I diritti delle persone dentro e fuori i confini costituzionali. Norme giuridiche tra teoria e prassi 9788843089062

A dieci anni dalla prima edizione, questo libro fa il punto sulla vitalità e i limiti del testo della Carta costituziona

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I diritti delle persone dentro e fuori i confini costituzionali. Norme giuridiche tra teoria e prassi
 9788843089062

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BIBLIOTECA DI TESTI E STUDI/ II72 STUDI GIURIDICI

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I diritti delle persone dentro e fuori i confini costituzionali Norme giuridiche tra teoria e prassi Seconda edizione A cura di Rossana Deplano

Carocci editore

2• edizione, marzo 2018

1• edizione, novembre 2008

©copyright 2018 by Carocci editore S.p.A., Roma Realizzazione editoriale: Elisabetta Ingarao, Roma

f.

Finito di stam are nel marzo 2018 da Grafiche VD sr , Città di Castello ( PG) ISBN 978-88-430-8906-2

Riproduzione vietata ai sensi di legge (art. 171 della legge 22 aprile 1941, n. 633) Senza regolare autorizzazione, è vietato riprodurre questo volume anche parzialmente e con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche per uso interno o didattico.

Indice

Introduzione di Rossana Deplano

9

Riflessioni sul principio di sovranità popolare di Antonio Piras

15

Introduzione Breve ricostruzione storica Il concetto di sovranità popolare nella Costituzione La sovranità popolare oggi Conclusioni Bibliografia

15 16 19 22 25 26

2.

La rappresentanza ai tempi di Facebook di Carlo Serra

27

2.1. 2.2.

Introduzione Dalla democrazia rappresentativa ai nuovi populismi: la crisi del sistema dei partiti Nuovi orizzonti dell' informazione: la comunicazione politica in Rete La democrazia partecipativa nell'ordinamento costituzion ale Conclusioni Bibliografia

27

I.

I.I.

1.2. 1.3. 1.4. 1.5.

2.3. 2.4. 2. s .

29 33 36 40 41

INDICE



Parità di genere e rappresentanza politica di Giulia Andreozzi

44

3·1. 3.2. 3·3· 3·4·

Introduzione Il sistema delle quote Il quadro internazionale ed europeo La situazione in Italia: evoluzione normativa e giurisprudenziale Conclusioni Bibliografia

44 45 48

3·5·



SI

55 s6

Livelli di descrizione di un voto democratico: il referendum costituzionale del 4 dicembre 20I 6 di Olimpia Giuliana Loddo

s8

Introduzione La dimensione istituzionale del referendum costituzionale Il voto come momento di una procedura La dimensione metaistituzionale del voto Conclusioni Bibliografia

s8 s8 6o 6I 64 64

·

Libertà di salute : limiti, tutele e vincoli inespressi dell'articolo 32 della Costituzione d i !rene Lepori

66

s .I. s .2. 5·3·

Introduzione La libertà di cura e i trattamenti sanitari obbligatori Le vaccinazioni obbligatorie e raccomandate: ipotesi applicative dei principi costituzionali ex artt. 2 e 32 Conclusioni Bibliografia

66 68

6.

L'ambiente come bene da preservare nel tempo d i Stefano Mundula

8o

6.1. 6.2.

Introduzione Breve traccia storica delle aree protette

8o 8I

4·1. 4.2. 4·3 · 4·4· 4·5·

S

5·4·

6

74 78 79

I N D I CE

6.3. 6.4. 6. s .

Inquadramento giuridico-ambientale e responsabilità civiche Il Piano del parco Conclusioni Bibliografia

83 84 86 86



Il ruolo costituzionale dell'avvocato nell'attuazione della giustizia di Matteo Liberati e Paolo Vargiu

88

7·1. 7.2. 7·3· 7·4· 7·5·

Introduzione L'avvocato nella Costituzione attuale Il ruolo deli' avvocato nel diritto internazionale sull'es e reizio della professione forense Analisi delle proposte di riforma del Titolo IV, Parte n, della Costituzione Conclusioni Bibliografia

7

88 90 93 98 IOO I

02

Introduzione di Rossana Deplano*

Oggi più che mai il fenomeno della globalizzazione sembra avere alterato l' identità di intere nazioni. Se da un lato il virtuosismo degli scambi com­ merciali internazionali ha trovato piena espressione e compimento nelle forme che le nuove tecnologie consentono, l'abbattimento delle barriere fisiche e temporali delle iterazioni transnazionali ha prodotto un parallelo avvicinamento e commistione di lingue, culture e tradizioni prima ancora­ te ad uno specifico contesto geografico. Oggi l' identità globale è frazionata in blocchi: l' Unione Europea, le Nazioni Unite, la NATO, l' Organizzazio­ ne mondiale del commercio, il Consiglio d' Europa, la Lega araba, la Banca mondiale. Ciascun blocco è composto da Stati che hanno scelto di darsi regole comuni per raggiungere obiettivi condivisi dando così vita ad una traslazione dell'identità nazionale in una sovranazionale. In un certo senso l'aggregazione statale in blocchi comunitari facilita e consente il pieno sviluppo del potenziale economico di ciascuno Stato membro attraverso la stipulazione di accordi che aprono mercati lucrativi alla capacità dei privati di usarli a proprio vantaggio. Ali' interno di questo sistema ispirato alla parità di accesso, ognuno disegna le proprie strategie sulla base dei mezzi e delle risorse che ha a disposizione: chi è più abile e forte massimizza i profitti dell' investimento iniziale, chi è più debole può sempre cambiare strategia e rimettersi in gioco. Da un punto di vista for­ male, il liberalismo economico che alimenta l'attuale struttura dei mercati e delle relative politiche nazionali è espressione del principio di uguaglian­ za: tutti possono competere sulla base di regole uguali, scelte di comune ac­ cordo. Se però spostiamo lo sguardo dall' intenzione alla prassi delle dina­ miche economiche, l'ideale egalitario quasi scompare: non tutti i parteci­ panti alla competizione economica muovono dalla stessa linea di partenza, di fatto determinando che solo alcuni siano in grado di tagliare il traguardo * Ricercatore di Diritto internazionale, Università di Leicester.

9

R O S SANA D E P L A N O

del profitto. In queste circostanze le pari opportunità di mercato si trasfor­ mano in benessere solo per alcuni. Agli altri restano le questioni di princi­ pio, a loro volta succubi delle forze di mercato. Dov'è la giustizia sociale ? Il paradosso del XXI secolo è che abbiamo costruito insieme un siste­ ma mirato a creare libertà e diritti non bilanciati da responsabilità e obbli­ ghi equivalenti. Ne consegue che l' illusione dell'uso responsabile di libertà economiche illimitate crei un ingestibile vincolo di dipendenza del più de­ bole dal più forte. Ciònonostante, la speranza di migliorare e diventare suf­ ficientemente competitivi da godere della vastità del mercato globale tiene il sistema saldamente in piedi: i confini nazionali sembrano essere diven­ tati in larga misura quelli internazionali. È questa la realtà in cui l' Italia si trova ad operare, perennemente divisa tra voglia di massimizzare il profitto e ripercussioni sociali delle scelte commerciali. In altre parole, l' identità strategica e quella sociale e culturale del paese coesistono ma non sono ne­ cessariamente determinate dalla stessa base di consenso, e perciò controllo, popolare. Oggi gli Stati sono le pedine chiave del gioco della globalizzazione, al­ lo stesso tempo soggetti e oggetti delle regole che loro stessi hanno creato. Esiste però una differenza tra politiche della commercializzazione e com­ mercializzazione delle politiche: le prime hanno come fine il benessere del­ la società, le seconde il mero profitto. A settant'anni dalla sua adozione, il testo della Costituzione repubblicana ci ricorda con forza che l' Italia è un paese basato sul lavoro inteso come strumento di emancipazione dalla dipendenza economica e sociale. Questa dimensione etica del ruolo dello Stato richiama sia il singolo cittadino sia le istituzioni dello Stato a compie­ re scelte responsabili: l' interesse dell'uno non può prevalere sull' interesse dell'altro; l' interesse dell'uno è l' interesse dell'altro, anche nelle relazioni internazionali. È in quest'ottica che il ruolo dell' Italia nel panorama mondiale deve essere inquadrato: la partecipazione in entità sovranazionali e il conse­ guente allargamento dei mercati non sono altro che moderne manifesta­ zioni delle formazioni sociali ove il singolo svolge la propria personalità. Di conseguenza, la Repubblica è chiamata in ogni momento a garantire i diritti inviolabili dell'uomo in tutte le sedi in cui l' individuo, come singo­ lo o collettivamente, partecipa allo sviluppo della propria personalità. Allo stesso tempo, la Repubblica richiede al cittadino l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale, sia come singolo sia come rappresentante del popolo nelle istituzioni dello Stato. Per queste ragioni in Italia la logica del profitto trova il limite nel riconoscimento coIO

INTRODUZIONE

stituzionale della dignità umana: è compito della Repubblica promuovere le condizioni che rendano effettivo il diritto dei cittadini al lavoro, sia den­ tro sia fuori i confini nazionali, e rimuovere gli ostacoli di ordine economi­ co e sociale che impediscono l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del paese. In questo senso, le politiche economiche, nazionali ed internazionali, sono nient'altro che un mezzo per promuovere lo sviluppo virtuoso e dignitoso di ogni persona. Apprezzare le nuove forme in cui la sovranità statale si esplica equivale ad apprezzare le nuove forme in cui la sovranità popolare prende forma e sostanza in un mondo ormai largamente globalizzato. Ed è proprio qui che emerge chiara la modernità del discorso sulla Costituzione, forma e limite delle decisioni di un popolo artefice del proprio destino. Nel 2oi8 il rap­ porto tra governanti e governati non si esplica solo all' interno del territorio nazionale, per il semplice motivo che la gestione delle sole risorse nazionali non è più in grado di garantire la piena realizzazione della persona umana. Confrontarsi ed interagire con entità esterne è diventata una necessità di vita e in quanto tale oggetto di regolamentazione giuridica ovvero fonte di diritti e di doveri. In questo senso, fare scelte consapevoli è un dovere di ogni cittadino: ad ogni azione segue una reazione, per cui ogni scelta, indi­ viduale o collettiva, involve un certo grado di responsabilità e una ripercus­ sione sul contesto sociale in cui viviamo. L'ondata dilagante di populismo che negli ultimi anni ha travolto sia l' Italia sia altri paesi europei ha prodotto effetti perversi che mal si conci­ liano con l' idea stessa di scelta responsabile. Non è il numero di parteci­ panti alla discussione che rende una decisione legittima. Non è invocare astrattamente principi e diritti che rende una decisione giusta. Non è ele­ vando interessi individuali a rango di bene comune che si rende un popo­ lo unito. Al contrario, è il concetto di tolleranza che tiene uniti gli ideali e le aspirazioni di un popolo quando questo si riconosce parte integrante di un sistema incentrato sul valore della persona. La Costituzione assegna un ruolo attivo ad ogni cittadino, disegnando regole di convivenza, ossia diritti e doveri concreti finalizzati a garantire uno sviluppo armonioso del singolo nella società e della società tramite il singolo. "Costituzione" è una parola ancipite che indica allo stesso tempo l'atto di costituire qualcosa e il prodotto finale di quella azione, ovvero ciò che è stato costituito. Attri­ buendo diritti e doveri in capo ai singoli la Costituzione ci rende liberi di determinare noi stessi in un processo senza fine: la nostra identità è quella che creiamo noi di volta in volta e creando noi stessi creiamo la società in cui vogliamo vivere. II

R O S SANA D E P L A N O

Quando ripensiamo la forma dei partiti e delle leggi elettorali, per chi lo facciamo ? Quando ripensiamo le forme di partecipazione diretta alle scelte comuni, per chi lo facciamo ? Quando ci battiamo per la tutela dei diritti comuni, per chi lo facciamo ? Ciascuno di questi quesiti può sempre accomodare una duplice risposta: ogni decisione riguardante la sfera pub­ blica è una decisione sia individuale sia collettiva. Per esempio, quando uti­ lizziamo lo strumento referendario per fini diversi da quelli per cui è stato istituito, stiamo usando uno strumento di partecipazione pubblica per fini personali. Il recente referendum costituzionale del dicembre 2016 ne è un esempio: anziché esprimersi sul contenuto del testo della riforma costitu­ zionale contenuto nella legge Boschi, una parte cospicua dell'elettorato si è recata alle urne per giudicare l'operato del governo allora in carica. Allo stesso modo, l'allora primo ministro Renzi ha legato l'esito del referendum costituzionale alle sorti della sua carica governativa. Alla fine non ha vinto nessuno: né i singoli né la collettività. Le posizioni antitetiche di coloro a favore e contro la partecipazio­ ne dell' Italia all' Unione Europea sono un altro esempio dell'esercizio del potere pubblico a somma zero. Da un lato la condanna totale dell'opera­ to dell' Unione Europea come causa maggiore del recesso economico del paese manca di una visione d' insieme dell'articolato di diritti e doveri che aprono al singolo cittadino l' intero mercato europeo e, tramite l'operato dell' Unione Europea, i mercati internazionali. Probabilmente la carenza di competitività risiede in altri aspetti, il primo dei quali è rappresentato da un livello di istruzione secondaria generalmente troppo basso, soprattutto in certe regioni. Chi grida all'usci t a immediata dell' Italia dall' Unione Eu­ ropea ha una visione distorta del ruolo e dell' importanza della sovranità statale nella rete attuale dei commerci internazionali: nessuno può com­ petere da solo. Dall'altro lato chi difende lo status quo per mera questione di principio, confidente del fatto che una parte importante del paese sia in grado di trarne immediato vantaggio, si illude che la semplice apertura ai mercati possa lenire i disequilibri sociali causati da uno sviluppo economi­ co asimmetrico spesso determinato da fattori geografici e climatici, com­ presa l' insularità, destinati a non mutare nel tempo. C 'è bisogno di più Europa per allargare l'orizzonte delle opportunità di scambio che il merca­ to comune offre. Ma c'è anche bisogno di più strategia italiana in Europa: solo ripensando l'articolato di competenze esclusive e ripartite, incluse le autonomie speciali, le diverse necessità e abilità del Nord e Sud possono ri­ comporsi in una entità comune. In fin dei conti, l' Italia è una e indivisibile. Ma anche multiculturale. 12

INTRODUZIONE

Sono questi i temi di attualità affrontati nelle pagine che seguono. Ogni contributo contiene, implicitamente o esplicitamente, riferimenti al­ la dimensione individuale e collettiva di diritti e doveri del cittadino. Nel CAP. I Antonio Piras ricostruisce il concetto storico di sovranità popolare collocandolo nel quadro istituzionale e di valori derivante dal testo della Costituzione. Segue una valutazione sulle implicazioni pratiche dell'eser­ cizio effettivo della sovranità popolare nel XXI secolo. I tre capitoli succes­ sivi discutono altrettanti aspetti distinti e allo stesso tempo correlati delle moderne forme di partecipazione popolare alla vita delle istituzioni. Nel CAP. 2 Carlo Serra analizza le caratteristiche principali delle nuove forme di partecipazione politica consentite dai social media e il rapporto tra que­ ste e la forma tradizionale di partecipazione riconosciuta dalla Costituzio­ ne, ovvero il partito politico. Nel CAP. 3 Giulia Andreozzi discute il ruolo della parità di genere nelle leggi elettorali, soprattutto in chiave di parità di accesso. L'analisi presenta un taglio comparatistico ad ampio spettro che racchiude anche la dimensione internazionale. Nel CAP. 4 Olimpia Giulia­ na Loddo riflette sul concetto moderno di democrazia usando la vicenda del referendum costituzionale del 2oi6 come oggetto di riflessione. I rimanenti tre capitoli discutono la dimensione costituzionale di tre beni comuni. Nel CAP. s Irene Lepori esamina i costi economici e sociali della libertà di salute utilizzando la regolamentazione delle vaccinazioni obbligatorie come applicazione pratica dei principi costituzionali in gioco. Nel CAP. 6 Stefano Mundula discute il rilievo pratico del riconoscimento costituzionale dell'ambiente come bene comune attraverso una ricostru­ zione storica del ruolo dei parchi nazionali come aree protette di cui sia il singolo sia la collettività beneficiano in forme diverse. Nel CAP. 7 Matteo Liberati e Paolo Vargiu discutono il ruolo costituzionale dell'avvocato. ln­ tesa come prestazione di servizi all' interno dell' Unione Europea, l'avvoca­ tura sta inesorabilmente andando incontro alla progressiva apertura della professione alle regole del mercato comune. Allo stesso tempo, la dimen­ sione etica dell'assistenza al cliente nell'esercizio del proprio diritto di di­ fesa mal si presta ad una commercializzazione pura e semplice del servizio. Come curatore dell'opera rinnovo i miei più sentiti ringraziamenti agli autori dei contributi. Nello scrivere la prima edizione de I diritti delle per­ sone dentro efuori i confini costituzionali ci siamo ripromessi di rimanere cittadini attivi partecipando alla vita quotidiana della nostra comunità, sia locale sia nazionale. Abbiamo mantenuto la promessa e oggi più che mai rinnoviamo il nostro impegno nelle pagine di questa seconda edizione. La storia, il contenuto e la forma del testo della Costituzione repubblicana si

R O S S A NA D E P L A N O

rivelano sempre più fonte di ispirazione. Tendere all' ideale di cittadino re­ sponsabile pensato dai padri costituenti non è facile, specialmente in una società radicalmente diversa da quella del 1948. La sfida però è anche la ri­ compensa: i partigiani moderni sono anche quelli fatti di carta e penna che rinnovano di giorno in giorno la propria identità assumendosi la responsa­ bilità del dialogo consapevole e del confronto continuo in una società plu­ ralista, divisa e in parte contraddittoria. Nonostante tutto, l' Italia è un paese di sana e robusta costituzione.

14

I

Riflessioni sul principio di sovranità popolare di Antonio Piras*

I. I

Introduzione

L'articolo I della Costituzione definisce l' Italia una Repubblica democra­ tica fondata sul lavoro e afferma, al secondo comma, che la sovranità appar­ tiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione. A dispetto di una formulazione sobria, la norma, fulcro del nostro or­ dinamento, costituisce il frutto di copiose elaborazioni filosofiche, giu­ ridiche e politiche sviluppate - nel corso dei secoli - dai più autorevoli esperti sul tema. Dai lavori preparatori emerge limpidamente la consape­ volezza, da parte dei membri dell'Assemblea Costituente, della rilevanza che avrebbero assunto le soluzioni adottate sul tema della sovranità; con­ sci delle ripercussioni che l'opzione p re scelta avrebbe provocato sul ruolo dei cittadini nella partecipazione alla vita istituzionale del paese. Il dibattito sorto in occasione del referendum confermativo del 4 dicembre 2 0 I 6 ha costituito l'occasione per una riflessione, a quasi set­ tant'anni dal suo accoglimento, sull'opzione espressa, in sede costituente, a favore della sovranità popolare e sul valore che tale principio ha assunto in passato e conserva nell'epoca attuale. Ci si chiede se l'articolo I, com­ ma 2° , della Costituzione sia in grado di generare, anche nel contesto con­ temporaneo, una effettiva funzione di indirizzo per l' intero sistema or­ dinamentale o se sia da considerare, ormai, privo di effettività. Ci si deve interrogare, altresì, sulle conseguenze che si determinerebbero in questa seconda ipotesi. * Dottore di ricerca in Diritto dei contratti.

15

ANTONIO PIRAS

1.2

Breve ricostruzione storica

Per replicare agli interrogativi posti nell'Introduzione occorre ripercorrere sommariamente l'evoluzione del dibattito che ha condotto all'affermazio­ ne della sovranità popolare e, per quanto riguarda la Repubblica italiana, alla formulazione dell'articolo I, comma 2 ° , della Costituzione. Ciascuno dei termini richiamati dalla disposizione in esame - sovra­ nità; appartenenza; popolo; esercizio; forme; limiti - incarna l'approdo finale di approfondite analisi svolte dalla dottrina e riproposte nelle discus­ sioni sviluppate durante i lavori dell'Assemblea. A differenza di quanto ac­ caduto negli ultimi decenni, nel corso dei quali la Costituzione è divenuta oggetto di discutibili e avventati tentativi di riforma - arginati dai referen­ dum confermativi del 2006 e del 20I6 -, in sede costituente non è stato dato spazio a scelte superficiali o dettate dalle convenienze politiche del momento. Il dettato della norma si incentra sulla nozione di sovranità. Il primo problema che si pone consiste, pertanto, nel chiarire cosa debba intendersi per "sovranità". Il termine trae origine dali' antico francese soverain, il quale, a sua volta, deriva dal latino volgare superanus. "Sovra': come prefisso, è il latino supra ad, ossia "ciò che sta al disoprà'. In ambito giuridico, il termine è stato uti­ lizzato in numerose accezioni: indipendenza dello Stato rispetto ad altri enti; elemento costitutivo dello Stato; posizione di supremazia di un orga­ no all' interno dello Stato (Mo retti, I993, p. I ) . In realtà, i l concetto d i sovranità nasce per far fronte alla necessità di determinare l'organizzazione degli uffici attraverso i quali l'ordinamento giuridico opera; ciascun ufficio è dotato di potestà ma, tra queste, ve ne sono alcune munite di maggior rilevanza, le quali, per tale ragione, pos­ sono essere definite supreme (Giannini, I 9 9 0, p. 224). Nell'ordinamento della Repubblica, prima, e dell' Impero, poi, a tali potestà supreme veniva dato il nome di Imperium; negli ordinamenti che, in Europa, precedette­ ro quelli statali, a partire dal XIV secolo si cominciò a definire "sovrana" la somma delle potestà pubbliche supreme spettanti all'ufficio posto a capo dell'ordinamento (ibid.). Più in particolare, con lo sviluppo dei regni in­ dipendenti - aventi al vertice re che non riconoscevano l' imperatore - la plenitudo potestatis imperiale venne trasferita ai primi: il re, ormai libero, divenne un superanus e la sua potestas- totale come quella dell' imperato­ re - diventò superanitas, sovranità. Il concetto di sovranità nasce, dunque,

I.

RIFL E S S I ONI SUL PRINCIPIO DI S OVRANITÀ P O P O LARE

per attribuire al sovrano dei regni e dei principati, ormai sciolti dal vincolo della supremazia imperiale, « una somma di poteri supremi atti a reggere la cosa pubblica » (i vi, p. 225 ) . È stato osservato che, in questi termini, il ter­ mine "sovranità" sembrerebbe appartenere alla teologia, più che al diritto: esso, infatti, rendeva il monarca «l' immagine terrena di Dio» (Bin, 20I3, p. 369 ), con tutte le prerogative che ne scaturivano. Non a caso, se tale attri­ buzione si attagliava perfettamente al re, maggiori incertezze sorgevano sul riconoscimento della sovranità ad entità organizzate in forma non monar­ chica ma repubblicana: si pensi, ad esempio, alla Serenissima Repubblica di Venezia (ivi, p. 370 ). Il concetto di sovranità venne studiato e specificato nel XVI secolo da colui che è annoverato tra i più illustri teorici e studiosi del principio in esa­ me: Jean Bodin, magistrato ed esponente politico francese (Cortese, I990, p. 22I) . Bodin descrisse la sovranità come « summa in cives ac subditos le­ gibusque soluta potestas » (Bodin, I 964, p. 265 ) e la scompose in otto jura majestatis; ciascuna di queste costituiva una delle potestà spettanti, ali' e­ poca, al re di Francia: legiferare; dichiarare guerra e pace; nominare i fun­ zionari; giudicare; concedere la grazia; battere moneta; imporre tributi; ottenere la fedeltà dei sudditi (Giannini, I990, p. 226). Il potere legislativo in capo al sovrano rendeva costui legibus solutus, titolare di un potere non limitato dalle leggi che si identificavano con i suoi comandi. Bodin indivi­ duava, tuttavia, tre limiti al potere assoluto del sovrano : la legge naturale e divina; le leges imperii, concernenti la struttura fondamentale del regno; la proprietà privata (Ventura, 20IO, p. I5 ). In seguito, Hobbes teorizzò l'unità della potestà sovrana (Giannini, I990, p. 226) : gli uomini, per uscire dallo stato di natura, si sottomettono al potere sovrano, che non ha limiti; lo Stato si identifica con la persona del sovrano (Hobbes, 200I ). La successiva elaborazione di Locke - volta a fornire un sostegno teorico alle rivoluzioni inglesi del XVII secolo - si basò, invece, sulla tesi del duplice contratto: col primo gli individui ab­ bandonano lo stato di natura; mediante il secondo conferiscono i poteri al sovrano, alienando unicamente i diritti indispensabili per garantire la vita, la libertà, la proprietà (Locke, I948 ). L' importanza del pensiero di Locke sul tema della sovranità popolare si rinviene, in particolare, nell' individua­ zione della distinzione, nell'ambito dell'esercizio del potere, tra legislativo ed esecutivo ; con quest'ultimo subordinato al primo il quale, a sua volta, è assoggettato al popolo, rappresentato in Parlamento (Moretti, I993, p. 2 ). Fu poi Rousseau - preceduto dalle fondamentali intuizioni di Mon­ tesquieu sulla separazione dei poteri - a fornire un contributo decisivo in 17

ANTONIO PIRAS

ordine all'elaborazione del concetto di sovranità popolare: per Rousseau, la sovranità si fonda sul patto sociale con cui gli individui si subordinano alla volontà generale, che nasce dall'unificazione della volontà dei singoli e tende al bene comune; la sovranità spetta al popolo, che delega e revoca i poteri al governo (Rousseau, 1970 ). Tali, diverse, impostazioni teoriche ebbero importanti riflessi sul piano applicativo. Da un lato la sovranità del King in Parliament, schema che si consolidò in seguito alla Rivoluzione inglese del 1 6 8 8 ; dall'altro il modello francese, in cui la sovranità si fondava sul contratto sociale ed era esercitata in virtù della volontà dell' lo comune della quale le leggi erano espressio­ ne (Passaglia, 2oo6, p. 5646). In epoca rivoluzionaria, peraltro, prevalse in Francia - più che il concetto di sovranità popolare - quello, differente, di sovranità nazionale, come emerge, ad esempio, dalla Costituzione del 1793 (Cortese, 1990, p. 223; Giannini, 1990, p. 227 ). Proprio il dibattito sorto sul tema della distinzione tra sovranità della nazione, del popolo e addirittura - secondo le teorie sviluppatesi in Germania nel XIX secolo - dello Stato (Ventura, 2010, p. 35; Passaglia, 2oo6, p. 5646) risulta particolarmente im­ portante ai fini della presente analisi, in quanto alla base - come si vedrà ­ delle alternative che furono vagliate dall'Assemblea Costituente. Si è detto che la sovranità popolare richiede necessariamente l' intervento del popolo (specie attraverso le consultazioni elettorali e gli istituti di democrazia di­ retta) mentre la sovranità nazionale - consentendo ad un'assemblea o ad un monarca di farsi portatori della volontà della nazione - sarebbe in grado di adattarsi meglio alle diverse formule di governo (ibid.), consentendo di tenere distinto il popolo dai suoi governanti (Amato, 19 62, p. 76 ). Proprio sul rifiuto di quest'ultima rappresentazione si è basata, invece, la dottrina tedesca della sovranità dello Stato, la quale non solo non distingueva tra la nazione e i suoi rappresentanti, ma rinveniva nello Stato l'unico e ori­ ginario titolare della sovranità (ibid.). In Germania, il processo di forma­ zione dello Stato moderno ebbe luogo - a differenza di quanto accaduto in Francia - «dali' alto in basso, anziché dal basso in alto; attraverso una interna evoluzione e trasformazione dell'organizzazione statale, piuttosto che per conquista popolare » (Crisafulli, 1957, p. 414). Fu nell'ambito di questi processi che poté svilupparsi la teoria della sovranità dello Stato. Si è notato, tuttavia, che tale dottrina trascurerebbe l'esistenza di due nozioni di Stato : quella riferita alla società civile e quella concernente il governo. La teoria della sovranità dello Stato rifiutava la distinzione tra Stato e popolo. Ma a tale negazione si è ribattuto che il concetto di popolo in senso largo va tenuto distinto da quello di Stato nell'accezione di "governo": pertanto, 18

I.

RIFL E S S I ONI SUL PRINCIPIO DI S OVRANITÀ P O P O LARE

il sovrano non può essere lo Stato-soggetto, che deriva la sua potestà di go­ verno dal popolo e rispetto ad esso assume carattere strumentale, avendo proprio la funzione di rappresentare il popolo (ivi, p. 455). Facendo leva su tale presupposto, la sovranità popolare è stata definita, in termini che persuadono, come « spettanza del potere supremo al popo­ lo » ed intesa quale diritto « a concorrere, direttamente o indirettamente, attraverso l'esercizio di poteri, diritti e libertà ad essi spettanti, a formare la volontà suprema governante nella Repubblica » (ivi, p. 428).

1 .3

Il concetto di sovranità popolare nella Costituzione

Alla luce di questo quadro teorico, l'Assemblea Costituente - in un con­ testo storico, va ricordato, segnato da decenni di organizzazione statale di stampo fascista - si trovò ad esaminare la questione della titolarità e della struttura del potere sovrano nella nascente Repubblica italiana. Nella seduta del 26 novembre I 946, la Prima Sottocommissione iniziò ad esaminare il tema prendendo le mosse dalla formula proposta dall'ono­ revole Cevolotto : « Tutti i poteri spettano al popolo che li esercita o li de­ lega secondo la Costituzione e le leggi » (Atti dell'Assemblea Costituente, p. 433)1• A tale enunciazione seguì quella suggerita dall'onorevole Dossetti, il quale, intendendo aderire alla teoria della sovranità dello Stato, prospettò la seguente formula: «La sovranità dello Stato si esplica nei limiti dell'or­ dinamento giuridico costituito dalla presente Costituzione e dalle altre leggi ad essa conformi» (ivi, p. 448). Secondo Dossetti, non sarebbe stato corretto attribuire la sovranità al popolo, perché la sovranità è dello Stato e il popolo è il soggetto che la esercita: il concetto di sovranità popolare « avrebbe avuto senso in contrapposizione alla sovranità del principe, che era il soggetto con cui si identificava lo Stato e che esercitava tutti i poteri inerenti allo Stato stesso» (ibid.). Nel corso di tale frangente della discus­ sione, l'onorevole Togliatti dichiarò la propria, netta, opposizione rispetto alla dottrina tedesca, di stampo assolutistico e reazionario ; e affermò che una Costituzione postfascista avrebbe dovuto riconoscere nel popolo il de­ positario della sovranità (ivi, p. 449 ). Tale opinione, in un primo momen­ to, fu rigettata e la Prima Sottocommissione approvò, il 3 dicembre I 946, 1 . http:/ /www.legislature.camera.it.

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il seguente testo : «La sovranità dello Stato si esplica nei limiti delrordi­ namento giuridico formato dalla presente Costituzione e dalle altre leggi ad essa conformi. Tutti i poteri emanano dal popolo che li esercita diretta­ mente o mediante rappresentanti da esso eletti » (ivi, p. 450 ). In questa prima fase venne, dunque, accolta la tesi della sovranità dello Stato. Tale scelta fu, tuttavia, contestata dal Comitato di redazione della Commissione dei 75: si paventò il rischio di interpretazioni in senso fa­ scista, sulla base dell'idea per cui tutto deriva dallo Stato (Fagiolo, I 992, p. IOO ). Per tale ragione, la formula inizialmente approvata dalla Prima Sotto­ commissione fu accantonata e venne proposto all'Assemblea un testo mo­ dificato ed articolato nei seguenti termini: « La sovranità emana dal popo­ lo ed è esercitata nelle forme e nei limiti della Costituzione e delle leggi » (ivi, p. IOI; Esposito, I954, p. IO). Anche tale enunciazione diede luogo a perplessità: in particolare, si osservò che l'utilizzo del verbo "emanare" avrebbe fatto pensare ad un distacco della sovranità dal popolo; mentre, in realtà, essa appartiene a quest'ultimo in maniera inalienabile (ibid.). Per­ tanto, scartate ulteriori espressioni quali «è del popolo » , « risiede nel po­ polo » , «promana dal popolo» (Fagiolo, I 992, p. Ioi), si giunse, su propo­ sta dell'onorevole Fanfani, ad accogliere - secondo una enunciazione che era « forma sufficiente ad indicare ad un tempo la fonte, il fondamento e il delegante della sovranità, cioè il popolo » (ibid.) - lo schema dell'apparte­ nenza della sovranità al popolo. Il 22 marzo I947, il secondo comma dell'articolo I fu approvato, dall'Assemblea, mediante il ricorso alla formulazione tuttora vigente: «La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione » . Prevalse, dunque, la tesi favorevole al riconoscimento del­ la sovranità popolare, come reazione alla « idolatria fascista dello Stato » (Passaglia, 2oo6, p. 5646) e con la conseguente affermazione del principio personalista (Mortati, I975, p. 2I). Alla norma non si intese attribuire valore meramente ideale. Si volle dar vita ad una disposizione di principio a contenuto normativo, con at­ tribuzione al popolo della suprema potestà di governo (Crisafulli, I 9 57, p. 425). Tenendo conto di ciò, gli interpreti si sono preoccupati di precisare gli ulteriori concetti richiamati dalla disposizione in esame : in particolare, il significato del termine "popolo"; le modalità attraverso le quali quest'ul­ timo esercita la sovranità; r ampiezza delle limitazioni alla stessa. Quanto al primo problema, la principale difficoltà risiede nel dover stabilire cosa si intenda, precisamente, col concetto di popolo richiamato 20

I.

RIFL E S S I ONI SUL PRINCIPIO DI S OVRANITÀ P O P O LARE

dalla disposizione costituzionale e in che modo esso sia chiamato ad espri­ mersi (Bin, 20I3, p. 372). Dalla qualificazione del popolo in termini unitari o come insieme di sin­ goli cittadini discendono rilevanti conseguenze. Aderendo all'una o all'altra opzione sorgono, rispettivamente, situazioni uti singoli o uti universi (Ama­ to, I962, p. 84; Carlassarre, 2oo6, p. 7 ). n popolo titolare della sovranità è stato fatto coincidere da taluno col corpo elettorale (Mortati, I957, p. 117 ); ma tale affermazione non supera agevolmente l'osservazione secondo cui il corpo elettorale si compone di raggruppamenti differenziati a seconda del tipo di attività (referendum, elezioni, promozione di leggi di iniziativa po­ polare) (Moretti, I993, p. 5). n concetto di popolo si distingue, inoltre, da quello di popolazione, che ricomprende finanche soggetti sottoposti all' au­ torità dello Stato in via soltanto temporanea (Crisafulli, I 9 5 8, p. I43). Si è detto, ancora, che la norma farebbe riferimento al «popolo viven­ te, risultante dal complesso dei soggetti che l'ordinamento considera ap­ partenenti allo Stato, ossia ai suoi cittadini » (Crisafulli, I 9 57, p. 428). Più precisamente, il popolo richiamato dall'articolo I darebbe luogo ad una figura giuridica soggettiva, costituita da una collettività unita da interessi collettivi (ivi, pp. 437 ss.). È stato rilevato, infatti, che si tratta di un'entità particolare per la quale non si potrebbero utilizzare le categorie tradiziona­ li; ed il popolo, titolare dei massimi poteri costituiti, è soggetto giuridico (Pubusa, I9 83, p. I34). Non contraddice tale conclusione il fatto che esso si articoli in autonomie locali ex art. 5 Cost., in quanto dalla sintesi degli interessi delle varie formazioni sociali scaturisce l' indirizzo della politica nazionale (ivi, p. I 6 3). Il popolo, afferma l'articolo I , esercita la sovranità nelle forme e nei li­ miti della Costituzione. C 'è da chiedersi, di conseguenza, cosa si intenda per esercizio della sovranità e quali siano le forme e i limiti ai quali esso è sottoposto. L'esercizio della sovranità non può ritenersi circoscritto alla funzione referendaria e a quella elettorale, attraverso le quali il popolo agisce in via diretta (Crisafulli, I9 57, p. 435; sarà, poi, il Parlamento, espressione della rappresentanza popolare, ad approvare le leggi e a determinare l'azione del governo ; Carlassarre, 2006, p. 8). Quando non opera direttamente, infatti, il popolo esercita comunque la propria sovranità aggregandosi per valutare l'operato di chi governa, anche e soprattutto tramite i partiti politici; a tal fine è necessario, di conseguenza, che i cittadini i quali intendano farlo ab­ biano la possibilità di incidere effettivamente sulla vita dello Stato ; è stato osservato come sia indispensabile, all'uopo, che la libertà di stampa sia ef21

ANTONIO PIRAS

fettiva e che le deliberazioni degli organi supremi possano essere effettiva­ mente conosciute dai cittadini (Esposito, I954, p. u ) . L'esercizio della sovranità deve avere luogo nel rispetto delle rego­ le previste dalla Costituzione stessa; se così non fosse, prenderebbe il so­ pravvento l'arbitrio popolare (ibid.). La sovranità non è, infatti, illimitata (Giannini, I990, p. 228). Solo le regole costituzionali consentono al popolo di impiegare lecitamente il suo potere attraverso lo Stato-soggetto ( Crisa­ fulli, I957, p. 436), sulla base dei meccanismi che consentono di tramutare la volontà popolare in atti legittimi. Qualora i governanti operino attraver­ so azioni contrastanti con i valori della Costituzione, la sovranità popolare può sostanziarsi anche nella possibilità di reagire rispetto a tali comporta­ menti: perché la sovranità possa essere esercitata dal popolo è necessario, infatti, che questo sia, effettivamente, «propulsore e controllore » dell' at­ tività di governo (Amato, I9 62, pp. 93 ss.). Affinché l'articolo I possa dirsi rispettato è necessario, perciò, che al popolo spetti « non la nuda sovranità, che praticamente non è niente, ma l'esercizio della sovranità, che pratica­ mente è tutto » (Esposito, I954, p. u ) .

1.4

La sovranità popolare oggi

La sommaria ricostruzione operata finora si rivela confacente, procedendo a ricomporre le trame del discorso fin qui sviluppato, per ricavare elementi utili a risolvere l' interrogativo iniziale: ossia, se si debba ammettere che la sovranità popolare, nell'epoca attuale, non sia altro che un'enunciazione dal valore meramente astratto o se ad essa, al contrario, si debbano ricono­ scere connotati di reale effettività. Detto in altri termini, c'è da chiedersi se il popolo, al giorno d'oggi, sia concretamente in grado di esercitare la so­ vranità che la Costituzione gli riconosce o se tale compito venga svolto, di fatto, da differenti entità. È innegabile che il principio di sovranità popolare conservi tuttora ri­ lievo primario nel nostro ordinamento. Il funzionamento dell' intero siste­ ma istituzionale è ispirato a tale principio e condizionato da esso. Tuttavia, numerose sono le ragioni che allarmano in ordine alla sua capacità di resi­ stere ai persistenti tentativi di sminuirne la portata. Fin dall'epoca immediatamente successiva all'entrata in vigore della Costituzione, gli studiosi più attenti ammonirono sul rischio che una par­ te dei cittadini fosse esclusa dalla possibilità di incidere in maniera concre22

I.

RIFL E S S I ONI SUL PRINCIPIO DI S OVRANITÀ P O P O LARE

ta sulla formazione della volontà popolare e che, di conseguenza, questa costituisse, nei fatti, espressione degli intendimenti di gruppi privilegiati (Crisafulli, I957, p. 46I). Tali timori si sono rivelati non infondati. Com'è stato, giustamente, os­ servato, la sovranità popolare richiede che i cittadini siano in grado di co­ municare con gli organi di direzione politica, e che il popolo sia posto nelle condizioni di rimediare al cattivo operato dei suoi rappresentanti (Amato, I9 62, pp. 97 ss.). Si assiste, però, ad un processo evolutivo del rapporto tra governati e governanti che rende sempre più flebile questo collegamento. Quello che è stato definito come processo di «erosione del principio di sovranità popolare » (Bin, 20I3, p. 3 6 9 ) agisce su due fronti: uno esterno ed uno interno. Sotto il primo profilo, è stato osservato come un indebolimento del­ la sovranità interna sia derivato dal rafforzamento di un' Unione Europea (ivi, p. 378) - spesso poco attenta ai bisogni sociali (Carlassarre, 2006, p. I 8) - nella quale il ruolo del Parlamento appare ancora poco incisivo rispet­ to a quello svolto dagli esecutivi. La stessa Unione Europea appare - a sua volta - incapace di reagire alle influenze dei mercati che l'hanno condotta su un binario di matrice !iberista, al cui cospetto la politica suscita l' impres­ sione di soccombere rispetto a logiche di stampo economico e finanziario che ne condizionano l'azione, spesso antitetica ai canoni della solidarie­ tà. L'economia globalizzata ha dato vita ad un processo di «trasferimento di poteri dagli Stati ai mercati » (Ferrarese, 2000, p. 7; Passaglia, 2006, p. 5 6 5 0 ) che rende i cittadini spettatori passivi - anziché, come la sovranità popolare richiederebbe, fautori - di evoluzioni e decisioni assunte in luo­ ghi differenti rispetto alle sedi politiche e istituzionali. In ambito interno, invece, numerosi sono i fattori che minano la tenuta del principio di sovranità popolare. In primo luogo, emergono con chiarez­ za i problemi causati da meccanismi elettorali caratterizzati da profili di in­ costituzionalità e non in grado di garantire la rappresentatività della volon­ tà popolare. A partire dalla xv legislatura, la composizione del Parlamento è stata determinata da una legge elettorale, la legge 2I dicembre 2005, n. 270, dichiarata parzialmente incostituzionale dalla Consulta con sentenza I/ 20I4. Ciò ha comportato un'evidente alterazione della rappresentanza popolare in Parlamento, con la creazione di maggioranze artificiose, carat­ terizzate da una notevole discrepanza rispetto alla reale composizione del corpo elettorale. Tale aspetto appare ancor più allarmante se si conside­ ra che l' intero impianto costituzionale è stato concepito sul presupposto di un sistema elettorale di matrice proporzionale. La recentissima riforma ,

23

ANTONIO PIRAS

della legge elettorale (attuata con legge 3 novembre 2017, n. 1 6 5) non risol­ ve il problema, in quanto prevede un sistema in parte maggioritario ed in parte proporzionale nel quale circa i due terzi dei membri del Parlamento saranno designati sulla base di liste bloccate, sui componenti delle quali gli elettori non potranno esprimere alcuna preferenza. I candidati saranno eletti, infatti, tenendo conto della posizione in lista, decisa dalle formazio­ ni politiche; la previsione di candidature multiple non fa che aggravare tale problema, consentendo ai partiti, attraverso il meccanismo delle rinunce, di privilegiare un candidato piuttosto che un altro indipendentemente dal consenso che ciascuno di essi sia in grado di riscuotere. È evidente che un sistema siffatto - !ungi dal garantire quel collega­ mento tra governanti e governati essenziale, come si è visto, ai fini del cor­ retto esplicarsi della sovranità popolare - impedisce ai cittadini di scegliere direttamente gran parte dei propri rappresentanti. La difficoltà di incidere sulla selezione dei parlamentari suscita notevoli dubbi sulla possibilità di intravedere nel popolo il reale artefice di queste valutazioni. Sarebbe au­ spicabile, pertanto, l'adozione di un sistema in grado di garantire che ogni membro del Parlamento costituisca espressione di un collegamento diretto con il proprio elettorato e non, al contrario, di selezioni operate da ristrette oligarchie di vertice. L' indebolimento del ruolo del Parlamento è confermato, poi, dalla ten­ denza all' incremento del ruolo dell'esecutivo dal punto di vista normativo: non solo col ricorso alla decretazione d'urgenza e a quella delegata, spesso accompagnata dall'utilizzo della questione di fiducia (addirittura per l'ap­ provazione della legge elettorale); ma anche attraverso un impiego assai ampio della regolamentazione attuata mediante fonti secondarie. È stato detto che « chi dispone delle fonti è padrone del sistema» ( Carlassarre, 2006, p. 25); ed è evidente come tali norme siano predisposte, sempre più frequentemente, in sedi diverse dal Parlamento. Tra le altre, basti pensare, ad esempio, alla crescente importanza del ruolo svolto, sotto questo profi­ lo, dalle Autorità indipendenti; nonché alla sempre maggiore attenzione che suscitano le cosiddette regole di soft law (Passaglia, 2006, p. s 6 S I ). Emerge, dunque, che alle decisioni riguardanti la vita pubblica del pae­ se non sempre si addiviene cercando di ricostruire rigorosamente la volon­ tà dei cittadini. Come è stato giustamente osservato, il ridimensionamento della sovranità popolare ha dato luogo a un trasferimento di potere a favore di soggetti diversi (Bin, 2013, p. 380 ), che agiscono sulla base di dettami non determinati in sede istituzionale ma ispirati, piuttosto, ad esigenze e logiche di tipo differente, spesso di matrice economica e finanziaria. 24

I.

RIFL E S S I ONI SUL PRINCIPIO DI S OVRANITÀ P O P O LARE I.S

Conclusioni

L'evoluzione ultima del ricorso alla sovranità popolare suscita preoccupa­ zione. Un popolo che non può incidere concretamente sulle decisioni che riguardano il proprio presente ed il proprio futuro rischia di diventare non solo spettatore passivo, ma addirittura vittima di scelte determinate da ca­ tegorie ristrette, spesso contrastanti con l' interesse pubblico. Il rischio è che tali deviazioni possano condurre all' indebolimento dei diritti fonda­ mentali. Per questa ragione, è importante riaffermare con forza il principio della sovranità popolare e adoperarsi affinché esso non solo non sia ri­ dimensionato ma venga, al contrario, rafforzato. A tal fine è necessario garantire che le leggi elettorali siano in grado di dar vita a un Parlamen­ to effettivamente rappresentativo del corpo elettorale; che la stampa sia svincolata da conflitti di interesse e resa in grado di informare in maniera imparziale sull'operato di coloro che governano e non - come talvolta accade - controllata da costoro ; che al Parlamento sia riconsegnata cen­ tralità e che allo strumento del decreto legge si ricorra nei soli casi straor­ dinari effettivamente previsti dalla Costituzione anziché come surrogato abituale dell'ordinario procedimento legislativo. La sovranità popolare rappresenta una conquista grandiosa del pen­ siero umano. Ha attribuito ai cittadini l'opportunità di tramutarsi da me­ ri destinatari a fautori delle decisioni riguardanti la comunità. Questo considerevole risultato va, tuttavia, custodito e preservato dal rischio di un suo affievolimento ; è evidente la sua fragilità, non tanto da un punto di vista formale quanto sotto il profilo sostanziale, se si considera l' enor­ me influenza delle forze che agiscono per indebolirlo e ridimensionarlo a favore degli interessi dei "gruppi privilegiati" sui quali fondatamente am­ moniva il Crisafulli ( I 9 57, p. 46I ). Spetta al popolo, e conseguentemente ad ogni singolo cittadino, adoperarsi per proteggere, tutelare e mantenere viva la propria sovranità. Essere parte attiva della vita pubblica; sottrarsi al disinteresse verso l'operato delle istituzioni; informarsi, studiare, cono­ scere ; curarsi di tutto ciò che riguarda la propria comunità evitando di de­ legare ad altri quella piccola porzione di sovranità che ciascuno di noi può e deve esercitare. Questa è la strada per salvaguardare la vitalità dell'art. I, comma 2° , Cost. ed evitare che la norma che fonda il nostro ordinamento venga relegata ad un ruolo di mera enunciazione astratta, privata, nel con­ creto, del profondo valore che i padri costituenti hanno inteso attribuirle

A NT O N I O P I R A S

al fine di consegnare a noi posteri, all'esito di tanti sforzi, un formidabile strumento di libertà.

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AMATO G.

2

La rappresentanza ai tempi di Facebook di Carlo Serra*

2.1

Int ro duz i o ne

Dalla pubblicazione del primo volume di quest'opera sono passati dieci an­ ni, un tempo relativamente breve in cui però il ruolo della rappresentanza e della partecipazione politica si è trasformato sotto la spinta dei cambia­ menti sociali dell'era globale e della crisi economica iniziata nel 2007-o8. La rappresentanza politica è in difficoltà nella gran parte delle demo­ crazie occidentali, sia per l' incapacità dei governi eletti di rispondere alle esigenze dei cittadini, sia per l'evidente crisi di legittimazione dei partiti politici, i quali per tutto il Novecento sono stati lo strumento attraverso cui il popolo ha potuto esercitare la sua sovranità, riconosciuta nella nostra Costituzione ali' articolo 1 . Ecco dunque che la democrazia rappresentativa, realizzatasi dopo seco­ li in cui il governo era nelle mani di un singolo sovrano o di pochi notabili, per quanto ancora sopravviva e sia espressione delle odierne rappresentan­ ze nelle assemblee elettive, si scontra con la richiesta sempre più insisten­ te proveniente "dal basso" per l' introduzione di nuove forme di democra­ zia partecipativa, basate sul diretto coinvolgimento nella gestione del bene pubblico e nelle attività dello Stato da parte dei singoli cittadini o di forme organizzate di questi. Il distacco esistente tra chi governa e chi è governato coinvolge il siste­ ma tradizionale dei partiti, percepito sempre più avulso dalla realtà, non sempre a torto, e dagli elettori che la vivono; le scelte politiche dei partiti sono valutate dalla maggior parte dei cittadini come azioni di autoconser­ vazione fini a se stesse e non come atti rivolti alla tutela dell' interesse gene­ rale e del bene pubblico. * Dottore in Giurisprudenza.

C A R L O S E R RA

Questo fattore ha al contempo favorito la crescita in tutta Europa di una nuova realtà politica: i partiti antisistema e "populisti': che sfruttano la frattura tra il centro del potere e il popolo unitariamente inteso. Sono que­ sti movimenti a minare ancor più la credibilità e la funzionalità del sistema rappresentativo, proponendo una partecipazione più diretta dei cittadini nella dimensione politica, con risultati elettorali in crescita che premiano la loro strategia di acquisizione del consenso. Nel flusso dei cambiamenti di questo contesto, assume grande rilevanza l'evoluzione delle nuove tecnologie e in particolare, per quel che ci compete, della Rete nel suo utilizzo comunicativo e connettivo, come strumento in­ sostituibile per movimenti, partiti, organizzazioni o formazioni sociali che intendano raccogliere consenso o divulgare informazioni, ma anche per il singolo individuo come mezzo per esprimere opinioni in modo diretto. Emerge in maniera lampante, ed è visibile ai più, quanto sia stretto il legame tra gli strumenti della Rete e i processi decisionali democratici che in essa sono costruiti, in particolare il nuovo ruolo di cittadinanza attiva in rapporto con i decisori politici, che proprio grazie alle innovazioni sono co­ stantemente monitorati e obbligati a relazionarsi con il "pubblico" non più solamente nel momento del voto, ma per tutta la durata del mandato politi­ co, in un costante processo di condizionamento delle loro scelte di governo. La Rete come mezzo politico dunque, per far pervenire istanze al deci­ sore, ma anche come fine politico, inteso come raggiungimento di una piena partecipazione dei cittadini, direttamente coinvolti nella definizione delle decisioni pubbliche (Riva, 2017 ). Questo processo è già in atto, senza che pe­ rò esista un' istituzionalizzazione nello spazio pubblico e sociale, nonostante l'attuazione della e-democracy e di forme di consultazione e partecipazione basate su strumenti tecnologici che i governi stanno sperimentando. Come si può intuire da queste prime battute, l'opinione ormai diffusa riguardo alla digita! tranifòrmation, che nella sua definizione originaria in­ teressava il processo di cambiamento delle aziende tramite il miglioramen­ to dell'efficienza operativa e della customer experience, è che essa pervada ogni tipo di organizzazione e aspetto della società umana, comprese le isti­ tuzioni governative e pubbliche, i sistemi d' informazione come i giornali e la comunicazione politica, fino alle attività che attengono alla partecipa­ zione dei cittadini e alla loro rappresentanza nelle istituzioni. Siamo sempre più immersi in una nuova rivoluzione industriale, rap­ presentata dall'avvento di macchinari e oggetti connessi a Internet, il feno­ meno cosiddetto "Internet delle cose" (Internet ofThings o IOT), con circa venti miliardi di dispositivi connessi rispetto ai cinquecento milioni di un

2.

LA RAPPRES ENTANZA AI TEMPI DI FACE B O O K

decennio fa. Ciò comporta l a produzione d i un' immensa quantità d i dati, ma quello che più importa è che la maggior parte di questi dati riguarda le persone e la loro sfera privata: anche gli individui sono continuamente connessi e riversano in Rete umori, paure, bisogni e aspirazioni. Tutti ele­ menti utili per formulare messaggi in grado di condizionare il consenso dei cittadini e le loro scelte elettorali. Nel precedente volume si accennava solamente all'uso delle nuove tec­ nologie in politica, poiché il fenomeno era ancora in una fase di sviluppo embrionale: in dieci anni si è passati dall'uso dei soli forum e blog, all'uti­ lizzo dei social network, vero motore della comunicazione politica odier­ na. I vari Facebook, Twitter, lnstagram, solo per citare i più popolari, sono diventati il luogo di intermediazione e rappresentanza, specchio della no­ stra società e agorà politica insieme, in cui tutto è comunicato ma in cui niente è costruito. Per comprendere il fenomeno in atto è necessario chiarire quanto la de­ mocrazia rappresentativa e i principi costituzionali che ne sono espressione siano allineati con le richieste attuali di partecipazione e ampliamento del­ la sovranità popolare.

2. 2

Dalla democrazia rappresentativa ai nuovi populismi: la crisi del s istema dei p artiti

Nella sua più importante opera, Principi del governo rappresentativo, Ber­ nard Manin (2010) descrive l'evoluzione del concetto di democrazia rap­ presentativa nel corso dei secoli, a partire dall'antica Grecia, da Atene, do­ ve per duecento anni il principale metodo utilizzato per la scelta delle più importanti cariche è stata l'estrazione a sorte. Un sistema in cui forse vi era un'eccessiva preponderanza del "caso" nella scelta dei rappresentanti, bi­ lanciato però dal rispetto di alcune precondizioni: ad esempio i cittadini sorteggiati, prima di ricevere il mandato, erano sottoposti a una sorta di esame che aveva la funzione di verificare se l'estratto avesse tenuto una con­ dotta soddisfacente riguardo gli obblighi sociali, come il pagamento delle tasse e il servizio militare, e se non fosse accostabile a simpatie oligarchiche. Si svolgeva un vero e proprio esame di moralità pubblica per verificare se il cittadino fosse realmente in grado di svolgere la sua funzione; un sistema che probabilmente anche oggi avrebbe una sua utilità. Inoltre le cariche 29

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erano a rotazione, per cui il mandato non poteva essere esercitato a tempo indeterminato. Erano proprio questi rappresentanti che detenevano il potere politico attraverso i diversi organi in cui svolgevano la carica, rispetto all'Assemblea pubblica che era organo di ascolto e proposta. Il governo rappresentativo, per come lo conosciamo noi, si è sviluppato nel Settecento in alcuni Stati (Inghilterra, Stati Uniti e Francia) nel mo­ mento in cui si iniziò a intendere il potere politico come prerogativa di rap­ presentanti eletti e distinti dai cittadini rappresentati, ma allo stesso tempo espressione di questi. Questo grande traguardo democratico, in cui si con­ cepisce il governo per delega, era certamente ridimensionato dall'effetti­ vità della rappresentanza, non ancora universale ma riguardante più che altro alcune classi sociali che detenevano il potere politico ed economico. L'evoluzione piena della democrazia rappresentativa si è concretizzata solo con l'avvento delle ideologie ottocentesche e dei partiti di massa nel No­ vecento. Queste organizzazioni, con la loro struttura complessa radicata nel territorio e la capacità di mobilitare interi gruppi sociali, sono riuscite a rappresentare non solo l'universalità dei cittadini, ma anche gli interessi delle diverse classi sociali, divenendo al contempo luogo di formazione e selezione di soggetti in grado di essere decisori politici. Per decenni questo sistema di rappresentanza ha garantito governi de­ mocratici e una dicotomia sull'asse orizzontale "destra-sinistrà: in cui tutti i gruppi sociali si riconoscevano, scegliendo dunque partito e rappresen­ tante di riferimento sulla base di questa contrapposizione. Questo sistema ha retto fino alla conclusione della guerra fredda e ali' avvento della globalizzazione, che ha modificato profondamente la no­ stra società, fino ad arrivare all'odierna "società liquida" (Bauman, Bordo­ ni, 2015) in cui, tra le diverse caratteristiche che la definiscono, vi è la crisi dello Stato a favore di poteri sovranazionali; e con lo Stato è entrato in crisi anche il sistema di rappresentanza, insieme alle sue ideologie. La crescente insoddisfazione dei cittadini per la situazione economica e sociale ha comportato un costante ma inarrestabile allontanamento di que­ sti dalle istituzioni democratiche; insoddisfazione alimentata da un sempre più diffuso sentimento antisistema e anti politico dovuto agli scandali di cor­ ruzione e all' incapacità di governo dimostrata in diversi frangenti. I partiti, in particolare quelli storici o le formazioni nate da questi, si dimostrano sempre più incapaci di comprendere la complessità sociale e di conseguenza non sembrano più in grado di rappresentare i cittadini nelle istituzioni, per cui la mancanza di questa connessione comporta decisioni

2.

LA RAPPRES ENTANZA AI TEMPI DI FACE B O O K

d i governo che non rispondono a esigenze plurali n é sono i n grado d i co­ struire un percorso comune che riguardi il futuro della società. Il sistema dei partiti, non offrendo più garanzie di rappresentanza, per­ de la legittimità che lo alimenta ed è costretto a stare in piedi in una logica di perenne sopravvivenza, compiendo scelte e attuando indirizzi politici che l'elettorato non comprende o non approva. Lo stesso sistema di elezio­ ne, in Italia oggetto di continui cambiamenti, è sempre più percepito come una legge tendente a perpetrare il potere e non come un giusto strumento di democrazia che deve tenere conto della composizione sociale, e di con­ seguenza elettorale, del paese. Vi è anche da aggiungere che le attuali sfide globali sono di difficile solu­ zione e, sempre più spesso, le decisioni attuate escono dal classico schema de­ stra-sinistra, sovvertendone l'ordine dei valori. È ormai pensiero diffuso che i partiti espressione della sinistra internazionalista siano sempre più su posi­ zioni che assumono l'aspetto di una difesa dello stato di diritto e delle istitu­ zioni mondiali, comprese quelle finanziarie ed economiche; mentre i partiti espressione della destra si sono trasformati in movimenti rivoluzionari, che hanno lo scopo di sovvertire l'ordine costituito in chiave identitaria e prote­ zionistica del popolo inteso in senso stretto, ovvero la comunità nazionale. Da ciò ne consegue che le tradizionali basi elettorali sono ormai fuse tra loro, cambiano più facilmente posizione politica e basano la scelta della rappresentanza non più sull'appartenenza ideologica, ma in funzione della proposta politica che sembra dare risposte convincenti al sentimento pre­ valente in ogni singolo individuo. È il singolo che cerca rappresentanza, non la massa, ed è l' individuo nella sua soggettività che cerca solidarietà con altri singoli, formando nuove comunità. Non si tratta banalmente di atteggiamenti egoistici, ma del perseguimento di interessi individuali ri­ portati in una dimensione di bene comune. Il sentimento di sfiducia che ha coinvolto in questi anni le istituzioni è riscontrabile nei numeri: se si analizzano i dati EURISP E S 2016, si nota un generale clima negativo verso l'apparato statale, nonostante i consensi sia­ no saliti dal 2,4% del 20I5 al 7,5% del 2o16. In particolare il governo aumen­ ta la propria fiducia dal 1 8,9% del 2015 al 28,6% del 2o16 ( +1o% ), mentre il Parlamento cresce di un IO,I% rispetto al 20I5, attestandosi al 2o%. Rimane invece costante la sfiducia nei confronti dei partiti, che registrano un 1 1,9%, mentre la Pubblica Amministrazione si attesta al 22,6%. Per capire il senso di questi numeri è forse utile fornire anche il dato della fiducia degli italiani nei confronti del volontariato, che raccoglie il 73,8% dei consensi, mentre la Chiesa è al 52,5%. 31

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Non vi è da stupirsi se la sfiducia dei cittadini investe anche il ruolo del­ le assemblee rappresentative, le quali stanno perdendo progressivamente la loro funzione a favore del potere esecutivo, e quindi dei governi. Si noti, infatti, che nonostante il potere legislativo sia prerogativa del Parlamento, nella XVII legislatura, su un totale di 306 leggi approvate, ben 242 sono sta­ te proposte da membri del governo ( 79%) e solo 62 da parlamentari (2o% ). Anche lo strumento dell' iniziativa popolare ha perso gran parte del si­ gnificato originario insito nell'articolo 71 della Costituzione: si pensi che dal 1979 al 2014, su 260 proposte, solamente 3 sono diventate legge, l'ulti­ ma nel 2ooo. Tutte le forme di democrazia diretta contemplate dai padri costituen­ ti hanno perso efficacia, non solo quindi l'iniziativa popolare, ma anche il referendum nelle sue diverse forme previste dagli articoli 75, 138 e 132 della Costituzione: da quello abrogativo a quello eventuale nell'approvazione di riforme costituzionali o leggi costituzionali, dai referendum territoriali per le fusioni o le costituzioni di Regioni al referendum che contempla gli enti locali e la scelta di questi di staccarsi da una Regione e aggregarsi a un'altra. L'uso sregolato della consultazione referendaria popolare, in particolare in senso abrogativo, utilizzata negli ultimi decenni come strumento di contrap­ posizione politica per meri fini elettorali, ha fatto sì che il suo valore demo­ cratico si sia consumato nel corso degli anni: basti sapere che il 40,91 % dei 66 quesiti abrogativi fino ad oggi proposti non ha raggiunto il quorum ne­ cessario. La dimostrazione nei numeri di quanto la partecipazione dei citta­ dini è un concetto relativo, oggi più che mai ai minimi storici. In questa crisi generale del governo rappresentativo emerge quello che Revelli (2017) definisce il "sintomo" più evidente, ossia il populismo, che rinviene come reazione ogniqualvolta il popolo non si sente rappresentato, ma anche come "malattia infantile della democrazià: esattamente come ac­ cadeva tra Ottocento e Novecento, quando il populismo era la rivolta degli esclusi dal suffragio e dalle barriere classiste. La contrapposizione che nasce da questa mancanza di rappresentanza non è più quella "orizzontale" tra destra e sinistra, ma è di tipo "verticale': cioè tra il popolo e ciò che sta sopra di esso, le istituzioni e i poteri finanzia­ ri. E ciò avviene perché il popolo, privo di punti di riferimento, sfiduciato e sempre più esposto alle crisi di varia natura che colpiscono la società, in particolare quelle economiche, identifica in quei poteri e in chi li rappre­ senta la causa dei suoi mali. n populismo moderno non si rivolge più alle masse intese come gruppi sociali ma all' individuo in senso protezionistico, veicolato attraverso nuo32

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ve forme partitiche che assumono posizioni sempre più ambigue sull'asse ideologico destra-sinistra, spostandosi a seconda degli umori dell'elettorato. Perciò sono «i votanti, non i partiti, che dettano le modifìcazioni di com­ portamento tanto da concludere che ora il sovrano è il consumatore politi­ co» (Lilleker, Lees-Marshment, 2005, p. 206). Un elettore non più legato al senso di appartenenza ma più propenso al consumo usa e getta del partito è anche maggiormente condizionato dalla comunicazione di un'offerta poli­ tica che dà un' immagine di rottura rispetto al passato e che promette di ri­ mettere al centro delle decisioni politiche il cittadino e la sua sovranità.

2.3

Nuovi orizzonti dell ' informazione : la comunicazione politica in Rete

Nella formazione dell'opinione pubblica assume un ruolo sempre più cen­ trale la comunicazione politica, intesa come formazione di consenso elet­ torale; se per tutto il secolo scorso questo ruolo è stato svolto dalla stampa prima e dalla televisione poi, oggi si assiste all'affermazione della Rete e del web come mezzo principale di comunicazione e di circolazione di opi­ nioni e idee, diventando elemento sempre più essenziale della vita sociale, partecipativa, relazionale di una comunità (Papa, 20I7 ) È nella Rete che oggi vengono rappresentante le identità, i valori e gli ideali, dove si con­ sumano i conflitti ideologici e dove tutto è comunicato, attraverso regole autoimposte. La Rete, oltre a facilitare la diffusione di informazioni sulle questioni politiche, favorisce altresì il coordinamento delle varie esperienze di attivi­ smo e di protesta a livello locale, nazionale e globale. Ne sono esempio le Primavere arabe, ma anche i movimenti di protesta come Occupy Wall Street e gli Indignados: i partecipanti a queste azioni politiche hanno utilizzato la Rete per comunicare tra loro e con l'esterno, per far circolare contenuti, proposte e anche per organizzare incontri e manifestazioni molto parteci­ pate. I social network hanno avuto un ruolo fondamentale in queste espe­ rienze, come strumenti di connessione e di supporto alla mobilitazione, ma difficilmente si può pensare che siano stati questi gli attivatori dei processi di contestazione (Morozov, 2orr ), poiché senza la volontà delle persone questi eventi non si sarebbero verificati. .

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Vi è da notare in questo senso che la possibilità di accesso alla Rete varia a seconda dei paesi, tra nazioni industrializzate in cui le connessioni veloci sono diffuse su tutto il territorio rispetto a quelle meno industrializzate con capacità più ridotte. Inoltre, l'utilizzo della Rete varia anche all' interno del singolo paese, secondo il livello economico, di scolarizzazione, di alfabetiz­ zazione digitale e dell'età anagrafica. In Italia, ad esempio, l'ultimo rapporto Censis ci chiarisce che l'utilizzo della Rete varia moltissimo in base all'età: la quota di utenti tra i giovani (14-29 anni) è del 9 o, s %, mentre tra gli ultrases­ santacinquenni si attesta al 38,3%. Si potrebbe dire che la Rete è sì libera, ma ancora non è uno strumento universale alla portata di tutti e quindi è causa di disuguaglianze tra chi ha gli strumenti e le competenze per usare le nuove tecnologie e partecipare alla discussione politica della propria comunità e chi invece ne è sprovvisto. Libera è indubbiamente la forma della comunicazione in Rete, senza intermediazione fisica, in cui a pronunciarsi è direttamente il cittadino, con tutte le sue capacità e conoscenze espresse in maniera intellettualmente onesta perché prive di costrutti politici e di timore reverenziale verso qual­ siasi interlocutore; libero da vincoli di natura sociale ma con tutti i suoi limiti e le sue paure, il malessere che vive in base alla sua condizione e le ragioni di opportunità (talvolta anche etiche) che in altri contesti influen­ zano in buona misura l'espressione del pensiero dell' individuo. Quando la discussione è alimentata da opinioni contrastanti, la media­ zione in Rete diventa impossibile perché chi si esprime, normalmente, non ricerca una conciliazione tra posizioni differenti, non essendo un soggetto rappresentante, ma la predominanza rispetto alla controparte ; è così che si crea la retorica del nemico non solo verso le classi dirigenti, ma anche verso altri comuni cittadini che la pensano diversamente. Così si viene a creare la cosiddetta shitstorm, «letteralmente "tempesta di merdà', con cui si indica il fenomeno diffuso [ ... ] soprattutto nei blog e sui soci al network di discus­ sione e critica massiva attorno a questioni di dominio pubblico, con l'uso di un linguaggio fortemente connotato in senso negativo e talvolta violen­ to» (Han, 2013, p. 14). La comunicazione avviene non soltanto tra i cittadini utenti, ma an­ che verso di questi da parte di forme più o meno organizzate di informa­ zione, che utilizzano il vero core business del nuovo mercato globale: i big data raccolti da tutte le aziende tecnologiche e non solo. L'aggregazione di questi dati nel campo della comunicazione permette di costruire un mes­ saggio personalizzato sulla base delle caratteristiche espresse dai singoli o dai gruppi che si vogliono raggiungere, secondo quelli che sono i modelli 34

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d i marketing più utilizzati. In questo modo, anche gli argomenti sollevati sono rivolti direttamente a chi è sensibile al messaggio, senza coinvolgere terzi non suscettibili. Un meccanismo definito dog whistle politics, ovvero la "politica del fischietto per cani": solo alcuni avvertono il richiamo, men­ tre gli altri non sentono nulla (da Empoli, 20I7 ). Questo meccanismo, creato allo scopo di costruire comunità di indi­ vidui con identità allineate, crea una comunicazione distorta, non più in­ formativa ma deformata; per di più «la connessione digitale favorisce la comunicazione simmetrica. Chi oggi prende parte alla comunicazione non consuma le informazioni solo in modo passivo, ma le produce attivamente. Nessuna gerarchia separa il trasmittente dal ricevente: ognuno è, insieme, trasmittente e ricevente, consumatore e produttore » (Han, 2013, p. 14). L'utilizzo di queste forme di comunicazione diventa ancora più dan­ noso se diretto alla ricerca di consenso politico, perché attraverso di esse si è in grado utilizzare le informazioni raccolte per consolidare il voto tramite un algoritmo che, analizzando gli utenti-elettori, i loro dati e il loro umore, è in grado di confezionare contenuti che saranno sempre positivi per chi partecipa a quella determinata proposta politica. L'esempio più chiaro è rappresentato dal fenomeno del momento, lejàke news, ovvero notizie ela­ borate sotto forma di articoli che apparentemente rispettano i canoni del diritto di cronaca, ma che in realtà descrivono fatti inesistenti o falsati. Ciò significa costruire il consenso sull'onda emozionale del momento, rispetto alla quale la dimensione programmatica delle proposte diviene assoluta­ mente secondaria (Fasano, Panarari, Sorice, 2016). Vi è un altro fenomeno contingente della comunicazione politica odier­ na, ovvero il rapporto fra le leadership che emergono tramite la Rete e i cit­ tadini. Dalla compressione del ruolo dei partiti e dalla standardizzazione dei messaggi e delle informazioni rivolte agli elettori di riferimento, emerge l' in­ carnazione della proposta politica sotto forma di leader che rispondono alle caratteristiche ricercate dagli elettori-utenti. Questa "leaderizzazione" della politica è altresì favorita dalla crisi del­ le assemblee rappresentative a favore degli organi esecutivi, come rilevato in precedenza, mentre la Rete diventa lo strumento di legittimazione della leadership, finanche di creazione, attraverso una costante comunicazione diretta tra il leader e gli utenti-elettori. Questa riduzione apparente della distanza fra politica e cittadini solo in teoria favorisce una maggiore inter­ locuzione: di fatto è invece sempre più accentuata la trasformazione dei politici in personaggi mediali o celebrities rispondenti a logiche di spettaco­ lo (De Blasio, 2014). La personalizzazione elimina qualsiasi altra forma di 35

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mediazione per cui l'organizzazione dei partiti si trasforma in un semplice comitato elettorale del leader e della sua stretta cerchia di dirigenti. A loro volta, questi stessi dirigenti sono il frutto di una selezione basata non più sul merito o sull'esperienza, ma sulla base delle capacità comunicative che questi devono avere e sulla fedeltà al leader più che ai valori che dovrebbe­ ro rappresentare. Si avverte così un passaggio che va oltre la democrazia rappresentativa, per arrivare alla democrazia della rappresentazione, dove tutto ciò che è politico, dal messaggio alla persona fisica, altro non è che il risultato di un algoritmo che, traducendo l'analisi dei dati di un periodo determinato in azioni e proposte, sviluppa nuovi meccanismi di interazione sociale. Per quanto detto a proposito della comunicazione politica in Rete, sembrerebbe giunto il momento di una legge in materia, che prima di tutto disciplini l'uso del mezzo di comunicazione come avviene per gli altri mass media, e in secondo luogo ponga un argine all'utilizzo del web come stru­ mento di informazione distorta e propaganda incontrollata, garantendo al contempo la libertà di pensiero espressa all'articolo 21 della Costituzione.

2.4

La democrazia partecip ativa n eli 'ordinamento costituzionale

Gli strumenti della Rete stanno condizionando il modo in cui la parteci­ pazione politica è esercitata e sono sempre più orientati verso il raggiun­ gimento della cosiddetta "democrazia digitale". Abbiamo detto della co­ municazione politica, ma a questa si associano altri mezzi per favorire il coinvolgimento dei cittadini prima di tutto da parte delle amministrazioni pubbliche: il cosiddetto open government, realizzato attraverso la traspa­ renza delle procedure e con forme di consultazioni pubbliche che ad esem­ pio, nel caso dell' Islanda, sono arrivate fino alla più ampia partecipazione popolare nella redazione della bozza di un nuovo testo costituzionale. Ancor più rilevante è l'utilizzo dei nuovi strumenti tecnologici da par­ te di movimenti e partiti: i blog, i forum e soprattutto i social network so­ no diventati la nuova dimensione politica, poiché hanno messo i cittadini in condizione di partecipare ai processi decisionali, sostituendo le tradizio­ nali sedi di confronto politico.

2.

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Siamo dinanzi a una nuova forma d i cittadinanza: quella digitale, in cui i cittadini hanno un ruolo centrale nelle decisioni riguardanti l' interes­ se pubblico, incidendo sui processi politici; si tratta, di fatto, di un amplia­ mento di diritti che non possono essere compressi ma che devono essere integrati con le nostre regole fondamentali espresse nei principi costituzio­ nali che riguardano la rappresentanza e la partecipazione. Al momento permangono molte perplessità in questo senso; pren­ diamo in considerazione l'articolo 49 della Costituzione, il quale reci­ ta: «Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale » . n primo problema è come si possa tradurre oggi l'associazione ai partiti, quando l'appartenenza politica è molto ridimensionata rispetto al passato e le affiliazioni si basano sulla condivisione di messaggi tramite post su Fa­ cebook o Twitter e del loro contenuto. La "condivisione" è, dopo il voto, l'azione politica più influente, oltre ad essere un parametro di valutazione per verificare il gradimento di un certo contenuto. L' impatto sul consenso elettorale è garantito dai numeri della condivisione e delle connessioni, se­ condo quanto afferma la legge di Metcalfe che mostra come il valore delle tecnologie di rete aumenti esponenzialmente con il numero dei nodi con­ nessi. Questo fa in modo che le tecnologie più usate siano prevalenti, anche se queste non sono le migliori. Il secondo problema riguarda invece il "metodo democratico': cioè le varie forme di partecipazione, che una parte sostanziale della popolazione italiana ritiene non più sufficienti perché mal gestite dalla politica. Suben­ tra quindi la richiesta della partecipazione diretta, che però presenta diver­ si problemi dal punto di vista pratico e democratico. Prendiamo in considerazione il movimento politico italiano che mag­ giormente utilizza strumenti di democrazia partecipativa: il Movimento s Stelle. Per prima cosa la partecipazione è condizionata dalla registrazione su una piattaforma denominata Rousseau che è gestita da un soggetto terzo privato che ha l'effettivo controllo di tutte le procedure e dei dati raccolti. All' interno della piattaforma non vi è discussione, ma sono portati a termi­ ne i processi di voto ; la formazione delle opinioni avviene altrove, nei so­ dal attraverso le pagine gestite sempre da terzi privati, e tramite blog, con le dinamiche spiegate a proposito della comunicazione politica. Non siamo dunque di fronte ad un vero e proprio processo deliberati­ vo : questo, infatti, necessita «di un incontro tra argomentazioni che giu­ stifichino una decisione finale. Per valutare le ragioni dell'accettazione e del rifiuto della proposta in condizioni di parità (isegoria) e pervenire a una 37

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deliberazione, è necessario seguire un percorso logico che porti alla condi­ visione o meno di un obiettivo. Ciò presume una fase di ascolto, di valu­ tazione e di critica: i presupposti per tale procedimento devono pertanto essere la massima inclusività e la parità delle parti in dibattito. Un percorso orizzontale, come quello che si svolge in qualsiasi agorà, e non invece gui­ dato da vertici » (Bilancia, 2017, p. 9 ) . Per quanto concerne poi i numeri della partecipazione, abbiamo realiz­ zato già nelle pagine precedenti che l'utilizzo delle nuove tecnologie è più una prerogativa dei giovani, i cosiddetti "nativi digitali': cui si aggiunge chi, pur non essendo giovane, ha imparato l'utilizzo delle nuove tecnologie per ragioni di studio e lavoro. Non parliamo dunque dei cittadini nella loro uni­ versalità e questo comporta una profonda divisione sociale e democratica, che è dimostrata anche dai numeri di chi oggi pratica la democrazia digitale: ad esempio nelle principali consultazioni fatte dal Movimento s Stelle (tra cui anche l'elezione del capo politico) all'interno del suo sistema operativo, su una base di circa 8o.ooo iscritti la partecipazione si attesta sempre tra i 2S3s.ooo utenti-elettori. Una cifra, sia in termini di iscritti sia di votanti, deci­ samente lontana dalle percentuali elettorali che il MSS registra (si pensi agli otto milioni di voti ottenuti alle elezioni nazionali del 2013). Ferme restando le problematiche emerse sul contenuto stesso della vo­ tazione, come sono rappresentati questi elettori nel momento della scelta dell' indirizzo politico ? Sembrerebbe quasi che ci si trovi di fronte a una dittatura delle minoranze attive, che influenzano le scelte non tanto tra­ mite idee e proposte, quanto grazie alla massa di informazioni che lascia il loro passaggio sulla Rete; mentre la gran parte degli elettori continua ad esprimersi esclusivamente con il voto nel momento elettorale. Lo stesso meccanismo deliberativo è utilizzato anche per la selezione delle candidature su cui si innesta un altro principio della nostra democra­ zia rappresentativa, quello della delega, cioè del rapporto che lega l'elettore rappresentato al rappresentante eletto. Anche tale aspetto in parte è stato plasmato dalla democrazia partecipativa del Movimento s Stelle che, su­ perando il meccanismo delle primarie, ha eliminato qualsiasi tipo di inter­ mediazione per cui la scelta avviene direttamente tra gli stessi cittadini che partecipano alla competizione elettorale interna, con metodi di selezione basati su presentazioni generali che niente hanno a che vedere con l' impe­ gno politico del soggetto. In questo senso, l'attenzione è focalizzata sul divieto di mandato impe­ rativo previsto all'articolo 67 della Costituzione che recita: « Ogni mem­ bro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza

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vincolo d i mandato » ; tale divieto mira a sciogliere l'eletto dal vincolo nei confronti dei propri elettori ed era alla base delle prime forme di governo rappresentativo, anche prima della Rivoluzione francese nella quale fu poi elaborato ed inserito nella Costituzione del I79I, che prevedeva: «l rap­ presentanti eletti nei dipartimenti non saranno rappresentanti di un dipar­ timento particolare, ma della nazione intera, e non potrà essere conferito loro alcun mandato » . Con la previsione dell'articolo 6 7 si vuole tutelare la libertà di opinio­ ne e di voto dei parlamentari, che sono chiamati ad agire nell' interesse ge­ nerale dello Stato e dei suoi cittadini, e non nell' interesse particolare del proprio partito né degli elettori della circoscrizione in cui sono stati eletti. Pur essendo questo principio disatteso troppo spesso, eliminarlo del tutto, come vorrebbero i fautori della democrazia partecipativa in Italia, equivar­ rebbe a creare un sistema di parlamentari telecomandati, senza nemmeno sapere chi abbia in mano il telecomando. I rappresentanti dovrebbero ri­ spondere a una minoranza del paese che partecipa al voto online ? Oppu­ re dovrebbero rispondere solo al partito ? Il parlamentare deve perseguire l' interesse della comunità e non di una sua parte, ma nel perseguirlo deve essere garantito e tutelato dalla Costituzione nel poter esprimere un dis­ senso anche rispetto al partito che lo ha eletto, quando ritenga che le deci­ sioni prese siano contrarie all' interesse nazionale, come nel caso di eventi bellici, oppure nei casi di voto su temi etici. Se il rappresentante-portavoce non ha nessuna possibilità di modificare la decisione della Rete, pena la sua esclusione, il divieto del vincolo di mandato è sostanzialmente superato, facendo crollare un principio fondamentale della democrazia rappresen­ tativa; prova ne è che il vincolo di mandato vige soltanto in Portogallo, Panama, Bangladesh e India, mentre in passato vigeva nei paesi comunisti dell' URS s, dove era conseguenza dell'esistenza del parti to unico. Andando oltre queste critiche, vi è comunque da dire che i nuovi stru­ menti della democrazia partecipativa non sembrano aver aumentato la par­ tecipazione politica: i soggetti maggiormente attivi in Rete sono, infatti, tendenzialmente quelli che avevano già esperienze di attivismo civico (Maz­ zoli, 2009 ). C 'è chi sostiene anzi che la partecipazione in Rete sia da con­ siderare più un "attivismo da poltrona': in cui l' impegno richiesto è molto basso, ma la percezione del cittadino-utente sia invece quella di essere un contributore rilevante dei processi decisionali (Morozov, 2011 ) . Insomma, nemmeno la democrazia digitale e la sua ambizione di "go­ verno collettivo" hanno reso la popolazione italiana politicamente più at­ tiva. Questo è dimostrato dai dati dell'astensionismo delle ultime tornate 39

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elettorali che segnano un drammatico distacco tra i cittadini e le istituzio­ ni a ogni livello. Qualunque momento elettorale registra una diminuzione dei votanti che, per quanto riguarda le elezioni della Camera dei deputati, ha toccato il suo indice più basso nel 2.013 quando la percentuale degli elet­ tori è stata del 7 5,2.0% (alla prima elezione della camera nel 1948 partecipò il 92.,2.3% del corpo elettorale). Nelle elezioni amministrative, nonostante la svolta data negli anni Novanta con l'elezione diretta dei sindaci, le per­ centuali sono anche peggiori: nelle amministrative del 2.o16, tenendo con­ to del dato generale delle città al voto, si è avuto il 67,42.% dei votanti al primo turno e il 50,52.% al secondo, mentre nella tornata del 2.011 al primo turno i votanti furono il 71,04% degli aventi diritto e al secondo il 60,2.1% (dati Openpolis). La tendenza non sembra in miglioramento se si pensa che nell'ultima tornata elettorale del 2.017, le elezioni regionali in Sicilia, al primo turno l'affluenza è stata del 46,76%. Anche le percentuali che si registrano nel resto d' Europa, nonostan­ te sistemi elettorali differenti, non sembrano dare in generale, a parte qualche eccezione, indicazioni diverse rispetto all'astensionismo dilagan­ te: ad esempio alle elezioni amministrative del 2.014 di Parigi ha votato il 5 6,2.7% dei cittadini, mentre a Londra alle elezioni per il sindaco ha votato il 45,30% dei londinesi. Se la partecipazione al voto dovesse rimanere tale anche nelle prossime competizioni elettorali, quali che siano gli strumenti di selezione dei can­ didati o il meccanismo della legge elettorale, si avrebbero governi sempre meno legittimati nell'esercizio dell'attività di governo. Si deve dunque ca­ pire quali strategie si possono mettere in campo per ripristinare quel dove­ re civico del voto espresso nell'articolo 48 della Costituzione e fino ad oggi non ancora attuato completamente.

2. . 5

Conclusioni

È indubbio che la democrazia rappresentativa si stia sgretolando soprattut­ to a causa dello scollamento profondo tra le istituzioni e il popolo sovrano. Vi è una crisi profonda nella società, di identità e di valori che nemmeno la Rete è in grado di risolvere ; l'utilizzo degli strumenti del web e dei social network non risolve i problemi di buon governo e buone pratiche di cui oggi il popolo risente.

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Più trasparenza, maggiori informazioni verificate e nuove formule per coinvolgere realmente i cittadini nei processi decisionali sono ormai diritti acquisiti, ma le modalità con cui esplicarli rimangono incerte e, per alcu­ ni tratti, non in linea con il nostro ordinamento. È necessario dunque che i decisori politici, sempre più consapevoli della condizione di cui sono in parte causa, inizino un processo di istituzionalizzazione di questi nuovi di­ ritti, perché solo attraverso una legiferazione puntuale potranno essere ri­ solti i conflitti tra la democrazia rappresentativa e quella partecipativa, in particolare nella sua forma digitale. La Rete senza dubbio è il luogo dove può trovare spazio un sistema di governance più diretto, sicuramente uti­ lizzabile fin da subito a livello locale, su scelte più semplici che comunque condizionano la vita dei cittadini nella loro quotidianità, per integrarlo in seguito anche su questioni più rilevanti a livello nazionale. Regole comuni assicurano il rispetto di qualsiasi metodo democratico e garantiscono nuovo vigore al sistema rappresentativo e piena attuazione dell'articolo 49 della Costituzione; per questo devono interessare anche i partiti politici come unico possibile strumento di intermediazione. So­ no, infatti, i partiti che devono modificare il loro D N A per svolgere la loro funzione: garantire la partecipazione dei cittadini e accoglierne le istanze, come luogo di sintesi, di mediazione e di sviluppo del pensiero autonomo e razionale. Sono i partiti che devono formare una classe dirigente nuova, onesta e il più possibile rappresentativa della società e delle identità che la compongono. La Rete, dunque, è solo una parte della soluzione che potrebbe essere utile per ripristinare un senso civico dei cittadini, ma sono questi, in fondo, i veri responsabili dell'attivazione di questo processo e dell' indirizzo della società verso nuove forme di democrazia.

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LA RAPPRES ENTANZA AI TEMPI D I FACE B O O K

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3

Parità di genere e rappresentanza politica di Giulia Andreozzi*

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Introduzione

La limitata partecipazione delle donne alla vita politica è stata oggetto di notevoli dibattiti negli anni, in particolar modo relativi agli strumenti e alle azioni da mettere in campo per incentivare e garantire una maggiore rappresentatività all' interno degli organismi politici. Si è anzitutto osservato che la minore partecipazione alla vita politica (e dunque una minore presenza all' interno delle istituzioni) è strettamen­ te connessa alle disparità esistenti a livello sociale, culturale, economico e lavorativo. Nei paesi in cui la parità di genere è garantita, infatti, si assiste a una si­ gnificativa presenza delle donne sia in posizioni apicali, sia nelle istituzioni democratiche. Non è un caso che i paesi scandinavi non abbiano mai avver­ tito la necessità di regolamentare l'accesso delle donne alle cariche politi­ che, potendo contare su una rappresentanza sostanzialmente paritaria dei due generi, pur in assenza di disposizioni vincolanti in tal senso. Laddove invece la parità di genere nella società è ancora lontana dall'es­ sere raggiunta, si sono resi necessari interventi correttivi e azioni positive finalizzati a rimuovere gli ostacoli esistenti per una piena partecipazione delle donne alla vita politica e ai processi decisionali. Si tratta degli stru­ menti per realizzare il principio di uguaglianza sostanziale, nei casi in cui l'uguaglianza formale non riesce da sola a produrre il risultato ambito. Tra l'altro, un limitato accesso delle donne alle cariche politiche impe­ disce che temi e azioni antidiscriminatorie, cruciali per il raggiungimento della parità, siano discussi nelle assemblee deliberative e siano approvate politiche volte a superare il gap tutt'oggi esistente nella società tra uomini * Avvocato del Foro di Cagliari.

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e donne. Queste ultime, quindi, continuano ad essere confinate all' inter­ no della sfera privata, faticando a trovare propri spazi all' interno di quella pubblica e quindi delle istituzioni. Tutto ciò innesca un circolo vizioso: se le donne sono confinate in compiti di cura e accudimento, o devono bar­ camenarsi tra questi e la vita lavorativa, difficilmente troveranno tempo ed energie per partecipare alla vita politica, ma la loro non partecipazione fa sì che non vengano portate avanti serie politiche di welfare che consentano una maggiore conciliazione tra vita privata e pubblica. Uno dei sistemi più efficaci, che ha portato, nei paesi in cui è stato adottato, a un incremento significativo della rappresentanza femminile nelle istituzioni, è senza dubbio quello delle quote di cui si parlerà più dif­ fusamente infra. Lo studio dell'IPU (Inter-Parliamentary Union), Women in Parlia­ ment in 2 0I6'-, ha evidenziato che globalmente si è passati da un 1 1,3% di donne all' interno dei parlamenti nazionali nel luglio I 9 9 5 al 23,3% rilevato nel gennaio 20I7, con un incremento di I2 punti percentuali in poco meno di vent'anni, merito senz'altro dell'evoluzione della società ma anche del numero sempre crescente di paesi che ha introdotto sistemi di quote elet­ torali a garanzia del genere sottorappresentato. In Italia (rilevazione IPU al I0 ottobre 20I7) la percentuale di donne at­ tualmente presenti alla Camera dei deputati si attesta al 3I% (con I95 depu­ tate su 630) e al Senato della Repubblica al 28,4% (con 91 senatrici su 320 ) Nel 2oo6, invece, la presenza femminile si attestava al 13,66% al Senato e al 17,IO% alla Camera. All' interno del presente contributo verranno esaminati il funzionamen­ to del sistema delle quote, con i pro e i contro tradizionalmente evidenziati, il quadro internazionale ed europeo e ci si soffermerà poi sull'evoluzione normativa e giurisprudenziale della rappresentanza di genere in Italia. .

3-2

Il s istema delle quote

Le quote come accennato sono lo strumento principale utilizzato per ri­ durre il gap di genere all' interno delle istituzioni politiche, e consistono nel riservare un certo numero di posti o di risorse in favore del genere sot2. http : / /www. ipu.org; consultato il 3 o novembre 2017.

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GIULIA ANDREOZZI torappresentato. Nella maggior parte dei casi la riserva è prevista tra il 2o e il s o% dei posti in lista. Dahlerup (Dahlerup, Freidenvall, 2003) individua nel 40% di rappresentanza all' interno di un' istituzione politica una soglia critica al di sotto della quale il genere sotto rappresentato non è in grado di esprimere politiche efficaci e incisive. Le quote possono essere principalmente di due tipi: volontarie o vin­ colanti. Le quote volontarie sono generalmente rimesse alla discrezionalità dei partiti politici che decidono di autovincolarsi (talvolta inserendo il vinco­ lo all' interno del proprio statuto) componendo le liste elettorali in modo da garantire una riserva di posti a candidati del genere sottorappresentato. I partiti possono altresì prevedere, sempre su base volontaria, un adeguato posizionamento nella lista: è chiaro infatti che qualora un partito preveda di destinare, ad esempio, almeno 1/3 dei posti a candidate di sesso femmi­ nile, ma poi releghi le candidate in fondo alla lista, la previsione sarà una mera petizione di principio, priva di alcun concreto effetto benefico, limi­ tando enormemente la loro chance di essere elette. Per evitare ciò spesso si prevede che la lista abbia una composizione detta "a cerniera", ovverosia in cui si alternino candidati di sesso diverso o sia comunque garantita ai can­ didati del genere sotto rappresentato un'adeguata visibilità. Il sistema delle quote volontarie è quello utilizzato nei paesi, come quelli del Nord Europa, in cui la parità di genere è già affermata a livello sociale, economico e culturale e le donne già partecipano attivamente alla vita politica del paese: di conseguenza non vi è alcuna necessità di interve­ nire a colmare il divario tra i due generi. Gli Stati possono comunque incentivare il ricorso a quote di natura volontaristica attraverso meccanismi di finanziamento ai partiti, interve­ nendo con disposizioni premiali (nel caso in cui ad esempio risultino elette molte donne o sia rispettata una certa composizione delle liste) o sanzio­ natorie (nei casi invece di mancato rispetto). Si è però visto che nei paesi in cui il divario di genere è ancora da colmare, il sistema di quote volontaristi­ che (pur assistito dalle misure premi ali o sanzionatorie) è destinato a falli­ re : in Francia ad esempio alle elezioni presidenziali del 2oo2 i partiti prefe­ rirono rinunciare a una quota del finanziamento pubblico, pur di non per­ dere la libertà di formare le liste senza rispettare alcun principio di parità. I paesi in cui la parità di genere non è pienamente implementata devo­ no quindi necessariamente ricorrere a sistemi di quote vincolanti. In que­ sto caso le quote sono previste da strumenti normativi (di rango costituzio­ nale o legislativo a seconda della fonte che le prevede): naturalmente per



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essere effettive ed efficaci tali disposizioni normative devono essere assistite da un'adeguata sanzione in caso di mancato rispetto (ad esempio l'esclusio­ ne della lista non conforme). Nella stragrande maggioranza dei casi le quote sono formulate in mo­ do da essere neutrali: dunque esse non favoriscono espressamente uno dei due sessi, ma si limitano a prevedere che ognuno dei due abbia un numero minimo di candidati nella lista. Talvolta il sistema di quote di genere è stabilito solo in via temporanea, essendo visto come uno strumento necessario per colmare lo svantaggio esistente, che perderà di utilità una volta che la parità di genere sarà piena­ mente affermata nel contesto sociale. Oltre alla riserva di posti in lista e alle modalità di composizione delle liste un ulteriore strumento, affermatosi soprattutto di recente al fine di am­ pliare la chance delle donne candidate di essere anche effettivamente elette, è quello della cosiddetta "doppia preferenza di genere" che consiste nel con­ sentire (si tratta di una facoltà e non di un obbligo) all'elettore di esprimere una seconda preferenza, purché essa sia attribuita a una candidato di sesso diverso dalla prima, pena l'annullamento della seconda preferenza. I detrattori del sistema delle quote affermano che il sistema sarebbe in­ trinsecamente discriminatorio e non premierebbe le competenze ma solo l'appartenenza a uno dei due generi: tali affermazioni, tuttavia, sembrano dimenticare anzitutto che le quote rispondono a esigenze di uguaglianza sostanziale, che sono per lo più formulate in modo da essere neutre e che le competenze sono ugualmente possedute da uomini e donne. L'argomento delle competenze è dunque gravemente fallace, perché suggerisce (neppure troppo implicitamente) che solo e tutti gli uomini scelti per comporre una lista avrebbero le competenze necessarie per ricoprire quel ruolo, mentre le donne scelte lo sarebbero solo in funzione della loro appartenenza al sesso sotto rappresentato. Secondo i dati raccolti da IPU e da IDEA3 (cfr. Dahlerup, Freidenvall, 2003) nei paesi in cui si è applicato un sistema di quote, se all' inizio si è as­ sistito a un incremento significativo della presenza femminile nelle istitu­ zioni politiche, negli ultimi anni il dato pare essersi sostanzialmente stabi­ lizzato. Può quindi affermarsi che le quote siano uno strumento utilissimo per ottenere un livello minimo accettabile di rappresentanza di genere, ma, se non sono accompagnate da cambiamenti e miglioramenti del ruolo delle 3· lnternational lnstitute for Democracy and Electoral Assistance ; in http://www. idea.int; consultato il 3 o novembre 2017.

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GIULIA ANDREOZZI donne nella società nel suo complesso, non possono andare oltre quel mi­ nimo risultato ottenuto. 3·3

I l quadro internazionale ed europeo

Nel diritto internazionale le norme antidiscriminatorie si limitano per lo più ad affermare genericamente il principio della parità di trattamento e del divieto di discriminazione, tra le altre cose, anche in base al sesso. Meritano di essere segnalati due strumenti vincolanti adottati dalle Nazioni Unite. Il primo è la Convenzione sui diritti politici delle donne, adottata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 3I marzo I 9 S 3 (ra­ tificata in Italia con la legge 24 aprile I967, n. 326), la quale stabilisce che le donne hanno diritto, alle stesse condizioni degli uomini, senza alcuna di­ scriminazione, a: art. I, votare in tutte le elezioni; art. 2, essere elette presso tutti gli enti pubblicamente eletti, stabiliti dalla legislazione nazionale; art. 3, ricoprire una carica pubblica ed esercitare tutte le funzioni pubbliche sta­ bilite dalla legislazione nazionale. n secondo strumento, ancora più pregnante, è la Convenzione dell' ONU sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti delle donne (CEDAW ) , adottata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel I979 (ratificata in Italia con la legge I4 marzo I98s, n. I32) che riconosce e garantisce pari opportunità e parità di accesso alla vita pubblica e politica, diritto di elettorato attivo e passivo. Estremamente rilevanti sono in partico­ lare l'art. 3, che stabilisce: «Gli Stati prendono in ogni campo, ed in partico­ lare nei campi politico, sociale, economico e culturale, ogni misura adegua­ ta, incluse le disposizioni legislative, al fine di assicurare il pieno sviluppo ed il progresso delle donne e garantire loro, su una base di piena parità con gli uomini, l'esercizio e il godimento dei diritti dell'uomo e delle libertà fonda­ mentali» , e l'art. 4 , che al fine di garantire il raggiungimento degli obiettivi consente agli Stati di adottare «misure temporanee speciali, tendenti ad ac­ celerare il processo di instaurazione di fatto dell'eguaglianza tra gli uomini e le donne non è considerato atto discriminatorio, secondo la definizione del­ la presente Convenzione, ma non deve assolutamente dar luogo al permane­ re di norme ineguali o distinte; suddette misure devono essere abrogate non appena gli obiettivi in materia di uguaglianza, di opportunità e di trattamen­ to, siano raggiunti. 2. L'adozione da parte degli Stati di misure speciali, com­ prese le misure previste dalla presente Convenzione, tendenti a proteggere la maternità non è considerato un atto discriminatorio » .



PARITÀ DI GENERE E RAPPRES ENTANZA POLITICA

Vari strumenti di soft la w (come relazioni, risoluzioni, raccomandazio­ ni e pareri), soprattutto in epoca recente, finalizzati a promuovere la parità tra uomini e donne nell'accesso alla vita politica, sono stati adottati anche dal Consiglio d' Europa, organizzazione internazionale che ha come scopo la difesa dei diritti umani, della democrazia e dello stato di diritto, di cui fanno parte 47 paesi, tra i quali tutti i paesi membri dell' Unione Europea. Nell'ambito dell' Unione Europea il tema della parità di genere è stato tradizionalmente limitato al profilo della parità retributiva e di accesso al mondo del lavoro, in linea con il focus della Comunità europea su aspetti prettamente economici. È solo con i trattati di Maastricht e soprattutto di Amsterdam che si slega il concetto di parità di genere dal campo prettamente economico: con il trattato di Amsterdam, in particolare, si prevede che l'azione della Comunità miri a promuovere la parità tra uomini e donne e si stabilisco­ no per la prima volta (artt. 13 e I 9 ) azioni delle istituzioni europee finaliz­ zate a combattere le discriminazioni basate sul sesso e misure di sostegno alle azioni degli Stati membri volte all'eliminazione delle discriminazioni basate sul genere. Con il trattato di Amsterdam si è poi cristallizzata la de­ finizione di azioni positive: l'art. I4I, par. 4 del trattato CE stabilisce, occu­ pandosi di parità in ambito lavorativo, che il principio della parità di trat­ tamento fra uomo e donna «non osta a che uno Stato membro mantenga o adotti misure che prevedano vantaggi per facilitare l'esercizio di un'attività professionale» ovvero siano dirette ad «evitare o compensare svantaggi nella carriera professionale » a favore «del sesso sottorappresentato » . Un passo ulteriore fu poi fatto con l'adozione della Carta dei diritti fon­ damentali dell'VE che ha cristallizzato tra i valori fondanti dell' Unione pro­ prio la parità tra uomini e donne in tutti i campi, prevedendo la possibilità di azioni positive a vantaggio del sesso sottorappresentato (artt. 2I e 23). Da ultimo, il trattato di Lisbona (che ha anche attribuito alla Carta dei diritti lo stesso valore giuridico dei trattati) ha inserito la parità di genere all' interno degli artt. 2 e 3 TUE (trattato sull' Unione Europea) tra i valori fondamentali dell' Unione sui quali la sua azione si fonda. Ulteriori dispo­ sizioni, anche riguardanti i procedimenti legislativi da adottare in mate­ ria di contrasto alle discriminazioni di genere, sono inserite all' interno del TFUE (trattato sul funzionamento dell' Unione Europea). Al di là delle disposizioni contenute all' interno delle fonti primarie del diritto europeo, tuttavia, le norme di diritto derivato adottate riguardano esclusivamente la parità tra i sessi in ambito lavorativo (sia nel lavoro dipen­ dente sia autonomo), la parità nell'accesso a beni e servizi e la materia penale. 49

GIULIA ANDREOZZI Con riguardo invece ai restanti ambiti, tra i quali quello della parità nell'accesso ai procedimenti decisionali di cui ci si occupa in questa sede, l' Unione Europea ha adottato solo strumenti di natura non vincolante (come raccomandazioni, risoluzioni, strategie di azione, piani di azione), aventi come soggetti promotori di volta in volta il Consiglio, il Parlamento e la Commissione europea. Tra questi ultimi strumenti si ricordano: l' Istituto europeo per l'uguaglianza di genere, con sede a Vilnius, in Lituania, creato nel 2oo6 da Parlamento europeo e Consiglio con lo scopo di sostenere e rafforzare la promozione della parità di genere, inclusa l' in­ tegrazione, in tutte le politiche dell' uE e nazionali; il 5 marzo 2010 la Commissione ha adottato la Carta per le donne e l' impegno strategico per la parità di genere 2016-19 che ha come scopo di migliorare la promozione dell'uguaglianza tra donne e uomini in Europa e nel mondo; nell'ottobre 2015 il Consiglio ha adottato il Piano di azione sulla parità di genere 201 6-20, relativo all'ambito delle relazioni esterne dell' Unione; nel dicembre 2015 la Commissione ha pubblicato l' impegno strategico per l'uguaglianza di genere 2016-19 che fa seguito a una similare strategia adottata nel quinquennio 2010-15. Quest'ultimo strumento assume rilievo particolare perché tra i setto­ ri di intervento è individuata anche la promozione della parità di genere nel processo decisionale, intendendo un maggiore equilibrio tra uomini e donne che occupano posizioni di rilievo in economia, nella ricerca, nel­ la vita pubblica e politica. A tale fine, tra le azioni chiave previste per il 2018 vi è « valutare misure per migliorare l'equilibrio di genere nel processo decisionale politico e continuare a incoraggiare gli Stati membri e a soste­ nere le attività delle autorità nazionali di promozione dell'equilibrio di ge­ nere nelle posizioni decisionali della sfera politica e pubblica » . Con riguardo invece alla rappresentatività di genere all' interno delle istituzioni europee, anche in questo caso sono state adottate nel tempo varie raccomandazioni miranti a incentivare la parità di genere all' inter­ no di esse. Per ciò che concerne infine l'unico organo elettivo, il Parlamento, la disciplina per eleggerne i componenti è rimessa ai singoli Stati membri. L' Italia, con la legge 22 aprile 2014, n. 65, adottata ad aprile, un mese prima delle elezioni, ha modificato la legge per l'elezione dei propri rappre­ sentanti in seno al Parlamento europeo, introducendo norme finalizzate a rafforzare la rappresentanza di genere. La legge ha previsto, proprio in conso



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siderazione della vicinanza delle elezioni, un regime transitorio di compro­ messo, da applicare alle sole elezioni del 20I4 e un regime definitivo più efficace, applicabile a partire dalle elezioni che si terranno nel 20I9. Per le elezioni del 20I4 è stata prevista la cosiddetta "tripla preferenza di genere": qualora l'elettore avesse deciso di esprimere tre preferenze, una di esse doveva necessariamente riguardare un candidato di sesso diverso da­ gli altri due, pena l'annullamento della terza preferenza. Le disposizioni definitive, che si applicheranno come detto dal 20I9, sono invece le seguenti: le liste dovranno essere composte in egual misura da candidati dei due sessi (i candidati dello stesso sesso non potranno dun­ que essere superiori alla metà) e i primi due candidati di ogni lista dovran­ no essere di sesso diverso. È stata inoltre rafforzata la tripla preferenza di genere, prevedendosi che già i primi due candidati scelti dall'elettore deb­ bano essere di sesso diverso, pena l'annullamento della seconda preferenza o anche della terza se l'elettore dovesse indicare tre candidati. Numerosi altri Stati membri hanno previsto un sistema di quote per l'elezione dei propri rappresentanti nel Parlamento europeo (volontarie o legislative): le donne rappresentano attualmente il 37,3% dei parlamentari europei, dato ancora lontano dalla parità totale, ma molto vicino alla soglia critica del 40% individuata come limite minimo affinché le istanze femmi­ nili siano adeguatamente rappresentate dall'organo in questione. Nel 20IS il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione di mo­ difica dell'Atto sulle elezioni europee del I976, volto alla creazione di un sistema elettorale uniforme in tutti gli Stati membri per l'elezione dei par­ lamentari europei, in cui è stato inserito l'art. 3-quin quies che stabilisce che «le liste dei candidati alle elezioni del Parlamento europeo devono assicu­ rare l'eguaglianza di genere » . La risoluzione, se approvata dal Consiglio e successivamente ratificata dagli Stati membri, renderà obbligatorio per questi ultimi il rispetto delle quote di genere nella predisposizione delle li­ ste per le elezioni europee. 3·4

L a situazione i n Italia: evoluzione normativa e giurisprudenziale

In Italia si è iniziato a parlare di sistemi di riequilibrio delle discriminazio­ ni di genere in politica e di quote solo a partire dagli anni Novanta del xx secolo. 5I

GIULIA ANDREOZZI Il quadro normativa di riferimento era rappresentato esclusivamente dall'art. 3, comma 2° (« È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l' egua­ glianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese » ) , e dall'art. SI, comma I 0 («Tutti i cittadini dell'uno o dell'altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cari­ che elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge » ) , della Costituzione. Le prime norme di legge adottate a correttivo della limitata presenza femminile nelle istituzioni politiche risalgono agli anni tra il I993 e il I99S, e riguardavano le elezioni negli enti locali (legge 2S marzo I993, n. 8 I ), le elezioni per la Camera dei deputati (legge 4 agosto I 9 9 3, n. 277) e la leg­ ge elettorale per le Regioni a statuto ordinario (legge 23 febbraio I99S, n. 43): esse prevedevano quote minime in favore del genere sottorappresen­ tato all' interno delle liste elettorali e alcune di esse anche la formazione a cerniera delle liste in caso di liste bloccate (nelle quali l'elettore non può esprimere alcuna preferenza) ed erano formulate in modo neutrale. Tuttavia, le suddette norme non hanno superato il vaglio della Corte costituzionale, che, con la nota e criticata sentenza n. 422 del I99S ne ha dichiarato l' incostituzionalità. Peraltro, in maniera del tutto irrituale, pur venendo la questione su una sola delle norme (si era nell'ambito di un giu­ dizio incidentale di legittimità), la Corte utilizzò la sentenza per dichiarare l' illegittimità consequenziale anche di tutte le altre. La Corte ha afferma­ to, riconoscendo l'applicabilità in materia elettorale del solo principio di uguaglianza formale, che «l'art. 3, primo comma, e soprattutto l'art. SI, primo comma, garantiscono l'assoluta eguaglianza fra i due sessi nella pos­ sibilità di accedere alle cariche pubbliche elettive » , e che le azioni positive «possono essere certamente adottate per eliminare situazioni di inferiorità sociale ed economica, o, più in generale, per compensare e rimuovere le di­ suguaglianze materiali tra gli individui (quale presupposto del pieno eser­ cizio dei diritti fondamentali), non possono invece incidere direttamente sul contenuto stesso di tali diritti » . La sentenza è stata oggetto di aspre critiche in dottrina, ma ha avuto l'effetto di costringere il legislatore, nel giro di pochi anni, a intervenire per integrare le lacune riscontrate dalla Corte nel quadro costituzionale di riferimento. Di conseguenza, con la legge costituzionale I8 ottobre 200I, n. 3 è sta­ to introdotto l'art. 1 1 7, comma 7 ° , della Costituzione ( « Le leggi regionali 5 2.



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rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive » ), con analoga previsione introdotta (con la legge costituzionale 3I gennaio 2.00I, n. 2.) per gli statu­ ti delle Regioni a statuto speciale, e con la legge costituzionale 30 maggio 2.003, n. I è stato modificato il comma I 0 dell'art. S I della Costituzione, cui è stato aggiunto l' inciso: «la Repubblica promuove con appositi provvedi­ menti le pari opportunità tra donne e uomini » . A seguito di queste riforme si è avuto anche il revirement della Corte costituzionale, con la sentenza n. 49 del 2.003, che ha dichiarato (con una motivazione con la quale dimostra di non condividere il precedente orien­ tamento) non fondata la questione di legittimità costituzionale della legge elettorale della Valle d'Aosta che prevedeva le quote nelle liste. Ancora più di recente la Corte (sentenza n. 4 del 2.0IO) ha rigettato il ricorso del governo contro la legge regionale elettorale della Campania che aveva introdotto la doppia preferenza di genere, facendo leva essenzialmen­ te sul principio di uguaglianza sostanziale sancito dall'art. 3, comma 2. della Costituzione e dalla necessità di adottare misure specifiche per dare effetti­ vità al suddetto principio, in considerazione della « storica sotto-rappresen­ tanza delle donne nelle assemblee elettive, [ . .. ] dovuta [ ... ] a fattori culturali, economici e sociali» . I legislatori, sia nazionali sia regionali, hanno quindi iniziato a discipli­ nare in vario modo le azioni positive volte a superare la suddetta sottorap­ presentanza femminile. Circa la composizione del governo, con la legge 2.4 dicembre 2.007, n. 2.44, art. 1, commi 376 ° -377 ° , ci si è limitati a stabilire che essa debba essere coerente con il principio di pari opportunità nell'accesso agli uffici pubbli­ ci e alle cariche pubbliche. Decisamente più incisiva la legge 2.3 novembre 2.012., n. 2.15 con cui si so­ no previste espressamente misure per promuovere il riequilibrio delle rap­ presentanze di genere nei consigli e nelle giunte degli enti locali. La legge, effettivamente vincolante solo per i comuni con popolazione al di sopra dei 1 s . o o o abitanti, ha previsto il meccanismo della quota di lista (preve­ dendo che nessun genere possa essere rappresentato in misura superiore a due terzi) e ha introdotto lo strumento della doppia preferenza di genere sopra illustrato. La legge è intervenuta anche a disciplinare la composizione delle giun­ te comunali, prevedendo il rispetto del principio delle pari opportunità. Disposizione più efficace è però quella contenuta nella legge 7 aprile 2.014, o,

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GIULIA ANDREOZZI n. 56 che ha stabilito che nelle giunte comunali dei comuni sopra i 3.000 abitanti nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura inferio­ re al 40%, con arrotondamento aritmetico. Tale disposizione è stata og­ getto di varie pronunce da parte della giurisprudenza amministrativa che hanno più volte dichiarato l' illegittimità della composizione della giunta laddove il principio di parità non era stato rispettato (cfr. ad esempio TAR Sardegna, sentenza n. 1145 del 2.015). Già con la vigenza della disciplina precedente si erano comunque registrate talune pronunce di tribunali am­ ministrativi che avevano ritenuto illegittime le nomine nei casi in cui la presenza femminile fosse stata totalmente esclusa dalla composizione della giunta (ad esempio, TAR Lazio, sentenza n. 6347 del 2.011 e TAR Sardegna, sentenza n. 84 del 2.013). La stessa legge 56/2.014 ha altresì disciplinato l'elezione di secondo li­ vello dei consigli provinciali e delle città metropolitane, introducendo una quota di lista del 6o%. Va poi menzionato il decreto legge sull'abolizione del finanziamento pubblico diretto ai partiti (D.L. 2.8 dicembre 2.013, n. 149, convertito dalla legge 2.1 febbraio 2.014, n. 13), che ha disciplinato i requisiti di trasparenza e democraticità richiesti ai partiti per accedere alle nuove forme di contri­ buzione previste (''due per mille") sulla base delle scelte espresse dai citta­ dini e agevolazioni fiscali sulle liberalità, prescrivendo che per accedere alla contribuzione gli statuti dei partiti debbano stabilire azioni positive per promuovere la parità di genere negli organismi collegiali e nelle cariche elettive. Il D.L. prevede una serie di disposizioni premiali e sanzionatorie in caso di rispetto o meno da parte dei partiti dei suddetti principi. Da ultimo, la recentissima legge elettorale per le elezioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica (legge 3 novembre 2.017, n. 165, il cosiddetto Rosatellum ), che ha ripristinato un sistema elettorale misto mag­ gioritario-proporzionale (con collegi uninominali e plurinominali), ha pre­ visto anch'essa lo strumento delle quote di lista. In particolare, nei listini dei collegi plurinominali (contenenti da due a quattro candidati) si ha la composizione a cerniera (alternanza dei due generi); nel complesso dei col­ legi uninominali invece ogni genere non può essere rappresentato per oltre il 6o%. Inoltre, nessun genere può essere rappresentato come capolista in misura superiore al 6o%. Passando brevemente all'esame del livello regionale, con riguardo alle Regioni ordinarie, tutte quelle che hanno adottato leggi elettorali hanno provveduto a inserire norme di riequilibrio, quantomeno relative alla com­ posizione delle liste. Nelle altre, trova applicazione il quadro normativa na54



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zionale, modificato da ultimo dalla legge I S febbraio 2.0I6, n. 2.0 che ha pre­ visto quote di lista e doppia preferenza di genere nel caso di liste con prefe­ renze e liste a cerniera nel caso di listini bloccati in modo sostanzialmente analogo alla legge elettorale nazionale appena approvata. Con riguardo alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome, in accordo con la citata legge costituzionale 2./2.00I, anch'esse hanno ap­ provato norme elettorali volte a favorire la parità di genere. Recentissimamente, la Regione autonoma della Sardegna, la cui legge statutaria I/ 2.0I3 si limitava a prevedere che in ciascuna lista ogni genere non potesse essere rappresentato in misura superiore ai due terzi (con la sanzione, in caso di inottemperanza, dell'esclusione della lista), ha appro­ vato la legge statutaria regionale 2.I novembre 2.0I7 (non ancora pubblicata sul BURAS ) di « Modifiche alla legge statutaria n. I del 2.0I3 in materia di rappresentanza di genere » che ha introdotto la doppia preferenza di gene­ re. Infatti, il sistema che prevedeva solo la riserva di posti in lista si era ri­ velato fallimentare, avendo portato, all'esito dell'ultima tornata elettorale, all'elezione di sole 4 donne su 59 consiglieri.

3 ·5

Conclusioni Il presente contributo, partendo dalla definizione e dal funzionamento del sistema delle quote di genere nel suo complesso, ha voluto fornire una bre­ ve e non esaustiva analisi del quadro normativa internazionale, europeo e nazionale in materia di rappresentanza di genere nelle istituzioni politiche. Risulta evidente che un sistema di azioni positive (come le quote) sia necessario per arginare il fenomeno della sottorappresentanza femminile in politica e, soprattutto nella fase iniziale della sua attuazione, generalmente produca un incremento rilevante della presenza femminile. Tuttavia, come accennato, dopo questa prima fase, si verifica un assestamento di tale presen­ za: le quote da sole non sono sufficienti, ma è necessario che ad esse si accom­ pagnino misure di politica sociale, economica e culturale volte a rimuovere gli ostacoli di fatto che impediscono o limitano alle donne la partecipazione alla vita politica del proprio paese. Vale a dire che se non si raggiunge una pa­ rità in tutti i settori della società, l' introduzione e il mantenimento di siste­ mi come le quote non possono che essere un mero palliativo. L'adozione delle quote, dunque, lungi dal rappresentare un fine, deve essere visto come un mezzo, che porti un maggior numero di donne all' in-

ss

GIULIA ANDREOZZI terno degli organismi decisionali, dall' interno dei quali esse possano poi lavorare per implementare politiche di genere afferenti tutti i settori della società. Lo scopo deve quindi essere quello del graduale abbandono dei siste­ mi di quote, laddove questi, una volta raggiunta la parità, non saranno più necessari per garantire l'elezione di rappresentanti dei due generi in misura sostanzialmente analoga.

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DAHLERUP D . , HILAL Z . , KALANDADZE N . , KANDAWASVIKA-NHUNDU R .

57

4 Livelli di descrizione di un voto democratico : il referendum costituzionale del 4 dicembre 2 0 1 6 di Olimpia Giuliana Loddo*

4·1

Introduzione Il

presente capitolo è un'analisi filosofica del voto espresso nel corso del referendum costituzionale che ha avuto luogo il 4 dicembre 2016. Il capi­ tolo si divide in due parti. Nei PARR. 4.2 e 4·3 il voto è analizzato come atto istituzionale. Un primo livello di analisi è quello dell'atto bruto e consiste nella descrizione del referendum in termini di atti materiali. Secondo livello è quello di atto il cui type è costituito da regole. Il terzo livello di analisi descrive r atto del voto come momento di un procedimento democratico formale, ricondu­ cibile ad una rete di regole costitutive, ad una prassi generata da regole, che può, sotto questo profilo, essere intesa come una mera procedura. Nel PA R. 4·3 è analizzato, invece, il livello metaistituzionale del voto. Infatti, accanto ai sensi istituzionali-procedurali, analizzati nella prima parte del contributo, ve ne sono altri, politici, teorico-giuridici ed etici che si muovono su un piano metaistituzionale e attribuiscono al voto si­ gnificati che possono rivelarsi tra loro contrastanti. Tali sensi metaisti­ tuzionali possono coincidere (ma non coincidono necessariamente) col senso metaistituzionale che caratterizza ufficialmente il voto nell'ambito di un referendum costituzionale. 4-2

La dimensione istituzionale del referendum costituzionale

Nel lessico dell'antologia sociale, il voto può essere considerato un fatto istituzionale, un fatto, cioè che acquista il suo specifico senso istituzionale "' Postdoctoral Fellow, Center for Advanced Studies Southeast Europe University of Rijeka e Dipartimento di Giurisprudenza, Università di Cagliari.

ss

(cAS SEE),



LIVELLI DI DES CRIZIONE D I UN VOTO D E M O C RAT I C O

alla luce d i regole. Per chiarire questa caratteristica del voto può essere uti­ le provare a descriverlo senza l'ausilio delle regole che ne determinano il senso istituzionale. Immaginiamo dunque un votante, il signor Rossi, che si reca alle urne e descriviamo il suo comportamento limitando la nostra descrizione ai meri accadimenti esteriori: la mattina del 4 dicembre 20I6, alle ore 9, il signor Rossi si reca in un grande edificio situato non troppo lontano dalla sua abitazione. Molte altre persone che vivono stabilmente nella sua stessa zona si recano nello stesso edificio. li signor Rossi entra in una delle stanze dell'edificio dove si trovano tre grosse cabine, un lungo ta­ volo, una cassetta di cartone, e tre persone sedute dietro il tavolo. Una delle persone fa cenno al signor Rossi di avvicinarsi. Il signor Rossi consegna i due fogli di carta e riceve un foglio piuttosto grande e una matita. Il signor Rossi prende il foglio e la matita e si nasconde in una delle tre grandi cabi­ ne presenti nella stanza. Una volta all' interno della cabina osserva per un attimo il foglio che gli è stato appena consegnato. Sul foglio appaiono due quadrati. Il signor Rossi traccia una X su uno dei due quadrati, piega il fo­ glio, esce dalla cabina e raggiante infila il foglio ben piegato nella scatola di cartone posata sul tavolo. Questo strano racconto, che ho voluto utilizzare per introdurre la presente analisi, non è altro che una delle possibili descrizioni di un voto espresso durante il referendum costituzionale che ha avuto luogo in Ita­ lia, il 4 dicembre 20I 6. Nel compiere tale descrizione non ho utilizzato le regole costitutive che caratterizzano il referendum. Lorini (2oo8, p. 1 1 6 ) afferma che, anche s e è possibile compiere una descrizione d i u n fatto isti­ tuzionale « in termini cosali » , tale descrizione «non è ermeneuticamen­ te adeguata » . In effetti, il racconto è alquanto bizzarro proprio poiché è costituito dalla descrizione di una serie di atti bruti, ossia di atti che se non vengono osservati alla luce delle regole non hanno alcun senso isti­ tuzionale. Sono, invero, le regole ad attribuire un senso istituzionale agli atti. La distinzione tra fatti bruti e fatti istituzionali è stata messa in luce dal filosofo John Searle, secondo il quale i fatti istituzionali (ad esempio il denaro, un contratto, votare) si distinguono dai fatti bruti (ad esempio un pezzo di carta o un uomo che infila un pezzo di carta in una scatola di cartone) per la presenza di una rete di regole costitutive che attribuiscono al fatto bruto un determinato significato secondo lo schema x ha valore di y nel contesto c, dove x è il fatto bruto e y è il suo significato istituzionale. Amedeo Conte (I99S) chiama tali regole eidetico-costitutive poiché esse sono condizione necessaria di ciò che regolano. In assenza di tali regole non sarebbe possibile compiere uno specifico atto perché quel tipo di atto 59

OLIMPIA GIULIANA L O D D O non esisterebbe. A d esempio, non sarebbe possibile votare, sarebbe solo possibile infilare un biglietto in una scatola di cartone. Anche Hans Kelsen distingueva in modo abbastanza chiaro i fatti giuri­ dici dagli "accadimenti esteriori". Ad esempio, scrive il giurista e filosofo au­ striaco, « In una sala si riuniscono degli uomini, tengono dei discorsi, gli uni si alzano dai loro posti, gli altri rimangono seduti: questo è un accadimento esteriore. Il suo senso è che una legge è stata votata » (Kelsen, 2000, p. 48). Tuttavia, secondo Kelsen, lo schema di interpretazione che consente di at­ tribuire un senso istituzionale agli accadimenti esteriori è necessariamente la norma giuridica. Si tratterebbe, in altri termini, di una norma giuridica esplicita e validamente promulgata dal legislatore. Searle invece sembra pen­ sarla diversamente rispetto a Kelsen. Secondo Searle (2oo6, pp. 57-8), « ll processo che porta alla creazione dei fatti istituzionali può compiersi senza che i partecipanti siano coscienti che stia avvenendo secondo questa forma ... Noi siamo educati in una cultura in cui diamo l'istituzione per scontata, non abbiamo bisogno di essere consapevoli della sua antologia... Fino a quando le persone continuano a riconoscere che x ha valore di y, il fatto istituzionale viene creato e mantenuto. Le persone che compiono un fatto istituzionale, inoltre [ ... ] possono possedere ogni genere di false credenze riguardo a ciò che stanno facendo e al perché lo stanno facendo » . Le regole in questo caso non prescrivono di tenere una condotta, ma creano nuovi tipi di compor­ tamento, stabiliscono, cioè, che infilare un biglietto in una scatola equivale ad esprimere un voto. ll voto è, quindi, un tipo di attività creato dalle rego­ le costitutive. Tali regole costitutive sono in buona misura incamerate nella nostra cultura giuridica. Chiaramente, se controlliamo l'ordinamento costi­ tuzionale, non troviamo una regola costitutiva in base alla quale infilare un biglietto in una scatola equivale a votare, ma tutti sappiamo cosa sia votare, poiché questo fa parte della nostra cultura giuridica collettiva.

4·3

Il voto come momento di una procedura

Se ci si attiene al testo della Carta costituzionale il referendum costituzio­ nale è disciplinato all'articolo 1 3 8 della Costituzione (il corsivo è il mio): Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore 6o



LIVELLI DI D E S C RIZIONE D I UN VOTO D E M O C RAT I C O

d i tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti d i ciascuna Camera nella seconda votazione [cfr. art. 72, c. 4 o]. Le leggi stesse sono sottoposte a rejèrendum popolare [cfr. art. 87, c. 6°] quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, nefacciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. La legge sottoposta a refèrendum non e promulgata [cfr. artt. 73, C. I 0 , 87, C. 5 °], Se non e approvata dalla maggioranza dei voti validi.

Non sifa luogo a referendum se la legge e stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti [cfr. art. I 3 8].

L'articolo 138 della Costituzione è, come sottolinea Giampaolo Azzoni, una regola nemico-costitutiva (disgiuntiva). In altri termini, si tratta di una regola che pone condizioni necessarie e sufficienti di ciò che essa regola. Essa non è una regola eidetico-costitutiva, non crea cioè il comportamen­ to che essa regola, ma stabilisce quali siano le condizioni necessarie e suf­ ficienti per la validità di tale comportamento. Tale norma è una norma di procedura. n voto espresso durante il referendum costituzionale è, infatti, un momento di una procedura legislativa con precise condizioni di validi­ tà determinate dalle regole. Invero, il concetto di procedura è per alcuni autori una chiave di lettura fondamentale per comprendere pienamente le istituzioni democratiche (Bobbio, 20I3; Pintore, 2003). Se analizzato entro questa cornice, il voto appare come un momento di una procedura artico­ lata e costituita da regole. Tali regole pongono le condizioni di validità del­ le varie fasi della procedura. 4·4

La dimensione metaistituzionale del voto Il filosofo americano Schwyzer aveva messo in luce un importante limite della teoria di Searle sui fatti istituzionali. Secondo Schwyzer, infatti, non è possibile comprendere pienamente un' istituzione se ci si limita all'analisi delle sue regole costitutive. Occorre, secondo Schwyzer (2oi2, pp. I 6 9-70 ), prendere in esame « il ruolo assunto dali' attività nelle vite di coloro per i quali essa è una pratica [practice] . . .. E questa differenza di ruolo tra le due attività si mostra in ciò che accade, per esempio, prima e dopo l'attività [ . .. ] : essa è determinata dai diversi modi di parlare e di comportarsi che so­ no considerati appropriati [prima e dopo lo svolgimento della pratica isti-

OLIMPIA GIULIANA L O D D O tuzionale] . Quello che l e regole costitutive possono regolare è soltanto [ ... ] il comportamento [dei partecipanti] mentre l'attività è in corso » . Tornando al nostro referendum costituzionale, accanto ai sensi istitu­ zionali-procedurali, analizzati nella prima parte del capitolo, ve ne sono altri, politici, teorico-giuridici ed etici che si muovono su un piano metai­ stituzionale e attribuiscono al voto significati che possono rivelarsi tra loro co n trastan ti. 4 · 4 · ! . D I M ENSIONE M E TAISTITUZI ONALE F I S I O L O G I C A

Un primo senso metaistituzionale attribuibile al referendum costituzionale è un senso fisiologico, anche se non delineato dalle regole (Lorini, 2017, p. 133) che istituiscono il referendum. Tale senso è quello ricostruito dai costituzio­ nalisti sulla base del ruolo giocato dall' istituto nell'ambito dell'ardimento italiano. Ad esempio, il costituzionalista Ferri intende ricostruire il ruolo me­ taistituzionale del referendum costituzionale quando scrive: «il referendum costituzionale è un istituto volto a garantire la rispondenza tra la volontà par­ lamentare e la volontà popolare, garantendo l'espressione dell'eventuale dis­ senso del corpo elettorale sulla revisione costituzionale. Poiché esso non ri­ chiede un quorum, è posto a tutela delle minoranze. Esso rappresenta uno strumento di tutela dell'ordinamento vigente » (Ferri, 2oor, p. r28). Nella descrizione fornitaci tradizionalmente dai giuristi, il referendum è uno strumento di democrazia diretta piuttosto preciso. Infatti, attraverso il referendum i cittadini sono chiamati a pronunciarsi su una specifica leg­ ge di revisione costituzionale (ivi, p. r26). Tuttavia, anche se formalmente aveva ad oggetto la valutazione di una specifica riforma costituzionale, al referendum costituzionale del 4 dicem­ bre 2or6 era stato attribuito un senso molto diverso. Tale senso non solo non è ricostruibile esclusivamente sulla base delle regole costitutive che re­ golano la practice del referendum costituzionale, ma esula anche dal sen­ so che viene tradizionalmente attribuito all' istituto dai giuristi. Come evi­ denzia il costituzionalista Terenzio Fava (2017, p. 271 ) , nel caso del referen­ dum del 2or 6 il risultato non derivava esclusivamente dalla qualità, dal tipo e dall'oggetto della riforma, « Vi sono - scrive Fava - fattori che qualora in campo sanno essere determinanti » . 4 . 4 . 2 . D I MENSIONE METAI S T I T U Z I ONALE I D E O L O G I C A

I fattori che sono intervenuti a modificare, alterare il senso istituzionale del referendum possono essere considerati fattori ideologici. Questi fattori

4· L I V E L L I DI D E S C RI Z I O N E D I UN V O T O D E M O C RAT I C O

ideologici sono veicolati attraverso u n particolare uso del linguaggio. Più precisamente, l'enunciazione del senso di un atto ha al contempo una for­ za illocutoria, poiché contribuisce al compimento dell'atto, ed una forza perlocutoria, in particolare una forza persuasiva, perché dispone il destina­ tario ad accettare le conseguenze di quell'atto o a reagire in funzione della natura di tale atto. Tuttavia, può accadere che il senso manifestato da colui che compie l'atto non coincida con il valore che tale atto assume effettivamente in un certo contesto sociale. Questo accade, ad esempio, negli atti linguistici in­ diretti cioè quegli atti linguistici con i quali si dice qualcosa per intende­ re qualcos' altro. Tuttavia, negli atti linguistici indiretti la discrepanza tra manifestazione (ciò che si dice) e natura dell'atto (ciò che si intende) non è tesa ad impedire al destinatario di comprendere la reale natura dell'atto. Nel caso del referendum, invece, si è operata da parte di diverse forze politiche una riqualificazione del senso dell'atto compiuto dal votante. Il voto è stato infatti caricato di una valenza politica che non è propria del voto referendario, ma che dovrebbe essere riscontrabile, invece, in un voto espresso nel corso di elezioni politiche. Tale senso metaistituzionale è un senso ideologico, poiché non rispecchia la natura dell' istituzione (del refe­ rendum) ossia il ruolo che quell' istituzione gioca normalmente in quell'or­ dinamento. Questo genere di qualificazione ideologica di un comportamento è compiuta da un soggetto dotato di una posizione di rilievo nell'ambito di un'organizzazione, che attribuisce ad una condotta (sua o altrui, compiuta nell'ambito di quell'organizzazione) una qualificazione che non coincide né con le ragioni che l'hanno spinto a tenerla o ad incoraggiarla né con gli effetti che tale condotta produrrà sull'organizzazione. La falsa qualificazione proposta dall'agente verrà accettata dai conso­ ciati proprio in virtù della posizione che questi ricopre nell'organizzazio­ ne. In questo senso, lo psicologo sociale Stanley Milgram ( I 9 74, p. I 4 S ) osservava che «ogni situazione è caratterizzata da un certo tipo di ideolo­ gia, che chiamiamo "definizione della situazione" e che è l'interpretazione del significato di un'occasione sociale. Essa fornisce la prospettiva attraver­ so la quale gli elementi di una situazione acquistano coerenza » . Milgram, nel corso di un celebre esperimento, aveva riscontrato che le persone sono propense ad accettare la definizione di un atto fornita da un'autorità da essi reputata legittima, indipendentemente dalle loro convinzioni morali o politiche. È possibile, infatti, che un agente autodefinisca la sua condot­ ta in modo non coincidente con il valore che quella condotta ha in quello

O L I M P I A G I U LIANA L O D D O

stesso contesto sociale, nell'ambito dello stesso ordinamento normativa. Ad esempio, può accadere che un imprenditore presenti una parte della retribuzione come una sorta di dono; che un lavoratore presenti la presta­ zione lavorativa dovuta al suo datore di lavoro come se fosse un favore; che un governo presenti un rimborso dovuto ai cittadini come un bonus. In questo senso, durante il referendum che ha avuto luogo in Italia il 4 dicem­ bre 2or6 si è verificato paradossalmente che sia i promotori della riforma, sia una parte di coloro che a tale riforma si opponevano, abbiano attribuito valore politico a una consultazione referendaria.

4·5

Conclusioni

Ad una consultazione che avrebbe dovuto avere ad oggetto esclusivamente l' idoneità (o l' inidoneità) della riforma costituzionale a migliorare l' asset­ to delle istituzioni costituzionali italiane è stata attribuita ideologicamente una valenza politica. Momento culminante di tale carica ideologica è ri­ scontrabile nell'annuncio da parte del presidente del Consiglio di rasse­ gnare le proprie dimissioni nel caso in cui la riforma fosse stata respinta. In questo modo, l'occasione di confronto democratico rappresentata dal refe­ rendum è stata trasformata in una farsa irrispettosa verso l'elettorato. L'e­ lettorato si è ritrovato, infatti, a dover esprimere un voto politico attraverso strumenti inadeguati; poiché costruiti dal legislatore per scopi ben diversi. In questo modo, la volontà dei votanti è stata manipolata, poiché sono stati introdotti nel loro processo decisionale dei fattori del tutto estranei all'og­ getto del referendum (ad esempio, l'urgenza di evitare una crisi di governo in assenza di una legge elettorale conforme alla costituzione). Paradossal­ mente, i votanti hanno espresso il loro voto nel corso del referendum ri­ nunciando, almeno in parte, ad entrare nel merito della riforma e quindi al loro diritto di decidere sull'assetto istituzionale del paese.

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6s

s

Libertà di salute : limiti, tutele e vincoli inespressi dell 'articolo 3 2 della Costituzione di /rene Lepori*

S-I

Introduzione

L'articolo 32 della Costituzione è frutto di una concezione modernista e assolutamente innovativa del concetto di salute, rispetto a quello fino all'e­ poca riconosciuto nei diversi ordinamenti. Per la prima volta il diritto positivo supera la visione monodimensiona­ le di tale situazione giuridica per riconoscerle invece una natura più com­ plessa, che da un lato restituiva o meglio assegnava centralità alla figura dell' individuo ( Olivetti, 2004) e dall'altro richiedeva un ruolo più attivo dello Stato in funzione attuativa di quanto già riconosciuto e garantito dal­ la Costituzione. Si addiviene quindi a una ricostruzione multidimensionale (Balduzzi, Servetti, 2013) del diritto alla salute nella quale, ferma la nuova centralità acquisita dall' individuo, assumono rilievo giuridico numerose sfumature, ciascuna con una propria consistenza giuridica e produttiva di effetti diffe­ , , renti ali interno dell ordinamento. , Il diritto alla salute si declina in diritto ali assistenza sanitaria, intesa come diritto alle prestazioni sanitarie - in accoglimento del paradigma proprio del diritto sociale - e in diritto all' integrità psico-fisica, concetto ad ampio spettro, riconducibile alla categoria dei diritti di libertà, che rac­ chiude in sé diverse declinazioni come si vedrà meglio appresso. In particolare, la libertà di salute si traduce nel potere attribuito all' in­ dividuo di autodeterminarsi nella scelta terapeutica da intraprendere, sia in , senso positivo, e quindi sia nella scelta nella terapia sia nella scelta dell ero"' Avvocato del Foro di Cagliari, dottore di ricerca in Diritto della attività amministra­ tiva informatizzata e della comunicazione pubblica.

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LIBERTÀ D I SALUTE

gatore della prestazione sanitaria, sia in senso negativo e quindi nel decide­ re di non sottoporsi ad alcun trattamento sanitario-terapeutico. È quindi innegabile che la modernità del dato costituzionale si evince in primis dalla struttura complessa e proteiforme che è stata attribuita al diritto alla salute racchiudente in sé diverse posizioni giuridiche nelle quali il fulcro è sempre l' individuo e, quindi, il diritto alla salute nella ricostru­ zione dell'art. 32 Cost. è diritto intrinseco della persona umana (cfr. Cor­ te costituzionale, sentenza 299/2oio, nella quale si afferma che « esiste un nucleo irriducibile del diritto alla salute, protetto dalla Costituzione come ambito inviolabile della dignità umana. Il quale impone di impedire la co­ stituzione di situazioni prive di tutela, che possano appunto pregiudica­ re quel diritto. Quest'ultimo diritto deve perciò essere riconosciuto anche agli stranieri, qualunque sia la posizione rispetto alle norme che regolano l' ingresso di soggiorno e di soggiorno nello Stato (omissis) » ), ma muta la relazione che si instaura tra il titolare del diritto e l'esterno inteso sia come ordinamento sia come collettività. lnvero però quando si parla di modernità del diritto alla salute così co­ me positivizzato nella Carta costituzionale ci si sofferma prevalentemente sulla qualificazione - seppur implicita - del diritto alla salute come diritto sociale e, in quanto tale, diritto finanziariamente condizionato e quindi si analizzano tutte le forti implicazioni di natura economico-finanziaria che incidono sulle modalità di tutela e di godimento del diritto stesso. La natura di diritto finanziariamente condizionato fa ingresso nella giurisprudenza per la prima volta con la sentenza n. 4 5 5 del I 9 9 0 della Cor­ te costituzionale, secondo cui al pari di ogni diritto a prestazioni positive, il diritto a ottenere trattamenti sani­ tari, essendo basato su norme costituzionali di carattere programmatico imposi­ tive di un determinato fine da raggiungere, è garantito a ogni persona come un diritto costituzionale condizionato dall'attuazione che il legislatore ordinario ne dà attraverso il bilanciamento dell' interesse tutelato da quel diritto con gli altri in­ teressi costituzionalmente protetti, tenuto conto dei limiti oggettivi che lo stesso legislatore incontra nella sua opera di attuazione in relazione alle risorse organiz­ zative e finanziarie di cui dispone al momento.

E ancora: Questo principio, che è comune a ogni altro diritto costituzionale a prestazioni positive, non implica certo una degradazione della tutela primaria assicurata dalla Costituzione a una puramente legislativa, ma comporta che l'attuazione della tu-

! R E N E L E P O RI

tela, costituzionalmente obbligatoria, di un determinato bene (la salute) avvenga gradualmente a seguito di un ragionevole bilanciamento con altri interessi o beni che godono di pari tutela costituzionale e con la possibilità reale e obiettiva di disporre delle risorse necessarie per la medesima attuazione: bilanciamento che è pur sempre soggetto al sindacato di questa Corte nelle forme e nei modi propri all'uso della discrezionalità legislativa.

Indubbiamente il profilo sopra citato ha assunto e continua ad avere una rilevanza fondamentale sia per le implicazioni tecnico-giuridiche di ri­ costruzione teorica della fattispecie del predetto diritto sia per le eviden­ ti ricadute che tale ricostruzione assume nella pratica del diritto e quindi nell'attività di produzione normativa e amministrativa volta alla organiz­ zazione, programmazione e regolazione dell' intero settore, stanti le sempre maggiori connessioni e commistioni con il mondo dell'economia e della gestione finanziaria delle risorse economiche. Non si può però sottacere che vi sono ulteriori e diversi profili dai quali si evince la modernità dell' impalcatura giuridica prevista nella Costituzio­ ne e, tra questi, sicuramente di grande attualità è l'aspetto relativo alla con­ figurazione del diritto alla salute anche come diritto di libertà. Libertà intesa sia come libertà di scelta della cure (o scelta a non essere curato) sia come libertà di scelta del soggetto erogatore delle prestazioni sanitarie, oggetto del diritto alla salute, aspetto che inevitabilmente ha del­ le forti implicazioni di natura economico-finanziaria oltreché incidere sul modello organizzativo della gestione del servizio sanitario.

5·2

La libertà di cura e i trattamenti s anitari obbligatori

Come già detto il testo costituzionale - anche sotto l'aspetto dei contenuti ­ attribuisce al diritto alla salute una natura multidimensionale. Da un lato infatti si richiama il paradigma del diritto sociale o diritto alla prestazione, assegnando all' individuo - cittadino o straniero - una posizione di "pre­ tesa alle cure", che nei casi di indigenza diviene pretesa alle cure gratuite ; dall'altro lato è invece evidente l'assonanza con i diritti di libertà, che nel caso della salute si traducono in libertà sia positiva sia negativa, essendo quindi riconosciuta all' individuo la libertà di scegliere sia le cure cui sotto­ porsi, sia quelle alle quali non sottoporsi, sia il soggetto erogatore cui rivol­ gersi per vedere soddisfatta la propria richiesta di salute. 68



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La libertà alle cure assume quindi un risvolto positivo (scelta delle cu­ re) e uno negativo che si sostanzia nella scelta autodeterminata dell' indi­ viduo di non sottoporsi ad alcun trattamento sanitario-terapeutico. L' at­ tribuzione delle predette libertà è diretta conseguenza del riconoscimento di una forte concezione individualistica del diritto alla salute e del suo in­ trinseco e ineludibile legame con l' individuo e la dignità della persona che ne costituisce il nucleo essenziale e irriducibile (Balduzzi, Servetti, 2013). La concezione individualistica sopra richiamata però non può indurre a ritenere che il diritto in questione sia stato concepito e declinato dal legi­ slatore esclusivamente in un'ottica individualistica. Seppur a una semplice lettura emerge che il costituente, nel riempire di significato e contenuto concreto il diritto alla salute, ha avuto come fulcro e riferimento il singolo, attribuendo a quest'ultimo poteri, libertà e facoltà da esercitare nel proprio esclusivo interesse, è altrettanto vero che ha anche previsto un articolato sistema di coordinamento e di bilanciamento fina­ lizzato al soddisfacimento o alla salvaguardia di altri e ulteriori interessi (contra Merana, 2015). Si può quindi affermare che, mentre il nucleo irriducibile del diritto al­ la salute, essendo quello intimamente collegato alla dignità della persona, ha indubbiamente una natura prettamente ed esclusivamente individuali­ stica, tutte le ulteriori "porzioni" del diritto possono essere, invece, lette in una chiave meno assoluta e pertanto anche in un'ottica funzionalistica che si ponga come ulteriore obiettivo quello di tutelare anche l' interesse della collettività. La natura articolata del diritto alla salute è confermata dalla complessa elaborazione e ricostruzione giuridica sottostanti alla disposizione costitu­ zionale, ma anche dal contenuto letterale della norma in commento. Infatti il secondo comma dell'art. 32, partendo dall'assunto dell' intan­ gibilità della sfera di autodeterminazione dell' individuo nelle scelte relati­ ve alla propria salute, a seguito del bilanciamento con un altro bene giuridi­ co ritenuto degno di tutela costituzionale, ossia la salute collettiva, giunge a prevedere una deroga espressa a tale principio. È proprio nell'ambito di questo peculiare bilanciamento che è stato in­ trodotto il concetto di trattamento sanitario obbligatorio, in accoglimento del quale l' interesse della collettività consente di imporre limitazioni alla libertà di salute - quale diritto costituzionale individuale - in attuazione del principio solidaristico che permea l' intera struttura del testo costitu­ zionale. Si manifesta così chiaramente la corretta ricostruzione della po­ sizione giuridica prevista dalla Costituzione nella quale confluiscono e si

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fondono il diritto fondamentale dell' individuo e r interesse della colletti­ vità (Corte costituzionale nella sentenza 37/1991). Ovviamente la circostanza che si possa "incidere, su un diritto fonda­ mentale ha giustificato e legittimato la scelta di prevedere una serie di ga­ ranzie a tutela dell' individuo, le quali sono state in parte trasfuse nel det­ tato costituzionale e in parte sono state rimesse all'attività ricostruttiva e interpretativa di dottrina e giurisprudenza. Il primo limite imposto dalla Costituzione è di natura formale e si tra­ duce nella previsione di una specifica riserva di legge, in ragione della quale il trattamento sanitario obbligatorio deve essere necessariamente disposto dalla legge. Ciò implica che solo la legge può prevedere le ipotesi determi­ nate in cui sia considerato legittimo incidere sulla sfera di autodetermina­ zione dell' individuo non consentendogli di esercitare liberamente il pro­ prio diritto a non sottoporsi alle cure. L' incidenza sulla libertà negativa di non curarsi quindi deve essere giu­ stificata dalla presenza di una norma di legge che, in sede di bilanciamento tra autodeterminazione dell' individuo e interesse alla salute collettiva, rite­ nuto prevalente il secondo bene giuridico, imponga un sacrificio al primo sostituendosi nella scelta terapeutica alla volontà del singolo. Ovviamente, in ragione della natura incomprimibile del nucleo essenziale del diritto alla salute e della importanza attribuita alla libertà di rifiutare le cure, r impo­ sizione di trattamenti sanitari obbligatori deve essere caratterizzata da un ulteriore requisito : la determinatezza. È evidente che solo la previsione specifica e r individuazione del trat­ tamento che si impone al singolo, elidendo la sua sfera di libertà e auto­ determinazione, consentono di svolgere la verifica della sussistenza di un interesse pubblico idoneo a fondare la scelta del legislatore e quindi ad as­ sicurare la correttezza del bilanciamento di interessi che giustifica il condi­ zionamento della libertà dell' individuo. È quindi essenziale che il legislatore determini in maniera specifica sia r interesse che si intende tutelare mediante la previsione di un trattamento sanitario obbligatorio, dando quindi modo di rendere apprezzabile il rischio o pregiudizio cui la salute collettiva è esposta, sia il tipo di trattamento rite­ nuto necessario per scongiurare il predetto pregiudizio (Morana, 2015). Giuridicamente, in ossequio ai canoni previsti nel testo costituzionale è infatti possibile prevedere una compressione della autodeterminazione del privato, solo qualora questa sia effettivamente finalizzata alla tutela di un interesse pubblico rilevante e di pari rango, rispetto al diritto del singo­ lo. Ciò implica che tali limitazioni potranno essere disposte esclusivamente 70



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a tutela della salute collettiva e non di qualsiasi altro interesse pubblico o di ordine generale. Solo la tutela dello specifico interesse pubblico richiamato consente quindi di imporre dei limiti al singolo nell'esercizio della proprie libertà di salute, in ragione del vincolo solidaristico che implica e comprende il dovere dell'individuo di non ledere né porre a rischio con il proprio comportamento la salute altrui, in osservanza del principio generale che vede il diritto di ciascuno trovare un limite nel reciproco riconoscimento e nell'e­ guale protezione del coesistente diritto degli altri. Le simmetriche posizioni dei singoli si contemperano ulteriormente con gli interessi essenziali della comunità, che possono richiedere la sottoposizione della persona a trattamenti sanitari ob­ bligatori, posti in essere anche nell' interesse della persona stessa, o prevedere la soggezione di essa ad oneri particolari. Situazioni di questo tipo sono evidenti nel caso delle malattie infettive e contagiose, la cui diffusione sia collegata a compor­ tamenti della persona, che è tenuta in questa evenienza ad adottare responsabil­ mente le condotte e le cautele necessarie per impedire la trasmissione del morbo ( Corte costituzionale, sentenza 218/!994).

Da quanto finora detto emerge chiaramente che il sacrificio che l'ordina­ mento impone all' individuo non si traduce in realtà in una lesione del bene salute, ma esclusivamente in una limitazione del potere di autodetermina­ zione nell'adozione delle scelte di salute, non potendo ricevere copertu­ ra costituzionale una previsione normativa che imponga al singolo tratta­ menti contrari o lesivi della dignità umana o che contemplino una lesione del bene individuale salute. La disciplina contenuta nell'art. 32 Cost. è il frutto di un profondo bilanciamento degli interessi inerenti alle due diverse sfere del diritto alla salute, quella individuale e quella collettiva, e si risolve nel potere per il le­ gislatore di sostituirsi al singolo, imponendo un trattamento obbligatorio, solo qualora questo sia idoneo a tutelare e salvaguardare allo stesso tempo la salute del soggetto obbligato al trattamento e la salute della collettività. Pertanto, solo nelle ipotesi in cui la compressione dell'autodetermina­ zione dell' individuo implichi l'esecuzione di un trattamento sanitario che tutela contemporaneamente l' interesse alla salute collettiva e il diritto alla salute dell' individuo che vi sia sottoposto, l' imposizione del trattamento potrà considerarsi legittima, non potendo essere imposto per legge all' in­ dividuo un sacrificio alla propria salute nell'ottica della tutela della salute collettiva, circostanza che si porrebbe in assoluto contrasto con il limite della tutela della dignità umana previsto dalla disposizione in commento. 71

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Il diretto corollario di tale principio è che il trattamento sanitario non può incidere sul bene salute dell' individuo ledendolo permanentemente e quindi le uniche conseguenze e ripercussioni che il medesimo potrà avere sulla salute dell' individuo dovranno essere temporanee e tollerabili. Tali sono le conclusioni cui è giunta la produzione giurisprudenziale della Corte costituzionale la quale, nel determinare con precisione in quali ipotesi una legge che imponga un trattamento sanitario obbligatorio pos­ sa considerarsi conforme alla citata disposizione costituzionale, ha ritenu­ to infatti che non si possa muovere alcuna censura di costituzionalità alla legge qualora questa preveda un trattamento diretto a migliorare e preser­ vare lo stato di salute del soggetto obbligato al trattamento e al contempo la salute degli altri membri della collettività (interesse che giustifica l' inci­ denza sulla sfera di autodeterminazione del privato) e che tale imposizione non incida negativamente sullo stato del privato, potendo solo comportare conseguenze che stante la temporaneità e la ridotta entità possano conside­ rarsi tollerabili (Corte costituzionale, sentenze 307/1990 e u8/1996). La specifica precisazione dell' impatto che il trattamento sanitario ob­ bligatorio può avere sulla salute del privato che vi sia obbligatoriamente sottoposto suggerisce che già al momento dell'approvazione del testo co­ stituzionale fosse chiaro nella mente del costituente il principio di precau­ zione che ha trovato un effettivo riconoscimento formale ed esplicito in epoca ben successiva (Comunicazione della Commissione europea del 2. febbraio 2. o o o ). In realtà la circostanza che il dato testuale imponga il rispetto della di­ gnità umana è di per sé sufficiente a ritenere che l' imposizione di un qualsi­ asi TSO dovrebbe essere preceduta da una fase tecnica di analisi del rischio che consenta quindi di orientare la scelta del legislatore al fine di adottare decisioni che possano comportare il minor pregiudizio possibile per i priva­ ti. La precauzione, quindi, si atteggia a parametro decisionale e regola di cau­ tela per il legislatore, il quale nell' imporre determinati trattamenti dovrà sia porre in essere tutte le necessarie cautele volte all'eliminazione o riduzione del rischio (in fase preventiva) sia, qualora l' incertezza non consenta una to­ tale elisione del pericolo, prevedere degli ulteriori strumenti di gestione del rischio e tutela del bene astrattamente passibile di danneggiamento. Nell'ambito dei TSO il ricorso al principio di precauzione assume una duplice valenza, in quanto si pone all' interno del complesso bilanciamento che il legislatore deve, così come previsto dalla Costituzione, bilanciare il diritto del singolo - e quindi l'eventuale rischio cui questo potrebbe essere esposto - e l' interesse collettivo che potrebbe essere leso irreparabilmente 72



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qualora l' incertezza scientifica si traducesse in una totale paralisi dell'atti­ vità "impositiva" del legislatore. Proprio in tale ottica è stato individuato un ulteriore requisito necessa­ rio affinché l' imposizione di un TSO sia conforme al dettato costituzionale e a tutti i corollari a esso conseguenti: la corresponsione di un' indennità nel caso in cui il soggetto passivo del trattamento subisca dei danni non temporanei che vadano oltre la normale tollerabilità. È evidente come tale requisito sia il precipitato dell'applicazione al set­ tore dei TSO del principio di precauzione nella seconda delle accezioni cita­ te. Di fatto quando le valutazioni tecnico-scientifiche individuino non con assoluta certezza l'esistenza di un'area di alea nella quale si possono ricon­ durre gli eventuali effetti pregiudizievoli di un TSO, ma di ciò non vi sia una assoluta evidenza scientifica, nel bilanciamento tra interesse individuale e interesse collettivo, in un'ottica solidaristica prevale il secondo. Ma qualo­ ra il rischio si tramuti in un reale e concreto pregiudizio sempre il medesi­ mo principio solidaristico, che ha consentito l' imposizione del trattamento, rende doveroso la previsione di oneri relativi alla gestione del rischio in capo alla collettività, mediante il riconoscimento di una indennità a favore del soggetto che abbia visto lesa la propria salute e integrità psico-fisica. In proposito è utile richiamare la sentenza della Corte costituzionale n. 258 del 1 9 9 4, nella quale la Corte, interrogata circa la legittimità della leg­ ge 27 maggio 1 9 9 1 , n. 1 6 5, che rendeva obbligatoria la vaccinazione contro l'epatite virale B nella parte in cui non prevedeva l'esecuzione di accerta­ menti preventivi idonei a ridurre il rischio di eventuali controindicazioni conseguenti alla vaccinazione, ha affermato che la necessità di effettuare un bilanciamento tra la tutela della salute del singolo e la tutela della salu­ te collettiva impone una approfondita valutazione tecnico-scientifica che consenta di individuare con la massima certezza i potenziali rischi conse­ guenti alla vaccinazione, per concludere poi richiamando «l'attenzione del legislatore stesso sul problema affinché, ferma la obbligatorietà genera­ lizzata delle vaccinazioni ritenute necessarie alla luce delle conoscenze me­ diche, siano individuati e prescritti in termini normativi, specifici e pun­ tuali, ma sempre entro limiti di compatibilità con le sottolineate esigenze di generalizzata vaccinazione, gli accertamenti preventivi idonei prevedere i possibili rischi di complicanze » . Tutte le considerazioni fin qui svolte trovano un perfetto e paradigma­ tico esempio applicativo nel settore delle vaccinazioni, ambito nel quale la produzione sia normativa sia giurisprudenziale susseguitasi negli anni ha dato prova di come, pur nella continua evoluzione sociale, giuridica, scien73

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tifica e anche culturale, i principi dettati dall'art. 32 della Costituzione sia­ no rimasti fermi, immutati e intangibili.

5·3

Le vaccinazioni obbligatorie e raccomandate : ipotesi applicative dei principi costituzionali ex art t. 2 e 3 2

Come detto, parlando di trattamenti sanitari obbligatori tema imprescin­ dibile è quello relativo alle vaccinazioni, sia perché è l'ambito nel quale maggiormente si è sviluppata ed evoluta la giurisprudenza costituzionale e di merito sia perché, ancora una volta con l'adozione del decreto legge 7 giugno 2 0 1 7, n. 7 3 (cosiddetto "decreto vaccinazioni"), il tema è diventato di assoluta attualità e oggetto di una pesante disputa non solo nell'ambito della opinione pubblica, ma anche a livello istituzionale. Non vi è dubbio che le vaccinazioni rientrino a pieno titolo nell'ambi­ to di applicazione dell'art. 32, secondo comma, della Costituzione e quindi soggiacciono a tutte le imposizioni e limitazioni proprie di qualsiasi tratta­ mento sanitario obbligatorio. Innanzi tutto anche le vaccinazioni obbligatorie devono essere imposte al singolo nell'ottica primaria della tutela della salute del medesimo alla quale si affianca e non nell'esclusivo interesse alla salute collettiva. Pertanto, l ungi dall' imporre un generalizzato obbligo di vaccinarsi in capo al singolo (situazione che sarebbe indubbiamente incompatibile con il principio di libertà di scelta sotteso al contenuto dell'art. 32 Cost. ) il le­ gislatore in talune circostanze ha ritenuto che, in ossequio ai principi soli­ daristici propri del nostro ordinamento, fosse legittimo e conforme al det­ tato costituzionale obbligare il singolo a sottoporsi alle vaccinazioni al fine di evitare che l'assenza di salute dell' individuo potesse divenire fonte di grave e irreparabile pregiudizio per l' interesse della collettività. Tale scelta ovviamente non può però spingersi sino al limite estremo di imporre un trattamento lesivo e pregiudizievole per il diritto alla salute del singolo, non potendo la tutela della salute collettiva assurgere a giustifica­ zione di un sacrificio o pregiudizio permanente del bene salute individua­ le. Da ciò consegue che l' imposizione di una vaccinazione non potrà essere considerata contrastante con il dettato costituzionale, qualora questa possa avere delle conseguenze pregiudizievoli per la salute del privato, purché i predetti "effetti indesiderati" siano temporanei e di entità tollerabile. ,

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Sorreggono quindi la scelta del legislatore che, di volta in volta, deb­ ba determinarsi sull'opportunità di imporre una vaccinazione i principi di precauzione e proporzionalità. Infatti è proprio il rischio che la mancata vaccinazione (qualora diventi prassi diffusa) possa riverberarsi negativamente sulla salute pubblica pre­ giudicandola e quindi la probabilità di incrementare la diffusione delle ma­ lattie a giustificare l' imposizione di una vaccinazione obbligatoria, quale misura proporzionata e cautelativamente volta a ridurre il rischio epidemi­ co (Consiglio di Stato, ordinanza 1 6 62/2017 e TAR Friuli Venezia Giulia, sentenza 20/2017 ). Nel conflitto tra interesse della collettività e libertà di autodetermina­ zione del singolo, il primo assume un ruolo predominante che giustifica l' imposizione al privato di un sacrificio della propria sfera di autodetermi­ nazione, obbligandolo alla vaccinazione, ma che in astratto non dovrebbe cagionare anche ulteriori pregiudizi al singolo. Nel caso in cui la vaccinazione obbligatoria comporti in concreto un danno per il privato che superi i limiti della tollerabilità, lo stesso principio solidaristico sulla base del quale si giustifica l' imposizione del trattamen­ to vaccinale impone che a vantaggio del singolo che abbia visto sacrificare il proprio bene individuale a favore dell' interesse collettivo alla salute sia riconosciuta una misura perequativa con la quale venga indennizzata la le­ sione subita. In tal senso si è da sempre espressa la giurisprudenza della Corte co­ stituzionale, la quale nelle numerose sentenze aventi ad oggetto questioni relative alle conseguenze delle vaccinazioni obbligatorie, posto che «nes­ suno può essere semplicemente chiamato a sacrificare la propria salute a quella degli altri, fossero pure tutti gli altri » (Corte costituzionale, sen­ tenza u8/1996), ha costantemente affermato la doverosità e obbligatorietà di un ristoro in favore di coloro i quali abbiano subito un obiettivo danno a seguito di un trattamento obbligatorio che ha prodotto un indiscutibile beneficio per la collettività. Si ritiene infatti che la rilevanza costituzionale dell' interesse collettivo alla tutela della salute non possa affermarsi in modo preponderante al pun­ to da giustificare, senza alcuna ulteriore conseguenza, l' imposizione al sin­ golo di un sacrifico che si traduca in una lesione permanente e intollerabile della propria salute, dovendosi - di contro - prevedere appositi strumenti di tutela e protezione a favore di chi, a causa dell'adempimento solidaristi­ co dell'obbligo di vaccinazione, subisca un effettivo sacrificio della propria integrità. 75

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Stante l'origine solidaristica dell'obbligo che si impone al privato, in caso di conseguenze dannose - non potendo in alcun modo essere giustifi­ cato un trattamento che lede il diritto al salute nel suo nucleo essenziale ­ si realizza un sistema di condivisione del rischio (Querci, 2011), o meglio delle conseguenze del danno, in forza del quale lo Stato si deve fare carico di ristorare le lesioni permanenti subite dal privato. Da quanto detto sembrerebbe quindi che la doverosità dell' indennizzo sia diretta e immediata conseguenza della obbligatorietà della vaccinazio­ ne che abbia arrecato pregiudizio al privato, quale ristoro del danno subito a seguito dell'azione volta a tutelare l' interesse collettivo. Invero, la giuri­ sprudenza della Corte costituzionale, proprio muovendo dalla ratio solida­ ristica sottesa al settore de quo, ha esteso ulteriormente la portata di tale ela­ borazione ritenendo che l'obbligatorietà dell' indennizzo sussista non solo in caso di danno da vaccinazioni obbligatorie, ma anche qualora il danno sia diretta conseguenza di una vaccinazione raccomandata. La Corte costituzionale infatti ha ritenuto non rispettoso del princi­ pio di uguaglianza escludere dalle ipotesi di indennizzo tutti i casi in cui il privato, a seguito di una campagna di sensibilizzazione, in adempimento di un dovere (e non un obbligo giuridico) di solidarietà si sia sottoposto vo­ lontariamente alla vaccinazione programmata o raccomandata, riportando poi dei danni permanenti. È evidente che avendo ancorato l' impianto giuridico del trattamen­ to sanitario obbligatorio sulla sussistenza di obblighi di natura solidale tra individuo e collettività, facendo discendere la doverosità dell' indennizzo dalla necessità di compensare il sacrificio subito dal singolo a favore di un prevalente vantaggio collettivo, tale necessità non può essere obliterata in base alla semplice distinzione della natura obbligatoria o raccomandata del trattamento cui il privato si sottopone. Si giungerebbe infatti alla situazione paradossale in cui il soggetto che si è sottoposto al trattamento dietro la minaccia di una sanzione riceve­ rebbe, in caso di danno, un trattamento più favorevole di colui il quale ab­ bia agito a seguito dell'opera di sensibilizzazione promossa dallo Stato, ma spinto dalla volontà di adempiere ad un dovere sociale e non da quella di evitare una reazione sanzionatoria dell'ordinamento. Così come afferma la Corte costituzionale nella sentenza n. 107 del 2012 (richiamando peraltro altri precedenti giurisprudenziali): «la ragio­ ne determinante dell' indennizzo è l' interesse collettivo alla salute e non l'obbligatorietà in quanto tale del trattamento, la quale è semplicemente strumento per il perseguimento di tale interesse; e che lo stesso interesse è



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il fondamento dell'obbligo generale di solidarietà nei confronti di quanti, sottoponendosi al trattamento vengano a soffrire di un pregiudizio » . n riconoscimento del diritto all'indennizzo trova quindi la sua origine nel dovere di solidarietà che si manifesta in una direzione biunivoca, da un lato mediante la compressione dell'autodeterminazione del singolo il quale si sottopone al trattamento in un'ottica di tutela anche dell' interesse collet­ tivo e dall'altro, in caso di esiti nefasti del predetto trattamento, imponen­ do la compartecipazione della collettività al pregiudizio arrecato al singolo. A nulla rileva pertanto che il trattamento sia stato effettuato a seguito dell'adempimento di un obbligo imposto da una legge mediante la previ­ sione di specifiche sanzioni oppure in semplice adempimento di un dovere di solidarietà che induce l'individuo a sottoporsi a una terapia vaccinale, in un'ottica di collaborazione e adesione a uno specifico programma di poli­ tica sanitaria. Ciò che conta è che la vaccinazione non obbligatoria sia comunque inserita in una campagna di sensibilizzazione e promozione finalizzata a incentivare il trattamento, dovendo ritenere che la libera adesione sia di per sé valido motivo per giustificare un parallelo dovere di solidarietà della collettività quando il trattamento possa cagionare effetti pregiudizievoli. Di contro, tali imposizioni non sono previste in caso di trattamenti necessitati così come affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza 423/2000, in cui si sostiene che: In base a queste considerazioni, si comprende che il raffronto tra la cogenza dell'obbligo legale o l' incentivazione al trattamento, da un lato, e la necessità tera­ peutica del trattamento stesso, dall'altro, non è produttivo nel senso della equipa­ razione delle situazioni, dal punto di vista del principio uguaglianza. Le situazioni sono diverse e non si prestano a entrare in una visione unificatrice perché solo le prime corrispondono a un interesse generale, che è quello in base al quale è costi­ tuzionalmente necessario che la collettività assuma su di sé una partecipazione alle difficoltà nelle quali può venirsi a trovare il singolo che ha cooperato al persegui­ mento di tale interesse.

Tale ricostruzione impone però un'ulteriore considerazione quale diretta conseguenza dello stretto collegamento esistente nell'ordinamento tra di­ ritto alla salute ed esigenze di contenimento della spesa. Se infatti non vi sono dubbi che il diritto alle prestazioni sia finanzia­ riamente condizionato, occorre chiedersi se tale natura del diritto alla sa­ lute abbia o meno ricadute anche nel regime dell' indennizzo conseguente alle vaccinazioni obbligatorie o raccomandate. 77

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In proposito l'affermazione di un generico obbligo di indennizzo a favo­ re del danneggiato sembra suggerire che tale diritto non sia finanziariamente condizionato. Di fatto, in tali ipotesi il bilanciamento tra diritto all' inden­ nizzo e contenimento della spesa non è del tutto assente tanto da poter affer­ mare l'assoluto affrancamento del diritto dalla sua natura finanziariamente condizionata, ma dovrebbe essere svolto a monte dal legislatore al momento dell' introduzione del trattamento obbligatorio. Già in quella sede, quindi, il legislatore opera una valutazione in merito agli eventuali costi derivanti dall'attuazione degli obblighi vaccinali, pre­ vedendo l'apposita copertura finanziaria (Brancasi, 2 0 1 6), eventualmente con la previsione di clausole di salvaguardia finanziaria che consentano di far fronte poi a tutte le presumibili richieste di indennizzo che verranno ri­ volte dagli eventuali danneggiati. Pertanto, solo una volta inserito nella previsione normativa il diritto all' indennizzo non potrà trovare alcuna limitazione, dovendo essere ricono­ sciuto a tutti coloro i quali si trovino nelle condizioni previste dalla norma, ma ciò non è di per sé sufficiente a travalicare la natura finanziariamente condizionata del diritto, stante la necessità dello svolgimento della verifica di fattibilità e sostenibilità finanziaria che si impone comunque al legislatore preventivamente rispetto all' introduzione della normativa impositiva.

5·4

Conclusioni

La rappresentazione del diritto alla salute fornito dal testo costituzionale ha consentito di individuare immediatamente la natura multidimensiona­ le del medesimo e il forte accento posto per anni sulla configurazione del diritto alla salute come diritto sociale ha permesso di individuare fin da su­ bito lo stretto e inscindibile legame sussistente tra il regime di godimento e di esercizio del predetto diritto e le scelte in ambito economico finanzia­ rio che il paese ha di volta in volta dovuto affrontare, riconducendo quin­ di tale posizione giuridica soggettiva all'alveo dei diritti finanziariamente condizionati. Ebbene l' intima correlazione tra diritto alla salute e politica economi­ ca permea in realtà tutto l' impianto ricostruttivo del predetto diritto, ivi comp resi gli aspetti che risultano riconducibili alla libertà di salute. E quindi evidente che la natura finanziariamente condizionata del di­ ritto alla salute non si manifesta esclusivamente in relazione alle "pretese"



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di salute che il singolo rivendica nei confronti dello Stato, ma anche in tut­ te quelle scelte che il cittadino compie (obbligato o solo incentivato) sia nell' interesse proprio sia a salvaguardia dell' interesse collettivo. Da ciò consegue che le voci di spesa riconducibili al settore sanità su­ biscono un notevole ampliamento non potendo essere ricondotte al mero costo delle prestazioni erogate, ma imponendo ulteriori pesi allo Stato an­ che in tutti quei casi nei quali si sia ingerito nell'esercizio della libertà di salute del privato. In relazione alla disciplina dei TSO la salute mantiene, coerentemen­ te con tutti i vincoli che si impongono al legislatore ordinario, la natura di diritto finanziariamente condizionato, essendo necessario che qualsiasi norma impositiva di un nuovo trattamento sanitario (o di introduzione di una politica incentivante al trattamento) contenga anticipatamente una clausola di copertura finanziaria con la quale determinare le risorse finaliz­ zate all'eventuale indennizzo dei privati che subiscano pregiudizi in adem­ pimento ai doveri di salute imposti (o raccomandati), con la specificità che in questa sede il bilanciamento tra esigenze finanziarie e diritto del privato all' indennizzo si traduce in una obiettiva e non tangibile prevalenza del se­ condo interesse, proprio in ragione delle specifiche cause da cui è originato il fatto.

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BALD UZZI R., SERVETTI D.

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6

L'ambiente come bene da preservare nel tempo di Stefano Mundula*

6. 1

Introduzione

Il presente contributo è una riflessione sulle origini storiche della tutela ambientale in Italia, intesa come res publica e come tale riconosciuta nei principi fondamentali della Costituzione. In generale, la cura dell'am­ biente, dell'acqua, dell'aria, del territorio, delle foreste e della biodiversi­ tà sono oggetto di potestà legislativa ripartita, cioè esercitata concorren­ temente dallo Stato e dalle Regioni con l'ausilio delle autonomie locali. Questa sinergia d' intenti è espressione dei principi di sussidiarietà e leale collaborazione, come riconosciuto dalla Corte costituzionale (sentenza 407/2002). Oltre la m era regolamentazione come bene giuridico, l'ambiente è anche luogo d' incontro delle necessità di vita del singolo e della socie­ tà: entrambi beneficiano delle risorse della natura, intesa come materia prima della vita sociale. In questo senso, la conservazione della natura nelle aree protette riveste un significato simbolico e materiale del tutto peculiare. Le pagine che seguono offrono un'analisi del percorso storico, sociale e legislativo che ha portato alla formazione delle aree protette in Italia. Queste ultime sono uno strumento forte di identità territoriale delle comunità locali e come tali sono riconosciute in tutto il territorio nazionale e dalle istituzioni dello Stato. In questo senso, il riconoscimen­ to costituzionale di tutela dell'ambiente è inteso come un riconoscimen­ to dell 'unità del paese nelle sue diversità, sia fisiche sia sociali.

"' Master i n Economia e gestione ambientale (Università Commerciale " L . Bocconi"); dottore in S cienze naturali ( Università degli Studi di Cagliari).

So

'

6. L A M B I E N T E C O M E B E N E DA P RE S E RVA R E N E L T E M P O

6. 2

Breve traccia storica delle aree protette La battaglia per la tutela dell'ambiente è stata da sempre una battaglia per la tutela identitaria delle generazioni presenti e future residenti in un cer­ to territorio. Come tale, ha inevitabilmente coinvolto sia esponenti della società civile sia le istituzioni, nazionali e internazionali, in un dialogo at­ tinente alla modalità, e soprattutto velocità, in cui è lecito interferire sul corso della natura per ottenere vantaggi sociali, sia individuali sia collettivi. Alcune delle strategie di volta in volta disegnate, però, hanno guardato al beneficio immediato di parte della società a scapito della capacità dell' am­ biente di rigenerarsi, ponendosi in contraddizione con la dimensione tem­ porale di bene comune. L'attualità del discorso sulla tutela ambientale si manifesta anche e so­ prattutto nel contributo di vari gruppi ambientalisti, associazioni e orga­ nizzazioni non governative, che con le loro battaglie pacifiche in tutto il mondo hanno mantenuto alto il livello di attenzione dell'opinione pub­ blica sulla tutela delle specie protette, dei loro habitat, degli ecosistemi at­ traverso campagne di sensibilizzazione, sit-in e conferenze sul world care. Partendo da dati scientifici oggettivi, soprattutto quelli basati sulla perdita di biodiversità, studiosi ed intellettuali hanno ispirato la nascita di movi­ menti transnazionali, i quali si sono fatti portavoce dei problemi sociali ed ambientali dell' Occidente così come dei paesi in via di sviluppo. Anche in Italia, nelle nostre comunità locali, le aree protette sono la base di economie rurali, come tali fondate su un mutualismo uomo-am­ biente spesso di lunga memoria: il pastore sfrutta le aie forestali e al con­ tempo presidia il territorio; raccoglie il legnatico del sottobosco e stimola le crescite di polloni e plantule; usa la natura per il proprio sostentamento e allo stesso tempo sostenta la natura, così generando un circolo virtuoso di benefici condivisi. La semplicità di questo equilibrio di vita in realtà na­ sconde l' immensa complessità delle regole fisiche della natura e delle cono­ scenze umane necessarie per saperla sfruttare con saggezza come metodo di sopravvivenza. L'origine storica delle aree protette risale al 1872, quando negli Stati Uniti d'America venne istituito il parco nazionale di Yellowstone. Con­ cepito come patrimonio naturale da preservare per le generazioni future, il parco nazionale fu da subito considerato un luogo in cui tutti i cittadini possono riconoscersi e farlo proprio, sia come spazio fisico sia come identi­ tà culturale e nazionale. Nel tempo il parco ha poi gradualmente acquisito 81

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un ruolo chiave come fiamma del progresso e dello sviluppo sociale di inte­ re comunità territoriali, sia locali sia nazionali. Per quanto concerne lo sviluppo di una vera e propria politica ambien­ tale in Italia, questa deve essere inquadrata all' interno del dibattito e del­ le iniziative europee per la costituzione delle aree protette. Storicamente, la nascita di una vera e propria coscienza protezionista viene fatta risalire all'operato di Giambattista Miliani all' inizio del Novecento. A questo stes­ so periodo risale la fondazione di numerose associazioni nazionali, ancora oggi attive, per la difesa e promozione dell'ambiente, come la Pro monti­ bus et silvis, il Club alpino italiano e il Touring Club italiano. Da un punto di vista giuridico, il momento chiave è rappresentato dal passaggio di inquadramento da riserve reali di caccia ad aree protette dei primi due parchi nazionali, il Parco nazionale Gran Paradiso e il Parco na­ zionale d'Abruzzo, tra la fine del 1922 e l' inizio del 1 9 23. Nonostante la formalizzazione in entità giuridica separata, la gestione forestale del parco nazionale, essendo interamente regolata dallo Stato, mal si prestava a valo­ rizzare pienamente le realtà sociali, economiche e soprattutto ecologiche degli elementi costitutivi del parco. All' inizio del Novecento l' Italia, tro­ vandosi in costante competizione economica e industriale con altre nazio­ ni europee dedite allo sfruttamento delle risorse naturali delle loro colonie, avviò una gestione forestale finalizzata a disboscare indiscriminatamente e irresponsabilmente foreste per la produzione di carbone, doghe per la rete ferroviaria e legname per i cantieri navali. Gran parte di queste risorse venivano sistematicamente reperite in Sar­ degna (Caterini, 201 6 ) con danni irreparabili all'ambiente che tutt'ora ro­ vinano il territorio isolano. La Sardegna possedeva, infatti, estese e rigo­ gliose foreste che, una volta depredate, hanno eliminato una parte impor­ tante dell' identità e della cultura rurale legate all'uso sostenibile del terri­ torio isolano per far fronte alle necessità di sviluppo dello Stato (ivi). Solo a partire dal 1944 iniziò un serio processo istituzionale, che portò alla creazione delle prime riserve statali, per quanto molto piccole, ad ope­ ra del Corpo forestale dello Stato. La presenza dei parchi comportò ovvia­ mente un'alterazione degli usi del territorio per le comunità locali che su­ bivano i vincoli e le imposizioni di protezione. Le ultime comprendevano ad esempio limiti alla raccolta di legname, alla caccia, alla costruzione edile o alla raccolta di funghi, talvolta comportando delle forti contrapposizioni tra lo Stato e le comunità locali quali portatrici degli interessi più immedia­ ti della popolazione beneficiaria delle risorse naturali dei parchi.

6.

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La nuova politica delle aree protette, volta allo sviluppo sostenibile, agli strumenti partecipativi e al dialogo tra fruitore e gestore del parco, ca­ povolse di fatto gli approcci gestionali precedenti. Si comprese quindi che i vincoli e le regole, affinché venissero osservate, non potevano essere sem­ plicemente calate dall'alto ma dovevano essere discusse e comprese in ma­ niera partecipativa anche dalle comunità locali. Si arrivò così alla legge qua­ dro 6 dicembre 1991, n. 394 sulle aree protette, la quale consta di due im­ portanti strumenti: la zonazione (o zonizzazione), presa in prestito dagli ingegneri ed architetti del paesaggio, e la recezione di azioni partecipative da parte dei portatori di interessi. Attualmente la situazione delle aree pro­ tette consta di ben 871 entità costituite a vario titolo, le quali occupano una superficie totale a terra di ben 3.I63.S90,7I ha, una superficie totale a mare pari a 2.8 s 3.033,02 ha, per un totale di 6 s 8,o2 km costieri. Ufficiosamente altri organismi istituzionali come Federparchi riportano un numero pari a 3.306 aree protette presenti nel territorio nazionale. La legge quadro 394/!991 è il frutto di un faticoso dialogo avvenuto tra comunità locali ed enti gestori e trova nel Piano del parco la risposta più mo­ derata possibile. n percorso svolto per giungere alla legge quadro verte su tre capisaldi fondamentali: il valore d'autonomia dell'ente gestore, le necessità politiche di piano che le aree protette devono sempre considerare e i bisogni delle comunità locali. Questi ultimi aspetti in particolare hanno una eleva­ ta importanza poiché se non compiutamente compresi potrebbero generare per default esternalità negative, in termini di conservazione, nelle comunità in cui la rilevanza del capitale sociale sia forte (Mundula, 2ou).

6. 3

Inquadramento giuridico- ambientale e responsabilità civiche

Come anticipato, il riferimento all'ambiente come bene da tutelare è pre­ sente all'articolo 9 della Costituzione: « La Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione » . Come bene pubblico, l'ambiente non è suscettibile di appropriazione individuale. Al contrario, è un bene indivisibile, unitario e multiforme. Ta­ li caratteristiche rendono problematica la sua tutela a fronte di un sistema giudiziario che non conosce, se non quale eccezione, l'azione popolare, nel senso che guarda con sfavore la legittimazione di aggregazioni di individui

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che si facciano portatori occasionali di interessi esistenti allo stato diffu­ so. Ne deriva che il singolo che intenda insorgere in sede giurisdizionale contro un provvedimento amministrativo esplicante i suoi effetti nell' am­ biente in cui vive ha l'obbligo innanzi tutto di identificare il bene che dalla iniziativa dei pubblici poteri potrebbe essere pregiudicato, per esempio il paesaggio, l'acqua, l'aria, il suolo, il proprio terreno; successivamente, deve dimostrare che non si tratti di un bene di cui una pluralità più o meno va­ sta di soggetti, nessuno dei quali aventi la totale ed esclusiva disponibilità, ne benefici indistintamente. È questo il cosiddetto requisito della vicinitas (Consiglio di Stato, v, 1 6 giugno 2009, n. 3903). Queste considerazioni dimostrano come il problema della tutela dei diritti ambientali non si risolva in formalità quali il diritto di adire i giu­ dici, ma implica il diritto di ottenere da quegli organi una tutela capace di garantire un'effettiva realizzazione delle situazioni giuridiche sostanziali. In generale, le norme giuridiche sono applicabili se viene dimostrata la lesione all' interesse tutelato e il risultato di solito si traduce in un'azione risarcito da (il colpevole è tenuto a risarcire il danno causato) e inibito­ da (il colpevole è tenuto a interrompere la condotta dannosa) . Le norme ambientali, al contrario, hanno una natura prettamente formale, ossia so­ no applicabili quando il comportamento di un soggetto non rispetta la forma prevista dalla legge (ad esempio effettua uno scarico in un parco, o emette fumi con concentrazione di inquinanti superiore ai limiti ta­ bellari fissati dalla legge). Inoltre il risultato dell'applicazione della legge ambientale è in genere una sanzione, sia essa pecuniaria o una limitazione della libertà personale.

6. 4

Il Piano

del parco

La legge quadro 394/1991 sulle aree protette dà attuazione sia agli articoli 9 e 32 della Costituzione che agli accordi internazionali in ambito protezio­ nistico dettando principi fondamentali per l' istituzione e la gestione delle aree naturali protette al fine di garantire e di promuovere, in forma coor­ dinata, la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale nazio­ nale. Per patrimonio naturale si intendono le formazioni fisiche, geologi­ che, geomorfologiche e biologiche, o gruppi di esse, che hanno un valore rilevante, naturalistico e ambientale. I territori nei quali siano presenti tali patrimoni naturali, specie se vulnerabili, sono sottoposti ad uno speciale

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regime di tutela e di gestione, allo scopo di perseguire, in particolare, le finalità di conservazione di specie animali o vegetali, di associazioni vege­ tali o forestali, di singolarità geologiche, di formazioni paleontologiche, di comunità biologiche, di biotopi, di valori scenici e panoramici, di processi naturali, di equilibri idraulici e idrogeologici, di equilibri ecologici. L'adozione di tutela avviene secondo l'applicazione di metodi di ge­ stione o di restauro ambientale idonei a realizzare un' integrazione tra uo­ mo e ambiente naturale, anche mediante la salvaguardia dei valori antro­ pologici, archeologici, storici e architettonici e delle attività agro-silvo-pa­ storali e tradizionali. La legge conferisce all'ente gestore la possibilità di svolgere promozione di attività di educazione, di formazione e di ricerca scientifica, nonché di attività ricreative compatibili con l'ambiente. Gli stessi territori sottoposti al regime di tutela e di gestione in cui gravano i patrimoni naturali costituiscono le aree naturali protette. In dette aree possono essere promosse la valorizzazione e la sperimentazione di attività produttive sostenibili. Il Piano del parco vuole essere uno strumento esecutivo nel contesto della legge quadro 394/1991 sulle aree protette. Una delle caratteristiche principali è che deve essere discusso, e perciò condiviso, con la comunità locale anziché imposto dall'alto. L'obiettivo della tutela del parco è garan­ tito dal Piano, inteso anzitutto nella definizione di zone e di vincoli in essa presenti da sottrarre a tutte le attività produttive che non siano sostenibili. li Piano del parco disciplina queste attività, regolarizzando per esempio i periodi di utilizzo e visita del parco tenendo in considerazione il rispetto alle autoecologie delle biodiverisità presenti: ad esempio rispettando i pe­ riodi di estro delle specie faunistiche, individuando la capacità di carico an­ tropico massima per un sentiero, la quantità di funghi raccolta tramite una licenza, magari conferita dietro un corso di micologia obbligatorio. È fondamentale che le regole del piano non siano imposte ma negozia­ te con le comunità attraverso processi partecipativi che mirino alla (cor)re­ sponsabilizzazione e alla consapevolezza delle peculiarità naturali del par­ co che devono essere protette da tutti, in primis dalla stessa comunità che abita il territorio protetto. In questo modo le finalità della protezione am­ bientale garantita dal parco, e dalla regolamentazione del parco attraverso il Piano, includono quelle della riserva scientifica, dello svago e dell'educa­ zione popolare, della garanzia di un diritto all'ambiente che assume carat­ teri sempre più universali, cioè non solo locali ma anche sovranazionali. In questo modo la diversità del territorio si concilia con l'unità di un popolo rispettoso delle differenze, sia sociali sia territoriali, che lo caratterizza. ss

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6. s

Conclusioni

Questa breve ricostruzione dell'evoluzione storico-giuridica della prote­ zione della natura in Italia nel corso del Novecento dimostra che la pre­ senza, oggi, del parco come strumento di gestione di un bene comune in­ divisibile consente la rivendicazione identitaria, e perciò politica, delle aree protette da parte delle popolazioni residenti. L'adozione della legge qua­ dro 397/1991 segna un enorme passo in avanti verso la piena attuazione dei principi di sussidiarietà e leale collaborazione riconosciuti dalla Corte costituzionale. Ciò nonostante, la dissonanza nella gestione di poteri decisionali det­ tata dall'attuale sistema di riparto di competenze tra Stato e Regioni è de­ stinata a marcare a lungo e in profondità il dibattito sulle aree protette e le scelte dei soggetti in campo, soprattutto perché le comunità locali rivendi­ cano marcate specificità culturali e sociali col territorio troppo spesso in­ comprese dagli organi apicali ministeriali. Ripensare il ruolo del cittadino nelle comunità rurali protette dai parchi significa ripensare l' identità giu­ ridica del ruolo delle autonomie locali nell'articolazione regionale e statale dei poteri decisionali. Un riconoscimento adeguato del ruolo delle diffe­ renze territoriali e sociali è lo strumento più utile, efficace ed adeguato per descrivere e valorizzare l'unità nazionale di uno Stato multiculturale.

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C A R AVITA B.

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6. L 'A M B I E N T E C O M E B E N E DA P R E S E RVA R E N E L T E M P O

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MUNDULA s .

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Il ruolo costituzionale dell 'avvocato nell 'attuazione della giustizia di Matteo Liberati*

e Paolo Vargiu**

7· 1

Introduzione

Nella seconda metà degli anni Duemila la protesta dell'avvocatura italiana, proclamata dalla giunta dell'Organismo Unitario dell'Avvocatura (ouA) in segui to all'approvazione del cosiddetto decreto Bersani, ha riaperto il dibattito sulla peculiarità della funzione sociale dell'avvocato e dell'avvo­ catura, intendendosi per tale la libera professione di avvocato in sé conside­ rata e l'organizzazione degli avvocati per istituzioni e associazioni rappre­ sentative, e di riflesso quello sul suo ruolo all' interno del sistema costitu­ zionale di amministrazione e attuazione della giustizia. Com'è noto, il D.L. 4 luglio 2006, n. 223 era dichiaratamente ispirato dalla necessità di garantire il rispetto dei principi fondanti il mercato co­ mune, e, in particolare, oltre alla promozione della concorrenza e alla tutela del consumatore, « il rispetto degli articoli 43, 49, 81, 82 e 86 del Trattato istitutivo della Comunità europea » . Nel tentativo d i adeguare il mercato dei servizi legali alle regole della concorrenza, si ricorda, il decreto Bersani aveva abolito le tariffe minime obbligatorie e il divieto assoluto del cosiddetto "patto di quota lite': ridi­ mensionato il divieto di pubblicità e reso possibile la fornitura di servizi interdisciplinari da parte di società di persone o associazioni tra professio­ nisti. L'avvocatura ha reagito compatta contro il decreto Bersani, sia nella sua veste istituzionale sia attraverso gli organi di rappresentanza politica. Nel criticare le modalità e i contenuti dell' intervento del governo, il Consiglio Nazionale Forense si è affrettato a precisare che la «nuova di­ sciplina dovrebbe aver natura transitoria » , mentre l'Organismo Unitario "' Avvocato nel Foro di Cagliari; dottore di ricerca in Diritto dell' Unione Europea. """ Ricercatore di Diritto internazionale, Università di Leicester.

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dell'Avvocatura si è domandato retoricamente a quale avvocatura l'esecu­ tivo avesse inteso riferirsi: «A quella chiamata a svolgere la funzione di ga­ rantire ad ogni cittadino il diritto di difendersi ed il diritto di pretendere la tutela delle proprie legittime aspettative, ovvero ad una avvocatura com­ merciale, che compete, con libertà di informare capziosamente l'utente, e che divenga compartecipe, oltreché strumento, delle azioni del proprio ex assistito, ora socio ? » 4 • Questo passaggio esprime bene i timori dell'avvocatura italiana per una prevalenza a livello ordinamentale della visione mercantile o concor­ renziale della professione forense (che si assume perseguita dal governo Bersani) su quella garantista. Secondo la prima, l'attività dell'avvocato può e deve essere ricondotta nell'alveo della più ampia categoria dei produttori e fornitori di servizi, co­ me tale soggetta senza eccezioni alle regole della concorrenza a beneficio del mercato e dei consumatori. In questa prospettiva sono stigmatizzate le regolamentazioni che sta­ biliscono requisiti di accesso e attività riservate, regole di comportamento attinenti alla fissazione dei prezzi, limiti alla pubblicizzazione dei servizi offerti e alla struttura aziendale. Quella garantista, invece, sottolinea la specialità della funzione sociale che l'avvocato è chiamato a svolgere nell'attuazione e difesa dei valori co­ stituzionali, innanzi tutto come garante (appunto) dei diritti dei consociati: la riforma dell'ordinamento forense verso un mercato dei servizi legali più concorrenziale deve trovare un limite in quelle condizioni all'esercizio della professione che sono direttamente legate alla peculiarità della sua funzio­ ne. La specialità della professione forense è stata ripetutamente evidenzia­ ta anche dal Parlamento europeo, che ha individuato nell'avvocato uno dei «pilastri della tutela del diritto fondamentale alla difesa e dell'applicazione del principio dello Stato di diritto» 5 e sollecitato la Commissione europea a tener conto di questo ruolo nell'applicazione delle regole sulla concorrenza. L' impostazione garantista ha trovato espressione nella legge 3I dicembre 2 0 I 2 , n. 247, che detta la « nuova disciplina dell'ordinamento della profes­ sione forense » e afferma significativamente che «L'avvocato ha la funzione 4 · Lettera ai Senatori a vita di richiesta di non votare la fiducia in sede di conversione del D.L. cosiddetto Bersani, 2 4 luglio 2 0 0 6 .

s. Risoluzione del Parlamento europeo sulle tabelle degli onorari e l e tariffe obbligato­ rie per tal une libere professioni, in particolare per gli avvocati, e sulla particolarità del ruolo e della posizione delle libere professioni nella società moderna, in "Gazzetta Ufficiale della Comunità Europea", C 21 E del 24 gennaio 2 0 0 2, p. 3 64.

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di garantire al cittadino l'effettività della tutela dei diritti» (art. 2); mentre il processo di avvicinamento dell'avvocato agli altri produttori e fornitori di servizi ha trovato un ulteriore tassello nella legge 4 agosto 2017, n. 124, che ha introdotto la possibilità dell'esercizio della professione in forma societa­ ria, aprendo di fatto all'ingresso dei soci di capitale negli studi legali. Alla fine del decennio passato, nelle more dell'elaborazione della legge di riforma, di fronte al timore (più o meno fondato) di una mercificazione dell'attività dell'avvocato, di cui già parlava Guido Alp a nella sua relazione per la seduta inaugurale dell'anno giudiziario 2005, e di una conseguente mortificazione del suo ruolo sociale, hanno ripreso vigore quelle istanze di modifica del Titolo IV della Parte II della Costituzione, attualmente rubri­ cato La Magistratura, finalizzate ad attribuire specifica rilevanza alla fun­ zione svolta dall'avvocatura nell'ambito della giurisdizione, come soggetto di un dittico in cui l'altro protagonista è la magistratura (nella sua duplice funzione: giudicante e requirente) . Probabilmente è in questa cornice concettuale (rectius: humus emotivo) che trova specifica collocazione la proposta di legge costituzionale a firma del professor Pecorella presentata il 26 giugno 2009 e che, come vedremo, prevede l' introduzione di una sezione I-bis del Titolo IV della Parte II della Costituzione, intestata Avvocatura e composta dagli articoli II o-bis e IIO-ter.

7- 2

L'avvocato nella Costituzione attuale

È opinione comune che nella sua configurazione attuale la nostra Carta co­ stituzionale contenga diverse disposizioni che si riferiscono espressamente o implicitamente all'avvocato e all'avvocatura. Innanzitutto vengono in rilievo quelle norme che definiscono il ruolo dell'avvocato nel processo e, fra queste, l'art. 24 Cost. e il diritto di difesa in esso consacrato, da intendersi nella sua declinazione consolidata, sia co­ me diritto all'autodifesa o difesa materiale, quale facoltà di rappresentare personalmente le proprie istanze di fronte alle competenti autorità giudi­ ziarie, sia come diritto alla difesa tecnica o formale, quale diritto di farsi assistere in giudizio da un esercente la professionale legale. Sin dalle sue prime pronunce sul tema la Corte costituzionale ha affer­ mato che « n diritto della difesa, [ ... ] , deve essere inteso come potestà effet­ tiva della assistenza tecnica e professionale nello svolgimento di qualsiasi processo, in modo che venga assicurato il contraddittorio e venga rimosso

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ogni ostacolo a far valere le ragioni delle parti » (Corte costituzionale, sen­ tenza 8 marzo I 9 5 7, n. 47 ). li compito della difesa, ha precisato la Corte (ibid. ), « assume una im­ portanza essenziale nel dinamismo della funzione giurisdizionale, tanto da poter essere considerato come esercizio di funzione pubblica » . Nella stessa pronuncia la Corte ha precisato che il diritto di difesa è intimamente legato, per un verso, alla esplicazione del potere giurisdizionale e, per altro, alla pos­ sibilità di rimuovere le difficoltà di carattere economico che possono oppor­ si al concreto esercizio del diritto medesimo. Rileva in questo senso il diretto collegamento con l'art. 3 Cost. (e con il principio di uguaglianza sostanziale) e la previsione di cui al terzo comma dello stesso art. 24 Cost. Tuttavia, ferme queste premesse, poiché l'affermazione costituziona­ le del diritto inviolabile di difesa non è accompagnata dall'enunciazione dotata di pari forza cogente dei modi (ovvero del modo) di esercizio del diritto di difesa medesimo, la Corte ha chiarito che è facoltà del legislato­ re ordinario, valutando la diversa struttura dei procedimenti, i diritti e gli interessi in gioco, le peculiari finalità dei vari stati e gradi della procedura, dettare specifiche modalità per l'esercizio del diritto di difesa, alla tassativa condizione che esso venga effettivamente garantito a tutti su un piano di uguaglianza nelle differenti situazioni processuali. La soggettività costituzionale dell'avvocato è evocata altresì dall'art. I I I Cost., nel quale trovano codificazione i principi che ispirano i l giusto ed equo processo, che impongono l'attuazione della giurisdizione «nel con­ traddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale » . Secondo quanto affermato dalla Corte costituzionale con ordinanza 4-8 giugno 2001, n. I82, «le norme che assicurano la difesa tecnica sono funzionali alla realizzazione di un giusto processo, garantendo l'effettivi­ tà di un contraddittorio più equilibrato e una sostanziale parità delle armi tra accusa e difesa » poiché risulta ragionevole che, alla specifica capacità professionale del pubblico ministero, si venga a « contrapporre quella di un soggetto di pari qualificazione, che affianchi ed assista l' imputato » . Da una diversa prospettiva, è stato osservato che un altro indice della rilevanza costituzionale dell'avvocato e dell'avvocatura è offerto da quel­ le norme che stabiliscono la composizione di alcuni organi costituzionali o di levatura costituzionale e che lo affiancano significativamente ad altri soggetti ai quali la Costituzione garantisce autonomia e indipendenza: i magistrati (cfr. art. I04 Cost.) e i professori universitari (cfr. art. 33 Cost.). 91

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Così l'art. I 0 4 , comma 4° , Cost. prevede che possano essere eletti quali membri del Consiglio superiore della magistratura gli avvocati che abbiano maturato almeno I s anni di esercizio della professione. L'art. I 0 6 , ultimo comma, Cost. prevede che, su designazione del CSM e per meriti insigni, possano essere nominati consiglieri presso la Corte di cassazione gli avvocati con quindici anni di esperienza professionale e che siano iscritti negli albi speciali per il patrocinio di fronte alle giurisdizioni superiori. Infine, l'art. I 3 S , comma 2° , Cost. stabilisce che possono essere eletti giu­ dici costituzionali gli avvocati con vent'anni di esperienza professionale. Per completezza, ci corre l'obbligo di segnalare che al di fuori della Co­ stituzione, ma in connessione con essa, vi sono altri elementi che testimo­ niano a favore della rilevanza costituzionale della funzione dell'avvocato e dell'avvocatura. Ci si riferisce segnatamente e in primo luogo alle caratteristiche fun­ zionali del CNF, che è il massimo organismo di rappresentanza dell' avvoca­ tura, ma anche espressione dell'apparato pubblico statuale quale ente pub­ blico associativo. Esso ha sede in Roma presso il ministero della Giustizia e partecipa sia alla funzione legislativa, fornendo il proprio parere sui progetti di legge che riguardano la professione forense, sia a quella giurisdizionale. Infatti, il CNF è "giudice speciale" ai sensi e per gli effetti del combinato disposto della VI disposizione transitoria della Costituzione e dell'art. I 0 2 Cost. e la disciplina che ne regola la composizione e le funzioni giurisdizio­ nali è soggetta a riserva assoluta di legge (cfr. art. I 0 8 Cost.). In secondo luogo viene in rilievo uno dei principi cardine sottesi all'at­ tività forense : il cosiddetto principio di doppia fedeltà, al cliente e all'ordi­ namento costituzionale. Nella versione in vigore sino al 2 0 I 4 , il codice deontologico forense esordiva nel Preambolo affermando in maniera perentoria che «L'avvocato esercita la propria attività [ ... ] per tutelare i diritti e gli interessi della perso­ na, assicurando la conoscenza delle leggi e contribuendo in tal modo all' at­ tuazione dell'ordinamento per i fini della giustizia » , precisando di seguito, all'art. 7, che «L'avvocato deve esercitare la sua attività anche nel rispetto dei doveri che la sua funzione gli impone verso la collettività per la salvaguardia dei diritti dell'uomo nei confronti dello Stato e di ogni altro potere » . Il codice deontologico oggi in vigore non contiene più un Preambolo e il dovere di fedeltà, codificato all'art. I O, impone ora all'avvocato di svolge92

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re la propria attività « a tutela dell' interesse della parte assistita e nel rispet­ to del rilievo costituzionale e sociale della difesa » . Il riferimento esplicito al ruolo che l'avvocato svolge per l a realizzazio­ ne dei fini dell'ordinamento statale e dell'amministrazione della giustizia è scomparso, ma il richiamo al rilievo costituzionale e sociale della difesa ne evoca la funzione superiore di garante dell'effettiva tutela dei diritti dei consociati, riuniti nello Stato-comunità. Sicché non pare revocabile il dubbio che la cura dell' interesse della par­ te assistita debba trovare un limite nel rispetto degli interessi della colletti­ vità statuale di cui l'ordinamento costituzionale costituisce la prima e mas­ sima espressione. Non è superfluo evidenziare al riguardo che alle norme deontologiche su richiamate fanno eco quelle dettate dalla nuova legge professionale e in particolare (oltre al già menzionato art. 2. ) l'art. 8, che ridisegna come segue l' impegno solenne che ogni avvocato è chiamato ad assumere : «Consape­ vole della dignità della professione forense e della sua funzione sociale, mi impegno ad osservare con lealtà, onore e diligenza i doveri della professio­ ne di avvocato per i fini della giustizia ed a tutela dell'assistito nelle forme e secondo i principi del nostro ordinamento » . Ancora una volta l'avvocato si presenta come un Giano bifronte, rivol­ to verso la tutela del suo assistito, da una parte, e verso l'attuazione della giustizia e del nostro ordinamento costituzionale, dall'altra. 7·3

Il ruolo dell ' avvocato nel diritto internazionale sull'esercizio della professione forense

Tradizionalmente, il ruolo dell'avvocato è stato definito, a livello di dirit­ to internazionale, principalmente nell'ambito degli strumenti atti alla pro­ mozione e regolamentazione dei diritti dell'uomo, con particolare atten­ zione a due profili fondamentali: l'uno - già evidenziato nel presente capi­ tolo - riguardante il diritto alla difesa nei confronti delle parti assistite pri­ vate dei loro diritti fondamentali, che nel nostro ordinamento fa riferimen­ to al recepito articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo ( CEDU ) ; l'altro, pertinente alla tutela dell'esercizio del diritto alla difesa di cui all'articolo 6(3) della CEDU nei confronti di limiti e impedimenti posti nei confronti dell'avvocato medesimo. A tal fine, la stessa comunità inter­ nazionale degli avvocati ha dato vita a strumenti, quali la Carta internazio93

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naie dei diritti della difesa redatta dallo Union lnternational des Avocats (1987) o gli Standard per l' indipendenza della professione legale (di segui­ to S IPL ) dell' lnternational Bar Association (1990 ), atti non a vincolare, ma più correttamente a indirizzare forze di governo e organismi di regolamen­ tazione della professione legale (come il succitato CNF ) verso l'adozione di linee guida, principi e norme a tutela dell' indipendenza della professione forense come garanzia essenziale per la promozione e protezione di valori di rilievo tanto internazionale quanto costituzionale. I principi contenuti nei SIPL si focalizzano sulla formazione dell' avvo­ cato come strumento essenziale per la tutela dell' indipendenza della profes­ sione e garanzia di svolgimento del suo ruolo sociale, come peraltro previ­ sto dalla Costituzione stessa. In particolare, è raccomandato che l' istruzione giuridica sia progettata al fine di promuovere la conoscenza e la comprensio­ ne del ruolo e delle abilità richieste nella pratica forense, con particolare rile­ vanza della consapevolezza dei doveri legali ed etici di un avvocato e dei di­ ritti dell'uomo e delle libertà fondamentali riconosciute all' interno dell'or­ dinamento giuridico e del diritto internazionale. A tal fine, i programmi di formazione universitaria e postuniversitaria devono tener conto del ruolo e della responsabilità sociale dell'avvocato, con particolare riferimento alla cooperazione nel fornire servizi legali ai bisognosi e la promozione e difesa dei diritti, siano essi di natura economica, sociale, culturale, civile e politica e specialmente i diritti di tale natura nei processi di sviluppo. Di fondamentale interesse, con riferimento al tema del presente capito­ lo, è lo standard n. s , che prevede, tra le responsabilità del professionista fo­ rense e degli organi giuridici dello Stato, l'educazione del pubblico sui prin­ cipi del primato del diritto e sull' importanza dell' indipendenza della magi­ stratura e della professione forense, e l' informazione sui diritti e doveri del cittadino e sui rimedi messi a disposizione dall'ordinamento giuridico. Gli unici limiti all'esercizio della professione forense sono da ricercarsi nelle disposizioni legislative in materia, nelle norme deontologiche e nei principi etici relativi alla professione in questione. Nel rispetto di tali li­ miti, tuttavia, l'avvocato che assolve i suoi doveri deve sempre agire libera­ mente e diligentemente in conformità con il legittimo interesse del cliente e senza alcuna inibizione o pressione da parte delle autorità o del pubblico. Un distinto standard richiama specificamente il succitato dilemma po­ sto dall' OUA sulla natura della professione forense in relazione alla distinzio­ ne tra l'avvocato come professionista al servizio del cliente e dell'ordinamen­ to giuridico e l'avvocatura commerciale, in cui avvocato e cliente si trovano in una posizione di consorzio e di comune interesse nei confronti dell'an94

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damento della causa. Secondo lo standard n. 7, l'avvocato non deve essere identificato dalle autorità o dal pubblico con il cliente o la causa del cliente, per quanto popolare o impopolare possa essere. Nessun avvocato può subire o essere minacciato di sanzioni penali, civili, amministrative, economiche o altre sanzioni o molestie per aver legittimamente consigliato o rappresentato la causa di qualsiasi cliente. Inoltre, l'avvocato ha il diritto di sollevare obie­ zioni per giusta causa alla partecipazione sporadica o continua di un giudice in un determinato processo, o alla conduzione di un processo o di un'udien­ za. Inoltre, come precedentemente sancito anche dall'art. I3 della Carta in­ ternazionale dei diritti della difesa, all'avvocato deve essere garantito il godi­ mento dell' immunità civile e penale per le dichiarazioni pertinenti fatte in buona fede in forma scritta o oralmente o nelle sue apparizioni professionali dinanzi a una corte, tribunale o altra autorità legale o amministrativa. Secondo i SIPL, l' indipendenza degli avvocati nel trattare con persone private della libertà personale deve essere garantita in modo da consentire che l'accesso e l'assistenza al cliente siano liberi, equi e confidenziali. Tali garanzie devono essere costruite in tal guisa da evitare ogni possibile sug­ gerimento di collusione, accordo o dipendenza tra il professionista forense e l'autorità statale. I SIPL codificano altresì quei principi a tutela della professione foren­ se propri degli ordinamenti giuridici contemporanei, quali il diritto alla ri­ servatezza del rapporto avvocato-cliente, inclusi la protezione degli archivi, dei documenti e delle comunicazioni dell'avvocato da sequestro, ispezione o intercettazione; il diritto di viaggiare e di consultare liberamente i propri clienti all' interno del proprio paese e all'estero; il diritto di cercare, ricevere e, nel rispetto delle regole giuridiche e deontologiche della professione fo­ rense, impartire informazioni e idee relative al loro lavoro. Si tratta, ad un attento esame della Carta e dei SIPL, dell'unico principio caratterizzabile come ridimensionamento del divieto di pubblicità - anche se l'esame della lettera dei principi in questione ( «Lawyers shall have [ ... ] the right freely to seek, to receive and, subject to the rules of their profession, to impart infor­ mation and ideas relating to their professional work » ) non sembra auto­ rizzare, contrariamente alle regole deontologiche in vigore presso numerosi ordini forensi nordamericani (cui si farà cenno in seguito), la pubblicità di servizi e studi professionali - e pare invece riferirsi al dovere-diritto dell' av­ vocato di informare e istruire la collettività in materie di pubblico interesse. L'esercizio della professione forense non esclude la tutela della libertà di credo, espressione, associazione e assemblea dell'avvocato. Inoltre, i SI­ P L prevedono che l'avvocato partecipi al dibattito pubblico su questioni 9S

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riguardanti la legge e l'amministrazione della giustizia; aderisca o formi liberamente organizzazioni locali, nazionali e internazionali; proponga e raccomandi riforme legislative ben ponderate nell' interesse pubblico e si adoperi al fine di informare il pubblico su tali questioni. È essenziale altresì evidenziare come i SIPL prevedano, come impre­ scindibile corollario del concetto di avvocatura indipendente, che i membri dell'ordine professionale rendano i loro servizi disponibili a tutti i settori della società, affinché a nessun consociato venga negato accesso ai rimedi previsti dall'ordinamento giuridico. Secondo lo standard n. 1 6, gli avvocati impegnati in programmi e organizzazioni di servizi legali finanziati in tutto o in parte con fondi pubblici devono godere di pieno diritto alla garanzia della loro indipendenza professionale; l'ordinamento deve altresì riconosce­ re che, nel servire la causa della giustizia, il dovere primario dell'avvocato è sempre nei confronti del cliente, il quale deve essere informato e rappresen­ tato in conformità con la coscienza e il giudizio professionali. È assai evidente rilevare come gli standard S IP L definiti dall' lnterna­ tional Bar Association non si discostino significativamente dai principi elencati nella Carta internazionale dei diritti della difesa. In realtà, è altresì opportuno sottolineare come gran parte dei principi della Carta, così come i SIPL, siano recepiti nelle costituzioni della maggio­ ranza dei paesi afferenti all' Organizzazione delle Nazioni Unite, e siano ri­ chiamati da varie convenzioni regionali o internazionali, quali, fra tante, la summenzionata CEDU e la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. La Carta internazionale dei diritti della difesa, ciononostante, ha rappre­ sentato il primo esempio di strumento unitario per la definizione dei prin­ cipi necessari all'assicurazione di una difesa effettiva - che Danovi (1987) appropriatamente definisce «presidio della stessa giustizia » . La Carta, no­ nostante l'accuratezza dell'enumerazione e i dichiarati scopi di uniforma­ zione dei principi regolatori della professione forense, non ha invero cono­ sciuto ampia attuazione a livello nazionale. I SIPL, al contrario, pur non essendo stati definiti con l'obiettivo di assurgere a norme vincolanti - o forse proprio in virtù della loro natura di linee guida - hanno ispirato le norme regolanti l'esercizio della professione forense tanto nei paesi di diritto comune, la cui tradizione ha visibilmen­ te influenzato la prima enunciazione di tali principi, quanto in quelli di diritto civile, contribuendo significativamente al procedimento di unifor­ mazione della regolamentazione dell'avvocatura (l'accesso alla quale, no­ nostante gli intenti dell' International Bar Association, resta tuttavia ap­ pannaggio - e in tutta probabilità espediente per la chiusura - dei vari or-

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dinamenti statali). Tale procedimento, come detto, era stato sicuramente iniziato dalla Carta internazionale dei diritti della difesa, che teorizzava un avvocato "globale" (termine da intendersi con l'universalità e la transna­ zionalità dei diritti e doveri del professionista forense), investito puramen­ te dell' interesse del cliente e completamente indipendente dai poteri legi­ slativo ed esecutivo, e la cui autonomia si accompagna necessariamente a quella del potere giudiziario come suo necessario corollario. Inoltre - e qui emerge il riconoscimento internazionale del ruolo costituzionale dell'av­ vocatura - tanto la Carta quanto i SIPL teorizzano la necessità di un'orga­ nizzazione formale di stampo associativo della professione forense, confe­ rendo ad associazioni professionali e consigli dell'ordine una funzione non meramente protettiva dei diritti degli iscritti, ma altresì del summenziona­ to avvocato "globale". Inoltre, compito delle organizzazioni professionali è la protezione e difesa della dignità e indipendenza del potere giudiziario. La Carta e i SIPL non definiscono l'avvocato come officer ofthe court, co­ me indicato dalla Corte Suprema degli Stati Uniti d'America già nel I 8 6 6 e nelle norme deontologiche dell'American Bar Association. Secondo la Carta, invero, l'avvocatura e il potere giudiziario collaborano al persegui­ mento dei comuni interessi e obiettivi di giustizia. Infine, è fondamentale notare come tanto la Carta quanto i SIPL - in maniera più esplicita ma non difforme rispetto al dettato costituzionale prevedono tra i compiti dell'avvocatura quello dell' informazione (rectius: istruzione) del pubblico sui principi della rule oflaw, sull' indipendenza del­ la magistratura e della professione forense e sui diritti e doveri del cittadino. ll ruolo dell'avvocato, in altri termini, non è quello di mero strumento a disposizione del cittadino nella difesa dei propri diritti a livello giudiziario. Di conseguenza, è legittimo osservare come dai principi di diritto interna­ zionale in materia forense emerga la figura di un avvocato che svolge un ruo­ lo centrale nell'amministrazione della giustizia, di cui è parte, e non mero fruitore né strumento. La partecipazione al dibattito pubblico su questioni di interesse giuridico ricade tra i doveri dell'avvocatura; e, specialmente in periodi di forte partecipazione sociale, il ruolo dell'avvocato diventa cru­ ciale nell'assicurare che il dibattito pubblico su questioni giuridiche sia in­ formato e fondato su basi concrete. Tale ruolo garantisce non solo una cor­ retta partecipazione del pubblico alla formazione delle norme giuridiche e alla loro corretta interpretazione, elemento fondamentale della democrazia sempre più diretta quale obiettivo di varie forze politiche (e sarebbe oppor­ tuno indagare su quanto le recenti pulsioni referendarie siano originate dai partiti politici e assorbite dal pubblico, ovvero fondate su movimenti di base 97

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e recepiti dai partiti); il ruolo dell'avvocatura si concretizza altresì nello sfor­ zo anelante il raggiungimento di una maggiore comprensione del funziona­ mento del linguaggio giuridico, del procedimento legislativo e della macchi­ na giudiziaria da parte dei consociati. Ed è in questo senso che deve analiz­ zarsi la definizione del ruolo dell'avvocato nell'ordinamento costituzionale. 7· 4

Analisi delle proposte di riforma del Titolo IV, Parte

n,

della Costituzione

I primi tentativi di riformare il Titolo IV della seconda Parte della Costitu­ zione risalgono alla seconda metà degli anni Novanta. In quel periodo lo spirito riformista che animava i lavori parlamentari era massimamente rappresentato dalla Commissione per le riforme costitu­ zionali, detta "Bicamerale D'Alemà: istituita nel I 9 9 7 (durante la XIII legi­ slatura) per elaborare «progetti di revisione della parte ii della Costituzione, in particolare in materia di forma di Stato, forma di governo e bicamerali­ smo, sistema delle garanzie » (legge costituzionale 24 gennaio I 9 9 7, n. I ) . Tra i disegni e le proposte di legge assegnati alla Commissione in sede re ferente, alcuni riguardano in particolare le norme sull'ordinamento giu­ diziario e la giurisdizione. Tuttavia, nessuno fra questi ultimi si propone di ridisegnare il ruolo dell'avvocato o dell'avvocatura nell'ambito del sistema costituzionale di amministrazione e attuazione della giustizia. Per quanto qui interessa, una parte delle proposte o dei disegni di legge costituzionale interviene sulla composizione del CSM, escludendo gli avvo­ cati dai soggetti eleggibili alla carica di consigliere ovvero ridisegnando la struttura dell'organo e modificando in varia misura la procedura di nomi­ na dei membri. Altre prevedono la riforma delle disposizioni sulla nomina dei magi­ strati, rimettendo al legislatore ordinario e alla legge sull'ordinamento giu­ diziario la facoltà di « ammettere la nomina di avvocati [ ... ], quali compo­ nenti di organi giudicanti collegiali, a tutti i livelli della giurisdizione » , ovvero riservando agli avvocati (oltreché « ai professori d i diritto nelle uni­ versità » e alle « altre categorie di dipendenti pubblici che abbiano svolto funzioni legali » ) la possibilità di accedere ai concorsi pubblici per la sele­ zione dei magistrati ordinari e amministrativi.

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Nessuno di questi emendamenti ha trovato spazio nel progetto di legge costituzionale presentato alla Camera (n. 393I-A) e al Senato (n. 2583-A) dalla Commissione sulle riforme costituzionali, che ha del tutto pretermes­ so il Titolo IV della Parte seconda. Dopo il tentativo di riforma della Costituzione da parte della Bicame­ rale, per oltre un decennio le iniziative volte a modificare le norme prima­ rie sull'organizzazione giudiziaria tramite progetti di revisione costituzio­ nale sono state accantonate. Anche la legge costituzionale recante Modifiche alla Parte II della Co­ stituzione, approvata dalle Camere alla fine del 2005 (ma non confermata dal referendum svoltosi nel giugno 2oo 6), non conteneva alcuna modifica delle norme del Titolo IV (fatta eccezione per un intervento laterale sulla procedura di nomina dei membri laici del CSM ) . Soltanto a partire dall' inizio della XVI legislatura l'attenzione per i te­ mi legati all'organizzazione giudiziaria e al funzionamento del sistema di amministrazione della giustizia si è rinnovata. Dal 2008 le proposte di revisione costituzionale del Titolo IV della Parte seconda della Costituzione si sono moltiplicate: alcune si propongo­ no di riformare in maniera organica il complesso delle disposizioni costi­ tuzionali relative all'organizzazione e all'amministrazione della giustizia, altre hanno l'obiettivo di modificare uno specifico aspetto, incidendo su singole norme o su un numero limitato di esse. Tra queste ultime va collocata la proposta di legge costituzionale pre­ sentata nel giugno del 2009 dal deputato Pecorella con l' intento dichiara­ to di « colmare una lacuna della Costituzione dando ali'avvocatura quella dignità di ruolo che le compete » . Difatti, la proposta in commento prevede innanzitutto la modifica della rubrica del Titolo IV, non più riferito alla Magistratura ma bensì ai Soggetti della giurisdizione, con l' introduzione di una nuova apposita sezione (I-bis), composta dagli artt. Ho-bis e Ho-ter e dedicata esclusivamente all'Avvocatura. L'art. Ho-bis esordisce dichiarando i valori e le caratteristiche fondanti della professione forense: privata, libera e indipendente. La disposizione riprende la formulazione dell' incipit del Preambolo del vecchio codice deontologico (e dell'attuale art. 2 della legge professiona­ le), ma il riferimento all' indipendenza è inteso non solo come autonomia dell'avvocato nei rapporti con il potere pubblico, ma anche nel senso di af­ francamento dai condizionamenti del potere economico. Del tutto nuova è l'affermazione della natura privatisti ca della profes­ sione, che sembra diretta a rassicurare quanti hanno sempre visto con un 99

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certo timore la possibilità che l'avvocato si trasformi in un pubblico uffi­ ciale ovvero che il munus pubblicum prevalga « con le sue implicazioni li­ berticide » (Cristiani, 1998, p. xn). La disposizione prosegue affermando che «La difesa è una funzione essenziale in ogni procedimento giudiziario » , con l' intento di dare speci­ fica e autonoma dignità al ruolo svolto dali' avvocato nel processo e confer­ mando allo stesso tempo i principi già codificati all'art. 24 Co st. L'ultimo comma dell'art. no-bis stabilisce infine che « L'avvocatura concorre, con i propri rappresentanti, all'amministrazione della giustizia nelle diverse articolazioni» , con ciò prefigurando un consolidamento del­ la posizione degli avvocati nei vari organi collegiali, dai consigli giudiziari alla stessa Corte costituzionale. L'art. no-ter conferma che la professione forense è riservata a chi è iscritto agli albi, escludendo così un esercizio "libero" della stessa. Inoltre, esso ribadisce che il CNF è un organo giurisdizionale in materia disciplinare. Lo spirito della riforma Pecorella non è stato unanimemente condi­ viso tra gli avvocati e alcuni commentatori hanno sottolineato l' inutilità dell'attribuzione all'avvocato o all'avvocatura di una espressa soggettività costituzionale, evidenziando come la Costituzione già contenga numerose disposizioni che offrono "copertura" alla professione. In particolare, risulta oggetto di obiezioni il riferimento al CNF come giudice speciale in materia disciplinare, che rischierebbe di confinarlo in quello specifico ruolo sottraendogli le sue prerogative politiche. Nell' intenzione dei suoi ispiratori, il progetto avrebbe dovuto collo­ carsi nell'alveo del più ampio disegno di riforma del sistema costituziona­ le di organizzazione e amministrazione della giustizia e di attuazione del giusto processo, tanto da subordinare il successo della riforma di iniziati­ va governativa alla sua approvazione. Sfortunatamente, né l'uno né l'altro hanno trovato compimento e il Titolo IV della Parte seconda della Costi­ tuzione rimane tutt'ora invariato.

7·5

Conclusioni

L'analisi svolta nel presente capitolo evidenzia come la Costituzione presen­ ti al momento una falla con riguardo alla presenza di norme che espressa­ mente attribuiscano all'avvocato, o all'avvocatura nel suo insieme, un ruolo 100

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nell'amministrazione della giustizia. È opportuno sottolineare come la tute­ la di un interesse pubblico quale la giustizia, ovvero di un interesse pubblico al corretto esercizio di una professione caratterizzata da un innegabile ruolo sociale, giustificherebbe una modifica in tal senso. I principi relativi all' ac­ cesso e all'esercizio della professione forense a livello internazionale fanno espressamente riferimento a tale ruolo sociale, il cui riconoscimento a livello costituzionale sarebbe cruciale al fine di creare tanto un'obbligazione al ri­ spetto di tale ruolo in capo ai professionisti, quanto un riconoscimento da parte dei consociati dell'autorevolezza dell'avvocato esercitante la funzione di guida, per la società, verso la formazione e la comprensione del diritto. È ciononostante possibile teorizzare l'esistenza sia di tale obbligazione, sia di detta autorevolezza. L'avvocatura moderna si colloca, secondo una prospettiva professionale e (non meno importante) commerciale, in un con­ testo globale, in cui l'attività dell'avvocato non è necessariamente circoscrit­ ta al livello nazionale, posti i numerosi (e numericamente crescenti) elementi di transnazionalità della professione forense - sia essa relativa alla giurisdi­ zione penale, sia fondata su questioni di diritto privato, commerciale o di fa­ miglia. Se, dunque, l'avvocato è oggi un professionista "globale': secondo la definizione presentata precedentemente, i diritti e doveri dell'avvocato non sono da considerarsi limitati a quelli previsti dall'ordinamento statale e dalla deontologia professionale come definita dall'ordine professionale; invero, lo svolgimento della professione forense dovrebbe essere altresì permeato da quelli che sono i diritti e doveri riconosciuti all'avvocato dal diritto interna­ zionale e dalle linee guida di istituzioni come l' lnternational Bar Associa­ don. L'assenza di una natura vincolante in capo a tali principi non ne mina la validità né l'autorevolezza. Al contrario, la dinamicità di tali principi ben si addice a una professione, quale quella forense, la cui fluidità è oggi una caratteristica fondamentale. L'avvocato, in quanto professionista del dirit­ to, è, tanto quanto un magistrato o un accademico, un giurista, la cui opera, a prescindere dal contesto, si concretizza nell'attività intellettuale di inter­ pretazione del diritto in funzione del suo ruolo sociale. n ruolo del giurista non è mutato dai tempi in cui Solone riformava le leggi draconiane secondo una prospettiva di ius naturae; non v'è perciò motivo, in un contesto globale quale quello odierno, di limitare la portata dell'attività intellettuale del giu­ rista all'ordinamento in cui è abilitato all'esercizio della professione forense. L'avvocatura ha pertanto il dovere di aspirare e prestarsi ai ruoli nell' ammi­ nistrazione della giustizia, dentro e fuori le aule dei tribunali, che gli com­ petono fin dalle origini della professione forense. Dovesse l'avvocatura uni­ formarsi a tali alti principi, la modifica in tal senso del dettato costituzionale 101

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diverrebbe conseguentemente una mera presa d'atto, al più alto livello legi­ slativo nazionale, del ruolo dell'avvocato nell'ordinamento.

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