè quanto le dieron. Es gran maldad hazer hucha de las rentas eclesiasticas, que son precio de la sangre de Christo.” – “Ea poderosos opresores de pobres ... Dios harà burla de vuestras tyranias y brauatas.” (Fray Andrés Pérez : Sermones de Qvaresma, pp. 56-77, pp. 82-94, p. 184, p. 445, p. 533.)  















































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Evidente e vistosa è la discordanza fra le idee sulla predica e sui predicatori espresse nella Historia de la vida y milagros del glorioso sant Raymundo de Peñafort e quelle formulate nei Sermones de los Santos. (Nel « Sermon del viernes segvndo de Qvaresma » dei Sermones de Qvaresma sembra però attenuarsi leggermente questa discordanza. Fray Andrés Pérez polemizza, infatti, in questo sermone con i confessori e i predicatori che riprendono i loro ascoltatori con severità e durezza e non con “blandura” e con “palabras humanas y corteses”. 1091 È significativo il ricorso ad un termine chiave dei trattati del comportamento, o è puramente casuale ?) Altrettanto evidente e vistoso è il contrasto della pagina sopra trascritta del Sermón en la fiesta del Apostol S. Bartolome sia con l’austera concezione dell’oratoria sacra esposta proprio nei Sermones de los Santos, sia con la quasi totalità delle altre pagine di questo sermonario e con la quasi totalità delle pagine del quaresimale. Come si spiegano questa discordanza e questo contrasto ? Miguel Herrero García risolve il problema classificando Fray Andrés Pérez come “orador de transición, con una mano afianzado a la antigua escuela y con otra estrechada a la diestra de Paravicino”. I rari “cultismos” presenti nei Sermones indicherebbero secondo lo studioso, il quale conosce solo i Sermones de los Santos, che “estamos ya en el Reinado de Felipe IV”. 1092 Il ricorso alla vaga categoria della transizione non è però molto convincente. Sorprende intanto che lo studioso, pur avendo affermato che consta che Fray Andrés Pérez “tenía preparados sus escritos para las prensas desde bastante antes de 1622”, 1093 consideri i rari “cultismos” come indicatori stilistici della appartenenza dei Sermones de los Santos, la cui « Aprouacion » Fray Tomás de Torres aveva firmato il 10 febbraio 1618, 1094 al regno di Filippo IV, salito al trono il 31 marzo 1621 ! Si deve poi notare che la presenza di cultismos in un’opera non costituisce un indizio sicuro della sua appartenenza agli anni dei successi di Góngora e di Fray Hortensio Paravicino, essendo l’uso della maggior parte dei vocablos cultos e la moda dell’estilo culto fenomeni anteriori all’affermarsi del gongorismo 1095 e dell’oratoria sacra del celebre frate trinitario. Julio Puyol y Alonso è stato non solo il primo interprete del Libro de entretenimiento che ha messo in relazione il romanzo picaresco con la Historia de la vida y milagros del glorioso sant Raymundo de Peñafort, ma anche l’unico che ha effettuato la “comparación de los Sermones de Fray Andrés Pérez con el texto de la Pícara Justina”, pur essendo convinto di trarne poca utilità, “ya que el tono y estilo requeridos por unas y otras materias  























1091   “Ay confessores que lauan con el jabon de Palencia, lauan a palos. Cierto que contra los tales auia de auer vn alguazil señalado, como contra los que lleuan maças a los lauaderos. Pues como, laua Dio con jabon, y tu lauas a palos ? Quieres ser como Dios de tus confessados ? Si querras, pues para limpiarlos de culpas tratalos con blandura. [...] ò loco confessor que eres bestia coceadora, pudiendo ser Dios purificador de almas, tratalas, no como quien rompe a palos, sino como quien laua con jabon [...]. [...] HABLEMOS con los predicadores, quiere [Christo] que nuestras reprehensiones no sean de cautelosos cueruos, sino de sinceras palomas, no quiere que sin preceder la Euangelica reprehension, piquemos a lo solapado [...]. Predicadores conozco yo (y el peor soy yo) que estan persuadidos, que por este camino hazen gente. Creanme como a experimentado, en este oficio que a treynta años que le exercito sin cessar, que por aqui pierden opinion, y si la ganan, es de maliciosos, y si no me creen a mi. Crean a san Bernardo. Neque hominibus, sine lenitate, plusquam Deo sine fide : placere possibile est. Tan impossible es que vn hombre humano agrade a hombres humanos sin palabras humanas y corteses, como agradar a la suprema verdad sin darle entero credito y fee. Quieres padre predicador tener palomas en tu palomar, y oyentes beneuolos en tu auditorio ? Diras que si. Pues quien quiere palomas, sea paloma. Predique con sinceridad columbina.” Cfr. Fray Andrés Pérez : « SERMON | DEL VIERNES | SEGVNDO DE | QVARESMA ». In : F. A. P. : Sermones de Qvaresma, pp. 201-229 ; qui pp. 212-213. 1092   Miguel Herrero García : Ensayo histórico sobre la Oratoria Sagrada, p. LXV. 1093   Miguel Herrero García : Ensayo histórico sobre la Oratoria Sagrada, p. LXV. 1094   Fray Andrés Pérez : Sermones de los Santos, fo. [5r] (« Aprouacion del muy Reuerendo señor don Fray Tomas de Torres, Obispo de Paraguay »). 1095   Cfr. Dámaso Alonso : La lengua poética de Góngora. In : D. A. : Obras completas. V. Góngora y el gongorismo. Madrid : Gredos 1978, pp. 11-238 ; qui pp. 51-52.  







































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tenían que ser diametralmente opuestos”. 1096 Riferendosi ad un passo dei Sermones de Qvaresma nel quale l’adulatore è paragonato al “Cinife” che “cantando daña y dañando canta” 1097 (paragone che ne fa ricordare uno analogo presente nella Pícara Justina : “Con razon pudieran ser estos [los de la Vigornia] comparados al Cinife, que quando mas muerde mas canta” 1098), e al passo del Libro de entretenimiento nel quale l’ipocrita è paragonato al pavone, 1099 Julio Puyol y Alonso scrive :  











[...] lo forzado de los símiles, lo estrambótico y retorcido de las imágenes, la machacona insistencia en la alegoría y hasta la complexión intelectual que el uno y el otro acusan, pudieran constituir prueba de indicios á favor de los que sostienen que Fray Andrés Pérez fue el autor de la Pícara Justina. 1100  

Julio Alonso y Puyol non si limita a mettere in risalto la somiglianza di questi due passi, ma elenca anche alcune poche altre frasi dei Sermones de los Santos e dei Sermones de Qvaresma, delle quali dice che “son textos que si se trasladasen al de la Pícara, parecerían trazados por la misma pluma y concebidos en la misma mente”. 1101 In realtà, lo studioso, intento a raccogliere indizi per suffragare la sua tesi sulla paternità della Picara Justina,  

1096

  J. Puyol y Alonso : « Estudio crítico de la Pícara Justina », p. 79.   Fray Andrés Pérez : Sermones de Qvaresma, p. 41. Poco piú avanti si legge : “el cinife canta de dia, pero de noche mas canta, y mas pica, el lisongero a todos lisongea...” (p. 42). In realtà, Julio Puyol y Alonso (« Estudio crítico de la Pícara Justina », p. 80) cita, senza porla fra virgolette, la frase : “El lisongero es cinife que cantando pica y picando canta”. Questa frase non si trova però, come erroneamente indica lo studioso, alla pagina 41 dei Sermones de Qvaresma, ma nell’« ELENCHO DE LAS PRINCIPALES MATERIAS, Y LVGARES DE ESCRIPTVRA QVE CONTIENE ESTE SERMONARIO », posto alla fine del quaresimale (fo. Rr3r-fo. Rr8r ; qui fo. Rr3v). 1098   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO SEGVNDO INTITVLADO LA PICARA Romera. En que se trata de la jornada de Arenillas. CAPITVLO PRIMERO, de la Romera Baylona. NVMERO QVARTO DEL Robo de Iustina », p. 144. 1099   “El Pabon es propria figura de vn hypocrita : porque tienen propriedades tales los pabones, que vnas desmienten a otras : y en hecho de verdad, parece vno y es otro. Tiene, el pabon en la cabeça crestas, en las quales denota loçania como la del gallo, y poder como de serpiente, pero el macho es muy flaco, y de pocas fuerças, y la hembra de tan poco calor, que los mas hueuos que pone los enguera [enhuera]. [...] El pabon todo esta lleno de ojos y vee tan poco que si la paua se le asconde, jamas le puede descubrir, hasta que ella quiere. [...] Quien viere vna aue tan linda como vn Pabon pensarà que tiene la carne mas blanda que el Pabo de Indias : mas en hecho de verdad, no la ay mas mala, mas negra, ni mas dura. [...] El pabon tiene vn pecho dorado, de color de finissimo Zafiro : pero los pies son feos, y abominables [...]. [...] El pabon es de terrible y espantosa voz, mas los passos tan sin sentir, como si pisara en felpa. [...] En suma el pabon tiene figura de Angel voz de diablo, y passos de ladron puro [...]”. Cfr. Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo : Cristoual Lasso Vaca 1605, « SEGVNDA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO DE la Picara Romera. Capitulo quarto [segvndo !] del fullero burlado. Numero tercero de la burla del hermitaño », pp. 51-53. 1100   J. Puyol y Alonso : « Estudio crítico de la Pícara Justina », p. 80, nota. 1101   Immediatamente prima di questa affermazione, Julio Puyol y Alonso (« Estudio crítico de la Pícara Justina », pp. 81-82) ha citato queste frasi : “El parlero pesca ranas, no peces” ; “El predicador es ama que cria” ; “Pesquen [los predicadores] a Christo” (Andrés Pérez : Sermones de los Santos, fo. b3r della « Tabla de las cosas notables », posta alla fine del libro). – “PEDIR a vn Prelado pretensor, que no sea pendenciero, ni reboltoso, es pedir peras al olmo, constancia a la fortuna, quietud al mar” ; “La adulacion es azeyte que abrasa de calor, y parte con dolores de cabeças” ; “El lisongero es pecador por antonomasia” ; “Que los ojos de Dios no saben mirar a secas, antes miran para hazer bien” ; “El pecador conoce a Dios para comer, el justo come para conocer a Dios” (Andrés Pérez : Sermones de Qvaresma, p. 62, p. 44, p. 46, p. 132, p. 465). A proposito della frase “Algo he dicho, y tanto, que siento que los Doctores a porfia quieren subir de punto mi pensamiento, y contrapuntear los cardueles, el canto llano de un cueruo”, contenuta nel « SERMON | DEL PRIMER | MIERCOLES DE | QVARESMA » (Sermones de Qvaresma, pp. 1-23 ; qui p. 13), Julio Puyol y Alonso scrive : “Tantos en estos Sermones como en los de los Santos, abundan frases y comparaciones tomadas del arte del canto llano y del contrapunto. En la Pícara son también innumerables tales referencias, pues se nos habla de contrapuntear conceptos, de seguir la historia en canto llano, de dar gracias repicadas en canto de órgano, de la mano musical, del a la mi re, etc. etc., todo lo cual demuestra que el autor era perito en estas materias, más propias de un clérigo que de un médico” (« Estudio crítico de la Pícara Justina », p. 81, nota f ). Sul significato dei termini mano musical e a la mi re, cfr. J. Puyol y Alonso : « Glosario », pp. 107-108, pp. 199-200.  

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sopravvaluta la – semmai vaghissima – affinità del ‘tono’ oppure la somiglianza lessicale esistente fra queste frasi, che tutt’al piú consiste nell’uso di una stessa parola o di una stessa espressione. 1102 A noi non interessa qui, naturalmente, la tesi di Julio Alonso y Puyol sulla paternità del romanzo picaresco, ma la presenza, sulla quale egli ha richiamato l’attenzione, di alcuni stilemi e ingredienti della oratoria sacra culterana anche nei Sermones de Qvaresma. Sono veramente significativi ? Sono solo residui e relitti delle prime esperienze di predicatore ? I Sermones de Qvaresma e i Sermones de los Santos del frate domenicano furono sí pubblicati, rispettivamente, nel 1621 e nel 1622, ma in realtà essi furono composti, almeno in parte, molto prima. Fray Andrés Pérez, che aveva incominciato a predicare, secondo Julio Puyol y Alonso, intorno all’anno 1592 1103 (piú probabilmente però verso il 1588 1104), aveva sicuramente progettato di curare una raccolta dei suoi sermoni già prima della pubblicazione della Historia de la vida y milagros del glorioso sant Raymundo de Peñafort, come si deduce dalla dedica a D. Isabel de Acuña y Castro Manrique, nella quale afferma – come sappiamo – che l’opera era “principio de otros libros, que espero en Dios saldran a luz” (nel « Prologo al Lector » aveva ribadito : “saldran con gusto a luz otros muy mayores [trabajos]”). Forse attraverso una sorta di archeologia testuale, attraverso una minuziosa analisi interna dei vari Sermones e accurati raffronti dei loro testi con la Historia de la vida y milagros del glorioso sant Raymundo de Peñafort e con scritti, composti negli anni 1598-1605, di altri predicatori, si potrebbero trovare concreti elementi per stabilire la data, sia pur approssimativa, della loro stesura e per fissare cosí l’ordine della loro successione cronologica. Ma per quanto utile, un tale lavoro non risolverebbe il problema della discordanza e del contrasto sopra evidenziati. Una frase contenuta nella dedicatoria dei Sermones de los Santos, scritta quasi sicuramente nel 1617/1618, o comunque entro il 1622, dimostra infatti che il problema non ha soluzione. La frase – Fray Andrés accenna alla sua età avanzata – è questa : “No puede mi elada nieue encender fraguas de Vulcano y menos el humano afecto de mi pecho las diuinas”. 1105  



















1102   Oltre all’esempio sopra ricordato del cínife, Julio Puyol y Alonso (« Estudio crítico de la Pícara Justina », pp. 81-82) adduce questi esempi : “Procede Dauid como buen retorico, captando la beneuolencia a vn tan numeroso quan graue auditorio que tenia presente” (Andrés Pérez : Sermones de Qvaresma, p. 466). – “Capta la beneuolencia a los corteses” ; “Captò la beneuolencia. Pidio atencion” (Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « INTRODVCCION GENERAL, PARA TODOS los tomos y libros. Escrita de mano de Iustina. Intitulada la Melindrosa Escriuana. DIVIDESE ESTA INTRODVCCION en tres numeros. Numero segundo [tercero !]. Del melindre a la culebrilla », p. 31 [glossa marginale]. – « LIBRO SEGVNDO INTITVLADO LA PICARA Romera. En que se trata la jornada de Arenillas. CAPITVLO SEGVNDO DE LA Vigornia burlada. NVMERO SEGVNDO DEL parlamento loco », p. 162). – “Cascaxo de lastre llamays a mis Apostoles ?” (Andrés Pérez : Sermones de los Santos, p. 94). – “Digame muy infame, parezele que mi entereza ... se quede aqui ... como si fuera hoja seca de carrasco viejo, que despues de vendida la leña, se queda en la lastre de la carreta ?” (Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO SEGVNDO INTITVLADO LA PICARA Romera. En que se trata la jornada de Arenillas. CAPITVLO SEGVNDO DE LA Vigornia burlada. Numero primero. De la entretenedora astuta », p. 155). 1103   Cfr. J. Puyol y Alonso : « Estudio crítico de la Pícara Justina », p. 76 e p. 78, nota b. Lo studioso si fonda su questa precisa dichiarazione, da noi già trascritta nel primo capitolo, dello stesso Fray Andrés Pérez : “VEynte y seys años continuos ha que predico quaresmas...” (Sermones de Qvaresma, fo. 2r, « Al Lector »). I Sermones de Qvaresma furono pubblicati nel 1621, ma la « Aprouacion del muy Reuerendo señor Don Fr. Thomas de Torres, Obispo de Paraguay » reca la data “10. Febrero de 1618” (la stessa data della « Aprouacion » dei Sermones de los Santos) ; è quindi piú che verosimile che le brevi righe indirizzate « Al Lector » siano state scritte in questo stesso anno o già nel 1617. 1104   In contraddizione con l’affermazione contenuta nelle righe rivolte « Al Lector », Fray Andrés Pérez dichiara, nel passo sopra trascritto del « Sermon del viernes segvndo de Qvaresma » sopra ricordato, di predicare da trent’anni (Sermones de Qvaresma, p. 213). 1105   Fray Andrés Pérez : De los Sermones de los Santos, fo. 4v (« EL PRESENTADO Fr. ANDRES | PEREZ PREDICADOR GENERAL DE | LA ORDEN DE SANTO DOMINGO, PRIOR | del Conuento de Santo  



































































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Questa immagine squisitamente culterana documenta inequivocabilmente che Fray Andrés Pérez usava ancora in età avanzata, sebbene raramente, stilemi culterani. Si deve quindi rinunziare al tentativo di armonizzare in qualche modo la teoria e la pratica. La severa concezione dell’oratoria sacra esposta dal frate domenicano nei Sermones de los Santos non è conciliabile con alcuni passi di questo sermonario e con altri dei Sermones de Qvaresma. Erano stati gli stilemi culterani ai quali Fray Andrés Pérez indulgeva – occasionalmente nei Sermones pubblicati, ma forse piú frequentemente nelle loro primitive redazioni o nella loro versione orale, piú o meno estemporanea –, la causa della inimicizia di alcuni confratelli e di eventuali ostacoli frapposti dai Superiori del suo Ordine alla concessione delle licenze di stampa ? O questa inimicizia era stata causata dalle ‘moderne’ idee sulla predicazione espresse nella Historia de la vida y milagros del glorioso sant Raymundo de Peñafort, o da avversioni e odi personali di varia origine, oppure forse soltanto dal plagio di alcune pagine della agiografia di Fray Francisco Diago ? Solo lo studio della storia dell’Ordine domenicano e delle rivalità, delle “tantas banderías y parcialidades” 1106 fra i vari Ordini e all’interno di uno stesso Ordine, provocate dai diversi orientamenti sul modo di predicare e sullo stile appropriato ai sermoni 1107 o da avversioni e odi personali, potrebbe farci, forse, scoprire i motivi che indussero Fray Andrés Pérez a non piú pubblicare, dopo la sfortunata esperienza fatta con la Historia de la vida y milagros del glorioso sant Raymundo de Peñafort, le opere – sicuramente dei sermoni – che già aveva composto e stava preparando per la pubblicazione.  







Ritorniamo ora al problema della verosimiglianza, o inverosimiglianza, della tesi – in realtà, piuttosto una ipotesi suggestiva –, formulata da Luc Torres, che la Pícara Justina sia – in parte – una parodia dei sermoni, di stile culto e fiorito, dei predicatori “fantaisistes”. Nel Libro de entretenimiento l’unica traccia concreta della polemica sulla oratoria sacra, divampata nei primissimi anni del XVII secolo, è costituita dalla critica severa che Justina fa della diffusa pratica di stampare sermoni in lingua volgare e dell’abitudine di tanti predicatori di utilizzare per le loro prediche i sermoni che altri avevano scritto e pubblicato. Sulle negative conseguenze della pubblicazione e commercializzazione dei “sermones impressos en romance”, divenuti cartapacios de alquiler, le idee dell’autore della Pícara Justina coincidevano, infatti, in maniera sorprendente con le idee espresse Domingo de Mayorga, a | nuestro Reuerendissimo P. Maestro Fray Anto- | nio de Sotomayor, confessor de su Mages- | tad el Rey nuestro Señor, y de su | Consejo, &c. »). J. Puyol y Alonso scrive, erroneamente, che la frase trascritta si trova nella “dedicatoria de los Sermones de Quaresma” (« Estudio crítico de la Pícara Justina », p. 78, nota b). 1106   Dámaso Alonso : Predicadores ensonetados. La Oratoria Sagrada, hecho social apasionante en el siglo XVII, pp. 976-977. 1107   Emilio Orozco Díaz ha scritto : “La concepción del sermón como espectáculo se sentía y vivía por todas las clases sociales, de la misma manera que se emocionaban y gozaban con la función teatral. Si una nueva comedia era deseada y recibida con expectación, también la llegada de un nuevo predicador apasionaba a las gentes, y su sermón provocaba los mismos comentarios de elogio, o de burla, o de ataque, que determinaban la obra teatral. Era natural que ello estimulara al predicador a buscar novedades que sorprendieran y atrajeran a los fieles espectadores como a un espectáculo. Así, muchas gentes acudían al sermón no por puros móviles religiosos, ni con actitud de devoto que quiere ser convencido y adoctrinado en las verdades de la fé, sino con la disposición del que quiere ser divertido y emocionado como si asistiera a una representación. [...] Naturalmente que como ocurría con los autores de comedias y con los comediantes, se producían rivalidades y competencias ; sobre todo las que estimularían las distintas Ordenes religiosas más o menos enfrentadas en sus deseos de atraer a los fieles” (Sobre la teatralización del templo y la función religiosa en el Barroco : El predicador y el comediante, pp. 174-175).  













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da Fray Alonso Girón nella memoria che il racionero Tejada aveva letto, “de letra a letra”, 1108 il 22 marzo 1601 nel “claustro de doctores y maestros en todas facultades” della Università di Salamanca (come ricorderemo, in questo Scripto il domenicano condannava “la publica negociacion y mercancia que en esta Corte y fuera della se a comenzado a usar de pocos años a esta parte de escriuir y trasladar sermones de los mas famosos predicadores de estos reynos, para tratar en ellos conprando y vendiendo” 1109). Ma mentre Fray Alonso Girón condannava severamente – come abbiamo visto – “la florida eloquentia”, 1110 “la artificial eloquentia adornada de exquisitos vocablos y flores de los maestros y predicadores”, e definiva i sermoni che la usano “fabulas”, “Cuentos vanos comedias y Representaçiones para entretenimj.o y gusto del oydo”, 1111 l’autore della Pícara Justina si dichiara proprio fautore dello stile fiorito e dei ricorsi, peculiari della ‘nuova oratoria’ sacra, culto-concettisti, riprovati dal domenicano e da tutti quanti i teorici della tradizionale ‘arte di predicare’. In alcuni passi del Libro de entretenimiento, ai quali avevamo fuggevolmente accennato in una nota del primo capitolo e che ora trascriviamo qui di seguito, Justina formula infatti una teoria squisitamente ‘barocca’ della superiorità dell’ornamento – “chistes”, “curiosidades”, “cuentos accesorios”, “fabulas”, “giroglificos”, “humanidades”, “erudicion retorica”, ‘concetti’ e ingegnosi discorsi originali, “dulces façetias”, stile molto elevato ed ornato – sulla sostanza :  









YO pienso que la bondad de las cosas no consiste tanto en la sustancia dellas, quanto en menudencias y accidentes de ornatos y atauios. Ansi mismo pienso, yo que la bondad de vna historia, no tanto consiste en contar la sustancia della, quanto en dezir algunos accidentes, digo, acaecimientos transuersales, chistes, curiosidades, y otras cosas a este tono : con que se saca y adorna la sustancia de la historia, que ya oy dia lo que mas se gasta son salsas, y aun lo que mas se paga. 1112 [...] no solo en la substancia desta historia, pondran los murmuradores falta y dolo : pero aun en el modo del dezir, y en el ornato della, conuiene a saber, en los cuentos accesorios, fabulas, giroglificos, humanidades, y erudicion retorica, pondran mas faltas, que ay en el juego de la pelota. 1113 [...] pienso, que quando yo mas me encumbrare, en el nido de la altissima eloquencia, quando mas leuantare el estylo, sobre las nuues de la retorica, entonçes el villano y terrestre vulgo, hara alas de la enuidia, y veneno de la murmuracion, y querra (como el dragon) oprimir los polluelos de mi entendimiento, que son mis conceptos y discursos ingeniosos, que creo son particulares, por auer sido engendrados de vn ingenio razonablejonaço, crecidos con lection varia, aumentados con la experiencia, acompañados, y bañados, de dulces façetias, que (demas de ser sin perjuyzio de nadie) van en vn estilo muy aparejado, para dar bohemio, a los principotes, cansados de cansar, y estar cansados. 1114  









1108   Pedro Urbano González de la Calle : Documentos inéditos acerca del uso de la lengua vulgar en los libros espirituales, p. 273. 1109   Scripto del p.e fr. alonso Giron, p. 272. 1110   “[...] si les piden alos authores porque no escriben en latin, responden que perdera su obra toda la gracia y donayre estima y applauso porque Consiste en la florida eloquentia y persuasibles Razones humanas / sin memoria del espiritu, vida y verdad que Christo nro. s.or y su apostol s. Pablo y los demas apostoles pretendieron en su doctrina” (Scripto del p.e fr. alonso Giron, pp. 270-271). 1111   Scripto del p.e fr. alonso Giron, p. 269. 1112   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « TERCERA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO De la Picara Romera. Capitulo 4. de la partida de Leon. Numero tercero, de los trajes de Montañeses y Coritos », pp. 180-181. 1113   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « INTRODVCCION GENERAL, PARA TODOS los tomos y libros. Escrita de mano de Iustina. Intitulada la Melindrosa Escriuana. DIVIDESE ESTA INTRODVCCION en tres numeros. Numero segundo, Del melindre a la mancha », p. 21. 1114   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « INTRODVCCION GENERAL,  











il contesto letterario della pícara justina

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Maestra, grazie al suo “ingenio”, nell’arte di “entretener agudamente”, 1115 Justina dichiara di usare spesso concetti acuti (“vn conceto agudo, siempre lo gastê” 1116) e confessa la sua vanità di voler brillare facendo sfoggio di “donayres”, di “agudezas”, di “gracias”, che “no son para villanos”, e di “apodos” (“quise ... soltar el chorro a la vena de las gracias y apodos...”), di “motes”, “cifras y medallas, enigmas, y cosicosas”, che erano naturalmente “Arabigo” 1117 per le persone non esperte di letteratura emblematica e di giochi – tanto diffusi nella società aristocratica – fondati su di essa (inventare, o spiegare e risolvere, enigmi, sciarade, indovinelli, ‘geroglifici’, imprese, divise, rebus). Oltre alla preminenza della soggettività e originalità dell’espressione, Justina teorizza l’importanza che la soggettività della percezione ha per lo scrittore :  







Por mi digo, que esto de ver cosas curiosas, y con curiosidad, es para mi manjar del alma, y por tanto les quiero contar muy de espacio, no tanto lo que vi en Leon, quanto el modo con que lo vi : porque he dado en que me lean el alma, que en fin me he metido a escritora, y con menos que esto no cumplo con mi oficio. 1118  



Le idee sulla superiorità dell’ornamento sulla sostanza, sull’uso dell’armamentario del cultismo, del concettismo e dell’emblematica e sulla importanza della soggettività della percezione sembrano costituire la prova concreta e vistosa dell’appartenenza dell’autore della Pícara Justina alla corrente letteraria e retorica culto-concettista. Ma si potrebbe anche sostenere – fondandosi su alcuni passi dell’opera nei quali è evidente la parodia di allegorie, ‘geroglifici’ ed emblemi – che l’autore della Pícara Justina le idee peculiari della corrente letteraria e retorica culto-concettista le espone non perché le condivide, ma per parodiarle e per “se moquer des prédicateurs fantaisistes”. Per suffragare questa opinione si potrebbe, forse, anche affermare che esiste una contraddizione fra la severa condanna della pubblicazione e commercializzazione dei “sermones impressos en romance”, fenomeno collegato all’affiorare delle nuove tendenze retoriche, e l’esaltazione dello stile fiorito e dei ricorsi culto-concettisti. Lo stato attuale delle nostre conoscenze sui “prédicateurs fantaisistes” e sui loro sermoni, sull’autore e sulla genesi del Libro de entretenimiento non permette di dare una risposta fondata a questa questione. Accettando, come pura ipotesi di lavoro, l’attribuzione della Pícara Justina a Fray Baltasar Navarrete, si potrebbe tentare di appurare, attraverso ricerche negli archivi dell’Ordine domenicano e dell’Università di Salamanca e di Valladolid, se questo domenicano conosceva Fray Alonso Girón (quasi sicuramente lo conosceva essendo Fray Alonso Girón “Praesentatus, ex S. Stephani sacra aede Salmantinae” e autore delle Conciones pro Festivitatibus Domini Nostri Jesu Christi, SanctissiPARA TODOS los tomos y libros. Escrita de mano de Iustina. Intitulada la Melindrosa Escriuana. DIVIDESE ESTA INTRODVCCION en tres numeros. Numero segundo [tercero !]. Del melindre a la culebrilla », pp. 25-26. 1115   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO SEGVNDO INTITVLADO LA PICARA Romera. En que se trata la jornada de Arenillas. CAPITVLO SEGVNDO DE LA Vigornia burlada. Numero primero. De la entretenedora astuta », p. 153. 1116   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO SEGVNDO INTITVLADO LA PICARA Romera. En que se trata la jornada de Arenillas. CAPITVLO PRIMERO, de la Romera Baylona. NVMERO SEGVNDO DEL Escudero enfadoso », p. 124. 1117   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « LIBRO SEGVNDO INTITVLADO LA PICARA Romera. En que se trata la jornada de Arenillas. CAPITVLO PRIMERO, de la Romera Baylona. NVMERO TERCERO DEL Conuite alegre, y triste », pp. 131-133. 1118   Libro de entretenimiento, de la Picara Iustina. Medina del Campo 1605, « TERCERA PARTE DEL LIBRO SEGVNDO De la Picara Romera. Capitulo primero. De la mirona gustosa. Numero primero. De la Mirona fisgante », p. 119.  



















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capitolo viii

mae Dei Genitricis, atque Sanctorum, il cui primo tomo uscí a Salamanca nel 1602 1119) e se addirittura si trovava a Salamanca quando fu discusso il suo Scripto nel Claustro dell’Università, se – all’interno dell’Ordine dei Predicatori – faceva parte del ‘bando’ avverso agli innovatori o di quello fautore della ‘nuova retorica’, se intratteneva rapporti con Fray Francisco Diago e con Fray Andrés Pérez. Si potrebbe cosí, forse, raccogliere le informazioni necessarie per la ricostruzione delle reti di relazioni personali e della composizione di eventuali ‘fazioni’ e reperire documenti degli anni 1600-1605 utili ad una migliore comprensione degli aspetti della Pícara Justina connessi con la letteratura agiografica e la oratoria sacra : sermoni “fantaisistes”, stampati e manoscritti, nei quali sia presente qualche passo che – come il passo su Abramo “mesonero de los peregrinos” del Libro de entretenimiento, parodia del passo su Abramo “hospedador de peregrinos” della Historia de la vida y milagros del glorioso sant Raymundo de Peñafort – possa offrire la prova concreta di un rapporto intertestuale fra romanzo picaresco e ‘nuova oratoria’ ; concessioni – o rifiuti – di licenze di stampa per sermoni e sermonari ; ‘direttive’ e raccomandazioni dei Superiori dell’Ordine relative alla predicazione. Solo uno storico degli Ordini religiosi e della oratoria sacra, che fosse nel contempo uno studioso della letteratura barocca dei primi anni del Seicento e un profondo conoscitore della Pícara Justina, potrebbe effettuare una simile ricerca. Forse qualche storico appartenente all’Ordine dei Predicatori, desideroso – come lo fu Fray Maximiliano Canal, il cui zelo non fu, purtroppo, disciplinato dal necessario rigore filologico – di rivendicare al proprio Ordine la paternità dell’importante opera, potrebbe impegnarsi nell’impresa.  







Il tentativo di illustrare il contesto letterario del Libro de entretenimiento per dimostrare quanto sia infondata, riduttiva e semplicistica la tesi degli studiosi che lo inseriscono in gran parte, se non addirittura esclusivamente, nella tradizione della letteratura buffonesca conversa, ci ha portato lontano, molto lontano, senza essere stati, forse, neppure esaustivi. Talvolta non abbiamo neppure saputo – per la limitatatezza delle nostre conoscenze – dare risposta a importanti quesiti via via affiorati, o formulare almeno ipotesi plausibili. Nonostante le sue eventuali lacune e la mancata risoluzione di alcuni quesiti, la nostra ampia trattazione del contesto letterario dovrebbe però aver contribuito a dimostrare che la profonda conoscenza di questo contesto costituisce, assieme alla conoscenza del contesto sociale e del contesto ‘ideologico’, la condizione necessaria – ma, ovviamente, non sufficiente – per poter interpretare correttamente la Pícara Justina. 1119

  Antonio Nicolás : Biblioteca Hispana nova. Tomus primus, p. 26 (« F. Alphonsus Giron »).  





CONCLUSIONE

C

ostruire interpretazioni di opere della letteratura del Siglo de Oro unicamente sull’appartenenza del loro autore al gruppo (alla ‘casta’ !) dei convertiti di origine ebraica, è già di per sé una operazione discutibile (ancor piú discutibile, ovviamente, quando tale appartenenza è solo supposta). Ma farlo considerando il convertito e il suo gruppo quali entità antropologiche sempre uguali a se stesse, immutabili, non soggette alle modificazioni e alle trasformazioni generate, inevitabilmente, dal tempo e dall’ambiente, diventa una operazione di mistificazione della realtà storica poiché per effettuarla è necessario postulare anche l’immutabilità della società spagnola. E difatti in queste interpretazioni la società spagnola viene rappresentata come una società di ‘caste’, come una società totalmente chiusa a causa della sua stratificazione perfettamente rigida e impermeabile, come una società assolutamente priva di mobilità e di capacità d’integrazione sociale, di assimilazione religiosa e culturale e di amalgamazione biologica, come una società della emarginazione e della discriminazione razziale, come una società malata, affetta da una “psicosis colectiva” (Henry Méchoulan), da “une véritable psychose collective” (Michel Cavillac), scatenata dall’incubo, dalla ossessione della ‘purezza di sangue’. Questa rappresentazione di una Castiglia “tibetizzata” ( Juan Ignacio Gutiérrez Nieto), di una società spagnola resa immutabile da “un refus collectif de mobilité”, da una assenza completa di “fluidité sociale” (Pierre Chaunu), è palesemente del tutto infondata, assurda e fantasiosa. Tutte le ricerche storiche la smentiscono con dati empiricamente verificati e verificabili, ricavati dalla elaborazione di innumerevoli fonti d’archivio di vario tipo. Coloro che basano le loro interpretazioni sulla visione di una società spagnola del Siglo de Oro immobile, e immutabile, ignorano però le ricerche sulla storia finanziaria, economica e sociale e sulla storia della burocrazia, dell’Università, della Chiesa, dell’Inquisizione, dell’esercito, delle Corti, degli Ordini Militari, delle città e delle loro oligarchie ; e ignorano, altresí, le ricerche sulle élites dei vari Regni iberici e dei diversi territori dell’Impero spagnolo, sulla piccola, media ed alta nobiltà, sui ceti medi, sui ceti bassi e sui ceti rurali, sul vasto fenomeno della vendita degli uffici e delle hidalguías, offerte “a cualesquier personas ... aunque tengan cualesquier oficios e máculas” (Cédula del 4 aprile 1557 di Filippo II, il ‘tibetizzatore’ della Castiglia !), sul commercio transatlantico e sull’emigrazione dalla Andalusia, dalla Estremadura, dalla Castiglia e da altre regioni verso il Nuovo Mondo e le Filippine. Per rendersi conto della manifesta infondatezza di tale visione fantasiosa, derivata dalle speculazioni, dalle “fumeuses théories” (Israël Salvator Révah) di Américo Castro su “la realidad histórica de España” e le sue tre ‘caste’, non sarebbe stata necessaria, in realtà, neppure la conoscenza della specifica letteratura storiografica. Sarebbe stato sufficiente richiamare alla memoria le note biografie dei tanti soldati, marinai, conquistatori, colonizzatori, avventurieri, burocrati, sacerdoti, monaci, commercianti, speculatori, usurai ed esattori che, pur essendo di umili origini e spesso di sangue ‘impuro’, realizzarono una vertiginosa ascesa sociale. Sarebbe stato sufficiente, invero, ancor meno : considerare, usando il semplice buon senso, che la società di un territorio di pochi milioni di abitanti, il Regno di Castiglia, non avrebbe potuto conquistare, amministrare, colonizzare – fondando centinaia di città e costruendo le necessarie infrastrutture per collegarle fra di loro e con la madre patria – e difendere un immenso impero, se fosse  







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conclusione

stata veramente una società perfettamente chiusa e immobile, addirittura “tibetizzata”. Poteva realizzare la straordinaria impresa solo una società ‘aperta’, una società nella quale ogni giorno si avveravano “miracles of social mobility” (Ruth Pike), una società che offriva buone opportunità di carriera, di ascesa sociale e di arricchimento (e quindi di ascesa sociale) alle persone – hidalgos poveri, cadetti di famiglie della media nobiltà, burocrati, soldati, marinai, artigiani, contadini, commercianti, diseredati, avventurieri – che vi si giocavano la salute, la vita e il poco, o il molto, che possedevano. Naturalmente gli interpreti che prescindono dalla conoscenza piú elementare dei fenomeni e dei processi storici, lo fanno volutamente e deliberatamente. Essi sostituiscono la ricerca della ‘verità effettuale delle cose’ con la loro ‘immaginazione’ e cosí ‘si sono immaginati’ una Spagna ‘mai vista né conosciuta in vero essere’. 1 Altrimenti non sarebbe possibile decriptare i testi secondo idee preconcette e aprioristici schemi ideologici, secondo postulati dogmatici e sillogismi tanto sottili quanto arbitrari ; non sarebbe possibile ‘modernizzarli’ scoprendovi messaggi tanto trasgressivi e sovversivi quanto inverosimili ; non sarebbe possibile semplificarne all’estremo il contesto letterario ; non sarebbe possibile, infine, applicare loro i criteri ‘politicamente corretti’ di oggi. Tali procedimenti sono propri piuttosto della mitopoiesi, della fabulazione e dell’arte divinatoria, che non della severa esegesi filologica e storica. Fedeli da sempre – per inclinazione personale e per l’influsso che, negli anni della adolescenza, la matematica, la fisica e le scienze naturali hanno esercitato sulla nostra formazione culturale – al metodo sperimentale di ricerca della ‘verità effettuale delle cose’, non ci siamo né abbandonati alla immaginazione, né lasciati affascinare dai postulati dogmatici e dalle tante idées reçues che hanno determinato e determinano in gran misura l’interpretazione della Pícara Justina e, in generale, della picaresca. La nostra lunga e complessa ricerca ha cosí potuto dimostrare, mediante l’analisi e l’elaborazione di numerosi documenti e della copiosissima letteratura storiografica, la fragilità di tante tesi fondate non su dati concreti, empiricamente verificabili, ma su un sistema di ipotesi concatenate oppure su postulati dogmatici, su categorie ed essenze ‘metafisiche’, su ‘atti di fede’, sull’adesione acritica ad una o all’altra ‘autorità’, ad una o all’altra ‘ideologia’, ad una o all’altra teoria letteraria. Ricordiamo qualche risultato della nostra ricerca. Abbiamo potuto scoprire che Don Rodrigo Calderón non era, nel 1604, quel gran signore immaginato da tanti studiosi ed accertare che a Toledo e in tutto il Regno di Castiglia il processo di integrazione sociale, di assimilazione religiosa e culturale e di amalgamazione biologica dei conversos di origine ebraica era molto avanzato, ampio e profondo. Abbiamo potuto appurare che gli Statuti di purezza di sangue – i quali “nunca formaron parte de las leyes de España” (Henry Kamen) e quindi “n’ont jamais eu force légale” (Vincent Parello) – non solo avevano un campo di applicazione ‘teorica’ assai limitato e una efficacia pratica quasi nulla, ma che la loro confutazione, la loro riprovazione e persino la loro condanna erano promosse e condivise nei centri del potere politico ed ecclesiastico, negli ambienti aristocratici e colti e nei circoli intellettuali, cosicché stupisce non poco che si sia potuto affermare che la società del Siglo de Oro era “dominée  







1   Niccolò Machiavelli : De Principatibus. Testo critico a cura di Giorgio Inglese (= Fonti per la storia dell’Italia medievale. Antiquitates, 1). Roma : Istituto Storico Italiano per il Medio Evo 1994, p. 253. Questo è il passo dal quale abbiamo citato, con qualche variazione, alcuni frammenti : “[...] sendo l’intenzione mia stata scrivere cosa che sia utile a chi la intende, mi è parso più conveniente andare drieto alla verità effettuale della cosa che alla immaginazione di epsa. E molti si sono immaginati republiche e principati che non si sono mai visti né conosciuti in vero essere.”  





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par le dogme de la « pureté de sang »”, “sclérosée par le culte de l’hérédité et de la « limpieza de sangre »” (Michel Cavillac), e che “combatir la limpieza era el máximo acto de rebeldía contra la sociedad española” (Francisco Márquez Villanueva). Abbiamo potuto verificare, seguendo una intuizione – indotta dai nostri studi sulla letteratura tedesca del Seicento e il suo pubblico – avuta già quasi trent’anni fa quando iniziammo le nostre ricerche sulla picaresca, che l’indice di mobilità sociale ascendente della Spagna del Siglo de Oro era elevato e il potere del denaro assoluto e che quindi la sua società non era affatto immobile e ‘tibetizzata’, bensí “expansiva” ( José Antonio Maravall), ‘aperta’ e sicuramente piú ‘aperta’ – come avevamo già osservato nella nostra monografia sul Lazarillo de Tormes 2 – di quanto lo fosse, nello stesso periodo, quella francese, quella inglese e quella tedesca. Viene cosí rovesciata la tradizionale, diffusissima tesi sociologica – fondata sulla visione di una società completamente priva di mobilità sociale ascendente e retta da ferrei meccanismi di discriminazione, esclusione ed emarginazione – sulla genesi della letteratura picaresca : rappresentazione simbolica, o Widerspiegelung realistica, della chiusura ermetica della società, della assoluta impossibilità dei roturiers, degli appartenenti ai ceti medi e bassi, di ascendere nella piramide sociale e, in particolare, della completa emarginazione dei conversos. La letteratura picaresca nasce e si sviluppa, invece, proprio come reazione al fenomeno della eccessiva mobilità sociale e della eccessiva e rapida apertura della società con tutto il suo corteggio di fenomeni concomitanti – desiderio universale di valer más, ansia di promozione sociale, mistificazioni genealogiche, usurpazioni di status, esteso abuso del Don, diffusa aspirazione alla nobilitazione, degradazione dell’onore, ormai prerogativa esclusiva dei ricchi –, come reazione al potere assoluto del denaro, disgregatore della tradizionale stratificazione sociale e della società concepita come comunità del corpo mistico di Cristo, come reazione, infine, alla proliferazione di nuovi nobili, di cavalieri degli Ordini Militari, di parvenus di origine ‘infame’. Risultati piú incerti ha dato l’ampia analisi del contesto letterario della Pícara Justina, effettuata perché giudicavamo poco convincente il suo inserimento nella sola tradizione della letteratura giocosa e buffonesca, considerata per giunta specificamente e addirittura esclusivamente conversa. La rassegna di tutti i possibili aspetti del contesto letterario dell’opera e, soprattutto, le numerose testimonianze offerteci dalla Fastigimia di Thomé Pinheiro da Veiga sul diffusissimo costume di motejar, apodar, dar matraca, echar pullas, dar vayas, fisgar e burlar negli anni del soggiorno della Corte a Valladolid, gli anni della gestazione e pubblicazione del Libro de entretenimiento, hanno sicuramente evidenziato l’insostenibilità della tesi di una sua filiazione dalla sola “literatura bufonesca y cien por cien judeoconversa” (Francisco Márquez Villanueva). Sono però affiorati nel corso dell’analisi del contesto letterario vari dubbi e problemi che non abbiamo potuto risolvere per la limitatezza delle nostre conoscenze e della documentazione a nostra disposizione. Abbiamo preferito ammettere di non sapere risolverli, piuttosto che ricorrere alla “imaginación” e alle “ganzúas hermenéuticas” raccomandate da Marcel Bataillon e da Francisco Márquez Villanueva. Naturalmente abbiamo formulato anche noi qualche ipotesi, magari azzardata. Sempre però le abbiamo dichiarate per tali e non spacciate per verità. Quel che, a nostro parere, sempre si dovrebbe evitare è il procedimento immaginativo-deduttivo. È sufficiente, infatti, che venga dimostrata la falsità del postulato im 











2   Alberto Martino : Il Lazarillo de Tormes e la sua ricezione in Europa (1554-1753). Volume I : L’opera, pp. 483496.  



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maginato come verità incontrovertibile per poi fondarvi deduttivamente tutta l’interpretazione e il castello intero di ipotesi concatenate, di ardite congetture e di sottili speculazioni crolla miseramente. Se – per esempio – fosse definitivamente dimostrata la fondatezza dell’attribuzione della Pícara Justina a Fray Baltasar Navarrete, tutte le numerose interpretazioni dell’opera derivate dall’assunzione di Marcel Bataillon che il suo autore fosse un medico converso, un buffone e adulatore dei grandi signori, “que se ríe de su propia impureza en las mismas barbas de una minoría seudo selecta que reivindica el monopolio de la pureza para monopolizar honores y prebendas”, risulterebbero non solo infondate – tali appaiono già alla semplice analisi interna del testo –, ma anche assurde. Proprio per rendere, se non impossibile, per lo meno piú difficile il ricorso a postulati dogmatici e a procedimenti immaginativo-deduttivi, abbiamo tentato di ricostruire su basi empiriche e con metodo ‘sperimentale’ il contesto sociale, ‘ideologico’ e letterario della Pícara Justina e di eliminare cosí tutti quegli ostacoli che ne impediscono una corretta lettura. I pochi lettori che hanno avuto la costanza di seguirci fin qui giudicheranno se il nostro tentativo è riuscito.

BIBLIOGRAFIA A. Bibliografie. Cataloghi di biblioteche. Lessici. Raccolte di proverbi. Enciclopedie letterarie. Dizionari storici, sociologici, biografici e genealogici. – B. Edizioni della Pícara Justina. – C. Traduzioni della Pícara Justina. – D. Fonti manoscritte. – E. ‘Documenti’ manoscritti vari (documenti anagrafici, ruoli municipali di contribuenti, autobiografie, memorie, memoriali, decreti, etichette di Corte, pareri, genealogie, ‘prove genealogiche’, diari, ‘discorsi’, ‘colloqui’, ‘dialoghi’, ‘libri verdi’, pamphlets, letteratura religiosa, lettere, carteggi, relazioni, ‘gazzette’, cronache, annali, petizioni, atti di Accademie, atti notarili, atti giudiziari, ecc.), editati dal 1855 ad oggi. – F. Cronache. Storie di città. Relazioni. Libelli. Miscellanee. Autobiografie. Biografie. Agiografie. Dottrina nobiliare. Filosofia morale. Precettistica grammaticale, stilistica, retorica e poetica. Trattati del comportamento. Letteratura religiosa, giuridica, storiografica, politica, pedagogica, misogina, economica, scientifica, emblematica, ecc. – G. Lirica. Narrativa. Teatro. Satira. Gallos. Vejámenes. Raccolte di ‘detti’, facezie, arguzie, aneddoti e sentenze. Letteratura burlesca e folclorica. – H. Studi (Storia e critica della letteratura. Storia della lettura e del libro. Storia della tipografia. Storia politica, finanziaria, economica e sociale. Storia delle istituzioni. Storia delle élites. Storia delle Corti. Storia degli Ordini Militari. Storia delle città. Storia del diritto. Storia della nobiltà. Storia della borghesia. Storia della povertà e della emarginazione. Storia della criminalità. Storia degli ebrei. Storia dei moriscos. Storia dell’agricoltura. Demografia. Sociologia. Antropologia. Storia delle idee e delle mentalità. Storia della scienza. Storia della Chiesa, dell’Inquisizione e dei movimenti spirituali. Storia della cultura. Storia dell’arte, ecc.).

A. Bibliografie. Cataloghi di biblioteche. Lessici. Raccolte di proverbi. Enciclopedie letterarie. Dizionari storici, sociologici, biografici e genealogici Real Academia Española : Diccionario de Autoridades (Madrid 1726-1739). Edición facsímil. Madrid : Gredos 1984, 3 voll. Mariano Alcocer y Martínez : Catálogo razonado de obras impresas en Valladolid, 1481-1800. Valladolid : Imprenta de la Casa Social Católica 1926. José Luis Alonso Hernández : El lenguaje de los maleantes españoles de los siglos XVI y XVII : La Germanía (Introducción al léxico del marginalismo). Salamanca : Ediciones Universidad de Salamanca 1979 (= Actas Salmanticensia. Filosofia y Letras, 108). Carlos Alvar - José Manuel Lucía Megías : Diccionario filológico de literatura medieval española. Textos y transmisión (=Nueva Biblioteca de Erudición y Crítica, 21). Madrid : Castalia 2002. António Joaquim Anselmo : Bibliografia das obras impressas em Portugal no século XVI. Lisboa : Biblioteca Nacional 1926. Bibliotheca Hispana Nova Sive Hispanorum Scriptorum Qui Ab Anno MD. Ad MDCLXXXIV. Floruere Notitia. Auctore D. Nicolao Antonio Hispalensi I. C. Recognita Emendata Aucta Ab Ipso Auctore. Tomus Primus. Matriti Apud Joachimum De Ibarra Typographum Regium MDCCLXXXIII. (Ed. facs. Torino : Bottega d’Erasmo 1963.) Bibliotheca Hispana Nova Sive Hispanorum Scriptorum Qui Ab Anno MD. Ad MDCLXXXIV. Floruere Notitia. Auctore D. Nicolao Antonio Hispalensi I. C. Recognita Emendata Aucta Ab Ipso Auctore. Tomus Secundus. Matriti Apud Viduam et Heredes Joachimi De Ibarra Typographi Regii MDCCLXXXVIII. (Ed. facs. Torino : Bottega d’Erasmo 1963.) Juan Bautista de Avalle-Arce : Enciclopedia Cervantina. Alcalá de Henares : Centro de Estudios Cervantinos 1997. Diogo Barbosa Machado : Bibliotheca Lusitana (Lisboa 1741-1759). Coimbra : Atlântida Editora 1965-1967, 4 tom. Cayetano Alberto de la Barrera y Leirado : Catálogo bibliográfico y biográfico del teatro antiguo  



































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bibliografia

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Manual bibliográfico de Cancioneros y Romanceros. Impresos durante el siglo XVII. Por Antonio Rodríguez-Moñino. Coordinado por Arthur L.-F. Askins. Madrid : Editorial Castalia 19771978, 2 tom. Lorenzo Ruiz Fidalgo : La imprenta en Salamanca (1501-1600). Madrid : Arco/Libros 1994, 3 voll. Pedro Salvá y Mallen : Catálogo de la Biblioteca de Salvá. Valencia : Imprenta de Ferrer de Orga 1872, 2 tom. (Ed. facs. Barcelona : Instituto Porter de Bibliografía Hispánica 1963.) Juan M. Sánchez : Bibliografía Aragonesa del siglo XVI. Madrid : Imprenta Clásica Española 19131914, 2 tom. José Simón Díaz : Bibliografía de la Literatura Hispánica. Madrid : C.S.I.C. 1950 sgg. José Simón Díaz : Dominicos de los siglos XVI y XVII : escritos localizados. Madrid : Universidad Pontificia de Salamanca 1977. José Simón Díaz : Impresos del siglo XVII. Bibliografía selectiva por materias de 3.500 ediciones príncipes en lengua castellana. Madrid : C.S.I.C. 1972. Tomás Tamayo de Vargas : Junta de libros. Edición crítica de Belén Álvarez García (= Biblioteca Áurea Hispánica, 50). Madrid : Iberoamericana-Vervuert 2007. George A. Theodorson - Achilles G. Theodorson : Dizionario di sociologia. Napoli : Alberto Marotta Editore 1975. Eduart Toda y Güell : Bibliografia Espanyola d’Italia. Dels origens de la imprempta fins a l’any 1900. Castell de Sant Miquel d’Escornalbou 1927-1931, 5 voll. Héctor Urzáiz Tortajada : Catálogo de autores teatrales del siglo XVII. Madrid : Fundación Universitaria Española 2002, 2 voll.  











































B. Edizioni della Pícara Justina LIBRO DE | ENTRETENIMIENTO, DE | LA PICARA IVSTINA, EN EL | qual debaxo de graciosos discursos, se | encierran prouechosos auisos. | Al fin de cada numero veras vn discurso, que te muestra | como te has de aprouechar desta lectura, para huyr los | enganos, que oy dia se vsan. | Es juntamente ARTE POETICA, que contiene cincuenta | y vna diferencias de versos, hasta oy nunca recopilados, cuyos | nombres, y numeros estan en la pagina siguiente. | DIRIGIDA A DON RODRIGO | Calderon Sandelin, de la Camara de su | Magestad. Señor de las Villas de la | Oliua y Plasençuela. &c. | COMPVESTO POR EL LICENCIADO | Francisco de Vbeda, natural de Toledo. | [Scudo di D. R. C.] | CON PRIVILEGIO. | [Linea tipografica] | Impresso en Medina del Campo, por Christoual | Lasso Vaca. Año, M.DC.V. (Paris, Bibliothèque Nationale : Rés. p. Y2 231 – Wien, Österreichische Nationalbibliothek : 74. H. 96.) LA PICARA | MONTAÑESA | LLAMADA IVSTINA, | EN EL QVAL DEBAXO DE | graciosos discursos, se encierran | prouechosos auisos. | Al fin de cada numero veras vn discurso, que te muestra | como te has de aprouechar desta lectura, para | huyr los engaños, que oy dia se vsan. | Es juntamente Arte Poetica, que contiene cinquenta | y vna diferencias de versos, hasta oy nunca re- | copilados, cuyos nombres, y numeros | estan en la pagina siguiente. | Dirigido a Don Rodrigo Calderon Sandelin, de la Ca- | mara de su Magestad, señor de las Villas de | la Oliua, y Plasençuela. &c. | COMPVESTO POR EL LICENCIADO | Francisco Lopez de Vbeda natu- | ral de Toledo. | [Piccolo ornamento] | CON LICENCIA. | [Linea tipografica] | Impresso en Barcelona en casa Sebastian de Cor- | mellas, al Call. Año, M.DC.V. | Vendense en la mesma Emprenta. (Madrid, Biblioteca Nacional : R. 11169.) LIBRO | DE ENTRETE- | NIMIENTO, DE LA PI- | CARA IVSTINA, EN EL | QVAL DEBAXO DE GRACIO- | sos discursos, se encierran pro- | uechosos auisos. | AL FIN DE CADA NVMERO VERAS VN | discurso, que te muestra como te has de aprouechar desta | lectura, para huyr los engaños, que oy dia se vsan. | Es juntamente ARTE POETICA, que contiene | cincuenta diferencias de versos, hasta oy nun- | ca recopilados, cuyos nombres, y numeros | estan en la pagina siguiente. | DIRIGIDO | A DON ALONSO PIMENTEL | Y ESTERLICQ DEL CONSEJO DE GVERRA | de su Magestad, y su Capitan de lanças Espa- | ñoles en estos Estados de Flandes. | COMPVESTO POR EL LICENCIADO | Francisco de Vbeda, natural de Toledo. | [Piccolo motivo ornamentale] | EN BRVCELLAS, | En casa de Oliuero Brunello, en la Fuente  





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| de oro. Año M.D.C.VIII. (Wien, Österreichische Nationalbibliothek : 38.W.23. – Wien, Universitätsbibliothek : I - 183292 A.) LA PICARA | MONTAÑESA | LLAMADA IVSTINA, | EN EL QVAL DEBAIO DE | graciosos discursos se encierran | prouechosos auisos. | Al fin de cada numero veràs vn discurso, que te muestra | como te has de aprouechar desta letura para | huyr los engaños que oy dia se vsan. | Es juntamente Arte Poetica, que contiene cin- | quenta y vna diferencias de versos, hasta oy nunca | recopilados, cuyos nombres, y numeros | estan en la pagina siguiente. | Dirigido a don Rodrigo Calderon Sandelin, de la Cama- | ra de su Magestad, señor de las Villas de la Oli- | ua, y Plasençuela, &c. | COMPVESTO POR EL LICENCIA- | do Francisco Lopez de Vbeda, natural | de Toledo. | Año [Piccolo motivo floreale ornamentale] 1640. | CON LICENCIA. | [Linea tipografica] | Impresso en Barcelona, en casa PEDRO | LACAVALLERIA. | Vendese en la misma Imprenta (Wien, Österreichische Nationalbibliothek : 72.L.112.) LA PICARA | MONTAÑESA, | LLAMADA | JUSTINA, | EN EL QUAL, | DEBAJO DE GRACIOSOS DISCURSOS, | se encierran provechosos avisos. | Al fin de cada numero veràs un discurso, que te muestra como te has | de aprovechar de esta letura para huir los engaños que | oy dia se usan. | ES JUNTAMENTE ARTE POETICA, | QUE CONTIENE CINQUENTA Y UNA DIFERENCIAS | de versos, hasta oy nunca recopilados, cuyos nombres, y | numeros hallaràs en su Indice. | COMPUESTO | POR EL LICENCIADO FRANCISCO LOPEZ DE UBEDA, | natural de Toledo. | CORREGIDA Y AUMENTADA | conforme à la primitiva impression. | CON LICENCIA. | [Linea tipografica] | En MADRID por JUAN DE ZUÑIGA. Año de 1735. | A costa de Francisco Manuel de Mena : Se hallarà en su Libreria, Ca- | lle de Toledo, junto à la Porteria de la Concepcion Geronima. (Madrid, Biblioteca Nacional : U-3.242.)  









Francisco López de Úbeda : La Pícara Justina. In : Novelistas posteriores a Cervantes. Tomo Segundo. Con un Bosquejo histórico sobre la novela española escrito por Eustaquio Fernández Navarrete (= Biblioteca de Autores Españoles, 33). Madrid : Atlas 1950 (1.ª ed. 1854), pp. 47-167. Francisco López de Úbeda : La Pícara Justina. In : La novela picaresca española. Estudio preliminar, selección, prólogos y notas de Ángel Valbuena Prat. Tomo I (Septima edición. Primera reimpresión). Madrid : Aguilar 1978 (1.ª ed. 1943), pp. 878-1105. la pícara justina. Edición preparada por Antonio Rey Hazas. Madrid : Editora Nacional 1977, 2 tom. La pícara Justina. Edición de Bruno Mario Damiani. Madrid : José Porrúa Turanzas 1982. Francisco López de Úbeda : Libro de entretenimiento de la Pícara Justina. In : La novela picaresca española. Edición de Florencio Sevilla Arroyo. Madrid : Castalia 2001, pp. 393-561. Francisco López de Úbeda (Baltasar Navarrete) : Libro de entretenimiento de la Pícara Justina In : Novela picaresca, III. Edición de Rosa Navarro Durán. Madrid : Biblioteca Castro 2007, pp. 7-476.  



























C. Traduzioni della Pícara Justina VITA DELLA | PICARA | GIVSTINA | DIEZ ; | Regola de gli animi licentiosi : | In cui con gratiosa maniera si mostrano gl’inganni, | che hoggidì frequentemente s’vsano ; s’additano | le vie di superarli ; e si leggono |  







Sentenze graui, Precetti Politici, | Documenti Morali,  Auuenimenti curiosi, | e Fauole facete, e piaceuoli. | Composta in lingua Spagnuola dal Licentiato Francesco | di Vbeda naturale della Città di Toledo : | Et hora trasportata nella fauella Italiana | da BAREZZO BAREZZI, Cremonese. | Dedicata al Molto Illustre, e generosissimo Sig. | IL SIG. GIOVANNI DA STETTEN. | [Marca tipografica] | IN VENETIA, MDCXXIV. | [Linea tipografica] | Appresso Barezzo Barezzi. | Con Licenza de’ Superiori, & Priuilegio. (Washington, Library of Congress : PQ 6420. P 5 I 5.) DELLA VITA | DELLA PICARA | GIVSTINA DIEZ | Volume Secondo, Intitolato | LA DAMA VAGANTE, |  



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Saggia ne’ detti, Accorta nell’ingannare, | Gratiosa nel conuersare, Svegliata nell’adormentare, | Gentile nello Schernire, Segretaria nello scriuere, | Viuace nel motteggiare, Presta nel prendere, e non mai | Pronta nell’inuentare,  rendere ; | Et Ingegnosa nel raccontar a tempo, e sotto finti sembianti, Dicerie, | & Auuenimenti notabili, con Sentenze, e Detti singolari. |  

Lettione veramente graue, curiosa, picante, lieta, & vtile. | Composta in lingua Spagnuola dal Licentiato | FRANCESCO VBEDA DI TOLEDO ; | Et hora trasportata nella fauella Italiana | DA BAREZZO BAREZZI | Cremonese Venetiano. | DEDICATA AL MOLTO ILLVSTRE | SIG. CAVALIER ROVELLO. | [Marca tipografica] | IN VENETIA Presso il Barezzi. MDCXXV. | [Linea tipografica] | Con Licenza de’ Superiori, & Priuilegio. (Washington, Library of Congress : PQ 6420. P 5 I 5.) Die Landstörtzerin | IVSTINA DIETZIN PICARA | genandt | Jn deren wunderbarlichen Le- | ben vnd Wandel / alle List vnd Betrug / | so in jtzigen zeit verübt vnd getrieben werden / vnd | wie denselbigen zubegegnen / artig | beschrieben. | Beneben allerley schönen Sprüchen / | Politischen Regeln / Lehrhafften Erinnerun- | gen / trewhertzigen Warnungen / vnd kurtzwei- | ligen / anmuhtigen Fabeln. | Erstlichen | Durch Herrn Licentiat FRANCISCVM di | VBEDA von TOLEDO in Spanischer Spraach | beschrieben / vnnd in zwey Bücher | abgetheilt. | Nachmals von BARETZO BARETZI in J- | talianisch transferiert / vnd nun zum letzten | auch in vnser hochteutsche Spraach | versetzt. | [Piccolo motivo ornamentale] | Franckfurt am Mayn / | Gedruckt bey Johann Friderichen Weissen / | [Linea tipografica] | M.DC.XXVI. (Berlin, Staatsbibliothek Preußischer Kulturbesitz : Xl 3304. – Ed. facs. Hildesheim : Georg Olms 1975.) Der Landtstürtzerin | JVSTINAE DIETZIN PICARAE | II. Theil/ | Die frewdige DAMA genannt : | Jn deren wunderbarlichem Le- | ben vnd Wandel alle List vnd betrüg / so in | den jetzigen Zeiten hin vnd wider verübet vnd getrie- | ben werden / vnnd wie man denselbigen zu | begegnen / sehr fein vnd artig be- | schrieben. | Beneben allerley schönen vnd denckwür- | digen Sprüchen / Politischen Regeln / arglistigen | vnnd verschlagenen Grieffen vnd Erfindungen / lehr- | hafften Erinnerungen / trewhertzigen Warnungen / | anmutigen vnd kurtzweiligen | Fabeln. | Erstlichen | Durch Herrn Licentiat FRANCISCVM di Ubeda von | TOLEDO in Spannischer Sprach beschrieben / vnd in zwey | sonderbare Bücher abgetheilt. | Nachmals von BARETZO BARETZI in Jtalianisch | transferiert : Vnd nun zum letzten auch in vnsere hoch Teut- | sche Sprach versetzt. | [Piccolo motivo ornamentale] | Franckfurt am Mayn / | Getruckt bey Caspar Röteln / Jn Verlegung | Johannis Ammonii Burgers vnd | Buchhändlers. | [Linea tipografica] | M.DC.XXVII. (Berlin, Staatsbibliothek Preußischer Kulturbesitz : Xl 3304. – Ed. facs. Hildesheim : Georg Olms 1975.) LA | NARQVOISE | IVSTINE. | LECTVRE PLEINE DE RECREA- | tiues auentures, & de morales railleries, | contre plusieurs conditions humaines. | [Marca tipografica] | A PARIS, | Chez PIERRE BILAINE, rue Sainct | Iacques, prés S. Yue à la bonne Foy. | [Linea tipografica] | M.DC.XXXV. | AVEC PRIVILEGE DV ROY. (Besançon, Bibliothèque Municipale : 244799.)  

















D. Fonti manoscritte Cargos que resultan de la visita hecha a Don Pedro Franqueza, Conde de Villalonga, secretario de Estado, por mandado de S Mg.d el Rey Don Philippe III. La qual executò el Licenciado Don Fernando Carrillo, de el Consexo y de la Camara. Por ante Francisco de Monzon contador de merzedes de S Mg. como su escriuano. Año 1606. (Madrid, Biblioteca Nacional : Ms. 960.) Constitucion del Card. Arzobispo de Toledo D. Pedro Gonzalez de Mendoza. (Madrid, Biblioteca Nacional : Ms. 13021, fo. 153r-156r.) Costituciones ... fechas è hordenadas en el sinodo que fuè fecho è celebrado en la Villa de Alcalà de Henares de la Diocesi de Toledo por mandado del muy Reverendo ... Señor D. Alfonso  



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E. ‘Documenti’ manoscritti vari (documenti anagrafici, ruoli municipali di contribuenti, autobiografie, memorie, memoriali, decreti, etichette di Corte, pareri, genealogie, ‘prove genealogiche’, diari, ‘discorsi’, ‘colloqui’, ‘dialoghi’, ‘libri verdi’, pamphlets , letteratura religiosa, lettere, carteggi, relazioni, ‘gazzette’, cronache, annali, petizioni, atti di Accademie, atti notarili, atti giudiziari, ecc.), editati dal 1855 ad oggi Actas de la Academia de los Nocturnos. Estudio introductorio, edición crítica y notas de José Luis Canet, Evangelina Rodríguez, Josep Lluís Sirera. Valencia : Edicions Alfons el Magnànim 1988-1996, 4 voll. Baltasar Álamos de Barrientos : Discurso político al Rey Felipe III al comienzo de su reinado. Introducción y notas de Modesto Santos (= Textos y Documentos, 7). Barcelona : Anthropos 1990. Documentos referentes a Mateo Alemán (1546-1607). Hallados por Francisco Rodríguez Marín. Madrid : Tipografía de Archivos 1933. Juan Arce de Otálora : Coloquios de Palatino y Pinciano. Madrid : Biblioteca Castro 1995, 2 tom. Averiguaciones hechas por mandado del señor Alcalde Cristóval de Villarroel sobre las heridas que se dieron á don Gaspar de Ezpeleta, caballero del hábito de Santiago. 1605. In : Cristóbal Pérez Pastor – Nicomedes Sanz y Ruiz de la Peña – Amalia Prieto Cantero : Cervantes en Valladolid. Edición facsímil. Valladolid : Grupo Pinciano – Caja España 1992, pp. 15-187 (facs. del manoscritto) ; pp. 193-289 (« Transcripción del proceso a Cervantes por Cristóbal Pérez Pastor »). – Averiguaciones ... In : El proceso Ezpeleta. Edición de Carlos Martín Aires. Burgos : Fundación Instituto Castellano y Leonés de la Lengua 2005, pp. 45-118. Discurso de la vida del ilustrísimo y reverendísimo señor Don Martín de Ayala, Arzobispo de Valencia. Escrito por sí mismo. In : Autobiografías y Memorias. Coleccionadas é ilustradas por M. Serrano y Sanz (= Nueva Biblioteca de Autores Españoles, 2). Madrid : Casa Editorial Bailly/Bailliére 1902, pp. 211-238. Conrad von Bemelberg : A un Caballero aleman españoliçado (De Boloña, y de Augusto año de 1599). In : Arturo Farinelli : Viajes por España y Portugal. Desde la Edad Media hasta el siglo XX. Divagaciones bibliográficas. Madrid : Centro de Estudios Históricos 1920, pp. 158-160. Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614. Por Don Luis Cabrera de Córdoba, criado y cronista del Rey Don Felipe II. Publicadas de Real Orden. Madrid : Imprenta de J. Martín Alegría 1857. (Ed. facs. – con una « Prefacio » di Ricardo García Cárcel – Salamanca : Junta de Castilla y León 1997.) José Martí y Monsó : Los Calderones y el Monasterio de Nuestra Señora de Portaceli. DOCUMENTOS. In : Boletín de la Sociedad Castellana de Excursiones, Valladolid, Año VIII (1910), pp. 293-299, pp. 322-333, pp. 352-359, pp. 379-388, pp. 400-405, pp. 431-434, pp. 454-459, pp. 486-488, pp. 491-496, pp. 528-536, pp. 554-560, pp. 565-576 ; Año IX (1911), pp. 41-48, pp. 82-89. – Los Calderones y el Monasterio de Nuestra Señora de Portaceli. Relación alfabética de las personas que se han mencionado en los DOCUMENTOS. In : Boletín de la Sociedad Castellana de Excursiones, Valladolid, Año IX (1911), pp. 260-265, p. 315, pp. 334-336, pp. 357-358, pp. 433-436, pp. 546-547. Traslado de una Carta de privilegio que el rey Don Juan II dio a un hidalgo. In : Sales españolas o Agudezas del ingenio nacional. Recogidas por Antonio Paz y Melía. Segunda edición de Ramón Paz (= Biblioteca de Autores Españoles, 176). Madrid : Atlas 1964, pp. 25-28. D. Alonso de Cartagena, Obispo de Burgos : Defensorium Unitatis Christianae (Tratado en favor de los judíos conversos). Edición, prólogo y notas por el P. Manuel Alonso, S. J. (= Consejo Superior de Investigaciones Científicas. Instituto Arias Montanos. – Escuela de Estudios Hebraicos, Serie B. Núm. 2). Madrid : C. S. I. C. 1943.  































































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derlande, 1599-1600. Im Auftrag der Historischen und Antiquarischen Gesellschaft zu Basel herausgegeben von Rut Keiser (= Basler Chroniken 9/I-II). Basel - Stuttgart : Schwabe & Co. Verlag 1968, 2 voll. Extracto del pleito que pasaba ante el notario Alonso Martínez de Mora. 1487, mayo, 14. In : Pilar León Tello : Judíos de Toledo. Tomo I. Estudio histórico y colección documental. Madrid : C. S. I. C. 1979, pp. 523-524. Luis Astrana Marín : Epistolario completo de D. Francisco de Quevedo-Villegas. Edición crítica. (Con extensas anotaciones, apéndices, documentos inéditos y una acabada bibliografía). Madrid : Instituto Editorial Reus 1946. Nuevas cartas de la última prisión de Quevedo. Estudio, edición crítica y anotaciones de James O. Crosby (= Colección Támesis. Serie B : Textos, 47). Woodbridge, Suffolk : Tamesis 2005. Francisco de Quevedo : Execración contra los judíos [Villanueva de los Infantes, 20 de julio de 1633]. Edición de Fernando Cabo Aseguinolaza y Santiago Fernández Mosquera (= Anejos de Biblioteca Clásica). Barcelona : Crítica 1996. Relación de las cosas notables que parescen por los Libros del Ayuntamiento de la Cibdad de Toledo del año de veynte e veynte e un años que toca, y contra de los estceptados en el perdon e condenados de la dicha Cibdad. In : D. Antonio Martín Gamero : Historia de la Ciudad de Toledo, sus claros varones y monumentos. Toledo : Imprenta de Severiano López Fando 1862, pp. 1074-1083. Relación del cristianismo de la Srma. Infanta y de lo demás que se ofrece, hasta 12 de Octubre de 1601. In : Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614. Madrid : Imprenta de J. Martín Alegría 1857, pp. 119-122. Relacion de la manera que se hizo el juramento del Principe Nuestro Señor por los grandes, títulos y sus primogénitos, caballeros y procuradores de estos reinos, á los 13 de Enero 1608, domingo por la mañana en la iglesia del monasterio de San Gerónimo de esta villa de Madrid. In : Luis Cabrera de Córdoba : Relaciones de las cosas sucedidas en la Córte de España, desde 1599 hasta 1614. Madrid : Imprenta de J. Martín Alegría 1857, pp. 325-329. Relacion de los vecinos que parece que ay en la Ciudad de Toledo en este presente año de mil y quinientos y sesenta y uno. In : Linda Martz - Julio Porres Martín-Cleto : Toledo y los toledanos en 1561 (= Publicaciones del Instituto Provincial de Investigaciones y Estudios Toledanos. Serie primera. Monografías. Vol. 5). Toledo 1974, pp. 161-288. Carmelo Viñas y Ramón Paz : Relaciones histórico-geográfico-estadísticas de los pueblos de España hechas por iniciativa de Felipe II. Reino de Toledo. Madrid : C. S. I. C. 1951-1963, 3 voll. Alfredo Alvar Ezquerra (Coordinador) : Relaciones Topográficas de Felipe II. Madrid. Transcripción de los manuscritos. Madrid : Comunidad de Madrid - C.S.I.C. 1993, 2 voll. Relation d’un voyage en Espagne (1612). In : Revue Hispanique 59 (1923), pp. 359-555. Juan de Robles : El culto sevillano [1631]. Edición de Alejandro Gómez Camacho. Sevilla : Universidad de Sevilla 1992. Fray Augustín Salucio : Avisos para los predicadores del Santo Evangelio. Estudio preliminar, edición y apéndices por Alvaro Huerga O. P. (= Espirituales Españoles. Serie A : Textos. Tomo II). Barcelona : Juan Flors 1959. Fray Augustín Salucio : Al padre Maestro fray Diego Calahorrano, Provincial de la Andalucía, de la Orden de S. D. (Madrid, Biblioteca Nacional, Ms. 17.909/5). La lettera è riprodotta in : Alvaro Huerga O. P. : « Estudio preliminar » a : Fray Augustín Salucio : Avisos para los predicadores del Santo Evangelio. Estudio preliminar, edición y apéndices por Alvaro Huerga O. P. (= Espirituales Españoles. Serie A : Textos. Tomo II). Barcelona : Juan Flors 1959, pp. 23-25. Fray Augustín Salucio : Sermón del Domingo de Ramos. In : Fray Augustín Salucio : Avisos para los predicadores del Santo Evangelio. Estudio preliminar, edición y apéndices por Alvaro Huerga O. P. (= Espirituales Españoles. Serie A : Textos. Tomo II). Barcelona : Juan Flors 1959, pp. 226-236 (= « Apéndice II »). José Amaro Sánchez (Don Amaro Rodríguez) : Sermones predicables del loco Don Amaro. Edición y notas Introductorias, por Luis Estepa. Madrid : Mayo de Oro 1987. Sarao que sus Magestades hiçieron en palaçio por el ... naçimiento del príncipe nuestro señor  

































































































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don Filipe, cuarto deste nombre, en la çiudad de Valladolid, a los dieziséis del mes de junio, año de 1605. In : Teresa Ferrer Valls : Nobleza y espectáculo teatral (1535-1622). Estudio y documentos (= Textos Teatrales Hispánicos del siglo XVI, 1). Valencia : Universitat de València 1993, pp. 235-244. La soplicación e rrequerimiento que Pero Sarmiento e el común de Toledo, por sí e por las otras cibdades del rreyno, presentaron sobre el çerco e agrauios que le fazían. In : Crónica del Halconero de Juan II, Pedro Carrillo de Huete (hasta ahora inédita). Edición y estudio por Juan de Mata Carriazo. Madrid : Espasa-Calpe 1946 (= Colección de Crónicas Españolas por J. de M. Carriazo, VIII), pp. 520-527. Sucesos del Reinado de Felipe III. (Manuscrito 2.577 de la B. Nacional de Madrid, por el P. Fray Jerónimo de Sepúlveda, religioso jerónimo en San Lorenzo el Real de El Escorial). VII (1602). In : La Ciudad de Dios, CXXIX/3 (5 Abril 1922), pp. 32-40. Sucesos del Reinado de Felipe III. (Manuscrito 2.577 de la B. Nacional de Madrid, por el P. Fray Jerónimo de Sepúlveda, religioso jerónimo en San Lorenzo el Real de El Escorial). XII (1603). In : La Ciudad de Dios, CXXX/2 (5 Julio 1922), pp. 15-25. Julio Serra : Procesos en la Inquisición de Toledo (1575-1610). Manuscrito de Halle. Madrid : Editorial Trotta 2005. La vida y cosas notables del señor Obispo de Zamora Don Diego de Simancas, natural de Córdoba, Colegial del Colegio de Santa Cruz de Valladolid, escrita por el susodicho. In : Autobiografías y Memorias. Coleccionadas é ilustradas por M. Serrano y Sanz (= Nueva Biblioteca de Autores Españoles, 2). Madrid : Bailly/Baillière 1905, pp. 151-210. Diario de un estudiante de Salamanca. La crónica inédita de Girolamo da Sommaia (1603-1607). Edición e introducción de George Haley (= Acta Salmanticensia. Historia de la Universidad, 27). Salamanca : Universidad de Salamanca 1977. Don Francisco de Tejada a Felipe IV. Madrid, 26 de Mayo de 1621. Consulta de Don Francisco de Tejada … acerca del breve remedio que se ha de poner al exceso que hay sobre sacar oro y plata de estos Reinos. In : La Junta de Reformación. Documentos procedentes del Archivo Histórico Nacional y del General de Simancas. Transcritos por D. Ángel González Palencia. 1618-1625. Valladolid 1932 (= Archivo Histórico Español, V), pp. 73-76. Juan de Torquemada : Tractatus contra madianitas et ismaelitas. Edición crítica de Ángel Martínez Casado. In : Eloy Benito Ruano – Carlos del Valle R. – Justo Formentín Ibáñez, et al. : Tratado contra los madianitas e ismaelitas de Juan de Torquemada (Contra la discriminación conversa). Editor : Carlos del Valle Rodriguez (= España judía. Serie : Conversos). Madrid : Aben Ezra Ediciones 2002, pp. 125-239. Gaspar de Uceda : Tratado contra los Estatutos de Limpieza de Sangre. In : Elvira Pérez Ferreiro : El Tratado de Uceda contra los Estatutos de Limpieza de Sangre. Una reacción ante el establecimiento del Estatuto de Limpieza en la Orden Franciscana. Madrid : Aben Ezra Ediciones 2000, pp. 65-153. Memorial del Inquisidor general Fernando de Valdés a Felipe II sobre censura de libros (2 giugno 1558). In : Fermín de los Reyes Gómez : El libro en España y América. Legislación y Censura (siglos XV-XVIII). II. Madrid : Arco/Libros 2000, pp. 1252-1254. Pedro de Valencia : Carta a Fray Gaspar de Córdoba, confesor de Felipe III, sobre el segundo tributo de la octava de vino y aceite, y sus inconvenientes. Zafra, 19 de noviembre de 1603. – Carta a Fray Gaspar de Córdoba, confesor de Felipe III, sobre conferir los empleos a los poderosos y evitar sus injusticias. Zafra, 31 de diciembre de 1603. – Carta a Fray Diego de Mardones, confesor de Felipe III, remitiéndole para el Rey un Discurso sobre la tasa del pan. Zafra, 27 de julio de 1605. – Carta a Fray Diego de Mardones, confesor de Felipe III, haciéndole ver los inconvenientes de la subida de la moneda de plata. Zafra, 27 de octubre de 1606. – Carta a Fray Diego de Mardones, confesor de Felipe III, sobre la generalidad e igualdad en el repartimiento de las cargas públicas, subida de la plata, tributo en la harina y precio del trigo. Zafra 1606. In : Pedro de Valencia : Obras completas. Volumen IV/1. Escritos sociales. I. Escritos económicos. Estudio introductorio por Jesús Luis Paradinas Fuentes. Edición crítica, texto e introducción filológica por Rafael González Cañal. León : Universidad de León. Secretariado de Publicaciones 1994, pp. 17-23, pp. 25-28, pp. 73-76, pp. 125-130, pp. 131-135.  



























































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Pedro de Valencia : Consideración acerca de enfermedades y salud del Reino. In : Pedro de Valencia : Obras completas. Volumen IV. Escritos sociales. 2. Escritos políticos. Estudios Introductorios por Rafael González Canal, Rafael Carrasco, Gaspar Morocho Gayo. Edición crítica y notas por Rafael González Canal, Hipólito B. Riesco Álvarez. León : Universidad de León. Secretariado de Publicaciones 1999, pp. 513-527. Pedro de Valencia : Discurso contra la ociosidad. Madrid, 6 de Enero de 1608. In : Pedro de Valencia : Obras completas. Volumen IV/1. Escritos sociales. I. Escritos económicos : 1590-1608. León : Universidad de León. Secretariado de Publicaciones 1994, pp.159-173. Pedro de Valencia : Discurso sobre el acrecentamiento de la labor de la tierra. (Al Rey nuestro Señor.) Madrid, 1607. In : Pedro de Valencia : Obras completas. Volumen IV/1. Escritos sociales. I. Escritos económicos. León : Universidad de León. Secretariado de Publicaciones 1994, pp. 137-158. Pedro de Valencia : Discurso o Memorial sobre el precio del pan. Zafra, 25 de Julio de 1605. In : Pedro de Valencia : Obras completas. Volumen IV/1. Escritos sociales. I. Escritos económicos. León : Universidad de León. Secretariado de Publicaciones 1994, pp. 29-71. Pedro de Valencia : Respuesta a algunas réplicas que se han hecho contra el Discurso del precio del pan, para el Rmo. Confesor de su Majestad, el Padre Fray Diego de Mardones. Zafra, noviembre de 1605. In : Pedro de Valencia : Obras completas. Volumen IV/1. Escritos sociales. I. Escritos económicos. León : Universidad de León. Secretariado de Publicaciones 1994, pp. 99-110. Pedro de Valencia : Tratado acerca de los moriscos de España (ca. 1605-1606). Edición crítica por Rafael González Canal. In : Pedro de Valencia : Obras completas. Volumen IV. Escritos sociales. 2. Escritos políticos. Estudios Introductorios por Rafael González Canal, Rafael Carrasco, Gaspar Morocho Gayo. Edición crítica y notas por Rafael González Canal, Hipólito B. Riesco Álvarez. León : Universidad de León. Secretariado de Publicaciones 1999, pp. 67-139. Mosén Diego de Valera : Memorial de diversas hazañas. In : Crónicas de los Reyes de Castilla desde don Alfonso el Sabio, hasta los Reyes Católicos Don Fernando y Doña Isabel. Colección ordenada por don Cayetano Rosell. Tomo tercero (= Biblioteca de Autores Españoles, 70). Madrid : Atlas 1953, pp. 3-95. Fray Domingo de Valtanás, O. P. : Apología de los conversos (1557). In : F. D. de V. : Apología sobre ciertas materias morales en que hay opinión y Apología de la comunión frequente. Estudio preliminar y edición de Álvaro Huerga, O. P. y Pedro Sainz Rodríguez (= Espirituales Españoles. Serie A : Textos, Tomo XII). Barcelona : Juan Flors 1963, pp. 151-158. Epistolario de Lope de Vega Carpio, que por acuerdo de la Real Academia Española pública Agustín G. De Amezúa. [Tom. : III-IV]. Madrid : Artes Gráficas « Aldus » 1941-1943. (Ed. facs. Madrid : Real Academia Española 1989.) Valerio Vicencio (Fray Gaspar León de Tapia ?) : Al Poema delírico de don Francisco de Quevedo contra el patronato de la gloriosa virgen santa Teresa (1628). In : Francisco de Quevedo y Villegas : Obras completas. Textos genuinos del autor, descubiertos, clasificados y anotados por Luis Astrana Marín. Edición crítica. Obras en verso. Madrid : Aguilar 1943, pp. 983-989. Visita y cargos de Don Pedro Franqueza, Conde de Villalonga, Secretario de Estado del Señor Rey Don Felipe III de este nombre. En Madrid a 22 de diciembre de 1609. (Fragmento.) In : José Antonio Escudero : Los secretarios de Estado y del Despacho (1474-1724). Tomo III. Madrid : Instituto de Estudios Administrativos 1976, pp. 792-818. Joan de Xerez y Lope de Deça : Razón de Corte. Estudio introductorio, notas e ilustraciones por Antonio T. Reguera Rodríguez (= Humanistas Españoles, 21). León : Universidad de León 2001. Juan Menéndez Pidal : Don Francesillo de Zúñiga, bufón de Carlos V. Cartas inéditas. In : Revista de Archivos, Bibliotecas y Museos, Madrid, 20 (1909), 182-199 ; 21 (1909), 72-95, 190. Comienza el epistolario del famoso coronista Don Francés, y son cartas enviadas á diversas ilustres personas. In : Curiosidades bibliográficas. Colección escogida de obras raras de amenidad y erudicción. Con apuntes biográficos de los diferentes autores. Por D. Adolfo de Castro (= Biblioteca de Autores Españoles, 36). Madrid : Atlas 1950 (1.ª ed. 1855), pp. 55-62.  









































































































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bibliografia

F. Cronache. Storie di città. Relazioni. Libelli. Miscellanee. Autobiografie. Biografie. Agiografie. Dottrina nobiliare. Filosofia morale. Precettistica grammaticale, stilistica, retorica e poetica. Trattati del comportamento. Letteratura religiosa, giuridica, storiografica, politica, pedagogica, misogina, economica, scientifica, emblematica, ecc. Leon Battista Alberti : I Libri della Famiglia. A cura di Ruggiero Romano e Alberto Tenenti. Nuova edizione a cura di Francesco Furlan (= Nuova Universale Einaudi, 102). Torino : Einaudi 1994. Los Emblemas de ALCIATO traducidos en rhimas Españolas (por Bernardino Daza Pinciano). En Lyon por Gvillielmo Rovillio 1549. (Ed. facs. preparada por Rafael Zafra. Barcelona : José J. de Olañeta 2003.) Andrea Alciato : Il libro degli emblemi, secondo le edizioni del 1531 e del 1534. Introduzione, traduzione e commento di Mino Gabriele (= Classici, 74). Milano : Adelphi 2009. Pedro de Alcocer : Hystoria, o Descripcion dela Imperial cibdad de Toledo. Con todas las cosas acontecidas en ella, desde su principio, y fundacion. En Toledo. Por Iuan Ferrer. 1554. Con Preuilegio Imperial. (Ed. facs. Madrid : EPSC – per : Instituto Provincial de Investigaciones y Estudios Toledanos – 1973). SAN ANTONIO | DE PADVA | DE | Mateo Aleman. | [Piccolissimo ornamento] | DIRIGIDO | Al Reyno y nacion Lusitana. | [Piccolo ornamento] | CON LICENCIA DEL | Santo Oficio de la Inquisicion, y Preui- | legios de su Magestad para Castilla | y Portugal. | [Piccola stella] | IMPRESSO EN SEVILLA | por Clemente Hidalgo. Año. 1604. | [Tre piccole stelle] | (Santander, Biblioteca de Menéndez Pelayo : R-VIII-2-19.) [All’interno di una cornice floreale rettangolare :]´ORTOGRAFIA | CASTELLANA. | ¶ A DON IVAN DE BILLELA, | del consejo del rei nuestro señor, presi- | dente de la real audiencia de Guada- | lajara, visitador jeneral de la | Nueva España. | [Piccolo ramo di fiori] POR MATEO ALEMAN, [Piccolo ramo di fiori] | criado de su majestad. | [Grande stemma] | Con previlejio por diez años. | EN MEXICO. | En la emprenta de Ieronimo Balli. Año 1609. | Por Cornelio Adriano Cesar. | (Wien, Österreichische Nationalbibliothek : 73.G.12.) Andrés de Almansa y Mendoza : Obra periodística. Edición y Estudio de Henry Ettinghausen y Manuel Borrego (= Nueva Biblioteca de Erudición y Crítica, 20). Madrid : Castalia 2001. Las Siete Partidas del sabio Rey don Alonso el nono, nueuamente Glosadas por el Licenciado Gregorio Lopez del Consejo Real de Indias de su Magestad. Impresso en Salamanca Por Andrea de Portonaris, Impressor de su Magestad. Año M.D.L.V. Con priuilegio Imperial. Esta tassado el pliego a cinco marauedis. (Ed. facs. Madrid : Boletín Oficial del Estado 1985.) P. Alonso de Andrade : El buen soldado católico y sus obligaciones. Edición y prólogo por Martín de Riquer (= Selecciones Bibliófilas. Segunda serie, vol. X-XI). Barcelona 1959, 2 tom. Censura de Historias Fabulosas, Obra posthuma De Don Nicolas Antonio, Cavallero de la Orden de Santiago, Canonigo de la Santa Iglesia de Sevilla, del Consejo del Señor Don Carlos Segundo, i su Fiscal en el Real Consejo de la Cruzada. Van añadidas algunas Cartas del mismo Autor, i de otros Eruditos. Publica estas Obras Don Gregorio Mayàns i Siscàr, Autor de la Vida de Don Nicolas Antonio. Con Licencia. En Valencia, por Antonio Bordazàr Artàzu, Impressor del S. Oficio, i de la Il. Ciudad. Año de MDCCXLII. (Ed. facs. Madrid : Visor Libros - Biblioteca Filológica Hispana / 43 – 1999.) ( Juan Arce de Otálora :) SVMMA NOBI | LITATIS HISPANICAE, ET IMMVINITATIS REGIORVM TRI | butorvm, causa, jus, ordinem, iudicium, & excusationem breuiter | complectens : nunc postremò recognita, atque infinitis pro- | pè locis emendata, nouisque additio- | nibus aucta. | Authore Ioanne ab Otalora olim quidem in Granatensi, nunc verò | in Vallisoletana curia Senatore Regio. | Cui accessit rerum & verborum Index copiosissimus. | [Marca del libraio Juan Moreno] | SALMANTICAE. | Excudebat Ioannes baptista à Terranoua. | Anno Domini M.D.LXX. | CVM PRIVILEGIO. | Expensis Ioannis Moreni Bibliopolae. (Wien, Österreichische Nationalbibliothek : 37. C. 5.)  





































bibliografia

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Nobleza de Andalucía, que dedicó al Rey Don Felipe II Gonzalo Argote de Molina. Nueva edición ilustrada con unos quinientos grabados intercalados en el texto ; corregida, anotada y precedida de un discurso crítico del Señor Doctor Don Manuel Muñoz y Garnica. Jaén : Francisco López Vizcaíno 1866. (Ed. facs. Jaén : Riquelme y Vargas Ediciones 1991.) Aristote : Poétique. Texte établi et traduit par J. Hardy. Paris : Société d’Édition « Les Belles Lettres » 1961. Aristote : Rhétorique. Texte établi et traduit par Médéric Dufour. Paris : Société d’Édition « Les Belles Lettres » 1960, 2 tom. Madame d’Aulnoy : Relation du voyage d’Espagne. Avec une introduction et des notes par R. Foulché-Delbosc. Paris : Librairie C. Klincksieck 1926. Autobiografías de asturianos de los siglos XVI, XVII, XVIII y XIX (« Relaciones » de sus grados, méritos y servicios). Estudio y recopilación por J. L. Pérez de Castro. Oviedo : Real Instituto de Estudios Asturianos - Principado de Asturias 2005-2008, 4 tomi (Tomo I : A-E, Tomo II : F-L, Tomo III : LL-M-N, Tomo IV : O-P-Q-R). San Juan de Ávila : Audi, filia (Toledo : Juan de Ayala 1574). In : San Juan de Ávila : Obras completas. Nueva edición crítica. I. Introducciones, edición y notas de Luis Sala Balust y Francisco Martín Hernández. Madrid : Biblioteca de Autores Cristianos 2000, pp. 533-780. Avisos y reglas cristianas para los que desean servir a Dios, aprovechando en el camino espiritual. Compuestas por el Maestro Ávila sobre aquel verso de David : « Audi, filia, et vide, et inclina aurem tuam » (Alcalá de Henares : Luys Gutierrez 1556). In : San Juan de Ávila : Obras completas. Nueva edición crítica. I. Introducciones, edición y notas de Luis Sala Balust y Francisco Martín Hernández. Madrid : Biblioteca de Autores Cristianos 2000, pp. 405-532. Obras completas del Santo Maestro Juan de Ávila. Edición crítica. II. Sermones : Ciclo temporal. Edición iniciada por el doctor don Luis Sala Balust. Nueva edición, revisada y continuada por el doctor Francisco Martín Hernández. Madrid : Editorial Católica 1970. Historia de los Reyes Católicos Don Fernando y Doña Isabel, escrita por el Bachiller Andrés Bernáldez, cura que fué de la Villa de los Palacios y Capellan de Don Diego Deza, Arzobispo de Sevilla. In : Crónicas de los Reyes de Castilla desde don Alfonso el Sabio, hasta los Reyes Católicos Don Fernando y Doña Isabel. Colección ordenada por don Cayetano Rosell. Tomo tercero (= Biblioteca de Autores Españoles, 70). Madrid : Atlas 1953, pp. 567-773. Fray Jaime Bleda : Corónica de los moros de España. En Valencia, en la Impression de Felipe Mey. Año 1618. (Ed. facs. con uno « Estudio introductorio » di Bernard Vincent e Rafael Benítez Sánchez-Blanco. València : Ajuntament de València - Universitat de València 2001.) Jean Bodin : Les six livres de la République. Texte revu par Christiane Frémont, Marie-Dominique Couzinet, Henri Rochais (= Corpus des Oeuvres de Philosophie en Langue Française. Sous la direction de Michel Serres). Paris : Fayard 1986, 6 voll. Juan Bodino : Los seis libros de la Republica. Traducidos de lengua francesa y enmendados catholicamente por Gaspar de Añastro Isunza. (Tvrin : Herederos de Bevilaqva 1590.) Edición y estudio preliminar por José Luis Bermejo Cabrero. Madrid : Centro de Estudios Constitucionales 1992, 2 tom. AD INSIGNEM OMNIQVE LAVDE PRE | stantissimum virum GERARDUM CUMANUM / POGGII | Florentini DE NOBILITATE LIBER [1440]. In : POGGII FLORENTINI ORATORIS | CLARISSIMI AC SEDIS APO. | SECRETARII OPERVM | Primae partis contenta. | Historia disceptatiua de AVARICIA. | Historiae disceptatiuae CONVIVALES tres. | DE NOBILITATE liber disceptatorius | [...] | 1513 | [Col. : ARGENTINAE | Impensis prouidi IOANNIS | KNOBLOVCHI : litterario praelo | IOANNIS SCHOT | pressum hoc opus | POGGII sub annum Dñi. | MDXIII. Kaleñ. | Septembris]. (Wien, Österreichische Nationalbibliothek : *46.E.40), fo. 25r-32r. Poggio Bracciolini : De vera nobilitate. A cura di Davide Canfora (= Edizione Nazionale dei Testi Umanistici, 6). Roma : Edizioni di Storia e Letteratura 2002. Libro de Consideraciones sobre los Evangelios, desde el Domingo de Septuagéssima, y todos los Domingos y Ferias de Quaresma, hasta el Domingo de la Octava de Resurrección. Compuestos por el M. R. P. Maestro Fray Alonso de Cabrera de la Orden de S. Domingo de la Provincia  





































































































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de Andaluzía. Predicador de los Sereníssimos y Catholicos Reyes Don Phelipe II y Don Phelipe III. Tomo primero de Quaresma. Dirigido a Don Francisco de Rojas Sandoval, Duque de Lerma. Año de 1601. Con privilegio Real. En el Convento de S. Pablo de Córdova, de la Orden de S. Domingo. Por Andrés Barrera. In : Sermones del P. Fr. Alonso de Cabrera de la Orden de Predicadores. Tomo I. Con un discurso preliminar de Don Miguel Mir. Segunda tirada (= Nueva Biblioteca de Autores Españoles, 3). Madrid : Bailly/Bailliere 1930, pp.1-516. Luis Cabrera de Córdoba : Filipe II, Rey de España. Edición José Martínez Millán, Carlos Javier de Carlos Morales. Junta de Castilla y León 1998, 3 tom. Juan Cristóbal Calvete de Estrella : El felicísimo viaje del muy alto y muy poderoso Príncipe Don Felipe. (Anuers : Martin Nucio 1552.) Madrid : Sociedad de Bibliófilos Españoles 1930, 2 tom. Alonso de Cartagena : Doctrinal de los cavalleros. Edición de José María Viña Liste. Santiago de Compostela : Universidade de Santiago de Compostela 1995. Baldesar Castiglione : Il Libro del Cortegiano. A cura di Bruno Maier. Torino : Unione Tipografico-Editrice Torinese 1964. Los cuatro libros del cortesano. Compuestos en italiano por el conde Balthasar Castellón y agora nuevamente traduzidos en lengua castellana por Boscán. In : Juan Boscán – Garcilaso de la Vega : Obras completas. Madrid : Biblioteca Castro 1995, pp. 637-1019. Baldassare Castiglione : El cortesano. Traducción de Juan Boscán. Edición de Mario Pozzi (Letras Universales, 206). Madrid : Cátedra 1994. ( Jerónimo Castillo de Bobadilla :) Politica Para Corregidores Y Señores De Vassallos, En Tiempo De Paz, Y De Guerra. Y Para Juezes Eclesiasticos Y Seglares y de sacas, Aduanas, y de Residencias, y sus Oficiales : y para Regidores, y Abogados, y del valor de los Corregimientos, y Goviernos Realengos, y de las Ordenes. Autor El Licenciado Castillo de Bovadilla del Consejo del Rey Don Felipe III. nuestro Señor, y su Fiscal en la Real Chancilleria de Valladolid. Està añadida, y enmendada por el Autor, y los Indices mejorados. Y en esta ultima impression diligentemente corregida de muchas faltas que avian en las otras impressiones, y expurgada segun el expurgatorio del año 1640. En Amberes, En casa de Juan Bautista Verdussen, Impressor y Mercader de Libros, 1704. Con gracia y Privilegio, 2 tom. (Edición facsimil. – Estudio preliminar por Benjamin González Alonso – Editada por el Instituto de Estudios de Administración Local. Madrid, 1978.) Miguel Caxa de Leruela : Restauración de la abundancia de España (Nápoles 1631). Edición a cargo de Jean Paul Le Flem. Madrid : Instituto de Estudios Fiscales - Ministerio de Hacienda 1975. [Jerónimo de Ceballos, anche : Geronymo de Zevallos, o Cevallos :] ARTE REAL | PARA EL BVEN GOVIERNO | de los Reyes, y Principes, y de sus vassallos. En el | qual se refieren las obligaciones de cada vno, con los prin- | cipales documentos para el buen gouierno. | CON VNA TABLA DE LAS MA- | terias, reduzida a trezientos Aforismos de Latin y Romance. | DIRIGIDO A LA CATOLICA MAGESTAD | del Rey don Felipe IIII. N. S. Monarca y Emperador de las | Españas, no reconociente superior en lo temporal. | LEGE [Stemma reale] ET REGE. | POR EL LICENCIADO GERONYMO DE ZEVA- | llos, Regidor de la Imperial ciudad en el vanco, y assiento | de los Caualleros, y vnico Patron del Monasterio de los Descalços | Franciscos de la dicha ciudad. | Año M.DC.XXIII. [Col. : En Toledo, en casa de Diego Rodriguez, Impressor del Rey nuestro señor. Año de M.DC.XXIII.] (Madrid, Biblioteca Nacional : R-5.273. – Edición facsimilar y estudio preliminar de Salustiano de Dios. Madrid : Centro de Estudios Políticos y Constitucionales 2003.) Hugo de Celso : Reportorio Vniversal de todas las leyes destos Reynos de Castilla, abreuiadas y reduzidas en forma de reportorio decisiuo. En Medina del Campo, por Iuan Maria da Terranoua, y Iacome de Liarcari. 1553. Con preuilegio. (Ed. facs. Estudio Preliminar de Javier Alvarado Planas. Madrid : Centro de Estudios Políticos y Constitucionales - Boletín Oficial del Estado 2000.) LIBRO | INTITVLADO, | VIDA POLITICA DE TODOS LOS ES- | tados de mugeres : en el qual se dan muy prouechosos y Chri- | stianos documentos y auisos, para criarse y conseruarse | deuidamente las Mugeres en sus | estados. | Diuidese este libro en cinco Tratados. El primero  





















































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es, del estado de las Don- | zellas. El segundo, de las Monjas. El tercero, de las casadas. El quarto, de | las Biudas. El quinto, contiene diuersos capitulos de | Mugeres en general. | Con vn Indice Alphabetico muy copioso de materias, que siruen de | lugares comunes. | Compuesto por el P. F. Iuan de la Cerda, natural de Tendilla, de la | Orden de S. Francisco, y de la Prouincia de Castilla. | DIRIGIDO A SV ALTEZA DE LA | Infanta Doña MARGARITA de AVSTRIA, Monja en | el santo Monesterio de las Descalças de Madrid. | [Vignetta : Madonna con il Bambino] | Con priuilegio de Castilla y Aragon. | Impresso en Alcala de Henares, en casa de Iuan Gracian, | que sea en gloria. | [Linea tipografica] | Año. M.D.XC.IX. (Madrid, Biblioteca Nacional : R/ 28425.) Malón de Chaide : La conversión de la Magdalena. Prólogo y notas del P. Félix García (Agustino). Tercera edición (= Clásicos Castellanos, 104, 105, 130). Madrid : Espasa-Calpe 1957-1959, 3 voll. M. Tullius Cicero : De inventione. Über die Auffindung des Stoffes. Lateinisch-deutsch. Herausgegeben und übersetzt von Theodor Nüßlein. (Sammlung Tusculum.) Darmstadt : Wissenschaftliche Buchgesellschaft 1998. M. Tullio Cicerone : Opere retoriche. Volume primo. De Oratore, Brutus, Orator. A cura di Giuseppe Norcio. Torino : U.T.E.T. 1970. Pedro Ciruelo : Reprovación de las supersticiones y hechizerías (1538). Edición, introducción y notas de José Luis Herrero Ingelmo. Salamanca : Diputación de Salamanca 2003. Diego de Colmenares : Historia de la Insigne Ciudad de Segovia y Compendio de las Historias de Castilla. (Segovia : Diego Díez – Diego Díaz de la Carrera – 1637.) Nueva edición anotada. Segovia : Academia de Historia y Arte de San Quirce 1981, 2 tom. Primera Crónica General de España. Editada por Ramón Menéndez Pidal. Con un estudio actualizador de Diego Catalán (= Fuentes cronísticas de la Historia de España, I). Madrid : Seminario Menéndez Pidal - Editorial Gredos 1977, 2 tom. Crónicas de los Reyes de Castilla. Desde don Alfonso el Sabio, hasta los Católicos don Fernando y doña Isabel. Colección ordenada por don Cayetano Rosell. Tomo segundo (= Biblioteca de Autores Españoles, 68). Madrid : Atlas 1953. [All’interno di una cornice floreale :] DEFENSA | DE LOS | ESTATVTOS, | Y | NOBLEZAS | ESPAÑOLAS. | DESTIERRO DE LOS | ABVSOS, Y RIGORES DE LOS | INFORMANTES. | POR EL P. M. Fr. GERONYMO DE | la Cruz, Lector de Theologia, en el Real de San | Geronymo de Madrid. | [Ornamento floreale] | CON LICENCIA, Y PRIVILEGIO. | En Zaragoça ; en el Hospital Real, y General de | nuestra Señora de GRACIA. | Año M.DC.XXXVII. (Madrid, Biblioteca Nacional : 3/62.307.) Dante : Convivio. In : Opere di Dante Alighieri. A cura di Fredi Chiappelli. Milano : Mursia 1967, pp. 127-291. Lucas Gracián Dantisco : Galateo español. Estudio preliminar, edición, notas y glosario por Margherita Morreale (= Clásicos Hispánicos. Serie II, Vol. XVII). Madrid : C.S.I.C. 1968. Daniel Defoe : The Complete English Tradesman, in Familiar Letters ; Directing him in all the several Parts and Progressions of Trade. […] Calculated for the Instruction of our Inland Tradesmen ; and especially of Young Beginners. London : Printed for Charles Rivington at the Bible and Crown in St. Paul’s Church-Yard. M.DCC.XXVI-M.DCC.XXVII, 2 voll. (London, British Library : 289.a.30-31.) Giovanni della Casa : Galateo, ovvero de’ costumi. In : Prose di Giovanni della Casa e altri trattatisti cinquecenteschi del comportamento. A cura di Arnaldo Di Benedetto. Torino : Unione Tipografico-Editrice Torinese 1970, pp. 193-263. Giovanni della Casa : Quaestio lepidissima an uxor sit ducenda. In : Prose di Giovanni della Casa e altri trattatisti cinquecenteschi del comportamento. A cura di Arnaldo Di Benedetto. Torino : Unione Tipografico-Editrice Torino 1970, pp. 47-133. Lope de Deza : Gobierno Político de Agricultura (1618). Edición y estudio preliminar de Angel García Sanz. Madrid : Instituto de Estudios Fiscales 1991. HISTORIA | DE LOS VICTORIO- | SISSIMOS ANTIGVOS | Condes de Barcelona. | DIVIDIDA EN TRES LIBROS. | En la qual allende de lo mucho que de todos ellos y de su decendencia, hazañas, y conquistas se es- | criue, se trata tambien de la fundacion de la ciudad de Barcelona y de muchos successos y | guerras suyas, de sus Obispos y Santos, y de los Condes  







































































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de Vrgel, Cerdaña, | y Besalu, y de muchas otras cosas de Cathaluña. | COMPVESTA POR EL PRESENTADO FRAY FRANCISCO DIAGO DE | la Orden de Predicadores, lector primero de Theologia del Conuento de santa Catherina martyr | de Barcelona y Calificador del santo tribunal de la Inquisicion de la propria ciudad. | DIRIGIDA AL ILLVSTRISSIMO Y EXCELENTISSIMO SEÑOR | don Iuan Teres Arçobispo de Tarragona, Lugartiniente y Capitan general por su | Magestad en el Principado de Cathaluña. | Año [Grande scudo con quattro pali verticali sovrastato da un cimiero cinto da una corona con sopra un drago alato] 1603. | CON LICENCIA Y PRIVILEGIO. | [Linea tipografica] | Impressa en Barcelona en casa Sebastian de Cormellas al Call. (Wien, Österreichische Nationalbibliothek : 60.F.11.) Diego Duque de Estrada : Comentarios del desengañado de sí mismo. Vida del mismo autor. Edición, introducción y notas de Henry Ettinghausen. Madrid : Castalia 1982. Carro de las donas. Valladolid, 1542. Adaptación del Llibre de les dones de Francesc Eiximenis O.F.M. realizada por el P. Carmona O.F.M. Estudio y edición de : Carmen Clausell Nácher (= Colección « Espirituales españoles »). Madrid : Fundación Universitaria Española – Universidad Pontificia de Salamanca 2007, 2 voll. Libro de la vida y costumbres de Don Alonso Enríquez de Guzmán. Publicado por Hayward Keniston (= Biblioteca de Autores Españoles, 126). Madrid : Atlas 1960. Erasmus von Rotterdam : Enchiridion militis christiani. Handbüchlein eines christlichen Streiters. Übersetzt, eingeleitet und mit Anmerkungen versehen von Werner Welzig (= E. v. R. : Ausgewählte Schriften. Ausgabe in acht Bänden. Lateinisch und Deutsch, 1. Bd.). Darmstadt : Wissenschaftliche Buchgesellschaft 1968, pp. 56-375. Pedro Fernández Navarrete : Conservación de Monarquías y Discursos Políticos (1626). Edición y estudio preliminar por Michael D. Gordon. Madrid : Instituto de Estudios Fiscales 1982. Gonzalo Fernández de Oviedo : Batallas y quinquagenas. Edición de Juan Bautista de AvalleArce. Salamanca : Ediciones de la Diputación de Salamanca 1989. TRACTATVS | DE HISPANORVM NOBILI- | TATE, ET EX EMPTIONE, SIVE | ad pragmaticam Cordubensem, quae est l. 8. | tit. II. lib. 2. nouae Recopilat. | PER IOANNEM GARSIAM A SAAVE- | dra Gallecum I. C. Hispanum, in Senatu Pintiano olim, in causis in- | uictissimi Regis nostri Philippi, & eius Fisci Regium | Aduocatum, & defensorem. | HAC POSTREMA EDITIONE A MENDIS, QVIBVS | vsq ; adhuc scatebat, repurgatus, additus, & maiori cura illustratus per D. | Ioannem Garciam à Saauedra, authoris filium, vtriusq ; I. professo- | rem, & in ciuitate Guadalaxara Regium Praetorem. | Anno [Stemma Reale] 1622. | CVM LICENTIA. | [Linea tipografica] | Matriti, Apud viduam Ferdinandi Correa. | Expensis Cornelij Martinij Belgae. (Madrid, Biblioteca Nacional : 2/ 56667.) La Florida del Ynca. Historia del Adelantado Hernando de Soto, Gouernador y capitan general del Reyno de la Florida, y de otros heroicos caualleros Españoles è Indios ; escrita por el Ynca Garcilasso de la Vega, capitan de su Magestad, natural de la gran ciudad del Cozco, cabeça de los Reynos y prouincias del Peru. Dirigida al serenissimo Principe, Duque de Braganza,&c. Con licencia de la santa Inquisicion. En Lisbona. Impresso por Pedro Crasbeeck. Año 1605. Con priuilegio Real. (Edición facsímil con introducción y notas de Sylvia-Lyn Hilton. Madrid : Fundación Universitaria Española 1982.) Miguel de Giginta : Tratado de remedio de pobres. (Coimbra : Antonio de Mariz 1579.) Edición y estudio introductorio Félix Santolatria Sierra. Barcelona : Editorial Ariel – Ediciones Universitat de Barcelona 2000. Historia de las Antigvedades de la Civdad de Salamanca : Vidas de svs Obispos y cosas sucedidas en su tiempo. Dirigida al Rey N. S. don Felipe III. Por Gil Gonçalez de Avila, Diacono y Racionero en la S. Iglesia de Salamanca. En Salamanca, En la Imprenta de Artvs Taberniel. M.DC.VI. (Ed. facs. Salamanca : Ediciones Diputación de Salamanca – Ediciones Universidad de Salamanca 1994.) Gil González D’Avila : Teatro de las grandezas de la Villa de Madrid, Corte de los Reyes Católicos de España. Facsímil de la edición de Madrid 1623. Madrid : Publicaciones ABELLA. El Consultor de los Ayuntamientos. 1986. [Fregio tipografico] | [Piccolo ornamento tipografico a forma di foglia] MEMORIAL [Piccolo  

















   

































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ornamento tipografico a forma di foglia] | De la politica necessaria, y vtil restauracion à la | Republica de España, y estados de ella, y del desempeño vni- | uersal de estos Reynos. | Dirigido al Rey Don Philippe. III. nuestro señor. | Por el Licenciado Martin Gonçalez de Cellorigo, Abogado de la Real | Chancilleria, y del Sancto Officio de la ciudad de | Valladolid. | [Grande stemma reale nel centro del frontespizio] | Impresso en la misma ciudad, por Iuan de Bo- | stillo. Año de. 1600. (Madrid, Biblioteca Nacional : R/9267.) Martín González de Cellorigo : Memorial de la política necesaria y útil restauración a la República de España y Estados de ella, y desempeño universal de estos Reinos (1600). Edición y estudio preliminar de José Luis Pérez de Ayala. Madrid : Instituto de Estudios Fiscales 1991. Baltasar Gracián : Agudeza y arte de ingenio. In : B. G. : Obras completas. Estudio preliminar, edición, bibliografía y notas e índices de Arturo del Hoyo. Madrid : Aguilar 1967, pp. 231-516. Agvdeza y arte de ingenio. Por Lorenço Gracian. Avmentala El mesmo Autor en esta segunda impression, con vn tratado de los Estilos. Impresso en Huesca, por Ivan Nogves. Año M.DC.XLVIII. (Edición facsímil. Estudio preliminar de Aurora Egido. Zaragoza : Institución « Fernando el Católico ». Excma. Diputación de Zaragoza 2007.) Baltasar Gracián : El Criticón. Edición crítica y comentada por M. Romera-Navarro. Philadelphia : University of Pennsylvania Press 1938-1940, 3 tom. El Discreto de Lorenzo Gracian, que publica Don Vincencio Ivan de Lastanosa. Con licencia. Impresso en Huesca, por Iuan Nogues, Año 1646. (Edición facsímil. Prólogo de Aurora Egido. Zaragoza : Institución « Fernando el Católico » 2001.) El Heroe de Lorenzo Gracian infanzon. En esta Segunda Impression nueuamente corregido. Con Licencia. En Madrid, Por Diego Diaz. Año M.DC.XXXIX. (Edición facsímil. Prólogo de Aurora Egido. Zaragoza : Institución « Fernando el Católico 2001 ».) Oracvlo Manval, y Arte de Prvdencia. Sacada de los aforismos que se discvrren en las obras de Lorenço Gracian. Pvblicala D. Vincencio Ivan de Lastanosa. Con licencia : Impresso en Huesca, por Iuan Nogues. Año 1647. (Edición facsímil. Prólogo de Aurora Egido. Zaragoza : Institución « Fernando el Católico 2001 ».) El Político D. Fernando el Catolico de Lorenzo Gracian. Con Licencia, y Privilegio. En Zaragoça, por Diego Dormer. Año M.DC.XL. (Edición facsímil. Prólogo de Aurora Egido. Zaragoza : Institución « Fernando el Católico » 1985.) Fray Luis de Granada : Guía de pecadores (Salamanca 1570). In : F. L. de G. : Obras. Tomo primero (= Biblioteca de Autores Españoles, VI). Madrid : Atlas 1944, pp. 1-170. Fray Luis de Granada : Introducción al Símbolo de la Fe (Salamanca 1582). In : F. L. de G. : Obras. Tomo primero (= Biblioteca de Autores Españoles, VI). Madrid : Atlas 1944, pp. 181-733. Fray Luis de Granada : Los seis libros de la Retórica eclesiástica, o de la manera de predicar. In : F. L. de G. : Obras. Tomo tercero (= Biblioteca de Autores Españoles, XI). Madrid : Atlas 1945, pp. 488-642. Fray Luis de Granada : Vida de Fray Bartolomé de los Mártires. In : Fray Luis de Granada : Obras. Tomo tercero (= Biblioteca de Autores Españoles, XI). Madrid : Atlas 1945, pp. 431-448. Fray Luis de Granada : Vida del venerable Maestro Juan de Ávila. In : Fray Luis de Granada : Obras. Tomo tercero (= Biblioteca de Autores Españoles, XI). Madrid : Atlas 1945, pp. 449486. TRATADO DE | NOBLEZA, Y DELOS TITV | los y Ditados que oy dia tienen | los varones claros y grandes | de España. | COMPVESTO POR FRAY IVAN | Benito Guardiola monje professo del Monasterio | de Sant Benito el Real de Sahagun. | DIRIGIDO AL PRINCI- | pe Don Philippe hijo del Catho- | lico Rey Don Philippe | nuestro Señor. | [Scudo reale] | CON PRIVILEGIO. | En Madrid, por la viuda de Alonso Gomez. | Año de M.D.XCI. (Wien, Österreichische Nationalbibliothek : 48. T. 12.) Stefano Guazzo : La civil conversazione. A cura di Amedeo Quondam. Testo e appendice. Modena : Franco Cosimo Panini 1993, 2 voll. Fray Antonio de Guevara : Epístolas familiares. Edición y prólogo de José María de Cossío (= Real Academia Española. Biblioteca Selecta de Clásicos Españoles. Segunda serie. Vol. X, XII). Madrid : Aldus 1950-1952, 2 voll.  



































































































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Fray Antonio de Guevara : Menosprecio de Corte y Alabanza de Aldea – Arte de Marear. Edición de Asunción Rallo Gruss. Madrid : Cátedra 1984. Fray Antonio de Guevara : Relox de Príncipes. Estudio y edición de Emilio Blanco (= Escritores Franciscanos Españoles, 1). Madrid : ABL Editor – Conferencia de Ministros Provinciales de España (CONFRES) 1994. NOTICIA | GENERAL PARA LA | ESTIMACION DE LAS | ARTES, Y DE LA MANERA EN QVE | Se conocen las liberales de las que son Mecanicas y ser- | uiles, con vna exortacion a la honra de la virtud y del trabajo | contra los ociosos, y otras particulares para las | personas de todos estados. | Por el L. Gaspar Gutierrez de los Rios professor de ambos Dere- | chos y Letras humanas, natural de la Ciudad de Salamanca. | Dirigido a don Francisco Gomez de Sandoual y | Rojas, Duque de Lerma, &c. | [Scudo del dedicatario con il motto : ARTES TE DVCE FLOREBVNT] | CON PRIVILEGIO | En Madrid, Por Pedro Madrigal, Año M.DC. (Wien, Österreichische Nationalbibliothek : 74.F.88.) [Dentro una cornice architettonica nella quale sono rappresentati attrezzi di vari mestieri e allegorie riferite al lavoro :] BIENES | DE EL | HONESTO | TRABAJO, Y | DAÑOS DE LA | ociosidad en ocho | discursos. | [Piccolo motivo ornamentale] | POR EL P. PEDRO | de Guzman, natural de Auila, Re- | ligioso de la Compañia de IESVS, | Consultor, Calificador del S. officio | de la Inquisicion. | En Madrid en la emprenta Real. 1614. (Madrid, Biblioteca Nacional : R/7707.) Diálogos de Amor de León Hebreo. Traducción de Garcilaso de la Vega, el Inca. Introducción y notas por Miguel de Burgos Núñez. Sevilla : Padilla Libros 1989. (Ed. facs. della princeps : En Madrid, En casa de Pedro Madrigal. M.D.XC.) Quintus Horatius Flaccus : De arte poetica. In : Quinto Orazio Flacco : Opere. A cura di Tito Colamarino e Domenico Bo. (Classici Latini.) Torino : Unione Tipografico-Editrice Torinese 1969, pp. 534-563. Juan Huarte de San Juan : Examen de ingenios para las ciencias. Edición preparada por Esteban Torre. Madrid : Editora Nacional 1977. Iacopo da Varazze : Legenda aurea. A cura di Alessandro e Lucetta Vitale Brovarone. Torino : Einaudi 1999. Invectivas contra Don Francisco de Quevedo. In : Francisco de Quevedo y Villegas : Obras completas. Textos genuinos del autor, descubiertos, clasificados y anotados por Luis Astrana Marín. Edición crítica. Obras en verso. Madrid : Aguilar 1943, pp. 963-1162. [Bartolomé Jiménez Patón] DISCVRSO | EN FAVOR | DEL SANTO Y | LOABLE ESTATVTO | DE LA LIMPIEZA. | POR EL MAESTRO BAR- | tolome Ximenez Paton, Notario del | Santo Oficio, Catedratico de Latini- | dad, y Correo mayor de Villanueua | de los Infantes, y natural de | la villa de la Alme- | dina. | [Piccolo ornamento floreale] | CON LICENCIA. | [Linea tipografica] | En Granada, en la Imprenta de Andres de San- | tiago Palomino. Año de 1638. (Madrid, Biblioteca Nacional : U-9813.) ELOQVENCIA | Española en Arte. Por el Maestro | Bartholome Ximenez Paton. | [Scudo di D. Fernando de Ballesteros y Saavedra] | En Toledo por Thomas de Guzman. Año 1604. (Oviedo, Universidad de Oviedo, Biblioteca Central : R. 33.336 – A-379, A-438) ELOQVENCIA | ESPANOLA EN ARTE, DIRIGIDA | à don Fernando de Ballesteros, y Saauedra | Capitan de la Infanteria del Cam- | po de Montiel. | De nueuo muy corregida y aumentada, por su autor. | [Scudo di don Fernando de Ballesteros y Saavedra con il motto : mori potius quam foedari] | EL MAESTRO BARTOLOME XIMENEZ | Paton Catedratico della en Villanueua de los Infantes, | Correo Mayor, y Notario del archiuo de la Curia Romana, | y del santo Oficio de la Inquisicion de Murcia : natural | del Almedina, campo de Montiel. In : MERCVRIVS | TRIMEGIS | TVS, SIVE DE TRI- | PLICI ELOQVENTIA SACRA, | Española, Romana. | [Piccolo ornamento] | OPVS CONCIONATORIBVS VER- | bi sacri, poetis vtriusque linguae, diuinarum, & | humanarum literarum studio- | sis vtilissimum. | Ad D. IHONNEM DE TARSIS COMI- | tem de Villamediana Archigrammathopho- | rum Regis. | AVTHORE MAGISTER BARTHOLO| maeo Ximenio Patone Almedinensi, eius publico | Doctore, & Prothogrammatophoro in oppi | do Villanueua de los Infantes, Cu- | riae Romanae, & sancti Of- | ficij Scriba. | CVM  



















































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PREVILEGIO. | [Linea tipografica] | Petro de la Cuesta Gallo Typographo Biatiae. | Anno. 1621. (Madrid, Biblioteca Nacional : R-12143.) El iuramento que la señora Infanta doña Ana, por si, y en nombre del señor Infante don Carlos, y la señora Infanta doña Maria sus hermanos hizieron al Principe don Felipe nuestro señor. In : Relaciones breves de actos públicos celebrados en Madrid de 1541 a 1650. Edición de José Simón Díaz. Madrid : Instituto de Estudios Madrileño 1982, pp. 61-69. Cristoforo Landino : De vera nobilitate. Kritisch herausgegeben und eingeleitet von Manfred Lentzen. Genève : Droz 1970. Fray Luis de León : La perfecta casada. In : Obras completas castellanas de Fray Luis de León. I. Prólogos y notas del Padre Felix García, O. S. A. Madrid : Biblioteca de Autores Cristianos 1957, pp. 219-358. Fray Luis de León : De los nombres de Cristo. Edición, introducción y notas de Federico de Onís (= Clásicos Castellanos, 28, 33, 41). Madrid : Espasa-Calpe 1966-1969, 3 voll. Historia de las grandezas de la mvy antigua y insigne ciudad, y Iglesia de Leon. Recopilada por Fray Athanasio de Lobera, Monge de sant Bernardo, de la obseruancia de España. Dirigida a don Iuan Alonso de Moscoso, Obispo de Leon, y al Dean y Cabildo de la sancta Iglesia. En la Ciudad de Valladolid, por Diego Fernandez de Cordoua, Impressor del Rey nuestro señor. Con Preuilegio. 1596. (Edición facsímil. León : Ediciones Lancia 1987.) Gregorio López Madera : Excelencias de la Monarquía y Reino de España. [1597.] Edición y Estudio Preliminar José Luis Bermejo Cabrero (= Colección : Clásicos del Pensamiento Político y Constitucional Español). Madrid : Centro de Estudios Políticos y Constitucionales 1999. Pedro López de Montoya : Libro de la buena educación y enseñança de los nobles en que se dan muy importantes auisos a los padres para criar y enseñar bien a sus hijos. [1595.] In : Emilio Hernández Rodríguez : Las ideas pedagógicas del Doctor Pedro López de Montoya. Madrid : C.S..I.C. 1947, pp. 235-419. [Alonso] López Pinciano : Philosophia antigua poética. [1596.] Edición de Alfredo Carballo Picazo (= Biblioteca de antiguos libros hispánicos, Serie A : Vol. XIX-XXI). Madrid : C.S.I.C. 1973, 3 voll. HERACLITO | I DEMOCRITO | DE NVESTRO SIGLO. | Descrivese su legitimo Filosofo. | DIALOGOS MORALES, | Sobre tres materias, La Nobleza, La Riqueza, | i las Letras. | DIRIGIDOS | A DON MANVEL ALVAREZ PINTO | i Ribera, Cavallero del Habito de Santiago, Fidalgo de la | Casa del Rey nuestro señor en la de Portugal, Señor de | la Villa de Chilueches, i de los Lugares de | Albolleque, i la Celada. | POR ANTONIO LOPEZ DE VEGA. | [Ornamento tipografico] | CON PRIVILEGIO. | [En Madrid.] POR DIEGO DIAZ DE LA CARRERA. | Año M.DC. XLI. | A costa de Alonso Perez. Librero de su Magestad. (Wien, Österreichische Nationalbibliothek : *44. F. 108.) El PERFETO | Señor. | Sueño Politico. | POR ANTONIO LOPEZ DE | Vega, Secretario del | EXCELENTISSIMO SEÑOR | D. Bernardino Fernandez de Velasco i | Touar, Condestable de Castilla i de Leon, | Camarero i Copero mayor del Rey nues- | tro señor, Duque de la Ciudad de Frías, | Conde de Haro i de Castilnouo, Marques | de Berlanga, Señor de la Casa de los | siete Infantes de Lara, &c. | [Piccolo ornamento tipografico] | CON PRIVILEGIO. | [Linea tipografica] | EN MADRID, Por Luis Sanchez, | Año M.DC.XXVI. (Wien, Österreichische Nationalbibliothek : 33. N. 48.) Pedro de Luján : Coloquios matrimoniales. [Sevilla : Dominico de Robertis 1550.] Edición de Asunción Rallo Gruss (= Anejos del Boletín de la Real Academia Española. Anejo XLVIII). Madrid 1990. Francisco de Luque Faxardo : Fiel desengaño contra la ociosidad, y los juegos. [Madrid : Miguel Serrano de Vargas 1603.] Edición y prólogo de Martín de Riquer (= Biblioteca Selecta de Clásicos Españoles. Serie II, Vol. XVI). Madrid : Real Academia Española 1955, 2 voll. Niccolò Machiavelli : Lettera a Luigi Guicciardini (Verona, 8 dicembre 1509). In : N. M. : Opere. II. A cura di Corrado Vivanti. Torino : Einaudi (Biblioteca della Pléiade) 1999, pp. 205-206. Niccolò Machiavelli : De Principatibus. Testo critico a cura di Giorgio Inglese (= Fonti per la storia dell’Italia medievale. Antiquitates, 1). Roma : Istituto Storico Italiano per il Medio Evo 1994.  



































































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bibliografia

Niccolò Machiavelli : La vita di Castruccio Castracani da Lucca (1520), In : N. M. : Opere. III. A cura di Corrado Vivanti. Torino : Einaudi (Biblioteca della Pléiade) 2005, pp. 277-302. IOANNIS | MARIANAE | Hispani, e Soc. Iesu, | DE REGE | ET REGIS INSTITVTIONE | Libri III. | Ad Philippum III. Hispaniae Regem Catholicum. | Anno [Grande stemma reale] 1599. | CVM PRIVILEGIO. | Toleti, Apud Petrum Rodericum typo. Regium. (Wien, Österreichische Nationalbibliothek : 35. L. 17.) Memoriales y Discursos de Francisco Martínez de Mata. Edición y Nota Preliminar de Gonzalo Anes. Madrid : Editorial Moneda y Credito 1971. Juan Pablo Mártir Rizo : Norte de Príncipes [1626] y Vida de Romulo [1633]. Estudio preliminar de José Antonio Maravall (= Colección : Clásicos del Pensamiento Político y Constitucional Español). Madrid : Centro de Estudios Constitucionales 1988. CARTA De Don Gregorio Mayàns i Siscàr, o Noticia del verdadero Autor de la Vida de Justina Diez, i Juìcio de esta Novela, que sirviò de nueva Prefacion al Libro intitulado, La Picara Justina, reimpresso en Madrid por ....... Año 1735. en 4. In : CARTAS | MORALES, | MILITARES, CIVILES, | I LITERARIAS | DE VARIOS AUTORES | ESPAÑOLES, | RECOGIDAS, I PUBLICADAS | POR DON GREGORIO MAYANS | i Siscàr, del Consejo del Rei Nuestro | Señor, i Alcalde Honorario de su | Real Casa i Corte. | TOMO SEGUNDO. | [Marca tipografica] | CON LICENCIA. | En Valencia : Por Salvador Faulì. Año 1773, pp. 312-318. (Wien, Österreichische Nationalbibliothek : *38. Dd. 55.) GREG. MAJANSIUS MICHAELI EGUALI, AMIco suo dulcissimo, S. D. – Valentiae. VI. Kal. Aprilis, Anni MDCCXXXI ». In : GREGORII | MAJANSII, | GENEROSI | ET ANTECESSORIS VALENTINI, | EPISTOLARUM | LIBRI SEX. | [Vignetta] | SUPERIORUM PERMISSU. | [Linea tipografica] | VALENTIAE EDETANORUM, | Typis Ant. Bordazàr de Artâzu, Anno M.DCC.XXXII., pp. 321-325. (Wien, Österreichische Nationalbibliothek : BE. 11. M. 18.) [Gregorio Mayáns y Siscar :] « Noticia del verdadero Autor de la Vida de Justina Diez, i juicio de esta novela ». In : La Picara montañesa. Madrid 1735, fo. A 2r - A 3r. Fray Tomás de Mercado : Suma de tratos y contratos [1569]. Edición y estudio introductorio de Restituto Sierra Bravo. Madrid : Editora Nacional 1975. Libro jn titulado : nobiliario perfeta | mente copylado e ordenado por el on | rrado cauallero Feranto Mexia veyn / | te quatro de Jahen ec. [Colofon : Acabose la presente obra sabado | xxx. de junio. año dela jncarnaçion : | de milly.cccc.xcij. años. En la muy | noble y lleal çibdad d’ seujlla jmpres- | sa por llos onrrados varones maes | tros. Pedro brun. Juan gentil. fiel | e verdaderamente corregida ec. (Wien, Österreichische Nationalbibliothek : Ink. 17. E. 20.) Pedro Mejía : Diálogos o Coloquios. Edición de Antonio Castro Díaz. Madrid : Cátedra 2004. Pedro Mexía : Silva de varia lección. Edición de Antonio Castro. Madrid : Cátedra 1989-1990, 2 voll. Libro intitulado El Cortesano [1561], compuesto por D. Luis Milán. Libro de motes de damas y caballeros [1530], por el mismo (= Colección de libros españoles raros ó curiosos, VII). Madrid : Imprenta y Estereotipía de Aribau y C.ª (Sucesores de Rivadeneyra) 1874. Sancho de Moncada : Restauración política de España. [1619.] Edición a cargo de Jean Vilar. Madrid : Instituto de Estudios Fiscales - Ministero de Hacienda 1974. DISCVRSOS | MORALES. | COMPVESTOS POR IVAN | De Mora, natural de la ciudad | de Toledo. | Dirigidos a Garcia de Loaysa Giron, Maestro | de su Alteza, Capellan, y Limosnero mayor | del Rey don Felipe nuestro señor, Arcediano | de Guadalajara y Canonigo en la Santa ygle | sia de Toledo. | Tratase come biuiran los hombres en las Republicas, y | casas de Reyes, y grandes señores, sin ser mal quistos, | o embidiados : no faltando a lo que es pulicia y honra | Christiana. Y assi mismo se dan muchos auisos | vtiles para conseruar la quietud del | animo en esta vida. | [Piccolo ornamento floreale ] | EN MADRID, | En casa de Pedro Madrigal, | [Linea tipopgrafica] | 1589. (Wien, Österreichische Nationalbibliothek : *44. F. 131.) DISCVRSOS | DE LA NOBLEZA | DE ESPAÑA. | Por Bernabe Moreno de Vargas. | Regidor perpetuo de la | Ciudad de Merida. | Coregidos i añadidos por el mismo Autor. | AL ILLVSTRISSIMO SEÑOR | ARZOBISPO, OBISPO DE LA | CIVDAD DEL CVZCO. | En Madrid, en Casa de Maria de Quiñones. | Año de 1636. | A costa de Pedro Garçia de Zodruz, Mercader de Li 



































































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bros. (Wien, Österreichische Nationalbibliothek : *44.H.61. – Ed. facs. Valladolid : Editorial Lex Nova 1997.) Don Francisco Morovelli de Puebla defiende el Patronato de Santa Teresa de Jesús, Patrona Ilustrísima de España y responde a D. Francisco de Quevedo Villegas, caballero del hábito de Santiago ; a D. Francisco de Melgar, canónigo de la Doctoral de Sevilla y a otros que han escrito contra él (1628). In : Francisco de Quevedo y Villegas : Obras completas. Textos genuinos del autor, descubiertos, clasificados y anotados por Luis Astrana Marín. Edición crítica. Obras en verso. Madrid : Aguilar 1943, pp. 990-1024. Francisco Máximo de Moya Torres y Velasco : Manifiesto universal de los males envejecidos que España padece. [1730.] Edición y estudio preliminar de Antonio Domínguez Ortiz. Madrid : Instituto de Estudios Fiscales 1992. Una crítica de los Estatutos de Limpieza, debida a Francisco Murcia de la Llana (da : Francisco Murcia de la Llana : Discurso politico del desempeño del Reyno, seguro de la mar, y defensa de las costas de la Monarquia de España. A la Magestad Catolica. En Madrid XXI de Mayo. Año M.DC.XXIIII.) In : Julio Caro Baroja : Los Judíos en la España Moderna y Contemporánea. Tomo III. Madrid : Ediciones ISTMO 1978, pp. 346-348. Andrea Navagero : Lettera a Giambattista Ramusio (“A l’ultimo di maggio, di Granata, 1526”). In : Lettere del Cinquecento. A cura di Giuseppe Guido Ferrero. Torino : U.T.E.T. 1977, pp. 141-156. IL | VIAGGIO | FATTO IN SPAGNA, | ET IN FRANCIA, | DAL MAGNIFICO M. ANDREA | NAVAGIERO, FV ORATORE | DELL’ILLVSTRISSIMO | SENATO VENETO, | ALLA CESAREA MAESTA DI CARLO V. | CON LA DESCRITTIONE | particolare delli luochi, & costumi | delli popoli di quelle | Prouincie. | [Piccolo ornamento] | IN VINEGIA APPRESSO | DOMENICO FARRI. | 1563. (Wien, Österreichische Nationalbibliothek : 11.Y.72.) RETRATO | DEL PECCADOR | DORMIDO. | Compuesto por el Reuerendo padre Fray Francisco Nuñez | Predicador, de la orden de los Frayles Menores, y de la Pro- | uincia de Sanctiago. Dirigido a la Excellentißima Se- | ñora Duquesa de Alua, Marquesa de | Coria, y Condessa de Saluatierra. | Y agora de nueuo corrigido por el mismo Padre. | [Stemma della Duchessa d’Alba] | Con licencia y priuilegio. | En Salamanca Por Mathias Gast. | [Linea tipografica] | M.D.LXXV. | Esta tassado en dos reales. (Madrid, Biblioteca Nacional : R/ 25427*.) Alonso Núñez de Castro : Libro historico politico, solo Madrid es Corte, y el Cortesano en Madrid. Tercera Impression, con diferentes Adiciones : dividido en quatro Libros. Con Privilegio. En Madrid : Por Roque Rico de Miranda, Impressor de Libros, Año de M.DC.LXXV. A costa de Antonio Riero y Texada, Librero, y Familiar del Santo Oficio. Vendese en su Casa, en la Carrera de S. Geronimo. (Ed. facs. : Valencia : Librerías “Paris-Valencia S. L.”. Servicio de reproducción de libros. 1996.) TRATADO VNICO | DEL PRINCIPE Y IUEZ | CHRISTIANO, TOMADO DEL | tratado quinze de los lugares comunes de la tercera | impression, de la qual està impressa vna primera par- | te, y el priuilegio. Es prouechoso para juezes | Eclesiasticos, y seglares, è Inquisidores Apo- | stolicos, y para litigantes, y para to- | dos los que le leyeren. | AVTOR F. FRANCISCO ORTIZ | Lucio, Difinidor de la Prouincia de Castilla, | de la Obseruancia de S. Francisco. | DIRIGIDO A DON FRAN- | cisco Manuel, Dean de Santiago, è Inqui- | sidor Apostolico de Toledo, | y su Reyno. | [Motivo tipografico ornamentale] | En Madrid, Por Luis Sanchez : | Año M.DCI. (Madrid, Biblioteca Nacional : Usoz/10128.) ( Jerónimo Osório de Fonseca) HIERONYMI | OSORII LVSITANI | DE NOBILITATE | CIVILI LIBRI II. | EIVSDEM DE NOBILITATE | CHRISTIANA LIBRI III. | Ad Ludouicum Principem Clariß. Emanuelis | Lusitaniae Regis F. | [Stemma reale] | FLORENTIAE MDLII. | Apud Laurentium Torrentinum. | Cum Priuilegio. (Wien, Österreichische Nationalbibliothek : 48.T.5.) Francisco de Osuna : Primer Abecedario Espiritual. Introducción y edición de José Juan Morcillo Pérez (= Místicos Franciscanos Españoles, III). Madrid : Editorial Cisneros 2004. [All’interno di una cornice con colonne, figure e decorazioni floreali] ¶ Quinta parte : | del abecedario spiritual de | nueuo compuesta por el | padre fray Francisco | de Ossuna : que es Con | suelo de pobres y | Auiso de ricos. | No menos vtil para | los frayles / que para | los  



























































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seculares y | avn para los | predica- | dores. | Cuyo intento deue ser retraer los | hombres del amor de las ri- | quezas falsas y hazer | los pobres de | esperitu. | 1542. [Col. : Fue Jmpresso en la muy noble y mas leal ciudad de Burgos. En casa de Juan de Junta. A quinze dias del mes de Abril Año de mil y quinientos y quarenta y dos Años. Fue Jmpresso el presente libro a costa del señor Juan de Espinosa mercader de libros vezino de Medina del Campo.] (Madrid, Biblioteca Nacional : R/ 15843.) LAS CIEN | CONCLVSIONES, O | formas de saber de la verdade- | ra Destreza, fundada en sciencia : y deziocho | contradiciones a las tretas dela Destreza comun : | Por don Luis Pacheco de Naruaez, Sargento ma | yor de la Isla de Fuerteuentura. Sustentaranse en | modo escholastico y demostratiuo, donde, y quando los se- | ñores Procuradores del Reyno, Comissarios don Pedro de | Granada, don Geronimo Manrique y don Garcia del | Hoyo ordenaren. ¶ Defenderalas don | Alonso de Villegas. | DIRIGIDAS AL REYNO DE CASTILLA | Junto en Cortes. | [Scudo del Regno di Castiglia] | [Linea tipografica] | Impresso En Madrid, Año de 1608. (Madrid, Biblioteca Nacional : R/ 31506.) Licenciado Arnaldo Franco-Furt [Luis Pacheco de Narvaez et al.] : El Tribunal de la Justa venganza erigido contra los escritos de D. Francisco de Quevedo, Maestro de errores, Doctor en Desvergüenzas, Licenciado en bufonerías, Bachiller en suciedades, Catedrático de Vicios y Proto-Diablo entre los hombres (1635). In : Francisco de Quevedo y Villegas : Obras completas. Textos genuinos del autor, descubiertos, clasificados y anotados por Luis Astrana Marín. Edición crítica. Obras en verso. Madrid : Aguilar 1943, pp. 1091-1159. Alonso de Palencia : Crónica de Enrique IV. Introducción [y traducción] de Antonio Paz y Melia (= Biblioteca de Autores Españoles, 257, 258, 267). Madrid : Atlas 1973-1975, 3 voll. Alfonso de Palencia : Gesta Hispaniensia ex annalibvs svorvm diervm collecta. Tomo 1. Libri I-V. Edición, estudio y notas de Brian Tate y Jeremy Lawrance. Madrid : Real Academia de la Historia 1998. Alfonso de Palencia : Gesta Hispaniensia ex annalibvs svorvm diervm collecta. Tomo 2. Libri VI-X. Edición, estudio y notas de Brian Tate y Jeremy Lawrance. Madrid : Real Academia de la Historia 1999. El Estudioso Cor- | tesano de Lorencio Palmireno. | Agora en esta vltima impression | añadido el Prouerbiador, | o Cartapacio. | CONTIENENSE, | El estudioso { | Pobre por bouedad, o grosseria. | En conuersacion. | Combidado. | Enfermo. | Caminante. | Discreto en sus persecuciones. | [Vignetta : una croce, sullo sfondo edifici di una città] | CON PRIVILEGIO. | En Alcala de Henares, en casa de Iuan Iñi | guez de Lequerica, Año 1587. | A costa de Luys de la Puerta mercader | de libros. (Madrid, Biblioteca Nacional : USOZ 1394.) Francisci Patricii senensis pontifi | cis caietani de Institutione Reipublicae libri nouem, hystoriarum | sententiarumque varietate refertissimi, hactenus nunquam | impraessi (...) | [Marca tipografica] | Venales prostant in aedibus honesti viri Galioti a prato Bibliopo | lae Parrhisiensis super divae mariae virginis ponte, & pro columna se- | cunda secus sacellum in palatio Parrhisiensi. | Cum gratia et Priuilegio. [Col. : PARRHISIIS ... ad decimum calendas Decembris. anno a partu virgineo. Milesimo quingentesimo decimooctauo.] (Paris, Bibliothèque Nationale : Rés. *E.93.) LIBRO DE LAS CINCO | EXCELENcias | DEL ESPAÑOL QVE | DESPVEBLAN A ESPAÑA | PARA SV MAYOR POTENCIA | Y DILATACION.| PONDERANSE PARA QVE MEIOR SE | aduiertan las causas del despueblo de España : y para | que los lugares despoblados della, se | habiten, y sean populosos. | Por el M. Fr. Benito de Peñalosa y Mondragon, Monge Benito, | Professo de la Real Casa de Nagera. | Dedicado al Rey nuestro Señor Filipo IIII. | Año [Stemma reale] 1629 | CON LICENCIA. | Impresso en pamplona, por Carlos de Labàyen, Impressor | del Reyno de Nauarra. (Wien, Österreichische Nationalbibliothek : 60. J. 25.) HISTORIA | DE LA VIDA Y MILAGROS | del glorioso sant Raymundo de Pe- | ñafort, frayle de la orden de | Predicadores. | COMPVESTA POR EL PADRE F. | Andres Perez, Theologo, Maestro de estudiantes del in- | signe conuento de S. Vicente de Plasencia natural | de la ciudad de Leon. De la orden de | Predicadores. | DIRIGIDA A D. ISABEL DE | Acuña Castro Manrique. | [Scudo dell’Ordine dei Predicatori con il motto : « VNICA CRVX AVE SPES MEA »] | CON PRIVILE 















































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GIO. | En Salamanca en casa de Pedro Lasso. Año de. 1601. (Madrid, Biblioteca Nacional : R/ 31273.) SERMONES DE QVARESMA | COMPVESTOS POR EL PADRE PRESS.do | FRAY ANDRES PEREZ PREDICADOR DE | EL CONVENTO DE .SS. THOMAS DE | MADRID DE LA ORDEN DE SAN | CTO DOMINGO. | Dirigido A la Nobilissima Ciudad De Leon su cara Patria. | REGNVM REGNORVM CIVITATVM PARENS | Ciuitas Legionensis | [Sotto queste due righe latine in corsivo, lo scudo della Città di León : una corona – con la scritta, nel cerchio, « CHRISTI FIDES ANTIQVA » – collocata sopra un grande campo con la figura di un leone coronato ; ai lati dello scudo due colonne poggiate su un plinto : la colonna di destra con il sole nel capitello – accanto la scritta : TOM. 2 – e sei stelle nel fusto ; la colonna di sinistra con la luna nel capitello – accanto la scritta : DETEMP (de tempora) e sei stelle nel fusto ; appeso al centro della colonna a destra dello scudo un ‘cartiglio’ con la scritta : « Vidi Solem, et Lunam | et Stellas un decim,| adorareme, Genesis 37 » ; il ‘cartiglio’ della colonna a sinistra dello scudo reca la scritta : « Padre Y m.e Y. 12 Hijos | Luna Sol Y estrellas son que adoran este leon »] | IMPRESO EN VALLADOLID | por francisca de los Rios Viuda de | Fran.co de Cordoba Año 1621. | A costa de Anto Bazquez [Antonio Vázquez de Velasco]. Mercader de libros. (Madrid, Biblioteca Nacional : 3/54301.) [Fregio floreale] | DE LOS SERMONES | DE LOS SANTOS. | Contiene los de todos los Apostolos, y Euangelistas, y san Ioan | Anteportam Latinam. | Compuesto por el P. Presentado Fr. Andres Perez, Predicador General, y es- | pecial del Conuento de S. Tomas de Madrid, de la Orden de Predicadores. | DIRIGIDO A NVESTRO R.mo P. MAESTRO Fr. ANTONIO DE | Soto Mayor, Confessor del Rey nuestro Señor, y de su Consejo. | [Scudo dei Sotomayor : campo, sovrastato da una corona, con tre fasce orizzontali formate di quattro linee di quadretti alternativamente bianchi e neri ; lo scudo è racchiuso in un rettangolo intorno ai cui lati, all’esterno, si leggono queste scritte : lungo il lato destro : « GRATIAS AGO DEO MEO. » ; lungo il lato superiore : « CVI SERVIO A PROGENITORIBVS MEIS » ; lungo il lato sinistro : « IN CONSCIENTIA PVRA. » ; lungo il lato inferiore : « AD TIMOTHEVM. I. num 3. »] | CON PRIVILEGIO. | [Linea tipografica] | En Valladolid, por Geronimo Morillo, Impressor de la Vniuersidad. | Año de M.DC.XXII. (Madrid, Biblioteca Nacional : 3/ 11400.) Crónica del serenísimo Príncipe Don Juan, segundo Rey deste nombre en Castilla y en León, escrita por el noble é muy prudente caballero Fernán Pérez de Guzmán, señor de Batres, del su Consejo. In : Crónicas de los Reyes de Castilla desde don Alfonso el Sabio, hasta los Reyes Católicos Don Fernando y Doña Isabel. Colección ordenada por don Cayetano Rosell. Tomo segundo (= Biblioteca de Autores Españoles, 68). Madrid : Atlas 1953, pp. 277-695. Fernán Pérez de Guzmán : Generaciones y semblanzas. Edición, introducción y notas de J. Domínguez Bordona (= Clásicos Castellanos, 61). Madrid : Espasa-Calpe 1979. Cristóbal Pérez de Herrera : Amparo de pobres (Madrid : Luis Sánchez 1598). Edición, introducción y notas de Michel Cavillac (= Clásicos Castellanos, 199). Madrid : Espasa-Calpe 1975. Juan Pérez de Moya : Comparaciones o símiles para los vicios y virtudes (Alcalá de Henares : Hernán Ramírez 1586). – Philosophia secreta (Madrid : Francisco Sánchez 1585). Edición y prólogo de Consolación Baranda. Madrid : Biblioteca Castro 1996. Juan de Pineda, O. F. M. : Diálogos familiares de la agricultura cristiana (Salamanca : Pedro de Adurza y Diego López 1589). Estudio preliminar y edición por el P. Juan Meseguer Fernández, O. F. M. (= Biblioteca de Autores Españoles, 161-163, 169-170). Madrid : Atlas 1963-1964, 5 tom. Francisco de Pisa : Descripcion de la Imperial Civdad de Toledo, y Historia de sus antiguedades, y grandeza, y cosas memorables que en ella han acontecido, de los Reyes que la han señoreado, y gouernado en sucession de tiempos : y de los Arçobispos de Toledo, principalmente de los mas celebrados. Primera parte. Repartida en cinco libros con la historia de santa Leocadia. Toledo : Pedro Rodriguez 1605. (Ed. facs. Madrid : VILLENA Artes Gráficas – per : Instituto Provincial de Investigaciones y Estudios Toledanos – 1974.) Don Juan Alonso Laureles [Fray Juan Ponce de León] : Venganza de la lengua española. Contra el autor del « Cuento de cuentos » (1629). In : Francisco de Quevedo y Villegas : Obras completas. Textos genuinos del autor, descubiertos, clasificados y anotados por Luis Astrana Marín. Edición crítica. Obras en verso. Madrid : Aguilar 1943, pp. 1028-1033.  



























































































































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Pragmatica Cordubensis. Fernandus & Elisabeth, Reges Hispaniae, Cordubae, anno millesimo quadragentesimo nonagesimo secundo, Maij trigesima die. In : Juan García de Saavedra : Tractatvs de Hispanorvm nobilitate et exemptione. Matriti, Apud viduam Ferdinandi Correa. Anno 1622, fo. 3v-7r. Pragmática-sanción de Felipe II y en su nombre la princesa Da Juana, sobre la impresión y libros (Valladolid, 7. septiembre 1558). In : Fermín de los Reyes Gómez : El libro en España y América. Legislación y Censura (siglos XV-XVIII). II. Madrid : Arco/Libros 2000, pp. 799-804. LA PRAGMATICA | que su Magestad manda que se impri | ma. Sobre los Vagamundos, Ladrones, Blasphemos, Ru- | fianes, Testigos falsos, Inducidores, y Casados | dos vezes, y otras cosas. | [Stemma reale all’interno di una cornice] | Impressa en Alcala de Henares, en casa de Iuan de Villanueua. | Año. M.D.LXVI. | Vendense en casa de Alonso Gomez, Librero en corte. (Wien, Österreichische Nationalbibliothek : 156.143.C.) PRAGMATICA, | En que se da la orden y forma que se ha de | tener y guardar, en los tratamientos y cortesias | de palabra y por escrito : y en traer coroneles, | y ponellos en qualquier partes | y lugares. | [Stemma reale] | EN MADRID, | Por Pedro Madrigal, Año de 1586. | Esta tassada a cinco marauedis el pliego. | Vendese en casa de Blas de Robles, librero del Rey nuestro señor. (Wien, Österreichische Nationalbibliothek : 156.120-C Alt.) PRAGMATICA | PARA QVE NO SE PVEDAN | imprimir fuera destos Reynos las obras y li- | bros que en ellos compusieren, o escri- | uieren, de qualquier facultad | que sean. | [Stemma reale] | EN MADRID, | Por Iuan de la Cuesta, Año de 1610. | [Linea tipografica] | Vendese en casa de Francisco de Robles, Librero del | Rey nuestro Señor. (Wien, Österreichische Nationalbibliothek : 47.R.54.) PRAGMATICA | EN QVE SE DA LA FORMA, | cerca de las personas que se prohibe andar | en coches, y los que pueden andar en ellos, | y como se ayan de hazer, y que sean | de quatro cauallos. | [Stemma reale] | EN MADRID | Por Iuan de la Cuesta. Año de 1611. | [Linea tipografica] | Vendese en casa de Francisco de Robles librero del Rey | nuestro Señor. (Wien, Österreichische Nationalbibliothek : 47.R.68.) PRAGMATICA, | Y NVEVA ORDEN, CER- | ca de las colgaduras de casas, y hechura | de joyas de oro, y piedras, y pieças de | plata, y en la forma que se han de ha | zer, labrar, y traer, y otras | cosas. | [Stemma reale] | EN MADRID | Por Iuan de la Cuesta, Año de 1611. | [Linea tipografica] | Vendese en casa de Francisco de Robles librero del Rey | nuestro Señor. (Wien, Österreichische Nationalbibliothek : 47.R.68.) PRAGMATICA | DE TRATAMIENTOS, | y cortesias, y se acrecientan las penas | contra los transgresores de | lo en ella con- | tenido. | [Stemma reale] | EN MADRID | Por Iuan de la Cuesta. Año de 1611. | [Linea tipografica] | Vendese en casa de Francisco de Robles, librero del Rey | nuestro Señor. (Wien, Österreichische Nationalbibliothek : 390.472-C Alt.) PRAGMATICA | EN QVE SE MANDAN | guardar las vltimamente publicadas, sobre | los tratamientos, y cortesias, y andar en coches, y | en traer vestidos, y trajes, y labor de las se- | das, con las declaraciones que | aqui se refieren. | [Stemma reale] | EN MADRID | Por Iuan de la Cuesta. Año de 1611. | [Linea tipografica] | Vendese en casa de Francisco de Robles, librero del Rey | nuestro Señor. (Wien, Österreichische Nationalbibliothek : 390.473-C.) PRAGMATICA, | Y NVEVA ORDEN, CER- | ca de de los vestidos, y trajes, assi de hom- | bres, como de mugeres, y otras co- | sas, que se mandan guar- | dar. | [Stemma reale] | EN MADRID | Por Iuan de la Cuesta, Año de 1611. | [Linea tipografica] | Vendese en casa de Francisco de Robles librero del Rey | nuestro Señor. (Wien, Österreichische Nationalbibliothek : 47.R.68.) Pragmática de Felipe IV sobre impresión con licencias (Madrid, 13 junio 1627). In : Fermín de los Reyes Gómez : El libro en España y América. Legislación y Censura (Siglos XV-XVIII). II. Madrid : Arco/Libros 2000, pp. 846-848. Fernando del Pulgar : Letras. Edizione critica, introduzione e note a cura di Paola Elia (= Collana di Studi Ispanici. I. Testi critici, 3). Pisa : Giardini 1982. Francisco de Quevedo y Villegas : Grandes anales de quince días (1621). In : F. de Q. y V. : Obras completas. Estudio preliminar, edición y notas de Felicidad Buendía. Obras en prosas. Madrid : Aguilar 1979, pp. 816-855.  













































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Francisco de Quevedo : Grandes anales de quince días (1621). In : F. de Q. : Obras completas en prosa. Volumen tercero. Dirección de Alfonso Rey (= Nueva Biblioteca de Erudición y Crítica, 24). Madrid : Castalia 2005, pp. 57-115. Francisco de Quevedo y Villegas : Marco Bruto. In : F. de Q. y V. : Obras completas. Edición de Felicidad Buendía. Obras en prosa. Madrid : Aguilar 1979, pp. 915-991. Francisco de Quevedo y Villegas : Su espada por Santiago. In : F. de Q. y V. : Obras completas. Edición de Felicidad Buendía. Obras en prosa. Madrid : Aguilar 1979, pp. 450-501. Gerónimo de Quintana : Historia de la Antiguedad, Nobleza y Grandeza de la villa de Madrid. Madrid : Imprenta del Reyno 1629. (Ed. facs. in due tomi : Valladolid : Editorial MAXTOR 2005.) Marco Fabio Quintiliano : L’Istituzione Oratoria. A cura di Rino Faranda. Volume primo. Torino : U.T.E.T. 1968. Marco Fabio Quintiliano : L’Istituzione Oratoria. A cura di Rino Faranda e Piero Pecchiura. Volume secondo. Torino : U.T.E.T. 1996. Relación del juramento del serenissimo Principe de Castilla don Felipe quarto deste nombre. In : Relaciones breves de actos públicos celebrados en Madrid de 1541 a 1650. Edición de José Simón Díaz. Madrid : Instituto de Estudios Madrileño 1982, pp. 56-60. Relación de lo sucedido en la Ciudad de Valladolid, desde el punto del felicísimo nacimiento del príncipe don Felipe Dominico Víctor nuestro señor, hasta que se acabaron las demostraciones de alegría que por él se hicieron. Al Conde de Miranda. Año 1605. Con Licencia, en Valladolid, por Juan Godínez de Millis, véndese en casa de Antonio Coello en la librería. Edición Patricia Marín Cepeda (= Libros Singulares, 9). Fundación “Instituto Castellano y Leonés de la Lengua” – Junta de Castilla y León 2005. Relación verdadera, en que se contiene todas las ceremonias y demás actos que passaron en la jura que se hizo al Serenissimo Principe nuestro señor don Phelipe quarto, en el monesterio de san Geronymo (Toledo. En casa de Thomás de Guzmán, que sea en gloria. 1608). In : Relaciones breves de actos públicos celebrados en Madrid de 1541 a 1650. Edición de José Simón Díaz. Madrid : Instituto de Estudios Madrileño 1982, pp. 54-56. Relaciones breves de actos públicos celebrados en Madrid de 1541 a 1650. Edición de José Simón Díaz. Madrid : Instituto de Estudios Madrileño 1982. Bernardino de Riberol : Libro contra la ambición y codicia desordenada de aqueste tiempo : llamado alabanza de la pobreza (Edición facsímil de la primera edición. Sevilla : Martín de Montesdoca 1556). Excma. Mancomunidad de Cabildos de Las Palmas 1980. Cesare Ripa : Iconologia. Edizione pratica a cura di Piero Buscaroli. Prefazione di Mario Praz. Milano : TEA 1992. HISTORIA | DE LA CIUDAD Y CORTE | DE LEON, | Y DE SUS REYES. | SU AUTOR | EL P. Mtro. Fr. MANUEL RISCO, | del Orden de San Agustin. | [Piccolo ornamento] | MADRID : | EN LA OFICINA DE DON BLAS ROMAN, | IMPRESOR DE LA SECRETERÍA DE LA REAL JUNTA GENERAL | DE COMERCIO Y MONEDA. | AÑO M.DCC.XCII. (Wien, Österreichische Nationalbibliothek : *38 G 4.) IGLESIA | DE LEON, | Y MONASTERIOS | ANTIGUOS Y MODERNOS | DE LA MISMA CIUDAD. | POR | EL P. Mtro. Fr. MANUEL RISCO, | de la Orden de San Agustin. | [Piccolo ornamento] | MADRID : | EN LA OFICINA DE DON BLAS ROMAN. | AÑO M.DCC.XCII. (Wien, Österreichische Nationalbibliothek : *38 G 4.) Fray Juan de Robles, O. S. B. : De la orden que en algunos pueblos de España se ha puesto en la limosna, para remedio de los verdaderos pobres (1545). In : Fray Domingo de Soto, O. P. : Deliberación en la causa de los pobres (Y réplica de Fray Juan de Robles, O. S. B.). Madrid : Instituto de Estudios Políticos 1965, pp. 143-316. José Ruiz de Celada : Estado de la Bolsa de Valladolid. Examen de sus tributos, cargas y medios de su extinción. De su gobierno y reforma (1777). Edición y prólogo a cargo de Bartolomé Yun Casalilla (= Historia y Sociedad, 16). Valladolid : Universidad de Valladolid - Caja Salamanca 1990. Andrés Ruiz de la Vega : Regla y establecimientos de la Orden de la Cauallería del Señor Sanctia 







































































   







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Madrid. Por Tomas Iunti Impressor del Rey nuestro señor. | [Linea tipografica] | Año de M.DC. XXI. (Madrid, Biblioteca Nacional : R 27.741.) Fray Hernando de Talavera, O. S. H. : Católica impugnación. [1.ª ed. a stampa : 1487.] Estudio preliminar de Francisco Márquez. Edición y notas de Francisco Martín Hernández (= Espiritvales Españoles). Barcelona : Juan Flors 1961. Pablo Antonio de Tarsia : Vida de don Francisco de Quevedo y Villegas (Facsímil de la edición príncipe, Madrid, 1663). Reproducción cuidada por Melquíades Prieto Santiago. Prólogo de Felipe B. Pedraza Jiménez. Aranjuez : Editorial Ara Iovis 1988. Santa Teresa de Jesús : Camino de perfección. In : S. T. de J. : Obras completas. Madrid : Aguilar 1982, pp. 291-382.. Don Francisco Terrones del Caño : Instrucción de predicadores. Prólogo y notas del P. Félix G. Olmedo, S. I. (= Clásicos Castellanos, 126). Madrid : Espasa-Calpe 1946. Emanuele Tesauro : Il Cannocchiale aristotelico. O sia Idea dell’argvta et ingeniosa elocvtione. Quinta impressione. In Torino. M.DC.LXX. Per Bartolomeo Zauatta. Con licenza de’ Superiori (ed. facs. Savigliano, Cuneo : Editrice Artistica Piemontese 2000). Antonio de Torquemada : Jardín de flores curiosas. Edición, introducción y notas de Giovanni Allegra. Madrid : Castalia 1982. Antonio de Torquemada : Manual de escribientes. Edición de M.ª Josefa C. de Zamora y A. Zamora Vicente (= Anejos del Boletín de la Real Academia Española, Anejo XXI). Madrid 1970. Antonio de Torquemada : Obras completas. I. Madrid : Biblioteca Castro 1994. Mosén Diego de Valera : Espejo de verdadera nobleza. In : Prosistas castellanos del siglo XV. I. Edición y estudio preliminar de D. Mario Penna (= Biblioteca de Autores Españoles, 116). Madrid : Atlas 1959, pp. 89-116. Alexo Venegas : Agonía del tránsito de la muerte con los avisos y consuelos que cerca della son provechosos. (Toledo 1537.) In : Escritores Místicos Españoles. Tomo I (= Nueva Biblioteca de Autores Españoles, 16). Madrid : Bailly/Bailliére 1911, pp. 105-258. Alexio Venegas : Breve declaración de las sentencias y vocablos de la Agonía del tránsito de la muerte. (Toledo : Juan de Ayala 1543.) In : Escritores Místicos Españoles. Tomo I (= Nueva Biblioteca de Autores Españoles, 16). Madrid : Bailly/Bailliére 1911, pp. 259-318. Alexio Venegas : Primera parte de las diferencias de libros que ay en el vniuerso. Toledo : Juan de Ayala 1545 (Col. : 1546). [Ed. facs. Prólogo de Daniel Eisenberg (= Biblioteca Hispánica Puvill. Sección Litetatura, 3). Barcelona : Puvill Libros 1983.] Cristóbal de Villalón : El Scholástico. Edición de José Miguel Martínez Torrejón. Barcelona : Crítica 1997. Juan Luis Vives : Introducción a la sabiduria. [Trad. : Diego Astudillo.] In : Obras escogidas de filósofos (= Biblioteca de Autores Españoles, 65). Madrid : Atlas 1953, pp. 239-260. Fray Hernando de Zárate : Discursos de la paciencia cristiana. (Alcalá : Juan Íñiguez de Lequerica 1592.) In : Escritores del siglo XVI. Tomo primero (= Biblioteca de Autores Españoles, 27). Madrid : Atlas 1948, pp. 421-684.  





















































































G. Lirica. Narrativa. Teatro. Satira. ‘ Gallos ’. ‘ Vejámenes ’. Raccolte di ‘detti’, facezie, arguzie, aneddoti e sentenze. Letteratura burlesca e folclorica Academia burlesca que se hizo en Buen Retiro a la Majestad de Filipo Cuarto el Grande. Año de 1637. Edición crítica, prólogo y notas de M. Teresa Julio (= Biblioteca Áurea Hispánica, 41). Madrid : Iberoamericana 2007. Doctor Jerónimo de Alcalá Yáñez y Ribera : Alonso, mozo de muchos amos (Primera y Segunda parte). Estudio, edición y notas de Miguel Donoso Rodríguez (= Biblioteca Áurea Hispánica, 24). Universidad de Navarra – Iberoamericana – Vervuert 2005. Baltasar del Alcázar : Obra poética. Edición de Valentín Núñez Rivera (= Letras Hispánicas, 508). Madrid : Cátedra 2001.  







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EL SIGLO | PITAGORICO | Y vida de D. Gregorio | Guadaña. | Dedicado a Monseñor | FRANÇOIS BASSOMPIERRE, | Marques de Harouel, Caballero de las Hordenes | de su Magestad Cristianißima, Mariscal | de Francia, y Coronelgeneral | de los Suisses. | POR | Antonio Henrriquez Gomez. | EN ROAN, | En la emprenta de LAVRENS MAVRRY. | Año de 1644. | CON LICENCIA. (Paris, Bibliothèque de l’Arsenal : 4° BL 4479.) Antonio Enríquez Gómez : El Siglo pitagórico y Vida de don Gregorio Guadaña. Édition critique avec introduction et notes par Charles Amiel. Paris : Ediciones Hispanoamericanas 1977. Antonio Enríquez : El Siglo pitagórico y Vida de don Gregorio Guadaña. Edición de Teresa de Santos. Madrid : Cátedra 1991. Juan Bautista de Avalle-Arce : Cancionero del Almirante Don Fadrique Enríquez. Barcelona : Quaderns Crema 1994. RELACIONES | DE LA VIDA DEL | ESCVDERO MARCOS DE | OBREGON. | AL ILLVSTRISSIMO Se- | ñor Cardenal Arçobispo de Toledo, don Ber- | nardo de Sandoual, y Rojas, amparo de la vir- | tud, y padre de los pobres. | POR EL MAESTRO VICEN- | te Espinel, Capellan del Rey nuestro señor | en el Hospital Real de la ciudad | de Ronda. Año [Marca tipografica] 1618. | CON PRIVILEGIO. | En Madrid, Por Iuan de la Cuesta. | [Linea tipografica] | A costa de Miguel Martinez. | Vendese en la calle mayor, a las gradas de S. Felipe. (London, British Library : 1074.i.15. – Ed. facs. Barcelona : Círculo del Bibliófilo 1979.) Pedro Espinosa : Flores de poetas ilustres. Edición, introducción y notas de Belén Molina Huete. Sevilla : Fundación José Manuel Lara 2005. Pedro Espinosa : Obra en Prosa. Edición, prólogo y notas de Francisco López Estrada. Málaga : Diputación Provincial de Málaga 1991. Farsa d’El Sordo. Alcalá de Henares : Sebastián Martínez 1568. In : Bartolomé José Gallardo : Ensayo de una Biblioteca Española de libros raros y curiosos. Tomo I. Edición facsímil. Madrid : Gredos 1968, coll. 1146-1164. Farsa ó cuasi comedia, hecha por Lúcas Fernandez. In : Bartolomé José Gallardo : Ensayo de una Biblioteca Española de libros raros y curiosos. Tomo II. Edición facsímil. Madrid : Gredos 1968, coll. 1022-1039. Andrés Fernández de Andrada : Epístola moral a Fabio. In : Dámaso Alonso : La “Epístola moral a Fabio”, de Andrés Fernández de Andrada. Edición y estudio (= Biblioteca Románica Hispánica. II. Estudios y Ensayos, 278). Madrid : Gredos 1978, pp. 15-22. Agnolo Firenzuola : Opere. A cura di Adriano Seroni. Firenze : Sansoni 1993. Flor de romances, glosas, canciones y villancicos (Zaragoza 1578). Fielmente reimpresa del ejemplar único, con un prólogo de Antonio Rodríguez-Moñino (= Floresta. Joyas Poéticas Españolas, 3). Valencia : Editorial Castalia 1954. Teofilo Folengo : Baldus. A cura di Emilio Faccioli. Testo a fronte. Torino : Einaudi 1989. Pietro Fortini : Le giornate delle novelle dei novizi. A cura di Adriana Mauriello. (= I Novellieri Italiani, Vol. 28-1). Roma : Salerno Editrice 1988, 2 tom. Alonso de Fuentes : Miscelánea de dichos. In : Más de mil y un cuentos del Siglo de Oro. Edición e introducción de José Fradejas Lebrero (= Biblioteca Áurea Hispánica, 53). Madrid : Iberoamericana 2008. pp. 181-224. Gallo Benito. In : Aurora Egido : De ludo vitando. Gallos áulicos en la Universidad de Salamanca. In: El Crotalón 1 (1984), pp. 627-634. Ser Giovanni (Fiorentino) : Il Pecorone. A cura di Enzo Esposito. Ravenna : Longo Editore 1974. Luis de Góngora : Letrillas. Edición, introducción y notas de Robert Jammes. Madrid : Clásicos Castalia 1980. Obras de Don Luis de Góngora [Manuscrito Chacón]. Introducción de Manuel Sánchez Mariana. Madrid : Real Academia Española – Caja de Ahorros de Ronda 1991, 3 tom. Luis de Góngora : Obras completas. Edición y prólogo de Antonio Carreira. Madrid : Biblioteca Castro. Fundación José Antonio de Castro 2000, 2 voll. Obras poéticas de Góngora. [Ed. de R. Foulché-Delbosc]. New York : The Hispanic Society of America 1921 (Reprinted 1970), 3 tom. Antonio Carreira : Nuevos poemas atribuidos a Gongora (letrillas, sonetos, décimas y poemas varios). Prólogo de Robert Jammes. Barcelona : Quaderns Crema 1994.  



























































































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Luis de Góngora : Romances. Edición crítica de Antonio Carreira. Barcelona : Quaderns Crema 1998, 4 voll. Luis de Góngora : Sonetos completos. Edición, introducción y notas de Biruté Ciplijauskaité. Madrid : Castalia 1982, Gregorio González : El Guitón Onofre. Edición a cargo de Fernando Cabo Aseguinolaza (= Biblioteca Riojana, 5). Logroño : Gobierno de la Rioja 1995. DIALOGOS | DE APACI- | BLE ENTRETENIMIEN- | TO, QVE CONTIENE VNAS | Carnestolendas de Castilla. Diuidido en | las tres noches, del Domingo, Lunes | y Martes de Antruexo. | COMPVESTO POR GASPAR | Lucas Hidalgo, vezino de la Villa | de Madrid. | PROCVRA EL AVTOR EN | este libro entretener al Letor con varias | curiosidades de gusto, materia permitida | para recrear penosos cuydados a to- | do genero de gente. | CON LICENCIA. | [Linea tipografica] | En Barcelona, en casa de Sebastian de | Cormellas al Call, Año. 1605. (Madrid, Biblioteca Nacional : R-10.464.) Cancionero de Sebastián de Horozco. Poeta toledano del siglo XVI (= Sociedad de Bibliófilos Andaluces. Primera Série). Sevilla : Imprenta de D. Rafael Tarascó y Lassa 1874. Sebastián de Horozco : El Cancionero. Introducción, edición crítica, notas, bibliografía y genealogía de Juan de Horozco por Jack Weiner (= Utah Studies in Literature and Linguistics, 3). Bern und Frankfurt/M. 1975. Florence Dumora : Le Cancionero de Sebastián de Horozco, auteur tolédan du XVIe siècle. (Édition, Introduction et Notes). Lille : Atelier National de Reproduction de Thèses 2001, 2 voll. Sebastián de Horozco. Noticias y obras inéditas de este autor dramático desconocido. Por D. José María Asensio y Toledo. Sevilla : Imp. De D. José María Geofrin 1867. Sebastián de Horozco : Representaciones. Edición, introducción y notas de Fernando González Ollé. Madrid : Clásicos Castalia 1979. Carta del bachiller de Arcadia [Don Diego Hurtado de Mendoza] al capitán [Pedro de] Salazar y Respuesta de éste. – Carta de D. Diego de Mendoza en nombre de Marco Aurelio, a Feliciano de Silva. – Sermón de Aljubarrota con las glosas de D. Diego Hurtado de Mendoza. In : Sales españolas o Agudezaz del ingenio nacional. Recogidas por Antonio Paz y Melía. Segunda edición de Ramón Paz (= Biblioteca de Autores Españoles, 176). Madrid : Atlas 1964, pp. 29-86. OBRAS | DEL INSIGNE | CAVALLERO DON | DIEGO DE MENDOZA, EMBAXA- | DOR DEL EMPERADOR CARLOS | QVINTO EN ROMA. | RECOPILADAS POR FREY IVAN | Diaz Hidalgo, del Habito de San Iuan, Capellan, y Mu- | sico de Camara de su Magestad. | DIRIGIDAS A DON IÑIGO LOPEZ | de Mendoza, Marques de Mondejar, Conde de Tendilla, | Señor de la Prouincia de Almoguera. | Año [Scudo dei Mendoza] 1610. | Con Priuilegios de Castilla, y Portugal. | [Linea tipografica.] | En Madrid, Por Iuan de la Cuesta. | Vendese en casa de Francisco de Robles, librero del Rey nuestro señor. (Wien, Universitätsbibliothek : I /170505 A.) Diego Hurtado de Mendoza : Poesía completa. Edición, introducción y notas de José Ignacio Díez Fernández. Barcelona : Planeta 1989. José Francisco de Isla : Historia del famoso predicador Fray Gerundio de Campazas alias Zotes. Edición crítica de José Jurado (= Biblioteca Románica Hispánica. IV. Textos, 21). Madrid : Gredos 1992. Gabriel Lasso de la Vega : Manojuelo de romances. (Edición de Eugenio Mele y Ángel González Palencia.) Madrid : Editorial Saeta 1942. Alonso de Ledesma : Primera parte de los Conceptos Espirituales y Morales. Edición, introducción y notas de Eduardo Julia Martínez (= Biblioteca de antiguos libros hispánicos, Serie A, Vol. XXVII). Madrid : C. S. I. C. 1969. Fray Luis de León : Poesías completas. Obras propias en castellano y latín y traducciones e imitaciones latinas, griegas, bíblico-hebreas y romances. Edición de Cristóbal Cuevas. Madrid : Editorial Castalia (= Nueva Biblioteca de Erudición y Crítica, 14) 1998. Libro romanzero de canciones, romances y algunas nuebas para passar la siesta a los que para dormir tienen la gana compilato da Alonso de Navarrete (ms. 263 della Biblioteca Classense di Ravenna). Edizione, studio introduttivo e commento di Paolo Pintacuda (= Pubblicazioni della  





















































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