I culti orientali nell’impero romano. Un’antologia di fonti 978-8886919142

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I culti orientali nell’impero romano. Un’antologia di fonti
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C o llan a di studi storico-religiosi 4

E n n io 5an zi

I CULTI ORIENTALI NELL’IMPERO ROMANO UN'ANTOLOGIA DI TONITI

Prefazione di Giulia Sfameni Gasparro

Edizioni Lionello Giordano

A partire d .gji studi sistematici dì Tranz Cumont i cult; orientili e Li loro diffusione d urante il primo ed il secon d o ellenismo non hanno mai sm esso di costituire un autentico Leitmotiv nel cam po degii studi storico-religiosi. La p resen te a n to lo a a intende m ettere a disposizione delio studiosus lector una serie di fonti p er lo p u letterarie o ffe rte dall'opera di Cjuegh Stessi autori ch e, in gran numero, so n a sta ti testimoni oculari di ta le fenomeno religioso. Le 1 e sp ressio n e

loro voci, di fervidi

siano e s s e devoti di

infaticabili a c c u s a to n o di icastici dileggi.it,m , continuano a rivelarsi degli strumenti ropresc indi bili p er ricostruire . .. r r una delle com ponenti precipue dello spunto di un'ep oca non necessariam ente cosi piena di angoscia come s p e s a i la si è voluta d escriv ere. È p ro p rio in cjuest e p o ca ebe personaggi divini come Isis. O sin s. 5 a ra p is. Cijbele e A ttis, Apbrod ite c -\donis. La Dea Sona, lupputer D olicbenus, luppiter H ejiopiìitonus Mitbra ed altri an co ra vengono avvertiti com e benevoli e salvifici so cco rriti m di tutti gì: uomini, anche dei più umili, i quali sentono di potersi rivolgere .1 loro pieni di fiducia e devozione n trecciand o voti Rincuorano di c e rto le p arole di buona anza con le quali Isis consola un Lucio menti inconsolabile e d estin ato a

r

diventare il suo p*ù encomiabile proselito ‘ E ccom i com m ossa dalle tu e tristi disgrazie eccom i benigna e propiziai Allontana le lacrime, poni fine ai lamenti allontana una volta per tu tte la tristezza, ormai, g razie a! mio in terven to povvideriziale, inizia a so rg e re il giorno della tua salvezza".

E n n io S a n z i

I CULTI ORIEN TALI N ELL'IM PER O RO M A N O Un'antologia di fonti

Prefazione di Giulia Sfameni Gasparro

E d iz io n i L t o n e l l o G io r d a n o

© 2003, Edizioni Lionello Giordano Via Isonzo, 25 - 87100 Cosenza Tel. 0984.26806 - Fax 0984.24298 e-mail:info@giord anoeditore.it www.giordanoeditore.it

Hugoni Bianchi et Ioanni Carolo Montesi magistris carissimis sacrum

Sommario Prefazione

9

Premessa

15

Introduzione

19

I.

Culti di origine egiziana: Apis, Isis, Osiris,Sarapis

53

IL

Culti di origine frigia, tracia e microasiatica 11/1 Cybele, Attis e il taurobolio 11/2 Sabazius II/3 Ma-Bellona II/4 Men

217 219 313 317 320

III. Culti di origine siriana e commagenica m /1 Aphrodite e Adonis 111/2 Atargatis, Aphrodite Ourania, la Dea Syria e la triade di Hierapolis, Derketo m /3 Heliogabalus in/4 Iuppiter, Venus e Mercurius Heliopolitani IU/5 luppiter Dolichenus

323 325 352 395 397 404

TV. I misteri di Mithra

409

Bibliografia di orientamento

443

Elenco degli autori e delle opere citate

457

Elenco degli autori e dei passi citati

473

Prefazione Dopo i volumi dedicati rispettivamente a "U manicheismo", con la presentazione al lettore italiano della perspicua sintesi del fenomeno proposta da M. Tardieu, corredata da un'intro­ duzione e un aggiornamento bibliografico a mia cura *, a proble­ matiche varie ma convergenti sul tema di "Destino e salvezza" dalla Grecia classica al tardo-antico12, e infine ad un "Islam vicino" espresso nelle singolari tradizioni .dei Bektashi3, la Collana di studi storico religiosi Uteri si arricchisce di un nuovo contributo. n volume di Ennio Sanzi si propone al lettore interessato ai fenomeni religiosi del mondo mediterraneo antico offrendogli la possibilità di accedere direttamente alla documentazione letteraria che li riguarda. Queste fonti, greche e latine, illumi­ nano un arco cronologico assai ampio che va dal VI sec. a.C., con il canto luttuoso e consolatorio insieme levato da Saffo in onore di Afrodite e in memoria del "tenero Adone", fino al IV-V sec. d.C., con la voce di autori cristiani che scagliano una dura e irremissibile condanna contro gli aborriti culti pagani, giudi­ cati spesso mistificazione diabolica del corretto culto divino a danno e rovina deirumanità. In particolare i complessi religiosi qui presi in considerazione sono quelli che, dopo la sintesi geniale e affascinate elaborata nell'opera di Fr. Cumont del 1906, si denominano "le religioni orientali"4 ovvero, con terminologia più appropriata, "i culti orientali", ossia complessi gravitanti attorno ad una o più figure divine tTa loro collegate da rapporti qualificati a livello mitico e rituale, originarie dell'una o dell'al1 M. Takuifu, /f manicheismo, Traduzione, introduzione critica e bibliogra­ fia a cura di Giulia Sfameni Gasparro, 1988, 199B\ 2 G. S f a m e n i G a sp a r r o (a cura di), Destino e salvezza: tra culti pagani e gnosi :ristiana. Itinerari storico-religiosi sulle orme di Ugo Bianchi, 1998. 1 V.L. Gumr.m, L'rsfaw r'irinn: i Bektashi, 2002. 4 Fr. G jmont, Les religions orientales dans le paganisme romain, Conférences faites au Collège de France en 1905, Paris, 19294.

tra regione d'Oriente e protagoniste di una storia più o meno lunga di "migrazione" verso Occidente, dove il loro culto penetra a partire dalia prima età ellenistica per diffondersi a vario titolo sotto l'Impero romano. Nella prospettiva del grande studioso belga questi culti dovevano il loro successo alla somma dei valori religiosi di cui erano portatori. Spesso configurati nella forma di misteri, ossia di rituali a carattere iniziatico-esoterico, riservati soltanto a quanti si sottoponevano ad una serie di riti segreti capaci di conferire loro una specifica qualificazione religiosa, essi offri­ vano ai fedeli delle prospettive soteriologiche per la vita presente e oltre la morte. Per tale via l'una o l'altra divinità orientale permetteva di realizzare le più intime aspirazioni religiose dell'individuo, che spesso i culti tradizionali greci e romani non sarebbero stati in grado di soddisfare. Il carattere esotico di tali divinità, le modalità particolari del loro culto e il fasto delle grandi cerimonie pubbliche di cui erano oggetto e che apparivano capaci di coinvolgere i fedeli anche sotto il profilo emotivo, spesso contemplando anche manifestazioni estatiche ed entusiastiche, avrebbero costituito altrettanti, concomitanti motivi di attrazione, a fronte dei culti tradizionali, specialmente quelli romani, ritenuti ormai sclerotizzati in una ritualità forma­ listica. Questa immagine del fenomeno, pur estremamente sugge­ stiva, è stata in parte corretta dagli studi successivi, così come è stata ridimensionata l'ampiezza e la pervasività della sua diffusione, già ad opera del Toutain in diretta polemica con il Cumont1, avendo lo studioso statisticamente notato la forte continuità nel tempo e il solido impianto nello spazio dei culti tradizionali greci, romani e delle diverse etnie occidentali e orientali in tutta l'area dell'Impero romano. In anni recenti R.

* J. Toi.tain, i e > paiciis dati* ¡‘Empire rottuttn, Paris, *1911. Si veda la recensione crìtica del Cumont nelle pagine m in the Roman Empire, New I laven - London, 1981. 7 V. WCSSCTZKY, Dte ägyptischen Kulte zur Römcrzrit in Ungarn, EPRO, 1, Leiden, 1961.

il

e intellettuale vivace e cordialissimo, ha raggiunto i propri obiettivi, realizzando una raccolta straordinaria di nuovi mate­ riali, la rivisitazione e interpretazione di quelli già noti e quindi aprendo la via ad una nuova impostazione dei problemi rela­ tivi all'interpretazione del fenomeno medesimo. Come ha notato J.-M. Pailler in un intervento sul tema, puntuale e ricco di suggestioni, ora si è aperta la "terza epoca" nell'indagine storica sulle "religioni orientali", ossia la fase in cui, dalle sintesi geniali ma necessariamente generali come quella del Cumont e dalla paziente raccolta dei materiali, soprattutto archeologici, attestanti la diffusione di tali culti, si passa ad una nuova messa in causa del problema, Interrogando la documen­ tazione da prospettive nuove e con il concorso di varie meto­ dologie1. Tale processo del resto è ormai ampiamente avviato e non posso tacere qui del contributo decisivo recato a un rinno­ vato esame della problematica in oggetto dai due Colloqui intemazionali organizzati dal Maestro degli studi storico-reli­ giosi Ugo Bianchi, su due nodi centrali di essa, ossia rispettiva­ mente su "La specificità storico-religiosa dei misteri di Mithra" (Roma-Ostia 28-31 marzo 1978) e su "La soteriologia dei culti orientali nell'Impero romano" (Roma 24-28 settembre 1979). Gli Atti di questi incontri (EPRO, 80, Leiden - Roma, 1979; EPRO, 92, Leiden 1982), in cui il tema è stato dibattuto con appassio­ nato impegno dai più qualificati specialisti, costituiscono un "monumento" eccezionale e un punto di riferimento non elu­ dibile per quanti vogliano accedere a questa importante dimen­ sione della storia religiosa del mondo tardo-antico. Al perseguimento di questo fine può utilmente contribuire una "antologia" come quella costruita con grande acribia da Ennio Sanzi, in quanto permette un contatto immediato con quelle testimonianze letterarie che, pur con tutti i problemi esegetici proposti da ciascuna, rappresentano la fonte privile' J.-M. P aji.u k , Lcs religione oriaitnk's, troisicmc epoque, Pallas, XXXV (1989), pp. 95-114.

giata per la conoscenza delle diverse figure divine, delle tradi­ zioni mitiche che le riguardano, delle modalità del culto di cui erano oggetto. A fronte della documentazione monumentale e iconografica, di valore decisivo per localizzare nel tempo e nello spazio la presenza dell'una o dell'altra divinità orientale, ma di interpretazione spesso difficile quanto al suo significato reli­ gioso, il testo scritto permette di raggiungere, riflessa nello sguardo dell'osservatore contemporaneo, la somma di valenze pertinenti a quelle figure, alle vicende mitiche di cui erano protagoniste e al culto attraverso cui i fedeli stabilivano un rapporto di familiarità con esse. L'ampiezza della documenta­ zione raccolta e la contestuale presenza del testo nella lingua originale e in accurata traduzione italiana, sì da permettere un facile approccio ad esso anche al lettore non specialista e allo studioso offrire la possibilità di utilizzare direttamente la fonte antica, fanno del volume uno strumento prezioso. Esso infatti abbraccia pressoché tutte le principali testimonianze sui quattro grandi ambiti religiosi individuati dall'autore come quelli che coprono l'intero spettro dei "culti orientali" nell'accezione cumontiana accolta unanimamente dagli studiosi. Si tratta quindi, in relazione ai rispettivi contesti geografici, dei culti le cui origini si situano rispettivamente nell'Egitto, nell'Asia Minore, nella Siria-Commagene e - in una situazione tutta sui generis nell'Iran, con il "dio invitto" Mithra, il cui culto misterico romano, pur negli indubbi legami storici con l'antica patria persiana, si configura nella sostanza come una nuova "creazione" religiosa. La ricca messe di documenti letterari e le poche ma assai utili fonti epigrafiche raccolte in questa "antologia" rendono facile l'accesso ad una serie ampia e diversificata di fenomeni che, con la somma di valori di cui erano portatori, hanno inciso fortemente nell'avventura religiosa dell'uomo antico. A vario titolo essi hanno partecipato al confronto-scontro epocale di cui, nei primi secoli d.C., è stato teatro il mondo mediterraneo tra le diverse tradizioni religiose nazionali e il nuovo messaggio universalistico cristiano che, a fronte della capacità di "convi­

venza" e di integrazione peculiare di tali tradizioni, nel suo esclusivismo monoteistico appellava alla decisione personale e alla radicale "conversione" dell'individuo. Giulia Sfameni Gasparro

Messina, 22 ottobre 2002

Premessa Questo volume nasce da una proposta di qualche anno fa deiramico Giancarlo Rinaldi il quale, per primo, coglieva la necessità di pubblicare un'antologia di fonti greche e latine "con traduzione a fronte" relative ai culti orientali del secondo ellenismo diffusi neLTimpero romano. Fin da subito anche Giulia Sfameni Gasparro garantiva il proprio sostegno a questo progetto. La possibilità di godere di una borsa di studio postdottorato messa a disposizione dall'Università degli Studi di Messina ci ha permesso di dedicarci sostanzialmente a tempo pieno alla redazione della presente antologia. La scelta di garantire il maggiore spazio possibile alle testi­ monianze letterarie ha inevitabilmente determinato l'impossi­ bilità di commentare le fonti scelte, cosa che ci auguriamo di potere fare in un prossimo futuro. Nel presente volume le precipue problematiche storico-religiose relative ai culti orien­ tali nel mondo romano, misterici o meno, ed alle connesse e specifiche attese soteriologiche, costituiscono l'argomento di una breve introduzione, il cui testo è una rielaborazione di un nostro intervento ospitato nella miscellanea Chaos e Kosmos U. In ricordo di Tommaso Marciano, stampata in proprio dal Liceo classico di Segni per Tanno scolastico 2000/2001 (ed anche questa antologia ci offre una buona occasione per ricordare Tommaso "magister maximus" Marciano). Nel tentativo di agevolare la consultazione abbiamo colle­ zionato il materiale raccolto secondo quattro aree geografiche relativamente alla provenienza delle divinità attestate dalle fonti selezionate. Abbiamo così una prima area dedicata a Apis, Isis, Osiris, Sarapis; una seconda relativa alla Magna Mater, al suo paredro Attis ed altre divinità di origine tracia, frigia e microasiatica quali Sabazius, Ma-Bellona, Men; una terza per le divinità di origine siriana e commagenica, come Adonis e Aphrodite; Atargatis, Aphrodite Ourania, Dea Syria, Derketo; Heliogabalus; Iuppiter, Venus e Mercurius Heliopolitani;

Iuppiter Dolichenus. La quarta e ultima è riservata esclusivamente a Mithra, alla luce della "specificità" del culto misterico a lui rivolto. All'interno della seconda e della terza area è stata operata un'ulteriore distinzione, che ha tenuto conto delle specifiche divinità, con l'eccezione delle grandi divinità femmi­ nili di origine siriana che sono state considerate nel loro complesso. All'interno delle singole ripartizioni le fonti proce­ dono secondo un ordine cronologico che tiene conto della data di nascita dell'autore; esso comunque deve essere letto con beneficio d'inventario dal momento che, in alcuni casi, risulta impossibile definire con sicurezza i riferimenti cronologici degli autori e delle testimonianze presi in considerazione. 11 materiale epigrafico è sempre presente dopo le fonti letterarie, quasi una piccola "accidentale" appendix. Nel tentativo di facilitare il più possibile la lettura del volume è stato fornito in chiusura un elenco delle abbreviazioni degli autori stessi corredato dei titoli delle opere considerate con riferimento alle edizioni critiche utilizzate. Il volume si avvale di una bibliografia di orienta­ mento in cui sono citate monografie, Festschriften, Atti di convegni etc., e le testate dei repertori enciclopedici, delle collane e delle riviste più note alle quali è possibile fare riferimento per essere aggiornati circa lo stofws quaest ionia dei culti orientali del secondo ellenismo. Ulteriori notizie bibliografiche si possono ricavare ricorrendo anche alle ampie bibliografie specifiche che spesso accompagnano le edizioni critiche citate. Tutte le tradu­ zioni che seguono sono nostre ad eccezione di quelle redatte da Carla Sfameni e dì quelle recuperate dagli appunti delle lezioni di Ugo Bianchi e Giancarlo Montesi alle quali non abbiamo mai smesso di prendere parte; l'acronimo tra parentesi quadre indica l'attribuzione delle rispettive traduzioni. Prima di lasciare il lettore m medias res amiamo ringraziare l1Università di Messina, in particolare il Dipartimento di Studi tardoantìchi medievali e umanistici nella figura del suo Diret­ tore Antonio Labate, e specialmente Concetta Giuffrè Scibona e Cesare Magazzù con i quali ci siamo potuti confrontare durante

tutta la messa in opera di questo lavoro; un aiuto più che concreto d è stato fornito anche dai ricercatori e dai borsisti della Sezione di studi storico-religiosi ai quali va il nostro ringraziamento. Sempre abbiamo potuto contare sulla disponi­ bilità dei Direttori e del personale delle Biblioteche della Facoltà di Lettere dell'Università di Messina, del Dipartimento di Studi storico-religiosi della Facoltà di Lettere dell'Università di Roma "La Sapienza", dell'Istituto Archeologico Germanico di Roma e della Pontificia Università Gregoriana di Roma. Ed ancora il nostro sincero ringraziamento è rivolto a Dante Balboni, Alain Blom art, Roger Beck, Riccardo Chiaradonna, Enrico dal Covolo, Richard Gordon, Luther Martin, Attilio Mastrocinque, Panayotis Pachis, Robert Turcan, al loro rigore scientifico ed alla loro liberalità ai quali abbiamo potuto sempre fare riferi­ mento in questi anni non sempre facili. Ci sia consentito ester­ nare anche un profondo senso di gratitudine e di stima nei confronti di Giancarlo Rinaldi che ha sempre creduto nella bontà di quanto si andava compilando e, in particolare, ci sia permesso ringraziare ex animo Giulia Sfameni Gasparro per avere seguito costantemente ì "lavori in corso", per averli "diretti" e per averne ospitato i risultati nella collana Hieró. Ma ora i nostri sentimenti possono essere soltanto per la figura di Ugo Bianchi e di Giancarlo Montesi ai quali la nostra formazione scientifica deve tutto, e quella umana molto; a loro si affianca il rigoroso carisma di Giancarlo Cesaroni e del suo Folkstudio. O ultimo sensus para Carlinha "medida do bonfim "... sarebbe meglio se il lettore conoscesse l'opera di Francisco "Chico" Buarque de Hollanda.

Introduzione Nelle religioni antiche del bacino orientale del mediterraneo, quali la hurrica, la babilonese e la greca arcaica, l'affer­ mazione delle giovani generazioni degli dèi su quelle prece­ denti determina la consequenziale affermazione del ko$mo$ sul chaos, delle nuove forze regolari di divinità "ordinate" come Teshup, Marduk e Zeus, su quelle primigenie e caotiche latrici di un disordine esteso a tal punto da connotare il mondo delle origini, chiamato clmos dai Greci. Però il mondo che si afferma con gli dèi giovani è il mondo della divinità e dell'uomo, meglio dell'umanità intesa nella sua totalità, l'uomo in quanto uomo, e degli dèi del politeismo che Costituiscono, diciamo così, il divino in quanto divino; due grandezze delle quali la prima è commensurabile soltanto per negationem con la seconda. Di certo Omero, "padre di tutti i Greci", non lascia dubbi di sorta ogni volta che chiama gli dèi rheia zoontes "coloro che vivono felici", contrapponendoli non solo agli uomini in quanto tali, ma addirittura, per dirla con Esiodo, alla «stirpe divina di uomini-eroi, quelli che sono chiamati semidei, immediatamente precedente la nostra sulla terra infinita... Essi, con il cuore privo di affanni, abitano nelle isole dei beati, presso Oceano gorgo profondo, eroi felici; per loro tre volte l'anno la terra feconda di biade produce il frutto fiorente di dolce miele» (Op., 159-173). Per gli uomini simpliciter il destino è ancora peggiore dal momento che «giammai di giorno troveranno riposo dal distrug­ gersi dalla fatica e dalla pena, giammai di notte; a loro gli dèi dispenseranno preoccupazioni luttuose» (Op., 176-178), a loro che sono destinati a venire distrutti quando nasceranno già vecchi, privati cioè di quella giovinezza che fa dimenticare la triste condizione dell'essere uomini. D'altronde l'Achille di Omero, che pure aveva scelto di vivere una vita breve ma glo­ riosa, nel replicare ad Ulisse che loda il campione dei greci per la gloria conquistata in vita e per il potere di cui è detentore nel mondo dei morti, afferma quello che è un dogma per la reli­

gione olimpica greca: «Ulisse, illustre per fama, non parlarmi con leggerezza della morte, lo vorrei, anche da bracciante, essere servitore di un altro uomo senza un podere, di un uomo che non ha molto, piuttosto che essere il capo di tutti quelli che sono morti» (Od., 11, 488-490). Così è il regno di Hades dove, secondo la qualitas olimpica della religione greca, sono destinati ad andare tutti gli uomini dell'età del ferro, tutti costretti a sperimentare un destino che è allo stesso tempo comune e individuale, il destino di morte. Ma già nella Grecia classica, accanto alla religiosità olimpica assistiamo alla presenza di un diverso tipo di religiosità, la religiosità a carattere misterico (in qualche modo anticipata da quella a carattere mistico) dove la distanza incolmabile tra uomini e dèi, sancita nella dimensione olimpica, viene ridotta e, in un certo senso, almeno parzialmente annullata. Dal punto di vista delle definizioni, con religione olimpica si intende un tipo di religione caratterizzato dalla netta separa­ zione tra dèi ed uomini, gli uni immortali e felici, gli altri, invece, infelici e mortali; ognuno con il proprio destino che non può essere cambiato neanche da Zeus, il re dell'Olimpo. Con l'attributo "mistico", invece, intendiamo richiamarci ad un atteggiamento religioso tipico della Grecia antica e del mondo ellenistico-romano caratterizzato da una rassomiglianza nel vissuto che intercorre fra alcuni specifici dèi e gli uomini, tra resistenza ed il destino tipico di questi dèi particolari e il vivere degli uomini "in quanto uomini". Stiamo parlando di divinità cicliche e ritornanti, connotate da una specifica vicenda che in qualche modo le accomuna agli esseri umani. Questi dèi "mistici" si rivelano essere sostanzialmente l'elemento instabile di una coppia divina nella quale la componente femminile ricopre un ruolo di assoluta, raggiunta fissità. Infatti, mentre la gran dea è l'elemento stabile, il suo compagno vive una vicenda luttuosa di scomparsa e di morte seguita da ricomparsa e ritorno alla vita in una prospettiva ciclica, alternante e senza

possibilità di conclusione. E questo anche in forza della tema­ tica stagionale connessa strettamente con la annuale ricom­ parsa del dio "in vicenda" (ricomparsa che è sempre preludio di una sua immediata, conseguente ed ineliminabile dipartita): il suo ritorno è garanzia di una perpetuazione della fecondità sulla terra. Ora, il dio mistico, il dio in vicenda, è assoggettato ad una dialettica di presenza-assenza che lo rende destinatario di un culto e di un ethos in cui dolore, lutto e lontananza si coniugano con la gioia di un annuale e cultuale ritrovamento, che a sua volta ciclicamente prelude a una nuova dipartita, durante la quale il dio, assente anche dal punto di vista cultuale, è paradossalmente presente nel sentimento di nostalgia, di desiderio e di attesa che ne caratterizza il culto e l'atteggiamento dei fedeli. Il dio, soggetto di una vicenda ripetitiva il cui bari­ centro è lo stato di "morte", è ben lungi dalle usuali qualità di un defunto trasferito definitivamente presso Hades, cioè con­ gedato ed affidato al puro ricordo ed ai comuni rituali della morte. Invece, la rituale, annuale e breve ripresentazione del dio mistico è a sua volta annuale sommovimento di vita che assicura al gruppo dei fedeli ed al mondo stesso della natura il perpetuarsi in annos di una efficacia vitale che si esprime come fertilità e fecondità, promozione e ripetitiva prorogazione dei beni dell'esistenza. È evidente come divinità di questo tipo fini­ scano coll'essere soggette a vicissitudini e destini di sapore umano, ed il fedele che partecipa misticamente all'esperienza di questi dèi "in vicenda" familiarizzi con essi e su di sé veda riflessi gli effetti, in qualche modo positivi, di una tale familiarità. Con l'attributo "misterico", invece, intendiamo una specifi­ cazione del concetto di mistico: laddove quest'ultimo si riferisce al modo di concepire la divinità, il primo fa diretto riferimento a un rito particolare, ad una ben individuata struttura rituale; nei misteri un dio subisce una vicenda e gli uomini parteci­ pando attraverso il rito iniziatico a questa specifica vicenda si assicurano un bel vivere in questa vita ed una prospettiva beata nell'aldilà.

Lo pseudo-Omero dell'inno a Demeter, proprio nella chiusa del componimento dice: «Felice colui tra gli uomini che ha visto queste cose. Colui che è rimasto privo di questo sacro rito, che non ha avuto parte in esso, non avrà pari destino anche da morto, giù neH'oscurità profonda [UB]... Davvero beato quel tale fra gli uomini mortali che loro amano benevolmente. Subito a lui nella grande casa inviano Ploutos nume tutelare che dispensa ricchezza agli uomini mortali» (Hxjmn. Hom., U, 480-489). Le cose a cui fa riferimento l'autore dell'inno sono quelle che ha potuto vedere esclusivamente colui che ha partecipato al rito iniziatico. 11 culto di Demeter e Persephone, infatti, è un culto misterico, caratterizzato cioè da esoterismo ed iniziazione: soltanto l'avere partecipato al rito e soltanto il mantenimento del segreto sulle cose vedute in quest'occasione permette all'iniziato di godere dei privilegi promessi dalle due dee; gli permette cioè di godere di un bel vivere in questa vita e di un bel sopravvivere dopo la morte. È ancora l'inno omerico a venirci in aiuto quando dice: «La dea rivelò il compimento dei riti e gli splendidi misteri augusti che non è lecito trasgredire, conoscere, divulga­ re: la maestà delle dee trattiene la voce» (Hymn. Hom., Il, 476479) [UB). Ed ancora Pausania, secoli dopo, giunto ad Eieusi durante la sua periegesi, parla in prima persona e racconta: «Un sogno mi ha proibito di descrivere quello che si trova all'intemo delle mura del santuario eleusino, ed è chiaro che ai non iniziati non è lecito conoscere neppure indirettamente quelle cose dalla cui vista sono esclusi» (Gr. descr., 1,38,7). Non si lascia sfuggire la caratteristica precipua dell'esoterismo rituale eleusino il aristiano Gregorio di Nazianzo quando, pieno di sdegno, tuona: «Nel nostro caso non viene rapita una fanciulla, non c'è Demeter che va errando... e mentre fa delle cose, altre ne patisce. Mi vergogno infatti di dare alla luce L'iniziazione notturna e di considerare un mistero dò che è motivo di vergogna: Eieusi conosce queste cose e quelli che sono iniziati alle cose che vengono taciute e sono davvero degne di esserlo» (Or., 39, 4). Questa caratteristica, invece, era diventata un momento forte della

captatio beneuolentiae nei confronti di Demeter nelle parole della Psyche delle Metamorfosi di Apuleio: «Ti prego per la tua destra frugifera, per le cerimonie sacre che allietano la mietitura, per i segreti della cesta caratterizzati dal silenzio e per i carri alati dei serpenti tuoi accoliti, per i solchi della terra di Sicilia, per il cocchio rapace e la terra avara, per le discese sottoterra di Proserpina a nozze senza luce, per i ritorni di tua figlia con luminose cerimonie di ritrovamento e per le altre cose che il santuario di Eieusi attica copre col segreto*» (M e t VI, 2). Sulle modalità della sopravvivenza privilegiata di cui godono gli iniziati ci informa Sofocle che in un noto frammento rivela: «Tre volte beati quelli fra i mortali che avendo visto questi riti vanno nell'Ade: solo per essi c'è laggiù vita, mentre per gli altri ci sono là tutti i mali» (Fragni- 753 Nauck2) IUB]. E meglio di lui fa Aristofane che nelle Rane fa dire ad un Herakles rivolto a Dionysos: «Vedrai una quantità di serpenti e di mostri terri­ bili... poi c'è fango dappertutto e fiumi di sterco; immerso ci sta chi ha offeso un ospite, o chi si è goduto un ragazzo senza dargli un soldo, chi ha picchiato la madre o ha dato una sberla al padre o ha giurato il falso... Via di là ti sentirai avvolto da un'aura di flauti, e vedrai una luce bellissima come qui da noi, e boschetti di mirti e tiasi beati di uomini e donne, e tutti battono le mani... questi sono gli iniziati» (R a t i 143-158). Al di là dell'esoterismo tipico dei culti di mistero, queste testimonianze ci lasciano intendere che quanto promesso dalle due dee ai loro adepti consiste nella sopravvivenza in un luogo che non è geograficamente distinto dall'Ade dove sono i non iniziati (siamo sempre in una dimensione ipogea), ma che è qualitativamente distinto dal generico regno dei morti. In questo luogo infero caratterizzato da mostri, melma e sterco, esiste una parte dove chi ha goduto dell'iniziazione eleusina vive beato, aiui tre volte beato, lontano dai comuni mortali che sopravvivono nel fango e nella morte. Ma le due dee nell'inno non si limitano a salvaguardare i loro iniziati esclusivamente nel mondo dei morti; la loro benevola attenzione che interessa

anche l'uomo nella sua vita terrena, al quale promettevano ricchezza e benessere, è ribadita in un passo del Panegirico di Isocrate dove si legge: «Un tempo Demeter, quando errava in cerca di Kore che era stata rapita, giunse nel nostro paese e per i benefici che ricevette, che soltanto gli iniziati possono cono­ scere e nessun altro, fu grata ai nostri progenitori e fece loro due doni, entrambi splendidi: i frutti della terra, che ci hanno liberato dalla vita ferina, e rinizìazione ai misteri che donano agli iniziati più dolci speranze circa il compimento della vita e per sempre» (Pane#., 28). E le parole dell'oratore greco riecheg­ giano in quelle di Cicerone quando afferma: «A me sembra che la tua Atene abbia prodotto molte cose di valore esimio e divino e le abbia introdotte nella vita degli uomini, ed invero tra tutte queste niente è migliore di quei misteri grazie ai quali dalla vita selvatica e bestiale siamo stati riscattati alla natura umana e siamo divenuti migliori, le iniziazioni come vengono chiamate, alla luce delle quali abbiamo conosciuto gli autentici principi della vita e non solo sappiamo di poter vivere con letizia ma anche di poter morire con una speranza migliore» (De leg. Il, 14, 16). Dall'insieme di queste testimonianze è lecito eviden­ ziare quanto l'apporto fornito dalle due dee ad un uomo che nella visione olimpica della religione greca è condannato alla morte ed all'infelicità sia determinante: grazie a loro quest'ul­ timo viene liberato da una vita caratterizzata dallo stato ferino e da una morte priva di speranza. Rimane da chiedersi perché proprio Demeter, lei che è di­ vinità olimpica e sorella di Zeus, abbia elargito agli uomini questa agathv elpis. La dea, pur legata all'affermazione della nuova generazione degli dèi capitanata da Zeus e pur avendo un posto neirOlimpo tra gli dèi beati e sempre felici, si trova però a patire una vicenda di inequivocabile sapore umano quando Persephone, sua figlia, viene rapita da Hades. La ma­ dre in cerca di lei, disperata, erra per tutta la terra. Alla fine riuscirà a ritrovarla e a poterla avere con sé per una parte dell'anno, mentre per la parte restante Persephone, regina degli

inferi, rimarrà alla corte di Hades da cui ha accettato incau­ tamente dèi semi di melograno. In concomitanza con la risolu­ zione di questa vicenda, le due dee fondano i loro misteri carat­ terizzandoli con promesse riservate agli iniziati già note allo pseudo-Omero autore dell'inno di cui si è parlato. Sarà allora il fatto di avere sperimentato i pathe, i dolori degli uomini, esperienza assolutamente atipica per delle divinità olimpiche, a far in modo che le due dee si accostino ad essi, e ad essi rivolgano la loro benevola attenzione fino a salvaguardarli durante la vita e dopo la morte. Sarà la partecipazione al rito iniziatico a determinare per il singolo questo cambiamento di prospettiva, una partecipazione caratterizzata da un patire, da uno sperimentare, piuttosto che dall'essere messo a parte di verità dogmatiche altrimenti inconoscibili. Si conferma una communio opinio fra gli studiosi il sostenere che si ricorreva a purificazioni, digiuni e pratiche espiatorie per preparare gli iniziandi a prendere parte al rituale esoterico che si celebrava nel telestcrion del santuario eleusino. Il rituale stesso, poi, era articolato in la dromena (le cose fatte), la legomena (le cose dette) e ta deiknymena (le cose mostrate) e terminava nell'epopteia, una visione-rivelazione che determinava il cambiamento di stolws del mista, e sui contenuti della quale le fonti, quando non tacciano, si caratterizzano per genericità o per eccessiva acre­ dine. Tuttavia il cristiano Clemente Alessandrino merita di essere riportato quando ci tramanda la formula segreta dei misteri eleusini: «Digiunai, bevvi il ciceone, presi dalla cesta, e dopo avere fatto quello che dovevo fare, riposi nel canestro e dal canestro nella cesta» (P r o t r II, 21, 2). Ed è interessante, di seguito, riportare, nonostante un indubitabile affìatus mistico, anche la testimonianza di Stobeo quando, riferendosi al rituale dei grandi misteri eleusini, ci riporta un passo del De anima di Plutarco e dice: «Prima vi sono delle corse a caso, penosi ritor­ ni, inquietanti cammini senza fine attraverso le tenebre. Poi, prima del termine, il fragore è al colmo, il brivido, il tremito, il sudore freddo, lo spavento. Ma poi una meravigliosa luce si

offre agli occhi, si passa in puri luoghi e in praterie, dove risuo­ nano voci e danze. Parole sacre e apparizioni divine ispirano un religiosa venerazione. Allora l'uomo, perfetto e iniziato, divenuto libero e passeggiando senza costrizione, celebra i misteri con una corona sul capo, vive con gli uomini puri e santi, vede sulla terra la folla di quelli che non sono iniziati e purificati schiacciarsi e comprimersi nella palude e nelle tenebre, e, per timore della morte, attardarsi nei mali, per l'errore di credere nella felicità di laggiù» (Fiorii., IV, p. 107 Meinecke). Un passo di Aristotele tramandatoci da Sinesio dice che «quelli che sono iniziati non apprendono (mathein) dò che è necessario ma lo patiscono (pathein) e una volta divenuti ini­ ziati vengono mostrati manifestamente come familiari delle dee» (ap. Syn., Dione, 48). Ora questa familiarità è determinata dalla comune sofferenza, dalla comune sympatheia, e questa comu­ nanza nel dolore determina l'attenzione che una dea e sua figlia, dai loro seggi olimpici, rivolgono all'uomo permettendogli di avvicinarsi a loro e di godere della loro protezione. Cambia la prospettiva del rapporto uomo-divinità di olimpica memoria, non cambia, invece, in nessun modo la grande struttura del kosmos che Zeus ha fissato con la sua storia mitologica a danno di Kronos e sul quale, assieme ad Hades e a Poseìdon, esercita la dignitas e Yimperium che gli sono propri. Il cambiamento di prospettiva offerto dal culto misterico eleusino riguarda i singoli uomini, uno per uno, distinti tra iniziati e non iniziati; non costituisce certo un attentato alla teologia ed alla cosmo­ logia greca tradizionale: Zeus regna sul kosmos e l'uomo finisce nel regno di Hades anche nella Weltanschauung proposta dai misteri di Demeter e Persephone. Nei mondo greco-romano a delle attese di natura salutare e, di volta in volta, più o meno salvifica risponderanno, oltre che i misteri greci, i cosiddetti culti orientali. Con la definizione culti orientali si fa riferimento ad un insieme di manifestazioni religiose rivolte a divinità specifiche

originarie dell'Egitto e del vicino oriente antico e diffusesi in momenti diversi e con successo ineguale nell'impero romano, in special modo durante il secondo ellenismo; nel loro insieme essi costituiscono un fenomeno specifico nell'ambito delle ma­ nifestazioni religiose del mondo imperiale romano. La causa prima che ha facilitato la diffusione dei culti orien­ tali deve essere rintracciata nell'impero di Alessandro Magno e nella sua suddivisione fra i Diadochi, eventi epocali che resero possibile una trama di rapporti tra individui e popolazioni diversi per costumi e nazionalità. È questo il periodo in cui inizia in maniera pressoché sistematica quelTintenso movimento che vede da una parte i "levantini" recarsi in occidente e diffon­ dere le loro divinità patrie e, dall'altra, gli "occidentali" che nel corso dei loro viaggi in oriente subiscono il fascino di divinità tanto antiche quanto diverse dagli dèi dei loro politeismi. E così, complessivamente, la fortuna conosciuta da queste divi­ nità deve essere rintracciata nella loro capacità di sapere convi­ vere in ambienti diversi da quelli originari con gli dèi tradi­ zionali che, a volte, verranno addirittura affiancati ad esse. D'altronde, dal punto di vista della tipologia storico-compara­ tiva, quando parliamo di culti orientali ci riferiamo a manife­ stazioni religiose di natura sovranazionale che non richiedono un'adesione esclusiva da parte dei loro fedeli; un tale preteso esclusivismo caratterizza, invece, le religioni universali quali il cristianesimo che proprio con i culti orientali dovette confron­ tarsi durante i primi secoli della sua diffusione. Infatti nel mondo "pagano" ci si può dichiarare fedeli allo stesso tempo di divi­ nità diverse e, in qualche modo, complementari, come nel noto caso di Vettio Agorio Pretestato (C/L, VI, 1778) e nell'epigrafe funeraria di Marco Antonio Soterico (G. Montesi, Nota dolìchena, SMSR, XXVI], 1956, pp. 142-145). Già Franz Cumont ha messo in luce che la caratteristica che diversifica i culti orientali rispetto al culto ufficiale greco e romano è quella di presentare delle divinità più sollecite ne) rispondere ai bisogni dei singoli uomini tanto in questa vita

che dopo la morte. Anche il rituale che ad esse si accompagna finisce per sottolineare ulteriormente questa caratteristica di divinità soccombici e capaci di garantire l'ottenimento, il ri-otte­ nimento ed il mantenimento di una saìus di natura intra- ed extra­ mondana. In particolare saranno le divinità di origine siriana e commagenica caratterizzate da appellativi epicorici a vedersi invocate per una salus di interesse intracosmico, mentre divinità quali Isis ed Osiris o ancora Mithra saranno rivestite di una dimensione escatologica anche se di natura individuale. A contatto con la cultura greco-romana tali divinità conosceranno un'evoluzione del loro complesso mitologico e rituale. E ciò vale in particolar modo per quei culti fondati su una coppia di dèi uno dei quali "in vicenda" che, in forza del prototipo eleu­ sino, potranno assurgerò alla dimensione di veri e propri culti di mistero. Proprio grazie a tale evoluzione essi diventeranno capaci di promettere delle "buone e dolci speranze" per coloro che, iniziati ad essi, si recheranno nel regno dei morti. Questa nuova dimensione vissuta dai culti orientali costi­ tuisce senza dubbio il momento più alto della loro avvenuta ellenizzazione. In particolare sarà U culto di lsis e Osiris che, proprio durante il 1 e il li secolo d.C., secondo la testimonianza di Plutarco e soprattutto di Apuleio, si avvarrà di questa nuova dimensione "modellata" proprio sul prototipo eleusino; dimen­ sione ad esso del tutto estranea ancora in epoca tolemaica. La dea, che già in età faraonica si vede protagonista di tutta una serie di azioni mitiche che ne evidenziano tanto il potere quanto la vicenda luttuosa da lei "patita" durante le peregrinazioni caratterizzanti l'inventio Osiridis, durante il secondo ellenismo assurgerà al ruolo di divinità pantea. Ma se nell'Egitto dei faraoni il culto di Isis ed Osiris era volto a legittimare la regalità, nel mondo ellenistico questa dea perde parte delle sue connotazioni, diciamo così, regali, per rivolgersi più semplicemente agli uomini che, come lei, hanno sperimentato "vicende dolorose e luttuose". In un noto passaggio, Plutarco lascia intendere come la Isis a lui contemporanea abbia perduto molte delle caratte­

ristiche egi/.ie e ne abbia assunte altre analoghe a quelle della Demeter eleusina di cui abbiamo detto, come risulta anche dall'abbigliamento della dea che nella statuaria greca e romana si vedrà vestita di peplo e chitone, con il sistro e la situla nelle mani, il caratteristico copricapo e l'altrettanto caratteristico nodo sul petto. Lo scrittore di Cheronea racconta che Isis dopo avere sconfitto Typhon ed avere vendicato Osiris «introducendo nelle più sacre cerimonie immagini, allegorie ed imitazioni delle dolorose sofferenze di allora, offrì un giusto motivo di venera­ zione e insieme di conforto per gli uomini e per le donne oppressi da simili disgrazie» (De Is., 27). Ed una descrizione di quanto dovesse essere sentito il dramma vissuto dalla dea durante la ricerca di Osiris così come doveva essere reale la gioia che seguiva il suo ritrovamento ci è fornita dal polemista cristiano Lattanzio quando ricorda che «i riti sacri di lsis non mostrano nient'altro se non in che modo (la dea) abbia perduto e ritro­ vato un piccolo figlio che ha il nome di Osiris. Infatti in un primo momento i sacerdoti e i ministri, rasate tutte le membra e percosso il petto, piangono, si dolgono e Io cercano imitando il dolore della madre; in seguito il fanciullo è ritrovato per opera di un Cinocefalo. Così i riti luttuosi si risolvono in letizia» (Div. inst. ep., 18, 5-6). Che il polemista cogliesse solo gli aspetti esteriori di un culto lontano da quello da lui professato, lo dimostra rapprossimazione con la quale fa di Osiris il figlio di Isis; è lecito che questa confusione sia stata generata in lui dalla risonanza di cui aveva continuato a godere il culto iniziatico eleusino fondato, come abbiamo visto, da una vicenda dolorosa che coinvolge una madre ed una figlia. Isis, invocata come una quae es omnia (CiL, X, 3800) nelle epigrafi di epoca imperiale, nelle aretalogie si autoproclama garante del destino, della giustizia e di quelle norme che sanci­ scono il corretto vivere civile nonché il retto funzionamento del cosmo, norme stabilite dalla dea stessa. E proprio questa Isis che si autoprodama fino ad attribuirsi il merito di avere fissato,

di fatto e di diritto, le leggi che regolano la vita degli uomini e del cosmo, in un passo del suo migliore "profeta", Apuleio, si fa portavoce di una tendenza tipica del secondo ellenismo quale l'enoteismo; una tendenza in forza della quale su di un'unica divinità finiscono per convergere tutte le prerogative normalmente attribuite a divinità diverse, delle quali la divi­ nità che è protagonista della rilettura enoteistica finisce per prendere i nomi e gli attributi. In questi casi è lecito, appunto, parlare di enoteismo (e non di teopantismo e, tanto meno, di panteismo) da! momento che una divinità raccoglie in sé prerogative e simboli di divinità più o meno analoghe senza, tuttavia, negarle o disconoscerne il potere divino. È Isis in persona che, se da una parte si qualifica come divinità suprema fra gli dèi celesti ed inferi, regolatrice del cosmo e dea "dai mille nomi", dall'altra si rivolge direttamente a Lucio tramu­ tato in asino dalla sua nefarin curiositas e lo rassicura dicendogli: «Eccomi commossa dalle tue tristi vicende, eccomi benigna e propizia. Allontana le lacrime, poni fine ai (tuoi) lamenti, allon­ tana una volta per tutte la (tua) tristezza: ormai, grazie al mio intervento provvidenziale, inizia a sorgere il giorno della tua salvezza» (Ml'L, XI, 5). E immediatamente chiaro come qui, rispetto alle autoproclamazioni aretalogiche, ci sia qualcosa di più: la dea, oltre ad attribuirsi il merito di avere regolamentato la vita dell'uomo e dell'universo, si dichiara commossa dalle lacrime di un uomo qualsiasi, anzi di un uomo che ha infranto le leggi da lei stabilite, al quale, nonostante questo, promette salvezza in forza della sua natura di dea providens. Ma con Apuleio, l'autore delle Metamorfosi, siamo già in pieno 11 secolo d.C. e, quindi, in pieno secondo ellenismo, in un'epoca in cui i cosiddetti culti orientali sono oramai saldamente diffusi nel mondo imperiale romano ed il culto di Isis, specificamente, è divenuto culto di mistero esemplato sul prototipo eleusino, come è attestato dall'arctalogia di Maronea dove si assiste al trionfo di Atene e di Eieusi, sede misterica per eccellenza. In questo testo l'elogio encomiastico che si fa della città attica

e di Eieusi non può far altro che sottolineare il tributo che l'Isis misterica deve alla Demeter eleusina, della quale si vede attri­ buite anche alcune opere mitiche come quella di avere rivelato i frutti della terra a beneficio degli uomini. La dea, come ci aveva detto Plutarco, non volle che le sue sofferenze fossero dimenticate e per questo istituì dei riti rivolti a consolare gli uomini che incappavano in sventure dolorose quali quelle da lei patite; ebbene al tempo di Apuleio il culto di lsis ha raggiunto la sua meta ed è a pieno titolo un culto di mistero. Lucio ci racconta la sua esperienza iniziatica pur con i limiti imposti dall'esoterismo rituale quando rivela: «Sono giunto al limite della morte e, calcata la soglia di Proserpina, sono stato trasportato attraverso tutti gli elementi, in piena notte ho visto il sole brillare di candida luce, sono stato al cospetto degli dèi inferi e superi e li ho adorati da vicino» (Mei., XI, 23). Siamo di fronte ad un resoconto della cerimonia iniziatica isiaca ad uso dei non iniziati: si parla di uno stato di morte e di un viaggio attraverso gli elementi del cosmo, di eventi ecce­ zionali come l'avere visto il sole brillante nel mezzo della notte e l'essere giunti davanti agli dèi per adorarli da vicino. È chiaro che si tratta di un'esperienza misterica capace di stravolgere, grazie al potere della dea lsis, le normali leggi che regolano gli uomini, il cosmo e gli dèi; e si tratta di un'esperienza dolorosa a tal punto da determinare quasi la morte. Ed allora, come già nel rito esoterico eleusino, è la sofferenza e non la rivelazione sofica, il pathein e non il mathein, a determinare il cambiamento di status del singolo benevolmente eletto dalla dea. Una dea alla quale Lucio, dopo essere stato iniziato, si rivolge in questo modo: «Tu, invero, santa e sempre pronta a venire in soccorso da tutti gli uomini, sempre generosa nei confronti dei mortali, ai miseri in disgrazia accordi l'amore dolce della madre. Neanche un giorno o una notte e neanche un momento, per quanto breve possa essere, passa privo della tua benedizione, senza che tu protegga gli uomini in terra e in mare e offra la tua destra che reca soccorso, allontanate le tempeste dell'esistenza.

grazie alla quale sciogli anche i lacci inestricabilmente aggrovi­ gliati di ogni destino, calmi le tempeste della fortuna e arresti i crudeli corsi degli astri. Gli dèi superi ti venerano, gli inferi ti onorano, tu fai ruotare la sfera del cielo, illumini il sole, governi il mondo e calchi il tartaro» (Met., XI, 25). Isis non è più l'antica dea egiziana simpliciter; oramai, a pieno titolo, è dive­ nuta una dea santa che si cura dell'esistenza dei singoli, così come regola il cosmo, anzi, così come rende il cosmo propizio per la vita degli uomini. Al contrario del culto isiaco, che non nasce ma diviene misterico, il mitraismo appare caratterizzato dall'esoterismo e dall'iniziazione già nelle più antiche testimonianze. Plutarco, in un noto episodio della vita di Pompeo, riferisce che i pirati cilici: «Sull'Olimpo (in Licia) sacrificarono secondo riti stranieri e celebrarono alcune iniziazioni segrete, tra le quali quelle di Mithra che, istituite da loro per la prima volta, perdurano ancora ai giorni nostri» (Pomp., XXIV, 7). Già qui si parla di un rito iniziatico ed esoterico relativo al culto del dio Mithra, un dio che nella vicenda mitica sui generis che lo coinvolge appare come colui che ucciderà all'interno della grotta cosmica il toro primordiale per promuovere la fecondità di un mondo che soltanto grazie al suo intervento è diventato definitivamente un kosmos. Già Stazio coglie in pieno questo atteggiamento quando parla di Mithra come quel dio «che sotto le rocce del­ l'antro persiano piega indietro quelle coma che non vorrebbero seguirlo» (Theb., I, 719-720). È proprio in questa caratteristica costitutiva esoterica ed iniziatica che si è potuta individuare la "specificità" del mitraismo. Tale specificità distingue questo culto sia nell'ambito del complesso panorama delle religioni orientali del secondo ellenismo, sia per quanto riguarda il proprio retroterra iranico dove il dio, nonostante il ruolo di rilievo ricoperto nel panteon persiano, non è mai stato destina­ tario di un culto di mistero. Le rappresentazioni più elaborate della tauroctonia, il

momento forte della vicenda mitica di Mithra, oltre ad essere caratterizzate da inequivocabili simboli cosmici quali gli dèi planetari ed i segni zodiacali, mostrano chiari riferimenti a figure e ad episodi chiave della cosmologia classica, come Kronos-Satumo e la lotta di Zeus contro i giganti. Il mitraismo romano, infatti, si rivela essere una creazione religiosa originale capace di rileggere la mitologia classica e di inserirvi figure divine "straniere" alla luce di una teologia complessa e siste­ matica , anche se difficile da cogliere a pieno data la natura prettamente iconografica, archeologica ed epigrafica della docu­ mentazione in nostro possesso. Il dio Mithra vive, lo dicevamo, una vicenda sui generis caratterizzata in special modo dalla cattura e dalTimmolazione del toro primordiale (immolazione che determina ¡'avvento della fecondità nel mondo), dalla consu­ mazione delle carni deU'animale durante un banchetto sacro a cui partecipa anche Sol, e da un viaggio sul carro di quest'ultimo al termine del quale, accolto dal leontocefalo o da un perso­ naggio comunque avvolto dalle spire di un serpente, sembre­ rebbe uscire dalla scena cosmica ed oltrepassare il cielo delle stelle fisse. Anche se la portata storico-religiosa del leontocefalo è ancora sub indice i suoi attributi più significativi quali lo scettro, le chiavi, i segni zodiacali e i segni degli equinozi e dei solstizi sul suo corpo, il serpente che lo avvolge, il globo su cui poggia, lo qualificano inequivocabilmente come un signore del tempo cosmico da superare escatologicamente. Di certo per i seguaci di Mithra si può parlare al massimo di una prospet­ tiva escatologica individuale da connettere con l'iniziazione "sequenziale" alla quale essi, pergradus, partecipavano. La loro carriera iniziatica era articolata in sette gradi, come ci attesta Gerolamo nella famosa epistola a Leta, e questi gradi, come ci lasciano intendere le iscrizioni dipinte del mitreo di S. Prisca a Roma, a loro volta erano connessi alle divinità planetarie. Infatti il primo retoricamente chiede: «Non è vero che pochi anni fa Gracco, quel vostro parente nel cui nome risuona la nobiltà patrizia, mentre era prefetto della città, fece abbattere, distrug­

gere e incendiare uno speco di Mithra e tutti quei simulacri mostruosi con i quali il non considerare corax, il cryphius (ovvero il m/mphus), il miles, il k o t il Perse*, Vheliodromus e il pater vengono iniziati? (Ep. 107 ad Laetam, 2); mentre le iscrizioni fideistica­ mente recitano: «Onore agli iniziati al grado del pater da oriente ad occidente sotto la tutela di Saturno / Onore agli iniziati al grado délYheliodromos sotto la tutela di Sol / Onore agli iniziati al grado del Perse* sotto la tutela di Luna / Onore agli iniziati al grado del ho sotto la tutela di luppiter / Onore agli iniziati al grado del miles sotto la tutela di Mars / Onore agli iniziati al grado del nyntphtis sotto la tutela di Venus / Onore agli iniziati al grado del corax sotto la tutela di Mercurius» (M,J. Vermaseren, M.J. Van Essen, The Excavations in thè Mìthraeum of thè Church of Santa Prisca in Rome, Leiden, 1965, pp. 155 ss.). Ora, il salire i singoli gradi di questo cursus honorum doveva rivelarsi come un «scenst/s che avvicinava sempre di più l'ini­ ziato al proprio dio. Un tale asccnsus avveniva attraverso i diversi gradi iniziatici durante i quali si metteva a dura prova la capacità di resistenza al dolore ed alle privazioni di coloro che erano ammessi a questi riti. Tertulliano dovendo difendere un suo confratello, il quale era stato accusato di essere cristiano dal momento che aveva rifiutato di presentarsi con la corona sul capo al proprio coman­ dante, relativamente all'iniziazione al grado del miles dice: «Quello, quando viene iniziato nella grotta, davvero l'accampamento delle tenebre, riceve l'ordine di togliersi dal capo con un gesto di rifiuto fatto con la mano e di spostare se mai sulla spalla una corona che (prima) gli è stata offerta su una spada sguainata quasi ad imitazione del martirio, e poi ben accomodata sul capo; intanto afferma che Mithra è la sua corona» (De cor., XV, 3). Anche il cosiddetto Ambrosiaster cì rivela un momento particolarmente cruento ancora dell'iniziazione mitriaca: «Affinché non inorridiscano all'idea di venire disonorati vergognosamente proprio attraverso gli occhi vengono velati, poi alcuni battono le ali come uccelli ed intanto imitano la voce del corvo, altri

invece ruggiscono proprio come dei leoni, altri ancora, con le mani legate dagli intestini di pollo, vengono fatti distendere sopra delie fosse piene d'acqua mentre uno, che si chiamerebbe i] liberatore, sopraggiunge armato di un gladio e si lancia contro gli intestini suddetti» (Quaest. vet. et nov. test., CXIV, 11). Ed ancora lo pseudo-Nonno, benché si esprima in modo più gene­ rico, sottolinea sempre la finalità del rito mitriaco di rendere l'iniziato puro ed impassìbile attraverso la sofferenza quando dice: «Nessuno può essere iniziato a lui (se. Mithra) se prima non è passato attraverso punizioni di gradi diversi. I gradi delle punizioni sono ottanta, e sono di livello più basso e più alto. Dapprima vengono puniti con quelle più facili da sopportare, poi con quelle più drastiche e poi con quelle più drastiche ancora. E così, dopo essere passato attraverso tutte queste puni­ zioni, allora il mista partecipa del rito iniziatico. Le punizioni sono: sopportare il fuoco, il freddo, la fame e la sete, un lungo cammino, una navigazione e, in breve, ogni altra prova di un tal genere» (Comm. in or. rv, 6). Anche se si deve tenere conto, di volta in volta, sia dell'acredine che delle esagerazioni di questi autori, il fatto che il rituale iniziatico del culto di Mithra fosse comunque duro da affrontare è testimoniato dal cosiddetto "cate­ chismo mitriaco" conservato in un papiro rinvenuto in Egitto datato al IV sec. d.C Nonostante lo stato del testo, non solo è chiaro che siamo in ambiente mitriaco come dimostrano il rife­ rimento al grado del leo e del pater, ma addirittura iniziatico in forza del far cenno alla morte prevista dal rituale al quale deve essere ricondotta anche la menzione di cibo e bevanda; d'altronde Giustino martire, nella prima apologia, sostiene che: «durante le cerimonie iniziatiche (mitriache) si fa l'oblazione di un pane e di una coppa d'acqua mentre si recitano alcune formule» (/ apoi., 66, 4). D luogo in cui si celebrava il rituale mitriaco era il mitreo, un santuario sotterraneo che imitava la grotta primordiale nella quale il dio aveva vissuto il momento forte della sua vicenda mirica e cioè ('uccisione del toro con la conseguente promozione

della fecondità; ad essa aveva fatto seguito la consumazione dell'animale abbattuto assieme a Sol e l'uscita del dio tauroctono sul carro di quest'ultimo da quel kosmos le cui leggi erano state ormai definitivamente stabilite. Lo testimonianze di Celso e dei neoplatonici ci lasciano intendere speculazioni di natura cosmo­ logica proprie della religiosità mitrìaca, ancora una volta a dimostrazione di come questi culti orientali, lontano dall'esaurirsi in una semplice prospettiva iniziatica, in realtà rinsaldino le promesse fatte ai loro adepti proprio in forza di una lettura teologica, antropologica e cosmologica capace di fondere istanze diverse mutuate dalla cultura dell'epoca. Ma ascoltiamo le parole di Celso così come ci sono raccontate dal cristiano Origene: «A tali cose si riferiscono tanto la dottrina dei Persiani quanto l'iniziazione mitrìaca che è praticata da loro. In quella infatti c'è una raffigurazione simbolica delle due orbite del cielo, quella delle stelle fisse e quella assegnata ai pianeti, e (una raffigurazione simbolica) del passaggio dell'anima attra­ verso di loro. L'immagine allegorica è così: una scala con sette porte, su questa un'ottava porta. La prima di queste porte è di piombo, la seconda di stagno, la terza di bronzo, la quarta di ferro, la quinta di una lega metallica, la sesta di argento, la settima d'oro. Attribuiscono la prima a Kronos poiché con il piombo simboleggiano la lentezza dell'astro; la seconda ad Aphrodite comparando a lei la brillantezza e la malleabilità dello stagno; la terza, quella che ha la soglia di bronzo ed è solida, a Zeus; la quarta ad Hermes, infatti sia Hermes che il ferro sono capaci di sopportare qualsiasi lavoro, abili nel fare affari e resistenti alla fatica; la quinta, quella che è diseguale perché prodotta con una lega di metalli, ad Ares; la sesta, argentea, a Selene; la settima, d'oro, ad Helios, dal momento che ne imitano i colori» (C. CeJs., VI, 22). Di certo, al di là di ogni tentativo epesegetico del passo riportato, le testimonianze musive rinvenute ad Ostia nei cosiddetti mitrei delle sette sfere, delle sette porte e di Felicissimo inducono a non sottovalutare una possibile convergenza tra questo genere di testimonianze letterarie e la

simbologia attestata in contesti mitriaci coevi alle testimo­ nianze stesse. Nella pavimentazione di questi mitrei, infatti, notiamo rispettivamente una serie di sette semicerchi, una serie di sette porte ed una scala di sette gradini airintemo della quale sono ospitati, per gradus, i simboli dei setti gradi inizia­ tici. Benché sia imprescindibile tenere conto della matrice filo­ sofica che è alla base delle testimonianze sul mitraismo lasciate da autori medio- e neo-platonici, anche da tali fonti tuttavia è possibile cogliere degli aspetti di questo culto senza doverli per forza ricondurre ad una matrice sofico-sapienziale. Proclo, ad esempio, dice: «Che questa Ananke sia la stessa Themis bisogna crederlo. Non sono degne di fede soltanto le teogonie dei Greci, ma anche le iniziazioni persiane di Mithra, in occasione delle quali a tutte le epiclesi di Themis, all'inizio, nel mezzo e alla fine, uniscono anche Ananke, dicendo manifestamente Themis e Ananke, e questo in tutte (le preghiere)» (In Plat. Rempubl., li, 345, 4). In tali parole si coglie chiaramente quella nozione di neces­ sari soggezione alle leggi cosmiche ed etiche che ha caratteriz­ zato fino a renderlo, nonostante la sua dimensione strettamente "privata", un'espressione sincera di lealismo nei confronti dell'imperatore quale rappresentante del potere costituito; l'unico potere capace di garantire una prorogatio in aevuttt deWUrbs e dell'orbis Romanus. Ed è proprio a Mithra invocato come fauior imperii sui che nel 307 a Camuntum i religiosissimi Diocleziano, Galerio e Licinio dedicano un sacrarium (C.J.MRM, 11, 1698); e lo stesso Giuliano, in un clima di ardenti fervori religiosi contra­ stanti e contrastati, racconta che Hermes gli ha rivelato: «A te ho permesso di conoscere il padre Mithra; tieni a mente i suoi ordini, garantendo così a te stesso durante la vita una gomena ed una rada sicura; e poi, quando dovrai allontanarti da qui, (lo farai) con la buona speranza avendo a fianco come guida un dio benevolo» (C a e s 38). È noto quanto l'imperatore Giuliano fosse permeabile alla filosofia, ma il suo neo-platonismo, da solo, non basta per fare proprio di Mithra la gomena di questa

vita e la guida benevola nell'aldilà. Abbiamo accennato che la vicenda mitica di Mithra, esemplificata nel modo più completo nei bassorilievi di area reto-renana e danubiana, termini con un ascensus del dio su di un cocchio guidato da Sol al di là del kosmos il cui retto funzionamento è oramai stabilito una volta per tutte. Anzi, l'uscita del dio Mithra da questo kosmos oramai realizzato, non significa l'abbandono di esso da parte del dio ma, secondo i parametri tipici di molte mitologie, ne sancisce una stabilità che mai nessuno potrà più cambiare. Meno facile da individuare dal punto di vista cronologico, invece, è la dimensione misterica raggiunta dal culto di Cybele (chiamata anche Magna Mater, Mater Idaea e Mater degli dèi) ed Attis. 11 culto metroaco di origine frigia venne introdotto sia in Grecia che a Roma in forma ufficiale abbastanza presto e già caratterizzato da una dimensione mistica e orgiastica che si mantenne ancora in ambito greco e romano. Lucrezio con il suo drammatico epicureismo ci offre una testimonianza delle cerimonie in onore di Cybele che avevano luogo a Roma: «Con le mani fanno tuonare i timpani tesi e i cembali concavi tutt'intomo, i comi minacciano con il loro suono rauco, la tibia cava con il ritmo frigio incita gli animi, e mostrano le anni, segni di violento furore, così da atterrire gli animi ingrati e gli empi petti del volgo grazie al terrore religioso proprio del nume della dea. Pertanto, non appena viene condotta attraverso le grandi dttà, tacita dona ai mortali La (sua) muta salute, di bronzo e d'argento cospargono ogni tratto di strada arricchendo(lo) con generose offerte, e fanno piovere fiori di rosa fino a coprire d'ombra la Mater e le moltitudini di ministri e accompagnatori sacri. Qui degli armati in schiera ... talora tra le folle dei Frigi danno spettacolo e ritmicamente saltano e danzano inebriati dal sangue, mentre scuotono le orribili creste del capo per volontà divina» (De rer. nat., fi, 618-632). A lui fa eco Seneca quando nota, nell'ambito del medesimo rituale, che "uno si amputa le membra virili, un altro si lacera di tagli i lacerti ...

Essi stessi si trucidano nei templi, fanno suppliche con le loro ferite ed il sangue» (ap. Aug., De Cn\, VI, 10, 1). È evidente come questa serie di atteggiamenti cruenti ed Insani per un civis Romamis possa essere stata accettata in una Roma repubblicana sempre cosi attenta al mos maiorum grazie all'evocazione durante la seconda guerra punica legittimata prima a Roma dai libri sibillini e poi a Delfi da Apollo nel suo santuario oracolare. E così una delegazione autorizzata dal senato potè recarsi da Attalo, re di Frigia, per ottenere la statua della Magna Mater. Se è noto l'episodio dell'arresto alle foci del Tevere della nave che trasportava il venerabile simulacro, ancora di più lo è il "miracolo" dì Claudia Quinta. Lei, vestale dall'equivoca reputazione, ottenne giustizia dalla grande dea frigia alla quale aveva chiesto di seguirla a garanzia della sua purezza, pena la morte. Infatti la nave incagliata, che nessuno aveva potuto rimuovere, seguì docilmente La vestale come testi­ monia anche un famoso altare conservato a Roma, nei Musei Capitolini dedicato alla Magna Mater e a Navisalvia (Musei Capitolini, Sale dei Culti orientali, L, 18). È evidente come tutto si svolga sotto l'egida del mos maiorum e venga ricondotto in senso forte nell'ambito della religione ufficiale: i libri sibillini, l'oracolo di Delfi, una vestale discussa ma indiscutibile, ed un nobile romano quale Publio Cornelio Scipione scelto dal senato per accogliere la dea e portarla in città, sono simboli inequivo­ cabili di quanto di più tradizionale possa esserci nella dimen­ sione religiosa della Res publica Romana. Ed alla luce di questo si può spiegare anche la questua pubblica operata dai sacerdoti della dea e regolata dalla stessa Res publica in forza di apposite norme così come ci dice Cicerone. L'arpinate, infatti, in un passo de De legibus, mette bene in luce la componente "orientale" e privilegiata del culto di Cybele quando ricorda: «Abbiamo soppresso le offerte in moneta, se non quelle proprie delle cerimonie religiose della Mater idea nei pochi giorni fissati per la quale abbiamo fatto un'eccezione. Infatti (una tale abitudine) riempie di superstizione gli animi e manda in rovina le famigLie»

(De l e g II, 16, 40). In questo passo è chiaro come soltanto per il culto orientale di Cybele e de! suo paredro Attis, e per le scene di cruento entusiasmo rituale collegate, così come per la connessa questua sacra, si poteva ammettere una deroga giusti­ ficata dalla tradizionale vetustà dei libri sibillini e del collegio sacerdotale destinato alla loro consultazione. È come dire che le cerimonie entusiastiche, e le connesse questue sacre, di norma non ammesse dal mos maiorum soltanto da quest'ultimo possono venire legittimate. In ogni caso era severamente proibito al cfi’js consacrarsi alla Magna Mater come ci dice Dionigi di Alicamasso: «Nessuno fra i romani si aggira per la città facendo il sacerdote questuante, o cantando e suonando il flauto, o indos­ sando una veste variopinta, né onora la dea con i riti orgia­ stici frigi, secondo la legge e il decreto del senato» (Ant. Rom., 11, 19, 5). È proprio nella dimensione mistica e orgiastica che a Cybele viene a connettersi strettamente la figura di Attis; questi, sia nella tradizione mitologica lidia che in quella frigia, è caratte­ rizzato dalKeunuchismo e dal destino di morte, anche quando la sua figura si riveste di tratti superumani. Un momento forte della sua "vicenda" è costituito dalla automutilazione degli organi genitali, fondamento della pratica deireunuchismo rituale che costituirà una delle componenti del culto metroaco nella persona dei galli. In particolare a Roma, durante il periodo imperiale, le festività legate al culto di Cybele ed Attis vengono stabilite nel mese di marzo e si incentrano proprio sulla vicenda di morte di Attis e sulla connessa garanzia relativa alla fecon­ dità stagionale. Anche questo culto conobbe un'evoluzione in senso misterico in epoca imperiale; le formule riportate da scrittori cristiani lasciano supporre resistenza di un rituale specifico al termine del quale il fedele diventava "mista di Attis". Clemente Alessandrino dice: «1 Frigi celebrano queste feste in onore dì Attis, di Cybele e dei Coribanti ... So che i simboli di questa iniziazione, ancora più se esposti in modo così copioso, vi indurranno al riso benché non abbiate voglia di ridere alla

luce degli argomenti di confutazione: "Dal timpano mangiai, dal cembalo bevvi, portai il vaso sacro, mi introdussi nella cella nuziale"'» (P r o t r Il, 15,1-3). E Finnico Materno incalza: «In un certo tempio, per potere essere ammesso nei locali più segreti l'uomo che è sul punto di morire dice: "Dal timpano ho mangiato, dal cembalo ho bevuto, ho appreso perfettamente i segreti del culto", che in lingua greca si dice: "Dal timpano ho mangiato, dal cembalo ho bevuto, sono divenuto iniziato di Attis"» (De err. prof, rei., 18, 1). Anche qui vediamo allusioni a cerimonie segrete e dolorose, tipiche di rituali misterici che caratterizzano l'evoluzione in questo senso del culto metroaco in epoca impe­ riale. Non è stato possibile ancora asserire in maniera inequivo­ cabile una portata strettamente soteriologica in chiave extramondana di questo culto; sembrerebbe, anzi, che soltanto con l'inserimento del taurobolio privato esso abbia conosciuto un'evoluzione nel senso sopra delineato. Relativamente a questo spedfico atto rituale bisogna notare che nel li e in buona parte del III secolo d.C. esso non si disco­ stava dal rito comune di offrire una vittima alla divinità al fine di ottenerne protezione e benessere per la comunità, attraverso l'imperatore, oppure per il singolo. In questo periodo è atte­ stata la compresenza tanto del taurobolio "pubblico" che di quello "privato" ed entrambi sembrerebbero rispondere a delle garanzie di mantenimento di una bona salus di interesse esclu­ sivamente intracosmico. Durante il 111 secolo d.C. si afferma, però, un nuovo tipo di taurobolio "privato"; quest'ultìmo sarà ü solo ad essere praticato nel secolo successivo. Colui che deve ricevere i benefici effetti del sacrificio si cala in una fossa coperta da una grata. Su questa viene condotto un toro incoronato di fiori. L'animale è colpito al petto con un venabulum. 11 sangue fuoriesce copioso dalla ferita e attraverso la grata bagna il fedele che ad esso si espone cercando anche di berlo. Alla fine egli emerge dalla fossa e si espone ai presenti che lo venerano e lo riconoscono come un uomo "nuovo", purificato e consa­ crato da un tale battesimo di sangue cruento. Sarà comunque

soprattutto nel IV secolo d.C. che questo rituale verrà caratte­ rizzato pienamente da una carica catartica e soteriologica, ancorché individuale, come sembra attestare una nota inscri­ zione posta su di un altare dedicato alla Magna Mater e ad A tris, invocati come grandi dèi, dove un certo Sestilio Agesilao Edesio, che è fedele a Mithra ed iniziato al grado del pater, ierofante di Hekate.e arribucolo di Liber, afferma di essere in aeternum renatus proprio grazie al rito del taurobolio e di un annesso criobolio (CiL, VI, 510). Ed è ancora grazie al rito ora percepito come iniziatico del taurobolio che la moglie del noto Vettio Agorio Pretestato, una delle voci più sincere di un paga­ nesimo oramai sconfitto dalla forza congiunta della politica imperiale e del cristianesimo, è potuta diventare antistes della Magna Mater e di Attis (CIL, VI, 1779). Se si ascolta un anonimo autore di un Carmen contra paganos chiedere veementemente ad un suo avversario: «Quale taurobolo ti ha consigliato di cambiare l'abito, ricco superbo, per mostrarti all'istante come un mendico? E coperto di stracci, divenuto epeta grazie ad una modica offerta in denaro, mandato sotto terra, insozzato del sangue di un toro, sudicio, impregnato, (chi ti ha persuaso) a conservare le vesti intrise di sangue, speri forse di vivere puro per venti anni?» (Ine. carni, contra pag., 57-62) sembrerebbe che il taurobolio sia comunque una cerimonia sacra capace di garantire al consecrandus uno stato di purezza di durata almeno ventennale; alla fine di questo periodo parrebbe necessario dover ricorrere di nuovo ad esso. Proprio in relazione ad un tale tipo di sacrificio si può sottolineare quanto l'idea di una rinascita spirituale sia connessa con la cerimonia del taurobolio; e proprio un tale tipo di sacrificio, negli ultimi giorni del paganesimo, e particolar­ mente in quei circoli dell'aristocrazia romana che con sincero fervore religioso ne aveva tentato il rinnovamento, finì per essere sentito come un atto rituale capace di procurare al consacrato la certezza di essere renatus. Altri culti di origine anatolica conosceranno un largo

successo durante il secondo ellenismo. Tra questi ricordiamo quello riservato al dio Sabazius che, già noto ad Atene nel ÌV secolo a.C , titolare di culti orgiastici di portata più mistica che misterica, anche in forza di errate etimologie venne avvicinato al dio degli Ebrei ed adorato in specifiche conventicole di sabbatisti. Per una descrizione dei rituali dei suoi fedeli, almeno per come si svolgevano ad Atene, ascoltiamo Demostene mentre si scaglia contro Eschine: «Una volta divenuto uomo, leggevi i libri a tua madre che celebrava i sacri riti e la aiutavi nelle altre cose, durante la notte indossavi la nebride, libavi dal cratere, purificavi gli iniziati, li strofinavi col fango e con la crusca e, dopo averli fatti alzare a seguito del rito di purificazione, gli ordinavi di dire "'Fuggii il male, trovai il meglio" ed eri fiero che nessuno avesse gridato mai in tale modo ... Durante il giorno guidavi i bei tiasi lungo le vie incoronati di finocchio e pioppo, premevi i serpenti sulle guance e li sollevavi sopra la testa, e gridavi "Euoi Sabaoi" e danzavi intonando "Hycs Attis, Attis Hyes", corifeo, guida, portatore d'edera, portatore del vaglio sacro e quant'altro di simile eri chiamato dalle vecchiette, come compenso ricevevi pani inzuppati nel vino, ciambelle e dolci freschi» (De cor., 259-260). In questo passo di Demostene sembrano fondersi elementi del culto della Magna Ma ter, del culto dionisiaco e del rituale proprio di Sabazius, come si può evincere dal ruolo attribuito ai serpenti ribadita anche da Clemente Alessandrino (Protr., II, 16,2), Amobio (Adv. nat., V, 21) e Finnico Materno (De err. prof, rei, 10, 2), e da Strabone quan­ do, nel riferirsi specificamente alle acclamazioni riportate dall'oratore attico dice: «Queste parole si trovano nel rituale di Sa­ bazius e della Mater» (G e o g r X, 3, 18). La componente miste­ rica di un tale culto potrebbe ritrovarsi soprattutto nel symbolon «Fuggii il male, trovai il meglio». Benché la questione rimanga ancora sub iudice bisognerà comunque sottolineare una porta­ ta soteriologica sottesa a questo culto, il quale anche in forza della connessione con il culto di Dionysos ed il culto della Magna Mater sembrerebbe presentarsi come un culto di mistero. Le-

gittìma questa ipotesi un altro indizio di primaria importanza da riconoscersi nella morte mistica che è sia una purificazione, simboleggiata dal fango e dalla crusca con cui si strofina l'ini­ ziando, sia una rinascita in una condizione maggiormente ga­ rantita, individuabile nell'anastasi rituale. Un altro culto orgiastico e, in più, cruento di origine frigia è quello della dea Ma di Cappadocia identificata con Bellona nel mondo romano in forza delle sue prerogative violente e bellicose. In questo modo Tibullo descrive l'agitarsi di una sua sacerdotessa: «Questa, dopo che è stata sconvolta dalTimpulso di Bellona, fuori di sé, non teme né la viva fiamma, né i colpi di staffile; lei stessa, furiosa, con la bipenne si taglia le braccia e sicura cosparge la dea del sangue versato; e rimane in piedi trapassata nel fianco da uno spiedo, rimane in piedi ferita nel petto, e vaticina gli eventi secondo quello che le ispira la grande dea» (I, 6, 45-50). Le testimonianze in nostro possesso non ci permettono di rintracciare una portata misterica per questo culto. A condurci verso la Siria, invece, è il culto di una divinità femminile chiamata appunto Dea Syria, anch'esso privo di una connotazione misterica, eppure a volte "gemellato" con quello di Cybele. Ancora Apuleio ci fornisce una testimonianza rile­ vante sulle modalità cultuali legate a questa dea quando descrive i suoi sacerdoti impegnati nella questua rituale. Lasciamo parlare Lucio che non è ancora tornato uomo: «11 giorno seguente, dopo avere indossato delle sopravvesti di vari colori e dopo avere ognuno ignominiosamente assunto gli ornamenti del caso spalmandosi la faccia con un pigmento fangoso, truccando ad arte gli occhi, escono in strada con indosso piccole mitre, vesti femminili lussuose color zafferano e tessute di un cotone finis­ simo, e vesti di seta; in molti (indossano) delle tuniche bianche con ricami di porpora a forma di piccola lancia che si ripetono da ogni parte, una cintola circonda le loro anche, ai piedi (calzano) degli stivaletti dorati. Mettono sulla mia groppa la dea da portare in giro vestita di un manto di seta e, denudate le

braccia fino alle spalle, brandendo gladi e scuri di taglia enorme, saltano al grido dell'evoè, mentre il suono del flauto eccita sempre di più questo tripudio forsennato» (Ap., Mei., Vili, 27). Se ripensiamo a Cicerone che parlava di una deroga concessa dalla Res publica per la questua sacra e le connesse manifestazioni orgiastiche relative al culto della Magna Mater, la liberalità che, invece, caratterizza le cerimonie di cui ci ha appena parlato Lucio lascia ben intendere quanto fosse cambiato il clima "spirituale" pagano nel secondo ellenismo rispetto ai secoli della "prima" e della "seconda repubblica romana". La Dea Syria, connessa ma non identificabile con la dea Atargatis venerata neLla Siria settentrionale, era, in realtà, un'an­ tica divinità siriana, conosciuta dai romani già nella seconda metà del II sec. a.C. Nelle testimonianze di Diodoro Siculo (Bibl. hist., XXXIV, 2) e di Floro (II, 7, 4) questa divinità compare come ristigatrice di una rivolta servile capeggiata da un tale Euno, uno schiavo siriano che per chiamare gli altri schiavi alla rivolta simulò deH'entusiasmo profetico nel nome della Dea Syria. La dea aveva un santuario molto famoso nella città di Hierapolis-Bambyke in Siria, dove, pur facendo parte di una triade, fini col ricoprire il ruolo di divinità di maggiore impor­ tanza. Lo pseudo-Luciano alla descrizione dettagliata del suo splendido tempio fa seguire quella delle statue della triade divina: «Nella stanza sacra sono disposte le statue: una è Hera, l'altra, pur essendo Zeus la, chiamano con un nome diverso. Entrambe sono d'oro ed entrambe stanno sedute. Ma (se) dei leoni portano Hera, l'altro si poggia su dei tori. Ed invero la statua di Zeus raffigura in tutto e per tutto proprio Zeus sia nel capo, sia nelle vesti, sia nel seggio; neanche se lo volessi potresti assomigliarla ad altri se non a lui. A te che osservi Hera si mostra con un aspetto multiforme. Infatti nel complesso, a dire il vero, è Hera; eppure ha qualcosa di Athena, di Aphro dite, di Selene, di Rhea, di Artemis, delle Moire. Con una mano tiene uno scettro e con l'altra un fuso; sul capo porta dei raggi, una corona turrita e la cintura con cui adomano la sola

Aphrodite Ourania ... In mezzo a queste due statue ce n'è un'altra d'oro, in nessun modo rassomigliante alle altre. Ma anche se non ha una forma propria, presenta comunque le caratteristiche degli altri dèi. Dagli Assiri è chiamata "imma­ gine", a lei non è stato attribuito un qualche nome proprio, né raccontano nulla delia sua origine e del suo aspetto. Mentre alcuni la riconducono a Dionysos, altri a Deucalione ed altri ancora a Semiramide; comunque suUa sommità del suo capo è posta una colomba d'oro. Perciò raccontano che questa "imma­ gine" sia di Semiramide'»* (Syr. Dea, 31-33). 11 nome di Semiramide ci rimanda alla città di Ascalona, sempre in Siria, e ad eventi mitici sui quali ci informa Diodoro Siculo quando ci dice che accanto ad un lago pieno di pesci sacri, che si trova vicino a questa città, «c'è un recinto sacro dedicato ad una dea epifane che i Siri chiamano Derketo; questa, se ha il volto di donna, per il resto del corpo è a forma di pesce; questo è il motivo. I più dotti fra gli indigeni raccontano che Aphrodite, poiché era irata contro la suddetta dea, la fece innamorare follemente di un giovane tutt'altro che brutto fra quelli che facevano sacrifici; unitasi al siro partorì una figlia. Però, vergognandosi delle (sue) colpe, da una parte fece scom­ parire il giovane, dall'altra abbandonò la figlioletta in luoghi pietrosi e deserti; lei stessa, poi, si gettò nel lago per la vergogna, il dolore e il rimorso, mutò il suo corpo e divenne un pesce. Per questo ancora oggi i Siri si astengono da questo animale e vene­ rano i pesci come dèi. Riguardo al luogo dove la neonata venne abbandonata, giacché lì nidificava un gran* numero di colombe, in modo straordinario e per volere divino la fanduLletta venne nutrita da queste ... Da allora quelli che vissero in Siria onora­ rono le colombe come dee» (Bibl. hist., Il, 4, 2-6). Di certo non si può parlare, alla luce delle fonti in nostro possesso, di un culto misterico proprio di queste divinità; l'unica località in cui, in qualche modo, parrebbero presupporsi dei culti esoterici ed iniziatici relativi alla Dea Syria è la città di Thuria in Messenia. Tuttavia in tale località quest'evoluzione

sarebbe da spiegare con ('influsso della vicina Andania sede di un culto misterico di rilievo come attesta una nota epigrafe (1G, V, 1, 1390). Se da Hierapolis-Bambyke ci spostiamo a Heliopolis-Baalbek ritroviamo una triade divina formata da uno Iuppiter, da una Venus e da un Mercurius qualificati come Heliopolitani e con attinenze poco più che onomastiche con le divinità del panteon romano tradizionale. Questa volta, a differenza di quanto veri­ ficatosi nel caso delia Dea Syria, è l'elemento maschile della triade a prevalere, assunto il nome di Iuppiter Heliopolitanus. Il suo culto è sentito particolarmente nella città di origine, dive­ nuta colonia romana, e in quei luoghi delI'impeTO dove ebbero stanza soprattutto uomini di provenienza siriana, in particolare i Syri negatiatores e i militari. Il dio, assimilato a Iuppiter Optimus Maximus, è rappresentato con il modio sul capo, impugna una sferza solare ed un fascio di spighe; su di una guaina a riquadri che avvolge il corpo sono riprodotti degli asterischi e i busti dei pianeti personificati; a destra e a sinistra lo affiancano due tori. È chiaro il riferimento al potere cosmico del dio di Heliopotis; un potere che non evade dai confini del grande kosmos proprio come la qualitas delia salus di cui si fa garante. Ed un'altra divinità latrice di una salus che si esplica unica­ mente in ambito intracosmico è Iuppiter Dolichenus, un antico dio della tempesta di ascendenza hittito-humca, originario della Commagene e assimilato a Iuppiter Optimus Maximus, il cui culto si diffonde nel mondo imperiale romano in particolare durante la dinastia dei Severi tanto in ambito militare che civile. Uno dei suoi santuari più noti venne edificato a Roma sull'Aven­ tino. La sua già antica e necessaria vis bellandi, sottolineata anche daU'abbigUamento militare di cui si veste in epoca imperiale, non gli impedisce di assurgere al rango di divinità dal respiro cosmico e dalle prerogative universali, ma anzi si rivela un substrato prezioso per questa evoluzione che lo porterà ad essere invocato in qualità di consenwtor totius mundi e conscrvator totius

poli (M. Hong, E. Schwertheim, Corpus cultus lovis Dolìcheni, EPRO, 106, Leiden, 1987, nn. 376, 385). Nella maggior parte delle raffigurazioni appare abbigliato come un imperaior con corazza a lambrecchini e balteo da cui pende una spada, in testa ha il pileo (il berretto tipico delle divinità provenienti dall'oriente anteriore), con la destra impugna una scure bipenne e con la sinistra un fascio di folgori; spesso è in piedi sulla schiena di un toro in marcia. A volte è rappresentato in coppia con luno Regina, la partecipazione della quale airimagerie dolichena rafforza ulteriormente le qualità del suo "signore". Tra le altre divinità originarie della Siria e della Commagene bisogna almeno nominare Heliogabalus, un dio raffigurato da una pietra nera e conica, immagine imperfetta di Sol. 11 culto di questa divinità imperò a Roma tanto quanto il regno di Elagabalo, nipote di Giulia Mesa e già suo sacerdote ad Emesa, quando si chiamava soltanto Bassiano. Comunque il culto più noto, tra quelli di origine siriaca, è sicuramente il culto di Adonis, diffusosi nel mondo greco molto presto e con caratteristiche precipue; d'altronde il suo nome altro non è che un conio sul semitico adon-i, composto dal termine adoti, cioè signore, e dall'aggiunta di i, che significa mio, più l'aggiunta del sigma tipico del nominativo greco. Quell'Adonis di cui ci parla Saffo è già caratterizzato dal destino di morte e dall'essere legato ad Aphrodite; la poetessa, infatti, dice: «Muore o Citerea il bell'Adonis: che faremo? Fanciulle, percuotetevi il petto e strappatevi i vestiti» (Fragm. 140 Voigt). Nel cosiddetto epitafio di Adonis, invece, si esorta un'Aphro­ dite in lutto a smettere di piangere dato che dovrà farlo anche l'anno venturo (Ps. Bion., Epit. Adon. I, 97-98), e Teocrito fa dire ad una nota cantante impegnata nell'esecuzione di un inno in onore del dio: «O caro Adonis, giungi qui e all'Acheronte unico fra i semidei, come si dice ... O caro Adonis, benevolo anche per il prossimo anno. Per noi che ci siamo rallegrate dunque sei giunto. Adonis, e, quando tornerai sarai, (a noi), caro» Udyll., XV, 136-144). Questo lascia intendere chiaramente come Adonis

sia soggetto ad un soggiorno obbligato ed altalenante di presenza e di assenza in cui il momento forte è proprio l'assenza che ne sottolinea una vicenda ancora una volta dolorosa e per di più, diciamo così, incompiuta dal momento che egli, ancora giovi­ netto, venne ferito a morte da un cinghiale. Sul momento dell'evoluzione in senso misterico del culto di Adonis la questione rimane sub indice, mentre è assolutamente improprio parlare di una resurrezione dello stesso dio nonostante le testimonianze di Origene e di Gerolamo. L'ales­ sandrino dice: «Colui che presso i Greci si chiama Adonis dicono che presso gli Ebrei e i Siriani si chiami Thammuz ... Ogni anno sembrano celebrare dei riti iniziatici: dapprima lo piangono come un defunto, e poi si rallegrano per lui che ritoma dai morti» (in Ezech., 8, 12). Ed a lui fa eco Gerolamo quando dice: «Quell'Adonis del quale abbiamo parlato, in lingua ebraica e siriana è chiamato Thammuz. Secondo un mito pagano si racconta che nel mese di giugno venne ucciso e poi tornò a vivere un giovane bellissimo, amasio di Venus. Per questo motivo chiamano proprio il mese di luglio con il suo nome e celebrano in suo onore ogni anno una festa solenne durante la quale prima viene pianto dalle donne come morto e poi, nel momento in cui ritorna a vivere, viene cantato e lodato» (m Ezech., DI, 8, 14). Queste due testimonianze sembrerebbero attestare un'evoluzione in chiave misterica di un culto rivolto ad una divinità che sperimenta dei paihe, che scende negli inferi e da questi risale ma per tornarvi. E lecito pensare che i nostri autori, in particolare Gerolamo, abbiano parlato di resur­ rezione alla luce della "vicenda" di Gesù di Nazareth, per analogia con la narrazione dei vangeli. Una conferma di questa interpretazione ci viene data per nc^ationem dall'inno orfico ad Adonis il quale chiude dicendo: «germoglio dolce di Cipride, virgulto di Eros, tu che sei stato generato nel letto di Persephone dalle trecce da amare, che una volta dimori sotto il Tartaro oscuro, e poi di nuovo porti aU'Olimpo il corpo dai frutti maturi, giungi, beato, portando i frutti della terra agli iniziati» (tiymn.

orph., LVL, 8-12). Qui è chiara l'allusione diretta ad un Adonis che non sale dagli inferi una volta per tutte, ma che vive un'alter­ nanza di presenza/assenza che vede interessati in maniera inversamente proporzionale il regno degli inferi e il mondo degli uomini e degli dèi. Dal punto di vista storico-religioso questo excursus sul culto di mistero della Demeter eleusina e sui culti orientali, misterici o meno, che si diffondono nel mondo romano, in particolar modo durante il secondo ellenismo, si fonda tutto su di una "endiadi" formata dai termini "religioni di mistero" da una parte e "salvezza" dall'altra. Dal punto di vista della portata misterica di culti specifici abbiamo visto quanto una vicenda dolorosa, anche se non necessariamente luttuosa, sia alla base di una connotazione in tal senso. 1 culti senza dubbio misterici, quali quello di Demeter e Persephone, di Isis ed Osiris, di Mithra e di Cybele ed Attis con il connesso taurobolio, e quelle poten­ zialmente misterici, come il culto di Aphrodite e Adonis e di Sa bari us, sono caratterizzati per essere rivolti ad una divinità che soffre e che, proprio grazie alla sua sofferenza così vicina a quella degli uomini, finisce per fondare un culto esoterico ed iniziatico i cui fruitori saranno garantiti circa una salus che è tanto una buona salute in questa vita che una salvezza nel mondo dei morti; salvezza che si realizza grazie ad un soggiorno privilegiato in un aldilà altrimenti terribile. Per i seguaci del dio Mithra, invece, è ipotizzabile una salvezza che si realizza con l'uscita da questo mondo verso il cielo delle stelle fisse; da un mondo che, lo ripetiamo, è un mondo positivamente inteso perché regolato definitivamente dall'intervento mitico del dio tauroctono. Ma una vicenda patita dalla divinità, da sola, non basta. È necessario che i fedeli possano partecipare ad un rituale iniziatico ed esoterico, magari esemplato sull'esperienza patita della loro divinità, capace di cambiare il loro status una volta portato a termine il rito misterico. Per i culti di Aphrodite e Adonis e di Sabazius, anche se non

possediamo testimonianze inequivocabili, non è impensabile ipotizzare un loro sviluppo in chiave misterica avvenuto durante il secondo ellenismo. Se così fosse anche questi culti promette­ rebbero una suius da intendersi tanto come buona salute che come salvezza, se pure intesa nei termini sopra presentati. Nei misteri non ci si salva da un peccato di cui dei mitici protoplasti si sono macchiati e di cui tutta l'umanità paga le conse­ guenze, al contrario si viene introdotti ad personam ad una realtà di privilegio che è tale proprio perché non rivolta in chiave missionaria a tutta l'umanità ma riservata a coloro che, come nel caso di Ludo, il protagonista delle Metamorfosi di Apuleio, vengono scelti dalla stessa divinità. Le divinità invece, per le quali non è neanche ipotizzabile un culto di mistero, quali Ma-Bellona, luppiter Heliopolitanus e luppiter Dolichenus, si fanno più semplicemente garanti di una salus da leggersi come ottenimento, ri-ottenimento e mantenimento di una bona salus di natura esclusivamente intramondana che dovette essere comunque cara agli uomini del secondo ellenismo se, proprio in tale periodo, anche divinità di questo tipo conobbero il loro più grande successo.

Culti di origine egiziana: Apis, Isis, Osiris, Sarapis

1.1) Herod., Hist., II, 42, .2: ©eoùc yàp 8f| ov xoùc aùxoùc eburnee ófxoicoc AìyuTixioi cè|3ovxai, TtXiyv 'la ó c te icai ’Ocipioc, xòv 6f| Aióvocov eivai téyoucr xoùxooc Se ópoicoc ànavtec céfJoviai. Ma non tutti gli egiziani venerano nello stesso modo gli stessi dei, fatta eccezione per Isis ed Osiris, che dicono sia Dionysos; tutti venerano questi (dèi) nello stesso modo.

1.2) H e ro d ., Hist., Il, 59,1-2:1. flavT|yup i^o\ K i Sè A iy w tx u n ouk

à r c a ^ xou e v ia u x o ù , m v r jy u p ic S k c v x y à c , p à X ic x a p èv K a i

7 tp o 0 u p ó x a x a è c B o ò p a c x iv B o u c ip i v icó X iv x fj vlc i*

jcóA.iv

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’A p x é p iS i, S e u x e p a è c

2. ’ev xaiixT^ y à p &f\ ri] nóXx é c x i

p é y icx o v 'I c i o c ip ó v , i S p u t a i 8è i\

tcóX ic

av rr\ x fjc AiyuTtxou èv

pecco x(£ AéÀ,xaf TI c ic 8 é è c x i K a x à xf|v 'EX X tivcov y fa o c c a v

ATipiìxnp. 1. Gli egiziani celebrano feste religiose non una sola volta all'anno, ma al contrario ne celebrano in gran numero; in primo luogo e con grandissima devozione nella città di Bubastis in onore di Artemis, e in secondo luogo nella città di Busiris in onore di Osiris. 2. Infatti in questa città c'è un tempio di Isis assai imponente, e la città stessa sorge nel mezzo del delta; inoltre Isis è Demeter nella lingua dei Greci. 1.3) Herod., Hist., II, 144, 2: Tò Sè rcpótepov xòv àvSpaìv xouxcov 0eoùc elvai xoùc èv Aiyujcxco àpxovxac oÌKéovxac àpa xolci àv0pantoicis Kaì xoóxcov airi èva xòv Kpaxéovxa riv ar iicxaxov Sè auxrjc PaciXeucai ’ flpov xòv ’Ocipioc n aiS a, xòv ’ATO^Aiova'EMj|vec òvopà^oucr xouxov KaxaTcaócavxa Tuòóva Paciteucai òcxaxov AiyuTcxou. "Ocipic Sé ècxi Aióvucoc icaxà 'EAAaSa yXooccav. (1 sacerdoti dicono) però che prima di questi uomini erano gli dèi a governare l'Egitto assieme agli uomini, e fra di loro sempre uno solo

deteneva il potere. Per ultimo ebbe il potere Horos, il figlio di Osiris, che ì Greci chiamano Apollon; questi, dopo avere abbattuto Typhon, per ultimo regnò sull'Egitto. In greco Osiris è Dionysos.

1.4) Herod., Hist., Il, 153: Kpaxiicac 8è Aiviircou nàcr|c ó H'aniiiitixoc £jioìt)ce t© 'Haici:a) nponóXaia èv Mép viiov. naviòc xoi if]c ’AG^vaiììc èxópevai xoi%ov. 2. Kai èv ito xejiévei òpeWi ècxàci (ieydXoi AiBivoi, XipvT| xè èexi èxopévTi ÀiGivq Kpt]jd8i kekocjìtijìevti Kai èpyac|iévii ei> miicÀxp Kai péyaOoc, eòe k\xo\ èSÓKEE, òcti Ttep r| èv Ar\fo$ f| xpoxoei5r)c KaAeopévT|. ovk òclov KOievpax

1. A Sais, nel santuario di Athena, alle spalle del tempio, c'è anche la tomba di colui il cui nome non ritengo lecito rivelare in questa occasione, ed (essa) è contigua all'intero muro del tempio di Athena. 2. E all'interno del recinto sacro sono stati innalzati imponenti obelischi di pietra, e proprio accanto cù un lago adornato tutt'intorno con una banchina di pietra lavorata con maestria, e questo è grande, a quanto mi sembra, come quello che si trova a Deio che è chiamato trochoides.

1.7) Herod., Hist., II, 171, 1: ’ Ev 5è xrì Xipvi] xai3xr] xà 5eiKT|Xa xeov rcaOétov aiixoO vukxòc 7ioie\>cip x à KaX-éovci liocnipia Aiywmoi. Ed in questo lago, di notte, rievocano con delle rappresentazioni rituali i suoi dolori (se. di Osiris); gli Egizi le chiamano i misteri.

1.8) Herod., Hist., Ili, 28, 2-3: 2 / 0 Se 7Amc oòxoc ó "Ehom^oc yivfxai pócxoc èk Poòc, fine oxncéxi oìq xe yivexai èc yacxépa àXX&v pàAAecQai yóvov. Aiyiiimoi 8è Xéyouci céXac enì xqv Pow èie xou oiipavoii icaxic%eiv Kai piv ex toiìxod xìkxeiv xòv ^A7civ. 3. "Exei 8è ó pócxoc oóxoc ó vAmc icateópevoc cqpiiia xoiàSe- èa>v péXac h à pèv tó pcxoirctp Xcokóv xexpaycovov, èiri fife xoó vtóxou aiexòv eiicacnèvov, èv 8è xfj ovpfj xàc xpixac S ltcXoc , etcì 8è xfj yfcoòccq icàvtìapov. 2. Questo Apis Epaphos è un vitello nato da una fnucca che non è più capace di concepire nel ventre altra prole. Gli Egiziani dicono che un lampo di luce dal cielo scende sulla mucca e che lei, in conse­ guenza di questo, genera Apis. 3. // vitello chiamato Apis presenta segni di tal genere: pur essendo nero sulla fronte ha un quadrato bianco e sul dorso l'immagine di un'aquila, doppi i peli nella coda, uno scarabeo sulla lingua.

2) Leo Peli., ap. Aug., De civ., Vili, 27, 2: Nam de Iside, uxore Osiris, Aegyptia dea, et de parentibus eorum, qui omnes reges fuisse scribuntur (quibus parentibus suis illa cum sacri­ fica ret, invenit hordei segetem atque inde spicas marito regi et eius consiJiario Mercurio demonstravit, unde eandem et Cererem volunt), quae et quanta mala non a poetis, sed mysticis eorum litteris memoriae mandata sint, sicut Leone sacerdote prodente ad Olympiadem matrem scribit Alexander, legant qui volunt vel possunt, et recolant qui legerunt, et videant quibus hominibus mortuis vel de quibus eorum factis tamquam diis sacra fuerint instituta. Relativamente ad Isis moglie di Osiris, dea egiziana, ed ai loro antenati, dei quali si scrive che furono tutti dei re (lei mentre sacri­ ficava ai suoi antenati, trovò un campo di orzo e mostrò le spighe al re suo marito ed a Mercurius suo consigliere, per il qual motivo vogliono che lei sia anche Ceres), quelli che vogliono e possono

leggano, e quelli che hanno già letto ricordino, quali e quanti mali siano Stati tramandati non dai poeti nw dai loro scritti mistici, così come scrive Alessandro alla madre Olimpiade dopo le rivelazioni del sacerdote Leone.

3) Hecat. Abder., ap. Diog. Laert., Vitae p h il o s P r o o e m 10: 0eovc 5’ dvat qX-tov ìcài ceXqvriv, t ò v pèv "Oapiv, t ì |v 5’ Ic iv KaXovpÉvriv' aiviiT€c0ai xt ccòtoòc 5 ia t e xavOapoo icai SpaKOvxoc iccà iépoococ Kai àXAxov, die MocvéOcoc èv xf) Tdiv “u c ik (o v eTntoiifj icat 'EKaxaloc èv xfj rcpayrq Tlepi xfjc t ó v AÌyt)7CT|(OV $\\oco$ io c . (Gli Egiziani) dicono che il sole e la luna sono dèi, l'uno è chiamato Osiris, l'altra Isis; secondo quanto dice Manetone nell'epi­ tome sui fisici ed Ecateo nel primo libro intorno alla filosofia degli Egiziani questi vengono rappresentati allusivamente per mezzo dello scarabeo, del serpente, dello sparviero e di altri (simboli).

4.1) Varr., ap. Tertv Ad nai„ 1,10,17-18:17. Ceterum Serapem et [sidem et Arpocraten et Anubem prohibitos Capitolio Varrò commemora eorumque a senato deiectas nonnisi per vim popularium restructas. 18. Sed tamen et Gabinius consul Kalendis lanuariìs, cum vix hostìas probaret prae popularium coetu, quia nihil de Serape et Iside constituisset, potiorem habuit senatus censuram quam impetum vulgi et aras institui prohibuit. 17. Inoltre Varrone ricorda che Sarapis, Isis, Harpokrates ed Anubis furono allontanati dal Campidoglio e che i loro altari, abbattuti per ordine del senato, vennero ricostruiti soltanto grazie alla tracotanza della massa popolare. 18. Ma alle colende di gennaio /= 1° gennaio} il console Gabinio, esaminando a fatica le vittime sacrificate a causa della ressa del popolo, poiché non aveva deciso niente riguardo a Sarapis ed Isis, considerò maggiormente il giudizio censorio del

senato che la foga del popolo e proibì che le are lenissero innalzate f= 58 a.CJ.

4.2) Varr., ap. Aug., De civ.t XVIII, 3: Nani et Io filia Inachj fuisse perhibetur, quae postea Isis appellata ut magna dea culla est in Aegypto; quamvis alii scribanl eam ex Aethiopia in Aegyptum venisse reginam, et quod late iusteque imperaverit eisque multa commoda et Jitteras instituerit, hunc honorem illi habitum esse divinum, posteaquam ibi mortila est, et tantum honorem, ut capitali crimine reus fieret, si quis eam fuisse hominem diceret. Si ritiene che anche lo fosse figlia di Inaco, quella che in seguite? venne chiamata isis ed in Egitto venne onorata come una grande dea. Altri invece scrivono che quella come regina venne in Egitto dal­ l’Etiopia e che, poiché avrebbe governato dappertutto con giustizia e per quelli avrebbe introdotto molti vantaggi e addirittura le lettere, a lei venne attribuito questo onore divino dopo che morì lì. E l'onore (riservatole) fu così grande da condannare a morte chiunque avesse detto che lei era stata una creatura umana.

4.3) Varr., ap. Aug., De cm, XVIII, 5: His temporibus rex Argivorum Apis navibus transvectus in Aegyptum, cum ibi mortuus fuisset, factus est Serapis omnium maximus Aegyptiorum deus. Nominis autem huius, cur non Apis etiam post mortem, sed Serapis appellatus sit, fariUimam rationem Varrò reddidit. Quia enim arca, in qua mortuus ponitur, quod omnes iam sarcophagum vocant, copóc dicitur Graece et ibi eum venerari sepultum coeperant, priusquam templum eius esset exstructum velut Soros et Apis Sorapis primo, deinde una Littera, ut fieri adsolet, commutata Serapis dictus est. Et constitutum est etiam de ilio, ut, quisquís eum hominem fuisse dixisset, capitalem penderei poenam- Et quoniam fere in omnibus templis.

ubi colebantur Isis et Serapis, erat etiam simulacrum, quod digito labiis impresso admonere videretur, ut silentium fieret: hoc significare idem Varrò existimat, ut homines eos fuisse taceretur. Die autem bo$, quem mirabili vanitale decepta Aegyptus in eius honorem deliciis afluentibus alebat, quoniam eum sine sarcophago vivum venerabantur, Apis, non Serapis vocabatur. Quo bove mortuo quoniam quaerebatur et reperiebatur vituJus coloris eiusdem, hoc est albis quibusdam maculis similiter insignitus, mirum quiddam et divinitus sibi procuratum esse credebant. in quei tempo Apis, il re degli Argivi, trasferitosi con una flotta in Egitto, essendo deceduto lì, finì col diventare Sarapis, la divinità in assoluto più importante fra tutte quelle egiziane. Invero di questo nome, e cioè del motivo per cui dopo la morte non venne chiamalo ancora Apis ma Sarapis, Varrone ha fornito una spiegazione sempli­ cissima. Ora, l'urna sepolcrale nella quale il defunto viene posto, che tutti ormai chiamano sarcofago, in lingua greca si chiama soròs, e dal momento che, ancor prima che il suo tempio venisse costruito, lo avevano iniziato a venerare già mentre era sepolto lì, all’inizio vaine chiamato Sorapis, per dire così soròs ed Apis, e poi, cambiata una sola lettera, come è solito che accada, Sarapis. Ed anche per lui si stabilì che chiunque avesse detto che quello era stato un uomo avrebbe pagato con la propria vita. E poiché quasi in tutti i templi dove Lenivano venerati Isis e Serapis c'era anche un simulacro che col dito premuto sulle labbra sembrava intimare il silenzio, Varrone ritiene che questo stesso gesto dovesse significare che fosse taciuto il fatto che quelli erano stati uomini. Inoltre chiamavano Apis e non Serapis quel bue che l'Egitto, ingannato da una incredibile superficialità, nutriva in suo onore con abbondanti delizie, dal momento che lo veneravano vivo senza sarcofago. Una volta morto questo bue, poiché si cercava fino a trovarlo un vitello del medesimo colore, cioè screziato allo stesso modo grazie ad alcune macchie bianche altrettanto simili, credeihino che si trattasse di qualcosa di prodigioso concesso a loro per volontà divina.

5) Cic., Dedìv., D, 123: Qui igitur convenit aegros a coniectore somniorum potius quam a medico petere medidnam? An Aescu­ lapius, an Serapis potest nobis preascribere per somnum curationem valetudinis, Neptunus gubernantibus non potest? Dunque, come può essere logico die gli ammalati chiedano un rimedio ad un interprete di sogni piuttosto che a un medico? E se Aesculapius o 5arapis possono prescriverci attraverso il sogno la cura della malattia, Neptunus non può essere d'aiuto ai timonieri?

6.1) Diod. Sic., Bibl. hist., I, 11, 1-6: 1. Toùc 5’ oùv ìcat' Aiyujitov àvGpciwtooc tò tkxXouòv yevopévouc, àvaPXévavtac eie tòv icócpov tedi tf|v tóv òXcov (fióciv tcaTa7cÀavéviotc te koì Gaupacavtac, ùrcoA-aPeiv elvai Suo Geoùc àiSiouc te tedi Jipakouc, tóv te TjA.iov Kai tf)v ceXtivqv, cóv tòv pèv "Ocipiv, tqv 8è Tlciv òvoiiàcai, òrco tivoc ètùpou te0eict|c èicatépac tfjc rtpocnyopiac tautT|c, 2. MeGeppriveoopévcov yàp toutiov eie tòv 'EAAtivikòv tfjc SiaXiictou tpótiov eiv ai tòv pèv “Ocipiv noA.oó0aXpov, eiKÓtaxr navtaxfi yàp èjupaXXovta tà c àKflvac oicnep òòGaXpoic jroAAoic pXéneiv àrcacccv yfjv m i 0aA.attav. Koù tòv jtoit|tf|v 5è Xéyeiv cùpòcova toùtotc- «'HéXióc 0 ’ oc Jtóvt' òjtopd Kcà jravt’ òtaKouei». 3. Tójv Se nap’ "EXX-qci jiaAnaóv pu0oX.óyo)v tivèc tòv "Ocipiv Aióvucov rcpocovopa^ouci icai Ceipiov rcapcùvópax;- aci yevécGai toù utoù Tfjc 8à(8va koA xoùc cujiJtpà^avxac

p aciteú cai ttíc Aiyvnxov. 4 . FevrcGai 8 é tt|v páxnv napa xóv noxapóv nX^cíov rnc vvv ’Avxaíov K(ópr|c naXovpévTic. fjv neicGai pév Xéyovav év tío n a x á xí|v ’Apaptav pépei, xf|v Jipocnyopíav 8 ’ éxeiv ano xov noXacGÉvxoc HpanXéovc ’Avxaíov, xov naxá ttjv 'OcípiSoc T|Xiniav yEvopévov. 5 . T tiv 8 ’ oiSv 'Iciv n áv x a x a pépxi xov ctópaxoc nXt|v xtov aiSoícov dcvevpéiv- povXopévTjv 8 c xf|v xávSpóc xaór|v á 8 r|A.ov noiíjcat n ai Tiparpíviiv n a p a n ací xóic xf|v Aiyvnxov naxoinovci, cvvxeXécai xó 8 ó£,av xoiá)8 é tivi xpónor. 'Enácxco xá>v pcporv nEpinXácai Xéyovciv aüxfiv xvnov ávGpiünoeiSfj, napanX-iíciov ’OcipiSi xó péyeGoc, éf, ápopáxarv icái nrpov- 6 . eicnaX£capévr|v Se naxá yévTi xwv ícpéiov é^opKÍcai návxac pr|S£vi 8 tiXíóceiv ttiv 8 oGr|copÉvr|v avxóic nícxiv. icax’ i 8 íav 8 ’ énácxoic eineiv Óti póvoic éncívoic napaxíGcxai xf)v xov ccópaxoc xaóiív, nai xüv eóepyccuüv vnopviícacav napanaXécai Gái|favxac év xóic i 8 íoic xónoic xó corpa xtpáv >écai 8e xòv Xoitcòv xoti 3io\> x p ó y 0v p a c ite iio u c a v v o jiip a ix a x a icai t a l e eie x o ò c à p x o p iv o o c E iiep y eciau : à r t a v i a c iiireppaXXo|i£v?iv. 2. xaiixn v pfiT acxàcav

Opoicoc Sè icai

àv6paÌ7t(tìv xuxéiv àOavàxcov xipxov icai

xa4>fìvai icaxà xr|v M èliciv. ònox> SEÌKvuxai pèxpi xoii vuv à cr|KÓct ÙJtàpxcov èv xq> xEpévei xo ò 'Haicxou. 3. "E v to i Sé $ a c iv oiiic èv M è li c i iceic6ai x à ccó p axa xoiixcov xeov Oeó v , àXA,’ £jd xoiv opcov xf|c AìOiojriac icai xfjc Aiyójcxo'u icaxà Ne ì JUù

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1. Dicono che lsi$, rfo^o la morte di Osiris, gn/rd che non si sarebbe più unita a nessun uomo, c (aggiungono) che fino al termine della sua tuta regnò secondo giustizia e superò tutti grazie ai benefici riservati ai suoi sudditi. 2. Similmente (ad Osiris) anche lei, una volta allontanatasi dai mortali, ottenne onori immortali e venne sepolta a Menfi, dove ancora oggi si può vedere il sepolcro che si trova m i santuario di Hephaistos. 3. Alcuni dicono che i corpi di questi dèi non sono sepolti a Menfi ma lungo il confine tra l'Etiopia e l'Egitto, in un'isola del Nilo che si trova presso la cosiddetta File, la quale per questo motivo ha l'appellativo di "luogo sacro". 4. Come prove di questi (fatti) che ancora si conservano nell'Isola, adducono la tomba costruita per Osiris onorata in comune dai sacerdoti egiziani ed i 360 vasi per libagioni sacrificali che stanno intorno a questa. 5. Ogni giorno ì sacerdoti preposti riempiono i vasi di latte ed intonano canti funebri invocando i nomi degli dèi. 6. Perciò quest'isola rimane inaccessibile a coloro che si trovano a passare di là; inoltre, tutti gli abitanti della Tebaide, che è la regione più antica dell'Egitto, pronun­ ciano un solenne giuramento quando giurano su Osiris che giace a File. E dunque dicono che mentre le membra di Osiris, una volta rinvenute, come già detto, vennero onorate della sepoltura, gli organi genitali, invece, vennero gettati da Typhon nel fiume dal momento

che nessuno dei (suoi) complici aveva voltilo prenderli. Però da parte di isis nessuna parte specifica venne considerata meno degna delle altre circa gli onori divini. Ed infatti, dopo avere disposto una statua, nei templi, insegnò ad onorarla, e proprio grazie alle cerimonie religiose ed ai sacrifici officiati per questo dio lo rese degno dei più alti onori e ne ottenne la più grande venerazione. 7. Per questo i Greci, avendo appreso dagli Egiziani quanto riguarda l'orgiasmo e le feste in onore di Dionysos, onorano questo membro, che chiamano fallo, durante i misteri e le cerimonie iniziatiche e sacrificali proprie di questo dio.

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a loro in occasione di una carestia di prendere il frumento dall'Egitto; questo simulacro è una statua di Plouton. Egli, ricevuta la statua, la innalzò sul promontorio che ora chiatnano Racoti, qui si trova anche il santuario di Sarapis; il luogo è vicino alle tombe. Benché fosse morta a Canopo, Tolomeo seppellì sotto il tempio di cui abbiamo parlato la sua concubina Bibliche dopo averla trasportata (lì). 3. Altri dicono che Sarapis fosse un simulacro di legno del Ponto trasportato ad Alessandria con Vonore di una solenne festa pubblica. Solo Isidoro dice che la statua fu trasportata dai Selcuci, quelli che stanno ad Antiochia c che, colpiti dalla carestiaf erano stati aiutati da Tolomeo. 4. Invece Atenodoro figlio di Sandone, volendo rendere più antico Sarapis non so com'è che cadde nel momento in cui volle provare che questa statua è una creazione (dell'uomo). Dice che il re egiziano Sesostri dopo avere assoggettato la maggior parte delle popolazioni greche, tornando in Egitto condusse con sé abili artigiani. 5. Lui stesso ordinò che Osiris, suo antenato, fosse rappresentato sontuosa­ mente, e a rappresentarlo fu lo scultore Briasside, ma non l'ateniese, bensì un altro omonimo; questi per la sua opera si servì di materia mista e di colori vari. Egli aveva infatti limatura d'oro, d'argento, di rame, di ferro, di piómbo ed anche di stagno, non mancava nessuna delle pietre egiziane, frammenti di zaffiro, di ematite, di smeraldo ed anche di topazio. 6. Dopo averle tritate e mescolate tutte applicò il ciano, grazie al quale il colore della statua è oltremodo nero e, dopo avere mescolato i! tutto con gli unguenti rimasti dal funerale di Osiris e di Apis, plasmò Sarapis. Anche il nome allude alla comunanza tra il funerale ed il lavoro (eseguito con i materiali) della sepoltura, dal momento che dalla composizione di Osiris e di Apis risultò Osirapis.

8.1) Tib., Carm., 1, 3, 23-32: Quid tua nunc Isis mihi, Delia? Quid mihi prosunt / illa tua totiens aera repulsa manu, / (25) quidve, pie dum sacra colis, pureque lavari / te, memini, et puro secubuisse toro? / Nunc, dea, nunc succurre mihi - nam posse mederi / picta docet templis multa tabella tuis - / ut mea votivas persolvens Delia voces / (30) ante sacras lino tecta

fores sedeat; / bisque die resoluta comas tibi dicere laudes / insignis turba debeat in Pharia. Ed ora, per me, di quale giovamento è la tua lsis, o Delia? Di quale giovamento si rivelano quei bronzi tante volte percossi dalla tua mano, di quale giovamento, mentre piamente attendi ai sacri riti, prendere il bagno in modo puro e ¡'avere dormito nel letto, io lo ricordo, casto? Ora, o dea, ora soccorrimi - che tu possa guarire lo mostrano i molti quadretti (appesi) nei tuoi templi - affinché la mia Delia, sciogliendo le promesse votive, sieda davanti alla porta sacro, vestita di lino e due volte al giorno, sciolti i capelli, debba cantare le tue lodi, ben distinta tra la folla faria. ICS}

8.2) Tib., Carm., ì, 7, 27-48: Te canit atque suum pubes miratur Osirim / barbara, Memphitem piangere docta bovem. / Primus aratra manu soUerti fecit Osiris / (30) et teneram ferro sollicitavit humum, / primus inexpertae commisit semina terrae / pomaque non notis legit ab arboribus. / Hic docuit teneram palis adiungere vitem, / hic viridem dura caedere falce comam; (35) illi iucundos primum matura sapores / expressa incultis uva dedit pedibus. / IUe liquor docuit voces inflectere cantu, / movit et ad certos nescia membra modos; / bacchus et agricolae magno confecta labore (40) pectora tristìtiae dissoluenda dedit: / bacchus et adflictis requiem mortalibus adfert, / crura licei dura compede pulsa sonent. / Non tibi sunt tristes curae nec luctus, Osiri, / sed chorus et cantus et levis aptus amor, / (45) sed vari flores et frons redimita corymbis, / fusa sed ad teneros lutea palla pedes / et Tyriae vestes et dulcis tibia cantu / et levis occultis conscia cista sacris. 1m gioventù barbara ti (se. il dio del Nilo) celebra con canti e ammira il suo Osiris, lei che è maestra nel piangere il bue di Menfi. Osiris per primo costruì l'aratro con abile mano e con il vomere arò la terra delicata; per primo affidò i semi alla terra inesperta e raccolse

i frutti da alberi (ancora) sconosciuti. Lui insegnò a legare la tenera vite ai pali, lui (insegnò) a tagliarne la chioma verdeggiante con il falcetto resistente; a lui per la prima volta l'uva spremuta da piedi inesperti offrì il dolce sapore. Quel liquido insegnò a modulare le voci col canto, e fece muovere con ritmi cadenzati le membra inesperte; 1/ vino permise all'animo del contadino esausto per la grande fatica di liberarsi del tutto dalla tristezza; il vino infonde la quiete agli uomini afflitti, anche se le (loro) caviglie risuonano percosse da una crudele catena. Osiris, non ti si addicono pensieri tristi e cerimonie luttuose, ma la danza, il canto e l'amore convenientemente leggero, i fiori di vari colori e la fronte coronata di corimbi, una veste colore del croco che ricade fin sui teneri piedi, abiti tirii e la tibia dal dolce suono, e la cesta leggera che conosce i misteri segreti. [CSI

9.1) Prop., E l e g II, 33a, 1-20: Tristia iam redeunt iterimi sollemnia nobis: / Cynthia iam noctes est operata decem. / Atque utinam pereant, Nilo quae sacra tepente / misit matronis Inachis Ausoniis! / (5) Quae dea tam cupidos totiens divisit amantis, / quaecumque illa fuit, semper amara fuit. / Tu certe lovis occuitis in amoribus, Io, / sensisti multas quid sit inire vias, / cum te iussit habere pueilam comua limo / (10) et pecoris duro perdere verba sono. / A quotiens quemis laesisti frondibus ora, / mandisti stabulis arbuta pasta tuis! / An, quoniam agrestem detraxit ab ore figuram / Iuppiter, idcirco facta superba dea es? / (15) An tìbi non satis est fusds Aegyptus alumnis? / Cur tibi tam longa Roma petita via? / Quidve tibi prodest viduas dormire pueilas? / Sed tibi, crede mihi, comua mrsus erunt, / aut nos e nostra te, saeva, fugabimus urbe: / (20) cum liberi Nilo gratia nulla fuit. Già tornano di nuovo i riti solenni eppure tristi per me: Cinzia ormai da dieci notti fa sacrifici. Oh se potessero scomparire quei riti che rinachide dal tiepido Nilo ha fatto conoscere alle donne ausonie! Quella dea che tante volte tenne separati gli amanti pieni di desiderio

fu sempre amara, chiunque lei fosse. Tu di certo, lo, negli amori nascosti con luppiter hai provato cosa significhi percorrere strade numerose quando Giunone impose a te, fanciulla, di avere le corna e di corrompere la voce nel suono sgraziato del gregge. Ah, quante volte hai ferito la tua bocca con le fronde di quercia e quante volte nella tua stalla hai mangiato corbezzolo! E poiché luppiter ha rimosso dal tuo volto l'aspetto sehatico, per questo ora sei diventata una dea superba? L'Egitto con i suoi figli bruni non è sufficiente per te? Perché hai reclamato Roma con una via così lunga? A cosa ti giova che le fanciulle donnano da sole? Credimi, di nuovo avrai le coma oppure noi ti cacceremo dalla nostra città: non ci fu mai nessuna amicizia tra il Nilo ed il Tevere.

9.2) Prop., E l e g Ili, 11, 39-43: Scilicet incesti meretrix regina Canopi, / (40) una Philippeo sanguine adusta nota, / ausa Iovi nostro latrantem opponere Anubixn, / et Tiberini Nili cogere ferTe minas, / Romanamque tubam crepitanti peilere sistro. E così la regina meretrice (se. Cleopatra) delb Canopo incestuosa, la sola famosa bruciata dal sole del sangue di Filippo ha osato opporre Anubis latrante al nostro luppiter, costringere il Tevere a sopportare le minacce del Nilo, scacciare la tuba romana col sistro crepitante.

10.1) Ov., Am., Il, 13,7-26: (si, Paraetonium genialiaque arva Canopi / quae colis et Memphin palmiferamque Pharon, / quaque celer Nilus lato delapsus in alveo / (10) per $eptem portus in mans exit aquas, / per tua sistra precor, per Anubidis ora verendi / (sic tua sacra pius semper Osiris amet / pigraque labatur circa donaría serpens / et comes in pompa comiger Apis eat), / (15) hue adhibe vultus et in una parce duobus: / nam vitam dominae tu dabis, illa mihi. / Saepe tibí sedit certis operata diebus, / qua tingit laurus Gallica turma

tuas. / Tuque, laborantes utero miserata puellas / (20) quarum tarda latens corpora tendit onus, / lenis ades precibusque meis fave Illithyia: / digna est quam iubeas muneris esse tui. / Ipse ego tura dabo fumosis candidus aris, / ipse feram ante tuos munera vota pedcs; / (25) adiciam titulum: Servata Naso Corinna. / Tu modo fac titulo muneribusque locum. /sis, tu che abiti Parctonio, i campi ameni di Canopo, Menfi e Faro ricca di palme, dove *7 rapido Nilo, una volta defluito nell'ampio alveo per sette foci, si getta nelle acque del mare, io ti prego per i tuoi sistri, per il volto di Anubis che. merita timore reverenziale (che il pio Osiris ami sempre i tuoi riti sacri, che il serpente pigro strisci intorno ai luoghi pieni di offerte votive e che nella processione solenne ti accompagni Apis cornigero), rivolgi qui lo sguardo e in lei sola risparmia noi due: infatti tu darai la vita alla mia padrona, lei a me. Spesso nei giorni stabiliti, dopo avere celebrato un sacrificio in tuo onore, sedette là dove la torma gallica bagna (di sangue) i tuoi allori. £ tu che hai già provato pietà per le fanciulle che soffrono per la gravidanza, i cui corpi un peso ancora nascosto rende lenti, soprag­ giungi clemente e, come Mithya, mostrati propizia alla mie preghiere! È degna che tu voglia che sia viva per grazia tua! fo, proprio io, vestito di bianco, brucerò incenso sugli altari fumanti, proprio io porterò doni votivi davanti ai tuoi piedi. Aggiungerò l'iscrizione «Nasone, perché Corinna è stata salvata». Ora tu fa' posto all'iscri­ zione e ai doni.

10.2) Ov., Ars am., I, 75-78: (75) Nec te praetereat Veneri ploratus Adonis / cultaque Iudaeo septima sacra Syro / nec fuge linigerae Memphitica tempia iuvencae: / multas illa facit quod fuit ip$a Iovi. Che non ti sfugga Adonis pianto da Venus, e i riti settimanali officiati dal siro giudeo; non fuggire i templi menfitici della giovenca linigera: lei fa in modo che molte (emulino) ciò che lei fu per Iuppiter.

10.3) Ov.# M ei., IX, 685-784: (685) Vix erat illa gravem maturo pondere ventrem, / cum medio noctis spatio sub imagine somni / Inachis ante torum, pompa comitata sacrorum, / aut stetit aut visa est; inerant lunaria fronti / cornua cum spicis nitido flaventibus auro / (690) et regale decus; cum qua latrator Anubis / sanctaque Bubastis variusque coloribus Apis / quique premit vocem digitoque silentia suadet / sistraque erant numquamque satis quaesitus Osiris / plenaque somniferis serpens peregrina v^nenis. / (695) Tum velut excussam somno et manifesta videntem / sic affata dea est: «Pars o Telethusa mearum, / pone graves curas mandataque falle mariti; / nec dubita, cum te partu Lucina levarit, / tollere quidquid erit. Dea sum auxiliaris opemque / (700) exorata fero; nec te coluisse quereris / ingratum numen». Monuit thalamoque recessit. / Laeta toro surgit purasque ad sidera supplex / Cressa manus tollens, rata sint sua visa, precatur / (773) «Isi, Paraetonium Mareoticaque arva Pharonque / quae colis et septem digestum in cornua Nilum, (775) fer, precor - inquit - opem nostroque medere timori. / Te, dea, te quondam tuaque haec insignia vidi / cunctaque cognovi, sonitum comitesque facesque / sistrorum memorique animo tua iussa notavi. / Quod videi haec lucem, quod non ego punior, ecce / (780) consilium munusque tuum est; miserere duaxum, / auxilioque iuva». Lacrimae sunt verba secutae. / Visa dea est movisse suas (et mouerat) aras / et templi tremuere fores imitataque lunam / cornua fulserunt crepuitque sonabiJe sistrum. [A Creta, il popolano Ligdo augura a sua moglie Teletusa prossima al parto di mettere al mondo un maschio; nel caso di una femmina, infatti, egli sarebbe costretto ad ucciderla perché non potrebbe mantenerla} E oramai a fatica portava il ventre sempre più pesante per il feto maturo quando nel bel mezzo della notte, sotto forma di un sogno, l'Inachidc davanti al letto, accompagnata dalla processione dei suoi consacrati, ristette, o almeno così le sembrò. Sulla fronte c'erano le corna della luna assieme alle spighe biondeggianti

d'oro puro, regale la sua bellezza; con lei Anubis che latra, la vene­ randa Bubastis, Apis vario nei suoi colori, e colui che tace e con il dito induce al silenzio, cerano i Bistri ed Osiris mai cercato a suffi­ cienza, ed il serpente straniero pieno di veleni che inducono al sonno. Ed allora a lei come se fosse strappata dal sonno e la vedesse numifesta così parlò la dea: «O Teietusa, parte di me, metti da parte le gravi preoccupazioni ed eludi gli ordini di (tuo) marito; non appena Lucina ti avrà liberato dal parto, non esitare ad accettare ciò che nascerà, in qualsiasi caso, lo sono la dea che soccorre e, pregata con sincerità, porto il (mio) aiuto; non deplorerai di avere venerato un nume ingrato». Così la esortò e si allontanò dalla stanza. La cretese rasserenala si alza dal letto e supplice sollezmndo al cielo le mani prega che si avverino le cose viste da l e i ... ILa donna partorisce una femmina, ma fa credere al marito di avere partorito un maschio e lo chiama Ifi. Il padre gli assegna una sposa che Ifi, pur amando, non può impalmare. Giunta la vigilia delle nozze madre e figlia con i capelli sciolti abbracciano l'altare ed invocano l'aiuto di Isis:J «O Isis che abiti Paretonio, i campi mareolici, Faro e il Nilo diviso in sette bracci, ti prego - disse - porta il tuo soccorso e offri un rimedio al nostro terrore. Te, o dea, te vidi un tempo, e riconobbi tulli i tuoi segni onorifici, il tintinnio dei sistri, gii accompagnatori, le fiaccole, e scolpii i tuoi ordini nel mio animo che ne serba il ricordo. Ed ecco il tuo consiglio e il tuo dono: lei veda la luce, tanto io non sarò punita. Abbi pietà di noi due e con il tuo aiuto vieni in (nostro) soccorso». Le lacrime fecero seguito alle parole. Sembrò che la dea avesse mosso (e // aveva mossi) i suoi altari, tremarono le porte del tempio, rifulsero i comi che rappresentano la luna e risuonò il sistro sonoro. {Segue la metamorfosi in uomo di Ifi poco dopo che le due donne sono uscite dal tempio].

10.4) Ov., Ep. ex Pont., 1 ,1, 51-54: Vidi ego linigerae numen violasse fatentem / Isidis Isiacos ante sedere focos. / Alter ob huic similem prívatus 1limine culpam / clamabat inedia se meruisse via.

lo ho visto un tale che confessava di avere recato offesa ai nume della linigera Jsis sedere davanti ai sacri focolari isiaci; un altro, privato della vista per una colpa simile, gridava in mezzo alla strada di averlo meritato.

11.1) Sen., De vit. beat., 26, 8: Cujm sistrum aliquis concutiens ex imperio mentitur, curri aliquis secandi lacertos suos artifex brachia atque umeros suspensa manu cruentai, cum aliqua genibus per viam repens ululat laurumque linteatus senex et medio lucemam die praeferens conclamai iratum aliquem deorum, concurritis et auditis ac divinimi esse curri, invicem mutuimi alentes stuporem, affirmatis. Quando qualcuno agitando il sistro mente a comando, quando qualcuno assai abile nel tagliuzzare i propri lacerti ferisce a sangue con mano leggera le braccia e le spalle, quando qualche donna in ginocchio per la strada all'Improvviso urla ed un vecchio vestito di lino mentre mostra dell'alloro ed una lucerna nel bel mezzo del giorno grida che qualche dio è adirato, (allora) accorrete in folla e udite ed affermate che quello è ispirato alimentando vicendevolmente il reci­ proco stupore.

11.2) Sen., ap. Aug., De civ., VI, 10, 2: Nam cum in sacris Aegyptiis Osirim lugeri perditum, mox autem inventimi magno esse gaudio derisisset, cum perditio eius inventioque fingatur, dolor tamen Ule atque laetitia ab eis, qui nihil perdiderunt nihilque invenerunt, veradter exprimatur. (Seneca) ha deriso il fatto che durante le cerimonie sacre degli Egiziani un Osiris perduto sia pianto e subito sia ritrovato con grande gioia, e benché la sua scomparsa ed il suo ritrovamento siano simu­ lati, tuttavia il dolore e la gioia sono manifestati sinceramente da coloro che non hanno perduto niente e niente hanno ritrovato.

11.3) Sen., ap. Serv., In Verg. Aen., VI, 154: Seneca scripsit de situ et de sacris Aegyptiorum. Hic didt circa Syenen, extremam Aegypti partem, esse locum, quem Philas, hoc est amìcas, vocant ideo quod illic est placata ab Aegyptìis Isis, quibus irascebatur quod membra mariti Osiridis non inveniebat, quem frater Thyphon occiderat. Quae inventa postea cum sepelire vellet, eligit vicinae paludis tutissimum locum, quem transiti! constai esse diffdlem; limosa enitn est et papyris referta et alta. Ultra hanc est brevis insula, inaccessa hominibus, unde Abatos appellata est: Lucianus «bine Abatos, quam nostra vocat veneranda vetustas». Haec palus Styx vocatur, quod tristitiam transeuntibus gignit. Sane ad illam insulam ab his qui sacris imbuti sunt, certis transitur dìebus. Seneca scrisse intorno al luogo e alle cerimonie religiose degli Egiziani. Lui dice che nei pressi di Siene, la parte più remota del­ l'Egitto, si trova un luogo che chiamano File, cioè amica, poiché lì Isis venne calmata dagli Egiziani, con i quali si era adirata dal momento che non trovava più le membra del marito Osiris, ucciso dal fratello Typhon. Dopo averle trovate, volendole seppellire, scelse un recesso sicurissimo airinterno di una vicina palude notoriamente difficile da attraversare: infatti è limacciosa, piena di papiri c profonda. Al di là di questa c'è una piccola isola, inaccessibile agli uomini, per cui è stata chiamata Abatos: Lucano «più in là Abatos come la chiama la nostra antichità degna di essere venerata» /Phars., X, 323]. Questa palude è chiamata Stige, poiché genera tristezza in coloro che vi si trovano a passare. In realtà quelli che sono addetti ai sacri riti vanno in quell'isola in determinati giorni.

12) Plìn., Hisf. nat., VII, 71: Bos in Aegypto etiam numinis vice colitur; Apin vocant. Insigne ei in dextro latere candicans macula comibus lunae crescere incipienti, nodus sub lingua, quem cantharum appellant. Non est fas eum certos vitae excedere annos, mersumque in sacerdotum fonte necant

quaesituri luctu alium, quem substituarit, et donec invenerint maerent derasis edam capitibus; nec tamen umquam diu quaeritur. Iuventus deducitur Memphin a sacerdotibus C. Delubra ei gemina, quae vocant thalamos, augurìa populorum: alterum intrasse laetum est, in altero dira portendit. Responsa privatis dat e manu consulentium cibum capiendo. Germanici Caesaris manum aversatus est haut multo postea extincti. Cetero secretus, cum se proripuit in coetus, incedit submotu lictorum, gregesque puerorum comitantur caxmen honori eius canentium; intellegere videtur et adorari velie. Hi greges repente lymphati futura praecinunt. Femina bos ei semel anno ostenditur, suis et ipsa insignìbus, quamquam altis, semperque eodem die et inveniri eam et extingui tradunt. Memphì est locus in Nilo, quem a figura vocant Phialam, omnibus annis ibi a uream pateram argenteamque mergentes diebus quos habent natales Apis. Septem hi sunt, mirumque neminem per eos a crocodilis attingi, octavo post horam diei sextam rediie belvae feritatem. In Egitto anche un bue viene venerato come un dio; lo chiamano Apis. Come segno di riconoscimento ha sul fianco destro una macchia biancheggiante a forma dei corni della luna che comincia a crescere ed un nodo sotto la lingua che chiamano cantaro. £ vietato dalle norme religiose che quello superi un certo numero di anni vita, e così dei sacerdoti lo uccidono immergendolo nella fonte per poi, in lutto, cercarne un altro al fine di sostituirlo; finché non lo hanno trovato si lamentano e si affliggono così tanto da radersi addirittura la testa. Tuttavia non si cerca mai troppo a lungo. Una volta trovato viene condotto a Menfi da cento sacerdoti. Ha due templi gemelli che chiamano talami, luoghi di premonizione per la popolazione: il fatto che sia entrato in uno è motivo di buon auspicio, capiriav rcoiéìv xò NeiXipov òScop iavó|ievov* o ò P o ò to v x a i 5è xòv TAm v oòxcoc èxeiv o ò S 5 e a u x o ò c , à X X ’ eòcxaX fì Kai K o ò ^ a x a ic y u x a i c 7t£piKeic0oa x à c u j i a x a Kai \xr\ ja é ^ e iv priSè KaxaO Xipeiv ìcxò o v x i xto Gvrycq) Kai Pap òvovxi xò 0 rio v . / sacerdoti non possono sopportare la natura degli escrementi a

tal punto che non solo si astengono dalla maggior parte dei legumi e dalla carne di montone e di maiale che ne producono in grande quantità, ma, nel periodo delle purificazioni, escludono dai cibi addi­ rittura il sale; (in proposito) forniscono numerose motivazioni e in particolare il fatto che il sale faccia aumentare il desiderio di bere e di mangiare poiché stimola l'appetito. Rimane comunque da folli affer­ mare, come fa Aristagora, che il sale è ritenuto impuro a causa dei numerosi animali microscopici che, catturati durante la cristallizza­ zione, rinwngono lì morti. Si dice che facciano bere Apis da un pozzo particolare e che lo tengano del lutto lontano dal Nilo, non perché considerino impura l'acqua per la presenza dei coccodrilli, come alcuni credono - niente infatti è tenuto in così grande considerazione dagli Egiziani come il Nilo - , ma piuttosto perché sembra che bere l'acqua del Nilo faccia ingrassare e determini in particolare l'obesità; non vogliono che Apis e loro stessi si riducano così, ma (prediligono) che i corpi leggeri ed agili stiano intorno alle anime e che non schiaccino né opprimano l'elemento divino con quello mortale una volta che questo ha assunto una posizione dominante ed opprimente.

15.3)

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attraverso la foce tanilica, la quale, per questo motivo, ancora oggi gli Egiziani chiamano odiosa ed tvet rubile. 'Alcuni dicono che queste cose avvennero il 17 del mese di Hathyr, quando il sole attraversa lo Scorpione, nell'anno 28J del regno di Osiris; altri sostengono che questo periodo è quello della sua vita e non del suo regno.

15.6)

Plut., De ls„ 14: npcóxwv 8e xóìv xòv jtepi Xéppiv oìkoòvtcov tójiov notvwv Kai Caxupcov xò JtàGoc aicGopÉviov icai kóyov èppaXóvTOiv nepi xu\> ycyovótoc tòc piv a^viSiovc xwv óxA.(ov xapaxàc icai jitoiìcfk- fu vuv 8ià xoòxo naviKàe npocaYopeiiecGai- xf|v 8' ’Iciv aicGopévriv rcipacG ai pèv èvxaiiGa xtiiv nXoicdpwv eva Kai névGipov cToX.fiv àvaXaPéiv, ÒJtou tfì 7ióX£i péxpi vOv òvopa Konxta. "Exepoi 8è xoòvopa cripaiveiv oiovxai ciépr|civ xò YÒp àjiocxepeiv kóhteiv Azo tic i . nXavcopevTiv 8è 7iàvxrì icai ànopoócav oóSéva rcapeXGeiv ànpocaiiSriTov, àXXà icai naiSapiou- cuvxuxoòcav èpcoxàv itepi xt^c Xapvaicoc xà 8è tuxeìv éwpaieóxa icai pócai xò cxópa, 8i’ oò xò àryeiov oi (|)iXx>i xoó T\)aivoc eie xtiv QdXaccav fcoxrav. 'Eie xoiixou xà naiSapia pavxiKÌ|v 8iivap.iv èxeiv oìecGai xoùc AÌYunxiouc, icai pàXicxa xaìc xoiixcov òxxaiecGai kXtiSóci jwa^óvxtùv èv ispoic kcìi «JjGeyyopèvociv ò xi àv xuxuciv. AicGopÉvr|v 5è xfj àSeXiJifi [èpómacl cuYYfyovèvai Si ’ ócyvoiav ti*. éa-uxfj xòv wOcipiv Kai xeicpiipiov iSoucav xòv peXiXcóxivov cxé eiópaioc- aòxr|v 8è YEvopéviiv XeXiSóva xfì kìovi 7iepi7tétec0ai icai 0pr|veiv, àxpi ox> xf|v p c ]

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Mentre Isis, dopo avere nascosto la bara, si recava dal figlio Horos allevato a Buio, Typhon andando a caccia di notte si imbattè nel feretro grazie alla luce della luna e, avendo riconosciuto il corpo (di Osiris), lo smembrò in 14 parti e le disperse. Isis, venuta a cono­ scenza (del fatto), lo cercò di nuovo attraversando le paludi su una barca di papiro; è questo il motivo per cui quelli che navigano su barche di papiro non sono attaccati dai coccodrilli o perché (quest'ul­ timi sono) impauriti o per la venerazione (che nutrono) nei confronti della dea. Per questo si dice che in Egitto ci siano molte tombe di Osiris perché la dea ogni volta che si imbatteva in una parte (del corpo di Osiris) là costruiva una tomba. Altri invece dicono che non andò così, ma che (la dea), avendo fatto delle immagini (di Osiris), le donò ad ogni città come se si trattasse del corpo (del dio) affinché (egli) ricevesse onori da quante più persone possibile. Inoltre, qualora

Typhon avesse avuto la meglio su Horos, avrebbe rinunciato a cercare la vera tomba dal momento che sarebbero stale molte quelle dette ed indicate. Delle membra di Osiris Isis non trovò soltanto il pene giacché questo, per primo, venne gettalo nel fiume ed il Iepidoto, il fagro e l'ossirinco lo mangiarono; questi sono i pesci che più di ogni altro gli Egiziani aborriscono. Isis, dopo avere modellato una copia al posto di quello vero, rese sacro il fallo, e di questo ancora oggi gli Egiziani celebrano la festa.

15.11) Plut., De Is., 19: ’'E itm a xó ''fìpa> xòv "Ocipiv èi, "Ai8ou rtapayevópevov 8 ianoveiv ètcl xf|v pàxx|v icai àciceiv, eixa SiepcùTfjcai ti icòtÀXiexov livellar xoò 8 è xr|v imo xóàv Tiepi xòv 7Qpov tcaxeicóini, icai vGv 8 ià xoGxo cxoiviov xi jipoPaXXovxec eie pécov KaxaicórtXOOCL. Tf|v pèv oùv paxilv èrti noXXàc lipépac yevécGai icai icpaxf)cai xòv TQpov- xòv Tvxtxóva 6è xf)v "Iciv 8e8ep.évov rtapaXaPoocav oiiic àveXriv, akX à icai /locai icai |i£0 eivar xòv 8 ’ TQpov oó pexp'uoc èveyiceiv, àXX’ èrtxpaXóvxa xf) pr|xpi xàc xripac àrtocnacai xfjc KeiJiaWjc xò paciXeiov 'Eppfiv Se 7iepi0 eivai poincpavov aiixfj icpàvoc. ToG 8 è T u ò^v oc 8 ÌKT1 V xofi "fìpcp v oG eiac X.axóvxoc, por|0TÌcavxoc 5è xoù ‘EppoG, [icai) xòv Tfìpov imo xwv Gecov yvr)ciov KpiOfivai, xòv 8è Tixtxova 8ociv c&tanr pàxaic icaxartoAxpiiGijvai. T t)v 8 ’ TIciv è^ 'OcipiSoc pexà xf)v xeteuxiiv cuyY£vo|j.évov> xeiceiv iì A.ixÓ|j.t|vov icai àcGevfj xoie icàxtoGev Yuioic xòv 'Aprtoicparriv.

In seguito Osiris tornato dall'Ade preparava con cura Horos alla battaglia. Poi gli chiese quale cosa, secondo lui, fosse la più bella, e quello rispose: «Vendicare il padre e la madre contro coloro che fecero loro del male*. Come seconda cosa gli chiese quale animale ritenesse essere il più utile per coloro che sì recano in battaglia. Quando Horos rispose il cavallo egli si meravigliò e chiese come mai non (avesse detto) il leone piuttosto che il cavallo. Allora Horos rispose che il leone è utile a chi ha bisogno di aiuto, mentre il cavallo, al contrario, divide e distrugge il nemico in fuga. Dopo avere ascoltato (queste risposte) Osiris si compiacque: oramai Horos, infatti, si mostrava ben preparato. Si racconta inoltre che anche Thoueris, concubina di Typhon, passò dalla parte di Horos dal momento che oramai erano già in molti ad essere passati da quella parte; (si dice anche che) un serpente che la inseguiva venne fatto a pezzi da quelli che erano passati con Horos. Per questo, ancora oggi, gettando in terra davanti a bro una corda qualsiasi la tagliano in più parti. La battaglia durò molti giorni ed Horos vinse. Però Isis, benché disponesse di Typhon ridotto ormai in catene, non lo annientò mo lo liberò e gli permise di andarsene. Horos non riuscì a sopportare questo fatto ed alzando le mani sulla madre le strappò la corona dal capo; allora Hermes le impose un elmo in forma di bucrano. Poi, benché Typhon accusasse Horos di essere figlio illegittimo, Horos, grazie alla difesa di Hermes, venne giudicato dagli dei figlio legittimo; Typhon, inoltre, venne sconfitto in altre due battaglie. Isis da Osiris, alla quale (egli) si era unito dopo la sua morte, generò Harpokrates nato prematuro e rachi­ tico negli arti inferiori.

15.12) Plut.# De ls., 20: T aù ta c^eSóv ceti ioti |iò0ov xà KE^dAciia xtiv Svc^Ti^oiàTCOv è^aipeGiviov, oióv ècn tò rapi xòv "Qpov SiaixeXicpòv icaì xòv vici5oc ànOKeòa^icpóv ... Oiixox ó [ìvOoc èvxaOGa Xóyou nvòc ècxiv àvaictaòvTOc èie* àÀÀa xf|v 6iavoiav, tic wcoSqXoòciv ai te &\xiai tò rcevOipov e^ovcai tcoà acuQporcòv ¿jm|kxivÓ|ì £vov, ai te xtiv vativ Siadéceic nr\ [lèv àveipévcov eie itiEpà icai Spopolo \mai0piovc icai

KotOapo'óc, jitì 8é icpunxà icai cicóxia icaxà yijc èxóvxeov cxoXiCTiipia 0T|Kaioic eoitcóia [icdì] cTpeoìc, ot»x TÌmcxa 8 ’ t) tó»v ’OcipdftJv 8óE,a, noXAaxov iceicQai Xeyopévou xou ccópaxoc- xiiv xe yàp ©ìv òvopà^ecQai tioXìxvtìv Aiyouciv, eoe póvriv xòv òXtiOivòv èxouccev, év x’ ’AfJii&o xoùc eùSaipovac xa>v Aiyujtxicov Kai Suvaioùc (xaXicia 0àjtxft:0ai, ^itaxiiioupÉvovc ópoxào‘uc elvon xoù ccópaioc 'OcipiSoc. ’Ev 8è Mep^ei xpé£c0ai xòv TAJnv, riScoXov Òvxa rf|c èiceivou vroxfjc, ònou icai xò có)|ia K£ìc0ar KOti tt)v pèv rcóXiv oi p£v Òppov àyaOcòv ÉppT|vei3ouciv, oi 8’ iSlcoc TÒ«t>ov ’OcipiSoc. Tt]v 8e npòc Oitouc vriciSa TrivàAAcoc (i£v àpaxov ànaci Kài àrcpocrcéXacxov eivai icai piiS’ ópvi0ac èji ’ aÙTT|v icaiaipeiv jìti8’ ìx &òc npocne^à^eiv, évi 8è salpai xoùc ÌEpeie SiafJaivovxac èvayi^eiv sà i tcaxacxó|»eiv xò cfjp a |ìti0 ì 8 oc 4>uxtB nepiciaa^ópevov, ónepaipovxi 7iàcT|c èXaiac |iéye0oc. Questi all'incirca sono i momenti salienti del mito essendo stati omessi gli episodi più turpi quali lo smembramento di Horos e la decollazione di Isis ... Ma il mito è l'immagine di un altro discorso che riflette il pensiero circa altre cose, come suggeriscono i sacrifici che presentano una luttuosa tristezza ed una manifesta malinconia, le disposizioni dei templi che da una parte si aprono con delle ali e con dei passaggi all'aperto e senza ostacoli e, dall'altra, celano sotto terra dei luoghi nascosti e bui simili a recessi sepolcrali, e, ancor più, quanto si crede intorno ai templi di Osiris, il cui corpo si dice che sia stato sepolto in molti luoghi, infatti dicono che la cittadina di This deve il suo nome al fatto di essere la sola ad ospitarne realmente la tomba; (dicono anche che) soprattutto in Abido vetigono inumati quegli Egiziani ricchi e quei potenti che ambiscono ad essere sepolti nello stesso luogo di Osiris. A Menfi viene allevato Apis che è l'immagine dell'anima di Osiris, ed anche là (dicono che) giace il corpo; alcuni interpretano (il nome della) la città "il porto dei buoni" altri speci­ ficamente "tomba di Osiris". Presso File c'è un’isolelta dove non è possibile per nessuno recarsi o attraccare, e né gli uccelli si posano su quella né i pesci si avvicinano; soltanto una volta all'anno i sacerdoti

vi si recano in processione, celebrano un sacrificio funebre e depon­ gono corone su una tomba che c ombreggiata tutt'intorno dalla pianta di mathis che in grandezza supera qualsiasi olivo.

15.13) Plut., De 1$,, 21: EiiSo^oc Se noAÀoW xoiJkov èv AiyònTO) Xeyopévov ev BovcipiSi xò d ò p a KcìcOai* icài yàp TtaxpiSa xaTjrqv yeyovévai tov ’OcipiSoc oòicexi pévxoi Aóyov SeìcGai xt|v Ta^ócipiv aòxò yàp pà£eiv xovvopa xa Se xopr|v fyòTuov icai cxiciv Àivov icai xoàe xeopévac Sià xò n olX à xàv pixxucaiv àvapepixGai xovxoic. Chi póvov Se xoiixov oi iepeìc Xéyovciv, àXAà tcài xdiv àXAxav Geàv òcoi \ir\ àyévviixoi \ir\5J à0ivf 'ilpicova Se xtjv "Qpou, xfjv Se Tua>voc "Apicxov. Eie Se xàc xcufyàc xàv xipopévcov £(ptov xoì>c pèv àXXovc c-uvxExaypéva teXeìv , póvo\)c Se pn SiSóvai xoùc 0t|pgtÌSa icaxoiKO'uvTCtc, toc 0vi|xòv 0 eòv oòSeva vopi^ovxac, àXX’ òv kcxXoùciv aòxoi Kvr\$t àyévvTixov òvxa icài àOàvaxov. Eudosso dice che, pur essendoci in Egitto molte tombe (di Osiris), in realtà il (suo) corpo è sepolto a Bousiris; questa, infatti, fu la patria di Osiris; né, invero, il nome di Taphosiris necessita di una spiega­ zione dal momento che questo nome significa "tomba di O sirisL ascio stare l'abbattimento di un tronco, la lacerazione del Uno e le libagioni versate poiché molti rituali misterici presentano cerimonie di tal genere. ! sacerdoti dicono che non soltanto (i corpi) di questi ma anche i corpi degli altri dèi, quanti non sono né ingenerati né eterni, una volta morti sono sepolti presso di loro e da loro venerati; le anime invece brillano nel cielo come costellazioni. Quella di Ists è chiamata Cane dai Greci e Sothis dagli Egiziani, quella di Horos Orione, quella di Typhon Orsa. Riguardo alla sepoltura degli animali venerati; mentre tutti versano ¡'importo dovuto, soltanto quelli che vìvono nella Tebaidc non danno nulla dal momento che non credono in nessuna

no

divinità mortale ma in quello che loro stessi chiamano Kneph che è ingeneralo ed immortale.

15.14) Plut., De I s 27: Toòxov 8è Kai xov xoioòxov àfeXfyà Àéyec0ai aci wepi T\>d)voc, eòe Seivà pev imo 0óvo\> icaì Socpevetac eipyacaxo, Kai Ttavxa npàypaxa xapa£ac iv t itK r\ c e KaKov yfjv ópoò xe icacav icai 0aX.accav, eTxa $ì k i \v lòto kcv- 1 | 8è ti pop oc *Ocipi5oc àhekj^i] Kai yuvr| xfjv T\x(>ovoc cpécaca icai Kaxarcaòcaca paviav kcò kòccav oò jtepielSe xoòc à0Ao\x: Kai xoòc àywvac, ov e àvéxA,r|t Kai 7cXdvac aòxfìc ica\ JtoXXà pèv èpya co^iac, 8' àvSpeiac apvr|cxiav ÒTtoXapoòcav Kai ciorcrjv, dAAà xaic óyicoxàxaic àvapi^aca xeAfxaìc cI kóvoc icaì òrcovoiac icai pipiipaxa tóv tóxe jcaOnpaxov, eòcepeiac ópoò 8i8aypa icai napapò0iov dvSpdci icai yuvai|>Gt|, cuppaÀóvxec o'i nepì TipóGeov xòv è^nyTixnv Kaì MctvéGctìva xòv CePevvùxT)v nXoùxwvoc òv àyaA.pa xcò Keppépco xeKpaipópevoi Kaì xói Spàicovxi rteiGoixi xòv rixoXepdìov rie èxépou Gewv où8evòc àXXàCapdmSóc ècxiv. Oli yàp èicéìGev oiixioc òvopai^ópevoc t^kev, àiU.’ eie ’AXe^àv8peiav KopicGeìc xò rrap' Aìyurmoic òvopa xoù nkoùxcovoc èicxTÌcaxo xòv Cdpamv. Kaì pévxoi 'HpaicXeixovi xoù «¡hjcikoù Xéyovxoc «"Ai8r|c Kaì Aióvucoc coùxòc oxeca paivovxai Kaì Xrivat^oiKiv» eie xaùxT|v ùrtayouci xriv Só^av. Oì yàp d^ioùvxec "Ai8r|v XéyecGai xò carpa xfjc yDxfjc oìov rcapaòpovoùcnc Kaì peGvioòcric év avixo) yMcxpcoc àXÀriyopoiici. BéXxiov 8è xòv “Ocipiv eie xaùxò covdyeiv xtp Aiovùccp, xqì x' ‘OcipiSi xòv Cdpamv, Òxe xr|v òùciv pexépaXe, xai3xr|c xdxóvxi xfjc rcpociiyopiac. Alò nóci koivòc ó Caparne èrxiv, eoe 8f| xòv V0cipiv oi xc5v iepcov pexaXapóvxec ìcaciv.

Tolomeo Soler, benché non la conoscesse e non avesse mai visto prima come fosse d'aspetto, vide in sogno la statua colossale del Plouton di Sinope la quale gli ordinava di trasportarla più veloce­ mente che mai ad Alessandria. In soccorso dello stesso re che non ne sapeva nulla e che dubitava anche sul luogo in cui fosse eretta, mentre raccontava agli amici la iasione, venne un uomo di nome Sosibio che diceva di avere insto a Sinope una statua colossale proprio identica a quella die il re aveva creduto di sognare. (Tolomeo) allora inviò Solete e Dionisio i quali dopo molto tempo e con fatica, e di certo non senza il provvidenziale soccorso del dio, sottratta la statua, la portarono (coti loro). Una zyolta portata (in Egitto) (la statua) venne t'saminata; e quelli che furono concordi con Timoteo l'esegeta e Monetane il sebenrtila nel sostenere che si trattava di una statua di Plouton fondandosi su Kerberos ed il serpente, persuadono Tolomeo che quella non era di nessun altro dio all'infuori di Sarapis. Infatti non giungeva da là chiamato con questo nome ma, trasportato ad Alessandria, il nome di Plouton si mutò in quello di Sarapis per opera degli Egiziani. Ed invero con questa loro opinione rimandano all'espressione del fisico Eraclito «Hades e Diom/sos sono lo stesso dio per il quale delirano e fanno baccanali» [Fragni., 123, Diano]. Infatti coloro che ritengono che il corpo venga chiamato Hades quando l'anima è fuori di senno e in quello è come ubriaca, allegorizzano oltremodo. È meglio allora ricondurre Osiris a Diomjsos, e Sarapis ad Osiris, che ebbe questo nome quando cambiò la sua natura. Per questo Sarapis è comune a tutti come è anche Osiris, proprio come gli iniziati sanno bene.

15,16) Plut., De I s 29: Ov y à p d £ io v jcpocéxeiv tote OpDyiotc Ypdwiaciv, èv oic Xéyetai XdpOTCotic rnc pev roti 'H paKtéouc Yevéc0ai Q v y a x p ò c v oùk rivai 0eàv xòv Capa7civ, àXXà xfjv "AtciSoi copòv oincoc òvopa££c0aiT Kai x^ÀKàc ti vote èv Mé|i£i tvùkoc Aìì Gtic Kai Kgokutoü 7ipocccyope\)0|iévac, oxav Gdnxcoci xòv "Atciv. àvoiy£c0ai ßapx> Kai cicfcnpòv yott>cócctc‘ 8iò Ttavxòc fixouvxoc ripete xot^Koòpaxoc £7aÄxtpßavec0ai. Mexpiciiepov 5' *od Tiapà xò c£\>ec0ai Kai xò covcGai ttjv xoü Jtavxòc à p a kìvt|civ eipfic0ai òdcKovxec. 0\ 5 e 7cX£icxoi xeov Upécov Eie xaòxó aci xòv ’'OcipivcripjiCTXéxQcn KOCl XÒV ’‘A7UIV, è^T]Y01J|ievOl Kai 8l8àcKOVX£C npete, eoe èppopòov EiKÓvaxpTI vopi^Eiv ttìc ’Ocipi8oc ^rux^c xòv "Aniv. ’Eyoi 8 ’, £i pèv AiydJtxióv ècxi xoxivoiia x o i Capa7ci8oc, £ixj>pocuvT|v aùxò Sri^oòv oìopai icai xotppociiviiv, xeKpaipópEvoc öxi tt|v ÉopxT|v Aiyvnxioi xà Xappócuva «CaipEi» KaXoùciv. Kai yàp n^axiov xòv °Ai 8 tiv eòe 7c^oòciov xoic nap’ aiixtp yevopévoic Kai jcpocrivfì 0 eòv rìvopdcOai òrici Kai nap’ Aìy\)7txioic àXXa te jio^Xà tcüv òvopaxeov Xóyov èx^1 * à i tòv òteoxQóviov xóteov, eie ov oiovxai xàc y-ux^c àrcépxtcOai prxà xf|v teXeuttìv, *A|iév0Tiv KotXoòcucTipaivovxoc xofi óvópaxoc xòv kapßdvovxa Kai 5i8òvxa. Eì 8è Kai xoùxo xcòv èk t^ c 'EXXa8oc à7teX0óvx

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XO'UXOVC VOpi^ODCl.

Il racconto della chiusura di Osiris nella bara non significherebbe niente altro che la diminuzione dell'acqua ed il suo ritirarsi. Per questo motivo dicono che Osiris sia scomparso nel mese di Athyr, quando in occasione dell'assoluto ivnir meno dei venti etesii, il Nilo si secca e la terra è spoglia; dal momento che la notte si allunga aumenta l'oscurità e la potenza della luce si indebolisce ed è vinta, i sacerdoti compiono altri riti luttuosi c, coprendo un bue istoriato d'oro con un velo di bisso nero, io mostrano come segno di lutto della dea (credono infatti che il bue sia un'immagine di Isis a l anche, della terra) per quattro giorni, di continuo, a partire dal 77 del mese. Infatti, quattro sono le cose che vengono compiante: come prima il Nilo che diminuisce e si ritira, come seconda i venti del nord che cessano per il prevalere di quelli del sud, come terza il fatto che il giorno diventa più corto della notte e soprat­ tutto, conte quarta, lo spogliarsi della terra assieme allo spogliarsi degli alberi che in quel periodo perdono le foglie. II giorno 19, dì notte, scendono al mare; gli stolisti e i sacerdoti recano la sacra cesta che contiene un'urna d'oro, e in quella versano dell'acqua buona da bere che hanno portato con loro. Sale allora il grido dei presentì poiché Osiris è stato ritroi'ato; poi con l'acqua bagnano della terra fertile e, mischiandovi aromi e profumi preziosi, modellano una statuetta a forma di crescente lunare, la instano e la adornano dimostrando così di ritenere queste divinità l'essenza della terra e del cielo.

15.18) Plut., De /s 42: 'EP5ÓMXI ' ¿rà, 6r ica xfiv ’OcipiSoc yevécOai xeXevxfiv Aìyójixioi pu B oX oyo vav. èv fi pàX icxa yiv£xai rcXTipovpévTi k o l t ó l ò i\ \ o c fi navcèXrivoc ... ’Exàv 8’ àpitìpòv oi |ièv (iiaxai xóv 'Ocipiv, oi 8è Paci teucra teyouciv òtcxa) *cai riicocr xocauxa yàp écxi (Jkoxa xfic cfXfivìy iccà xocaiixaic npépaic xòv aòxfic k ó k X ov e o p è v o i c TeveGAioic ' Q p o v y é y p a K T a i . Kaì pf)v r)pepai, étcctcxric x p i x w c è m O u p i i ò c i T ( p T|tacp, p T i t i v r i v pèv Girò xàc àvaxotaic, cpGpvav 6è pecoupavoGvn, t ò S e KaAoGpEvov tcOi rapi 8\xpac- (Lv e k o c t o v Òv èxei Aóyov Gcxepov àGriyrjcopai. Tòv 8’ r i tao v nóci t o G t o i c 7ipocxpÉ7i£c0ai tcai 0epa7tEGeiv oiovxai. Kai t ì 8eì JtoAXà xoiaGxa cuvàYEiv; Eici yàp oi xòv "Ocipiv àvTucpuc ntaov eivai tcai òvopàCecGai Ceipiov G 7ipoacxeici) aòxà èvxòc òySóox) iip.icxa8ioo Jtoietv. (Agrippa) operò contro i riti egizi che erano tornati a diffondersi in città non permettendo a nessuno di celebrarli neppure nel sobborgo per un raggio di otto mezzi stadi 21 a. C J.

28) Paus., Gr. descr., 1, 18, 4: * EvxeuGev ioòciv èc xà icdxio xf\c tcóXécoc CapàrciSóc ècnv iepóv, ov ’Afhivaìoi Jiapà n x o ta paioo 0eòv èciìYÓyovxo. Alyontioic Se iepà CapàinSoc èia^avècxaxov pév ècxiv ’AXe^avSpeuciv, àpxaióxaxov & èv Méjjer èc xooxo èceXGeiv ooxe ^évoic ecxiv oxìxf xoic iepeoci, npìv àv xòv vA j c i v Gaietaxi. Per quelli che da lì (se, dal Pritaneo) scendono verso la parte bassa della città c'è il tempio di Sarapis, che gli Ateniesi accettarono come divinità sull'esempio di Tolomeo. Relativamente ai santuari

egiziani (c'è da dire che) mentre gli Alessandrini hanno quello più imponente, quello più antico, invecet si trova a Menfi; in questo non è consentito entrare né agli stranieri né ni sacerdoti prima che abbiano seeppellito Apis.

29) Lettera di una recluta imperiale (D.H. Lietzmann, Griechische Papyri, Berlin, 1934*, n. 1): Eùxa PlCT(*> *up«P CepÓTCìSi, òti pou KivSweucavtoc eie GàXaccocv ¿cuce eòGéoc. “Ore eicfjXOov eie M^cevouc. eXa^a Piàxucov rcapà Kaicapoc Xpxxrouc xpeìc. Kai icaXcòc poi èexiv. Sia ringraziato il signore Sarapis poiché, mentre mi trovavo in pericolo in mezzo al mare, immediatamente mi salvò. Quando giunsi a Miseno presi il viatico da parte di Cesare di tre monete d'oro. Mi è andata proprio bene\

30) Diog. Laert., Vitae p h i l o s V, 76: Aéyexai 8’ ànoPaXóvxa aiitòv toc Òyeic ev *AÀel;av6peiaf xoi|/iav xòv 5ai|iova 0eòv è^Geìv ica\ \xr\ tou Saipóvcov eivoa yévoucò0ev tòv Aiy^TC'nov eìtieì v* «Maicapioc eì 0eòv é^ ov tòv 8ai|iova icai où tou i>einévo\) y^vouc tòv cwóvtcx». Uu certo sacerdote egiziano venuto a Roma, presentato a lui (se. Plotino) da un amico, volendo dimostrare la sua sapienza chiese a Plotino che andasse ad assistere alla visione del demone personale che lo accompagnava: egli, infatti, lo avrebbe invocato. Quello acconsentì di buon grado; l'invocazione ebbe luogo neìVìseo. L'egiziano infatti sosteneva che a Roma soltanto quel luogo era puro. Chiatìtolo a mani­ festarsi un demone apparve un dio, e non della stirpe dei demoni. Allora l'egiziano disse: «Sei beato tu che hai un dio al posto di un demone, e lui che ti assiste non è certo di grado inferiore». [CSJ

32.1) Lact., Div. Inst.f l, 11, 20-21: 20. Eodem modo conver­ tisse in bovem traditur lo Inachi filiam, quae ut iram Iunonis effugeret, ut erat «iam saetis obsita, iam bos», franasse dicitur mare in Aegyptuxnque venisse atque ibi recepta pristina specie dea facta quae nunc Isis vocatur. 21. Quo igitur argomento probari potest nec Europam in tauro sedisse nec lo bovem factam? Quod certus dies habetur in fastis quo Isidis navigium celebratur: quae res docet non franasse illam, sed navigasse. 20. Si racconta che Io, figlia di ìnaco, nello stesso modo sia stata trasformata in una giovenca. Lei, infatti, per sfuggire l'ira di ¡uno, così come era «già coperto di peli, già giovenca» [Verg., Aen., VII, 790], avrebbe attraversato il mare, sarebbe giunta in Egitto e qui, una volta ripreso l'aspetto di prima, sarebbe diventata quella che chiamano Isis. 21. Dunque, con quale argomento si può provare che né Europa sedette su di un toro né che Io divenne una giovenca? Ma con il fatto che si considera un giorno preciso durante i fasti in cui si celebra il

navigium di ì$i$, la qual cosa dimostra che lei non ha attraversato il mare ma che l'ha navigato.

32.2) Lact., Div. Inst., 1, 21, 20-22: 20. Isìdis Aegyptiae sacra sunt, quatenus filium parvulum vel perdiderit vel invenerit. Nam primo sacerdotes eius deglabrato corpore pectora sua tundunt, lamentantur, sicut ipsa cum perdidit fecerat; deinde puer producitur quasi inventus et in laetitiam luctus ille mutatur. Ideo Lucanus: «Numquamque satis quaesitus Osiris». Semper enim perdunt, semper inveniunt. 21. Refertur ergo in sacris imago rei quae vere gesta est, quae profecto si quid sapimus declarat mortalem mulierem fuisse ac paene orbam, rùsi unicum repperisset. Quod iUum ipsum poetam minime fugit, apud quem Pompeius adulescens morte patris audita haec loquitur: «Evolvam busto iam numen gentibus Isim / et tectum lino spargam per vulgus Osirim». 22. Hic est Osiris, quem Serapim, vel Serapidem, vulgus appellat. Solent enim mortuis consecratìs nomina immutari, credo ne quis eos putet homines fuisse. 20. Ci sono delle cerimonie sacre in onore di Isis l'egiziana sia perché avrebbe perso il figlio fanciullo sia perclìé lo avrebbe ritrovato. Infatti, dapprima i suoi sacerdoti, depilato il corpo, si battono il petto e si lamentano come aveva fatto la stessa (dea) quando perse (il figlio), poi il fanciullo viene presentato come se fosse stato ritrovato e quel lutto si muta in letizia. Pertanto Luciano: «Osiris mai cercato a sufficienza» ¡ma Ov.f Met., /X, 693J. Infatti sempre lo perdono e sempre lo ritrovano. 21. Pertanto durante le cerimonie sacre si rappresenta ciò che accadde bramente, cosa che, se abbiamo un po' di senno, sta ad indicare in realtà che si trattò di una donna mortale e pressoché orfana se non avesse ritrovato l'unico figlio. Fatto che non è sfuggito per niente a quello stesso poeta presso il quale Pompeo adolescente, una volta appresa la morte del padre, dice così: «Tirerò fuori dalla tomba Isis già un nume tra le genti e disseminerò tra il

popolo Osiris avvolto nel lino» [Lucan., Phars., IX, 158-159]. 22. E questo Osiris è quello che il popolo chiama Sarapis o Sarapides. Infatti c'è l'abitudine che ai morti consacrati venga cambiato il nome affinché, credo, nessuno pensi che quelli siano stati uomini.

32.3) Lact., Div. inst. ep., 18, 5-6: 5. lsidis sacra n.Lhi.1 alius ostendunt nisi quemadmodum fìlium parvum qui dicitur Osiris perdiderit et invenerit. 6. Nam primo sacerdotes ac mini­ stri derasis omnibus membris tunsisque pectoribus plangunt do­ lent quaerunt adfectum matris imitantes, postmodum puer per Cynocephalum invenitur. Sic luctuosa sacra laetitia terminantur. 5. / riti sacri di Isis non mostrano nient'altro se non in che modo (la dea) abbia perduto e ritrovato un piccolo figlio che ha il nome di Osiris. 6. Infatti in un primo momento i sacerdoti e i ministri, rasate tutte le membra e percosso il petto, piangono, si dolgono e lo cercano imitando il dolore della madre; in seguito il fanciullo è ritrovato per opera di un Cinocefalo. Così i riti luttuosi si risolvono in letizia.

33) Amob., Adv. nat., Il, 73: Quid, vos Aegyptiaca numina, quibus Serapis atque Isis est nomen, non post Pisonem et Gabiniiini consules in numerum vestrorum rettulistis deorum? Quid, Phrygiam matrem, cuius esse conditor indicatur vel Midas vel Dardanus, non cum Hannibal Poenus res Italas raperet et terrarum exposceret principatum, et nosse et scire coepistis et memorabili religione sancire? £ che dire? Non avete inserito voi nel numero dei vostri dèi i numi egiziani, quelli che si chiamano Isis e Sarapis, dopo il consolato di Pisone e di Gabinio? k che dire? La Mater Frigia, del cui culto i fondatori, a quanto si dice, sarebbero stati Mida o Bardano, non avete iniziato a conoscerla, a venerarla e ad adorarla con riti famosi soltanto

quando il cartaginese Annibaie devastava i possedimenti in Italia ed aspirava al dominio del mondo? ICS]

34.1) Arni«- Marc., Rcsgest-, XXII, 14,6-8:6. Exinde, sacrorum perfecto rifu digresso offeruntur rectoris Aegypti scripta Apim bovem, operosa quaesitum industria, tandem post tempus inveniri potuisse firmantis, quod, ut earum regionum existimant incolse, faustum et ubertatem frugum diversaque indicans bona. 7. Super qua re pauca conveniet expediri. Inter animalia antiquis observationibus consecrata, Mnevis et Apis sunt notiora. Mnevis Soli sacratur, super quo nihil diritux memorabile, sequens Lunae. Est enim Apis bos diversis genitalium notarum figuris exprcssus, maximeque omnium corniculantis lunae specie latere dextro insignis; qui, cum post vivendi spatium praestitutum, sacro fonte immersus, e vita abierit - nec enim ultra eum trahere licet aetatem quam secreta librorum praescribit auctoritas mysticorum - , necatur choragio pari bos femina , inventa cum notis certis, offertur. Quo perempto, alter cum publico quaeritur luctu, et, si omnibus signis consummatus repperiri potuerit, ducitur Memfim, urbem praesentia frequenti numinis Aesculapu claram. 8. Cumque initiante antistitum numero centum, inductus in thalamum, esso coeperit sacer, coniecturis apertis signa remrn futurarum dicitur demonstrare, et adeuntes quosdam indiciis averti videtur obliquis, ut offerentem cibum aliquando Germanicum Caesarem, sicut lectum est, aversatus portenderat paulo post eventura. 6. Quindi alla partenza da lì (se. dal monte Cario) terminate le cerimonie rituali, fu consegnata (a Giuliano) una lettera del gover­ natore d'Egitto con la quale assicurava che finalmente, dopo tanto tempo e lunghe e accurate ricerche, si era potuto trovare il bue Apis. Il fatto, come ritengono gli abitanti di quelle regioni, era segno di buon augurio e presagio di abbondanti raccolti e di beni di vario genere. 7. Su tale argomento converrà fornire qualche spegazione. Tra

gli animali consacrati ad antichi culti i più conosciuti sono Mnevis e Apis: Mnevis è consacrato a Sol e su di esso non si dice nulla che sia degno di essere ricordato; il secondo invece a Luna. Infatti il bue Apis si segnala per diverse figure formate da tnacchie naturali ed è caratterizzato soprattutto per l'immagine della luna crescente sul fianco destro. Questo, dopo un periodo di vita già stabilito, muore immerso nella fonte sacra - infatti non gli è consentito vivere per un periodo superiore a quello prescritto dall'autorità segreta dei libri mistici - , con rito analogo viene uccisa una mucca che, trovata grazie a particolari segni distintivi, è sacrificata in suo onore. Una volta ucciso questo (bue), fra il lutto pubblico se ne cerca un altro, e se è stato possibile trovarne uno perfetto in lutte le caratteristiche richieste lo si conduce a Menfi, città famosa per la presenza frequente del dio Aesculapius. 8. Una volta introdotto nella camera nuziale grazie ad una cerimonia di consacrazione compiuta da cento sacerdoti, comincia ad essere oggetto di venerazione; si dice che egli riveli tramite indizi sicuri quello che accadrà, e sembra che respinga con segni sfavorevoli alcuni visitatori. A proposito, si legge che una volta avendo distolto lo sguardo da Cesare Germanico che gli offriva del cibo, aveva lasciato prevedere ciò che sarebbe avvenuto di lì a poco.

34.2) Amm. Marc., Res gest., XXII, 16,12: His accedimi aids sufflata fastigiis tempia, inter quae eminet Serapeum, quod licet minuatur exilitate verborum, atriis tamen columnatis am plissimi, et spirantibus signorum figmentis, et reliqua ope­ rimi multitudine ita est exomatum ut post Capitolium, quo se uenerabilis Roma in aeternum adtollit, nihil orbis terrarum ambitiosius cernat. A questi si aggiungono dei templi che si inorgogliscono del loro fasto fra i quali spicca il serapeo. E questo, benché le parole con la loro povertà possano soltanto sminuirlo, è tuttavia adornato a tal punto di atri colonnati amplissimi, di immagini di statue che respirano e da una restante moltitudine di (altre) opere che, dopo il tempio di

luppiter Capitolino grazie al quale Roma venerabile si innalza ora e sempre, nient'altro di più fastoso può vedere il mondo intero.

35.1) Ruf., Hist. EccL, II, 23: Serapis apud Alexandrian» templum auditum quidem omnibus puto, plerisque vero etiam notum. Locus est non natura, sed manu et constructione per centum aut eo amplius gradus in sublime suspensus, quadratis et ingentibus spatiis omni ex parte distentus, cuncta vero, quoad summum pavimentorum evadatur, opere forniceo constructa, quae inmissis desuper luminaribus et occultis adytibus invicem in semet distinctis usum diversis ministeriis et clandestinis officiis exhibebgnt. lam vero in superioribus extrema totius ambitus spada occupant exedrae et pastoforia domusque in excekum porrectac, in quibus vel aeditui vel hi, quos appellabant ò y v riJO V T a c , id est, qui se castificant, commanere soliti erant. Porticus quoque post haec omnem ambitum quadratis ordinibus distinctae intrinsecus circumibant. In medio totius spatii aedes erat pretiosis edita columnis et marmoris saxo extrinsecus ampie magnificeque constructa. In hac simulacrum Serapis ita erat vastum, ut dcxtera unum parietem, alterum laeva perstringeret quod monstrum ex omnibus generibus metallorum lignommque conpositum ferebatur. Interiores delubri parietes lamminis primo aureis vestiti, super has argenteis, ad postremum aereis habebantur, quae munimento pretiosioribus metallis forent. Erant etiam quaedam ad stuporem admirationemque videntium dolis et arte conposita. Fenestra perexigua ab ortu solis ita erat aptata, ut die, qua institutum fuerat simulacrum solis ad Serapem salutandum intro ferri, diligenter temporibus observatis ingrediente simulacro radius solis per eandem fenestram directus os et labra Serapis inlustraret, ita ut inspectante populo osculo salutatus Serapis videretur a sole. Erat et aliud fraudis genus huiusmodi. Natura lapidis magnetis huius virtutis esse perhibetur, ut ad se rapiat et adtrahat femim. Signum solis ad hoc ipsum ex ferro subtilissimo manu artifiris fuerat fabricatum.

ut lapis, cuius naturarvi ferra m .k ; h‘ trahere diximus, desuper in laquearìbus fixus, cum temperate sub ipso ad libram fuisset positum simulacrum, vi naturali ad se raperet femim, adsurrexisse populo simulacrum et in aere pendere videretur. Et ne hoc lapsu propero prodcretur, ministri fallaciae «Surrexit aiebant - sol, ut valedicens Senapi discedat ad propria». Sed et multa alia deripiendi causa a veteribus in loco fuerant constructa, quae nunc longum est enumerare per singula. Verum ut dicere coeperamus, rescripto recitato parati quidem erant nostrorum populi ad subvertendum erroris auctorem, persuasio tamen quaedam ab ipsis gentilibus fuerat dispersa, quod, si Humana manus simulacrum illud contigissct, terra dehiscens ilico solveretur in chaos caelumque repente rueret in praeceps. Quae res paululum stuporem quendam populis dabat, cum ecce unus ex militibus fide quam armis magis munitus correptam bipennem insurgens omni nisu maxiliae veteratoris inlidit. Gam or adtollitur utrorumque populorum, ncque tamen aut caelum ruit aut terra descendit. Inde iterum atque iterum repentes, putris tigni fumosum genium caedit, quodque deiectum, igni adhibito tam facile quam Iignum aridum conflagravit. Post hoc revulsum cervicibus et depresso modio trahitur caput, tum pedes aliaque membra caesa securibus et rapta funibus distrahuntur, ac per singula loca membratim in conspectu cultrids Alexandriae senex vetemosus exuritur. Ad ultimum truncus qui superfuerat in anphitheatro concrematur vanaeque superstitionis et erroris antiqui Serapis hic finis fuit. De cuius origine diversa fertur opinio paganonun ... Alii repertum in historiis Graecorum vete­ ribus ferunt Apin quendam patrem famiias seu regem in Aegypto Memphis positum, cum famis tempore frumenta apud Alexandriam defeossent, ex proprio adfatim rivibus alimenta praebuisse. Quo defuncto in honorem eius instituerint apud Memphis templum, in quo bos quasi indicium optimi agricolae nutritur habens quaedam coloris insignia, qui ex nomine eius Apis appelIetur, soron vero, id est sepulchrum, in quo corpus eius inerat, Alexandriam deduxerint, et soron Apis primo ex cònpositione

Sorapim, post vero per corruptionem Serapim nominariiìt. Invero ritengo che tutti abbiano sentilo dire del tempio di Sarapis ad Alessandria e che a molti sia noto. Il luogo (su cui è costruito) non è naturalmente rialzato, ma si eleva per più di cento gradini grazie ad un opera di costruzione e si estende da ogni parte su di una superficie quadrata e straordinariamente grande; invero tutto l'insieme, fintanto che non si arrivi alla sommità della pavimentazione, è costruito in opus forniceo e, praticate in alto delle aperture per la luce come pure dei recessi occulti separati fra di loro, si metteva a disposizione per il servizio di ministeri deversi e per funzioni segrete. £ in verità nelle parti superiori occupavano gli ultimi spazi dell'intero perimetro le esedre, le stanze per i pastofori e le abitazioni estese in altezza, nelle quali gli editui o questi che chiamano agneuontes, cioè quelli che facevano opera di castità, erano soliti rimanere. Oltre queste costru­ zioni anche dei portici si estendevano tutt'intorno in ordine quadrato verso ¡'interno. Nel mezzo deirintero spazio c'era il tempio sostenuto da colonne preziose e costruito all'esterno in marmo in modo ampio e magnifico. In questo c'era una statua di Sarapis così enorme che con la destra sfiorava una parete e con la sinistra l'altra, la quale mera­ viglia si diceva che fosse stata composta con tutti i generi di metallo e di- legno. Le pareti più interne del tempio rivestite innanzitutto di lamine d'oro, poi su queste lamine d'argento, infine erano coperte da lamine di bronzo, a protezione dei metalli più preziosi. E c'erano anche delle cose costruite con arte e con inganno per (suscitare) lo stupore e l'ammirazione dei visitatori. Una finestra piccolissima dalla parte dove sorge il sole era stata adattata in modo tale che, una volta osservate con scrupolo le date, nel giorno in cut era stato stabilito che la statua di Sol fosse introdotta per omaggiare Sarapis, all'entrare della statua un raggio di sole diritto attraverso la stessa finestra illuminasse il volto e le labbra del dio, così che alla folla che assisteva sembrasse che Sarapis con un bacio fosse omaggiato dal sole. Ma c'era anche un altro inganno di tal genere. Si dice dìe la natura di una pietra magnetica abbia la facoltà di far avvicinare ed attrarre il ferro. Proprio la stessa immagine di Sol era stata fabbricata dalla mano di

un artigiano con un ferro sottilissimo a tal punto che la pietra, la cui natura abbiamo detto che attrae il ferro, fissata in alto nel soffitto a cassettoni, una volta che sotto di quella fosse stato posto il simulacro a giusta distanza a livella, attraesse a sé il ferro per effetto naturale, e sembrasse al popolo che la statua si fosse levata da terra e rimanesse sospesa in aria. Ed affinché questa cosa non fosse svelata per una caduta improvvisa, i ministri delVinganno dicevano: «Il sole è sorto per ritirarsi a casa dicendo addio a Serapis».M a anche molte altri trucchi per ingannare, che ora sarebbe lungo enumerare ad uno ad uno, erano stati congegnati dagli antichi in quel luogo. Piuttosto, come avevamo iniziato a dire, letto pubblicamente il rescritto deir im­ peratore, i nostri in gran numero erano oramai pronti ad abbattere il sostenitore deir errore, tuttavia una certa credenza era stata diffusa ad opera degli stessi pagani, secondo la quale se una mano umana avesse toccato quella statua, la terra aprendosi immediatamente- si sarebbe dissolta nel caos ed il cielo d'un tratto sarebbe precipitato nell'abisso. La qual cosa infondeva nella popolazione un certo senti­ mento di apprensione. Quand'ecco che uno fra i soldati più sicuro della fede che delle armi, levandosi con tutta l'energia percuote con la bipenne brandita la mascella di quel vecchio imbroglione. Si leva un grido da una parte e dall'altra della popolazione; ma né precipita il cielo né si dissolve la terra. Poi, continuando più e più volte, fa a pezzi il genio annerito di legno putrido, il quale una volta abbattuto, avvicinato il fuoco, arse così facilmente proprio come un legno secco. Subito dopo il capo strappato a forza dalle spalle e premuto giù il modio viene gettato di qua e di là, mentre i piedi e le altre membra tagliate con le scuri e trascinate con le funi sono portate via, e così un membro dopo l'altro, di luogo in luogo, il vecchio indebolito viene dato alle fiamme sotto gli occhi di Alessandria che lo adora. Infine il tronco che si era salvato viene bruciato del tutto nel l'anfiteatro e questa fu la fine della vana superstizione e dell'antico culto idolatrico di Sarapis. Sull'origine del quale si tramandano opinioni diverse fra i pagani... Alcuni dicono che nelle antiche storie dei Greci si è trovato che un tale Apis venne posto come pater familias o come re in Egitto a Menfi, poiché durante una carestia era venuto a mancare il frumento

ad Alexandria ed egli dalle sue riscnv aveva offerto del cibo ai citta­ dini. Ed una volta defunto avrebbero innalzato in suo onore un tempio a Menfi, dove viene allevato un bue come testimonianza deirottimo agricoltore, il quale presenta alcune decorazioni di un colore che dal suo nome si chiamerebbe Apis. Ma questo soron, cioè la tomba nella quale era stato messo il suo corpo, l'avrebbero portato ad Alessandria ed il soron di Apis dapprima per composizione Io avrebbero chiamato Sorapis e poi, per corruzione, Sarapis.

35.2) Ruf., His/. Eccl., II, 29: Sed et illud apud Alexandriam gestum est, quod edam thoraces Serapis, qui per singulas quasque domos in parietibus, in ingressibus et postibus edam ac fenestrìs erant, ita abscisi sunt omnes et abrasi, ut ne vestigium quidem usquam velnominis appellatio aut ipsius aut cuiuslibet alterius daemonis remaneret, sed prò his crucis dominicae signum unusquisque in postibus, in ingressibus, in fenestrìs, in paxietibus columnisque depingeret. Ma anche questo accadde ad Alessandria, e cioè che anche i busti di Sarapis, che in qualunque casa, una per una, si trovavano nelle pareti, negli ingressi, sulle porte ed anche sulle finestre, tutti vennero rimossi ed abrasi a tal punto che né la traccia né il suono del nome dello stesso o di qualsiasi altro demone potesse sopravvivere; al loro posto sulle porle, negli ingressi, sulle finestre, sulle pareti e sulle colonne ognuno dipingeva il segno della croce del signore.

36) Paul. Noi., Carm., XIX, 98-116: Fugit et Aegypto Sa tanas, ubi mille figuras, / nomina mille sibi variis adcommoda monstris / (100) sumpserat, ut Serapi sanctum formaret Ioseph, / nomine ferali abscondens venerabile nomen, / cum tamen ipsa fidecn simulacri forma doceret, / qua modius capiti superest, quia frugibus olim / ante famena domino sic inspirante coactìs / (105) innúmeras gentes Aegypti ex ubere pavit / et steriles annos

annis saturavit opitnis. / Sed ne ultra sanctus coleretur honore profano, / mens arcana dei devotae perfora plebis / inmissis acuit stimulis cultumque nefandi / (110) daemonis everso fractoque Serapide clausit. / Non Pelusiacis vaga saltibus Isis Osirim / quaerit aruspicibus calvis, qui pectore tunso / deplorant aliena suo lamenta dolore, / moxque itidem insani sopito gaudia planctu / (115) vana gerunt eadem mentiti fraude repertum, / qua non amissum sibi quaesivere vagantes. Satana fuggì anche dall'Egitto, dove aveva assunto mille forme e mille nomi adatti ai vari prodigi per conformare a Sarapis il santo Giuseppe, nascondendo con un nome funesto un nome degno di itenerazione; e questo benché la forma stessa del simulacro insegnasse la fede. Infatti un modio è posto sul capo, perché una volta, prima della carestia, raccolte ed accumulate le messi, nutrì innumerevoli popola­ zioni dell'Egitto grazie all'abbondanza e così saziò gli anni sterili con gli anni opimi Così infatti ispirava il signore. Ma, affinché il santo non fosse più venerato con una devozione profana, l'insondabile mente di Iddio infiammò gli animi della plebe devota e, inviato lo sprone, pose fine al culto del demone nefando, una volta abbattuto e fatto a pezzi Sarapis. Isis che erra per le balze pelusie non chiede più di Osiris agli aruspici calvi, i quali, percosso il petto, compiangono col proprio dolore i dolori di altri, e poi all'Improvviso, come impazziti, calmato il pianto, fanno mostra di gioie vane dopo avere finto che è slato ritrovato con la stessa sfrontata scelleratezza con la quale mentre erravano cercavano ciò che non era stato perduto da loro.

37.1) Firm. Mat., De err. prof. rel., fl, 1-9: 1. Aegypti incolae aquae , aquam colunt, aquam suppli­ cant, aquam superstitiosa votorum continuatione venerantur. Sed in sacris suis quae mysteria vocant addunt tragica funera et funestae calamitatis : incestum cum sorore adultcriumque commissum, et hoc fadnus sevens marid animadversionibus vindicatum. Isis soror est, Osyris frater.

Tyfon maritus. 2. Is cum comperisset Isidem uxorem incestis fratris cupiditatibus esse corruptam, oeddit Osyrim artuatimque Laceravit, et per omnes Nili flumixus ripas miseri corporis palpitantia membra proierit. Isis repudiato Tyfone, ut et fratrem sepeliret et coniugem, adhibuit sibi Nepthum sororem sociam et Anubem venatorem, cui ideo caninum caput impositum est quia lacerati corporis partes artificio cams vestigands invenit. Sic inventum Osyrim isis tradidit sepulturae. 3. Fuerunt sane hi aput Aegyptum reges pariter ac tyranni, sed Osyris iustus praeter illud quod cum sorore commisit, Tyfon furiosus, impotens ac superbus. ideo ille colitur, iste vitatur. Haec est Isiaci sacri summa. In adytis habent idolum Osyridis sepultum, hoc annuis luctibus plangunt, radunt capita ut miserandum casum regis sui turpitudine dehonestati defleant capitis, tundunt pectus, lacerant lacertos, veterum vulnemm resecant cicatrices ut annuis luctibus in animis eorum funcstae ac miserandae necis exitium renascatur. Et cum haec certis diebus fecerint, tunc fingunt se lacerati corporis reliquias , et cum invenerint quasi sopitis luctibus gaudent ... 6. Sed in his funeribus et luctibus, quae vere sunt funera quae facta sunt, quorum extant hodieque reliquiae - nam et sepulchrum Osyridis hodieque in Aegypto est, et cremati corporis reliquiae cemuntur - defensores eorum volunt addere physicam rationem, frugum semina Osyrim dicentes esse, Isim terram, Tyfonem calorem. Et quia maturatae fruges calore ad vitam hominum colliguntur et divisae a terme consortio separantur et rursus adpropinquante hieme seminantur, hanc volunt esse mortem Osyridis cum fruges reddunt, inventionem uero cum fruges genitalis terrae fomento conceptae annua rursus coeperint procreatione generari ... 9. O miser homo invenisse te nescio quid gaudes, cum animam tuam ex LStis sacris per annos singulos perdas. Nihil illic invenis nisi simulacrum quod ipse posuisti, nisi quod iterum aut quaeras aut lugeas. Quaere potius spem salutis, quaere exordium Juris, quaere quod te sunimo deo aut commendet aut reddat, et cum verarn viam salutis inueneris gaude et tunc erecta sennonis

libértate proclama: «Eúpiíicoqxev ciryxcápcúpEv», cum ab his calamitatibus post paenitentiam tuam summi dei fueris indulgentia Liberatas. 1. Gli abitanti dell'Egitto divinizzano la sostanza dell'acqua, omag­ giano religiosamente l'acqua, supplicano iacqua, venerano l'acqua con una superstiziosa ed interminabile pratica di azioni votive. Ma nei loro riti sacri, che chiamano misteri, aggiungono delle cerimonie luttuose e dei contrasti cosi disgraziatamente funesti da generare terrore quali l'incesto e l'adulterio commesso con la sorella, e la terri­ bile vendetta di questo misfatto ad opera del marito. La sorella è ¡sis, il fratello Osirist il marito Typhon. 2. Questi, avendo saputo che la moglie Isis era stata corrotta dalla passione incestuosa del fratello, uccise Osiris, lo fece a pezzi e gettò le membra palpitanti del misero corpo lungo tutte le sponde del fiume Nilo. Isis, ripudiato Typhon, per seppellire il fratello e l'amante, ricorse alla sorella Nephthys come compagna (nella ricerca) e ad Anubis come cacciatore; a lui pertanto venne posta una testa di cane poiché riuscì a trovare le membra del corpo lacerato con labilità di un segugio. Così Isis diede sepoltura al ritrovato Osiris. 3. Davvero quelli che regnarono in Egitto furono allo stesso modo re e tiranni; Osiris invece, a parte quello che commise assieme alla sorella, regnò secondo giustizia, mentre Typhon (fu) pazzo, prepotente e dispotico. Pertanto l'uno è venerato, l'altro viene evitato. Questa è la parte essenziale delle sacre cerimonie isiachc. Negli aditi conservano un idolo di Osiris sepolto, lo piangono con pianti c lamenti una volta all'anno, si radono la testa per compiangere la miseranda sorte del loro re grazie alla turpitudine del capo deturpato, si battono il petto, si lacerano le braccia, riaprono tagliandole le cica­ trici delle precedenti ferite, affinché in occasione di queste annuali cerimonie luttuose rinasca nei loro animi una morte funesta e degna di compianto. Dopo avere celebrato questi riti nei giorni stabiliti, allora inscenano la ricerca dei resti del corpo lacerato e, una volta ritrovati, gioiscono, messe a dormire, per così dire, le manifestazioni luttuose ... 6. Ma i difensori di questi riti funebri e luttuosi, realmente sono riti funebri quelli che si sono celebrati, dei quali ancora oggi

sono visibili le vestigio - infatti ancora oggi in Egitto c'è il sepolcro di Osiris e si vedono i resti del suo cadavere cremato - vogliono aggiungere una giustificazione fisica dicendo che Osiris simboleggia i semi delle messi, fsis la terra, Typhon il calore. E poiché le messi giunte a maturazione grazie al calore vengono raccolte per l'esistenza degli uomini e, una volta allontanate dalla comunanza che hanno con la terra, vengono messe da parte e poi di nuovo vengono seminate al sopraggiungere dell'inverno, vogliotio che la morte di Osiris si rife­ risca al periodo della semina e che il ritrovamento, invece, (corri­ sponda) al momento in cui le messi concepite col nutrimento della terra che feconda di nuovo iniziano a germogliare anno dopo anno ... 9. O misero uomo, ti rallegri di avere ritrovato non so bene cosa, dal momento che di anno in anno perdi la tua anima per opera di questi riti. In questi non (trovi) altro se non il simulacro che tu stesso hai posto, se non ciò che di nuovo cerchi e piangi. Cerca piuttosto la speranza della safoezza, cerea l'origine della luce, cerca ciò che possa raccomandarti o possa condurti al sommo Iddio, e una volta che avrai trovato la vera via della salvezza allora proclama con la sicurezza che dà la sincerità: »(Lo) abbiamo trovato, gioiamo insieme».

37.2) Firm. Mat., De err. prof rei., XXII, 1-3: 1- Aliud edam symbolum proferimus, ut contaminatae cogitationis scelera revelentur. Cuius totus ordo dicendus est ut aput omnes constet divinae dispositionis Iegem perversa diaboli esse imita­ to n e corruptam. Nocte quadam simulacrum in lectica supinum ponitur et per números digestís flehbus plangitur. Deinde, cuín se ficta lamentatone sataverìnt, lumen infertur. Tune a sacer­ dote omnium qui flebant fauces unguentar, quibus perunctis sacerdos hoc lento murmure susurrat: «©ocppeite pùexou xou Qeoü cecoacpévau / ècxai yàp qp.iv t i ó v c o v canqpia» ... 3. Idolum sepelís, idolum plangis, idolum de sepultura proferís et, miser, cum haec feceris gaudes! Tu deum tuum liberas, tu iacenta lapidis membra componis, tu insensibile corri gis saxum. Tibí agat gratas deus tuus, te paribus remuneret donis, te sui velit

esse participem. Sic moriaris ut moritur; sic vivas ut vivit. 1. Sveliamo anche un altro simbolo affinché siano rivelati ì delitti di un pensiero impuro; e di questo /' intero rituale deve essere raccon­ tato affinché da chiunque sia possibile constatare che la legge della disposizione divina sia stata corrotta dalla perversa imitazione del diavolo. In una celta notte un simulacro è collocato in posizione supina su di una lettiga e viene pianto con dei lamenti regolati secondo cadenze. Poi, saziatisi di queste false cerimonie di lutto, viene intro­ dotto un lume. Allora da un sacerdote viene unta la gola di tutti quelli che piangevano, ai quali, unti, il sacerdote mormora con questo lento sussurro: «Non temete iniziati del dio che è stato salvato, infatti per noi ci sarà salvezza dai mali» ... 3. Un idolo seppellisci, un idolo piangi, un idolo tiri fuori dalla tomba e f sventurato, ti rallegri di quello che tu hai fatto! Tu liberi il tuo dio, tu componi le (sue) membra di pietra che'giacciono, tu rimetti in piedi un sasso insensi­ bile. Che il tuo dio ti ringrazi, ti remuneri con pari doni, voglia che tu sia partecipe della sua stessa divinità. Come lui muore tu possa morire, come lui vive tu possa vivere.

38) Eutr., Brev., VÌI, 23, 5: Romae multa opera fecit, in bis Capitolium et Forum transitorìum, Diuorum porticus, lsium et Serapium et stadium. A Roma (Domiziano) fece restaurare molti edifici, fra questi il tempio di luppiter sul Campidoglio e il foro transitorio, il portico degli dèi, ITseo e il Serapeo ed anche lo stadio.

39) Serv., In Verg. Aen., Vili, 696: Cleopatra sibi tantum adsumpserat, ut se Isin villat videri. Isis autem est genius Aegypti, qui per sistri motu, quod gerii in dextra, Nili accessus recessusque significati per situlam, quam sinistra manu retinet, ostendit fluentiam omnium lacunarum.

Cleopatra aveva voluto riservarsi un onore così elevato da volere apparire come lsi$. Ora, Isis è un genio dell'Egitto che con il movi­ mento del sistro che porta nella mano destra allude ai flussi e ai riflussi del Nilo; attraverso la sitala che tiene con la mano sinistra si richiama al flusso di tutte le cavità dove si forma l'acqua.

40.1) Script. Hist. Aug., P e s e 6, 8-9: 8. Hunc in Commodianis hortis in portici) curva pictutn de musio inter Commodi amicissimos videmus sacra Isidis ferentem; 9. quibus Commodus adeo deditus fuit, ut et caput raderet et Anubim portaret et omnis pausas expleret. 8. Nei giardini di Commodo, sotlo un portico a volte, lo (se. Pescennio Nigro) vediamo in un mosaico tra gli amici intimi di Commodo nell'alto di portare gli oggetti, sacri di Isìs, 9. al cui culto Commodo fu a tal punto intento e devoto da radersi il capo, portare Anubis e fare tutte le stazioni.

40.2) Script. Hist. Aug., C a r 9,10-11:10. Sacra Isidis Romani deportauit et tempia ubique magnifice eidem deae fecit; sacra etiam maiore reverenda celebravi^ quam antea celebrabantur. 11. In quo quidem mihi mirum videtur, quemammodum sacra Isidis primum per hunc Romam venisse dicantur, cum Antoninus Commodus ita ea celebraverit, ut et Anubin portaret et pausas ederet; nisi forte iste addidit celebritati, non eam primus invexit. 10. (Caracalla) porlo a Roma i sacri riti di Isis e ovunque sontuo­ samente fece costruire dei templi per la slessa dea; celebrò i riti sacri con una solennità maggiore di quella con cui precedentemente si erano celebrati. 11. A questo proposito a me sembra davvero strano che si dica che i riti sacri di Isis siano giunti a Roma grazie a questo (imperatore), dai momento'che Antonino Commodo li aveiw celebrati a tal punto da portare Anubis e fare le stazioni, a meno che non (si

voglia intendere che) lui ne aumentò la solennità e non che per primo li introdusse.

40.3) Script. Hist. Aug., Alex. S e v 26, 8: Isium et Serapium decenter omavit additis signis et Deliacis et omnibus mysticis. (Alessandro Severo) ornò convenientemente Vlseo ed il Serapeo con raggiunta di statue, di bronzi deliaci e di tutti gli oggetti sacri relativi ai misteri.

40.4) Script. Hist. Aug., Quadr. tyr., 8, 1-4: 1. Hadrianus Augustus Serviano consuli salutem. Aegyptum, quam mihi laudabas, Serviane carissime, totam didici levem, pendulam et ad omnia famae momenta volitatem. 2. Tllic qui Serapem coiunt, Christiani sunt et devoti sunt Senapi, qui se Christi episcopos dicunt, 3. nemo illic archisynagogus Iudaeorum, nemo Samarites, nemo Christianorum presbyter non mathematicus, non haruspex, non aJiptes. 4. Ipse ille patriarcha cum Aegyptum venerit, ab aliis Serapidem adorare, ab aliis cogitur Christum. 1. Adriano Augusto saluta il console Serviano. Carissimo Serviano, quell'Egitto che tu mi decantavi a me è risultato essere (un paese) del tutto incostante, infido e pronto ad andare dietro a qualsiasi capriccio della fama. 2. Lì, quelli che venerano Sarapis sono cristiani, mentre quelli che dicono di essere vescovi di Cristo sono devoti di Sarapis; 3. Ji un qualsiasi capo della sinagoga dei Giudei, un qualsiasi samari­ tano, un qualsiasi presbitero di Cristo è anche un astrologo, un indoinno, un medico tutto particolare. 4. E lo stesso patriarca in persona una volta giunto in Egitto si trova costretto da alcuni ad adorare Sarapis, dagli altri Cristo.

41) Macr., Sat., I, 20, 13-18: 13. Eidem Aegypto adiacens

civitas, quae conditorem Alexandrum Macedonem gloriatur, Sarapin atque Isin cultu paenc attonitae venerationis observat. Omnem tamen iUam venerationem soli se sub UJius nomine testatur impendere, vel dum calathum capiti eius infigunt, vel dum simulacro signum tricipitis animantis adiungunt; quod exprimit medio eodemque maximo capite leonis 14. effigierà, dextra parte caput canis exoritur mansueta specie blandientis, pars vero laeva cervicis rapads lupi capite finitur, easque formas animalium draco conectit volumine suo, capite redeunte ad dei dexteram qua compescitur monstrum ... 16. Accipe nunc quid de sole vel Sarapi pronuntietur oráculo. Nam Sarapis, quem Aegyptii deum maximum prodiderunt, oratus a Nicocrconte Cypriorum rege quis deorum haberetur, his versibus sollicitam religionem regís instruxit: 17. «Ei^iì 0eòc xoiócSe |iOt0riv, oióv k ’ èyco eÌTtcù1 / oùpavioc icóqioc KE$aXq, yacxqp 5è QáXacca, / yota Sé \io\ kó& c dei, xà 8’ ouax’ èvaiOépi iceixai, / oppa 8è xriXauyèc Xa^utpov $àoc f|eÀ.ioio». 18. Ex his apparet Sarapis et solis unam et individuam esse naturam. Isis iuncta religione celebratur, quae est vel terra vel natura rerum subiacens soli. Hinc est quod continuatis uberibus corpus deae omne densetur, quia vel terrae vel rerum naturae altu nutritur universitas. 13. Una città che si trova sempre in Egitto, la quale si gloria di un fondatore come Alessandro il macedone, onora Sarapis ed Isis con un culto caratterizzato da una venerazione che sembra ispirata. Tuttavia è chiaro che, sotto quel nome, tutta quella venerazione sia rivolta al sole, intanto perché pongono sul suo capo il modiof e poi perché affiancano alla statua Vimmagine di un animale tricipite. Questo come testa centrale, che allo stesso tempo è la più grande, ha il capo di un leone; 14. nella parte destra, invece, si alza la testa di un cane che rassicura per il suo atteggiamento mansueto, al contrario la parie di sinistra del collo (dell'animale) finisce con la testa di un lupo rapace; e queste immagini di animali le lega insieme un serpente con le sue spire che con il capo va a posarsi sulla destra del dio dalla quale il mostro è ammansito ... 16. Apprendi ora ciò che su Sarapis ossia

il sole sarebbe stato detto dall'oracolo. Infatti quando a Sarapis, nel quale gli Egiziani hanno voluto riconoscere il più grande fra gli dèi, Nicocreonte, re dei Ciprioti, chiese in preghiera in che modo fosse considerato fra gli dèi, ed il dio tranquillizzò con questi versi quell'in­ quieta coscienza religiosa: 17. «io sono un dio da conoscere per come 10 (mi) voglio descrivere. La mia testa è il cosmo celeste, lo stomaco 11 mare, la terra i miei piedi, le orecchie si adagiano nell'eteret gli occhi fanno risplendere da lontano la luce del sole». 18. Da queste cose si deduce che la natura di Sarapis e del sole è una sola ed indivisibile. Con una congiunta cerimonia religiosa si onora solenne­ mente anche Isis, che è la terra o la natura che soggiace al sole; per questo tutto il corpo della dea è pieno di mammelle che si succedono una dietro l'altra, poiché l'universo intero è nutrito grazie al sosten­ tamento della terra o della natura.

42) Rut. Nam., De red., I, 371-376: Lassatum cohibet vicina Falena cursum, / quamquam vix medium Phoebus haberet iter; / et tum forte hilares per compita rustica pagi / mulcebant sacris pectora fessa iocis; / (375) ilio qulppe die tandem revocatus Osiris / excitat in fruges germina laeta novas. Faìeria vicina accoglie il nostro stanco cammino benché Phoebus sia appena a metà del suo viaggio, proprio quando i villaggi in festa lungo le strade campestri che s'incrociavano addolcivano gli animi stanchi con sacre cerimonie di letizia; infatti proprio in quel giorno Osiris, finalmente tornato di nuovo, desta lieti germogli a nuove messi.

43) Myth. Vat. Prim., I, 78, 1-5: Fabula Api. 1 Refert Solinus quod inter omnia, quae Aegyptus digna memoratu, praecipue mirentur bovem, quern Apin vocant, insignem albae macula notae, quae dextro lateri eius ingenitam refert comiculatae lunae faciem. 2. Hunc Aegyptus ad instar numinis

colit, eo quod de futuris det quaedam manifesta signa; apparet e in Memphis. 3. Cui statutum aevi spatium est; nam immersus profundo sacri fontis necatur, ne diem longius trahat quam licebit; mox alter sine publico luctu requiritur. 4. Hunc etenim centum artisti tes Memphim prosecuntur et repente, velut lymphatici, praecinunt. 5. Dat omina manifestantia de futuris: illud maximum, si de cl[i]entis manu cibimi capiat. 7/ racconto su Apis. 1. Solino racconta che fra tutto ciò che in Egitto merita di essere ricordato suscita l'interesse maggiore quel bue che chiamano Apis; questo che si distingue per una macchia bianca presente fin dalla nascita sul fianco destro che è a forma di una luna con le corna. 2. L'Egitto lo venera come un nume anche perché egli fornisce dei segni manifesti su quanto accadrà; in ogni modo è visibile a Menfi. 3. Per lui è stato stabilito un preciso periodo di vita. Infatti, affinché non viva un giorno di più (di quanto stabilito), viene ucciso una volta immerso profondamente in una fonte sacra; subito dopo se ne cerca un altro senza pubbliche cerimonie di lutto. 4. £ in quest'oc­ casione che cento sacerdoti lo accompagnano a Menfi e all'improv­ viso, come invasati, cantano. 5. Offre segìti manifesti su quanto accadrà: quello più evidente in assoluto consiste nel prendere o meno il cibo dalla mano di chi lo consulta.

44) A retalogia di M aronea (Y. G randjean, Une nouvelle aritalogie d’Isis ä Maronee, EPRO, 49, L eiden 1975, pp. 17 ss.): ... "flcnep ouv ETci

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öppaxeov,

Tlci, id tc euxcttc / lenntcloucac, eX 0 e

xoic e7iai.voic Kai ¿ tu Seuxepav euxnv- / k a l i 7 &p xö cö v exK cip io v xcT|v Kai 0 e à vópov EYpayev- c o i npòc KaxoiKr|civ /

(35) AÌyujixoc ècxépxQe- ci> p à X ic x a xfjc 'EAAaSoc ÈxipT|cac x à c /'A O i iv a c KEì0i Yàp nprixov xoùc tcaprcoùc è ^ E ó riv a c T p in x ó X f/p o c 8è xoùc iepoùc 8pàKovxac cou KaxaCeù^ac à p p a x o ^ o / poópEvoc eie n a v x a c "EW ir|vac

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/ xfic pèv 'EXÀà8oc i8éìv cncóSopev x à c ’ A 0iiv ac, xriv 8 ’ ’A0t|(40) vriv ’ EXEuctva, xfjc pèv Ei)pdnr|c vopi^ovxec xf|v nóXiv, xfjc / 8è

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èyvio xepov rfjv y u /v a lK a ...

£ dunque, come già per gli occhi, Isis, rispondesti alle mie preghiere, giungi grazie alle lodi anche per (questa) seconda preghiera. Il tuo encomio, infatti, è ben più importante dei (miei) occhi... con questi io ho visto il sole, e vedo il cosmo che è tuo. Sono convinto che tu mi assisterai in ogni caso. E infatti, se invocata sei giunta per la mia salvezza, come non verrai per la tua propria lode? Dunque con

fiducia io procedo oltre, ben sapendo che l’encomio, mentre è il pensiero del dio, le mani d ell uomo lo scrivono. E per prima cosa mi rifarò alla stirpe, volendo tracciare l'inizio degli encomi, l'origine prima della tua stirpe. Dicono che la terra sia stata la madre di tutti; tu sei figlia di lei che è la prima; tu prendesti Sarapis come sposo, con l'istituzione della vostra unione si stabilì il comune matrimonio, per i vostri volti il cosmo risplendette, posto sotto ia legge di Helios e di Selene; ebbene mentre voi siete due, dagli uomini siete invocati con molti nomi; la vita sa infatti che soltanto voi due siete dèi. E come dunque il più difficile fra gli encomi quando sarà necessario provve­ dere all'encomio per molti dei? Proprio lei, assieme ad Hermes, inventò le lettere e, fra le lettere, quelle sacre per gli iniziati e quelle pubbliche per tutti; proprio lei istituì la giustizia affinché ciascuno di noi, come ebbe già la medesima morte per natura, conoscesse anche il vivere secondo le stesse modalità; proprio lei stabilì la lingua per gli uomini, barbara per gli uni, greca per gli altri, affinché il genere umano vivesse in armonia, e non solo gli uomini verso le donne ma tutti verso tutti. Tu desti le leggi, dapprincipio si chiamarono thesmoi, e per questo le città furono fondate rettamente poiché fecero ricorso non alla violenza come legge ma ad una legge lontana dalla violenza. Tu decidesti che i genitori fossero onorati dai figli, considerandoli non come genitori semplicemente ma come divinità. Per questo la ricono­ scenza è ancora più grande da quando la dea stabilì come legge una necessità naturale. L’Egitto si rallegra per essere per te luogo di soggiorno; della Grecia tu onorasti soprattutto Atene, là invero, per la prima volta, rivelasti i frutti (della terra); Trittolemo infatti dopo aver aggiogato i tuoi sacri serpenti, andando sul carro distribuì il seme a tutti i Greci; per questo della Grecia noi desideriamo vedere Atene, e di Atene Eieusi, convinti che là città è ornamento dell’Eu­ ropa ed il santuario è ornamento della città. Lei stabilì la vita prodotto dell’uomo e della donna...

45.1) Hymn, ad Is., I (V. F. Vanderlip, The Four Greek Hymns oflsidorus and the Cult of Isis, ASPap., 12, Toronto, pp. 17 ss. 1972):

nAo\)Xo8óxi p aciteia Oeiòv, EppoóOi «vacca. / reavxoicpàxeipa, T v>xt | 'A Ya0ii, peYateóvope "In . / Ai\oì ói)n.cxT\, £a)fjc eòpéxpia ndcTic. / navxoicov epYOJv èpèAncé coi, òp’ àvaSoii^c / (5) àv0p(Ó7ioici piov te icai eòvopiriv xe ànaci, / icai 0ecpoùc KaxéSei^ac. iv ’ eùSikìti tic imàpxTl, / foà xéxvac àvéStoicac, iv ’ eùcxipitìv pioc eìr|, / icai jiàvxiov xe óciv eùav0éa eòpeo icapjuóv. / Coù xe xà p iv covécxtix- ó jióAoc tcai y a \ a à n a c a / (10) icai rcvoiai àvépiov icai fiAioc ò YAomxJieYYiic. / Cfji Suvàpei N eiteu noxapoi nATipoòvxai ànavxec / © piu ÒJKopivfji, icai XaPpóxaxov xeì0’ òS©p / YCaav rtàcav em .iv’ òvéyAijioc icapnòc imàpXTl- / òccoi 8è ^cóouci ppoxoi ère' àrceipovi Yait|i. / (15) ©pqticec icai ’EAAr|vec, icai Òccoi pàpPapoi elei, / oòvopà eoo xò KaXóv, jioAoxiprixov nap à noci. / a>vaici pà£oi)c’ iSiaic, iS ia i évi nàxpT|i. / ’Acxàpxr|v 'A p xe p iv ce Cópoi kA i ì £o u ci N a v a ia v / icai Aoicitov è0vri ! t |} Ar|xoòv icateooeiv à va d ca v / (20) Mrixépa Sri icAiféooci 0ed>v icai ©piiiKEc àvSpec, / "EAAnvec 5 ’ "H piiv p£YaAó0povov r|8’ ’A(|»po8ixTilv / icai ‘Ecxiav ¿YaOiiv, icai 'Peiav, icai Aiipx|xpa, / AiyÓTtxioi 8è 0 io u iv, òxi poóvri ei cò ànacodi / a i imo xcàv é0vdjv òvopal^ópevai 0eài àAAai. / (25) Aecjrón, oxi Atì^w peYàAr|v Só vap iv eoo àei5©v, / ctóxeip’ àOavàxt), noAucóvope, M a peyicxri, / èie notepou popévri xe rcóAeic itóvxac xe noAixac, / aòxoòc icai à te x o vc icai icxripaxa icai iAa xéicva. / òccoi 8’ èp poipaic Oavàxoo covéxovxai èv eipicxfìi, / (30) icai òcoi ¿Y P ^rcviaic peYaAaic ò x A o ò vx ’ óSovripccìc, / icai oi èv àXAoxpirn x(ópT|i nAavocópevoi àvSpec / icai òcoi èp neAàYCi peyàAcoi xeiptòvi nteooci / àv8pd)v óAAupévaiv vT|div icaxà ¿Yvupevàw v, / ctó^ovG’ oòxoi ànavxec, èneo^apevoi ce napéivai. / (35) KAGOi èptov eùx©v, peyaAocOevec oóvop’ èxoucla / eòeiAaxòc époi xe Yrivoo, Aótctìc p ’ àvànaocov ànàcTic. / ’Ici8pocóvqv xe àXorcov. / "O ccoi 6è £K£. / KXò0i èp oó, ’A y a 0 q

xe

xóxq,

ìkétoo

eoo, à v a c c la , / (20) fj jtoo éc

Aipòqv q èc Nóxov àpipépqKa[c, / q Popéoo rcépaxa v a in e q5orcvóoo a te i. / q Eòpoo rcvcoiac, Ò0i à v x o to à qeX ioio, / q Kai “OÀopTcov 'iieavec òn oo pavitov(ec èvldiciv / q Kai èv oópavw i o\|n |iex’ àO a v a x o ici SiK a^eic, / (25) q Kai qeXioo cÒKo5pópoo à p p a x a p ò c a , / KÓcpov arcav 5 ia y o o c a , Kaxorcx e ó o o c a a n a v x a / ep y ’ dvSpdiv àcePcòv xe Kai eòcepéoav KaOopcòea, / eì 6è Kai ó 5 e rcdpa, i8 i a v àpexqv è^opcòca, / xeprcopévq O ó p a o v , X o ip a ici xe qfiè OoqXaìlc, / (30) dv8p(óv vaióxcov C o ó xoo vopòv ’Apcivoeixtov / nappóAxov eOvóàv, ò cco i

ìc a i’ eroe te judpeici / eiicdSi \ir\v\ n a x ù v icai 0arì)0 SeicdxTiv co i aYOv[TÌdc /

koA

’A yxóth » C oKovana, Oeoic !a) à y io ic iv ,

èopxii. / nx)6opévT| £X>xwv, p£Aavii p cy aX o i x£ 0eo i c ó v v a o i àji* a titf ìi, / jcéfiyax’ èjio'i J l a i à v \ dxétolv it|xopa nàvxoolv. / ’IciS o p o c / eyp ay£.

Custode degli dèi altissimi, signora (di) Hermouthis, Isis pura, santa, grande, Deò dal grande nome, santissima dispensatrice di beni per tutti i mortali, hai concesso ai pii di avere grandi benefici e ricchezza e una vita dolce e una gioia perfetta. Felicità, benessere e saggezza esente da dolore. Tutti quelli che vivono nella più grande beatitudine, uomini eccellenti, i re che portano lo scettro e quanti sono capi, questi rivolgendosi a te governano fino alla vecchiaia lasciando una splendida, magnifica e grande ricchezza ai figli, ai nipoti e agli uomini che verranno in seguito. Colui che la regina ha considerato il più caro dei sovrani, costui regna sull'Asia e sull'Europa mantenendo la pace; grazie a lui i buoni frutti di ogni genere crescono raggiungendo la migliore maturazione. Dove (ci sonoJ guerre e soprattutto massacri di folle innumerevoli la tua forza, la tua potenza, indebolendo la moltitu­ dine, dona coraggio ai pochi. Buona Fortuna, ascolta me tuo supplice, signora, in qualunque luogo eserciti la tua salvaguardia, verso la Libia o verso sud, sia che tu abiti i confini di Borea dal soffio sempre dolce, sia dove soffia ¡'Euro, dove vi è il sorgere del sole, sia anche che tu raggiunga l'Olimpo dove si trovano i celesti, sia che tu giudichi tra gli immortali nel cielo altissimo, sia che, salita sul carro del sole dalla rapida corsa, percorrendo l'intero universo esamini tutte le opere degli uomini empi e contempli quelle dei pii, se pure sei presente in questo modo, mostrando la virtù cheti è propria, rallegrandoti per i sacrifici, le libagioni e le offerte degli uomini che abitano nella regione di Souchos fra i popoli di ogni stirpe di Arsinoe, quanti ogni anno sono presenti il venti del mese di Pacone c di Thoth portando la decima a te ed anche ad Anchoes e Sokonopis, dèi santi, ed è festa. Persuasa dalle preghiere, Isis misericordiosa vestita di nero e voi, grandi dèi che abitate insieme a lei io stesso tempio, inviatemi Paian guaritore di tutti i mali. Isidoro ha scritto. [CS]

45.4) H y m n . ad />•., IV (V.F. Vanderlip, The Four Greek ... cit., pp. 63 ss.): Tic xó5c tryvov ÈSeip' itpòv 'EppouOi pFyicTiii; / noie 0còe ¿pviicOr) naviepori pateóptov; / Oc aiicriv tcca àSuxov ÈcTipr| Kovòc cicxp© ¿TnxeWtOixra. - ’Ey© / d pi fi TKXpd y w ai^i 0eòc KaXoupÉvT|. - ’Epen Boüßacxoc / (15) nóXic ©Koôopii0r|. - ’Ey© ex©pica yfiv dre’ oiipavoú. / ’Ey© äcxp©v ó8oùc eôeiÇa. - ’Ey© t)Xío \) icai ceX.iívr|ícl / uopéav cuvexaÇdpr|v. - ’Ey© OaÀdccia èpya eopov. - ’Ey© xò Siicaiov icxupòv éiroír|ca. - ’Ey© yuvaÎKa icai áv6p a / cuvríyayov. - ’ Ey© yuvaiÇi ô£Kapr|vdiov ßpeoc de / (20) (ßcöc È^eveyKéìv exa£a. - ’Ey© imo téievovi yovdc / èvopo0éxT|ca ((iiÀxicxopyìcOai. ’ Ey© xoic dcxóp /yoic yoveòciv Siaiceipévoic xeip©(pi)av èjiéOriica- / ’Ey© pexà xoù àSetafioi) ’Ocipiòoc xàc àv0p©7coa/ yiac en arca. - ’Ey© put|ceic dv0p©noic èreeSciU—/ (25) Ça. ’Ey© àydXpaxa 0e©v xeipâv èôiôaÇa. - / ’Ey© xepevq 0e©v i8prcdpr|v. - ’Ey© xupdw©v àpxàc KaxéXrca. - ’Ey© (Jióvorc en arca. - ’Ey© cxép/yEc0ai yovaticac imo àv6p©v r|vayKoca. - ’Ey© / xò 5ÌKaiov ìcxvpóxEpov xprcíou Kcà àpyupioo ènoiri-/ (30) ca. - ’Ey© xò àXriOÈc ko X òv èvopo[0e]xr|ca vopiÇe[c]/0ai. - ’Ey©cx)vypa«t>àc yapiKÒc eòpov. - ’Ey© 8io &£ k x o w / "EXA tici icai ßapßdpoic èxaÇa. - ’Ey© xò icaXòv Kai aicxpò(v) / 5 ia yeiv©cKEc0ai imo xr)c rce©c èitoÌTica. - ’Ey© / öpKov oßE— pcòxEpov oò0Èv èitoinea. - ’Ey© xòv à8iic©e / (35) emßorcicEÓovxa aXXoic im oxEÌpiov x© èrtißox>/ (Weuopév© napèS©Ka. - ’Ey© xoic à5iKa npdccorciv / XEip©piav èmxi0Tipi. - ’Ey© ÍKÉxac éXeav evopo0[él/xr|ca. - ’Ey© xoòc SiKaicx àpovopévorc xeip©. - n a p ’ èpoi xò SÍKaiov icxòei. - ’Ey© noxap©v Kai àvép©v / (40) [K]ai OoXócctic dpi icupia. - Oi)0eic SoÇdÇexai avevi xric è/piyc yv©pr|c. - ’Ey© dpi noXépovi mipia. - Ey© KEpaó/voo icopia eipi. - ’Ey© npaòv© Kai Kvipaiv©

Qakacaxv. / ’Eya> èv ia u ioti t|Mo\> aiiyaìc eiju. - ’Eyco reape5pe\3co xri / tou T|Xio\> reopeia. - 'O àv èjioi 5o^r|, t o u t o icai, teÀ£iTa[i]. / (45) ’Ejidi retivi" èreeiicci. - ’Byti) tc èv 5ecpóìc kvaxi*. / ’Eycb vcnmUac eijii KDpia. - ?Eyd) là retanà àreXioia reoi[cò ò ]/ia v èpoì 5ó£t|. - ’Eya) 7iepipóXo\>c reótecov £ ktica. - ’E/(y)có eipi r] 0ecjioópoc Ka^oupévr]. - ’Eyà v(tì)cco\>c èy P[\)/0]d)v eie (Jiaiv (sic) àviiyayov. - ’Ey(ì> òpppov eipi icvpia. ’Eya) / (50) tò ipapjièvov viiao. - ’Epo\> xò eipappèvov ¿icotiei. / Xaipe AiyoreiE 0pév|/acà jì£. Demetrio figlio di Artemidoro, detto anche Trofica, di Magnesia sui Menandro ad Isis come voto (vac). Queste parole furono trascritte dalla stele di Menfi, quella che è posta nei pressi dell'efasteion (vac.). lo sono Isis, la signora di tutto il territorio, fu i istruita da Hermes, con Hermes inventai le lettere, quelle sacre conte quelle demotiche affinché tutte le cose non fossero scritte con gli stessi (caratteri), lo stabilii le leggi per gli uomini e disposi quelle cose che nessuno può avere la forza di cambiare, lo sono la figlia maggiore di Knrnos. lo sono moglie e sorella del re Osiris. lo sono colei che scoprì il frutto per gii uomini. lo sono madre del re Horos. lo sono colei che sorge nella costellazione del cane. lo sono colei che è chiamata dea dalle donne. Grazie a me venne edificata la città di Bubastis. lo separai la terra dal cielo. Io segnai le vie degli astri, lo stabilii il corso del sole e della luna. Io inventai le opere del mare, lo resi sicura la giustìzia. Io congiunsi l'uomo e la donna, lo stabilii che la donna portasse alla luce il feto nel decimo mese. Io stabilii che i genitori fossero amati con tenerezza dai figli, lo disposi la pena per i genitori che si mostrano incapaci di amare, lo con mio fratello Osiris posi fine all'antropofagia, lo fondai i riti iniziatici per gli uomini. Io ho insegnato a venerare le statue degli dei. lo fondai i santuari degli dei. lo abbattei il potere dei tiranni. lo posi fine alle uccisioni, lo determinai che le donne fossero amate dagli uomini. Io resi la giustizia più forte dell'oro e dell'argento. Io feci in modo che la verità fosse considerata una cosa bella. Io inventai il contratto matrimoniale. Io stabilii le lingua per i greci ed i barbari. Io stabilii che la bellezza e la turpitudine fossero distinti

secondo (In loro) natura, lo feci sì che nulla fosse più temibile del giuramento, lo ho fatto sì che Vinsidiatore cadesse sotto il potere di colui che è oggetto di insidie. Io impongo la punizione per coloro che commettono ingiustizie, lo legiferai che si avesse pietà per i supplici, lo rendo onore a coloro che si difendono secondo giustizia. Presso di me la giustizia è forte. Io sono la signora dei fiumi, dei venti e del mare. Nessuno può gloriarsi senza il mio consenso. Io sono la signora della guerra. Io sono la signora del fulmine. Io calmo ed agito il mare. Io sono nei raggi del sole. Io presiedo al cammino del sole. Ciò che io voglio questo si compie. A me tutte le cose si arrendono. Io sciolgo quelli (che sono) in catene. Io sono la signora della navigazione. Secondo il mio volere io rendo le cose innavigabili navigabili. lo eressi le mura di cinta delle città. lo sono chiamata tesmofora. Io dagli abissi portai alla luce le isole. Io sono signora delle piogge. Io vinco il destino. Il destino mi ubbidisce. Salve, o Egitto, che mi hai nutrito\

1 Questa traduzione si basa su quella presentata e commentata da Ugo Bianchi durante le lezioni tenute neH'armo accademico 1987-1988.

Culti di origine frigia, tracia e microasiatica: Cybele, Attis e il taurobolio; Sabazius; Ma-Bellona; M en

11/1 Cybele, Attis e i! taurobolio

1) tìymn. Hot»., XIV: Eie Mryrépa ©edìv. Mfixépa noi rcdvxwv xe 0cóiv rcdvxtov x’ dvGpcórccov / ripvei, Monca Xiyeia, Aiòc' GuyaiTip jieYÓXoio, / q tcpoxàXaiv Turcàvtov x’ iaxn cóv xe Ppójxoc aòXióv / eòaòev, n S è X ó k o ì v KA.aYYiì x.apojuov xe Xeóvxtov, / (5) oupeà x’ lìxiievxa sa i óXiievxec évavXoi. / Kai cù (lèv ouxco xdìpe 0eai 0’ à p a Tcàcai doiSfj. Alla Mater degli dèi. La Mater di tutti gli dèi e di tutti gli uomini inneggia per me, Musa Iigea, figlia del grande Zeus, cui è caro il clamore dei crotali e dei timpani e il suono stridente dei flauti, ed anche il grido dei lupi e dei leoni selvaggi, i monti che riecheggiano, le valli piene di selve. E così saluto te ed anche tutte le dee, col canto.

2.1)

Hippon., fragm. 125 Degani: Kai Aiòc

KO Ó pT)

Kopiipri

Kai 0peiKri BevSìc

Cybele figlia di Zeus e Bendis di Tracia.

2.2) Hippon., fragm. 167 Degani: 1 Tzetz. ad Lyc. 1170 p. 399, 15-17 Scherr «cxeppdv K0J3eA.iv»: icxupòv TceXeKOV. 'O '1muòvai; KópriXiv xt)v Péav Xéyei Jtapà xò èv KupéXÀqt jcóXei Opvyictc xipctc0ai. Il cf. Steph. Byz. (389,9-12 Mein.) KopéXeiajx ó X ic ’Iioviac ... ècxi Kai KóPeXa «bpoyiac- Kai KòpeM.ov Òpoc iepóv, d(t»’ ori KoPéXri t\ 'Ha. Xéyexai KopeXT|YevT)c Kai KuPeXic.I I Tzetz. Ad Lyc. 1170 p. 399, 15-17 Scherr: lpponatte chiama Rhea Cybele perché la si onora a Cibella città di Frigia. II cf. Steph. Byz. (389, 9-12 Mein.): C'è anche Cibela di Frigia e Cibello un monte sacro, da cui Rhea è detta Cybele, stirpe di Cybele, Cybelts.

3) Pindv fragni. 70b + 81M: (5) [Cooi oi ... eILSótec / oiav BpopioD IteAehàv / icai rcapà ckoItctìov Aiòc OùpaviSm / èv lieydpoic icxavxi. Cepvqt pèv Kaxapxei / Maxépi itàp pevci^a póppoi to ravajv, / (10) èv 6è KéxXaSevI KpóxaX’ aìGopèva te / Saie imo ^avG aìci n e vratc / èv 8è Notiikov èpiySaunoi cto vaxai / p a v ia i x’ àX aX ai x' òpivexai p iya iix e v i / cùv k Xóvo). / (15) 'Ev 6’ ó rayKpaxi|c Kepavvòc àprevéctìv / 7ii>p tCEKiviiltai xó x l ’EvoaXioo / èyxoc, àXKÓEccd [tìe naXXaSolcI aiyxc / poplcov ^Goyyd^exai KXayyaic SpaKÓvxov. /'P ip ^ a 6' eiciv "AptEpic oioicoXdc £eó- / (20) £a ic’ èv òpyaic / Baicxiaic , xupnavóv xe ÈXiov m i EKÌiicàpevoc dydXpaxa. 5. KaV xeòv xic C k u O é c o v icaxapac0£lc aùxòv xaùxa jtoieùvxa ècri prive x© PaciXéi CavAUp* ó 8è m i avxòc drciicópevoc eòe el5e xòv ’Avaxapciv reoieùvxa xaùxa, xo^eùcac aùxòv àrcÉKxeive. 2. Avocarsi ... navigando attraverso VEllesponto approdò a Cizico, 3. e trovò gli abitanti di Cizico maitre celebravano in modo

assai grandioso una festa in onore della Mater degli dèi. Quell'Anacarsi fece voto alla Mater che, se fosse tornato in patria sano e salvo, avrebbe sacrificato così come aveva visto fare agli abitanti di Cizico ed avrebbe istituito una festa notturna. 4. Non appena giunse in Scizia, inoltrandosi nella regione chiamala Uea (la quale si trova presso la corsa di Achille, ed è anche piena di alberi di ogni tipo) Anacarsi celebrò per intero la festa in onore della dea tenendo un timpano e portando addosso immagini sacre. 5. Uno scita, essendosi accorto di quello che stava facendo, lo rivelò al re Saulio il quale, essendosi recato là di persona, non appena vide Anacarsi nell'atto di compiere tali riti, lo uccise colpendolo con una freccia.

6) Ap., Argon., 1 ,1092-1152: «AìcovìS t|, xpeuóce xó6’ iepov eìcavióvxa / AivSópov ÒKpióevxoc èótìpovov iXa^acGai / Miixépa cupjtavxeov patcapcov, Xt^ odci 8’ òeWuxi / (1095) Caxpt|éicxoìt|v YÒp è7to véov òccotv àicouca / àXicuóvoc ó Xìtic, fi xe tcvcóccovxoc iirapGev / celo rapii; xà EKacxa 7nm>cicop£VT| TCJióxrixo. / 'E k yàp tòc àvepoi xe Gdkacca xe veióOi xe xGàv / naca raraipavxai vnjióev 0’ e8oc Oùkóp.rcoio / (1100) icai oi, òx’ èt, òpéoov piyav oùpavòv eìcavapaivq, / Zeùc aùxòc Kpovi8ric ùnoxd^Exai, àie 8e |ìov , àXXa cijiiv xóx* àvéPpaxe SiyaSoc a\>xcoc / èk tcopv>fic àXXr|KXOV' *It|covìtiv 8’ EvércoiKi / keìvo ttoxòv Kpt^vriv TiEpivaiéxai dvSpec Ò7riccct). / (1150) Kdi xóxe jifev 8aìx’ 0eàc 0écav otfpEciv "Apicxcov, / iìe Xtcovxec 'Peìtiv tcoXdTióxviav* a\)xàp èc tho / Xt^ óvtcdv àvi^uov vtìcov Xinov eLpeeii^civ. [Mopso sveglia Giasone e gli dice:! «Esonide, è necessario che tu salendo al santuario dell'aspro Dindimo plachi la Mater dal bel trono di tutti i beati, cesseranno le furiose tempeste; io udii una tale voce dell'alcione marino, che mentre tu dormivi era volato intorno a te preannunciando ogni cosa. Infatti da lei sono governati i venti, il mare, tutta la terra fino affondo, la sede nevosa dell'Olimpo; e di fronte a lei, quando dai monti sale al grande cielo, lo stesso Zeus figlio di Kronos si fa indietro, così anche gli altri beati immortali onorano la dea terribile» ... {Giasone raduna i compagni e con loro sale sul Dindimo! Nella selva c'era un tronco di vite robusto, cresciuto lì, vecchio già da molto tempo; lo tagliarono per fam e un simulacro sacro della dea montana, Argo lo incise ad arte; lo collocarono su di un aspra cima, coperta di querce altissime, che più in alto di tutte mettono le loro radici. Costruirono poi anche un altare di pietra: e, coronati di foglie di quercia, celebrano il rito sacrificale invocando la Mater Dindimea molto potente, protettrice della Frigia, e insieme Tizia e Cillenio, i soli che hanno avuto il nome di assistenti della Mater Dindimea e reggitori del destino, tra tutti quanti i Dattili Idei di Creta, che, un tempo, la

significa il rumore che si produce durante la coltivazione dei campi, sia ad opera degli strumenti di ferro di cui bisogna senùrsi, sia delie mani e sia della attività medesima; pertanto il cembalo è di bronzo perché gli antichi coltivavano la terra col bronzo prima clic si scoprisse il ferro. Aggiungono - dice - un leone sciolto e mansueto per indicare che non esiste nessun tipo di terra estraneo alla coltivazione e incolto a tal punto che non com'enga dissodare c coltivare ... 2. Questi sono dunque i famosissimi misteri di Tellus e della Magna Mater per i quali tutti fanno riferimento ai semi destinali a morire e all'esercizio dell'agricol­ tura. E così, dunque,r come possono promettere a qualcuno la vita eterna il timpano, le torri, i galli, l'invasata convulsione di tutte le membra del corpo, il crepitare dei cembali, l'allegoria dei leoni, cose che sono riconducibili a questi signicati ed hanno questo fine? E così sarebbe per questo che i galli evirati servono una tale Magna Dea, proprio loro che hanno bisogno del seme? E così starebbero a significare che bisogna dedicarsi alla lavorazione della terra, quando proprio lo stesso servizio li rende piuttosto bisognosi del seme? Ma, a dire la verità, con ì'atten­ dere a questa dea acquistano il seme quando ne hanno bisogno oppure perdono il seme proprio quando lo possiedono?

.8.2) Varr, ap. Aug., De civ., VII, 25. Et Attis ille non est commemoratus nec eius ab isto interpretatio requisita est, in cuius dilectionis memoriam Gallus absciditur. Sed docti Graeci atque sapientes. nequaquam rationem tam sanctam praeclaramque tacuerunt. Propter vernalem quippe faciem terrae, quae ceteris est temporibus pulchrior, Porphyrius, philosophus nobiiis, «Attin» flores significare perhibuit, et ideo abscisum, quia flos decidit ante fructum. Non ergo ipsum hominem vel quasi homi­ nem, qui est vocatus Attis, sed virilia eius fiori comparaverunt. lpsa quippe ilio vivente deciderunt; immo vero non deciderunt neque decerpta, sed piane discerpta sunt; nec ilio flore amisso quisquam postea fructus, sed potius sterilitas consecuta est. Di Attis, in memoria del cui amore un gallo si aura, da parte di

quello (se. Marrone) né è stato ricordato in qualche modo e neanche né è stata fornita un'interpretazione. Ma i greci dotti ed i sapienti giammai tacquero una spiegazione così santa e degna della massima fama. Infatti a causa d ell aspetto primaverile della terra, che è più bello delle altre stagioni, Porfirio, famoso filosofo, disse che Attis simboleggiava i fiori e che pertanto fu mutilato proprio perché il fiore cade prima del frutto. Quindi non hanno comparato al fiore lo stesso uomo o il quasi uomo che è chiamato Attis, ma le sue parti virili. Infatti, mentre lui era vivo, quelle caddero; anzi a dir la verità, ne caddero né vennero colte, ma furono proprio strapipate via; ed una volta che quel fiore si perdette, in seguito, non ci fu nessun fruito ma piuttosto si ottenne la sterilità.

8.3) Varr., ap. Aug., De cìv., VII, 26. Itemque de mollibus eidem Mairi Magnae contra orrvnem virorum mulierumque verecundiam consecraos, qui usque in hestemum diem madidis capillis, fade dealbata, fluentibus membris, incessu femíneo per plateas vicosque Carthaginis etiam a propolis unde turpiter viverent exigebant, nihil Varrò dicere voluit nec uspiam me legisse commemini... At vero ista Magna deorum Mater etiam Remanís templis castra tos intulit atque istam saevitiam moremque servavit, eredita vires adiuvare Romanonim exsecando virilia virorum. Ugualmente Varronc non volle dire niente, né io mi ricordo di averne letto da qualche parte, sugli effeminati consacrati alla stessa Magna Mater contrariamente a qualsiasi tipo di verecondia maschile e femminile, i quali fino a ieri con i capelli bagnati, con il volto imbellettato, con le membra che si abbandonavano, con incedere da donna per le piazze e le vie di Cartagine, esigevano perfino dai bottegai ciò di cui vivere in modo obbrobrioso ... Invero questa Magna Mater degli dèi ha introdotto gli mirati anche nei templi romani e ha conser­ vato questa crudeltà e questa tradizione, poiché si è creduto che soste­ nesse le virtù dei Romani coi mutilare gii uomini delle parti viriti.

ninfa Anchiale fece nascere nell'antro ditteo stringendo con entrambe le mani la terra di Gasso. Con molte preghiere, c libando sopra le vittime ardenti, l'Esonide chiese alla dea di allontanare da loro le tempeste; nel frattempo i giovani, per ordine di Orfeo, eseguendo un ballo cadenzato in anni giravano su loro stessi e percuotevano con le spade gii scudi affinché si disperdesse nell'ano il grido funesto che ancora il fiopolo tutto lanciava come onore funebre per il re. Da allora e per sempre i Frigi onorano Rhea con le trottole e i con tamburi. La dea prestò attenzione benevola ai pii sacrifici, e apparvero segni più che evidenti: gli alberi davano frutti infiniti, sotto i loro piedi la terra, spontaneamente, generava dall'erba tenera i fiori; le belve, dopo avere abbandonate le loro tane nella foresta, ven frano incontro scodi m o­ lando. E lei susciti) ancora un altro prodigio: benché non ci fosse acqua che bagnasse il monte Dindimo fino a quel momento, per loro, inircc, sgorgò inesauribile dall'arida vetta; in seguito i popoli vicini la chiama­ rono fonte di Giasone. Fecero un banchetto per la dea sul monte degli orsi ed onorarono con canti Rhca veneranda; poi, quando sorse il mattino, cessati i venti, lasciarono l'isola a remi.

7) Poi., H i s i XXI, 37, 4-7: 4. rvàioc ó utkxtoc Twpxritov Siepxóp.evoc ¿Ye^ópcoce tòv Cayvàpiov noxapóv, xeXécoc vcoìtov òvxa Kai Svcpaxov. 5. Kai 7tap* aùxòv tòv rcoxapòv cTpaxoneScocapévoo rcapayivovTai ràXXoi rcap’ vAra8oc Kai BaxTàKOv tcùv è* necavowToc iEpécov THC Miixpòc TO)V 0ECOV, ÈXOVTEC npocTT|0i8ia Kai rójiouc, 6. Ttaxpòc xò pèv npdhov cav 4>iXiav. 2. napayevopévoDc 8’ avxoòc rcpòc Aióvucov eie xrjv Nxicav KaxaXapeiv xòv ’A teóXÀjù) xvYxavovxa peyàXiic àjcoSoxrjc 8 ià xf|v Ki0àpav, f\v 'Epprìv eòpéìv péXr|v eoe 0eóv. AiÓJiep xoòc pi>£ì icai xoìc ’AxXavxioic xoic ra p a xòv (OKeavòv oitcoòav. 1. E cosi lei venne ricondotta alla reggia. Ma il padre che in un primo momento la credeva vergine, una volta conosciuto la colpo, condannò a morte le nutrici ed Attis, e gettò via i corpi insepolti. Dicono che per l'amore verso il ragazzo e per il dolore nei riguardi delle nutrici Cybele, divenuta folle, iniziò a correre con grandi salti per tutta la regione. E questa gemendo e percuotendo il timpano, da sola, dopo essersi sciolti i capelli, errava per la regione, mentre Marsia, pieno di dolore, di sua spontanea volontà la segu ili e vagava insieme a lei per Vantico amore. 2. Giunti da Dionysos, a Nisa, incontrarono Apollon che era tenuto in grande considerazione grazie a (quella) cetra che Hermes inventò e della quale Apollon per primo si servì con metodo [segue la descrizione della sfida fra Apollon e Marsia] ... 6. Dicono che Apollon, dopo aver deposto nell'antro di Dionysos la cetra e i flauti, innamorato di Cybele, vagò insieme a lei fino alla terra degli Iperborei. 7. intanto in Frigia si era abbattuta una pestilenza sugli uomini e la terra era divenuta sterile, per questo quegli sventurati interrogarono il dio sul modo di allontanare un tale flagello; dicono che (il dio) ordinò a lóro di seppellire il corpo di Attis e di onorare

Cybelc come una dea. Ma, dal momento che il corpo era ormai sparito per il (troppo) tempo trascorso, modellarono una statua del giovi­ netto, davanti alla quale intonarono dei canti funebri e così si espiò lfira di colui che era stato oltraggiato grazie agli onori adatti alla sofferenza (patita). Ed ancora oggi loro compiono questo rito. 8. Dopo aver costruito, anticamente, degli altari, ogni anno celebrarono dei sacrifici in onore di Cybele; in seguito, a Pessinunte di Frigia, costrui­ rono un tempio magnifico ed introdussero cerimonie onorifiche e sacrifici assai solenni, ed anche il re Mida amante del bello vi parte­ cipò; alla statua della dea affiancarono pantere e leoni dal momento che si diceva che da questi, in principio, era stata nutrita. Dunque circa la Mater degli dèi sono queste le cose che si raccontano da parte dei Frigi e degli Atlantidi che vivono presso l'Oceano.

11.3)

Diod. Sic., Bibl. H i s t V, 4 9 , 1 - 3 : 1 . Tòv

Se yap ov

toOtov

Tipcotov 5 a ì c a i Beoòc, kol\ A'nuTitpav pèv Mcxcicovoc èp acB eicav tòv Kctprcòv xoO cìto\) SopTicacOai, Eppnv 8è Aópav,



’AStivcìv

tòv SiaPePoTmévov òppov icai nércAov icai aò A o ix, ’ HÀeKxpav

Se t à Tfjc peyàkric

koAodpévtic pi^tpoe tcòv 0eaìv ÌEpà p exà

icoppoAcov Kon TOprcdvcov icai. tcòv ópyiaCóvtov* icai ’AnóXAiova pèv iciOapicai, toc

Se MoiScae avkf\ca\. t o ò c 6* àXXouc Qeoòc

eòòTìPO'òvTac c\)v a u i;fjca i tòv y ap o v . 2. M exà Se x a o t a tò v pèv KdSpov icaTà tòv TtapaSeSopévov x p ^ cp ò v icxicai 0 iip a e toc èy B o u o xia ò a c i, tòv 8 ’ ’la c iio v a yTÌpavxa Kopéàjiv yevvrjcai K o p ó p av xa. 'Iacicovoc 8 e e ic Qeovc p exacT d v to c, A àp8avov icai KopéAr|v icai K o p ò p a v x a p exaicop icai eie tt|v ’A cia v x à xf|c pqxpòc x à v Beaìv ìe p à Kai c w a n à p a i eie O poyiav. 3. Ka'i rr|v pèv KvPéXr|v ’0 \ò p :u a > xci> Ttpanip c v v o iK iic a c a v yevvfjcai ’A ^ kt^v , icai xfjv 0 e à v KvPéAiiv d ò ’ é a u rn e ó v o p a c a r xòv Sè K o p ò p a v x a xoòc èm xoìc

ttìc

p iitp ò c iepoic èv 0o \x:id cav T ac

0 0 ' éa o x o u K o p ò p avxac TipocayopeOcai, yrjpai 8è 0TipTiv K ì Aikoc G oyatép a.

tt|v

[Si sta parlando del matrimonio fra Cadmo e Armonia] 1. Gli dèi

celebrarono con un banchetto questo primo matrimoniof e Demeter innamorata di Iasione volle regalare il frutto del grano, Hermes la lira, Athena la catena rinomata, il peplo e i flauti, Elektra i riti sacri della cosiddetta Magna Ma ter degli dèi assieme ai cembali, ai timpani e agli iniziati ai riti orgiastici; Apollon suonò la cetra, le Muse suona­ rono il flauto, gli altri dèi pronunciando parole di buon augurio contribuirono rendere le nozze ancora migliori. 2. Dopo queste cose, secondo il responso delVoracolo, dicono che Cadmo fondò la città di Tebe in Beozia, c che Iasione avendo sposato Cybele generò Korybas. Dopo che Iasione venne collocato accanto agli dèi, Dardano, Cybele e Korybas portarono in Asia i riti sacri della Mater degli dèi ed insieme si recarono in Frigia. 3. E se Cybele essendo in stretto rapporto col primo Olimpo generò Alke e la dea Cybele prese il nome da lei, Korybas, invece, dal suo nome chiamò contanti quelli che durante i riti sacri della Mater vanno fuori di sé e sposò Thebe figlia di Kitix.

12) Cat., Carm., LXIQ: Super alta vectus Attis celeri rate maria / Phrygium ut nemus citato cupide pede tetigit / adiitque opaca silvis redimita loca deae, / stimulatus ibi furenti rabie vagus animis / (5) devolsit ilei acuto sibi pondera silice; / itaque ut relicta sensit sibi membra sine viro, / etiam recente terrae sola sanguine maculans / niveis citata cepit manibus leve typanum, / typamun tuoin, Cybebe, tua, mater, initia, / (10) quatiensque terga tauri teneris cava digitis / canere haec suis adorta est tremebunda comitibus: / «Agite ite ad alta, Gallae, Cybeles nemora simul, / simul ite, Dindymenae dominae vaga pecora, / aliena quae petentes velut exules loca / (15) sectam meam executae duce me mihi comités / rapidum salum tulistis truculentaque pelagi / et corpus evirasds veneris nimio odio, / hilarate erae citatis erroribus animum. / Mora tarda mente cedat; simul ite, sequimini / (20) Phiygiam ad domum Cybebes, Phrygia ad nemora deae, / ubi cymbal um sonai vox, ubi tympana reboant, / tibicen ubi canit Phryx curvo grave calamo, / ubi capita Maenades vi iaciunt hederigerae, / ubi sacra sancta acutis ulula-

tibus agitant, / (25) ubi suevit illa divae volitare vaga cohors; / quo nos decet citatis celerare tripudiis». / Simul haec comitibus Attis cecinit notha mulier, / thiasus repente linguis trepidantibus ululât, / leve tympanum remugit, cava cymbala recrepant, / (30) viridem citus adit Idam properante pede chorus. / Furibunda simul anhelans vaga vadit, animam agens, / comitata tympano Attis per opaca nemora dux, / veluti iuvenca vitans onus indomita iugi; / rapidae ducem secuntur Gallae properipedem. / (35) Itaque ut domum Cybebes tetigere lassulae, / nimio e labore somnum capiunt sine Cerere. / Piger his labante languore oculos sopor operit; / abit in quiete molli rabidus furor animi. / Sed ubi oris aurei Sol radiantibus oculis / (40) lustravit aethera album, sola dura, mare ferum, / pepulitque noctis umbras vegetis sonipedibus, / ibi Somnus excitum Attin fugiens citus abiit; / trepidante eum recepit dea Pasithea sinu. / Ita de quiete molli rapida sine rabie / (45) simul ipsa pectore Attis sua facta recoluit, / liquidaque mente vidit sine quis ubique foret, / animo aestuante rusum reditum ad vada retulit. / Ibi maria vasta visens lacrimantibus oculis, / patriam allocuta maestast ita voce miseriter: / (50) «Patria o mei creatrix, patria o mea genetrix, / ego quam miser relinquens, dominos ut erifugae / famuli soient, ad Idae tetuli nemora pedem, / ut aput nivem et ferarum gelida stabula forem / et earum omnia adìrem furibunda latibula, / (55) ubinam aut quibus locis te positam, patria, reor? / Cupit ipsa pupilla ad te sibi dirigere aáem, / rabie fera carens dum breve tempus animus est. / Egone a mea remota haec ferai in nemora domo? / Patria, bonis, amias, genitoribus abero? / (60) Abero foro, palaestra, stadio et gyminasiis? / Miser a! Miser, querendum est etiam atque etiam, anime. / Quod enim genus figura est, ego non quod obierim? / Ego mulier, ego adolescens, ego ephebus, ego puer, / ego gymnasi fui flos, ego eram decus olei; / (65) mihi ianuae frequentes, mihi Emina tepida; / mihi floridis corollis redimita domus erat, / linquendum ubi esset orto mibi sole ciibiculum. / Ego mine deum ministra et Cybeles famula ferar? / Ego Maenas, ego mei

pars, ego vir sterilis ero? / (70) Ego viridis algida Idae nive amicta loca colam? / Ego vitam agam sub altis Phrvgiae columinibus, / ubi cerva silvicultrix, ubi aper nemorivagus? / Iam iam dolet quod egi, iam iamque paenitet». / Roseis ut hinc labellis sonitus abiit, / (75) geminas deorum ad aures nova nuntia referens, / ibi iuncta iuga resolvens Cybele leonibus / laevumque pecoris hostem srimulans ita loquitur: / «Agedum, inquit, age ferox/ fac ut hunc furor , / fac uri furoris ictu reditum in nemora ferat, / (80) mea libere nimis qui fugere imperia cupit. / Age caede terga cauda, tua verbera patere, / fac cuncta mugienti fremitu loca retonent, / rutilam ferox torosa cervice quate iubam». / Ait haec minax Cybebe religatque iuga manu. / (85) Ferus ipse sese adhortans rapidum indtat animo / vadit, fremii, refringit virgulta pede vago. / At ubi umida albicanris loca litoris adiit, / tenerumque vidit Attin prope cnarmora pelagi, / facit impetum; ille demens fugit in nemora fera; / (90) ibi semper omne vitae spatium famula fuit. / Dea magna, dea Cybebe, dea domina Dindimei, / procul a mea tuos sit furor omnis, era, domo; / alios age incitatos, alios age rabidos. Attis, dopo aver navigato mari profondi su nave veloce, non appena raggiunse, come era suo desiderio, il bosco frigio con passo affrettato ed entrò nei luoghi ombrosi della dea circondati da selve, qui, eccitato da folle frenesia, smarrito nell'animo, si amputò con selce aguzza il peso dell'inguine; perciò, come sentì che il membro gli era rimasto privo di virilità e che anzi macchiava la terra di sangue ancora caldo, rapida prese con le candide mani il timpano leggero, il tuo timpano, o Mater Cybele, strumento per Viniziazione, e percuotendo la pelle cava di un toro con le dita delicate, tremante, cominciò a cantare così, rivolgendosi alle sue compagne: «Andate, Galle, andate insieme ai fitti boschi di Cybele, andate insieme, gregge errante della signora Dindimena, voi che come esuli che cercano terre straniere, seguendo il mio esempio, avete sopportato, sotto la mia guida, gli impeti e le minacce del mare ed avete evirato il corpo per l'odio eccessivo di

Venus; rallegrate l'animo della padrona con rapido vagare. Un indugio di lunga durata abbandoni la mente; andate insieme, seguitemi alla frigia dimora di Cybele, ai boschi frigi della dea, dove risuona la voce dei cembali, dove rimbombano i timpani. doz>c il flautista frigio suona 10 zufolo curvo con tono grave, dove le Menadi coronate di edera scuotono con forza il capo, dove celebrano i riti inviolabili con urla deliranti, dove queirerrante corteo della dea è solito volteggiare; dove conviene che noi ci affrettiamo con danze vorticose». Non appena Attis, la finta donna, ebbe cantato così alle compagne, il tiaso ad un tratto ulula con grida affannate, il timpano leggero rimbomba, i cembali cavi risuonano, il corteo veloce si dirige verso il verde Ida con passo affrettato. Fuori di sé, respirando affannosamente, va in fretta da una parte all'altra, allo stremo, Attis, accompagnando col timpano, fa da guida attraverso i boschi ombrosi, come una giovenca indomita che vuole evitare il peso del giogo. Rapide le Galle seguono la guida con passo veloce. Pertanto non appena, stanche, raggiungono la dimora di Cybele per l'eccessiva fatica si addormentano senza Ceres. Ma quando Sol dal volto d'oro percorse con occhi raggianti il cielo schiarito, l'aspra terra, il mare indomabile e scacciò le ombre della notte con i vigorosi cavalli scalpitanti, allora Somnus, fuggendo veloce, abbandonò Attis già sveglio; e la dea Pasitea lo accolse nel suo seno trepidante. Così quando Attis, ormai uscita dal rilassante riposo, non più in preda alla travolgente frenesia, richiamò alla memoria ciò che aveva compiuto e vide con mente lucida senza che cosa e dove fosse, con l'animo in tumulto di nuovo fece ritorno alla spiaggia. Lì osser­ vando con occhi lacrimanti il mare immenso, angosciosamente parlò così alla patria con voce triste: «O patria che mi hai messo al mondo, patria che mi hai generato, dove mai io, sventurato, che, lasciandoti come sono soliti fare gli schiain che sfuggono al loro padrone, portai 11 passo ai boschi delVIda per vivere tra le nevi e le gelide stalle delle fiere, per inoltrarmi furibonda in tutte le loro tane, dove mai, in quali contrade posso pensare che tu ti trovi? La stessa pupilla desidera rivolgere a te lo sguardo mentre, per breve tempo, Vanirne è privo del folle furore. Allora io sarò portato in queste foreste lontano dalla mia casa? Vivrò lontano dalla patria, dai miei beni, dagli amici, dai

genitori? Vivrò lontano dal foro, dalla palestra, dallo stadio e dai ginnasi? Ah, infelice! O infelice animo, tu devi lamentarti ancora, e ancora più volte. Infatti, quale tipo di aspetto c'è che io non abbia assunto? Io donna, io adolescente, io efebo, io fanciullo, io sono stato il fiore del ginnasio; io ero l'onore della palestra, io avevo la porta affollata, la dimora tiepida, e quando, al sorgere del sole, dovevo abbandonare il letto, la mia casa era attorniata da corone di fiori. Ora dunque sarò chiamata servitrice degli dèi ed ancella di Cybele? lo menade, io parte di me stesso, io sarò un uomo sterile? lo abiterò le contrade del verde Ida ricoperte di neve gelata, io trascorrerò la vita sotto le alte vette della Frigia dove c'è la cerva che vive nelle selve, dove c'è il cinghiale che vaga nei boschi? Già mi duole quel che ho fatto. Già me ne pento». Non appena il suono rapido uscì dalle rosee labbra riferendo alle orecchie degli dèi nuove notizie, allora Cybele, sciogliendo i leoni dal giogo ben connesso così parla, aizzando il funesto nemico del gregge: «Su - dice - feroce, vai, fa' che il furore lo sconvolga, fa' che sotto l'impeto del furore faccia ritorno nei boschi chi con troppo ardire desidera sfuggire ai mici ordini, Va', sferza i fianchi con la coda, sopporta i tuoi colpi, fa' che tutti i luoghi rimbombino del ruggito mugghiarne e, feroce, scuoti sul collo musco­ loso la rossa criniera». Cybele minacciosa pronuncia queste parole e scioglie il giogo con la mano. La belva stessa, infiammandosi, si incita nell'animo per diventare feroce, si slancia, ruggisce, spezza i cespugli col piede errante. Non appena raggiunge le umide spiagge del litorale spumeggiante e vede Attis vicitio alla superficie del mare, gli si scaglia contro e quello impazzito fugge nei boschi selvaggi dove, per sempre, per tutta la durata della sua vita, restò come ancella. O grande dea, dea Cybele, dea signora del Dindimo, ogni tuo furore resti lontano dalla mia casa, o signora, rendi eccitati gli altri, rendi invasati gli altri. /CSI

13.1) Vergv Aen., Ili, 111-113: Hinc mater cultrix Cybeli Corybantia aera, / Idaeumque nemus; hinc fida silentia sacrò, / et iuned currum dominae subiere leones.

Da qui (se. dall'isola di Creta) la Mater che abita il Cibelo, i bronzi dei Contanti, e il bosco ideo; da qui il silenzio capace di garan­ tire i riti sacri, ed i leoni che aggiogati si sottomisero al cocchio della sovrana.

13.2) Verg., Aen., ÌX, 614-620: Vobis pietà croco et fulgenti murice vestis, / (615) desidiae cordi, iuvat indulgere choreis, / et tunicae manicas et habent redimicula mitrae. / O vere Phrygiae (neque enim Phryges), ite per alta / Dindyma, ubi adsuetis biforem dat tibia cantum! / Tympana vos buxusque vocat Berecyntia Matris / (620) Idaeae: sinite arma viris et cedite ferro. [Turno schernisce i soldati troiani:] «Avete una veste dipinta di croco e di fulgente porpora, mollezza nel cuore, vi piace cedere alle danze, le tuniche hanno le maniche e le mitre i nastri. O invero Frigie (di certo non Frigi), andate per l'alto Dindimo, dove per voi che siete avvezzi la tibia fa risuonare il suo doppio suono! Vi chiamano i timpani e il berecinzio flauto di bosso della Mater ldaea: lasciate le armi agli uomini e rinunciate al ferro».

13.3) Verg., Aen., X, 252-255: Alma parens ldaea deum, cui Dindyma cordi / turrigeraeque urbes biiugique ad frena leones, A tu mihi nunc pugnae princeps, tu rite propinques / (255) augurium Phrygibusque adsis pede, diva, secundo. [Enea invoca la Magna Mater:] «Alma ldaea genitrice degli dèi, al cui cuore sono cari il Dindimo e le città turrite e le coppie di leoni aggiogati al morso; tu ora, guida della battaglia per me, fa in modo che, secondo il rito, si compia il presagio e vieni con passo favorevole in aiuto dei Frigi».

14.1) Strab., Ceogr., X, 3, 12: Oi 8è BepéKUVtEe, ^puywv ti

’ oi) 1*1Alv8^pr|VTÌ, KaGaicep ànò x(6v KupéXcov r| K dPe A.ii . nAr|ciov 8è Kai ó Cayydpioc Tioxapòt Tioieixai x t j v póciv. Pessinunte è il più grande emporio della regione, c'è un santuario

della Mater degli dèi che gode di grande venerazione, la chiamano Agdistis. Anticamente i sacerdoti erano dei signori che godevano di grande dignità sacerdotale ed ora, benché gli onori risentati a loro siano diminuiti di molto, rimane comunque l'emporio. Grazie ai re Attalidi il luogo sacro si abbellì in modo assai conveniente, dal punto di vista della dignità sacra, con un tempio e con dei portici di pietra bianca. I Romani resero il santuario famoso dal momento che da qui fecero venire la statua della dea secondo gli oracoli della Sibilla, proprio come quella di Asklepios della città di Epidauro. C'è anche un monte che sovrasta la città, il Dindimo, dal quale la dea prende il nome di Dindymcne, come (quello di) Cybele dai monti del Cibelo. Lì vicino scorre il fiume Sangario.

15.1) Dion. Halic., Ani. Rom., I, 61, 4: noii)cd|i£voi xe tt|v dmófkxciv èv TCOKCtXXi'OfiévO) V\)V *EA,XT|C7CÓVXCp TCEpl TTjV iicxepov k Xti0ek*av oiici^ovxai «Dpuyiav, ’15aìoc pèv ó AapSavou pépoc xfjc cxpaxiàc ixc épcov èv pècoic eppiye xoic KÓfoioic rrìc A^oic, upopiav ye'uSfl xrjc piaiac c\)p7iXoKfjc èietivvucov, eòe èauxòv 8f|0ev ektepìov. 3. Tà coppola xrjc puiicecoc xaàrnc èie tiepiouctac ropatefiévxa 018’ ori ieivt|ca ykXma teca pii 7 eAxxceìo\x: w ópìv 8ià xouc èAèyx0^ ’ «’Eie ropicàvo'u èo yàp òpii eiciv èv K\)^ÌK(»)t AivSopov >ca\ AóPpivov. AoPpivi|c- oiixa) icaXeìxai r| Péa arcò xoò òpouc xflc Ku^iieou, o KaAeixai AóPpivov, òrcov iepóv ècxi xtìc Péac. Talami di (Ritea) Lobrine. Sacri luoghi ipogei, consacrati a Rhea, dove i sacerdoti di Attis e Rhea depositavano i genitali dopo esserseli tagliati. I Lobrini sono alture della Frigia o una località di Cizico; infatti a Cizico ci sono due alture, il Dindimo e il Latrino. Lobrine: così Rhea prende il nome dall'altura di Cizico, che si chiama Lobrino, dove c'è anche un santuario di Rhea. 33.3) Scholia in Nic. Alexipharm., 8: 'Axxeor icxopetxai Òxi 7ioipf|v f\v pù^ ó vAxttic, rcoipaivov 5è »cai òpvdiv xi|v pT|xépa xcòv 0ecov £((>1X71011 ine* aiixiìc, Kai 8f| aivo|iévr| rcoXXaKic xiprìc aóxòv lì^ittìcev, ò Zeòc 8è èrci xoùxo Svcavacxexaìv àvtìXev aòxòv où òavep(5c Si* ai8d) xf|c piixpóc, àXXàcùv orypiov rcèliyac, f| Sè KaxoXo^DpopivT] aòxòv éGayev, oi Se Opvyec tcaxà xò èap Gp-rivoticiv aòxóv. Attis. Si racconta che il frigio Attis fosse un pastore. Mentre guidava le greggi al pascolo e cantava inni per la Mater degli dèi venne amato da lei che, mostrandosi spesso, lo degnò del proprio onore. Ma Zeus, sdegnandosi, lo uccise in modo non manifesto per rispetto verso la Mater inviando un cinghiale; lei lamentandosi lo seppellì. / Frigi lo piangono in primavera.

34) Paus. Gr. descr., VII, 17, 9-12: 9. Avpaioic 8è èexi pèv TA0rivàc vaòc Kai àyaXpa èc xà pàXicxa àpxàìov, ècxi 5è Kai àXXo iepóv cici AivSvpTivii pT|xpi Kai “Axxij rcercoiTipevov. vA x t t ic Sè òexie i^v, oòSèv oióc x e f\v àrcóppiixov èc aóxòv è^eupeiv, àXXà EppT|ciàvaKXi pèv xa> xà èAeyeia ypàyavxi

rcenoiiipéva ècxiv rie vióc te i^v KaXaoó Opuyòc Kai rie o\> tekvotcoiòc vmò rf|c prixpòc texOeìiv èicei 5è tjò^tito, pexriKT|cev èc AoSiav Tcp *Ep)n)cidvaKTOc Xóycp »coti AuSoic òpyia èxéXei Miitpòc, èc xocoiixo fiiccov icap' aurq Tipfjc &>c Aia aiixq vepeciicavxa óv èicì xà èpya ércutépipai xriv AoSriv. 10. ’EvxaòGa àXXox xe xriv AuSriv Kai aòxòc "Axxt]c ànéGavEV \)k ò xoO x>óc* icai xi enópevov xaóxoic raXaxriv Spriciv oi necci vouvxa èxovxec, vriv o\>x àitxópevoi. Nopi£ox>ci ye pfiv otix oiixco xà èc xòv "Atttiv, àAAà èiaxripióc ècxiv aÀXoc c^ictv èc aòxòv Xóyoc, Aia virvopévov à^eìvai Grappa èc yfjv, xtjv 8è ava xpóvov àveivai Saipova 5utXà èxovxa ai8oìa, xà pèv àv8póc, xà 8è aiixriv yovaiKÓc òvopa 8è vAy8icxiv aòxri xiOevxai. ©eoi 8è "AySicxiv Seicavxec xà ai8óìà oi xà àv8pòc ànoKÓJCTODciv. 11. 'ile 8è àn’ aòxriv àva^ika àpuySaXfj eìyEv ripaiov xòv icapnóv, Ooyaxépa xoò Cayyapioo roxapoó Xa(teiv (faci xoó K-apnov- èc0epèvr|c 8e èc xòv kóXkov icapnòc pèv èkeìvoc fjv aòxiica àavrjc, aòxfj 8è èmiei- tekoiìctic Se xpàyoc rapieira Xòv 7iai8a èncKEÌpevOv. *£lc 8è aó^avopévep KàXXoDc oi pernv tcXeov fi Kaxà eiSoc àvGpancoo» èvxaòOa xox> naiSòc èpeoe ecxev ’’AySicxiv. Aò^T]0évxa 8è *Attt|v ànocxÉXXoociv èc nEccivoòvxa oi tcpqct] kovxec cuvoiKiicovxa xo*6 PaciAècoc Qvyaxpi. 12. Tpévaioc 8è TjSexo Kai M Ay8icxic èòicxaxai Kai xà aiSoia àraKoye pavric ó "Atttic, àraKoye Sè Kai ó Tfjv 0*uyaxépa aòxri 8i8oòc "AySicxiv 8è pexàvoia ecxev óia "Atttiv èSpace, Kai oi rapà Aiòc evpexo piixe ciiracGai xi "Atti] xoC cripaxoc piixe tiìkgcOo i . Tà8e pèv èc "Atttiv xà yviopiprixaxa. 9. I Dimei hanno un tempio dedicato ad Athern ed una statua molto antica; inoltre possiedono anche un altro santuario costruito in onore della Mater Dindymene e di Attis. Su chi fosse Attis, io non fui in grado di trovare niente di segreto relativamente a lui, ma nelle elegie scritte dal poeta Ermesianatte compare come figlio di Calao il frigio e generato dalla madre come uno che non genera figli; dopo che crebbe, nel racconto di Ermesianatte, si trasferì in Lidia ed iniziò i Lidi ai culti orgiastici della Mater, e raggiunse ai suoi occhi un tale grado di onore

che Zeus, adiratosi contro di lei, inrtò un cinghiale a danno dei terreni (coltimti) dei Lidi. 10. Allora alcuni Lidi e lo stesso Attis vennero uccisi dal cinghiale: in conseguenza di tali avvenimenti i Calati che abitano a Pessinunte non toccano la carne di maiale. Non credono a queste cose circa le vicende di Attis, nw su di lui hanny un altro mito locale. Zeus, mentre dormiva, lasciò cadere il suo spenna sulla terra, e quieta col fissare del tempo produsse un drittone con doppi organi genitali, gli uni da uomo, gli altri da donna; gli viene dato il nome di Agdistis. Gli dèi, avendo timore di Agdistis, gli tagliano gli organi genitali maschili. 11. Quando il mandorlo generato da quelli ebbe il frutto maturo, dicono che la figlia del fiume Sangarios lo raccolse; non appena se lo mise in seno, subito quello divenne invisibile e lei rimase incinta. Dopo che ebbe partorito, un capro si prese cura del fanciullo abbandonato. Attis a mano a mano clw cresceva appariva dotato di una bellezza superiore a quella umana, ed allora l'amore per il fanciullo prese Agdistis. Dal momento che era cresciuto i parenti lo mandarono a Pessinunte per sposare la figlia del re. 12. Si cantava l'imeneo quando comparve Agdistis ed Attis impazzito si tagliò gli organi genitali, e se li tagliò anche colui clw a lui aveva dato la figlia. Ma il pentimento per quanto fatto contro Attis prese Agdistis, e (questi) ottenne da Zeus che per Attis nessuna parte del corpo si corrompesse o si consumasse. Questo è il racconto più noto intorno ad Attis.

35.1) Herodian., Ab exc. div. Marci, I, 10, 5: ’ Hpoc àpxti EKÓeTOl) ETOlX\ (ÓpiCp£VT)C T|p£pac, pT)Tp'l 8£(Ì>V 7COpjrf|V XtkOXKi 'Pcopalor Kai nàvTa òca gap' eicàcroic x Xoótou cópftoXa

KEipnXià t e ftaciXécov vkx\c t e fj TÉxviic Baópaxa, rf\c B e o ù nponopneuEi. "Avexóc t e icóri SeÒotai è^oixia navioSairitc TcaiSiàc, ètcacTÓc te ò (Joutaxai cxfjpa ójcoiepivETai* ox>5' èctiv o lita* pÉya f\ è^aipexov decapa. ò pi) navri tip fkwXopcvq) dp^iecBévTi xncópxci udirai t e icoà tcpùyai t t ) v àXi^Beiav. Ogni anno, all0inizio della primavera, in un giorno stabilito, i Romani fanno una processione in onore della Mater degli dèi: e ad

opera di ognuno si ¡>orta in processione ogni cosa che è simbolo di ricchezza, i cimeli degli imperatori c le cose meravigliose per la materia (di cui si compongono) o per la manifattura. A tutti è concessa una sfrenata licenza in ogni tipo di diivrtimento, ciascuno simula secondo l’atteggiamento che preferisce; non c'è carica così im­ portante o elevala che per ognuno che voglia travestirsi vi sia divieto di travestirsi e di nascondere la verità. 35.2) Herodian., Ah cxc. drv. Marci, 1, 11,1-5: 1. Torno Se rcóXai pèv oòpavoò KaTtvex0f|vai Xóyoc, èc u v a xf|c «Dpuyiac xtòpov (riEccivoùc Sé òvopa aùxcò. xtjv Sé rrpocqyopiav Xapeiv xòv lóitov ète xoò recóvtoc àyàXpaxoc ÉE, oòpavoò) Kai Tcpxòxov èkexce òòOfjvai. 2. 'Oc Sé nap‘ èxépoic eòpopev, ’IXco ito PavTi^óp£voi icai oi xeo Capaci cp ìcdxoxoi icaì oì pr|Tpi£ovx£c.

Le cose che tu dici su di loro (se. i posseduti dagli dèi) sono queste; alcuni di quelli che vanno in estasi escono fuori di sé ascol­ tando cembali o timpani o qualche canto come i Coribanti, i posseduti da Sabazios e i servitori della Magna Mater.

37.2) lambì.. De myst., Ili, 10: Tqc 8e p.T|Tpòc xJicivf i] x o i n oG iov Ttpópavxic Qzox>t xr|c Mr|xpóe xo)v Geìòv pfjviv e k e ^eocev IX àcKEcGai, K ai àvécxTi, t y a c iv , ènì xo*óxq> xò Miixpcpov, oo xoic ’AGìivcdoic 6r)poda rocvxa èòoXaxTEXO xà ypappaxda. M exà 5f| xoòc "E^Xt|vac a ò x à P o p a io i mpe8ÉÌ;avxo, cupPo'oXeùcavxoc K a i auxoic xox> FId Gìo d k m xòv rcpòc Kap xilSoviouc nóXejiov àyeiv èie O poyiac xf|v Geò v cò|i|iaxov. K a i oi)5èv icwc kcùà.Ó£i npocGtìvai pucpoo icxopiav èvxaOGa.

E dunque è necessario parlare anche di queste cose? Scriveremo così anche di cose indicibili e divulgheremo addirittura c o s ì * non rife­ ribili ed inesprimibili? Chi è dunque Attis o Gallo*, chi ù la Mater degli dèi, e qual è il rituale per questa purezza? E inoltre, per quale ragione fin dall'inizio ci venne mostrato in questo modo, trasmesso dagli antichi Frigi, accollo dapprima dai Greci, e non da alcuni a caso ma addirittura dagli Ateniesi, i quali grazie alle conseguenze delle loro azioni compresero di non avere dileggiato a ragione colui che celebrava i riti orgiastici della Mater? Si dice che questi offesero e scacciarono Gallos, in quanto faceva innovazioni in materia religiosa, non comprendendo che si trattava dell'azione di una dea come Deò venerata da loro, e Rhca e Demetcr. Dunque, questo motivo fu la causa dell1ira delia dea e del culto riparatore della collera. Infatti colei che per i Greci era la guida in tutte le azioni che danno gloria, la sacerdotessa oracolare del dio Pizio, ordinò di placare la collera

della Matcr degli dèi e per questo motwo dicono che si coslruì il metroon, dove ufficialmente tutti i documenti si custodivano ad opera degli Ateiiiesi. Dopo i Greci, i Romani accolsero lo stesso culto ed a loro durante la guerra contro i Cartaginesi, il dio Pizio vaticinò di condurre dalla Frigia la dea come alleata. E non cfè niente allo stesso modo che vieti aggiungere, di seguito, una breve rievocazione dei fatti.

43.2) lui-. In Matr. deor., 2: Ma0óvxf.c yàp xòv xpnciiòv CXÉM-OUCIV oi xfjc 0£O* ó p y i£ec0ai o*ov aòxf|v Kai jiT|vieiv

k\ityav6x

e



k e i

y à p ijSti xo ic icàciv e lv a i xò xpflPa

vicoxepov. 'H Se xò (lèv npdixov a iS o v c ÒJieicipitXaxo npoc xe xò ó v o p a K ai xf|v òn oijriav, oiixto rcàvv 7ióppo> è x v y x a v e x i c a ic x p à c Kai n ap av ó p o u npa^ecoc. ’Enei Se eviso avesse messo radici là presso il Tevere. La trasciìmrono tentando di risalire la corrente contraria, ma quella non li seguì. Dopo avere pensato che la nave si fosse incagliata per il fondale troppo bosso, tentarono di spingere avanti la nave; però quella non si muoveva benché quelli spingessero. Dopo di questo si mise in atto ogni (altro) tentativo, ma quella non si mosse comunque. E così iniziò a cadere sulla vergine consacrata al santissimo sacerdozio un sospetto terribile ed ingiusto, accusavano Claudia (questo infatti era il nome della vergine venerabile) di non essersi mantenuta in modo incontaminata e pura in onore della dea: dunque quella era adirata e manifestamente risentita. Infatti, per tutti oramai l'accaduto sembrava rivelarsi come una cosa assolutamente soprannaturale. Lei dapprima si riempì di vergogna per il nome ed il sospetto dal momento che si era mante­ nuta ad unajdistanza tanto grande da una tale azione vergognosa ed empia; ma poi, quando vide prevalere l'accusa contro di lei, toltasi la cintura ed allacciatala alle parti più alte della nave, come per una qualche ispirazione ordinò a tutti di allontanarsi, poi pregò la dea di non permettere che lei fosse soggetta a delle accuse ingiuste, e, come se gridasse un qualche ordine marinaresco, disse: «Mater signora,.se sono innocente seguimi!». Ed allora non solo mosse la nave, ma la trascinò per molto tempo contro corrente. E queste due cose, credo, la dea volte insegnare ai Romani durante quella giornata: la prima che dalla Frigia non portavano un carico stimato di poco valore, ma degno del massimo valore, dal momento che non era un'opera dell'uomo ma ero realmente divino, non terra senza anima ma un qualcosa di vivo e divino. Una tale cosa come prima la dea mostrò a loro; la seconda (fu) che nessuno dei cittadini poteva, di nascosto da lei, essere onesto

o mendace. Invero subito la guerra contro i Cartaginesi venne condotta con successo dai Romani, così che la terza si combatte soltanto intorno alle mura della stessa Cartagine. Queste vicende del racconto... comu­ nemente narrate dalla maggior parte degli storici, sono conservate in immagini di bronzo nella città di Roma potentissima e cara agli dèi.

43.3) lui.. In Matr. deor.f 9: Ootoc ó péyac r|plv 0eÒc "Attic ècTiv- aoxai ioò paciXioc "AttiSoc ai ©pi^voupevai xéax: 4>\)ya\ Kai Kpòijfeic Kai cwjKxvicpoi Kai ai Sixeic ai Katà tò àvipov* t£KpTìpia 8è ecto poi toutod ó xpóvoc ev

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yEyovoìav f|]id>v cioxnpiav».

L'autore dice: «Allora addormentatomi a Hierapolis mi sembrò in sogno di essere divenuto Atti$ e die per me si celebrava da parte della Mater degli dèi la festa cosiddetta degli Hilaria; la qual cosa mostrava chiaramente realizata la nostra salvezza dagli inferi».

57) Ioann. Lyd., De m ens., IV, 59: Ti\ 7tpò Seicapiàc KatevS&v ’A7cpiJiicov 5év5pov tuìtuc jcapà itov 5ev6poópcov èépeio èv icp na>vaTup. Tr|v 5è èoprìv KAau5ioc ò PaeiXeùc KaxeciTÌcaTO, Undici giorni prima delle colende di Aprile /= 22 marzo] uw albero di pino viene portato dai dendrofori sul Palatino; l'imperatore Claudio introdusse la festa1.

58) Exp. tot. m u n d LV: Colunt autem et deos, ex parte Iouem et Solem; nec non et sacra Matris deum perficere dicunt, et aruspices ad eos certum est. (I senatori) venerano anche gli dei, in parte luppiter e Sol; si dice che celebrino anche i riti sacri in onore della Mater degli dèi, ed è certo che presso di loro vi siano degli aruspici. [CS)

59) Myth. Vat. Prim., HI, 28, 1-3: Fabula Berecynthiae et Attin. 1. Berecynthia, Mater Deorum, Attin puerum fonnosissunum amasse dici tur, quem zelo succensa castrando semimasculuin fecit. 2. Berecynthiam dici voluerunt quasi montium dominam; ideo Matrem Deorum, quod deos prò superbia nuncupari voluerunt. 3. Et inde Matrem Deum in modum potentiae ponunt, unde Cibele dicitur quasi cid[b]os bebeon, id est gloriae firmitas. li racconto di Berecynthia e di Attis. 1. Si dice che Berecynthia, Mater degli dèi abbia amato Attis, un bellissimo ragazzo, // quale rese eunuco castrandolo poiché cadde preda della gelosia. 2. Vollero che fosse chiamata Berecynthia in quanto signora dei monti; ed anche Mater ' Ioann. Lyd., Or mriis., TV, 49, fa un cionco di cerimonie religiose che si celebrano il 15 marzo tra cui la processione doi connotar!

degli dèi perché vollero che gli dèi significassero l'arroganza. 3. £ per questo stimano la Mater degli dei un simbolo della potenza, per cui è detta Cybelc, come cid[b|o$ bebeon, cioè fermezza della gloria.

60.1) Corpus Inscriptionum Latinorum, I 2, p. 312: Id. Mari. Canna intrat / XI. K. Apr. Arbor intrat / JX. K. Apr. Sanguem / Vili. K. Apr. Hilaria / VII. K. Apr. Requetio / VI. K. Apr. Lauatio / V. K. Apr. Initium Caiani. 15 marzo: entra la canna / 22 marzo: entra l'albero / 24 marzo: (giorno del) sangue / 25 marzo: cerimonie di felicità / 26 marzo: (giorno del) riposo / 27 marzo: (giorno della) lustrazione / 28 marzo: cerimonie di iniziazione presso il Caia no \

60.2) R. Duthoy, The taurobolium. Its Evolution and Terminology, EPRO, 10, Leiden, 1969, n. 1 5:... u(xor) c(Iarìssima) f(emina) / sacerdus maxima / M(atris) d(eiim) m(agnae) I(daeae) taurobolio / criobolioque repetì/to Diis Onnipotenti/bus M(atri) d(eum) et Atti / aram dicavit / nonis Aprilibus / Fl(avio) Merobaude / v(iro) c(larissimo) iterum / et Fl(avio) Saturnino / v(iro) c(larissimo) cons(uiibu)s. ... moglie, donna illustrissima, somma sacerdotessa della Magna Mater degli dèi Idaea, ripetuto il taurobolio e il criobolio, in onore degli dèi onnipotenti, della Mater degli dèi e di Atlis dedicò l'altare alle none di aprile, sotto il secondo consolato di Falvio Merobaude, uomo illustrissimo, e di Flavio Saturnino, uomo illustrissimo f= 5 aprite 383 d.C.L1

1Cti studiosi non sono concordi nell'attribuire la cerimonia dcir/n/fium Cauiiii al culto di Cybcle

60.3) R. Duthoy, The taurobolium ... cit., n. 17: Dis magnis / LJlpius Egnatius Paventimi / v(ir) c(larissimus) augur pub(licus) p(opuli) R(omani) Q(uiritium) / pater et hieroceryx d(ei) S(olis) i(nvicti) M(ithrae) / (5) archibucolus dei Liberi / hierofanta Hecatae sa/cerdos Isidis percepto / taurobolio criobolioq(ue) / idibus Augustis d(ominis) n(ostris) / (10) Valente Aug(usto) V et Valentinia/no Aug(usto) cons(ulibu)s feliciter / vota Faventinus bis deni / suscipit orbis / ut mactet repetens aurata / (15) fronte bicomes. In onore dei grandi dei, ti/pro Egnazio Paventino, uomo illustris­ simo, augure pubblico del popolo romano dei Quiriti, pater e araldo sacro di Mithra Sol invitto, arcibiicolo del dio Liber, ierofante di Hecate, sacerdote di Jsis, ricevuto il taurobolio e il cribolio alle idi di agosto, sotto il felice consolato dei nostri signori, Valente Augusto, per la quinta volta, e Valentiniano Augusto I - 13 agosto 376 d.C.J, Faventino prende i voli per veliti anni per sacrificare ripetutamente animali con due corna dalla fronte dorata.

60.4) R. Duthoy, The taurobolium ... cit., n. 23: Dis / magnis / Matri deum et Attidi Se/xtilius Agesilaus Aedesius / v(ir) c(larissim us)... pa- / (15) ter patrum dei Solis invi/cti Mithrae hierofanta / Hecatar(um) dei Liberi archi/bucolus taurobolio / criobolioq(ue) in aeter- / (20) num renatus aram sacra/vit d(ominis) n(ostris) V alen/te V et Valentiniano / iun(iore) Aug(ustis) cons(ulibu)s idib(us) Augustis. In onore dei grandi dèi, della Mater degli dèi e di Attis, Sestilio Agesilao Edcsio, uomo illustrissimo, pater patrum del dio Mithra Sol invicto, ierofante di Hecate, arcibucolo del dio Liber, grazie al taurobolio ed al criobolio rinato in eterno, consacrò l'altare sotto il consolato dei signori nostri augusti Valente per la quinta volta e Valentiniano il giovane, alle idi di agosto 1= 13 agosto 3761.

II/2 Sabazius

1-1) Arisi., Vcsp., 9: Oiiic, mvoc p’

uc oc Capa^iou.

No, #m‘ possiede un certo sonno per opera di Sabazio.

1.2) Schol. in Arisi. Vesp., 9: CaPd^iov 6è 0pqt»cec KaXoùci Kaì CaPoùc toùc ÌEpoùc aùxdìv.

tóv

Aióvvcov oi

i Traci chiamano Dionysos Sabazius e Sabi i loro sacerdoti.

2) Demosth., De cor., 259-260: 259. TAvf|p 5è yevópevoc tti MTitpì t e X o ù cti xàc pipXouc aveYÌ 7 va)CK£c Kaì xàXXa cuv£CK£\>o)pou, ttjv pèv vÙKta vePpì^ov Kttì Kpaxiipi^cov Kaì KaGaipcov toùc TEXcopévovc Kaì àrtopdxxa>v xcì Kx\Xm Kon. toìc mxùpoic. Kaì àvicxàc àrtò x o ù KaOappoù k e X£Ù o>v Xe y £ i v * «kE0uyov kokòv . eùpov ap£ivov», èrti x

v, xoùc ècx£4>avo)jxévoDc x(ip papaOq) Kaì xfi XeÙKi], xoùc òfyzic xoùc n ap d ac GXipwv Kaì ùrtèp xf\c K£aXfìc aicopóv, Kaì po©v Eùoì Capo! Kaì értopxoù|i£voc «*'Tnc 'Axxiic, "Axxtic T u e», è^ap xoc Kaì rtpoiiY£Rv k o ì Kixxoa) il santuario di Enyò che quelli chiamano Ma; la città merita di essere citata, ed invero in quella si trova una folla grandissima di persone invasate dalla divinità e di servitori del tempio. Coloro che vi abitano sono i Cataoni, i quali obbediscono soprattutto al sacerdote, mentre per il resto sono sottoposti al re. Il sacerdote è il signore del santuario e dei servitori sacri, i quali al tempo del nostro viaggio erano, tra uomini e donne, più di seimila. Al santuario è assegnato un ampio territorio ed il sacerdote gode della rendita, e lui in Cappadocia per l'onore (riservatogli) è il secondo dopo il re. I sacerdoti generalmente erano della stessa famiglia dei re. 2.2) Strab., Geogr., XII, 3, 32: Trcèp 5fc xf\c Oavapotac èexi xà Rodava xà èv xvx>\ià xoìc èv xr\ lieydXi] Ka7C7ia5o»cia Kai xfl aùxi] Geó Ka0iepto|iéva, ài5pi)0évxa £K£Ì0evr c^eSòv 8é xi Kai xfì àyoyyfj napanXr\cia. KEXP^néva xcàv te ìepoupyiiov icai xóiv 0£oopi(3v Ka\ xfjc rapi xoòc iepéac xipfìc, Kai jiaXicxa èia x(ov Tipo xoò paciÀéo>v* f|vÌKa Sic xotì éxooc Kaxà xàc é^óSooc teyo^évac tx\c 0eoO 8ià8r|pa dopóiv ÈTOYXCtvev ó iepeóc, Kai tiv Saixepoc Kaxà xipT]v p£xà xòv PaciXéa. Oltre la Fanaroia c'è Cornano pontica, omonima a quella (che si trova) nella Grande Cappadocia e consacrata alla stessa dea. Edificata da quella (città), invero si rifà a lei sia nel modo di celebrare i sacri­ fici, sia (in quello di osservare) le teoforie, sia per l'onore riservato ai sacerdoti; e questo soprattutto sotto i re precedenti, quando, due volte l'anno, in occasione delle cosiddette uscite della dea, il sacerdote

poteva portare il diadema e riguardo all'onore dovuto(gli) era il secondo dopo il re.

3) Tib., Carm., I, 6, 45-54: (45) Haec, ubi Bellonae motu est agitata, nec acrem / flammam, non amens verbera torta timet; / ipsa bipenne suo$ caedit violenta lacertos / sanguineque effuso spargit inulta deam, / statque latus praefixa vera, stat saucia pectus, / (50) et canit eventus quos dea magna monet: / «Parcite, quam custodit Amor, violare puellam / ne pigeat magno post dididsse malo; / attìgerit, labentur opes, ut vulnere nostro / sanguis, ut hic ventis diripiturque cinis». Questa (se. la sacerdotessa), dopo che è stata sconvolta dall'im­ pulso di Bellona, fuori di sé, non teme né la vìva fiamma né i colpi di staffile; lei stessa, furiosa, con la bipenne si taglia le braccia e sicura/cosparge la dea del sangue versato; e rimane in piedi trapassata nel fianco da uno spiedo, rimane in piedi ferita nel petto, e vaticina gli eventi secondo quello che le ispira la grande dea: «Guardatevi bene dal violare quella fanciulla che Amor sorveglia affinché, in seguito, non dobbiate pentirvi di averlo imparato a (vostro) grande danno; come il sangue dalla nostra ferita, come questa cenere si disperde per opera del vento, così andranno in rovina le ricchezze (di colui che a lei) si sarà accostato».

4) Lucan., Phars., I, 565-567: (565) Tum, quos sectis, Bellona lacertis / saeva movet, cecinere deos, crinemque rotantes / sanguineum populis ulularunt tristia Galli. Allora quelli che, tagliate a sangue le braccia, eccita la terribile Bellona, vaticinarono l'ira degli dèi e roteando i capelli insanguinati fra le urla profetizzarono eventi luttuosi per il popolo.

5) P!ut., Sull., 9, 7-8: 7. AÈyexai 8è tcai icaxà xoi>c ììttvodc aùxqjCùÀJtijt avfivoci 0eòv f\v Timori 'Pcopoiioi rcapa KanTiaSotccov paGóvxec, dxr 8fi Ce^ièXr\v oùcav d x ’ 'AGTivav dx' 'Evucà. 8. Tauxriv ó Lù^Aac èSo^ev èmcxacav kyxtiQicai fcepawòv aòxtp icaì xd>v èxGpóìv eicacxov òvo|.id£o\>cav xcòv ekeìvou PaX^Eiv KeXrùcai, xoùc Se mnxeiv Pa^Àoiiévouc tcai a^avi^ecSai. 7. Si dice che allo stesso Siila sia apparsa in sogno una dea che i Rtmani onorano dopo averla conosciuto grazie ai Cappadoci, sia essa Si’mele, Athena o Enyò. 8. A Siila parve di vedere che questa, standogli accanto, gli mettesc un fulmine fra le mani, e chiamando per nome ognuno dei suoi nemici, uno per uno, gii ordinasse di colpirli, e quelli una volta colpiti cadevano e sparivano.

6) Tert., De pali., IV, 10: Cum ob diversam affectionem tenebricae vestis et trid super caput velleris in Bellonae montis fugantur Quando, per una diversa 1affezione nei confronti di una veste di colore nero c di una pelle tetra sul capo, zyengono spinti verso il monte di Bellona.

11/4 Men

1.1) Strab., G e o g r Xll, 3, 31: "E x * 8è icai xò icpòv Mrivòc OapvaKOu ìcatanipEVov, xtiv ’Apepiav KcopónoXiv roXXoòc iepoSoòAouc èxoucav icai x^P0^ l£P«v. iìv ó leptópevoc a d KapnoOxar. ’ExipTicav 8 ’ oi Potatale xò iepòv xouxo ouxax: ’ Diversa rispetto all'abbiglìaim'nto di colore bianco proprio deiriniziazione eleusina.

eie ÙJieppoXriv, uicxe xòv Paci^iicòv KaXoò|ievov opteov xoòxov àné§r\vav Tìixnv ftaciÀéax' icai Mrjva OapvàKov* coti Se Kai toìto tne CeXqvnc tò iepóv, Ka.Q0.mQ xò èv 'AXPavoic Kai xd èv Opuyia. xó te xo\j Mt^vòc èv tip òpxovòpip tónto Kai xò xoò ’AcKaiou xò npòc 'Avxioxeit* xrj npòc riioSiav Kai tò èv xrj Xùipa tepv 'Avxioxéov.

(La città-di Cabrimi ha il santuario detto di Men di fornace, ha la cittadina dì Ameria che ha molti schiavi sacri e un territorio sacro, della rendita del quale gode permanentemente colui che ricopre il ruolo di sacerdote. I re onorarono questo luogo sacro in maniera così sentita da proferire il giuramento cosiddetto regale per la Tyche del re e per Men di Fornace. Anche questo santuario è consacrato a Selene, come quello nel territorio degli Albani, quelli in Frigia, quello di Men nel luogo omonimo, quello di Askaios nei pressi di Antiochia ni Pisidia e quello nella regione degli Antiocheni.

tic

1.2) Strab., Geogr., XII, 8,14: THv Se èvxaoSa Kai ieptocòvri Mnvòc 'Apicaiou, nXf|0oc èxooca iepoSaùÀjiov Kai xpitt>v

iepcbv KaieÀ.ò0Ti 5è p e ià xnv 'A jiòvxou xeÀeuxiiv ònò 7tepcai TcXaTayricov / (5) ciTfàea Kai XÉYe Tiàciv- « ' A t u o X e t o k o X ò c " A & o v i c » . / Aia^to xòv ''ASornvÈTiaià^o'ociv "Epanec. / Kelxai k o X ò c 'Aikovic èv aSpeci pr|pòv òSóvxi, / À £ U k c ù Aed k ò v òSòvxi Tuneic, tccà Kvrtpiv ocviTj / toicxòv djio\|n>xp èpxópevov àM.àccei tòv icotapòv icaì tìo poti) tt|v èjcovupinv 81601 . T a m a pèv oì tcoXXoi Aiyouciv. Nella regione di Biblo si verifica anche un'altro prodigio. Un fiume dal monte Libano si getta nel mare; al fiume è dato il nome di Adonis. ¡1 fiume ogni antw diviene rosso sangue e, cambiato il colore, si getta nel mare e lo tinge di rosso in grandissima parte; per coloro che abitano a Biblo segna il momento dei lamenti luttuosi. Raccon­ tano che proprio in quei giorni Adonis viene ferito sul Libano e che il sangue, mescolandosi all'acqua, altera il fiume e finisce col dargli il nome. Molti dicono queste cose.

11) Iust., / apo\.t 25, 1: AEÒxepov 5’ ò tt èie Tiavxòc yevodc àv0pcÓ7tcov oì TuaXaioi cepopEvoi Aióvocov tòv CepéAjic icaì *AftóWuova xòv Ar|TOÌ5rivt òi Si* Eparcac àpcévov òca Eicpa^av aicxoc icaì Xéyeiv, icaì oì nepcEòóvTjv icaì 'Aòpo8ixr|v, xào 8ià xòv *A5omv oicTpriSeicac, d>v icaì t à puctiipta ¿ yete , rj *AcicXTi7nòv rj xiva xeov à k X m òvona^opévov 0 eo>v, minep 0avaxo\) à7C£iXoo|J.évo\) 5 ià ’li)cofi Xpicxoò toutcdv pèv KaiEÒpovìicapEv. In secondo luogo, fra tutti gli uomini solo noi che prima abbiamo venerato Dionysos figlio di Semele e Apollon Leteo, dei quali è motivo di vergogna anche soltanto dire quello che fecero per amore dei fanciulli, ed anche Persephone ed Aphrodite, le quali impazzirono d'amore per Adonis, delle quali celebrate anche i misteri, ed ancora Asklepios o qualunque altro di quelli che sono chiamati dei, solo noi finalmente iniziamo a disprezzarli in nome di Gesù Cristo anche sotto minaccia di morte.

12) Hyg., Fab., 58: Smyrna. Smyrna Cinyrae Assyriorum regis et Cenchreidis filia, cuius mater Cenchreis superbius locuta

quod filiae suae formam Veneri anteposuerat. Venus matris poenas exequens Smymae infandum amorem obiecit, adeo'ut patrem suum amaret. 2. Quae ne suspendio se necaret nutrix intervenit et patre nesciente per nutricem cum eo concubuit, ex quo concepì^ idque ne palam fieret, pudore stimulata, in silvis se abdidit. 3. Cui Venus postea miseria est et in speciem arboris eam commutavit unde myrrha fluii, ex qua natus Adonis, qui matris poenas a Venere est insecutus. Smima. Smirna figlia di Cinira re degli Assiri e di Cencreide, la cui madre, Cencreide, affermò in maniera oltremodo superba di avere anteposto la bellezza di sua figlia a quella di Venus. Allora Venus, per vendicarsi della madre, fece scoppiare in Smirna un amore talmente abominevole che ella s'innamorò di suo padre. 2. La nutrice intervenne affinché quella non si uccidesse impiccandosi, e così lei, proprio grazie alla nutrice, benché il padre nc fosse ignaro, giacque con lui e con lui concepì un figlio; poi affinché un tale misfatto non venisse a conoscersi, spinta dal pudore si nascose nei boschi. 3. Alla fine Venus ebbe pietà di lei e la trasformò in quell'albero da cui goccia la mirra e da cui nacque Adonis che vendicò la madre di quanto infertole da Venus'.

13) Philostr., Apoll. Tyan. vita, 7, 32: ©aAXoù 6è cxéavov £XWV o paciteùc àpxi pèv xq *A0*nv§ xeOuicàc èrÙYXav£v tv auXfi ’A5(óvi5oc( r\ 6è auXf| dtvOéwv èxe0iiÀ£i icifroic, o u c ’A6còvi8 i ’Accupioi icoiowxai ùrcèp ópyiiov ó^copo^iouc aùxoùc \)xevovx£c. Con una corona di olivo l'imperatore (se. Domiziano) proprio

1 Hyg., fah., 246; 251; 271 dice rispettivamente che Adonis fu ucciso da un cinghiale; che Adonis è fra coloro che grazie alla licenza delle Parche fecero ritorno dagli inferì; che Adonis, figlio di Smima c Cinira, e amato da Aphrodite, fu uno degli efebi più belli.

allora aveva finito di sacrificare ad Athena nella sala di Adonis; e la sala verdeggiava di giardinetti fioriti, come quelli che gli Assiri preparano per Adonis in occasione dei rili orgiastici piantandoli nelle loro case.

14) Orig., In Ezech., 8, 12: Tòv Xeyópcvov m p ’ "EXXrjciv ^ASarnv, 0app.oò£ aei KaXricGai m p ' 'Eppaioic tcai Cupole. *£ìc ouv im tfi ètopajvxo a i yuvdÌKEc etti xà npóGvpa tfìc tu3A,t]c oikou Kupiou ptarcouene jcpòe Poppàv icaOiipevai Kai xaxà ti eOvikòv è0oc tcòv è£ gj tiìc GeocePeiac 0upxev6eic( / (10) oc jtoxè |ìèv vaieic ùnò Tàpxctpov lÌEpóevxa, / T|Sè jiaXiv npòc "OXvpnov àyeic Séjiac cbpiÓKapjiov / &0é, paicap, pucxaici épa)v Kapnoùc arcò yaiqc. Profumo di Adonis, Aromi. Ascolta me die ti invoco, ottimo demoite, dai molti nomi, dalla molle chioma, amante della solitudine, ricco di canti desiderabili, Eubouleus, dai molti aspetti, nutrimento manifesto di ogni cosa, fanciullo e fanciulla, tu che sempre sei fiorente in ogni cosa, Adonis, che ti spegni e che ti accendi durante le stagioni belle che si susseguono in circolo, favorisci la vegetazione, dalle due corna, molto amato, onorato di pianti, dal bell'aspetto, che ti rallegri della caccia, dalla folta chioma, di animo amabile, germoglio dolce di Cipride, virgulto di Eros, tu che sei stato generato nel letto di Per­ sephone dalle trecce da amare, che una volta dimori sotto il Tartaro oscuro e poi di nuovo porti all'Olimpo il corpo dai frutti maturi, giungi, beato, portando i frutti della terra agli iniziati.

16) Lact., Div. inst., I, 17, 9-10: Ex Adonio quidem nullum potuit, quod etiamtum puer ab apro ictus occisus est. 10. Quae prima, ut in Historia Sacra continetur, artem meretririam mstituit auctorque mulieribus in Cypro fuit uti vulgo corpore quaestum facerent: quod idcirco imperavit ne sola praeter alias mulleres impudica et virorum appetens videretur. (Venus) da Adonis non poté (avere) niente, poiché (questi), ancora fanciullo, venne ucciso da un cinghiale; 10. proprio lei che, per prima, come è riportato nella Storia sacra, instituí il mestiere della prosti­ tuzione ed insegnò alle donne di Cipro a guadagnare pubblicamente

grazie all'uso del corpo. Di certo diede l'ordine di comportarsi in questo modo affinché non sembrasse che soltanto lei fra tutte le donne si comportasse da impudica.

17.1) Amm. Marc., Res gcst., XIX, 1,11: Feminae vero, mise­ rabili planctu, in primaevo flore succisam spem gentis solitis fletibus condamabant, ut lacrimare cultrices Veneris saepe spectantur in solemnibus Adonidis sacris, quod simulacrum aliquod esse frugum adultarum religiones mysticae docent. Le donne invero, con un lamento che muoveva a compassione, piangevano tra le grida secondo il rito la speranza del popolo recisa nel fiore della giovinezza; allo stesso modo, spesso si possono vedere piangere le donne che adorano Venus in occasione dei solenni riti sacri in onore di Adonis, la qual cosa è un simbolo delle messi mature come insegnano le religioni mistiche.

17.2) Amm. Marc., Res gest,, XXII, 9, 15: Evenerat autem isdem diebus anno cursu completo Adonea ritu vetere celebrali, amato Veneris, ut fabulae fingunt, apri dente ferali deleto, quod in adulto flore sectarum est indicium frugum. Accadeva poi che in quegli stessi giorni, terminato il ciclo dell'anno, venissero celebrate secondo l'antico rito le feste in onore di Adonis, quello che venne amato da Venus e fu ucciso dai denti crudeli del cinghiale, cosi come raccontano le leggende; tutto questo è simbolo delle messi tagliate una volta mature.

18.1) Hieron., In Ezech., IH, 8,14: Quem nos Adonidem inter­ pretati sumus, et Hebraeus et Syrus sermo Thamuz vocat; unde, quia iuxta gentilecn fabula m in mense Iulio amasius Veneris et pulchenimus iuvenis ocdsus et deinceps revixisse narratur,

eumdem lulium mensem eodem appellant nomine et anniversariam ei celebrant solemnitatem, in qua plangitur a mulieribus quasi mortuus, et postea reviviscens cani tur atque laudatur ... Et quia eadem gentilitas huiuscemodi fabulas poetarum, quae habent turpitudinem, interpretatur subtiliter, interfectionem et resurTectionem Adonidis planctu et gaudio prosequens, quorum aJterum in seminibus quae moriuntur in terra, alterum in segetibus, quibus mortua semina renascuntur, ostendi putat. Quell'Adonis del quale abbiamo parlalo, in lingua ebraica e siriana è chiamato Thammuz. Secondo un mito pagano si racconta che nel mese di luglio venne ucciso e poi tornò a vivere un giovane bellissimo, amasio di Venus. Per questo motivo chiamano proprio il mese di luglio con il suo nome e celebrano in suo onore ogni anno una festa solenne durante la quale (prima) viene pianto dalle donne come morto e poi, nel momento in cui ritorna a vivere, viene onorato con canti e con lodi ... Poiché gli stessi pagani, che accompagnano col pianto e con la gioia ¡'uccisione e la resurrezione di Adonis, interpretano con acume un tal genere di racconti poetici che presentano motivo di disonore, ritengono che di questi (momenti) l'uno si richiami ai semi che muoiono nella terra e l'altro alle messi grazie alle quali i semi (oramai> morti tornano a nascere. fCSJ

18.2) Hieron., Ep. 58 ad Paul, presb., 3, 5: Bethleem nunc nostram et augustissimum orbis locum ... lucus inumbrabat Thamuz, id est Adonidis, et in specu, ubi quondam Chrìstus parvulus vagiit, Veneris amasius plangebatur. Su Bethleeìn ora nostra e luogo più venerabile di tutta fa terra ... si spQìideva l'ombra del bosco dì Thammuz, cioè di Adonis, e nella grotta dove un tempo vagì Gesù appena nato si piangeva l'amasio di Venus. ICS)

19) Finn. Mat., De err. prof. rei., IX, 1: In plurimis Orientis civitatibus (licei hoc malum etiam ad nos transituzn fecerit) Adonis quasi maritus plangitur Veneris, et percussor eius circumstantibus vailnusque monstratur. In molte città dell'oriente (invero questo male è oramai arrivato anche da noi) si piange Adonis come sposo di Venus ed a quelli che sono tutt'intorno si mostra il suo assassino e la ferita.

20) Cyr. Alex., In Isaiam, 18, 1-2: ’ En^àxTovxo xoivuv "E^Arivec eoptfiv irà tout« toioótt)v . npocErcoioùvTO piv yàp Xu7iou|i£v-r] tì] ’Appositi], 5 ià tò xeOvavai xòv "Aòcoviv, cuvotax]nipec0ai icai Opnvéiv àveX.0ovcr|c 5è. qtòo\), icai pf|v icai n^ptìcOai X£yot3ct|c xòv ¡¡tixoumevov, cuvqSEcOai icai àvaaapxav' icai \iéxpi xóv ica©’ ripac icaipaiv èv xoTc Kax’ ’AXc^àvÒpeiocv iepoic é x e X e i x o xò Ticriyviov xouxo. Dunque i Greci celebravano una festa di tal genere in onore di questo (se. Adonis). Dapprima simulavano di lamentarsi assieme ad Aphrodite che si affliggeva per la morte di Adonis e di intonare canti funebri; ma dopo che lei era risalita dall'Ade ed aveva detto di avere trovato colui del quale andava in cerca, allora si rallegravano ed esultavano assieme a lei. Ed ancora nei giorni stabiliti, per quanto ci concerne, questa scenetta aveva luogo nei santuari ad Alessandria.

21) Macr., Sat., I, 21,1-6:1. Adonin quoque solem esse non dubitabitur inspecta religione Assyriorum, apud quos Veneris Architidis Adonis maxima olim veneratio viguit, quam nunc Phoenices tenent. Nam physici terrae superius hemisphaerium, cuius partem incolimus, Veneris appellatione coluerunt, inferius vero hemisphaerium terrae Proserpinam vocaverunt. 2. Ergo apud Assyrios sive Phoenicas lugens inducitur dea, quod sol, annuo gressu per duodecim signorum ordinem pergens, partem

quoque hemisphaerii inferioris ingrcditur, quia de duodecim signis zodiaci sex superiora, sex inferiora censentur. 3. Et cum est in inferioribus et ideo dies breviores facit, lugere creditur dea, tamquam sole raptu mortìs temporalis amisso et a Proserpina retento, quam numen terrae inferioris circuii et antipodum diximus. Rursumque Adonin redditum Veneri credi volunt cum sol, evictis sex signis inferioris ordinis, incipit nostri circuii lustrare hemisphaerium cum incremento luminis et dierum. 4. Ab apro autem tradunt interemptum Adonin, hiemis ìmaginem in hoc animale flngentes, quod aper hispidus et asper gaudet locis umidis lutosis pruinaque contectis proprieque hiemali fructu pascitur glande. Ergo hiems veluti vulnus est solis quae et Iucem eius nobis minuit et calorem, quod utrumque animan­ ti bus accidit morte. 5. Simulacrum huius deae in monte Libano fingitur capite obnupto, specie tristi, faciem manu laeva intra amictum sustinens, lacrimae visione conspicientium manare creduntur. Quae imago, praeter quod lugentis est ut diximus deae, terrae quoque hiemalis est, quo tempore obnupta nubibus sole viduata stupet, fontesque veluti terrae oculi uberius manant, agrique interim suo cultu vidui maestam faciem sui monstrant. 6. Sed cum sol emersit ah inferioribus partius terrae vernalisque aequinoctii transgreditur fines augendo diem, tunc est Venus lcata et pulchra: virent arva segetibus, prata herbis, arbores foliis. Ideo maioris nostri Aprilem mensem Veneri dicaverunt. 1. Non si dubiterà che anche Adonis sia il sole una volta presu in esame la religione degli Assiri presso i quali un tempo fiorì la massima venerazione per Venus Archites e per Adonis, quella (venerazione) che ora osservano i Fenici. Infatti i fisici hanno onorato del nome di Venus l'emisfero superiore della terra, una parte del quale ¡'abitiamo noi, ed invece chiamarono Proserpina l'emisfero inferiore, 2. Pertanto presso gli Assiri o i Fenici si rappresenta una dea che piange, poiché ii sole Qttraversando i dodici segni dello zodiaco durante la sua orbita annuale entra anche nella parte dell'emisfero inferiore; infatti dei dodici segni sei sono considerati superiori, sei inferiori. 3.

E quando si trova nei segni inferiori, e perciò rende ì giorni più brevi, si crede che la dea pianga, giacché il sole sembra essere venuto mano perché rapito da una morte temporanea ed è trattenuto da Proserpina, quella che abbiamo chiamato il nume del circolo inferiore della terra e degli antipodi; e vogliono che si creda che Adonis sia tornato di nuovo da Venus una volta che il sole, superati i sei segni della serie inferiore, inizi a visitare Vemisfero dei nostro cerchio celeste in occa­ sione dell4aumentare della luce e (deliallungarsi) dei giorni. 4. Traman­ dano anche che Adonis sia stato ucciso da un cinghiale, rappresen­ tando con questo animale il simbolo d ell inverno, giacché il cinghiale, (animale) ispido e selvatico, gode dei luoghi umidi, fangosi e coperti di brina, e in particolare si nutre di ghiande, un frutto invernale. Pertanto l'inverno è come una ferita per il sole che fa diminuire per noi la sua luce ed il suo calore, cose che, entrambe, si verificano negli esseri animati in occasione della morte. 5. Sul monte Libano il simu­ lacro di quella dea è rappresentato col capo velalo, triste nell'aspetto, nell'atto di sostenere tra le pieghe del mantello la testa con la mano sinistra; a chi la osserva sembra che sgorghino delle lacrime. Questa immagine, a parte il fatto che, come abbiamo detto, è propria della dea piangente, è anche (immagine) della terra in inverno, nel periodo in cui coperta di nubi, vedova del sole, rimane come stordita, mentre le fonti, come (se fossero) gli occhi della terra, sgorgano più copiosamente ed ì campi non più coltivati mostrano il loro aspetto mesto. 6. Ma dopo che il sole è emerso dalle regioni inferiori della terra ed oltrepassa i confini dell'equinozio invernale, rendendo più lungo il giorno, allora anche Venus è felice e bella; i campi verdeggiano di messi; i prati d'erba, gli alberi di foglie. Per questo i nostri antenati dedicarono a Venus il mese di aprile.

22) Hesych., hex., s. v. ’A8covi8oc tricot* èv toìc ’ASovìoic riScoXa è^àyouciv Koà Kifcooc i n 9 óctpaKov kcci 7cavTo8a7rnv ònaipav, oiov èie papàGpov icai GpiSatccov napaciceudCouciv a\mi> toix: icr|7tooc icon yàp èv GpiSaiavaic ctòtòv KaxaKXivGrjvai ÌmÒ ’Apo8ÌTT|C 0éov nape^eXOóviov àcivéov ó^iyoi uvee a ò io v \)ttotei0éviec ècvXncav rfic Oópavit|c 'Apo8ìttic iò ipóv. 3. wEcxi 8è toùio io ipóv, oc èyò 7ruv0ccvó|ievoc enpicico. ttdvxov àpxaiótaiov ipov, Òca laÒTqc xqc Oeotj- xai y àp xó èv Kùttpo ipòv èvGeutev èyéveio, toc aòxoi Kójcpioi Aéyouci, xai xò èv Ku0ii potei 4 k>ìvikéc eici oi iòpocàpevoi èx TaÓTqc Tqc Cupide èóvxec. 4.

Toìci 8è tóv Cm)0écov evin caci xò ipòv xò èv ’AcicaÀam icai xoia xoòxcov airi ek / óvoici èvéaaiye f| 0eòc 0nÀeav voOcov. 2. £ rosi qiiW// (se. gli Sciti), tornando indietro, si trovarono nella città di Ascolana in Siria, e benché la maggior parte degli Sciti avesse continuato la marcia senza arrecare danni, alcuni di loro rimasti indietro saccheggiarono il tempio di Aphrodite Ourania. 3. Questo santuario, per quanto vengo a sapere grazie alle informazioni che ho raccolto in prima persona, è il più antico fra tutti quelli consacrati a questa dea, infatti il santuario di Cipro derivò da questo, come affermano anche i Ciprioti, mentre i Fenici giunti da questa parte della Siria edificarono quello di Citerà. 4. A tutti quegli Sciti che saccheggiarono il santuario di Ascalona ed ai loro discendenti ripetutamente la dea scagliò contro il morbo femmineo.

2) Xanth. Lyd., ap. Athen., Deipn., Vili, 37: 'H Séye ’Axapyaxic, oòcrap Eav0oc Àéyei ó Au8òc, x m ò Mó^ou xoi Av8o\> ¿Àrnica tcax£7rovTÌc0ii |itxà *lx0òoc ioti \>\ox> èv xf\ rapi ‘AocaÀova Ài|ìv t ) 8ià triv iippw kol\ \)7iò xaiv ìx0òcov Kaxeppa)0Tv Atargatis, come dice Xanto il lido, rapita da Mopso figlio di Udo, venne gettata assieme al figlio Ichthus nel lago presso Ascalona per la (sua) insolenza e venne divorata dai pesci.

3) Ctes., ap. Erat., Calasi., n. 38: Ooxóc ècn v ò \xéyac KaÀoòpEvoc 'Ix0iic ... icxopeixai 8’ ox>xoc, eoe ((it ic i K x t ic ìo c , Ttpótepov èv Àipvq xivx Kaxà xfiv Boeicpòicnv rivai. ’E|j.racoòcr|c 5è xfy:: Ae^ ketoOc vukxóc. nv o'i rapi xoùc xóttodc oìkoùvxcc Cupiccv còvópacav 0eòv, o ix o c Soicei ccòcai aòxiiv. T oiìxod Kai xoix: 8óo òaoiv ’IxOòac èyyó vo dc rivai, oiic Ttavxac 8i* e k e ìv t iv ’AòpoBixrjc oòcav ©uyaiépa èxipTicav Kai èv xoic àcxpoic 80TlKav. noioòci 8è oi tt|v x vGv àjcéxecGai xoòxov xoG ^qSou Kai xipàv xoòc ixBvc nò xo ò tìov xò TiatSiov SiaxpéòecGai ... 6. ... "Ac à n ’ ckcìvìov x ó v xpòva>v oi Kaxà Cupiav ànavxec SiexéAecav (oc 0eàc xipoivxec.

cìiÌucctoc

2. In Siria, dunque, c'è la città di Ascalona e non lontano da questa un lago grande, profondo e pieno di pesci. Lì accanto ha inizio un recinto sacro dedicato ad una dea epifane che i Siri chiamano Derketo; questa, se ha il volto di donna, per il resto del corpo!è a forma di pesce; questo è il motivo. 3. / più dotti fra gli indigeni raccontano che Aphrodite, poiché era irata contro la suddetta dea, la fece innamorare follemente di un giovane tutt'altro che brutto fra quelli che facevano sacrifici; unitasi al siro partorì una figlia. Però, vergognandosi delle (sue) colpe, da una parte fece scomparire il giovane, dalValtra abbandonò la figlioletta in luoghi pietrosi e deserti; lei stessa, poi, si gettò nel lago per la vergogna e il rimorso, mutò il suo corpo e divenne un pesce. Per questo ancora oggi i Siri si asten­ gono da questo animale e venerano i pesci come dèi. 4. Riguardo al luogo dove la neonata venne abbandonata, giacché lì nidificava un gran numero di colombe, in modo straordinario e per volere divino la fanciulletta venne nutrita da queste ... 6. ... Da allora quelli che vissero in Siria onorarono le colombe come divinità.

8.2) Diod. Sic., B i b l . h i s t . , il, 2 0 , 1-Ì2 :1. Mexà Sé xiva xpóvov v n ò Nivuou xoG oiou S r eùvouxou xivòc ÈTtijìouXeuGeica, k (ióvov è£ óveipwv èiiavxsÓExo, àXkxt icai èYPnyopóxox 0EOÌK. ò p à v \meicpivEXO icai

aòxaiv àtco ik iv x à

(iÉ^Xovxa. 6. n o U to v 8 ' vn" a ò x o i cxe5iaCopévopéei Kai mipyòv Kai kecxòv, tó> pouvriv tt)v Oùpavir|v KOcpÉouciv. “E ktocOev 8é oi xpucóc xe àXXoc JiepiKÉexai Kai Xi0oi Kàpxa noXuxEXéec, x6v oi pèv Xeukoì, oi 8è ùSaxtóSeec, noXXoi Sè oivotèeee, noXXoi 8è icupcóSeec. uExi 8è òvoxec oi CapSpoi noXXoi Kai òàiav0oi Kai cpàpay8oi, x à òépouciv AiYunxioi koì ’ 1v8o\ Kai AìOionec Kai Mfì8oi Kai ’Appévioi Kai BapuXcòvioi. Tò 8è 8f| pé^ovoc Xóyov 5é ti oòvopaiSiov a m ò é0 evto, àXK’ oòSe yevécioc aòxoò Kai eiSeoc XeYodci Kai piv oi pèv èc Aióvvcov, àXkox Sè èc AeuKaXitova, oi Sè èc Cepipapiv ayouciv Kai yàp 8f| a>v ènt xfj Kopix|>fi ccoxov TcepicTepò xpucÉTi è(|)ècTr|K£. ToweKa Srj iivOéovxai Cepipapioc fppevai xóSe cr||iT|iov. 'ArcoSripéei Se S'ic qcòctoo eteoc èc OaXaccav èc KopiSfiv xoò eTjiov iiSaxoc.

In mezzo a queste due statue ce n è un'altra d'oro, in nessun modo rassomigliante alle altre. Ma anche se non ha una forma propria, presenta comunque le caratteristiche degli altri dèi. Dagli Assiri è chiamata "immagine", a lei non è stato attribuito un qualche nome proprio, né raccontano nulla della sua origine e del suo aspetto. Mentre alcuni la riconducono a Dionysos, altri a Deucalione ed altri ancora a Semiramide; comunque sulla sommità del suo capo è posta una colomba d'oro. Perciò raccontano che questa "immagine" sia di Semiramis. Due volte all'anno viaggia fino al mare in occasione di quel trasporto dell'acqua dal quale ho già parlato.

15.12) Ps. Lue., Syr. Dea, 34: 'Ev aÙT& 5è tío vr|COècióvtìov èv àpiciepfi véetoci npóiia |ièv Spóvoc ’HeXiou, aòx ov Sfc é6oc o vk évi* |ì o \)vou 8è ’ He Xìou icaì CeX^vairic ^ ó a v a o\3 Seiicvùouciv. "O teu 5e tìveica ¿5 e vopi^ouciv, eyco Kai xó5e èpa0ov. Aéyouci toìci |i£v àXXoici 0eòlciv ociov émiEvai £óava 7ioié£c0ai, Oli yàp c ipoü, èv xfi ìxOwc ipoi Tpévxai noXXoi icai noXoeiSéEc. riyvovxoa 8è at>xé(ov evioi icápxa pEydXor ooxoi Se icai oùvópata exodciv icai èpxovrai teaXEÓpEvoi. ’ Eie' èpeij

8é tic £r|v èv aùxoìci x p u c o < t > o p é a > v èv xfi 7 t x é p u y i 8è rcoiiipa Xpuceov aùiecp àvaKÉexo. Koti piv èycò J x o X X c m c è0£r|capr|v, K ai

e ix e

t ò

jc o ir ip a .

In quello stesso luogo c'è anche un lago, non molto distante dal tempio, nel quale vengono allevati molti e variegati pesci sacri. Alcuni di questi sono molto grandi; inoltre hanno anche dei nomi e una volta chiamati arrivano. In mia presenza ne sopraggiunse uno con le squame d'oro, sulla sua pinna era posto un manufatto d'oro. Ed io lo osservai più volte ed aveva (proprio quel) manufatto.

15.24) Ps. Lue., Syr. Dea, 46: Bà0oc 8è ttìc XÌ|ìvt |c 7toXXóv. ’Evà) pèv OÌ)K £7l£ipTÌ0T|V, XÉYOVCl 8’ CÙV KOÀ 8lT|KOCÌ(OV òpyoiétov itXèov èppevai. Kaxà pécov 8è aùxfìc (Jtopòc Xi0ox> óvécttike. Aokéoic àv àóveo i8(òv jcXcóeiv xé piv K a i xto v8att £Jtox££c0ai, Kal noXXoi co5e vopi^oueiv. 'Epoi Sè Sokéei ctGXoc xx^ecxecòc pÉyac àvéxeiv xòv pcopóv. ”EcxEitxai 8è ài£i Kai Oxxópaxa ixei rioXXoi 8è K a i ekócxtic r|pépT|c Kax’ ev>xt)v èc aùxòv vT|xóp£voi cx£(|)avr|càp£voi xéovxai, à%X' ècxiv CÌX£KXpvd)V IpÓC, OllC££l & £7Ù xfi AipVlJ, OC £7l£CCV CtyttiW 6é£T|xai

xà àyyi^ia ttìv xe c^pryyìSa opti, *ai pictìòv àpvupsvoc ava X£ 8ecpòv Kaì xòv KTipòv àTcaipécxai, k c ì k o M m pvéec e k xooxéoo xoi èpyoi) xcù àXeKxpvóvi àycipovxai. vEv0ev 8è èc xòv vtjòv aijxoi èvriicavxec c7iév5o\)ci xe icai Oucavxec òtcìco ÓTCOVOcXeOUClV. 7cóe \ xòv

Presso di loro, però, le feste più importanti sono quelle che sono dette "al mare". Ma io su queste non ho niente di sicuro da dire, infatti né vi andai personalmente né mi accinsi a quel pellegrinaggio« Però vidi e dirò le cose che fanno quelli che vi partecipano. Ognuno porta un vaso riempito d'acqua fino all'orlo; i vasi sono stati sigillati con della cera. E non è che li versino dopo averli aperti, ma c'è un gallo sacro, abita presso il lago, che dopo avere ricevuto i loro vasi osserva il sigillo e dopo avere ricevuto una ricompensa scioglie il legaccio e toglie la cera; molte mine finiscono nelle mani del gallo per questo lavoro. Da lì, entrati nel tempio, fanno libagioni e, dopo avere sacrificato, tornano indietro.

15.27) Ps. Lue., Syr. Dea, 49: 'Opxéiov 8è nacécov xaiv oiSa |i£yicTT|v xoò eiapoc àpxoitévov èTnxEÀéooci. kocì |ìiv oi pèv rcupiiv, oi 5è XapTcaSa icaAéo'uci. Oucìtiv 8è èv aùxTj xouiv8e Tioiéovcr 8év8pea psyàXa èKKÓyavxec xfj oùM] ècxàci, pexà 8è àyivéovxec aiyàc xe Kaì ólotc teai òXXxx. KT^vea ¡¡eoa ek xt|v Tòìciv dAXoici Ganxovxai, àXX’ èàv ànoGavi) rdXXoc, o'i èxaipoi piv àeipavxec èc xà npoacxeia ^épouci, Oépevoi Sè aòxòv koì xò ((»Épxpov, xco èicópicav, ònepOe XiGovc jìdXAouci. koù xa5e icpT^avtEc òmco dnovocxéouci. uXd£avxEc 8e èrexà ripepéaXfjv pèv òSe tedi óópóac è^ópaxo, pexà 8è ipeticac ò'ìv xà pev àXXa tepeoupyéei xe tedi eùcoxéexai, tò Se vàteoc xa Mai Sépevoc km xouxou èc yóvu è^exai, icóSotc Se icai K£0aXf)v xou tcxiiveoc km xfjv èannou KE^aXnv àvaAxxpPdvei, à p a 8è eùxópevoc aixéei xr^v pev rapeoiicav (hxÌTiv SéicecOai, pé^co Se eccome ÙTncxvéexai. TeÀecocc Se taù xa tedi xf|v ke^ ccàtìv auxoO xe cxéóexai Kdi xaiv àXtaov, òteócoi xtiv a\txf|v óSòv àTaievéovxai. vApac Sè arcò xt\ c èouxoò òSoircopéei iiSaci xe yuxpoici xpeàp^voc Xomptùv xe tedi rcócioc eiveica ledi èc rcàprcav xctpcateoixécov oi> ydp oi eòvfìc èrcipiìvai ociov, rcplv xfjv xe óSòv èiexeÀ£cai koì èc xf\v èitfUToO aòxic àrciicéc6ai. Diro anche le cose che fa ognuno dei partecipanti alla festa. Un uomo, non appena giunge nella città sacra, come prima cosa si rade la testa e le sopracciglia; poi, dopo avere sacrificato una pecora, ne fa a pezzi alcune parti e se ne ciba lautamente. Di seguito, steso il vello a terra, vi si inginocchia e sul suo capo mette il capo e i piedi della pecora; poi, pregando, chiede che questo sacrificio venga accet­ tato e ne promette in seguito uno maggiore. Dopo avere portato a

compimento ogni cosa si corona il capo e corona gli altri che seguono lo stesso itinerario. Allontanandosi dalla sua terra, si mette in viaggio facendo uso di acqua fresca per latHtrsi e per dissetarsi, e dorme in terra per tutto il tempo; per lui non è lecito stendersi su un letto prima di avere portato a termine il percorso e di essere tornato di nuovo nella sua patria.

15.34) Ps. Lue., Syr. Dea, 56: 'Ev Se tfj ipfì nóh. èicSéicexoa (iiv àvrip f^ivoSótcoc àyvoeovxa pi^xoi yàp Sri a>v eicacxric TtóX-ioc aùxó0i ^eivoSÓKoi elei, noti i òSe naxpóOev oìkoi Séicovxai. KaAeovxai Se uno ’Accupiov oiSe SiSàcicaXoi, 6 n cibici nàvxa ùnriyéovtou. Nella città santa un uomo ospitale lo accoglie anche se lui non lo conosce; proprio qui infatti sono previsti uomini ospitali per ogni città, c ricevono in casa quelli che provengono dalla loro stessa patria. Dagli Assiri sono chiamati insegnanti, poiché a loro insegnano ogni cosa.

15.35) Ps. Lue., Syr. Dea, 57: ©uouci 5è o ù k ev aùxco x

òv èc xà oiiaiia, èX0ci)v Se ìcat' é ì o u x ò v 0uei xe Kcà euxexai. Non sacrificano nel tempio, ma (il pellegrino), dopo avere presen­ tato la vittima sacra all'altare, fatte le libagioni, riconduce di nuovo Vanimale a casa ed una volta giunto lo sacrifica e prega per sé.

15.36) Ps. Lue., Syr. Dea, 58: "Ecxi 5è Koà a XX t)c ©d c it ^c xpónoc xoiócSe cxévavxec xà ipi)ia, £cpà è * taA.fiv èxócpEi cxéavoc Xi0o)v 7ioA.oteAì Ì)v xpoid 8it|v0ic|ìévoc ... 8. Iepoopyoóvxa 8fj xoòxov, nepi xe xoic Pcopoìc xopeóovxa vóp.10 PapPàpcov ónó xe aòXòic xai cópiY^i navxoSaTtwv xe òpYÓvcov fixeo, jtepiepYÓxepov òcÉpA^rcov oi xe àXXoi àvGpawroi tcoà pàA,icxa oi cxpaxicòxon.

4. (Alessiano e Bassiano) erano consacrati aI dio Sol; infatti gli abitanti della regione lo venerano chiamandolo Elagabalos in lingua fenicia. In suo onore venne edificato un tempio grandissimo, adornato di molto oro ed argento e di pietre preziose in abbondanza. È onorato non solo da parte degli indigeni, ma anche tutti i satrapi ed i re stranieri vicini ogni anno generosamente inviano ricche offerte votive al dio. 5. Non si eresse nessuna statua fatta da mano umana, come è uso presso i Greci e Romani, per riprodurre l'immagine del dio; c'è, invece, una pietra grandissima, tonda in basso e terminante in forma acuta; ha forma più o meno conica, di colore è nera. Dicono solenne­ mente che quella è caduta dal cielo, mostrano alcune piccole spor­ genze c dei segni; e poiché così hanno voglia di vedere, ritengono che quest'immagine di Helios non sia un prodotto del lavoro dell'uomo. 6 . Bassiano proprio perché era sacerdote di questa divinità (infatti a lui, per il fatto di essere il più grande, era stato affidato il culto) continuava a comportarsi secondo il costume straniero, dal momento che indossava chitoni ricamati d'oro, fom iti di maniche tinte di porpora e lunghe fino ai piedi, e poiché si copriva anche le gambe per intero dalle unghie dei piedi fino alle cosce con calze intessute ugual­ mente d'oro e di porpora; inoltre una corona decorata con pietre preziose colorate ornava il capo ... 8 . Mentre officiava i riti sacri danzando intorno agli altari secondo il costume dei barbari al suono dei flauti, della siringa e di strumenti di ogni tipo, tutti gli altri uomini lo guardavano, in maniera oltretnodo eccessiva, specialmente i soldati. 2.1) Script. Hist. Aug,, Heliog., 1,5-6: Fuit autem Heliogabali vel Iovis vel Solis sacerdos ... 6 . Et hic quidem prius dictus est Varius, post Heliogabalus a sacerdotio dei Helagabali, cui templum Romae in eo loco constituit, in quo prius aedes Orci, quem e Suria seciun advexit. 5. Invero fu sacerdote di Heliogabalus ossia di luppiter o di S o l... 6 . E questo dapprima venne chiamato Vario, poi Heliogabalus dal sacerdozio del dio Heliogabalus, il quale portò con sé dalla Siria ed al

quale costruì a Roma un tempio là dove precedentemente si trovava il santuario di Orcus.

2.2) Script. Hist. Aug., Heliog., 3,4: Sed ubi primum ingressus est urbem, omissis, quae in provincia gerebantur, Heliogabalum in Palatino monte iuxta aedes imperatorias consecravit eique templum fecit, studens et Matris typum et Vestae ignem et Palladium et ancilia et omnia Romanis veneranda in illud transferre templum et id agens, ne quis Romae deus nisi Heliogabalus coleretur. Ma non appena entrò in città, trascurati quegli affari che veni­ vano amministrati in provincia, consacrò Heliogabalus sul Palatino nei pressi del palazzo imperiale e per lui fece erigere un tempio, cercando il modo per trasferire in quel tempio il simulacro della Mater, il fuoco di Vesta, gli ancilia e tutte le cose che devono essere venerate dai Romani; e fece di tutto affinché a Roma non fosse venerato nessun dio se non Hetiogabalus.

III/4 Iuppiter, Venus e Mercurius Heliopolitani

1 ) Ps. Lue., Syr. Dea, 5: "Exouci §è Kai àkXo oiviKec ipóv,

’Acaipiov, àXX* Aiytircnov, tò 'HÀiou nóXioc èc xf(v 4>oivìktiv otTcìKEto. ’Eyo) pev piv ovk ¿manca, péya Se »cai tó5e icai apxaiòv éctw . otjk

/ Fenici hanno anche un altro santuario, non assiro ma egizio, che fabbricarono quelli che giunsero ad Heliopolis dalla Fenicia. lo invero non lo vidi, ma so che questo è antico ed imponente.

2.1) Eus. Caes., Praep. ev.f IV, 16, 22: *‘On Se aciv èKxeXeiv tca'i xrjc poixiSioo Kai nopviKTÌc Ttpa^eoc xoìe 0eoic drcdpxecGai, ttìc ¿ kAeovc xaiirr|c Kaì àcépvov) èpiropiac octcep ti xa Pic*nÌpiov àya0òv xoùc Kapjioix: aòxoìc àvaxiGévxae. Dunque tali cose furono opera di demoni malvagi e pendersi, e per te sarebbe ancora più evidente se riflettessi sulle cose che si compiono ancora oggi relative alla prostituzione diffamata e dissoluta di quelli di Heliopolis in Fenicia e presso molte altre popolazioni. Invero dicono che è necessario compiere adulteri, corruzioni, ed altre unioni contro le regole in onore degli dèi, offrire come primizia ì adulterio e la prostituzione alle divinità come se fosse una cosa dovuta, consacrare a loro i frutti di questo commercio infame ed ignobile.

2.2) Eu$., Vita C o n s t IO, 5 8 , 1: 'Ety' fjc oì pèv Tqv aKÓAacxov TÌSovriv xip óvxec 'A$po8ÌTT|c n p ocp iip axi yapexaTc Kaì Goyaxpaav àvé8T|v eKnopveóeiv evvexcàpoov jrpóxepov. Qui (se. a Heliopolisì quelli che prima nel nome di Aphrodite onorando il piacere dissoluto permettevano alle mogli ed alle figlie di prostituirsi liberamente, ora una legge nuova e saggia da parte dell'im­ peratore li costringe a non osare più nessuna cosa di quelle che prima erano abituali.

3) Socr. schol., Hist, eccl, I, 18: 'Exépav 5è eK K ^ciav èv THAioo r o t e i x t ^c xr|v ... Koivàc yàp eivai Trap’ aùxoic xàc ywaiKac èyxaSpi°c vópoc èKéteue. Kai Sia xotixo, dpipotet pèv t^v

T ra p 1 a iu o le xà Tuetópeva* yovécov yàp icai t c k v o v oóSepia 5iàicpicic f\v t ò c yàp JtapGévooc iole notpiouci ^évoic napcìxov nopveóecGai. Koà touto apycaov tepatouv m p ' aótoìc, Xucai

ecnovòacz. Costantino ordinò che si costruisse un'altra chiesa ad Heliopolis in Fenicia per questo motivo: ... infatti una legge patria imponeva (agli Eliopolitani) che presso di loro le donne fossero in comune. E per questo motivo, presso di loro, la prole era di difficile attribuzione; infatti non cera nessuna distinzione per i genitori e per i figli. E offrivano le vergini affinché si prostituissero con gli stranieri che si trovavano lì. Così (Costantino) si preoccupò di abolire ciò che presso di loro era norma fin dall'antichità.

4) M acr, Sat., I, 23, 10-20: 10. Assyrii quoque solem sub nomine Iovis, quem Aia 'HAiounoAitriv cognominante maximis cerimoniis celebrant in ci vitate quae Heliupolis nuncupatin'. Eius dei simulacrum sumptum est de oppido Aegypti quod et ìpsum Heliupolis appellatur, regnante apud Aegyptios Senemure seu idem Senepos nomine fuit, perlatumque est primum in earn per Opiam legatum Deloboris regis Assyriorum sacerdotesque Aegyptios quorum princeps fuit Partemetis diuque habitum apud Assyrios, postea Heliupolin commigravit ... 12. Hunc vero eundem Iovem solemque esse cum ex ipso sacrorum ritu turn ex habitu dinoscitur. Simulacrum enim aureum specie imberbi instat dextera elevata cum flagro in aurigae modum; laeva tenet fulmen et spicas, quae cuncta Iovis solisque consociatam potentiam monstrant. 13. Huius templi religio etiam divinatone praepollet, quae ad Apollinis potestatem refertur, qui idem atque sol est. Vehitur enim simulacrum dei Heliupolitani ferculo, uti vehuntur in pompa ludorum circensium deorum simulacra, et subeunt plerumque provinciae proceres raso capite, longi temporis castimonia puri, ferunturque divino spiritu, non suo arbitrio sed quo deus propellit vehentes, ut

videmus apud Antium promoveri simulacra Fortunarum ad danda responsa. 14. Consulunt lume deum et absentes missis diplomatibus consignatis, rescribitque ordine ad ea quae consultatione addita continentur. Sic et imperator Traianus initurus ex ea provincia Parthiam cum exeratu, cpnstantissimae religionis hortantibus amicis, qui maxima huiusce numinis ceperant experimenta, ut de eventu consuleret rei coeptae, egit Romano consilio, prius explorando fiderei religionis, ne forte fraus subesset humana: et primum misit signatos codidllos ad quos sibi rescribi vellet... 17. Et ne sermo per singulorum nomina deonun vagetur, accipe quid Assyrii de potentia solis opinentur. Duo enim, quem summum maximumque venerantur, Adad nomen dederunt. Eius nominis interpretatio significat unus-unus. 18. Hunc ergo ut potentissimum adorant deum, sed subiungunt eidem deam nomine Adargatin, omnemque potestatem cunctarum rerum bis duobus attribuunt, solem terramque intellegentes, nec multìtudine nominum enuntiantes divisam eorum per omnes species potestatem, sed argumentis quibus omantur significantes multiplicem praestantiam duplicis numinis. 19. Ipsa autem argumenta solis rationem loquuntur. Namque simulaarum Adad insigne cemitur radiis indinatis, quibus monstratur vim caeli in radiis esse solis qui demittuntur in terram. Adargatidis simulacmm sursum versum reclinatis radiis insigne est monstrando radiorum vi superne missorum enasa quaecumque terra progenerai. 20. Sub eodem simulacro spedes leonum sunt, eadem ratione terram esse monstrantes qua Phryges finxere Matrem Deum, id est terram, leonibus vehi. 10. Anche gli Assiri, nella città che si chiama Heliopolis, celebrano solennemente con grandissime cerimonie religiose il sole sotto il nome di uno luppiter che chiamano Zeus Helioupolites. Il suo simulacro venne preso da una città dell'Egitto a neh'essa chiamata Heliopolis, mentre in Egitto regnava Senemur, forse lo stesso nome che Senepos, e portato prima in quella grazie ad Opia, ambasciatore di Detobor il re degli Assiri e grazie ai sacerdoti egizi dei quali il capo era Parte-

metta (ma cfr. nome). Poi, dopo che a lungo era rimasta presso gli Assiri, in seguito si trasferì ad Heliopolis ... 12. Che questo medesimo luppiter sia il sole si riconosce tanto dal rito stesso delle cerimonie religiose che dall'aspetto (della statua). Infatti il simulacro d'oro rappresenta un giovane imberbe c stante, con la destra sollevata con la frusta come un auriga; con la sinistra stringe il fulmine e le spighe, tutte cose che si rifanno al potere di luppiter e del sole. 13. La religio di questo tempio è molto famosa anche per la divinazione, che è ricon­ dotta al potere di Apollo, il quale invero è lo stesso che il sole. Infatti il simulacro del dio eliopolitano con una barella si porta in proces­ sione, come vengono portate in processione le statue degli dèi duranti i ludi circensi, e per lo più lo portano ì maggiorenti della provincia col capo rasato, puri per una continenza di lunga data; essi vengono condotti dallo spirito divino, muovendosi non per una loro scelta ma dove li spinge il dio, come vediamo che i simulacri delle Fortune sono condotti ad Anzio per dare responsi oracolari. 14. Consultano questo dio anche coloro che sono assenti grazie a delle lettere spedite e reca­ pitate alle quali riscrive con ordine secondo le questioni poste. Così anche l'imperatore Traiano, che era sul punto di andare con l'esercito in Partia (muovendosi) da quella regione, esortandolo gli amici di fede oltremodo salda, che avevano sperimentato moltissime volte la potenza di quella divinità, a chiedere un responso sull'esito detrazione intrapresa, seguì il modo di pensare dei Romani, mettendo alla prova la credibilità dell'oracolo perché la perfidia degli uomini non avesse la meglio. E per prima coso inviò dei biglietti sigillati ai quali volle che si rispondesse per iscritto ... 17. Ma ora affinché il (mio) discorso non divaghi sui nomi dei singoli dèi, apprendi ciò che pensano gli Assiri intorno alla potenza del sole. Difatti al dio che venerano come sommo e massimo, hanno dato il nome di Adad che significa una volta tradotto "unico-unico". 18. Pertanto adorano questo dìo come il più potente, ed a lui affiancano una dea di nome Atargatis. A loro due attribui­ scono ogni potere su tutte le cose, immaginandoli come il sole e la terra; e con la moltitudine dei nomi non vogliono esprimere che la potenza di quelli si divide attraverso ogni specie (di cosa), ma inten­ dano indicare l'eccellente superiorità di un nume duplice grazie agli

attributi con i quali li adornano. 19. Ora questi stessi argomenti rimandano chiaramente al sole. Infatti il simulacro di Adad si rico­ nosce per i raggi inclinati, con i quali si simboleggia che la forza del cielo sia nei raggi del sole che vengono inviati sulla terra. Il simulacro di Adargatis si riconosce per dei raggi inclinati dal basso verso ralto per dimostrare che tutto quella che la terra genera nasce grazie alla forza dei raggi che provengono dall'alto. 20. Al di sotto del medesimo simulacro ci sono dei leoni che dimostrano che si tratta della terra per la medesima ragione in forza della quale i Frigi supposero che la Mater degli dèi, cioè la terra, è trainata dai leoni.

5.1 ) Sozom., Hist, ecci, 1,8 : ilapà 5è «tolvi^iv, oi xòv Aipavov Kai rfiv 'HXiowcoXiv oiicoociv, oÒKéxi 0épic qv èKrcopve-uecOai toc TtapSévouc npiv iole dtv5paci c u v e XGe ì v , oìc vópeo Yajiov covouedv ricòGaci peià xr|v Kpdm\v jcdpav ine àGEpixoo pi^ecoc. Presso i Fenici, i quali abitano il Libano ed Heliopolis, non fu più permesso che le vergini si prostituissero prima di unirsi con quegli uomini con i quali secondo il diritto matrimoniale erano solite sposarsi dopo la prima esperienza di quell'unione empia. 5.2) Sozom., Hist, eccl., V, 10: £lc 5Ècop.paXXco, eie xocauxTjv oipÓTTiTa *caxà xtbv iepciv Ttpo^YayE xovc HXioonoXixac xò KaftoOiìvai, Ka0ò rcàxpiov f|v auxoìc Tcpóxepov, è*C7copveóec0 ai Teapot xoo npocxuxóvxoc xàc èvGafie rcapGévovc, jcpiv xoìc |ivi]oxf\pci cuveX0£iv eie yapov. Penso che ad una tale crudeltà verso le sante vergini gli Eliopolitani siano stati spinti dal fatto che era stato proibito che lì le vergini, secondo un antico costume patrio, si prostituissero con il primo che capitasse prima di unirsi in matrimonio con i legittimi pretendenti.

6) Dam., Vita Isid. in Phot, bibl., 242, 203: ÈiSov,... xòv Paixo-

Xov S ia xou dépoc Ktvovpevov, rcoxè 5 ’ èv xoic i|iaxioic Kpurcxópevov, f j Srj Sé t i o x g icai èv xepct Pocxa^ópevov xov 0epaJCEÙovxoc.''OvopaS’ f\ v xciGepajievovxi xòv fkrixuXov EvcéPioc, oc icai g X g y e v £7reX0eìv avxó icoxè àSóicnxov èqaiòvrjc npo0v(iiav dicoTiÀavTiOfivai xou àcxetoc 'Epicric èv v u i c t ì pecouci] c^eSòv à c 7copp(oxax Ttpòc xò òpoc aùxó, èv vevepqpévqc. tcca xqc Si’ crirrajv xqc yoxqc 8i£soSoo. ToióvSe xò crippoAov ic/ripa^ óixduruÀoc, ¿ni 8’ ccrixq icriXq òySòq. ’H Ttptóxq x pévxot x ó v

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animali; i secondi ne fanno uso, ma non uccidono gli ammali dome­ stici; i terzi, similmente agli altri, non ne mangiano. Infatti il dogma più importante in assoluto è quello che afferma resistenza della metempsicosi, c questo è quanto sembra che si riveli nei misteri di Miihra. 3. Som; soliti indicare la nostra comunanza con gli animo// facendo riferimento a noi proprio attraverso gli animali; e cosi chiamano leones quegli inizio// che partecipano ai loro riti orgiastici, iene le donne, corakes i sm>ifori. Riguardo agli iniziati al grado di pater questi prendono il nome di aquile e falconi. Colui che è iniziato al grado di leo assume le sembianze di animali di ogni genere. 4. Pallas, nella sua opera su Mithra, fornendo utta giustificazione per queste cose, dice che mentre l'opinione comune fa congetture nel rife­ rirla *•* al cerchio zodiacalet l'interpretazione vera e precisa rimanda alle anime degli uomini< le quali, dicono, sono circondale da corpi di ogni genere.

8.3) Porph., De antro, 5-6:5. *A vrpa pcv &n èrciEiKar oi iraAcaoi Kcà cirriAaia *co rcocficp fcafhèpouv ica0' ÒXov te aùxòv k o i icaià Jiépn Xajipdvoviec ... 6. ... Ouxo) K Jidvxcov noir|TOU kcù naxpòc MiOpou, ri/cóva tépovxoc auro) xou cir^Xodot) xoù koc(ìo \>, òv ò M iO pac cSiip iovp yiicE. xriìv S ’ èvxóc icaxà c o p p é x p o v c cbcocxacEic cùjiPoXa epóvT(ov xaic i)8pióci, y u x aic 5è yevèceax K ai àjioyEvécEtoc o ì k e Ì o i o i xórcoi. Tcp pèv ouv M i0 p a o ÌK d a v KaOéSpav xqv Kaxà xàc icqpepiac ÒTièxaqav 8iò Kpioù pèv òépEi ’Apq iou ¡¡cpSiou xqv pàxaipav, èiioxeixai Se xaòpco, ’A^poSixqc 8è Kai ó xatipoc. Aqpioupyòc 8è d>v ó M i0pac Kai yEvécEioc 8ec7ióxqc K axà xòv icqpEpivòv xéxaKxai k ò k X o v , èv S e ^ u x pèv xà pópeia, èv àpictepà 8è xà vóxia, xExaypévou aùxo'ic Kaxà pèv xòv vóxov xoù Kaòxox» 8 ià xò eTvai 0eppóv, Kaxà 8è xòv Poppàv xoù 8ià xò ijnixpòv xoù àvépot». 25. 'f ic à ie 8’ eie yévEciv ioiicaic Kai

àjcò yevÉcEox xwpi£opévaic eìkótìoc èta^otv àvépovc 8ià tò è$£À,KEc0ai icai a m à c jwexìpa, aie tivec qnitìricav, »coti ttjv oiiciav eXEiv Tovortiinv. 24. Per gli Egiziani Yinizio dell'anno non coincide con YAcquario, come per i Romani, ma con il Cancro; infatti Sothis, che i Greci chiamano costellazione del Cane, è vicino al Cancro. Per loro il novi­ lunio dell'anno corrisponde al sorgere di Sothis che segna l'inizio della generazione nel cosmo. Dunque (Omero) non ha dedicato le porte dell'antro né a oriente, né a occidente, né agli equinozi, ovve­ rosia all'ariete ed alla bilancia, ma a àustro e a borea, alle porte più settentrionali nella regione celeste verso austro e alle più meridionali nella regione celeste verso borea, dal momento che l'antro era sacro per le anime e per te ninfe acquatiche; e questi per le anime sono i luoghi della nascita e della morte. Pertanto assegnarono come adatta a Mithra la sede presso gli equinozi; per questo lui porta il coltello dell'Ariete, segno di Ares, e cavalca il toro, e il toro è di Aphrodite. E poiché Mithra è demiurgo e signore della generazione è stato posto nel cerchio equinoziale ed ha alla sua destra le regioni australi, alla sua sinistra le regioni boreali, mentre accanto a queste è stato posto Kautes dalla parte del noto perché (lì) è caldo, dalla parte di borea, invece, Kautopates perché il vento del nord è freddo. 25. E così alle anime che scendono nella generazione e che dalla generazione si sepa­ rano giustamente assegnarono i venti per il fatto che anche quelle attirano a sé un soffio, come credettero alcuni; e questa è la loro essenza.

9) Amob., Adv. m i., VI, 10: Inter deos videmus vestros leonis torvissimam faciem mero obitam minio et nomine frugiferi nuncupari. Siamo testimoni che tra i vostri dèi il volto minacciosissimo del leo è stato coperto di minio puro ed è chiamato col ìiome di frugifer.

10) Com m., Instr., I, 13: Invictus de petra natus si deus habetur, / nunc ego reticeo; vos de istìs date priorem! / Vicit petra deum, quaerendus est pctrae creator. / Insuper et furem adhuc depingitis esse, / cum, si deus esset, utique non furto vivebat. / Terrenus utique fuit et monstruosa natura, / vertebatque boves alienos semper in antris / sicut et Cacus Vulcani filiu s

ille * .

Se un dio nato da una pietra può essere invitto, io ora lo taccio; stabilite voi chi sia il primo fra questi! Ma la pietra vinse il dio, infatti è necessario cercare colui che ha creato la pietra. Inoltre lo dipingete come ladro, eppure non vivrebbe certo di furto se fosse un dio. In ogni caso fu terreno e di natura mostruosa, e negli antri sempre ha condotto buoi sottratti ad altri, proprio come Cacus il famoso figlio di Vulcanus.

11) Ps. Clem., Hom., VI, 9-10:9. Aappàvouci 5e Koà *A5gjviv eie còpaiouc Kapjcouc,’ Apposixiiv t ic pi£iv Kai yéveciv, AqiiTÌipav eie yfjv, Kópt|v eie c o p p a ia , Kai Aióvucóv uvee eie àpTceXov. 10. Kai Travia x à x o ia m a òpoiax: to iaw iiv tiv à àXX.riYopiav éxovxa voci poi- 'AnóXfoùva i ò v qXtov tòv jtepircoXouvia elvai yópiCe, yovf|v ò v ta tou Aiòe. ov Kai MiOpav èKÓXficav, èviaviou cupTtA.Tipo'uvia TtepioSov.

9. Prendono Adonis a simbolo allegorico dei frutti di stagione, Aphrodite dell'unione sessuale e della generazione, Demeter della terra, Kore dei semi e, alcuni, Dionysos della vite. 10. E secondo me tutte queste cose ugualmente presentano un qualche significato allegorico; considera che Apollon, figlio di Zeus, c il sole che compie la propria rivoluzione, e lo chiatnarono anche Mithra poiché porta a compimento un ciclo annuale.

1 1/acronimo di questi versi forma l'epiteto inz'n tus.

12.1) lui», In Hel. reg., 41: EX. coi pexà xooxo arnv, eoe Kai xòv MiGpav xi|i(0|j£v Kai àyo|i£v 'HXicp xexpaexipiKoùc àycàvac, èpói veióxepa. Se dunque io ti dicessi che onoriamo anche Mithra e che in onore di Helios celebriamo degli agoni quadriennali direi cose troppo recenti.

12.2) lu i, Caes., 38: Coi 6é, - rcpòc f)pac Xéycov ó 'Eppfìc 8é5o)Ka xòv Ttaxépa MiGpav ÈTriyvcovar ci) 5è aùxotì tòv, Kai yoveic rcàiSac, Kai àXXfjXaiv 7cpòc .......... / (sesta linea illeggibile) / hunc quem aurs humeris por­ tavi! more iuvencum / (ottava linea illeggibile) / atque periata humeris t(u)li m(a)xima divum / (10) dulc(i)a sunt fi(cata) avium (s)ed cura gubemat / pi(e) r(e)b(u)s renatum duldbus atque creatum / nubila per ritum ducatis tempora cunctì /. primus et hic aries astrictius ordine currit / et nos servasti aetemali $an~ guine fuso / (15) (oOfero ut . . a . ? . numina magna Mithrae / accipe thuricremos pater accipe sancte Leones / per quos tura damus per quos consumimi ipsi / nama leonibus novis et multis annis / h (?). . . . su . nem in[i]. . . fe ro .........[mort|alium omnium / (20) et(er]norumque omnium / ............... id t____ucta reddite cantu I. Fertile terra grazie alla quale Pales genera tutte le cose. 4. Fonte chiusa dalle pietre che nutristi i fratelli gemelli col nettare. 7. Questo torello che lui portò sulle spalle ottime (d'oro?) secondo l'usanza. 9. Trasportai sulle spalle le cose più importanti degli dèi portate a compimento. 10. Dolce è il fegato degli uccelli ma il pensiero fa da guida. I I . Piamente rinato e creato dalle dolci cose. 12. Che tutti voi attraverso il rito possiate sopportare stagioni nuvolose. 13. Per primo anche questo ariete corre ancora più serratamente in ordine. 14. E, versato il sangue eterno, ci hai salitalo. 16-17. Accogli padre santo i leones che bruciano incenso, grazie ai quali offriamo Tincenso, grazie ai quali noi stessi ci consumiamo. 18. Onore ai leones per molti e nuovi anni.

26.2) Iscrizioni del mitreo di S. Prisca (M.J. Vermaseren, C.C. Van Essen, The Excavalions in thè Mithraeum... cit., pp. 155 ss.): Nama [patribusj ab oriente ad occidentem tutela Saturni / [n]ama hfeliodrolmis tutela S[ol|is / nama Persis tutela Lunae / nama l[e]on[i]bus tutela Iovis / (5) nama militibus tutela Mart[i]s / nama [nylmphis tu[te]la [Venerisi / [nama coracibus tutela Mercurii) Onore agli iniziati al grado di pater da oriente ad occidente sotto la tutela di Saturnus / onore agli iniziati al grado di heliodromos sotto la tutela di Sol / onore agli iniziati al grado di Perses sotto la tutela di Luna / onore agli iniziati al grado di leo sotto la tutela di luppiter I (5) onore agli iniziati al grado di miles sotto la tutela di Mars / onore agli iniziati al grado di nymphus sotto la tutela di Venus I onore agli iniziati al grado di corax sotto la tutela di Mercuri us.

27) "Catechismo mitriaco" (W M Brashear, A Mitlrraic Catechism from Egypt , Tyche, Supplementband, 1992, p. 18): ( ) J uot||xic. èper nòti ’evjiauG ànoptì; Xeye* a[ ± 7 ] ] Xeye- v\>^. èpei; nox> av. [ ± 5] l.cE; Xéye* TiàvTa u \mep...[...J (5) Iicéi&ncai; Xeye- 6ià xr|v tìepivfiv [ ].i yevópevoc m)pa>8eic e(x£i xàc ]apec; Xéye* èv póSpcp. èper 7tou cou làico Xeovtìco. èpei- £tóceic ó o\> ]v Gàvaxov. èpei- 8ià n £axàpev[ocJ (10) Itoùto téccapa Kpàcjceta e. [...]

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Bibliografia di orientamento Naturalmente la bibliografia specialistica sui culti orientali del secondo ellenismo è oltremodo vasta. Data la natura e la finalità di questa antologia abbiamo preferito indicare i contri­ buti salienti rimandando ad essi per uno specifico approfondi­ mento sia della tematica presentata che della connessa biblio­ grafia. Si segnalano, comunque, come indispensabili per una trattazione sistematica di questi culti (colti tanto nelle loro carat­ teristiche precipue che nella rispettiva diffusione nel mondo imperiale romano) la collana curata da M J . V ermaseren, Études préìitnìnaires aux religioni orientales dans l'Empire Romaine, Leiden 1961 ss. (con la morte del curatore la collana è continuata pur mutando il nome in Religions in thè Graeco-Roman World, edita sempre a Leiden, a cura di R. van den Broek, H.J.W. Drijvers, H.S. Versnel), la collana curata da H. T emporini e W. H aase, Außtieg und Niedergang der römischen Welt. Geschichte und Kultur Roms in Spiegel der neuren Forschungen, Berlin - New York 1972 ss., le voci e le monografie presenti sui seguenti repertori ed enciclopedie: C h. Daremberc, E. S aglio (a cura di), Dictionnaire des antiquités grecques et romaines, Paris, 1877-1907; W.H. R oscher (a cura di), Ausführliches Lexikon der griechischen und römischen Mythologie, Lipsia, 1884-1937; G. P auly, G. W issowa (a cura di), Real-Encyclopädie der classischen Altertumswissenschaft, Stuttgart - Münster, 1893-1972; E. De R uggiero (a cura di), Dizionario epigrafico di antichità romane, Roma, 1895 ss.; R. B ianchi B andinelli (a cura di), Enciclopedia dell'Arte antica, Roma, 1958-1966 e supplementi; G. C astellani (a cura di), Storia delle Religioni*, Torino, 1970-1971; A. di Nola, M. Adriani, E. C hiavacci, V. M annucci, S. O livieri, V. V inay (a cura di), Enciclopedia delle religioni, Firenze, 1970-1976; K. Z iegler, W. Sontiieìmer, H. G ärtner (a cura di), Der Kleine Pauly. Lexikon der Antike, München, 1975; Y. Bonnefoy, (a cura di), Dictionnaire des mythologies, Paris, 1981 (trad. it. Dizionario delle mitologie e delle religioni, Milano, 1989); AA. W ., Lexicon Iconographicum Mythologiae

Classicae, Zürich ~ München, 1981-1989; M. E llade (a cura di), The Encyclopedia o f Religion, New York - London, 1986 (di quest'opera, in Italia, è iniziata un'edizione tematica a cura di D.M. Cosi, L. S aibene, R. Scagno, Milano 1993 ss.), G. Filoramo (a cura di), Dizionario delle religioni, Torino, 1993; S. Hornblovver, A. Spawforth (a cura di), 77?e Oxford Classical Dictionary, HI ed., Oxford - New York, 1996; F. Lenoir, Y. T ardan Masqceliek (a cura di), Encyclopédie des religions, Paris, 1997 (trad. it. La reli­ gione, Torino, 2001). Tra le testate delle riviste scientifiche che presentano contri­ buti relativi alla problematica presentata si segnalano: Archiv für Religionsgeschichtc, Archiv für Religionswissenschaft, Bibliothèque des Ecoles Françaises d'Athènes et de Rome, Comptes Rendus de l'Académie des Inscriptions et Belles-Lettres, Giornale italiano di Filologia, Gnomon. Kritische Zeitschrift für die gesamte klassische Altertumswissenschaft, Harvard Theological Reoiew, The journal of Mithraic Studios, The journal of Roman Studies, The journal of the Warburg and Courtauld Instituts, Kernos. Revue internationale et pluridisciplinaire de religion grecque antique, Latomus, Mélanges de l'École Française de Rome. Antiquité, Orpheus. Rivista di umanità classica e cristiana, La Parola del Passato, Quaderni Urbinati di Cultura Classica, Revue des Études Anciennes, Revue des Études Grecques, Revue de l'Histoire des Religions, Religioni e Società, Riinsta di Storia e Letteratura religiosa, Studi e Materiali di Storia delle Religioni, Studi Romani, Syria. Nella bibliografia che segue la collana Éludes préliminaires aux religions orientales dans l'Empire Romain è abbreviata con la sigla EPRO; la collana Religions in the Graeco-Roman World con la sigla RGRW.

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Elenco degli autori e delle opere citate Act. Arch.: Acta Archelaì (C.H. Beeson, Liepzig, 1906), tradu­ zione latina datata alla fine del IV sec. d.C. di un originale greco attribuito ad Hegemonius, prob. post-niceno e volto alla confutazione del manicheismo. Ael.: Claudius Aelianus (Frenesie, 170 - Roma, ca. 235 d.C.), sofista e poligrafo latino. De natura animalium (A.F. Scholfield, London, 1958). Amp.: Lucius Ampelius (origine sconosciuta, visse tra il HI e il IV sec. d.C.), compilatore latino. Liber memorialis (M.P. Amaud-Lindet, Paris, 1993). Ambros.: Ambrosiaster, autore di difficile identificazione a cui si attribuiscono i Commentarti in epistulas paulinas e le Quaestiones velcri et novi testamenti (A. Souter, Wien, 1908) datati tra il 366 e il 384 d.C. Amm. Marc.: Ammianus Marcellinus (Antiochia, ca. 330 - ?, dopo il 392 d.C.), storico latino. Rerum gestarum libri XXXI (XIX: G. Sabbah, Paris, 1970; XXD: J. Fontaine, Paris, 1996; XX1TI J. Fontaine, Paris, 1996). Ap Lucius Apuleius (Madaura, Numidia, ca. 125 - Cartagine, ca. 180 d.C.), scrittore latino. Metamorphoseon libri XI (I-X: D. S. Robertson, Paris 19724; XI: J. Gwyn Griffiths, Leiden, 1975). Ps. Apollod.: ad Apollodorus Atheniensis, grammatico ed anti­ quario vissuto intorno alla metà del II sec. a.C., è stata falsamente attribuita la Bibliotheca (P. Scarpi, Milano, 1996), una raccolta enciclopedica di mitologia greca datata tra il I ed il II sec. d.C., prob. di età adrianea.

A poli. Rhod.: Apollonius Rhodius (Alessandria o Naucrati, ca. 295 - ?, ca. 215 a.C.) poeta epico greco. Argomutìca (F. Vian, Paris, 1974). Arist.: Aristophanes e scholia (Atene ca. 445 - Atene 385 a.C ). commediografo greco. Lysistrata (R. Cantarella, Milano, 1956); Vespae (R. Cantarella, Milano, 1956); Scholia in Vespas (W. J. W. Koster, Groningen, 1978). Arg. Orph.: Argonautica Orphica (F. Vian, Paris, 1987), poemetto in esametri redatto nel V sec. d.C. Aristid.; Publius Aelius Aristides (Adrani, Misia, 117 - ?, dopo il 180 d.C.), retore greco. In Sarapidem (B. Keil, Berlin, 1958). Aocnob.: Arnobius (Sicca Veneria, Africa, ca. 250 - ?, dopo il 327 d.C.), apologeta latino cristiano. Adversus nationes (A. Reifferscheid, Wien, 1875). Art.: Artemidorus Daldanius (originario di Efeso, visse nel II sec. d.C.), autore greco di opere di mantica. Onirocriticon libri V (R.A. Pack, Leipzig, 1963). Athen.: Athenaeus Naucratita (originario di Naucrati, Egitto, visse tra il II e il III sec. d.C.), erudito e poligrafo greco. Deipnosophistarum libri XV (L. Canfora, Roma, 2001). Athenod.: Athenodorus (Cana presso Tarso, Cilicia - prob. Roma, visse nel I sec. a.C.), filosofo medio-stoico. Aug.: Aurelius Augustinus (Tagaste, Nuxnidia, 354 - Ippona, Africa, 430 d.C.), teologo e filosofo cristiano.

De civifate Dei (S. Cotta, D. Gentili, R. Russell, A. Trapé, Roma, 1978-1991). Ps. Bion: al poeta greco Bione (originario di Flossa, presso Smirne, morto in Sicilia; visse nel 11 sec. d.C.) è stato attri­ buito YEpitaphium Adonidis (Ph.E. Legrand, Paris, 19532). Cass. Dio; Cassius Dio Cocceianus (Nicea, Bitinia, ca. 155 - ibi, ca. 230 d.C.), storico greco. Hisloria Romana (U. Ph. Boissevain, Berlin, 1895-1931). Cat.: Caius Valerius Catullus (Verona, ca. 84 - ?, ca. 54 a.C.), poeta latino. Carmina (F. della Corte, Milano, 19842). Chaerem. Alex.: Chaeremon Alexandrinus (visse nel l sec. d.C.), filosofo neo-stoico greco. Cic.: Marcus Tullius Cicero (Arpino, 106 - Fonnia, 43 a.C.) scrit­ tore, oratore e uomo politico latino. De divinalione (R. Giomirti, Leipzig, 1975); De legibus (G. De Plinval, Paris, 1959); Calo maior de senectute (P. Wuilleumier, Paris, 19612). Clem. Alex.: Titus Flavius Clemens Alexandrinus (Atene, ca. 150 - Cappadocia, ca. 215 d.C.) scrittore greco cristiano. Protrepticus (C. Mondéserrat, Paris, 19763). Ps. Clem.: a Clemens Romanus (visse a Roma almeno dal 92 al 101 d.C.) sono state falsamente attribuite 20 omelie (P. de Lagarde, Leipzig, 1865, ap. F. Cumont, Textes et monuments figurés relatifs aux bAystàrcs de Mithra, II, Bruxelles, 1896, p. 9) e 10 libri di Recognitioncs ricondotti dalla maggior parte degli studiosi ad un unico originale redatto in Siria prob. nei primi decenni del III sec. d.C.

Commod.: Commodianus (origine sconosciuta, fiori prob. durante la metà del III see. d.C ), poeta latino cristiano. Instructiones (D. Dombart, Wien, 1887). Ctes.: Ctesias (Cnido, Caria, ca. 435 - ibi, ca. 380 a.C.), storico greco. Cyrill. AJex.: Cyrillus Alexandrinus (Alessandria, ca. 380 - ibi, 444 d.C.), esegeta, teologo e polemista greco cristiano. Commentarius In Isniam (J.P. Migne, Paris, 1859). Dam.: Damascius (Damasco, ca. 460 - prob. Atene, ca. 540 d.C.), filosofo neo-platonico. Damasti Vitae ìsidori reliquiae (C. Zintzen, Hildesheim, 1967). Demosth.: Demosthenes (Atene, 384 - Calauria, 322 a.C.) ora­ tore e uomo politico greco. De corona (G. Mathieu, Paris, 19712). Diod. Sic.: Diodorus Siculus (Agira, Sicilia, ca. 90 - ?, ca. 30 a.C.), storico greco. Bibliotheca histórica (I: F. Chamoux, P. Bertrac, Paris, 1993; li: F. Vogel, Leipzig, 1888; III: B. Bommelar, Paris, 1989; IV: F. Vogel, Leipzig, 1888; V: F. Vogel, Leipzig, 1890; XXXIV: F.R. Walton, London, 1967). Diog. Laert: Diogenes Laertius (origine sconosciuta, visse nella prima metà del IH see. d.C.) scrittore e storico della filosofia greco. Vitae philosophorum (H.S. Long, Oxford, 1964). Dion. H alic: Dionysius Halicamasscnsis (visse nel 1 see. a.C.), retore e storico greco. Antiquitates Remarne (I: C. Jacoby, Leipzig, 1885; Il I: C. Jacoby, Leipzig, 1885).

EraL: Eratosthenes Cyrenensis (Cirene, ca. 274 - Alessandria, ca. 194 a.C), letterato, filosofo e scienziato greco. Catasterismorum fragmenia Vaticana (A. Rehm, Ansbach, 1899). Eun.: Eunapius Sardianus (Sardi, Lidia, ca. 345 - ?, ca. 420), storico e filosofo neo-platonico greco. Vitae sophistarum (I. Giangrande, Roma, 1956). Eur.: Euripidis (Salamina, ca. 485 - Pella, 406 a.C.) tragedio­ grafo greco. Bacchae (E.R. Dodds, Oxford, 1960). Eus. Caes.: Eusebius Caesareensis (prob. Cesarea, Palestina, ca. 265 - ibi, 340 d.C.), scrittore greco cristiano. Praeparatio evangelica (IH: É. des Places, Paris 1976; IV: O. Zink, É. des Places, Paris, 1979). Vita Constant ini (LA. Heikel, Leipzig, 1902). Eutr.: Eutropius (orìgine prob, orientale, visse nel IV sec. d.C.) storico romano. Breviarium ab Urbe condita (J. Hellegouarc'h, Paris, 1999). Exp. Tot. Mund.: Expositio totius mundi et gentium (J. Rougé, Paris, 1966) versione latina di un originale greco anonimo oggi perduto redatto prob, da un uomo d'affari tra il 347 ed il 361 d.C. Finn. M at: lulius Firmicus Matemus (Siracusa, visse nel IV sec. d.C.), scrittore latino cristiano. De errore profanarum religionum (R. Turcan, Paris, 1982). Greg. Naz.: Gregorius Nazianzenus (Arianzo, presso Nazianzo, Cappadoda ca. 329 - ibi, ca. 390 d.C.), scrittore greco cristiano. Orationes (IV: J. Bernardi, Paris, 1983; XXXIX: C. Moreschini, Paris, 1990).

Hecat. Abd.: Hecateus Abderita (originario di Abdera o di Teo, visse tra il IV e il HI sec. a. C ), storico e grammatico greco. Herodian.: Herodianus (origine siriana, ca. 180 - prima metà IH see. d.C ), storico greco. Ab execssu divi Marci historiae (L. Mendelssohn, Leipzig, 1873). Herod.: Herodotus (Alicamasso, Caria, ca. 484 - Atene o Turi, non prima del 430 a.C ), storico greco. Historiae (li: A.B. Lloyd, Milano, 1989; 111: D. Asheri, S.M. Medaglia, Milano, 1990; TV: A. Corcella, S.M. Medaglia, Milano, 1993). Hesych.: Hesychius (Alessandria, visse prob. nel V see. d.C.), lessicografo greco. Lexicon (K. Latte, Copenhagen, 1953-1966). Hieron.: Eusebius Hieronymus (Stridone, Dalmazia, ca. 347 Betlemme, 419 d.C ), erudito, filologo e teologo latino cristiano. Adversus lovinianum (J-P- Migne, Paris, 1845); Commentarius in Ezechielem (F. Gloriae, Tumhout, 1964); Commentarii in prophetas minores (M. Adriaen, Tumhout, 1969-70); Epistulae (I. Hilberg, M. Kamptner Wien, 1996). Ps. Hippol.: ad Hippolytus Romanus è stato comunemente attribuito il trattato Phiiosophumena o Refutatio omnium haeresium (M. Marcovich, Berlin - New York, 1986) opera di uno scrittore ignoto vissuto a Roma nei primi decenni del HI see. d.C. Hippon.: Hipponax e scholia (originario di Efeso, visse nella

prima metà del VI sec. a.C.), poeta greco. Hipponactis testimonia et frammenta (E. Degani, Stuttgart Leipzig, 1991). Hor.: Quintus Horatius Flaccus (Venosa, 65 - Roma, 8 a.C.), poeta latino. Sermomim libri li (F. Klingner, Leipzig, 19593). Hyg.: Hyginus mithographus (origine sconosciuta, fiorì tra il I e il II sec. d.C.), scrittore latino. De astronomia (A. Le Boeuffle, Paris, 1983). Fabulae (J.-Y. Boriaud, Paris, 1997). Hymn. Hom.: Hymni Homerici (F. Cassola, Milano, 19863), raccolta di 33 inni di diversa lunghezza databili tra il VIl-VI sec. ed il IH-II sec. a.C. Hymi^/Orph.: Hymni Orphici (G. Ricciardelli, Milano, 2000) libro di culto contenente 87 inni brevi, redatto in Asia Minore nel li o nel IH sec. d.C. IambL: lamblicus (Calcide, Coelesiria, ca. 240 - prob. Apamea, ca. 325 d.C.) filosofo neo-platonico greco. De mysteriis (É. des Places, Paris, 1966). Ine. cairn.: Incerti carmen contro paganos (E. Baehrens, Leipzig, 1881), poemetto anonimo datato tra la fine del IV e l'inizio del V sec. d.C. Ioaiui. Lyd.: loannes Laurentius Lydus (Filadelfia, Lidia; visse tra il V e il VI sec. d.C.), scrittore greco. Liber de mensibus (R. Wuensch, Leipzig, 1898). Ios. Flav.: Iosephus Flavius (Gerusalemme, 37/38 - Roma, dopo il 103 d.C.), storico ebreo.

luL: Flavius Claudius Iulianus (Costantinopoli, 331 - lungo il Tigri 363 d.C.), imperatore romano, retore e filosofo neo-platonico. Orationes (J. Fontaine, C. Prato, A. Marcone, Milano, 1990’); Caesares (Ch. Lacombarde, Paris, 1964). Iust.: lustinus (Flavia Neapolis, Samaria, ca. 100 - Roma, ca. 165 d.C.), apologeta greco cristiano. Apologia / (A. Wartelle, Paris, 1987). Dialogus cum Tryphone (M. Marcovich, Berlin - New York, 1997). luv.: Decimus Iunius luvenalis (Aquino, tra il 50 e il 67 - ?, dopo il 135 d.C.), poeta latino. Saturae (P. de Labriolle, F. Villeneuve, Paris, 19576). Lact.: Ludus Caelius o Caecilius Firmianus Lactantius (Cirta, Africa, ca. 240 - ?, ca. 320 d.C.), apologeta cristiano latino. Divinae institutiones (I: P. Monat, Paris 1986; II: P. Monat, Paris, 1987). Divinarum institutionum epìtome (M. Perrin, Paris, 1987). Leo Peli.: Leo PeUaeus (origine prob. macedone, visse tra la seconda metà del IV e la prima metà del ILI sec. a.C ), prob. autore di un trattato in forma epistolare Sugli dèi egiziani, filosofo evemerista greco. Liv.: Titus Livius (Padova, 59 a.C. - prob. Padova, 17 d.C.), storico latino. Ab Urbe condita libri (XIX: R.S. Conway, S.K. Johnson, Oxford, 19532; XXVI e XXXVIII: J. Briscoe, Stuttgart, 1991). Lue.: Lucianus (Satnosata, Siria, ca. 120 - Egitto, ca. 180) sofista e poligrafo greco.

Deorum dialogi (M.D. Macleod, Oxford, 1977); Deorum concilium (M.D. Madeod, Oxford, 1980); luppiter trngoedus (M.D. Macleod, Oxford, 1972); De sacrifica$ (M.D. Madeod, Oxford, 1974); Icaromenippus (M.D. Macleod, Oxford, 1972). Ps. Lue.: tra le opere attribuite falsamente a Lucianus figura il trattatello De Syria Dea (H.W. Attridge, R.A. Oden, Missoula, 1976). Lucan.: Marcus Annaeus Lucanus (Cordova, Spagna Betica, 39 - Roma, 65 d.C.), poeta latino. Pharsalia (A. Bourgery, M. Ponchont, Paris, 1926-1929). Lucr.. Titus Lucretius Carus (?, ca. 98 - ?, ca. 55 a.C.), poeta latino. De rerum natura (C. Bailey, Oxford, 1963). Macr.: Ambrosius Macrobius Theodosius (forse di origine afri­ cana, visse tra la fine del IV e la prima metà del V sec. d.C.), grammatico, erudito e filosofo neo-platonico latino. Saturnalia (I. Willis, Leipzig, 1970). Man.: Manilius (visse tra il I sec. a.C. ed il I sec. d.C.), poeta didattico latino. Astronomica (S. Feraboli, E. Flores, R. Scarda, Milano, 19962001). Mart.: Marcus Valerius Martialis (Bilbili, Spagna Tarragonese, ca. 40 - ibi, ca. 104. d.C.), poeta epigrammatico latino. Epigrammaton libri (I. Borowskij, Leipzig, 19742). Men,: Menander (Atene, 342/341 - ibi, 293/289 a.C.), comme­ diografo greco. Samia (J.M. Jacques, Paris, 1971).

Min. FeL: Marcus Minudus Felix (origine prob, africana, visse tra la seconda metà del II e la prima metà III sec. d.C.), apo­ logeta cristiano latino. Octavius (B. Kytzler, Leipzig, 1982). Mnas.: Mnaseas (Patara, Licia, visse nel III sec. a.C ), poligrafo greco (G. Keibel, Stuttgart, 1887, ap. P.L. Van Berg, Corpus cultus Deae Syriae, EPRO, 28, 1972, voi. I, n. 109g). Myth. Vat. Prim.: Mylhographus Vaticanus Primus (N. Zorzetti, J. Berlioz, Paris, 1995), raccolta miscellanea di miti di epoca medioevale. Nie.: Nicander (Colofone, visse prob, nel II sec. a.C ), poeta greco. Aìexipharmaca et scholia (O. Schneider, H. Keil, Leipzig, 1856). Nig. Fig.: Publius Nigidius Figulus (Roma, ca. 98 - ?, ca. 45 a.C.), erudito ed uomo politico latino. Fragmenta (A. Svvoboda, Amsterdam 1964). Nonn.: Nonnus (Panopoli, Egitto, visse nel V sec. d.C ), poeta greco cristiano. Dionysiaca (A. Ludwich, Leipzig, 1909-1911). Ps. Nonn. Myth.: a Nonnus Mythographus, esegeta e commen­ tatore greco cristiano che visse in Siria tra il VI e il VII sec. d.C., sono stati attribuiti i Commentarii in oraiiones Cregorii Nazianzeni. Pseudo-Normiani in IV oraiiones Cregorii Nazianzeni Commentarii (j. Nemmo Smith, Tumhout, 1992). Orig.: Origenes (Alessandria, ca. 185 - Tiro, 253 d.C.), teologo ed esegeta cristiano greco. Contra Celsum (M. Marcovich, Leiden - Boston - KöLn, 2001);

Ov.: Publio Ovidius Naso (Sulmona, 43 a.C. - Tomi, Ponto Eusino, 17/18 d.C ), poeta latino. Amores (E.J. Kenney, Oxford, 1961); Ars amatoria (E. Pianezzolla, Milano, 19983); Epistulae ex Ponto (J. André, Paris, 1977); Fasti (J.G. Frazcr, G.P. Goold, London - Cambridge Mass., 1989); Metamorphosen (G. Lafaye, Paris, 1960-19623). Paul. Noi.: Meropius Pontius Anicius Paulinus Nolanus (Bordeaux, 353 - Nola 431 d.C), poeta latino cristiano. Carmina (G. de Hartei, Wien, 1999). Paus.: Pausanias (origine microasiatica, prob, lidia, visse nel II sec. d.C.), periegeta greco. Graeciae descriptio (I: D. Musti, L. Beschi, Milano, 1987*; VII: M. Moggi, M. Osanna, Milano, 2000). Philosbr.: Flavius Philostratus (Lemno, ca. 160 - Atene 244/249 d.C.), biografo e sofista greco. Apollonii Tyanensis vita (V. Mumprecht, München - Zürich, 1983). Pind.: Pindarus (Cinocefale, presso Tebe, Beozia, 518 - Argo, 438 a.C.), poeta greco. Fragtimita (H. Maeler, Leipzig, 1989). Plat.: Plato philosophus (Atene, 428/427 - 348/347 a.C.), filo­ sofo greco. Phaedrus (L. Robin, C. Moreschini, P. Vicaire, Paris, 1985). Plin.: Caius Plinius Secundus (Como, 23/24 - Stabia, 79 d.C.), erudito latino.

Historiae naturalis libri XXXVll (G. B. Conte, Torino, 19821988). Plut.: Plutarchus (Cheronea, Beozia, ca. 45 - ibi, ca. 125 d.C.), biografo, filosofo medio-platonico greco. Alcibiades (R. Flacelière, H. Chambry, Paris, 1964); Marius (R. Flacelière, É. Chambry, Paris, 1971); Pompeius (R. Flacelière, É. Chambry, Paris, 1973); Sulla (M.G. Angelini Bcrtìnclli, M. Manfredini, L. Piccirilli, G. Pisani, Milano, 1997); De Iside et Osiride (Ch. Froidefond, Paris, 1988). Poi.: Polybius (Megalopoli, Arcadia, ca. 200 - ibi, ca. 120 a.C.), storico greco. Historiae (XXI: Th. Biittner-Wobst, Leipzig, 1882-1905). Porph.: Porphyrius (Tiro o Batanea, Palestina, 233/234 - prob. Roma, 305 d.C.), filosofo neo-platonico greco. De abstinentia (II: J. Bouffartigue, M. Patillon, Paris, 1974; IV: M. Patillon, A. Ph. Segonds, Paris, 1995); De antro nympharum (L. Simonini, Milano, 1986); Vita Plotini (G. Faggin, Milano, 1992). Proci.: Proclus (Costantinopoli, 412 - Atene 485), filosofo neo­ platonico greco. In Platonis Rem publicam commentarii (W. Kroll, Leip2 ig, 18991901). Prop.: Sextus Propertius (prob. Assisi, 49/47 - Roma, dopo il 15 a.C.), poeta latino. Elegiarum libri IV (P. Fedeli, Stuttgart - Leipzig, 19942). Prud.: Aurelius Prudentius Clemens (Calahorra, Spagna Tarragonese, 348 - ?, dopo il 405 d.C.), poeta latino cristiano. Peristefauon iiber (M.P. Cunningham, Turnhout, 1966).

Rufin.: Tyrannius Rufinus (Concordia presso Aquileia, ca. 345 - Messina, 410/411 d.C.), teologo latino cristiano. ¡-Ustoria ecclesiastica (M. Simonetti, Roma, 2000). Rut. Nam.: Claudius Rutilius Namatianus (di origine gallica, prob. Tolosa, visse nel V sec. d.C), poeta latino. De redita suo (E. Doblhofcr, Heidelberg, 1972-1977). Salust. phiL prob. Saturninus Salustius Secundus (visse nel IV sec. d.C.), filosofo neo-platonico greco. De diis et mando (R. di Donato, Milano, 2000). Sapph.: Sappho (Ereso o Mitilene, Lesbo, visse tra il VII e il VI sec. a.C.), poetessa greca. Sappho et Alcaeus frammenta (E.M. Voigt, Amsterdam, 1971). Script. H ist Aug.: Scriptores Historiae Augustae (E. Holl, Ch. Samberger, W. Seyfarth, Leipzig, 1965), titolo assegnato ad una raccolta di 30 biografie di imperatori romani, compresi i principi destinati alla successione e gli usurpatori, dal 117 al 284/5 d.C., redatta tra la fine del rv e i primi due decenni del V sec. d.C. Sen.: Lucius Annaeus Seneca (Cordova, Spagna Betica, ca. 4 a.C. - Roma, 65 d.C.), scrittore e filosofo neo-stoico latino. Agamemnon (F.R. Chaumartin, Paris, 1999). De vita beata (G. Viansino, Milano, 1992); Serv.: Marius o Maurus Servius Honoratus (visse intorno al 400 d.C.), grammatico e commentatore latino. Commentarii in Vergilii carmina (G. Thilo, H. Hagen, Leipzig, 1881-1887). Socr. schol.: Socrates scholasticus (Costantinopoli ca. 380 - prob. ibi, ca. 440 d.C.), storico ecclesiastico greco.

Sozom.: Sozomenus Hermias (Betelia presso Gaza, Palestina, fine IV sec. - Palestina, metà V sec. d.C.), storico ecclesiastico greco. Historia ecclesiastica (J. Bidez, G .C Hansen, Leipzig, 1960). Stai.: Publius Papinius Statius (Napoli, ca. 45 - Napoli ca. 96 d.C.), poeta latino. Thebais (D.E. Hill, Leiden, 19962). Steph. Byz.: Stephanus Byzantinus (visse nel VI sec. d.C.), eru­ dito greco. Ethnica (A. Meineke, Berlin, 1849). Strab.: Strabo (Amasea Pontica, ca. 64 a.C. - ibi, dopo il 21 d.C.), geografo greco. Geographica (X: F. Lasserre, Paris, 1971; XII: F. Lasserre, Paris, 1981). Suda: lessico bizantino (A. Adler, Leipzig, 1928-1938) compilato verso la fine del X sec. d.C. Sv et: Caius Svetonius Tranquillius (?, ca. 70 - ?, dopo il 122 d.C.), biografo latino. De vita duodecim Caesarum libri V1U (H. Ailloud, Paris, 1980198D . Tac.: Publius o Caius Comelius Tacitus (?, ca.‘55 - ?, ca. 120 d.C.), uomo politico e storico latino. Armales o Ab excessu divi Augusti libri (H. Heubner, Stuttgart, 1978); Historiae (E. Kòstermann, Leipzig 19693). T ert: Quintus Septintius Florens Tertullianus (Cartagine, ca.

155 - prob. ibi, dopo il 220 d.C ), apologeta e polemista latino cristiano. Ad nationes (J.G.Ph. Borleffs, Tumhout, 1954); Adversus Marcionem (E. Kroymann, Tumhout, 1954); Apologeticum (J.P. Waltzing, A. Severyns, Paris, 1971); De baptismo (JG . Ph. Borleffs, Tumhout, 1954); De corona (F. Ruggiero, Milano, 1992); De exhortatione castitatis (E. Kroymann, Tumhout, 1954); De pallio (V. Bulhart, Wien, 1957); De prescriptions haereticorum (R.F. Refoulé, Tumhout, 1954). Theocr.: Theocritus (prob. Siracusa, ca. 300 - ?, ca. 250), poeta greco. Idyllia (A.S.F. Gow, Cambridge, 1950). Theophr.: Theophrastus (Ereso, Lesbo ca. 371 - Atene ca. 288), filosofo e scienziato greco, scolarca del Peripato. Charakteres (H. Diels, Oxford, 1950). Tib.: Albius Tibullus (Gabii o Pedum, 55/50 - Roma o luogo di nascita, 19/18 a.C), poeta latino. Carmina (F. della Corte, Milano, 19903). Val. Flacc.: Caius Valerius Flaccus Setinus Balbus (morto ca. 92 d.C.), poeta epico latino. Argonautica (W.W. EhJers, Leipzig, 1980). Val. Max.: Valerius Maximus (visse nel I see. d.C.), storico latino. Factorum et dictorum memorabiliutn libri /X (C. Kempf, Leipzig, 1888). Varr.: Marcus Terentius Varrò (Rieti, 116 - ?, 27 a.C), erudito antiquario e poligrafo latino.

Verg.: Publius Vergilius Maro (Andes presso Mantova, 70 Brindisi 19 a.C.), poeta latino. Aeneidos libri XII (E. Paratore, Milano, 1978-1983). Xanth.: Xanthus Lydus (originario di Sardi, visse nel V see. a.C.), logografo greco. Xen.: Xenophon (Erchia, Atene, ca. 430 - Corinto, 355), scrittore e storico greco. Anabasis (C. Hude, J. Peters, Leipzig, 19722).

Indice degli autori e dei passi citati1 Acla Archelai XL LXVlir

I, 1092-1152 434 435

Aelianus De natura animalium XII, 30

392

Aelius Aristides Oratio in Serapident 32-34

133

Ampelius Liber memorialis 2, 12

392

A m brosiaster

Quaestiones veteri et novi testamenti CXIV, 11-12 429 Ammianus Marcellinus Rerum gestarum libri XXXI XIX, 1, 11 XXII, 9, 5-7 XXII, 9, 15 XXII, 14, 6-8 XXII, 16, 12 XXIII, 3, 7

347 288 347 188 189 289

(Pseudo) Apollodorus Bibliotheca UI, 14, 4

340

Apollonius Rhodius Argonautica

222

Apuleius

Metamorphoseon libri XI Vili, 24 386 VW, 25 386 Vili, 27 387 VHI, 28 388 Vm, 29 389 IX, 8 390 IX, 9 390 IX, 10 391 XI, 1 134 XI, 2 136 XI, 3 137 XI, 4 138 XI, 5 139 XI, 6 14! XI, 7 143 XI, 8 144 XI, 9 145 XI, 10 147 XI, 11 148 XI, 12 149 XI, 13 150 XI, 14 i 51 XI, 15 152 XI, 16 154 XI, 17 15Ò XI, 18 157 XI, 19 158 XI, 20 i59 XI, 21 160 XI, 22 162 XI, 23 164 XI, 24 166

1 L'indice è stato curato da Carla Siameni.

XI, XI, XI, XI, XI, XI,

25 26 27 28 29 30

168 169 170 172 174 175

Aretalogia di Kyme

213

Aretalogia di Maronea

204

Argcmautica Orphica 542-555 Aristophanes et scholia Lysistrata 387-396 Vcspae 9 Scholia in Vespas, 9

308

325 313 313

Amobius Adversus nationes 1.1, 73 V, 5 V, 6 V, 7 V, 16 V, 17 V, 21 VI, 10 VII, 49

187 277 279 281 283 284 316 423 285

Artemidorus Daldianus Onirocrtlicon //bri V U, 39 IV, 80 V, 26 V, 92 V, 93

177 178 178 179 179

V, 94

179

Athenaeus Deipnosophistarum libri XV VOI, 37 Vili, 37

353 355

Athenodorus ap. Clem. Alex., Protr. IV, 48, 2-6

80

Augustinus De àtrilate Dei U, 4 ill, 12 VI, 10, 1 VI, 10, 2 VII, 24, 1-2 VII, 25 VII, 26 Vili, 27, 2 XVIII, 3 xvm , 5

301 302 260 89 225 226 227 58 60 60

(Pseudo) Bion Epitaphium Adonidis

328

Cassius Dio ¡-¡istoria Romana XL, 47, 3 4 XLU, 26, 1-2 XLVII, 15, 4 XLVI11, 43, 4-5 U li, 2, 4 LIV, 6, 6 LX1Q, 5, 2

182 182 183 269 183 183 415

"Catechismo mitriaco"

440

Catullus

Carmina LXIII Chaeremon Alexandrinus ap. Porph., Dt' abst. IV, 9, 5 Cicero Cuio maior de senectute 13,45 De divinatione II, 123 De legibus II, 9, 22 n, 16, 40

235

132

228 62 228 228

Clemens Alexandrinus Protrepticus II, 15, 1-3 D, 16, 2 IV, 48, 2-6 IV, 50, 3 VU, 75, 2-4

266 315 80 177 267

(Pseudo) Clemens Homüiae VI, 9-10

424

Commodianus Instructiones I, 13

424

Ctesias ap. Eral., Catast. n. 38 Cyrillus Alexandrinus Commentarius in Isaiam 18, 1-2 Damascius

353

349

Vita Isidori in Phothii Bibliotheca 242, 131 242, 203

309 402

Demosthenes De corona 259-260

313

Diodorus Siculus Bibliotheca histórica I, 11, 1-6 I, 13, 2-5 I, 14, 1-4 I, 17, 1-5 I, 21, 1-11 I, 22, 1-7 I, 25, 1-7 I, 27, 3-6 I, 85, 1-5 I, 87, 2-3 I, 88, 4-6 I, 96, 5 11, 4, 2-6 II, 20, 1-2 III, 58, 1-4 Ul, 59, 1-8 IV, 4, 1-2 V, 49, 1-3 XXXIV, 2, 5-7

62 64 65 66 68 71 73 75 76 78 79 80 356 357 230 232 314 234 358

Diogenes Laertius Vitae phitosophorum Prooem., 10 V, 76

59 184

Dionysius Halicamassensis Antiquitates Rojrwnae I, 61, 4 242 U, 19, 4-5 242

Eratosthenes Cyrenensis Catasterismorum fragmenta Vaticana n. 38

353

Eunapius Vitae sophistarum VII, 3, 2-4

428

Euripidis Bacchae 58-61 120-134

220 221

Eusebius Caesareensis Praeparatio evangelica III, 11, 12 IV, 16, 22 Vita Constantini in, 58, 1

Eutropius Breviarium ab Urbe condita Vn, 23, 5

286 397 398

199

Expositio tolius mundi et gentium LV

310

Firmicus Maternus De errore profanarum religionum II, 1-9 III, 1-2 IV, 1-2 V, 1-2 IX, 1 X, 2 XVIII, 1 XIX, 1

195 303 393 432 349 316 304 434

XX, t

434

xxn, 1-3 XXVII, 1 XXVII, 8

304 305

Gregorius Nazianzenus Orationes IV, 70 IV, 89 XXXIX, 5 Hecateus Abderita ap. Diog. Laert, Vitae philos. Prooem.f 10

198

425 425 426

59

Herod ianus Ab exceasu dm Marci historiae I, 10, 5 I, 11, 1-5 V, 3, 4-8

272 273 395

Herodotus Hisloriae I, 105, 2-4 . n, 42, 2 11, 59, 1-2 II, 144, 2 U, 153 n, 156, 4-5 II, 170, 1-2 II, 171, 1 III, 28, 2-3 IV, 76, 2-5

352 55 55 55 56 56 57 57 58 221

Hesychius Lexicon S.V. 'ASdiviSoC KTjTlOl s.v. Miepotc s.v. Mi0pr;c

351 436 436

Hieronymus Adversus hvinianum 17 Commentarius in Ezechklem ra, 8, i4 Commentarli in prophetas minore* Amos 3, 9-10 Osee I, 4, 14 Epistulae 58/ 3/ 5 107, 2 (Pseudo) Hippolytus Refutatio omnium haeresium V, 9, 7-10 Hipponax et scholia 125 Degani 167 Degani Horabus Sermonum libri ¡1 II, 3, 223 Hyginus De astronomia 1130 11,41 Fabulae 58 197

tìymni Homerici XIV

219

Hymni Orphici XXVU XLVIU LVI

275 316 345

Iamblicus De mysteriis m, 9 IH, 10

275 276

427

347

427 297 348 426

Incerti carmen contro paganos 305 57-62

287

219 219

Ioannes Lydus Liber de mensibus IV, 59 losephus Flavius Anliquitates ludaìcae XVLU, 71-79 Iscrizioni dolichene

317

361 362 343 361

O

//

U

//

M

//

n

III IV

404 405 406 407 404

Iscrizioni metroache

311 312

tt

«

206 208 210 212

92

Iscrizioni eliopolitane

u

Iscrizioni mitriache Hi/mm ad Jsim I

310

«

lulianus Qraiiones in Heìium regem 41

439 440

425

in Malrem deorum 1 2 9 Cacsares 38 lustinus I Apologia 25, 1 27, 4 66, 4 Dialogus cum Tryphone 70, 1 7 8 ,6 Iuvenalis Saturae II, 110-116 in, 62-66 VI, 511-521 VI, 522-541 Xm, 90-96

289 291 294 425

343 264 411 412 412

262 363 263 121

122

Lactantius Divinae instilutiones I, 11, 20-21 185 I, 17, 7 276 1,17,9-10 346 I, 21, 16-17 276 I, 21, 20-22 186 II, 7, 12 277 Divinarutn institutionum epitome 18, 5-6 187 Leo Pellaeus ap. Aug., De civ. VUI, 27, 2

58

Lettera di una reduta

184

Livius Ab Urbe condita iibri XXIX, 10, 1-8 XXIX, 11, 1-8 XXIX, 14, 1-14 XXXVI, 36, 3-4 XXXVIII, 18, 9-10

243 245 246 249 250

Lucanus Pharsatia I, 565-567 I, 599-600 VIII, 831-834 IX, 157-161

319 261 94 94

Lucianus Deorum concilium 9 Deorum dialoghi XIX, 1 XX, 1 luppitcr tragoedus • 8 Icaromenippus 27 De sacrificiis 7 (Pseudo) Lucianus De Syria Dea 1 4 5 6 7 8 9 10 13 14

412 341 264 413 315 265

363 364 397 341 342 342 364 365 366 367

15 28 29-30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 46 47 48 49 50 51 52 53 54 55 56 57 58 59 60 Lucretius De rerum natura II, 598-640 Macrobius Saturnalia I, 17, 66-67

265 368 368 369 370 371 372 372 373 374 375 375 376 376 376 377 377 377 378 378 379 380 380 381 381 382 382 383 384 384 384 385 385

228

394

I, 18, I, 20, 1, 21, I, 21, 1, 23,

11 13-18 1-6 7-10 10-20

317 201 349 307 399

Manilius Astronomica IV, 577-582

359

Martialis Epigrammaton libri 111, 47, 1-2

261

Menander Satnia 38-46 ap. Porph., De abst. IV, 15, 5

326 354

Minucius Felix Octavius 21, 3 22, 1 22, 4

180 180 268

Mnaseas ap. Athen., Deipn. vm , 37

355

Mythographus Vaticanus Primus I, 78, 1-5 II, 98, 1-3 IH, 28, 1-3

203 352 310

Nicander et scholia Alexipiwrmaca 6-8 Scholia in Aìexipharmaca, 8

269 269

e*

$t

270

Nigidius Figulus 100 Swoboda

355

Nonnus Dionisiaca XX, 35-41

308

(Pseudo) Nonnus Mythographus Commentarti in ¡V orationes Gregorii Nazianzeni 6 47 Orígenes Contra Celsttm 1,9 VI, 22 Commentario in Ezechielem 8, 12 Ovidius Amores U, 13, 7-26 Ars amatoria I, 75-78 Epistulae ex Ponto I, 1, 51-54 Fasti II, 459-473 rV, 179-372 Métamorphosés IV, 44-48 IX, 685-784 X, 103-105 X, 472-739

Pauiinus Nolanus Carmina XIX, 98-116 XXXII, 80-93 XXXD, 113-127 Pausanias Grueciae descripiìo I, 14,7 1, 18, 4

vn, 17, 9-12 VU, 26, 7 436 437

315 416

194 301 428

391 183 270 391

Philostratus Apoìlonii Tyanensis vita 7, 32

344

Pindajrus fr. 70b + 81M

220

Plato Phaedrus 276b

325

345

85 86

Plinìus Secundus Historiae naturalis libri XXXVII V, 81 v n , 71 XXXV, 165 XXXn, 17

362 90

260 363

88 360 250 359 87 250 333

Plutarchus Alcibiade$ 18, 5 Marins 17, 9-11 Pompeius 24, 7 Sulla 9, 7-8

339 261 411 320

De Iside et Osiride 4 5

95 95

6 12

96 97

13 14 15 16 17 18 19 20 21 27 28 29 39 42

99 101 102 103 104 106 107 108 110 111 112 113 115 117

43

118

51 52

119 119

Polybius Historine XXI, 37, 4-7 Porphyrius De abstinentia II, 56, 3 IV, 9, 5 IV, 15, 5 V, 16, 1-4 De antro nympharum 5-6 15-16 17-18 20 24-25 Vita Plotini 10

224

417 132 354 418 419 420 421 422 422 184

Proclus In Platonis Rem publicam comme ntarii TI, 345, 4 436 Propertius Elegiariun libri IV II, 33a, 1-20 UI, 11,39^13

84 85

Prüden tius Peristefanon liber X, 154-160 X, 1011-1085

297 298

Rufinus Historia ecclesiastica II, 23 II, 29

190 194

Rutìlius Namatianus De reditu suo l, 371 -376

203

Salustius philosophus De diis et mundo IV, 7-10

294

Sappho Fragmenta 140 Voigt

325

Scriptores Historiae Augustae Commodus Antoninus 9, 4-6 Pescennius Niger 6, 8-9 Antoninus Caracolla 9, 10-11 Antoninus Heliogabalus

435 200 200

1, 5-6 3, 4 7, 1-3 Alexander Severn* 26/ 8 Quadrigae tyraniionnn 8/ 1-4 Seneca Agamemnon 686-692 Dr rifa beata 26/ 8 ap. Aug., De civ. VI, 10, 1 VI, 10, 2 ap. Sefl-v., in Verg. Aen. VI, 154 Servius in Vergini carmina (Aerici*) VI, 154 Vili, 696 IX, 115 Socrates scholasticus Hisloria ecclesiastica I, 18 ni, 2 Sozomenus Hist orin ecclesiastica I, 8 V, 10 Statius Thebais I, 716-720 X, 170-175

396 397 307

Stephanus Byzantinus Ethnica I, p. 235

404

201

Strabo Geographica X/ 3, 12 XII, 2, 3 XII, 3, 31 XII, 3, 32 XII, 5, 3 XU 8, 14 XU, 8, 20

240 317 320 318 241 321 321

Suda s.v. ’Em^dvioc s.v. MtOpou

438 438

Svetonius De vita duodecim Caesarum libri VIII Nero, 56 Tiberius, 36 Vespasianus, 7 Domitianus, 1

363 129 130 131

201

259 89 260 89 90

90 199 306

398 430

402 402

411 262

Tacitus Annales 1 1 8 5 ,4 Historiae 111, 74, 1 IV, 81, 1-3 IV, 82, 1-2 IV, 83, 1-4 IV, 84, 1-5 Tertullianus Ad nationes I, 10, 17-18 Adversus Marcionein I, 13/ 5

123 123 124 125 126 128

59 415

Apoiogcticum VI, 8 XXV, 4-5 De baptismo V, 1 De corona XV, 3-4 De exhortationc castitatis XIII, 2 De pallio IV, 10 De praescriptione haereticorum XL, \A Theocritus ¡dyllia 15, 100-144

VLJ1, 239-242 181 268 413 414

260 132 133

181 320

413

Varro ap. Aug., De civ. VII, 24, 1-2 VII, 25 VII, 26 XVIII, 3

xvrn, 5 3z6

Theophrastus Charakteres 16, 4 27, 8

314 314

Tibullus Carmina l, 3, 23-32 I, 6, 45-54 1, 7, 27-48

82 319 83

Valerius Flaccus Argonauiica

Valerius Maximus Factorum el dictorum memorabilium libri IX l lc 1, 3, 4 VII, 3, 8

263

225 226

227 60 60

ap. Ten., Ad nat. I, 10, 17-18

59

Vergilius Aeneidos libri XU 111, 111-113 IX, 614-620 X, 252-255

239 240 240

Xanthus Lydus ap. Athen., Deipn. VIII, 37

353

Xenophon Anabasis I, 4, 9

354