Numa. I culti, i confini, l'omicidio 9788815295569

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Numa.  I culti, i confini, l'omicidio
 9788815295569

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I RE E IL DIRITTO

I RE E IL DIRITTO collana diretta da

Maurizio Bettini Luigi Gara/alo

Volumi pubblicati:

Romolo. La città, la legge, l'inclusione, a cura di Maurizio Bettini Numa. I culti, i confini, l'omicidio, a cura di Luigi Garofalo

Numa I culti, i confini, l'omicidio

a cura di LUIGI GAROFALO

SOCIETÀ EDITRICE IL MULINO

Volume pubblicato con il contributo del Dipartimento di Diritto Privato e Critica del Diritto dell'Università degli Studi di Padova

I lettori che desiderano informarsi sui libri e sull'insieme delle attività della Società editrice il Mulino possono consultare il sito Internet:

www.mulino.it

ISBN

978-88-15-29556-9

Copyright © 2022 by Società editrice il Mulino, Bologna. Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere fotocopiata, riprodotta, archiviata, memorizzata o trasmessa in qualsiasi forma o mez­ zo - elettronico, meccanico, reprografico, digitale - se non nei termini previsti dalla legge che tutela il Diritto d'Autore. Per altre informazioni si veda il sito www.mulino.it/fotocopie Redazione e produzione: Edimill srl - www.edimill.it

Finito di stampare nel mese di marzo 2022 presso Tipografia Casma, Bologna

INDICE

corpus normativo ispirato di Mario Lentano

I.

Un

II.

Culti e

pax deorum di Francesca Prescendi

III. Terre e confini

p.

7

37

55

di Gianluca De Sanctis paelex e Giunone di Graziana Brescia

IV. La

V.

tra diritto e mito

Nuove leggi in tema di omicidio

91

127

di Luigi Gara/alo V I.

Dolo sciens di Paola Lambrini

Indice dei nomi

1 87

211

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MARIO LENTANO

UN CORPUS NORMAT IVO ISPIRATO

l. In un momento imprecisato del tardo IV secolo d . C . , l ' anonimo autore del De viris illustribus traman­ dato nel corpus di Aurelio Vittore afferma che Numa Pompilio «propose molte utili leggi, simulando che tutto ciò che compiva obbedisse agli ordini della ninfa Egeria, sua moglie» 1 • Era l'ultima , sintetica espressione di un mito molto più antico ed estremamente affasci­ nante, quello del secondo re di Roma e della sua divina consigliera, ed è anche il punto di partenza di questo saggio , nel quale vorrei provare a ripercorrere, in modo inevitabilmente sommario, l 'intero dossier delle «molte utili leggi» attribuite dalla tradizione giuridica, erudita e storiografica a Numa, con l 'intenzione di capire se sia possibile individuare un filo rosso, se cioè, al di là dei contenuti variegati delle diverse norme, si riesca a cogliere in esse una logica culturale che ne faccia un insieme complessivamente omogeneo e coerente. Prima di cominciare, conviene chiarire che una simile ricostru­ zione non può andare esente da un certo margine di arbitrio, almeno nella misura in cui molte delle iniziative accreditate a Numa in una p arte delle testimonianze sono in altra parte riferite a questo o quel sovrano pre­ cedente o successivo , in particolare a Romolo o Servio Tullio; è vero però che esiste un solido corpus di leggi o provvedimenti sulla cui paternità numana la tradizione è unanime o largamente maggioritaria. In ogni caso, qui si è fatta la scelta, anch 'essa in qualche misura arbitraria, di seguire soprattutto la biografia di Plutarco , la quale ha il merito di raccogliere e sistematizzare il materiale

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che sull 'argomento si era stratificato nel corso di una lunga trafila storiografica. Un'ultima chiarificazione preliminare riguarda poi il termine stesso di 'legge' , o quelli di 'norma' o 'disciplina', che nelle prossime pagine saranno usati in senso non tecnico e con valore estensivo: quello che intendiamo prendere in esame è infatti l'insieme dell' attività di go­ verno e dei provvedimenti facenti capo a Numa, che in parecchi casi le nostre fonti descrivono effettivamente ricorrendo a parole come n6mos o lex, ma che in molti altri avranno assunto forme diverse. Ecco dunque da un lato i commentari che una diffusa tradizione attribuisce al secondo re di Roma, contenenti tutte le prescrizioni rituali «redatte in forma di lista e contrassegnate da un sigillo» e affidati da Numa alla custodia del pontefice massimo, dall' altro i cosiddetti indigitamenta, nei quali erano ricordati i nomi degli dèi, le loro sfere di pertinenza e le spiegazioni dei nomi stessi, anch'essi considerati da una parte della tradizione come opera del re2. Infine, in altri casi ancora le fonti si riferiscono a costumi e con­ suetudini, privi di una vera e propria codificazione ma considerati nella cultura romana non meno significativi e vincolanti. Del resto, già la tradizione storiografica parla a proposito di Numa di una attività normativa che si esprime attraverso una pluralità di strumenti: Livio si pronuncia al riguardo in termini di diritti, leggi e costumi con i quali il nuovo re realizzò il suo progetto di ridefi­ nizione dell'identità romana, Dionigi di Alicarnasso dal canto suo spiega analogamente che le norme introdotte da Numa erano in parte comprese fra le leggi scritte, mentre in altri casi erano piuttosto «improntate agli usi e alle pratiche della tradizione»3 •

2 . In primo luogo, in coerenza con il profilo di un re estraneo alle pratiche della guerra, gli antichi attribuiscono

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a N urna una serie di decisioni che vanno nel senso di una sostanziale smilitarizzazione della società romana e di un suo riorientamento verso attività legate alla condizione di pace. Così, appena asceso al trono, Numa scioglie come primo atto di governo il corpo dei celeres, i trecento armati istituiti a suo tempo da Romolo perché formassero una sorta di guardia personale del re, così come serra, per non riaprirle mai più, le porte del tempio di Giano, la cui chiusura segnalava la condizione di assenza di guerre in tutto il territorio controllato da Roma4• Una porzione consistente dell'attività di Numa come secondo fondatore dell'Urbe riguarda poi, com'è ben noto, l'istituzione di sacerdozi e collegi. Il re introduce il flamine di Quirino, che si affianca ai due preesistenti di Giove e di Marte e dimostra la devozione del nuovo sovrano nei confronti del suo predecessore divinizzato, in onore del quale viene eretto un tempio sul colle che da lui prende il nome e istituita una festa annuale; se­ condo altre fonti, Numa crea tutti i flamini minori, come sembra indicare un frammento degli Annales di Ennio, o senz' altro l'intero collegio sacerdotale che portava questo nome5; accresce il numero degli auguri con l 'aggiunta di due nuovi sacerdoti6; crea i pontefici e la figura del loro presidente, il pontefice massimo, forse ricoperta per primo dallo stesso Numa7; istituisce i salii per custodire e portare annualmente in processione lo scudo di Marte caduto dal cielo e gli altri undici perfettamente identici che il re, seguendo anche in questo caso i moniti di Egeria, ha fatto forgiare dall' artigiano Mamurio Veturio8; a Numa alcune fonti assegnano anche la creazione dei feziali, il collegio depositario delle norme legate alle relazioni diplomatiche con i popoli confinanti e delle formule per la giusta dichiarazione di guerra9• All'attività di N urna sono poi legati i singoli culti e l'individuazione delle loro rispettive sedi. Abbiamo già detto di Giano e del suo tempio, edificato nella parte più

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bassa dell' Argileto; le Muse, compagne di gioco di Egeria, sono onorate attraverso la realizzazione di un'edicola di bronzo, e in particolare il re insegna a tutti i Romani la venerazione per una di esse, T a cita 10; a Giove Eli cio viene dedicato un altare sull'Aventino, mentre i termini del rito con il quale se ne invoca la benevolenza, compiuto ancora in età storica con cipolle, capelli e sardelle, sono il frutto di una serrata negoziazione fra Numa e Giove stesso, sceso a colloquio con il pio sovrano; a Vesta è innalzato nel Foro un santuario circolare e al tempo stesso viene istituito il collegio delle sacerdotesse chiamate ad assicurare la manutenzione del fuoco sacro; ed è sempre Numa a stabilire le regole di accesso a questo sacerdozio, i privilegi di chi lo riveste e il peculiare supplizio inflitto alla vestale che abbia infranto l'obbligo di verginità 1 1 • Due culti d i straordinario rilievo, quelli di Fides e di Terminus, sono altrettante innovazioni di Numa, insieme con le relative feste e le modalità del loro svolgimento, così come a lui si deve l'introduzione di sacrifici che la tradizione antica accredita espressamente all'ispirazione di Egeria, quello per stornare i fulmini in onore di Gio­ ve Elido, di cui si è detto, e quello svolto in occasione dei Fordicidia, la festa per la fertilità dei campi che si celebrava alla metà di aprile e prevedeva il sacrificio di una vacca gravida, presieduto dalle vestali12• Di Numa si diceva che avesse istituito i misteriosi dies agonales, il cui nome era oscuro già agli antichi e che prevedevano in quattro diversi momenti dell'anno il sacrificio di un ariete compiuto dal re in persona all'interno della reggia13• Né manca una tradizione isolata che assegna all'iniziativa di Numa anche la festa degli Argei, un rito che costituisce da sempre un rompicapo per gli storici della religione romana e che prevedeva il lancio nel Tevere, ancora una volta da parte delle vestali , di ventisette fantocci, lancio nel quale i Romani vedevano la mitigazione di un ori­ ginario sacrificio umano 14• Numa presta una particolare

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attenzione ai culti relativi ai defunti e alla divinità che ad essi presiede, Libitina, oltre a istituire le feste per i morti che chiudono il mese di febbraio, da lui stesso introdotto nel calendario15• Infine, sempre alla sfera del sacro è riconducibile una serie di regole più minute, come quella che impone a operai e artigiani la sospensione dei lavori svolti nelle strade mentre ha luogo una cerimonia religiosa, quella che vieta di produrre immagini antropomorfe o zoomorfe della divinità, di compiere libagioni con il vino di viti non potate o ancora di sacrificare senza farina (presu­ mibilmente la mola salsa, il particolare impasto di farro e sale la cui preparazione era tra i compiti principali delle vestali) , l 'obbligo di adorare gli dèi solo dopo aver compiuto un giro su sé stessi ed essersi messi a sedere, il divieto di impiegare come offerta sacra pesci privi di squame16• Numa introduce inoltre l'uso di offerte non cruente come quella dei cereali e in particolare del farro abbrustolito, al punto che a lui si attribuisce non solo l'istituzione dei Fornacalia, la festa per la torrefazione del farro celebrata alla metà di febbraio , ma anche quella dei Robigalia, il 25 aprile, nella quale il dio Robigus veniva invocato affinché la ruggine non attaccasse il grano ormai maturo17• Ma l 'ambito del sacro non è l'unico nel quale si esercita l 'attività regolatrice di Numa. Se è senza dubbio Romolo il grande fondatore del matrimonio romano e se il ratto delle Sabine rappresenta il mito eziologico per eccellenza del rito nuziale celebrato in età storica, Numa non manca di intervenire anche nella delicata materia del comportamento matronale. Alle spose di Roma il sovrano impone la regola del riserbo, vietandone ogni ingerenza negli affari pubblici e prescrivendo loro le virtù della sobrietà e del silenzio, considerate specificamente femminili, al punto da stabilire che una donna non possa prendere la parola, in assenza del marito, neppure per le

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cose necessarie e che debba inoltre astenersi dal consumo di vino: una regola , quest'ultima, tra le più tenaci della cultura romana arcaica, interpretata dai Romani come strettamente legata all'interdizione dell' adulterio, dal momento che l'ebbrezza renderebbe le donne più esposte alle pulsioni erotiche proprie o altrui18. Meno chiara è la consuetudine di autorizzare la temporanea cessione della propria moglie, dopo averne avuto un numero soddisfacente di figli, a un altro uomo che desiderasse concepire una discendenza, attestata comunque ancora al tramonto dell'età repubblicana19• In questo stesso ambito, come vedremo meglio più avanti, Numa si occupa anche di una peculiare figura di partner femminile, quella che i Romani chiamano paelex. Alla sfera matrimoniale e familiare fa poi capo la norma secondo la quale Numa avrebbe posto una limitazione allo ius vendendi del pater /amilias nei confronti del figlio, escludendo la sua appli­ cabilità allorché questi fosse in costanza di matrimonio con una donna scelta dal padre o comunque sposata con il suo consenso20• Sul piano delle iniziative che noi definiremmo in senso lato economiche, una tradizione isolata ma autorevole attribuisce a Numa l'istituzione dei giorni di mercato, le nundinae, che rientrano anche nell' attività di regolazione e scansione del tempo di cui diremo più avanti2 1 • Una tradizione tarda ma omogenea accredita al secondo re di Roma anche l'introduzione della moneta nella forma dell' asse, unità di base del sistema numismatico latino, talora distinguendo fra monete di cuoio, utilizzate dai comuni cittadini, e monete di bronzo, il cui impiego è riservato invece ai soldatP. Il legame fra Numa e il denaro si fa anzi così stretto, specie in età imperiale, da sfociare in una vera e propria connessione etimologica, favorita dall' assonanza fra il termine generico che indica in latino la moneta, nummus, e il nome proprio del sovrano, che ora si suppone esserne la matrice23 • Ancora, in un ambito

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che è a metà strada fra l'economico e i l sociale, Numa procede ad assegnazioni viritane di suolo pubblico agli indigenti, ma anche alla delimitazione del territorio della città, alla puntuale distinzione fra terre private e terre pubbliche, nonché alla creazione di lotti chiamati pagi, per ciascuno dei quali viene prevista l'istituzione di un sovrintendente e di un ispettore che accerti l 'adeguato sfruttamento agricolo dei fondi e punisca i negligenti. Le iniziative hanno il fine di contenere il malcontento degli strati sociali più poveri, ma anche quello di promuovere lo sfruttamento razionale dei campi e più in generale l'attività agricola, già individuata da Romolo come l'unica moralmente onorevole e degna di un cittadino romano; inoltre, sempre a Numa si deve l'istituzione dei collegi professionali, articolati in un' ampia gamma di mestieri, e la fissazione per ciascuno di essi di assemblee, luoghi di incontro e culti appropriati24• Sembra anzi di capire che tali associazioni fossero disposte in un qualche ordine gerarchico, dal momento che Plinio il Vecchio parla dei /abri aerarii come del terzo collegio istituito da Numa, dei vasai come del settimo25 • Ben nota e largamente testimoniata nelle fonti è poi la tradizione che connette alla figura di Nurna una serie di riforme legate all' ambito del calendario, anch 'esse talora ricondotte ai suggerimenti di Egeria: l'introduzione ogni due anni di un mese intercalare di ventidue giorni, per compensare la sfasatura fra anno lunare e anno solare; l'iniziativa di far cominciare l'anno a gennaio e non più a marzo , come al tempo di Romolo, o di introdurre senz ' altro i due nuovi mesi di gennaio e febbraio in un calendario che originariamente ne prevedeva dieci26•

3 . Dai provvedimenti di cui si è detto sin ora, e che non possono definirsi leggi in senso proprio, si distingue poi una serie di norme che rientrano invece a pieno titolo

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nel corpus delle cosiddette leges regiae, oggetto specifico del nostro interesse: testi molto arcaici che la tradizione giuridica dei secoli successivi riconduceva all'iniziativa dei diversi sovrani e che perlopiù sono stati tramandati in una formulazione che arieggia, anche nel suo wording, l'aspetto formale delle norme comprese nelle XII Ta­ vole o del diritto più risalente27 . In effetti, nelle fonti la documentazione in merito alle leggi attribuite a Numa è piuttosto ricca e ha dato origine, com 'era inevitabile, a un serrato dibattito fra gli studiosi, che ancora una volta non abbiamo qui la possibilità di considerare analiticamente. La più rilevante fra le leggi di Numa appartiene al campo del diritto criminale ed è quella che distingue fra omicidio volontario e involontario, stabilendo che nel primo caso l' artefice del crimine sia considerato paricidas, nel secondo che sia tenuto a offrire agli agnati del morto, nel contesto di una pubblica assemblea, un ariete pro capite occisi, e dunque a mo' di compensazione per la vita che ha interrotto28• Sul preciso significato di paricidas - un termine così arcaico da preservare anco­ ra l 'originaria desinenza in -s del nominativo maschile singolare, altrove pressoché scomparsa in latino - sono stati versati fiumi d'inchiostro, senza peraltro approdare a conclusioni definitive; è però verosimile che la norma di Numa stabilisse una forma di taglione o contrappasso, secondo la quale all'uccisione intenzionale di un uomo di condizione libera doveva corrispondere un' analoga uccisione volta a pareggiare il primo crimine e della quale si facevano carico i membri della famiglia cui ap­ parteneva l'assassinato29• Una norma che può connettersi con l' attenzione riservata da Numa, come si è visto, al decoro delle matrone e all 'inviolabilità dei matrimoni è quella che riguarda la paelex: un altro termine di non facile traduzione, probabilmente una donna con la quale un uomo sposato intratteneva una relazione

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duratura e di carattere non venale. A chi si trovasse in una simile condizione la legge vietava di toccare l ' altare (o, secondo una formulazione alternativa, il tempio) di Giunone, divinità protettrice delle nozze e della filiazione legittima , e imponeva in caso di inadempienza l'obbligo di offrire alla dea un ' agnella tenendo i capelli scioltP0• Ancora un'altra norma stabiliva che non fosse lecito celebrare i consueti riti funebri - i cosiddetti iusta, che la tradizione voleva istituiti proprio da Numa - per un uomo colpito dal fulmine di Giove e che il cadavere di quest'uomo non potesse essere sollevato «al di sopra delle ginocchia»: una prescrizione, quest'ultima, di non facile interpretazione e che alludeva probabilmente al divieto di rimuovere il corpo dal luogo nel quale era stato raggiunto dal fulmine31• In alcune fonti è definita espressamente legge di Numa la norma che disciplina il regime delle cosiddette spoglie opime, quelle strappate al termine di un duello vittorioso al comandante di un esercito nemico: una scelta singolare, se si tiene conto che la tradizione è unanime nel segnalare la totale assenza di guerre lungo tutto il quarantennio del regno numano, ma che presenta in realtà un preciso risvolto di carattere religioso. La legge in questione prescriveva infatti al condottiero romano di offrire le prime spoglie a Giove Feretrio, come già aveva fatto a suo tempo Romolo, le seconde a Marte e le terze a Giano Quirino, sebbene sul significato di questa distinzione non ci sia accordo fra gli interpreti; inoltre, essa stabiliva di assegnare un riconoscimento di carattere monetario ai conquistatori dei rispettivi spolia, nonché l'obbligo di un sacrificio espiatorio per il generale sotto i cui auspici la conquista stessa si era realizzata32 . Ancora legata a Numa è una serie di norme relative al lutto: esso era inibito nel caso di bambini morti al di sotto dei tre anni, mentre per quelli di età superiore andava portato per tanti mesi quanti erano gli anni vissuti dal defunto

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e fino a un limite massimo di dieci. La stessa misura di dieci mesi era imposta alle donne per la morte di un pa­ dre, di un marito o di un fratello, nonché alle vedove, le quali ultime, oltre tutto, dovevano astenersi per l'intero periodo del cordoglio dal contrarre nuove nozze, pena l 'obbligo di offrire in sacrificio una vacca pregna; in tutti questi casi, i dieci mesi coincidono probabilmente con la durata dell' anno nel calendario romuleo33• Altre testimo­ nianze introducono una distinzione ulteriore relativa ai bambini sotto i tre anni: per i neonati scomparsi prima di compiere un anno non era prevista alcuna forma di lutto, mentre per quelli morti fra uno e tre anni le fonti dicono che si usava sublugere, un termine chiaramente allusivo a una forma di cordoglio 'minore' rispetto al pieno lugere, ma i cui contenuti precisi disgraziatamente ci sfuggono. È vero però che quest'ultima disciplina non è assegnata esplicitamente a Numa34• A un ambito anch'esso riferibile alla sfera delle pra­ tiche funerarie appartiene poi una norma, il divieto di versare vino sul rogo (o addirittura di spegnerne le fiamme attraverso il vino) , che viene interpretata generalmente come un provvedimento di carattere suntuario, legato alla volontà di evitare che le esequie offrissero l'occasione o il pretesto per un uso dispersivo o ostentatorio della ricchezza, anticipando una preoccupazione che torna a più riprese nella legislazione di età repubblicana sulla disciplina dei consumi, oppure volta a riservare l'uso del vino ai soli sacrifici pubblici, escludendolo dai funerali privatP5• In ultimo, a matrice numana viene ricondotta dalle fonti anche una formula di carattere generale, forse posta in calce a una legge specifica di cui si è persa traccia, con la quale si stabiliva che chiunque si fosse comportato in modo difforme rispetto alle norme fissate dal re (o alla singola norma cui apparteneva originariamente la formula superstite) fosse considerato sacer a Giove36•

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4 . Dopo questa succinta rassegna, è giunto dunque il

momento di chiedersi se in una simile congerie di norme che investono gli ambiti più diversi dell'esistenza di una comunità sociale arcaica, dall'economia alla guerra, dal culto alla vita familiare, sia possibile rinvenire un filo rosso, un denominatore comune che riveli una ricono­ scibile logica culturale, capace di orientare la tradizione nel processo di attribuzione al secondo re di Roma di questa o quella regola, dell'uno o l'altro articolo di legge. Il presupposto di questa domanda è naturalmente che tale attribuzione non sia avvenuta in modo arbitrario, ma risponda a un principio di coerenza, consistente nell' as­ segnare i diversi provvedimenti sulla base di quanto era noto della personalità o dello stile di governo o ancora delle concrete vicende occorse ai diversi sovrani. Così, per limitarsi a un unico esempio, non è probabilmente casuale che la legge regia che disciplina le relazioni fra suoceri e nuore fosse attribuita all'iniziativa congiunta di Romolo e Tito T azio, dal momento che è appunto in seguito al ratto delle Sabine, e al conseguente avvio di quel singolare e isolato esperimento di coreggenza, che queste figure parentali per la prima volta si trovano a convivere a Roma37 • D ' altra parte, abbozzare una risposta a una simile questione significa inevitabilmente spingersi a un livello piuttosto alto di astrazione, rischiando di perdere di vista la concretezza dei testi che abbiamo sinora esaminato; ma si tratta di un rischio che a nostro avviso vale la pena di correre. La tesi che vorremmo qui suggerire è che quella messa in campo da Numa, con l'aiuto determinante di Egeria, sia in primo luogo una grande impresa di culturalizzazione del mondo, di manipolazione della realtà 'naturale' in vista di una sua piena appropriazione umana. Un simile processo prende talora la forma, consolatoriamente lévi-straussiana, di un passaggio 'dal crudo al cotto ' , come quando Plinio il Vecchio parla di una sostituzione del vino al latte nelle

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libagioni agli dèi o quando lo stesso autore fa sapere che Numa raccomandava di abbrustolire il farro, dal momento che esso diventava in questo modo un nutrimento più adatto al consumo umano. Abbiamo già visto come al re fosse attribuita l'istituzione dei Fornacalia di febbraio, la festa delle fornaci destinate alla cottura dei cereali e della divinità che ad esse presiedeva; d'altra parte, il farro tostato è l'ingrediente fondamentale della mola salsa, di cui diremo più avanti38• In tutti questi casi, infatti, un ali­ mento o una bevanda presenti in natura allo stato grezzo, rispettivamente il farro crudo e il latte, vengono sostituiti con altri che sono invece frutto di lavorazione umana. Altre volte, le norme di Numa rimandano piuttosto alla distinzione, altrettanto familiare agli antropologi e che costituisce in fondo una variante della precedente, fra l'incolto e il coltivato, sicché il vino per le libagioni può venire solo da viti che abbiano subìto la potatura, che dunque siano state assoggettate a una domesticazione in grado di sottrarre la pianta alla casualità della crescita spontanea e di asservirla a un progetto d'uso umano39• Ma culturalizzare il mondo significa anche disci­ plinare la sfera 'naturale' delle emozioni , imbrigliando il loro caotico dispiegarsi e imponendo ad esse forme di espressione controllata e rigidamente perimetrata: è il caso del dolore per la perdita di un figlio o di un altro familiare, sul quale Numa interviene a stabilire un periodo massimo di lutto di dieci mesi, legato con ogni probabilità, come si è detto, all'originaria durata dell'anno romuleo. Non solo: a essere regolati sono anche stati di forte stress emotivo come quelli scatenati da un omicidio, per i quali analogamente si prevedono forme di compensazione e reciprocità in grado di scongiurare l'innescarsi della vendetta e della faida tra le famiglie coinvolte, che ciò avvenga nella forma del taglione oppure attraverso il sacrificio sostitutivo di un ariete. Persino l'ambito economico può essere fatto rientrare

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in questo più generale orizzonte nel quale s i inquadra a nostro awiso l 'attività di Numa: a lui una parte delle fonti attribuisce infatti la sostituzione del metallo grezzo con le monete coniate, sulle quali il re avrebbe per la prima volta fatto apporre il suo nome. Un altro caso di 'messa in forma' del mondo, insomma, o, se si vuole, un diverso modo per passare dal crudo al cotto40• Ma l'atto culturale per eccellenza, quello che fonda l'origine della storia e della realtà umana, consiste in­ dubbiamente nello stabilire i confini, nel segmentare lo spazio. Non è un caso che l 'assenza di confini costitu­ isca nelle culture antiche uno dei tratti ricorrenti nelle descrizioni dell'Età dell'oro: un momento aurorale e certo rimpianto , ma che pure si pone in qualche modo al di fuori dell'esperienza degli uomini e appartiene a un passato non più attingibile e destinato a tornare solo nella prowisoria e spuria abbondanza dei Saturnali, la festa nella quale le differenze economiche e le barriere di ceto vengono per un attimo obliterate, ma solo per ribadirne l' inevitabilità4 1 • L a segmentazione del mondo, nel caso d i Numa, assume forme molteplici, e in primo luogo materiali e concrete. Già la scena della consultazione augurale che ne sancisce l' awento sul trono di Roma vede tutto un tracciare confini nel cielo, delimitare quadranti, costruire topografie sacre per stabilire in quale punto dovranno apparire gli uccelli in grado di esprimere il consenso divino alla scelta del nuovo sovrano: un esordio deci­ samente coerente con il profilo del futuro signore dei termini42• È proprio a Numa che vengono attribuite infatti l'introduzione del culto di Terminus e la connessa sacralizzazione delle pietre di confine con il divieto di rimuoverle, l'istituzione delle feste Terminalia nonché la legge che rendeva sacri a Giove o allo stesso T erminus non solo l'individuo che avesse divelto uno dei cippi durante i lavori di aratura, ma persino i buoi che tira-

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vano l'aratro43 • Del resto, le fonti specificano che Numa aveva imposto a tutti i proprietari dei campi di tracciare una linea di confine, lungo la quale sarebbero state poi collocate le pietre e celebrati i relativi sacrifici: ancora una volta, al rischio della rivendicazione ostile e del conflitto si oppone una forma di composizione regolata e condivisa degli interessi44• Ci sono poi la suddivisione del territorio romano in distretti, i già ricordati p agi ( un termine che ha la stessa radice di pango e indica dunque originariamente il confine fissato a terra, reso in qualche modo visibile da cippi o altri segnacoli) , nonché la puntuale delimitazione dell'area sotto il controllo della città, che Romolo aveva lasciato indeterminata e che ora viene invece definitivamente distinta dall' ager che si estende al di là della frontiera così individuata: un altro aspetto per il quale la tradizione sottolinea la rottura fra il secondo re di Roma e il suo predecessore45 • Ci sono poi ancora la segmentazione del personale sacerdotale nelle otto classi individuate da Dionigi di Ali­ carnasso, ciascuna chiamata a farsi carico di riti e funzioni specifiche del culto civico ( curioni, flamini, comandanti dei celeri, auguri, vestali, salii, feziali, pontefici) , o la speculare introduzione di collegi professionali, corporazioni di arti e mestieri ognuna delle quali è dotata di propri istituti e tradizioni e culti, ma anche, su un piano diverso ma ispi­ rato alla medesima logica classificatrice, la distinzione fra il versamento di sangue che awiene in modo deliberato e quello che viene procurato involontariamente. Non è un caso, in questo senso, che la creazione delle corporazioni fosse attribuita in una versione alternativa a Servio Tullio, un altro re che è descritto a sua volta alla stregua di un eroe culturale e di un formidabile tracciatore di confini, che si tratti della costruzione di una nuova cerchia di mura, dell'estensione del pomerio, il limite sacro di Roma, o della segmentazione del corpo sociale secondo le classi di censo

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destinate a riunirsi nei comizi centuriati. La tradizione che assegna determinate iniziative a specifiche figure di sovrani continua a manifestare una sua logica ben riconoscibile. C'è da parte di Numa una suddivisione del tempo, con la cadenza delle nundinae, il mercato che si tiene a Roma ogni nono giorno e che rappresenta una delle scansioni più familiari della vita quotidiana, ma anche e in« primo luogo, naturalmente, con la riformulazione del calendario, che ancora una volta sovrappone a fenomeni extraumani e naturali come i cicli della luna, i movimenti apparenti del sole o l'alternarsi delle stagioni la regola di una scansione del tempo orientata e finalizzata all'at­ tività ' culturale' degli uomini: per usare una bellissima espressione di V arrone, con N urna accade che «alle divisioni previste dalla natura si aggiunsero i nomi dei giorni stabiliti dalla città»46• Ecco dunque comparire la distinzione tra giorni fasti e giorni ne/asti, analogamente attribuita al successore di Romolo, con la conseguente specificazione delle attività che è lecito o interdetto svol­ gere negli uni e negli altri, oppure quella, più elaborata, tra /esti, pro/esti e intercisi, con i primi consacrati agli dèi, i secondi aperti ai negotia umani e gli ultimi come divisi a metà tra gli uni e gli altri: ancora una questione di confini47 • Al re spetta poi l'individuazione delle none e dei mesi in cui cadono il 5 o il 7 e infine la specificazione non solo delle vittime e dei santuari, ma anche dei giorni nei quali ogni rito o cerimonia o festa dovessero essere celebrati: una capillare operazione di semantizzazione del tempo, insieme religiosa e civile, nella misura in cui è lecito distinguere queste due categorie nella cultura latina arcaica48• Del resto, il signore dei confini è anche l'arbitro della loro cancellazione, essa stessa però rigo­ rosamente circoscritta e ritualizzata: non a caso a Numa si attribuiva anche l'introduzione dei Saturnali, la festa di dicembre in onore dell'antico dio che aveva regnato nel Lazio durante l'Età dell'oro, o quantomeno la tem-

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poranea obliterazione dello iato altrimenti invalicabile fra padroni e schiavi e il diritto per gli uni e gli altri di condividere, durante il tempo della festa, lo stesso spazio del banchetto49• Ma limiti e confini vengono stabiliti anche a un livello più astratto, introducendo alcune precise norme di ' evitamento' allo scopo di impedire che determinate realtà vengano a contatto. Alla concubina è fatto divieto di toccare l' altare di Giunone, affinché l'ambito della sessualità extra- o paramatrimoniale resti ben distinto da quello della relazione coniugale a fini riproduttivi cui presiede la regina degli dèi; d'altra parte, le matrone non possono a loro volta toccare il vino e devono astenersi da ogni ingerenza negli affari pubblici, le vedove non possono unirsi a un altro uomo prima che siano trascorsi dieci mesi dalla morte del precedente marito per evitare la mescolanza del sangue, le vestali non devono entrare in contatto con la sfera del sesso, ma anche con quella del sangue, con ogni forma di nodo o catena e così via, per non parlare dei privilegi che le distinguono da qualsiasi matrona ordinaria50• A ciascuno, insomma, le sue regole di ' evitamento' , quelle che gli antropologi definiscono con il termine avoidance: Numa non solo distingue fra tipologie femminili diverse - sacerdotesse, matrone, ve­ dove, concubine -, ma disciplina anche i relativi ambiti di pertinenza e gli accorgimenti perché essi non entrino in contatto o se ne cancellino i confini. Una peculiare forma di ' evitamento ' è anche quella che isola dal mondo circostante l'uomo colpito dal ful­ mine di Giove, quale che sia la precisa interpretazione del comportamento sanzionato dalla legge di Numa: chi va incontro a una tale sorte si trova come assorbito in una realtà che non è più quella umana, viene in un senso molto concreto appropriato dalla divinità, e il suo corpo non può dunque più essere assoggettato alle consuete procedure di trattamento rituale del cadavere - lavaggio,

Un corpus normativa ispirato

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unzione, inumazione o incinerazione - che trasformano quest'ultimo, ancora una volta, in un oggetto culturale e ne consentono la corretta integrazione nel mondo dei morti per un verso, nella memoria familiare e collettiva per l'altro. Analoga considerazione si può fare del resto per la mola salsa, l'impasto di farro tostato e sale impie­ gato nei sacrifici, che non solo costituisce a sua volta un manufatto squisitamente culturale, preparato dalle sacerdotesse di Vesta secondo un cerimoniale minuzio­ samente codificato nei suoi protocolli, ma ha ancora una volta il compito di istituire un confine, di fissare una barriera, sottraendo l 'animale sul quale la preparazione viene applicata ai consueti usi umani e trasferendolo in un ambito che appartiene ormai esclusivamente al divino5 1 •

5 . C'è infine una norma che non abbiamo menzionato sino a questo momento perché la tradizione non la attri­ buisce esplicitamente a Numa, anche se a lui è stata più volte ricondotta dagli studiosi moderni: quella che impone di non seppellire una donna gravida prima di aver estratto da lei il feto. A citarla, o meglio a parafrasarla, è un breve passo del Digesto giustinianeo che risale a Ulpio Marcello, giurista di spicco dell'età antonina, secondo il quale «una legge regia impone di non seppellire una donna morta in stato di gravidanza prima che le venga estratto il frutto del parto; chi agisce diversamente», commenta l'autore, o forse aggiungono gli interpolatori di Giustiniano, «mostra di aver soppresso, insieme con la donna incinta, anche la prospettiva di un essere vivente»52• Si tratta, ancora una volta, di una norma sulla quale si è accumulata nel tempo una corposa bibliografia, che indaga tra l'altro la sua possibile datazione, l'inconsueta formulazione, in cui si stabilisce un divieto senza apparentemente fissare la pena prevista per la sua violazione, i nessi con la più ampia riflessione romana in merito allo statuto giuridico

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Mario Lentano

del nascituro. D'altra parte, la legge incontra anche l'in­ teresse degli storici della medicina o degli antropologi del mondo antico come remota allusione alla pratica del parto cesareo, che a Roma comportava per forza di cose la morte della madre: tutti aspetti che non possiamo qui prendere in considerazione e per i quali si rinvia alla bibliografia specializzata53 • Si tratta, come dicevamo, di una legge regia, come tale tramandata dalla fonte, disgraziatamente isolata, che ne trasmette la conoscenza fino a noi, ma senza l'indica­ zione del re al quale era attribuita. Certo, se la tradizione erudita, come abbiamo provato a dimostrare, obbedisce a una logica ancora per noi riconoscibile, allorché associa una certa norma a un ben preciso sovrano, è difficile im­ maginare a chi meglio che a Numa una simile disciplina possa essere ricondotta, se si considerano l'identità della ninfa consigliera del re e il suo ruolo come ispiratrice dell'intera legislazione numana. Sappiamo infatti che a Roma Egeria, nel cui nome possiamo dunque chiudere queste pagine così come le abbiamo aperte, era venerata dalle donne gravide nella speranza di vedersi accordato un parto rapido e indolore: il suo nome, trasparente come quello di tutti i cosiddetti dei minuti, i 'piccoli dèi' della religione romana arcaica, era ricondotto al verbo egerere nel significato di 'trarre fuori' dall'utero, un po' come un'altra divinità, Numeries, veniva invocata durante il travaglio nella speranza che quest'ultimo si compisse numero, cioè rapidamente54• Piace allora pensare che nel pietoso ufficio di estrarre da un alveo ormai morente un bambino che forse poteva ancora essere restituito alla vita - in una condizione certo estrema: ma nulla è impossibile a un dio - si manifesti proprio uno dei volti della divina consigliera di Numa. Sì, siamo certi che non può essere stata se non Egeria a suggerire anche questa legge, tra le tante che abbiamo sin qui discusso, al suo docile amante mortale.

Un

corpus normativa ispirato

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Note 1 Auct. de vir. ili. 3.2: Leges quoque plures et utiles tulit, om­ nia, quae gerebat, iussu Egeriae nymphae, uxoris suae, se /acere simulans; Val. Max. 1.2.1 (nella epitome di Giulio Paride, che riproduce quasi testualmente Liv. 1.19.5): Numa Pompilius, ut populum romanum sacris obligaret, volebat videri sibi cum dea Egeria congressus esse nocturnos eiusque monitu se, quae accep­ tissima deis immortalibus sacra /orent, instituere. Cfr. anche Flor.

1.1.2. Sulla figura di Egeria e il suo ruolo all'interno dei racconti

sul secondo re di Roma mi permetto di rinviare al mio Il re che parlava alle ninfe. Miti e storie di Numa Pompi/io, Pisa, 2019. 2 Sui commentaria cfr. ad esempio Liv. 1.20.5 e 1.32.2 (si tratterebbe dei ben noti 'libri di Numa' poi collocati in un 'ar­ ca accanto al sepolcro del re e venuti alla luce casualmente, alle falde del Gianicolo , nel 181 a . C . ) e Dion . Hal. 2.63.4 (e 3.36.4); sugli indigitamenta Pompiliana Arnob . Gent. 2.33; sui contenuti di queste peculiari liste Serv. ad Georg. 1.21, che attinge a dottrina varroniana . Al di fuori della produzione strettamente storiografica o erudita, all 'attività di Numa come autore di leggi scritte fa riferimento ad esempio Cic. Rep. 5.3, al re come colui primam qui legibus urbem l /undabit; cfr. Verg. Aen . 6.810-811. 3 Liv. 1.19.1 (urbem novam conditam vi et armis, iure eam legibusque ac moribus de integro condere parat) ; Dion. Hai. 2.74.1 (rà }lÈV Éyypaq>otç rrEptÀllq>9Évnx VO}lOtç, rà o' e�w ypaq>�ç Eiç

Érrtt"110EUO"Etç ' Èaut:OU liaoclj.IEVO>. 54 Cfr. anche Cic. Leg. 2 . 1 0.25 : quod autem non iudex, sed deus ipse vindex constituitur, praesentis poenae metu religio confirmari videtur. 55 Cfr. F. ZuccoTTI, Dall'arcaica sacertà consuetudinaria alla sacertà politica protorepubblicana, in Scritti in onore di Generoso Melillo, a cura di A. Palma, III, Napoli, 2010, 1562 . 5 6 A p . 3 5 0 dell'edizione Lachmann . 57 Cfr. G. DE SANCTIS , La logica del confine. Per un 'antropo­ logia dello spazio nel mondo romano, Roma, 20 1 5 , 1 9 ss. e 87 ss. 5 8 Cfr. E. CANTARELLA, I supplizi capitali, cit . , 136 ss. ; L. SAN­ DIROCCO, Vergini Vesta/i. Onori, onerz; privilegi. Rz/lessione sul 'ius testamenti faciundi', Roma, 2 0 1 6 , 34 ss. 59 Cfr. F. ZuccOTTI, Ancora sulla configurazione originaria

della sacertà, cit . , 348.

6° Cfr. E. ZoLLA, Il diritto e il sacro, in Io. , Uscite dal mondo, rist. , Venezia, 2012, 1 03 . 61 Ossia lo stato «normale», che si perdeva compiendo un'a­ zione reputata lesiva della pax deorum: cfr. A.L. PROSDOCIMI,

Forme di lingua e contenuti istituzionali nella Roma delle origini, I, Napoli, 2016, 45 1 . 62

Cfr. F. ZuccoTTI, Ancora sulla configurazione originaria

della sacertà, cit . , 3 6 1 .

63 Ancora nel codice decemvirale, secondo Serv. a d Aen. 6.609, si leggeva un versetto del seguente tenore: patronus si

clienti fraudem fecerit, sacer esto.

176 64 D i questa abbiamo notizia anche da Paul.-Fest. voce Termino (Lindsay 505 ) : Termino sacra /aciebant, quod in eius tutela /ines

agrorum esse putabant. Denique Numa Pompilius statuit, eum, qui terminum exarasset, et ipsum et boves sacros esse.

65 Muovendo dal carattere indeclinabile del sostantivo, che esso condivide solo con il suo derivato ne/as, dà del /as un 'eccellente rappresentazione M. BETTINI, 'Fas', in Giuristi nati. Antropologia e diritto romano, a cura di A. McClintock, Bologna, 2 0 1 6 , 1 7 ss. 66 Cfr. J. SCHEID, Quando fare è credere. I riti sacrifica/i dei Romani, trad. it. , Roma-Bari, 2 0 1 1 , 3 8 ss. Oa citazione letterale è tratta da p. 4 1 ) . 67 Cfr. G . D E SANCTIS, La religione a Roma, Roma, 2 0 1 2 , 80; V. RoTONDI, Il sacrificio a Roma. Ritz; gesti, interpretazioni, Roma, 20 1 3 , 1 0 1 ss . , nonché, riassuntivamente, 145 , dove leggiamo: «la vittima, al momento dell'immolazione, era diventata sacra, cioè era passata sotto il dominio divino». 68 Cfr. Macr. Sat. 3 .7 .5 - 7 : hoc loco non alienum videtur de condicione eorum hominum re/erre quos leges sacros esse certis dis iubent, quia non ignoro quibusdam mirum videri quod, cum cetera sacra violari nefas sit, hominem sacrum ius /uerit occidi. Cuius rei causa haec est. Veteres nullum animai sacrum in /t'm'bus suis esse patiebantur, sed abigebant ad fines deorum quibus sacrum esse!; animas vero sacratorum hominum, quos 'zanas' Graeci vocant, dis debitas aestimabant. Quem ad modum igitur, quod sacrum ad deos ipsos mitti non poterai, a se !amen dimittere non dubitabant, sic animas, quas sacras in caelum mitti posse arbitrati sunt, viduatas corpore quam primum ilio ire voluerunt. 69 Cfr. B. SANTALUCIA, La giustizia penale in Roma antica, Bologna, 2 01 3 , 1 7 , il quale introduce la versione italiana di Sat. 3 .7 .5 -7 con queste parole: «la sorte dell' homo sacer era in sostanza simile a quella delle vittime animali sfuggite al sacrificio», oggetto specifico di Serv. ad Aen. 2 . 1 04 , «le quali potevano essere uccise da chiunque, ovunque si trovavano, per evitare che fossero causa di contaminazione». 7° Cfr. A.L. PROSDOCIMI, Forme di lingua, cit. , 45 1 . 71

Cfr. C . PELLOSO, Sacertà e garanzie processuali, cit . , 68 ss.

72

Cfr. B. SANTALUCIA, La giustizia penale, cit . , 1 8 .

Nuove leggi in tema di omicidio

177

73

Cfr. R. FIORI, 'Homo sacer', cit. , 4 1 .

74

Cfr. F . ZuccoTTI, Ancora sulla configurazione originaria

della sacertà, cit. , 349. 75

Cfr. E. ZoLLA, Il diritto e il sacro, cit . , 101 ss.

76

Cfr. A.L. PROSDOCIMI, Forme di lingua, cit . , 449.

77 Cfr. ]. ScHEID, Quando /are è credere, cit. , 140 ss . ; F. PRE­ SCENDI, Dai vivi ai morti, in L'antichità. Roma, a cura di U. Eco, Milano, 2012, 529 ss. 7 8 Per le quali rimando ad A. MAIORI, 'Sacra privata'. Rituali domestici e istituti giuridici in Roma antica, Roma, 2013 , 123 ss. 7 9 «Fondandosi sugli elementi raccolti dai quaestores», scrive R. FIORI, 'Homo sacer', cit . , 493 , «probabilmente i ponti/ices esprimevano il loro parere attraverso responsa, che poi venivano fatti propri dalla sentenza del rex, supremo sacerdote» (ovvero, aggiungo anticipando quanto sto per dire nel testo, del popolo ) . 8°

Cfr., i n senso egualmente critico, R . FIORI, La condizione

di 'homo sacer', cit . , 17 1 ss. 81

Cfr. B. SANTALUCIA, Diritto e processo penale, cit. , 21 ss.

82

Il mutamento che tale legge potrebbe aver segnato rispetto alla precedente, se si prescinde dal versante processuale, concer­ neva soltanto la sanzione ai danni dell'omicida che avesse agito con dolo: ancora capitale, ma portata a esecuzione dagli organi della civitas e non invece, come per l'innanzi, dal gruppo familiare dell'ucciso, sia pure sotto il controllo dell'autorità pubblica. Sul punto cfr. B. SANTALUCIA, La giustizia penale, cit. , 40. 8 3 Diversamente da R. AsTOLFI, Annotazioni storiche sulla figura di 'homo sacer', in Scritti per Alessandro Corbino, a cura di I. Piro, I, Tricase, 2016, 87 , il quale si mostra convinto che «il concetto di homo sacer muta a seconda delle circostanze storiche»,

riconosco quindi la persistenza del medesimo e soprattutto dello statuto normativo della figura. 84

In Gub. 8.5 : inter/ici [ . . ] indemnatum quemcunque homi­ nem etiam duodecim tabularum decreta vetuerunt. .

85 In Leg. 3 . 1 9.44: tum leges praeclarissimae de duodecim tabulis tralatae duae, quarum altera [ . . . ] altera de capite civis rogari nisi

Luigi Gara/alo

178

maximo comitiatu vetat (cfr. anche 3 .4. 1 1 : de capite civis nisi per maximum comitiatum [ . . . ] ne /erunto) ; Sest. 3 0.65 : cum [ . . . ] XII tabulis sanctum esse! u t n e [ . . . ] liceret, neve de capite nisi comitiis centuriatis rogari (cfr. inoltre 34.73 ) ; un accenno alla norma quae de capite civis Romani nisi comitiis centuriatis statui vetaret, e alla sua osservanza da parte del decemviro G. Giulio, è pure in Rep. 2 .36.6 1 . 86

Cfr. M. MIGLIETTA, Le norme di diritto criminale, in 'XII

Tabulae', cit. , 5 1 9 ss. 87

Cfr. C. PELLOSO, Sacertà e garanzie processuali, cit., 12 1 ss.

88

Cfr. ivi, 1 15 ss.

89 Cfr. L. GAROFALO, Il processo edilizio. Contributo allo studio dei 'iudicia populi', Padova, 1 989, 5 7 , dove, oltre a dar conto dei

casi richiamati nel testo (e di un altro, in cui ricorre la minaccia tribunizia di deiezione dalla rupe Tarpea) , menziono Dio Cass. 53 . 17 . 9 (ma cfr. anche Zoo. 7 . 15 ) , nel quale lo scrittore, guar­ dando al passato repubblicano, ricorda che sussisteva la facoltà di uccidere senza preventivo giudizio chi ledesse l'inviolabilità tribunizia. 9° Cfr. almeno Fest. voce Sacrosanctum (Lindsay 422 ) ; Dion . Hal. 6.89.3 ; 10.35.2; Cic. Tull. 20.47 . 9 1 Cfr. Dion. Hal. 10.39.4; 1 0.42 .3 -4, da leggersi insieme a 10.3 1 .3 -32 . 1 , dove trova conferma la regola per cui l'eventuale

messa a morte del soggetto caduto in sacertà, per effetto au­ tomatico dell'atto compiuto in spregio a un tribuno, non era comunque subordinata a procedimento alcuno. 92

Cfr. Liv. 3 .55 .6-7 . Proprio la legge in parola avrebbe dato adito a un articolato dibattito giurisprudenziale intorno alla sua portata, che ho cercato di mettere a fuoco in 'Iuris interpretes' e invio/abilità magistratuale, nei miei Studi sulla sacertà, cit., 55 ss. , analizzando le non molte testimonianze - essenzialmente Liv. 3 .55.8- 12 e Fest. voce Sacrosanctum (Lindsay 422) che di esso recano traccia. -

93 Diversamente B. SANTALUCIA, Sulla legge decemvirale 'de capite civis', in Le Dodici Tavole, cit . , 4 1 1 ss. , per il quale iudicare

indicherebbe l'attività di accertamento della responsabilità per un fatto del passato sanzionato con la sacertà, espletata in via

Nuove leggi in tema di omicidio

179

esclusiva dal popolo convocato per centurie, così come imposto dalle XII Tavole con il precetto de capite civis. 94 Cfr. F. ZuccoTTI, Dall'arcaica sacertà consuetudinaria, cit. , 1 600 s . 95 Cfr. R . Froru, La condizione di 'homo sacer', cit . , 2 1 1 nota 1 9 1 . A suo avviso, «il verbo iubere va [ . . . ] reso nel senso che la legge 'dispone' che l'uccisione avvenga impune». 96

Cfr. F. ZuccoTTI, Il giuramento nel mondo giuridico e religioso antico. Elementi per uno studio comparatistica, Milano, 2000,

l

ss.

Cfr. A. CALORE, 'Per lovem lapidem'. Alle origini del giura­ mento. Sulla presenza del 'sacro ' nell'esperienza giuridica romana, 97

Milano, 2000, 158 s. nota 3 7 . 98

Cfr. B. ALBANESE, 'Sacer esto ', cit . , 159.

99 Sorvolerò, peraltro, sull a previsione, ascritta a Numa, di cui a Paul . -Fest. voce A/iuta (Lindsay 5 ) , secondo la quale si quisquam a/iuta /axit, ipsos lavi sacer esto, in quanto accolgo l'interpretazione che ne ha proposto R. LAURENDI, 'Leges regiae'. «loui sacer esto» nelle 'leges Numae': nuova esegesi di Festa s. v. 'A/iuta', in Revisione

ed integrazione dei 'Fontes luris Romani Anteiustiniani' (FIRA). Studi preparatori, I, 'Leges', a cura di G. Purpura, Torino, 2012,

in specie 33 s., consapevole peraltro del dissenso espresso al suo riguardo da F. Zuccorn, Ancora sulla configurazione originaria della sacertà, cit., 366 ss. A detta dell'autrice, la disposizione riportata può essere intesa «quale clausola sanzionatoria in senso tecnico, posta a chiusura di una serie di precetti o di una sequenza di prescrizioni»: per lei, in particolare, «la prima parte si quisquam aliuta /axit è una proposizione condizionale che ha senso se riferita a 'tutte' le fattispecie che nella sequenza dovevano essere previste; la seconda parte ipsos lavi sacer esto è la proposi­ zione principale espressa con l'imperativo futuro comminante la poena per l'ipotesi che il comportamento sia stato diverso da una qualsiasi delle prescrizioni che precedevano». -

-

-

1 00 101 1 02

-

Cfr. Plut. Rom. 22 .4. Cfr. Dion. Hal. 2 . 1 0.3 .

Cfr. Paul. -Fest. voce Termino (Lindsay 505 ) ; Dion . Hal. 2 .74.3 .

Luigi Gara/alo

1 80

103 Cfr. Fest. voce P/arare (Lindsay 260) . Due sono le leggi che vengono qui in rilevo, l'una riferita al puer e l'altra alla nu­ rus. Sull'area semantica di puer e anche di parens, vocabolo con cui è identificato il soggetto passivo dell'illecito, indugia M. DE SIMONE, Studi sulla 'patria potestas', cit., 144 ss. , estendendola rispetto a quella cui mi sono riferito nel testo, così che il puer sarebbe il discendente rispetto all'ascendente, maschio o femmina, sottoposto al gesto violento. 104 Cfr. CIL F, 3 67 . Nel testo normativa, solo parzialmente ricostruibile, compare la formula sackros esed, che nel latino arcaico corrisponde a sacer esto: vd. Y. RrVIÈRE, Histoire du droit pénal romain de Romulus à ]ustinien, Paris, 202 1 , 62 . 105

Cfr. Plut. Rom. 22.3 .

106

Cfr. Dion . Hal. 2 .27.4; Plut. Numa 1 7 .4 .

107

Un'altra ipotesi d i sacertà d i conio plebeo daterebbe al 492 a.C . : per quanto si ricava da Dion. Hal. 7 . 1 7 .5 , invero, un plebi­ scito di quell'anno, come scrive R. FIORI, 'Homo sacer', cit . , 32 1 , «prevedeva l a sacertà di chi avesse esposto parere contrario - a quello che il tribuno andava esprimendo al popolo - o interrotto il discorso di un tribuno durante un'assemblea e non avesse dato garanti per il pagamento della multa conseguente alla violazione». Come ho sostenuto in Biopolitica e diritto romano, Napoli, 2009, 49 s. nota 126, sulla scorta di alcuni brani ciceroniani lì indicati, non è da escludere che la plebe, con deliberazioni soltanto proprie assunte in età predecemvirale, vietasse i privilegia e i giudizi de capite civis al cospetto di organi cittadini diversi dall'assemblea centuriata - e dunque, in pratica, al cospetto del comizio cu­ riato -, stabilendo la sacertà nei confronti degli inottemperanti. 108

Cfr. Liv. 2 .8.2.

109

Cfr. Plut. Pubi. 1 2 . 1 -2 .

1 10

Cfr. Cic. Rep. 2 .3 1 .54; Liv. 3 .55.4-5 .

1 1 1 Cfr. P . ROMANO, 'Lex duodecim tabularum', Venezia, 2 0 1 3 , 85 s . ; M. MIGLIETTA, Le norme di diritto criminale, cit . , 509 ss. 1 12 Cfr. R. FIORI, 'Homo sacer', cit . , 2 1 9 s . , che si basa su Gell. 20. 1 .53 e 20. 1 .7-8. In materia vd. ora M. MIGLIETTA, Le norme di diritto criminale, cit., 503 ss. e 5 13 ss.

Nuove leggi in tema di omicidio

181

1 13

Per lui si sarebbe fatto ricorso alla deiectio e saxo Tarpeio, che costituiva uno dei mezzi utilizzati per l'eliminazione fisica dell' homo sacer, attestato in particolare con riguardo al sogget­ to divenuto sacro per aver offeso i tribuni della plebe: cfr. E. CANTARELLA, l supplizi capitali, cit . , 3 04 s. 1 14

Cfr. R. ScEVOLA, La responsabilità del 'iudex privatus', Milano, 2004 , 21 ss. 1 15

E comunque dopo il 342 a.C . , anno al quale rimonterebbe una !ex sacrata militaris, peraltro di poco posteriore rispetto a un altro provvedimento normativa adottato dal ceto plebeo che potrebbe aver comminato la sacertà, databile al 357 a.C . : cfr. R. PESARESI, Studi sul processo penale in età repubblicana. Dai tribunali rivoluzionari alla dt/esa della legalità democratica, Napoli, 2005 , 9. 1 16

Cfr. C. SANTI, Alle radici del sacro, cit . , 82 , 1 1 6 s. e 22 1 .

1 17

Già le XII Tavole, per esempio, non sanzionavano più con la sacertà il cliente che avesse violato i doveri che egli aveva nei confronti del patrono, limitandosi a prevedere il sacer esto a carico del patrono che clienti /raudem /ecerit. 1 18

Cfr. C. SANTI, Alle radici del sacro, cit . , 1 1 6 s.

1 19

Cfr. B. SANTALUCIA, Diritto e processo penale, cit . , 1 5 .

12 °

Cfr. ivi, 16 ss. Una buona sintesi della variegata dottrina accumulatasi in merito al paricidas esto si rinviene in C. LoVISI,

Contribution à l' étude de la peine de mort sous la République romaine (509- 149 av. ]. -C.), Paris, 1 999, 83 ss. 12 1

Cfr. A.L. PROSDOCIMI, Forme di lingua, cit . , 1 7 1 ss.

122

Cfr. ivi, 1 97 .

12 3

Cfr. ivi, 1 8 1 .

12 4 Cfr. ivi, 2 14 . Senza risposte, per mancanza di dati, l'autore lascia qui anche l'interrogativo concernente le conseguenze cui si sarebbe esposto il paterfamilias uccisore doloso di un sottoposto ad altro pater /amilias, pur non escludendo che in questo caso potesse venire in rilievo la figura del vindex. 12 5

Cfr. ivi, 1 8 1 .

12 6

Cfr. ivi, 2 15 .

1 82

Luigi Caro/alo

127 Cfr. L. GAROFALO, Disapplicazione del diritto, cit . , 3 7 s. 128 L'inverso, nel senso che paricidas avrebbe p receduto il «simile e più recente parricida», registra il sostegno di non pochi studiosi, tra cui, ultimamente, M . DE SIMONE, Studi sulla 'patria potestas', cit . , 1 3 6 , nonché C. PELLOSO, Sew It up

in the Sack and Merge It into Running Waters.' 'Parricidium ' a n d Monstrosity in Roman Law, i n Monsters a n d Monstrosi­ ty. From the Canon to the Anti-Canon: Literary and Juridical Subversions, a cura di D. Carpi, Berlin - New York, 2 0 1 9 , 5 0 s . nota 7 , p e r i l quale, tuttavia, «a direct connection between

paricidas and parricidium, grounded on etymology and legai history, would be missing» . 1 29 Cfr. M. FALCON, 'Paricidas esto'. Alle origini della persecu­ zione dell'omicidio, in Sacertà e repressione criminale, cit . , 233 . B o Cfr. ivi, 233 s. e 255 . B I Cfr. L. GAROFALO, Disapplicazione del diritto, cit. , 4 1 s. 1 3 2 Cfr. ivi, 42 . 1 33 Cfr. M. MANCINI, Stravaganze supreme sull'etimologia di lat. 'Parzcrdas', in Lingua e istituzioni, cit. , 143 ss. 1 l4

Cfr. ivi, 147.

m

Cfr. ivi, 148 ss.

B6 Diversa la tesi di Y an Thomas, secondo cui sarebbe stato Numa, con una statuizione nella quale compariva il paricidas esto, ad aver represso l'uccisione intenzionale del proprio pater familias. Il suo rilancio si deve alla pubblicazione postuma, nel 2 0 1 7 a Parigi, di un libro dell'autore intitolato La mort du père. Sur le crime de parricide à Rome, sul quale si può leggere A. McCLINTOCK, Un crime incroyable: le parricide, in Grie/, n. 5 , 2 0 1 8 , 200 ss.

1 37 Cfr. M. MANCINI, Stravaganze supreme, cit . , 1 82 ss. B 8 Cfr. ivi, 1 72 s. e 179 ss. B 9 Cfr. M. FALCON, Funzioni e poteri dei 'quaestores' nel V e IV secolo a. C. , in Roma e l'Italia tirrenica. Magistrature e ordi­ namenti istituzionali nei secoli V e IV a. C. , a cura di E. Bianchi e C. Pelloso, Alessandria, 2020, 89 s.

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1 4° Cfr., anche per altre teoriche circa il ruolo della dazione dell'ariete, M. FALCON, 'Paricidas esto', cit . , 24 1 ss. 1 41 Ma la dottrina sul punto non è concorde, come evidenzia M. FALCON, 'Paricidas esto', cit . , 252 . Egli stesso, del resto, sottolinea che pro se potrebbe anche evocare l'atto del condurre l'animale «'davanti a sé' [ . . . ] perché sia ucciso». Che cosa simboleggiasse l'ariete in epoca arcaica è problema affrontato da C.A. MELIS, «Arietem of/erre», cit . , 1 44 ss. 142 Cfr. M. TALAMANCA, Delitti e pena privata nelle XII Tavole, in Forme di responsabilità, cit., 90 ss. 1 43 Tanto più che, come nota C.A. MELIS, «Arietem offerre», cit. , 152, limitandosi Servio «a riferire di una norma arcaica», è da ritenere «che il commentatore utilizzasse damnum secondo l'accezione appartenente alla sua coscienza culturale». 1 44 S. ToNDO, 'Leges regiae' e 'paricidas', Firenze, 1 973 , 120. 1 45 Tra i quali R. Froru , 'Homo sacer', cit. , 14. 1 4 6 Pur gravemente mutila, la restante parte della voce, dove compare il nome di Cincio, lascia intravedere la fun­ zione espiatoria assegnata all 'ariete, oggetto pertanto di un ineluttabile sacrificio che fungeva da piaculum: cfr. P. ScHEI­ BELREITER, 'Pharmakos ', 'aries' und 'talio '. Rechtsvergleichende

Oberlegungen zum fruhen romischen un d griechischen Stra/recht,

in Stra/e und Stra/recht in den antiken Welten , a cura di R. Rollinger, M . Lang e H . Barta, Wiesbaden , 2 0 1 2 , 2 6 e 2 8 . Aries subicitur, come s i ricorderà, completa anche i l precetto decemvirale, riproduttivo della disciplina numana, sul telum (si telum manu fugit magis quam iecit) : e lo completa, come sottolinea S. ToNDO, 'Leges regiae', cit . , 1 2 7 , alludendo «pro­ priamente, non al momento preliminare dell 'offerta (arietem offerre, Serv. auct. bue. 4 .43 ) , ma al momento conseguenziale del sacrificio ( 'qui [ . . . ] caedatur')». 1 47 Sul punto mi pare significativo Dion. Hai. 3 .22 . 3 - 7 : si rivolgono al re, chiedendogli di procedere in via giudiziaria contro l'Orazio uccisore della sorella (che lo aveva denigrato per la morte inflitta ai tre Curiazi, uno dei quali era fidanzato a lei) , alcuni cittadini «di rango ragguardevole», preoccupati che non resti impunito un omicidio che il diritto pretende sanzionato anche a tutela della pax deorum, destinata dunque a rompersi

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in caso di sua inottemperanza, con conseguenze dannose per l'intera collettività. Aperto il processo, interviene l'Orazio padre, accusando la figlia e rivendicando, ma senza successo, il ruolo di giudice rispetto a una sciagura privata di cui era artefice, per lui incolpevole, un figlio. Perplesso circa il contenuto della sen­ tenza da emettere, perché vincolato all'osservanza del diritto e tuttavia conscio di quanto aveva fatto per la patria un cittadino che il proprio padre aveva assolto pur potendolo mettere a morte per il sororicidio compiuto, Tullo Ostilio rimette la decisione al popolo. E questo, «allora per la prima volta giudice in un processo per assassinio, si attenne alla opinione del padre e assolse l'uomo dalla accusa di omicidio. Tuttavia il re pensava che il giudizio formulato dagli uomini su Orazio non bastasse a coloro che volevano mantenuto il rispetto dovuto agli dèi; fatti chiamare i pontefici, comandò loro di placare gli dèi [ . . . ] e di purificare quell'uomo con i sacrifici di espiazione con i quali era costume purificare gli omicidi involontari. Essi innalzarono due altari, uno a Hera che ha il compito di proteggere le so­ relle, l'altro a un dio o divinità indigena chiamato nella lingua del luogo Giano e con l'eponimo dei cugini Curiazi uccisi da Orazio, e, celebrate loro alcune cerimonie, praticarono altri sa­ crifici espiatori e infine condussero Orazio sotto il giogo» (per la traduzione, mi sono avvalso di DIONISIO DI ALICARNASSO, Storia di Roma arcaica, a cura di F. Cantarelli, Milano, 1 984, 244 s . ) . S e n e può dedurre che i n epoca arcaica nemmeno d i fronte a un 'assoluzione dall'imputazione di omicidio (volontario o meno) resa dal popolo in disapplicazione del diritto per il sussistere· di ragioni eccezionali veniva meno il bisogno di ricorrere alle cau­ tele indispensabili ai fini del perdurare della pax deorum, stante il fatto che un'uccisione per mano dell'uomo non previamente giustificata dall'ordinamento era comunque avvenuta. E anche se il racconto di Dionigi e di varie altre fonti antiche ugualmente intonate fosse storicamente inattendibile, come sostiene R. FIORI, Il 'crimen ' dell'Orazio superstite, in Iura, LXVIII, 2020, 35 ss. , esso sarebbe comunque importante come indice della risalente mentalità romana. Di questa, peraltro, abbiamo un riflesso anche in Plut. Rom. 23 e 24, dove uccisioni rimaste impunite, tra le quali quella di Tito Tazio, sono all'origine dell'ira divina, che si manifesta con lo scoppio di una pestilenza, risoltasi in esito alla condanna degli assassini, cui si aggiunge la purificazione della città da parte di Romolo con appositi sacrifici espiatori

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(sulla vicenda, anche per le ulteriori fonti che la narrano, cfr. La A. Carandini, III, La costituzione, morfologia e commento di P. Carafa, M. Fiorentini e U . Fusco, Milano, 2 0 1 1 , 3 62 ss. ) .

leggenda di Roma, a cura di

1 4 8 A parere d i S. ToNDO, 'Leges regiae', cit . , 1 13 , l' et presente nel testo di Servio prima della parola corretta in agnatis andrebbe conservato, in quanto idoneo «a indicare che l'offerta avrebbe potuto seguire 'anche' nelle mani degli agnati (ma, s'intende, in mancanza dell'avente potestà o dei sui) , e precisamente di coloro fra essi che vantassero, rispetto alla persona dell'ucciso, un grado poziore». 1 49 Diversa è la lettura della locuzione prospettata da S. ToNDO, 'Leges regiae', cit . , 129: a suo avviso, infatti, il pro ca­ pite occisi decritterebbe il destinatario del sacrificio dell'ariete, individuandolo nella «persona stessa dell'ucciso». La proposta, certo suggestiva, sarebbe compatibile con il quadro che vengo tracciando se si potesse sostenere che anche un sacrificio rivolto a un soggetto diverso da un dio fosse capace di ripristinare la pax deorum. Esplorare qui questo tema porterebbe però troppo lontano. 1 5 0 Diversamente M. TALAMANCA, Delitti e pena privata, cit. , 9 1 s . , i l quale prende però i n esame il solo caso dell'omicida in­ volontario che «non avesse voluto o non fosse riuscito a subigere arietem», immaginando che questi sarebbe andato incontro alla vindicta dei parenti della vittima, «qualsiasi ne fosse in concreto il contenuto». Il che porta a interrogarsi su quello che sarebbe successo se alla vindicta nessuno dei legittimati avesse dato corso, con ciò lasciando intollerabilmente aperta - almeno per la civitas - la ferita della pax deorum dipendente dall'illecito commesso. Ferita che, nella mia prospettiva, risulta rimarginarsi a seguito della trasformazione in sacri degli inadempienti di cui ho parlato nel testo.

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l . Introduzione. Nel mondo romano la prima espressa valorizzazione della consapevolezza e intenzio­ nalità ai fini della punizione di chi abbia commesso atti illeciti è costituita dalle due famose leggi di Numa che attesterebbero già per un'epoca così remota l'esistenza di una distinzione tra l'omicidio commesso dolo sciens1 e quello compiuto impruden:!-. Anche se esse sono ricordate solo da poche fonti molto più tarde, la cui affidabilità è piuttosto fragile3 , la maggior parte della dottrina romani­ stica non ha espresso molti dubbi in merito alla riferibilità all'epoca arcaica delle due norme che differenziano le sanzioni comminate per l'omicidio in base a un diverso elemento soggettivo4; seguendo quest'idea, la normativa numana sarebbe antecedente rispetto alle famose leggi di Dracone, che furono emanate nel 62 1 a.C. e che distin­ guono tra omicidio volontario ( cp 6voç Éxoucrwç) e omicidio involontario ( cp 6voç àxoucrtoç)5. La differenziazione tra l'uccisione posta in essere dolo sciens e quella avvenuta imprudens rientra in quell' atto «culturale per eccellenza, che fonda l'origine della storia e della realtà umana per come la conosciamo»6 e che consiste nello stabilire dei confini e nel diversificare le vicende umane; essa presuppone una riflessione giuridica già più che abbozzata ed è plausibile che queste impor­ tanti normative siano il risultato di un'attenta e ponderata elaborazione maturata nell' ambito del collegio pontificale, secondo la tradizione istituito dallo stesso Numa7 • Si pensa che l'omicidio commesso da una persona im­ prudens avrebbe compreso sia quello colposo che quello -

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involontario, i quali sarebbero stati perseguiti con un'e­ spiazione soltanto religiosa e non con una vera e propria punizione8• Pure nell'ambito delle XII T avole9 e ancora alla fine dell'epoca repubblicana nella lex Cornelia de sicariis et vene/icis era presupposta la distinzione «tra omicidio volon­ tario e involontario, non tra omicidio doloso e colposo»10• Rinviando ai densi saggi di Luigi Garofalo e Aglaia McClintock contenuti in questo volume e in quello prece­ dente, per la spiegazione del controverso termine paricidas, cercherò di interpretare l'altrettanto problematica espres­ sione dolo sciens, elemento qualificante per la punizione di chi abbia consegnato alla morte un uomo liber (Si quis

hominem liberum dolo sciens morti duit paricidas esto) . 2 . 'Sciens' e 'sciens prudensque'. Di agevole indi­ viduazione è il significato da attribuire a sciens, termine che denota la capacità di fare delle scelte in base a una valutazione della realtà esterna a sé" , quindi quella consa­ pevolezza, quel legame tra la mente umana e il fatto lesivo che permette di conoscere tutti gli elementi di fatto della fattispecie criminale12• Da fonti giuridiçhe del principato risulta come chi si appropri di un bene nella convinzione di esserne proprietario non commetta né furto né rapina13 , proprio perché non è sciens, in quanto ignora un elemento fondamentale della fattispecie delittuosa14• Talvolta, può essere sufficiente la consapevolezza per essere incriminati: per esempio, chi presti la casa dove si terrà un illecito incontro amoroso è sufficiente che sia sciens per essere considerato compartecipe di un adulterio'5; anche il padrone di uno schiavo risponde personalmente dei delitti da quello compiuti quando ne sia sciens16• Più spesso, un'attività compiuta da un soggetto sciens non può essere punita se manca dolus, come nel caso di chi abbia aperto il testamento di una persona assas­ sinata - attività vietata dal senatoconsulto Silaniano -

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essendo a conoscenza della morte del testatore, ma avendo agito per imperitiam vel per rusticitatem ignarus

edicti praetoris vel senatus consulti17 • I n alcune fonti, sciens s i trova associato a prudens18; tale participio - derivato da provideo, cioè il vedere 'avanti' (pro - ) , ossia più innanzi degli altri e quindi pri­ ma19 - si ricollega alla prudentia20 e indica la capacità di decidere in base all'abilità di fare giuste previsioni sul futuro, grazie al proprio corredo di esperienza. Il riferimento più risalente e più noto è quello dell'incendiario, che già le XII Tavole sanzionavano con la vivicombustione, se avesse commesso il fatto sciens prudensque; l 'alternativa era l'aver commesso il fatto casu, id est neglegentia21 : in tale ipotesi, la pena era molto più leggera, potendo consistere semplicemente nel risarcimento del danno22. Altrettanto, se non più antica, è la formulazione della devotio, all'interno della quale compare il sintagma prudens et sciens23 adoperato per descrivere una scelta suicida fatta in piena consapevolezza, con lucida e pon­ derata capacità decisionale24 .

3 . 'Dolus' è vocabolo polisemico. - Il termine prudens, che pur significa 'prevedendo le conseguenze del proprio operare', non porta con sé alcuna implicazione relativa all a riprovevolezza dell'intenzione25 • Nella legge di Numa, così come in molte leggi di epoca repubblicana e del primo impero, il termine sciens è invece associato a dolus, vo­ cabolo connotato da una profonda ambiguità semantica. Ancora oggi nel linguaggio giuridico italiano, dolo è un termine dai molti significati: indica sia il principale criterio di imputazione soggettiva dell'illecito penale26 e civile27, sia l 'inganno che vizia la volontà contrattuale2 8 • T al e ambiguità di fondo risale agli albori del pensiero giuridico: infatti, anche nell'ambito del diritto romano

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dolus era, da un lato, il basilare criterio per l 'attribuzione della responsabilità, dall' altro indicava spesso l'inganno, il raggiro che induce una persona a concludere un contratto non voluto, ma poteva fare riferimento pure a qualunque comportamento dannoso contrario alla buona fede29• Ottimo testimone della multiformità di significati assunti dal concetto di dolo è Cicerone: nell'orazione pro Tullio egli spiega che perfino all'interno della stessa for­ mula giudiziale30 dolus può stare a indicare sia la volontà di tenere la condotta delittuosa, sia l'idea più specifica di istigazione premeditata3 1 • Nel concetto è, allo stesso tempo, contenuta anche l'idea di inganno, come si desume dal notissimo passo del de officis , nel quale l'Arpinate ci racconta che l'ideatore dei rimedi introdotti nell'editto pretorio contro il dolo, il suo amico giurista Aquilio Gallo, veniva spesso richiesto di delucidazioni in ordine al mi­ glior significato da attribuire al concetto e ne forniva una spiegazione tutt'altro che univoca: cum esset aliud simula­ tum, aliud actum32• A ulteriore riprova dell'ampiezza delle sue applicazioni, si può ricordare che il iudicium de dolo malo era significativamente definito dall'oratore come un everriculum malitiarum omnium, una ramazza che spazza via tutte le malizie, una rete che intrappola ogni frode.

4. 'Dolo' come pugnale. Salvatore Tondo ha pro­ posto un'interpretazione molto particolare del termine dolo, supponendo che nel contesto della legge di Numa esso avrebbe indicato soltanto il mezzo con cui veniva effettuato l'illecito, cioè un pugnale33• Secondo l'autore­ vole studioso, sciens sarebbe stato sufficiente da solo a esprimere il carattere della consapevolezza e premedita­ zione dell' atto34 e dolo sarebbe stato un sinonimo arcaico di sica, il corto gladio da cui deriva il termine sicarius. La legge che farà approvare Silla, nell'ultimo secolo della repubblica, a sanzione degli omicidi è appunto -

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intitolata de sicariis et vene/icis: nei primi s i vedrebbe il prototipo degli omicidi violenti, mentre l 'uccisione tramite avvelenamento sarebbe il modello dell'omicidio non violento; se tale legge descriveva la fattispecie di omicidio facendo riferimento alle effettive modalità di commissione, secondo Tondo, «accettare l'interpretazione ' astratta' della lex Numae sull'omicidio volontario, non altro potrebbe significare che riconoscere, per il seguito, una sorta di sviluppo a ritroso, il trapasso da un pensiero astrattizzante a uno essenzialmente concreto»35 • Bisogna però tenere i n considerazione i l contesto politico-sociale in cui la legge di Sill a è stata emanata: era iniziato il secolo delle guerre civili, in cui venivano compiute continue violenze da bande armate, e la finalità concreta di quella normativa era appunto di limitare sul nascere aggressioni e malversazioni. La !ex Cornelia de sicariis et vene/icis descriveva delle condotte tipiche - come quella di chi avesse provocato la morte di un uomo con armi o con veleno36 - in modo tale che chiunque le avesse poste in essere sarebbe stato punibile, senza neppure che vi fosse necessità di indagare in merito alla volontarietà del fatto: si può parlare di un'implicita «rappresentazione di tutte le condotte punite dalla !ex Cornelia quali reati dolosi in re ipsa, poiché l'uso di strumenti esecutivi quali il venenum e il telum manifesta in sé la volontà lesiva dell' azione e la rappresentazione dell' evento»37 • In questo senso ritengo vada interpretata l a controversa espressione in lege Cornelia dolus pro facto accipitur8: lungi dall'affermare la punibilità del semplice disegno criminoso, a prescindere dalla sua realizzazione39, essa sta a significare che le condotte della !ex Cornelia «sono da considerarsi in sé volontarie; in particolare quella del reato di evento, descritta dal qui hominem occiderit, è dolosa e perciò punibile nella misura in cui l'interprete deduca la volontà maligna dallo strumento utilizzato [ . . . ] e, comunque, dalle modalità di produzione dell'evento lesivo»40•

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Pure dal punto di vista linguistico la teoria di T o n do non è sostenibile: anche se è vero che il latino conosce il sostantivo dolo, dolonis, proveniente dal greco ò6Àwv, che indica un corto pugnale - nonché il derivato verbo dolare, che significa ' sgrezzare ' usando il detto coltello, ma anche ' s quadrare ' , ' abbozzare ' , ' spianare ' -, tale vocabolo all' ablativo farebbe dolo ne; per spiegare la presenza di dolo nella legge di Numa, l'autore è costretto a ipotizzare che si tratti di «una forma d'origine sabina, sopravvissuta nel latino comune»41 • Infine, m a non d i minore importanza, risulta incom­ prensibile lo slittamento di significato che avrebbe subito il termine dolus, il quale sarebbe passato dal designare nella legge di Numa l 'arma utilizzabile all'indicare in molti provvedimenti normativi di epoca repubblicana e della prima epoca classica l'elemento volontario nell'e­ spressione tecnica sciens dolo malo.

5. 'Dolo ' da o6Àoç. - Appare più probabile che nella legge di Numa sia utilizzato il vocabolo latino dolus, doli, derivato dall'omologo greco ò6Àoç42, che compare a più riprese negli scritti di Omero43 e di E siodo44 a denotare un inganno, l'uso di una simulazione, il far apparire una cosa per un'altra allo scopo di trarre un vantaggio; ò6Àoç è l'esca, l'amo che è un 'insidia per i pesci45, ma in senso traslato è l'intelligenza astuta, quella che sa vincere senza bisogno della forza. Nell' antichità greca ò6Àoç è un concetto neutro, va­ lutato secondo le circostanze della concreta situazione in cui viene adoperato46• Gli stessi dèi sono talvolta autori di atti dolosi: un ò6Àoç si incontra all'origine dei tempi, quando Gea reagisce ÒOÀl'l TÉXV'l alla malvagia opera di Urano che impediva ai figli di venire alla luce, trattenendoli nel grembo della madre, e ispira un ò6Àoç al figlio Crono, spiegandogli come recidere i genitali del padre U rano47•

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Pure gli eroi utilizzano spesso ò6Àoç per avere la meglio nelle tenzoni. Odisseo, uomo dal multiforme in­ gegno e pieno di astuzie, conosce ogni sorta di inganni, sa escogitare molti ò6Àot48• Sua invenzione è, tra le altre, il ò6Àoç costituito dal cavallo di Troia49, in cui sono presenti in modo emblematico tutte le caratteristiche del concetto: si tratta di un bel dono che induce i Troiani a sperare nella vittoria, ma nasconde al suo interno la presenza dei guerrieri greci pronti a invadere la città50• Anche sua moglie Penelope è capace di ò6Àoç: tale è la tela che ella di giorno fila e di notte disfa5 1 e lei stessa, parlando con il marito tornato, ma ancora non riconosciuto, dice che ha filato inganni52 e ora, scoper­ to l'imbroglio, non trova altra Jl�nç53 • Odisseo riesce a trattenere le lacrime dinnanzi al suo disperato racconto solo grazie a ò6?\0ç54, che qui sta a indicare la capacità di dominare i propri sentimenti e il proprio corpo55 • Particolarmente interessante, ai nostri fini, l'episodio in cui Polifemo, accecato da Odisseo, chiama a raccolta gli altri Ciclopi, i quali vogliono sapere come lo stiano ammazzando, se d'inganno o con la forza; egli risponde che Nessuno lo uccide con l'inganno e non con la forza (ò6Ày.> oÙÒÈ �i11cp1v)56• Anche Tiresia, quando incita Odis­ seo a uccidere i Proci, ipotizza due modalità di omicidio: o con l'inganno o apertamente con bronzo affilato57 . Se ne è ricavata l'ipotesi che all'interno dei poemi ome­ rici «Se una distinzione fra diversi tipi di omicidio veniva fatta e aveva conseguenze a livello pratico, questa distin­ zione non era quella tra omicidio volontario e omicidio involontario, ma era, invece, quella tra omicidio commesso con la forza e omicidio commesso con l'inganno»58• Eva Cantarella ipotizza che l'omicidio commesso con la forza fosse in qualche modo meno grave di quello commesso con l'inganno, perché nel mondo «eroico» il primo denotava la superiorità fisica dell'uccisore e quin­ di, pur provocando la vendetta del gruppo dell'ucciso,

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non offendeva la compagine sociale, mentre il secondo «era riprovato dalla collettività, che vedeva messo in pericolo il suo sistema di valori»59; l'autrice nota, poi, come a Odisseo sia consentito non condividere gli an­ tichi valori del mondo «eroico», perché egli «non deve dimostrare la sua superiorità attraverso la forza. I suoi valori non sono esclusivamente valori di tipo fisico. Egli è l'eroe che unisce la forza all' astuzia, alla pazienza, al dominio di sé, alla saggezza. Ulisse è l'eroe alternativo, la cui superiorità sta in virtù diverse dalla forza fisica, e che pertanto può uccidere i suoi awersari come vuole, anche con l 'inganno»60• Nella Bibbia si legge un'analoga distinzione tra l'uc­ cisione violenta e quella derivata da un inganno, punita in modo più grave: colui che colpisce un uomo causandone la morte, sarà messo a morte. [ 1 3 ] Però per colui che non ha teso insidia, m a che Dio gli ha fatto incontrare, io ti fisserò un luogo dove potrà rifugiarsi. [ 1 4 ] Ma, quando un uomo attenta al suo prossimo per ucciderlo con inganno, allora lo strapperai anche dal mio altare, perché sia messo a morté 1 •

Ancora Aristotele sembra differenziare gli illeciti a seconda che siano commessi di nascosto o con violenza (rà J.IÈV Àa8paia [ . . ] rà ÒÈ �fata) ; nella dizione Àa8paia si potrebbe individuare qualcosa di analogo al dolo, in quanto si architetta subdolamente qualcosa alle spalle del danneggiato, anziché agire con la forza a viso aperto. Ciò è awalorato dagli esempi che riporta di seguito: l'uccisio­ ne di un uomo compare in entrambe le categorie, nella prima come 8oÀo