Origini dell'uomo ed evoluzione culturale. Profili scientifici, filosofici, religiosi 8816405880, 9788816405882

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Origini dell'uomo ed evoluzione culturale. Profili scientifici, filosofici, religiosi
 8816405880, 9788816405882

Table of contents :
COPERTINA FRONTE
INDICE
PREFAZIONE
PREMESSA
EVOLUZIONE UMANA E CULTURA
EVOLUZIONE UMANA, CULTURA E COOPERAZIONE
CULTURA E SPECIAZIONE NELLA FILOGENESI UMANA
LA CULTURA NELL'EVOLUZIONE UMANA
EVOLUZIONE, EMERGENZA E TRASCENDENZA DELL'UOMO
LA CULTURA COME PROGETTUALITA' E SIMBOLIZZAZIONE
IL SIMBOLISMO NELL'UOMO PREISTORICO
TAVOLE
CAPACITA' PROGETTUALE E SIMBOLISMO COME STRATEGIE DI SOPRAVVIVENZA
ORIGINI E SVILUPPO DEL LINGUAGGIO UMANO
CULTURA, ADATTAMENTO E AMBIENTE
UN ADATTAMENTO ESSENZIALMENTE BIOLOGICO: L'UOMO IN ALTA QUOTA
ADATTAMENTO UMANO, CULTURA E AMBIENTE
LA CULTURA NEL RAPPORTO UOMO-AMBIENTE
RADICI DEL SENSO RELIGIOSO E DELL'ETICA
LE RADICI DELL'ETICA: UN APPROCCIO ANTROPOLOGICO
TRACCE PER UN'ETICA DELLA RICERCA SCIENTIFICA
HOMO RELIGIOSUS: LE ORIGINI E LE MANIFESTAZIONI. PALEOANTROPOLOGIA E PALEOLITICO
IL SENSO RELIGIOSO NELL'UOMO PALEOLITICO
EVOLUZIONE E SVILUPPI TEOLOGICI
LA PEDAGOGIA DI DIO, CREATORE DI UN MONDO IN EVOLUZIONE
PIERRE TEILHARD DE CHARDIN: DALL'EVOLUZIONE UNA SPERANZA PER L'UOMO
LE ORIGINI DELL'UOMO: VEDUTE SCIENTIFICHE ATTUALI E ISTANZE TEOLOGICHE
LA SCIENZA MODERNA E "LA QUESTIONE ANTROPOLOGICA"
BIBLIOGRAFIA
COPERTINA RETRO

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Fiorenzo Facchini

ORIGINI DELL'UOMO ED EVOLUZIONE CULTURALE

PROFILI SCIENTIFICI, FILOSOFICI, RELIGIOSI Prefazione di Yves Coppens

di fronte e attraverso

DI FRONTE E ATTRAVERSO 588

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Fiorenzo Facchini

ORIGINI DELL'UOMO ED EVOLUZIONE CULTURALE PROFILI SCIENTIFICI, FILOSOFICI, RELIGIOSI

Il

JacaBook

il

©2002 Editoriale Jaca Book SpA, Milano tutti ì diritti riservati Prima edizione italiana maggio 2002 Copertina e grafica Ufficio grafico Jaca Book In copertina Disego n di Daniela Balloni (a sinistra, Homo habilis).

Fotocomposizione e impaginazione Actualtype srl, Milano

ISBN 88-16-40588-0 Per informazioni sulle opere pubblicate e in programma ci si può rivolgere a Editoriale Jaca Book SpA - Servizio Lettori

Via V. Gioberti 7, 20123 Milano, tel. 02/48561520-29, fax 02/48193361 E-mail: [email protected], sito Internet:

www.jacabook.it

INDICE

Prefazione,

5

di Yves Coppens

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Premessa EVOLUZIONE UMANA E CULTURA Evoluzione umana, cultura e cooperazione Cultura e speciazione nella filogenesi umana La cultura nell'evoluzione umana Determinismo, indeterminismo, finalismo nella storia dell'uomo Evoluzione, emergenza e trascendenza dell'uomo

13 25 29 47 61

L A CULTURA COME PROGETTU ALITÀ E SIMBOLIZZAZIONE n simbolismo nell'uomo preistorico Capacità progettuale e simbolismo come strategie di sopravvivenza Origini e sviluppo del linguaggio umano

81 99 109

CULTURA, ADATTAMENTO E AMBIENTE Un adattamento essenzialmente biologico: l'uomo in alta quota Adattamento umano, cultura e ambiente La cultura nel rapporto uomo-ambiente

123 129 137

LE RADICI DEL SENSO RELIGIOSO E DELL'ETICA Le radici dell'etica: un approccio antropologico Tracce per un'etica della ricerca scientifica

153 163

3

Indice

Homo religiosus: le origini e le manifestazioni. n senso religioso nell'uomo paleolitico

177 211

EVOLUZIONE E SVILUPPI TEOLOGICI La pedagogia di Dio, creatore di un mondo in evoluzione Pierre Teilhard de Chardin: dall'evoluzione una speranza per l'uomo Le origini dell'uomo: vedute scientifiche attuali e istanze teologiche

225 235 243

A MODO DI CONCLUSIONE La scienza moderna e «la questione antropologica»

273

Bibliografia

287

Paleoantropologia e Paleolitico

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PREFAZIONE

In modo molto semplice - per non dire addirittura semplicistico -racconto spesso la storia del mondo come quella di una materia che non ha smesso, da al­ meno 15 miliardi di anni, di complicarsi e di organizzarsi ogni volta che si è tro­ vata nelle condizioni adatte per farlo; è così che la materia detta inerte dell'Uni­ verso si è fatta parzialmente vivente sulla Terra ed è così che questa materia vi­ vente su questa stessa Terra si è fatta parzialmente pensante. Questo discorso è ovviamente destinato a mettere in evidenza la meraviglio­ sa continuità di quel fenomeno universale, di quella specie di legge che regge tut­ to ciò che noi conosciamo- è vero che discendiamo dalle stelle . . . -e allo stesso tempo la sua incontestabile discontinuità relativa; ben due volte, 4 miliardi di an­ ni fa (un po' più) e 4 milioni di anni fa (un po' meno), la materia ha avuto acces­ so a nuovi livelli più complicati e meglio organizzati, progressione che ha avuto bisogno ogni volta di una materia pronta alla «promozione» -grosse molecole confinate grazie a un impilamento delle argille che le delimitavano nel primo ca­ so, corpo eretto e cervello trasformato per adattarsi a nuovi comportamenti nel secondo -e di un ambiente «provocatore» - l'acqua la prima volta, la siccità la seconda. Questo discorso mostra inoltre, anche senza aver bisogno di esplicitarlo, che la storia ha un senso, anzi, un doppio senso: direzione e significato. Se poi si esamina ognuno di questi due livelli, dall'inerte al vivente, dal vivente al pensante, per osservame i meccanismi, si rimane colpiti dalla loro somiglian­ za: in. ambedue i casi, gli elementi che stanno per costituire la cerniera tra i due mondi non si trasformano tutti esattamente allo stesso momento, ma lo fanno co­ munque nello stesso periodo di tempo. 5

Prefazione

Per un periodo di l 00 milioni di anni, 4 miliardi di anni fa, non si sa bene se ci troviamo in presenza di oggetti in possesso di tutti i caratteri che utilizzeremo a posteriori per definire la vita; per un periodo di l milione di anni, tra 3.500.000 e 2.500.000 anni fa, sappiamo che stanno per riunirsi uno dopo l'altro i tratti che s�rviranno a definire l'Uomo «filosofico»: la coscienza riflessa, l'utensile fabbri­ cato, l'attitudine al linguaggio articolato e le prime manifestazioni di quello stra­ vagante modo di comunicare. La forbice temporale per questa sistemazione può sembrare lunga: è effetti­ vamente possibile che i progressi della ricerca paleoantropologica la riducano un po', ma è anche possibile che resti piuttosto ampia, come è ora, eterocrona; è pos­ sibile che la metamorfosi scatti per quanto riguarda il pensiero sotto il regno dei Preumani, coinvolgendo del resto forse alcuni di loro, prima di cristallizzarsi nel genere Homo, l'Uomo «biologico», nelle sue diverse specie, contemporanee o successive. Quale ne sia il crogiuolo, quello che importa a noi è ovviamente l'avvento di questo nuovo stato della materia, che inventa la cultura e l'associa per la prima volta dopo 15 miliardi di anni alla natura, cultura essendo tutto ciò che non è na­ tura- tutti gli attributi e tutte le produzioni della coscienza riflessa, ìntellettua­ lità, spiritualità, etica, estetica, morale. Da molti anni, almeno venti, Fiorenzo Facchini, appoggiandosi alle caratteri­ stiche del mondo vivente, ha sviluppato brillantemente l'idea che la cultura rap­ presenta, in realtà, la nicchia ecologica dell'Uomo e di conseguenza il modo che ha avuto di adattarsi - come fosse una necessità- ai cambiamenti ambientali. E poi, partendo da questo postulato e dipanando la storia dell'Uomo che conosce così bene, scopre nella suddetta nicchia ecologica progetto e simbolo, etica e sen­ so religioso. Fiorenzo Facchini è un antropologo e un paleoantropologo; conosce bene ciò di cui parla. Insensibilmente, passo dopo passo, conducendo il lettore per ma­ no, egli lo porta dal cuore «duro» dell'anatomia, dell'anatomia funzionale e della fisiologia ai comportamenti degli Uomini, alla loro vita sociale, alla loro vi­ ta cognitiva, creativa, riflessiva e infine religiosa. li lettore si lasci prendere co­ me io stesso mi sono lasciato prendere senza fatica; la strada è dolce e la guida elegante. Caro Fiorenzo Facchini, grazie di aver voluto affidarmi questa prefazione che mi onora. Condivido la Sua idea della singolarità umana; sono anche convinto dell'emergere dell'Uomo religioso assieme a quello della coscienza: si tratta del resto senza dubbio dello stesso emetgere e di due facce dello stesso fenomeno. Come Lei vedo, e con la stessa meraviglia, crescere lungo centinaia di millenni, la lunghezza del progetto degli Uomini e l'affinamento dei loro simboli, la co6

Prefazione

struzione della loro etica e l'elaborazione del territorio sacro del loro spirito. In­ vidio la Sua erudiz�one, la Sua finezza di pensiero, la Sua chiarezza di linguaggio. Fiorenzo Facchini, il Suo libro è splendido, è dotto e pieno di speranza. Yves Coppens Professore di Paleoantropologia e Preistoria al Collège de France Membro dell'Académie des Sciences

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PREMESSA

I temi delle origini e dell'evoluzione dell'uomo, sempre di grande fascino, sol­ levano molti interrogativi e problemi. Non si tratta solo di ricostruire le trasfor­ mazioni biologiche che hanno caratterizzato il processo della ominizzazione, ma di seguirne le manifestazioni sul piano del comportamento. L'attitudine alla cultura rappresenta il filo conduttore nella storia evolutiva dell'uomo a partire dalla sua comparsa sulla terra, ne caratterizza l'adattamento all'ambiente e costituisce la ragione principale del suo successo evolutivo. In questa luce possono essere anche colti i diversi aspetti della cultura, dallo sviluppo tecnologico al simbolismo, alla vita sociale, al senso religioso, alle istan­ ze di ordine etico. Né vanno dimenticate le problematiche filosofiche e teologi­ che connesse con l'evoluzione umana. Vari studi su questi argomenti, sviluppati in diverse sedi scientifiche da chi scri­ ve, sono raccolti nel presente volume al fine di offrirli a un più vasto pubblico. Pur nella diversità delle sedi e della collocazione temporale dei contributi, si può cogliere la unità e continuità che li lega in una visione coerente del proces­ so evolutivo, focalizzata sul comportamento culturale - la costante distintiva dell'uomo - e aperta ai diversi approcci conoscitivi. Un particolare ringraziamento rivolgo al Prof. Yves Coppens per la suggesti­ va, calorosa prefazione. Viva gratitudine esprimo all'Editrice Jaca Book per avermi fatto la proposta dell'opera.

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EVOLUZIONE UMANA E CULTURA

EVOLUZIONE UMANA, CULTURA E COOPERAZIONE*

La storia evolutiva dell'uomo si svolge con gli stessi meccanismi delle altre specie animali, però c'è un momento in cui si nota una discontinuità: è quello in cui compare la coscienza riflessa, culmine - nel pensiero di Teilhard de Chardin - di una crescita di complessità che costituisce il filo conduttore di tutta l'evolu­ zione biologica. Quando e come sia stato raggiunto questo traguardo evolutivo rimane avvolto da una certa oscurità. Quello che possiamo cogliere in paleonto­ logia umana è in termini di popolazioni e in serie di lunghi periodi di tempo. «L'uomo è entrato in silenzio... - ha osservato Teilhard de Chardin - ha cammi­ nato con passi çosì leggeri che allorché gli strumenti indelebili di pietra che . moltiplicano la sua presenza incominciano a rivelarcelo, egli scopre già il Vec­ chio mondo, dal Capo di Buona Speranza a Pechino» (Le Phénomène humain, p. 205). Si ritiene che la soglia umana sia stata superata quando vi sia un adeguato svi­ luppo morfofunzionale, specialmente a livello cerebrale, e quando vi sia docu­ mentazione di uno psichismo riflesso, «cioè capace di ripiegamento su se stesso, di avere presente in pari tempo il fine da raggiungere e i mezzi adeguati allo sco­ po» (Bergounioux, 1971, p. 181). Questa documentazione potrebbe riconoscersi nelle più antiche testimo­ nianze di cultura litica, costituite da ciottoli intenzionalmente scheggiati con po-

*

Da «Rivista di Antropologia>>,

LXI,

1980-81, 203-214.

Comunicazione tenuta al Colloquio sul tema:

«Teilhard de Chardin: Materia, Evoluzione e SperanZP» organizzato a Firenze il25 aprile 1981 dall'«Associazione

Teilhard de Chardin - Centro di ricerca sul futuro dell'uomo>> a cento anni dalla nascita di Pierre Teilhard de Chardin.

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Evoluzione umana e cultura

chi distacchi grossolani che creano un margine tagliente (industria oldovana). Ta­ le industria è stata certamente praticata, insieme con altre industrie più evolute, da rappresentanti di umanità, quali gli Arcantropi o Homo erectus, ma già Homo habilis, una forma meno evoluta quanto a capacità cranica (700-800 cc.) e più an­ tica (risale a circa 2 milioni di anni fa), fabbricava industrie su ciottolo ed è rite­ nuto l'iniziatore di tale industria. È appunto per questo che vari Autori conside­ rano anche Homo habilis rappresentante di umanità. Le industrie su ciottolo erano già note anche negli anni '50, quando Teilhard de Chardin scriveva i suoi ultimi lavori, sebbene non fossero ancora stati scoperti i depositi di Homo habilis di Olduvai e di altre località dell'Africa. È interessan­ te ricordare a questo proposito che l'industria su ciottolo veniva attribuita da Teilhard de Chardin a un'ondata di umanità X, non conosciuta, sviluppata in Africa all'inizio del Pleistocene, la quale avrebbe preceduto una seconda ondata di umanità Y a cui si deve l'industria dei bifacciali (cfr. I!Apparition de l'homme, p. 287). Viene quindi da chiedersi se l'umanità X, ipotizzata dall'A., non sia da identificarsi nell'Homo habilis rinvenuto in vari depositi dell'Africa centrorientale negli ulthni venti anni.

La cultura, segno di ominazione e fattore di evoluzione Cultura umana o preumana, quella su ciottolo ha dominato a lungo, per oltre un milione di anni e si ritrova anche in epoche e in depositi di fossili umani con industrie del Paleolitico inferiore. Se essa viene vista da molti come un segno di ominazione, di una soglia umana ormai raggiunta, alcuni Autori ritengono inve­ ce che sia stata solo un fattore di evoluzione in Homo habilis che la fabbricava (Piveteau, 1973, p. 37) . Non vi sono dubbi invece sul carattere umano dell'industria dei bifacciali che accompagna lo stadio di Homo erectus. Ma questo stadio è anche accompagna­ to da altre manifestazioni culturali, quali tracce di accampamenti o insedia­ menti a carattere temporaneo (es. a Olduvai, a Torralba, a Terra Amata, ecc.), te­ stimonianze dell'uso del fuoco e forse di pratiche cultuali (es. Sinantropo di Pe­ chino). La cultura dunque può essere considerata come un segno della ominazione, di una coscienza riflessa, perché attraverso la fabbricazione intenzionale e siste­ matica di strumenti, per quanto rozzi, e la capacità di progredire in questa fab­ bricazione e di trasmetterla per via non genetica, l'uomo esprime non solo una finalità nell'agire, sopperendo alla despecializzazione delle mani e della denta­ tura, ma realizza un rapporto cosciente e attivo con l'ambiente dando risposte

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Evoluzione umana, cultura e cooperazione

ai propri bisogni (cibo, difesa, ecc.) in modo creativo e non fisso e costante. Certamente dalla rozza manipolazione del ciottolo alle culture del Paleolitico superiore e del Neolitico passeranno oltre due milioni di anni, in un progressivo, lento sviluppo, ma il principio regolatore, l'atteggiamento che viene assunto dal­ l'uomo nei confronti dell'ambiente è fondamentalmente lo stesso. La lavorazio­ ne della selce, infatti, lo mette in grado di realizzare una certa indipendenza dal­ l'ambiente, mentre si affacciano nuove esigenze sul piano sociale. È così che la cultura, oltre ad essere un segno dell'ominazione, diventa, con la sua continuità di sviluppo e diffusione, un fattore di coesione biologica e di evo­ luzione filetica (cfr. Gabow, 1977, ecc.). La cultura rappresenta un mezzo di adattamento all'ambiente fisico. Nello stesso tempo l'uomo, mediante la cultura e il rapporto che stabilisce con l'am­ biente esterno, realizza nuovi ambienti ai quali a sua volta deve adattarsi, nuove condizioni che caratterizzano la sua vita biologica e sociale. Non soltanto oggi, ma già agli inizi dell'umanità vi è stata una interazione fra fattori biologici e so­ ciali. La maggiore abilità manuale nella fabbricazione e nell'uso degli strumenti ha certamente rappresentato un vantaggio sul piano selettivo e quindi è stata un fat­ tore di sviluppo. Attualmente viene pure riconosciuta l'importanza di altri fattori, quali la cac­ cia, l'uso del fuoco, anche per la cottura dei cibi, una dìeta carnea più ricca di proteine. Viene sempre più sottolineato il ruolo della vita sociale nell'ominazio­ ne e nei processi che hanno portato alla forma attuale; in particolare va ricorda­ ta l'organizzazione familiare e sociale, il linguaggio, la comunicazione simbolica e le varie forme di cooperazione. «li grande procèsso di umanizzazione dell'uo­ mo durante gli ultimi millenni, ha osservato Mayr ( 1970), è stato principalmen­ te il risultato della sua abilità di trasmettere le componenti agenetiche della cul­ tura» (p. 719). S i ritiene che questi fattori abbiano influito sulla evoluzione biologica, parti­ colarmente sulle trasformazioni del cervello, anche se non siamo in grado di co­ noscerne le modalità. Lo sviluppo dell'encefalo, che non può essere visto soltanto come aumento di massa, è stato essenziale per il raggiungimento della soglia umana ed è proseguito anche in seguito. Sul piano morfologico si possono individuare vari livelli di organizzazione e di evoluzione dell'encefalo: dai 500 cc. degli Antropoidi e degli Australopiteci, ai 700 cc. di Homo habilis, ai 900- 1100 di Homo erectus, ai 1300- 1400 di Homo sa­ piens, con sviluppo differenziato a carico dei diversi lobi encefalici. Questi livelli si sovrappongono in parte fileticamente, nel senso che per lun­ ghi tratti coesistono nelle stesse regioni esseri assai diversi quanto a capacità era-

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Evoluzione umana e cultura

nica (es. Australopiteco, Homo habilis, Homo erectus nell'Africa centrorientale l ,5 milioni di anni fa). Certamente è degno di nota il fatto che in un arco di tempo relativamente bre­ ve (due milioni di anni circa) le dimensioni del cervello si siano quasi triplicate. Si tratta di uno sviluppo molto rapido, di non facile interpretazione, anche am­ mettendo il concorso dei fattori di ordine culturale, come già ricordato1.

Evoluzione umana e sviluppo culturale A partire da Homo habilis e dalle industrie che gli vengono attribuite, si è sta­ bilita una interazione fra genotipo e ambiente, mediata dalla cultura, che può spiegare la sopravvivenza e il successo della specie umana. È stato un cammino molto lungo, forse anche con differenze di velocità nei cambiamenti evolutivi, quello che ha portato all'uomo di tipo attuale (Homo sa­ piens sapiens)2• Anche la cultura ha progredito lentamente per centinaia di mi­ gliaia di anni, più lentamente dello sviluppo che si è avuto sul piano fisico so­ matico. li cervello ha raggiunto le sue dimensioni attuali circa 300.000 anni fa, quando la tecnologia degli utensili di pietra non era molto diversa da quella di mezzo milione di anni prima. È stato con il Paleolitico superiore e soprattutto con il Neolitico che si è av­ viato un processo di accelerazione sul piano culturale che giunge fino ai giorni nos,tri e fa sì che l'uomo in qualche modo riesca a prendere in mano la sua evo­ luzione e a costruire il suo futuro. Per contro, le modificazioni sul piano somatico si sono molto attenuate in questo tempo e sono dell'ordine microevolutivo. Vi è stata cioè negli ultimi 30.000 anni una dissociazione fra evoluzione fisico-somatica ed evoluzione cul­ turale. La cultura, con il progresso tecnologico e l'organizzazione sociale del ter­ ritorio, l'incremento delle comunicazioni, ecc., diventa sempre più un fattore im­ prescindibile per l'umanità e per il suo futuro, anche da un punto di vista pro­ priamente biologico. Basti ricordare qui i problemi posti dal carico genetico in aumento con i pro­ gressi della medicina, la rottura degli isolati e le migrazioni di popolazioni che

Per spiegare la rapida evoluzione del cervello umano viene proposto da alcuni Autori il modello dell'au­

tocatalisi, secondo il quale il fatto di fabbricare strumenti litici e il suo aspetto culturale avrebbero favorito l'e­ voluzione del cervello (cfr. Holloway,

2

1970; Gabow, 1977, ecc.).

Secondo vedute recenti l'evoluzione degli Omini&potrebbe essere interpretata da un modello di gradua­

lismo filetico con periodi di diversi tassi di evoluzione (Cronin e Coli.,

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1981).

Evoluzione umana, cultura e cooperazione

hanno favorito il flusso genico e la formazione di nuovi genotipi con differente valore adattativo. I prodotti e le espressioni della cultura, possono favorire o minacciare la vita dell'uomo, non come individuo, ma come specie. I problemi posti dalla accelerazione del progresso, della scienza, della tecni­ ca, dall'inquinamento, dallo sfruttamento dell'energia nucleare hanno dimensioni planetarie, interessano tutta l'umanità e non solo gruppi particolari e rappresen­ tano delle sfide per la stessa sopravvivenza dell'uomo sulla terra.

Vita sociale e cooperazione Teilhard de Chardin ha fortemente richiamato l'attenzione sull'importanza della cultura, che considera come diretto prolungamento della evoluzione bio­ logica e cosmica (cfr. Vision du passé, p. 360), e ha messo in particolare rilievo il significato della comunicazione e della cooperazione. Effettivamente si deve ri­ tenere che la cooperazione sia un elemento che caratterizza la cultura dèll'uomo in tutta la sua storia evolutiva, un fattore che è stato essenziale per il suo succes­ so e ha acquistato un significato e un valore via via crescenti. La necessità di legami parentali in relazione alle condizioni del neonato e al pe­ riodo di dipendenza infantile più lungo rispetto ai primati antropomorfi, la presu­ mibile divisione del lavoro nell'ambito familiare, le forme di coesione e aggregazione sociale richieste dalla difesa dagli animali, dalla necessità di procurarsi il cibo, di tra­ sportarlo e di spartirlo, la formazione di campi base familiari e di caccia per la gros­ sa selvaggina, possono essere state le prime espressioni di cooperazione fra gli uo­ mini. L'incidenza di questi fattori sociali nella evoluzione umana è stata sottolinea­ ta da vari Autori. Recentemente Isaac ( 1978) ha richiamato l'attenzione sulla orga­ nizzazione sociale dei primi gruppi di uomini, con particolare riferimento al tra­ sporto del cibo e alla sua spartizione. Leakey e Lewin ( 1980) hanno osservato: «A causa dell'economia mista della raccolta e della caccia e della successiva spartizio­ ne del cibo, i nostri progenitori Homo ebbero bisogno l'uno dell'altro per motivi economici e ciò rese ancora più stretti i vincoli sociali e sentimentali>> (p. 216). Una caratteristica dello psichismo umano, secondo il Grassé (1978), è la per­ dita di certi comportamenti innati, fissati nel DNA, che viene compensata dall'in­ cremento della comunicazione e dei rapporti sociali, con un maggior sviluppo ' dell'acquisito, a par tire fin dalla prima infanzia. Lo stesso Autore osserva: «L'uo­ mo all'inizio della sua storia ha subito come ogni animale la legge della evolu­ zione biologica, ma da quando ha messo da parte gli automatismi sclerotizzanti e ha beneficiato delle prime tradizioni, ha attivamente partecipato alla sua evo-

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Evoluzione umana e cultura

luzione. Egli è l'unico essere vivente che è stato, con ogni certezza, parzialmen­ te l'artigiano di sé» (p. 293). Un incremento della vita sociale e della cooperazione si è avuto nel Paleoliti­ co superiore, nel Mesolitico, ma soprattutto nel Neolitico, quando comincia a svi­ lupparsi un'economia basata sull'agricoltura e sull'allevamento e si realizzano nuovi rapporti e strutture sociali in relazione all'insediamento stabile dei gruppi umani in determinati territori e allo sfruttamento intensivo dell'ambiente. È con queste innovazioni tecnologiche e sociali, espressione di creatività e di coopera­ zione crescente, che si realizza la grande svolta del Neolitico accompagnata da un forte incremento della densità di popolazione. Le raffigurazioni artistiche parietali dell'arte franco-cantabrica (Paleolitico superiore), che riportano scene di caccia organizzata, fanno cogliere l'importan­ za della vita sociale, e quelle del Neolitico, ispirate a un'arte schematizzante, opera di agricoltori, offrono elementi e motivi di organizzazione sociale con rap­ presentazioni collettive di antropomorfi, come è stato segnalato dal Graziosi ( 1972) nelle pitture della grotta di Porto Badisco in Puglia.

Cooperazione e/o competizione Lo sviluppo della cooperazione accompagna l'evoluzione umana e il pro­ gresso della cultura, tuttavia non deve essere mai mancata la competizione. Coo­ perazione e lotta segnano il cammino dell'umanità e si ha ragione di ritenere che ciò sia avvenuto anche flella preistoria. li problema, se mai, è quello della inten­ sità, o prevalenza dell'una o dell'altra e del significato che hanno avuto nella fi­ logenesi umana. Vi sono Autori che vedono gli albori dell'umanità contraddistinti da lotte san­ guinose, le quali avrebbero influito o perfino determinato il corso evolutivo. Non possediamo prove per affermare o negare che la violenza venisse larga­ mente praticata dai nostri lontani progenitori e nel corso della preistoria. Ap­ paiono piuttosto discutibili certe interpretazioni o generalizzazioni avanzate da alcuni Autori a proposito di fratture nei crani di Australopiteci. Vi sono invero re­ perti fòssili sicuramente umani che presentano segni di fatti traumatici violenti, forse con significato rituale (es. Sinantropo di Pechino, Uomo del Circeo). Ma da qui ad affermare che la lotta fra individui e fra gruppi ha rappresentato il mezzo ordinario per sopravvivere ed è stato il principale fattore della evoluzione passa una bella differenza. L'importanza della competizione e della lotta nella selezione di individui e di gruppi è fortemente accentuata nella teoria darwiniana, anche se in qualche te-

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Evoluzione umana, cultura e cooperazione

sto di Darwin appare il concetto della cooperazione ( 1913, p. 199). È noto che l'estensione della teoria di Darwin al campo sociale ha portato a sostenere che il conflitto è alla base stessa dell'evoluzione sociale e culturale (Bagehot, Spencer, Glumpowicz, ecc.). La teoria sintetica dell'evoluzione, riprendendo il nucleo centrale del darwi­ nismo e arricchendolo delle nuove vedute della genetica, ha attenuato il concet­ to di lotta nella selezione naturale insistendo su quello di maggiore idoneità (fit­ ness) per un dato ambiente e quindi di successo riproduttivo in termini di po­ polazione. Recentemente l'idea che l'evoluzione dell'uomo affondi le sue radici nella conflittualità è stata avanzata da Bigelow ( 1971). Secondo l'Autore la tendenza dell'uomo a segregarsi in piccoli gruppi e a competere con gli altri sarebbe stata la molla dell'evoluzione limana, la quale appare indubbiamente veloce, special­ mente nella crescita del cervello. All'aggressività sarebbe dovuto lo sviluppo ra­ pido ed efficiente del nostro intelletto, come pure la nostra capacità di collabo­ razione. In questi anni è stato perfino prospettato nella sociobiologia, con chiaro rife­ rimento alla dottrina di Darwin e alla teoria del Lorenz sull'aggressività, che de­ terminate combinazioni di geni conferirebbero una più efficace tecnica di ag­ gressione e quindi i portatori di essi avrebbero una fitness maggiore (Wilson, p.

580)3.

Per contro non sono manèati Autori, anche alla fine del XIX secolo, che han­ no sostenuto l'importanza della cooperazione. Così Pearson ( 1894) riconosce il ruolo importante che ha avuto la cooperazione come fattore di sopravvivenza delle comunità umane, e Kropotnik ( 1902) ha enfatizzato la parte giocata dal mu­ tuo aiuto nell'ascesa dell'uomo nella scala animale minimizzando la competizio­ ne come fattore di evoluzione. Effettivamente se ci si riferisce all'età paleolitica c'è da ritenere che le condi­ zioni di vita sociale ed economica (vita nomade, l'economia di caccia e raccolta, le presumibili limitate dimensioni del gruppo) fossero tali da non richiedere la vio­ lenza come principio regolatore dei rapporti sociali e della evoluzione umana, non comportassero cioè la guerra organizzata, come hanno giustamente osservato Leakey e Lewin ( 1980) . Forse è con il Neolitico che, insieme con nuove forme di cooperazione sul piano tecnologico e di aggregazione sociale, si sono create con3 In questo campo, come, in generale, nello studio del comportamento occorre andare cauti nell'assumere modelli etologici di altre specie animali, compresi i Primati, per spiegare la condotta umana, come viene fatto da vari zoopsicologi. In questo modo, ha osservato Grassé (1978), essi sostituiscono uno zoomorfismo assolu­ to all'antropomorfismo di ieri (p. 288).

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Evoluzione umana e cultura

dizioni che favorivano anche l'acuirsi delle contese. Pensiamo ai problemi deri­ vanti dall'insediamento e dallo sfruttamento intensivo del territorio, e quindi alle minori disponibilità di spazio, e all'accresciuta densità di popolazione. Comunque è con tale periodo che le manifestazioni e i riflessi della competizione, insieme con la cooperazione, sono diventati maggiori sullà vita delle comunità umane. ll concorso di entrambi i fattori, cooperazione e competizione, per l'evolu­ zione e il progresso dell'uomo è stato variamente interpretato. Mi limiterò qui a ricordare che secondo A. Huxley ( 1937) . Keith ( 1950), di­ stinguendo il momento cooperativo, soprattutto all'interno del gruppo e quello competitivo fra i gruppi, ritiene «la combinazione della cooperazione con la competizione come il più potente meccanismo che ha determinato il destino evolutivo dei gruppi umani» (p. 60) . Secondo Dobzhansky ( 1969) «il nostro concetto di selezione naturale ci por­ ta a considerarla come originata dalla cooperazione oltre che dalla competizione. Inoltre, l'importanza della cooperazione connessa con la competizione, è anda­ ta via via aumentando con il progredire dell'evoluzione biologica» (p. 132). Acutamente Campbell ( 1974) ha osservato che «la cultura è la mente di grup­ po dell'Homo sapiens e dipende dalla cooperazione» (p. 319). «La cooperazione», secondo Leakey e Lewin ( 1979), «rappresenta probabil­ mente l'elemento più importante dell'emergere dell'umanità e fu essenziale per il suo successo» (p. 248). «Siamo esseri aggressivi», ha affermato Eibl-Eibelsfeldt ( 1980), «ma allo stes­ so tempo sociali, dotati di tendenze altruistiche che hanno una base filogenetica proprio come la nostra intolleranza potenziale» (p. 556).

Un cammino di socializzazione e cooperazione Teilhard de Chardin non si limita ad affermare l'importanza della vita sociale e della cooperazione, ma ne fa il principio, la forza, la legge di tutta l'evoluzione umana nel passato e nel futuro. A partire dal Neolitico si può riconoscere, secondo Teilhard de Chardin, un processo di «planetizzazione» dell'umanità: «popoli e civiltà giunte a un tal gra­ do sia di contatto periferico sia di interdipendenza economica sia di comunione psichica, che essi non possono più crescere che interpenetrandosi» (Le Phé­ nomène humain, p. 280). Si ha una maturazione generale «dal sociale diffuso al sociale organizzato» (La piace de l'homme dans la nature, p. 122).

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Evoluzione umana, cultura e cooperazione

Ma molto prima del Neolitico, cioè con Homo sapiens, si è avuta come una «seconda ominazione», un processo di «coriflessione» che, nello schema propo­ sto dall'Autore, ha una fase dilatata (corrispondente al Paleolitico superiore, al Neolitico e all'epoca storica fino ad oggi) e poi tende a convergere. li momento attuale sarebbe appunto di passaggio dalla fase dilatata a quella convergente in ragione di una socializzazione crescente su scala planetaria: «è un phylum che converge su se stesso» ("LApparitzòn de l'homme, p. 327). Tutta l'evoluzione è caratterizzata da una ascesa di coscienza e questo è un ef­ fetto di unione via via crescente.L'Autore parla di «megasintesi» in cui sono im­ pegnati tutti i popoli, di «un processo di tutti insieme>>, di «combinazione gra­ duale degli individui, dei popoli e delle razze» (cfr. I:Apparition, op.cit.passim). Perciò l'evoluzione, che con l'uomo e nell'uomo diventa autoevoluzione, non è a un punto morto, ma in piena forza di espansione e organizzazione ( Vision du pas­ sé, p. 360). Secondo l'Autore gli arrangiamenti psicogenici (aumenti di complessità ac­ compagnati da aumento di coscienza) degli individui in sistemi sociali debbono essere visti come propriamente organici e naturali e vanno proiettati nell'«enor­ me fenomeno della Convergenza umana» (cfr. ibidem, pp.360-361, 378). Si può osservare che nella prospettiva teilhardiana è dato per scontato il suc­ cesso dell'uomo, come punto finale di un'evoluzione ancora in corso, e che la pre­ figurazione di questo punto terminale e le modalità con cui raggiungerlo sem­ brano esorbitare da un piano strettamente scientifico, come già abbiamo avuto modo di osservare (Facchini, 1968). Ma non si può negare il fascino di speranza che tale prospettiva suscita per la progettazione del futuro dell'uomo. Recentemente Wolf (Praga), nel Congresso degli Antropologi Europei tenu­ . tosi a Brno nell'agosto 1980, ha richiamato l'attenzione (non senza quakh:è re­ miniscenza teilhardiana) sul futuro dell'uomo riallacciandolo alla sua storia evo­ lutiva. Egli distingue tre fasi dell'evoluzione umana: la ominazione, che ha dato ori­ gine al genere Homo; la sapientizzazione, che ha portato all'Homo sapiens e alla sua diffusione sulla terra, e infine l'ultimo e più alto stadio: la umanizzazione, co­ me ulteriore crescita di civilizzazione e completamento dello sviluppo dell'Homo sapiens, in cui l'attività umana assume un ruolo dominante e determinante sul fu­ turo dell'umanità. La umanizzazione costituirebbe l'alfa e l'omega del comple­ tamento dell'evoluzione dell'uomo sia in senso storico che filogenetico. La nostra opinione è che la cooperazione e la vita sociale, come sono fonda­ mentali per lo sviluppo ontogenetico, abbiano avuto maggiore importanza del­ la lotta e delle guerre sul piano filogenetico e per il progresso dell'umanità, sia nel passato che in epoca storica (sebbene la storia venga generalmente presen·

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Evoluzione umana e cultura

tata come una successione di guerre) e che questa importanza diventi maggiore per il futuro. Certamente oggi cresce la coscienza che solo un forte impegno di umanizza­ zione della cultura, della scienza e della tecnica possono garantire la sopravvi­ venza e un futuro per l'umanità. Significativi a questo proposito i frequenti, ap­ passionati richiami contenuti nel magistero di Giovanni Paolo II. Ora, nell'attuale fase della storia, caratterizzata da un'accelerazione dei pro­ cessi culturali e dello sviluppo scientifico e tecnologico, occorre una intensifica­ zione dei processi di adattamento alle nuove condizioni in cui l'uomo viene a tro­ varsi anche come specie. Questa accelerazione potrebbe individuarsi, a nostro modo di vedere, nell'incremento della comunicazione, del dialogo, della coope­ razione all'interno della società, tra gli uomini e tnri gruppi; una cooperazione che non può limitarsi a pochi, a un'élite, ma che si sviluppi su scala mondiale e impegni tutta l'umanità. L'incremento della cooperazione può essere visto come risposta ai maggiori ri­ schi prodotti dal progresso tecnologico e scientifico, come adattamento all'am­ biente culturale che l'uomo stesso ha prodotto. Viene così portata ad espressio­ ni sempre più alte la tendenza alla socializzazione e comunicazione che affonda le sue radici nella natura stessa dell'uomo, nella sua struttura biologica.

Verso nuovi equilibri ecologici e sociali L'incremento della cooperazione può essere visto come un modo per realiz­ zare un rapporto fra specie umana ed ambiente che garantisca la sopravvivenza dell'uomo e un suo ulteriore progresso. Lo sviluppo dell'uomo nel futuro si inquadra in un equilibrio uomo-ambien­ te mediato dalla cultura e quindi cosciente e dinamico ad un tempo. In questo senso si potrebbe pensare a un sistema omeostatico sui generis, nel senso che tale equilibrio non deve intendersi regolato in modo deterministico da meccanismi genetici o da condizioni che riconducono automaticamente l'evolu­ zione umana nel suo corso, come avviene per altre specie viventi, ma piuttosto vie­ ne realizzato da un sistema che riesce a creare anche nuovi tipi di omeostasi per una sua capacità di mutare e di progettare. Certamente c'è una base biologica per il comportamento umano e per la ten­ denza alla socializzazione, ma intervengono fattori, criteri, modelli che l'uomo, come umanità organizzata su scala mondiale, deve individuare e perseguire. Mc Hale ( 1973) suggerisce l'armonizzazione dei seguenti sistemi umani e ambienta­ li: tecnologico (materiale, strumenti meccanici, fisici, chimici, sistemi organizza22

Evoluzione umana, cultura e cooperazione

ti di strumenti, ecc.); psicosociale (comportamenti individuali e collettivi, istitu­ zioni sociali, familiari, religiose, politiche, educative, ecc.), biofisico (processi fi­ siologici e metabolici), ambientali (atmosfera, litosfera, idrosfera). Occorre un grado di consapevolezza, di coscienza e di responsabilità colletti­ va intorno a valori e problemi di fondo comuni, quali la pace, l'umanizzazione delle strutture, il senso della solidarietà, le risorse energetiche, la minaccia eco­ logica, ecc., i quali dipendono in gran parte dalla volontà dell'uomo, dei gruppi e dei popoli, dalla educazione alla comunicazione, al dialogo, alla cooperazione (cfr. Resources and Man, 1970). La comunicazione e la cooperazione indicano un metodo, ma sono già un va­ lore in se stesse e possono costituire una direzione di marcia. Non basta riaffer­ mare la loro esigenza. Occorre vedere concretamente su quale terreno sviluppa­ re i rapporti, individuare cioè possibili progetti o intenti comuni con compiti dif. ferenziati all'interno della convivenza umana. È vero, possono entrare in gioco le ideologie, le concezioni diverse di uomo, ma su alcuni valori fondamentali, quali la pace, la libertà, la solidarietà, il rispet­ to per l'uomo, per le culture, per tutti i popoli, vi dovrebbe essere un incontro, proprio per programmare un futuro che non sia di pura sopravvivenza, ma di svi­ luppo per l'uomo. Quanto di questa esigenza fortemente sentita si ritrovi nella visione teilhar­ diana credo sia superfluo rilevare. Forse quello che viene visto da Teilhard de Chardin come prolungamento del­ la evoluzione biologica non ha, in base ai dati scientifici, quella ineluttabilità che egli sembra sostenere. Intervengono altri fattori, legati alla responsabilità e alle scelte dell'uomo, ma è certamente legittimo sperare e impegnarsi perché il cam­ mino dell'umanità segni una crescita di umanizzazione della cultura, della scien­ za e della tecnica attraverso un lavoro comune.

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CULTURA E SPECIAZIONE NELLA FILOGENESI UMANA*

Per la formazione di una nuova specie è essenziale l'isolamento riproduttivo per il quale assumono importanza particolare le differenze morfologiche e com­ portamentali, oltre a quelle dell'habitat (Ayala, 1982; Dobzhansky, 1970; Mayr, 1949) . Una particolare attenzione va data al sistema di riconoscimento visivo in ordine alla riproduzione sessuale (S.M.R.S. o Sistema di Riconoscimento Speci­ fico) (Paterson, 1980) in cui il riconoscimento visibile è fondamentale. Cam­ biamenti nel sistema di riconoscimento, determinati da nuovi caratteri somati­ ci o comportamentali con significato adattativo, possono favorire l'isolamento ri­ produttivo e il processo di speciazione. Non va neppure dimenticato che la for­ mazione di una nuova specie è più facile nelle popolazioni derivanti da un me­ desimo ceppo, ma che vivono in habitat assai diversi gli uni dagli altri (specia­ zione geografica) ; d'altra parte, anche se ciò è spiegato meno bene, non si può escludere la speciazione simpatrica (popolazioni che abitano il medesimo terri­ torio) o parapatrica (popolazioni di territori contigui) nel caso in cui la selezio­ ne naturale è particolarmente forte (per esempio a causa di una specializzazio­ ne eccessiva dell'alimentazione) oppure se i cambiamenti genetici sono molto ra­ pidi (speciazione saltatrice) , come supposto nella teoria degli equilibri punteg­ giati (Ayala, 1982; Readley, 1985; White, 1978) . Tenendo presente questi concetti anche nello studio della filogenesi umana, bisogna riconoscere che è difficile ricavare dalla morfologia scheletrica ele­ menti informativi sul cambiamento del sistema di riconoscimento (S.M.R.S.)

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Da Culture et spéciation dans la phylogénèse humaine, C.R. Ac. Se., Paris, t. 307, s. II, 1988, 1573-1576. 25

Evoluzione umana e cultura

per dimostrare un'assenza di fertilizzazione. È necessario che le differenze dei caratteri scheletrici siano di una certa importanza per suggerire una reale di­ scontinuità morfologica e fisiologica (Turner, 1986). Come è noto, nella filogenesi umana vari autori propendono a riconoscere, so­ prattutto sulla base di un rapido accrescimento del cervello, un momento di ra­ pida speciazione nella formazione di Homo habilis (Chaline, 1986; Tobias, 1983) ; in seguito si sarebbe avuto essenzialmente un processo evolutivo di tipo gradua­ le o con momenti di accelerazione (Howells, 1981). Secondo il modello gradualistico si avrebbe una continuità genetica a livello di individui lungo la stessa linea, anche se le specie che si succedono nel tempo non sono interfeconde fra di loro. Questa modalità evolutiva risponde al concetto di specie allocronica o crono­ specie, suggerita da Mayr ( 1949; 1963) e sostenuta particolarmente da Feremba­ ch ( 1986) per Homo erectus e Homo sapiens che sarebbero sottospecie o specie allocroniche.

Una sola specie umana Nel corso delle differenti epoche della preistoria non sarebbe dunque esisti­ ta che una sola specie umana. Però recentemente è stato osservato che vi sareb­ be una tendenza a sottostimare le specie umani fossili. Se si tiene conto dei cam­ biamenti climatici e delle oscillazioni eustatiche (Tattersall, 1986), molte specie sarebbero esistite in un medesimo periodo (per es. Pleistocene medio) e in una medesima regione. Ma per quanto si riferisce a Homo erectus dell'Mrica orientale e dell'Asia, per esempio, l'identificazione di differenti specie geografiche non è sostenuta da supporti morfologici sufficientemente sicuri (Hublin, 1986; Right­ mire, 1986). La soluzione del problema dipende certamente dal peso che viene attribuito alle differenze morfologiche dello scheletro, in particolare ai caratteri nuovi o ti­ pici e ai cambiamenti dell'ambiente, ma non esiste alcun rapporto sicuro tra speciazione e cambiamenti morfologici; non è neppure possibile conoscere con certezza il momento in cui una modificazione dell'ambiente comporta veramen­ te un isolamento riproduttivo. A questo proposito ho l'impressione che nel corso delle discussioni sul pro­ cesso di speciazione nella filogenesi umana non si sia tenuto conto del fattore cul­ tura che potrebbe avere svolto un ruolo assai importante già a partire dalla pri­ ma fase della ominizzazione, sia per quanto concerne le caratteristiche dei siste­ mi di comunicazione necessari alla comunità riproduttiva, che per quanto ri26

Cultura e speciazione nella filogenesi umana

guarda la capacità di contrastare la selezione naturale e di sfuggire all'isolamen­ to necessario al processo di speciazione. Fin dalle sue manifestazioni elementari, la cultura esprime un'attitudine nuo­ va davanti all'ambiente di vita, una capacità di fare progetti, la tendenza a una co­ municazione e cooperazione crescenti nei modi e nell'intensità. Tutto ciò noi pos­ siamo riconoscer!o nella tecnologia della pietra, nell'organizzazione del territorio, nella vita sociale, nel linguaggio simbolico. Si può sostenere che le espressioni cul­ turali di Homo habilis non hanno realizzato soltanto delle condizioni vantaggio­ se per quanto concerne l'habitat rispetto alle forme australopitecine, gracili e ro­ buste, ma che hanno favorito condizioni di isolamento. Quanto alla evoluzione in Homo erectus, c'è da chiedersi se esso sia da inten­ dersi nel senso di una nuova specie (nel senso allocronico o paleontologico, co­ me molti autori ritengono) oppure nel senso di una sottospecie. La differenzia­ zione in sottospecie potrebbe essere sostenuta sia dal fatto che gli stadi di tra­ sformazione di Homo habilis in Homo erectus hanno avuto luogo nel medesimo territorio africano (stando ai reperti che oggi si possiedono) sia dalla continuità morfologica e culturale che si ammette tra Homo habilis e Homo erectus. Un'analisi multivariata eseguita da Wiercinski su 12 caratteri craniometrici mostrerebbe una corrente evolutiva di difficile interruzione da Homo habilis a Homo sapiens. Anche altri autori tra cui Coppens ( 1981, 1986) e Jelinek ! 1981) hanno attirato l'attenzione sulla difficoltà di delimitare delle specie nel corso del­ le fasi Homo habilis, erectus e sapiens, le quali prendono valore di stadi morfolo­ gici, di gradi piuttosto che di vere specie. La difficoltà di diagnosi aumenta se si considerano gli uomini fossili di un medesimo stadio, come è stato osservato re­ centemente da Rightmire ( 1986) . Per mantenere un'unica specie umana nel sen­ so diacronico, la cultura potrebbe avere giocato un ruolo determinante, perché essa caratterizza il sistema di riconoscimento e di comunicazione della specie umana ed è in grado di opporsi in qualche misura alla selezione naturale nei di­ versi habitat. La variabilità morfologica che si osserva in senso diacronico e che risponde soprattutto a una cerebralizzazione crescente e a una tendenza evolutiva di alcu­ ni caratteri cranio-facciali (forse in correlazione con l'alimentazione o l' ambien­ te) non dovrebbe essere enfatizzata al punto di interpretarla come corrispondente a differenze fra specie; basta del resto pensare alla notevole variabilità che si tro­ va ancora attualmente nelle popolazioni umane contemporanee (per esempio per quanto si riferisce alla statura, alla morfologia cranica, ecc.) . L a cultura avrebbe bloccato il processo di speciazione di una evoluzione che si è realizzata secondo il modello gradualistico da Homo habilis a Homo sapiens. L'i­ dea di sottospecie che si susseguono nel tempo si adatta meglio a questa ipotesi. 27

Evoluzione umana e cultura

Anche i diversi habitat affrontati da Homo erectus, pur facendo emergere ca­ ratteri biologici adattativi, non hanno tuttavia determinato cambiamenti radica­ li al punto da comportare la formazione di nuove specie, forse proprio perché l'incidenza dell'ambiente esterno veniva ad essere attenuata dai fattori culturali (uso del fuoco, abiti di pelle, flessibilità dell'alimentazione, collaborazione per la caccia, ecc.) che hanno comportato un migliore controllo degli ambienti e l'a­ dattamento a questi stessi ambienti.

La cultura come nicchia ecologica dell'uomo Se la nicchia ecologica di una specie può definirsi come la posizione o lo sta­ to di un organismo risultante da un adattamento strutturale a risposte fisiologi­ che di comportamento specifico all'interno di un ecosistema (Odum, 1971), si può affermare che la nicchia della specie umana è caratterizzata essenzialmente dalla cultura, più che dall'ambiente fisico propriamente detto e dagli adatta­ menti strutturali e della specie. I fattori culturali si aggiungono agli altri fattori e li inglobano. Ecco perché si parla per l'uomo di adattamento bio-culturale, cioè di un adattamento realizzato con la partecipazione cosciente dell'uomo. In modo emblematico si potrebbe affermare che "la nicchia ecologica del­ l'uomo è la cultura" , nelle sue possibilità di interazione con l'ambiente e con la struttura biologica della specie. In questo modo si spiega meglio non soltanto la diffusione dell'uomo sulla ter­ ra, ma anche la sua continuità filetica e morfologica senza che si siano resi ne­ cessari processi di speciazione a partire dalle prime forme umane. Si spiega così il successo evolutivo della specie umana e possiamo compren­ dere che il grande pericolo per il futuro dell'uomo sul piano ecologico viene da un cattivo impiego della cultura.

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LA CULTURA NELL'EVOLUZIONE UMANA*

Si può affermare che l'uomo fa la cultura, ma anche la cultura fa l'uomo. La cultura è essenziale per la definizione dell'uomo e per conoscere la sua compar­ sa sulla terra. Essa rappresenta un fattore molto importante per lo sviluppo, la vi­ ta e la sopravvivenza dell'uomo. È certo che le espressioni culturali sono molto diverse da un'epoca all'altra, da un luogo all'altro. L'economia, la tecnologia, l'or­ ganizzazione sociale, il senso religioso nel Paleolitico sono diversi da quelli del Neolitico o dell'Età moderna, così come vi sono differenze tra la cultura delle na­ zioni industrializzate e quelle dei popoli che praticano tuttora economie di sus­ sistenza. C'è però un nucleo essenziale, un atteggiamento di fondo comune, che, con modalità anche assai diverse, caratterizza la specie umana sul piano del compor­ tamento: la cultura. Si tratta di una attività creativa e simbolica che si può riconoscere nella prei­ storia a partire dai primi uomini. Alcuni Autori non riconoscono la presenza dell'uomo che di fronte a certe manifestazioni di spiritualità, come per esempio il culto dei morti presso i Nean­ dertaliani; altri parlano di una umanità bambina nelle epoche lontane della prei­ storia, paragonando lo sviluppo dell'umanità (filogenesi) allo sviluppo del singolo uomo ( ontogenesi). li modello proposto da Piaget, in cui si possono distinguere tre stadi succes­ sivi (periodo senso-motorio, periodo pre-operazionale, periodo operazionale) per lo sviluppo cognitivo dell'uomo è stato applicato allo studio della filogenesi. *

Da La culture dans l'évolution humaine, C.R. Ac. Se., La vie des Sciences, Paris, t. 29

10, l, 1993, 5 1 -66.

Evoluzione umana e cultura

Si è cercato cioè di cogliere le corrispondenze dei vari stadi di sviluppo del lin­ guaggio e dell'intelligenza degli antichi ominidi con le fasi cognitive che si os­ servano nell'età evolutiva. In particolare, con Homo habilis si sarebbe entrati, secondo l'analisi compiu­ ta da Wynn ( 1981) sulle caratteristiche morfologiche di manufatti litici, nella fa­ se di intelligenza pre-operazionale, mentre Parker e Gibson (1979) ritengono che Homo habilis avesse realizzato tutta la gamma dell'intelligenza pre-operazionale e raggiunto la soglia dell'intelligenza operazionale. Queste interpretazioni, che si riallacciano alla discutibile teoria secondo la quale l'ontogenesi ricapitola la filogenesi, sono state criticate da vari autori. To­ bias ( 1983) pur apprezzando il tentativo di analizzare l'evoluzione della capacità conoscitiva umana, ritiene che si debba tenere conto sia degli utensili, sia dei mo­ delli di comportamento che possono essere prodotti dall'analisi dei suoli di abi­ tato. Egli riconosce nella cultura di Homo habilis un grado di complessità e un li­ vello di intelligenza tali da richiedere la comunicazione e la trasmissione attra­ verso il linguaggio. La maggior parte degli autori, fra cui Yves Coppens, Jean Pi­ veteau, Henry De Lumley e molti altri, riconoscono in Homo habilis la presenza più antica dell'uomo, a motivo della sua organizzazione cerebrale e della cultu­ ra di cui è l'artefice. Vorrei aggiungere che le forme di cultura tecnologica e di organizzazione so­ ciale agli inizi dell'umanità, rivelano capacità che non possono essere assimilate a quelle di un bambino. Ciascuna fase dell'umanità deve essere considerata e giu­ dicata per quello che è, non sulla base di quello che l'uomo potrà sviluppare nel futuro. Altrimenti, come potremmo noi giudicare la cultura di qualche migliaio di anni fa, come quella del periodo Neolitico, in rapporto con la cultura tecno­ logica di oggi? Le espressioni culturali dei Kung o dei Melanesiani non sono una cultura an­ cora bambina in attesa di un'evoluzione, anche se non vi si ritrova la cultura del­ l'uomo industriale.

Il concetto di cultura

li vero problema è quello di definire il nucleo essenziale della cultura come at­ tività tipica dell'uomo. Frequentemente, specialmente nel campo etologico, il ter­ mine cultura viene impiegato per indicare qualunque attività appresa, cioè non geneticamente determinata. Cavalli Sforza e Feldmann ( 1981) danno la seguen­ te definizione di cultura: «l comportamenti appresi attraverso tutto ciò che non è trasmissione genetica, sia che si tratti di imprinting, che di condizionamenti, os30

La cultura nell'evoluzione umana

servazioni, imitazioni o risultato di un insegnamento diretto». È questa un'acce­ zione molto ampia, che potrebbe essere estesa a un gran numero di specie ani­ mali, ma che non possiamo tuttavia condividere, perché non corrisponde all'at­ titudine di autocoscienza e allo psichismo riflesso, caratteristici nell'uomo ed es­ senziali a una vera cultura. Altri autori legano l'idea di cultura in prevalenza o esclusivamente alla capacità di adattamento all'ambiente (funzionalismo) senza tenere conto correttamente della capacità di simbolismo e della relazione inter­ personale che caratterizza l'uomo. Altri ancora riconoscono una vera cultura soltanto quando ci si trovi in presenza di manifestazioni di sicuro contenuto simbolico, come la religione e l'arte. Si può comunque osservare che anche la fun­ zionalità di uno strumento ottenuto mediante una tecnica pensata, suppone un'in­ telligenza di tipo astrattivo. Per parte nostra, noi intendiamo per cultura il modo mediante il quale l'uomo si rapporta intenzionalmente all'ambiente ed esprime il suo mondo interiore con forme di comunicazione simbolica e con modelli di comportamento collettivo che sono trasmessi nello spazio e nel tempo. li rapporto cosciente con l'ambiente porta l'uomo a modificarlo in modo progettuale attraverso differenti tecnologie, mentre l'espressione della sua inte­ riorità caratterizza le risposte alle esigenze di ordine biologico (nutrizione, ri­ produzione, ecc.) e pone l'uomo in relazione con i suoi simili attraverso differenti forme di comunicazione simbolica (linguaggio, arte, ecc.) e l'organizzazione so­ ciale. Si potrebbe così affermare che la tecnologia progettuale, la elaborazione soggettiva di risposte ad esigenze di ordine biologico (nel senso di un arricchi­ mento di contenuti di altro ordine) , la comunicazione simbolica per mezzo del linguaggio, così come l'organizzazione sociale, la trasmissione extraparentale di modelli di comportamento collettivo rappresentano gli elementi distintivi della cultura dell'uomo.

La cultura come attività creativa e simbolica durante la Preistoria La cultura, come particolare attitudine dell'uomo di fronte alla natura e ai suoi simili, caratterizzata dalla progettualità e dalla simbolizzazione, è una co­ stante dell'uomo di tutte le epoche a partire dagli albori dell'umanità. Come ha affermato Sahlins ( 1972), «l'uomo comincia come uomo, distinguendosi da altri animali, proprio perché fa l'esperienza del mondo in modo simbolico». Attualmente, come è stato già ricordato, le lontane origini dell'uomo sono col­ locate intorno a 2 milioni di anni fa, con le forme attribuite a Homo habilis, un ominide capace di scheggiare in modo non stereotipo la selce, di organizzare il suo territorio e di esprimersi attraverso un linguaggio articolato. Queste capacità 31

Evoluzione umana e cultura

Fig. l . Bifacciali del giacimento di Castel di Guido (Paleolitico inferiore), da A .M. Rad­ milli e G. Boschian, Gli scavi a Castel di Guido, Ist. St. Preist. e Protost. , Firenze ( 1996).

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La cultura nell'evoluzione umana

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Fig. 2 . Industria olduvaiana antica di Olduvai Bed II: l e 2 protobifacciali; 3 chopping-tool; 4-7 schegge ritoccate (da Broglio e Kozlowski, 1986) .

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si accrebbero con il tempo e le manifestazioni che ci ha lasciato Homo erectus (a partire da circa 1.600.000 anni fa) e Homo sapiens (a partire da 100.000 anni fa) attestano un costante sviluppo di tali capacità. Ora considereremo alcune espressioni culturali e il loro significato creativo e simbolico.

Le tecnologie litiche e le strategie territoriali Dalla tecnologia dell'industria su ciottolo, praticata da Homo habilis e conti­ nuata da Homo erectus, si passò ai bifacciali e alle industrie su scheggia realizza­ ti dall'erectus. La fabbricazione di strumenti quando si presenta non in modo ri­ petitivo e stereotipo, ma è al contrario il risultato di un progetto e si evolve, ri­ chiede operazioni e gesti finalizzati e implica un'attività di tipo astrattivo. C'è un'attitudine creativa nei diversi tipi di strumenti, nelle varietà delle industrie li­ tiche fabbricate dall'uomo preistorico a partire dall'Olduvaiano antico. Come G. Martelet e altri Autori hanno osservato, molti strumenti, compresa l'industria su ciottolo, presentano una certa indeterminazione e universalità dello strumen­ to; esso,cioè, poteva servire non a un solo uso, ma a più usi. Ciò lascia intendere che l'intelligenza non è, per così dire, incorporata nello strumento, ma è prima dell'opera, nella mente stessa di chi l'ha creata, come per ottenere una terza ma­ no. Nell'utensile che risponde a un progetto e va oltre la risposta ad un unico bi­ sogno si può già ritrovare il segno di una universalità della mente che l'ha pen­ sato, e nella varietà tipologica degli strumenti si può riconoscere un comporta­ mento di tipo non deterministico, ma libero. «L'uomo ha la capacità intellettua­ le di apprendere i rapporti tra i fenomeni e di apprendere i rapporti dei rappor­ ti. Questa capacità si esprime nello strumento e la fabbricazione di strumenti può fare degli strumenti» (Goustard, 1991). Recentemente Piveteau ( 1991) ha messo in evidenza il ruolo della mano nel­ la genesi del pensiero riflesso: «La riflessione che caratterizza l'uomo può defi­ nirsi come coscienza di azione differita o di azione ritardata», ciò che si ritrova nel dialogo della mano e del cervello per la fabbricazione di strumenti. n rapporto con l'ambiente ha ugualmente conosciuto uno sviluppo: dall'or­ ganizzazione del territorio con capanne sia per la spartizione del cibo che per l'a­ bitazione e la fabbricazione di strumenti (per es. a Olduvai in Tanzania, circa 1,8 milioni di anni fa o a Melka Kunturé, Etiopia, circa l ,4 milioni di anni fa) si pas­ serà a veri campi base per la caccia, e in seguito, nelle regioni a clima temperato, alle organizzazioni di spazi in grotta. Si passerà dalla caccia di piccoli animali a quella di grandi mammiferi, come l'ippopotamo, il rinoceronte o l'elefante uti34

La cultura nell'evoluzione umana

Fig. 3 . Bifacciale del periodo acheuleano ritrovato a West Tofts, Norfolk (Inghilterra) . Al centro l'impronta di un bivalve del Cretaceo superiore (da Oakley, 198 1 ) .

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lizzando strategie che esigono una certa organizzazione sociale. In seguito, nel pe­ riodo Neolitico, si troverà l'agricoltura, l'allevamento e la formazione dei primi villaggi. Nella vita sociale, documentata dalla organizzazione del territorio, dalla cac­ cia e anche da officine litiche, si possono riconoscere indirettamente capacità di astrazione e di simbolo.

Il trattamento di crani In alcune stazioni preistoriche sono stati segnalati i segni di un culto dei crani o di antropofagia. Le più antiche testimonianze di conservazione di calotte crani­ che, spesso con segni di frattura della base (per es. nei Pitecantropi e nel Sinan­ tropo), sono riferibili, secondo molti Autori, a trattamenti intenzionali di cui si cer­ ca di spiegare il valore confrontandoli con pratiche analoghe ancora in vigore in alcuni gruppi umani attuali considerati come primitivi. Tuttavia, che si tratti di an­ tropofagia rituale o di particolari usi a carattere tafonomico, è difficile negare il ca­ rattere simbolico alla conservazione di calotte craniche quale che possa essere sta­ to il loro trattamento e lo scopo di questa pratica. E sebbene non manchino autori moderni che si sforzano di demolire questa interpretazione, non si può negare un carattere intenzionale e simbolico nel trat­ tamento di reperti cranici in vari depositi del Paleolitico inferiore (per es. Pite­ cantropo, Sinantropo). Forme di cannibalismo sono riconosciute chiaramente in alcuni reperti neandertaliani del Paleolitico medio (Krapina) . È stato ugualmen­ te osservato che «il cannibalismo può ritenersi un caso speciale di manipolazio­ ne del cadavere praticata nel periodo paleolitico, ma non vi sarebbero prove evi­ denti che per qualche località. Più frequente la separazione della carne dalle os­ sa e lo smembramento del cadavere, il quale poteva forse essere connesso con qualche rituale funerario» (Ullrich, 1982).

Le sepolture La capacità di astrazione e il carattere simbolico anche religioso, sono anco­ ra più evidenti nelle sepolture a partire dai Neandertaliani, e ancora prima pres­ so gli uomini di Qafzeh e Skhul (Palestina) di circa 90.000 anni fa. La cura del defunto, il tipo di inumazione, il frequente corredo funerario non lasciano dubbi, anche se alcuni autori moderni sostengono - a nostro awiso senza argomenti convincenti - che prima dell'umanità moderna del Paleolitico 36

La cultura nell'evoluzione umana

superiore non si hanno indicazioni di comportamento simbolico. E si sollevano dubbi sul carattere intenzionale di alcune sepolture e degli elementi che vengo­ no interpretati come corredo funerario (Chase e Dibble, 1987; Lindly e Clark, 1990) . Ma anche presso i Neandertaliani si deve ammettere la pratica della se­ poltura (Bar Yoseph, 1989; Vandermeersch, 1991, ecc.). Con questa pratica l'uo­ mo rivela che la morte ha cambiato senso, significato per lui.

Le rappresentazioni artistiche e il senso estetico A nostro parere non si deve riconoscere la capacità simbolica soltanto nel­ l' arte mobiliare e parietale del Paleolitico superiore. È tuttavia certo che nelle immagini il simbolismo raggiunge un alto grado di espressione. Si tratti di rap­ presentazioni puramente artistiche (l'arte per l'arte), com'è stato recentemente riproposto da Halverson ( 1 987) , o di immagini che hanno attinenza con la sfe­ ra magica e religiosa, secondo l'interpretazione classica (Breuil, Graziosi, Ana­ ti) , o abbiano qualche riferimento soprattutto con la vita sessuale e la fertilità (Leroy-Gourhan, 1970) o con la vita e l'organizzazione sociale (Laming-Empe­ raire, 1970), le rappresentazioni più frequenti di certi animali (bisonte, cavallo) e di segni più o meno oscuri dovevano avere qualche contenuto di ordine ideo­ logico e spirituale. Ma la preistoria ci offre anche altre manifestazioni di carattere simbolico. Mi riferisco qui al senso estetico che emerge spesso nella varietà dei manufatti fab­ bricati dall'uomo, alcuni dei quali presentano una lavorazione che non doveva ri­ spondere alla pura funzionalità dell'oggetto, ma piuttosto a un canone di bellez­ za. In molti bifacciali (specialmente acheuleani e micocchiani) si può cogliere una simmetria di lavorazione che va oltre l'aspetto funzionale e rivela un intendi­ mento estetico o almeno un riferimento più o meno esplicito alla proprietà di un gran numero di esseri viventi: la simmetria delle parti. Talvolta l'aspetto estetico di manufatti litici è anche più evidente. A West Tofts, Norfolk, e a Swanscombe, in Inghilterra, con industrie acheuleane (Paleo­ litico inferiore) , sono stati trovati bifacciali contenenti bivalvi ed echinoidi fossi­ li, inclusi nella selce; essi quindi furono rispettati dall'artefice di quei bifacciali (Oakely, 1981). li senso estetico, che svincola il manufatto dalla pura funzionalità del taglia­ re o raschiare o incidere, è dunque molto più antico delle raffigurazioni artisti­ che del Paleolitico superiore di Altamira, di Lascaux e di Niaux; esso esprime già capacità astrattive e fa acquistare allo strumento un possibile significato anche sul piano artistico. Al senso estetico si accompagna la capacità di rappresenta37

Evoluzione umana e cultura

zione simbolica a partire da ciò che entra nell'orizzonte cognitivo dell'uomo. In ordine al simbolismo assumono particolare interesse certi segni ritrovati in oggetti preistorici molto più antichi, anche se di difficile interpretazione. Così a Pech-de-l'Azé, a un livello acheuleano (Paleolitico inferiore, epoca rissiana), è sta­ to rinvenuto un frammento di costola di bovide che porta incisioni ritenute in­ tenzionali. Altrettanto può dirsi di alcune incisioni a zig zag su un frammento os­ seo ritrovato a Bacho-Kiro (Bulgaria) con industrie musteriane. Non sappiamo il significato di queste incisioni, ma il loro carattere simbolico è fuori discussione. Va segnalato pure nel giacimento di Tata (Ungheria) un og­ getto o manufatto di epoca musteriana, colorato con ocra rossa, ricavato da una lamella di molare di mammuth. Né può essere dimenticata la raccolta di oggetti curiosi (fossili, minerali) che sono stati trovati a differenti livelli del Paleolitico medio e che non sono legati a bisogni vitali: essi dimostrano la curiosità natura­ le degli uomini neandertaliani.

Uso dell'ocra Un altro elemento che si riferisce a contenuti di carattere simbolico è il colo­ re, in particolare l'uso dell'ocra. Essa è conosciuta in molti depositi musteriani ed è stata impiegata nelle sepolture del Paleolitico superiore, sul terreno o sul ca­ davere oltre che per le raffigurazioni parietali. Ma il suo uso è molto più antico. L'ocra rossa è stata ritrovata in antichissimi depositi antropici dell'Etiopia risa­ lenti a un milione e mezzo di anni fa. E anche nel secondo strato di Olduvai (Tan­ zania), a Terra Amata (Francia) , per non ricordare altri depositi di epoca più re­ cente. Non sappiamo a che cosa potesse servire, ma è probabile, secondo Oak­ ley ( 1981) e vari studiosi, che essa potesse essere impiegata per realizzare segni a carattere simbolico o decorativo, anche se non sono pervenuti a noi, per cui si po­ trebbe vedere nell'uso dell'ocra le radici del simbolismo e dell'arte oppure una antichissima espressione di simbolismo e di arte.

La domesticazione delfuoco Un altro elemento a sostegno della capacità simbolica dell'uomo preistorico è la domesticazione del fuoco, documentata in modo certo in varie stazioni del Pa­ leolitico inferiore (Terra Amata, Verteszollos, Torralba, Petralona, Chou-kou­ tien, ecc.) , ma che secondo alcuni autori sarebbe stata già presente più di un mi­ lione di anni in Mrica. Mezzo di difesa dagli animali e di protezione dal freddo, 38

La cultura nell'evoluzione umana

e per la cottura dei cibi, il fuoco rappresentò probabilmente anche un elemento di suggestione e di coesione per la famiglia e per il gruppo umano.

Il linguaggio Ma fra tutte le attività a carattere simbolico proprie dell'uomo, il linguaggio è certamente la più ricca e significativa. Purtroppo il linguaggio non si fossi­ lizza. È così che alcuni studiosi non attribuiscono questa capacità che alle for­ me umane recenti (Homo sapiens) e contestano la possibilità del linguaggio an­ che nei Neandertaliani. Si hanno tuttavia argomenti che depongono a favore di un linguaggio articolato e simbolico antico quanto l'uomo. Dal punto di vista anatomico le osservazioni di Falk ( 1980- 1983 ) e di Tobias ( 1983 ; 1987) sul cal­ co endocranico di Homo habilis suggeriscono un certo sviluppo delle aree di Braca e di Wernicke relative al linguaggio articolato. In particolare, lo svilup­ po dell'area di Wernicke, deputata alla comprensione del linguaggio, sarebbe esclusiva della forma umana, mentre l'area di Braca per i muscoli motori sem­ bra rivelare un certo sviluppo anche in Australopithecus a/ricanus. Si aggiun­ gano le osservazioni di Laitman ( 1985 ) , secondo il quale si avrebbero prove ri­ salenti a un milione e mezzo di anni fa per l'abbassamento della laringe, ne­ cessario per la formazione dell'uomo. È possibile riconoscere questo abbassa­ mento dalla conformazione della base cranica che circa l milione e mezzo di anni fa passa dall'appiattimento a una leggera flessione in Homo erectus, per raggiungere la somiglianza piena con l'uomo attuale intorno a 400-300.000 anni fa. Non è stato ancora possibile trarre conclusioni di questo genere per Homo habilis perché la base cranica dei reperti di cui si dispone manca o non permettono una ricostruzione attendibile. Le caratteristiche anatomiche denotano dunque la possibilità del linguaggio articolato già nelle più antiche espressioni dell'umanità. Ma se a questo aggiun­ giamo i segni di attività culturale di carattere progettuale di cui si è parlato più so­ pra e che riguardano tanto Homo habilis che Homo erectus, cioè l'attività tecno­ logica e l'organizzazione del territorio, la supposizione che l'uomo sia stato ca­ pace ben presto di utilizzare un linguaggio articolato simbolico appare fondata. n carattere intenzionale delle attività attribuite all'uomo fin dalla fase più antica di Homo habilis rivela effettivamente una capacità di rappresentazione tipica dell'attività simbolica. E la rapida diffusione della cultura litica può spiegarsi me­ diante una trasmissione dovuta non tanto all'imitazione quanto al linguaggio, mezzo più idoneo alla comunicazione e alla trasmissione rapida di esperienze e di tecniche di lavorazione (Tobias, Piveteau) . Vi sarebbe, com'è stato notato da 39

Evoluzione umana e cultura

Holloway, una certa correlazione tra lo sviluppo cerebrale, il linguaggio e le tec­ nologie litiche. Lo sviluppo della tecnologia e della vita sociale, come pure la tra­ smissione della cultura, sono state possibili in forza del linguaggio articolato e della comunicazione simbolica fin dalle fasi più antiche dell'umanità.

I: evoluzione culturale La cultura, come attitudine cosciente e creativa di fronte all'ambiente e alla natura, caratterizza tutti gli uomini e tutte le epoche, ma le espressioni culturali si modificano nel tempo perché l'ambiente, come il modo di rapportarsi ad esso, può cambiare, così come pure la percezione che l'uomo ha di se stesso e del mon­ do nella simbolizzazione e nella vita sociale. Poiché le manifestazioni della cultura si accrescono sempre più rapidamente, l'evoluzione culturale viene rappresentata frequentemente mediante una curva esponenziale. A nostro avviso, questa rappresentazione non mette in evidenza l'attitudine di fondo, che è costante, e le discontinuità che si possono riconosce­ re. Queste discontinuità sono ammesse da tutti gli autori per le manifestazioni re­ ligiose e artistiche presso i Neandertalini e Homo sapiens sapiens. Per quanto ri­ guarda l'industria litica, Balout ( 1973) e Leroi-Gourhan ( 1983) sostengono la continuità dall'Olduvaiano al Paleolitico superiore. Noi pensiamo che sia nella cultura litica che nelle altre manifestazioni culturali, si possano riconoscere di­ scontinuità all'interno di una continuità di fondo. Noi proponiamo di rappre­ sentare lo sviluppo della cultura con segmenti di retta che si susseguono nel tempo, scalati, ma mantenendo però la stessa pendenza. Nella rappresentazione la pendenza esprime la medesima attitudine di fondo, cosciente e creativa, co­ stante nel tempo, mentre le variazioni di distanza dall'asse delle ascisse stanno ad indicare le discontinuità che si possono osservare nel corso dell'evoluzione cul­ turale. In via del tutto ipotetica potrebbero essere identificati alcuni momenti di discontinuità: nella tecnica levalloisiana e nella domesticazione del fuoco (circa 0,5 milioni di anni fa) , nelle sepolture (90.000 anni fa) , nella tecnica lamellare e nell'arte del Paleolitico superiore (35.000 anni fa), nell'agricoltura, nell'alleva­ mento e nella formazione dei primi villaggi (8.000 anni fa circa).

La novità della cultura nella storia evolutiva I vari aspetti della cultura, a partire dalla tecnologia fino alla comunicazione sociale, accompagnano la storia dell'uomo sulla terra fin dalla sua comparsa e of40

La cultura nell'evoluzione umana

livelli culturali

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anni fa

Fig. 4. Ipotesi di rappresentazione grafica dell'evoluzione della cultura (i tempi, calcola­ ti in anni fa, sono in scala logaritmica; la pendenza dei segmenti di rette è assunta come costante; la quantificazione delle innovazioni culturali è fatta attribuendo punteggi diversi a seconda dell'importanza delle innovazioni stesse). Livelli culturali: l . protobifacciali, organizzazione del territorio, industria su ciottolo; 2. domesticazione del fuoco, tecnica levalloisiana; 3 . sepolture; 4. arte parietale, arte mobi­ liare, tecnica lamellare; 5. villaggi, ceramica, allevamento, agricoltura.

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Evoluzione umana e cultura

frano la spiegazione reale del suo successo evolutivo. Come è stato notato da Coppens ( 1988), è stata proprio la capacità di cultura che ha consentito a Homo habilis di competere con un ambiente divenuto più difficile, come la savana e le praterie dell'Africa orientale, mentre l'Australopiteco, che mancava di queste ca­ pacità, ha dovuto soccombere. La cultura non è un atteggiamento facoltativo, ma è essenziale per la specie umana, per la sua sopravvivenza nella competizione con l'ambiente. Le realiz­ zazioni della cultura richiedono capacità di riflessione, la sua trasmissione si at­ tua non per vie genetica o parentale, ma attraverso la comunicazione interper­ sonale che si ha tramite il linguaggio e conduce ad un aumento e all'accumulo di informazioni anche in assenza degli oggetti a cui le informazioni si riferisco­ no. La memorizzazione che si è avuta per lungo tempo con la trasmissione ora­ le e soltanto da pochi millenni con la scrittura è stata essenziale per lo sviluppo della cultura. Molti autori hanno sottolineato l'importanza dei diversi fattori cul­ turali per l'evoluzione dell'uomo, non solamente per affrontare le sfide del­ l'ambiente, ma anche per lo sviluppo cerebrale. La cultura avrebbe rappresen­ tato un fattore di catalisi, nel senso che l'evoluzione avrebbe favorito individui che possedevano, per una mutazione genetica, attitudini maggiori alla comuni­ cazione simbolica e alla scheggiatura della selce (Lancaster, 1967 ; Blurton-Jones, 1980; Tobias, 1983; Lovejoy, 1981; Blumenberg, 1983, ecc. ) . Fattori genetici e ambientali sono certamente intervenuti, ma bisogna riconoscere l'importanza del comportamento culturale dell'uomo, come pure dell'organizzazione sociale e del linguaggio simbolico, che possono avere favorito un aumento del cervello, specialmente per quanto riguarda la capacità di rapporto con l'ambiente, capa­ cità a cui, secondo Jerison ( 1973 ) , sarebbero destinati essenzialmente gli extra­ neuroni. Potrebbe esserci stata una fecondità differenziale per gli individui caratteriz­ zati da maggiori potenzialità di connessioni interneuroniche o di neuroni depu­ tati alla comunicazione sociale e all'interazione con l'ambiente (Falek, 1972 ; Je­ rison, 1976) . Vorrei tuttavia sottolineare nella cultura due aspetti di ordine più generale che mi sembrano inseparabili e che rappresentano le due grandi novità dell'evolu­ zione dei viventi: la cultura come adattamento all'ambiente, la cultura come tra­ scendimento evolutivo.

La cultura come adattamento all'ambiente Certamente l'ambiente rappresenta il fattore più forte di pressione selettiva 42

La cultura nell'evoluzione umana

che opera nel mondo animale (Mayr, 1973) . La storia delle specie è legata stret­ tamente ai cambiamenti dell'ambiente, nel senso che la specie si mantiene per la sua capacità di adattamento all'ambiente attraverso le varianti presenti nel pool genico. È così che si possono ritrovare nella storia dei viventi sia la dimensione conservativa che la dimensione evolutiva in risposta ad un ambiente che può re­ stare stabile oppure subire cambiamenti. Ciò è vero per tutti i viventi, ma nel ca­ so dell'uomo l'aspetto genetico va integrato con la dimensione culturale, tanto che la cultura può considerarsi la dimensione adattativa dell'uomo (Montagu, 1968). Si tratta di una dimensione che non esclude certamente quella genetica, ma che è in grado di superarla, realizzandosi spesso un adattamento che non è soltanto biologico, ma anche culturale o bio-culturale. Attraverso le conquiste della cultura, specialmente nel campo della tecnolo­ gia, l'uomo è stato in grado di realizzare una sempre maggiore indipendenza dal­ le condizioni esteriori e anche di contrastare, almeno in parte, i fattori della se­ lezione naturale. Inoltre l'estensione della comunicazione, la mobilità delle po­ polazioni e il flusso genico che ne deriva portano a impedire l'isolamento gene­ tico necessario per i processi di speciazione, e ciò anche durante i lunghi perio­ di della preistoria. È stata segnalata la difficoltà di delimitare le specie che la tas­ sonomia riconosce nel corso dell'evoluzione umana (Homo habilis, Homo erectus, Homo sapiens) , la cui portata, come è stato osservato da Ferembach ( 1986), sa­ rebbe in ogni caso quella di specie allocroniche o cronospecie (secondo Mayr, 1949; 1963), cioè di specie che si sarebbero affermate per evoluzione graduale lungo una medesima linea, accumulando però tali differenze che le specie non sa­ rebbero state interfeconde fra di loro. Secondo alcuni autori, tuttavia, i livelli evo­ lutivi descritti dalla tassonomia assumono il valore di stadi morfologici, piuttosto che di vere specie (Jelinek, 1981; Coppens, 1988). La variabilità morfologica che si osserva nel senso diacronico e riflette essen­ zialmente il processo di cerebralizzazione e le modificazioni di alcuni caratteri cranio-facciali (forse in correlazione con il clima e l'alimentazione) non dovreb­ be essere enfatizzata al punto di indicare differenze fra specie. A questo propo­ sito noi abbiamo ipotizzato che la cultura, favorendo la comunicazione fra i di­ versi gruppi e un migliore controllo e un miglior adattamento ai differenti am­ bienti, può avere bloccato il processo di speciazione di una evoluzione che si è realizzata secondo il modello gradualistico, da Homo habilis a Homo sapiens. L'i­ dea di sottospecie che si susseguono nel corso del tempo si adatta meglio a que­ sta ipotesi (Facchini, 1988). È alla luce di queste considerazioni che si può spiegare la straordinaria diffu­ sione dell'uomo sulla terra e l'unicità della specie umana che la popola, malgra­ do le differenze di habitat. 43

Evoluzione umana e cultura

La cultura come trascendimento evolutivo È un concetto espresso da Dobzhansky e Ayala ( 1977), che si riallaccia a Teilhard de Chardin ed è stato ripreso ampiamente da Dobzhansky e Boesiger ( 1983 ) . Secondo questa concezione si possono individuare nel corso dell' evolu­ zione dei viventi due momenti in cui l'evoluzione ha trasceso se stessa, nel senso che si sono formati esseri che hanno proprietà e seguono leggi completamente nuove rispetto a quelli che li hanno preceduti. Si sarebbe avuto un primo tra­ scendimento nel passaggio dalla natura inorganica ai viventi, che seguono leggi nuove come le leggi biologiche (per es. quelle di Mendel), senza tuttavia con­ traddire le leggi della fisica e della chimica. In modo analogo vi sarebbe stato un secondo momento di trascendimento nel passaggio dall'organico all'umano, in cui le leggi del mondo biologico non sono abrogate, ma se ne trovano altre, co­ me quelle delle società umane, non riconducibili al mondo degli animali e delle piante (Dobzhansky e Boesiger, 1983 ) . Va notato che il termine di trascendi­ mento. è impiegato dagli autori a prescindere da implicazioni di carattere filoso­ fico o mistico. A noi sembra che si possa parlare di trascendimento nel senso pieno del ter­ mine, perché è per mezzo della cultura che l'uomo si afferma e si rapporta al suo ambiente non in modo stereotipo o regolato esclusivamente e totalmente dalla se­ lezione darwiniana. La cultura umana non può risolversi in un processo auto­ matico di adattamento all'ambiente, come si ha per i caratteri fisici dell'uomo. L'uomo sviluppa il suo rapporto con l'ambiente attraverso un'organizzazione sociale che non si adatta agli schemi della biologia. Sono state rilevate analogie tra la biologia evolutiva delle popolazioni e lo svi­ luppo delle culture (Cavalli Sforza e Feldman, 1981, ecc.), ma le differenze sono notevoli. La cultura si sviluppa molto rapidamente ed efficacemente perché non è legata a strutture genetiche, ma all'apprendimento (Stebbins, 1982; Eccles, 1989). I cambiamenti puramente adattativi, fondati su complessi genici favorevoli ad un determinato ambiente possono essere superati o frenati per mezzo della cultura, che riesce a far sopravvivere individui portatori di tare genetiche attra­ verso la correzione delle loro espressioni fenotipiche (basta pensare ai difetti della vista corretti dalle lenti o a certe forme di diabete sulle quali si interviene con la somministrazione di insulina) . In un senso più generale il trascendimento evolutivo realizzato dalla cultura può essere considerato non solamente nella tecnologia, che consente una relati­ va autonomia dall'ambiente, ma soprattutto nella comunicazione simbolica che caratterizza il linguaggio e l'organizzazione sociale, in tutte le attività che non en­ trano in schemi predeterminati, anche se si riferiscono a esigenze fondamentali, 44

La cultura nell'evoluzione umana

come la nutrizione, l'educazione della prole, la vita familiare e sociale. La varietà dei modelli di comportamento nelle differenti culture che si sono sviluppate nel tempo e nello spazio esprimono delle risposte, spesso molto differenti, a neces­ sità essenziali della vita umana. Queste culture non sono prefissate biologica­ mente, ma sono state elaborate dall'uomo e arricchite dalla sua esperienza. Lo studio delle culture mette in evidenza che certi valori di fondo (famiglia, società, cooperazione) si ritrovano in tutte le culture, probabilmente perché essi rispondono a esigenze e necessità fondamentali per la sopravvivenza della specie, ma i modi con cui essi si esprimono possono essere molto diversi. Si tratta di comportamenti che, in qualche modo, contengono o corrispon­ dono a valori che si riferiscono talvolta a necessità fondamentali della vita uma­ na (bisogno di nutrimento, protezione, comunicazione, timore di forze superio­ ri), ma con una interiorizzazione che esprime una trascendenza al di là del biso­ gno individuale e sociale. Le risposte culturali ai bisogni di ordine fisico prendono spesso significati che oltrepassano la necessità specifica e immediata. La casa non è solamente un luogo di rifugio, ma è il simbolo della coesione della famiglia; l'abito non risponde solamente a esigenze di protezione, ma anche di estetica, di pudore, di distinzione sociale; la sessualità si trasforma in amore; il pasto diventa la mensa in cui non solamente si prende il cibo, ma si prova il pia­ cere di stare insieme, e così via. A queste attività si aggiungono altre espressioni della cultura, che si osservano su una scala generalizzata e che mettono più for­ temente in rilievo una capacità di trascendimento. L'arte e il senso etico e reli­ gioso rivelano attitudini che vanno al di là dei bisogni vitali dell'essere animale e oltrepassano la dimensione puramente biologica. Essi sono l'espressione di un mondo interiore, rappresentato per mezzo di simboli, e corrispondono a interessi che non sono più di ordine biologico o fisico� Talvolta essi possono anche anda­ re contro le tendenze naturali, come nel caso della gratuità spinta fino alla di­ menticanza totale di sé. Alcuni parlano di universali della natura umana, altri di universali della cul­ tura o di valori transculturali, perché essi si ritrovano nelle differenti culture. Ecco dunque le grandi novità introdotte dalla cultura nella storia dell'uma­ nità: la sua straordinaria capacità di adattamento all'ambiente e la sua capacità di oltrepassare la sfera fisica e biologica.

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DETERMINISMO, INDE TERMINISMO, FINALISMO NELLA S TORIA DELL'UOMO*

Le problematiche connesse con determinismo e finalismo nella storia evolu­ tiva dell'uomo in parte sono comuni a quelle della realtà infraumana (precisa­ mente per quanto si riferisce a ciò che precede la comparsa dell'uomo sulla ter­ ra, la quale si inquadra dal punto di vista scientifico in una visione evolutiva) , in parte se ne distaccano, a partire dalla comparsa dell'uomo, in quanto con la sua presenza si instaura un comportamento segnato dall'autocoscienza e dalla capa­ cità di autodeterminazione che trascendono i meccanismi propri del mondo fi­ sico e biologico.

Evoluzione e finalismo Ciò premesso, come approccio al problema che vorrei affrontare, riporto una considerazione di Jean Piveteau ( 1 983 ) circa l'apparizione dell'uomo sul­ la terra che si rifà al pensiero di Teilhard de Chardin: «se non si può affermare che il suo evento era inevitabile, esso è strettamente legato al movimento evo­ lutivo, al suo sviluppo, alle sue caratteristiche. Non si può dire che questo mo­ vimento sia causa dell'uomo, ma questi appare proprio come la sua conse­ guenza naturale». Teilhard de Chardin vedeva nell'uomo «la freccia dell'evoluzione», l'essere che dà un senso a tutto il processo evolutivo caratterizzato da una crescita del­ la complessità nervosa e dello psichismo: «Tra le infinite modalità in cui si di*

Da Determinismo e complessità, T. Arecchi (cur.), Nova Spes-Armando, Roma, 2000, 1 8 1 - 195.

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Evoluzione umana e cultura

sperde la complicazione vitale, la differenziazione nervosa si distacca come tra­ sformazione significativa. Essa dà un senso, e per ciò stesso contemporanea­ mente prova che esiste un senso nella evoluzione». Gli fanno eco queste parole di Piveteau ( 1993 ) : «L'insieme complesso dello psichismo scaturisce seguendo un immenso ventaglio di linee . . . Non segue e non si sviluppa secondo uno stes­ so ritmo in tutte le sue parti. Si disegna una zona di intensificazione che passa per i vertebrati, si accentua con i mammiferi e si esprime con la massima inten­ sità nei Primati». Effettivamente la paleontologia umana mette in evidenza una particolare di­ rezione evolutiva nell'ambito dei Primati, quella degli Ominidi, che si è afferma­ ta e imposta nell'ecosistema, eclissando, in qualche modo, le altre dell'ordine dei Primati che alcuni milioni di anni fa erano invece largamente presenti sulla ter­ ra. Un successo evolutivo, culminante nella forma umana, ricollegabile essen­ zialmente al comportamento, segnato da un notevole incremento dello psichismo che nell'uomo, si fa riflesso e supera i livelli di ogni altro Primate. L'uomo si presenta come specie ecumenica, che ha affrontato i diversi am­ bienti della terra realizzando adattamenti, non soltanto di tipo biologico, ma anche culturale. n successo della specie umana è dovuto essenzialmente alla ca­ pacità di cultura. Vari studiosi, sulla scia di Teilhard de Chardin, indicano nella cerebralizza­ zione un parametro per seguire la direzione evolutiva di massimo successo nel­ l'ambito dei Mammiferi e suggeriscono, per il confronto tra il grado di cerebra­ lizzazione di specie con massa corporea diversa, indici di cefalizzazione, in cui il peso dell'encefalo viene rapportato al peso corporeo con opportune correzioni (es. indice di Dubois, indice di Jerison). Ora non c'è dubbio che nei Primati, in particolare nella linea degli Ominidi, si è raggiunta la più alta espressione del pro­ cesso di encefalizzazione non soltanto in termini quantitativi, ma in termini qua­ litativi. Ciò può ricavarsi dal diverso sviluppo delle aree cerebrali e dalla cresci­ ta di complessità nel comportamento e nel rapporto con l'ambiente (sviluppo sensoriale, connessioni nervose, capacità di raccogliere, elaborare e trasmettere informazioni, ecc.) . Ma il livello evolutivo degli Ominidi era prevedibile? È stato raggiunto perché doveva raggiungersi o poteva anche non essere raggiunto se qualche evento non si fosse verificato? La concatenazione di cause ed effetti era inevitabile, poste de­ terminate condizioni? Gli effetti sarebbero stati unici? In ogni caso, come è da in­ terpretarsi la successione di eventi non necessariamente postulati o inclusi nelle condizioni precedenti? n problema si allarga al quadro generale della storia della vita sulla terra per la quale è difficile negare la tendenza a una complessità o per lo meno un au48

Determinismo, indeterminismo, finalismo nella storia dell'uomo

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Fig. 5 . Bifacciali del giacimento di Castel di Guido (Paleolitico inferiore), da A.M. Rad­ milli e G. Boschian, Gli scavi a Castel di Guido, Ist. St. Preist. e Protost., Firenze ( 1 996) .

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Evoluzione umana e cultura

mento della complessità nel tempo, specialmente sul piano cerebrale, anche se non in modo generalizzato e regolare. La maggior parte delle trasformazioni in campo animale, come quelle che hanno portato agli attuali tipi e classi, sono avvenute negli ultimi 530 milioni di anni. In alcune linee l'evoluzione si è arrestata. Troviamo oggi pesci non diversi da quelli vissuti 300 milioni di anni fa (come il Celacanto dell'Oceano Indiano) o scimmie, quali le Platirrine, molto simili a quelle di 20 milioni di anni fa che an­ che allora si trovavano nell'America meridionale. Altre linee si sono estinte (Oreopiteco, Gigantopiteco) . Altre si sono trasformate e hanno portato alle for­ me che attualmente conosciamo. Non c'è stato un processo regolare, né una evoluzione generalizzata. Un aumento della complessità è rilevabile nell'ordine dei Primati, nella linea dei Propliopitecidi, vissuti nella regione del Fayum, in Egitto, circa 3 0 milioni di anni fa, poi nei Proconsulidi africani (Lago Vittoria) di 20 milioni di anni fa e in seguito nelle linee delle Antropomorfe e degli Ominidi del Pliocene e del Plei­ stocene. Secondo i neodarwinisti (Monod, Jacob, Mayr, Dobzhansky, ecc.) le diver­ se direzioni evolutive si sono affermate in forza della selezione naturale che ha operato sulla variabilità del genoma favorendo e realizzando strutture più com­ plesse destinate al successo nei diversi ambienti che si sono formati a seguito dei cambiamenti di carattere geomorfologico e climatico, fuori però da qua­ lunque orientamento prefissato. In questa concezione il significato adattativo delle strutture che si formano è strettamente legato alla selezione naturale, per cui l'adattamento biologico si configura come un processo di tipo determini­ stico, anche se l'insieme dei mutamenti, genetici e ambientali, non ha una di­ rezione precisa, ma appare segnato dall'aleatorietà. I neodarwinisti parlano di selezione orientata, di «ortoselezione», intesa però come fenomeno puramen­ te meccanico. Osserva Scardovi ( 1997 ) : «È stata la biologia darwiniana a guar­ dare alle popolazioni viventi, come a realtà statistiche . . . , a intendere il diveni­ re della vita come un processo non deterministico senza tipologie prefissate. È stata la genetica mendeliana a trovare l'algoritmo della memoria biologica che lega le generazioni di una specie e ne trasmette il messaggio come in una lot­ teria, così da apprestare il linguaggio di una nuova razionalità». E ancora: «si intenda il caso come assenza di cause o come molteplicità indiscernibile di cau­ se indipendenti. . . l'evoluzione biologica resta un cammino non lineare e non fi­ nalistico». Le posizioni di alcuni darwinisti sono più sfumate. Secondo Jacob ( 197 1 ) , l'e­ voluzione biologica è il risultato di un'opera di bricolage, in cui vengono assem­ blati pezzi formatisi per altri scopi. In questo modo si realizzano strutture via via 50

Determinismo, indeterminismo, finalismo nella storia dell'uomo

più complesse con funzioni che non sono la somma delle funzioni dei singoli pez­ zi. «L'essere vivente rappresenta sì l'esecuzione di un disegno, ma di un disegno che nessuna mente ha concepito; essa tende a un fine, che nessuna volontà ha scelto» (Jacob) . Neppure Dobzhansky ( 1 976) accetta l'idea di un programma prefissato; egli però ammette una evoluzione direzionale, anche se non necessa­ riamente diretta, nel senso di un programma che si forma progressivamente, giacché l'evoluzione procede a tentoni (l'espressione è comune a Teilhard de Chardin). In questo processo la selezione naturale opera su organismi che han­ no già al loro interno un programma con possibili scelte. Teilhard de Chardin ( 1956) ammette che l'evoluzione sia andata avanti come a tentoni «tra il gioco dei grandi numeri e della casualità, tutto provando per il concorso delle mutazioni e della selezione naturale», ma ritiene che tali cause non siano sufficienti per spiegare una evoluzione orientata. Secondo Gould ( 1 994) il progresso nella evoluzione non è un fenomeno re­ golare, ma casuale; la linea filetica che ha portato all'uomo sarebbe del tutto for­ tuita. Dawkins ( 1996) ritiene che la complessità della vita potrebbe spiegarsi come il risultato di una gara per la sopravvivenza del DNA. Secondo Galleni ( 1 980) «non si può parlare mai di puro caso, ma di un mec­ canismo in cui le mutazioni sono continuamente passate al vaglio della selezione con un programma che non è iscritto fin dall'inizio, ma che di fatto si viene for­ mando man mano che l'evoluzione va avanti». Secondo Simpson ( 1 954) una forza direzionale agisce nei processi evolutivi. Ayala (1986) parla di una teleologia interna, indeterminata, escludendo che il processo evolutivo sia puramente aleatorio. Eccles (1979), convinto evoluzionista, ma anche assertore del finalismo, am­ mette un disegno superiore che guida i processi dell'evoluzione biologica. Circa le cause del processo evolutivo si potrebbe osservare che la macroevo­ luzione comporta una complessificazione, cioè un aumento della informazione nel patrimonio ereditario (Omodeo, 1995 ) , mentre la microevoluzione porta es­ senzialmente alla biodiversità nell'ambito della specie. Ora, mentre per que­ st'ultima il modello mutazioni-selezione naturale può ritenersi soddisfacente, per la prima occorre ammettere anche altri meccanismi. Secondo Grassé ( 197 3 ) , il quale riconosce aspetti di evoluzione orientata, la formazione delle grandi direzioni evolutive, come pure la comparsa di organi e apparati, non può spiegarsi con la sola mutagenesi: «Occorre cercare fuori dalla mutazione la fonte del flusso evolutivo. . . ; fare appello a un meccanismo diverso dalla mutazione e dall'aleatorietà è imperativo per tutti i sistemi che pretendono di spiegare l'evoluzione». 51

Evoluzione umana e cultura

Quale finalismo La posizione dei neodarwinisti è da ricondursi a un finalismo apparente, che esclude qualunque orientamento, sia pure intrinseco alla materia vivente e quindi si realizza per una casualità di eventi genetici e ambientali. Il caso di­ venta «generatore di diversità» (alcuni hanno voluto riconoscere nelle iniziali di queste parole l'acronimo di God, Dio). Un'altra posizione è quella che sostiene un finalismo reale, ottenuto per even­ ti di ordine fisico o biologico ancora sconosciuti e che nella nostra ignoranza at­ tribuiamo al caso (principi di ordine, proprietà della materia vivente. . ) . Attra­ verso questi eventi si formano canali preferenziali entro cui agiscono le circo­ stanze accidentali (potrebbe intendersi così la casualità orientata di Teilhard), op­ pure viene ammesso un intreccio di eventi genetici, specialmente macromuta­ zioni, e della selezione, operanti su programmi biologici che via via si formano, e in questo modo si ottengono strutture sempre più organizzate e può realizzar­ si un disegno. L'evoluzione sarebbe andata avanti attraverso l'aleatorietà delle mutazioni incanalate dalla selezione naturale con il risultato di una congruenza tra nuova specie e ambiente. Anche in quest'ultima ipotesi si ha un finalismo reale. Non è necessario per il finalismo e quindi per un disegno superiore pensare a Dio che interviene in ogni momento per incanalare i fenomeni naturali in certe direzioni. L'opera di Dio creatore normalmente si serve delle cause seconde. Non potrebbero rientrare in una finalità e in un disegno generale anche gli eventi casuali? Dio che gioca ai da­ di? C'è chi l'ha affermato. Ma chi ha fatto i dadi e le regole del gioco? Ha osser­ vato Guitton: «è vero, le leggi dell'evoluzione enunciate da Darwin esistono, ed è vero che lasciano lo spazio all'aleatorio: ma chi ha deciso quelle leggi?». Non a torto Anatole France ha scritto: «Il caso, in definitiva è Dio». Se l'unica teoria esplicativa dell'evoluzione fosse quella di Darwin sarebbe inevitabile ammettere che, se c'è un ordinatore che chiamiamo Dio, come è ragionevole pensare, Dio ha giocato ai dadi. Vi sono però forti dubbi - come è stato ricordato - che il modello evolutivo darwiniano, affidato alla pura casualità degli eventi, valido per la microevolu­ zione, possa da solo spiegare la macroevoluzione e tutto il processo evolutivo, an­ che a motivo del tempo relativamente breve in cui si sono affermati eventi casuali così complessi che chiamano in causa molteplici fattori convergenti. La forma­ zione delle direzioni evolutive dei vertebrati negli ultimi 400 milioni di anni in forza di fenomeni mutagenici casuali dovrebbe attribuirsi ad eventi altamente im­ probabili, se non si ammettono altre cause, sempre nell'ambito della natura. La prima posizione, riconducibile a un finalismo apparente (in una casualità 52

Determinismo, indeterminismo, finalismo nella storia dell'uomo

apparente) , che esclude qualunque intendimento superiore, tradisce un certo ri­ duzionismo ed è coerente con una impostazione filosofica di tipo monista. Inol­ tre presenta una certa contraddizione epistemologica di fronte al carattere te­ leonomico degli organismi viventi per i quali bisogna ammettere un progetto nel­ le loro strutture e prestazioni (Barthélemy-Madaule, 1972) . L a seconda posizione, espressa dal finalismo reale (in una casualità apparen­ te o reale) suppone un disegno, comunque esso possa essere stato ottenuto, ed è più coerente con il quadro generale e con la teleonomia degli organismi viventi, anche se lascia aperto il problema dei meccanismi evolutivi, oltre che la doman­ da sulle cause ultime del processo evolutivo. In realtà il problema del finalismo ha implicazioni di ordine filosofico. n fine non può essere solo il risultato di una combinazione di elementi nella memoria del passato. n concetto di finalismo implica quello di disegno e il disegno sup­ pone un ordinatore, la cui dimostrazione va oltre il mondo delle osservazioni em­ piriche. Ma non si può sfuggire a questa esigenza per non cadere nell'assurdo. Affermare un disegno significa, in fondo, domanda di senso. n problema si al­ larga ad altri orizzonti che non sono quelli strettamente scientifici. Guardando all'insieme viene il sospetto che ci sia una mente ordinatrice. Am­ metterlo e sostenerlo è un atto di ragione, anche se non rientra nell'ambito del­ le dimostrazioni scientifiche. Si può anche osservare: o l'intelligenza ordinatrice è immanente alla natura o è trascendente. La prima soluzione è poco sostenibile. La seconda, cioè l'a­ pertura al trascendente, per chi non ha preclusioni di ordine ideologico, appa­ re quella più ragionevole, pur non essendo dimostrabile con la scienza speri­ mentale. Dal mondo della scienza emergono dunque domande metascientifiche, che per ciò stesso chiedono risposte non inquadrabili nell'orizzonte empirico. Ne­ garle sarebbe una posizione ideologica che non avrebbe nulla a che fare con la scienza. Si apre il campo della filosofia e della concezione religiosa che postula­ no una spiegazione dell'universo andando oltre l'universo. «li significato dell'u­ niverso», ha osservato Wittigstein, «non sta nell'universo».

La comparsa dell'uomo Ma ritornando all'uomo, la sua comparsa e il suo successo evolutivo (su cui ri­ ten�o non si possa discutere) pongono altri problemi. E stato osservato che in una visione evolutiva statistica degli eventi biologici «ciò che esiste non attiene tanto al necessario, quanto al probabile» (Scardovi, 53

Evoluzione umana e cultura

ibidem). Ciò dovrebbe dirsi anche per la specie umana, la cui comparsa dovreb­ be considerarsi come un evento fortuito, accidentale, non necessario, ma soltan­ to probabile, poste determinate condizioni. Gould ( 1 994) fa notare che, se non ci fosse stato un meteorite che è caduto sulla terra 65 milioni di anni fa, i dino­ sauri avrebbero continuato a dominare e non vi sarebbe stata la possibilità di suc­ cesso dei Mammiferi e quindi neppure dei Primati. In questa linea si può anche rilevare che se non vi fosse stata nel Miocene, una ventina di milioni di anni fa, la spaccatura del Rift africano che ha cambiato il regime delle precipitazioni i� Africa, non si sarebbe formato l'ambiente di savana, adatto al bipedismo che, se­ condo l'ipotesi di Coppens ( 1 984), si è sviluppato a est del Rift favorendo l'evo­ luzione degli Ominidi che compariranno 4-5 milioni di anni fa. Nella evoluzione biologica che ha portato all'uomo vengono riconosciuti im­ portanti trasformazioni di ordine fisico, quali il bipedismo, prima, e l'aumento cerebrale, poi. Si ammettono innovazioni genetiche selezionate dalla competi­ zione con l'ambiente (pensiamo ai carnivori della savana) e in qualche misura dal­ la dieta. Ma a partire dalle forme più antiche riferite al genere Homo, intorno a due­ due milioni e mezzo di anni fa, si innescano sulla evoluzione biologica nuovi meccanismi adattativi attraverso modelli di comportamento che appaiono lega­ ti a uno psichismo riflesso. Essi interferiscono sui meccanismi evolutivi di ordi­ ne fisico, a volte rinforzandoli, a volte rallentandoli, in quanto intervengono nel rapporto tra la specie umana e l'ambiente. n comportamento umano, che segna una reale discontinuità sul piano feno­ menologico con le forme che precedono l'uomo, è caratterizzato dalla cultura. È una discontinuità che si osserva a distanza. Come nella pendenza di una retta con piccolo coefficiente angolare: agli inizi, vicino all'origine, si distacca poco dall' as­ se delle ascisse, ma allontanandosi dall'origine la divergenza si fa più sensibile. Secondo Coppens l'evoluzione dall'Australopiteco fino all'uomo somiglia a una di quelle discontinuità che Gould chiama «equilibri punteggiati». Sul piano biologico si osserva una certa discontinuità nello sviluppo cerebra­ le (anche se questa discontinuità si nota a distanza), essendo evidente una conti­ nuità o parentela biologica tra forme australopitecine e le prime forme umane identificabili in Homo habilis (o rudol/ensis) di circa 2 ,5 -2 milioni di anni fa. Sul piano culturale si può parlare di discontinuità, pur in una certa continuità. All'Australopiteco vengono riferite pietre tagliate trovate in strati dell'epoca in cui è vissuto. Ma, come osserva Coppens ( 1 99 1 ) , >, 175, 7, 1991, 977-993 ; Y. Coppens, /;évolution des Hominidés, de leur locomotion et de leur environnements, in Y. Coppens, B. Senut, (eds.), Origine de la bipedie chez !es Hominidés, CNRS, Paris, 1991, 295-301. 7 Cfr. Y. Coppens, Le genou de Lucie, Odile Jacob, Paris, 1999; F. Facchini, Evoluzione umana e cultura, La Scuola Editrice, Brescia, 1999. Recentemente nel Kenya è stata scoperta una nuova forma australopitecina (Kenyanthropus) vissuta 3 ,3 milioni di anni fa. . 8 Facchini, 1999, cit.; B. Senut, D. Gommery, Le bipedie degli Ominidi, Nuova Secondaria, Bresci,a , 15 mag­ gio 1999, 26-30. Recentemente è stato segnalato nel Kenya un nuovo fossile, assai interessante, denominato Or­ rorin tugenensis che sarebbe vissuto circa 6 milioni di anni fa e sarebbe orientato verso il bipedismo. Sempre nel Kenya, nel 2001, è stato trovato il Kenyanthropus platyops, una forma gracile con la faccia alquanto alta e appianata, vissuto 3,5 milioni di anni fa, che sembra preludere a Homo habilis.

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Evoluzione, emergenza e trascendenza dell'uomo

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Fig. 6. Ipotesi di separazione delle linee di Ominidi del Terziario in relazione alla loco­ mozione, secondo B. Senut (da Aux Origines de l'humanité, sous la direction de Y. Cop­ pens e P. Pick, Fayard, Paris, 200 1 ) . Praeanthropus corrisponde all'Australopiteco ana­ mense.

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Evoluzione umana e cultura o

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-A . n/>, 30, 1989, 125-155; J.M. Lindly, G.A. Clark, Symbolism and modern human origins, , 3 1 , 1990, 233-261. 22 V. Marcozzi, I problemi della origine dell'uomo e la paleontologia, , 59, 3, Pont. Univ. Gre-· goriana, 1978, 5 1 1 -535. 23 A. Leroi-Gourhan, Le/il du temps. Ethnologie et Prehistoire, Fayard, Paris, 1983. 24 Cfr. F. Facchini, Planning Capacity and Symbolism as survival Strategies, in H. Ullrich (ed.), Hominid evo­ lution. Li/estyle and survival strategies, Ed. Archaea, Gelsenkirchen/Schwelm, 1999, 5 17-525.

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Evoluzione umana e cultura

siana con incisioni intenzionali, un frammento di tibia di elefante trovato a Bil­ zinsgleben risalente a 400.000 anni fa con segni intenzionali di non facile inter­ pretazione e altri ancora25.

Trascendenza dell'uomo L'emergenza dell'uomo, rivelata sul piano comportamentale dalla capacità ptogettuale e dalla simbolizzazione, cioè dalla cultura, appare come una discon­ tinuità rispetto al mondo fisico e biologico. Le realizzazioni culturali dell'uomo sono rivelatrici dell'umano, di ciò che è specifico e peculiare dell'uomo in quanto uomo e non in quanto animale. Sul piano filosofico si può parlare di discon­ tinuità ontologica, perché investe la natura spirituale dell'uomo. Ma anche a li­ vello sperimentale, come ha rilevato Giovanni Paolo II nel messaggio alla Ponti­ ficia Accademia delle Scienze dell'ottobre 1996, si possono cogliere «molti segni delle specificità dell'essere umano». Si tratta di osservazioni sul piano fenome­ nologico che si basano su manifestazioni rivelatrici dell'umano, cioè dello p chismo proprio dell'uomo, in definitiva delle espressioni della cultura. La cultura, pur inserendosi o avendo rapporti con la sfera biologica, si carat­ terizza come extra-biologica o meta-biologica, nel senso che realizza un trascen­ dimento rispetto alle leggi o modalità puramente biologiche del comportamen­ to. Infatti, anche quando può avere qualche relazione con bisogni di ordine bio­ logico, si realizza fuori da ogni determinismo biologico o comportamentale e, co­ me è stato più sopra rilevato, è segno di libertà o autodeterminazione. Ciò risul­ ta particolarmente evidente nelle manifestazioni del simbolismo spirituale e so­ ciale. Secondo Dobzhansky ( 1969) nella storia della vita si sono avuti due grandi momenti di «crisi» nella storia dell'evoluzione in forza dei quali, pur conservan­ dosi leggi e modalità organizzative della fase precedente, c'è stato un avanza­ mento oltre il piano organizzativo precedente e si è realizzato un nuovo livello. L'Autore propone di chiamare questi nuovi momenti come «trascendimenti evo­ lutivi». Un primo trascendimento si è avuto nel passaggio dalla non vita alla vi­ ta. Non sono state rinnegate le leggi della chimica, ma si sono instaurate moda­ lità organizzative e di rapporto con l'ambiente. «L'evoluzione cosmica trascese se stessa generando la vita». Un secondo momento di trascendimento si è avuto con la comparsa dell'uomo: «L'evoluzione biologica trascese se stessa dando origine all'uomo», afferma ancora Dobzhansky. Non vengono annullate le leggi che re-

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25

F. Facchini, 1998, cit.

74

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Evoluzione, emergenza e trascendenza dell'uomo

galano i viventi, ma le modalità organizzative della società umana si pongono su un altro piano. «L'evoluzione organica si sovrappone a quella organica; l'evolu­ zione culturale si sovrappone a quella biologica e inorganica»26. In questo modo di vedere l'evoluzione, che richiama per vari aspetti la con­ cezione di Teilhard de Chardin di cui Dobzhansky era ammiratore, l'Autore non vuole attribuire un significato filosofico o mistico al termine trascendimento. «Trascendere significa superare i limiti, o andare al di là delle possibilità norma­ li, abituali, già provate di un sistema». Del resto ciò non è neppure necessario, mantenendosi sempre sul piano fenomenologico o empirico, anche se una spie­ gazione va ricercata sul piano antologico. A mio modo di vedere il termine trascendimento può essere impiegato corret­ tamente per l'uomo, rimanendo sempre sul terreno scientifico, per due ragioni: l . L'attività che l'uomo realizza mediante la cultura, anche strumentale, è fuori da schemi biologici prefissati e costanti, è posta liberamente, con modalità innovative che si basano sull'esperienza individuale ed è in grado di opporsi al­ la selezione naturale. Ciò però non come avviene per qualunque altra specie che fa fronte a condizioni ambientali nuove mediante le sue varianti genetiche, ma proprio contrastando con altri mezzi, non biologici, le forze selettive dell'am­ biente sia difendendosi da tali forze sia modificando l'ambiente. Ciò rappresen­ ta una novità assoluta nella storia della vita. Sotto questo aspetto lo sviluppo del­ la specie umana rappresenta sul piano evolutivo «un paradosso», in quanto la se­ lezione naturale avrebbe prodotto un essere capace di contrastarla con modalità Jhe non rientrano più nel gioco naturale della competizione degli esseri viventi cÒn J' ambiente. In questo modo la selezione naturale viene rallentata o anche an­ nullata. Un caso unico nel mondo dei viventi, si direbbe «un'anomalia», spiega­ bile con l'intervento della cultura, cioè di un fattore che non si ritrova nelle altre specie27. 2. L'altra espressione del trascendimento è data dall'arricchimento di valori e di significato, non connessi con il bisogno biologico, nelle risposte che l'uomo è in grado di realizzare a bisogni biologici, come pure da comportamenti che non sono direttamente legati alla sfera biologica, quali si osservano nelle manifesta­ zioni del simbolismo spirituale. L'uomo è in grado di interiorizzare le risposte ai bisogni biologici attribuendo ad esse altri valori connessi con il mondo interiore della persona o con la sfera sociale. Così è per la casa, per l'abito, per il pasto. Se 26

Th . Dobzhanski, Le domande supreme della biologia, De Donato, Bari, 1969 (tit. orig. The Biology o/ ulti­ mate concern, New York, 1967). 27 F. Facchini, Determinismo, indeterminismo, finalismo nella storia dell'uòmo, in T. Arecchi (ed.), Determi­ nismo e complessità, Nova Spes-Armando, Roma, 2000, pp. 181-195.

75

Evoluzione umana e cultura

poi ci si riferisce alle manifestazioni del simbolismo spirituale (arte, religione, gra­ tuità) il carattere trascendente è anche più evidente. n trascendimento pone in una condizione di trascendenza sia che venga inte­ so in senso comportamentale che in senso filosofico. Ciò va affermato per l'uo­ mo preistorico come per l'uomo attuale. In ogni caso anche rimanendo sul piano fenomenologico si deve parlare di modalità di comportamento che non sono regolate da leggi biologiche e rientra­ no nella sfera dell'autodeterminazione dell'uomo in base a scelte di valore. L'identità dell'uomo non è paragonabile a quella di qualunque altra specie, perché ha peculiarità che vanno oltre il piano biologico. Quanto alla spiegazione della natura di tale trascendenza e delle sue cause occorre portarsi oltre gli aspetti fenomenologici, su un piano propriamente fi­ losofico.

Conclusioni L'uomo è fatto della stessa «stoffa» dell'universo e degli altri viventi: atomi, molecole, cellule. Questi elementi acquistano coscienza nell'io dell'essere umano. È questa una novità assoluta nel mondo dei viventi. Un evento casuale la com­ parsa dell'uomo o finalistico? Nella visione darwiniana la comparsa di ogni spe­ cie è un evento fortuito, del tutto casuale e attraverso eventi casuali si sarebbero formate le diverse linee evolutive, compresa quella dell'uomo. È il problema del finalismo e della casualità nel processo evolutivo, sul quale si è sviluppato un am­ pio dibattito anche perché il problema non è soltanto scientifico, ma anche filo­ sofico, specialmente se ci si riferisce a un disegno generale nell'evoluzione. Non sarebbe da escludere che un disegno superiore possa essersi realizzato con il con­ corso di eventi accidentali, nel gioco tra i grandi numeri e la casualità, come ha notato Teilhard de Chardin, o per l'intreccio di eventi genetici casuali, special­ mente macromutazioni, e della selezione, operanti su programmi biologici che via via si formano28. Certamente l'uomo appare come un evento culminante nel processo evoluti­ vo, il punto più alto della complessità biologica, segnato dalla presenza di ele­ menti nuovi: la coscienza, lo psichismo riflesso. Osserva Piveteau: «la nascita del pensiero riflesso non si può considerare un fatto accidentale; costituisce al con­ trario il tratto fondamentale della storia della vita». Lo stesso Autore continua:

28

Intorno al finalismo vedi nota 3 e capitolo precedente.

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Evoluzione, emergenza e trascendenza dell'uomo

«L'uomo aveva creduto, un tempo, di essere il centro del mondo; poi gli sembrò di non avere nessuna misura con la natura, trovandosi sperduto in un angolo del­ l'universo. La paleontologia gli restituisce, in una nuova forma, una preminenza in cui non credeva più»29. Ciò si accorda con quanto viene enunciato dal princi­ pio antropico suggerito dall'astrofisica che sembra reintrodurre nell'interpreta­ zione scientifica dell'universo l'idea di finalismo30. li pensiero umano, espresso nel comportamento, costituisce un momento emergente nella evoluzione rispetto alle forme che non hanno questa attitudine e sembra farsi coscienza anche del mondo infraumano. Emergenza evolutiva e trascendenza dell'uomo sono in stretto rapporto fra loro. A prescindere dalle cause e dalle modalità, emerge ciò che trascende un cer­ to livello, per cui il carattere trascendente del comportamento umano diventa cri­ terio per riconoscere l'emergenza dell'uomo in ciò che lo caratterizza in modo pe­ culiare e unico. Mentre sul piano morfologico si osserva una certa continuità evolutiva tra for­ me non umane e forme umane, pur nelle innovazioni, segnate soprattutto dalla cerebralizzazione, sul piano comportamentale si riconoscono aspetti di disconti­ nuità, anche se le manifestazioni agli inizi possono apparire elementari. Per quanto si riferisce al confronto tra uomo e forme antropomorfe attuali non manca chi sostiene che le differenze siano soltanto di ordine quantitativo; tuttavia è difficile negare il trascendimento che complessivamente contraddi­ stingue il comportamento umano. Più arduo può risultare l'identificazione della specie umana alle sue origini. A questo riguardo ci sembra importante distinguere tra attitudine alla cultu­ ra, espressa nella progettualità e nella simbolizzazione, e le sue manifestazioni. Mentre l'attitudine può essere ritenuta una costante dell'uomo da quando si è avuta la sua presenza, le manifestazioni presentano una progressione nel tempo sia che riguardino lo sviluppo delle tecnologie (strumentali, abitative, alimenta­ ri) nel rapporto con l'ambiente sia che si esprimano in una maggiore complessità dei sistemi simbolici nell'organizzazione e nella vita sociale31. 2 9 J . Piveteau, 1994, cit. 30

Le costanti fisiche che regolano l'universo sono tali da assicurare che vi siano osservatori, per cui l'univer·

so è così organizzato in vista della comparsa di esseri intelligenti che possano conoscerlo.

È questa la versione

forte del principio antropico che sembra però difficile da dimostrare. Se invece ci si limita ad affermare che le costanti che regolano i rapporti fra gli astri sono tali da consentire la vita sulla terra il principio è espresso nel­

la forma debole, ma in questo caso appare come una semplice constatazione (cfr. N. Dalla Porta, L. Secco, Il

principio antropico in fisica e cosmologia, «ll futuro dell'uomo», 18, 2, 1991, 61-1 10). 31

Per una rappresentazione grafica dello sviluppo culturale si rimanda al capitolo > 78, Jaca Book, Milano, nov. 1984, 42-58. A queste stime ha fatto riferimento anche Giovanni Paolo II nel discorso tenuto a Hiroshima il 25.2.1981 davanti all'Università delle Nazioni Unite. 1

163

Le radici del senso religioso e dell'etica

il loro ruolo normativa in funzione dei diritti della persona e delle finalità del cor­ po politico» ( 1980, p. 14 1 ) . Certamente però l'aspetto etico della ricerca non può esaurirsi nelle conseguenze dell'attività scientifica. Esistono reali possibilità di abuso della ricerca quando essa viene organizza­ ta e impiegata per finalità che nulla hanno a che vedere con una migliore cono­ scenza dei fenomeni e delle forze della natura o portano danno alla persona e al­ la comunità. Bisogna ammettere la possibilità di abusi nella ricerca non soltanto nelle sue applicazioni, ma anche nei suoi obiettivi, nei presupposti e nella stru­ mentazione. La sperimentazione sull'uomo è largamente esposta a questi rischi. Non si può non riconoscere che la ricerca scientifica, come qualunque altra at­ tività umana, rimane sottoposta a un giudizio, a una valutazione sul piano etico. Ciò può essere lasciato alla coscienza del ricercatore, alla sua personale valu­ tazione, alla sua capacità di autocritica e autocontrollo oppure si debbono indi­ viduare evidenze etiche oggettive alle quali il ricercatore deve rifarsi nel giudica­ re la sua attività? In tal caso in base a quali criteri e valori? «L'ethos specifico - ha notato Haering ( 1 973 ) - è la cultura professionale di persone moralmente guidate, sviluppata all'interno del gruppo professionale per il conseguimento del loro compito specifico e della loro vocazione». Ogni gruppo professionale ha il suo ethos, che va ricercato all'interno della sua attività, nei principi e nelle condizioni che la regolano, perché possa svolgersi in modo da concorrere al bene comune. Anche l'attività scientifica si sviluppa secondo un ethos e se c'è un ethos del­ la scienza e un ethos dell'uomo che si occupa di scienza, dev'esserci anche un'e­ tica per la scienza (Haeffner, 1 983 ) . n problema diventa quello dei valori di riferimento che possono fondare le evidenze etiche intorno alle quali si possa giungere anche a un reciproco con­ senso dei ricercatori. Soltanto a queste condizioni l'uomo di scienza potrà re­ sponsabilmente condurre la ricerca sperimentale e applicata e saprà eventual­ mente arrestarsi di fronte a gravi rischi che possono derivare da essa. Bisogna riconoscere che né la scienza né una fenomenologia di per sé posso­ no fondare una norma morale. «Una legge scientifica non può costituire una leg­ ge normativa, nel senso che possa obbligare moralmente» (Quelquejeu, 1967 ) . Bisogna allora orientarsi verso valori comunemente accettati nella società o nella comunità scientifica. «L'etica del ricercatore scientifico - ha osservato Her­ ranz ( 1 982) - è l'etica comune». Ma ci si può chiedere: vi sono anche istanze di carattere etico o pre-morale che emergono o sono intrinseche all'attività di ricerca, o all'atteggiamento del ri­ cercatore, e in definitiva possono fondare il consenso degli scienziati su alcune indicazioni di comportamento? 164

Tracce per un'etica della ricerca scientifica

n mio intento è di cogliere queste istanze ponendomi all'interno dell'attività scientifica, e quindi su un piano strettamente deontologico. Alcuni modelli correnti Monod ( 1 97 1 ) ha richiamato l'attenzione sullo stretto legame fra etica e co­ noscenza. «L'etica e la conoscenza sono inevitabilmente legate, nell'azione e tra­ mite l'azione che mette in gioco, o in causa, contemporaneamente la conoscen­ za e i valori. Ogni azione esprime un'etica, serve o non serve alcuni valori; rap­ presenta una scelta di valori oppure vi aspira». Tuttavia secondo l'Autore la co­ noscenza «vera» ignora i valori e richiede un giudizio a carattere assiomatico. In questo modo l'etica della conoscenza che Monod propone come guida per il comportamento dell'uomo riporta al piano della soggettività, fuori da oggettivi riferimenti e non può rispondere al bisogno di un'etica universalizzante che pu­ re viene riconosciuto. Non vanno dimenticate le posizioni espresse in ordine ai problemi etici da al­ cuni scienziati che fanno riferimento essenzialmente alla filogenesi. Secondo Lo­ renz, il comportamento animale e quello umano sono «funzione di un sistema che deve la sua esistenza e la sua forma specifica a un processo storico svoltosi nella filogenesi . . . » ( 1 974, p. 15 ) . I concetti di bene e di male si legano e dipen­ dono da quelli di successo e di fitness per la specie, intesi in senso darwiniano, anche se nell'uomo interviene la componente culturale. Secondo Wilson, i valori etici umani si sarebbero evoluti e fissati, come le ca­ ratteristiche fisiche dell'uomo, attraverso il processo della selezione naturale, se­ condo lo schema darwiniano, che fa emergere da una base genetica le tensioni etiche. L'Autore parla di una evoluzione genetica delle predisposizioni morali per opera della selezione naturale, e ritiene che «l' ontogenesi dello sviluppo morale sia stata geneticamente assimilata e che ora faccia parte del processo, guidato au­ tomaticamente, dello sviluppo mentale». «Innati nel cervello esistono censori e motivatori che, profondamente e inconsciamente, influenzano le nostre premes­ se etiche; da queste radici si è evoluta la moralità come istinto» ( 1 980, p. 7)2. L'idea di una nuova etica scientifica a cui si può giungere attraverso la teoria del­ l'evoluzione, e in particolare il darwinismo, non è del resto nuova, se si pensa che già

2

L'Autore si chiede: . Manca un'identità precisa di ciò che è bene e di ciò che è male, essendo possibi­ le che il male diventi bene (in rapporto al peggio) e il bene diventi male (di fronte a risultati migliori).

166

Tracce per un'etica della ricerca scientifica

È mia convinzione che, se non è possibile trarre dalla scienza, in quanto ta­ le, precise istanze di ordine etico, possono individuarsi all'interno del sistema di conoscenze scientifiche e a livello delle persone che si occupano di scienza principi, aspetti ed esigenze che quanto meno possono orientare per un'etica della ricerca, la quale potrà poi ricevere da altri approcci una elaborazione più orgamca.

Frontiere metodologiche Vi sono innanzitutto alcune delimitazioni nell'opera del ricercatore che deri­ vano dalla stessa metodologia scientifica che egli deve riconoscere e rispettare. La fedeltà al metodo scientifico pone delle frontiere che possono avere rile­ vanza sul piano etico. Giovanni Paolo II, dopo aver affermato che nessun limite deve essere posto alla ricerca del sapere, osserva: «La vostra specializzazione vi impone, certamente, delle regole e dei limiti indispensabili nell'investigare, ma al di là di queste frontiere epistemologiche lasciate che l'inclinazione del vostro spi­ rito vi porti verso l'universo e l'assoluto» (9 maggio 1 983 , Discorso ai parteci­ panti al Simposio sul tema: «La Scienza galileiana oggi») . C i sono dei limiti connessi con l a metodologia impiegata, cioè con il partico­ lare approccio conoscitivo. La problematica di questi limiti è essenzialmente una problematica «degli oggetti e dei soggetti propri alle diverse discipline, scientifiche o filosofiche» (Robert, 1 968). li tipo di approccio conoscitivo dello scienziato sarà necessariamente limita­ to e, se pretendesse di essere unico, cioè di escluderne altri, si finirebbe nello scientismo. Pare superata, ma a volte riemerge, l'idea che la scienza possa risolvere tutti i problemi. La conoscenza scientifica è solo un tipo di approccio. Di conseguen­ za le conquiste della scienza vanno interpretate su ciò che dicono e offrono al­ l'uomo, tenendo conto della molteplicità degli approcci alla persona umana, ma anche dell'unità delle sue dimensioni (fisica, psicologica, spirituale) e della sua unicità. Ignorare questo significherebbe assumere come unica dimensione quella bio­ logica o fisica e, in definitiva, ridurre assai il senso stesso della ricerca e delle pos­ sibili applicazioni. Spesso si sente dire che la scienza in sé è buona, o almeno indifferente, che es­ sa si interessa di come si producono i fenomeni e non del loro perché; potrebbero invece non esserlo le finalità e la utilizzazione delle scoperte scientifiche. È un'af­ fermazione che contiene qualche ambiguità: «Simile distinzione, ha osservato Ca­ stillo ( 1981 ) , serve a tranquillizzare la coscienza di quelle migliaia di uomini di 1 67

Le radici del senso religioso e dell'etica

scienza che lavorano per le fabbriche di armi, per i piani di sterilizzazione, in­ trapresi in certi Paesi del Terzo Mondo, o semplicemente per obbedire agli inte­ ressi economici di imprese multinazionali» (p. 1 7 1 ) . Questa impostazione tradi­ sce una concezione positivista della scienza. Quando la «scienza si rifiuta di iscrivere nel suo oggetto l'insieme dei valori, norme e decisioni, tutto quello che si rapporta alle finalità, ciò significa che essa li abbandona a delle istanze extra­ scientifiche, cioè all'irrazionale» (idem). «li progresso scientifico - ha osservato Giovanni Paolo II - non può preten­ dere di situarsi in una sorta di terreno neutro. La norma etica, fondata nel ri­ spetto della dignità delle persone, deve illuminare e disciplinare tanto la fase del­ la ricerca quanto quella dell'applicazione dei risultati in essa raggiunti» (Ai par­ tecipanti di due Convegni di medicina e chirurgia, 27 ottobre 1 980) . Secondo Haeffner ( 1 983 ) si possono distinguere tre campi in cui è richiesta oggi un'etica per la scienza: l ) la possibilità di abusi della ricerca scientifica; 2) la situazione ingarbugliata quanto alle conseguenze; 3 ) l'integrazione reciproca fra potere e sapere nuovi. Ciò premesso, si può ritenere che un duplice atteggiamento di fondo debba guidare il ricercatore: a) la conoscenza della natura, delle leggi e delle proprietà dei corpi (viventi e non), e cioè la ricerca della verità; b) il coinvolgimento della natura e.dell'ambiente nell'esperienza umana per il successo dell'uomo. Questi atteggiamenti corrispondono al particolare rapporto che l'uomo è in grado di stabilire con il mondo che lo circonda.

Istanze intrinseche all'attività di ricerca a) L'esigenza di allargare e approfondire la conoscenza della realtà, di esplo­ rare il cosmo in ciò che ha di infinitamente piccolo e nella sfera dell'infinitamente grande è propria della mente umana. «L'uomo non è fatto per il lavoro, ma per la contemplazione - ha osservato Leprince-Ringuet ( 1 965) - il lavoro non è un fine, è un mezzo per rifarsi . . . La contemplazione è un fine in sé. In essa risiede l'essenzialità della scoperta; trovare ciò che era nascosto, scoprire nelle cose degli assetti armoniosi e farvi apparire delle vaste sintesi» (p. 268). Questo lavoro di ricerca della verità suppone la conoscibilità delle cose e la pos­ sibilità di giungere a una vera conoscenza. La razionalità scientifica è chiamata a fondersi con la contemplazione nella scoperta di ordine e armonia dell'universo. 168

Tracce per un'etica della ricerca scientifica

Ci si potrà chiedere se questo non costituisca un postulato assiomatico. È però certo che tutta l'attività dell'uomo tende sempre più alla conoscenza della realtà che lo circonda, come essa si presenta alla sua osservazione. La scienza, come tale, ha finalità conoscitive più che applicative. li sapere è già un valore e il ricercatore deve godere della necessaria libertà per sperimentare e conoscere di più. Ciò richiede un atteggiamento di incessante ricerca e anche di disponibilità a conoscere nuovi aspetti che a volte possono contraddire o smen­ tire posizioni culturali precedenti, ma il più delle volte costituiscono integrazio­ ni o arricchiscono di nuove interpretazioni. Ad esempio, non si può dire certa­ mente che la meccanica quantistica abbia soppiantato la meccanica classica, ma piuttosto che l'ha integrata. Questa disponibilità, che deriva dalla provvisorietà e limitatezza delle cono­ scenze umane e porta a sostituire verità parziali e provvisorie con altre ugual­ mente transitorie ma più vicine all'oggettività (cfr. Herranz, 1982 ) , è già un at­ teggiamento etico, perché richiede umiltà nel ricercatore davanti a fenomeni im­ previsti. Egli può infatti trovarsi di fronte a fatti e fenomeni che non erano com­ presi nel suo schema di partenza. Non raramente è avvenuto che il ricercatore parta con una ipotesi e poi cammin facendo si accorga di una scoperta che non si basa su di essa. Basti ricordare quanto è avvenuto nella scoperta dell'elettrone positivo fatta da Anderson. b) L'altro atteggiamento che guida il ricercatore consiste nel padroneggiare la materia, nella possibilità che ha l'uomo di prendere in mano la sua vita e il suo fu­ turo. A partire dai lontani tempi della preistoria, la cultura che ha fatto progredire l'uomo si è fondata sulla capacità di utilizzare l'ambiente e le sue risorse, e so­ prattutto di inserirsi nel ciclo stesso della natura. Si pensi alle grandi innova­ zioni rappresentate dall'agricoltura e dall'allevamento. Tutto ciò per ricavare dalla natura quanto necessario per la conservazione e lo sviluppo della specie umana nel suo insieme, come di ogni singolo individuo. Non si è trattato solo di tecnologie litiche o alimentari, ma di atteggiamenti e spinte in direzioni vol­ te a rendere più vivibile la vita. Si potrebbe dire che una crescita di «umaniz­ zazione» ha guidato le scoperte dell'uomo dalla preistoria fino ai nostri giorni. Il termine di umanizzazione, che può apparire di matrice teilhardiana, corri­ sponde essenzialmente al progresso e all'evoluzione culturale che ha portato a livelli sempre più avanzati individui e popolazioni. Non può essere che questo, secondo Teilhard de Chardin, l'atteggiamento e l'intento dello scienziato nella ricerca: rispettare e potenziare al massimo la sfera dell'umano su scala plane­ taria. 1 69

Le radici del senso religioso e dell'etica

La ricerca scientifica, come attività umana tendente non soltanto a una cono­ scenza, ma anche ad una utilizzazione razionale delle risorse e delle potenzialità della natura, rientra nelle finalità generali che debbono caratterizzare il rappor­ to dell'uomo con l'ambiente in ordine al progresso dell'umanità. Non si può non essere d'accordo con Giovanni Paolo II quando ricorda che il progresso scientifico deve rendere la vita dell'uomo sopra la terra in tutti i suoi aspetti più umana, più degna dell'uomo (Ai premi Nobel, 20 dicembre 1980). Un parametro per valutare il progresso sociale è stato visto nel «benessere» del singolo e della popolazione, un traguardo che ha definito il sistema di si­ curezza sociale degli Stati moderni (Welfare State) . Attualmente però al con­ cetto di benessere va sostituendosi quello di «qualità della vita» che include l'aspetto relazionale dell'uomo con l'ambiente e con gli altri simili (cfr. Dona­ ti, 1 984)5. In questo quadro assumono una rilevanza sul piano etico tutte le ricerche vol­ te a tutelare e a migliorare la vita dell'uomo, a correggere anomalie genetiche, a favorire la salute della persona, ad utilizzare le risorse energetiche e alimentari della terra, ad assicurare un rapporto d'equilibrio fra uomo e ambiente, fra tec­ nologia e mondi vitali6. Ricerca della verità e servizio all'uomo e alla comunità degli uomini per la qualità della vita diventano istanze che emergono dalla stessa natura dell'attività scientifica e costituiscono dei riferimenti essenziali per gli obiettivi, i presuppo­ sti, la strumentazione, le applicazioni della ricerca stessa. Chi svolge ricerca non lo fa per imbrogliare le carte, per falsificare la cono­ scenza delle cose. E come non opera per diventare schiavo o vittima delle sue sco­ perte, altrettanto deve sentirsi impegnato nei confronti del prossimo in forza di una solidarietà operante dal punto di vista biologico ed ecologico. Indubbiamente esiste anche per il ricercatore il rischio della manipolazione, della strumentalizzazione, di aberrazioni nella conduzione della sua ricerca, ma una persona serena dovrebbe porsi nell'atteggiamento più sopra descritto ed es­ sere capace di autocontrollo.

. > 1 1 , VII ( 1991), 408-414.

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La pedagogia di Dio, creatore di un mondo in evoluzione

di necessità, che hanno interessato sia la base genetica che l'ambiente e hanno fat­ to emergere un programma. Non è questa la sede per riprendere la discussione sviluppatasi nel corso di un secolo fra coloro che escludono un disegno nell'evo­ luzione, pur ammettendo che di fatto si è realizzata con tutte le caratteristiche di un programma, e coloro che invece sostengono un finalismo reale, comunque es­ so si sia realizzato, eventualmente per fatti in parte casuali, ma di fatto rispondenti e previsti nella mente di Dio. Teilhard de Chardin parla di una casualità orienta­ ta, di un'evoluzione che è andata avanti a tentoni, ma in una certa direzione. È difficile negare nella evoluzione biologica un disegno culminante nell'uomo. Tutto è avvenuto come se il mondo vivente dovesse dare luogo, attraverso le sue trasformazioni, a quell'evento unico che è l'uomo. Non si tratta di un progetto apparente, ma reale, voluto da Dio creatore, anche se i fattori e le modalità con cui si è realizzato non li conosciamo in modo adeguato e riusciamo ad intuire o a scorgere soltanto alcuni momenti ed espressioni2. Questo stile di Dio che crea un mondo in evoluzione e realizza in questo mo­ do un suo progetto rimanda alla necessità di un progetto nel lavoro educativo. Lo stesso termine di educazione implica attenzione, progettualità e predisposizione di adeguati strumenti e metodologie.

n lavoro educativo Si ammette che il processo evolutivo si svolga attraverso lo sviluppo di po­ tenzialità genetiche che sono presenti o si formano nei viventi, a partire dai pri­ mi elementi della vita e si arricchiscono di nuove informazioni sia attraverso mutamenti genetici, sia nell'interazione con l'ambiente. n processo evolutivo si realizza per il concorso di fattori genetici e di fattori ambientali e porta a organizzazioni sempre più complesse. Teilhard de Chardin parla di complessificazione crescente, di una «gravità evolutiva» che trascina la materia verso livelli sempre più elevati di complessità, verso stadi sempre più im­ probabili di organizzazione e interiorizzazione dal formarsi del protoplasma pri­ mordiale alla comparsa dell'uomo3 • Secondo Jacob nell'evoluzione si sono formati sistemi viventi via via più

Cfr. F. Facchini, Il cammino dell'evoluzione umana , Jaca Book, Milano, 1985. Cfr. P. Teilhard de Chardin, La piace de l'Homme dans la nature, Seuil, Paris 1956. Ilfenomeno umano, TI Saggiatore, Milano, 1968. Teilhard de Chardin ha osservato: «Sotto l'influenza di miriadi di esperienze accu­ mulate e comparate, un'esperienza psichica umana non cessa di costituirsi. . . ; questa forma comune di sentire e di vedere non è altro che un immenso Passato collettivo collettivamente organizzato>> (La piace de l'homme dans la nature, cit., p. 233 ).

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Evoluzione e sviluppi teologici

complessi, unità di grado superiore per integrazione di unità subordinate4. Tutto ciò richiama il concetto di trasformazione, di cambiamento, proprio del processo educativo, come pure può significare che il programma nell'evoluzione emerge in forza di proprietà, leggi o principi d'ordine presenti nella sostanza vi­ vente. Se questo è vero, non può suggerire che il processo educativo, pur ri­ spondendo a un disegno, a un ideale di uomo intelligente e libero, si realizza con lo sviluppo delle potenzialità di ciascuno che vanno scoperte e valorizzate in una successione di momenti e di livelli sempre più complessi? Lo sviluppo della persona avviene per una crescita di conoscenza e di co­ scienza, di capacità e di forze che si accumulano e si integrano fra loro in una co­ stante interazione col mondo esterno. La dimensione «storica» La complessificazione delle strutture viventi contraddistingue il cammino dell'evoluzione. Ogni organismo porta in sé la storia di miliardi di anni che l'hanno precedu­ to e preparato. È alla luce di questo passato che può essere meglio conosciuto. Osserva Lewontin: «Dato che il presente deriva in modo causale e con con­ tinuità dal passato, possiamo capire pienamente il nostro stato attuale solo sa­ pendo da dove veniamo»5. n dinamismo dell'evoluzione con cui si sono formate le specie, fra cui anche la forma umana, conferisce un aspetto storico a ogni specie vivente. «Nel nostro universo ogni essere, con la sua organizzazione materiale, è solidale con tutto un passato. Egli è essenzialmente una storia» (Teilhard de Chardin)6. Analogalmente si può affermare che ogni individuo ha una storia ed è una sto­ ria; la sua identità è costruita dalle esperienze e dalle vicende che ha vissuto. La loro conoscenza è essenziale per un lavoro educativo.

n contesto ambientale Una delle vedute più interessanti della biologia moderna è quella dell'amSecondo l'Autore le strutture complesse (a partire dalle unità proteiche fino alle cellule, agli organismi e aJ. le popolazioni) possono essere indicate col termine di «integroni>>. Ogni integrone è formato da integroni di li· vello inferiore e partecipa alla costruzione di un integrone di livello superiore (F. Jacob, La logica del vivente, Einaudi, Torino, 197 1 ) . 5 R. Lewontin, La diversità umana, Zanichelli, Bologna, 1987, p. 166. 6 Teilhard de Chardin, La vision du passé, Seui!, Paris, 1957, p. 39. 4

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La pedagogia di Dio, creatore di un mondo in evoluzione

biente, inteso come sistema di rapporti fra i vari elementi che lo compongono: elementi abiotici (clima, energia, materia inorganica) e biotici (microrganismi, piante, animali) interagenti fra loro e formanti l'ecosistema. La comparsa della vi­ ta sulla terra e lo sviluppo della specie umana sono legati a queste componenti dell'ecosistema. Coppens7 ha messo in particolare evidenza l'importanza decisi­ va delle trasformazioni dell'ambiente terrestre a est del Rift africano per la for­ mazione degli Ominidi (le forme australopitecine) che hanno preceduto e por­ tato alla forma umana. Questa relazione fra lo sviluppo delle varie specie, compreso l'uomo, e l'am­ biente suggerisce l'approccio sistemico e relazionale nel lavoro educativo che non può prescindere dal contesto ambientale in cui si svolge, dai suoi elementi, dai di­ versi rapporti che ogni essere umano stabilisce con l'ambiente naturale e cultu­ rale in cui vive. Inoltre può suggerire che nel lavoro educativo non è implicata solo la perso­ na dell'educatore, ma tutto un ambiente che può assumere valenza educativa. L'adattamento e l'autonomia Nell'interazione della specie con l'ambiente si realizza un adattamento che, specialmente nel caso dell'uomo, non è puramente meccanico o passivo. Le in­ novazioni genetiche si affermano in ragione di un possibile significato adattativo all'ambiente che può cambiare. Nel caso dell'uomo possono intervenire nel pro­ cesso di adattamento le scelte espresse dalla cultura, la quale influisce sull'adat­ tamento genetico e funzionale e crea anche nuovi ambienti artificiali a cui l'uo­ mo deve a sua volta adattarsi. «La cultura può considerarsi la dimensione adattativa dell'uomo» (Monta­ gu)8. «Mentre gli altri viventi realizzano l'adattamento al loro ambiente modifi­ cando i propri geni, l'uomo ottiene questo risultato modificando in prevalenza, se non esclusivamente, l'ambiente per metterlo in armonia con i propri geni» (Dobzhansky)9. In questo modo, l'uomo realizza una relativa autonomia dall'ambiente, le cui sfide selettive vengono attenuate per mezzo degli accorgimenti culturali. Nel­ l'interazione con l'ambiente l'uomo si caratterizza per una certa autonomia in or­ dine alla sopravvivenza. Inoltre con l'uomo l'evoluzione diventa un'autoevolu7 8 9

Y. Coppens, Ominoidi, ominidi, uomo Jaca Book, Milano, 1988. M.F.A. Montagu, The Human Revolution, Bantam, New York, 1967. Th. Dobzhansky, I.:evoluzione e l'ominazione, in I.:origine dell'uomo, Ed. Accad. Lincei, Roma, ,

13-32.

229

1973,

pp.

Evoluzione e sviluppi teologici

zione, nel senso che l'uomo è parte attiva del processo evolutivo. Coppens affer­ ma: «L'ambiente, anzitutto, la cultura e la società, poi, hanno fatto l'umanità»10. Anche nel lavoro educativo c'è un costante adeguamento dell'educatore alla realtà ambientale di chi viene educato; tale realtà può cambiare, così come pos­ sono cambiare le possibilità dell'animo umano. Nel processo educativo è essen­ ziale l'attenzione a questo contesto e ai suoi cambiamenti in un'opera di adegua­ mento delle metodologie e degli strumenti alle nuove situazioni che si possono creare. Nello stesso tempo il processo educativo tende all'autonomia della per­ sona, condizione indispensabile per il suo sviluppo pieno e responsabile. Come lo sviluppo della specie umana si caratterizza e si distingue da quello di altre specie per l'acquisizione di una autonomia crescente dall'ambiente attra­ verso la cultura e in una partecipazione attiva al processo evolutivo, altrettanto deve avvenire nel lavoro educativo nei confronti dei soggetti da educare, i quali sono chiamati a maturare capacità di autoeducazione. In questa valorizzazione delle capacità e responsabilità personali è possibile anche superare le tentazioni riduttive di spiegazione dell'uomo in chiave ambientalista ed ereditarista. Ciò che contraddistingue l'uomo come specie nel rapporto con l'ambiente è la sua capacità di iniziativa attraverso la cultura, la quale si prolunga e si esprime a livello individuale nel processo educativo. La gradualità Una caratteristica del processo evolutivo è la gradualità. Esso si svolge in tempi lunghi: milioni e milioni di anni. Si direbbe che Dio non abbia avuto fret­ ta di arrivare all'uomo, che Dio ha avuto una grande pazienza. Ma la dimensio­ ne tempo è soltanto delle cose create. Dinanzi a Dio tutto è presente. Rimane comunque il fatto che l'evoluzione, vista da parte dell'uomo, ha richiesto molto tempo. Certamente Dio avrebbe potuto realizzare in tempi molto più brevi il suo progetto. Ma volendo servirsi delle cause seconde, cioè delle creature, delle leg­ gi e proprietà che le contraddistinguono, i tempi sono stati molto lunghi e l'evo­ luzione è stata lenta, graduale. Dio sa attendere. Lento e graduale è stato il processo evolutivo, anche se oggi vi sono teorie evo­ lutive che sostengono che l'evoluzione è andata avanti per salti, per discontinuità. A differenza di quanto sostiene il darwinismo, secondo alcuni autori moder­ ni vi sarebbero stati momenti di rapida speciazione alternati con fasi di rallenta­ mento o stasi evolutiva (teoria degli equilibri punteggiati) . Tuttavia anche questa teoria non elimina i tempi lunghi dell'evoluzione. Inoltre è compatibile anche con 10

Y. Coppens, Pre-amboli. I primi passi dell'uomo, Jaca Book, Milano, 1989, p. 169.

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La pedagogia di Dio, creatore di un mondo in evoluzione

il modello del gradualismo evolutivo che sembra avere contraddistinto alcune fa­ si dell' evoluzione1 1 . L a gradualità che caratterizza la filogenesi e comunque le trasformazioni che avvengono nel lungo periodo è assai interessante in ordine al lavoro educativo. Esso normalmente avviene con gradualità, anche se tante volte si vorrebbe tutto e subito. È una gradualità richiesta dall'ontogenesi, dalla formazione dell'indivi­ duo, che porta allo sviluppo delle sue potenzialità, e richiede rispetto, attesa e pa­ zienza. Relazioni sociali, cooperazione e socializzazione La competizione con l'ambiente fisico, vegetale e animale, è un'altra caratte­ ristica dei viventi. È la lotta per l'esistenza, attraverso la quale si realizzano gli equilibri naturali che consentono la sopravvivenza delle diverse specie, anche se ciò può comportare sacrifici a livello individuale. Questa competizione_ ha con­ traddistinto l'evoluzione biologica ed è stata un fattore importante di evoluzione. Ma vi sono buone ragioni per ritenere che la cooperazione più che la lotta tra i gruppi umani abbia contribuito al successo evolutivo dell'uomo. La cooperazione ha rappresentato nei lunghi periodi del Paleolitico un fatto­ re importante per l'evoluzione umana, accanto ad altre espressioni della cultura. Essa appare strettamente legata alla filogenesi umana e corrisponde ad un orien­ tamento profondamente radicato nella natura umana12• La cooperazione esprime la tendenza all'aggregazione. Essa si manifesta già nelle forme zoologiche inferiori, ma nell'uomo diventa socializzazione crescente anche a livello organizzato13. li significato e il valore della cooperazione e della relazione sociale come fat11 Così, ad esempio, nel caso dell'evoluzione umana viene ammesso un momento di rapida speciazione intorno a 2,5 milioni di anni fa (con la formazione di Australopithecus robustus, Australopithecus Boisei e Homo habi­ lis), a cui è seguita una evoluzione graduale da Homo habilis a Homo erectus e Homo sapiens (Ph. Tobias, Re­ centi sviluppi nella conoscenza dell'evoluzione degli Ominidi con particolare riferimento all'encefalo e al lin­ guaggio, in [;evoluzione dei Primati (a cura di C. Chagas), Jaca Book, Milano, 1987, pp. 79-124. 12 TI comportamento aggressivo, in funzione di conquista e di dominio, può ritenersi un'acquisizione relati­

vamente recente, essenzialmente di ordine ctÙturale, probabilmente legata alla fase neolitica (cfr. F. Facchini,

L'Uomo. Introduzione alla Paleoantropologia, Jaca Book, Milano, 1990). B Secondo Teilhard de Chardin > (La vision du passé, Seui!, Paris, 1957) e comporta una crescita di rapporti, di cooperazione e di amore a livello planetario. È tutta una specie che «converge su se stessa, è tut­ ta una specie che implode su se stessa>> (Apparition de l'homme, Seui!, Paris, 1955, p. 331). Anche Dobzhansky, in accordo con Teilhard de Chardin, riconosce che (cfr. Le domande supreme della biologia, De Donato, Bari, 1969, p. 133 ) .

23 1

Evoluzione e sviluppi teologici

tori di evoluzione e di successo per l'uomo possono suggerire qualche indica­ zione per il lavoro educativo che si fonda sull'incontro, sulla relazione significa­ tiva, sulla cooperazione tra quanti a diverso titolo vi sono coinvolti in quanto componenti del contesto in cui si forma la personalità. Nello stesso tempo il pro­ cesso educativo tende a sviluppare nella persona le capacità di relazione con gli altri, capacità che sono essenziali per la sua crescita armonica.

Alcune considerazioni conclusive n processo evolutivo appare come la spiegazione più plausibile della docu­

mentazione fossile esistente. Ciò può essere affermato, anche se non tutti i mec­ canismi di tale processo ci sono chiari; come pure va ribadito che la teoria evo­ lutiva può inquadrarsi in una visione religiosa della realtà, opera di Dio, creato­ re del cosmo e dell'uomo, secondo un preciso disegno14. È partendo da questo presupposto che si è tentato di ricavare dalla visione dell'evoluzione, illuminata dal trascendente, alcuni aspetti del rapporto di Dio con la realtà creata che pos­ sono contenere qualche indicazione di valore in ordine al lavoro educativo. Certamente Dio parla all'uomo in tanti modi e ogni sua parola è volta ad orientarlo, ad aiutarlo. Parla attraverso l'opera della creazione: tutto quello che ci sta attorno parla di Lui; parla attraverso la storia della terra e del cosmo a parti­ re dal momento in cui le cose sono incominciate a esistere. È un linguaggio non immediato, ma reale, perché tutte le cose create riman­ dano al loro creatore, come ci ricorda san Paolo (Rm 1 ,19-20); è un linguaggio che giunge quindi a noi anche attraverso i fossili in cui è stampata la memoria del passato. n concilio Vaticano II insegna che «Dio, il quale crea e conserva tutte le cose per mezzo del Verbo ( Gv l ,3 ) , offre agli uomini nelle cose create una perenne te­ stimonianza di sé» (Dei Verbum, 3 ) , prima ancora di parlare attraverso i profeti e Gesù Cristo. Per il credente questo linguaggio, che è la pedagogia del Creatore a cui san Paolo rimanda nella lettera ai Romani, diventa trasparente in Gesù Cristo, la Pa­ rola del Padre. Egli ci svela non tanto le vicende del passato, quanto le intenzio­ ni di Dio a riguardo dell'uomo, il disegno originario del Padre incentrato su di Lui, il Figlio unigenito, il significato vero di tutta la realtà creata e dei suoi dina­ mismi evolutivi, la meta finale della storia dell'uomo e del mondo. 14

Cfr. F. Facchini, Le origini dell'uomo: le ragioni della scienza e le ragioni della fede, in 14

( 1991 ) , pp. 621-647.

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La pedagogia di Dio, creatore di un mondo in evoluzione

Se poi accettiamo la concezione teilhardiana dell'evoluzione, il lavoro educa­ tivo si illumina di nuova luce. Secondo Teilhard de Chardin il Cristo Cosmico del­ la fede si identifica con il punto «omega» della scienza, nel senso che tutta l'e­ voluzione (cosmica, biologica, umana) converge su Cristo, che ha la capacità di portare ad unità tutta la creazione con il compimento dell'opera di salvezza alla fine dei tempi. Ciò potrebbe suggerire che anche il lavoro educativo deve tendere a formare il Cristo in ogni uomo. Non è questo il senso più vero dell'educazione? In questo modo la storia cammina verso il suo compimento.

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PIERRE TEILHARD DE CHARDIN: DALL'EVOLUZIONE UNA SPERANZA PER L'UOMO*

La lettera inviata il 12 maggio 198 1 dal Card. Agostino Casaroli, Segretario di Stato, a Mons. Poupard, Rettore dell'Istituto Cattolico di Parigi, in occasione del centenario della nascita di Pierre Teilhard de Chardin, è stata un gesto rassere­ nante, anche se in seguito il portavoce della S. Sede ha precisato che rimangono le riserve espresse a suo tempo dalla Congregazione per la fede. Nella lettera del Card. Segretario di Stato si riconosce a Teilhard de Chardin «la volontà continua di dialogo con la scienza del suo tempo e il suo ottimismo intrepido di fronte al­ l'evoluzione del mondo ... Tutta orientata verso l'avvenire, questa sintesi dall'e­ spressione spesso lirica e attraversata dalla passione dell'universale avrà contri­ buito a ridare il gusto della speranza a degli uomini in preda al dubbio» («Oss. Rom.», 10.6. 198 1 ) . È un riconoscimento doveroso che ha saputo cogliere il si­ gnificato della sintesi teilhardiana e il valore che essa contiene al di là degli aspet­ ti strettamente scientifici, filosofici e teologici. È un gesto di grande apertura che sottolinea la ricchezza e la fecondità delle intuizioni teilhardiane dopo le incom­ prensioni e sofferenze che padre Teilhard ha conosciuto nella sua vita e ha supe­ rato nella assoluta fedeltà alla Chiesa. Teilhard de Chardin rappresenta forse l'espressione più alta e più completa di un tentativo di dialogo e di sintesi moderna fra scienza e fede, fra scienza e mi­ stica. Egli ha cercato il tessuto unificante delle conoscenze umane e delle cono­ scenze di fede, quella sintesi che ogni credente, ogni uomo è chiamato a compiere dentro di sé per rispondere alle domande fondamentali dell'esistenza: che senso ha la realtà che mi circonda? Quale il suo passato? Quale potrà essere il futuro? *

Da «l martedì>>, 17, 1981, 23-26. (Rivista del Centro S. Domenico di Bologna).

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Evoluzione e sviluppi teologici

Quale il mio posto nella vita e nella storia del mondo? Teilhard de Chardin ha tentato una risposta partendo dal terreno scientifico. È apparsa ed è stata la ricerca di dialogo e di conciliazione fra il pensiero scientifico moderno e la fede. Le teorie darwiniste sulle evoluzione delle specie e dell'uomo erano state interpretate e utilizzate in vari ambienti scientifici e filo­ sofici in senso materialista e antireligioso. Una nuova frattura tra fede e scienza che, sia pure in proporzioni diverse, sembrava riecheggiare quella prodotta a suo tempo dal caso Galilei. Ma l'intento di Teilhard va molto più in là del supera­ mento del falso problema: creazione o evoluzione? Non gli basta affermare che le vedute evoluzionistiche non sono inconciliabi­ li con la fede. Egli trae dalla storia evolutiva dell'uomo una luce e delle indica­ zioni per capire il presente e per costruire il futuro. «li passato mi ha rivelato la costruzione dell'avvenire», afferma in una lettera dell'8 settembre 19351 . Evoluzionista convinto egli h a dato un'interpretazione tutta sua al fenomeno evolutivo: parla di una evoluzione generalizzata, di un asse privilegiato che si può riconoscere, quello di una «complessificazione crescente», che negli animali tro­ va il suo parametro di riferimento nella cerebralizzazione. Essa si può individuare nel tipo dei Cordati, nella classe dei Mammiferi, si massimizza nell'ordine dei Pri­ mati e culmina nella linea umana. Però questa evoluzione non si esaurisce quan­ do l'uomo raggiunge la forma attuale, ma continua nella cultura e nella organiz­ zazione sociale, «vero prolungamento della evoluzione biologica»2• A partire dal Neolitico si sviluppa un processo di «planetizzazione» dell'umanità: «popoli e ci­ viltà giunte a un tal grado sia di contatto periferico sia di interdipendenza eco­ nomica sia di comunione psichica che essi non possono più crescere che inter­ penetrandosi»3 . Tutta l'evoluzione è caratterizzata da un movimento verso il più complesso da un'ascesa di psichismo, che si prolunga, attraverso l'opera del­ l'uomo, in una convergenza biopsichica verso il punto «omega», in un «supe­ rorganismo» che viene identificato nel «Cristo consumatore» della Rivelazione cristiana. Teilhard contempla l'evoluzione nel suo insieme e ne trae l'indicazione di una legge evolutiva, quella della cooperazione, che nell'uomo assume la sua espressione più alta, attraverso la coscienza riflessa, nella partecipazione consa­ pevole al disegno evolutivo generale che avvolge il cosmo e l'uomo. «Più osser­ vo scientificamente il mondo e meno vedo per esso un esito biologico possibile ' al di fuori della coscienza attiva della sua unità. D'ora innanzi sul nostro pianeta 1 2 3

Lettres de voyage, 1923-1955, Grasset, Paris 1956. La Vision du passé, Seuil, Paris, 1957, p. 360. Ilfenomeno umano, Mondadori, Milano, 1968, p. 339.

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Pierre Teilhard de Chardin: dall'evoluzione una speranza per l'uomo

la vita non potrà progredire (e nulla le impedirà di progredire neppure le sue schiavitù interne) se non farà saltare le paratie che tramezzano ancora l'attività umana e se non si abbandonerà senza esitazione alla Fede nell'Avvenire4• Quan­ to alle cause della evoluzione, non gli bastano quelle della biologia evoluzioni­ stica. Anche se tutto in natura sembra andare avanti per tentativi successivi, il ri­ sultato finale rivela un orientamento; egli postula così «nella stoffa dell'universo» una «energia radiale» che dà origine a sistemi sempre più complessi e interioriz­ zati e coincide con la «faccia interna» delle cose, distinta dalla «energia tangen­ ziale», che è comune a tutti i fenomeni fisici e coincide con la «faccia esterna» delle cose; postula cioè una «gravità evolutiva» che trascina globalmente la stof­ fa corpuscolare dell'universo verso stati sempre più improbabili di organizza­ zione e interiorizzazione, verso stati sempre più ricchi di psichismo e quindi di coscienza e investe la sfera umana nelle sue manifestazioni psichiche e spirituali nelle quali si prolunga la evoluzione cosmica. TI philum umano è caratterizzato dal­ la convergenza su se stesso nella realizzazione di un «ultraumano» che tende e cul­ mina nel punto «omega» (cfr. Ilfenomeno umano, La visione del passato, ecc.). Ci troviamo di fronte a una extrapolazione della evoluzione biologica e a una concezione molto più vasta di quella biologica, che, nella intenzione di chi la pro­ pone, non ha nulla a che vedere con il vitalismo e neppure intende negare i fat­ tori interni ed esterni della evoluzione; essi però, da soli, non sono ritenuti suffi­ cienti per spiegare una evoluzione orientata. Viene da chiedersi su quali basi Teilhard de Chardin si muova in questa ipote­ si, quali siano i meccanismi intimi di questa evoluzione quando indica nel punto Omega al termine della storia il successo finale dell'uomo, il compimento di tut­ to il processo evolutivo. Alcuni scienziati, quali Rostand, Medawar, Heberer, Monod, hanno espresso giudizi molto severi sulla concezione evolutiva di Teilhard de Chardin. Monod ri­ leva una mancanza di rigore e di austerità intellettuale della sua filosofia che vuoi conciliare tutto e affermando una forza evolutiva ascendente abbandona di fat­ to il postulato di oggettività5. Ma anche altri scienziati (J. Huxley, Simpson, Port­ mann, ecc.) , pur manifestando la loro simpatia per il tentativo di sintesi di Teilhard, non vedono su quali basi e leggi scientifiche possa poggiare la sua in­ terpretazione evolutiva; essi riconoscono tutto il suo interesse per la costruzione del futuro, ma ne mettono in evidenza il carattere ipotetico di «extrapolazione». Quanto al passato, un punto che viene criticato da vari autori è quello del fina­ lismo. Secondo Teilhard ci troviamo di fronte a una casualità apparente e a un fi4 5

VEsprit de la Terre, Oeuvres, VI, Seui!, Paris, 1962, pp. 23·57. Il caso e la necessità, Mondadori, Milano, 1970, p. 38.

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nalismo profondo nella storia evolutiva. Per i neodarwinisti il finalismo è soltan­ to apparente. L'evoluzione si è realizzata non per un disegno o programma fissato dall'esterno, ma per il puro gioco della casualità. C'è però da chiedersi se sia suf­ ficiente questo meccanismo per spiegare l'orientamento che si è realizzato nel­ l'evoluzione, se il rifiuto di finalità nel cammino evolutivo non possa derivare dal­ la limitatezza dei nostri mezzi conoscitivi o dal particolare orizzonte in cui ci si muove. Ma quali che possano essere i meccanismi evolutivi, sono indiscutibili lo svi­ luppo della vita, la crescita delle strutture cerebralizzate e il successo della spe­ cie umana sul pianeta terra. È stato giustamente osservato che «Teilhard è per il passato meno preoccu­ pato del meccanismo dell'evoluzione che del suo cammino; per l'avvenire, in­ centrato com'è nell'uomo, sono i fattori culturali piuttosto che quelli genetici che gli sembrano responsabili del movimento della vita»6. Sebbene non manchi chi sostiene il carattere scientifico di tutta la concezione teilhardiana e lo stesso Teilhard rivendichi alla sua opera fondamentale Le Phénomène humain il carat­ tere di memoria scientifica, si ha più l'impressione di trovarsi di fronte a una fe­ nomenologia, come egli stesso ebbe a riconoscere. L'intento di Teilhard è quello di superare il dualismo fra materia e psiche, fra corpo e spirito, che informa tanta parte del pensiero contemporaneo, e a tal fine si pone in una particolare prospettiva, quella di una fenomenologia che è fuori dalle categorie della metafisica e della scienza in senso stretto. Ci troviamo cioè di fronte ad una particolare interpretazione della realtà, ad una ipotesi di lavoro che parte da osservazioni scientifiche, relative agli esseri viventi e alla loro evo­ luzione, per elaborarne, con una metodologia analogica e di ordine fenomenico, una visione generale del cosmo e dei suoi meccanismi, senza preoccuparsi trop­ po di giustificare scientificamente i vari passaggi e i meccanismi con cui si svol­ gono. Tale visione manca di una dimostrazione, di una verifica rigorosa, ma ri­ sponde a un bisogno ed è coerente con la storia evolutiva. Nel tentativo di sinte­ si sfumano i confini fra gli ambiti e le metodologie scientifiche e filosofiche e tut­ to viene colto in un anelito profondo di unità e di speranza. Th. Dobzhansky, il­ lustre genetista che conobbe bene padre Teilhard e ne fu sincero estimatore, ri­ tiene che la sua sintesi non ha la forza di una dimostrazione scientifica «ma è suf­ ficiente che non sia contraddetta dalle nostre conoscenze»7; essa ha il merito di porre in relazione, con intuizione profeti ca, l'evoluzione con il problema dell'e6

E. Boné, I.:oeuvre paléontologique de Pierre Teilhard de Chardin, in , t. 135, 20 genn. 1964. 7 I:evoluzione della specie umana, Einaudi, Torino, 1965, p. 354.

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sistenza e di formulare una sintesi nella quale «l'evoluzione è una luce che illu­ mina tutti gli eventi»8. La visione teilhardiana rivela un'anima essenzialmente contemplativa alla ri­ cerca di Dio, della sua azione nella storia del mondo e dell'uomo, nella «stoffa dell'universo». «Dall'evoluzione universale Dio emerge nelle nostre coscienze più grande e necessario che mai»9. Lo sforzo di Teilhard, come scienziato e uomo re­ ligioso, è stato quello di aiutare a scoprire l'idea della creazione, opera di Dio, nell'universo evolutivo. «Un Dio che fa nascere, in seno alle cose, i termini successivi della sua opera: questa azione creatrice non è meno essenziale, né meno universale, né soprat­ tutto, perciò, meno intima»10. Nello stesso tempo la costruzione del futuro è ca­ ratterizzata da un cammino «in avanti» (progresso dell'ultraumano per conver­ genza) e «in alto» (ascensione spirituale verso Cristo) : è così che cresce il Regno di Dio, in questo incontro, nella coscienza umana, del senso dell'ultraumano e del senso cristico11. E in una delle sue ultime lettere (8 nov. 1953 ) scrive: «Vorrei im­ piegare il più intensamente possibile gli ultimi anni che mi restano per «cristifi­ care» (come io dico) l'evoluzione (ciò che suppone a un tempo il lavoro scienti­ fico per stabilire la «convergenza» dell'universo e il lavoro religioso per liberare la natura universale del Cristo nella storia) 12. Forse a questa contemplazione unitaria del cosmo non sono stati estranei i contatti con il mondo orientale in cui Teilhard è vissuto per molta parte della sua vita. Tendenzialmente portato alla ricerca dell'unità e della sintesi il suo pensie­ ro deve essersi confrontato ed arricchito a contatto con le filosofie e religioni orientali il cui misticismo è incentrato su una forte unità dell'uomo con il cosmo. Ma per Teilhard non vi sono dubbi sul Dio personale e trascendente. Piuttosto viene da chiedersi quale influsso abbia avuto la sua Fede religiosa sulla conce­ zione evolutiva che propone. li paleontologo Simpson, che pure era legato a Teilhard da amicizia, vede nel suo pensiero sull'evoluzione «l'applicazione di convinzioni religiose a dei fatti scientifici» e riconosce «nella tesi della conver­ genza del mondo in un punto finale non soltanto la conseguenza, ma la base de­ gli sforzi di Teilhard»13 • Effettivamente non è facile distinguere in tutte le pieghe del pensiero teilharLe domande supreme della biologia, De Donato, Bari, 1969, p. 1 14. I.:Esprit de la terre, cit. 10 Vision du passé, p. 142. 11 Lettres, cit. p. 357. 12 Lettres, cit. p. 3 5 1 . 1 3 Cit. d a G . Von Walert in Teilhard de Chardin und die moderne Theorie der Evolution der organismen, Stutt­ gart 1966, p. 10. 8 9

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diano, oltre che nel linguaggio, quanto di ispirazione religiosa e quanto di visio­ ne scientifica vi sia, a tal punto era arrivata in lui la conciliazione e la sintesi fra visione religiosa e analisi scientifica del mondo. Teilhard sembra ripensare i problemi religiosi nella prospettiva apertagli dal­ la visione scientifica, ma trasfonde nella sua prospettiva sul futuro quell'ottimi­ smo cristiano che viene essenzialmente dalla fede. n punto «omega», se non in­ terviene la fede soprannaturale nel Cristo ricapitolatore di tutta la realtà (secon­ do san Paolo) , rimane di «natura congetturale e postulata» come ha osservato de Lubac. n cammino dell'umanità verso il punto «omega» richiama la crescita del Regno di Dio nella storia che si realizza anche attraverso il lavoro e l'impegno del­ l'uomo per una fraternità più viva e più universale «in un mondo che va sempre più verso la unificazione», come ha poi ricordato il Concilio14. Giustamente è sta­ to osservato da de Lubac che l'ispirazione profonda della spiritualità teilhardia­ na, quale si può cogliere nel libro Le milieu divin è nella linea tradizionale, anche se il linguaggio può apparire ambiguo in certe espressioni15. Anche Danielou ri­ conosce dei meriti all'opera di Teilhard: «Egli riunisce la triplice dimensione bi" blica dell'uomo: il dominio del mondo attraverso la tecnica, la comunità delle persone, attraverso l'amore, l'apertura a Dio mediante l'adorazione. Se una sola manca l'universo è piatto e il messaggio di speranza che Teilhard ci dà è che que­ ste tre dimensioni, lungi dall'opporsi l'una all'altra, convergono, cospirano in­ sieme, così da autorizzarci ad attendere dall'accrescimento della tecnica e del­ l'unità, un accrescimento dell'adorazione. È una sfida superba. Tuttavia è ma­ gnifico che sia stata lanciata»16. Molto più severi i giudizi di altri teologi. Ricordo quello di Von Balthasar, se­ condo il quale l'evoluzione è la categoria meno favorevole per spiegare qualcosa nel cristianesimo e non c'è da farsi illusioni sulla convergenza tra le vie del mon­ do e quelle di Dio17. Ancora più dura la posizione di Jacques Maritain, il quale nella prefazione al volume Evolution et Christianisme18 di PJ.M. Nicolas, sincero ammiratore di Teilhard, non esita a qualificare lo stesso Teilhard come un «genio detestabile» e gli rimprovera, fra l'altro (mi pare però ingiustamente) di avere dimenticato nel suo evoluzionismo ottimista la realtà del male e il mistero della croce. Difficoltà, critiche, opposizioni al pensiero di Teilhard non sono mancate

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Cfr. Gaudium et Spes, 24 e, inoltre, 38-45. Il pensiero religioso di Pierre Teilhard de Chardin, Morcelliana, Brescia, 1960. Signification de Teilhard de Chardin, «Etudes>>, Paris, 1962, 2, 161. Cfr. R. Gibellini, Teilhard de Chardin. I.;opera e le interpretazioni, Queriniana, Brescia, 1981. Paris, 1973; tradotto dall'Ed. Massimo nel 1978.

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neppure nella sua vita, come ben sappiamo. Lo stesso Teilhard, pur nel suo otti­ mismo, non si è mai nascosto i problemi che comportava una nuova sintesi del­ le conoscenze umane, un'antropologia per il futuro in cui convergessero gli sfor­ zi dei vari studiosi attenti ai problemi dell'uomo. In varie occasioni, specialmente negli ultimi anni che trascorse «in esilio» ne­ gli Stati Uniti, si è incontrato e confrontato con illustri studiosi: biologi, geologi, fisici, filosofi, sociologi in simposi o convegni. Ricorderò alcuni nomi: Simpson, J. Huxley, Kirk, Niels Bohr, Van Diisen, Merton, Parson, Dobzhansky, Kroeber, H. Randall jr., Grassé, Piveteau e tanti altri. In questi incontri ha anche avverti­ to le difficoltà del dialogo, di una intesa, specialmente con gli «umanisti». In due lettere del 30 ottobre e del 24 novembre 1954, riferisce di un Convegno orga­ nizzato ad Arden House, 48 miglia da New York, nel quadro delle celebrazioni bicentenarie della Columbia University sul tema: «L'unità della conoscenza uma­ na» e rileva: «Nella mia sezione si è manifestato un profondo divario fra umani­ sti e scienziati, riguardante la questione di fondo, proprio come ho specificato io in una seduta finale sulla nuova questione di Galileo: "L'uomo si muove ancora biologicamente su se stesso ? " . Naturalmente io ho preso vigorosamente posizio­ ne (con Huxley e la maggioranza degli scienziati) contro la posizione immobili­ sta, purtroppo, degli elementi più cristianizzati della sezione, vale a dire Gilson, Malik (rappresentante del Libano alla Società delle Nazioni) , Battaglia, rettore laico della Università di Bologna e anche Van Diisen». Quindi osserva con ama­ rezza che gli «umanisti» sono impermeabili o refrattari all'idea di una ultraevo­ luzione biologica dell'Umano19. Di questo Convegno anche il nostro Felice Bat­ taglia ha scritto ricordando alcuni aspetti della sintesi di Teilhard e puntualiz­ zando che la sua posizione non era di immobilismo, ma tendeva a rivendicare la trascendenza (così come l'intervento di Gilson), ad affermare cioè «un mondo aperto all'infinità di Dio, senza peraltro poter adeguarvisi», fuori da ogni pan­ teismo o panpsichismo. E dopo avere ricordato l'avvertimento di Blondel a pro­ posito della dottrina di Teilhard: «È importante non soprannaturalizzare il natu­ rale e non naturalizzare il soprannaturale» conclude rammaricandosi di non es­ sersi intrattenuto con padre Teilhard in sede riservata sul tema cristocentrico, che tanto caro era al Padre e «di non avere parlato di Cristo che certo eccede l'evo­ luzione, il processo unificativo, la socializzazione, Cristo che è l'unità viva e ope­ rante»20. A 25 anni dalla morte di Pierre Teilhard de Chardin, dopo che si sono atte­ nuate le polemiche e gli entusiasmi facili dei primi anni che la seguirono, è forse 19 Lettres, cit., 358-359. 20 Atti Accad. Scienze di Bologna, Cl. Se. Mor., LIV, 1965-66. 24 1

Evoluzione e sviluppi teologici

il momento di riprendere con maggiore serenità l'approfondimento dell'opera di Teilhard e soprattutto vedere come raccogliere la sua eredità spirituale e cultu­ rale, con le necessarie «distinzioni metodologiche dei piani a vantaggio di una ri­ gorosa richiesta epistemologica» (cfr. lettera al card. Casaroli) , come proseguire all'insegna della speranza il cammino da lui abbozzato e iniziato nella personale esperienza di vita. Giacché è soprattutto il futuro, è la costruzione dell'avvenire (al cui ap­ profondimento egli avrebbe voluto dedicarsi maggiormente negli ultimi anni) che ci deve stare a cuore, più che le speculazioni o teorizzazioni scientifiche o filoso­ fiche. Oggi va crescendo la coscienza delle responsabilità che le attuali genera­ zioni portano per la preparazione di un futuro che non sia solo di sopravviven­ za della umanità, ma anche di un progresso dei valori veri dell'uomo, di tutti gli uomini. Ciò richiede un dialogo interdisciplinare, prima che ideologico o politico, la capacità di non lasciarsi catturare dalle ideologie e di rimanere aperti al trascen­ dente, la crescita di cooperazione fra le persone, i gruppi e i popoli, un impegno di lavorare insieme per delle mete comuni che segnino un aumento di umaniz­ zazione della vita, della cultura, della società. Non potrebbe essere questa la «convergenza in avanti e in alto» indicata da Teilhard de Chardin? Un modo di camminare verso il Cristo ricapitolatore di tut­ ta la creazione?

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LE ORIGINI DELL'UOMO: VEDU TE SCIEN TIFICHE AT TUALI E IS TANZE TEOLOGICHE*

La ricerca sulle origini dell'uomo1 si avvale oggi di molte osservazioni spe­ cialmente in campo paleontologico, che inducono a ricostruire i percorsi evolu­ tivi che hanno preparato la comparsa dell'uomo sulla terra che appare molto tar­ diva nel corso della evoluzione. I precursori dei Vertebrati vengono riconosciuti in forme vissute nel Cam­ briano 500 milioni di anni fa. I primi pesci 450 milioni di anni fa, 350 milioni di anni fa i primi Anfibi e poi i Rettili. TI Terziario, che incomincia 200 milioni di an­ ni fa è l'era dei Rettili, dei Mammiferi e degli Uccelli. Circa 65 milioni di anni fa si ritrovano le prime forme di Primati. Nell'ambito dei Primati si disegna verso la fine del Terziario, intorno a 3 -4 milioni di anni fa, una linea particolare che por­ ta all'uomo. La documentazione paleontologica venuta alla luce nel corso di un secolo e mezzo, pur non essendo in grado di rispondere a tutti gli interrogativi che si pon­ gono sulle origini dell'uomo, fornisce la base di una teoria evolutiva la cui validità è stata riconosciuta anche da Giovanni Paolo II nel messaggio inviato alla Ponti­ ficia Accademia delle Scienze nell'ottobre del 1996. A suggerire l'evoluzione *

Da > e osserva: > (P.P. Grassé, r.;evoluzione del vivente, Adelphi, Milano, 1979). In ogni caso sono da riconoscersi effetti maggiori alle mutazioni di geni regolatori di strutture o piani di organizzazione dell'animale.

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La scienza moderna e «la questione antropologica»

zione scientifica dell'universo l'idea di finalismo, o quanto meno, secondo la versione debole, sottolinea l'idea di una congruenza tra la presenza umana e le condizioni che la consentono10. C'è da chiedersi: casualità o finalismo hanno guidato i processi evolutivi e la comparsa dell'uomo? li discorso è molto complesso. Occorrerebbe definire pre­ viamente le categorie di casualità e di finalismo. Se la prima esclude orientamenti prefissati, cioè un rigido determinismo nello svolgersi degli eventi, la seconda non esclude che alla realizzazione di un progetto possano concorrere anche eventi ca­ suali (o che appaiono tali), quasi che il progetto rappresenti una sorta di «gravità» secondo la quale si dispongono e si realizzano eventi casuali. A questo riguardo occorre distinguere tra finalità di una struttura o di un organo e il disegno gene­ rale dell'evoluzione. La prima si potrebbe spiegare anche in termini adattativi, il disegno generale si colloca su un piano che non è più quello empirico. Ayala di­ stingue tra teleologia interna, quella ad esempio del funzionamento dell'occhio) e quella esterna o contingente (come quella che può stare all'origine della linea evolutiva dei Mammiferi che dipende da fattori esterni) . La teoria evolutiva di Darwin e la spiegazione del disegno, osserva lo stesso Autore, non esclude né in­ clude considerazioni sull'azione divina nel mondo non più dell'astronomia, del­ la geologia, della fisica o della chimica11 • Un finalismo generale, realizzatosi anche per fattori casuali non può essere di10 La versione forte del principio antropico, secondo la quale le costanti fisiche che regolano l'universo sono tali da richiedere che vi siano osservatori, pare difficilmente dimostrabile. Nella versione debole, secondo cui le costanti fisiche sono tali da consentire la vita sulla terra, appare piuttosto come una constatazione (cfr. N. Dal­ la Porta, L. Secco, Il principio antropico in fisica e cosmologia, in , 4, 7, 2000, 125-

145).

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A modo di conclusione

mostrato, ma neppure escluso dalla scienza, perché non rientra nella sua pro­ spettiva empirica. L'idea di disegno, comunque si sia realizzato, difficilmente raggiungibile scientificamente, è suggerita dall'osservazione della realtà nel suo insieme. b) La cultura, nuovo meccanismo adattativo Le diverse fasi della evoluzione umana, attualmente indicate come Homo ha­ bilis, Homo erectus, Homo sapiens, vengono viste sempre più come stadi morfo­ logici riconducibili a una unica specie. Nell'insieme lo sviluppo della specie uma­ na appare come un fenomeno singolare nel mondo dei viventi. La singolarità non si manifesta in ciò che può caratterizzare ogni genere o specie nuova e neppure in caratteristiche o proprietà che nulla hanno a che vedere con le forme che le hanno precedute. Ci sono continuità che uniscono al passato e vi sono disconti­ nuità che emergono lentamente e si affermano con il tempo. Le prime forme umane non le conosciamo. Quando vediamo l'uomo, osserva Teilhard de Char­ din, a qualunque livello si ponga la demarcazione della soglia umana, è già una folla. A partire da inizi nascosti il cammino dell'uomo è segnato da un'ascesa, da uno sviluppo fisico e culturale che non ha paragoni con altre specie. Grandi attori del suo successo evolutivo non sono soltanto i cambiamenti ge­ netici e ambientali, ma soprattutto il comportamento culturale con cui l'uomo fa fronte all'ambiente. A differenza delle altre specie viventi che si adattano all'am­ biente traendo fuori dalle riserve del genoma nuove risorse, i geni adatti, l'uomo è in grado di adattarsi modificando l'ambiente (Dobzhansky)12. Con l'uomo, a partire da 2-2,5 milioni di anni fa, si innescano nella evoluzio­ ne biologica nuovi meccanismi adattativi attraverso modelli di comportamento legati allo psichismo riflesso. Essi interferiscono sui meccanismi evolutivi di or­ dine fisico a volte rinforzandoli, a volte rallentandoli, in quanto intervengono nel rapporto con l'ambiente. Con l'uomo l'evoluzione imbocca una strada nuova. Pur rimanendo l'uomo ancorato al mondo biologico, c'è una novità, la cultura, la quale si inserisce nel processo evolutivo, ma in modo del tutto diverso dagli altri fattori, perché lo li­ bera da un rigido determinismo, genetico o ambientale, potendo in certa misu­ ra frenare od orientare il processo evolutivo. Ciò rappresenta una paradosso dal punto di vista evolutivo, considerando cioè l'ecosistema nel suo insieme. Cfr. Dobzhansky Th., I:evoluzione e l'ominazione, in I.:origine dell'uomo, Ed. Accademia dei Lincei, Roma, 1973, 13-32.

12

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La scienza moderna e «la questione antropologica»

La selezione naturale avrebbe portato a una specie che è in grado di contra­ starla, perché in qualche misura è in grado di sfuggire alle regole del gioco o di costruirne delle altre. Sotto questo profilo la novità della cultura rappresenta un'anomalia rispetto alle leggi generali dei viventi o, se vogliamo, è un elemento non riconducibile alle stesse categorie in cui rientrano gli altri aspetti dell' evolu­ zione dei viventi. c) Progettualità e simbolizzazione, aspetti metabiologici della cultura Rispetto ai Primati non umani, fossili e viventi, le differenze di maggiore rilie­ vo sul piano fenomenologico sono rappresentate dal comportamento culturale. Certamente nel 2% di differenza del genoma rispetto alle Antropomorfe sono in­ cluse le caratteristiche di maggiore rilievo sul piano anatomico-funzionale, quali la fonazione, il linguaggio, la complessità cerebrale e psichica. Ma ciò che rappre­ senta la risorsa inesauribile e capace di sviluppo indefinito è l'attitudine alla cul­ tura, data dalla capacità progettuale e simbolica. La progettualità significa capacità di agire intenzionalmente con certi com­ portamenti che tendono a un fine da raggiungere. Progettualità significa origi­ nalità, capacità innovativa e creativa, sia che si esprima nella lavorazione della sei­ ce che nella costruzione di un riparo o nella manipolazione degli alimenti. È quel­ lo che avviene con la tecnologia. Anche nel mondo animale si ritrovano delle tec­ niche, a volte di elevata perfezione, ma sono regolate biologicamente e non pre­ sentano innovazioni e progressi. Non si notano i segni di una intelligenza astrat­ tiva capace di proiettarsi nel futuro. La simbolizzazione è l'altra caratteristica del comportamento umano in quan­ to culturale. Essa consiste nell'attribuire a un segno, a un suono o a un oggetto, un valore, un significato che va oltre il segno. Mediante la simbolizzazione ven­ gono arricchite di significato e di valore le realizzazioni della tecnica. Progettua­ lità e simbolizzazione sono strettamente connesse. Ciò che viene ottenuto con la tecnica, oltre a rispondere a un progetto, assume un valore di segno o di richia­ mo a qualche utilizzazione o impiego. Lo strumento rimanda alla funzione alla quale è destinato e assume un significato nel contesto della vita dell'uomo. Allo strumento, come in generale ai prodotti dell'attività umana, può essere ricono­ sciuto un valore simbolico per il significato che assumono nell'immaginario del­ l'uomo. Si può parlare di simbolismo funzionale. Altre espressioni di simbolismo consentono di comunicare attraverso il linguaggio e i vari mezzi di comunica­ zione sociale con i quali si costruisce la società umana. Sono forme di simbolismo sociale. Vi sono poi espressioni di simbolismo in cui la persona comunica il pro­ prio mondo interiore con segni e immagini che trascendono i bisogni di ordine 281

A modo di conclusione

biologico o sociale. Pensiamo all'arte, alla religione, alla gratuità, alla musica, al­ la sfera dell'etica. Alcune volte possono avere rapporti con la sfera biologica e so­ ciale (es. l'arte naturalistica del Paleolitico superiore); c'è però sempre un aspet­ to trascendente e comunque non direttamente legato alla soddisfazione del bi­ sogno. Queste forme di simbolismo possono ricondursi a un simbolismo spiri­ tuale. Sia la progettualità che la simbolizzazione, come le facce di una medaglia, costituiscono il nucleo duro della cultura13. Vi sono buoni argomenti per sostenere che le prime manifestazioni a caratte­ re culturale si siano avute con Homo habilis, anche se non per tutti i reperti at­ tribuiti a Homo habilis si dispone di documentazione culturale. Le espressioni culturali che si osservano per la fase di habilis paiono caratterizzare, sia pure in forma elementare e semplice, il comportamento e l'ambente di vita. Sono segna­ late anche pietre scheggiate o utilizzate dagli Australopiteci, ma il significato che esse hanno nel contesto di vita è molto diverso da quello delle forme di 2 e l ,5 milioni di ani fa; come sono diverse da quelle dei Primati attuali. Per questi le realizzazioni strumentali non sono essenziali per la sopravvivenza e il rappor­ to con l'ambiente (Kitahara Frisch, 1984)14. n livello dell'artefatto è dato dal progetto che esso esprime e dal significato che assume nel contesto di vita e per la sopravvivenza.' Coppens ( 1 99 1 ) , pur propendendo ad attribuire anche all'Australopiteco la capacità di cultura, riconosce che con gli Australopiteci «la fabbricazione di strumenti aveva un aspetto aneddotico. Con l'uomo gli strumenti diventano per­ manenti, numerosi e diversificati»15• Ed è proprio per questo sviluppo della cul­ tura che l'uomo è andato avanti nella evoluzione, mentre gli Australopiteci si so­ no estinti. n carattere innovativo della tecnica e il valore simbolico delle realizzazioni del­ l'uomo sono rivelatrici dell'umano. La cultura, pur inserendosi o avendo rapporti con la sfera biologica, si caratterizza come extra o metabiologica, nel senso che si ha un trascendimento rispetto alle leggi o a modalità puramente biologiche del comportamento. Infatti, anche quando si esplica in relazione a bisogni biologici, si realizza fuori da forme di determinismo biologico o comportamentale. È segno 1 3 Circa l'argomento del simbolismo rimando alla nota: Facchini F., Il simbolismo nell'uomo preistorico. Aspet­ ti ermeneutici e manifestazioni, «Rivista di Scienze Preistoriche>>, 1998, 652-672. 14 Kitahara Frisch J., Ethologie animale et image de l'homme, , l 06, 1984, 23 5250. Cfr. pure: Goustard M., I.:Ethologie cognitive et a/fective des singes supérieurs (Gibbons, Chimpanzé, Gorille, Orangoutan) à l'tpreuve de la di/férence anthropologique, , l ,

1 99 1 , 43-80. Coppens Y., I.:évolution des Hominidés, de leur locomotion et de leurs environnements, in Origine de la Bipé­ die chez les Hominidés, Y. Coppens e B. Senut (eds.), CNRS, Paris, 199 1 , 295-301. 15

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