Non chiudere gli occhi 9788893429030

A volte la verità fa più paura della menzogna. «Le parole che il giudice pronunciò la fecero rabbrividire dalla testa a

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Non chiudere gli occhi
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Il libro......Page 3
Le autrici......Page 4
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Il libro

A

volte la verità fa più paura della menzogna. Dal giorno in cui il suo promesso sposo, il noto filantropo

Hunter Raleigh III, è stato ritrovato senza vita, riverso in una pozza

di sangue, Katherine «Casey» Carter non ha mai smesso di dichiararsi innocente: dormiva profondamente quando l’hanno ammazzato, non l’ha ucciso lei. Nessuno, però, le ha mai creduto; anzi, per quell’omicidio è stata condannata e ha scontato una pena di quindici anni di detenzione. Da allora, per tutti, è diventata «la Bella Addormentata Assassina». Il suo è stato fin dal principio il genere di caso che affascina una nazione: lei, talento emergente nel mondo dell’arte, giovane e bella; lui, l’adorato rampollo di una famiglia impegnata nella politica e tenuta in gran conto. Le prime pagine dei giornali ne avevano parlato per mesi. E oggi, alla notizia della scarcerazione di Casey, la storia si ripete. Casey sa che, seppur fuori da una cella, non sarà mai davvero libera finché su di lei peserà il sospetto. L’unica possibilità per dimostrare la sua innocenza – e riabilitare finalmente il suo nome – sembra essere la trasmissione televisiva Under Suspicion, che indaga su vecchi casi irrisolti. La produttrice, Laurie Moran, è dalla sua parte: crede nella sua innocenza e si dice decisa ad aiutarla. Ma è più difficile del previsto: non ci sono prove, non ci sono testimoni, e soprattutto non ci sono altre piste valide. C’è solo la parola di Casey contro quella dell’accusa…

Le autrici MARY HIGGINS CLARK,

acclamata autrice di numerosissimi bestseller

internazionali che hanno venduto più di trecento milioni di copie nel mondo, è nota come la Regina della Suspense. Vive a Saddle River, nel New Jersey, con il marito. Madre di cinque figli, si divide tra la scrittura e i molti nipoti. Ha vinto il Premio Agatha Christie alla carriera. www.maryhigginsclark.com ALAFAIR BURKE,

figlia di un mostro sacro della letteratura americana,

James Lee Burke, insegna diritto a New York ed è scrittrice di successo, apprezzata da autori come Michael Connelly («Sono un fan di Alafair Burke fin dal suo esordio, eppure continua a sorprendermi») e Lee Child («Intelligente, brava, capace… e molto consigliata»). È autrice, tra gli altri, dei bestseller La ragazza nel parco e Sorelle sbagliate (entrambi editi da Piemme). www.alafairburke.com

Mary Higgins Clark e Alafair Burke

NON CHIUDERE GLI OCCHI Traduzione di Annalisa Garavaglia

Ad Agnes Partel Newton con affetto MARY A Chris Mascal e Carrie Blank per altri 20 + 20 anni di amicizia ALAFAIR

Eppure ognuno uccide ciò che ama, Lo intendano tutti: Lo fanno alcuni con un bieco sguardo Ed altri con parole carezzevoli, Il vile con un bacio, Il prode con la spada! OSCAR WILDE, La ballata del carcere di Reading

NON CHIUDERE GLI OCCHI

Prologo

«L’IMPUTATA si alzi in piedi, per favore.» Sollevandosi dalla sedia, Casey si sentì tremare le ginocchia. Assunse una postura impeccabile – spalle indietro, sguardo dritto davanti a sé – ma i piedi non le sembravano ben saldi a terra. L’imputata. Per tre settimane tutti in quell’aula avevano parlato di lei chiamandola «l’imputata». Non «Casey». Non con il suo nome completo, Katherine Carter. Certamente non definendola «la moglie di Hunter Raleigh III», ovvero ciò che sarebbe stata adesso se le cose fossero andate diversamente. In quell’aula lei era solo una definizione legale anziché una persona vera, una persona che aveva amato Hunter più di quanto lei stessa avrebbe mai creduto possibile. Quando il giudice abbassò gli occhi su di lei dal suo scranno, Casey a un tratto si sentì assai più piccola del suo metro e settanta. Era una bambina atterrita che, intrappolata in un brutto sogno, guardava su, verso un potentissimo mago. Le parole che il giudice pronunciò la fecero rabbrividire dalla testa ai piedi. «Signora portavoce, la giuria ha raggiunto un verdetto unanime?» Una voce di donna rispose: «Sì, vostro onore». Il grande momento era finalmente arrivato. Tre settimane prima, dodici residenti nella contea di Fairfield erano stati selezionati per stabilire se Casey potesse essere scagionata o se avrebbe dovuto passare il resto della sua vita in prigione. In entrambi i casi lei non avrebbe mai avuto il futuro che aveva immaginato. Non avrebbe mai sposato Hunter. Hunter non c’era più. Casey vedeva ancora il suo sangue quando la notte chiudeva gli occhi. La sua avvocatessa, Janice Marwood, l’aveva avvisata di non fare deduzioni basandosi sulle espressioni dei giurati, ma Casey non poté resistere. Diede un rapido sguardo alla portavoce: era bassa e

grassottella, con un viso dolce e gentile. Era il genere di persona accanto alla quale sua madre si sarebbe seduta volentieri a un picnic della chiesa. Dalla verifica di idoneità prima del processo Casey ricordava che la donna aveva tre figli, due femmine e un maschio. Era da poco diventata nonna. Di certo una madre e una nonna l’avrebbe vista come un essere umano, non semplicemente come un’imputata, no? Cercò sul suo viso qualche segno di speranza, ma non vide altro che un volto inespressivo. Il giudice parlò di nuovo. «Signora portavoce, vuole leggere il verdetto perché sia messo agli atti, per favore?» La pausa che seguì parve durare un’eternità. Casey allungò il collo per osservare la gente seduta nell’aula. Proprio alle spalle del tavolo dell’accusa c’erano il padre e il fratello di Hunter. Poco meno di un anno prima lei era stata sul punto di entrare a far parte della loro famiglia. Ora la fissavano come nemici. Distolse subito lo sguardo da loro e si voltò verso la «sua» fila, dove incrociò due occhi azzurro intenso come i suoi, e quasi altrettanto spaventati. Ovvio che sua cugina fosse presente. Angela le era stata vicina sin dal primo giorno. A tenerle la mano era la madre di Casey, Paula. Era pallida, e dal giorno in cui la figlia era stata arrestata aveva perso quasi cinque chili. Magari avrebbe voluto che qualcuno le tenesse anche l’altra mano, ma la persona seduta accanto a lei dall’altra parte era uno sconosciuto con un taccuino e una penna. L’ennesimo giornalista. Dov’era suo padre? Casey scorse con lo sguardo tutta l’aula, cercando freneticamente il suo viso nella speranza di non averlo visto subito solo per un errore. No, gli occhi non l’avevano tradita. Suo padre non c’era. Come poteva non essere presente proprio quel giorno? Mi aveva avvisata, pensò. «Accetta l’accordo», aveva detto. «Avrai tutto il tempo per rifarti una vita. Riuscirò ad accompagnarti all’altare e a conoscere i miei nipoti.» Voleva che i bimbi lo chiamassero El Jefe, il Capo. Nell’istante in cui si rese conto che lui non era in aula, Casey ebbe un pessimo presentimento. La giuria l’avrebbe condannata. Nessuno

la credeva innocente, nemmeno il papà. La donna con il viso gentile e il foglio del verdetto infine parlò. «Per la prima imputazione, l’accusa di omicidio premeditato, la giuria ritiene l’imputata…» La portavoce tossì proprio in quel momento, e Casey sentì un brontolio nell’aula. «Non colpevole.» Lei si nascose il viso tra le mani. Era finita. Otto mesi dopo aver dato l’ultimo saluto a Hunter, finalmente poteva ricominciare a immaginarsi un domani. Poteva andare a casa. Non avrebbe avuto la vita che si era immaginata con Hunter, però avrebbe dormito nel proprio letto, si sarebbe fatta la doccia da sola e avrebbe mangiato quello che le pareva. Sarebbe stata libera. L’indomani, un nuovo futuro sarebbe incominciato. Magari si sarebbe presa un cucciolo, qualcuno di cui avere cura e che l’avrebbe amata nonostante tutto quello che era stato detto di lei. E poi, forse l’anno seguente, si sarebbe rimessa a studiare per prendere il dottorato. Si asciugò le lacrime di sollievo. Poi si ricordò che non era ancora finita. La portavoce si schiarì la gola e proseguì. «Per l’imputazione di omicidio colposo aggravato, la giuria ritiene l’imputata colpevole.» Per un attimo Casey credette di non aver sentito bene. Ma quando si voltò verso il banco della giuria, l’espressione della portavoce non era più impenetrabile, il suo volto non era più dolce. Come la famiglia Raleigh, anche lei fissava Casey con aria di disapprovazione. Ormai lei era «Casey la Pazza», proprio come la chiamavano i giornali. Sentì qualcuno singhiozzare, e voltandosi vide la madre farsi il segno della croce. La cugina si teneva la testa con entrambe le mani. Almeno una persona crede in me, pensò, almeno Angela mi considera innocente. Però andrò in prigione comunque e per molto tempo, proprio come l’accusa mi aveva garantito. La mia vita è finita.

1

Quindici anni dopo CASEY Carter fece un passo avanti quando udì lo scatto, poi sentì il forte e familiare clanc alle sue spalle. Il clanc era il rumore che faceva la porta della sua cella. L’aveva sentita chiudersi ogni mattina, quando usciva per fare colazione, ogni sera dopo cena, e di solito altre due volte in mezzo. Quattro volte al giorno per quindici anni. Più o meno 21.900 clanc, senza contare gli anni bisestili. Eppure oggi quel particolare rumore era diverso da tutti gli altri. Oggi, invece della solita divisa carceraria arancione, lei indossava i pantaloni neri e la camicia bianca inamidata che sua madre aveva consegnato in direzione il giorno prima – entrambi i capi di una taglia più grande della sua. Oggi, uscendo, avrebbe portato con sé i suoi libri e le sue fotografie. Era l’ultimissima volta, grazie a Dio, che udiva quell’opprimente suono metallico. Dopodiché era finita. Niente condizionale, nessuna limitazione. Una volta fuori da quell’edificio, sarebbe stata completamente libera. L’edificio in questione era l’Istituto Correzionale York. Quando ci era entrata provava pena per se stessa, tanta pena. I giornali la chiamavano «Casey la Pazza», inteso più come un «Casey la Maledetta». Nel corso del tempo, poi, si era imposta di provare gratitudine per le piccole cose. Il pollo fritto il mercoledì. Una compagna di cella con una bella voce e una passione per le canzoni di Joni Mitchell. Nuovi libri in biblioteca. Con il passare degli anni, si era anche guadagnata il privilegio di insegnare a un piccolo gruppo di detenute il gusto per l’arte. Quel penitenziario non era il genere di posto in cui Casey si sarebbe mai immaginata di entrare, eppure era stata la sua casa per un decennio e mezzo. Mentre percorreva i corridoi piastrellati – una guardia davanti e

una dietro – le altre detenute le gridavano: «Te ne vai, Casey», «Non dimenticarti di noi», «Fagli vedere quanto vali!» Seguirono fischi e applausi. Non avrebbe sentito la mancanza di quel posto, però avrebbe ricordato moltissime di quelle donne, e le cose che aveva imparato da loro. Era emozionata all’idea di uscire, eppure non aveva mai avuto tanta paura da quando era arrivata lì per la prima volta. Aveva contato i giorni per 21.900 clanc. E adesso che si era finalmente guadagnata la libertà, era terrorizzata. Udì un rumore completamente nuovo – le porte esterne della prigione che si aprivano – e si domandò: come sarà la mia vita domani? Fu sopraffatta da un’ondata di sollievo quando vide che sua madre e sua cugina la aspettavano fuori. La madre adesso aveva i capelli grigi ed era almeno due o tre centimetri più bassa di quando lei aveva iniziato a scontare la sua pena, ma appena la strinse fra le braccia, Casey si sentì di nuovo bambina. Angela era più fantastica che mai, e la tirò a sé in un forte abbraccio. Casey cercò di non pensare all’assenza del padre, o al fatto che il direttore della prigione non le avesse concesso di essere presente al suo funerale, tre anni prima. «Grazie, grazie di cuore per essere venuta fin qui da New York», disse ad Angela. La maggior parte delle sue amiche non le aveva più rivolto la parola dopo l’arresto, e le poche che avevano finto di rimanere neutrali durante il processo erano poi sparite dalla sua vita appena era stata condannata. L’unico supporto che Casey avesse ricevuto fuori dalle mura della prigione era quello di sua madre e di Angela. «Non sarei mancata per niente al mondo», le rispose la cugina. «Ma ti devo delle scuse. Questa mattina ero così emozionata che sono partita senza i vestiti che tua mamma mi aveva chiesto di portarti. Però non preoccuparti, possiamo fermarci al centro commerciale lungo la strada per comprare le cose essenziali.» «Si può sempre contare su di te se si cerca una scusa per andare a fare shopping», scherzò Casey. Angela, ex modella, adesso dirigeva

l’ufficio marketing di una ditta di abbigliamento sportivo femminile, la Ladyform. Una volta in auto, Casey le domandò se conoscesse bene la famiglia Pierce, fondatrice della Ladyform. «I genitori li ho incontrati solo una volta, ma la figlia, Charlotte, dirige gli uffici di New York. È una delle mie migliori amiche. Perché me lo chiedi?» «La scomparsa di Amanda Pierce, la sorella minore della tua amica, è stato il caso raccontato lo scorso mese in una puntata della trasmissione televisiva Under Suspicion. Indagano su vecchi casi irrisolti. Magari Charlotte potrebbe aiutarmi ad avere un appuntamento con quei giornalisti. Voglio che scoprano il vero assassino di Hunter.» La madre di Casey sospirò stancamente. «Non puoi semplicemente goderti una giornata in pace prima di cominciare con questa storia?» «Con tutto il rispetto, mamma, io direi che quindici anni di attesa sono sufficienti per sapere la verità.»

2

QUELLA sera Paula Carter se ne stava seduta a letto, la schiena contro la testata, un iPad Mini in grembo. Trovava rassicurante sentire le voci smorzate di Casey e Angela in soggiorno, e in sottofondo le risate registrate della televisione. Aveva letto molti libri sulla fase di «rientro» dei detenuti. Pensando a come sua figlia fosse sempre stata uno spirito libero da ragazza, aveva temuto che avrebbe subito cercato di ributtarsi nella vita frenetica di New York. Invece aveva scoperto che, molto spesso, chi si trova nella condizione di Casey fatica a rendersi conto di quanto vasta sia la libertà. Si era discretamente ritirata nella propria camera per dare a Casey la possibilità di muoversi per casa senza avere sempre lei alle calcagna. Le faceva male pensare che ora anche solo spostarsi dalla camera da letto al soggiorno o gestire in esclusiva il telecomando della TV fossero il massimo dell’indipendenza, da quindici anni a quella parte, per sua figlia, così in gamba, talentuosa e determinata. Era grata ad Angela per essersi presa una giornata libera in modo da essere presente alla scarcerazione. Tecnicamente Casey e Angela erano cugine, ma Paula e sua sorella Robin avevano cresciuto le figlie come sorelle. Il padre di Angela non c’era mai stato, quindi Frank, il marito di Paula, era stato una figura paterna per la nipote. E poi, quando Angela aveva solo quindici anni, anche la madre se n’era andata, e così Paula e Frank avevano continuato a crescerla. Però, anche se le due cugine erano legate come sorelle, non avrebbero potuto essere più diverse. Entrambe belle e con gli stessi occhi azzurri, Angela era bionda e Casey castana. La prima aveva l’altezza e la silhouette della top model che era stata a vent’anni, mentre la seconda aveva sempre avuto un fisico più atletico, e negli anni alla Tufts University aveva giocato a tennis a livello competitivo. Angela non era andata all’università per dedicarsi alla carriera da modella e a un’intensa vita sociale, invece Casey era stata una

studentessa molto seria e si era dedicata a varie cause politiche. Una era repubblicana, l’altra democratica. E la lista continuava a lungo, eppure quelle due rimanevano legate a doppio filo. Paula abbassò gli occhi sull’articolo di cronaca che stava leggendo sull’iPad. Casey era uscita di prigione da dieci ore ed era già sui giornali. Quell’attenzione dei media l’avrebbe spinta a chiudersi nella sua stanza? O, peggio ancora, l’avrebbe riportata subito sotto i riflettori? Aveva sempre ammirato il fatto che sua figlia fosse pronta a combattere – spesso con grande clamore – per ciò che riteneva giusto, ma se fosse stato per lei avrebbe dovuto cambiare nome, farsi una nuova vita e non nominare mai più Hunter Raleigh. Angela era contraria quanto lei all’idea che la cugina si mettesse in contatto con i produttori di Under Suspicion, il che era un sollievo. E, arrivate al centro commerciale, Casey aveva lasciato cadere l’argomento, ma Paula conosceva bene la figlia. La cosa non sarebbe finita lì. Udì un altro scroscio di risate registrate in televisione. Le ragazze stavano guardando una sit-com, ma sarebbe bastato premere un tasto sul telecomando per imbattersi in un notiziario. Era stupita che la voce fosse trapelata così velocemente: forse i giornalisti controllavano i nomi di tutti i prigionieri che venivano scarcerati ogni giorno? O magari uno dei secondini aveva fatto una soffiata. E se la famiglia di Hunter avesse rilasciato un comunicato stampa? Loro – lo sapeva bene – pensavano che avrebbe dovuto rimanere in prigione a vita. O forse qualcuno aveva semplicemente riconosciuto sua figlia al centro commerciale. Paula si sentiva in colpa. Aveva chiesto ad Angela di mettere insieme un guardaroba per la cugina, pur sapendo quanto fosse impegnata la nipote. Si era data molto da fare perché Casey trovasse a casa tutto quello di cui poteva aver bisogno: riviste sul comodino, nuovi asciugamani e un accappatoio, l’armadietto del bagno pieno dei migliori prodotti termali. E lo scopo di tutte quelle premure era proprio tenere la figlia lontana dagli sguardi della gente; invece erano finite al centro commerciale. Tornò a guardare lo schermo dell’iPad. «Shopping selvaggio per

Casey la Pazza!» Non c’erano fotografie, però la sedicente giornalista sapeva in quale centro commerciale era stata e in quali negozi. L’articolo si concludeva così: «A quanto pare, il cibo della prigione non ha danneggiato la linea della Bella Addormentata. Stando alla nostra fonte, Casey è snella e tonica grazie alle numerose ore di esercizio fisico fatte nel cortile della prigione. Che la cacciatrice di dote voglia indossare qualche vestito nuovo per trovare un altro fidanzato? Staremo a vedere». A scriverlo era stata Mindy Sampson. Era passato molto tempo dall’ultima volta che Paula aveva letto il suo nome, però lo stile era sempre lo stesso. Se Casey era sempre in ottima forma lo si doveva al suo carattere da ape operosa, sempre attiva tra lavoro, volontariato, impegno politico e mostre d’arte. In prigione non aveva niente di cui occuparsi se non la ginnastica e l’ossessiva ricerca di qualcuno che l’aiutasse a ripulire il suo nome da ogni accusa, eppure una blogger da strapazzo come Mindy Sampson la descriveva come se fosse pronta a sfilare sul tappeto rosso. Volente o nolente, Paula doveva avvisare Casey. Mentre percorreva il corridoio si accorse che le risate registrate si erano spente, ed entrata in soggiorno trovò le ragazze che fissavano lo schermo. Il viso del giornalista che presentava il notiziario era il ritratto della pia indignazione: «Una fonte riferisce che oggi Casey Carter è stata rilasciata di prigione ed è andata in un centro commerciale a fare spese. Proprio così, amici: Casey la Pazza, la Bella Addormentata Assassina, è di nuovo tra noi, e la prima cosa a cui ha pensato è stato rifarsi il guardaroba». Casey spense il televisore. «Ora lo capite perché insisto tanto con Under Suspicion? Ti prego, Angela, ho scritto ad avvocati e studi legali di tutto il Paese e nessuno ha accettato di aiutarmi. Quella trasmissione potrebbe essere la mia occasione, la mia unica occasione. E la tua amica Charlotte ha un contatto diretto con i produttori. Ti prego, un appuntamento è tutto quello che chiedo.» «Casey», la interruppe Paula, «ne abbiamo già parlato. È una pessima idea.» «Mi dispiace, ma devo dare ragione alla zia», le diede manforte

Angela. «Detesto dirlo, però c’è chi pensa che tu te la sia cavata con poco.» Paula e Frank erano rimasti annichiliti quando la loro unica figlia era stata condannata per omicidio colposo aggravato, eppure i media avevano considerato quel verdetto una sconfitta per l’accusa, che aveva dipinto Casey come un’assassina a sangue freddo. «Dovrebbero passare una settimana in cella», protestò Casey. «Quindici anni sono un’eternità.» La madre le mise una mano sulla spalla. «I Raleigh sono una famiglia potente. Il padre di Hunter potrebbe influenzare i produttori e la trasmissione darebbe di te un’immagine molto negativa.» «‘Un’immagine molto negativa’?» ripeté Casey in tono sarcastico. «Mi pare di averla già, mamma. Pensi che non abbia visto tutta quella gente che mi fissava, oggi, mentre facevamo spese? Non posso nemmeno entrare in un negozio senza sentirmi un animale allo zoo. Che razza di vita è questa? Angela, chiamerai la tua amica per me o no?» Paula temeva che la nipote cedesse. Le due cugine erano sempre state legate, e Casey era più che mai persuasiva. Guardò Angela con aria implorante. Ti prego, pensò, non permetterle di fare questo errore. Fu molto sollevata quando lei rispose diplomaticamente: «Perché non aspetti qualche giorno e vedi come va?» Casey scosse la testa, palesemente delusa, poi si alzò. «Sono stanca», disse secca. «Vado a letto.» Quella sera Paula si addormentò pregando che i media si concentrassero su qualcos’altro, così Casey avrebbe potuto rifarsi una vita. Quando si svegliò, la mattina dopo, si rese conto che avrebbe dovuto immaginarlo: sua figlia non aspettava mai il permesso di nessuno per fare ciò che riteneva importante. La camera di Casey era vuota. Sul tavolo in sala da pranzo c’era un biglietto. Vado a New York in treno. Torno stasera. La figlia doveva essere andata a piedi alla stazione, distante un chilometro e mezzo. E non c’erano dubbi sul perché fosse uscita

mentre lei dormiva: avrebbe incontrato la produttrice di Under Suspicion a qualunque costo.

3

LAURIE Moran sorrise cortesemente al cameriere per declinare la sua offerta di rabboccarle la tazza di caffè. Diede una fuggevole occhiata all’orologio. Due ore. Era stata seduta a quel tavolo del 21 Club per due intere ore. Certo, era uno dei suoi locali preferiti, ma doveva proprio tornare al lavoro. «Mmm, questo soufflé è un’assoluta delizia. È sicura che non vuole assaggiarlo?» La sua commensale in quel pranzo dalla lunghezza straziante era una donna di nome Lydia Harper. Stando ad alcuni, era una coraggiosa vedova che aveva tirato su da sola due ragazzini dopo che un folle aveva ucciso loro padre − stimato professore alla facoltà di Medicina della Baylor University – dopo un incidente automobilistico. Stando ad altri, era una manipolatrice che aveva ingaggiato un sicario per uccidere il marito, terrorizzata all’idea che lui intendesse chiedere il divorzio e la custodia dei bambini. Il caso era perfetto per la trasmissione di Laurie, Under Suspicion. Erano passate due settimane da quando Lydia aveva accettato telefonicamente di partecipare a una nuova indagine sull’omicidio del marito, però non aveva ancora firmato i documenti. Dopo averle detto più volte che si riprometteva ogni giorno di andare all’ufficio postale, due giorni prima aveva improvvisamente dichiarato che voleva incontrarla di persona – a New York, con un biglietto aereo di prima classe e due notti al Ritz-Carlton – prima di dare il consenso. Laurie aveva immaginato che Lydia volesse solo farsi un viaggetto extralusso a spese della produzione, ed era disponibile a offrirglielo se era il prezzo da pagare per la firma del contratto. Invece, durante il pranzo, ogni volta che aveva cercato di affrontare l’argomento Lydia aveva cambiato discorso, parlando invece dello spettacolo di Broadway che aveva visto la sera prima, delle compere fatte da Barneys la mattina, o di come fosse squisito il tacchino del 21 Club che

aveva ordinato. Laurie sentì ancora una volta vibrare il cellulare che teneva nella tasca esterna della borsetta. «Perché non risponde?» la invitò Lydia. «Guardi che capisco: lavoro, lavoro, lavoro. Non si smette un attimo.» Laurie aveva ignorato molte altre chiamate e messaggi, ma aveva qualche timore a proseguire così. Poteva essere il suo capo. Sentì un nodo allo stomaco quando vide il display. Quattro chiamate perse: due della sua segretaria, Grace Garcia, e due dell’assistente produttore, Jerry Klein. C’era anche una sfilza di messaggi da parte di entrambi. Brett ti sta cercando. A che ora torni? Mioddio. C’è qui Casey la Pazza per parlare del suo caso. Dice di conoscere Charlotte Pierce. Sono sicuro che le vuoi parlare. Chiamami! Dove sei? Ancora a pranzo? Casey la Pazza è ancora qui. E Brett ti sta sempre cercando. Cosa vuoi che diciamo a Brett? Potrebbe esplodergli la testa se non rientri in fretta. Chiama appena puoi. E poi un ultimo messaggio da Grace, inviato proprio in quel momento. Se quell’uomo torna un’altra volta nel tuo ufficio, probabilmente dovremo richiedere il pronto intervento qui al sedicesimo piano. Quale parte di «lei non c’è» non capisce? Laurie alzò gli occhi al cielo, immaginando Brett che passeggiava avanti e indietro nervosamente per i corridoi. Il suo capo era un produttore molto noto e in gamba, ma era petulante. L’anno prima, un fotomontaggio della sua faccia sul corpo di un neonato con un sonaglino in mano aveva fatto il giro dello studio. Laurie aveva sempre sospettato che il colpevole fosse Jerry, capace di occultare le sue tracce elettroniche in modo da non farsi beccare. La verità era che Laurie stava evitando Brett. Era passato un mese dalla messa in onda del loro ultimo special, e lei sapeva che il capo era impaziente di vederla iniziare la produzione del successivo. Dio solo sapeva se doveva essergliene grata. Non era passato poi molto tempo da quando il timore di non avere più un lavoro la teneva

sveglia la notte. Prima si era presa un periodo di pausa quando suo marito Greg era stato ucciso; poi, una volta rientrata, il suo percorso professionale era stato quantomeno accidentato. A ogni trasmissione fallimentare le capitava di sentire giovani e ambiziosi assistenti di produzione – tutti ansiosi di prendere il suo posto – che si domandavano ad alta voce se per caso lei fosse «caduta in depressione» o avesse «perso il suo tocco magico». Under Suspicion aveva cambiato tutto. Laurie aveva iniziato a rigirarsi in testa quell’idea prima che Greg morisse. La gente ama i misteri, e raccontare le storie dal punto di vista dei sospettati avrebbe infuso nuova vita nei vecchi casi irrisolti. Ma dopo la morte di Greg aveva messo in naftalina quel progetto, e a posteriori si rendeva conto che non aveva voluto dare l’impressione della vedova ossessionata dall’omicidio irrisolto del marito. Però, come si suol dire, la necessità aguzza l’ingegno: essendoci in gioco la sua stessa carriera, Laurie aveva finalmente lanciato il suo asso nella manica. Avevano mandato in onda tre puntate di grande successo, con gli indici d’ascolto e l’«andamento virale» ogni volta sempre più alti. Risultato: se lavori bene, ti ritrovi a lavorare sempre di più. Un mese prima era convinta di essere largamente in anticipo sulla tabella di marcia. Aveva per le mani quello che riteneva il caso perfetto: alcuni studenti di Diritto penale alla Brooklyn Law School l’avevano contattata per segnalarle il caso di una ragazza condannata per l’omicidio della compagna di stanza al pensionato universitario, tre anni prima. Avevano le prove che uno dei testimoni chiave dell’accusa avesse mentito. Non era l’approccio tipico della trasmissione, che invece esaminava i casi irrisolti dal punto di vista di chi aveva vissuto per anni sotto l’ombra del sospetto, ma la possibilità di restituire la libertà a una giovane donna ingiustamente condannata aveva fatto leva su quel senso di giustizia che più di ogni altra cosa aveva spinto Laurie verso il giornalismo. Aveva combattuto con le unghie e con i denti per convincere Brett ad approvare l’idea, argomentando che l’errore giudiziario era un filone narrativo molto popolare al momento. Poi, tre giorni dopo che Brett aveva dato il via libera, l’accusa aveva convocato una conferenza

stampa insieme con gli studenti di Diritto, annunciando di essere stata convinta dalle nuove prove a rilasciare l’imputata e riaprire il caso di propria iniziativa. Giustizia era fatta, ma lo speciale di Laurie era morto prima ancora di nascere. E così lei era passata alla storia di riserva: l’omicidio del dottor Conrad Harper, la cui vedova intanto aveva quasi terminato il dessert. «Mi dispiace molto, Lydia, ma ho un’urgenza in ufficio. Devo rientrare, però lei aveva detto che voleva parlarmi riguardo al nostro programma.» La donna allora fece qualcosa che la stupì: appoggiò il cucchiaino e fece cenno al cameriere di portarle il conto. «Laurie, in effetti volevo incontrarla perché mi sembrava corretto dirle di persona che non ho intenzione di partecipare alla sua trasmissione.» «Ma…» Lydia sollevò una mano per interromperla. «Ho parlato con due diversi avvocati. Entrambi dicono che ho troppo da perdere. Preferisco sopportare gli sguardi torvi dei vicini piuttosto che correre rischi a livello legale.» «Ma ne abbiamo già parlato, Lydia. Questa è la sua occasione per contribuire a identificare chi ha davvero ucciso Conrad. So che nutre dei sospetti su un suo ex studente.» Il marito era stato perseguitato da un ragazzo che non aveva superato il semestre. «Se vuole indagare su di lui faccia pure, assolutamente. Io però non accetterò di rilasciare nessuna intervista.» Laurie fece per dire qualcosa, ma Lydia la interruppe di nuovo. «La prego, so che deve tornare al lavoro. Non c’è niente che lei possa dire per farmi cambiare idea. La mia decisione è definitiva. Ho solo pensato di doverglielo comunicare di persona.» In quel preciso istante il cameriere arrivò con il conto, che Lydia passò subito a lei. «È stato davvero bello conoscerla, Laurie. Le auguro tutto il meglio.» La giornalista sentì un brivido correrle lungo la schiena quando la sua commensale si alzò da tavola e la lasciò lì da sola. È stata lei, pensò, e nessuno sarà mai in grado di provarlo.

Mentre aspettava che il cameriere tornasse con la sua carta di credito, Laurie scrisse un messaggio sia a Grace sia a Jerry: Riferite a Brett che tra dieci minuti sarò lì. E che cosa gli avrebbe detto, a quel punto? Il caso del professore assassinato era appena andato in fumo. Stava per inviare il messaggio, quando le tornò in mente quello che Jerry le aveva scritto poco prima su Casey la Pazza. Possibile? Modificò il messaggio e aggiunse: Sul serio Casey Carter ha chiesto di vedermi? Grace rispose immediatamente. SÌ! È nella sala riunioni A. C’è un’assassina nell’edificio, a momenti chiamavo il 911! Come giornalista, Laurie aveva intervistato molte persone accusate e persino condannate per omicidio. Grace, invece, ancora trasaliva al pensiero. La risposta di Jerry arrivò subito dopo la sua. Avevo paura che se ne andasse, ma quando l’ho ringraziata per la pazienza ha detto che non ci saremmo liberati di lei finché non fosse riuscita a incontrarti! Laurie si accorse che stava sorridendo, mentre firmava la ricevuta per pagare il pranzo. Il fatto che Lydia Harper si fosse tirata indietro poteva rivelarsi provvidenziale, anche se a prima vista sembrava un disastro. L’uscita di prigione di Casey era stata la notizia di punta su tutte le emittenti televisive, la sera prima, e adesso lei era lì che la aspettava. Dal taxi mandò un altro messaggio. Fatemi guadagnare più tempo che potete con Brett. Ditegli che ho una pista per un nuovo caso molto promettente. Voglio prima parlare con Casey.

4

SALITA al sedicesimo piano del Rockefeller Center, dove avevano sede i Fisher Blake Studios, Laurie si diresse subito alla sala riunioni A. Grace era riuscita a sapere da Dana, la segretaria di Brett, che per quindici o venti minuti il capo sarebbe stato occupato con una teleconferenza, ma che appena finito avrebbe ricominciato a braccare Laurie. Si domandò perché insistesse tanto per parlarle. Sapeva che voleva aggiornamenti sul prossimo caso, ma quella non era una novità. Possibile che in qualche modo avesse previsto la defezione della vedova? Scacciò quel pensiero. Il suo capo poteva anche spacciarsi per un veggente, però non lo era. Appena aprì la porta, la donna che la stava aspettando seduta su una poltroncina saltò in piedi, e Laurie riconobbe immediatamente Katherine «Casey» Carter. Aveva appena finito l’università e iniziato la carriera giornalistica quando il caso della Bella Addormentata aveva occupato le prime pagine. L’inizio della sua carriera consisteva, in effetti, nel portare il caffè ai redattori di un giornale locale in Pennsylvania, ma a quel tempo ne era più che felice e assorbiva ogni minimo insegnamento come una spugna. In quanto aspirante giornalista si era appassionata a quel processo, e quando la sera prima aveva sentito la notizia della scarcerazione di Casey, le era parso impossibile che fossero già passati quindici anni. Il tempo vola, anche se forse Casey l’avrebbe pensata diversamente. Ai tempi in cui il processo aveva monopolizzato le prime pagine dei giornali, Casey era assolutamente strepitosa, con la sua lunga chioma di capelli castano scuro, la pelle di alabastro e un paio d’occhi a mandorla azzurri che scintillavano quando scherzava. Appena laureata aveva ottenuto l’ambitissimo incarico di assistente nel dipartimento di Arte contemporanea di Sotheby’s. Stava studiando per conseguire una laurea specialistica e sognava di possedere una

galleria tutta sua, quando aveva conosciuto Hunter Raleigh III a un’asta. Non era soltanto per la notorietà del suo fidanzato se l’intera nazione si era appassionata al caso: Casey stessa era affascinante. Dopo quindici anni era ancora bella. Adesso portava i capelli più corti, un caschetto fino alle spalle proprio come Laurie. Era più magra, ma muscolosa. E i suoi occhi scintillavano ancora di intelligenza quando strinse con decisione la mano di Laurie. «Signora Moran, la ringrazio molto di avermi ricevuta. Mi dispiace di non aver telefonato per chiedere un appuntamento, ma immagino che sarà sommersa di richieste.» «È vero», disse Laurie, e con un cenno indicò che potevano accomodarsi al tavolo. «Non da persone famose quanto lei, però.» Casey si lasciò andare a una risata triste. «E di che fama stiamo parlando? Casey la Pazza? La Bella Addormentata Assassina? È per questo che sono qui. Io sono innocente. Non ho ucciso Hunter, e rivoglio indietro il mio nome, il mio buon nome.» Per chi non era in rapporti confidenziali con lui, Hunter era Hunter Raleigh III. Suo nonno, il primo Hunter, era stato senatore. Entrambi i suoi figli, Hunter Junior e James, erano entrati nell’esercito dopo essersi laureati a Harvard. Scomparso Hunter Junior all’inizio della guerra in Vietnam, il fratello minore si era votato alla carriera nell’esercito e aveva chiamato il suo primogenito Hunter III. James aveva raggiunto il grado di generale di corpo d’armata, e anche una volta in pensione aveva continuato a lavorare come ambasciatore. I Raleigh erano una versione in miniatura dei Kennedy, una dinastia di politici. E Casey aveva ucciso l’erede al trono. All’inizio i giornali chiamavano Casey «la Bella Addormentata». Lei sosteneva di essere stata profondamente addormentata quando uno o più sconosciuti si erano introdotti nella dimora di campagna del suo fidanzato e l’avevano ucciso con due colpi di arma da fuoco. La coppia era tornata presto da una serata di gala in città per la fondazione di famiglia perché Casey aveva detto di non sentirsi bene. Stando alla sua testimonianza, si era addormentata in auto e non ricordava nemmeno di essere arrivata da Hunter. Si era svegliata ore

dopo sul divano del soggiorno, si era trascinata in camera da letto e aveva trovato il fidanzato coperto di sangue. Lei era un talento emergente nel mondo dell’arte, giovane e bella, e lui l’adorato rampollo di una famiglia impegnata nella politica e tenuta in gran conto: il genere di tragedia che affascina una nazione. E poi, non molti titoli di giornale dopo, la polizia aveva arrestato la povera Bella Addormentata. L’accusa aveva presentato il caso in modo molto solido, e i giornali avevano cominciato a chiamarla la Bella Addormentata Assassina e, alla fine, Casey la Pazza. Molti ritenevano che Hunter avesse rotto il fidanzamento e lei si fosse fatta prendere da un accesso di rabbia alimentato dall’alcol e dalla gelosia. Adesso – dopo tutti quegli anni – era in una sala riunioni e affermava ancora di essere innocente. Laurie sapeva che i minuti passavano e che doveva andare a parlare con il suo capo. Di solito avrebbe ripercorso metodicamente i fatti nella versione dell’accusato, ma doveva arrivare al punto. «Mi scusi se sono diretta, Casey, però le prove contro di lei sarebbero difficili da ignorare.» Nonostante lei avesse negato di aver mai usato la pistola identificata come arma del delitto, vi erano state trovate sopra le sue impronte, e le sue mani erano risultate positive al test che rileva la presenza dei residui dello sparo. Laurie le domandò se volesse contestare quei fatti. «Se i test sono stati eseguiti correttamente, questo significa solo che il vero assassino ha premuto la mia mano sull’arma e poi ha sparato. Ci pensi: perché mai avrei dovuto dire che non avevo mai usato la pistola se con quella avessi ucciso Hunter? Avrei potuto spiegare la presenza delle mie impronte dicendo che l’avevo usata al poligono di tiro. Per non parlare del fatto che chi ha ucciso Hunter lo ha mancato due volte, stando ai fori di proiettile trovati nella casa. Io ero un’ottima tiratrice. Se avessi voluto uccidere qualcuno – cosa che non avrei mai fatto – non lo avrei mancato, mi creda. E se avessi usato la pistola di Hunter, perché mai avrei acconsentito a sottopormi al test per il rilevamento dei residui di sparo?» «E cosa mi dice dei farmaci che la polizia ha trovato nella sua

borsetta?» Casey spiegò che quella sera stava così male che la polizia le aveva fatto un’analisi del sangue in cerca di qualche sostanza tossica. Quando erano arrivati i risultati, con la conferma che lei aveva in circolo alcol e uno psicofarmaco, una perquisizione a casa di Hunter aveva già permesso di trovare quel sedativo nella borsetta di Casey. «Anche in questo caso, se avessi deliberatamente voluto drogarmi, perché mai avrei dovuto conservare altre pasticche di Roipnol nella borsa? Non avrei mai pensato che qualcuno potesse credermi tanto stupida.» Laurie conosceva il Roipnol, un farmaco diffusamente usato nei casi di stupro. Fino a quel momento Casey non aveva fatto altro che riproporre le obiezioni sollevate dalla sua avvocatessa al processo. Sosteneva che qualcuno l’aveva drogata durante la serata di gala, poi era andato a casa di Hunter, gli aveva sparato e aveva fatto ricadere la colpa su lei. La giuria non le aveva creduto. «All’epoca ho seguito il suo processo», disse Laurie. «Mi scusi se glielo dico, ma secondo me uno dei problemi stava nel fatto che la sua avvocatessa non ha mai proposto una plausibile spiegazione alternativa. Ha alluso all’ipotesi che la polizia potesse aver fabbricato le prove, ma non ha mai fornito un motivo per cui avrebbe dovuto farlo. E, soprattutto, non ha mai offerto alla giuria un altro sospettato. Quindi mi dica, Casey: se non è stata lei a uccidere Hunter, allora chi è stato?»

5

«HO avuto molto, molto tempo per elaborare teorie sull’omicidio di Hunter», disse Casey porgendo a Laurie un foglietto con scritti cinque nomi. «Non credo che qualcuno sia entrato in un’abitazione a caso o che si sia trattato di un furto finito male mentre io ero priva di sensi sul divano.» «Poco convincente anche per me», concordò Laurie. «Però quando ho saputo di avere il Roipnol in circolo ho capito che chiunque avesse ucciso Hunter doveva essere stato con noi al Cipriani per la serata di gala della Fondazione Raleigh. Durante il giorno stavo benissimo, è stato solo un’ora circa dopo l’inizio dell’evento che ho cominciato a sentirmi male. Qualcuno deve aver messo il farmaco nel mio bicchiere mentre ero distratta. Non riesco a immaginare che qualcuno volesse fare del male a Hunter, però so che non era il mio caso. Le persone di quella lista avevano invece un movente e l’occasione.» Laurie riconobbe tre dei cinque nomi, e tutti la stupirono come possibili sospettati. «Jason Gardner e Gabrielle Lawson erano alla serata di gala?» Jason Gardner era l’ex fidanzato di Casey, nonché l’autore di una biografia molto esplicita che aveva definitivamente inscritto nel vocabolario popolare il soprannome di «Casey la Pazza». Laurie non ricordava esattamente quali particolari legami ci fossero con Gabrielle Lawson, ma si era fatta un nome nella mondanità locale. Si rammentò che all’epoca girava il gossip che Hunter fosse ancora interessato a lei, benché fidanzato con Casey. Laurie non aveva idea che Jason e Gabrielle fossero entrambi al Cipriani la notte dell’omicidio. «Sì, Gabrielle sembrava spuntare fuori dovunque Hunter andasse. Mi ricordo che è venuta al nostro tavolo e gli ha gettato le braccia al collo con i suoi soliti modi. Avrebbe tranquillamente potuto mettere qualcosa nel mio bicchiere. E Jason… be’, in teoria lui era al tavolo

prenotato dall’azienda per la quale lavorava, ma a me è sembrata una coincidenza un po’ troppo strana. Fatto sta che a un certo punto mi ha presa da parte e mi ha detto che mi amava ancora. Io ovviamente gli ho risposto che stavo per sposare Hunter, doveva farsene una ragione e non pensarci più. Quindi sia Gabrielle sia Jason erano gelosi del rapporto tra me e Hunter», spiegò Casey. «Tanto gelosi da uccidere?» «Se una giuria ha potuto credere che quel movente valesse per me, non vedo perché non potrebbe valere anche per loro.» Il terzo nome familiare sulla lista era particolarmente sconcertante. «Andrew Raleigh?» fece Laurie, inarcando le sopracciglia. Andrew era il fratello minore di Hunter. «Non dirà sul serio.» «Guardi, non mi diverte affatto accusare la gente. Ma, come ha detto lei, posto che non ho ucciso io Hunter, qualcun altro deve pur essere stato. E Andrew stava bevendo parecchio quella sera.» «Come lei», ribatté Laurie, «stando a diversi testimoni.» «Questo non è vero. Ho bevuto un bicchiere di vino, al massimo due, ma ho smesso quando ho cominciato a non sentirmi bene. Andrew, invece, quando beve, è… be’, diventa un’altra persona. Oltretutto, il padre non aveva mai nascosto di volere più bene a Hunter che a Andrew. Lo so che quell’uomo ha una grande reputazione, ma come genitore sa essere crudele. Andrew era gelosissimo del fratello.» A Laurie sembrava un’ipotesi un po’ azzardata. «E che mi dice di questi altri due nomi: Mark Templeton e Mary Jane Finder?» Non le facevano suonare nessun campanello. «Loro richiedono una spiegazione un po’ più lunga. Mark, oltre a essere uno dei più cari amici di Hunter, era anche il direttore finanziario della Fondazione Raleigh. E, secondo me, è il sospettato più probabile.» «Nonostante lui e Hunter fossero amici?» «Hunter non aveva detto niente pubblicamente, ma si preparava a candidarsi a un’elezione politica, o come sindaco di New York o forse perfino per un posto al senato. In ogni caso era deciso a passare dal settore privato all’amministrazione pubblica.»

Hunter poteva anche non aver dichiarato le proprie intenzioni politiche, ma di certo la gente aveva ipotizzato qualcosa. Lui era una presenza fissa nella lista degli scapoli più ambiti del Paese, e quando aveva improvvisamente annunciato il fidanzamento con una donna che frequentava da meno di un anno molti si erano domandati se non fosse il primo passo verso una candidatura politica. Alcuni però ritenevano che Casey fosse una scelta rischiosa: la famiglia Raleigh era nota per le sue idee conservatrici, mentre Casey era dichiaratamente liberale. Politicamente, erano una strana coppia. «In previsione della competizione politica», proseguì Casey, «Hunter stava esaminando i libri contabili della fondazione per essere assolutamente certo che non ci fossero donazioni o raccolte di fondi potenzialmente imbarazzanti o controverse, nel caso fossero state oggetto di un controllo pubblico. Quella sera il suo autista lo aveva riportato in città dal Connecticut ed erano passati a prendermi a casa mia. In macchina lui aveva accennato al fatto che intendeva assumere un contabile forense per condurre un’indagine più approfondita, a causa di quelle che definiva delle ‘irregolarità’. Hunter mi ha però subito assicurato che era uno scrupolo eccessivo da parte sua, ed era certo che non ci fosse nulla di cui preoccuparsi. Non ci ho più ripensato fino a quattro anni dopo la mia condanna, quando Mark ha improvvisamente rassegnato le dimissioni senza preavviso.» Era la prima volta che Laurie sentiva parlare di tutto ciò. «È un fatto insolito?» domandò. Non era molto esperta sulla gestione di una fondazione privata. «Secondo le testate finanziarie sì, a quanto pare», rispose Casey. «Nella biblioteca giuridica della prigione era possibile consultare i giornali online. Sembra che il patrimonio della fondazione fosse così esiguo da innescare una serie di congetture. Sa, quando Hunter aveva cominciato a dedicarsi interamente alla fondazione, i risultati delle raccolte fondi erano triplicati. E pur ammettendo che le entrate fossero precipitate senza di lui al timone, i media dicevano che il patrimonio complessivo della fondazione era scarso, e valeva la pena domandarsi se dietro ci fosse una cattiva gestione dei fondi o peggio.» «E la fondazione come ha reagito a queste congetture?»

Casey si strinse nelle spalle. «Io so solo quello che ho potuto scoprire sui giornali, e i beni di una fondazione senza scopo di lucro non fanno notizia quanto, tanto per dire, un processo per omicidio nell’alta società. Ma a quanto ho capito, quando i giornalisti hanno cominciato a parlare delle improvvise dimissioni di Mark, il padre di Hunter ha nominato un nuovo direttore finanziario e ha apertamente lodato la conduzione di Mark. La storia così si è smorzata. Ma i fatti restano: il patrimonio della fondazione era misteriosamente scarso. Io credo che Hunter avesse intuito il problema anni prima. E aggiungo una cosa: Mark Templeton era seduto proprio accanto a me alla serata di gala. Avrebbe potuto benissimo mettermi qualche droga nel bicchiere.» Laurie aveva accettato di incontrare Casey solo per curiosità e per poter dire a Brett che aveva uno spunto per una possibile storia, eppure adesso già immaginava di mettere ognuno di questi sospettati davanti alla telecamera. Si rese conto che nella sua testa il conduttore della trasmissione era ancora Alex, ma concluso il loro ultimo caso, lui aveva dichiarato di volersi dedicare a tempo pieno al suo lavoro di avvocato penalista. La sua uscita dalla trasmissione aveva gettato un’ombra anche su quello che era stato un rapporto personale via via sempre più stretto tra loro due. Laurie scacciò quel pensiero dalla mente e tornò a concentrarsi su Casey. «E Mary Jane Finder? Chi è?» «L’assistente personale del generale Raleigh.» Laurie sgranò gli occhi. «E quale sarebbe il legame in questo caso?» «Ha cominciato a lavorare per il generale qualche anno prima che io conoscessi Hunter. A lui Mary Jane non era mai piaciuta, ed era preoccupato soprattutto per l’ascendente che sembrava esercitare su suo padre dopo la morte della madre. Secondo lui, stava cercando di manipolarlo, o persino di sposarlo, dato che ormai era vedovo.» «Non piaceva al figlio del capo? Un movente un po’ debole per un omicidio.» «C’era anche altro. Hunter pensava che stesse tramando qualcosa, che nascondesse qualcosa, ed era deciso a farla licenziare. Ed ecco il punto: mentre andavamo in macchina alla serata di gala, l’ho sentito

telefonare a un amico avvocato perché gli consigliasse un investigatore privato, dicendo che aveva bisogno di fare un controllo sul passato di una persona. Poi ho sentito che diceva: ‘È una faccenda delicata’. Quando ha riagganciato gli ho domandato se la cosa fosse collegata alla verifica fiscale alla fondazione.» Furono interrotte da qualcuno che bussava alla porta della sala conferenze, poi Jerry fece capolino. «Mi dispiace molto, ma Brett ha finito con la sua teleconferenza. Adesso è con Grace e vuole sapere dove sei.» Laurie preferiva non far sapere a Brett dove si trovava esattamente, altrimenti si sarebbe presentato lì e avrebbe monopolizzato la discussione. Però non voleva nemmeno mettere Grace nella posizione di mentire al capo del suo capo. «Puoi dirgli, per favore, che hai parlato con me e che sarò nel suo ufficio tra cinque minuti al massimo?» Brett avrebbe pensato che fosse impegnata in una conversazione al telefono. Questo avrebbe sollevato Grace dal suo assedio, però Laurie doveva sbrigarsi. «Va bene, quindi l’investigatore privato era per la fondazione», disse, riprendendo il filo. «No. O, almeno, non penso lo fosse. Dicevo che ho chiesto a Hunter se c’entrasse la verifica finanziaria. Lui ha accennato con un’occhiata cauta all’autista, Raphael, come a dire: ‘Non adesso’. Ho pensato che non volesse fargli sapere il nome della persona che intendeva controllare.» «Magari era l’autista stesso», ipotizzò Laurie. «Impossibile», disse Casey. «Raphael era uno degli uomini più gentili e garbati che io abbia mai conosciuto, adorava Hunter e lui lo considerava una sorta di zio. Però quell’uomo era anche estremamente fiducioso, e voleva credere sempre il meglio di tutti, compresa Mary Jane. Hunter aveva smesso di lamentarsi di lei in presenza di Raphael per evitare di metterlo in una posizione difficile con una donna che esercitava un’influenza sempre maggiore sul personale di famiglia. Se Hunter aveva ragione e Mary Jane nascondeva effettivamente qualcosa, forse quella donna ha fatto in modo di non fargli scoprire la verità.»

«Ma lei era alla serata di gala?» domandò Laurie. «Certo che sì, seduta al fianco del generale Raleigh. C’era un motivo se Hunter era preoccupato che avesse dei secondi fini.» A Laurie pareva di vedere Brett che cominciava a guardare l’orologio e a contare i minuti che mancavano al suo arrivo. «Casey, questa lista è un ottimo punto di partenza. Mi lasci fare qualche ricerca preliminare e poi tornerò…» «No, la prego, ho tante altre cose da dirle. Lei è la mia unica speranza.» «Non le sto dicendo di no. In realtà, la cosa m’incuriosisce molto.» Il labbro inferiore di Casey iniziò a tremare. «Oh, mio Dio, mi dispiace tanto.» Si sventolò le mani davanti agli occhi. «Giuro che non ho la lacrima facile, ma lei non ha idea di quante lettere ho scritto ad avvocati e studi legali e giornalisti. Moltissimi mi hanno risposto dicendo esattamente la stessa cosa: ‘Mi incuriosisce molto’, oppure ‘Mi dia il tempo di approfondire’. E poi non si facevano più sentire.» «Stavolta non succederà, Casey. Casomai sono io che dovrei preoccuparmi di investire un sacco di risorse per indagare su queste ipotesi, per poi magari scoprire che lei ha ceduto la sua storia al primo sito internet che le ha promesso di pubblicarla.» Casey scosse la testa, decisa. «No, assolutamente no. Ho visto i disastri che certi cosiddetti giornalisti riescono a combinare. Invece conosco la sua trasmissione, e so che Alex Buckley è uno dei migliori avvocati difensori della città. Non parlerò con nessun altro finché lei non avrà preso una decisione.» Sentendo il nome di Alex, Laurie ebbe una stretta al cuore. Casey aveva un tono implorante quando le chiese: «Quando possiamo rivederci?» Laurie ripensò al messaggio che Jerry le aveva mandato: Ha detto che non ci saremmo liberati di lei finché non fosse riuscita a incontrarti. Ora doveva liberarsi di lei. «Venerdì», disse impulsivamente. Mancavano due giorni. Stava per rimangiarsi la proposta, quando si rese conto che sarebbe stata una buona idea incontrare Casey e la sua famiglia fuori dell’ufficio, prima di prendere una decisione definitiva sul da farsi. «Anzi, vengo

io da lei. Magari potrò parlare anche con i suoi genitori?» «Mio padre non c’è più», rispose Casey mestamente. «Abito con mia madre. Però stiamo nel Connecticut.» A quanto pare, mi aspetta un viaggetto, pensò Laurie. Erano sulla soglia della sala riunioni quando Laurie ricordò una delle informazioni ricevute via sms durante il pranzo. «Il mio assistente produttore mi ha detto che lei conosce Charlotte Pierce.» Fino a tre mesi prima Laurie non considerava Charlotte Pierce come un individuo a sé stante. Per lei era «la sorella»: la sorella di Amanda Pierce, la sposa scomparsa su cui aveva girato il più recente special. Con sua sorpresa, però, una volta terminata la produzione della puntata Charlotte l’aveva invitata a pranzo, e ora, numerosi pranzi dopo, Laurie la considerava un’amica, la prima dopo molto tempo. Casey sorrise imbarazzata. «Forse ho un po’ ingigantito la cosa», confessò. «Mia cugina Angela Hart lavora con lei. Sono molto, molto amiche, io in realtà non l’ho mai incontrata.» Laurie osservò Casey che inforcava un paio di grandi occhiali da sole, si raccoglieva i capelli sulla testa e si metteva un berretto degli Yankees, abbassando poi la visiera sulla fronte. «È stato già piuttosto brutto quando mi hanno riconosciuta al centro commerciale», commentò tristemente prima di andarsene. Mentre si precipitava all’ufficio di Brett, Laurie dettò un promemoria vocale per se stessa: ricordarsi di chiamare Charlotte e chiederle se ha qualche informazione riservata. Prese anche un appunto mentale: Casey Carter non si faceva scrupolo di alterare un po’ la realtà, se le tornava utile.

6

LA segretaria di Brett, Dana Licameli, rivolse a Laurie uno sguardo solidale e le fece cenno di accomodarsi in quello che al momento le sembrava un patibolo. «Fa’ attenzione», la avvisò. «Non lo vedevo così nervoso da quando sua figlia è tornata dall’Europa con un piercing al naso.» Brett fece subito un mezzo giro sulla poltrona per affrontarla faccia a faccia. «Con tutto il tempo che sei stata via dall’ufficio, pensavo che saresti tornata abbronzata e con addosso l’odore di rum e crema solare.» Guardò l’orologio. «Quasi tre ore al 21 Club? Magari fossimo tutti così fortunati. E non prendertela con il tuo staff: hanno fatto del loro meglio per coprirti, ma ho chiesto a Dana di dare una sbirciata all’agenda sul computer della tua segretaria.» Laurie aprì la bocca e fece per parlare, ma non uscì nulla. Non sopportava l’idea di aver creato problemi a Jerry e Grace mentre lei era fuori. Se avesse potuto dire quello che pensava veramente, avrebbero perso tutti e tre il lavoro. Alla fine trovò delle parole che con qualche sforzo poté costringersi a borbottare. «Mi dispiace, Brett. È chiaro che avevo dimenticato il nostro appuntamento di oggi.» Quella risposta asciutta parve calmarlo. Le rivolse persino un mezzo sorriso. A sessantun anni, Brett era ancora molto bello. Con i folti capelli grigio scuro e la mascella pronunciata, sembrava uno dei tanti conduttori da notiziario che nel corso degli anni aveva assunto. «Non fare l’impertinente, lo sai che non avevamo un appuntamento. Però stai cercando di evitarmi, sappiamo tutti e due perché.» «Non sto cercando di evitarti», mentì Laurie, sistemandosi dietro l’orecchio una lunga ciocca di capelli. «Credevo davvero che fosse tutto in ordine con il caso del professore di Medicina. La vedova temporeggiava, però ero certa che avrebbe capitolato.» «Invece non l’ha fatto? Mi avevi detto che non si decideva ad

andare in posta solo perché aveva da fare con i suoi mocciosi.» Laurie era sicurissima di non aver mai parlato dei figli di Lydia chiamandoli «mocciosi». Però disse con garbo: «A quanto pare ci ha ripensato, oppure mi ha ingannata tutto il tempo». «Scommetto che ha paura», disse Brett. «Magari è colpevole.» Uno degli aspetti più difficili nel lavoro di Laurie era convincere tutti i personaggi chiave a partecipare alla trasmissione. Di solito cercava di apparire così gentile e carina che era difficile dirle di no, ma certe volte le toccava ricorrere a tattiche più decise. Non andava sempre fiera delle manovre adottate, però bastava che mancasse un solo pezzo per mandare all’aria tutto il puzzle. «Lo penso anch’io. Ha detto che si è consultata con due avvocati e che ha troppo da perdere.» «Be’, per come la vedo io, ciò dimostra che è colpevole.» «Sono d’accordo», fece Laurie, «comunque era decisissima a starne fuori. E una puntata sul caso irrisolto di suo marito non sarebbe interessante senza di lei davanti alla telecamera.» «Stai proprio cercando di rovinarmi la giornata, vero?» Ora il tono di Brett era sarcastico. «Non volontariamente, no. Ma la buona notizia è che la mia cosiddetta vacanza dall’ufficio – come ironizzavi prima tu – se non altro mi è valsa una nuova pista. Ho appena incontrato Casey Carter.» «Casey la Pazza? Ho sentito che ne parlavano ieri sera al notiziario. Indossava uno dei vestiti che si è comprata al centro commerciale?» «Non gliel’ho chiesto. Ero troppo presa ad ascoltarla mentre mi diceva che lei è innocente. E ha tirato fuori cinque potenziali colpevoli alternativi. Sarebbe ottimo per Under Suspicion. Le storie di condanne ingiuste sono di gran moda.» «Ma solo quando sono ingiuste.» «Lo so. È stato solo un primo incontro, devo ancora lavorarci parecchio, però almeno lei parla con me e con nessun altro.» «Francamente, in questo caso non m’interessa se la ragazza è un’assassina o no. Basta il suo nome a far salire gli indici d’ascolto.» Laurie si aspettava che Brett le facesse il terzo grado su tutti i

particolari che ancora le mancavano, eppure anziché incalzarla per avere più informazioni sul caso disse soltanto: «Be’, spero che questa vada in porto. I Fisher Blake Studios non sono sopravvissuti per tutti questi anni finanziando false partenze». «Messaggio ricevuto», disse Laurie, cercando di nascondere il sollievo. «Era solo per un aggiornamento sul prossimo special che volevi vedermi?» «Ovviamente no. Lo sappiamo tutti benissimo che c’è un grosso problema, e dobbiamo affrontarlo: che ci piaccia o no, Alex se n’è andato e tu hai bisogno di un nuovo conduttore.» Brett si allungò sulla scrivania e le porse un foglietto. «Per tua fortuna, ho l’uomo perfetto per quel ruolo.» Mentre fissava il foglietto di cartoncino color avorio che aveva in mano, l’unica cosa a cui Laurie riusciva a pensare era Alex. A come aveva capito subito, la prima volta che aveva visto i suoi occhi verdeazzurro guardare in camera da dietro la montatura nera degli occhiali, che era il presentatore perfetto per Under Suspicion. Alla volta in cui era saltato senza esitazioni in macchina con lei quando suo padre era stato ricoverato in ospedale con l’angina. Alla loro prima cena al ristorante Marea. A come istintivamente era corso da lei e Timmy quando l’assassino di Greg aveva cercato di uccidere anche loro. A tutte quelle ore passate a discutere le teorie sui vari casi davanti a una bottiglia di vino rosso. Al tocco delle labbra di Alex sulle sue. In quel momento capì che Brett aveva ragione. Lei aveva davvero cercato di evitare il suo capo, e non perché stesse aspettando un pezzo di carta firmato da una donna texana. Proprio come aveva continuato a sperare che la vedova alla fine avrebbe accettato di partecipare alla trasmissione, una parte di lei aveva sperato che Alex sarebbe tornato. Magari il suo studio legale avrebbe attraversato un periodo di calma. O magari, una volta assicuratasi il caso, lui ne sarebbe stato troppo incuriosito per resistere. O magari poteva semplicemente sentire la mancanza di lavorare con lei. Invece adesso il fatto che Alex aveva lasciato la trasmissione era concreto. Laurie aveva davanti a sé il curriculum di una persona reale

con un nome reale: Ryan Nichols. Laureato con lode in Giurisprudenza ad Harvard. Praticantato alla Corte Suprema. Esperienza attiva in aula come procuratore federale. Solo quando arrivò al punto in cui si parlava della sua esperienza come mezzobusto in televisione ricollegò il nome di Ryan al volto che di recente aveva visto spesso nei notiziari. Nella sua testa vide scorrere dei titoli di testa che ancora non esistevano. Ryan Nichols presenta…. No, pensò, non suona bene. Il nome dovrebbe essere Alex Buckley. I suoi pensieri vennero interrotti dalla voce burbera di Brett. «Lo so, Ryan è perfetto. Verrà qui venerdì alle quattro per rendere ufficiale la cosa. Mi potrai ringraziare dopo.» Laurie si voltò e fece per andarsene, con un groppo allo stomaco e l’impressione di non poter stare peggio di così. Poi udì ancora la voce di Brett alle sue spalle. «E in quell’occasione parleremo anche di Casey la Pazza. Non vedo l’ora di conoscere i particolari.» Fantastico. Aveva due giorni per formulare una tesi dettagliata sull’ingiusta condanna di Casey Carter, nonostante non avesse idea nemmeno se si trattasse solo di una teoria campata in aria. Doveva chiamare Charlotte.

7

LAURIE si era appena accomodata sul divano di velluto color vinaccia nel lussuoso atrio della Ladyform, quando Charlotte entrò da una doppia porta bianca. La produttrice si alzò e la salutò con un abbraccio. «Oggi siamo alte uguali», osservò Charlotte scherzosa. «Grazie al mio tacco otto e alle tue ballerine», disse Laurie. Charlotte era alta poco meno di un metro e ottanta e leggermente tarchiata, ma sembrava a suo agio con se stessa. I capelli castano chiaro tagliati alle spalle incorniciavano il viso rotondo e privo di trucco. Laurie trovava che rappresentasse perfettamente l’azienda di famiglia. «Ti ringrazio per aver accettato di vedermi con così poco preavviso», disse Laurie mentre Charlotte le faceva strada verso il suo ufficio. «Nessun problema. Avevo bisogno di una distrazione: il volo di mia madre da Seattle atterra fra un’ora. E, grande notizia: papà ha deciso di raggiungerci dal North Carolina. Appena abbiamo finito dovrò farmi un goccio di vodka.» «È così terribile? L’ultima volta che li ho visti sembrava che andassero d’accordo.» Anche qualcosa di più che andare d’accordo, pensò Laurie. Se la scomparsa della figlia, Amanda, era stata la causa della loro separazione, scoprire che cosa le era successo sembrava averli riavvicinati. «Scherzo. Più o meno. Sembrano due fidanzatini, una cosa molto dolce. Vorrei solo che tornassero insieme, così potrebbero smetterla di venirmi a trovare usandomi come scusa per vedersi. Papà adesso è diventato un po’ più bravo a lasciarmi le redini dell’azienda, però mi sento ancora con il suo fiato sul collo quando è qui. A proposito di possibili coppie: come vanno le cose con Alex?» «Bene. L’ultima volta che ci siamo sentiti stava bene.»

In teoria, le dimissioni di Alex dalla trasmissione erano una questione strettamente professionale − lui aveva bisogno di tornare a dedicarsi a tempo pieno al suo studio legale. Però nell’ultimo mese Laurie lo aveva visto una sola volta, e giovedì avevano un «appuntamento» per vedere la partita dei Giants a casa di lui, con il padre e il figlio di Laurie. Avrebbero fatto tardi, ma il giorno dopo Timmy non aveva scuola per via di una riunione degli insegnanti. «Messaggio ricevuto», fece Charlotte. «Quando hai chiamato hai detto che volevi parlarmi della trasmissione, no?» «Tu lavori con una donna che si chiama Angela Hart?» «Certo. È il mio direttore marketing e anche una delle mie più care amiche. Oh, ho capito perché sei qui», disse illuminandosi. «Dev’essere per via di sua cugina.» «Quindi sai che è imparentata con Casey Carter.» «Ovviamente. Al lavoro non ha mai parlato del suo legame con Casey, ma io sapevo che se usciva prima tutti i venerdì non era per scappare agli Hamptons come sosteneva, bensì per andare a trovare la cugina. Alcuni anni fa, dopo qualche Martini di troppo, di punto in bianco ho chiesto ad Angela: ‘È stata lei?’ E lei ha giurato sulla sua stessa vita, senza la minima esitazione, che Casey era innocente.» «Ti ha accennato al fatto che la cugina oggi è venuta a trovarmi? Vuole partecipare a Under Suspicion. Mi ha persino dato una lista di cinque potenziali colpevoli sui quali il suo avvocato difensore non ha mai realmente indagato.» «Non ne sapevo nulla», disse Charlotte. «Non che conosca bene il caso, però avevo l’impressione che le prove fossero schiaccianti. Ovviamente, con Angela sto attenta a non parlarne mai, ma penso che chiunque sia in prigione dica di essere innocente.» «Lo so, eppure non posso evitare di esserne incuriosita. Un conto è dire di essere innocente, ma lei si è presentata nel mio ufficio il giorno dopo essere uscita di prigione. A essere sinceri, mi ha fatto ripensare a quando tua madre è venuta da me a chiedere aiuto: non potevo rifiutarglielo.» «Ovviamente, Angela potrebbe essere un po’ parziale, ma ti piacerebbe parlarle?»

«Speravo che tu ci presentassi.»

8

LA donna che entrò nell’ufficio di Charlotte due minuti dopo era di una bellezza impressionante. I lunghi capelli color miele ricadevano in onde perfette, e quando sorrideva i suoi denti brillavano letteralmente dietro le labbra carnose rosso fragola. Era persino più alta di Charlotte, ma snella e aggraziata. Aveva gli stessi occhi azzurri e a mandorla della cugina. Reggeva con disinvoltura una bracciata di fogli e cartelline. «Ho preparato alcune ipotesi per la sfilata, e ho affittato il magazzino. Sono riuscita a ottenere un prezzo migliore, però dobbiamo consegnare la documentazione entro domattina.» Si bloccò all’improvviso quando vide che Charlotte aveva visite in ufficio. Liberò una mano per salutare Laurie con una stretta veloce. «Angela Hart», disse. Laurie si presentò come la produttrice di Under Suspicion, oltre che amica di Charlotte. La donna intuì immediatamente il collegamento con la cugina. «Dovevo immaginarmelo che sarebbe partita subito all’attacco. Quando Casey si mette in testa una cosa, è come un cane con l’osso.» «Ti aveva già accennato che era interessata alla nostra trasmissione?» «Pochi secondi dopo essere salita in auto all’uscita della prigione.» «Non mi sembra che tu sia molto entusiasta all’idea.» «Scusa, non voleva essere una critica alla trasmissione. Avrei solo preferito che mia cugina si prendesse qualche giorno per pensarci. Naturalmente so che la famiglia di Charlotte ha avuto un’esperienza molto positiva con te, infatti pensavo di chiederti qualche informazione proprio oggi, Charlotte, per poi riferire tutto a Casey. Ma questa faccenda dell’affitto si era complicata…» «Nello spazio che solitamente usiamo per la nostra sfilata autunnale c’è stato un incendio dell’impianto elettrico la scorsa

settimana», Charlotte spiegò a Laurie. «Abbiamo dovuto trovare un’alternativa con pochissimo preavviso. Veramente un incubo.» «Charlotte mi diceva che tu qui ti occupi di marketing», riprese la produttrice, rendendosi conto che si era lanciata un po’ troppo bruscamente a discutere del caso. «Fin da quando la Ladyform ha aperto l’ufficio di New York», rispose Angela, sorridente. «Accidenti, sono più di dodici anni. Se non fosse stato per Charlotte, probabilmente oggi vagherei per la strada rovistando nella spazzatura in cerca di lattine e bottiglie.» «Ma smettila!» esclamò Charlotte. «Sarebbe stato folle da parte di qualunque azienda non assumerti.» «Charlotte è troppo buona», disse Angela. «La verità è che quando lei mi ha assunta ero una modella senza futuro. In quell’ambiente arrivi a trent’anni e di colpo le migliori proposte che ti arrivano sono per panciere e creme antirughe. Ho sparso curricula per tutta la città in cerca di qualche altro lavoro nel campo della moda, e non ho ottenuto nemmeno un colloquio. D’altronde, non avevo nessun titolo di studio e nessuna esperienza professionale, a parte posare davanti a un obiettivo. Adesso sono una donna in carriera di quarantaquattro anni, e solo perché Charlotte mi ha dato un’opportunità.» «Ma vuoi scherzare?» disse Charlotte. «Tu hai dato a noi un’opportunità. Non riesco nemmeno a immaginare che cosa devi aver pensato quando ti sei presentata al colloquio e hai conosciuto me e Amanda. Eravamo solo due ragazzine!» Laurie sapeva che erano state Charlotte e sua sorella minore, Amanda, a spingere la Ladyform in una nuova direzione aprendo gli uffici di New York. Quella che una volta era solo una piccola impresa a conduzione famigliare che produceva «intimo modellante» era diventata un marchio di riferimento nel settore dell’abbigliamento sportivo femminile di tendenza. «Comunque sia», proseguì Angela, «il colloquio è durato un’ora, e poi abbiamo finito per spostarci in un locale vicino e continuare la conversazione davanti a un bicchiere di vino. Da allora siamo amiche.» «So cosa intendi», disse Laurie. «Charlotte e io ci siamo conosciute

quando la mia trasmissione si è occupata del caso di sua sorella, ma è stata lei a fare in modo che rimanessimo amiche anche dopo.» «Per quel che vale», ribatté Charlotte, «la mia famiglia ha passato oltre cinque anni d’inferno, senza avere la minima idea di cosa fosse successo ad Amanda. Under Suspicion ci ha tirati fuori da quell’incubo. Laurie potrebbe fare la stessa cosa per Casey.» «So bene che la tua trasmissione potrebbe far emergere nuove prove», disse Angela, «ma mia zia e io temiamo che porti altra notorietà indesiderata a Casey. Sarebbe stato diverso dieci anni fa, quando era ancora in prigione, però adesso è libera, ha scontato la sua pena. Capisco il suo desiderio di convincere la gente che lei non farebbe male a una mosca, figurarsi a Hunter − lo amava con tutto il cuore −, però temo che non abbia idea di quanto il mondo sia cambiato negli ultimi quindici anni. Se allora trovava sgradevoli i titoli dei giornali, aspetta che scopra cosa le faranno Twitter e Facebook. Non sottovalutiamo quello che si dice sul mettersi il passato alle spalle.» «Mi pare di capire che tua zia sia la madre di Casey», domandò Laurie. Angela annuì. «Zia Paula e mia madre erano sorelle. Casey e io eravamo entrambe figlie uniche, quindi siamo cresciute molto legate. Avevo più o meno cinque anni quando ho capito che il suo nome vero era Katherine Carter, e che quindi avevamo cognomi diversi. Mi ricordo che mia madre aveva dovuto spiegarmi che lei non era veramente la mia sorellina.» «Dev’essere stata dura per te quando l’hanno condannata.» Angela sospirò. «Devastante. Ero così sicura che la giuria avrebbe capito la verità. Adesso mi rendo conto di quanto fossi ingenua. All’epoca Casey aveva solo venticinque anni, era appena uscita dall’università. Adesso ne ha quaranta e non ha idea di come le cose siano cambiate. Prima di andare in prigione aveva un cellulare di quelli che si richiudevano a metà, e adesso non sa nemmeno usare il mio iPhone per cercare qualcosa.» «Tua zia è contraria alla partecipazione di Casey alla mia trasmissione?»

«Estremamente contraria. A essere sincera, io credo che la condanna di Casey abbia ucciso prematuramente suo padre. Ho paura di quello che potrebbe succedere a lei con lo stress di avere di nuovo i riflettori addosso.» Charlotte diede una leggera pacca di incoraggiamento sulla mano dell’amica. «Io avevo gli stessi timori per i miei genitori quando mia madre ha convinto Laurie a investigare sulla scomparsa di Amanda. Pensavo fosse ora di andare avanti, invece adesso che sanno cos’è successo sono finalmente usciti dal limbo in cui sono rimasti prigionieri per cinque anni.» Per Laurie era stato lo stesso quando aveva saputo la verità sull’omicidio di Greg, un anno prima. Un «limbo»: la parola perfetta per descrivere la condizione in cui si era trovata. «Qual è stato il tuo ruolo nel caso?» domandò Laurie, spostando leggermente il discorso. «Immagino conoscessi Hunter.» «Ovviamente non ero presente quando è stato ucciso», rispose Angela, «però avevo visto lui e Casey poco prima, quella sera stessa, al galà della fondazione. E sono stata la prima persona alla quale Casey ha telefonato dalla casa di campagna quando ha trovato il cadavere di Hunter. Be’, dopo il 911, certo. Il giorno dopo avevo un servizio fotografico, ma sono saltata subito in macchina. Nonostante tutto il viaggio fino a New Canaan, nel Connecticut, quando sono sono arrivata lei era ancora completamente stordita. Per me era evidente che era stata drogata, anzi, sono stata io a insistere perché la polizia le facesse le analisi del sangue. Come prevedibile, è risultato positiva sia per l’alcol sia per il Roipnol. Ma ti pare che una persona sana di mente prenderebbe volontariamente il Roipnol? Figuriamoci! Non è uno stupefacente usato comunemente per sballarsi, a quanto ne so ti trasforma in uno zombie.» Laurie si trovò a ripensare alla sua amica Margaret, convinta che qualcuno le avesse messo qualche droga nel bicchiere mentre erano al bar, poco dopo la laurea. Per descrivere quella sensazione Margaret diceva che le sembrava di osservare tutto stando fuori dal proprio corpo. «Quindi tu sei ancora convinta che Casey sia innocente?»

«Certo. Per questo ha rifiutato il patteggiamento che le avrebbe permesso di uscire dal carcere dopo solo sei anni.» «E se Casey e io alla fine decidessimo di procedere con la trasmissione, tu ci aiuteresti? A quanto capisco, tu e sua madre siete le uniche persone che hanno mantenuto i contatti con lei.» «Ho qualche possibilità di convincerti a concederle un po’ di tempo per ambientarsi prima di prendere una decisione definitiva? Tutta questa faccenda mi sembra un po’ precipitosa.» «No, temo di no. Ho delle scadenze da rispettare.» «Di’ la verità: tu in realtà non hai bisogno di me o di Paula, vero? Andrai avanti indipendentemente da quello che ne pensiamo noi.» «Sì, se abbiamo Casey e almeno qualcuno dei sospettati che ci ha indicato lei.» «Allora cosa posso dire? Io continuerò a sostenere Casey perché è quello che ho sempre fatto. Però te lo dico subito: mia zia Paula cercherà di ostacolarti a ogni passo. È convinta che la figlia stia commettendo un terribile errore.» «Be’, mi auguro che non sia vero», rispose Laurie. «E mi considero avvisata.»

9

DUE giorni dopo, Laurie si osservò il viso nello specchio della toeletta in camera sua. Avrebbe potuto giurare che quella ruga tra le sopracciglia non ci fosse, il giorno prima. Possibile? Le rughe potevano formarsi in una notte? Fece per prendere il correttore, ma si fermò. Preferiva essere se stessa, e se questo significava avere qualche ruga in più l’avrebbe accettato – non con gioia, ma ugualmente accettato. Nel riflesso dello specchio vide poi Timmy che entrava saltellando in camera, l’iPad in mano. «Mamma, rimarrai bloccata nel traffico sia all’andata sia al ritorno. Devi partire entro le tre al massimo se vuoi arrivare da Alex in tempo per l’inizio della partita. Troverai traffico per tutta la superstrada Bruckner.» Non riusciva a credere che suo figlio stesse crescendo così in fretta. Nel corso del loro viaggio in Florida, il mese precedente, facendo il navigatore dal sedile posteriore aveva imparato a destreggiarsi con tutte le app online per controllare il traffico. Non le parve necessario dirgli che in realtà avrebbe dovuto mettersi in strada anche prima di così: alle quattro aveva la riunione con Brett e con il suo candidato per la conduzione della trasmissione. Abbracciò Timmy e lo accompagnò in soggiorno. «Sono io che ti ho insegnato a non fare mai tardi, scuola compresa», gli rammentò. «Mettiti le scarpe e prendi lo zainetto. E non ti dimenticare il compito di matematica. Ieri sera era sul tavolino del salotto.» Mentre il figlio tornava malvolentieri nella propria camera, il padre di Laurie entrò e le porse una tazza di caffè. «Mi sono persino ricordato di usare quell’orribile latte di mandorle di cui ti sei invaghita.» La verità era che all’inizio lei lo aveva comprato sperando che il padre prendesse l’abitudine di consumarlo. Da quando, l’anno prima, gli avevano inserito due stent nel ventricolo destro, doveva seguire

una dieta sana per il cuore, eppure ancora insisteva a voler mettere latte intero nel caffè. Oh, be’, pensò lei, se c’è qualcuno che si merita un piccolo vizio, quello è mio padre. Sei anni prima era il vicecommissario al dipartimento di polizia di New York Leo Farley, potenzialmente in lizza per diventare il nuovo commissario. Poi un tardo pomeriggio il marito di Laurie, Greg, stava spingendo Timmy sull’altalena quando era stato ucciso da un colpo di pistola in fronte. E lei era diventata da un momento all’altro una mamma single, senza avere la minima idea di chi avesse ucciso suo marito. Leo aveva lasciato il lavoro che amava solo per lei e per Timmy. Adesso stava per accompagnare il nipote a scuola, come faceva ogni giorno dopo aver percorso i pochi isolati dal suo appartamento per venirlo a prendere. Se quindi voleva il latte vero nel caffè, che avesse il suo latte. «Vedo che Timmy è entusiasta di andare da Alex questa sera», commentò. «Certo che sì», rispose Laurie. «Adora Alex.» «Lo adoriamo tutti», disse suo padre. «Oh, scusa», aggiunse subito, «non lo dicevo per insistere.» «Lo so, papà, è tutto a posto.» Non era un segreto che Leo avrebbe voluto un lieto fine per Laurie e Alex. Anche una parte di lei lo voleva tantissimo, eppure ogni volta che pensava di essere pronta ripensava a Greg e sentiva di allontanarsi da Alex. Suo marito le riempiva ancora il cuore al punto da farle chiedere se ci sarebbe mai stato spazio per qualcun altro. Da quando aveva abbandonato la trasmissione, Alex diceva di essere molto spesso in viaggio per via di un caso importante, ma Laurie sapeva perché non le telefonava mai: si era innamorato di lei, e teneva le distanze in attesa che lei fosse pronta a ricambiarlo. Doveva rispettare la sua decisione e sperare che fosse ancora lì se e quando fosse riuscita a impegnarsi sul serio. «Timmy ha accennato al fatto che vai a visitare una prigione», disse Leo. «Di che si tratta?» Il bambino aveva la capacità di sentire solo le parole più interessanti che uscivano dalla bocca della madre. «Non vado

letteralmente a visitare una prigione, ma a trovare una persona che è stata scarcerata martedì scorso. Papà, tu cosa ti ricordi della Bella Addormentata Assassina?» «Mi ricordo che ha ucciso un gran brav’uomo e poi ha cercato di dare la colpa alla polizia, che secondo lei l’aveva accusata sbrigativamente sulla base di prove false o insufficienti. Avrebbe dovuto finire all’ergastolo, ma quella giuria si è fatta ingannare e impietosire da lei.» A un tratto parve preoccupato. «Oh, Laurie, ti prego, dimmi che non è lei la persona che devi incontrare.»

10

SUL display del cellulare di Laurie apparve la notifica che la sua auto era arrivata e la aspettava sulla Novantaquattresima Strada, ma Leo stava ancora tentando di convincerla che il viaggio era una perdita di tempo. «Ti guarderà dritto negli occhi e poi ti mentirà, esattamente come ha fatto con la polizia quando è stata arrestata.» Laurie cominciava a rimpiangere di avergli detto la ragione del suo viaggio nel Connecticut. Buttò giù l’ultimo sorso di caffè: aveva proprio bisogno di caffeina. «Non ho ancora deciso», rispose lei. «Posso già dirti che cosa ti racconterà Casey. Che è stata drogata alla serata di gala da uno sconosciuto.» «Lo so, lo so», fece Laurie, controllando la valigetta per essere sicura di avere tutto il necessario per quella giornata. «Le analisi del sangue hanno dimostrato che aveva assunto un cocktail di alcol e Roipnol. Un sedativo che rende inermi, non serve per sballarsi.» «Solo che lei non è stata drogata da uno sconosciuto, Laurie. Lei si è drogata da sola per poter scaricare su qualcun altro la colpa del crimine.» Leo scosse la testa disgustato. «Papà, senti, devo andare. Ho promesso a Casey che avrei perlomeno preso in considerazione il suo caso. E sei tu che me lo hai insegnato: se dai la tua parola…» «Be’, ma perché ci devi andare oggi? Prenditi del tempo e valuta altri casi.» Laurie avrebbe voluto rispondere: «Perché Brett mi sta con il fiato sul collo», ma non voleva dare al padre un altro motivo per detestare il suo capo. Leo era un grande ammiratore di sua figlia, fin troppo: quante volte le aveva detto che avrebbe potuto lavorare per qualunque altra rete televisiva nazionale? A sentire lui, Laurie avrebbe dovuto avere un armadio pieno di Emmy Awards, e le migliori trasmissioni morivano dalla voglia di ingaggiarla.

«Pare che la madre di Casey sia contraria alla trasmissione.» «Una donna sensata», insistette lui con decisione. «Probabilmente sa che la figlia è colpevole.» «In ogni caso preferisco avere la possibilità di conoscerla il prima possibile, nell’eventualità che io decida di trattare questo caso.» «Cosa che io spero proprio non farai.» Timmy e Leo accompagnarono Laurie fino al SUV nero che aspettava davanti al palazzo. Lei abbracciò ancora una volta il figlio e poi rimase a guardare lui e il nonno che si avviavano per la loro passeggiata quotidiana fino alla scuola Saint David. Mentre osservava la città dal finestrino dell’auto, Laurie fu contenta di poter fare andata e ritorno dal Connecticut in giornata. Suo figlio non era l’unico a essere impaziente di vedere Alex quella sera. Con tante cose da fare, il tempo sarebbe volato.

11

PAULA Carter era ferma sulla soglia della stanza degli ospiti e osservava la figlia che scartabellava nell’ufficio improvvisato che si era allestita. Dalla prigione era uscita con due scatole. A quanto Paula poteva vedere, perlopiù contenevano documenti e taccuini, ora ammucchiati sulla cassettiera e sui due comodini. Fatta eccezione per il viaggio a New York due giorni prima, Casey aveva passato tutto il tempo lì, a studiare quei documenti. «Caspita, la stanza è molto piccola, vero?» le domandò Paula. «È una reggia, paragonata a quella cui ero abituata», rispose Casey con un sorriso triste. «Sul serio, mamma, grazie per tutto quello che hai fatto per me. So che dev’essere stata dura trasferirsi qui.» «Qui» era Old Saybrook, nel Connecticut, ad appena sedici chilometri dalla prigione che aveva ospitato Casey negli ultimi quindici anni. Paula non pensava che avrebbe mai lasciato Washington. Ci si era trasferita a soli ventisei anni per sposare Frank, che ne aveva dodici più di lei. Si erano conosciuti a Kansas City: lui era socio in uno dei più grandi studi legali della nazione, lei assistente legale nel consiglio di un’azienda sua cliente. Un grave problema con un prodotto difettoso proveniente dalla fabbrica del cliente nel Missouri aveva comportato mesi e mesi di deposizioni. Chiuso il caso, Frank le aveva detto di amarla e le aveva ansiosamente domandato se fosse disponibile a trasferirsi a Washington. L’unico problema era che avrebbe sentito troppo la mancanza della sorella gemella Robin e della nipotina Angela, che aveva appena imparato a chiamarla zia Pau-Pau, gli aveva risposto lei. Robin era una madre single, il padre di Angela non era mai stato presente, e Paula aveva procurato alla sorella un lavoro come segretaria nella sua stessa ditta e la aiutava a tirare su la bambina. Da piccole, entrambe le gemelle sognavano di studiare legge.

Nel giro di tre giorni Frank aveva trovato una soluzione. Robin e sua figlia Angela si sarebbero trasferite anche loro a Washington. Il suo studio legale avrebbe assunto Robin come segretaria e le avrebbe concesso un orario flessibile nel caso volesse ottenere un diploma di assistente legale o persino frequentare la facoltà di Giurisprudenza. Così, tutte e tre – Paula, Robin e la piccola Angela – erano partite insieme per Washington. E che avventura era stata. Paula e Frank si erano sposati meno di un anno dopo, e Casey era nata prima del secondo anniversario. Contrariamente a Robin, Paula non aveva mai realizzato il suo sogno di diventare avvocato, ma aveva vissuto una vita meravigliosa con Frank. Avevano una bellissima casa a Georgetown, con un piccolo giardino dove le bambine potevano giocare. La Casa Bianca, il National Mall e la Corte Suprema erano a un tiro di schioppo. Chi mai avrebbe immaginato, dicevano sempre lei e Robin, che le nostre figlie sarebbero cresciute con tutto questo a portata di mano? La capitale era diventata per loro parte della famiglia. Poi, appena due anni dopo essersi laureata, a soli trentasei anni, a Robin era stato diagnosticato il cancro. Aveva fatto tutte le terapie, aveva perso i capelli, aveva avuto la nausea per giorni interi, ma non era servito. Angela frequentava ancora le superiori quando avevano seppellito sua madre. Era rimasta a vivere con i Carter nella casa di Georgetown fino alla laurea, e poi si era trasferita a New York per fare la modella. Quattro anni dopo anche Casey se n’era andata, prima per frequentare la Tufts University e poi per lavorare nel campo dell’arte a New York. Erano rimasti solo Frank e Paula a Washington, e le due ragazze avevano potuto contare l’una sull’altra a New York, all’inizio, prima della faccenda di Hunter. Purtroppo, tre anni prima, Paula e Frank stavano salendo i gradini del Lincoln Memorial quando Frank si era accasciato a terra. Il medico del Sibley Memorial aveva detto a Paula che non aveva sofferto. «Deve aver avuto la sensazione che le luci si spegnessero.» Paula era sicura che il marito fosse morto di crepacuore: gli si era spezzato il giorno in cui Casey era stata condannata.

Senza Frank la casa di Georgetown sembrava decisamente troppo grande. Paula usciva a fare una passeggiata e vedeva tutti i posti che di solito andava a visitare con le persone di cui adesso sentiva tanto la mancanza. Robin e Frank non c’erano più, Angela era ancora a New York e Casey viveva in una cella di due metri per due e mezzo nel Connecticut. No, la capitale non era parte della famiglia. Casey, Frank, Angela e Robin lo erano. Così la donna aveva venduto la casa e ne aveva comprata un’altra a Old Saybrook, per l’unica ragione che era vicino a sua figlia. A dire la verità, lei avrebbe pagato un milione di dollari per potersi trasferire nella cella accanto a quella di Casey, se glielo avessero permesso. Comunque, adesso sua figlia era lì, e quella le sembrava un po’ più casa sua. Si asciugò una lacrima che le si stava formando nell’angolo dell’occhio, sperando che Casey non l’avesse notata. Frank ti aveva implorata di accettare il patteggiamento, pensò. «Sono vecchio», aveva detto, «e continuerò a invecchiare.» Casey, avresti potuto essere fuori nove anni fa. Frank avrebbe avuto sei anni, forse di più, da passare con te. I suoi pensieri vennero interrotti da qualcuno che bussava alla porta. «Dev’essere Laurie Moran», disse. «Io non so perché tu voglia infilarti in tutta questa faccenda ma, buon Dio, mai che tu segua i miei consigli.» Proprio come hai rifiutato di seguire quelli di tuo padre, pensò.

12

«È SICURA di non volere un po’ di tè?» Era la terza volta che Paula glielo offriva. Nel frattempo si era lisciata spesso l’orlo della gonna, si era alzata per raddrizzare un quadro alla parete, e aveva cambiato continuamente posizione nel suo angolo di divano. «In effetti, sarebbe perfetto.» A Laurie non interessava affatto il tè, ma avrebbe bevuto anche latte acido se questo significava liberarla almeno temporaneamente dall’energia nervosa della donna. Paula si allontanò dalla stanza, e Casey disse: «Mi pare di rivedermi l’ultima volta che sono stata sotto lo stesso tetto dei miei genitori, subito dopo l’assassinio di Hunter. Sono venuti da Washington e hanno insistito per stare a casa mia perché non volevano che rimanessi da sola. Nemmeno io ero tanto sicura di voler rimanere sola. Ma per due giorni interi mia madre mi ha offerto frutta, formaggio, succo di frutta, tè. Si alzava in piedi nel bel mezzo di una conversazione e si metteva a pulire il bancone della cucina. I pavimenti erano così lucidi che ci si poteva specchiare». Prima che Paula tornasse portando il tè su un vassoio d’argento, Laurie aveva già dirottato la conversazione sulla notte dell’omicidio. «A che ora avete lasciato la serata di gala al Cipriani?» «È stato poco dopo le nove. A me dispiaceva moltissimo obbligare Hunter ad abbandonare quella che era la sua serata. I camerieri avevano appena cominciato a servire il dessert. Mi sono offerta di prendere un taxi, ma lui ha voluto accompagnarmi. Stavo malissimo, riuscivo appena a tenermi in piedi, e credo che lui fosse molto preoccupato. Solo più tardi mi sono resa conto che qualcuno mi aveva drogata.» Arriveremo sicuramente anche a questo, pensò Laurie. Ma prima voleva avere un quadro generale, dall’inizio alla fine. «Quindi l’autista di Hunter vi ha riportati a casa di lui?»

«Sì, Raphael. Ci aspettava fuori con la macchina.» «Perché non avete preferito rimanere in città, visto che tu non ti sentivi bene?» Oltre alla dimora in campagna di Hunter a New Canaan, entrambi avevano un appartamento a Manhattan. Casey scosse la testa. «Quella casa era magica. Credevo davvero che mi sarei sentita meglio, una volta lì. Durante il viaggio mi sono addormentata più volte. Avrei dovuto capire immediatamente che c’era qualcosa di strano, indipendentemente dall’ora. Di solito faccio molta fatica a prendere sonno, e non ci riesco mai in macchina o in aereo.» Anche l’accusa aveva riconosciuto che Casey aveva tracce di Roipnol nel sangue, ma se lo avesse assunto volontariamente dopo aver sparato a Hunter per costruirsi un alibi? Laurie era andata a riguardarsi i resoconti del processo, il giorno prima, e sapeva che la polizia aveva una fotografia dell’auto di Hunter che oltrepassava il casello del viale Henry Hudson. Casey era seduta dritta sul sedile posteriore, accanto al fidanzato. Al processo l’accusa aveva presentato l’immagine per contestare l’ipotesi che la ragazza fosse stata drogata alla serata di gala. «La spossatezza era l’unico sintomo che aveva?» Quando la sua amica Margaret aveva capito di essere stata drogata, aveva descritto la sensazione come qualcosa di molto diverso dalla semplice stanchezza. «No, era orribile. Mi girava la testa, ero confusa e avevo la nausea. Sentivo caldo e freddo allo stesso tempo. Faticavo a parlare, come se non riuscissi a ricordare le parole. Mi rammento solo che avevo l’impressione di non esercitare il minimo controllo sulla mia mente e sul mio corpo, era terribile, pregavo Dio di non farmi stare più così.» Erano esattamente le stesse sensazioni descritte da Margaret. «Ha chiamato il 911 dopo mezzanotte», notò Laurie. «Alle dodici e diciassette, per essere precisi. Che cosa è successo tra il momento in cui siete arrivati a casa e quella telefonata?» Casey soffiò via dagli occhi le lunghe ciocche di capelli. «È strano riparlare adesso di tutto questo. Per anni ho continuato a ripercorrere nella mente quella notte, però nessuno ha voluto prendere in considerazione la mia versione della storia da quando mi hanno

arrestata.» Laurie risentì le parole del padre: «Se è davvero innocente, perché non ha testimoniato?» «Devo correggerla, Casey. La gente voleva disperatamente sentire la sua versione, ma lei non è andata a deporre.» «È stata la mia avvocatessa a sconsigliarmelo. Secondo lei, avevano trovato un paio di persone che avevano sentito me e Hunter litigare aspramente, e questo avrebbe fatto una cattiva impressione al processo. L’accusa mi avrebbe fatta a pezzi chiedendomi conto di ogni singola volta che avevo perso la pazienza. Ma solo perché dico quello che penso non significa che io sia un’assassina.» «Se parteciperà alla nostra trasmissione le faremo le stesse pesantissime domande, se ne rende conto?» domandò Laurie. «Assolutamente sì», rispose Casey. «Risponderò a tutto.» «Con una macchina della verità?» Casey accettò senza esitazione. Laurie in realtà preferiva evitare quella macchina perché non era affidabile, ma la disponibilità a sottoporsi al test era di per sé eloquente. Decise di mettere di nuovo alla prova la sincerità di Casey domandandole se avrebbe sciolto la sua avvocatessa dal segreto professionale per farla parlare direttamente con Laurie. Ancora una volta, la donna accettò. «Prego, vada avanti con la storia», la invitò Laurie. «Ricordo a malapena di essere entrata in casa. Come ho detto, mi assopivo continuamente. Hunter mi ha svegliata quando siamo entrati nel vialetto d’accesso, e Raphael si è offerto di aiutarmi perché avevo difficoltà a scendere dalla macchina, ma poi sono riuscita a trascinarmi in casa, reggendomi alla mano di Hunter. Devo essere andata dritta al divano, e lì sono svenuta. Indossavo ancora l’abito da sera quando mi sono svegliata.» «E cos’è successo allora?» «Barcollando, ancora stordita, sono andata in camera. Hunter era sul letto, però non sotto le coperte… Non come se stesse dormendo, insomma, ma come se ci fosse caduto sopra a pancia in su. Ho visto dalle fotografie che in realtà c’erano macchie di sangue solo sulla sua camicia e sul piumone, eppure in quel momento mi è sembrato che ne

fosse completamente coperto. Sono corsa a scuoterlo, l’ho implorato di svegliarsi. Quando gli ho sentito il polso ho creduto di cogliere qualcosa, invece era la mia mano che tremava. Lui era già freddo. Morto.»

13

LA madre di Casey si stava di nuovo muovendo nervosamente sul divano. «Lo sapevo che questa cosa era troppo pesante per te, appena tornata a casa. Magari potremmo continuare questa conversazione più avanti, signora Moran.» Il lampo di irritazione nello sguardo di Casey, prima così calmo, fu evidentissimo. «Mamma, ho aspettato quasi metà della mia vita per poter dire queste cose. Per favore, stanne fuori. Dopo aver chiamato il 911 ho telefonato a mia cugina Angela. Che Dio la benedica, non so se ce l’avrei fatta a sopportare la prigione senza di lei.» Poi Casey guardò la mamma e aggiunse: «E senza mia madre, naturalmente. La polizia mi ha trovata sul letto, stretta a Hunter. Avevo un abito senza spalline, perciò le mani, le braccia e le spalle erano tutte sporche di sangue. Hunter indossava ancora la camicia bianca e i pantaloni dello smoking. La giacca era buttata sulla panca ai piedi del letto». «Com’è entrata la polizia?» domandò Laurie. «Hanno detto di aver trovato la porta d’entrata socchiusa, cosa che io non avevo notato quando mi ero svegliata sul divano.» «Non è un po’ strano che la porta fosse aperta?» «Be’, di solito la chiudevamo a chiave solo prima di andare a dormire. C’era anche un sistema d’allarme, che però attivavamo solo quando andavamo in città. Probabilmente Hunter aveva le mani impegnate a sostenermi per entrare in casa e non ha chiuso, e il suo assassino si è intrufolato dentro così, lasciando aperta la porta quando poi se n’è andato via.» Oltre alle due ferite da arma da fuoco che avevano ucciso Hunter, la polizia aveva trovato due fori di proiettile nella parete che divideva il soggiorno dalla camera da letto. «Poi, una volta arrivati», riprese Laurie, «i poliziotti hanno trovato la pistola di Hunter nel soggiorno.» Casey annuì. «Come ho detto, io ero sul letto, abbracciata a Hunter, quando ho sentito entrare la polizia. Mi gridavano di stare

lontana dal corpo. Io mi sentivo ancora stordita, non so se per lo choc o per la droga, e non ho obbedito immediatamente. Una parte di me si domanda ancora se seguendo le loro istruzioni più rapidamente le cose sarebbero andate in modo diverso. Poi loro hanno perquisito casa, hanno controllato i bagni e gli armadi. Con me erano molto aggressivi, insistevano a dire che dovevo andare nell’ingresso. Hanno dovuto strapparmi via da Hunter. E quando sono stata nell’entrata, ho sentito la voce di un’agente, una donna, che gridava: ‘La pistola!’ Io ero terrorizzata, credevo che avessero scoperto un intruso nascosto in casa. Invece l’agente ha sollevato l’arma che aveva trovato sotto il divano del soggiorno e mi ha domandato se l’avevo già vista. Sembrava la nuova Walther P99 di Hunter. Una nove millimetri. L’aveva acquistata da pochissimo.» «Hunter era uno sportivo e un collezionista di armi», aggiunse Paula. «Io pensavo che Casey lo avrebbe convinto a cambiare, invece me la ritrovo che se ne va al poligono di tiro con lui. Io e Frank eravamo sconcertati.» Laurie prese mentalmente nota che la famiglia di Casey doveva avere un certo tipo di idee politiche. «Lo faceva per hobby», spiegò Casey, «come altri vanno a giocare a golf.» «Come ha reagito quando la polizia ha trovato una pistola sotto al divano dove lei sosteneva di aver dormito?» domandò Laurie. «Sono rimasta sorpresa. Hunter di solito custodiva tutte le armi chiuse a chiave in una cassaforte, tranne quella che teneva nel comodino. Quando ho detto alla polizia che quella era la nuova pistola di Hunter, non mi è nemmeno passato per la testa che potessero sospettarmi di averla usata per ucciderlo.» Stando ai resoconti del processo, Casey aveva detto alla polizia di non aver mai avuto l’occasione di sparare con la nuova arma. Credeva che Hunter l’avesse portata al poligono di tiro appena comprata, ma lei giurò di non averla «assolutamente» mai toccata. Però poi la polizia aveva trovato le sue impronte sulla pistola e residui di sparo sulle sue mani. Paula le interruppe di nuovo. «Quando la polizia ha chiesto a

Casey di fare il test per i residui di sparo, le hanno detto che era per escluderla dalla lista dei sospettati. A lei pare giusto? Le hanno fatto credere di essere dalla sua parte, invece la volevano incastrare fin dall’inizio.» «Certo che ho accettato di sottopormi al test. Ero pronta a fare qualunque cosa per essere d’aiuto. Lei non ha idea di quanto sia orribile sapere che ero là quella notte. Ero proprio là mentre qualcuno inseguiva Hunter dal soggiorno fino in camera da letto e gli sparava. Io me ne stavo addormentata sul divano mentre qualcuno uccideva l’unico uomo che avessi mai amato. Non smetterò mai di domandarmi se mi abbia gridato di aiutarlo.» Le si spezzò la voce. Paula sospirò esasperata. «Non so perché dobbiamo tirare fuori di nuovo tutta questa faccenda. Non possiamo tornare indietro nel tempo. Se avessi potuto, ti avrei costretta ad accettare quel patteggiamento. Invece hai voluto sottoporti al processo, e poi quell’incompetente della tua avvocatessa ti ha fatto finire in cella sostenendo che quella sera eri fuori di testa. Se Casey avesse accettato di essere condannata per omicidio colposo aggravato avrebbe potuto dichiararsi colpevole subito e ottenere una sentenza più favorevole.» La figlia sollevò una mano per fermarla. «Mamma, nessuno meglio di me sa che prezzo ho pagato per essere andata in tribunale.» Laurie scorse i cinque nomi dei potenziali colpevoli che Casey le aveva dato: il suo ex fidanzato Jason Gardner; Gabrielle Lawson, la star della mondanità che corteggiava Hunter; Andrew Raleigh, che era geloso del fratello maggiore; Mark Templeton, il direttore finanziario della fondazione; e Mary Jane Finder, l’assistente personale su cui forse Hunter stava facendo delle indagini. «Non manca nessuno?» domandò. «Sono tutti quelli che mi sono venuti in mente», confermò Casey. «Chiunque di loro avrebbe potuto mettermi di nascosto qualche droga nel bicchiere, andarsene dal galà dopo di noi e piombare nel Connecticut con la certezza che, una volta là, io sarei stata ormai fuori combattimento.» «Ma se non fosse stato così?» domandò Laurie. A quanto ne sapeva, il Roipnol poteva avere effetti molto diversi. L’assassino non

avrebbe avuto la certezza di trovare Casey senza conoscenza. «Ci ho pensato», disse lei. «Da una parte detesto l’idea di non essere stata sveglia per aiutare Hunter. Dall’altra, immagino che chiunque abbia sparato a lui avrebbe fatto lo stesso con me se avessi dato segno di essere cosciente.» Paula rivolse alla figlia uno sguardo implorante. «Ti ci stai buttando troppo a capofitto. Vuoi davvero fare dei nomi in una trasmissione televisiva? Hai pensato a come reagiranno quelle persone? Cercheranno di distruggerti. Qualunque speranza di voltare pagina sarà spazzata via.» «Mamma, io sono già stata distrutta, e non ho bisogno di voltare pagina, come dici tu. Non voglio rifarmi una vita, una vita nuova, io rivoglio la mia. Voglio andare in giro per un centro commerciale senza che tu scruti tutti gli altri clienti domandandoti se mi riconoscono.» Senza una parola di spiegazione, Casey si alzò all’improvviso, sparì qualche secondo in corridoio, poi tornò con una fotografia. «Ho passato due giorni a studiare ogni singolo documento del mio dossier sotto una nuova luce. Non riesco a credere di non essermene mai accorta, ma credo che uscire da quella cella, stare in un posto nuovo, mi abbia aperto gli occhi. Ho avuto quindici anni per trovare il modo di dimostrare che qualcuno è entrato in casa, quella notte, e credo finalmente di esserci riuscita.»

14

QUATTRO ore dopo, Laurie era seduta sul sedile posteriore del SUV e guardava l’orologio. Di solito era felice che i Fisher Blake Studios si trovassero al Rockefeller Center, affacciati sulla celeberrima pista di pattinaggio, però quel giorno il traffico in centro era completamente bloccato. Ribolliva all’idea di far aspettare Brett, così alla fine saltò giù dall’auto tre isolati prima e praticamente raggiunse l’edificio di corsa. Erano le tre e cinquantacinque quando uscì dall’ascensore al sedicesimo piano. Era senza fiato, ma era lì. Vide Jerry e Grace appostati fuori dal suo ufficio. Grace, come al solito, aveva un’abbondante dose di trucco applicata con perizia sul viso. Indossava un maglione viola con lo scollo a V che le fasciava le curve ma era tanto lungo da sfiorare l’orlo degli stivali neri alla coscia. Per Grace, quello era un look castigato, di fatto. Jerry, alto e magro, svettava su di lei, tutto elegante in quello che – come Laurie sapeva – lui amava definire il suo «completo attillato». Entrambi raddrizzarono la schiena appena la videro. «Che cosa state cospirando, voi due?» «Stavo per porti la stessa domanda», fece Jerry sarcastico. «L’unica cospirazione di cui sono a conoscenza è quella del traffico, che ha cercato di impedirmi di partecipare all’appuntamento delle quattro con Brett.» «Non solo con Brett», fece Grace sorniona. «Vi dispiace dirmi che cosa sta succedendo e basta?» chiese Laurie. Fu Jerry a parlare per primo. «Abbiamo visto la segretaria di Brett che andava ad accogliere Ryan Nichols alla reception un quarto d’ora fa. È il nostro nuovo conduttore, vero? Il suo curriculum è perfetto.» Grace finse di sventolarsi, accaldata. «E non solo il curriculum. Voglio dire, sentiamo tutti la mancanza di Alex, ma quell’uomo è una meraviglia.» Fantastico. Laurie non aveva ancora conosciuto Ryan Nichols, che

lui già aveva affascinato non solo Brett, ma adesso anche Grace e Jerry. Ed era arrivato un quarto d’ora prima della riunione. Laurie entrò nell’ufficio di Brett e lo trovò seduto accanto a Ryan Nichols sul divano. Notò la bottiglia di champagne sul tavolino, e i tre bicchieri. Brett non l’aveva mai invitata a sedersi sul divano per una riunione, e l’unica volta che le aveva offerto dello champagne era stata quando il loro primo special aveva registrato il migliore indice d’ascolto nella sua fascia oraria. Laurie avrebbe tanto voluto scusarsi per aver interrotto il loro romantico tête-à-tête, ma si trattenne. Ryan si alzò per salutarla. Grace non aveva esagerato riguardo al suo aspetto: aveva i capelli biondi e grandi occhi verdi, e quando sorrise scoprì dei denti perfetti. «Finalmente ti conosco, Laurie! Sono emozionatissimo all’idea di far parte della squadra. Brett mi stava giusto dicendo che stai scegliendo il nostro prossimo caso. Mi fa molto piacere non dover salire a bordo mentre il treno è già in corsa.» La squadra? Treno in corsa? A me sembra che tu corra un po’ troppo, pensò Laurie. Cercò di apparire altrettanto entusiasta, però sapeva di non essere mai stata molto brava a mentire. «Sì, Brett e io dobbiamo prendere un sacco di decisioni sulla trasmissione, sia per il prossimo caso sia per il nuovo conduttore. Ma ti ringrazio molto per l’interessamento. Con la tua esperienza, sarai richiestissimo.» Ryan guardò Brett con aria confusa. «Laurie, mi spiace se non sono stato chiaro quando ci siamo parlati. Ryan è già il nostro nuovo conduttore, puoi cancellare questa voce dalla lista delle cose da fare», intervenne il capo. Laurie fece per parlare, ma non le venne in mente nulla. «Scusate», fece Ryan, «ho bisogno della toilette. Dana potrà indicarmi la strada? Imparerò a muovermi qui dentro molto in fretta, non temete.» Brett annuì e Ryan si chiuse la porta alle spalle. «Stai cercando di sabotarmi?» la accusò subito con una smorfia. «È stato molto imbarazzante.» «Non era mia intenzione, ma non potevo immaginare che tu avessi già preso una decisione senza interpellarmi. Credevo che Under

Suspicion fosse la mia trasmissione.» «Qualunque trasmissione prodotta in questo studio è la mia trasmissione. E poi ti avevo già dato il curriculum di Ryan e non mi sono arrivate obiezioni da parte tua.» «Non mi ero resa conto che fosse un ‘parla ora o taci per sempre’.» «Be’, questa è una mia decisione, ed è definitiva. Siamo stati fortunati ad avere Alex, ma Ryan è persino meglio. Stabilirà un’intesa migliore con gli spettatori più giovani. E, francamente, con i suoi requisiti avrebbe una corsia preferenziale per diventare il prossimo procuratore generale, ma fortunatamente preferisce essere una celebrità.» «E questo è un pregio, in un giornalista?» «Oh, basta con questa retorica supponente. Produci un reality show, Laurie, fattene una ragione.» Lei scosse la testa. «Siamo più di questo, Brett, e tu lo sai.» «D’accordo, hai fatto un buon lavoro. E hai aiutato delle persone. Però questo è possibile solo grazie agli indici d’ascolto. Hai avuto un mese per proporre un altro conduttore, e hai continuato a temporeggiare. Quindi prima o poi mi ringrazierai per averti trovato qualcuno come Ryan.» Laurie sentì bussare leggermente alla porta, poi il conduttore rientrò. Lei si sforzò di sfoggiare il suo migliore sorriso. «Benvenuto a Under Suspicion», gli disse mentre Brett stappava lo champagne. Laurie ne aveva bevuto a malapena un sorso quando Brett le domandò come stesse procedendo con la storia di Casey Carter. Lei cominciò a riassumere il suo incontro, ma Ryan la interruppe. «Scusa, quello non è un caso irrisolto, invece tutta la trasmissione si basa sull’idea di rivisitare casi irrisolti dal punto di vista delle persone che hanno continuato a vivere all’ombra del sospetto, come indica il titolo.» Grazie di avermi spiegato su cosa si basa la mia trasmissione, pensò Laurie. «L’omicidio di Hunter Raleigh è risolto», proseguì lui, «e l’unica persona sospettata è stata condannata e mandata in prigione. Caso

chiuso. Cos’è che mi sfugge?» Laurie iniziò a spiegare che lei e Brett avevano già deciso che un caso di errore giudiziario poteva essere una buona mossa per la serie. Questa volta fu Brett a interromperla. «Ryan non ha tutti i torti. Quel caso è stato facilissimo da risolvere: la ragazza aveva bevuto troppo a quella serata di gala e aveva messo in imbarazzo il fidanzato in pubblico. Probabilmente a casa avevano litigato, lui voleva rompere e lei gli ha sparato. A quanto ricordo, le prove erano schiaccianti. Era incerto solo se lei lo avesse ammazzato a sangue freddo o nella foga del momento. Immagino sia su questo che la giuria le abbia concesso il beneficio del dubbio.» «Con tutto il rispetto, Brett, l’ultima volta che ci siamo parlati hai detto che non ti importava se Casey fosse innocente o no, e già solo il suo nome sarebbe bastato ad attirare spettatori.» Ryan non aspettò nemmeno che Brett rispondesse. «Questo è un modello mediatico vecchio», affermò. «I quindici minuti di celebrità oggi sono più che altro quindici secondi. Quando andremo in onda lei avrà già smesso di fare notizia. E gli indici d’ascolto sono trainati dal pubblico giovane. Ci servono spettatori che discutano della trasmissione sui social media, e i giovani non hanno mai nemmeno sentito nominare Casey Carter.» Brett sollevò il flûte di champagne per indicare Ryan. «Anche in questo caso non ha torto. Abbiamo una prospettiva nuova su questo caso, o si tratta di ridiscutere la strategia difensiva di quindici anni fa?» Laurie avrebbe desiderato buttare giù tutto il resto dello champagne in un solo fiato, invece appoggiò il bicchiere. Voleva mantenersi lucida. Prese la valigetta, tirò fuori la fotografia che Casey le aveva dato e la porse a Brett. «Questa è la nostra prospettiva.» «Che cosa sto guardando?» domandò lui. «Casey ha avuto quindici anni per studiarsi le prove utilizzate in tribunale. È in grado di recitare a memoria ogni singolo rapporto della polizia, parola per parola. Però dopo aver parlato con me, mercoledì scorso, è tornata a casa e ha cominciato a riguardare tutto con uno

sguardo diverso, comprese le vecchie fotografie scattate sulla scena del crimine. Secondo lei, il fatto di essere fuori di prigione le permette di mettere quelle immagini in una luce diversa. Si è concessa di ricordare com’era stare in quella casa con Hunter.» «Oh, ti prego», fece Ryan sarcastico. «Ed è stato in quel momento che ha notato questo», disse Laurie accennando alla fotografia. «È un comodino», disse Brett. «E quindi?» «Non si tratta di quello che c’è, ma di quello che non c’è. Manca il ricordo a cui Hunter teneva di più: la fotografia incorniciata di lui con il presidente durante una cerimonia alla Casa Bianca per il riconoscimento della Fondazione Raleigh. Secondo Casey, era sempre stata lì. E si è studiata tutte le altre foto scattate sulla scena del crimine − la polizia ha ripreso ogni centimetro di quella casa. E la fotografia di Hunter con il presidente non c’è da nessuna parte. Dov’è finita?» «Quindi tu prendi per buona l’affermazione di un’assassina», disse Ryan. «La nostra trasmissione funziona perché diamo la possibilità a tutti i partecipanti di raccontare la propria versione dei fatti», ribatté bruscamente lei. «È quello che definiamo ‘fare ricerca’.» «Time out», disse Brett, facendo con le mani il segno della T per invocare sportivamente una sospensione delle ostilità. «Dimmi, ammesso e non concesso che Casey abbia ragione riguardo alla fotografia scomparsa, quale sarebbe la teoria?» «La teoria è che il vero assassino se la sia presa per ricordo. In casa non mancava nient’altro.» Laurie fu sollevata nel vedere che Brett annuiva. «Quindi chi ha preso la foto doveva sapere quanto significasse per Hunter», disse. «Esatto.» Laurie stava di nuovo pensando ai cinque nomi sulla lista di Casey, e specialmente all’amico di Hunter, Mark Templeton. Hunter gli aveva affidato la gestione finanziaria della sua iniziativa più importante, la fondazione intitolata a sua madre. Sottrarre denaro da quel particolare fondo rendeva il gesto molto personale. Hunter era ricco, bello, potente e amato. Laurie immaginò un risentimento cresciuto per anni nel cuore di un uomo che lavorava nella sua ombra,

anni destinati a concludersi con un’accusa di illecito finanziario e la minaccia di essere pubblicamente smascherato. Due colpi di pistola in camera da letto. E il furto della fotografia sul comodino, con Hunter e il presidente, quasi a prendersi gioco di lui. «Pensa agli indici d’ascolto», aggiunse Laurie per invogliarlo, sapendo bene dove andava a parare Brett. «Il ritorno della Bella Addormentata: Casey Carter parla per la prima volta davanti a una telecamera.» S’infuriò quando vide Brett spostare lo sguardo su Ryan in cerca di approvazione. «Come facciamo a sapere se quella foto è mai veramente esistita?» obiettò Ryan. «Non lo sappiamo», rispose Laurie, «non ancora. Ma se le cose cambiassero?» «In quel caso avresti una storia da raccontare, quindi vedi di scoprirlo.» Brett posò improvvisamente il bicchiere e si alzò in piedi. «È meglio andare, Ryan. Non voglio fare tardi al firmacopie.» «Cioè?» domandò Laurie. «Conosci il mio amico Jed, lo storico?» «Certo.» Laurie lo conosceva perché ogni volta che Jed Nichols pubblicava un libro, Brett faceva pressione sulla redazione del notiziario perché trovasse il tempo di promuoverlo. Sapeva anche che Jed era il migliore amico di Brett, ed erano stati compagni di stanza ai tempi della Northwestern University. E poi ricollegò i nomi: Jed Nichols, come Ryan Nichols. «Jed è lo zio di Ryan», aggiunse infatti Brett. «Credevo di avertelo detto.» No, pensò lei. Di sicuro me lo ricorderei. Laurie era ferma davanti all’ingresso di una palazzina con le scale antincendio esterne all’angolo tra Ridge Street e Delancey Street, l’indice premuto su un orecchio per non sentire il rumore del traffico sul ponte Williamsburg. Faticava a udire il padre, al telefono. «Papà, arriverò un po’ dopo da Alex, stasera.» Aveva l’impressione di essere arrivata tardi più spesso in quella settimana che in tutti gli ultimi cinque anni messi insieme. «Puoi portare tu

Timmy, per favore, e ci vediamo là?» «Dove sei? Sembri nel bel mezzo della superstrada. Non sarai ancora da Casey Carter, vero? Te lo ripeto, Laurie, quella donna è colpevole.» «No, sono in centro. Ho bisogno di parlare con un testimone.» «Proprio adesso? Stai ancora lavorando?» «Sì, ma non ci vorrà molto. Arriverò in tempo per l’inizio della partita.» Quando chiuse la chiamata, c’era un nuovo messaggio sul display. Era di Charlotte. Angela ha appena parlato al telefono con Casey e ha saputo che sei stata là per ore. Angela le ha raccomandato di non farsi troppe speranze. Secondo te com’è andata? Laurie digitò rapidamente una risposta. Cautamente ottimista. C’è ancora molto da fare. Inviò e s’infilò il telefono in tasca. Non voleva pensare alla reazione di suo padre se lei avesse finito per convincersi che Casey era stata ingiustamente condannata. E non voleva deludere Charlotte giungendo alla conclusione che la cugina della sua amica era colpevole. Però aveva bisogno di un caso solido per il prossimo episodio della serie. Suonando il campanello pensò: andrò dovunque mi portino le prove. È l’unica risposta possibile.

15

L’APPARTAMENTO era modesto, ma tirato a lucido. Cosa non sorprendente, forse, visto che la proprietaria era stata per decenni la più amata governante di casa Raleigh: Elaine Jenson. «Grazie per aver accettato di vedermi con così poco preavviso, signora Jenson.» «Mi chiami Elaine, la prego.» La donna era in ordine quanto il suo appartamento, con una camicetta turchese stirata alla perfezione e un paio di pantaloni neri. Era alta poco più di un metro e mezzo. «Devo ammettere che non avrei accettato di incontrarla, se avessi saputo che tipo di trasmissione produce. Immagino non sia una coincidenza che lei abbia delle domande da farmi su Hunter proprio poco dopo il rilascio di Casey Carter.» Laurie le aveva telefonato mentre tornava dal Connecticut, e le aveva detto soltanto che lavorava per i Fisher Blake Studios e voleva parlare con lei del suo ex datore di lavoro. «No, non è una coincidenza. In effetti, ho avuto il suo nome da Casey.» Dalla smorfia a labbra strette di Elaine era chiarissimo cosa ne pensava. «Mi pare di capire che Casey non le piaccia.» «Piacermi? No. Per un periodo sì, ora non più.» «Lei la ritiene colpevole?» «Certo. Non volevo crederlo, non all’inizio. Adoravo Casey. Era giovane, ma era straordinaria, e pensavo che fosse un’ottima scelta come moglie per Hunter, nonostante i timori del padre. Sono contenta di non aver mai preso apertamente le sue parti, però, perché alla fine il generale aveva ragione su di lei. Non che avesse mai previsto l’omicidio, ovviamente.» «Il padre di Hunter non approvava?» «Oh, santo cielo, lo vede? Davo per scontato che in quanto giornalista lei lo sapesse. Ma non voglio parlare della famiglia, quindi credo che lei dovrebbe andarsene, signora Moran.»

«Non sono qui per riesumare vecchi pettegolezzi», disse Laurie. «Casey non mi aveva detto che la famiglia la disapprovava anche prima che Hunter morisse.» Elaine abbassò lo sguardo. «Perché Hunter non glielo aveva mai riferito, probabilmente», ammise piano. «Senta, la prego, non le dirò altro. Sono in pensione, ma i Raleigh sono stati meravigliosi con me, non è giusto che io parli di questa cosa.» «Lo capisco.» Laurie si alzò in piedi. «Ha un appartamento delizioso», disse poi, cambiando argomento. «È sempre vissuta in città?» Elaine rispondeva ancora allo stesso numero di telefono registrato nel rapporto della polizia. Era bastata una telefonata per rintracciarla. «Abito qui fin da quando mi sono sposata, ventisei anni fa, ma Hunter sapeva quanto i miei figli adorassero stare all’aria aperta. Li portavo alla residenza di campagna per intere settimane, durante l’estate: stavamo nella casa degli ospiti e io davo una mano lì, ma di solito lavoravo per la famiglia in città.» «E che mi dice di Mary Jane Finder? È mai andata alla residenza di campagna?» «Non per lavoro, ma era quasi sempre con il generale», rispose lei, una punta di astio nella voce. «Ovviamente è stata in quella casa.» Intuendo la disapprovazione della donna, Laurie decise di insistere. «Mi pare che abbia anche partecipato alla serata di gala con lui, quando poi Hunter è stato ucciso. Una cosa un po’ insolita per un’assistente.» «L’ho pensato anch’io, come molti altri, ma chi sono io per giudicare?» Elaine poteva anche essere protettiva verso la famiglia Raleigh, però di certo non lo era verso l’assistente del generale. «Ho sentito che nemmeno a Hunter andava a genio.» «Era molto diffidente. Suo padre era vedovo, potente, ricco. Si sa che in queste situazioni a volte qualche estraneo s’intrufola e se ne approfitta.» Laurie si accorse che Elaine sceglieva con cura le parole. «E l’autista di Hunter, Raphael? Ho sentito dire che lui e Mary Jane erano amici. Siete ancora in contatto?» Raphael era sulla lista di

persone da sentire che Laurie si era preparata: intendeva chiedergli in che condizioni fosse Casey durante il tragitto dal galà alla residenza di campagna. Il volto di Elaine si fece triste. «Un uomo adorabile. È mancato circa cinque anni fa. Raphael era amico di tutti. Dello staff di allora non è rimasto quasi più nessuno, tranne Mary Jane. Se fosse per lei, rimarrebbe lì fino al momento di esalare l’ultimo respiro. Ora credo di averle detto abbastanza.» Laurie ringraziò nuovamente Elaine per il tempo che le aveva dedicato. Nell’andare alla porta buttò lì un commento. «Ho l’impressione che Hunter fosse un uomo meraviglioso.» Gli occhi di Elaine s’illuminarono. «Un vero gentiluomo. Non solo generoso e onesto, ma anche idealista e lungimirante. Sarebbe stato un ottimo sindaco, o persino un ottimo presidente degli Stati Uniti.» «Mi pare che lo abbia anche incontrato, il presidente, non è vero?» domandò allora Laurie. «Oh, certo che sì», fece Elaine impettendosi. «Alla Casa Bianca. La Fondazione Raleigh era uno dei cinque istituti di beneficenza scelti come esempio dell’importanza che hanno le donazioni private. Era tutto merito di Hunter: la fondazione esisteva da anni, ma è stato lui a decidere di circoscriverne la missione alla prevenzione e alla cura del cancro al seno, dopo che la madre ne era morta. Povera signora Betsy, che cosa orribile», disse, e la voce sfumò in un sussurro. «Ho sentito che il riconoscimento della Casa Bianca aveva commosso Hunter.» «Ne era molto orgoglioso», disse Elaine, fiera a sua volta. «Aveva anche una fotografia di quella serata, la teneva proprio sul comodino.» Tombola, pensò Laurie. «Alla residenza di campagna?» Elaine annuì. «Molti metterebbero una cosa del genere in bella mostra sulla parete dell’ufficio, invece Hunter non era tipo da darsi delle arie. Penso che la tenesse in un posto speciale perché significava qualcosa per lui a livello umano.» «So che le sembrerà una domanda strana, ma quella fotografia era sul suo comodino la notte che è stato ucciso?» «È una stana domanda, in effetti. Ma la risposta è sì.»

«Perché è lì che stava sempre?» «No, non solo per quello. Vede, un giorno alla settimana io andavo a pulire la casa di Hunter nel Connecticut. Raphael mi accompagnava e mi riportava indietro. Ma quella sera sono tornata a casa con un’auto a noleggio perché Raphael doveva portare Hunter alla serata di gala. Stavo spolverando la fotografia, quando lui è entrato in camera. Dato che stava per andare alla serata di gala, gli ho domandato se per l’occasione si sarebbe fatto fare un’altra foto con il presidente. Lui ha riso e ha detto: ‘No, il presidente non ci sarà, stasera’. Ho ripensato a quella conversazione, dopo. Chi poteva immaginare che sarebbero state le ultime parole che avrei scambiato con lui?» «E dopo di lei c’è stato qualcun altro in quella casa?» «No, solo io. Ho chiuso a chiave quando sono uscita. E poi, ovviamente, Hunter e Casey sono rientrati a New Canaan…» Non terminò la frase. A Laurie sembrava di vedere la scena come se stesse accadendo in quel momento davanti ai suoi occhi. Le pareva assolutamente reale. Credeva a Elaine quando diceva che la fotografia incorniciata si trovava sul comodino al momento in cui Hunter era uscito per la serata di gala, e perciò cominciava anche a credere che Casey stesse dicendo la verità. Quella sera c’era stato qualcun altro in casa con loro.

16

ERANO tutti a casa di Alex, ad aspettare il calcio d’inizio. La partita di football non era ancora cominciata, ma gli spuntini di rito erano già schierati al completo: sul buffet nel soggiorno c’era tutta una varietà di patatine, salsine e cracker. «Presumo che si debba a Timmy se quella ciotola di popcorn al formaggio è quasi vuota», disse Laurie. «Ne ho mangiati un po’ anche io», si autoaccusò Alex. Era seduto sul divano, un braccio attorno alle sue spalle. «Ramon, se Timmy potesse scegliere non mangerebbe altro che maccheroni al formaggio e popcorn al formaggio», disse Laurie. L’incarico ufficiale (e autoattribuito) di Ramon era quello di maggiordomo, però era anche il segretario di Alex, il suo chef e il suo fidato amico. E, fortunatamente per Alex e per chiunque fosse invitato a casa sua, aveva un talento naturale per organizzare feste e festicciole, sempre abilissimo a mettere insieme il menu perfetto per un evento. «Non si preoccupi, non c’è solo cibo-spazzatura», le rispose con un sorriso. «Ho preparato del sano chili di tacchino per cena. Posso versarle un bicchiere di Chardonnay?» Alex aveva accolto Laurie con un bacio appassionato. «Mi pare che Ramon ti conosca piuttosto bene», disse ora in tono pratico. «Sono felice che tu sia riuscita a venire, so che perdere anche solo qualche minuto della partita ti avrebbe spezzato il cuore.» A Laurie piaceva guardare il football, ma non era una grande tifosa. Adorava però vedere suo figlio e suo padre che condividevano la passione per lo sport, e quindi tifava per tutte le loro squadre preferite. E quando Alex si era messo accanto a lei sul divano per il calcio d’inizio, e l’aveva circondata con il braccio, anche quello le era piaciuto. Durante l’intervallo a metà partita, Timmy seguì impaziente Ramon fino in cucina per prepararsi da solo la sua coppa di gelato. Il

padre di Laurie ne approfittò per domandarle come fossero andate le cose in Connecticut. «Se non altro quella donna non se n’è andata di nuovo in giro a fare compere», commentò in tono acido. «Infilarsi in un centro commerciale appena uscita di prigione? Non proprio una mossa strategica, se vuole che la gente sia dispiaciuta per lei.» «Non è come sembra, papà. Non aveva letteralmente nulla da mettersi.» Laurie fece per aggiornare Alex su quella storia, ma lui la interruppe. «Tuo padre mi ha detto che è stata lei a venire da te.» C’era qualcosa di strano nel suo tono di voce. «Vista la tua reazione, papà ti avrà sicuramente detto che secondo lui dovrei stare lontana mille miglia da quel caso. E ho il sospetto che tu la pensi allo stesso modo.» «Scusa», disse Alex, «non intendevo sembrare così negativo.» «E adesso che hai passato più tempo con lei, cosa ne pensi?» domandò Leo. «È pazza come dicono?» «Per niente.» Laurie tacque un attimo per cercare gli aggettivi giusti. «È molto franca e diretta. Pragmatica. Ha parlato in modo chiaro e aperto del proprio caso, senza farsi prendere dall’emozione. Quasi come se fosse un giornalista, o un avvocato.» «È perché mente», insisté Leo. «Non ne sarei tanto sicura, papà. Il modo in cui ha descritto il suo stato mentale di quella notte suonava credibile. E ci sono le prove che uno degli oggetti a cui Hunter teneva di più è sparito da quella casa. A quanto ho saputo, la polizia non ha mai indagato su questo dettaglio.» «Vedi? Ti sta portando a incolpare la polizia, proprio come ha fatto durante il processo.» «Non è questo che intendevo. Nessuno si è mai reso conto che quell’oggetto fosse sparito. Lei stessa se n’è accorta recentemente, osservando le vecchie fotografie scattate sulla scena del crimine. Ho poi avuto conferma della scomparsa parlando con la governante di Hunter. È da lei che sono andata dopo il lavoro. Alex, sei terribilmente silenzioso. Hai seguito il caso ai tempi del processo?» «Scusa, pensavo che, non facendo più parte della trasmissione…» «Nulla di formale, sono solo curiosa di conoscere il tuo punto di

vista», lo sollecitò lei. Leo scosse la testa. «Ti prego, falla ragionare tu.» «Vedi, le prove contro di lei erano molto solide», spiegò Alex. «Sono sicuro che lo sai già. Dopo il processo, alcuni giurati avevano dichiarato che una schiacciante maggioranza voleva condannarla per omicidio premeditato. C’erano solo due contrari, che erano dispiaciuti per lei e avevano convinto tutti gli altri a optare per l’omicidio colposo aggravato in modo da non far finire la giuria in uno stallo.» «Sai niente della sua avvocatessa, Janice Marwood? Casey e la madre ne parlano come un disastro.» «Non la conosco personalmente, però all’epoca pensavo che non fosse molto brava. La sua linea di difesa era confusa. Da una parte cercava di sostenere che la polizia poteva aver alterato le prove per arrivare a un arresto veloce in quel caso di alto profilo. Però verso la fine era passata a sostenere che anche se Casey fosse stata colpevole, avrebbe ucciso Hunter in un momento di follia. In tutto ciò, ha evitato di farla deporre e quindi non ha fornito alla giuria una storia ben chiara a cui fare riferimento. Insomma, le darei una sufficienza risicata.» «Papà, per quel che vale, sappi che se decidessi di accogliere le richieste di Casey non la scagionerei automaticamente. Lo sai come funziona la nostra trasmissione: esaminiamo tutti al microscopio. Lei potrebbe venirne fuori molto, molto male.» «Ma non andrebbe in prigione», ribatté lui. «Ha già scontato la sua pena. E se saltasse fuori che lo ha ucciso a sangue freddo non potrebbero rimetterla dentro per omicidio premeditato. Per quello è già stata prosciolta. Divieto di doppia incriminazione per lo stesso reato, dico bene, Alex?» «È vero. Laurie, Casey sarebbe la prima persona a comparire nella tua trasmissione senza dover temere di essere accusata e condannata se tu trovassi ulteriori prove contro di lei.» Era una giusta considerazione, ma Laurie non era sicura che fosse sufficiente a spostare l’ago della bilancia. «Devo decidere in fretta, Brett mi sta con il fiato sul collo.» Alex sembrava in difficoltà.

«Lo vedo che vuoi dire qualcosa, dai», lo pungolò. Lui scosse la testa, ma aveva ancora un’aria distante. «È solo che non dovresti prendere una decisione affrettata solo perché Brett ti fa pressione.» «Per non parlare di quell’uomo insopportabile che ha ingaggiato come conduttore senza consultarmi.» Leo si mise subito a protestare, minacciando di chiamare Brett per fargli un discorsetto sulla leadership. «Senti, sono una donna adulta, non posso permettere che il mio papà telefoni al mio capo.» «Per caso lo conosco, questo tizio?» domandò Alex. «Può darsi. Si chiama Ryan Nichols.» Alex commentò con un fischio di ammirazione. «Un vero talento emergente. Devo dire che poteva andarti molto peggio.» «Lo so. Sulla carta è perfetto da tutti i punti di vista. Ha una grande reputazione, ma purtroppo anche altrettanto ego. Mi dà l’idea di baciarsi nello specchio ogni mattina, e non sono sicura che abbia le qualità necessarie per il programma. E poi è il nipote del migliore amico di Brett, quindi c’è dietro una questione di nepotismo. Avresti dovuto vedere come il capo continuava a rivolgersi a Ryan per sapere la sua opinione. È come se stessi perdendo la mia trasmissione.» Si accorse che Alex spostava lo sguardo sulla veduta dell’East River. Parlare di Casey era una cosa, ma non avrebbe dovuto lamentarsi di Ryan. Timmy tornò in soggiorno con una banana split. «Mamma, Ramon ha comprato cinque diversi gusti di gelato, non è fantastico?» Per il resto della serata Laurie non parlò più di lavoro perché non voleva che Alex si sentisse responsabile dei suoi attuali problemi. Purtroppo, le stava già mancando.

17

CASEY si accorse che stava premendo il pulsantino sulla maniglia per chiudere a chiave la porta della sua nuova camera da letto e si fermò. Si costrinse invece a lasciare la porta leggermente socchiusa. Adesso che era fuori di prigione, che cosa avrebbe fatto? Dove avrebbe potuto trovare lavoro una pregiudicata? Di certo non in qualche casa d’aste. Poteva mettersi alla prova come scrittrice, ma questo le avrebbe procurato un tipo di notorietà che voleva evitare. Forse il tribunale le avrebbe permesso di cambiare nome? Tante domande, pochissime risposte. Aveva sentito storie di donne che erano uscite di prigione solo per poi ritornarci, aveva sentito dire che è difficile abituarsi alla libertà fuori della galera. Mai, nemmeno una volta, aveva pensato che questo potesse valere anche per lei. E invece eccola lì, spaventata alla prospettiva di dormire con la porta socchiusa nella casa di sua madre. Senza parlare del giro al centro commerciale. Non le era nemmeno passato per la testa, fino al momento in cui erano entrate, quanto potesse essere strano ritrovarsi fra sconosciuti in un luogo pubblico. Niente uniformi, nessuna regola di condotta non scritta. Il giorno dopo, andando in città con il treno, si era nascosta dietro le pagine di un quotidiano sia all’andata sia al ritorno. Magari sua madre e Angela avevano ragione, poteva dimenticare il passato e cercare di iniziare una nuova vita. Ma dove, e facendo cosa? Doveva forse cambiare nome, trasferirsi in mezzo al nulla e vivere come un’eremita? Che vita era quella? E poi, se c’era una cosa che aveva imparato in quei primissimi giorni, era che non poteva nemmeno entrare nel centro commerciale di una zona periferica nel Connecticut senza che il suo passato la ritrovasse. E non tutto il suo passato. Nessuno pensava a lei come una tra i migliori allievi della Tufts University o la star della squadra di tennis, oppure come la presidente della sezione locale dei Giovani

democratici, né come una delle poche persone che avevano trovato lavoro da Sotheby’s appena laureate. O per il modo in cui aveva fatto ridere Hunter, la prima volta che si erano visti, recitando a memoria l’intero nome di battesimo di Picasso: Pablo Diego José Francisco de Paula Juan Nepomuceno María de los Remedios Cipriano de la Santísima Trinidad Martyr Patricio Clito Ruíz y Picasso. O per la notte in cui lui l’aveva tenuta stretta e singhiozzando le aveva descritto il dolore di veder morire sua madre per un cancro al seno, lo stesso male che a lei aveva portato via la zia Robin ancora così giovane. Nessuno ricorderà mai una cosa bella di me, pensò Casey cominciando a svestirsi. Io sono un personaggio, una caricatura, una battuta. Suo malgrado pensò a Mindy Sampson. Era lei che aveva coniato la maggior parte dei suoi sgradevoli soprannomi. Era convinta che ormai Mindy dovesse essere in pensione. Sapeva che era stata licenziata dal New York Post, ma fino a quella sera non si era resa conto che aveva cominciato a tenere una sua rubrica online per un blog che si chiamava The Chatter. Il mezzo di comunicazione era cambiato, ma la robaccia che scriveva era la stessa. Già prima che io venissi arrestata, pensò Casey, Mindy mi stava addosso. Era stata lei a pubblicare l’orribile fotografia di Hunter accanto a quella miserabile di Gabrielle Lawson. Il giorno in cui era uscita lei aveva sentito benissimo le altre donne da Sotheby’s che si scambiavano sottovoce i loro te-l’avevo-detto e io-lo-sapevo. «Te l’avevo detto che non sarebbe riuscita a tenerselo stretto. Io lo sapevo che non sarebbero mai arrivati all’altare». Tanta gente era gelosa di quello che c’era tra lei e Hunter, e Mindy aveva speculato su quella gelosia per vendere. E adesso ci riprova per attirare visite al suo sito web a mie spese, pensò Casey. S’infilò il pigiama nuovo e riprese il nuovo smartphone, che aveva usato per leggere i post su The Chatter che parlavano della sua scarcerazione. Con la punta del dito, come le aveva fatto vedere sua madre, aggiornò la pagina e la scorse fino ai commenti. Sentì lungo la schiena un vecchio e ben noto brivido nel leggere. Non c’è da

sorprendersi. Chiunque conosca Casey sa che è una narcisista. Dopo aver sparato a Hunter e prima di drogarsi, probabilmente si è rinfrescata il trucco per prepararsi alle telecamere. L’utente si era firmato con un nickname: RIP_Hunter. La stanza era silenziosa, ma a lei pareva quasi di riuscire a sentire il proprio cuore che le batteva forte nel petto. In alto sul piccolo schermo c’era scritto che erano da poco passate le dieci di sera. Grazie al cielo, c’era ancora qualcuno che rispondeva alle sue telefonate, indipendentemente dall’ora. La cugina prese la chiamata dopo due squilli. «Angela», le disse, la voce spezzata. «Va’ su Chatter.com e digita il mio nome. C’è un altro orribile commento su di me da RIP_Hunter. Sono sicura che Mindy Sampson si faccia spalleggiare da Gabrielle Lawson per sparlare di me. Mi stanno di nuovo crocifiggendo.» Si mise a singhiozzare. «Dio mio, non ne ho già passate abbastanza?»

18

IL lunedì seguente Laurie venne distratta da Grace e Jerry che, fuori dal suo ufficio, si stavano raccontando come avevano trascorso il fine settimana. A quanto poteva capire, Jerry si era sparato una stagione intera di una nuova serie di cui lei non aveva mai sentito parlare, mentre Grace era uscita per la terza volta con un certo Bradley, e il collega adesso insisteva per saperne di più. Accadeva raramente che lei arrivasse in ufficio prima di Grace, figurarsi prima di Jerry, mattiniero com’era, però quel giorno aveva deciso di dire a Brett che intendeva usare la dichiarazione d’innocenza di Casey per il prossimo special e doveva essere ben preparata. «Allora, tu e Bradley avete già scelto il servizio di porcellana da mettere nella lista di nozze?» domandò, aprendo all’improvviso la porta dell’ufficio. «Scusa», disse Grace, «non sapevo che tu fossi qui. Vuoi del caffè?» Laurie le mostrò il cappuccino formato famiglia che aveva preso da Starbucks prima, mentre veniva in ufficio. «Non ci sarà nessuna lista di nozze», dichiarò Grace, «né altre uscite con Bradley, se è per questo.» «Oh, santo cielo», scherzò Jerry, «cos’ha che non va, questo?» Grace non aveva problemi a trovare ammiratori tra i membri dell’altro sesso, ma raramente li ricambiava. «Mi ha chiesto di andare con lui a una festa della ditta dove lavora, il prossimo fine settimana. E prima ancora che io accettassi ha detto: ‘E ovviamente penserò io alle spese per una mise adatta all’occasione’.» «Respira ancora?» domandò Laurie ridendo. Grace sorrise. «L’ho graziato. Non volevo finire nella nostra prossima trasmissione, ti pare? Però l’ho bloccato su tutti i social media. Per quanto mi riguarda lui non esiste più.» Grace navigava disinvolta nel mondo spietato del corteggiamento moderno, e Laurie ammirava questo talento. Prima di conoscere Greg,

lei non si era mai sentita a suo agio a destreggiarsi nelle relazioni romantiche, e credeva che niente fosse più triste di un appuntamento andato male. Grace, invece, ci trovava sempre un risvolto positivo: anche un pessimo appuntamento poteva diventare una bella storia da raccontare. E soprattutto lei si piaceva esattamente così com’era, il resto non le importava. «A proposito della nostra prossima trasmissione», disse Laurie. «Vorrei presentare la mia proposta a voi due prima di andare da Brett. E ditemi se vi sembra che vada bene.» Entrambi presero una sedia. «Siamo tutt’orecchie», le assicurò Grace. Laurie aveva dedicato tanto tempo a prepararsi che illustrò senza soluzione di continuità tutte le principali prove contro Casey insieme alle nuove informazioni che aveva ottenuto da quando l’aveva conosciuta. Jerry fece un breve applauso quando lei finì di parlare. «Fantastico. Non so se abbiamo davvero bisogno di un nuovo conduttore, in fin dei conti.» Grace sollevò l’indice con aria severissima. «Non metterti fra me e Ryan Nichols. Potrebbe essere molto pericoloso per te, signor Klein.» Avendo conosciuto Ryan, Laurie aveva l’impressione che, a differenza di Alex, lui non avrebbe trovato molto divertenti le battute di Grace. «Per favore, cerca di evitare le molestie sessuali con il nostro nuovo conduttore, Grace. E poi potrebbe non piacerti così tanto, quando lo avrai conosciuto.» «Oh-oh. Mi pare che qualcuno sia già finito sulla tua lista nera», commentò Grace. «Racconta tutto», la sollecitò Jerry, avvicinandosi per sapere i dettagli. «Lasciate stare, non avrei dovuto dirlo. Allora, cosa ne pensate? Questo caso va bene per la trasmissione?» Quando Laurie aveva conosciuto Jerry, lui era ancora un impacciato studente universitario che lavorava come tirocinante portando i panini del pranzo ai membri della produzione. Con gli anni era cresciuto di statura, non solo in senso figurato ma proprio

letterale, perché non stava più tutto curvo per nascondere la corporatura alta e allampanata. Under Suspicion era partito come una creatura di Laurie, ma adesso era frutto di un lavoro di squadra: Jerry aveva buon occhio quando si trattava di trasformare una storia giornalistica in una trasmissione televisiva efficace e coinvolgente a livello visivo. E Grace era diventata il loro più valido test di audience, capace com’era di intuire in un attimo quale sarebbe stata la reazione degli spettatori. Jerry parlò per primo. «Mi conosci, per prima cosa io penso sempre all’ambientazione. Adoro l’idea di ricostruire la serata di gala al Cipriani. Chic ed elegante. A seguire, il passaggio all’ambientazione pastorale del Connecticut con la residenza di campagna sarà molto d’impatto. Perciò funziona, da un punto di vista produttivo. La famiglia Raleigh e Casey stessa sono di grande richiamo per il pubblico. Sono un po’ meno sicuro di come potremo affrontare tutto il discorso finanziario della fondazione, ma di certo troveremo la maniera di spiegarlo in modo interessante. Che altro sappiamo dell’ex direttore finanziario della fondazione?» «Si chiama Mark Templeton», rispose Laurie. «Ho fatto una ricerca sui media: quando ha dato le dimissioni, un giornalista ha esaminato la documentazione pubblica della fondazione, ha notato che le risorse finanziarie si erano ridotte in modo sostanziale nel corso degli ultimi anni, e aveva ipotizzato un collegamento tra questo fatto e l’uscita di Templeton. Ma il padre di Hunter, James, ha subito messo a tacere la cosa dicendo che la raccolta fondi era diminuita dopo l’omicidio di Hunter. Ha assunto un nuovo direttore finanziario e responsabile della raccolta fondi a tempo pieno, e da allora pare che la fondazione sia solida. Quanto a Templeton, adesso è il direttore finanziario della Holly’s Kids.» «Cos’è?» domandò Jerry. «Un’organizzazione senza fini di lucro che si occupa di strutture per ospitare adolescenti senza casa. Sembra un ente serio, però c’è da dire che lui non ha lavorato per otto mesi dopo aver lasciato la Fondazione Raleigh. Potrebbe essersi preso una pausa, oppure le voci sul suo conto potrebbero aver pesato sul curriculum. Gli ho lasciato

un messaggio venerdì scorso, ma non mi ha ancora richiamata.» Grace era insolitamente silenziosa. «Mi sembri preoccupata», le disse Laurie. «Non permettetemi mai di giocare a poker, non riesco a nascondere quello che penso nemmeno dietro una coperta. Va bene, ecco la mia opinione: Casey Carter è matta. Lo si vede dagli occhi. Già all’epoca dicevo a mia madre: ‘Mamma, quella ragazza ha gli occhi da pazza’.» Jerry rideva. «Grace, eravamo adolescenti a quei tempi.» «Può darsi, ma io so riconoscere una cattiva ragazza quando la vedo, credimi. Aveva in ballo una bella storia, sarebbe diventata la moglie di Hunter Raleigh III, probabilmente aveva già scelto l’abito per il giorno in cui lui si sarebbe insediato alla presidenza. E poi ha combinato un pasticcio a quella serata di gala e quando sono tornati a casa lui l’ha lasciata. Caso chiuso.» «E la fotografia incorniciata che è sparita?» domandò Laurie. «Non ti insospettisce?» «Probabilmente lei gliel’ha lanciata contro mentre litigavano, poi ha raccolto i cocci e ha sepolto tutto nel bosco prima di chiamare il 911, oppure se l’è portata via come souvenir dopo averlo fatto fuori.» Jerry non era convinto. «Perché aspettare fino a oggi per parlare di quella foto? La sua avvocatessa avrebbe potuto usarla a quel tempo per creare un ragionevole dubbio al processo.» Vennero interrotti dallo squillo del telefono sulla scrivania di Laurie. Grace rispose: «Ufficio della signora Moran». Coprì il ricevitore con una mano e disse: «Parli del diavolo… Dalla reception comunicano che Katherine Carter e Angela Hart sono venute a trovarti».

19

«LAURIE, ci stai seguendo?» Era Angela a domandarlo. Laurie si rese conto che stava guardando Casey e ripensando al commento di Grace sugli «occhi da pazza». Lei vi aveva notato una luce che attribuiva a intelligenza e senso dell’umorismo, ma adesso le pareva che vi ardesse una fiamma. «Scusate», disse. «Vi seguo. C’è parecchia roba da digerire.» Casey e Angela si erano presentate nell’ufficio di Laurie con le stampate dei commenti pubblicati online nel corso del fine settimana in calce ai post che parlavano della scarcerazione. A quanto pareva, il primo era apparso su un sito di gossip che si chiamava The Chatter. Era firmato «RIP_Hunter». «Ho trovato altri commenti di RIP_Hunter postati in altri siti», disse Casey. «Dicono tutti sostanzialmente la stessa cosa: io sarei una narcisista che ha ucciso Hunter perché nessuno sapesse che aveva deciso di lasciarmi.» Angela poggiò protettivamente una mano sul ginocchio della cugina. «Leggere i commenti su internet non porta mai niente di buono.» «Come faccio a non leggerli?» domandò Casey. «Guarda cosa dicono di me. Mi sembra di essere tornata indietro di quindici anni, la storia ricomincia da capo.» «Solo che non sei più sotto processo», le rammentò Angela. «Sei libera. Che importanza ha quello che pensa di te qualche troll su internet?» «Ha importanza per me. Per me, Angela.» Purtroppo Laurie ne sapeva qualcosa di gente che «trollava» sul web. Qualche anno dopo la morte di Greg, lei aveva commesso l’errore di entrare in un forum di detective da salotto che dicevano la loro su casi irrisolti di omicidio. Non era riuscita a chiudere occhio per una settimana dopo aver letto i commenti di perfetti sconosciuti convinti che lei avesse assoldato un sicario per uccidere suo marito

sotto gli occhi del loro bambino di tre anni. Scorse di nuovo i commenti che Casey aveva stampato per lei. Conoscendo Casey… Abbiamo tutti paura di parlare con i giornalisti, potrebbe decidere di prendersela anche con noi… «Questo tizio – o tizia, immagino – parla come se ti conoscesse personalmente», osservò Laurie, passando al tu. «Esatto», confermò Casey. «E anche questo era già successo all’epoca.» «Cioè?» «Ai tempi del processo, seguire le notizie su internet era ancora una cosa abbastanza nuova, la gente si informava perlopiù tramite giornali e televisione. Però c’erano dei forum in cui si parlava del mio caso. Puoi immaginare i toni, in generale. Ma il punto è questo: qualcuno continuava a postare commenti fingendo di conoscermi e divulgando informazioni che sosteneva essere di prima mano e che mi facevano apparire colpevole. E si firmava sempre ‘RIP_Hunter’.» «Perché dai per scontato che fingesse di conoscerti?» domandò Laurie. «Nessuna delle persone che conosco direbbe mai cose del genere su di me semplicemente perché non sono vere.» «Nemmeno un conoscente a cui tu non piacevi?» Casey si strinse nelle spalle. «Immagino sia possibile. Oppure è qualcuno che aveva un’ossessione per Hunter. I commenti si dilungavano su quanto fosse meraviglioso, e che bravo sindaco o persino presidente sarebbe stato. E io non avevo solo portato via il futuro a Hunter, ma avevo anche sottratto alla società tutte le cose buone che lui avrebbe fatto. Ieri notte ho cercato i vecchi post online, ma non ho trovato niente. Se c’era una persona ossessionata da Hunter, avrebbe potuto comprare un biglietto per la serata di gala. Forse è la persona che mi ha drogata e poi ci ha seguiti fino a casa. Forse Hunter ha preso la pistola per difendersi e qualcosa è andato storto.» «Esiste un modo per dimostrare che qualcuno con lo stesso identico username ti perseguitava su internet durante il processo?» domandò Laurie.

«Non ne sono sicura», rispose Casey. «Ne avevo parlato alla mia avvocatessa, e uno dei giurati si era anche imbattuto in uno dei commenti peggiori. L’aveva riferito al giudice con una nota.» Era la prima volta che Laurie sentiva parlare di una nota della giuria. «Cosa c’era scritto?» «Il giurato spiegava che sua figlia stava leggendo del caso online e aveva cercato di parlargliene. Lui le aveva spiegato che non gli era permesso discutere del processo con nessuno fino al verdetto, ma alla figlia era scappato che secondo qualcuno su internet io avevo confessato di essere colpevole. Il commento diceva una cosa del tipo: ‘Casey Carter è colpevole, me lo ha detto lei. È per questo che non depone al processo’. E ovviamente il post era di RIP_Hunter.» Laurie non era un avvocato, ma era abbastanza sicura che essere stato esposto a un commento del genere era motivo sufficiente perché il giurato venisse rimosso. Potevano persino esserci gli estremi per annullare il processo. «È un fatto gravemente pregiudizievole», disse. «I giurati non devono leggere informazioni esterne sulla causa o fare ipotesi sulle ragioni per cui un imputato non depone. Per non parlare del fatto che l’autore di quel post sosteneva che tu avessi confessato.» «Cosa che non avevo assolutamente fatto», esclamò Casey. «Non c’era niente a proposito di quella nota nei documenti che tu mi hai dato.» Di sicuro si sarebbe ricordata di un elemento del genere. «Il giurato è stato esonerato? E la tua avvocatessa ha chiesto l’annullamento del processo?» «Stiamo parlando di quella sottospecie di avvocatessa, Janice Marwood?» Angela intervenne, indignata. «Non ha fatto un bel niente. Il giudice ha letto una dichiarazione generica alla giuria intera, ricordando a tutti che dovevano evitare influenze esterne e concentrarsi esclusivamente sulle prove ammesse in tribunale. E quando Casey ne ha parlato alla sua avvocatessa, Janice le ha risposto che doveva cominciare ad avere più fiducia in lei, e non stare sempre a sindacare sulle sue decisioni strategiche. Ma che razza di strategia era, quella?» Laurie si ricordò che Alex aveva definito Janice Marwood un’avvocatessa appena sufficiente. Quella conversazione le rammentò

anche che Casey era disposta a firmare la rinuncia al patto di riservatezza tra avvocato e cliente, in modo che Laurie potesse contattare direttamente la Marwood e accedere alla documentazione della causa. Aprì un attimo la porta dell’ufficio e chiese a Grace di buttare giù insieme a Jerry la bozza del documento, in modo che Casey potesse firmarlo intanto che era lì. Considerata l’atmosfera da circo che aveva circondato il processo di Casey, Laurie non si stupiva che qualche svitato avesse approfittato dell’anonimato di internet per lanciare bizzarre accuse, però le pareva che a preoccupare Casey fosse soprattutto la ricomparsa del molestatore che si nascondeva sotto lo pseudonimo di RIP_Hunter. Lo pseudonimo stesso aveva probabilmente lo scopo di destabilizzare Casey a livello psicologico. In tal caso, la strategia sembrava funzionare. Laurie richiuse la porta. «Casey, sai se la tua avvocatessa ha indagato sui post di allora?» «E chi può dirlo?» rispose lei mestamente. «A ripensarci adesso, mi rendo conto che sono stata fin troppo rispettosa con lei. A volte mi domando se non avrei fatto meglio a difendermi da sola.» Laurie era convinta che ci fosse il modo di rintracciare i post scritti durante il processo. Come si suol dire, internet non dimentica. Stava appuntandosi di chiamare gli esperti tecnologici degli studios, quando vide che ora era. «Scusatemi se vi mollo così all’improvviso, ma ho una riunione con il capo. Se potete trattenervi, Grace vi preparerà alcuni documenti da firmare. Uno è la rinuncia al patto di riservatezza cliente-avvocato di cui avevamo parlato. E l’altro è il nostro contratto standard per la partecipazione alla trasmissione. Ce ne sarà uno anche per te, Angela, dato che hai visto Hunter e sua cugina poche ore prima dell’omicidio.» Un silenzio imbarazzato calò tra le cugine. «Io credevo…» fece per dire Angela. «Ti prego», disse Casey, «ho bisogno che tu mi sostenga. Mi hai chiesto di aspettare qualche giorno, e l’ho fatto. Adesso sono più sicura che mai. Per favore.»

La cugina prese la mano di Casey e la strinse brevemente. «Ma certo. Non è la decisione che avrei preso io, però farò tutto quello che posso per aiutarti.» «Fantastico», disse Laurie. «Vorrei anche un elenco di persone che frequentavano te e Hunter come coppia, Casey.» «Be’, c’è Angela, ovviamente. E il fratello di Hunter, Andrew, anche se posso immaginare le cose orribili che dirà di me adesso. C’è stato un tempo in cui mi sembrava di conoscere tutti a New York, invece ho perso i miei amici uno dopo l’altro. Quando vieni arrestato per omicidio diventi pressoché intoccabile.» A un tratto una nuova idea le fece brillare gli occhi, e Casey si rivolse ad Angela. «E Sean? Noi facevamo continuamente delle uscite a quattro. Accidenti, all’inizio era stranissimo.» La risatina rivelava qualche sottinteso che Laurie non poteva capire, ma le faceva percepire il senso di cameratismo fra le due donne. Casey poteva anche essere stata in prigione per quindici anni, ma lei e Angela erano legate come se non fossero mai state lontane. Casey si sporse in avanti come se dovesse confidarle un segreto. «Tra Angela e Hunter c’era stato del tenero prima che io lo conoscessi.» Angela rise. «Dire che c’era del tenero è una bella esagerazione. Uscivamo insieme di tanto in tanto. E non erano nemmeno appuntamenti… Piuttosto una cosa platonica, hai presente quando ti invitano a un evento dicendoti che puoi portare qualcuno? Se io non mi stavo vedendo con nessuno veniva lui con me, quando era libero. E io facevo lo stesso per lui.» «Veramente?» domandò Laurie. «E questo prima o dopo che Hunter conoscesse Casey?» «Oh, caspita, molto tempo prima. Casey si era appena trasferita in città dopo la laurea alla Tufts. Poi, un paio di anni dopo, mi ha annunciato che si stava vedendo con un uomo fantastico conosciuto da Sotheby’s. Quando mi ha detto che era Hunter Raleigh, l’avrà colpita venire a sapere che eravamo usciti insieme qualche volta. Comunque, non era niente di che. Figurati che ci scherzavamo sopra dicendo che Hunter e io saremmo stati una pessima coppia. Sean, invece… con lui era una cosa seria. Credevo davvero che avremmo

potuto sposarci», disse Angela malinconicamente. «Ma adesso non saprei nemmeno come rintracciarlo.» «Di questo non ti preoccupare», fece Laurie. «Noi siamo bravissimi a scovare la gente. Come fa di cognome?» «Murray», rispose Angela. «Allora tutte queste domande significano che prenderai in considerazione il caso di Casey in Under Suspicion?» «Non posso promettere niente finché non avrò parlato con il mio capo. Però, Casey, sono lieta di dirti che intendo proporre ufficialmente la tua storia come candidata per la prossima trasmissione.» «Veramente?» Casey balzò su dal divano e quasi abbatté Laurie con un abbraccio. «Grazie. E grazie a te, Angela, per averlo reso possibile. È il primo briciolo di speranza in quindici anni.» Pieni di lacrime com’erano, a Laurie gli occhi di Casey non parvero assolutamente da pazza.

20

QUANDO arrivò nell’ufficio di Brett per la riunione, Laurie non si stupì di trovare Ryan Nichols seduto sul divano. Pareva ogni giorno più a proprio agio. Forse di lì alla settimana seguente avrebbe messo un letto e un comodino nell’angolo. Lei ancora non riusciva a credere che Brett avesse assunto il nipote del suo migliore amico per il suo programma. «Ryan, ce la fai a destreggiarti con i tuoi impegni per trovare il tempo di condurre la trasmissione? Come Brett ti avrà detto, abbiamo perso il nostro precedente conduttore, Alex Buckley, perché la pressione di uno studio legale era troppa per riuscire a conciliarla con le nostre esigenze di produzione.» «Brett non te l’ha detto? Ho deciso di prendermi una pausa dalla professione legale. Ho un contratto in esclusiva a tempo pieno qui ai Fisher Blake Studios. Oltre a condurre Under Suspicion, prenderò parte agli altri programmi di informazione, fornirò pareri giuridici per le trasmissioni di intrattenimento quando le celebrità finiranno in qualche guaio con il tribunale, e cose così. Se tutto va bene, potrei anche produrre una trasmissione tutta mia.» Lo disse come se creare una trasmissione televisiva fosse un passatempo. Se mi appassiono a giocare con la sabbia, potrei persino costruirmi un castello tutto mio. Brett le fece cenno di accomodarsi accanto a Ryan. «Devo ammettere, Laurie, che io ti do sempre del filo da torcere quando si parla di mettere i principi del giornalismo prima degli indici d’ascolto, ma questa volta hai fatto un terno al lotto. La Bella Addormentata è tornata in prima pagina, e per quanto ne so non ha parlato con nessuno a parte te.» «Non con altri giornalisti. Solo con la sua famiglia.» «Ne sei sicura?» domandò lui. «Non si contano più le volte in cui siamo rimasti scottati da fonti che sostenevano di avere rapporti solo e

unicamente con noi.» «Sono sicurissima, Brett. In realtà, Casey è appena andata via dal mio ufficio con sua cugina, e ho la sua parola che sarà dei nostri, se decidiamo di occuparci del suo caso.» «La sua parola?» fece Ryan, scettico. L’occhiata infastidita che i due uomini si scambiarono fu inconfondibile. «Ha firmato un accordo?» «In effetti, Ryan, lo sta firmando in questo momento. Vuoi che te ne faccia avere una copia? Una delle cose più difficili del nostro programma è fare in modo che i partecipanti si fidino di noi tanto da collaborare. Io costruisco questa fiducia fin dal primo momento. Ottenere che firmino quel pezzo di carta è una grande sfida per me.» «Non scaldarti tanto», disse Brett. «Lo so che tu hai questa fissa del legame emotivo con i protagonisti, ma cos’hai scoperto su quella fotografia scomparsa?» Laurie riferì che il venerdì precedente aveva incontrato Elaine Jenson, la quale ricordava con estrema precisione che la fotografia si trovava sul comodino di Hunter prima che lui uscisse per la serata di gala. Brett parve soddisfatto, ma Ryan intervenne. «Questo non significa niente. La polizia ha preso la chiamata al 911 solo dopo mezzanotte. Per quanto ne sappiamo, la cornice può essersi rotta durante la lite e Casey aveva il tempo di ripulire tutto prima di chiamare la polizia. E adesso se ne serve per depistarci.» Era la stessa obiezione mossa da Grace. «Allora perché non se ne sarebbe servita quando il suo processo ha cominciato ad andare male?» domandò Laurie in tono retorico. «Perché non è un depistaggio. Quando Casey mi ha contattata ha detto che all’epoca del processo lei non sapeva nemmeno che la fotografia fosse sparita.» Laurie vide Brett che guardava Ryan e temette il peggio, invece il suo capo disse: «Sono d’accordo con Laurie. È possibile trovare una spiegazione alla scomparsa della foto, ma è un mistero sufficiente a catturare l’attenzione del pubblico. È una nuova prova. E così pure il pasticcio finanziario dell’amico di Hunter, alla fondazione. Queste

cose permettono alla trasmissione di non essere la rimasticatura di un vecchio processo, ed è questo l’importante. Ma ecco il problema, Laurie: Mindy Sampson non fa che postare tutti i giorni, a ogni ora del giorno, i fatti di Casey. È la notizia del momento, e le notizie hanno vita breve. Sarà passata di moda molto presto, quindi dobbiamo girare la puntata al più presto». A ogni nuova trasmissione di Under Suspicion le aspettative di Brett sugli indici di ascolto crescevano, mentre le tempistiche si accorciavano. A differenza dei precedenti episodi prodotti da Laurie, questo caso era già andato sotto processo, quindi avrebbe avuto a disposizione i documenti del tribunale su cui lavorare, il che la avvantaggiava. «Andrò in produzione appena possibile», lo rassicurò. «E come si pongono i Raleigh in tutto questo?» domandò Brett. «È difficile immaginare la trasmissione senza di loro.» Laurie andava molto fiera di essere riuscita a far partecipare la famiglia della vittima in ogni singolo episodio, fino a quel momento. «Non lo so. Ho lasciato dei messaggi al padre di Hunter, ma non mi ha richiamata. Il fatto che la sua assistente, Mary Jane, sia sulla lista dei sospettati di Casey non aiuta. Però ho appuntamento con il fratello di Hunter, Andrew, oggi pomeriggio.» «Benissimo, allora. Fa’ salire a bordo qualcuno della famiglia, e si parte.» Uscendo dall’ufficio di Brett, Laurie sentì Ryan dire: «Ho affrontato un processo per un grave caso di frode con una sola settimana di preavviso. Noi riusciremo a gestire questa cosa». Laurie cominciava a domandarsi quando l’altra metà di quel «noi» avrebbe cominciato a guadagnarsi lo stipendio.

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ANDREW Raleigh aveva chiesto a Laurie di raggiungerlo alle tre e quarantacinque a un indirizzo sulla Settantottesima Strada Est, poco a ovest di Park Avenue. Quando arrivò, Laurie vide che si trattava di una dimora grande il triplo degli altri edifici attorno. L’entrata era protetta da un massiccio cancello nero e sorvegliata da una telecamera. Suonò il citofono, e nel giro di un attimo il cancello si aprì di scatto. Si trovava a poco più di un chilometro da casa sua sulla Novantaquattresima, ma per certi aspetti era un mondo completamente diverso. Questo era uno dei più prestigiosi isolati di Manhattan, abitato da famiglie i cui nomi campeggiavano sugli edifici universitari, nell’ingresso dei teatri e sulle pareti dei musei. La donna che si presentò ad aprire il sontuoso portone di mogano indossava un completo blu scuro dal taglio impeccabile e una camicetta di seta bianca. I lunghi capelli neri erano raccolti in una coda alla base dalla nuca. Laurie si presentò e disse che era lì per un appuntamento con Andrew Raleigh. «Mi chiamo Mary Jane Finder, sono l’assistente di James Raleigh. Andrew è al primo piano, nella biblioteca Kennedy, e l’aspetta. Le faccio strada.» Quella casa non solo aveva una biblioteca, ma una biblioteca con un nome. Proprio un mondo differente. Laurie si fermò ai piedi della scalinata e lasciò che l’atrio si riempisse di silenzio. Aveva imparato che la maggior parte delle persone tende a parlare quando si trova davanti al silenzio. Evidentemente, quella donna non era come la maggior parte delle persone. Le due volte che Laurie aveva telefonato al generale, venerdì pomeriggio e quella mattina, era sempre stata Mary Jane a rispondere. E in entrambe le occasioni era stata rigorosamente professionale, aveva detto che avrebbe riferito il messaggio, ma senza assicurarle che

sarebbe stata richiamata. Adesso Laurie si trovava accanto a lei e Mary Jane nemmeno accennava ai precedenti tentativi di contattare il vecchio Raleigh. Sembrava sulla cinquantina, ed era ancora molto attraente, quindi quando aveva cominciato a lavorare per la famiglia doveva avere più o meno l’età di Hunter. Laurie si domandò se fosse sempre stata tanto impassibile. Durante il fine settimana Laurie si era letta un profilo biografico che descriveva il fratello minore di Hunter Raleigh, Andrew, come un «personaggio imponente». Quando la salutò, nella biblioteca Kennedy, lei si rese conto che la definizione era calzante. Valutò che fosse alto circa un metro e novanta, e a differenza del fratello, snello e atletico, aveva il torace prominente e il collo taurino. Le mani erano grandi quanto il guanto da baseball di Timmy. La camicia ampia, con un motivo tropicale a colori vivaci, e i pantaloni sportivi sembravano fuori posto in quella casa. Persino la voce era imponente. «Grazie mille per essere venuta fin qui, signora Moran», tuonò. «Possiamo darci del tu?» «Ma certo.» Laurie guardò gli scaffali di libri alle pareti, il tappeto persiano e i tendaggi delle finestre. «Questa stanza è magnifica», disse sinceramente. «Questo vecchio mausoleo? È la casa di papà. Personalmente preferisco stare in centro, però il mio loft è in ristrutturazione. Forse avrei dovuto stare a East Hampton in attesa che i lavori finissero, ma laggiù comincia già a fare freddo. Oppure potevo andare nella casa di Palm Springs, o nell’appartamento di Austin. Basta così, non c’è bisogno che ti reciti tutto il patrimonio immobiliare dei Raleigh.» Laurie notò un leggero accento del Sud, insolito per il membro di una famiglia che era la quintessenza di New York, ma Andrew aveva accennato a un appartamento a Austin, e le era tornato in mente che aveva frequentato l’Università del Texas. Doveva aver adottato quello Stato come seconda – o terza, o quarta – casa. Mary Jane aveva accompagnato Laurie fino alla porta della biblioteca e se n’era andata. «La signorina Finder mi ha detto che è

l’assistente di tuo padre. È con lui da molto?» «Circa vent’anni. Che resti tra noi, ma quella donna mi spaventa a morte. Non sono sicuro che abbia il sangue caldo, se capisci cosa intendo.» «Le ho parlato per telefono cercando di contattare tuo padre, e ho trovato strano che quando ci siamo incontrate di persona lei non abbia nemmeno accennato ai messaggi che le ho lasciato.» «Mary Jane è chiusa come il caveau di una banca, e papà le dà molto più da fare di me. Lui fa il consulente per i candidati politici, siede in una decina di consigli di amministrazione, scrive le sue memorie. Io? A me piace pescare e bere birra. A proposito, vuoi qualcosa da bere? È sempre l’ora giusta per un goccetto.» Laurie declinò l’offerta e Andrew si accomodò nella poltrona di fronte a lei. «La tua trasmissione sta seriamente pensando di ritirare fuori la storia di mio fratello? Devo essere sincero, Laurie: non ne vedo il motivo.» «Come probabilmente avrai notato seguendo le notizie in questo fine settimana, il caso di tuo fratello è ancora di grande interesse per il pubblico. La giuria ha condannato la sua fidanzata per omicidio colposo aggravato, ma molti ritenevano che l’accusa dovesse essere omicidio e basta. Nel frattempo, Casey non ha mai ritrattato la propria versione.» «Che qualcuno l’avesse drogata con delle pillole che, guarda caso, sono state rinvenute nella sua borsetta?» «Lei sostiene che chiunque, alla serata di gala, poteva averle messo qualcosa nel bicchiere. Una volta entrata in casa, con lei profondamente addormentata, la stessa persona avrebbe potuto infilarle un po’ di pastiglie nella borsetta per farla sembrare colpevole.» «Oppure è colpevole.» «È quello che credi tu personalmente?» domandò Laurie. «Credi davvero che Casey abbia ucciso tuo fratello?» «All’inizio no, non lo credevo. Casey mi piaceva. Che diamine, se l’avessi conosciuta prima di Hunter, avrei potuto provarci io stesso, con lei. Era molto più divertente del classico tipo di donna che piaceva

a Hunter.» «Gli piaceva un tipo di donna in particolare?» Andrew si strinse nelle spalle. «Bella ma noiosa. Buona per un paio di appuntamenti, una fotografia in qualche evento mondano, ma assolutamente intercambiabile. Non Casey, però. Lei era un fuoco d’artificio.» «Non capisco bene cosa intendi.» «Oh, niente di spinto o roba del genere. Era un tipo impegnativo. Uscivano insieme da un paio di mesi quando Hunter è andato a Kiawah Island per una settimana senza dirle niente. E non l’ha mai chiamata, anche se lei sapeva perfettamente che Hunter aveva sempre il cellulare con sé. Casey ha scoperto dov’era vedendo una foto di Hunter a una raccolta fondi per un senatore del South Carolina, e quando lui è tornato le ha telefonato un sacco di volte, ma lei non gli rispondeva più. Hunter allora si è presentato a casa sua, e Casey gli ha sbattuto la porta in faccia. Nessuna donna gli aveva mai posto dei limiti.» Andrew rideva, ripensandoci. «Di certo ha ottenuto la sua attenzione: Hunter era diventato un uomo diverso, dopo. Innamorato pazzo. Adorava quella donna.» «E allora perché lei lo avrebbe ucciso?» «Per poterti rispondere, dimmi cosa sai di mio padre.» «Quello che ho letto nella sua biografia. E che ha un’assistente che non mi ritelefona e potrebbe essere un vampiro», aggiunse con un sorriso. Andrew tirò su i pollici in segno di approvazione. «È un brav’uomo, ma era un generale ed è figlio di un senatore. È di vecchio stampo, insomma. Nel suo mondo, gli uomini di una certa levatura sociale hanno delle responsabilità verso il mondo. Gestiscono fondazioni e aiutano la gente.» A Laurie parve quasi di sentire la voce interiore di Andrew che concludeva quel concetto: Non dedicano la vita a pescare e bere. «E quel tipo di uomo deve avere un certo tipo di donna al suo fianco», proseguì lui, «non certo una donna che lo comandi a bacchetta. O almeno così la vedeva mio padre. Per non parlare delle liti.»

«Ti riferisci ai diverbi di cui hanno parlato i testimoni al processo?» L’accusa aveva fatto sfilare una parata di conoscenti di Hunter che avevano descritto le accalorate discussioni tra i due fidanzati in pubblico. «Quei due battibeccavano su qualunque cosa. Ovviamente sulla politica − Casey era dichiaratamente progressista, e si arrabbiava moltissimo quando Hunter la definiva una ‘hippie di Woodstock’ − ma non si faceva in tempo a iniziare l’antipasto che loro erano già su posizioni opposte per un qualunque argomento. Perché a lei piacevano i film di Michael Moore. O perché lui trovava che le opere di Jackson Pollock sembrassero disegni fatti con le dita da un bambino. E ciascuno si accalorava ad argomentare la propria posizione neanche fosse un’audizione del Congresso. Per molti amici di Hunter era una cosa sgradevole, come hanno detto chiaramente al processo, invece quello di cui né loro né mio padre si rendevano conto era che quei due si divertivano a discutere. Per loro era come giocare a tennis.» «Le discussioni sui film e sull’arte di certo non possono costituire il movente di un omicidio.» «Credo che ti sfugga il quadro generale, Laurie. Casey era fuori posto. In altre parole, secondo mio padre non era abbastanza riservata.» «Scusami se te lo dico, ma non credo che la gente si aspetti più di vedere una donna in perfetto silenzio al fianco del marito.» «Be’, mio padre non è ‘la gente’. Una ‘moglie politica’ – come mia madre, come mia nonna – non si sarebbe mai sognata di contraddire il marito. Inoltre, in precedenza Hunter aveva avuto una storia seria con una star della mondanità locale: mio padre adorava la sua famiglia, e Casey non poteva competere.» «Mi è abbastanza chiaro che tuo padre non approvava Casey.» «‘Non approvava’ è un eufemismo. Tanto per cominciare, ha preteso un accordo prematrimoniale blindato, credendo che così avrebbe fatto scappare Casey. Io non mi sono stupito per niente quando lei ha detto: ‘Dove devo firmare? Non sposo Hunter per l’ambiente al quale appartiene o qualunque altro privilegio che si

porta dietro’. Così ha detto. Ma a nostro padre non bastava, e stava facendo di tutto per dissuadere Hunter dall’andare avanti con il matrimonio.» «Mi stai dicendo che Hunter aveva in mente di rompere il fidanzamento con Casey?» Quella era sempre stata la teoria dell’accusa. «Non lo so per certo, diciamo semplicemente che ero io quello sempre pronto a deludere mio padre. Non Hunter.» A rischio di correre troppo, Laurie si stava già immaginando Andrew, con la sua imponenza fisica e l’accento del Sud, sullo schermo del televisore, e l’idea non le dispiaceva affatto. Quello era il genere di trasmissione che le sarebbe piaciuto vedere. «Prima accennavi al fatto che Casey aveva sbattuto la porta in faccia a tuo fratello perché lui non l’aveva portata in viaggio con sé. È stata l’unica volta che l’hai vista diventare gelosa o possessiva?» «Assolutamente no. Casey conosceva bene la reputazione di Hunter con le donne, come pure il fatto che tutte le sue precedenti fidanzate erano l’esatto opposto di lei. Io penso si aspettasse che prima o poi sarebbe accaduto l’inevitabile, di conseguenza poteva diventare molto gelosa e marcava bene il territorio per non essere considerata l’ennesimo flirt di Hunter. Non si faceva scrupolo a rivolgergli commenti taglienti in pubblico, del tipo: ‘Con quale di noi qui presenti sei fidanzato?’ Uno dei suoi preferiti era: ‘Hai intenzione di aspettare che siamo ufficialmente sposati per smettere di comportarti come uno scapolo d’oro?’» Andrew stava descrivendo un aspetto di Casey che Laurie non aveva colto. «Forse hai ragione tu e Casey è colpevole.» Parlava a se stessa, oltre che a lui. «La nostra trasmissione si picca di essere imparziale, poniamo domande scomode a tutte le persone coinvolte, e per me è importante che per l’approfondimento sull’omicidio di Hunter la tua famiglia sia rappresentata. Ti do la mia parola che la memoria delle vittime viene sempre trattata con rispetto: noi vogliamo che il pubblico si renda conto che non si tratta solo di un elemento tra i tanti del caso, vogliamo che ricordi il valore dell’esistenza andata perduta.»

Andrew distolse lo sguardo e tossì. Quando tornò a parlare, l’accendo del Sud era quasi completamente sparito. «Mio fratello era un essere umano eccezionale, Laurie, uno degli uomini migliori che abbia mai avuto l’onore di conoscere. Era incredibilmente intelligente: io ho fatto fatica a entrare all’Università del Texas, mentre Hunter ha studiato a Princeton e si è specializzato in Economia alla Wharton School. Con la sua abilità nel settore immobiliare ha fatto sembrare il patrimonio precedentemente accumulato dalla mia famiglia solo una manciata di spiccioli. Però stava entrando in una nuova fase della vita. Stava usando le doti che Dio gli aveva dato per fare del bene alla gente, e si consultava con il sindaco per applicare i principi del libero mercato con lo scopo di ampliare l’offerta di case a prezzo contenuto. Dopo che nostra madre è morta di cancro al seno a soli cinquantadue anni, io me ne sono andato ai Caraibi e sono rimasto perennemente ubriaco per un anno, invece Hunter ha modificato gli obiettivi della fondazione in suo onore.» Ancora una volta Laurie fu tentata di porre le domande più spinose. Andrew si sperticava in lodi per Hunter, ma vivere all’ombra di un fratello tanto straordinario aveva forse suscitato dei risentimenti, come sosteneva Casey? E cosa sapeva Andrew delle presunte irregolarità finanziarie nella fondazione? Però non voleva spaventare e farsi scappare l’unico membro della famiglia Raleigh che si fosse preso il disturbo di rispondere alle sue chiamate. «Hunter pensava di candidarsi per qualche ruolo politico?» «Oh, certo, ne parlava molto seriamente, magari per quello di sindaco di New York, una volta terminato il mandato del sindaco in carica. Sarebbe stato uno di quei rarissimi politici che ogni giorno si svegliano e si domandano come rendere migliore la vita della gente comune. Hunter era, in poche parole, adorato. E meritatamente. Quindi, se potrò dire tutto questo al tuo pubblico, allora sarò felice di partecipare. Dimmi solo quando e dove.» «Speriamo di cominciare a girare molto presto. Vorremmo realizzare una scena con le sei persone che parteciperanno alla trasmissione tutte sedute al tavolo dov’erano quell’ultima sera. Il Cipriani ha già accettato di concederci l’uso della sala da ballo,

impegni permettendo. E a quanto capisco, tu hai ereditato la residenza di campagna di tuo fratello. Ti sentiresti di metterla a nostra disposizione?» «Consideralo già fatto. Anzi, per quanto riguarda la sala: la nostra fondazione si serve ancora di Cipriani per molti eventi, e domenica prossima diamo un ricevimento per i nostri benefattori più importanti. Non una cosa sfarzosa come l’annuale serata di gala, certo, ma se vuoi fare qualche ripresa quella sera, sono sicuro di poter organizzare.» «Davvero? Ci sarebbe di grandissimo aiuto.» Solo quella mattina dal Cipriani avevano detto a Jerry che dovevano girare entro le dieci del mattino oppure aspettare almeno due mesi per avere la sala un’intera giornata. Si segnò la data che Andrew le aveva detto, domandandosi se per allora sarebbero riusciti a essere pronti per le riprese. Fosse stato per Brett, avrebbero già iniziato. «Immagino che tu non abbia idea di quale sarà la decisione di tuo padre.» Andrew allungò il collo per sbirciare fuori dalla porta della biblioteca e poi rispose in un sussurro. «Dovessi tirare a indovinare, direi che Mary Jane non gli ha nemmeno detto che hai chiamato. Ci farò una chiacchierata io. Se non si tratterà di una trovata sensazionalistica e tendenziosa ai danni di Hunter…» «Ovviamente no.» «Allora è probabile che riesca a farlo sedere davanti alle tue telecamere. Sta lavorando come un pazzo per finire le sue memorie, ma magari riuscirà a prendersi qualche minuto.» «E che mi dici di Mark Templeton? A quanto ne so, era uno dei più cari amici di tuo fratello, ed era anche lui alla serata di gala.» Ancora una volta, evitò di accennare ai sospetti di Casey sull’ex direttore finanziario della fondazione di famiglia. «Sono anni che non parlo con Mark, ma vedrò cosa posso fare.» «Non vorrei chiedere troppo alla fortuna, ma magari riusciresti a fare una magia con Mary Jane Finder? Mi pare che ci fosse anche lei al tavolo della tua famiglia quella sera. Vorremmo ampliare il più possibile la rosa dei potenziali testimoni, e magari lei ha osservato il comportamento di Casey al galà.»

Lui finse di sentire un brivido di terrore lungo la schiena. «Le telecamere potrebbero non riuscire a catturare la sua immagine, ma ci proverò.» «Grazie, Andrew. Il tuo aiuto è inestimabile.» Il cancello nero all’entrata si era appena richiuso alle sue spalle, che Laurie stava già chiamando Brett. «Vedo che mi telefoni dal cellulare», disse lui appena Dana gli passò la chiamata. «Di nuovo fuori ufficio?» domandò, il tono sarcastico. «Questa volta sono sicura che approverai: sono appena uscita dalla residenza cittadina della famiglia Raleigh. Il fratello parteciperà di sicuro, e pensa che potrebbe accettare anche il padre.» «Ottimo. Se ne abbiamo anche solo uno dovremmo già essere a posto. Comincia a farti firmare le liberatorie e a definire la scaletta di produzione. Parlavo sul serio quando dicevo di muoversi in fretta.» Laurie fece per rimettere il telefono nella borsa, quando lo sentì vibrare. Sul display vide che era Charlotte. «Ehi», rispose. «Come va?» «Sto per vedermi con Angela per un cocktail, vuoi venire anche tu?» «In realtà ho incontrato Angela un paio d’ore fa nel mio ufficio, era con sua cugina. Ci sarà anche lei?» Laurie aveva appena promesso a Andrew Raleigh che sarebbe rimasta aperta a ogni possibilità sulla dinamica del delitto, e non era il caso di mostrarsi in pubblico con la donna già condannata per quell’omicidio; per non parlare del fatto che poteva effettivamente essere un’assassina. «Assolutamente no», rispose Charlotte. «Casey ha riaccompagnato Angela alla Ladyform dopo l’incontro con te, così ho avuto l’occasione di parlarle. Angela era terribilmente dispiaciuta che la cugina fosse dovuta andare al centro commerciale per procurarsi degli abiti, così le ha permesso di saccheggiare il campionario. Adesso ha abbigliamento sportivo per i prossimi quindici anni. Mi pare di capire che negli ultimi giorni ne abbia avuto abbastanza degli sguardi puntati su di lei. Angela le ha chiamato un taxi, così non ha dovuto nemmeno salire su un treno per tornare nel Connecticut. Ci vediamo al Bar Boulud,

proprio di fronte al Lincoln Center?» A Laurie piaceva l’idea di passare un po’ di tempo con Angela senza la cugina presente. Magari sarebbe riuscita a guadagnarsi la sua fiducia, così la donna avrebbe potuto aiutarla a ottenere anche l’approvazione della zia, la madre di Casey. «Certo, a che ora?» «Subito!» Laurie guardò l’orologio, erano le 16:15. Come aveva detto Andrew Raleigh, è sempre l’ora giusta per un goccetto, pensò. E lei si meritava di festeggiare: finalmente aveva il nuovo tema forte per la trasmissione.

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ANDREW Raleigh si stava versando un bicchiere di scotch dal carrello bar in quella che suo padre, e il padre di suo padre prima di lui, insisteva a chiamare la «biblioteca Kennedy». Laurie Moran non aveva accettato niente da bere, invece a lui bastava l’odore di quella casa per fargli venire voglia di attaccarsi alla bottiglia. Aveva cinquant’anni e ancora si stupiva della pretenziosità famigliare. La «biblioteca Kennedy»? Non è un monumento sul viale principale della città, avrebbe voluto gridare. È un’inutile stanza in cima alle scale, piena di libri che stanno qui più per bellezza che per farsi leggere. O forse non è completamente inutile, pensò, sentendo il confortante calore dell’alcol giù per la gola. Alla vista del padre in arrivo, si versò un secondo bicchiere. «Come sono andato, pa’?» Secondo le istruzioni ricevute, Andrew aveva organizzato lì l’incontro con Laurie in modo che il padre potesse ascoltare la conversazione dalla stanza accanto. «Sei già ubriaco», disse brusco il generale, con voce gelida. «Non ancora, ma mi ci sto applicando.» Andrew riprese posto in poltrona e immediatamente se ne pentì. Per quanto fosse cinque centimetri più alto e quasi quindici chili più pesante di quanto il padre ottantenne fosse mai stato, a un tratto si sentì piccolo, sotto di lui. Il generale James Raleigh era nella sua mise più informale, vale a dire giacca sportiva blu scuro, pantaloni di flanella grigia e camicia bianca abbondantemente inamidata. Stare senza cravatta per lui era l’equivalente di mostrarsi in pigiama in pubblico. Andrew si sentì improvvisamente a disagio nel proprio abbigliamento, più adatto a uno di quei grandi alberghi con casinò che gli piacevano tanto. Guardò il padre e pensò: Hunter è sempre stato il tuo preferito, e non hai mai smesso di dirmelo.

Gli tornò in mente che quando aveva dieci anni la madre lo aveva trovato in camera a osservare una fotografia di Hunter con il padre. Gli aveva domandato perché e lui si era messo a piangere. Aveva mentito dicendo che piangeva perché sentiva la mancanza del papà, in Europa per questioni di lavoro con l’esercito. La verità era che stava piangendo perché la notte prima aveva sognato di non essere realmente imparentato con la sua famiglia. Come il padre, Hunter era snello e atletico, con la mascella quadrata e capelli che sarebbero stati perfetti per il conduttore di un telegiornale. Andrew era sempre stato più morbido e rotondo. Mi hai sempre trattato come il tuo bimbo cicciotto, pensò, mentre mio fratello era il tuo meraviglioso tesoro. Ora sul viso del padre c’era un’espressione di disapprovazione e rimprovero, come spesso accadeva in presenza del figlio. «Perché hai dato a intendere che fossi io a fare pressione su Hunter per rompere il fidanzamento? Perché non le hai detto di sapere con certezza che tuo fratello aveva intenzione di mollare quella donna appena rientrati dalla serata di gala?» «Perché non so assolutamente niente del genere, papà.» Sentiva il tono di derisione nella sua stessa voce. «Ed è vero che tu facevi pressione su Hunter per rompere con Casey, anche se lui la amava. Io ho accettato di collaborare al tuo piano, ma non correrò il rischio di essere beccato a mentire su una rete televisiva nazionale.» Al contrario di quanto aveva detto a Laurie, Andrew non aveva alcun interesse a darle una mano con la trasmissione. Fosse dipeso da lui, avrebbe assunto i suoi soliti modi affascinanti, avrebbe ascoltato la sua proposta, e poi l’avrebbe garbatamente declinata. Era quello che, secondo lui, qualunque normale famiglia avrebbe fatto: non aveva senso rivangare brutti ricordi, la tutela della privacy e compagnia bella. Una qualunque scappatoia. Ma i Raleigh non erano mai normali, e James Raleigh non prendeva mai la strada più semplice. Andrew provò di nuovo a convincerlo: «Io davvero non credo che dovremmo farci coinvolgere in questa trasmissione, papà». «Quando avrai fatto qualcosa per meritarti il cognome che porti,

allora potrai avere un’opinione.» Andrew ebbe l’impressione di rimpicciolire ancora di più nella poltrona. «Be’, comunque non capisco perché ti sei rifiutato di incontrare quella produttrice», mormorò, bevendo un altro sorso di scotch. Rimase spiazzato quando il padre gli tirò via il bicchiere di mano. «Perché la dirigente di uno studio televisivo si aspetta che una persona della mia levatura rifiuti sdegnosamente l’invito. Non voglio apparire troppo ansioso di dare una mano, altrimenti avrà dei sospetti su quello che ho da dire. Ma tu? Finalmente torna utile in qualcosa questo tuo eterno atteggiamento alla mano, disinvolto e disponibile con tutti.» Chissà se suo padre avrebbe mai capito che la sua personalità non era un atteggiamento, un abito che poteva indossare o svestire a piacimento. Gli tornò in mente la volta in cui era andato a trovarlo alla Phillips Exeter Academy, prima che lui fosse «esortato ad andarsene» e a scegliere un collegio «meno esigente». Suo padre aveva passato tutta la serata a tessere le lodi di Hunter e della sua «squisita padronanza del palco» durante l’asta organizzata dal corpo studentesco per finanziare borse di studio destinate agli allievi meno abbienti. Quello di cui il padre si era dimenticato era il ruolo avuto da Andrew nel raccogliere l’adesione volontaria di tanti studenti per supportare l’evento. Hunter poteva anche essere il Raleigh che tutti ammiravano, ma Andrew era quello con il quale tutti amavano passare il tempo. «In pratica, stai dicendo che sembro abbastanza scemo da accettare di partecipare a questa trasmissione. Però in realtà sei tu che vuoi far partecipare la famiglia: quindi tu cosa sei?» «Andrew, non avventurarti in riflessioni troppo complesse, sappiamo entrambi che non è il tuo forte. Quando imparerai che il potere si può esercitare solo dall’interno? Se non prendessimo parte alla trasmissione dovremmo abbandonare ogni speranza di mantenere il controllo della faccenda. Immagina le bugie che Casey potrebbe dire su tuo fratello. Su di me. Su di te, sant’Iddio. Se rinunciassimo del tutto a partecipare, quella gente immorale della televisione si

precipiterebbe ad andare in onda senza darci la possibilità di ribattere. Dobbiamo assolutamente esserci. Perché pensi che abbia domandato di Mark Templeton?» «Perché era al galà quella sera. Hanno intenzione di intervistare chiunque possa aver notato anche solo un minimo dettaglio. Per qualche ragione voleva addirittura parlare con Mary Jane.» «Non tutti hanno il tempo di guardare la televisione», ribatté brusco James. «Mary Jane dirà quello che le chiederò di dire, è sempre stata un soldato leale. Ma sei un ingenuo se credi che le domande di Laurie Moran su Templeton fossero una coincidenza. Quando dirò a Mary Jane che inoltri allo studio le mie condizioni per partecipare, lei chiarirà che lo faccio malvolentieri solo per seguire il tuo consiglio. Il mio ruolo sarà esclusivamente quello di parlare bene di tuo fratello.» «E il mio?» «Lo stesso. Sarebbe molto sconveniente se io dicessi quello che penso di quell’odiosa bastarda in un reality televisivo. Ma tu, nel raccontare quanto fosse petulante Casey, sembravi assolutamente naturale. Quando la trasmissione andrà in onda, Casey Carter desidererà essere rimasta in quella prigione. Ottimo lavoro, figliolo. Ottimo lavoro.» Andrew poteva contare sulle dita di una sola mano le volte in cui suo padre lo aveva lodato per qualcosa.

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LAURIE non riusciva nemmeno a ricordare quando fosse stata l’ultima volta che era riuscita a entrare in un bar del centro senza dover camminare di lato per avanzare attraverso la folla. Il Bar Boulud, un ritrovo di alto livello molto popolare, era meravigliosamente vuoto in quel tardo pomeriggio. Laurie riusciva a sentire il rumore dei suoi stessi tacchi che echeggiava fino al soffitto a volta, mentre raggiungeva la zona dietro il bar, dove aveva visto Charlotte e Angela sedute al tavolo più lontano. Avevano già ordinato tre bicchieri di vino e un bel tagliere pieno di prosciutto, salame, pâté e un paio di altre cose che Laurie non sapeva se assaggiare. Angela si allungò per salutare Laurie stringendole brevemente la mano libera. «Sei stata un vero tesoro a ricevere me e Casey senza appuntamento, oggi. Quando mia cugina mi ha chiamata ieri sera era completamente fuori di testa per quei commenti su internet.» Si premette la mano sulla bocca per un attimo. «Oh, santo cielo, che modo di dire fuori luogo. Volevo dire che era molto preoccupata.» «E chi non lo sarebbe?» rispose Laurie. «È davvero strano che quindici anni dopo ci sia qualcuno subito pronto a rimettersi a parlare di lei in rete, usando lo stesso nickname. Dà l’idea di una persona che non solo è ossessionata da questo caso, ma vuole che Casey lo sappia. Altrimenti, perché usare lo stesso nome? Intende farle arrivare il messaggio che qualcuno là fuori la odia.» «Scusate…» fece Charlotte agitando leggermente la mano. «Non ho la minima idea di che cosa stiate parlando. Sono io che vi ho presentate, ve lo ricordate? Vi dispiace aggiornarmi, per favore?» «Scusa», disse Angela, «non ho voluto parlarne oggi quando Casey era in ufficio con me. È così agitata.» Non ci mise molto a raccontare a Charlotte dei commenti di RIP_Hunter. «Potrebbe essere un solo stalker», osservò Charlotte, «oppure potrebbe essere un gruppo di persone diverse che usano tutte lo stesso

nome in rete.» «Non capisco», disse Laurie, «perché un gruppo di gente dovrebbe coalizzarsi per postare commenti negativi su Casey fingendo di essere una persona sola?» «No, non sto pensando a una specie di cospirazione. Mi ricordo che ai tempi del liceo, quando andavo sui forum di gossip per parlare di qualche divorzio VIP – non giudicatemi, vi prego! – la gente firmava i commenti con cose tipo ‘dalla parte di Jennifer’, oppure ‘uniti per Angie’. È un modo come un altro per schierarsi in una faida via internet. Succede lo stesso con i candidati politici, magari su Twitter. Un milione di persone che inseriscono l’hashtag #Qualcuno indicano chi vogliono sostenere, non è la firma di un’unica persona. Per quanto ne sappiamo, RIP_Hunter potrebbe essere stata una formula diffusa tra coloro che erano ‘dalla parte di Hunter’, nel senso che ritenevano Casey colpevole.» «Come facciamo a scoprire cosa c’è veramente dietro?» domandò Laurie. «Bisognerebbe controllare se quello era un sito in cui gli utenti dovevano creare un account verificato con un username esclusivo, o se invece chiunque poteva semplicemente firmarsi RIP_Hunter.» Laurie si appuntò mentalmente di approfondire l’aspetto tecnologico di quei post. Si augurava vivamente che l’avvocatessa della difesa avesse già fatto la ricerca all’epoca, risparmiandole la fatica di annaspare in un pantano di informazioni tecniche che a volte le era difficile comprendere. «Non so niente del genere», disse Angela, «ma mi sono scervellata cercando di ricordare qualcuno che avrebbe potuto desiderare di fare del male a Hunter. Mi sono accorta che Casey potrebbe aver omesso un paio di possibilità. Una è il suo ex ragazzo, Jason Gardner. Lui era terribilmente geloso. Mi ha sempre dato l’impressione di essere ancora innamorato di Casey e di voler tentare di riprendersela, nonostante lei fosse fidanzata con Hunter, eppure dopo la condanna l’ha accoltellata alle spalle per il proprio tornaconto. Ha persino pubblicato un libro spazzatura con le sue ‘rivelazioni’. E dovresti anche approfondire la posizione di Gabrielle Lawson, questa patetica primadonna dei

quartieri alti, ormai sul viale del tramonto, che voleva a tutti i costi accaparrarsi un uomo come Hunter. Tutti e due erano al galà quella sera. Tutti e due sono passati dal nostro tavolo. Quello che mi preoccupa è che questa storia, se Casey andasse avanti, potrebbe uccidere sua madre esattamente come il fatto di andare in tribunale ha ucciso suo padre.» Angela era così infervorata che non notò lo sguardo preoccupato tra Charlotte e Laurie. «Angela», disse dolcemente Charlotte, «forse dovremmo lasciare che Laurie si goda il suo aperitivo. Come ti sentiresti tu se lei ci facesse il terzo grado sulla sfilata autunnale che ci sta sfinendo?» Laurie non conosceva Charlotte da molto tempo, eppure non era la prima volta che sembrava leggerle nel pensiero. In realtà, lei adorava parlare di lavoro in qualunque momento, però era un po’ inopportuno discutere delle indagini in corso con un parente di Casey e in un modo così confidenziale. Estremamente professionale com’era, Charlotte aveva trovato un sistema gentile per cambiare argomento. «Oh, santo cielo, ma certo», fece Angela imbarazzata. «Abbiamo tutte ufficialmente timbrato il cartellino di uscita: basta parlare di lavoro.» Laurie era grata a Charlotte del salvataggio. «Nessun problema, assolutamente. Se può farti sentire meglio, dopo aver esaminato il caso abbiamo già inserito sia Jason sia Gabrielle sulla lista delle persone da contattare.» «Allora», disse Angela, in cerca di un nuovo argomento di conversazione, «tu sei sposata, Laurie, o fai parte del club delle single come noi? Non vedo anelli.» Charlotte circondò amichevolmente le spalle dell’amica con un braccio. «Avrei dovuto avvisarti, a volte la mia amica Angela è un tantino diretta.» Laurie capì che Charlotte era in imbarazzo, invece lei trovava confortante il fatto che non avesse già raccontato ad Angela tutto il suo passato. Spesso aveva l’impressione che l’omicidio di Greg fosse la prima cosa che le persone venivano a sapere di lei. «Non sono sposata nemmeno io», disse. Per il momento era una spiegazione

sufficiente. «Charlotte dice che non dovrei preoccuparmi tanto di trovare un uomo, dovrei essere felice per conto mio eccetera eccetera. Ma confesso che non aver ancora incontrato il tipo giusto comincia a farmi sentire un po’ sola.» Charlotte alzò gli occhi al cielo. «Santo cielo, hai quarant’anni, non novanta. E poi tu sei splendida, più di quanto la maggior parte delle donne può sperare di essere a qualunque età.» «Ah, certo, esco con un sacco di uomini, ma nessuno che valga qualcosa.» Rise. «Sono stata fidanzata due volte, ma via via che si avvicinava la data delle nozze mi domandavo se veramente volevo vedere la faccia di quella persona tutte le mattine.» «Fa riflettere» commentò Charlotte. «Comunque, in questo campo Laurie ha in ballo cose più grosse di quanto vorrebbe.» Angela abboccò all’amo. «Di che si tratta? Sembra intrigante.» «È una persona con la quale lavoravo. Una faccenda complicata.» «Davvero non credi che cambierà idea e tornerà nella trasmissione?» domandò Charlotte. «Non sarà la stessa cosa senza quella sua voce perfetta.» Si esibì nella sua migliore interpretazione della voce profonda di Alex: «‘Buonasera da Alex Buckley’». «No», fece Angela sbalordita. «Alex Buckley? Veramente? L’avvocato?» Adesso Laurie avrebbe preferito tornare a parlare del caso. Annuì. «Il conduttore della mia trasmissione. O, almeno, lo era.» «Va bene, devo confessare che non ho ancora visto il tuo programma.» Charlotte le diede un finto scappellotto. «Laurie si occupa del caso di tua cugina e tu non hai mai visto la sua trasmissione?» «Pensavo di guardarla in streaming questo fine settimana. Ovviamente avrei voluto tantissimo vederla il mese scorso, quando c’era il caso di tua sorella, però dicevi che non volevi la vedesse nessuno al lavoro perché era una cosa molto personale per la tua famiglia.» «Be’, ma è chiaro che non parlavo di te», ribatté Charlotte. «Tu sei una delle mie migliori amiche.»

«Non c’è bisogno che ti giustifichi», disse Laurie. «Davvero.» Al tavolo calò il silenzio, poi Angela scosse la testa. «Caspita, Alex Buckley. Com’è piccolo il mondo.» «Lo conosci?» domandò Laurie. «Non più. Ma sono uscita con lui una volta, un milione di anni fa.» Charlotte scosse la testa. «Perché mai devi dirle una cosa del genere?» «Perché è una curiosa coincidenza. E poi è successo più di quindici anni fa, storia antica.» Scacciò il pensiero con un gesto della mano. Charlotte la stava ancora guardando con disapprovazione. «Be’? Laurie non è arrabbiata. Vero, Laurie? Credimi, è stato irrilevante, come con Hunter.» «Aspetta: sei uscita anche con lui?» Charlotte ci pensò su un attimo. «Con chi è che non sei uscita?» «Non è come pensi, Charlotte», rispose Angela. «All’epoca non mi conoscevi. Uscivo ogni sera della settimana, frequentavo giocatori di baseball, attori, un giornalista del New York Times. E so quello che stai pensando, ma era tutto molto innocente. Eravamo giovani, ci ritrovavamo all’improvviso in queste situazioni sociali di alto livello in cui bisogna sempre avere un accompagnatore. È come diceva oggi Casey, Laurie: le pareva di conoscere tutti a New York. Per me, a vent’anni, era lo stesso. Un attimo prima camminavamo sul tappeto rosso, ma quando rimanevamo solo in un piccolo gruppo, ridevamo e ci comportavamo come bambini. Era una sorta di circolo informale, un centinaio di newyorkesi molto popolari che si facevano compagnia l’un l’altro. Niente di impegnativo.» Sorrise, ripensandoci. «Però, accidenti, il mondo è veramente piccolo. Ora che ci penso, ho conosciuto Alex quando sono stata a un ricevimento in campagna a Westchester accodandomi a Casey e ai Raleigh. In quel momento non mi vedevo con nessuno. Alex era in gamba e molto bello. Qualcuno mi ha detto che faceva l’avvocato presso lo studio del nostro ospite. Abbiamo chiacchierato quasi tutto il tempo, così ho colto la palla al balzo e in seguito l’ho chiamato in ufficio per invitarlo fuori a pranzo. Quando poi ci siamo visti mi sono resa conto che non era nemmeno un avvocato, non ancora. Stava facendo un tirocinio estivo, stava

ancora studiando, e io avevo parecchi anni più di lui. Oggigiorno non ci si fa caso, invece all’epoca mi sentivo come Mrs Robinson nel Laureato. Un bell’errore, col senno di poi. Guarda cos’è diventato!» Qualcosa nell’espressione di Laurie indusse Angela a interrompere il racconto. «Magari è meglio se mi tengo per me le mie storie di gioventù. Però, lo giuro, è stato solo un pranzo. Se ti ho irritata mi dispiace molto, Laurie.» «Nient’affatto. Come hai detto tu, il mondo è piccolo. Pensavo però che se tu hai conosciuto Alex a un ricevimento al quale ti hanno portato i Raleigh, questo significa che Alex ha conosciuto anche loro.» Lei si strinse nelle spalle. «Non saprei dirti.» Charlotte stava facendo segno al cameriere di portare un altro giro di bicchieri, ma Laurie disse: «Per me basta così. Forse questa sera riesco a trovare il tempo di preparare la cena a mio figlio». «Sei sicura? Ti perderai il mio terzo grado ad Angela per conoscere tutta la sua lunga lista di fidanzati degli anni Novanta.» Laurie era in effetti molto incuriosita da qualcosa che Angela aveva detto, ma c’era una sola persona di cui voleva davvero sapere altro. Mandò un messaggio ad Alex. Hai un minuto?

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IL pennino della Montblanc stava sospeso a pochi millimetri dal blocco di fogli a righe, eppure quel pomeriggio il generale James Raleigh non era riuscito a scrivere nemmeno una parola. Stava lavorando alla propria autobiografia, già venduta a un grande editore. Aveva una scrittura ordinata e regolare quanto ogni altro aspetto della sua vita, perciò Mary Jane non aveva difficoltà a leggere e trascrivere le pagine al computer. Di solito le frasi scorrevano via facilmente: il generale aveva avuto la fortuna di vivere una vita entusiasmante, intensa e appagante, aveva visto il mondo cambiare ed era pieno di storie da raccontare. Sapeva di essere considerato ormai un uomo anziano, ma lui non si sentiva così. Conosceva il motivo per cui era stato colto da quell’insolito attacco di blocco dello scrittore: stava lavorando al capitolo sulla perdita del suo primogenito, Hunter. Nel corso della vita aveva perduto molte persone. Suo fratello maggiore, che era anche il suo eroe e il suo migliore amico, era rimasto ucciso in guerra ancora giovanissimo. Aveva visto il suo più grande amore, la madre dei suoi figli, spegnersi lentamente per un cancro. E poi, tre anni dopo, Hunter – lo stesso nome di suo fratello – gli era stato portato via. Quella era stata la morte peggiore: guerre e malattie sono orribili, ma fanno parte della vita e vanno messe in conto. Perdere un figlio, o peggio, avere un figlio assassinato… A volte James si meravigliava di non essere morto anche lui di crepacuore. Appoggiò la penna sulla scrivania, consapevole che non serviva a niente cercare di lavorare in quello stato. All’improvviso riandò con il pensiero a Andrew, tutto imbronciato in biblioteca, poco prima. Sapeva di essere stato duro con lui, ma quel ragazzo era una tale delusione. Cinquant’anni, rifletté, e ancora penso a lui come a un ragazzo. Questo la dice lunga. James poteva facilmente immaginare che cosa avrebbe fatto il

Senatore – come lui e suo fratello chiamavano il padre – se loro si fossero permessi di comportarsi allo stesso modo. Andrew non aveva il minimo senso della responsabilità civile, aveva del denaro un’idea assolutamente rozza e edonistica, quasi fosse fatto solo per essere sperperato in capricci: le feste, gli scherzi, il suo passare da un collegio all’altro, il gioco d’azzardo… Sono duro con te, Andrew, perché tengo a te. Non potrò essere sempre qui a guidarti, presto sarai l’unico Raleigh rimasto, pensò. Fino a quel momento tutti gli sforzi per costringere Andrew a maturare erano falliti, così come qualunque lavoro lo avesse aiutato a ottenere. Alla fine, quando Hunter aveva cominciato a meditare di passare alla politica, James aveva detto a Andrew di lasciar perdere e lo aveva spinto a occuparsi della fondazione. Non era finita bene, e così adesso la fondazione veniva gestita da personale assunto invece che dalla famiglia stessa. Non era così che avrebbe dovuto essere. Hunter, se fosse stato vivo, alla fine avrebbe scelto una moglie adeguata e avrebbe portato avanti il nome della famiglia. Poteva anche aver chiesto a Casey di sposarlo mettendole un anello al dito, ma non sarebbe mai arrivato a percorrere la navata di una chiesa con lei. Di questo James era certo. Per quanto poco accorto fosse Andrew nello scegliersi le compagne, almeno non le aveva mai portate a casa, mettendo la famiglia in imbarazzo. Non si poteva dire lo stesso di Hunter: Casey era stata il suo tallone d’Achille. James sentì salire la pressione ripensando alla sera in cui, durante la cena, lei si era messa a spiegare le proprie irritanti opinioni politiche di fronte a un viceprocuratore generale e a una donna recentemente eletta al Congresso. Come se nella sua breve e spensierata vita avesse potuto maturare una qualche opinione ben informata. Alla fine lui stesso aveva dovuto suggerire a Hunter di riaccompagnarla a casa. Quella donna non sapeva come ci si comporta, per farla breve. Si accorse di avere di nuovo la penna in mano. Guardò il blocco di fogli. Aveva scritto: Io sono responsabile. Non era la prima volta che quelle parole venivano fuori quando meno se le aspettava. Sono stato io a dirgli che non poteva far entrare

quella donna nella nostra famiglia. Gli ho persino detto che se avesse avuto dei figli con lei gli proibivo di chiamarli Hunter. Ho fatto quarantaquattro anni di servizio militare. Ho visto il male e mi sono trovato davanti al pericolo in varie forme, ma non l’ho mai visto sedersi al mio stesso tavolo. Non ho mai pensato di mettere in pericolo mio figlio chiedendogli di lasciare una donna che non lo meritava. Io sono responsabile. E adesso quell’assassina si era messa in mente di andare a piangere davanti alle telecamere per attirarsi la simpatia della gente. Lui non lo avrebbe permesso. Fosse anche stato costretto a battersi fino all’ultimo respiro, il mondo alla fine l’avrebbe vista per quello che era: un’assassina a sangue freddo. Aveva spiegato a Andrew che durante la trasmissione il suo ruolo sarebbe stato solamente quello di mantenere un atteggiamento severo e inflessibile, ma nell’esercito aveva imparato la regola delle cinque P: pianificare preventivamente per prevenire problemi. Andrew avrebbe fatto il suo dovere descrivendo Casey come l’instabile sociopatica che era, invece le manovre di James sarebbero rimaste dietro le quinte. Se non altro, Mark Templeton non avrebbe aperto bocca con nessuno riguardo Hunter o la fondazione: James se ne era assicurato personalmente quello stesso giorno, quando aveva parlato con lui per la prima volta dopo quasi dieci anni.

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LAURIE stava scendendo dal taxi davanti allo studio di Alex quando sentì suonare il cellulare. Jerry, vide sul display. Non si stupì che stesse ancora lavorando, e gli rispose immediatamente. «Ho cattive notizie», le disse subito. «Mark Templeton, l’ex direttore finanziario della Fondazione Raleigh, ha finalmente richiamato. Ha voluto sapere di che cosa si trattava e così Grace me lo ha passato. Gli ho raccontato della trasmissione, spero non ti dispiaccia.» Il fatto che Jerry avesse parlato di cattive notizie significava che Templeton non intendeva partecipare. «Certo che no, Jerry. Mi fido di te. Devo intendere che abbia detto di no?» «Purtroppo.» «C’è qualcosa che non mi convince», disse Laurie. «Era uno dei più cari amici di Hunter.» Forse Casey aveva ragione sul fatto che la morte di Hunter potesse essere legata ai suoi accertamenti sulla fondazione. «Non volevo tirare fuori la questione finanziaria della fondazione senza prima consultarti. Gli ho detto che volevamo parlare con lui della serata di gala. Le sue motivazioni per declinare l’invito avevano una certa logica: voleva molto bene al suo amico e alla fine aveva concluso, in base alle prove, che Casey era colpevole. Inoltre, essendo a capo di una rispettabile organizzazione senza fini di lucro, ritiene sia suo dovere non farsi coinvolgere in qualunque cosa Casey – cito – ‘voglia tirare fuori dal cilindro’.» «D’accordo, hai fatto bene a non insistere troppo.» Lei aveva fatto lo stesso con il fratello di Hunter, evitando di porgli domande sulle finanze della fondazione. Poteva approfondire quell’aspetto Ryan una volta iniziata la produzione, e lei sperava che, per allora, ne avrebbero saputo di più del perché Templeton si fosse licenziato. Nel frattempo avevano altri sospettati sui quali indagare. «Ho appena parlato con la cugina di Casey, Angela. Ha confermato che

Jason Gardner aveva cercato di rimettersi con Casey dopo che avevano rotto, persino dopo che lei si era fidanzata con Hunter.» «Sul serio? Se fosse vera anche solo la metà delle cose orribili che poi ha scritto di lei nel suo libro, c’è da credere piuttosto che sia scappato via da lei più veloce che poteva.» «Pensavo la stessa cosa.» L’accusa aveva cercato di chiamare Jason a testimoniare al processo perché la descrivesse come una persona gelosa e instabile, ma il giudice aveva ritenuto la deposizione inammissibile come «testimonianza sulla personalità». Ciò non gli aveva impedito di scrivere un libro di rivelazioni che aveva fatto apparire Casey una pazza assassina. «Vediamo cos’altro riusciamo a sapere di lui.» «Ricevuto», fece Jerry. «Per oggi non rientri?» «No, ci vediamo domani.» Doveva parlare con Alex.

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ALEX accolse Laurie alla reception del suo studio con un lungo bacio, e lei si rese conto di quanto fosse piacevole sentire il suo corpo vicino. «Curioso. Di solito sono io che vengo nel tuo ufficio, non il contrario» le disse poi. «Scusa se sono piombata qui con così poco preavviso.» Lasciò che lui le facesse strada lungo il corridoio. Tecnicamente Alex esercitava la professione da solo, però condivideva gli uffici con altri cinque avvocati. Avevano ciascuno i propri assistenti, ma insieme stipendiavano una squadra di otto paralegali e sei investigatori. Di conseguenza sembravano un piccolo studio associato, benché l’arredamento non fosse quello tipico che Laurie si immaginava. Al posto di legno scuro, imponenti poltrone di pelle e file di libroni polverosi, Alex aveva preferito un ambiente moderno, aperto, arioso, pieno di luce naturale, vetro e dipinti vivaci. Quando arrivarono nel suo ufficio, si avvicinò alla vetrata a tutta parete che dava sul fiume Hudson. «Questo è l’orario perfetto per contemplare il panorama, con il sole che scende sull’orizzonte. Il cielo è bellissimo stasera, tutto rosa e dorato», commentò lui. Laurie aveva sempre ammirato il modo in cui Alex si concedeva il tempo di apprezzare le cose belle che altri davano per scontate, e si domandò se per caso non avesse fatto male a presentarsi lì da lui. Forse stava esagerando. Le venne in mente la disinvoltura di Grace nei rapporti con gli uomini: era un mondo che lei non riusciva a comprendere. Aveva sempre pensato che Greg fosse la sua anima gemella, di quelle che s’incontrano una sola volta nella vita, perché tra loro niente era mai stato complicato. Ma forse sono io che la faccio più difficile del necessario, pensò. «Allora, a cosa devo il piacere?» le domandò Alex.

Adesso che era lì non poteva mentirgli, doveva dire le cose come stavano e basta. «L’altra sera mi è sembrato che tu stessi cercando di evitare l’argomento di Casey Carter e della sua condanna, che lei ritiene ingiusta.» «Davvero?» Alex pareva stupito. «Come ho detto, è solo che non sapevo bene se fosse il caso di ficcare il naso, adesso che non lavoro più nella trasmissione. Quando mi hai detto che volevi la mia opinione, ho fatto del mio meglio per dartela basandomi su quello che mi ricordavo degli articoli sul processo.» In quella spiegazione c’era qualcosa che suonava troppo cauto, da avvocato. «Mi hai detto anche di non lasciare che Brett mi faccia pressione perché io decida in fretta. E hai sottolineato che, a differenza dei protagonisti nei precedenti special, Casey non ha niente da perdere.» «Dove vuoi arrivare, Laurie?» «Sembrava quasi che volessi darmi dei motivi per stare alla larga dal caso. Perché?» Alex stava di nuovo guardando fuori dalla finestra. «Non so che dire, Laurie. Credevo che l’altra sera a casa mia fosse andata molto bene. È stato piacevole stare con te e con la tua famiglia senza che l’ombra del lavoro aleggiasse su tutto. Mi sembravi contenta quando sei andata via, o mi sbagliavo?» «No. Ma questo era prima di scoprire che hai avuto una relazione con la cugina di Casey.» «Cosa?» «Be’, magari dire che hai avuto una relazione è un po’ eccessivo. Però sei uscito con la cugina di Casey, Angela Hart, quando eri all’università. Per questo non volevi che accettassi il caso?» Alex pareva frugare tra i ricordi. «Hai avuto così tante donne che nemmeno ti ricordi di questa? Era una modella, santo cielo, credo che la maggior parte degli uomini se ne ricorderebbe.» Quello era un colpo basso, e Laurie lo sapeva. Quando avevano iniziato a frequentarsi Alex le aveva assicurato di non essere un donnaiolo, anche se aveva poco meno di quarant’anni, non era mai

stato sposato e nelle cronache mondane sembrava sempre avere qualche bella donna sottobraccio. E adesso Laurie usava quegli stessi elementi contro di lui. «Una modella? Intendi Angie? Certo, me la ricordo vagamente. Vuoi dire che lei è la cugina di Casey Carter?» «Sì. È l’amica di Charlotte di cui ti ho parlato. E mi ha detto che vi siete conosciuti al ricevimento di un qualche avvocato negli Hamptons. Lei era con la famiglia Raleigh.» Vide che Alex cominciava a ricordare. Pareva davvero non aver mai collegato le due cose prima d’ora. «È vero, c’era il generale Raleigh a quel ricevimento. Tutti gli studenti di Legge erano in adorazione: è stato grandioso quando si è preso il tempo di venire a stringerci la mano.» «E i figli, Hunter e Andrew?» «Se li ho conosciuti, francamente non me lo ricordo. Laurie, non capisco proprio qual è il problema.» «Stavi cercando di nascondermi che conoscevi Angela Hart?» «No.» Alex sollevò la mano destra per giurare. «Stavi cercando di nascondermi che conoscevi Hunter Raleigh?» Di nuovo no, con tanto di giuramento. «Non mi ricordo nemmeno di averlo incontrato», le ripeté. «C’è qualche altro motivo per cui non vuoi che io lavori su questo caso?» «Laurie, sto cominciando a pensare che tu sia più brava di me nel controinterrogatorio. Senti, io lo so quanto tieni a Under Suspicion. È la tua creatura, da cima a fondo. Tu e solamente tu devi decidere quale caso ritieni che meriti l’attenzione della trasmissione, d’accordo? Io ho la più piena fiducia che anche stavolta sarà un successo, qualunque cosa tu decida, perché con il tuo istinto fai sempre centro.» La prese fra le braccia e la baciò sulla fronte. «Altre domande?» Lei scosse la testa. «Lo sai che sei più carina di qualunque modella ci sia là fuori, vero?» «È un bene che lei non sia sotto giuramento, avvocato. Vado a casa a preparare la cena per Timmy. Vuoi unirti a noi?»

«Mi piacerebbe molto, ma stasera devo parlare all’Università di New York. A un mio amico è stata intitolata una cattedra alla facoltà di Legge.» Le diede un altro bacio e poi la accompagnò all’ascensore. Appena scesa nell’atrio, Laurie sentì di nuovo quel brutto presentimento. Rivide Alex con la mano destra alzata che giurava di dire la verità. No, non aveva avuto l’intenzione di nasconderle il legame con Angela. No, non ricordava di aver conosciuto Hunter. Ma c’era qualche altra ragione per cui non voleva che Laurie indagasse sulla condanna di Casey? A quella domanda lui non aveva risposto, ma l’istinto di Laurie, lo stesso con il quale faceva sempre centro, le dava a gran voce la risposta: c’era qualcosa che lui non le stava dicendo.

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TRE giorni dopo, Laurie era nel suo ufficio con Grace e Jerry a fare il punto della situazione sulle adesioni di tutte le persone che volevano coinvolgere nella puntata successiva. Grace sfogliò un plico di liberatorie già firmate. «Tra i presenti alla serata di gala abbiamo il fratello e il padre di Hunter, ed entrambi hanno detto molto chiaramente che ritengono Casey colpevole. L’assistente, Mary Jane, ha firmato. Casey ovviamente partecipa, come pure la cugina Angela. Abbiamo la governante, la quale confermerà la dichiarazione di Casey sul fatto che la fotografia di Hunter con il presidente si trovava sul comodino. E abbiamo la madre di Casey.» Jerry gemette. «Non sono tanto sicuro che sia il caso di coinvolgerla. Paula mi sembra una brava donna, ma chiama non meno di tre volte al giorno e fa domande su ogni minimo dettaglio. ‘Siamo sicuri che Casey non può essere rimandata in prigione? Ha bisogno di un avvocato? Potete oscurare le nostre facce?’ Non ha molto da dire sulle prove attualmente in nostro possesso, e ho paura che se la mettiamo davanti a una telecamera rimarrà paralizzata.» «Ci penserò», disse Laurie. «Forse hai ragione.» Gli spettatori si sarebbero messi a guardare la trasmissione solo per sentire Casey, che al processo non aveva mai testimoniato, però bisognava dar loro qualcosa di nuovo, oltre alla faccenda della fotografia scomparsa. «Non so se insistere ancora per reclutare Mark Templeton», disse Laurie. Grace scorse i suoi appunti sui vari nomi. «È il tizio dei soldi, giusto?» Laurie annuì. «Il direttore finanziario della Fondazione Raleigh, per essere precisi. Ha detto a Jerry che voleva evitare di associare il proprio nome a quello di Casey per via del suo attuale incarico in un’organizzazione senza fini di lucro, ma potrebbe avere altri motivi

per non voler apparire. Il fatto che la Fondazione Raleigh avesse problemi finanziari quando lui se n’è andato solleva effettivamente qualche dubbio, specialmente considerando le preoccupazioni di Hunter riguardo ai libri contabili e il fatto che Mark ci abbia messo quasi un anno per ricominciare a lavorare, dopo aver lasciato la fondazione.» Jerry tamburellò con la penna sul taccuino. «A parte la dichiarazione di Casey, abbiamo altre prove che Hunter fosse preoccupato per la fondazione?» Laurie fece con le dita la forma di uno zero. «Se le avessimo potremmo usarle per fare pressione su Mark. Ma senza diamo l’impressione di arrampicarci sugli specchi.» Cominciava già a sentire la mancanza delle conversazioni che una volta poteva fare con Alex. Valutavano insieme le prove e le consideravano una per una da tutti i punti di vista. «È più Casey che si arrampica sugli specchi», sottolineò Grace. «Se Hunter aveva veramente fiutato qualcosa di strano nella contabilità della fondazione e poi è stato improvvisamente ucciso, non avrebbe dovuto farsi avanti qualcuno per dirlo alla polizia? Uno di quei contabili forensi che il fidanzato intendeva ingaggiare?» «Magari non aveva ancora fatto in tempo a chiamarne uno», disse Laurie. «E poi, è Casey a dire che Hunter aveva notato qualcosa di insolito e voleva assumere qualcuno per esaminare i libri contabili. Ma, ancora una volta, è solo la sua versione. Sono tentata di insistere con Mark Templeton, ma ho paura che lui chiami i Raleigh e li spaventi, facendoli rinunciare alla trasmissione. Di sicuro non vogliono scandali sulla fondazione. E finché non avrò prove concrete per collegare Mark alla faccenda, temo che siamo a un punto morto.» «La buona notizia», riferì Jerry tutto allegro, «è che ci siamo assicurati le due ambientazioni principali. La dimora di Hunter nel Connecticut è andata a suo fratello Andrew, e la mia impressione è che lui si sia quasi dimenticato di averla. Quando l’ho chiamato per avere la conferma mi ha detto, testualmente: ‘Mi casa es su casa’. E anche se la sala da ballo del Cipriani è prenotata per mesi, la Fondazione Raleigh ci permette di approfittare dell’imminente evento

in onore dei benefattori, che però è fra due domeniche. Sono dieci giorni, io credo che possiamo farcela. Gireremo prima del loro evento, ovviamente in cambio di un’adeguata donazione. Ho già fatto un sopralluogo e sarà un bellissimo set.» «Anch’io ho un’idea per un’ambientazione», disse Grace. «Il Tiro a Segno di Greenwich Village. È sia un poligono di tiro privato che un ristorante. In quale altro posto puoi trovare vitello alla parmigiana e dei bersagli da addestramento? Era il posto preferito di Hunter quando andava a sparare. Potresti trovarci gente che si ricorda di lui e di Casey.» «Congratulazioni, Grace, buona idea», disse Laurie. «Magari fosse sempre così facile la ricerca delle ambientazioni.» Anche il processo aveva semplificato molto le cose. Tutti i precedenti special riguardavano casi che non avevano mai condotto a un arresto, men che meno a un procedimento in tribunale, e Laurie aveva dovuto mettere insieme le prove spulciando documenti di pubblico dominio, articoli di giornale, e i ricordi parziali e faziosi di innumerevoli testimoni. Non questa volta. Negli ultimi giorni aveva esaminato le trascrizioni del processo di Casey e aveva tracciato un dettagliato quadro d’insieme delle prove in tutti i loro aspetti. «Possibile che si riesca davvero a rispettare l’assurda tempistica di Brett?» Sentì bussare alla porta e ad alta voce disse di entrare. Era Ryan Nichols. «Scusate, sono in ritardo.» Non sembravano scuse molto sincere.

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CON Ryan nella stanza, quella che era stata una conversazione briosa e disinvolta si fece impacciata e imbarazzante. «Non avevo idea che ti saresti unito a noi», disse Laurie. «Mi hai mandato una e-mail con l’orario, perché pensavi che non sarei venuto?» Laurie non aveva considerato quel messaggio come un invito a partecipare, men che meno come un ordine. Con l’intenzione di essere gentile con il nuovo arrivato, gli aveva semplicemente fatto sapere che nel pomeriggio avrebbe visto Jerry e Grace per cominciare a preparare un piano di produzione. «Alex di solito non partecipava finché non avevamo la lista completa dei testimoni ed eravamo pronti a girare», gli disse. «A quel punto, naturalmente, lavoravamo tutti insieme per buttare giù le tracce delle interviste.» «Laurie, credo che sarei più a mio agio salendo a bordo fin dall’inizio. Ne ho parlato anche con Brett», tagliò corto Ryan. Jerry e Grace si scambiarono uno sguardo apprensivo, come fratelli che assistono a una lite tra i genitori. Sapevano che Bryan teneva Brett in pugno, e Laurie non era nella posizione di contestare il suo coinvolgimento. E sapevano anche che lei aveva preso l’abitudine di trattare Alex come un’affidabile cassa di risonanza per verificare le proprie idee. Non vedendo via d’uscita, Laurie fece cenno a Ryan di accomodarsi. «Stavamo giusto passando in rassegna le liberatorie ricevute dalle persone che vorremmo farti intervistare.» Lo aggiornò sull’elenco che avevano compilato fino a quel punto. «Non c’è molto su cui lavorare», fece lui sprezzante. «Sarebbe bello avere qualche amico della coppia, giusto per dare un’idea di com’erano Casey e Hunter insieme.» «Ci avevamo già pensato», disse Laurie, «ma gli amici di Casey si sono dileguati quando lei è stata arrestata, e quelli di Hunter avranno

ovviamente un’opinione non molto obiettiva di Casey.» «Chi può dire che non sia obiettiva?» ribatté lui. «Magari è proprio la persona orribile che credono.» Jerry si schiarì la voce per abbassare la tensione. «E quel tipo con cui usciva Angela?» «Sean Murray», gli ricordò Laurie. «Ha chiamato ieri per dire che non vuole essere coinvolto. Adesso è sposato e ha tre figli, e dice che nessuna donna vuole ricordare che il marito stava con qualcun’altra, specialmente una come Angela. Mi ha chiesto se è ancora così bella.» «Altroché», osservò Grace. «È abbastanza difficile non detestarla.» «Sean ha detto che in ogni caso non avrebbe niente di utile da raccontare. Era fuori città la sera del galà, e prima di allora non aveva visto Hunter e Casey da almeno un paio di settimane. L’unica cosa che può dire era che sembravano molto innamorati. Quanto alle liti, le ha liquidate come animate discussioni che entrambi adoravano fare. Ma dopo l’arresto di Casey ha letto tutti gli articoli e si è domandato se nella loro relazione ci fosse un lato oscuro che lui non aveva mai notato.» Ryan sollevò un sopracciglio. «Sembra un tipo in gamba. A che punto stiamo con i potenziali sospettati?» Jerry fu pronto a rispondere. «Ho dato un’occhiata ai nomi che mi hai fornito, Laurie», disse. Calcò sul suo nome nel tentativo di restituire a lei il controllo della riunione. «Ho parlato al telefono con Gabrielle Lawson, la star della mondanità, e ti ho preso un appuntamento con lei oggi alle tre.» Grace lo interruppe. «Scusate, ma cosa diavolo sarebbe una ‘star della mondanità’? Voglio dire, io sono una segretaria, Laurie un produttore, Jerry un assistente produttore, e Ryan, qui, è un super avvocato. Cosa rende qualcuno una star della mondanità?» Laurie sorrise. «Nel caso di Gabrielle Lawson direi che è, in linea generale, una persona di famiglia altolocata che ama frequentare gli eventi mondani e vedere il proprio nome nelle rubriche di gossip.» Soddisfatta Grace con quella risposta, Jerry proseguì: «Il giorno prima che Hunter venisse ucciso, una rubrica di gossip, The Chatter, ha pubblicato una foto di Gabrielle in atteggiamenti intimi con Hunter a

un evento di beneficenza in favore di un’associazione che si occupa di giovani svantaggiati». Allungò a Laurie una stampata della fotografia in questione: Gabrielle guardava Hunter in adorazione. «Forse non è una coincidenza che la giornalista della rubrica fosse Mindy Sampson, la blogger che continua a pubblicare post su Casey da quando è stata scarcerata. Al tempo in cui lavorava per i giornali, Mindy stava praticamente alle costole di Hunter, sostenendo che era tornato a fare il playboy e stava per rompere il fidanzamento con Casey dopo essersi infatuato di Gabrielle, la quale non faceva mistero del suo interesse per Hunter.» Quindici anni dopo, gli insistenti post su Casey pubblicati sul blog di Mindy Sampson erano la ragione per cui Brett voleva passare velocemente alla produzione della puntata. «Ho trovato anche questo articolo di Whispers, uscito la settimana precedente», aggiunse Jerry. «Adoravo quella rubrica», esclamò Grace. «Riportava pettegolezzi sui personaggi più chiacchierati del momento, ma senza mai fare nomi.» Laurie lesse ad alta voce la parte che Jerry aveva evidenziato: «‘Quale scapolo d’oro newyorkese potrebbe tornare disponibile sul mercato invece di andare all’altare?’ E noi pensiamo che si tratti di Hunter?» domandò. «La stampa lo ha pensato di sicuro, dopo l’arresto di Casey», rispose Jerry. «Questo e la fotografia di Hunter con Gabrielle sembrano suggerire che il suo fidanzamento non fosse tutto rose e fiori.» Per quanto riguardava Gabrielle Lawson, Laurie presumeva di sapere quello che avrebbe detto se l’avessero intervistata per la trasmissione. «Gabrielle ha testimoniato al processo di Casey sostenendo che al galà Hunter aveva flirtato con lei. Per la precisione, ha detto che ‘non si comportava come un uomo già impegnato’. Quella sera lei si è avvicinata al loro tavolo, lo ha abbracciato e lo ha baciato. L’accusa se ne è servita come ulteriore prova dell’ipotesi che Hunter stesse per rompere il fidanzamento con Casey.» Dall’espressione impaziente di Jerry, Laurie capì che c’era

dell’altro. «Oggi però noi sappiamo che c’è più di quanto l’avvocatessa della difesa potesse sapere quindici anni fa. Gabrielle Lawson si è sposata e ha divorziato tre volte, e tra l’una e l’altra ha avuto storie di un certo livello che ha sempre ingigantito a beneficio della stampa, reali o immaginarie che fossero. Ha provato spesso ad accalappiare uomini ricchi e potenti, ma è stata sempre respinta. Uno di quelli per i quali si era presa una cotta, il regista Hans Lindholm, ha persino ottenuto un ordine restrittivo contro di lei.» Laurie, Grace e Ryan borbottarono tutti di ricordare vagamente quello scandalo, ma Jerry era pronto con i dettagli. «Stando alla denuncia, Lindholm aveva conosciuto superficialmente Gabrielle al Tribeca Film Festival, dopodiché lei aveva iniziato a spuntare fuori a sorpresa in altri eventi pubblici ai quali lui partecipava. Il regista sosteneva che Gabrielle avesse persino chiamato la responsabile di una rubrica di gossip giurando che stavano cercando un appartamento da comprare per metter su casa insieme.» «Chi era la responsabile della rubrica di gossip?» domandò Laurie, inarcando un sopracciglio. «L’impareggiabile Mindy Sampson. Ovviamente non c’è modo di avere conferma che la sua fonte fosse Gabrielle, comunque il tribunale ha poi effettivamente emesso l’ordine di restrizione.» Grace aggrottò la fronte. «Sembra roba da Attrazione fatale. Forse Gabrielle ha deciso che se non poteva avere Hunter, allora non sarebbe stato di nessuna. Lo ha ucciso e ha fatto ricadere la colpa su Casey.» «Ecco che persino Grace comincia a vedere la storia da un’altra prospettiva», disse Laurie. «Come sapete, incontrerò Gabrielle oggi pomeriggio. E anch’io ho fatto qualche ricerca. Mi sono occupata di Jason Gardner. È l’ex fidanzato di Casey», disse a Ryan. «Aveva iniziato la carriera di consulente finanziario, e alla serata di gala della Fondazione Raleigh era al tavolo prenotato dalla sua ditta.» «A me pare un altro ex insistente», aggiunse Grace. «Ryan», intervenne Jerry, «Grace è la nostra primatista in salto alla conclusione azzardata.»

«O, in altre parole», fece Grace con aria di sfida, «sono l’unica che ha un sesto senso per capire le persone. E sono partita con l’assoluta certezza che Casey fosse colpevole.» «Mi associo», ribatté Ryan. «Però adesso ho aperto gli occhi», dichiarò lei, «e Jason è il mio sospettato numero uno. Pensateci: la tua ex si è appena fidanzata con Mister Primo-della-Classe, e l’enorme azienda per la quale lavori ha dovuto comprarsi un tavolo alla serata di gala in cui Hunter Raleigh sarà al centro dell’attenzione. Una persona normale vorrebbe essere in qualunque altro posto tranne che in quella sala, invece Jason si presenta al galà. Ve lo dico io: quello era geloso.» «Potresti averci visto giusto», concordò Laurie. «Sia Casey sia Angela sostengono che Jason cercava di rimettersi con la sua ex, anche se ormai era fidanzata con un altro. E, come Gabrielle, Jason ha collezionato un po’ di scheletri nell’armadio dopo che Casey è stata accusata di omicidio. Ha fatto scalpore la pubblicazione del suo libro di rivelazioni subito dopo la condanna, ma in seguito ha divorziato due volte, ed entrambe le mogli lo hanno denunciato alla polizia perché, dopo essersene andato, continuava a passare in macchina davanti a casa loro. Ha anche avuto un alterco con il nuovo fidanzato della sua seconda moglie, in un ristorante. Lei sosteneva che avesse un problema di abuso di droga.» Ryan sollevò una mano per interromperla. «Non so proprio come potresti mai convincere Jason o Gabrielle a parlare con me davanti a una telecamera.» Laurie colse una smorfia sulle facce di Jerry e Grace sentendolo dire «me», e fu sollevata quando Jerry intervenne. «Laurie sa essere molto convincente. Chi è innocente collabora perché si fida di noi, e chi non è altrettanto innocente finge di fidarsi di noi perché teme di apparire colpevole.» Nemmeno Laurie avrebbe saputo dirlo meglio. «Se riuscissimo a coinvolgere Gabrielle e Jason, dovremmo avere materiale sufficiente per iniziare la produzione. Dovessero poi saltare fuori nuove piste, potremo sempre fare un secondo giro di interviste.» «Mi sembra un buon piano», disse Ryan.

Ed è il nostro piano, pensò lei, non il tuo. Jerry infilò la penna nella spirale del suo taccuino. «È un gran peccato che non sappiamo altro della questione finanziaria della fondazione.» «Perché?» domandò Ryan. «Perché Casey ci ha detto di avere dei sospetti su Mark Templeton. Ha lasciato la fondazione in un’atmosfera di sfiducia. Secondo lei, Hunter aveva intenzione di richiedere una verifica dei libri contabili.» «Stando a quanto riferivano i media dell’epoca», aggiunse Laurie, «i beni della fondazione erano significativamente diminuiti.» «Questo è molto interessante.» Ryan aveva un tono pensieroso, ma non si spiegò. «Molto interessante.» Non rivelò quali conclusioni gli avesse suggerito quell’informazione. Era veramente un uomo inutile. «Devo scappare», annunciò Laurie. «L’appuntamento con Gabrielle è tra mezz’ora e il suo appartamento è vicino a Gramercy Park.» Fu sorpresa di trovare Ryan ad aspettarla fuori dagli ascensori, pochi minuti dopo. «Ho detto a Brett che avrei lavorato con te alle interviste per la trasmissione. Hai fatto venire un’auto o chiamo il mio autista?»

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PER essere uno che aveva vinto numerosi e difficili processi davanti a una giuria, Ryan sembrava un po’ nervoso. Il suo sguardo saettava dal portone all’ascensore e poi al portiere, che telefonava per annunciarli. «Non sarà certamente la prima volta che parli con un potenziale testimone», sussurrò Laurie. «Ovviamente no, ma di solito si tratta di una persona in arresto o accompagnata dal suo avvocato.» Il portiere annunciò che la signora Lawson li avrebbe ricevuti. «Ultimo piano», disse. Gabrielle Lawson era una di quelle donne che possono avere un’età qualsiasi fra i quaranta e i sessanta, però Laurie sapeva che aveva cinquantadue anni, la stessa età di Hunter Raleigh se fosse stato ancora vivo. Indossava un elegante completo bianco e gioielli d’oro di ottimo gusto, e i capelli rossi erano raccolti in uno chignon perfetto in cima alla testa. Non sembrava molto diversa rispetto a quindici anni prima, quando The Chatter aveva pubblicato la fotografia in cui lei guardava amorevolmente Hunter Raleigh. Dopo un quarto d’ora di conversazione, Laurie era riuscita a incrociare solo due volte lo sguardo della donna, sempre fisso su Ryan, di vent’anni più giovane. Da tutto quello che aveva letto su di lei, Laurie sapeva che Gabrielle era totalmente votata agli uomini di successo, preferibilmente belli, e Ryan corrispondeva alla descrizione. In effetti, ignorò la domanda di Laurie sul modo in cui aveva salutato Hunter al galà della Fondazione Raleigh e si mise invece a interrogare Ryan. «Come è passato da commentatore televisivo a produttore?» domandò. «In realtà io non sono…» «… solo un produttore», intervenne Laurie, interrompendo la precisazione di Ryan. «È anche la nuova star della trasmissione. Sarà

lui a lavorare dall’inizio alla fine con tutti i partecipanti. È l’anima stessa di Under Suspicion, in sostanza.» Magari essere l’anima di una trasmissione televisiva come la sua non poteva competere con il pluripremiato regista cinematografico che Gabrielle aveva ossessivamente corteggiato, però forse era abbastanza perché si sdilinquisse per lui. Sperava che Ryan avrebbe colto il suggerimento e utilizzato quella palese dinamica in loro favore, invece lui chiese a Gabrielle la conferma che si era sposata e aveva divorziato tre volte. «Non vedo il motivo di dilungarsi su questo», disse lei dolcemente. «Quello che in realtà Ryan voleva sapere era, credo, se la sera del galà della fondazione lei è andata a salutare Hunter.» Era la stessa domanda che le aveva già fatto, ma Gabrielle parve sentirla per la prima volta, ora che era stata attribuita a Ryan. «Vediamo un po’… ho parlato con Hunter quella sera? Be’, certo che sì. Per un bel po’.» Laurie le fece notare che l’avvocato difensore di Casey aveva chiesto a tutti i testimoni dell’accusa se avessero visto Hunter e Gabrielle insieme. Nessuno li aveva visti, a parte quando Gabrielle era andata da Hunter, al tavolo della sua famiglia, e gli aveva gettato di slancio le braccia al collo. Si trattava di minare la teoria dell’accusa secondo la quale Casey aveva ucciso Hunter perché lui intendeva rompere il fidanzamento per stare con Gabrielle. L’avvocatessa di Casey non aveva mai avanzato l’ipotesi che Gabrielle potesse essersi approfittata di quel momento per mettere qualcosa nel bicchiere di Casey. «Cercavamo di essere discreti», disse Gabrielle modestamente. «Hunter non lo aveva ancora detto a Casey. Era molto signorile, non avrebbe mai messo in imbarazzo nessuno. Avrebbe rotto il fidanzamento senza clamore e poi avremmo reso pubblico il nostro rapporto dopo un adeguato periodo di tempo.» «Mi sembra ragionevole», disse Laurie, anche se non credeva a una sola parola. «E visto che tenevate la cosa per voi, come ha fatto Mindy Sampson ad avere una fotografia di voi due insieme a un precedente evento di beneficenza?»

Gabrielle sorrise con aria timida, come se stessero spettegolando tra amiche. «Be’, lo sa com’è. Certe volte c’è bisogno di una spintarella. Non immaginavo che quella fotografia potesse causare la morte di Hunter, altrimenti non l’avrei mai fatto.» «Quindi lei ammette di aver passato la fotografia a Mindy», disse Ryan, come per incastrare un testimone in un controinterrogatorio. Laurie ebbe un sussulto ma si trattenne. Quell’affermazione era troppo forte ed esplicita, Alex non avrebbe mai fatto un errore così. Com’era prevedibile, Gabrielle immediatamente negò. «Santo cielo, no. Ho visto che arrivava un fotografo e mi sono avvicinata a Hunter per lo scatto, tutto qui.» Laurie tentò subito di recuperare l’atmosfera confidenziale con Gabrielle. «E che mi dice di Casey? Ho sentito dire che era un disastro alla serata di gala.» «Dire che era malmessa sarebbe un eufemismo», rispose Gabrielle. «Era palesemente drogata, parlava biascicando e quasi cadeva per terra. Era imbarazzante. Hunter era sconvolto, l’ho visto benissimo.» «Sconvolto quanto Hans Lindholm quando ha richiesto un’ordinanza restrittiva contro di lei?» domandò Ryan beffardo. Gabrielle lo guardò malissimo. «Lei è succulento come una pesca, ma sua madre avrebbe dovuto insegnarle un po’ di buone maniere, signor Nichols.» Laurie intervenne offrendo scuse e il suo più caldo sorriso. «Ryan ha studiato da avvocato», scherzò. «Alla facoltà di Legge non si dedica molto tempo all’insegnamento del galateo.» Gabrielle rise. «Lo vedo.» «Milioni di persone guardano la nostra trasmissione. Lei sarebbe disponibile a condividere il suo punto di vista con gli spettatori?» domandò Laurie. Gabrielle esitò, gettando un’occhiata scettica a Ryan. «Sarebbe fondamentale per bilanciare la posizione di Casey, che si dichiara innocente», insistette Laurie. «Nel programma noi vogliamo essere sicuri di ascoltare entrambe le donne che facevano parte della vita di Hunter.» Gabrielle si illuminò a quella definizione. «Certamente», disse. «Lo

devo a lui. È per questo che i miei matrimoni non sono mai durati: non potevo rimpiazzare il mio Hunter.» Mentre firmava sulla riga tratteggiata, Gabrielle sorrideva ancora. Ritornando all’ascensore, Laurie pensò che avrebbe tanto voluto Alex lì con lei. Ora la presenza di Ryan la infastidiva, invece ad Alex aveva chiesto spesso di partecipare a quelle interviste preliminari. Se fosse stato lui ad accompagnarla, si sarebbero subito scambiati le loro opinioni, ma non aveva il minimo interesse ad ascoltare quelle di Ryan, perciò ripassò mentalmente le proprie. Credeva alla descrizione delle pessime condizioni di Casey alla serata di gala, che però erano compatibili con la teoria che fosse stata drogata a sua insaputa. Invece non credeva che Gabrielle avesse una relazione intima con Hunter. Era certa che fosse stata complice di Mindy Sampson per far uscire sui giornali la fotografia di loro due insieme. Ma ne era ossessionata al punto da ucciderlo? Non ne aveva idea. Le porte dell’ascensore non fecero in tempo a chiudersi che Ryan la aggredì. «Non scusarti mai più con qualcuno per mio conto e non fare battute su di me. Io sono bravo nel mio lavoro.» «Avresti dovuto essere tu a scusarti, anche con me. Sarai anche un bravo avvocato in tribunale, ma adesso hai scelto un mestiere che sembri non essere molto interessato a imparare. Stavi per mandare a monte l’intervista», ribatté Laurie. «E tu la chiami un’intervista? Io la definirei piuttosto una chiacchierata senza sostanza.» «Gabrielle ha accettato di partecipare alle riprese, cosa che solo un’ora fa secondo te era impossibile. Noi non siamo procuratori federali, non possiamo emettere mandati di comparizione: otteniamo che le persone vengano a testimoniare mostrandoci cordiali e rassicuranti, non sarcastici e ostili. Le domande difficili si fanno dopo, durante le riprese.» «Ma per favore, quella donna non sa niente di rilevante. Hunter Raleigh è stato ucciso da Casey Carter. Punto e basta.» Laurie uscì dall’edificio camminando tre passi avanti a lui, e salì nell’auto che li aspettava. «Hai parecchio da imparare e nemmeno lo

sai. Se mandi all’aria questo caso, non m’interessa quanti dei tuoi parenti conoscono Brett: io con te non ci lavorerò più. E adesso mi prendo la tua macchina per andare alla mia prossima intervista.» Chiuse la portiera di colpo piantando in asso Ryan sul marciapiede. Sentiva ancora il viso in fiamme quando diede all’autista l’unico indirizzo che conosceva di Jason Gardner.

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QUINDICI anni prima, Jason Gardner aveva partecipato alla serata di gala da Cipriani in veste di giovane e promettente analista in una delle più grandi banche di investimento al mondo. Con quelle premesse, Laurie si aspettava che l’ex fidanzato di Casey fosse diventato un dirigente che maneggiava fondi speculativi per miliardi di dollari. Invece quando arrivò all’indirizzo indicato sul suo profilo LinkedIn si trovò davanti a un minuscolo ufficio in un polveroso palazzo affacciato sull’entrata dell’Holland Tunnel. Lo studio si chiamava Gardner-Gestione Patrimoni, ma a giudicare dall’arredamento economico Laurie sospettava che il patrimonio di Gardner fosse ben poca cosa. L’impiegata alla reception stava leggendo una rivista di gossip e masticava una gomma. Quando Laurie le disse che cercava il signor Gardner, la donna accennò con la testa all’unica altra persona presente nell’ufficio. «Jason, c’è la signora Moran.» Il curriculum di Jason non era la sola cosa che avesse subito un tracollo negli ultimi quindici anni. L’uomo che si alzò in piedi alla scrivania nell’angolo in fondo all’ufficio aveva solo quarantadue anni, ma profonde rughe e occhi arrossati. Non assomigliava affatto al bel ragazzo nella fotografia in quarta di copertina del suo libro, La mia storia con Casey la Pazza. Laurie sospettava che la droga e l’alcol di cui le sue ex mogli avevano parlato alla polizia fossero ancora un problema per lui. «Posso fare qualcosa per lei?» le domandò. «Vorrei farle qualche domanda su Casey Carter.» Il suo viso invecchiò all’improvviso di un’altra decina d’anni. «Ho letto che è uscita. Incredibile come questi quindici anni siano volati.» Lo sguardo di Jason era perso in un punto lontano, come se stesse guardando il tempo passare. «Non credo siano volati per Casey», puntualizzò Laurie.

«No, immagino di no.» Lei non aveva avuto modo di leggere per intero il libro di Jason, ma lo aveva sfogliato quanto bastava per sapere che l’uomo aveva dato una vera e propria coltellata alla schiena della ex fidanzata per il suo personale tornaconto. Il libro descriveva una giovane donna ambiziosa e assetata di potere che dopo molti tira-e-molla aveva dato il benservito al suo ragazzo quando aveva messo gli occhi su Hunter Raleigh. Laurie tirò fuori il volume dalla valigetta. «Qualcuno sarà rimasto sorpreso dalla sua decisione di scrivere questo. A quanto ho sentito, lei era molto innamorato di Casey.» «La amavo», rispose lui mestamente, «questo è vero. Era schietta, energica, divertente. Non ho idea di come sia ora, ma a quel tempo averla vicino mi faceva sentire più vivo. Tuttavia, a volte una personalità così ha i suoi svantaggi: c’è un confine sottile tra la spontaneità e il caos. In un certo senso, Casey era un tornado.» «Cioè?» Lui si strinse nelle spalle. «È difficile descriverla. Sembrava che percepisse ogni cosa in modo eccessivo. Il suo interesse per l’arte? Lei non si limitava ad apprezzare un dipinto, si commuoveva fino alle lacrime. Se sul lavoro riceveva un commento negativo se ne preoccupava per tutta la notte, domandandosi che cosa avesse fatto di male. Ed è andata così anche con me. Quando ci siamo conosciuti all’università sembravamo anime gemelle. Poi si è trasferita a New York e io ho sperato che lo facesse per me, invece lei evidentemente teneva di più al suo lavoro da Sotheby’s. In seguito si è iscritta a una serie di corsi per prendere la specializzazione e ha iniziato a parlare di progetti per aprire una galleria sua. Nel frattempo continuava a domandarmi perché non mi impegnavo di più sul lavoro, o perché qualcuno veniva promosso passandomi davanti. Come se non fossi abbastanza per lei. Quando poi mi ha mollato ha detto che voleva ‘un periodo di pausa’, e io ho immaginato che fosse un altro dei nostri momenti no. Invece due settimane dopo vedo una sua fotografia insieme a Hunter Raleigh sulle pagine di costume e società. Mi ha spezzato il cuore. Avevo la testa per aria, e i problemi che già c’erano

sul lavoro si sono ingigantiti con un effetto valanga. Come può vedere, non sono esattamente nel Taj Mahal.» Sembrava voler incolpare Casey per la propria rovina. C’era ragione di credere che incolpasse anche Hunter. «Eppure so che ha cercato di rimettersi con lei, anche dopo che il suo fidanzamento era stato annunciato.» «Ha delle buone fonti. È successo una sola volta, e la colpa era di una gran quantità di whisky. Le ho detto che un tipo snob come Hunter le avrebbe spremuto via ogni grammo di vita. Non potevo certamente sapere che la situazione si sarebbe ribaltata.» «Lei ritiene che Casey lo abbia ucciso?» Per quanto ne sapeva lei, nel libro di Jason non c’era nessuna opinione esplicita sulla colpevolezza di Casey. «Ammetto che intitolare il libro La mia storia con Casey la Pazza è stata un po’ una scorrettezza. A essere sinceri, è stata la Arden Publishing a insistere. Ma Casey aveva la testa dura, e un bel caratterino. Quando andavamo in giro, lei montava su tutte le furie se parlavo con un’altra donna. Posso solo immaginare che cosa avrebbe fatto se Hunter avesse cercato di mollarla come lei aveva fatto con me.» Quando Laurie se ne fu andata, Jason aspettò di sentir scendere l’ascensore e poi chiese a Jennifer – l’ultima di una lunga serie di segretarie incompetenti, ma disponibili a lavorare per lo stipendio che lui poteva permettersi di offrire – di prendersi una pausa. Uscita anche lei, Jason tirò fuori un numero di telefono che non componeva da anni. Il suo agente rispose e lo mise brevemente in attesa. L’uomo che alla fine prese la chiamata non sembrava felice di sentirlo. «È venuta da me una produttrice televisiva a farmi domande su Casey», spiegò Jason. «È per una trasmissione che si chiama Under Suspicion. Vogliono intervistarmi. Cosa ne pensi?» «Firma le carte. Va’ alla trasmissione. Potresti vendere altri libri.» «La produttrice non mi farà fare una bella figura.» «Quale sarebbe la novità? Firma le carte e basta.» Jason era disgustato quando riagganciò. Aveva detto la verità a Laurie Moran. Lui aveva veramente amato Casey. Ma poi la donna

che amava era stata arrestata per omicidio, e non c’era nulla che lui potesse fare per lei. Poteva solo fare qualcosa per se stesso, e lo aveva fatto. E adesso si detestava per quello. Aprì il primo cassetto della scrivania, prese un antidolorifico dalla scorta sempre più esigua, e cercò di non pensare più a Casey.

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IL Tiro a Segno era diverso da tutti gli altri poligoni di tiro privati che Laurie aveva visto. Al centro di una schiera di tre comunissime case di arenaria in MacDougal Street nel Greenwich Village, il circolo sembrava più una casa privata, degna di nota solo per la bandiera italiana che sventolava orgogliosamente all’entrata. Una volta dentro, Laurie notò arredi in cuoio e mogano, e un biliardo. Nessun’arma in vista. Gli odori erano di aglio e origano, non di polvere da sparo. «Non è come se lo immaginava, vero?» domandò il padrone di casa. «Non mi stanco mai di vedere l’espressione sorpresa dei nuovi ospiti.» «Grazie per avermi permesso di venire così all’improvviso, signor Caruso.» Aveva telefonato al circolo appena uscita dallo studio di Jason Gardner, a pochi isolati da lì. «Come le accennavo, la mia squadra di produzione ha saputo che il suo circolo era uno dei posti preferiti di Hunter Raleigh per esercitarsi su un bersaglio.» «La prego, mi chiami Antonio. E mi ha fatto piacere poterle essere d’aiuto. Lei mi parla di trasmissione televisiva e la mia reazione è: ‘Aaah, le telecamere non ci piacciono molto’. Ma poi mi dice che vuole sapere di Hunter Raleigh. Era una brava persona, un vero gentiluomo. E poi, ciliegina sulla torta, lei è la figlia di Leo Farley. Ovviamente è la benvenuta qui. Suo padre è membro onorario a vita.» Fatta eccezione per i delinquenti che aveva arrestato nel corso della sua carriera, forse, chiunque avesse conosciuto suo padre lo considerava un amico. Laurie era andata al Tiro a Segno per fare domande su Hunter e Casey, ma adesso che era lì comprendeva perché Grace l’avesse suggerito come ambientazione ideale per le riprese. «Posso capire come mai il suo circolo sia tanto amato, Antonio.» «Nel corso degli anni è cambiato, certo, una volta non eravamo così eleganti. Alcuni dei vecchi clienti ancora si lamentano che non ci

sia più il campo di bocce. Oggigiorno vengono più per il cibo e il vino, e per socializzare, ma ovviamente giù di sotto abbiamo ancora il poligono di tiro. Facciamo solo tiro al bersaglio, come forse saprà. E niente pistole, solo fucili.» «Hunter ha mai portato qui la sua fidanzata, Casey Carter?» domandò Laurie. Un’ombra passò veloce sul viso di Antonio. «Sì, certo. Che fine terribile. Naturalmente ha portato qui molte donne prima di fidanzarsi», aggiunse. «Ma stando con Casey aveva smesso di comportarsi da scapolo?» «Così pareva. La seconda volta che li ho visti insieme ho detto a Hunter: ‘Dovresti organizzarlo qui, il matrimonio’, e lui ha sorriso e basta. Lo conosce il detto ‘Chi ama me, ama il mio cane’? In effetti non si tratta tanto del cane, significa amare qualcuno per quello che è, pregi e difetti. Era questo che sentiva Hunter per Casey.» «Mi perdoni se cerco un significato ulteriore nelle sue parole, Antonio, ma sembra che lei stia alludendo ai difetti di Casey.» Lui si strinse nelle spalle. «Come ho detto, è stata una fine terribile.» Laurie aveva già capito che nessuno le avrebbe fatto un ritratto imparziale di Casey da giovane. Nella testa di chiunque, i ricordi erano stati irrimediabilmente alterati dal fatto che lei era stata condannata per l’omicidio di Hunter. «Ho sentito dire che Casey era piuttosto brava nel tiro al bersaglio», disse Laurie. «Ha sentito bene. Hunter scherzava dicendo che lei ci s’impegnava solo perché era la persona più competitiva del mondo. Era stata un’atleta in passato, a quanto ricordo.» «Giocava a tennis», spiegò Laurie. «Quando studiava.» «Esatto. Hunter diceva che sul campo da tennis lei lo faceva a pezzi, e per non essere mai da meno stava cercando di uguagliarlo nel suo sport. Era un’ottima tiratrice.» «La polizia ha trovato fori di proiettile nelle pareti del soggiorno e della camera da letto dove Hunter è stato ucciso. Non le sembra strano che Casey lo abbia mancato due volte?»

«Difficile a dirsi. Qui usiamo solamente bersagli fermi, non l’ho mai vista fare tiro a volo o comunque a un bersaglio mobile. È molto più difficile di quanto creda la gente. È per questo che nei corsi di autodifesa dicono che davanti a una persona armata la cosa migliore è scappare, specialmente seguendo percorsi imprevedibili. E poi l’adrenalina e, a quanto ricordo, la droga possono aver compromesso le sue capacità. Quindi il fatto che lo abbia mancato non è significativo né in un senso né nell’altro», aggiunse con un sorriso. Laurie ringraziò ancora Antonio per il tempo che le aveva dedicato e promise di portare a Leo i suoi saluti. Per quanto riguardava la trasmissione, qualche immagine di quel tesoro nascosto nel Greenwich Village poteva servire per alcuni secondi di colore locale, ma non aveva fatto passi avanti nella ricerca di chi aveva assassinato Hunter Raleigh.

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IN attesa di Gabrielle, Mindy Sampson si accomodò a un tavolino appartato del Rose Bar al Gramercy Park Hotel. C’era stato un tempo, non tanti anni prima, in cui ogni persona presente, dalla direttrice di sala all’entrata fino alla famosissima attrice nel séparé alla sua destra, avrebbe riconosciuto il suo viso. Per oltre vent’anni la sua fotografia aveva campeggiato in cima a The Chatter, una tra le rubriche di gossip più lette di New York. Ogni anno, puntuale come un orologio svizzero, si faceva un nuovo primo piano, ma sempre con un trucco delicato, il rossetto rosso scuro e i capelli del loro nero corvino naturale. Quel look era la sua icona. Prima di tutti i vari Kardashian, Kanye e Gwyneth, Mindy Sampson aveva compreso l’importanza di rendersi un marchio riconoscibile. E il marchio di Mindy dettava legge. A chi stava meglio quell’abito? Quali celebri coppie andavano applaudite e quali fischiate? Il playboy miliardario era colpevole o era vittima di una falsa accusa? Mindy aveva sempre la risposta. Quelli erano i tempi in cui i giornali lasciavano ancora le dita sporche di inchiostro. Poi era venuto il giorno in cui il suo caporedattore le aveva detto di «lasciar stare» la tradizionale nuova fotografia annuale per la rubrica. Forse ci sarebbero stati dei «cambiamenti», l’aveva avvisata. Mindy ormai era celebre per il gossip, ma aveva ancora l’istinto da giornalista. Aveva visto che cosa stava succedendo in redazione. I soldi della pubblicità scarseggiavano, il giornale si assottigliava di mese in mese, e così pure lo staff. I veterani, che in passato erano considerati la colonna portante, adesso erano troppo costosi per poterli tenere a libro paga. Gli stagisti universitari erano disponibili a lavorare gratis e i neolaureati non costavano molto di più. Un mese dopo le avevano dato «la notizia». Avrebbero affidato la sua rubrica, quella che lei aveva creato, coltivato e firmato, alla

«redazione». Niente firma, niente fotografiaicona. Mindy sapeva che quando dicevano «la redazione» intendevano «veline di agenzia». Non se n’era andata senza fare storie. Aveva minacciato di denunciarli per discriminazione di genere. Per discriminazione di età. Aveva persino tentato la carta della potenziale disabilità per una sindrome da dolore cronico. Al giornale credevano di avere davanti anni di cause in tribunale e uno scandalo pubblico, ma poi lei aveva detto al suo avvocato di volere solo due cose: sei mesi di stipendio come indennità di fine rapporto, e il nome. Che chiamassero la loro rubrichetta annacquata come preferivano, lei avrebbe portato via con sé il marchio «The Chatter». Al giornale potevano anche liquidarla come una della vecchia guardia ormai in declino, però non era la prima volta che Mindy veniva sottovalutata. Aveva capito prima di loro che i nuovi media erano in rete, e i soldi dell’indennità le erano serviti a lanciare un sito web, diventando lei stessa quella che ingaggiava stagisti non pagati. Adesso, invece di avere uno stipendio, guadagnava grazie alla vendita di spazi pubblicitari, ai lettori che cliccavano sulle pubblicità, e alla promozione di prodotti. E invece di vedere le sue parole passate al vaglio da più livelli di redattori, poteva pubblicare in tutto il mondo semplicemente premendo un pulsante. Proprio in quell’istante cliccò sopra il tasto di invio del suo smartphone. Una nuova storia era stata lanciata, così, mentre aspettava Gabrielle Lawson. Di tutte le personalità che Mindy aveva conosciuto nel corso degli anni, Gabrielle era tra le più teatrali. Si comportava come una diva di Hollywood vecchia maniera. E conduceva anche lo stesso tenore di vita, grazie a un fondo fiduciario di uno zio ricco che non aveva avuto figli, per non parlare degli alimenti che riceveva in seguito a tre divorzi. Era lucida e funzionale, ma sembrava vivere in una realtà parallela in cui la sua ingigantita percezione di sé la faceva da padrona. Per esempio, quando aveva qualcosa da raccontare a Mindy non poteva semplicemente dirglielo al telefono o per e-mail. Preferiva incontrarla al tavolino appartato di un bar. Nel suo universo alternativo, Mindy era il Bob Woodward che aveva sbattuto sui media

lo scandalo Watergate e lei la sua «Gola Profonda». Che notizie le avrebbe portato quel giorno? Quando Gabrielle arrivò, passarono qualche minuto a sorseggiare champagne e chiacchierare del più e del meno. Come sempre, Mindy le garantì che avrebbe pubblicato una sua foto lusinghiera. Non era una promessa difficile da mantenere, Gabrielle era stata per lei un’ottima fonte nel corso degli anni e non voleva certo scontentarla. In quella particolare occasione, però, l’incontro clandestino si stava rivelando una perdita di tempo. Gabrielle non le disse niente che lei non sapesse già: quando si parlava di Casey Carter, Mindy non era mai a corto di informazioni.

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QUELLA sera a cena, l’appartamento di Laurie profumava di burro, di timo e di pollo arrostito alla perfezione. «Che bellissima sorpresa, papà.» Leo avrebbe dovuto andare a una rimpatriata con alcuni suoi ex colleghi della polizia alla Gallagher’s Steakhouse, ma con sua grande sorpresa Laurie, rientrando, lo aveva trovato a casa e con la cena calda in forno. La serata fra uomini era stata annullata perché due amici del padre, ancora in servizio, erano stati chiamati a Times Square, dove era stato segnalato un furgone incustodito con dentro un pacco sospetto. Due ore dopo, il dipartimento di polizia di New York aveva annunciato che si trattava di un falso allarme: il conducente del furgone aveva inavvertitamente lasciato acceso il motore mentre faceva un salto da sua sorella per dare un giocattolo alla nipotina, e poi si era trattenuto con la famiglia. La città era al sicuro, e Laurie si era potuta godere una deliziosa cena fatta in casa. Timmy le stava riferendo, tutto affannato, le notizie che erano arrivate a Leo per telefono durante il tardo pomeriggio. «Mamma, hanno evacuato tre isolati… nel bel mezzo di Times Square! C’erano i furgoni dell’unità speciale antiterrorismo e cani anti-bomba. E il nonno sapeva tutto prima ancora che i telegiornali ne parlassero.» Leo allungò una mano e diede una pacca sulla spalla di Timmy, ma aveva l’aria malinconica. Quando il nipote chiese di potersi alzare da tavola, Laurie domandò al padre: «Ti manca? Il lavoro, essere al centro dell’azione?» Gli aveva fatto la stessa domanda un centinaio di volte negli ultimi sei anni. La sua risposta era sempre stata una qualunque variazione sul tema: «il miglior lavoro che abbia mai avuto è aiutarti a crescere mio nipote». Invece quella sera fu completamente sincero. «Certe volte sì. Mi ricordo quell’orribile giorno nel 2001. Sapevamo tutti che il mondo stava cambiando in modo inimmaginabile, ma avevo la

sensazione di essere utile. Stasera ho preparato il pollo. È una vita più tranquilla.» Laurie non seppe cosa dire, perciò rimase in silenzio, e prima di sparecchiare la tavola gli diede un bacio sulla guancia. Non si stupì quando il padre la seguì in cucina e le domandò come andassero le cose con la trasmissione. Trovò difficile spiegargli le diverse sensazioni che provava. Da un lato, era stata fortunata a far combaciare tanti pezzi così in fretta. Gabrielle e Jason erano entrambi credibili come sospettati. Grazie ai rapporti della polizia al tempo del delitto, sapeva che tutti e due avevano dichiarato di essere tornati a casa da soli dopo la serata di gala, quindi entrambi avrebbero potuto andare in Connecticut e uccidere Hunter. Però mancavano ancora prove decisive che indicassero un colpevole diverso da Casey. «Non so, papà, magari avevi ragione tu. Potrei non avere granché da aggiungere all’indagine originaria, dopotutto.» Lui si appoggiò di schiena al bancone della cucina e incrociò le braccia. Per Laurie lui era ancora quello fermo nella sala riunioni della polizia, pronto a fare l’appello della sua squadra, nella giornata annuale del «Porta tua figlia al lavoro con te». Non riusciva a credere che da allora fosse passato un quarto di secolo. «Guarda», le disse, «a mio parere il sistema funziona nel 99,9 per cento dei casi, e questo significa che, sì, secondo me ci sono pochissime possibilità che quella donna sia innocente. Però sono anche tuo padre, perciò alla fine sono dalla tua parte. Ogni volta che produci uno special ti ritrovi travolta da una quantità di storie che s’incrociano. Riesci sempre a trasformare tutto in una trasmissione appassionante, e al contempo raddrizzi un’impressionante quantità di torti. Tieni dunque a mente che il tuo obiettivo principale è realizzare un pezzo televisivo bello e corretto. Lascia che siano gli spettatori a decidere che cosa pensano di Casey.» Era un buon consiglio, ma il suo stesso desiderio di verità trovava sempre il modo di prendere il sopravvento. «Forse avrei dovuto fare la poliziotta.» «Troppo ribelle», disse lui ammiccando. «E poi sarà Timmy il prossimo membro della famiglia a portare il distintivo. Aspetta e

vedrai. Hai fatto esaminare ad Alex qualcuno dei tuoi potenziali sospettati? Lui è sempre stato un buon socio per te.» «Lo è stato in passato», fece lei. «Adesso che non lavora più per gli studios, non so nemmeno se lo annoio parlando di lavoro.» Leo scosse la testa. «Quando accetterai il fatto che niente di quello che gli proponi può annoiarlo? Alex ci tiene a te. Se lo coinvolgi, sono sicuro che sarà più che felice di darti retta.» Alex ci tiene a te, pensò Laurie. Se lo coinvolgi… Quelle parole le risuonarono in testa e poi, all’improvviso, ecco che stava piangendo. Il padre le mise subito le mani sulle spalle. «Laurie, tesoro, cosa c’è che non va?» «Io ci ho provato, papà. Non sai quanto ci ho provato a coinvolgerlo.» Il padre la tenne stretta tra le braccia e le disse che era tutto a posto, ma lei era sopraffatta da un’ondata di emozioni. La sera in cui Alex le aveva detto che intendeva lasciare la trasmissione. Il momento in cui Brett aveva comunicato di voler assumere il nipote del suo migliore amico. La stanchezza dei tanti giorni in cui, ultimamente, aveva lavorato dalla mattina fino alla sera tardi. E infine quella sensazione nello stomaco che non riusciva a scacciare, l’idea che Alex le avesse mentito. «Quando ho cercato di parlare con lui del caso, nel suo appartamento, sembrava a disagio. Ho pensato di averlo fatto sentire in colpa lamentandomi di Ryan. Però poi è venuto fuori che lui conosceva la cugina di Casey, Angela.» Le parole le uscivano di bocca senza controllo. «E che aveva incontrato Hunter e la sua famiglia a un ricevimento in campagna tra avvocati. E quando lunedì gli ho chiesto di parlarmene, è stato… evasivo. Ho capito che mi stava nascondendo qualcosa.» «Vuoi che lo chiami? Che gli parli da uomo a uomo?» Laurie rise e si asciugò le lacrime. «Quante volte ti devo dire che una donna adulta non può farsi risolvere tutti i problemi dal papà?» «Questa volta è diverso, Laurie. Conosciamo Alex, è un uomo buono e onesto.» «Lo so. Ma sei tu quello che mi ha insegnato a fidarmi sempre del mio istinto. E credimi: c’è un motivo se Alex non vuole che gli parli di

questo caso. Nasconde qualcosa.» Il padre stava per lanciarsi in un’altra difesa di Alex quando Timmy entrò di corsa in cucina. Teneva sollevato l’iPad tra le sue manine, ancora così piccole che ci volevano tutte e due per reggerlo. «Ehi, mamma, ho una cosa per te.» L’ultima volta che le aveva dato l’iPad l’aveva fatta appassionare a un gioco in cui le piante combattevano contro gli zombie. Ora come ora non poteva permettersi certe distrazioni. «Non credo di essermi guadagnata tanto tempo libero da poter giocare a un nuovo gioco, Timmy.» «Non è un gioco», insistette lui. «Ho attivato Google Alert inserendo il tuo nome, e c’è un nuovo risultato. Una blogger che si chiama Mindy Sampson ha scritto qualcosa sul prossimo special della tua trasmissione.»

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Casey la Pazza sta giocando col fuoco? Salve, amici di The Chatter. Avete seguito le stravaganti avventure di Katherine «Casey» Carter dopo che è volata via dalla gabbia? Be’, io sì, e Casey ha avuto tantissimo da fare. Non è certo da tutti gli ex galeotti andare direttamente dalla prigione al più vicino centro commerciale per passare la giornata a fare shopping. Dove aveva mai intenzione di sfoggiare il suo nuovo guardaroba? Ce lo siamo domandato tutti. Invece di voler fare ritorno in società, Casey sembra essere di nuovo in caccia di qualcosa: questa volta non si tratta di abiti eleganti, ma di qualcuno che possa credere alle stesse fiacche prove della sua innocenza che continua a propinarci fin dalla notte in cui è stata beccata con le mani sporche di sangue. Il sangue di Hunter Raleigh. All’inizio pareva che avesse trovato la credulona di turno in Laurie Moran, la produttrice di Under Suspicion. La trasmissione, che riapre le indagini su vecchi omicidi irrisolti, sta avendo un gran successo, e ha invertito le sorti di casi che da tempo erano stati liquidati come disperati. The Chatter è in grado di affermare che Casey ha incontrato personalmente la Moran tre volte da quando è uscita di prigione: una a casa sua e due nell’ufficio della Moran al Rockefeller Center. Riuscire a farsi prendere sotto l’ala protettiva di un marchio con una così buona reputazione sarebbe un gran bel colpo per Casey. Ma un momento, non precipitiamo le cose! La Moran si starà anche mostrando gentile con Casey, ma a quanto pare ha altre frecce al proprio arco.

Laurie sentiva che il padre stava leggendo anche lui in silenzio, da sopra la sua spalla. «Già l’abuso di metafore dovrebbe essere considerato un crimine», mormorò lei. «Sssh», la sollecitò Leo. «Continua a leggere.» Casey avrà forse creduto che la produttrice televisiva volesse presentare la sua

versione della storia, però forse dovrebbe riconsiderare la cosa. A quanto pare, la sua nuova amichetta Moran è andata a parlare con certi personaggi notoriamente anti-Casey come Gabrielle Lawson e Jason Gardner. I più attenti amici di The Chatter si ricorderanno che questi ben informati testimoni hanno rilasciato dichiarazioni incriminanti al processo. La Lawson era l’elegantissima signora pronta a prendere il posto di Casey accanto a Hunter davanti all’altare. L’insensibile Jason era il suo ex ragazzo, che ha vuotato il sacco raccontando come Casey avesse problemi di gestione della rabbia. Con amici così, a che servono i nemici? Dodici giurati hanno unanimemente ritenuto che Casey abbia ucciso Hunter in un accesso di rabbia dopo che lui aveva rotto il loro fidanzamento. Senza un avvocato difensore accanto, una giornalista di successo come Laurie Moran potrebbe riuscire a convincere tutti che Casey in realtà se la sia cavata con poco, altro che omicidio colposo. Casey, se stai leggendo: tu forse credi che una trasmissione televisiva possa aiutarti a voltare pagina, ma faresti meglio a ripensarci. Credi veramente che Gabrielle e Jason cambieranno le loro versioni? Forse stai giocando con il fuoco. The Chatter ti consiglia di restare a casa, e di restare in silenzio.

Laurie premette il tasto alla base del tablet per oscurare lo schermo, quindi restituì l’iPad al figlio. «Mamma, come fa questo sito web a sapere tante cose della tua trasmissione? Sono tutte vere queste informazioni?» Ogni singola parola, pensò Laurie. Sapeva già, o quantomeno sospettava, che Gabrielle avesse l’abitudine di passare informazioni a Mindy Sampson, ma il pezzo conteneva più di quello che lei da sola poteva sapere. Gabrielle sapeva che Laurie aveva intenzione di trattare il caso di Casey nella prossima puntata. E probabilmente poteva supporre che qualunque produttore televisivo responsabile avrebbe parlato con l’ex fidanzato, autore di un libro scandalistico. Ma quante volte Laurie e Casey si erano viste, e dove? Se qualcuno era capace di indovinare le cose con tanta precisione, avrebbe dovuto puntare alle corse dei cavalli. Mentalmente ripercorse tutto l’articolo, pensando che non aveva idea di chi avesse potuto passare a Mindy Sampson informazioni

riservate sulla sua trasmissione. E poi a un tratto le tornò in mente un episodio accaduto solo poche ore prima. «Sarai anche un bravo avvocato in tribunale, ma adesso hai scelto un mestiere che sembri non essere molto interessato a imparare.» Ryan Nichols. Stava forse cercando di darle una lezione? Laurie tentò immediatamente di scrollarsi di dosso quell’idea, dicendosi che era paranoica, ma Grace, Jerry e Ryan erano le sole persone che potevano aver fatto trapelare tutte quelle informazioni. Su Grace e Jerry avrebbe potuto scommettere la sua stessa vita, invece del nuovo conduttore non sapeva niente, a parte il fatto che desiderava così disperatamente stare davanti a una telecamera da lasciare una promettente carriera legale per dedicarsi alla televisione. Stava forse passando informazioni riservate per generare gossip e così alimentare più interesse per la trasmissione? Forse quello era il primo passo per farle le scarpe ed estrometterla? Il migliore amico di suo zio, Brett, premiava sempre quelli che avevano iniziative vincenti per alzare gli indici d’ascolto. Come si suol dire, solo perché sei paranoico, non significa che non ti vogliano fregare. Laurie si stava ancora domandando se dovesse fidarsi di Ryan quando il cellulare, appoggiato sul bancone della cucina, squillò. Era Alex. Per la prima volta da quando lo conosceva, esitò ad accettare la chiamata. Alla fine, dopo tre squilli e mezzo, rispose con un: «Ehilà». «Ehilà a te.» «Com’è andato il tuo discorso all’Università di New York?» Non si erano più parlati dopo che Laurie era piombata in studio da lui a fargli domande sui suoi precedenti rapporti con la famiglia Raleigh. «Bene. Il mio amico aveva un sorriso a trentadue denti per la cattedra intitolata a lui. A me sembra solamente un titolo come un altro, ma mi ha fatto piacere che gli venisse riconosciuto. Tu saresti rimasta più colpita dal cibo, credo. C’erano le cupcake di quella famosa pasticceria che ti piace tanto.» «Sono deliziose, e pure stupende da vedere, come si fa a non amarle?» Le parve di sentirlo sorridere al telefono. Senza che

nemmeno se ne accorgesse, passarono venti minuti di piacevole conversazione chiacchierando su un articolo di politica locale uscito sul Post odierno, su un nuovo cliente che aveva tenuto occupato Alex il giorno prima, e anche su niente di particolare. Proprio quando Laurie cominciava a sentirsi una sciocca per tutte quelle paranoie – su Ryan, su Alex – lui a un tratto domandò di Casey. «Insomma, hai definitivamente deciso di occuparti del suo caso.» Suonava come un’osservazione, non come una domanda. Per quanto ne sapesse lei, solo il blog The Chatter aveva riportato la notizia, e non poteva credere che Alex leggesse regolarmente i post di Mindy Sampson. Sapeva che Timmy aveva attivato Google Alert inserendo il suo nome, ma lo aveva fatto anche Alex? O forse stava cercando di tenersi aggiornato su qualunque notizia riguardante Casey? Oppure era solo la sua ennesima paranoia? C’era un solo modo per scoprirlo. «Quindi hai visto il pezzo?» Lui tacque un attimo. O almeno questa fu l’impressione di Laurie. «Quale pezzo?» «Su un sito web che si chiama The Chatter», gli rispose. Solo dopo averlo detto si rese conto che la reazione di lui non era stata una risposta diretta alla sua domanda, proprio come quando, l’altra sera, gli aveva domandato se ci fosse una ragione per cui non desiderava che lei si occupasse di quel caso. «Non so proprio chi abbia parlato a Mindy della trasmissione», spiegò Laurie. «E sapeva anche di due dei miei testimoni.» Dall’altra parte sentì solo silenzio. «Sei lì, Alex?» «Scusa, stavo pensando.» «Immagino che con un caso di questa rilevanza non ci sia da stupirsi se si è sparsa la voce che stavo facendo domande in giro», disse lei, ragionando ad alta voce. «E i testimoni che ha nominato erano facilmente intuibili.» «Oppure qualcuno all’interno della produzione le sta passando delle informazioni», fece Alex. Il tono era serio. «In effetti, mi era passato per la mente che Ryan Nichols potesse avere secondi fini.»

«O magari a qualcuno interessa parecchio che non ti riesca tanto facile far cambiare idea all’opinione pubblica riguardo a Casey. La decisione è proprio definitiva, Laurie? Magari io posso aiutarti a trovare un altro caso che vada bene a Brett.» Laurie non poteva ignorare la sensazione che Alex le stesse tacendo qualcosa, qualcosa di vitale importanza. «Alex, per favore, se hai delle informazioni…» «No.» «Non ne hai o non puoi dirle?» Lui rimase di nuovo in silenzio. «Alex, cos’è che non mi stai dicendo?» «Tu sei in gamba, Laurie: lo sai che stai avendo a che fare con alcune persone molto potenti.» «Alex…» «Promettimi solo che starai attenta.» Chiuse la chiamata prima che lei potesse domandargli perché. Sei ore dopo, Laurie si svegliò nel cuore della notte, la mente in subbuglio. Prese il cellulare dal comodino e aprì la posta elettronica. C’era un nuovo messaggio di Jason Gardner: aveva deciso di raccontare la sua storia in trasmissione. Più c’è verità, meglio è, affermava, ma Laurie aveva la sensazione che come prima cosa avesse telefonato al suo editore. Si aspettava una ristampa del libro nell’imminente futuro. Ma l’ex ragazzo di Casey non era la ragione per cui aveva deciso di consultare la posta. Buttò giù rapidamente una e-mail per il responsabile informatico dei Fisher Blake Studios. Sai quei vecchi messaggi online di cui ti chiedevo, a proposito del caso Hunter Raleigh? Quelli postati da RIP_Hunter? Mandami quello che hai trovato al più presto, per favore. I post di RIP_Hunter. Le informazioni riservate in possesso di Mindy Sampson. La circospezione di Alex. Da qualche parte nei suoi sogni, sentiva che tutto era collegato. Domani, pensò. Domani forse avrà un senso.

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LA madre di Casey passeggiava nervosamente in cerchio, nel soggiorno. Certe volte lei si domandava se avesse disposto i mobili tenendo conto di quei percorsi. «Lo sapevo», disse ansiosa sottovoce. «Casey, sei andata a svegliare il can che dorme, parlando con quella donna della televisione. Sei fuori di prigione da neanche due settimane e sei già su tutti i giornali.» Casey era seduta a gambe incrociate su una poltrona, di fronte alla cugina e alla sua amica Charlotte. Entrambe si trovavano a New York quando lei aveva telefonato ad Angela in preda al panico per via dell’ultimo post di Mindy Sampson. Charlotte aveva insistito per accompagnare Angela nel Connecticut, ma adesso che era lì aveva l’aria di volersi fare piccola piccola fino a diventare una macchiolina invisibile sul divano per sottrarsi allo sguardo critico di Paula. Meno male che mia madre non è una giocatrice d’azzardo, pensò Casey. È talmente facile leggerle in viso le emozioni che non avrebbe più un tetto sopra la testa. Paula non si fidava di Laurie Moran, quindi non si fidava della sua amica Charlotte. «Come fai a sapere che puoi fare assegnamento su quella produttrice, Casey?» proseguì la madre. «Non le importa niente di te, lei mira solo ad alzare gli indici di ascolto. È in conflitto di interesse con te. Probabilmente è lei che passa queste piccole anticipazioni alle testate scandalistiche per fare scalpore.» «Non lo sappiamo, mamma.» Paula smise improvvisamente di passeggiare. «Zitta, Casey!» Lei non ricordava che la madre le si fosse mai rivolta così. «Cos’hai che non va in quella testa? Sembra che tu non possa fare a meno dei drammi. Fai entrare una pandemonio del genere nella tua vita e non dai retta a nessuno. È così che ti sei ficcata in questo pasticcio!» Nella stanza calò il silenzio e Casey rivolse un’occhiataccia alla

madre. «Forza, dillo, mamma. Tu pensi che sia stata io. Hai sempre pensato che fossi stata io.» La donna scosse la testa, ma non negò. Angela prese la mano della zia. «Ora stiamo esagerando», disse dolcemente. «È tardi e siete tutte e due nervose. Perché non ci dormite sopra e ne riparlate domani?» «A che serve?» Paula alzò bruscamente le braccia per aria, impotente. «Farà comunque quello che le pare.» Casey non fermò Paula mentre andava nella sua camera. Quando la porta si fu richiusa e sua madre non poteva più sentirla, si sentì con un peso in meno addosso e si lasciò andare scompostamente sulla poltrona. «Non so quanto potrò reggere ancora. Una delle due finirà per morire.» «Non scherzare», fece Charlotte. Casey avrebbe voluto dire all’amica di Angela di farsi i fatti suoi, ma si trattenne. A parte Laurie Moran, Charlotte era l’unica persona che fosse stata gentile con lei dopo la scarcerazione. E invece eccomi qui, infastidita dalla sua semplice presenza, pensò. Sono sempre stata così meschina? O è stata la prigione a rendermi così? «Non hai idea di cosa ci sia dietro», si lamentò, riservando l’acredine per la madre. «I miei genitori si sono sempre schierati dalla mia parte, ma non hanno mai creduto che io fossi stata incastrata. Lo sai che lei addirittura prega per me in chiesa? Continua a dirmi che ho pagato il mio debito con la società, come se ne avessi mai avuto uno. Te lo giuro, certe volte vorrei essere ancora in quella cella.» Angela intervenne di nuovo, timidamente. «Non arrabbiarti se te lo dico, Casey, però su qualcosa potrebbe avere ragione. Sullo svegliare il can che dorme, per dire così. RIP_Hunter pubblica commenti orribili su di te. E in qualche modo The Chatter è venuto a sapere dei tuoi progetti per la trasmissione…» «Non è stata Laurie», intervenne Charlotte, senza che nessuno glielo avesse domandato. «Che sia stata Laurie o no, poco importa», disse Angela. «Dico solo che tu volevi andare alla trasmissione per riabilitare il tuo buon nome, e adesso la cosa potrebbe ritorcertisi contro. Pensavo che Jason o

Gabrielle potessero essere dei sospettati alternativi, ma senza nuove prove non faranno che ripetere le cose orrende che hanno detto di te al processo. Vuoi davvero che ogni aspetto negativo del tuo passato venga di nuovo gettato in pasto alle telecamere?» «Cosa intendi dire?» domandò Casey. «Che forse dovresti ripensarci. Tua madre potrebbe avere ragione…» «Sul fatto che io sia colpevole?» Casey percepì la rabbia nella propria voce, e sentì lo sguardo penetrante di Charlotte su di sé. «No», rispose Angela piano. «Sul fatto di volare basso per un po’. Concediti un po’ di tempo per abituarti a una nuova vita.» «Assolutamente no», ribatté Casey. «Lo so che lo dici per proteggermi, ma non capisci. Tutto questo non è per riabilitare il mio nome. È per Hunter. Glielo devo.» «Non puoi incolpare te stessa…» «Però lo faccio. Non capisci? Qualcuno mi ha drogata e lo ha ucciso. Ma se io quella sera non avessi bevuto, lo avremmo capito molto prima che c’era qualcosa di strano. Avremmo lasciato il galà e saremmo andati al pronto soccorso. Io non sarei svenuta. Lui non sarebbe stato a casa. E invece ho semplicemente pensato di aver bevuto troppo. Lui sarebbe ancora vivo se non fosse stato per me.» Angela si alzò e andò a stringere tra le braccia Casey, che scoppiò a piangere. Quando riuscì di nuovo a parlare, guardò dritto negli occhi Charlotte Pierce. «Dimmelo tu, Charlotte: posso fidarmi di Laurie Moran?» Lei rispose senza esitazioni: «Senza alcun dubbio». «Allora è deciso. Non voglio più sentir parlare di ritirarmi dalla trasmissione. Ora basta tacere.» Quella notte, a letto, Casey tese l’orecchio per sentire se sua madre girava per casa, ma non udì niente. Pensò di andare nella sua camera e chiederle scusa per la lite, però non voleva iniziare un altro round. Potevano chiarire la questione il mattino dopo. Prese il suo iPad e rilesse il post sul blog di Mindy Sampson: Credi veramente che Gabrielle e Jason cambieranno le loro versioni? Forse stai giocando con il fuoco.

Guardando il primo piano ritoccato di Gabrielle Lawson, sentì salire la pressione. Era pronta a passare altri quindici anni in prigione pur di vedere quella carogna fare la fine che meritava. Quello che Mindy Sampson raccontava non era del tutto esatto, ma di certo aveva ragione sui sentimenti di Casey per Gabrielle Lawson. Quando aveva visto il post su Hunter e quella donna orribile, dire che aveva provato rabbia era un eufemismo. Hunter non si era reso conto dell’impressione che avrebbe dato? Le altre donne, al lavoro, avrebbero tutte parlato di lei considerandola una scema! Il brutto carattere che spesso la gente le attribuiva era, di solito, semplicemente passione per le idee e le discussioni. Invece quel giorno no, quel giorno era veramente rabbia. Mentre si addormentava pronunciò le parole ad alta voce, sperando che colui a cui erano rivolte potesse in qualche modo sentirle. «Mi dispiace, Hunter. Mi dispiace davvero tanto.»

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UNA settimana dopo, ogni singola superficie nell’ufficio di Laurie, solitamente ordinato, era coperta di carte. Tre lavagne bianche piene di scritte colorate circondavano il tavolo delle riunioni. Jerry si passava le dita tra i capelli con tanta forza che Laurie cominciava a temere una calvizie prematura. Quando avevano cominciato a lavorare a quella puntata sembrava che ogni cosa procedesse al meglio: la famiglia di Hunter aveva accettato di partecipare; la ricerca delle ambientazioni era stata un gioco da ragazzi; le trascrizioni del processo avevano permesso a Laurie di partire notevolmente avvantaggiata. Adesso però erano sommersi dalle carte, a tre giorni dall’inizio della produzione, e Laurie rimpiangeva di aver ceduto alle assurde tempistiche di Brett. Gran parte del materiale riguardava l’ossessione di identificare l’utente internet che si firmava RIP_Hunter. «La privacy è un’illusione», esclamò Jerry, sottolineando con ogni parola la propria frustrazione. «Deve esserci un modo per sapere chi ha postato tutti questi messaggi.» Monica del reparto informatico cercò per la sedicesima volta di ridimensionare le loro aspettative. Aveva ventinove anni e una corporatura minuta − era alta a malapena un metro e mezzo. Altri informatici degli studios avevano più anni di esperienza, ma Laurie si fidava ciecamente di Monica: era una grande lavoratrice, scrupolosa, e soprattutto capace di spiegare i dettagli tecnici in modo semplice e chiaro. «Vi state dimenticando», spiegò Monica, «che quindici anni fa internet era utilizzata dalla maggior parte delle persone come una semplice bacheca computerizzata. Il solo fatto di usarla era piuttosto innovativo, ma perlopiù le informazioni viaggiavano a senso unico: aprivi una pagina e la leggevi. L’idea di rispondere, figuriamoci poi di intrattenere una conversazione, era rivoluzionaria. I notiziari online

postavano i loro contenuti, ma non c’era modo di commentarli.» «Oh, quanto mi mancano quei tempi», sospirò Laurie. Per come la vedeva lei, sul web venivano espressi solo i punti di vista più estremi. Sui social media le pagine della sua trasmissione traboccavano di complimenti, eppure i commenti più duri la colpivano sempre dolorosamente. Monica digitava veloce sulla tastiera. «Il desiderio di partecipare c’era, pronto a scatenarsi», spiegò, «ma le pagine dei media principali non creavano forum. I primi utenti utilizzavano message board per incontrarsi. Per fortuna ho tracciato dei siti-ombra in cui sono archiviati i contenuti. Ci sono voluti giorni per stampare tutte quelle conversazioni ormai sepolte sull’omicidio di Hunter e il processo di Casey. Se i siti fossero stati ancora operativi avrei potuto tentare di trovare un’azienda disponibile a condividere gli indirizzi IP, ma non sono più attivi.» «Puoi tradurre nella nostra lingua?» domandò Grace. «Quello che stiamo vedendo», spiegò Monica, «sono semplicemente parole, come fossero state digitate su una tastiera: i dati che ci sono dietro non sono accessibili. In poche parole, dovrei essere una medium per potervi dire chi ha scritto questa roba.» Dell’omicidio di Hunter si era parlato nei notiziari nazionali. Agli occhi della gente, Casey era passata da fidanzata in lutto a presunta colpevole. Con l’aiuto di Monica avevano anche setacciato migliaia di commenti online scritti da persone che seguivano il processo e che si ritrovavano sulle message board per dibattere appassionatamente del caso. Il primo passo era stato individuare tutti i commenti firmati con lo pseudonimo RIP_Hunter. Quando furono in grado di leggere insieme tutti quei post, notarono due caratteristiche ricorrenti. L’autore, o l’autrice, tendeva a esprimersi con autorevolezza, come se avesse informazioni riservate su Casey e Hunter. Per esempio: Tutti gli amici di Casey sanno, oppure: Casey ha sempre avuto un carattere irascibile, o anche: E poi si è vista servire la via più facile su un piatto d’argento. Per tutta la durata del caso, pareva che qualcuno in possesso di informazioni riservate volesse tormentare Casey passando

pettegolezzi a Mindy Sampson. Fu Jerry a notare un’altra caratteristica meno evidente. L’autore o autrice aveva la tendenza a introdurre ulteriori argomentazioni con la formula «e poi». Chiunque conosca Casey potrà confermare che lei deve sempre avere l’ultima parola, e poi vuole stare al centro dell’attenzione. Nell’ipotesi che l’autore o l’autrice dei messaggi firmati RIP_Hunter ne avesse postati altri sotto nomi diversi, Monica aveva individuato cinquantasette commenti che sembravano suggerire una conoscenza diretta del caso, oltre a venti che usavano la formula «e poi», con qualche sovrapposizione fra i due gruppi. «Complimenti per le doti organizzative», disse Laurie, «ma adesso che cosa dovremmo farcene di tutto ciò?» Si lasciò cadere sul divano dell’ufficio. La testa iniziava a farle male dopo aver letto tante stampate. Prese un blocco per appunti e fece una lista di domande senza risposta. Chi era RIP_Hunter? Chi aveva fatto la soffiata a Mindy Sampson sulla trasmissione? Perché Alex le aveva raccomandato di stare attenta? E questo era collegato al fatto che lui aveva conosciuto il generale James Raleigh quando studiava Legge? Hunter aveva fatto verificare i libri contabili della fondazione? E questo era collegato al fatto che Mark Templeton se n’era andato dalla fondazione quattro anni dopo? Laurie pensò al «rasoio di Occam»: la spiegazione più semplice di solito è quella giusta. Esisteva allora un’unica cosa che potesse legare insieme tutti quegli elementi in sospeso? Quasi non sentì lo squillo del telefono e Grace che rispondeva, finché la segretaria le disse che l’assistente del generale Raleigh, Mary Jane, era in linea. «Vuole sapere quanto tempo deve riservare all’intervista del generale e alla propria. Mi sono offerta di incastrare diversamente gli appuntamenti in programma se dovevano andare da qualche altra parte, ma lei ha risposto che il generale ha poco tempo in qualunque giorno dell’anno. Dice che Arden vuole delle pagine e gli mette fretta, qualunque cosa significhi.» «Sta scrivendo le sue memorie», spiegò Laurie. C’era qualcosa in quanto aveva detto Grace che non le tornava, ma non riusciva a capire

cosa. Molto probabilmente la impensieriva non sapere quanto ci avrebbe messo Ryan a condurre le interviste. Si sarebbe mai abituata a lavorare con lui anziché con Alex? «Vedi se il generale ci può concedere un’ora. Quanto a lei, presumo che sarà un po’ più accomodante.» Tra i sospettati individuati da Casey, Mary Jane sembrava la meno probabile. Hunter poteva anche aver avuto dei dubbi sulle motivazioni dell’assistente, ma quindici anni dopo lei svolgeva ancora diligentemente il suo lavoro. E il generale Raleigh non sembrava il tipo d’uomo di cui è facile approfittarsi. Grace tornò al telefono e Laurie al suo elenco di domande, ma la chiamata di Mary Jane le ronzava ancora in testa. Arden. Dove aveva sentito quel nome di recente? Chi altri le aveva parlato di un editore? E allora le tornò in mente la conversazione con Jason, l’ex fidanzato di Casey. «Ammetto che intitolare il libro La mia storia con Casey la Pazza è stata un po’ una scorrettezza. A essere sinceri, è stata la la Arden Publishing a insistere.» Poteva essere solo una coincidenza il fatto che il libro del generale Raleigh e quello di Jason avessero lo stesso editore? «Jerry, quando hai parlato con Mark Templeton gli hai domandato del periodo intercorso fra il suo impiego alla Fondazione Raleigh e il nuovo lavoro alla Holly’s Kids?» «No. Come ho detto, cercavo di dargli l’impressione che volessimo sapere da lui solo quando aveva visto Casey e Hunter alla serata di gala. Ho pensato che dovessi essere tu a scegliere se spingerlo a parlare delle voci sul patrimonio della fondazione.» Laurie andò al computer, digitò «Holly’s Kids» nel motore di ricerca e aprì il sito web dell’ente senza fini di lucro dove attualmente Mark Templeton lavorava. Cliccò sull’elenco del comitato dirigente e l’occhio le cadde subito su un nome in particolare: Holly Bloom − da cui l’organizzazione aveva preso nome − compariva sia come fondatrice sia come membro del consiglio direttivo. Andò alla biografia di Holly e poi girò lo schermo del computer in modo che Jerry potesse vedere. «La Holly Bloom di Holly’s Kids è anche presidente dell’Arden Publishing, casa editrice che ha pubblicato il

libro di Jason Gardner e sta per dare alle stampe l’autobiografia del generale Raleigh.» Jerry fissava lo schermo. «Accidenti. Una serie di coincidenze da far girare la testa.» Laurie ancora non sapeva chi avesse ucciso Hunter Raleigh, e nemmeno se Casey Carter fosse innocente. Ma stava cominciando a mettere insieme un po’ di pezzi del puzzle. Se aveva ragione, allora Casey non aveva mai avuto la minima possibilità di farcela al processo. Prese il telefono e chiamò suo padre. «Papà, ho un favore da chiederti. Conosci nessuno alla polizia del Connecticut?» «Ma certo. Sarò anche in pensione, ma la mia rubrica torna sempre utile.» «Puoi controllare se tra quelli che hanno lavorato all’omicidio di Hunter Raleigh qualcuno ha voglia di fare una chiacchierata informale con me?» Ripensò all’aria nostalgica che lui aveva la settimana precedente, quando sembrava mancargli parecchio la possibilità di partecipare a un’indagine. «Magari potresti venire anche tu.»

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LA mattina seguente Leo era pronto davanti a casa di Laurie, al volante di un’auto a noleggio con le quattro frecce lampeggianti. «Grazie del passaggio, papà», disse lei saltando a bordo. «E del caffè», aggiunse lui porgendole uno dei due bicchieri di Starbucks che aveva appoggiato sul cruscotto dell’auto. «Il miglior papà e anche il miglior autista del mondo.» Il giorno prima Leo aveva telefonato a un suo amico, ex commissario della polizia statale del Connecticut, per chiedergli di incontrare Joseph McIntosh, investigatore capo nel caso di Hunter Raleigh. «Allora, chi è che mi sostituisce al lavoro, oggi?» domandò a Laurie. «Kara.» «Ottimo. A Timmy piace Kara.» Per quanto il figlio facesse del suo meglio per convincerla di non aver più bisogno di una baby sitter che lo accompagnasse a scuola e lo andasse a riprendere quando il nonno non c’era, le proteste cessavano di colpo se si trattava di Kara, che amava lo sport, preparava i pancake con le scaglie di cioccolato e condivideva la crescente passione di Timmy per il jazz. «Quanto al tuo ruolo nella vita di Timmy, papà, quello è un incarico a tempo indeterminato. Sai dove stiamo andando?» «Ho già impostato il navigatore. Detective McIntosh, stiamo arrivando.» Il detective Joseph McIntosh era ancora in servizio, ma adesso con il grado di tenente. Non sembrava molto felice di conoscere Laurie, invece con suo padre fu notevolmente più amichevole. «Il commissario Miller non la finiva più di parlarmi bene di lei, vicecommissario Farley.» Quando cominciarono a parlare delle prove, fu subito chiaro che

McIntosh non aveva dubbi sulla colpevolezza di Casey. «Cercate di capire: l’avvocatessa della difesa è arrivata a suggerire che il Roipnol rinvenuto nella borsetta di Casey l’avevo messo io. Prima di trovare quelle pillole eravamo dalla parte di Casey, sembrava veramente sconvolta quando siamo arrivati. Le abbiamo fatto il test per i residui dello sparo solo perché fa parte del protocollo, ma ai nostri occhi lei era una delle vittime. Aveva perso il fidanzato in quel modo sanguinario e tutto sembrava indicare che il suo malessere di quella sera le avesse salvato la vita. Quando la cugina è arrivata, ha suggerito di farle le analisi del sangue per vedere se era stata drogata. La signorina Carter ha acconsentito e noi abbiamo chiesto al medico che era sulla scena del crimine di procedere al prelievo. In seguito è stato confermato che aveva del Roipnol in circolo. A quel punto noi ritenevamo ancora possibile che l’assassino l’avesse drogata.» «Come descriverebbe il padre di Hunter, James, quando gli avete dato la notizia della morte del figlio?» domandò Laurie. «Considerava Casey una sospettata?» McIntosh fece un mezzo sorriso. «Capisco dove vuole arrivare. Famiglia potente, ansiosa di ottenere risposte. Lei si domanda chi è che pilotava i giochi.» Laurie stava ancora cercando di dare un senso a tutto quello che sapeva, però sì, era questo che si stava domandando. Non era un segreto che James stesse facendo pressione su Hunter perché rompesse il fidanzamento con quella donna scomoda. Quando il figlio era stato ucciso, poco dopo che Mindy Sampson lo aveva fotografato con Gabrielle Lawson, lui doveva aver naturalmente sospettato di Casey, la cui gelosia era ben nota in famiglia. Quindi era possibile che il generale Raleigh si fosse mosso dietro le quinte per far pendere l’ago della bilancia verso la colpevolezza di Casey? Chiunque si celasse nei post di RIP_Hunter, evidentemente ammirava Hunter. Li aveva forse scritti il generale? Al tempo dell’omicidio doveva avere sui sessantacinque anni, piuttosto anziano per essere tra i primi pionieristici utenti dell’internet, ma magari Mary Jane lo aveva aiutato. O era andato oltre e aveva corrotto la polizia perché incastrasse Casey? Se così era, e Mark Templeton ne era al

corrente, questo avrebbe spiegato perché il generale aveva pubblicamente lodato il direttore finanziario nonostante la Fondazione Raleigh fosse in difficoltà. Non poteva essere una coincidenza che la stessa donna intenzionata a pubblicare l’autobiografia del generale avesse anche assunto Templeton nella sua organizzazione senza fini di lucro, oltre a pubblicare il libro di Jason Gardner che parlava di Casey in modo estremamente negativo. Senza volere, Laurie si domandò nuovamente perché Alex l’avesse messa in guardia dall’accettare quel caso. Non aveva però intenzione di condividere tutti i suoi sospetti con il tenente McIntosh. «Il generale Raleigh ha sospettato immediatamente di Casey, oppure è giunto gradualmente a questa convinzione?» gli domandò. «Be’, inizialmente la sua reazione è stata di enorme dolore, era sotto choc. Poi ha domandato se Casey stava bene. Quando gli ho risposto di sì, lui ha detto, letteralmente: ‘Mi stia bene a sentire: è lei che lo ha ucciso’. Quindi sì, sospettava di lei», ridacchiò. «Ma io non prendo ordini da nessuno, nemmeno dal generale James Raleigh. Abbiamo svolto un’indagine approfondita, e di fatto tutte le prove indicavano Casey come colpevole.» «Siete mai riusciti a capire dove si fosse procurata il Roipnol?» Lui scosse la testa. «Sarebbe stato bello, ma è un farmaco che si trova abbastanza facilmente sul mercato, anche allora. So che la sua trasmissione ha intenzione di riaprire il caso. Non riesco neanche a immaginare che cosa credete di poter provare. Noi abbiamo individuato il modo, il movente e l’occasione.» Laurie ascoltò pazientemente la ricostruzione di McIntosh. La modalità: in quanto futura moglie di Hunter, Casey si era messa a sparare per hobby come lui, e sapeva dove lui conservava le armi. Aveva iniziato a sparare a Hunter in soggiorno. Quando lo aveva mancato, lui era scappato in camera da letto, forse per chiudersi dentro al bagno o per prendere un’altra pistola e difendersi. Una volta che lo aveva bloccato in camera, Casey aveva esploso i due colpi mortali. Il movente: il fidanzamento con un membro della famiglia Raleigh

innalzava notevolmente lo status sociale di Casey. Inoltre lei diventava estremamente gelosa quando si trattava di Hunter. Il padre di lui faceva pressione perché la lasciasse, e proprio pochi giorni prima dell’omicidio Hunter era stato fotografato accanto a Gabrielle Lawson. Dopo il delitto, persino alcuni degli amici che Casey aveva all’epoca ritenevano possibile che lei fosse andata «fuori di testa» se davvero quella sera Hunter aveva rotto il fidanzamento. L’opportunità: Casey si era solo finta indisposta per costruirsi un alibi, sostenendo che durante l’omicidio dormiva. Invece soltanto dopo aver sparato a Hunter aveva preso il Roipnol, così da far credere che qualcuno l’avesse drogata. «Avreste dovuto vedere la sua faccia quando la stessa avvocatessa della difesa ha cambiato bruscamente argomentazione durante la requisitoria finale», disse McIntosh. «È passata da ‘non è stata lei’ a ‘be’, magari è stata lei, ma in tal caso era fuori di sé’. Casey aveva l’aria di voler spedire al cimitero anche la sua avvocatessa. Ecco fino a che punto era solida la nostra tesi: persino la difesa aveva dovuto arrendersi all’evidenza. Se devo dire la mia, quella giuria semplicemente non ha avuto il fegato di mettere in prigione per tutta la vita una bella ragazza. Omicidio colposo aggravato? Come si fa a credere che sia stato un omicidio impulsivo se c’era quel farmaco nella borsetta? Andiamo, aveva un solo motivo per portare con sé quelle pillole.» Fu Leo a interrompere il racconto del tenente. «Ed è per questo che l’avvocatessa della difesa vi ha accusati di avercele messe voi o di aver manipolato le prove.» «Di certo ha ventilato questa possibilità. Ha anche detto che forse era stato il vero assassino a mettere le pillole nella borsetta, ma poi è arrivata a ipotizzare che le pastiglie che ho trovato nella borsetta non fossero le stesse mandate ad analizzare. Sarebbero state sostituite in qualche modo. Peccato che in quel momento Casey non fosse nemmeno tra i sospettati. Abbiamo permesso a sua cugina di riportarla a casa, nel suo appartamento in città, intanto che finivamo di esaminare la scena del delitto. In un caso di omicidio siamo molto scrupolosi. Credetemi, l’ultima cosa che immaginavo di trovare

dentro o accanto alla sua borsetta erano dei sonniferi.» «Occorreva un mandato per perquisire la sua borsetta?» domandò Laurie. «No, era stata lasciata sulla scena del crimine, sul divano, dietro un cuscino. Ed era rovesciata, con le pillole perfettamente visibili.» «Lei ha capito subito di cosa si trattava?» domandò ancora Laurie. Lui annuì. «C’è sopra il marchio della casa farmaceutica, e purtroppo stavamo cominciando a vederne in giro sempre di più tra i malviventi.» Laurie era contenta che McIntosh avesse accennato alla scrupolosità della perquisizione. «Per caso ha visto una fotografia incorniciata di Hunter con il presidente, quando ha perquisito la casa? Era una cornice di cristallo.» Lui scosse la testa. «Non me ne ricordo assolutamente. Non sono sicuro che potrei, però, anche se ho un’ottima memoria. Perché?» Lei gli raccontò della fotografia che di solito stava sul comodino di Hunter ma sembrava scomparsa nelle fotografie scattate sulla scena del crimine. «Magari la governante si è sbagliata sulle tempistiche», commentò il tenente. «Hunter aveva un appartamento e un ufficio in città: può darsi che l’avesse spostata. O magari si era rotta. Possono esserci milioni di spiegazioni. A parte questo, non so se considererei una fotografia scomparsa come un ragionevole dubbio.» Laurie capì che suo padre era d’accordo con lui perché evitava di guardarla negli occhi. «Che cosa si ricorda di Mark Templeton?» domandò allora, cambiando argomento. «Il nome mi suona familiare…» «Era il direttore finanziario della Fondazione Raleigh e uno dei più cari amici di Hunter.» «Oh, certo. Una brava persona. Era veramente a pezzi.» «Avete verificato che avesse un alibi per l’ora del delitto?» McIntosh rise di quell’ipotesi. «Lei lavora veramente ad ampio raggio, vero? Be’, forse non lo chiamerei un alibi, ma conosciamo gli spostamenti di tutte le persone con cui abbiamo parlato quella notte. Il

padre di Hunter ha portato alcuni importanti benefattori nel suo club privato, dopo il galà, per bere il bicchiere della staffa. Da lì il suo autista lo ha riaccompagnato a casa. Ha anche un’assistente che abita con lui. Quindi nel caso lei sospettasse pure del generale Raleigh», il sarcasmo era palese, «il suo è un alibi di ferro. Invece tutti gli altri commensali seduti al tavolo di Hunter quella sera sono rincasati da soli dopo il galà.» Laurie conosceva a memoria la loro disposizione al tavolo: Hunter, Casey, il padre e il fratello di Hunter, Mary Jane Finder, Angela e Mark Templeton. Né Mark né Angela avevano un accompagnatore. Sean Murray, il ragazzo di Angela a quel tempo, era fuori città, e la moglie di Mark era rimasta a casa con i bambini. Dopo aver avuto dal tenente la conferma di tutti i nomi, Laurie gli domandò che cosa ricordasse della telefonata fatta da Hunter, mentre andava alla serata di gala, per chiedere a un amico il nome di un investigatore privato di fiducia. «Ne eravamo a conoscenza perché l’amico in questione ci ha contattati dopo l’omicidio. Hunter voleva fare un controllo sul passato di una persona, ma non è stato possibile individuare chi. Personalmente, ritengo potesse trattarsi di Casey. Forse stava cominciando a condividere le preoccupazioni del padre e voleva saperne di più della donna che intendeva sposare.» «Questa era anche l’ipotesi dell’accusa», disse Laurie, «ma è una mera ipotesi. È altrettanto possibile che lui avesse dei dubbi sull’assistente di suo padre, Mary Jane, e volesse approfondire. Era decisissimo a farla licenziare. Mary Jane era al galà, quella sera, però ha anche accompagnato il generale quando lui, in seguito, ha portato i benefattori al suo club?» Il tenente strinse gli occhi mentre cercava di recuperare l’informazione nella sua memoria. «No. Ma il giorno dopo ci ha detto di averlo sentito rientrare dopo che lei si era già ritirata, e poi è stata lei a rispondere al telefono quando abbiamo chiamato per dire al generale che c’era stata una sparatoria.» «Quindi non sapete esattamente a che ora fosse ritornata dal galà. Avrebbe potuto andare e tornare dal Connecticut prima della vostra

telefonata. Di fatto, per quanto ne sapete, può essere rincasata dopo il generale e aver mentito sul fatto di averlo sentito rientrare.» «Immagino sia possibile.» Poi aggiunse con un sorrisetto ironico: «Ma non probabile». Laurie cominciò a riporre gli appunti nella borsa. «Grazie ancora per il tempo che ci ha dedicato, tenente. Confesso che non mi aspettavo tanta collaborazione da lei.» Lui sollevò le mani. «Per come la vedo io, se faccio bene il mio lavoro non ho nulla di cui preoccuparmi anche se lei lo analizza con la lente d’ingrandimento. Non penserà veramente che a uccidere Hunter sia stato il suo migliore amico o l’assistente di suo padre?» Continuava ad avere un’aria divertita. «Lo sapeva che, oltre a essere in cerca di un investigatore privato, Hunter stava anche esaminando delle irregolarità finanziarie alla fondazione?» McIntosh perse improvvisamente il sorriso. «Be’, questo me lo ricorderei. Nessuno ha mai accennato a una cosa del genere.» «Per ora è solo un’ipotesi.» Laurie non vedeva motivo di dirgli che la sua fonte al riguardo era Casey. «Ma Mark Templeton ha dato le dimissioni improvvisamente quattro anni dopo, con il patrimonio della fondazione sensibilmente ridotto, e per quasi un anno non ha trovato un altro lavoro.» Il tenente strinse di nuovo gli occhi, come se qualche vago ricordo gli ronzasse in mente. «Questo le suggerisce qualcosa?» domandò Laurie. «Forse. Si ricorda che le ho detto che abbiamo fatto una perquisizione scrupolosa della casa? Sulla scrivania di Hunter c’era un biglietto con su scritti due numeri di telefono. Stando ai tabulati telefonici, non li aveva mai chiamati, ma il fatto è questo: erano entrambi importanti studi di amministrazione contabile specializzati in contabilità forense, e a margine dei numeri di telefono Hunter aveva scritto: ‘Chiedere a Mark’.» «Presumo intenda Mark Templeton. E quindi avete chiesto a lui?» «Certo che sì. Ha detto che non aveva idea di cosa significasse quel biglietto. Forse la famiglia Raleigh aveva bisogno di un nuovo studio

di consulenti e intendeva chiedere la sua opinione. Ma, come ho detto, prenda la sua lente di ingrandimento e controlli pure. Io so che abbiamo arrestato la persona giusta.»

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IL padre di Laurie si allacciò la cintura di sicurezza e subito le domandò a cosa stesse pensando. «Credi veramente che Hunter possa essere stato ucciso per qualche problema nella fondazione?» «Non ne sono sicura, ma ho la netta sensazione che suo padre abbia interferito con la giustizia.» Gli parlò del ruolo avuto dall’editore del generale, Holly Bloom, sia con Mark Templeton sia con Jason Gardner. «Ma non puoi pensare che il generale sia effettivamente coinvolto.» «Certo che no.» Quell’opzione era inimmaginabile. James Raleigh era un eroe nazionale e a detta di tutti adorava il figlio maggiore. E anche se Laurie avesse dubitato di lui, i suoi movimenti erano documentati fino al momento in cui aveva ricevuto la notizia della morte. «Perché avrebbe dovuto proteggere l’assassino di suo figlio?» «Magari perché pensava che l’altro suo figlio fosse il responsabile. Stando a Casey, Andrew Raleigh a volte mostrava un forte risentimento nei confronti del fratello maggiore, specialmente quando era sotto l’effetto di qualche sostanza. Persino quando l’ho incontrato io ha detto molto chiaramente che Hunter era il figlio preferito. Oppure il generale Raleigh poteva essere sinceramente convinto che Casey fosse colpevole. Ma se si sbagliava?» «O forse aveva ragione, Laurie. Anche se avesse davvero procurato a Jason Gardner quel contratto editoriale, anche se avesse qualcosa a che fare con quei post di RIP_Hunter, anche se avesse cercato di far ricadere tutta la colpa su Casey, lei potrebbe comunque essere colpevole.» Forse, pensò Laurie. Mancavano solo due giorni all’inizio delle riprese, e lei aveva ancora più domande che risposte. Adesso sapeva che la polizia aveva

rinvenuto sulla scrivania di Hunter i numeri di due contabili forensi accompagnati dall’appunto di chiedere a Mark. Questo confermava quanto detto da Casey, cioè che Hunter stava indagando su presunte irregolarità alla fondazione. Laurie doveva fare un altro tentativo con Templeton. Nel frattempo aveva un’altra tappa prima di tornare in città. Il navigatore dell’auto a noleggio indicò a suo padre che la loro destinazione si trovava a sinistra. «Vieni anche tu?» gli domandò. «No, grazie. Prima di Alex non ho mai conosciuto un avvocato difensore che mi piacesse, mi ritiro finché sono in vantaggio.» L’avvocato che Laurie doveva incontrare era quello che aveva difeso Casey al processo, Janice Marwood.

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LAURIE suonò il campanello dell’ufficio di Janice Marwood. Nessuno rispose, così aprì la porta ed entrò. Si accorse al primo sguardo che probabilmente all’inizio del Novecento quella era stata una residenza privata. Alla sua sinistra, il locale che un tempo era stato un soggiorno adesso fungeva da sala da aspetto, con numerose sedie e un tavolino con alcune riviste. Quello che mancava era un qualsiasi segno di vita: nemmeno una persona. «Salve», fece Laurie a voce alta, entrando. Sentì dei passi che si avvicinavano lungo il corridoio. Dal retro della casa arrivò una donna con un vasetto di burro di noccioline in una mano e un cucchiaio nell’altra. «Sono qui… Oh.» Oh, pensò Laurie. Si presentò, anche se a giudicare dalla sua reazione, la donna aveva già capito chi era. «Ho telefonato alcune volte per conto di Casey Carter.» La Marwood finì di mandare giù il burro di noccioline che aveva in bocca e liberò la destra per stringere brevemente quella di Laurie. «Scusi, ho un’infinità di casi da seguire in questo momento. Giuro che l’avrei richiamata oggi, cascasse il mondo.» Laurie non le credette nemmeno per un attimo. «Ha ricevuto l’atto di rinuncia che le abbiamo mandato via fax? Sono impaziente di parlare con lei, iniziamo la produzione fra due giorni.» «Mandato via fax» in quel caso era riduttivo. In realtà significava via fax, per e-mail e per raccomandata, così come «telefonato alcune volte» voleva dire che aveva lasciato messaggi in segreteria ogni giorno, e ciò nonostante Laurie non era ancora riuscita a parlare con l’avvocatessa di Casey. «Il tribunale non consente l’accesso con le telecamere, ma abbiamo il permesso di girare fuori, davanti all’edificio. Altrimenti saremo lieti di farlo qui, se le è più comodo. Ma soprattutto io vorrei conoscere la

sua opinione: sono passati quindici anni, e Casey non ha mai smesso di dichiararsi innocente.» Janice mosse la mascella come se stesse ancora mangiando. «Sì, a questo proposito, Casey ha il diritto di rinunciare alla riservatezza cliente-avvocato, ma io ho controllato se sono obbligata a partecipare a una trasmissione televisiva contro il mio volere. La riposta è no.» Laurie aveva immaginato molte possibili scene che avrebbero potuto svolgersi in quell’ufficio, però non quella. «Lei ha un dovere di lealtà verso la sua cliente. Casey ha passato un bel po’ della sua vita in prigione, e adesso è impaziente di riabilitare il suo nome. Lei dovrebbe essere dalla sua parte. Mi scusi, ma non capisco quale sia il problema.» «Il mio lavoro è – era – combattere per lei al processo. E all’appello. Però la causa è finita. Io non sono una star di qualche reality, apparire in televisione non è il mio mestiere.» «Casey ha firmato i documenti.» «Bene, però non può ordinarmi di parlare con lei, non più di quanto possa dirmi dove andare a cena stasera. Comunque, ho preso il suo incartamento dall’archivio, lei ha tutti i diritti di avere quel materiale. E può chiamarmi per qualunque tipo di consulenza. Per quanto riguarda la trasmissione, invece, io non parteciperò.» Ancora una volta Laurie si ritrovò a desiderare di avere Alex accanto. Aveva dato per scontato che l’avvocatessa di Casey si sarebbe quantomeno finta interessata ad accettare la sfida per conto della sua ex cliente, e adesso che rifiutava di farlo Laurie non aveva alcuna autorità per farle cambiare idea. Prima ancora che potesse rendersi conto di cosa stava succedendo, la Marwood la condusse in una stanza con un grande tavolo da riunioni sul quale erano appoggiati due faldoni da archivio con sopra scritto C. CARTER. «Cosa ne sarebbe stato di quei raccoglitori se io non fossi venuta fin qui da New York oggi?» domandò Laurie. «Come ho detto, stavo per chiamarla. Un corriere sarebbe passato a ritirarli domattina.» Di nuovo Laurie non credette a una sola parola. «Durante il processo, qualcuno infieriva su Casey con commenti negativi in rete.

Ha mai approfondito la cosa?» «Tutto quello che ho è nei raccoglitori.» «Uno dei giurati è stato persino informato dalla figlia di un post in cui si diceva che Casey aveva confessato. Lo ha riferito al giudice. Perché lei non ha chiesto l’annullamento del processo?» La Marwood spinse i raccoglitori verso Laurie. «Con tutto il rispetto, signora, io non le devo alcuna spiegazione sulle mie strategie processuali. Ora, le serve aiuto per portarsi via questi faldoni? Perché sono tutto ciò che ho da offrirle.» Alex aveva dato a Janice Marwood, come avvocato, la sufficienza scarsa, invece Laurie avrebbe voluto assegnarle un secco «gravemente insufficiente». Quando uscì con i due raccoglitori, vide che il padre tamburellava con le dita sul volante dell’auto a noleggio. Immaginò che stesse ascoltando il canale di musica anni Sessanta, la sua stazione radio preferita. Quando Leo la vide, azionò l’apertura del bagagliaio e saltò giù per aiutarla. «Pare che sia andata bene», disse, prendendo uno dei faldoni. «Per niente», rispose lei. Non aveva prove, ma si domandò se il padre di Hunter fosse riuscito ad arrivare fino all’avvocatessa di Casey.

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ERANO le cinque e mezzo del pomeriggio quando Leo e Laurie rientrarono in città. Leo cercò di convincere la figlia ad andare subito a casa, ma lei voleva trascrivere al computer gli appunti presi nel loro viaggetto in Connecticut, e lavorava sempre meglio se era in ufficio. Era abituata a trovare Jerry alla sua scrivania fino a tardi, però fu sorpresa di vedere che anche Grace era ancora al lavoro. E fu ancora più sorpresa quando Ryan, con un bicchiere di caffè da asporto in mano, la salutò incrociandola nel corridoio. «Che ci fa Ryan qui?» domandò a Grace. «Sta aspettando che il suo ufficio sia pronto. Doveva essere finito ore fa, ma lo sai quanto riescono a essere lenti quelli della manutenzione. Non avevano nemmeno iniziato a imbiancare prima di stamattina. Comunque lui ne ha approfittato per conoscere un po’ meglio me e Jerry. Credo sia impaziente di non essere più considerato l’ultimo arrivato del gruppo.» Laurie notò sulla scrivania di Grace un sacchetto di pasticcini con lo stesso marchio di pasticceria che c’era sul caffè di Ryan. Aveva la netta impressione di sapere come mai Grace si era trattenuta fino a tardi. Si fermò davanti alla porta aperta dell’ufficio di Jerry, e bussò. «Ti prego, dimmi che Ryan non ha cominciato a uscire con la mia segretaria mentre io ero fuori città per un giorno.» Jerry rise. «Lo sai com’è fatta Grace, è nata per flirtare, ma niente di più. E poi Ryan Nichols è decisamente troppo impegnativo per lei. L’unico motivo per cui il suo ufficio non è ancora pronto è che lui ha voluto indicare agli operai dove mettere ogni singola cosa e dove attaccare tutte le fotografie che lo ritraggono, con una precisione al centimetro.» Laurie provò una certa soddisfazione nel vedere Jerry alzare gli occhi al cielo. Non riusciva ancora a credere che Brett avesse concesso

un ufficio a Ryan, quando la sola idea di darne uno ad Alex non era mai nemmeno stata ventilata. «In realtà stavo per chiamarti», disse Jerry con una certa urgenza. «Credo di aver scoperto una cosa importante.» Quando furono seduti nell’ufficio di Laurie, Jerry attaccò subito a spiegare. «Stavo pensando all’articolo di Whispers che abbiamo trovato, quello che probabilmente parlava di Hunter.» Poco prima che Mindy Sampson pubblicasse la fotografia di Hunter con Gabrielle Lawson, sul suo giornale era uscito un pezzo nel quale si diceva che uno dei più ambiti scapoli della città stava per ritornare sul mercato. Laurie rispose che se lo ricordava. «Mi ha fatto riflettere che forse ci è sfuggito qualcosa mentre facevamo ricerche su Mark Templeton. Le notizie sul suo allontanamento dalla Fondazione Raleigh accennavano al massimo a qualche scorrettezza.» Gli articoli si limitavano a riferire che se n’era andato, che il patrimonio era diminuito, e che lui non aveva parlato di un nuovo lavoro. Forse c’era stato qualche illecito alla fondazione, e forse Templeton era coinvolto, ma non c’erano abbastanza prove perché i giornalisti potessero parlare apertamente di questa ipotesi. Laurie capì dove voleva andare a parare Jerry. «È in questi casi che le rubriche di gossip pubblicano le notizie senza fare nomi. Così il giornale non può essere denunciato.» Quando avevano indagato su Templeton, avevano passato in rassegna i media digitando online il suo nome o quello della Fondazione Raleigh, ma un articolo che avesse voluto intenzionalmente omettere quelle specifiche informazioni non sarebbe mai apparso nei risultati di una ricerca così mirata. «Hai trovato qualcosa?» gli domandò. «Credo di sì.» Le porse la stampata di un vecchio articolo di Whispers, datato parecchi mesi dopo le dimissioni di Templeton da direttore finanziario della fondazione. «Qual è l’ex fiduciario di un’eminente organizzazione senza fini di lucro, di cui non faremo il nome, che due giorni fa è stato visto entrare nel tribunale federale accompagnato da un avvocato difensore penalista? Ci sono forse delle accuse in arrivo? Restate con noi per gli aggiornamenti.» «Ottimo lavoro, Jerry. Immagino che l’articolo potrebbe anche

riferirsi a qualcun altro, ma ‘un’eminente organizzazione senza fini di lucro’ pare proprio indicare Templeton. Riusciamo a stanare il giornalista che l’ha pubblicato? Potrebbe darci una conferma in via confidenziale.» «Purtroppo ci ho già provato. Whispers non metteva mai il nome dell’autore. Ho fatto un tentativo alla cieca e ho contattato quello che all’epoca era il caporedattore della pagina finanziaria, ma ha risposto che l’articolo non gli diceva niente. Secondo lui, è possibile che l’avesse scritto il loro responsabile della cronaca nera, morto diversi anni fa.» Se non riuscivano a scoprire i dettagli della storia attraverso il giornalista, dovevano trovare un altro modo. Templeton aveva detto chiaro e tondo che non intendeva parlare del suo lavoro alla Fondazione Raleigh. Restava una sola possibilità. Laurie domandò a Grace quale ufficio fosse stato destinato a Ryan, e lo trovò là che sistemava i cuscini decorativi sul nuovo divano. «Hai ancora contatti alla procura federale?» Ryan aveva lavorato nell’ufficio del procuratore federale solo tre anni, dopo il praticantato alla Corte Suprema, ma aveva messo insieme un notevole curriculum di processi perseguendo colpevoli di reati finanziari. «Certo», rispose. «Non tutti possono essere ricchi e famosi.» La strizzatina d’occhio a seguire le fece venir voglia di sottolineare che per il momento lui non era nessuna delle due cose. L’amico di suo zio poteva anche avergli dato un lavoro e un ufficio, ma la parsimonia di Brett non faceva eccezioni per nessuno. Nemmeno per lei. Gli passò l’articolo di Whispers trovato da Jerry. «È possibile che ciò che è successo fra Mark Templeton e la Fondazione Raleigh fosse così grave da indurlo ad assumere un avvocato difensore penalista? Perché mai potrebbe essere andato in tribunale con il suo avvocato, anche se non risultava alcuna accusa a suo carico?» Ryan diede una rapida occhiata alla stampata, gliela restituì e prese una palla da baseball che stava sulla sua scrivania. Ci giocò, facendosela passare da una mano all’altra. «È possibile che dovesse testimoniare, forse davanti a un gran giurì. Più probabilmente, si è

incontrato con gli avvocati dell’accusa, magari come informatore.» «Non è che potresti approfondire la cosa?» «Certo. Ma anche se alla fondazione stavano succedendo cose sospette, questo potrebbe non avere niente a che fare con l’omicidio di Hunter.» «Se Templeton sapeva che Hunter aveva dei sospetti su di lui, la cosa sarebbe stata un movente per ridurlo al silenzio.» «Io non ce lo vedo.» Continuava a passarsi la palla da una mano all’altra. «I colletti bianchi non amano sporcarsi le mani.» Laurie resistette alla tentazione di elencargli tutte le storie sulle quali aveva lavorato e che contraddicevano la sua convinzione. «Puoi chiedere in giro o no?» «Come ho detto, nessun problema.» Lo aveva già ringraziato ed era quasi fuori dal suo ufficio quando lo sentì dire alle sue spalle: «Laurie, veloce». Sembrò sorpreso quando lei afferrò con disinvoltura la palla che le arrivava contro. «Grazie», gli disse, infilandosela nella tasca della giacca. Tornando nel proprio ufficio, sorrideva. Forse, prima o poi, gliel’avrebbe restituita. Stava per andare a casa quando ricevette un messaggio da Charlotte. Poco preavviso, ma hai tempo di bere qualcosa? Laurie quasi non ricordava più i tempi in cui poteva fare quello che le pareva dopo il lavoro. Il mio ometto finirà per non riconoscermi più se non torno a casa. Vuoi fare un salto da me? Si sentì una sciocca un attimo dopo aver spedito il messaggio. Figurarsi se Charlotte avrebbe voluto passare un venerdì sera a casa sua, con suo padre e suo figlio. Solo se c’è anche il tuo delizioso papà. Porto il vino. Laurie sorrise. Quella sì che era una buona amica.

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«NE apro un’altra?» Leo aveva in mano una bottiglia del Cabernet preferito da Laurie. Charlotte sollevò il proprio bicchiere, vuoto. «Be’, vediamo un po’. Fra tutti e tre, abbiamo finito un’intera bottiglia di vino.» «Quindi è un no?» domandò Leo. «Al contrario. Stappi, stappi, tenente Farley.» «In realtà», la corresse Laurie, «papà è andato in pensione come vicecommissario di polizia.» «Mi scuso per la retrocessione, Leo.» Timmy portò via l’ultimo piatto sporco e Charlotte fece un’espressione ammirata. «Che giovanotto avete qui.» Laurie si rese conto di essere raggiante. «Se voi vi bevete altro vino, vuol dire che io posso avere il gelato?» domandò Timmy dalla cucina. «Mi sembra giusto», rispose Laurie. Il bambino tornò con una pallina di cioccolato e una di vaniglia mentre Leo finiva di versare il vino. «Allora, raccontaci qualcosa della sfilata di moda che stai organizzando, Charlotte», disse Laurie. «Sicuri? Non ce li vedo i nostri uomini, qui, a interessarsene davvero.» «Ma certo che vogliamo», disse Leo, anche se Laurie sapeva che il padre non era minimamente attirato dalle sfilate di moda. «Non è il tipico defilé con la passerella. Dato che noi produciamo abbigliamento sportivo per donne vere, invece delle classiche modelle usiamo atlete e attrici famose. Faremo sfilare anche qualche dipendente della Ladyform e le loro amiche. Persone normali, insomma.» Timmy sorrise, con tutti i denti macchiati di cioccolato. «Dovrebbe far sfilare mia mamma. Lei è una persona più o meno normale, a

seconda di cosa intendi.» «Carino», fece Laurie. «Scherzetto! Dove sarà la sfilata, signorina Pierce?» Charlotte sorrise di nuovo per le buone maniere di Timmy. «A Brooklyn. Sapete dov’è DUMBO?» Leo intervenne subito. «D-U-M-B-O, come Down Under the Manhattan Bridge Overpass: sotto alla sopraelevata del ponte di Manhattan.» La zona si trovava fra il ponte di Brooklyn e quello di Manhattan. Un tempo era un’area abbandonata, nota più che altro per l’attracco dei traghetti. Poi un astuto imprenditore l’aveva comprata e trasformata in un rione alla moda pieno di mostre e start-up tecnologiche, dandogli un nome di tendenza. Adesso DUMBO era il paradiso degli hipster. «Abbiamo trovato il posto perfetto», disse Charlotte entusiasta. «È uno degli ultimi, originali magazzini per il deposito merci. È stato liberato e ripulito per frazionarlo e convertirlo in condominio, ma l’imprenditore non ha ancora trovato i finanziatori. Quindi per adesso sono solo tre piani di pavimenti in cemento con pareti in mattoni a vista e travi. Molto industrial. Avremo una tematica diversa per ciascun piano, e la gente potrà andare in giro per tutto l’edificio invece di starsene a guardare le modelle in passerella. Mi sento come se stessimo mettendo su una produzione di Broadway.» Quando Timmy ebbe finito il gelato, Laurie annunciò: «Va bene, ragazzino, è ora di filare in branda. D’accordo che è venerdì sera, ma domattina hai l’allenamento di calcio». «E io sarò là a fare il tifo a bordo campo», disse Leo, «quindi me ne vado a casa. È stato bello rivederti, Charlotte.» Charlotte volle a tutti i costi aiutare Laurie a lavare i bicchieri da vino prima di andarsene. «Grazie, Laurie, è stata una serata piacevolissima. Può darsi che tu mi abbia rovinato la vita, però: credo proprio di voler fare un figlio.» «Veramente?» «No», rispose lei ridendo. «O ‘scherzetto!’, come direbbe Timmy. Però è un tesoro, seriamente. Immagino che ora dovrei andare. Ho il

terrore che venga domani: devo chiamare a casa un ragazzo dell’ufficio contabile, di sabato, e dirgli che lunedì mattina dovrà presentarsi a un corso per migliorare la sensibilità. Sono sicura che la prenderà bene.» «Che cos’ha fatto?» «È andato su alcuni siti internet estremamente inappropriati usando il computer aziendale. Il nostro reparto informatico stila un rapporto mensile sull’uso della rete.» «Accidenti. È una cosa molto diffusa?» «Oggigiorno è praticamente indispensabile. Probabilmente lo fa anche il tuo studio. Sono sicura che sia un codicillo scritto in piccolissimo tra le norme per i dipendenti. Comunque sia, devo stroncare sul nascere certe cose, e insisto a volerlo fare personalmente. Siamo pur sempre un’azienda a conduzione famigliare, ed è mia responsabilità tutelare lo spirito dell’ufficio. Oh, prima che me ne vada, volevo chiederti come vanno le cose con Alex.» Laurie le aveva accennato che c’era qualcosa di strano tra loro ultimamente, ma non era entrata nei dettagli. «Qualche novità?» Lei scosse la testa. «È un discorso lungo che non è il caso di cominciare ora. Sono sicura che andrà tutto bene.» Quando Charlotte fu uscita, Laurie chiuse la porta e controllò il telefono. Nessuna nuova chiamata. Non era per niente sicura che sarebbe andato tutto bene con Alex.

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DUE giorni dopo, Laurie era nella sala da ballo del Cipriani. Ripensò alla volta in cui ci era venuta con Greg, mentre stavano scegliendo un locale per il loro matrimonio. Nonostante i prezzi astronomici, i genitori di Laurie avevano insistito che dessero almeno un’occhiata. «Sono impazziti, Greg?» gli aveva domandato, a bocca aperta per le dimensioni e la bellezza dello spazio. «Potremmo invitare ogni singola persona che conosciamo e metà della sala resterebbe comunque vuota. Questo è un posto da re, e i prezzi anche.» Anche se Leo insisteva a dire «sei la mia unica figlia ed è l’unico matrimonio per il quale dovrò mai pagare», loro avevano voluto un posto con prezzi più ragionevoli. Ed era stato tutto perfetto. Ripensò a Greg che le sorrideva mentre il padre la accompagnava all’altare. Una voce la richiamò al presente. «È molto festoso, vero?» «Bellissimo», confermò Laurie. In effetti l’unica cosa non festosa in tutta la sala era la persona che aveva accanto, l’assistente del generale Raleigh, Mary Jane. Dava l’impressione che se avesse tentato di sorridere le si sarebbe crepata la faccia. «Seguendo le indicazioni del generale, ho fatto decorare i tavoli in anticipo, così potete girare prima dell’evento in programma oggi. Come avete richiesto, abbiamo anche utilizzato decorazioni simili a quelle della serata di gala prima dell’omicidio.» La fronte sempre più aggrottata di Mary Jane esprimeva tutta la sua disapprovazione. Laurie sorvolò sul fatto che gli studios avevano accettato di fare una generosa donazione alla fondazione, che copriva ampiamente le spese. «La famiglia era seduta al tavolo principale», disse Mary Jane, accennando a quello rotondo più vicino al palco. «E quando dice ‘famiglia’ intende…?» Laurie sapeva già chi era seduto a quel tavolo, ma voleva sentire cos’avesse da dire Mary Jane.

Lei parve infastidita dalla domanda, ma iniziò a elencare: «Andrew e Hunter, Casey e sua cugina, il generale e io». Laurie notò che Mary Jane associava se stessa al generale, come se fossero una coppia. «Solo sei?» domandò. «Mi sembra che ci siano otto posti.» «Ma certo, l’altra persona era il direttore finanziario della fondazione. La moglie non era potuta venire perché all’ultimo momento la loro baby sitter aveva disdetto.» «Giusto», fece Laurie, come se le stesse tornando la memoria. «Mi ripete il suo nome, per favore?» Il volto di Mary Jane rimase inespressivo, e la donna non diede nessuna risposta. «Immagino che vorrete iniziare al più presto. Quelle telecamere devono essere fuori di qui entro tre ore. Gli invitati cominceranno ad arrivare poco dopo.» «A questo proposito, Mary Jane, lei ha fissato l’intervista del generale Raleigh domani in Connecticut.» La loro intenzione era intervistare sia James sia Andrew Raleigh nella dimora di campagna dove Hunter era stato ucciso. «Ma, come spero le abbia detto la mia segretaria, il suo segmento preferiremmo girarlo oggi.» «Vediamo come si mette la giornata. Al momento la raccolta fondi è la mia priorità.» «Ma lei ha già acconsentito a partecipare. Dobbiamo attenerci al programma.» «E lo farete. Senta, le vostre tre ore passeranno in fretta. Alla peggio sarò a vostra disposizione domani. Accompagnerò il generale a New Canaan.» Ovviamente, pensò Laurie. Quell’uomo aveva servito il proprio Paese in ogni parte del globo, eppure a sentire Mary Jane non poteva fare niente senza di lei al suo fianco. Qualcuno forse rimaneva incantato dai soffitti altissimi, dalle colonne di marmo e dai centrotavola perfettamente sistemati, invece Laurie si sentiva galvanizzata da quella sala per ragioni che non avevano niente a che fare con il ricevimento previsto di lì a poche ore. Era emozionata perché adorava stare sul set. Adorava quella sensazione, la consapevolezza di essere sul punto di raccontare una

storia non solo con le parole, ma con le immagini, le pause drammaturgiche e gli effetti sonori. Qualunque cosa succedesse, sapeva che avrebbe realizzato un programma di alta qualità. E, con un po’ di fortuna, forse sarebbero anche riusciti a fare un po’ di giustizia. Trovò Ryan che passeggiava nervosamente nel corridoio, vicino ai telefoni a pagamento. «Sei pronto per il tuo debutto in Under Suspicion?» Lui le fece cenno con un dito di aspettare finché non ebbe finito di mormorare tra sé e sé leggendo gli appunti su un cartoncino. «Sono a posto.» Non sembrava, anzi, pareva piuttosto nervoso, e aveva ancora addosso l’asciugamano che gli addetti al trucco gli avevano infilato nel colletto della camicia. Laurie aveva temuto che potesse succedere. Alex era stato uno dei pochissimi avvocati perfettamente a proprio agio davanti alle telecamere. Alcuni dei più talentuosi principi del foro rimanevano impietriti appena si cominciava a girare, mentre altri, più abili nel ruolo del mezzobusto, potevano anche uscire bene in video, ma solo con l’aiuto di un gobbo o di suggerimenti preregistrati. Laurie non aveva idea se Ryan sarebbe stato in grado di combinare entrambe le capacità. «Vuoi lanciare una nuova moda?» domandò, indicandosi il collo. Lui abbassò lo sguardo, confuso. «Giusto», disse, tirandosi via la salvietta. «Hai scoperto nient’altro sul perché Mark Templeton avesse assunto un avvocato difensore?» «Ci sto lavorando.» Continuava a badare di più ai propri appunti che a Laurie. «Quando hai chiamato la procura federale, che cosa ti hanno detto?» «Te lo ripeto, Laurie, ci sto lavorando. Dammi ancora un po’ di tempo.» Per quanto ne sapeva lei, «ci sto lavorando» equivaleva a «me ne sono completamente dimenticato». Ma non era quello il momento di fargli una lezioncina sul gergo da ufficio. Stavano per iniziare a girare e dovevano concentrarsi.

Il loro primo testimone, Jason Gardner, era arrivato.

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MENTRE Ryan intervistava Jason Gardner, Laurie continuava a osservare un po’ la conversazione dal vivo e un po’ il monitor accanto al cameraman, nella speranza che la versione in video fosse migliore di quella reale. Quando colse l’espressione preoccupata del cameraman capì che purtroppo non era così. Jerry si avvicinò per sussurrarle all’orecchio: «Sembra che quei due stiano facendo a gara per vedere chi riesce a parlare più veloce. Non saprei dire chi sia il più nervoso. E quei cartoncini con gli appunti? Anche se stringiamo su Ryan per non inquadrargli le mani, avrà comunque gli occhi bassi per tutto il tempo». «Stop», fece Laurie ad alta voce. «Scusate, ragazzi. Va tutto bene, ma abbiamo un problema di illuminazione. I lampadari sono troppo abbaglianti. Ci vorranno solo pochi minuti per sistemare tutto, okay?» Fece segno a Ryan di seguirla fuori, in corridoio. Quando furono soli, tese la mano. «Dammeli. I cartoncini con gli appunti, tutti.» «Laurie…» «Dico sul serio. Non ne hai bisogno. Abbiamo ripassato il materiale e le domande mille volte.» Non era entusiasta di Ryan, ma il suo curriculum era innegabile. Non sarebbe mai stato Alex, però poteva certamente essere meglio di quello che lei aveva appena visto davanti alla telecamera. «Questo non è un resoconto davanti alla Corte Suprema, qui non ci sono giudici togati. Il giudice è il pubblico. Deve fidarsi di te, quindi devi metterlo a suo agio.» «Ma qui ci sono tutte le mie domande…» «No», fece lei, strappandogli i cartoncini di mano. «Sono tutte in quella tua testa addestrata a Harvard. Dimmi cinque cose che vogliamo sapere di Jason Gardner.» Lui la guardò, palesemente frustrato. «Fa’ finta che io sia un professorone e ti stia interrogando in un’aula strapiena di gente. Veloce: cinque cose.»

Lui snocciolò cinque punti fondamentali, rapido come se stesse recitando l’alfabeto. Laurie ne fu colpita. «Ecco, sei pronto.» Cinque minuti dopo l’inizio della nuova ripresa, Ryan stava ripercorrendo con Jason la successione dei fatti durante la serata di gala. Il linguaggio corporeo era disinvolto e lui sembrava essere più sicuro di sé ogni secondo che passava. Laurie smise pian piano di stringere i pugni. Jason disse di aver parlato molto brevemente con Casey appena arrivato al galà, verso le venti e trenta. In quel momento lei aveva l’aria di essersi concessa uno o due bicchieri di vino, ma non sembrava in difficoltà né lamentava alcun malessere. Jason l’aveva poi vista andare via con Hunter, ma era rimasto con i suoi colleghi fino alla fine del ricevimento, e poi era tornato a casa da solo. Quando Ryan chiuse il riepilogo cronologico dei fatti, aveva già portato a casa uno dei cinque obiettivi dell’intervista: aveva stabilito che Jason non aveva alibi per l’ora del decesso di Hunter. «Hai detto che il vostro capo aveva preso un tavolo al galà, giusto?» «Esatto. Prendere un tavolo è, per un’azienda, un modo di fare beneficenza per una causa.» «E la tua azienda aveva solo un tavolo?» «Sì, a quanto ricordo.» «Sono otto posti. Però la tua ditta contava più di cento analisti, per non parlare degli assistenti e degli altri dipendenti. Quindi come è stato stabilito chi avrebbe partecipato a all’evento? E i prescelti sarebbero stati obbligati ad andare?» «Oh, no. Era su base volontaria.» «Quindi tu sapevi in anticipo che avresti partecipato a un galà di beneficenza della Fondazione Raleigh?» domandò Ryan. «Certo.» «Perciò certamente ti aspettavi che avresti visto la tua ex e il suo nuovo fidanzato, Hunter Raleigh.» Jason parve finalmente capire dove andavano a parare quelle domande, ma era troppo tardi per evitare le ovvie implicazioni. «Sì,

credo si possa dire così.» «È questo che non capisco, Jason. Il tuo libro, La mia storia con Casey la Pazza, descrive una donna e una relazione che… be’, il titolo dice tutto. Se ritenevi che Casey fosse instabile fin quasi alla follia, perché mai ti sei presentato volontariamente al galà organizzato dalla famiglia del suo fidanzato?» «Ehm, ho pensato che sarebbe stato un bel gesto.» «Quindi eri ancora in buoni rapporti con lei?» Jason si strinse nelle spalle. «Anche se, come hai scritto nel libro, una volta ti eri chiuso in bagno perché avevi paura che ti volesse aggredire fisicamente?» «Non so se ‘aver paura’ sia l’espressione giusta.» «Vogliamo prendere una copia del tuo libro? Io credo che le parole esatte fossero che hai temuto per la tua vita e hai rimpianto di non aver nascosto i coltelli di cucina.» «Quella magari era un’esagerazione. È ovvio che un editore miri a vendere.» Ryan stava cominciando a ingranare con il ritmo. E aveva portato a casa un secondo obiettivo: il libro di Jason non poteva essere considerato come una testimonianza sotto giuramento. «Rimaniamo sul tuo libro. È stato pubblicato dalla Arden Publishing. Se non mi sbaglio, l’editore si chiama Holly Bloom. Posso chiederti come hai fatto a pubblicare con la Arden?» «In che senso? Avevo un agente, e si è occupato lui di questo.» «Certo. Ma l’agente ha mandato il libro a tutti gli editori di New York, o si è rivolto subito alla signora Bloom?» «Non lo so con precisione. Dovresti chiederlo a lui, si chiama Nathan Kramer.» Laurie riconobbe il nome, era lo stesso agente che aveva negoziato gli accordi per l’autobiografia di James Raleigh. Ryan fece presenti a Jason queste coincidenze, e aggiunse: «Jason, non è forse vero che è stato il generale Raleigh a farti ottenere un contratto di pubblicazione per il libro fortemente negativo che avevi scritto su Casey?» Lo sguardo di Jason saettò per tutta la sala da ballo, in cerca di un consiglio. Ryan si allungò in avanti, e Laurie si preparò a sentirgli

uscire di bocca qualche commento sarcastico e ostile. Invece lui mise una mano sulla spalla di Jason, confortante. «Ehi, è del tutto comprensibile. Il figlio del generale era stato assassinato. Tu eri l’ex fidanzato di Casey. Quando si è reso conto che avevi una storia da raccontare, perché non avrebbe dovuto aiutarti? Era un vantaggio per entrambi.» «Esatto», fece Jason nervosamente. «Volevamo entrambi che si sapesse la verità.» Terzo obiettivo incassato: sul libro di Jason c’erano ovunque le impronte del generale Raleigh. «Ma poi alcune cose sono state un po’ ingigantite», aggiunse Ryan. «Esatto.» «Jason, voglio ringraziarti per essere stato tanto disponibile, oggi. Ti faccio ancora una domanda, potrebbe aiutarci molto a capire una cosa che Casey e la sua famiglia ci hanno detto. Non vogliamo tirare fuori il solito lui-ha-detto e loro-hanno-detto. Penso che sappiamo tutti quanto possa essere complicato l’amore, i rapporti hanno alti e bassi. Un giorno si è perdutamente innamorati e quello dopo pieni di risentimento. Dico bene?» Ora Ryan stava praticamente circondando le spalle di Jason con il braccio, come vecchi amici che si raccontano storie di donne. «Puoi ben dirlo», rispose Jason, che ormai era d’accordo con qualunque cosa Ryan dicesse. «Bene, ora vorrei solo che tu ci confessassi un’ultima cosa. Amavi ancora Casey, vero? In realtà è per quello che sei andato al galà quella sera. Secondo lei, non avreste più dovuto stare in contatto, visto che era fidanzata, e così tu sei andato al galà per chiederle un’ultima volta di tornare insieme.» Jason non disse niente. Ryan insistette. «Casey ce lo ha già detto. E anche sua cugina Angela.» «Sì, va bene. È come hai detto tu: era complicato. Ci facevamo del male a vicenda, e poi smettevamo e allora era magico. Il nostro rapporto era una pazzia. Noi eravamo pazzi.» Ryan aveva appena incassato il quarto obiettivo, e la scelta delle parole non avrebbe potuto essere migliore. «Ho pensato di provarci un’ultima volta, con

un gesto eclatante per dichiararle il mio amore. Se poi avesse scelto Hunter, l’avrei lasciata andare.» «Così l’hai stupita presentandoti al galà e le hai aperto il tuo cuore. Ma lei non ti ha rivoluto, vero?» Jason scosse la testa. «Ha detto che finalmente aveva capito come doveva essere l’amore. Che non doveva per forza essere difficile. Non lo dimenticherò mai: ha detto che con Hunter ‘si sentiva a casa’.» «E questo che effetto ti ha fatto? Sentirti dire che tu la facevi impazzire e con lui si sentiva a casa?» All’improvviso Jason si scostò bruscamente dal suo nuovo amico. «Un momento. Non penserai…» «Sto solo facendo delle domande, Jason.» «Senti, ti ho detto tutto. La mia carriera non stava andando come doveva ed ero a corto di soldi. Ho accettato l’offerta della famiglia Raleigh di procurarmi un contratto con un editore. Eravamo tutti stufi di Casey che recitava la parte della povera piccola innocente. Ma se pensi che io abbia ucciso Hunter e poi abbia fatto ricadere la colpa su di lei, allora forse il pazzo sei tu. Chiamerò il mio avvocato, non potete mandare in onda questa cosa», farfugliò, strappandosi il microfono dal bavero della giacca. Appena Jason uscì dalla sala da ballo, Laurie alzò le mani e fece un bell’applauso a Ryan. «Niente male per essere l’ultimo arrivato.» Lui ringraziò con un inchino scherzoso. Adesso tre punti erano chiari: Jason era ancora innamorato di Casey, il suo libro era un’esagerazione dei fatti orchestrata dal padre di Hunter, e lui non aveva un alibi. Ma era stato Jason a uccidere Hunter Raleigh? Ancora non avevano una risposta alla quarta domanda di Ryan, ma stavano facendo progressi. E Ryan non era Alex, però aveva saputo prendere le redini in mano quando era stato necessario. «Laurie», le disse lui quando la troupe fece una pausa, «grazie per la chiacchierata di incoraggiamento. Avevi ragione, dovevo solo essere me stesso. Ho un ottimo istinto, ma come si suol dire, dietro a un grande uomo c’è sempre una grande donna.» Laurie sentì che tutta la ritrovata benevolenza nei suoi confronti si

dileguava come l’aria da un palloncino. Più che altro, dietro a un vanitoso c’è sempre una donna che alza gli occhi al cielo, pensò. Grace e Jerry stavano intanto andando rapidi verso di loro, tutti eccitati. «C’è Gabrielle Lawson», annunciò Grace. «E non immaginerai mai che cosa indossa», fece Jerry. «È un sogno che diventa realtà.» Laurie aveva spiegato ai partecipanti alla trasmissione che un vestiario formale sarebbe stato appropriato per le riprese, ma a quanto pareva Gabrielle Lawson aveva un codice di abbigliamento tutto suo. Erano appena le tre e mezzo del pomeriggio, eppure indossava un abito lungo color avorio tempestato di paillette, trucco e messa in piega come fosse pronta per un inesistente tappeto rosso. C’era qualcosa di familiare in quell’abito. Mentre la ringraziava per essere venuta, Laurie ebbe un’illuminazione. «Gabrielle, questo è lo stesso vestito che indossava quindici anni fa?» «È proprio quello», rispose lei con enfasi. «Lo sapevo che prima o poi avrebbe avuto un’importanza storica. Lo indossavo l’ultima volta che ho visto Hunter. L’ho conservato dentro una busta per il giorno in cui mi chiameranno dallo Smithsonian. E mi sta ancora a pennello.» Jerry microfonò Gabrielle, e intanto Grace sussurrò all’orecchio di Laurie: «So di aver detto che Casey ha gli occhi da pazza, ma questa signora batte tutti. Fammi sapere se devo chiamare gli infermieri con la camicia di forza».

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LAURIE controllò il monitor per essere sicura che venisse registrato dalla telecamera quello che lei stava notando. Gabrielle Lawson si protendeva in avanti sulla sua sedia, quasi con un angolo di quarantacinque gradi, guardando intensamente negli occhi Ryan. Qualunque danno avesse fatto Ryan con la sua irruenza quando erano stati a casa sua, era ormai dimenticato. Jerry le passò un blocco per appunti con un messaggio scritto in fretta: Prenotagli una camera d’albergo! Ryan stava gestendo la situazione da professionista: formale per le telecamere, ma cordiale quanto bastava per far parlare Gabrielle. Iniziò facendole ripercorrere brevemente la sua testimonianza al processo. Secondo lei, Hunter si era reso conto che Casey era troppo «volgare» e «sempliciotta» per poterla sposare. Era interessato a intraprendere una relazione con Gabrielle «dopo aver fatto passare un opportuno periodo di tempo». Quindi Ryan passò allo stesso tipo di controinterrogatorio utilizzato anche da Janice Marwood, stabilendo che nessuno era in grado di confermare le affermazioni di Gabrielle sulla sua relazione con Hunter. La donna offriva una spiegazione per tutto. Hunter era «discreto». Loro due non erano tanto «grossolani» da farsi vedere in pubblico. Avevano un «legame speciale» e una «tacita intesa» sugli impegni reciproci futuri. Ryan continuava ad annuire con garbo, ma Laurie capì che stava per avventurarsi in un territorio inesplorato. «Gabrielle, sono passati quindici anni e ancora non c’è modo di sapere con certezza se Hunter davvero volesse lasciare Casey per te, il fulcro dell’ipotetico movente di Casey per l’omicidio del fidanzato. Cosa vorresti dire alle persone che pensano tu stia mentendo sulla tua relazione con lui, o magari credono che tu te la sia immaginata, che fosse un’illusione o una fantasia?»

Lei fece una risatina infantile. «Be’, ma è una sciocchezza.» «Però, vedi, non sarebbe la prima volta che vieni accusata di fare una cosa del genere. Vogliamo parlare un attimo di Hans Lindholm?» Nemmeno il mezzo chilo di trucco che Gabrielle aveva in faccia poté nascondere il suo improvviso pallore. «Quello è stato un malinteso.» «I nostri telespettatori probabilmente avranno riconosciuto il nome del pluripremiato regista. Forse ricorderanno anche che Lindholm ha ottenuto un ordine restrittivo contro una donna che aveva conosciuto a un festival cinematografico. Sospettava che lei avesse addirittura messo in giro la voce di una loro imminente convivenza. Quello che i nostri telespettatori forse non sanno è che eri tu la persona nominata in quell’ordine restrittivo.» «È successo molto tempo fa.» Gabrielle distolse lo sguardo da Ryan per la prima volta da quando le telecamere avevano iniziato a girare. «E la giornalista di cronaca rosa che aveva riportato la falsa notizia della vostra imminente convivenza era una donna di nome Mindy Sampson. La stessa giornalista che in precedenza aveva pubblicato la fotografia in cui comparivi insieme a Hunter, ipotizzando che forse, alla fine, lui non avrebbe sposato Casey.» «Quale sarebbe il punto?» domandò Gabrielle. «Sembra che Mindy Sampson in qualche modo sappia sempre – o quantomeno riferisca sempre – delle tue ipotetiche relazioni romantiche, che esistano veramente oppure no. Non è forse vero che la fonte di entrambe le notizie eri tu?» «Stai travisando le cose.» «Non è questo il mio obiettivo, Gabrielle.» Il tono era gentile, quello di un alleato. «Abbiamo fatto una chiacchierata informale un paio di settimane fa, ricordi?» «Sei stato sgarbato, in quell’occasione», sottolineò lei, come avesse dei ripensamenti sulla buona opinione che si era appena fatta di Ryan. «Mi dispiace molto che le cose tra noi siano partite con il piede sbagliato. Voglio solo essere sicuro di capire bene la tua versione della storia. Tu in quell’occasione hai ammesso che potresti esserti – cito –

‘avvicinata’ a Hunter quando hai visto il fotografo. E che, cito sempre, ‘certe volte c’è bisogno di una spintarella’. Magari è possibile che tu abbia fatto sapere a Mindy di relazioni che erano… diciamo agli inizi, come per piantare un seme, nella speranza che poi le cose sbocciassero. È questo che è successo con Hans Lindholm?» Lei annuì esitante. «Come ho detto, è stato un malinteso. Sono rimasta sconvolta quando mi ha accusata di perseguitarlo. È stato assolutamente umiliante.» «E hai ‘piantato un seme’ anche con Hunter? Hai chiamato Mindy Sampson in modo che mandasse un fotografo all’evento di beneficenza e poi ti sei avvicinata a Hunter quando lui è arrivato?» Ora Gabrielle negava scuotendo la testa. «No, ammetto di averla contattata per Hans. Se si fosse reso conto che gli facevo una buona pubblicità, ho pensato, avrei suscitato il suo interesse. Ma l’unico motivo per cui ho pensato di chiamarla è che era stata lei a contattarmi per Hunter.» «In che senso ti aveva contattato lei?» «Ha detto che aveva sentito delle voci secondo cui Hunter era interessato a me. Ha detto che lui sarebbe andato a questo evento di beneficenza, qualche giorno prima della serata di gala. Mi ha spiegato che Casey aveva un’asta da Sotheby’s e non avrebbe potuto essere presente. È stata lei a suggerire che andassi io all’evento di beneficienza. Mi ha detto che avrebbe mandato un fotografo. Hunter era così felice di vedermi. È stato molto carino e mi ha fatto un sacco di domande su cosa avevo fatto dall’ultima volta che ci eravamo visti. Credimi, c’era un legame forte tra noi. C’era intesa. Voleva lasciare lei per stare con me.» Jerry stava scrivendo un altro messaggio per Laurie: Solo che non lo sapeva ancora! Ryan riuscì a mantenere un’espressione neutra, anche se Gabrielle cominciava a sembrare veramente delirante. «Hai detto che è stata Mindy a contattarti per via delle voci su te e Hunter. Tu non ne sapevi niente?» Gabrielle rifletté attentamente prima di rispondere. Quando alla fine parlò, il suo tono di voce era cambiato. Dava l’impressione di

essere lucida e riflessiva. «Era opinione diffusa che il generale Raleigh non potesse approvare Casey. E girava voce che Hunter avrebbe potuto cedere alle pressioni famigliari su questo punto. E, sì, probabilmente io volevo credere che ricordasse con affetto le nostre uscite insieme e pensasse che potessi essere una scelta più adeguata.» «E secondo te come faceva Mindy Sampson a sapere che Hunter sarebbe andato a un evento benefico senza Casey?» «Sinceramente, ho sempre dato per scontato che l’avesse saputo dal padre di Hunter. Come dicevamo, certe volte c’è bisogno di una spintarella, e forse lui ha pensato che il figlio avesse bisogno di una spintarella verso un altro tipo di moglie.» «Sai per certo che il generale Raleigh stava facendo pressione sul figlio perché rompesse il fidanzamento?» «Be’, non posso esserne certa, ma dovresti chiederlo al fratello di Hunter, Andrew. La sera del galà lui era persino più ubriaco di Casey. L’ho visto che andava a prendere l’ennesimo scotch al bar e ho detto una cosa tipo: ‘Non dovresti andare in giro a intrattenere la gente?’ Lui ha risposto che a nessuno interessava niente di lui, e stava pensando di andarsene perché il fratello e il padre riuscivano a risucchiare tutto l’ossigeno da una stanza. Si è lamentato del fatto che Hunter si atteggiasse a uomo di successo quando l’azienda di famiglia gli era stata semplicemente tramandata. Io ho detto qualcosa perché mi pareva che tutta quella conversazione fosse inopportuna, e allora lui ha commentato: ‘Se io fossi fidanzato con una come Casey Carter, mio padre penserebbe che è una buona moglie per me. Ma il suo figlio prediletto che sposa una persona normale? Che Dio ce ne scampi. Be’, ben fatto, generale Raleigh’. Poi ha sollevato il bicchiere, come se volesse brindare, e ha aggiunto: ‘Continua in questo modo e il qui presente perdente sarà l’unico figlio che ti rimane’. A dirti la verità, quando ho saputo dell’omicidio di Hunter ho pensato subito al pessimo umore di Andrew quella sera. Ma poi hanno arrestato Casey, e… be’, non c’è neanche bisogno di dirlo, è lei che ha ucciso il mio Hunter.»

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APPENA Gabrielle Lawson se ne fu andata, Laurie guardò l’orologio. Restava ancora una mezz’ora prima che dovessero sgombrare l’attrezzatura. Cercò con gli occhi l’assistente del generale, Mary Jane, ma non la vide. Notò una ragazza che sistemava alcune composizioni di fiori accanto al podio e le domandò dove potesse trovare l’assistente del generale. Se avessero fatto in fretta, Ryan avrebbe potuto intervistarla subito, dedicando così la sessione di riprese dell’indomani, nella dimora di campagna, interamente ad Andrew e James Raleigh. La donna con i fiori disse di aver visto Mary Jane salire su un’auto sulla Quarantaduesima Strada meno di dieci minuti prima. Laurie cercò il numero della donna sul telefono e chiamò. Riconobbe subito la voce severa all’altro capo della linea. «Sì», disse gelida Mary Jane. «Sono Laurie Moran. Ci rimane un po’ di tempo, potremmo parlare qualche minuto con lei?» «Perché non facciamo domani, quando non ci sarà tanta fretta?» «Sarà una cosa veloce», promise Laurie. «E dato che lei è stata tanto fondamentale nell’organizzare il galà di questa sera, mi sembra quanto mai appropriato riprenderla da Cipriani invece che nella dimora di campagna.» «Be’, temo sia impossibile. Vede, sto andando a prendere i fogli con la sistemazione degli ospiti ai tavoli, che ho dimenticato a casa. Considerando il traffico, non sarò di ritorno prima di altri tre quarti d’ora.» Era più probabile che quella donna si dimenticasse il suo stesso compleanno, pensò Laurie, piuttosto che lo schema con la sistemazione degli ospiti ai tavoli in un evento della Fondazione Raleigh. Era stufa dei bastoni tra le ruote che Mary Jane le metteva continuamente.

«C’è un motivo per cui non vuole essere intervistata, Mary Jane?» «Certo che no. Ma lei non è l’unica persona che ha un lavoro da svolgere.» «A proposito di lavoro, lei sapeva di non piacere affatto a Hunter, tanto che stava cercando di farla licenziare?» Ci fu un lungo silenzio, poi Mary Jane rispose: «Temo che lei sia stata male informata, signora Moran. Ora, la prego, mantenga la promessa e faccia sgombrare la sua troupe dal locale entro il mio ritorno». Quando la telefonata venne interrotta, Laurie fu certa che Mary Jane nascondesse qualcosa.

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QUANDO ebbero finito da Cipriani, Jerry, Grace e Ryan si riunirono nell’ufficio di Laurie per fare il punto sul primo giorno di produzione. Come al solito, Jerry e Grace non la vedevano alla stessa maniera riguardo Andrew Raleigh. «Era un po’ alterato e ha parlato a sproposito», insisteva Jerry. «Ma se dovessi essere accusato di omicidio ogni volta che parlo male di mio fratello, ormai sarei nel braccio della morte.» «No, non c’è storia.» Grace sollevò l’indice per aria, che era sempre segno di quanto fosse convinta della propria idea. «Una cosa è dire che tuo fratello è uno strazio e un pallone gonfiato, ma chiamare Hunter il ‘figlio prediletto’? Questo è indice di un grave risentimento, nei confronti del fratello e anche del padre. È roba da analista.» «Se non facciamo qualche progresso», intervenne Laurie, «potrei essere io quella che finisce dall’analista.» Dopo una giornata così soddisfacente davanti alle telecamere, si aspettava che Ryan cercasse di farla da padrone alla riunione, invece fino a quel momento era rimasto in silenzio a scorrere il display del telefonino per leggere tutti i messaggi persi. Laurie era figlia unica, e così anche suo figlio, perciò non aveva molta esperienza di rivalità tra fratelli. Da un lato aveva visto Andrew in azione e si era resa conto che era un forte bevitore. Poteva immaginare che al bar si fosse messo a parlare in modo irriverente ma innocuo. D’altra parte, quando lo aveva incontrato a casa aveva percepito chiaramente che era il figlio caduto in disgrazia in una famiglia estremamente altolocata. Quella battuta sul fatto di poter rimanere l’unico figlio rimasto al padre era inquietante, pronunciata poche ore prima dell’omicidio del fratello. «Sappiamo che il generale Raleigh si è intrattenuto fino a tardi con un ristretto gruppo di benefattori, dopo il galà», disse Laurie, «mentre Andrew sostiene di essere andato subito a casa.»

«Vedete?» esclamò Grace. «Questo spiega perché l’avrebbe fatto. Hunter se n’è andato via presto perché Casey non stava bene. Andrew probabilmente ha pensato: questa è la mia occasione per farmi avanti e mostrare quanto valgo. E invece il paparino non lo invita nemmeno all’after-party. Scommetto che lì è crollato.» «Ma è illogico», ribatté Jerry. «Perché avrebbe dovuto far ricadere la colpa su Casey? E se la sua fosse stata una decisione d’impulso, come spieghi la storia del Roipnol? E poi, sei tu quella che fin dall’inizio ha detto che Casey era colpevole.» Laurie sentì un’idea frullarle in testa, ma ancora sul limitare del subconscio, troppo inafferrabile per poterla formulare. Guardò Ryan per vedere se aveva qualche spunto da proporre, ma lui continuava a digitare sul telefonino. Laurie si sforzò di concentrarsi. Ripensò a quello che Jerry aveva detto sulle pillole di Roipnol, e poi all’intervista di Gabrielle. «Il padre», mormorò. «Lui mi pare un vero incubo», disse Jerry. «Al comando sia al lavoro sia a casa. Sapete cosa penso? Penso che Hunter amasse veramente Casey. Non avrebbe ceduto alle pressioni del generale. Ed è per questo che Andrew diceva che sarebbe rimasto lui l’unico figlio Raleigh. Forse Hunter intendeva scegliere Casey a discapito della famiglia. Ma il generale aveva altri progetti. Ha complottato con Mindy Sampson – o lo ha fatto fare alla sua assistente, Mary Jane, per non sporcarsi le mani – perché ottenesse quella foto di Gabrielle e Hunter insieme. Ha seminato zizzania. E poi, dopo l’uccisione di Hunter, ha continuato a oliare gli ingranaggi, esercitando un controllo sulla copertura mediatica e spargendo commenti online per essere sicuro che Casey venisse condannata.» «Ecco, esatto», disse Laurie. «Il Roipnol. Era questo che continuava a non avere un senso in nessuno degli scenari possibili. Ma pensiamo al padre di Hunter.» Su questo punto Jerry e Grace erano però d’accordo: entrambi scuotevano la testa. Il generale amava suo figlio, e poi aveva un alibi. «No», spiegò Laurie. «Non intendevo dire che ha ucciso lui Hunter. Ma se le avesse messo la droga nel bicchiere in modo che

diventasse una grossa fonte di imbarazzo e che Hunter la considerasse finalmente inadatta come moglie? Potrebbe averle infilato un po’ di pillole nella borsetta con lo scopo di farle fare una figura ancora peggiore se avesse sostenuto di essere stata drogata contro la sua volontà. Poi, dopo l’uccisione di Hunter, il generale potrebbe essere stato così sicuro della sua colpevolezza da decidere di sostenere l’accusa anche con i commenti tendenziosi in rete e il contratto editoriale di Jason. E data la costante presenza di Mary Jane al suo fianco, lei probabilmente lo sapeva o ha addirittura fatto personalmente il lavoro sporco, cosa che spiegherebbe perché adesso sta cercando di evitare l’intervista.» Nella stanza calò il silenzio. La sua teoria aveva senso. Se c’era una spiegazione per il Roipnol non strettamente collegata all’omicidio, allora si aprivano infinite possibilità sull’assassino di Hunter. Anche suo fratello poteva essere il colpevole. Ryan stava ancora digitando sullo smartphone. «Ryan, la tua opinione?» gli domandò Laurie. «Scusate, devo fare una telefonata.» «Ma scherzi? Domani dobbiamo intervistare Andrew e James Raleigh alla dimora di campagna. Dobbiamo stabilire una strategia. Devi concentrarti su questo lavoro.» Jerry e Grace la fissavano. Non l’avevano mai sentita urlare sul lavoro. «Devo solo fare una telefonata.» Rimasero tutti e tre a guardarlo mentre usciva dall’ufficio di Laurie senza altre spiegazioni. «Tanto per essere chiari», disse Grace quando se ne fu andato, «io lo sapevo che Brett non avrebbe mai dovuto assumere quell’uomo.» «Oh, certo che lo sapevi», fece Jerry. «Certo.» «È tardi», disse Laurie. «Potete andare.» Venti minuti dopo, quando Ryan tornò, Laurie era sola nel suo ufficio. L’uomo bussò prima di entrare. «Credevo te ne fossi andato», gli disse. «No. Jerry e Grace sono tornati a casa?»

«Già.» «Posso entrare?» «Devi?» «Altrimenti non lo avrei chiesto.» «Possiamo finalmente discutere di come gestire i Raleigh domani?» Laurie lavorava nel giornalismo da quindici anni, gli ultimi dieci come produttore televisivo, ma questa volta le pareva di muoversi alla cieca. Lei sapeva che effetto fa perdere un famigliare in modo violento. Si ricordava com’era sapere – o almeno sospettare – che certa gente sussurrava «il colpevole è sempre la moglie», quando l’omicidio di tuo marito rimane irrisolto per cinque anni. Era possibile che il padre di Hunter avesse drogato Casey. Ed era possibile che Andrew fosse in qualche modo coinvolto nell’omicidio. Ma in caso contrario loro erano vittime. Loro erano in lutto. Loro andavano a dormire la sera sentendo la mancanza di Hunter. Laurie non avrebbe provato alcun piacere a fare le domande che aveva in mente. «Sì, poi parleremo anche dei Raleigh», disse Ryan, «ma prima devo dirti un’altra cosa. Lo so che probabilmente non avresti voluto me come conduttore…» Lei sollevò una mano. «Non è necessario, Ryan. Io voglio solo fare una buona trasmissione. E tu oggi sei stato grande. Ma il lavoro non si svolge solo davanti alle telecamere. Devi gestire le interviste come controinterrogatori, come hai fatto oggi con Jason e Gabrielle. Il programma è sempre fluido, continuamente variabile. Quello che abbiamo saputo oggi influenza il lavoro di domani. E Gabrielle ha sganciato una bella bomba riguardo la famiglia di Hunter. Dobbiamo rifare il punto prima delle loro interviste fra…» guardò l’orologio, «circa quindici ore. E quando ho cercato di farti entrare nello spirito del lavoro tu avevi la testa completamente altrove.» «Ma non è così. Ti ho detto che dovevo fare una telefonata e tu non mi hai creduto. Proprio come quando ti ho detto che mi stavo dando da fare per avere informazioni su Mark Templeton e ho visto benissimo che eri scettica. Tu mi tratti come se fossi qui per puro nepotismo…» «Parole tue, io non ho detto niente.»

«Caspita. Va bene, non mi fa per niente piacere doverti dire quello che ti devo dire, ma tant’è. Forse non credevi che io stessi effettivamente interessandomi a Templeton con i miei contatti alla procura federale, giusto? Be’, ho fatto parecchie telefonate subito dopo che ne abbiamo parlato. E il motivo per cui non ti ho detto niente è che per me questo passaggio al giornalismo è una cosa seria, quindi volevo verificare le mie fonti prima di riferire qualche mera insinuazione. Brett mi ha spiegato quanto ci tieni a mantenere un’etica giornalistica. Ed è per questo che ho accettato di fare la trasmissione, Laurie. Non sono mai stato tuo nemico. Ho avuto altre offerte di lavoro nei media, e questa era quella che volevo. Le mie fonti non sono ufficiali, però hanno la mia fiducia. E finalmente ne ho due che mi sembrano all’altezza della situazione.» «Dimmi quello che stai cercando di dirmi e basta, Ryan.» «Avevi ragione sul fatto che ci fosse qualcosa di poco chiaro nelle dimissioni di Templeton dalla fondazione. Non ha più trovato lavoro per un bel po’ perché James Raleigh, nonostante quello che andava dicendo pubblicamente, si rifiutava di dargli una lettera di referenze.» «Questo gli avrebbe tolto ogni prospettiva di impiego. Quindi cos’è cambiato?» «Ha accettato un qualche tipo di accordo. Non ci sono mai state accuse penali in via formale, ma è stata coinvolta la procura federale. Templeton ha firmato un impegno alla riservatezza con i Raleigh proprio nello stesso periodo in cui ha iniziato il nuovo lavoro. Voilà. Problema risolto.» «Bene. Grazie per aver approfondito la cosa, Ryan. Scusa se ho dubitato che tu portassi a termine la ricerca. Perché non ti faceva piacere dirmi questa cosa?» «Sai l’avvocato difensore con il quale Mark Templeton era stato visto al tribunale federale? Era il tuo amato ex conduttore Alex Buckley.»

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QUANDO Ramon aprì la porta dell’appartamento di Alex, Laurie capì subito dalla sua espressione che intuiva qualche problema. Di solito la accoglieva con una battuta di spirito e le offriva un cocktail, invece quella sera le disse semplicemente che Alex sarebbe arrivato subito e se ne andò, lasciandola sola nel soggiorno. Alex arrivò dal corridoio che portava in camera sua, con i capelli bagnati, sistemandosi il colletto della camicia. «Laurie, mi dispiace di averti fatto aspettare. Quando hai chiamato ero in palestra, mi sono precipitato a casa, ma ovviamente tu hai impiegato pochissimo ad arrivare. Posso offrirti qualcosa?» Lei avrebbe desiderato moltissimo un bicchiere di Cabernet, ma per quello ci sarebbe stato tempo dopo. «Sono qui per la trasmissione. A giudicare dal comportamento di Ramon alla porta, immagino tu abbia già capito che questa non sarebbe stata una visita esclusivamente personale.» «Non lo sapevo con certezza.» Non con certezza, forse, però doveva essersi aspettato che il momento in qualche modo sarebbe arrivato. Dopotutto, era lui quello che diceva sempre a Laurie quanto fosse meglio di qualunque investigatore con cui avesse mai lavorato. «L’ultima volta che ci siamo parlati mi hai avvisata di stare attenta con questo caso, e che avevo a che fare con persone molto potenti. Ti riferivi a James Raleigh, vero?» «Non devo certo essere io a dirti quanto è potente un generale del quale a un certo punto si era molto parlato per una candidatura alla presidenza.» «No, ma avresti dovuto dirmi che avevi qualche tipo di legame con lui.» Alex allungò una mano verso di lei, ma la donna si sottrasse. «Laurie, quello che dovresti fare tu è ricordare che io ho un lavoro ben

precedente a quando ti ho conosciuta in trasmissione. Per favore, non aspettarti che io dica più di questo.» «Sono stufa di sentirti parlare in codice, Alex. Ti sei rivolto a me come avvocato fin dalla prima volta che ho nominato Casey Carter.» «È perché io sono un avvocato.» «E di conseguenza devi mantenere il segreto professionale. Ma il tuo cliente non è James Raleigh. Il tuo cliente è – o era – Mark Templeton. Però hai conosciuto prima James Raleigh. Lo hai incontrato a un ricevimento in campagna quando studiavi all’università. E poi sei andato avanti e sei diventato uno dei migliori avvocati difensori penali in città. E in qualche modo il legame con il generale Raleigh è quello che ti ha portato a rappresentare Mark Templeton quando sono stati sollevati dei dubbi sulla sua gestione della Fondazione Raleigh.» «Questo è scorretto, Laurie. Io non posso né confermare né negare di conoscere Mark Templeton…» «Mi prendi ancora in giro?» «In questo caso non ho scelta, Laurie, ma tu sì. Puoi scegliere di credermi. Mi conosci e sai che tengo a te, e anche al tuo lavoro. E te lo giuro: puoi – e dovresti – lasciare Mark Templeton fuori da questa storia. Te la stai prendendo con l’uomo sbagliato.» «Tutto qui? Dovrei fidarmi sulla parola e lasciar perdere?» «Sì.» La faceva facile, lui. Laurie si sentiva impotente. Fin da quando aveva iniziato a lavorare a quel caso aveva sentito prepotentemente la mancanza di Alex, e non solo perché Ryan Nichols era una vera seccatura. C’era qualcosa, in Alex, che la metteva a suo agio. Quando parlavano, le idee scorrevano come acqua, e seguire l’istinto era facile, almeno finché si trattava di lavoro. E adesso lui le diceva di ignorare i fatti, di far conto esclusivamente sulla sua parola, e l’istinto le gridava di no. Alex si protese di nuovo verso di lei, e questa volta Laurie si lasciò attirare in un abbraccio affettuoso. Lui le carezzò i capelli. «Mi dispiace di non poter dire di più, ma fidati di me, ti prego. Perché non vuoi farlo?» Laurie arretrò in modo da poterlo guardare negli occhi per

rispondere alla sua domanda. «Perché penso che tu mi abbia mentito.» «Laurie, io non ti ho mai mentito e non lo farò mai. Vuoi sapere se Mark Templeton è coinvolto nell’omicidio di Hunter Raleigh? Garantisco io personalmente sulla sua innocenza.» «Stai ancora lavorando per il tuo cliente, vero? Alex, io sto parlando di noi. Ero qui, a casa tua, con la mia famiglia al seguito, subito dopo aver conosciuto Casey Carter. Già allora sembrava che tu volessi tenermi lontana dal caso. Perché non mi hai detto che conoscevi alcuni dei personaggi chiave? Mi costringi a strapparti di bocca ogni più piccolo brandello di informazione, come se fosse un controinterrogatorio.» «Non ho mentito. Solo, non ti ho detto tutto.» Laurie scosse la testa. Non riusciva a credere che l’uomo che era sicura di amare stesse lì di fronte a lei a sostenere la differenza tra mentire e non dire tutta la verità. «Ti prego, Laurie, ripensa a quello che ci siamo detti dopo che hai conosciuto Casey. Mai una volta hai nominato Mark Templeton, il padre di Hunter o la fondazione. Si trattava di un omicidio di quindici anni fa, non di cosa poteva essere successo anni dopo alla fondazione. E l’omicidio è sempre stato connesso al rapporto tra Casey e Hunter, del quale io non so assolutamente niente. Perciò anche se io avessi saputo qualcosa della fondazione, perché avrei dovuto tirare fuori l’argomento, soprattutto se mi è proibito parlarne?» «In questo momento sembri proprio un avvocato a caccia di cavilli…» «E tu mi stai trattando come un sospettato nella tua trasmissione.» «Va bene, ho capito, non mi dirai mai la verità. Ma almeno dimmi questo: hai un obbligo di lealtà verso i tuoi clienti anche se sono colpevoli?» Lui si sedette sul divano, rassegnato ad affrontare una nuova fase della discussione. «Certo.» «Ed è un obbligo che dura sempre e comunque, no? Se non ricordo male, una volta mi hai detto che prosegue persino oltre la morte.» Non occorreva che Alex rispondesse, sapevano entrambi dove Laurie voleva arrivare. «Ne consegue che se uno dei tuoi clienti – uno come,

ipoteticamente, Mark Templeton – avesse una tremenda paura che una trasmissione come la mia potesse rivelare un suo misfatto – come, per esempio, aver ucciso un amico per coprire una truffa – sarebbe parte del tuo incarico sabotare quella trasmissione.» «Sì. Sì, signora Moran, mi ha scoperto. Lei è più brava di me nei controinterrogatori. Ha vinto. Contenta, ora?» No, non era contenta affatto. «Hai detto che non hai scelta, Alex. Be’, nemmeno io. Poco prima di essere ucciso, Hunter stava considerando di assumere un contabile forense per far verificare i registri della fondazione. Questo fornisce a Templeton un movente. E sua moglie e i suoi figli dormivano quando è tornato dal galà, quindi non ha un alibi. Chiama il tuo cliente: può scegliere se parlare con noi davanti alle telecamere o affrontare le ripercussioni di quello che decideremo di dire di lui in sua assenza. Prevediamo di concludere le riprese fra due giorni.»

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LAURIE quasi inciampò in un pallone da calcio quando aprì la porta di casa. Fece per raccoglierlo, ma poi vide tutti gli altri segni della presenza di Timmy sparsi sul pavimento dell’ingresso: la custodia della tromba, alcuni videogiochi e una quantità di equipaggiamento sportivo da bastare per un’intera lezione di educazione fisica. Finché i grattacieli di Manhattan non fossero stati dotati di garage, quello scenario sarebbe stato inevitabile, e per Laurie andava benissimo. «Come stanno i miei uomini?» Leo e Timmy erano uno accanto all’altro sul divano a guardare il telefilm poliziesco preferito in famiglia, Bosch. Un cartone da pizza vuoto era schiacciato tra due piatti costellati di briciole sul tavolino del salotto. Quella era l’idea che Timmy aveva del paradiso. «Avete iniziato senza di me?» Il programma era quello di guardare la serie TV tutti e tre insieme. Timmy mise in pausa. «Abbiamo cercato di aspettarti, ma la pizza faceva un profumino…» «Abbiamo appena iniziato», disse Leo. «Va’ a cambiarti. Riscaldo un po’ di pizza mentre Timmy manda indietro il telefilm.» Laurie era alla seconda fetta, tutta presa dalle avventure del personaggio inventato da Michael Connelly, quando il suo cellulare si mise a vibrare sul tavolino. Diede un’occhiata al display, sperando che fosse Alex. Era Casey. Decise di lasciar partire la segreteria − l’avrebbe richiamata l’indomani dalla dimora di campagna dei Raleigh. Casey e la sua famiglia sarebbero state filmate per ultime. Invece di segnalare un nuovo messaggio in segreteria, il suo telefono vibrò nuovamente, e poi ancora una terza volta. Casey stava richiamando a raffica. «Spegnilo», disse il padre. «L’orario d’ufficio è finito da un pezzo.» «Mi ricordo che la mamma ti ha detto la stessa cosa per anni»,

rispose Laurie portandosi il cellulare in cucina. Casey sembrava agitata, e lasciò perdere saluti e preamboli. «Stavo parlando della trasmissione con Angela e mia madre. Pensiamo sarebbe meglio non accennare alla fotografia incorniciata che è sparita dalla casa.» Laurie sospirò silenziosamente. L’ultima cosa di cui aveva bisogno era ricevere istruzioni dagli ospiti della trasmissione. «Sono un po’ confusa, Casey. Pensavo tu ritenessi che la scomparsa di quella fotografia fosse la prova più schiacciante che quella sera nella casa c’era qualcun altro.» «È così, per questo non dovresti descrivere dettagliatamente la fotografia. Pensavamo potresti dire che è sparito qualcosa, o magari anche che è sparita una foto, ma senza dire chi ritraeva.» «Okay, e perché?» Si pentì subito di averlo domandato, ma la curiosità aveva avuto il sopravvento. «È come quando la polizia esclude intenzionalmente un fatto in modo da mettere alla prova quelli che escono allo scoperto con l’informazione. Immagino che la trasmissione richiamerà dei potenziali informatori, e per distinguere quelli veri dagli svitati possiamo scoprire se sanno qualcosa della fotografia. Capisci cosa intendo?» Quello che Laurie capiva era che Casey e la sua famiglia avevano visto un po’ troppi telefilm polizieschi. «Fammici pensare. Probabilmente chiederemo a te della fotografia, durante le riprese, ma tanto perché tu lo sappia noi facciamo sempre una revisione delle interviste, dopo. Oh, già che siamo al telefono, parlami di Mark Templeton. Da quanto tempo conosceva Hunter?» «Dal primo anno a Yale. Erano nello stesso pensionato studentesco. Hunter era un personaggio al campus per via del suo cognome, mentre Mark aveva un sussidio economico, era un po’ un pesce fuor d’acqua nella Ivy League. Hunter lo aveva preso sotto la sua ala protettrice. Era fatto così.» «E la dinamica della loro amicizia è sempre rimasta la stessa?» «Si può dire così. Hunter aveva una personalità forte, Mark stava nella sua ombra, per molti versi. È questo che mi ha fatto pensare alla

possibilità, sia pure remota, che potesse aver sottratto denaro alla fondazione. Magari nel corso degli anni aveva sviluppato del risentimento, o aveva l’impressione che in un certo senso gli fosse dovuto qualcosa.» Laurie aveva pensato la stessa cosa. «Quando il presidente ha deciso di onorare la Fondazione Raleigh, anche Mark è stato invitato alla Casa Bianca?» «No. Hunter aveva il permesso di portare una sola persona.» Laurie domandò chi avesse scelto come ospite, anche se era sicura di conoscere già la risposta. «Me.» Casey tacque, rendendosi conto del motivo per cui Laurie le aveva fatto quella domanda. «Oh, santo cielo, sospetti di Mark? Hai trovato altre prove?» A quel punto Laurie non sapeva bene che cosa penare, ma era certa di una cosa: le mancava poter discutere con Alex di quelle informazioni.

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LAURIE fu stupita di vedere che Andrew Raleigh teneva in mano una lattina di birra mentre una truccatrice gli incipriava la faccia. Sapeva che bere gli piaceva, ma erano solo le dieci e mezzo del mattino, e lui stava per essere intervistato, davanti a una telecamera, sull’omicidio del fratello maggiore. Forse notando l’occhiata sospettosa di Laurie, Andrew sollevò la lattina. «Solo questa, promesso. Scusa, ma stare in questa casa mi mette sempre i brividi. Insomma, questo non è lo stesso divano, ma è pur sempre il luogo in cui mio fratello è stato ucciso. Magari me ne sto qui a guardare una partita e a un tratto me lo immagino che corre per il corridoio, verso la camera da letto dov’è successo tutto. Mi pare quasi di sentire gli spari.» «Mi dispiace.» Fu l’unica cosa che le venne in mente di dire. «Accidenti, sono bravissimo ad alleggerire l’atmosfera, vero?» Attraverso lo specchio incrociò lo sguardo della truccatrice e le domandò: «Come sto, tesoro? Un miracolo di bellezza?» Lei diede un’ultima occhiata al proprio operato e gli tolse l’asciugamano dal colletto. «Un vero Adone», dichiarò. Andrew le fece l’occhiolino. «Un po’ sarcastica, eh?» «Il generale Raleigh c’è?» domandò Laurie. Erano lì da oltre un’ora e Laurie non lo aveva ancora visto. Ma, d’altra parte, la dimora doveva essere di almeno seicentocinquanta metri quadrati. «No. Un autista lo sta portando qui con Mary Jane dalla città. OAP: dodici e mezzo.» «OAP?» «Orario d’arrivo preciso. Nell’agenda di mio padre non c’è niente di approssimativo.» Andrew scosse la lattina vuota. «Sento che ce n’è una seconda che mi chiama, se non cominciamo in fretta. Il tuo uomo è pronto a girare?» Laurie si voltò e vide Ryan che si appuntava al bavero della giacca

il microfono, fuori dalla cucina. «Tutto pronto.» Mentre Ryan iniziava una tranquilla conversazione sui ricordi che Andrew aveva del fratello, Laurie pensò ai notevoli progressi che il suo nuovo conduttore aveva fatto in appena due giorni davanti alla telecamera. Sembrava assolutamente a proprio agio, come un amico che chiacchiera in un soggiorno qualunque. Si voltò verso Jerry, accanto a lei. «Che ne pensi?» «Sta diventando veramente bravo», sussurrò lui. «Questo significa che non lo detestiamo più?» Lei sorrise. «Facciamo piccoli passi avanti.» Jerry si portò un dito alle labbra per avvisarla che Ryan stava per arrivare alla parte migliore. Ricordò ai telespettatori che secondo la teoria del pubblico ministero il movente risiedeva nel fatto che il generale Raleigh stava facendo pressioni su Hunter perché rompesse il fidanzamento con Casey. «Fino a che punto tuo padre disapprovava la futura nuora?» «Parecchio. Ma non faceva pressione su Hunter perché andasse contro la propria volontà. Lui si comporta in un certo modo, che gli viene dal suo passato nell’esercito, però in fondo è un padre che ama i suoi figli, e temeva che Hunter stesse commettendo un grosso errore. Ha espresso la sua opinione nella speranza che lui vedesse le cose più chiaramente.» «Vedesse le cose più chiaramente riguardo a Casey?» «Sì. Aveva delle buone ragioni per essere preoccupato. Lei era molto lunatica. Impetuosa, se vogliamo.» «Impetuosa» non sembrava il genere di parola che Andrew avrebbe scelto. Quella storia sembrava preparata, ed era tutt’altra musica rispetto all’intervista nella sua casa di città. Era sparita qualunque traccia di risentimento verso la pesante interferenza del padre nella vita dei figli, e Andrew non sembrava più divertito dal fatto che Casey fosse capacissima di portare un po’ di scompiglio in famiglia. «A volte era molto fastidiosa, aveva sempre un’opinione su tutto. E se Hunter osava anche solo definire il suo comportamento inopportuno, lei rispondeva cose come: ‘Certe volte sei imbalsamato

come tuo padre’.» Laurie nascose un sorriso. Avrebbe potuto dirla lei, una frase del genere, se la situazione lo avesse richiesto. «E a volte era terribilmente gelosa. Sapeva benissimo che altre donne erano attratte da Hunter, per non parlare del fatto che in precedenza lui aveva avuto una storia seria con una donna dei quartieri alti molto diversa da Casey.» Andrew andò avanti parecchio a elencare i difetti di Casey. Era arrivato al quarto aneddoto, su Casey che parlava a sproposito in mezzo a una compagnia «di un certo livello», questa volta al galà, la sera in cui Hunter era stato ucciso. «Temevamo tutti che avesse bevuto troppo.» Ryan lo interruppe. «Be’, cerchiamo di essere giusti su questo punto, Andrew. Non è insolito che ci si conceda un bicchiere in più in quel tipo di occasioni formali, no? In effetti, anche tu ti sei servito abbondantemente al bar quella sera, o sbaglio?» Andrew rise come se avesse colto una battuta per pochi eletti. «Purtroppo temo che possa essere vero.» «Ricordi di aver incontrato Gabrielle Lawson? Lei ha detto che quella sera eri di umore cupo, che parlavi dell’interferenza di tuo padre nella relazione di Hunter. Anzi, a sentire lei avresti detto che tuo padre non si sarebbe fatto problemi se Casey avesse sposato te. Solo, non era abbastanza per Hunter. E hai affermato, riferisce lei, che se tuo padre non fosse stato attento tu saresti stato, testualmente, l’unico figlio che gli sarebbe rimasto.» L’espressione di Andrew cambiò improvvisamente. «Ero in preda ai postumi di una sbornia quando ho saputo che mio fratello era morto, e quella è stata la prima cosa che mi è tornata in mente. Mi vergogno ogni volta che penso a quella notte. È stata una frase orribile da dire. Ovviamente non avevo idea che di lì a poche ore avremmo perso Hunter.» «Quindi cosa volevi dire esattamente?» «Non volevo dire niente. Come Gabrielle sembra avervi già riferito, ero ubriaco.» «Davvero? Perché pareva tu volessi intendere che tuo padre

poteva distruggere il suo rapporto con Hunter. Dà l’impressione che vostro padre gli stesse facendo pressione perché scegliesse tra lui e Casey, e tu eri convinto che tuo fratello avrebbe scelto la fidanzata.» «Può darsi. Non lo so, è successo molto tempo fa.» Ryan guardò rapido Laurie e lei annuì. I telespettatori avrebbero capito il punto: Andrew riteneva che Hunter avrebbe disobbedito al padre, il che minava alla base la teoria del pubblico ministero sul movente di Casey. Ryan poteva passare ad altro. «Torniamo alla questione del lavoro di tuo fratello per la fondazione. A detta di tutti, ci si dedicava anima e corpo. Sono passati quindici anni da quella notte: come se l’è cavata la fondazione senza di lui?» «Piuttosto bene, credo. Proprio ieri sera abbiamo organizzato un evento per i benefattori da Cipriani. Ogni volta che andiamo lì, osserviamo un momento di silenzio per mia madre e mio fratello.» «Hai preso tu il posto di Hunter alla fondazione?» Andrew ridacchiò. «Nessuno potrebbe mai prendere il posto di Hunter, in nessun aspetto della sua vita. Io lavoro con lo staff per l’asta silenziosa al galà annuale, certe volte incontro la stampa, però no, sicuramente non sono coinvolto allo stesso livello di mio fratello. Però grazie al lavoro fatto da lui la fondazione è ampiamente in grado di essere gestita dai dipendenti e basta.» «Ma tra i dipendenti non c’è più Mark Templeton, il vostro ex direttore finanziario, giusto?» Il viso di Andrew rimase impassibile, eppure il mutamento nel suo linguaggio corporeo fu inequivocabile: si agitò sul divano, nervosamente, e incrociò le braccia. «Mark era molto amico di tuo fratello, vero? Sembrava il suo naturale successore alla guida della fondazione. Invece si è dimesso pochi anni dopo l’omicidio. C’erano dei problemi?» «No.» Ryan tacque, aspettando qualche ulteriore spiegazione, ma Andrew non disse nulla. «Sei rimasto in contatto con lui?» gli domandò allora Ryan. Andrew sorrise educatamente, ma il suo abituale carisma era

sparito. «Era più amico di Hunter che mio.» «E tuo padre? È in buoni rapporti con Mark Templeton?» «Perché tante domande su Mark?» Quando fece per togliersi il microfono fissato al colletto della camicia, Ryan tornò con disinvoltura ai bei ricordi che Andrew aveva del fratello. Ottimo lavoro, pensò Laurie. Non gli avremmo comunque tirato fuori altre informazioni, e sei riuscito a farlo rimanere lì seduto. Ryan si stava veramente ambientando bene. Terminata l’intervista, Ryan chiese immediatamente a Andrew se poteva far fare a Jerry e a un cameraman il giro della proprietà. «Vogliamo che i telespettatori vedano perché tuo fratello la considerava casa sua.» Quando Andrew e Jerry uscirono dalla porta posteriore erano le 12:17. All’OAP del generale Raleigh, come lo aveva chiamato suo figlio, mancavano tredici minuti. Come programmato, la visita alla proprietà avrebbe impedito a Andrew di informare il padre che gli avevano fatto domande su Mark Templeton. Ma poi le dodici e mezzo diventarono le dodici e tre quarti e poi l’una meno dieci. Il telefono di Laurie squillò poco prima dell’una. «Pronto?» «Signora Moran, sono Mary Jane Finder, la chiamo per conto del generale Raleigh. Temo che il generale non riuscirà a venire in Connecticut oggi.» «Credevamo che aveste già lasciato la città. Abbiamo iniziato le riprese.» «Lo capisco. Temo che abbiamo perso la nozione del tempo. Ma c’è Andrew lì. Dovrebbe potervi procurare tutto quello che vi occorre in termini di accesso alla casa.» «Ci occorre di più che il solo accesso alla casa. Sia lei sia il generale avete accettato di raccontarci quello che sapete della notte in cui Hunter è stato ucciso.» «Francamente, signora Moran, i fatti parlano da soli, no? Se vuole la mia opinione, direi che la signorina Carter è già costata abbastanza alla famiglia, senza bisogno di farle perdere altro tempo con questo inutile reality show.» Pronunciò le parole «reality show» come se

fossero sporche. «Mi è parso di capire che il generale Raleigh sia ancora fortemente convinto della colpevolezza di Casey Carter. Credevamo volesse avere l’occasione di esprimere il proprio parere. Lei ha trovato una scusa per non sedersi davanti alla telecamera, ieri. Per caso ha convinto il suo datore di lavoro a darci buca oggi?» «Lei sottovaluta il generale Raleigh se pensa che qualcuno possa manovrarlo. La prego, signora Moran, sono certa che la vostra trasmissione non veda l’ora di fare sensazionalismo, ma qui non c’è nessuna cospirazione: in questo momento il generale ha delle scadenze molto strette da rispettare con la sua autobiografia, che, con tutto il dovuto rispetto, è un luogo in cui ospitare i suoi pensieri molto migliore del vostro programma. Lei è libera di fare quello che preferisce con la sua produzione, ma il generale Raleigh non sarà in grado di partecipare nei prossimi giorni.» «E lei? Anche lei è una testimone dei fatti di quella sera.» «Io sarò impegnata ad aiutare il generale Raleigh con il suo libro.» «A proposito del libro del generale, è per Holly Bloom della Arden Publishing, giusto? Discuteremo del ruolo ricoperto da Holly Bloom nella pubblicazione del libro scandalistico di Jason Gardner su Casey, per non parlare dell’aiuto nel trovare un nuovo lavoro all’ex direttore finanziario della Fondazione Raleigh, Mark Templeton. Il generale sa che discuteremo di questi legami, signorina Finder?» «Buon pomeriggio.» Non occorreva che Mary Jane rispondesse alla domanda di Laurie. Certo che il generale Raleigh sapeva di quali informazioni si sarebbe discusso. Era esattamente per questo che Laurie si trovava davanti a una poltrona vuota nel soggiorno.

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A SETTANTA chilometri da New Canaan, nella sua casa di Manhattan, il generale James Raleigh osservò l’assistente che riagganciava il telefono sulla scrivania. Aveva sentito solo la sua parte della conversazione. «Pensa che tu mi stia manovrando, vero?» disse con un sorriso ironico. «Povero chi ci volesse provare.» «Come ha preso la notizia che non sarei andato in Connecticut?» «Non bene. Come lei aveva previsto, ha tentato la tattica della paura. E temo di dovermi scusare. Mi sono resa conto che quando ho chiamato l’assistente della Moran, Grace, ho fatto il nome del suo editore. È stato per quello che la produttrice l’ha collegata con il libro di Jason Gardner.» Il generale fece cenno che le scuse non erano necessarie. «In realtà mi sorprende che nessuno si sia accorto prima che l’agente e l’editore di Jason erano entrambi miei amici. E non ci vedo niente di male nell’aver incoraggiato un uomo che conosceva il lato oscuro di quella donna a dire la verità su di lei.» «Ha accennato anche a Mark Templeton.» Il generale giunse le punte delle dita. «L’ho capito quando lei ha fatto il suo nome a Andrew, in biblioteca, che avrebbe preso quella strada.» Il generale e Mary Jane erano in viaggio per il Connecticut quando Andrew aveva mandato all’assistente un messaggio per avvisarli che Ryan Nichols aveva fatto molte domande sulla fondazione e Mark Templeton. Il generale aveva immediatamente ordinato all’autista di fare inversione di marcia. «Pensa che la Moran sappia la verità sulla fondazione?» domandò Mary Jane. Lui scosse la testa. Aveva parlato personalmente con Mark

Templeton. Non poteva credere che sarebbe stato tanto stupido da contrariarlo. «E poi insisteva ancora per intervistare me», disse Mary Jane. «A quanto pare, Casey le ha detto che Hunter mi detestava ed era deciso a farmi licenziare. È vero? Hunter mi odiava?» Il generale sorrise. Uno dei motivi per cui si fidava di Mary Jane era che, come lui, non si faceva mai condizionare dalle emozioni. Anche lei veniva ritenuta dagli altri fredda come il ghiaccio. Ma, come lui, in realtà le emozioni le aveva. Non le aveva mai detto quanto Hunter diffidasse di lei perché sapeva che ne sarebbe stata ferita. «Certo che no», disse bruscamente. «Piacevi a Hunter.» Capì che non era del tutto convinta da quella risposta. «Sapeva del mio precedente lavoro?» gli domandò. «No», la rassicurò lui. «E indipendentemente da tutto, io non ti licenzierei mai, Mary Jane. Che cosa farei senza di te?»

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ALLE sei di quel pomeriggio, l’ufficio di Laurie era talmente invaso di scatole, taccuini e fogli sparsi che lei non vedeva l’ora di tornare nella relativa pulizia del suo appartamento, con le cianfrusaglie di Timmy e tutto il resto. Aveva appena appallottolato un foglio di carta e segnato altri due punti centrando il cestino dei rifiuti riciclabili, quando sentì bussare alla porta. «Avanti.» Fu sorpresa nel vedere Jerry e Ryan. Erano rimasti in Connecticut con la troupe per finire di fare le riprese fuori dalla stazione di polizia e dal tribunale, e da lì avrebbero dovuto andare direttamente a casa. «Che cosa ci fate qui, voi due?» «Potremmo farti la stessa domanda. Ci sembrava che fosse utile riunire la squadra per lavorare al caso», disse Ryan. «Anche Grace si era offerta di venire», aggiunse Jerry, «ma stasera aveva la cena con la sua madrina, come ogni mese. Le ho detto che tu non avresti voluto che ci rinunciasse.» «Mi leggi nel pensiero, Jerry.» Ryan si mise a raccogliere le palline di carta cadute attorno al cestino. «A giudicare da questo, non sono sicuro che tu sia pronta per entrare nella squadra dei Knicks.» Quando il pavimento fu ripulito, si lasciò cadere su una poltroncina di fronte alla scrivania. Jerry occupò l’altra. «Mi dispiace che oggi non sia andata meglio.» «Non è stata colpa tua», disse lei. «Nemmeno tua», ribatté Ryan. «Per quel che può valere», aggiunse Jerry, «ho tenuto d’occhio Andrew come un falco, dopo l’intervista con Ryan, ma a un certo punto è andato in bagno. Immagino che in quel momento si sia messo in contatto con il padre.» Laurie sollevò una mano. «Credimi, Jerry, a parte entrare nel bagno con lui, non potevi assolutamente impedirgli di contattare il

generale. Non è stato Andrew il nostro problema. Secondo me, il generale è stata la prima persona cui Jason Gardner ha telefonato dal Cipriani, e Gabrielle Lawson è andata dritta da Mindy Sampson, la quale a sua volta lo ha informato. Quanto a me, ho mandato tutto all’aria perdendo la pazienza con la sua assistente, Mary Jane, ieri.» Dovette anche domandarsi che ruolo potesse avere avuto Alex nella decisione del generale di non presentarsi per le riprese. «Be’, io non so bene cosa ci sia dietro», disse Ryan, «ma vogliamo parlare di cosa fare a questo punto?» Laurie aprì il primo cassetto della scrivania e gli lanciò la sua palla da baseball. «Ryan, veloce», gli disse. Lui la prese con una sola mano. Aveva fatto un buon lavoro negli ultimi due giorni. Non sarebbe mai stato Alex, ma almeno per più di ventiquattro ore non era stato odioso. Come aveva detto a Jerry, facevano piccoli passi avanti. Poi Laurie diede un’occhiata a tutti i documenti che stava passando al setaccio da ore e si sentì meno sola. «Facciamo due liste: quello che sappiamo e quello che sospettiamo.» La lista dei «sospetti» era molto più lunga di quella delle «certezze». Laurie accettava il fatto che la trasmissione potesse non arrivare sempre a una conclusione definitiva, ma aveva sperato di riuscire almeno a dimostrare che a Casey era stato negato un processo equo. Tra la sua pessima avvocatessa alla difesa, il trolling anonimo in rete, la rubrica di Mindy Sampson e il coinvolgimento del generale Raleigh nella pubblicazione del libro di Jason Gardner, tutto era stato predisposto ai suoi danni. Ma ormai avevano quasi finito con le riprese e Laurie aveva la sensazione che non fossero arrivati da nessuna parte. «Tentiamo un altro approccio», suggerì Ryan. «Se doveste puntare su un’ipotesi tutti i vostri risparmi, cosa vi direbbe l’istinto?» Jerry parlò per primo. «Tutti i miei risparmi ammontano a circa duecentodiciassette dollari, ma io li metterei su Mark Templeton. Io credo che il generale, o Mary Jane su suo ordine, abbia drogato Casey perché si rendesse ridicola quella sera. E allora Mark, sapendo che Hunter stava per smascherarlo per truffa, ha capito di avere un’occasione. Dopo il galà è andato dritto nel Connecticut, ha ucciso

Hunter e ha fatto ricadere la colpa sulla fidanzata.» «E allora perché il generale Raleigh non vuole collaborare con la trasmissione?» domandò Ryan. «Mi hai già fatto puntare tutti i miei risparmi, ora mi tiri fuori il metodo socratico? Va bene, la mia ipotesi è che il generale Raleigh sia ancora convinto della colpevolezza di Casey. È l’unico motivo per cui ha cercato di manipolare l’intera faccenda. Nella sua testa, qualunque cosa sia successa con Mark alla fondazione non c’entra nulla con l’omicidio, e in un certo senso protegge la memoria di Hunter mantenendo il silenzio.» Era una buona teoria, pensò Laurie, la stessa su cui aveva lavorato anche lei. «E tu, Ryan? Su chi punteresti?» «Sicura di volerlo sapere?» le domandò. «Finalmente cominciamo ad andare d’accordo, non voglio ritrovarmi di nuovo in disgrazia.» «Smettila. Considerati parte della squadra. Qual è la tua teoria?» «Sinceramente, io penso che Casey sia colpevole. L’ho pensato fin dal principio, e lo penso ancora. E prima che tu mi accusi di arroccarmi sulle mie posizioni, mi sono tenuto aperto a ogni ipotesi. Ma la spiegazione più semplice è che sia stata lei.» «Il rasoio di Occam», disse Laurie. «Esatto. La spiegazione più semplice è che Casey sia colpevole. Va bene, Laurie, ora tocca a te.» «Francamente, non lo so.» Jerry e Ryan brontolarono. «Questo è scorretto», disse Ryan. «Noi ci siamo sbilanciati. Dicci cosa pensi.» Jerry andò subito in suo soccorso. «Non è così che funziona Laurie. Lei passa da una teoria all’altra, si strappa i capelli, giura di rimanere neutrale, e poi – BAM! – è come un oracolo: la verità è servita!» «Bam? Un oracolo? È questo che pensi del mio modo di lavorare, Jerry?» Stavano ancora ridendo, e Ryan apriva una bottiglia di scotch, quando sentirono bussare alla porta. «Chi altro sta lavorando fino a tardi?» disse Laurie. «Avanti!» Era Alex. Laurie riconobbe l’uomo accanto a lui, Mark Templeton. «Possiamo parlarvi?»

Tutti rimasero seduti e stupefatti dall’arrivo dei due visitatori mentre Alex spiegava: «Laurie, ti ho chiamata a casa e Leo ha detto che avresti fatto tardi al lavoro. Ho sperato che fossi ancora qui». Jerry si affrettò a prendere due sedie. «Non servono, Jerry», disse Alex. «La conversazione che stiamo per fare è riservata a Laurie.» Ryan e Jerry guardarono la produttrice, che con un cenno indicò loro la porta. «Ci trovi nel mio ufficio», disse Ryan. Quando la porta si fu richiusa alle loro spalle, Laurie osservò Mark Templeton. Non lo aveva mai conosciuto di persona, ma riconobbe in lui la versione invecchiata dell’uomo che aveva visto in molte fotografie, quasi sempre al fianco del suo grande amico Hunter Raleigh. Quella sera indossava un abito elegante quasi identico a quello di Alex: grigio scuro, con una camicia bianca e una cravatta sobria. Laurie sapeva che quello era l’abbigliamento consigliato da Alex per l’aula di tribunale, tanto per gli avvocati quanto per i clienti. Era un’uniforme. Proprio come Coco Chanel riteneva che la cosa importante fosse la donna e non l’abito, Alex riteneva che la cosa importante fossero le prove, non la persona. «Signor Templeton, lei ha chiaramente detto più volte di non essere interessato a parlare con me», esordì Laurie. «No, ho detto chiaramente che non avrei partecipato alla sua trasmissione. E non cambierò idea su questo, per ragioni che spero comprenderà. Ma Alex mi ha detto che lei probabilmente mi indicherà tra i potenziali assassini del mio amico Hunter Raleigh, e io non posso permetterlo.» «Allora posso organizzarle un’intervista in video domani mattina», disse Laurie. Mark scosse la testa con forza. «No, no, no. Io voglio solo che lei mi ascolti.» Alex parlò per la prima volta da quando si erano seduti. «Per favore, Laurie. Io capisco che sei decisa a non riservarmi particolari favori, ma so come lavori. Tu ci tieni alla verità. Dovresti almeno ascoltare quello che Mark ha da dire.»

«Non faccio promesse, però prego, parli pure.» Mark guardò Alex in cerca di rassicurazioni. Alex annuì. «Poco più di tre anni dopo l’omicidio di Hunter», spiegò Mark, «il consiglio di amministrazione si è improvvisamente reso conto che il patrimonio della fondazione non era nemmeno lontanamente prossimo all’obiettivo che Hunter aveva stabilito nel suo piano quinquennale di raccolta fondi. Dato che non c’era più lui a tenere alto il profilo della fondazione e a promuoverla, credo che la cosa non sia stata una sorpresa per nessuno. Ma il deficit era tale che il consiglio ha deciso di assumere un consulente per eseguire uno studio approfondito della fondazione, da cima a fondo: missione strategica, pubblicazioni, investimenti, opere.» Fin lì sembrava tutto ragionevole. Laurie gli fece cenno di continuare. «Quando hanno guardato i libri contabili hanno visto che non soltanto la raccolta dei fondi era calata, ma che io avevo approvato una notevole quantità di pessimi investimenti e spese discutibili, compresi diversi grossi prelievi di contanti. Io sono andato a quella che credevo fosse una normalissima riunione del consiglio e James Raleigh mi ha messo alle strette, pretendendo spiegazioni per ogni singola spesa.» «Non è una cosa alla quale un direttore finanziario dovrebbe essere preparato?» domandò Laurie. «Normalmente sì, ma con i Raleigh niente funziona mai normalmente. Mi sono rifiutato di rispondere.» Laurie si accorse di sgranare involontariamente gli occhi. «Mi stupisce che non l’abbiano licenziata su due piedi.» «Fondamentalmente è quello che hanno fatto. Le mie – tra virgolette – dimissioni sono state presentate a fine giornata.» «E poi c’è voluto quasi un anno perché lei trovasse un altro lavoro, E nel frattempo lei ha sentito la necessità di assumere Alex.» «Non l’ho assunto io», disse Mark. Alex allungò una mano e la appoggiò sul braccio di Mark. «Mark, vorrei ricordarti ancora una volta…» «Non ce n’è bisogno. Devo dire questa cosa, e al diavolo le

conseguenze. È stato James Raleigh a coinvolgere Alex. Dopo che il consiglio mi ha lasciato andare, il generale ha chiamato tutti i suoi amici più potenti per convincere la procura federale a indagarmi per truffa. Era sicuro che io avessi sottratto alla fondazione quasi due milioni di dollari. La prima volta che l’FBI si è presentata alla mia porta mi sono appellato al quinto emendamento, rifiutandomi di rispondere alle domande. Allora sono andati da mia moglie a chiederle come avevamo pagato un viaggio a Grand Cayman e la sua nuova Audi station wagon. A quel punto mi sono stufato di continuare a coprirlo, ero deciso a dire la verità. Ma ho preferito giocare al gioco del generale Raleigh e dargli un’opportunità.» «Non la seguo più, signor Templeton.» «Il motivo per cui non ho risposto alle domande del consiglio di amministrazione è che le transazioni discutibili erano di Andrew Raleigh, non mie. Il padre si era messo a fargli pressioni perché si interessasse di più alla fondazione quando Hunter aveva cominciato a considerare la possibilità di dedicarsi alla politica. Andrew ha dato fondo in fretta alla sua carta di credito della fondazione, e quando gli ho chiesto conto degli addebiti lui ha risposto che stava viaggiando molto per contattare i suoi amici di liceo e raccogliere soldi per la fondazione. Andrew non faceva parte degli stessi ambienti newyorkesi del fratello, era fuori dal suo elemento lì e pensava che sarebbe stato più bravo a raccogliere fondi in altre parti del Paese. All’epoca gli ho creduto, ma Alex mi ha detto che secondo lei Hunter aveva già dei dubbi prima di morire. Il problema è peggiorato con il passare degli anni.» «Sta dicendo che Andrew sottraeva denaro alla fondazione?» domandò Laurie. Mark si strinse nelle spalle. «Questa forse è un’affermazione eccessiva. Io credo che di base fosse sincero, ma Andrew è un giocatore d’azzardo per natura. Ha passato fin troppo tempo a intrattenere potenziali benefattori in luoghi come i casinò. Ha fatto degli investimenti rischiosi. E più perdeva, più cercava disperatamente di rimediare alle perdite, facendo scelte ancora peggiori.»

«E lei era pronto a farsi licenziare per proteggere Andrew?» «Io mi sono dimesso», sottolineò con un sorriso mesto. «Anche se avessi detto la verità, probabilmente il consiglio avrebbe voluto lo stesso la mia testa. Ero innocente rispetto a qualunque reato penale, ma a dire la verità non avevo tenuto d’occhio Andrew come avrei dovuto. E mi sentivo di doverlo proteggere. Hunter era il mio migliore amico, quindi Andrew per me era come un fratello minore, in un certo senso. Messo sotto pressione, ho preso la decisione di lasciare il consiglio di amministrazione in silenzio, non sapendo bene cosa fare. Poi l’assistente del generale, Mary Jane, ha chiamato per dire che avrebbero annunciato le mie dimissioni. Io ho pensato che sarei passato ad altro, ma senza le referenze del generale non riuscivo a trovare un nuovo lavoro.» «Non capisco. Perché il generale Raleigh ha assunto Alex per rappresentarla davanti alla procura federale?» domandò Laurie. «Buttarmi fuori non era abbastanza, per lui. Ha coinvolto l’FBI perché avviasse un’indagine penale. Quando hanno iniziato a farmi domande, ho dovuto prendere una decisione: se avessi detto tutta la verità all’FBI, i reati di Andrew sarebbero saltati fuori e la fondazione non avrebbe avuto alcun futuro. Non volevo che l’eredità di Hunter facesse quella fine. Allora ho detto all’FBI che un’altra persona vicina alla fondazione, che aveva la tendenza a giocare d’azzardo, era responsabile di tutto. Ovviamente sapevo che qualunque cosa avessi detto sarebbe arrivata alle orecchie del generale, il quale ha capito immediatamente che il colpevole era Andrew. Con James Raleigh ogni cosa è una partita a scacchi. Lui è sempre due mosse avanti con il pensiero. Ma a quel punto gli avevo dato scacco.» «Se lui non l’avesse aiutata, lei avrebbe fatto il nome di Andrew», disse Laurie. «Esatto. Un attimo dopo Alex mi stava telefonando, offrendosi di rappresentarmi. Ho concluso un accordo in base al quale la fondazione prometteva di non farmi causa. Tecnicamente ero colpevole di mancata supervisione delle operazioni di Andrew. Non si sarebbe messa bene per me e per le mie prospettive di impiego in futuro, se si fosse arrivati a quello. Ho risarcito la fondazione con una

cifra simbolica per le perdite delle quali si presumeva fossi responsabile, e abbiamo concordato che avrei ottenuto delle ottime referenze dal generale Raleigh appena avessi firmato l’accordo.» «C’è conflitto di interessi.» Laurie ora guardava Alex, non Mark. «Lei ha fatto credere al governo di aver commesso un reato di cui qualcun altro era colpevole, in modo che non andasse ad approfondire.» Lo sguardo di Alex rimase impassibile mentre spiegava la meccanica dell’accordo. «Correggere gli errori del governo non è compito di un avvocato difensore. Mark era soddisfatto dall’esito della transazione. Ha anche firmato un accordo di riservatezza che ha appena violato dandoti queste informazioni. La nostra speranza è che eviterai di fare il nome di Mark in trasmissione adesso che conosci la verità.» «Come potete aspettarvi una cosa del genere? Lei potrà anche aver chiarito i dubbi su di sé, ma Andrew è ancora un sospettato.» Mark guardò Alex, sbiancando improvvisamente. «Andrew? No. Lei non penserà veramente…» «Mi ha appena raccontato che ha derubato l’organizzazione benefica di famiglia. Il fratello sapeva che c’era un ammanco di denaro, e non riesco nemmeno a immaginare a quale vergogna Andrew temeva di andare incontro se il padre avesse scoperto la verità.» Inoltre Andrew non aveva un alibi per l’ora del delitto, si disse Laurie. «Ma questa è una follia. Andrew amava suo fratello. E quando il padre ha scoperto cosa aveva fatto, non lo ha messo alla gogna. Al contrario, ha minacciato me di rovinarmi se non lo avessi coperto. Guardi, io non ho più motivo di proteggere Andrew Raleigh, quell’uomo è solo un perdente e un viziato. Mi ha rovinato la vita, o almeno questo era quello che ho pensato finché non sono caduto in piedi. Ma non è assolutamente possibile che abbia fatto del male a Hunter. A dire la verità, era molto più probabile che uccidesse suo padre piuttosto che torcere un capello al fratello maggiore.» Laurie a un tratto rivide Andrew nella dimora di campagna, mentre ricordava il suo perfetto fratello maggiore. Poteva avere dei

momenti di risentimento, specialmente dopo un bicchiere di troppo, ma lei era convinta che avesse amato Hunter. «Va bene, grazie per essere venuto qui stasera, Mark. La prego, mi chiami se cambia idea sull’intervista in video.» «Non succederà. Può, per favore, tenermi fuori da questa trasmissione? Sono solo una persona normale che cerca di vivere la propria vita.» «Non posso fare promesse.» Alex chiese a Mark di aspettarlo nell’ingresso mentre lui concludeva con Laurie. «Non era il caso di arrivare a questo punto», disse piano. «Intendi dire che non era il caso di arrivare al punto in cui tu fai il lavoro sporco per il generale James Raleigh in segreto?» «Ho aiutato una persona per bene, Laurie. E adesso lui se ne andrà a dormire con il terrore che il suo mondo stia per saltare in aria di nuovo, perché tu non hai voluto fidarti della mia parola. Se c’è qualcuno che deve farsi un esame di coscienza, non sono io.»

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DOPO che Alex se ne fu andato insieme a Mark Templeton, Laurie telefonò a Ryan nel suo ufficio e pregò lui e Jerry di tornare da lei. Quando entrarono, disse: «È stata una lunga giornata. È ora di chiudere». «Non per contraddirti», fece Ryan, «ma non dovremmo parlare del motivo per cui Mark Templeton è venuto qui?» Certo che avrebbero dovuto. Ma Laurie sapeva che Alex non aveva tutti i torti. A quel punto non c’era più ragione di sospettare che Mark Templeton avesse ucciso il suo amico Hunter. Se aveva violato il suo accordo di riservatezza con la famiglia Raleigh era solo perché lei aveva minacciato di presentarlo come un sospettato. Laurie aveva visto fino a che punto il generale Raleigh era pronto a esercitare la propria influenza per proteggere il nome della famiglia. Meno persone conoscevano il segreto di Templeton, meglio era. «In questo momento non posso parlarne.» «Cosa significa che non puoi parlarne?» insistette Ryan. «Domani è il nostro ultimo giorno di riprese. Una volta finito con Casey e la sua famiglia, dobbiamo concludere.» Jerry sollevò la mano, insofferente. «Se Laurie dice che non ne può parlare, non ne può parlare. È così che facciamo, qui. Ci fidiamo l’uno dell’altro.» Le sue parole furono un pugno nello stomaco. Jerry le stava concedendo la fiducia che lei non aveva avuto in Alex quando lui gliel’aveva chiesta. «Andate a casa. Domattina vedremo a che punto stanno le cose.»

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LAURIE aveva detto a Ryan e a Jerry di tornarsene a casa, ma lei non riusciva a decidersi a uscire. Un’ora dopo stava ancora sfogliando tutti i documenti nei faldoni che aveva ritirato dallo studio dell’avvocatessa di Casey. A quel punto, ormai, leggeva i fogli solo per tenersi occupata. Sapeva che una volta a casa, da sola nella sua camera, la conversazione con Alex l’avrebbe colpita con tutta la sua forza. Per tanti mesi Laurie aveva cercato di fare spazio per lui nel proprio cuore, sperando che ci sarebbe stato ancora quando lei fosse stata pronta. Ma stavolta poteva veramente essere sparito dalla sua vita. Laurie poteva essersi giocata qualunque possibilità di un futuro insieme, e tutto per colpa di quel caso. Non può essere stato tutto per niente, si diceva, sfogliando più rapidamente la documentazione dell’avvocatessa. Dev’esserci qualcosa, qui, che mi porterà alla verità. Tirando fuori via via sempre più materiale dai raccoglitori, Laurie si rese conto che la documentazione di Janice Marwood conteneva molto più delle trascrizioni che Casey le aveva dato. Casey non era sicura che l’avvocatessa avesse indagato sui commenti negativi postati online, invece i documenti dimostravano che l’aveva fatto. Una delle cartelline, infatti, era proprio classificata come RIP_HUNTER . Laurie la aprì e trovò le stampate di molti dei commenti che lei stessa era riuscita a trovare nelle sue ricerche. C’erano anche copie di lettere che la Marwood aveva spedito a vari siti web, cercando invano informazioni sull’identità dell’autore dei post. Un altro quaderno era classificato MOZIONI PREPROCESSUALI. Era evidente dal suo contenuto che la Marwood aveva contestato molte prove che l’accusa voleva presentare contro Casey, e in qualche caso con successo. Oltre a ottenere che la «testimonianza sulla personalità»

di Jason Gardner venisse ritenuta inaccettabile, l’avvocatessa aveva anche impedito la deposizione di una presunta compagna di università, secondo la quale Casey una volta aveva sostenuto che il modo più semplice per una donna di avere potere era fare un buon matrimonio. E anche quella di un suo collega da Sotheby’s, il quale affermava che Casey aveva puntato gli occhi su Hunter nell’istante stesso in cui era venuto all’asta. Quella non era opera di un avvocato inefficiente. E, cosa ancora più allarmante, Laurie dovette domandarsi perché Casey non le aveva dato informazioni più complete sulla difesa. Aveva bisogno di un secondo parere. Con sua stessa sorpresa, il primo istinto fu prendere il telefono e chiamare Ryan. E fu ancora più sorpresa quando lui rispose. «Sei ancora qui», gli disse. «Da dove vengo io, non si va mai via prima del capo.» Quando la raggiunse, Laurie rimase impressionata dalla velocità con cui Ryan assimilava le informazioni sul processo. Era come vedere la versione giuridica di un master chef all’opera nella sua cucina. Dopo aver sfogliato il quaderno delle mozioni preprocessuali, si fermò e alzò gli occhi. «Questa avvocatessa non cercava di affossare il processo», disse. «Mi è stato detto che aveva fatto un lavoro appena sufficiente», rispose Laurie. «Avrei detto anch’io la stessa cosa tre settimane fa. Non ha portato Casey sul banco dei testimoni, nonostante fosse incensurata e potesse presentarsi bene alla giuria. Poi ha cambiato strategia all’ultimo momento, passando all’improvviso da ‘non è stata lei’ a una teoria di omicidio colposo aggravato. Ma adesso che vedo tutto il lavoro che ha svolto dietro le quinte, come voto le darei un ‘buono’, forse anche di più.» «Allora perché non ha richiesto l’annullamento del processo quando uno dei giurati ha riferito di aver letto online i commenti di RIP_Hunter su Casey? È possibile che all’inizio stesse cercando di aiutare Casey e poi in qualche modo il generale Raleigh sia arrivato fino a lei?»

«Non lo so», rispose Ryan, prendendo un altro plico dal raccoglitore. «Un conto è il generale Raleigh che usa la sua influenza per far avere all’ex fidanzato di Casey un contratto editoriale, ma corrompere un legale? E mi riesce difficile immaginare che un avvocato per bene sia disponibile a rischiare così la carriera. Immagino sia possibile, però…» S’interruppe a metà frase e tornò indietro alla pagina che aveva appena finito di scorrere. «Aspetta un attimo, credo che abbiamo un problema. Una delle mozioni di inammissibilità ha un allegato. Guarda un po’ qui.» Il foglio che le porse veniva dal magazzino delle prove nel dipartimento di polizia, e riportava una data posteriore alla perquisizione nella dimora di campagna di Hunter. A Laurie bastò leggerlo rapidamente per capire cosa significava. «Questo non c’era nella documentazione che Casey mi ha dato», disse. «Lasciami fare due telefonate per confermare i miei sospetti.» Un quarto d’ora dopo avevano una prospettiva completamente nuova sul motivo per cui Janice Marwood si era rifiutata di parlare con Laurie. Proprio come Alex, aveva un debito di lealtà con la sua cliente, anche quindici anni dopo la condanna di Casey. Non voleva rispondere alle domande su Casey perché sapeva che la sua cliente era colpevole. «È per questo che non ha chiesto l’annullamento del processo», disse Laurie. «Si è resa conto che era stata Casey. Se lo Stato l’avesse sottoposta a un nuovo processo con una nuova giuria, c’era la possibilità che nel frattempo trovassero ancora più prove contro di lei. Era riuscita a ottenere l’inammissibilità di così tante testimonianze sulla sua personalità che ha pensato fosse meglio proseguire e chiedere l’omicidio colposo aggravato.» Per la prima volta da quando Laurie l’aveva conosciuto, Ryan parve entusiasmato dal caso. «La buona notizia è che adesso abbiamo un programma. Faccio una copia di questo foglio per domani. Casey non farà nemmeno in tempo a capire da che cosa è stata travolta.»

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LA mattina dopo, Casey stava fissando una copia di quello stesso documento. Lo stringeva così forte che Laurie vide le nocche sbiancare. Giravano in un set negli studios. Come prevedibile, la famiglia Raleigh aveva rifiutato a Casey il permesso di entrare nella dimora di campagna. Persino Cipriani si era mostrato riluttante ad aprirle le sue porte, Sotheby’s aveva declinato e così pure la sua scuola di specializzazione. Era una donna senza più radici. Quel giorno, la cosa tornava a vantaggio di Laurie: non voleva che Casey giocasse in casa. Anzi, aveva annullato le interviste con Angela e Paula, previste quella mattina, chiedendo a Casey di presentarsi da sola, visto che la madre e la cugina non erano «completamente d’accordo» con la sua decisione di partecipare alla trasmissione. Adesso che l’intervista era iniziata, Casey cercava di mantenersi calma, ma il foglio cominciava a tremarle tra le mani. Allora lo lasciò cadere sul tavolino come se bruciasse. «Sembra un qualche rapporto della polizia», disse, rispondendo finalmente alla domanda di Ryan. «Lo aveva mai visto? Non era tra i numerosi documenti che lei ci ha fornito quando abbiamo accettato di indagare sul suo caso.» «Non ne sono sicura. Non sono un avvocato, signor Nichols.» «No, ma ha avuto quindici anni per lavorare sulla sua difesa. Si era prefissata di dimostrare che era stata condannata ingiustamente, e in buona sostanza ne ha fatto un lavoro a tempo pieno nella sua cella in prigione.» «Vi ho dato tutto quello che avevo. Forse la mia avvocatessa non mi ha fornito tutti i materiali. Oppure io, probabilmente, nel corso degli anni ho ristretto il campo per potermi concentrare sulle parti più importanti.» Laurie non ci cascò. La sera prima lei e Ryan avevano confrontato i

materiali dell’avvocatessa con i documenti forniti da Casey: era evidente che la donna aveva fatto una selezione mirata per dare l’impressione che Janice Marwood non avesse lottato abbastanza per difenderla. Aveva anche eliminato l’elenco degli oggetti custoditi nel deposito delle prove. Ryan prese il foglio e lo diede di nuovo a Casey. «Le dispiace leggere la seconda voce di quella lista?» «Dice ‘secchio della spazzatura esterno’.» «E poi ci sono numerosi oggetti elencati sotto, giusto? Per favore, legga il sesto della lista.» Casey fece per rispondere, poi si trattenne. Finse di contare gli oggetti, come se non avesse idea di quale fosse quello incriminato. «Intende questo? ‘Sacchetto di plastica per la spazzatura; contenuto: frammenti di cristallo’.» Esattamente ciò che la cornice della fotografia scomparsa sarebbe stata se fosse finita in pezzi. *** La sera precedente, la prima telefonata che Laurie aveva fatto era stata alla governante di Hunter, Elaine Jenson. Le aveva domandato se si ricordasse di aver raccolto dei cocci di vetro quando era andata a pulire la dimora di campagna, quel giorno. Non lo aveva fatto. Nelle rare occasioni in cui le capitava di rompere qualcosa nel pulire, metteva sempre da parte i cocci nel caso il padrone di casa volesse cercare di riparare o sostituire l’oggetto. Era anche molto attenta a riciclare il vetro. Secondo lei, un sacchetto dei rifiuti contenente frammenti di vetro o di cristallo poteva essere stato messo fuori o da Hunter o da Casey. La seconda telefonata era stata al detective McIntosh, della polizia del Connecticut. Lui si era messo a ridacchiare quando gli aveva chiesto del sacchetto della spazzatura. «Ci è arrivata, eh?» «Lei lo sapeva?» «Non per certo, finché lei non mi ha chiesto di quella fotografia scomparsa. Quando abbiamo trovato quel sacchetto nella spazzatura ci siamo domandati se magari qualcosa fosse stato lanciato durante un litigio, o rotto durante una lotta. Ma l’accusa ha detto che era

un’ipotesi eccessiva da avanzare al processo. Poi lei viene da me in ufficio a dirmi che la cornice di cristallo con la fotografia preferita della vittima è sparita dalla casa. Sono pronto a scommettere che è quella trovata nella spazzatura. Il suo più caro ricordo distrutto in un momento di furia.» «Perché non me ne ha parlato quando le ho domandato della fotografia scomparsa?» «Perché una volta andata in onda la sua trasmissione, avevo intenzione di servirmene per ritorcerla contro Casey. Non potevo aiutarla troppo. Come ho detto, abbiamo catturato la persona giusta. Per quello che può valere, le avevo dato un suggerimento, avevo detto che poteva essersi rotta. È stata una cortesia professionale nei riguardi di suo padre. E adesso lei ci è arrivata.» «Avete ancora il contenuto del sacchetto? Possiamo provare con certezza che era la cornice di una fotografia?» «Nooo. Oggigiorno conserviamo la roba importante, come il DNA, ma un sacchetto della spazzatura che non è mai stato usato come prova? È sparito da un pezzo. Credevamo che contenesse un vaso o qualcosa del genere, ma non abbiamo mai provato a ricomporre i pezzi. All’epoca non sembrava importante.» Lo era adesso. Laurie ripensò alla reazione di Grace quando aveva sentito parlare della fotografia scomparsa per la prima volta: «Probabilmente lei gliel’ha lanciata contro mentre litigavano, poi ha raccolto i cocci e ha sepolto tutto nel bosco prima di chiamare il 911». Ryan era giunto alla stessa conclusione: « Per quanto ne sappiamo, la cornice può essersi rotta durante la lite e Casey aveva il tempo di ripulire tutto prima di chiamare la polizia». Doveva essere quello il motivo per cui Casey le aveva telefonato di sera, due giorni prima, cercando di convincerla a non parlare della fotografia scomparsa durante la trasmissione. Aveva paura che la polizia potesse fare due più due. Quando le aveva parlato, Laurie aveva guardato Casey negli occhi e aveva creduto che fosse innocente. Come poteva essersi sbagliata tanto? Ryan aveva previsto che Casey sarebbe uscita furibonda dallo

studio appena messa di fronte a quel rapporto, invece lei non si mosse dalla sua sedia, nemmeno quando lui continuò a portare avanti l’attacco. «Non è forse vero che quel sacchetto conteneva i resti della cornice per fotografie che lei ha rotto durante una violenta lite con Hunter? Quella con la fotografia a cui lui teneva tanto? O forse si è rotta quando lei lo ha inseguito fino in camera da letto sparandogli?» «No. Là dentro non c’era la cornice.» «Però lei ha chiamato la nostra produttrice a casa, due giorni fa, chiedendole di non accennare a quella cornice, o no?» «Era per un motivo completamente diverso. Era una strategia. Lei sta travisando tutto!» Verso la fine della frase, Casey stava quasi gridando, e picchiava il pugno sul tavolino per maggiore enfasi. Laurie vacillò, ma Ryan rimase perfettamente calmo. «Allora facciamola semplice, Casey. Quello è stato il suo ultimo giorno con Hunter, deve averlo mentalmente ripercorso un milione di volte. Ci dica soltanto che cosa si è rotto. Che cos’erano quei cocci che la polizia ha trovato nel bidone della spazzatura dietro la casa?» «Era un vaso.» «E come si è rotto?» «Le cose si rompono. Succede.» «Mi permetta di essere sincero, Casey. Se lei fosse mia cliente e desse una risposta del genere, io non la farei testimoniare, perché qualunque giuria si renderebbe conto che non sta dicendo la verità. Lei ricorda più di quello che sta raccontando.» «Va bene, l’ho rotto io. Ho visto quella fotografia di Hunter con Gabrielle Lawson su The Chatter. Mi sono infuriata al punto da lanciare il giornale sul ripiano, facendo cadere un vaso. Mi sono subito vergognata. Ho ripulito tutto e ho portato fuori la spazzatura, sperando che Hunter non se ne accorgesse.» «Perché si è vergognata?» «Perché nonostante i miei sforzi non riuscivo a controllare la gelosia. Mi spiace moltissimo di aver dubitato della sua fedeltà verso di me, anche solo per un attimo.» «Quella non è stata l’unica volta in cui ha provato gelosia, vero?

Abbiamo saputo da altri che spesso lo aveva accusato anche in pubblico se pensava che Hunter fosse un po’ troppo affabile con qualche altra donna.» «Non era facile stare con un uomo tanto amato. Era un eroe. La sua era praticamente una famiglia reale. Al confronto io ero la volgare plebea che si era infiltrata. A peggiorare le cose, l’unica storia seria che Hunter aveva avuto prima di me era con una presentabilissima donna dei quartieri alti, l’esatto contrario di me. Quando lo vedevo vicino a quel genere di donne non ero semplicemente gelosa, feriva i miei sentimenti. Per Hunter tutto ciò era solo un aspetto inevitabile dell’appartenenza alla buona società.» «E per lei cos’era?» «Una questione di rispetto.» Laurie si sentì addosso gli sguardi di Jerry e Grace, impazienti di discutere di quanto stavano vedendo. Fino a quel giorno lei aveva esibito il suo fidanzamento come una favola perfetta. Ora stavano vedendo un altro aspetto della storia. Laurie scosse leggermente la testa per dire loro di non battere ciglio. «Hunter non la rispettava?» domandò Ryan comprensivo. Teneva perfettamente sotto controllo i propri modi boriosi e saccenti. Il tono era impeccabile. «Mi rispettava, ma… non riusciva a capire. Essere la persona più importante tra i presenti era per lui una condizione innata. Nessuno lo giudicava mai. Non sapeva che effetto faceva essere me, subire il giudizio di tutte quelle donne, domandarmi come mai ero stata così fortunata da essere scelta da lui.» «Questa questione sembra essere venuta fuori spesso. Sarebbe corretto affermare che è stata motivo di litigi?» «Certo. Ma non nel modo descritto durante il processo. Erano litigi come ne ha qualunque coppia. Lui stava imparando a fare meno il seduttore, io diventavo meno gelosa a mano a mano che mi sentivo più sicura del nostro rapporto. Ed è per questo che sono stata tanto delusa di me stessa per aver reagito tanto emotivamente davanti alla foto di lui con Gabrielle.»

«Allora perché non ce ne ha parlato?» domandò Ryan. «Perché ha tolto il foglio con l’inventario della polizia dalla documentazione che ci ha fornito? E perché ha voluto dare l’impressione che la sua avvocatessa non avesse fatto quasi niente per lei?» «Non volevo che mi riteneste colpevole.» Il silenzio che seguì la diceva lunga. Casey cercò disperatamente con gli occhi una reazione sul viso di Ryan, e poi guardò oltre la telecamera, verso Laurie. «Tu mi credi ancora, vero?» L’espressione della produttrice doveva essere abbastanza eloquente, perché Casey scoppiò immediatamente a piangere. «Mi dispiace», singhiozzò. «Mi dispiace moltissimo.» Le porte dell’ascensore non fecero in tempo a chiudersi che tutti sospirarono di sollievo all’unisono. Non avrebbero potuto chiedere di più. «Lo sapevo che era stata lei», disse Grace sollevando il pugno in segno di vittoria. «Questa sarà la scena migliore che abbiamo mai mandato in onda», affermò Jerry. «È solo un peccato che quella donna abbia già scontato la sua pena: qui ci stava la polizia che entra in forze e la porta via.» Ryan aspettò che Jerry e Grace fossero tornati nei loro uffici prima di emettere il proprio verdetto. Si avvicinò e disse beffardo: «Se fossi un uomo peggiore, sarei tentato di sottolineare che te l’avevo detto». «È un bene che tu sia modesto», fece Laurie. «Ed è un bene che io sia una donna abbastanza sicura di me da ammettere un errore. Avevi ragione: Casey è colpevole.» Una volta sola, Laurie chiamò Alex. Ascoltando il messaggio registrato della segreteria si rese conto una volta di più quanto le mancava la sua voce. «Alex, sono Laurie. Possiamo parlare, per favore? Puoi dire a Mark Templeton che non gli daremo più fastidio. Mi dispiace che le cose siano finite fuori controllo, ieri.» Cercò le parole giuste. «Parliamone. Per favore, chiamami quando puoi.» Per il resto del pomeriggio guardò il telefono, aspettando che squillasse.

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PAULA Carter era seduta sul letto della sua camera d’albergo, e passava il tempo cambiando canale con il telecomando del televisore. Alla scrivania accanto a lei, la nipote Angela digitava furiosamente sul suo computer portatile. «Non era necessario che ci prendessi una stanza in albergo, Angela, però è stata una cosa molto premurosa.» «Figurati. Mi pareva poco probabile che Casey volesse risalire subito in treno dopo le riprese. E poi qui la Ladyform gode di tariffe ridotte.» «Mi sono sentita così sollevata quando Laurie ha telefonato, ieri sera, per dire che in fin dei conti non avrebbe avuto bisogno di noi due. E capisco che Casey abbia deciso di presentarsi da sola, ma perché non ci ha chiamate? Ormai dovrebbe aver finito. Come fai a concentrarti sul lavoro?» «Non ho scelta», rispose Angela, continuando a digitare. «Questo fine settimana abbiamo la sfilata autunnale. Sto facendo quello che posso da qui, ma Charlotte e io dobbiamo andare al magazzino a controllare l’allestimento del set.» Paula spense il televisore. «Angela, non credo di averti mai detto quanto sono fiera di te. E quanto sarebbe stata fiera tua madre di vedere tutto quello che hai saputo realizzare come donna e professionista. Passare da semplice modella a un lavoro di così grande successo…» «‘Semplice modella’?» fece Angela, distogliendo un attimo lo sguardo dallo schermo del computer. «Ho lavorato più duramente quando facevo la modella di quanto abbia mai fatto alla Ladyform.» «Non è questo che intendevo dire, Angela. Sei sempre stata così bella, e ovviamente sei ancora uno splendore, ma non è mai stato il tuo unico pregio. La bellezza svanisce, il talento no. Sarò sincera, quando voi due ragazze eravate piccole mi capitava di mettervi a

confronto. Mia sorella parlava sempre di quanto eri bella, però, mi dispiace dirlo, io pensavo: La mia Casey alla lunga si rivelerà la migliore. So che adesso suona orribile, ma Robin e io eravamo sempre un po’ in competizione, anche per quanto riguarda i figli. Non avrei mai immaginato che tu saresti diventata una dirigente d’azienda e Casey sarebbe stata quella che…» Non riuscì a terminare la frase. Angela richiuse il computer portatile, si sedette accanto a Paula sul letto e la strinse a sé in un abbraccio. «Grazie, zia Paula. Per me significa molto che tu sia fiera di me. Sono sicura che in qualche modo anche Casey troverà un futuro per sé.» Le si inumidirono gli occhi. Si asciugò una lacrima e rise per alleggerire l’atmosfera. «Va bene, adesso sono io che sto in ansia. A questo punto avremmo già dovuto avere notizie di Casey.» Paula stava per prendere il cellulare quando sentirono il bip della chiave magnetica nella porta. Casey aveva gli occhi rossi, e il trucco le era colato sul viso. «Oh, no, cosa c’è che non va?» le domandò la cugina. «Tutto!» Casey strillava. «Tutto non va! Mi hanno attirata in un tranello. L’amica di Charlotte, Laurie, ha fatto finta di credermi, invece poi mi ha scatenato contro quel cane rabbioso dell’avvocato. Lui ha travisato tutti i fatti. Se almeno mi avessero avvisata, avrei potuto rispondere meglio. Avrei potuto spiegare tutto.» Paula rimpianse immediatamente di non aver contrastato di più Casey nella sua decisione di andare a quella trasmissione. «Magari non è così grave», azzardò timidamente. «Mamma, è stato orribile. Alla fine farò una figura pessima. L’obiettivo era quello di riabilitare il mio nome, e invece apparirò ancora più colpevole di prima. Ho capito benissimo che non mi avrebbero creduta. Sì, Hunter e io litigavamo, ma è normale in una coppia. Alla fine risolvevamo sempre tutto. Non avrei dovuto cercare di nascondere le cose, ma volevo essere sicura che Laurie decidesse di trattare il mio caso.» Paula guardò Angela in cerca di aiuto, però lei sembrava altrettanto confusa. «Tesoro, non sono sicura di riuscire a seguirti.»

«Quando ho dato la mia documentazione a Laurie, ho tenuto da parte qualcosa. Parecchie cose. È stato molto stupido. Dovevo immaginarmelo che lo avrebbero scoperto.» «Che cosa hai omesso, esattamente?» domandò Angela, nervosa. «Ho fatto apparire l’avvocatessa peggiore di quanto fosse in realtà. Ma il problema principale è stato un inventario della polizia, in cui comparivano dei cocci di vetro nella spazzatura.» «Come poteva essere così importante?» esclamò Paula. «Perché loro credono che sia la cornice di cristallo sparita dal comodino. Pensano che sia stata io a romperla durante una lite con Hunter, e che per questo avrei tolto quel foglio dalla documentazione che ho dato loro.» «E hanno ragione?» Le parole uscirono dalla bocca di Paula prima che potesse fermarle. Lo sguardo di sua figlia si caricò di dolore. «Ovviamente no. Era solo un vaso rotto. Ho tolto quel foglio perché non volevo che Laurie pensasse alla cornice.» «Quindi la loro è solo un’ipotesi», disse Angela. «Francamente, non vedo il problema.» Paula non poté fare a meno di notare che la nipote sembrava meno paziente del solito. Lo attribuì al fatto che doveva andare via a breve per lavoro. «Il problema è che sono stata io a rompere il vaso. Qualche giorno prima della serata di gala, quando ho visto la fotografia di Hunter e Gabrielle, ero così furiosa che ho scaraventato via il giornale. Ha urtato il vaso e lo ha fatto cadere dal tavolo, mandandolo in mille pezzi.» Paula sentì il cuore sprofondare. «E oggi tu, davanti alla telecamera, gli hai detto questo? Questa era la teoria dell’accusa sul tuo movente.» Si prese il viso tra le mani. «Oh, Casey…» «Lo so, mamma. Ti prego, non cominciare. La cornice con la fotografia sparita era l’unica cosa che avevo dalla mia parte per dimostrare che quella sera a casa c’era qualcun altro. E adesso il mio tentativo di nascondere i cocci di vetro mi si ritorce contro. Per non parlare del fatto che mi hanno fatta passare per una che cercava di

manipolarli perché ho suggerito di non accennare al dettaglio della fotografia. E adesso farò una figura orrenda.» Paula si domandò se sua figlia sarebbe mai stata sincera con lei – o con se stessa – su ciò che aveva fatto in quella notte spaventosa. Però lei avrebbe fatto quello che faceva sempre: amare sua figlia e adoperarsi per proteggerla. Casey diceva sempre che Hunter la amava incondizionatamente, eppure sembrava non aver mai notato che lo stesso si poteva dire dei suoi genitori. E dato che Paula faceva sempre quello che poteva per proteggere la figlia, disse a Casey di andare in bagno a togliersi il trucco. Quando poi si fu allontanata, iniziò a infilarsi la giacca. «Dove vai?» le domandò Angela. «A parlare con Laurie Moran, da madre a madre. Deve pur esserci un modo per impedire che questa trasmissione vada in onda e lasciare che Casey viva la sua vita in pace.»

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LAURIE doveva avere un’aria soddisfatta quando uscì dall’ufficio di Brett Young. «Il capo è contento?» le domandò Dana, la segretaria, quando la vide passare. «Capita mai che lo sia? Però sì, rispetto al suo umore abituale è decisamente solare.» Durante la produzione avevano al massimo sperato di scovare qualche nuovo elemento da incastrare nel quadro per gettare luce su un caso dubbio. L’idea che qualcuno potesse addirittura confessare davanti alla telecamera andava oltre ogni loro più roseo sogno. Casey non aveva proprio ammesso esplicitamente di aver ucciso Hunter, ma aveva detto di essere stata gelosa di Gabrielle Lawson e di aver mentito alla produttrice perché credesse alla sua innocenza. Le sue ultime parole singhiozzate, «mi dispiace», erano piene di rimorso. Un semplice spezzone video di quell’unico momento sarebbe bastato a convincere gli spettatori della sua colpevolezza. Non c’era di che stupirsi se l’avvocatessa le aveva consigliato di non testimoniare. Com’era prevedibile, Brett stava già facendo pressione su Laurie perché decidesse una data per andare in onda. Lei gli aveva detto che voleva rintracciare un paio di persone che conoscevano Casey in passato, ma riteneva che presto avrebbero ultimato la produzione. Stava pensando ai potenziali soggetti da intervistare, quando sentì qualcuno che parlava a voce alta nella zona in cui si trovava il suo ufficio. Girato l’angolo vide Grace in tacco dieci che cercava di calmare una Paula Carter particolarmente insistente. Sentì Paula che diceva: «Dovessi spendere anche l’ultimo centesimo che mi rimane, assumerò un’intera squadra di avvocati e porterò questi studios in aula per anni. State distruggendo la nostra vita!» «Signora Carter, perché non ne parliamo nel mio ufficio?» le propose Laurie. Laurie lasciò che la signora Carter si sfogasse, senza interromperla,

per parecchi minuti. Quando finalmente si fermò per riprendere fiato, le porse una copia della liberatoria firmata da sua figlia. «Quella è una fotocopia, nel caso lei stia pensando di strapparla. È molto chiara: Casey ha accettato di partecipare a un’intervista senza limitazioni, e ci ha concesso pieno diritto di messa in onda. Lei non ha il potere di modificare niente né l’autorità per fermarci. E la prego di ricordare che è stata sua figlia a venire da me in cerca di aiuto. Non sono stata io a intromettermi nella vostra famiglia.» Paula osservava la liberatoria. Laurie capì che tutta la voglia di lottare la stava abbandonando. «Lei è madre?» domandò piano. «Sì», rispose Laurie in tono più leggero. «Ho un figlio di nove anni.» «Preghi Dio che non le spezzi mai il cuore. Non riesco a pensare a niente di più doloroso che perdere completamente mia figlia.» Ecco infine la conferma che persino la madre di Casey la riteneva colpevole. Era questo che intendeva dicendo che le aveva spezzato il cuore. Glielo aveva spezzato commettendo un crimine orribile. «Da quanto tempo lo sa?» le domandò Laurie. Paula scosse la testa, le labbra serrate. «Non c’è nessuna telecamera, Paula. Non riferirò a nessuno quello che mi dirà qui.» «Abbiamo cercato di crederle. Frank e io abbiamo pregato per non perdere la fiducia in nostra figlia. Ma era impossibile ignorare le prove. I residui di polvere da sparo sulle mani, lo psicofarmaco nella borsetta. E noi sapevamo meglio di chiunque altro quanto potesse essere irruente Casey. Quando Hunter ha iniziato a insegnarle a sparare, Frank aveva persino scherzato dicendo che lei forse non era la persona giusta a cui mettere in mano una pistola. Non desiderava altro che diventare la moglie di Hunter Raleigh III, e se ha creduto di essere sul punto di perderlo…» Non finì quella riflessione. «Per questo Frank voleva che si dichiarasse colpevole, pensava che la prigione avrebbe persino potuto esserle d’aiuto. Ma quindici anni? Non ha mai più potuto vederla fuori da quelle mura. Laurie, mia figlia è in grave crisi. Posso in qualche modo convincerla, da madre a

madre, a occuparsi di un’altra storia?» Laurie scosse la testa. Il minimo che potesse fare era essere sincera con quella donna. «Lo sapevo che fare questa trasmissione era un errore», disse piano Paula. «Dopo che lei è venuta a casa nostra per la prima volta, persino Angela mi ha chiesto di fare il possibile per convincere Casey a tirarsene fuori. Se lo sentiva che avrebbe commesso un errore e ne sarebbe uscita anche peggio che al processo.» «Mi sta dicendo che Angela ritiene Casey colpevole? Mi aveva dato l’impressione opposta.» «Dà a tutti l’impressione opposta. Cerco di non avercela con lei per il fatto che Casey le attribuisce una lealtà incondizionata, ma la verità è che anche lei ha i suoi dubbi. Dice sempre: ‘Se Casey sostiene che non è stata lei, allora non è stata lei’, ma non vuol dire che lo creda veramente. Io invece mi sono messa l’anima in pace da tempo. Avevo paura che Casey non ce l’avrebbe fatta ad arrivare in fondo alla sua pena se non avesse potuto contare almeno su una persona che stava sinceramente dalla sua parte. Per questo ho continuato a permettere che Angela recitasse quella parte.» «Paula, non sono fatti miei, ma che cosa farà quando la trasmissione andrà in onda? Vuole continuare a starsene lì buona in silenzio mentre Casey accusa chiunque tranne se stessa per la morte di Hunter? Sua figlia ha già scontato la sua pena. Forse il modo per trovare pace sarebbe ammettere ciò che ha fatto, se non altro con la sua famiglia.» «Ho detto prima che spero che suo figlio non le spezzi mai il cuore. Il mio si è spezzato quando mi sono resa conto che mia figlia non si sarebbe mai fidata di me abbastanza da dirmi la verità. E se lei riferirà quello che le ho detto oggi, io lo negherò, esattamente come fa mia figlia.»

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LAURIE aveva appena fatto entrare Paula in uno degli ascensori, quando le porte di quello accanto si aprirono e ne uscì Charlotte. Indossava un paio di jeans e una felpa nera con il cappuccio e il logo della Ladyform. Laurie era abituata a vederla in eleganti completipantalone nei giorni feriali. «Che sorpresa», le disse. «Abbiamo in programma una rapina da qualche parte?» «Sarebbe molto più divertente. Sto andando a Brooklyn.» Lo disse come se si trattasse di un Paese straniero. «Dobbiamo preparare il magazzino per la sfilata. Hanno iniziato ad allestire il set ieri, ma c’è un sacco di lavoro da fare. Angela e io dobbiamo rivedere le ultime cose.» Laurie era stata così presa dalla trasmissione che si era dimenticata di quanto anche l’amica fosse sotto pressione. «Posso essere d’aiuto in qualche modo? Non che io sappia niente di sfilate di moda.» «Purtroppo sono qui per chiederti un altro genere di favore. Si tratta della cugina di Angela. Possiamo parlare?» Charlotte fu palesemente stupita quando Laurie le disse che la madre di Casey l’aveva già battuta sul tempo. «È appena andata via. Le ho spiegato che la liberatoria firmata dalla figlia è inoppugnabile. Non può revocarci il consenso adesso.» «Ho spiegato ad Angela che non pensavo di poter fare qualcosa, però sembrava disperata quando mi ha chiamata, ed è mia amica, quindi…» «Lo capisco. Ma se la mia trasmissione è fatta bene, ci sarà sempre almeno una famiglia distrutta dalla verità. Tutti hanno una famiglia. Lo so che sembro fredda», disse Laurie, «ma non posso preoccuparmi di questo.» «E se tu avessi scoperto qualcosa di terribile su mia sorella?

Avresti raccontato la storia lo stesso, anche se mia madre aveva riposto tanta fiducia in te?» Era la prima volta che Laurie prendeva in considerazione quella domanda, però rispose senza esitazione. «Sinceramente, sì. Ma, Charlotte, tua sorella era una vittima. Casey non lo è. Pur essendo cugina di una tua amica, è un’assassina. Pensa a quello che ha fatto passare alla sua famiglia. Se c’è qualcuno per cui provo dispiacere sono i Raleigh.» James Raleigh aveva perso il figlio, e Andrew il fratello. Se la trasmissione voleva esplorare ogni aspetto di quella nuova indagine, Laurie avrebbe dovuto parlare anche dei loro errori. «Il generale Raleigh non è un uomo perfetto», proseguì «e di certo non approvo le sue strategie. Ha spinto Jason Gardner a scrivere il libro che ha convinto tutti della follia di Casey. E insieme alla sua tirapiedi Mary Jane è probabilmente l’autore dei post firmati RIP_Hunter.» E su questo si fermò. Era vero che il generale aveva messo a tacere e persino minacciato Mark Templeton per insabbiare il fatto che Andrew si era servito della fondazione di famiglia come di un bancomat personale, ma il suo unico interesse erano sempre stati i figli. Voleva essere sicuro che chi aveva ucciso Hunter fosse punito, e voleva disperatamente proteggere l’unico figlio rimasto. «Parlerò di persona con Angela, se vuoi. Non dovresti essere messa in mezzo tu.» «Non sono stata messa in mezzo. Lei è mia amica, perciò mi sono offerta io di parlare con te. Ma anche tu sei mia amica, e capisco che devi fare il tuo lavoro. Alla lunga anche Angela capirà. In questo momento è sconvolta per Casey: era così certa della sua innocenza e adesso comincia a farsi delle domande.» L’espressione di Laurie dovette tradire i suoi dubbi. Charlotte le domandò se c’era qualcosa che non andava. Laurie non aveva intenzione di riferire quello che la madre di Casey le aveva detto, ma voleva far sapere a Charlotte che forse Angela non era poi così sconvolta come dava a vedere. «Io credo che Angela avesse già dei sospetti sulla colpevolezza della cugina. Se ti ha chiesto di interessarti della cosa, forse è perché si

sentiva in colpa di non aver detto a Casey la vera ragione per cui pensava che non fosse il caso di partecipare alla trasmissione.» Charlotte aggrottò la fronte. «Non credo che ci fosse tutto questo sotto», disse. «È solo molto leale, ed è preoccupata per Casey.» «Ne sono certa», disse Laurie, «però mi sembra di capire che temesse proprio di arrivare a questo. Né tu né io adesso saremmo in questa situazione se lei ci avesse detto fin dall’inizio che aveva i suoi dubbi sull’innocenza della cugina.» Charlotte distolse lo sguardo, e Laurie si rese conto di aver esagerato. Le dava fastidio che Angela avesse permesso a Charlotte di andare da lei a sostenere la causa della cugina, quando poi, a quanto pareva, aveva detto alla zia che la riteneva colpevole. Ma Charlotte conosceva Angela da molto più tempo di Laurie, e non stava a lei mettere in dubbio la loro amicizia. «Comunque sia, grazie per aver capito la mia decisione.» «Se non altro potrò dire ad Angela che ci ho provato», rispose Charlotte molto pragmaticamente. «A proposito, sarà meglio che io vada. Angela è già al magazzino. E a proposito di magazzini: forse te ne serve uno per ampliare il tuo ufficio. Sembra un po’ di stare nella tana di un serial killer.» Si alzò dal divano e si mise a guardare le varie lavagne che Laurie usava per organizzare i pensieri. «Che cos’è tutta questa roba?» «Tanto fumo e poco arrosto. La maggior parte di quelle stampate erano un vano tentativo di scoprire chi avesse postato diversi commenti negativi su Casey. La mia teoria era che potesse essere il vero assassino.» «Oppure era l’ennesimo suonato che se ne sta al computer nel seminterrato della mamma», fece Charlotte. «Dovresti vedere le cose orribili che la gente posta sull’account Instagram della Ladyform. Le modelle sono tutte troppo grasse o troppo magre o troppo vecchie. È facile essere crudeli quando sei protetto dall’anonimato. E che cos’è questo ‘e poi’?» domandò, indicando la grande scritta rossa in maiuscolo che Laurie aveva cerchiato. «Una frase che il nostro amato stalker tende a usare. Comunque non è più importante, ora. Buona fortuna con la sfilata, sono sicura

che sarà straordinaria.» «Vuoi venire?» domandò Charlotte. «Davvero? Mi piacerebbe molto.» «Ottimo. Ti metto nella lista per sabato. E buona fortuna anche a te per la trasmissione. Mi dispiace moltissimo per Angela, ma so che sarà una grande vittoria per te.» Una grande vittoria, pensò Laurie quando fu da sola. Quelle parole le ricordavano una cosa che Alex aveva detto la prima volta che avevano litigato per Mark Templeton. «Hai vinto», aveva detto. Prese il cellulare dalla scrivania, nella speranza che lui avesse chiamato, ma rimase delusa. Era stanca di aspettare, così gli scrisse lei stessa un messaggio. Hai tempo per parlare? Rimase un attimo con il dito sospeso sullo schermo, poi premette l’invio. Aspettò, carica d’ansia, mentre sul display appariva il segnale che lui stava digitando una risposta. Ho ricevuto il tuo messaggio, prima. Ho solo bisogno di un po’ di tempo per riflettere. Ti chiamo quando le cose si saranno raffreddate un po’. Raffreddate un po’, pensò Laurie. Diciamo pure quando saranno gelide come un cadavere. Sentì bussare alla porta. Era Jerry. «C’è un viavai in questo ufficio che sembra di stare alla stazione centrale», disse. «Sei pronta a buttare giù l’elenco delle cose che dobbiamo fare prima di cominciare a montare le riprese?» Avevano già iniziato a compilare la lista. Uno studio di Washington che collaborava con loro avrebbe fornito alcune riprese esterne della casa in cui Casey aveva vissuto da bambina, e del suo liceo. Jerry stava spulciando le foto degli annuari e gli archivi video della Tufts, dove Casey aveva frequentato l’università. Si sedettero al tavolo delle riunioni e Laurie disse di essere ancora convinta che avrebbero dovuto intervistare qualcuno che conosceva Casey e Hunter come coppia. «Abbiamo i ricordi di Andrew, ma ovviamente lui metterà l’enfasi sugli aspetti negativi. Mark Templeton è fuori discussione. E la madre e la cugina di Casey non ci parleranno più per un bel pezzo. Casey aveva qualche amica?»

«Le aveva, in passato. L’hanno tutte mollata come una patata bollente quando è stata arrestata.» «E i fidanzati delle amiche? Magari c’era qualche coppia con cui facevano delle uscite insieme.» Stava riflettendo ad alta voce. «In effetti, Sean Murray sarebbe perfetto.» Jerry ci impiegò un attimo a riconoscere il nome dell’uomo che frequentava Angela quindici anni prima. «Mi pareva che avesse già declinato.» «Sì, ma non è stato categorico al riguardo. Non ho insistito perché non sembrava importante.» Laurie si rese conto che c’era un altro motivo per cui Sean poteva esserle d’aiuto. Sarebbe stato interessante sapere se Angela gli aveva mai detto che la famiglia stessa di Casey la riteneva colpevole. «E credo che lui temesse la reazione della moglie se avesse incrociato di nuovo la strada di Angela.» «Ma dato che adesso Angela non apparirà più in trasmissione…» «Cerchiamo il suo indirizzo. Magari avrò più fortuna di persona.»

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A CAUSA del traffico sul ponte di Brooklyn, il taxi di Charlotte ci mise quasi un’ora a percorrere i dieci chilometri scarsi tra l’ufficio di Laurie al Rockefeller Center e il magazzino di Brooklyn che di lì a quattro giorni avrebbe ospitato la sfilata autunnale della Ladyform. Mentre passava la carta di credito per saldare un conto astronomico, il tassista parve leggerle nel pensiero. «A quest’ora è meglio prendere la metro che passa sul ponte.» Cogliendo il senso del suggerimento, Charlotte gli lasciò un po’ di mancia in più perché potesse tornare a Manhattan, dove avrebbe fatto affari migliori. Trovò la serranda metallica del magazzino sollevata di una spanna da terra. Diede un bello strattone alla maniglia e la alzò quanto bastava per infilarsi dentro, poi la spinse giù di nuovo, lasciandola socchiusa come l’aveva trovata. Era stata lì già tre volte, abbastanza da conoscere a grandi linee la disposizione degli spazi. Quello che un tempo era il centro di distribuzione di una ditta di biancheria per la casa adesso era solo un edificio a tre piani con enormi finestre ad arco e soffitti altissimi. Alla fine i piani sarebbero stati frazionati in appartamenti, ma per il momento il costruttore stava facendo un po’ di cassa affittando lo spazio ancora in gran parte al grezzo per servizi fotografici ed eventi aziendali. Quando Angela aveva trovato l’annuncio, Charlotte era stata immediatamente d’accordo che fosse perfetto per la loro sfilata autunnale. Sarebbero riuscite a «dare corpo alle loro idee» e «farne uno spazio loro», come aveva recitato l’agenzia. E poi era incredibilmente a buon mercato. Il piano terra sarebbe stato allestito come una palestra di CrossFit per mostrare tutti i capi sportivi per i quali la Ladyform era già famosa. Al primo piano intendevano ricreare il tipico ambiente da ufficio, con le postazioni separate da divisori, e protagonista sarebbe stata una nuova linea della Ladyform: abiti informali per la donna che lavora.

L’ultimo piano avrebbe avuto un’atmosfera intima e domestica per mettere in risalto i pigiami e l’abbigliamento comodo dei giorni festivi. «Angela?» chiamò Charlotte, e la sua voce echeggiò nel magazzino. «Angela, dove sei?» L’unica luce dall’alto veniva dalle plafoniere al neon sul soffitto, che ronzavano sopra la testa di Charlotte mentre avanzava lungo il piano terra. Faretti portatili da cantiere proiettavano ombre al suo passaggio. Le luci da palco non sarebbero arrivate prima dell’indomani, ma il set stava venendo bene. Una fila di tapis-roulant stava di fronte a una serie di macchine da Pilates: i visitatori avrebbero potuto camminare lungo il corridoio fra le attrezzature come se fossero in una vera palestra, con le modelle intente a fare ginnastica su entrambi i lati. Charlotte riconobbe tre grandi contenitori pieni di abbigliamento sportivo e una scatola di top da allenamento a maniche lunghe che sarebbero stati lanciati a breve, tutte cose che quella mattina si trovavano ancora nel corridoio fuori dall’ufficio di Angela. Facendosi luce con il display del cellulare, Charlotte lesse un biglietto attaccato con il nastro adesivo sul lato di uno dei contenitori aperti. Per la palestra al piano terra. Terminato il giro a quel livello, Charlotte andò all’ascensore. Le porte si aprirono, ma quando entrò e premette il pulsante per andare al primo piano, non accadde nulla. Provò a premere il secondo, e nemmeno quello funzionò. Visto che in angolo del magazzino c’era la porta del vano scale, decise di prendere quelle. Fu molto delusa nel vedere che il primo piano sembrava quasi non essere stato toccato, a parte altri biglietti attaccati in giro da Angela. Arrivò quasi senza fiato all’ultimo piano, che pareva leggermente più a buon punto del primo. Erano state costruite due finte stanze, un soggiorno e una camera da letto, come in un teatro di posa per una trasmissione televisiva. Qualche mobile era già al suo posto. Altri biglietti indicavano la presenza di Angela. Charlotte riuscì a leggere solo quello più vicino: Parete da mettere in evidenza. Dipingere di grigio. «Eccoti», disse Charlotte scorgendo l’amica seduta a gambe incrociate su un grande tappeto nella finta camera da letto. «Forse

dovrei lavorare di meno e fare più esercizio. Due piani di scale mi hanno ammazzata.» «I soffitti sono alti, quindi probabilmente erano anche quattro o cinque piani.» Angela alzò gli occhi per un attimo dal taccuino su cui stava scrivendo. «Hai visto che razza di disastro? E, come avrai già notato, l’ascensore è andato. È per questo che il primo piano è ancora così indietro. L’ascensore si è bloccato al piano terra a metà giornata. L’agente ha promesso che domani lo farà sistemare, ma sta’ pur certa che mi farò fare uno sconto. Avrei dovuto stare qui tutto il giorno a tenere d’occhio il personale.» «La tua famiglia aveva bisogno di te. Quello viene prima.» Charlotte aveva passato cinque anni in preda all’ansia per un membro della propria famiglia. Non poteva nemmeno immaginare come dovesse essere scoprire che una persona cara quanto una sorella – perché questo era Casey per Angela – era probabilmente un’assassina. «Ho parlato con Laurie. Niente da fare, temo.» «Be’, magari non dipende da lei. Paula ventilava di prendere un avvocato.» «Dubito che servirà a qualcosa. Detesto doverlo dire, ma è possibile che tua cugina sia in effetti colpevole?» Il pennarello di Angela si bloccò. «Francamente, non so più cosa pensare», disse piano. «Mi dispiace moltissimo che tu ci sia finita di mezzo.» Charlotte stava percorrendo quello che chiamavano «il set domestico», colpita dai particolari indicati nei biglietti di Angela. Posizionare qui la luce, in un punto. E anche qui, in un altro. Questa poltrona è troppo bassa. E poi sembra più adatta al set del primo piano. Charlotte rimase senza fiato leggendo il biglietto sulla poltrona. «Li hai scritti tutti tu, questi?» domandò. «Ma certo. Chi altri doveva farlo?»

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ERA quasi sera, ma Laurie decise che doveva almeno cercare di parlare con Sean Murray. Aveva il suo indirizzo, scese in strada e chiamò un taxi. Magari avrò più fortuna faccia a faccia piuttosto che al telefono, pensò. La casa a schiera in arenaria a Brooklyn Heights dove abitava Sean si trovava in una via tranquilla e alberata, in cui i bambini potevano andare a Prospect Park in bicicletta sul marciapiede, e piccoli cani di razza giravano liberi nei tipici giardinetti recintati davanti alle case. Laurie aveva pensato molte volte di traslocare lì per offrire a Timmy una casa più grande e più spazi all’aperto, ma lui amava la sua scuola e i suoi amici, e sembrava assolutamente soddisfatto nel loro appartamento nell’Upper East Side. Suonò il campanello, e dal pianerottolo all’entrata sentì rimbombare dei passi rapidi dentro casa. «Paaa-pààà», chiamò una giovane voce. «C’è una signora alla porta. Apro io?» Una voce più profonda diede una risposta che Laurie non riuscì a decifrare, e di lì a poco si trovò faccia a faccia con Sean Murray. Lo riconobbe da alcune fotografie che Casey le aveva fornito per usarle nel montaggio. Quando si presentò, capì subito che Sean aveva riconosciuto il suo nome. «Le volevo riparlare della possibilità di collaborare con la nostra trasmissione.» Abbassò la voce. «Angela non parteciperà. Ho pensato che questo potesse cambiare un po’ le cose per lei.» Lui si fece da parte per lasciarla entrare, e la condusse in un salottino sul davanti della casa. Laurie sentiva voci di bambini e l’audio di un televisore al piano di sopra. Sean si accomodò nella poltrona di fronte a lei. «So che lei si preoccupava dell’effetto che la trasmissione avrebbe potuto avere su sua moglie», disse Laurie. «Magari vogliamo vederci da qualche altra parte?»

Sean fece una risatina. «Mi sono sentito uno scemo un attimo dopo aver detto che a mia moglie avrebbe dato fastidio. Jenna non sa nemmeno da che parte sta la gelosia…» «Allora perché ci ha detto che il problema era quello?» «Perché sono un tremendo bugiardo», rispose lui, ridendo di nuovo. «In poche parole, non voleva parlare con me», dedusse Laurie. Fece per prendere la valigetta, rassegnata all’ennesimo buco nell’acqua. Lui sollevò una mano per fermarla. «Non è questo. È che… Oh, tanto vale che glielo dica. È stata Angela a chiedermi di trovare una scusa per non partecipare.» Incredibile, pensò Laurie. Angela aveva espresso chiaramente i propri dubbi sulla decisione di Casey di andare a Under Suspicion, ma ora saltava fuori che aveva cercato attivamente di sabotarli. «Perché riteneva che Casey fosse colpevole?» Sean sgranò gli occhi. «Assolutamente no», disse con forza. «Personalmente, penso che sia stata lei, ma non posso saperlo con certezza. Angela?» Scosse la testa. «Lei ha sempre strenuamente sostenuto la cugina. Difenderla tirava fuori il meglio di lei.» «In che senso?» domandò Laurie. «Non ho idea di come sia Angela oggi, ma a quel tempo la sua identità era definita dal fatto di essere una modella, però stava a poco a poco perdendo il lavoro, soppiantata da donne più giovani. Ha iniziato a vivere nel passato, come se i suoi giorni migliori fossero ormai alle spalle. Non era una situazione facile, e lei era molto vanitosa e piena di rabbia. Ma dopo l’assassinio di Hunter ha perso qualunque egoismo. Diceva a chiunque la stesse a sentire che sua cugina era innocente. Sembrava quasi che essere la più leale sostenitrice di Casey fosse diventata la sua nuova identità.» «E allora perché non voleva che lei partecipasse alla trasmissione?» Si vedeva che Sean era incerto se rivelarle i particolari di una conversazione privata. «Va bene, glielo dico perché è per il bene di Angela. Lei e Casey erano praticamente sorelle, non avrebbero dovuto avere segreti l’una per l’altra. Angela non voleva che io parlassi con lei

perché non aveva mai detto a Casey di essere innamorata di Hunter.» «Era innamorata di lui? Sia Angela sia Casey mi hanno detto che si era trattato solo di un paio di appuntamenti. Ci hanno persino scherzato sopra.» «Mi creda, anch’io ho assistito a scenette simili. No, c’era ben più di questo. Casey era molto preoccupata di tutte quelle donne dell’alta società che ronzavano intorno a Hunter e non ha mai notato il modo in cui sua cugina lo guardava. Ma io sì. Un giorno ho beccato Angela a guardare tutta sognante una sua fotografia sul giornale, allora ho affrontato il discorso, così a bruciapelo: ‘Provi qualcosa per il fidanzato di tua cugina?’ Lei all’inizio ha cercato di negare, ma quando le ho detto che non potevo continuare a stare con lei se non era sincera, ha confessato tutto. Ha detto che a un certo punto lo aveva veramente amato. Mi ha fatto promettere di non dirlo mai a Casey.» «Ed è rimasto con lei anche se le aveva mentito?» «Be’, non mi aveva mentito, solo non mi aveva detto tutta la verità.» Laurie non poté evitare di pensare al suo incidente di percorso con Alex… o forse era la fine del percorso? Si costrinse a concentrare l’attenzione su Sean, che continuava a spiegarle. «Ironicamente, sapere della passata relazione di Angela con Hunter mi ha fatto sentire più vicino a lei. Il suo affetto per Casey era più forte di qualunque cosa avesse mai provato per Hunter. Desiderava che fosse felice e non voleva in nessun modo creare problemi al suo matrimonio. Ho ammirato il suo altruismo. Ma non posso credere che stia ancora nascondendo questa cosa a Casey, dopo tanti anni. Perché mai dovrebbe avere ancora importanza? Casomai dimostra quanto la cugina fosse importante per lei. Quando me lo ha detto, è stato come se un muro tra di noi fosse caduto all’improvviso.» Laurie scacciò il pensiero del proprio muro, quello fra lei e Alex. Quello che sembrava non riuscisse a far cadere. «Allora come mai vi siete lasciati?» «Perché essere un po’ più vicini non vuol dire amarsi veramente. Io credo che Angela abbia veramente cercato di amarmi, ma io non ero lui.» «Hunter, intende?»

Sean annuì. «Mi sono sentito uno schifo quando è stato ucciso. A essere sincero, certe volte gli ho augurato che gli succedesse qualcosa di brutto, dato che Angela era ancora disperatamente innamorata di lui. Quando è morto ho sperato che lei finalmente superasse la cosa, ma poi una notte stavo frugando nel ripostiglio in corridoio a casa sua, in cerca di una lampadina per sostituire quella della sala da pranzo, e ho trovato una scatola che lei conservava dai tempi della sua storia con Hunter, tipo una scatola dei ricordi o qualcosa del genere. Allora ho dato un ultimatum ad Angela. Le ho detto che se volevamo continuare a stare insieme doveva liberarsene. Lei si è infuriata, non l’avevo mai vista così. Francamente, mi ha fatto paura. Mi ha insultato e ha detto che io non sarei mai stato come Hunter.» Laurie capì che quelle parole gli bruciavano ancora, dopo tanti anni. «Quella è stata la fine della nostra storia: non potevo far finta di nulla.» No, pensò Laurie. Ci sono cose sulle quali non si può far finta di nulla. Sperò che non fosse il caso con Alex. «Alla fine è andata bene, però», disse Sean, il tono di voce più allegro. «Ho incontrato la persona giusta due anni dopo. Non saprei nemmeno immaginare la mia vita senza Jenna e i bambini.» La descrizione che Sean aveva fatto di Angela era totalmente in contrasto con l’impressione che Laurie aveva avuto di lei. Quelli che Angela aveva definito come pochi appuntamenti senza impegno con Hunter avevano evidentemente significato molto più di quanto lei lasciasse intendere. Se il loro rapporto fosse stato una cosa seria, di certo Hunter ne avrebbe parlato con Casey. E né suo padre né suo fratello avevano mai accennato al fatto che lui fosse uscito con la cugina di Casey. Al contrario, Casey diceva scherzando che Hunter e Angela non sarebbero stati per niente una bella coppia. Ma forse Angela non era dello stesso parere. Poteva anche riderne, ma conservava nel ripostiglio una scatola dei ricordi tutta dedicata a Hunter. Laurie s’immaginò Angela, una modella con sempre meno ingaggi e nessun altro progetto lavorativo, che ne tirava fuori il contenuto quando era sola, seduta sul letto, e sognava una realtà

alternativa in cui Hunter Raleigh III aveva scelto lei e non la sua cuginetta. «Sean, quella scatola che avevi trovato: per caso conteneva una fotografia di Hunter con il presidente?» Lui sorrise. «Siete in gamba, voialtri. Come avete saputo di quella fotografia?»

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CHARLOTTE lasciò l’amica a proseguire il lavoro sul set domestico all’ultimo piano, mentre lei ritornò al piano terra per decidere l’esatta disposizione degli arredi nel set ginnico. Prese i tappetini da yoga e i manubri dai contenitori che Angela aveva usato per portare tutto lì dall’ufficio. Rimaneva sempre colpita dalla sua capacità di risparmiare sul budget. Le attrezzature ingombranti come i tapis-roulant e le macchine da Pilates erano a noleggio, ma era stata Angela a fare razzia di tutti gli attrezzi più piccoli nella palestra aziendale della Ladyform. Charlotte stava cercando di scegliere fra due diversi progetti di allestimento che aveva abbozzato, quando si accorse che la sua mente vagava altrove. S’interruppe e andò a leggere tutti i biglietti per gli operai che Angela aveva attaccato in giro per il piano terra. Ne trovò un altro che faceva uso della locuzione «E poi». Tirò fuori l’iPad dalla valigetta, aprì il programma di posta elettronica e cercò i messaggi di Angela nell’archivio. Scorrendoli, certe frasi le balzarono agli occhi in modo completamente nuovo. Ho dato conferma all’azienda elettrica. E poi dobbiamo discutere della musica. Andiamo da Lupa, stasera. La pastasciutta migliore! E poi c’è un negozio, poco lontano, al quale voglio dare un’occhiata. E poi. Quella era la frase che Laurie aveva evidenziato nei commenti negativi su Casey postati online. Charlotte non l’aveva mai notato, però anche Angela la usava spesso, a quanto pareva. Magari era una cosa comune, pensò. D’altra parte, non poteva evitare di ripensare alle parole di Laurie quello stesso pomeriggio. «Io credo che Angela avesse già dei sospetti sulla colpevolezza della cugina», aveva detto. E anche: «Mi sembra di capire che temesse proprio di arrivare a questo. Né tu né io adesso saremmo in questa situazione se lei ci avesse detto fin dall’inizio che aveva i suoi dubbi sull’innocenza della cugina».

Forse Angela aveva sempre saputo che Casey era colpevole, ma non voleva dirlo alla polizia. Casey e i suoi genitori erano stati l’unica famiglia che Angela avesse avuto dopo la morte della madre. Chissà quanto doveva essersi tormentata domandandosi se denunciare Casey, e rischiare di perdere non solo lei, ma anche gli zii. Però postare malignità anonime online e intanto fingersi la sua più leale sostenitrice? Lasciare che Charlotte si facesse portavoce con Laurie nonostante lei stessa nutrisse dei dubbi? Non riusciva a credere che Angela potesse essere tanto falsa. Era tentata di domandarglielo direttamente, ma nel caso – molto probabile – che si sbagliasse, non voleva aggiungere altro stress alla situazione dell’amica. Poi si rese conto che forse c’era un altro modo di mettere a tacere i propri timori.

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LAURIE chiamò Paula Carter appena uscita dalla casa di Sean Murray. La donna rispose al primo squillo. «Oh, Laurie. La prego, mi dica che ha cambiato idea. C’è forse la possibilità che lei annulli la trasmissione?» «No, ma potrebbe essere anche meglio, Paula. Potrei aver trovato una pista sulla fotografia scomparsa. Però devo farle una domanda. Due sere fa, Casey mi ha chiamata a casa per chiedermi di non fornire dettagli sulla fotografia sparita dalla dimora in campagna di Hunter. Ha detto che non farne parola in trasmissione era una cosa di cui aveva parlato con lei e con Angela.» «È vero. Ovviamente, io ho cercato ancora di convincerla a lasciar perdere tutto, ma come al solito mi ha ignorata.» «Ma l’idea di non parlare della fotografia di Hunter con il presidente di chi è stata, esattamente? Se lo ricorda?» «Ah, certo, è stata di Angela. Ha detto che è così che fanno in tutti i telefilm polizieschi. Vuole parlarne con lei? È giù a Brooklyn a preparare la sfilata di moda della Ladyform, ma sono sicura che le possa rispondere sul cellulare.» Laurie assicurò a Paula che non era necessario e le chiese di non parlare con nessuno di questa sua telefonata, per il momento. Quando chiuse la comunicazione, Laurie sapeva con certezza perché Angela non aveva voluto che Sean Murray parlasse con lei: voleva nascondere che era stata lei a prendere quella fotografia dal comodino dopo aver ucciso Hunter, facendone ricadere la colpa sulla donna che aveva scelto invece di lei. Charlotte aveva detto che Angela era in preda al panico e voleva impedire che la trasmissione andasse in onda. «Sembrava disperata quando mi ha chiamata», così aveva detto. Ma al contrario di quello che Charlotte credeva, Angela non voleva disperatamente proteggere la cugina dall’umiliazione. Voleva disperatamente proteggere se stessa.

Laurie chiamò Charlotte sul cellulare, ma venne trasferita subito alla segreteria telefonica. Tentò altre due volte, invano. Non voleva che l’amica finisse per trovarsi in mezzo al fuoco incrociato nel momento in cui Angela si fosse resa conto che sarebbe stata arrestata. Doveva avvisarla. Aprì sul telefono la app di Uber e chiese che l’auto più vicina la venisse a prendere.

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AL magazzino, Charlotte stava aprendo il rapporto più recente inviatole dal reparto informatico sull’uso della rete nei computer aziendali. La lista mensile riportava ogni sito a cui era stato effettuato l’accesso dalla Ladyform, ordinato per numero di accessi a partire dal più frequentato. Come al solito, il sito web della Ladyform e le piattaforme dei social media dominavano la prima parte della lista. Charlotte premette la combinazione di tasti per entrare nella funzione di ricerca. Digitò la parola chatter e dette l’invio. Ricordava che Laurie si era lamentata della rapidità con cui The Chatter aveva dato la notizia della scarcerazione di Casey, e di quanto l’avesse messa in cattiva luce. Diciassette accessi nell’ultimo mese, e tutti da un solo computer. Gli utenti erano indicati con il codice del computer, non con il nome. Prese il cellulare per chiamare il reparto informatico, ma non c’era segnale. Alla fine riuscì a trovare due tacche sul davanti del magazzino, appena dentro la serranda. Non ci volle molto perché Jamie le confermasse che il computer in questione era quello di Angela. Le confermò anche che non aveva semplicemente letto il blog: aveva usato il computer per postare commenti sulla pagina come «utente anonimo». Charlotte aveva la netta sensazione che il giorno e l’ora di tutti quegli accessi sarebbero risultati gli stessi dei commenti che Laurie aveva individuato. Mandò un breve messaggio a Laurie: Credo di sapere chi c’è dietro quegli «e poi» che ti incuriosivano. È complicato, parliamone stasera. Era comprensibile che Laurie non volesse cancellare la trasmissione, ma forse Charlotte sarebbe riuscita a convincerla a lasciare fuori il nome di Angela. Poteva solo immaginare quanto fosse stato difficile per lei prendere quella decisione. Voleva bene alla cugina e agli zii, ma Casey era un’assassina. Probabilmente Angela aveva postato quei commenti online sulla sua colpevolezza per

ottenere che giustizia fosse fatta, senza però perdere del tutto l’unica famiglia che le restava. Quando Charlotte tornò sul set della palestra, Angela era ferma, le mani sui fianchi, accanto al mucchio di attrezzature da ginnastica che aveva portato dall’ufficio. Prese una coppia di manubri da un chilo e mezzo, rosa shocking, e fece un paio di sollevamenti, fingendo una gran fatica. «Che ne pensi? Queste cose le disponiamo tutte in una sola zona oppure le spargiamo in giro, intorno alle macchine più grandi?» «Due cervelli, un solo pensiero», disse Charlotte, prendendo i due diversi bozzetti che stava valutando. «Nemmeno io sono riuscita a decidere. Forse dovremmo lanciare una monetina, ma nel frattempo possiamo parlare di una cosa?» «Certo.» «Be’, è un po’ imbarazzante, ma tu lo sai che puoi dirmi tutto, vero?» «Certo. Che succede?» «Io so di The Chatter. E di RIP_Hunter. Capisco che è stato il tuo tentativo di dire al mondo che Casey era colpevole.» «Ma come hai fatto…» «Monitoriamo l’uso di internet che viene fatto dall’azienda. Ho notato alcune ricorrenze il mese scorso.» Non vedeva la necessità di dire ad Angela che le aveva cercate appositamente. «Sono solo un po’ confusa. Mi hai sempre detto quanto siete legate voi due. Sostenevi che era innocente.» «Posso spiegarti, ma sinceramente oggi non vedevo l’ora di togliermi finalmente Casey dalla testa. Prima sistemiamo questo set, e poi ti racconterò molto più di quello che vorresti sapere di me e di mia cugina. Ci stai?» «Ci sto.» «Mi passi quel tappetino da yoga laggiù?» Charlotte si voltò e si chinò per prendere un tappetino azzurro. Il colpo sordo del manubrio da un chilo e mezzo contro la testa la fece cadere a terra, dove fu avvolta da un manto di oscurità.

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LAURIE aspettava davanti alla casa di Sean Murray l’auto di Uber che doveva essere lì già da tre minuti, quando un nuovo messaggio apparve sul display del suo telefono. Era di Charlotte: Credo di sapere chi c’è dietro quegli «e poi» che ti incuriosivano. È complicato, parliamone stasera. Tentò subito di richiamarla, ma di nuovo trovò la segreteria telefonica. Cercò Charlotte nella rubrica e provò al numero dell’ufficio. Rispose la sua assistente. «Mi dispiace, Laurie, Charlotte è al magazzino con Angela, ma deve avere il cellulare acceso, mi ha chiesto di passarle qualcuno del reparto informatico solo pochi minuti fa.» Quella telefonata doveva risalire più o meno allo stesso momento in cui Charlotte le aveva mandato il messaggio su RIP_Hunter. «Sai che cosa voleva da loro?» domandò Laurie. «Aveva una domanda sull’utilizzo di internet: chi aveva cercato che cosa dal computer aziendale. Non immagineresti mai la robaccia che la gente guarda mentre è al lavoro. Nemmeno un briciolo di buonsenso.» Laurie le chiese l’indirizzo del magazzino, poi la ringraziò per le informazioni e chiuse la chiamata. Charlotte aveva osservato i commenti di RIP_Hunter nell’ufficio di Laurie, qualcosa doveva aver stuzzicato la sua curiosità. Se aveva capito che c’era Angela dietro quei post, era in pericolo. Compose il 911 e in quel momento vide un SUV nero con un adesivo di Uber sul parabrezza. Quasi si buttò davanti all’auto per essere sicura che il conducente non passasse oltre. «911, c’è un’emergenza?» domandò il centralinista. Laurie diede precipitosamente l’indirizzo del magazzino mentre si sistemava sul sedile posteriore del SUV. «In fretta, per favore», disse al conducente.

«È lì che si trova, signora? Deve dirmi che cosa succede.» «Scusi, no, non sono lì, non ancora. Ma la mia amica sì. È in pericolo.» Il centralinista era molto professionale. «È stata la sua amica a chiamarla? Di che tipo di pericolo stiamo parlando?» «Si trova in un magazzino con una sospetta assassina. Mi ha mandato un messaggio perché ha capito una cosa compromettente, e adesso non risponde al telefono.» «Signora, sto cercando di capire, ma quello che dice non ha senso.» Laurie vide che il conducente di Uber la guardava sospettoso dallo specchietto retrovisore. Si rese conto che sembrava una pazza. Si costrinse a stare calma e spiegò al centralinista che lei era la produttrice di Under Suspicion e che una donna di nome Angela Hart era probabilmente colpevole di un omicidio per il quale un’altra persona era già stata condannata. «Lei sa che l’abbiamo scoperta. Sono molto preoccupata per la mia amica. Si chiama Charlotte Pierce. La prego, è una questione di vita o di morte.» Vide che il conducente alzava gli occhi al cielo e scuoteva la testa. Per lui, Laurie era solo l’ennesima newyorkese fuori di testa. «Va bene, signora. Capisco la sua preoccupazione, ma non mi ha parlato di una violenza, di minacce di violenza, o di altri concreti pericoli per la sua amica. Faccio partire una richiesta per un controllo generico, ma potrebbe volerci un po’, abbiamo due chiamate urgenti nella stessa zona.» Essendo figlia di un poliziotto, Laurie sapeva che un controllo generico aveva una priorità bassa, poteva essere messo in attesa per ore. Tentò di nuovo, ma capì che le sue sollecitazioni cadevano nel vuoto. Intanto il tempo passava. Chiuse la chiamata e telefonò al padre sul cellulare. Al quarto squillo sentì la segreteria telefonica che la invitava a lasciare un messaggio. «Papà, è un’emergenza.» Non aveva tempo di spiegargli tutta la storia. «Angela, la cugina di Casey, è l’assassina. E adesso credo che Charlotte sia in pericolo in un magazzino a DUMBO. L’indirizzo è il 101 di Fulton Street a Brooklyn. Ho chiamato il 911, ma il centralinista ha classificato la richiesta come controllo generico. Charlotte non

risponde al telefono. Io sto andando là in questo momento.» Finita la telefonata, con un tuffo al cuore si rese conto del perché Leo non aveva risposto: gli avevano chiesto una consulenza su una nuova task force antiterrorismo, e la prima riunione era nell’ufficio del sindaco quel pomeriggio. Forse vedrà un messaggio, pensò, e digitò in maiuscolo sul cellulare: EMERGENZA. ASCOLTA LA SEGRETERIA. CHIAMAMI.

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«NO , no, no, no.» Angela, stringendosi forte le mani nel tentativo di controllare la pressione che le pulsava nelle vene, stava in piedi sopra il corpo di Charlotte riverso a terra a faccia in giù. «Che cos’ho fatto? Che cos’ho fatto?» S’inginocchiò e allungò esitante una mano verso la gola di Charlotte. Lei non reagì in alcun modo al suo tocco, ma la pelle era calda. Angela poggiò due dita sulla carotide. Sentì il battito. Si chinò sul viso di Charlotte. Respirava ancora. Charlotte era viva. E adesso cosa faccio? si domandò Angela in preda al tormento. Forse posso ancora venirne fuori. Devo riflettere con attenzione, proprio come quella notte a casa di Hunter. Charlotte deve morire, qui, adesso, e deve sembrare un incidente. Se riuscissi a buttarla giù nel vano ascensore dall’ultimo piano, di sicuro rimarrebbe uccisa. Penseranno che la contusione dietro la testa sia stata causata dalla caduta. Sentendosi più tranquilla ora che aveva un piano, si guardò intorno e poi corse verso un mucchio di attrezzi lasciati lì dagli operai insieme a vari materiali da costruzione. Non sapeva nemmeno bene che cosa stesse cercando finché non s’imbatté in un pacchetto di fascette autobloccanti e un taglierino. Infilò in tasca il taglierino. Stava per mettere una fascetta autobloccante attorno ai polsi di Charlotte, ma si fermò. Guardò le sottili stringhe di plastica e si domandò se avrebbero lasciato segni ai polsi e alle caviglie, segni che non potevano essere spiegati da una caduta nel vano ascensore. Doveva esserci qualcosa da usare che non… Le venne quasi da sorridere per l’ironia della soluzione. Dopo aver controllato Charlotte per essere sicura che non stesse riprendendo conoscenza, si precipitò a uno degli scatoloni e tirò fuori due morbidissimi ed elastici corpetti da ginnastica della Ladyform. Legò Charlotte con i polsi dietro la schiena, e stava occupandosi

delle caviglie quando la sentì gemere piano. Doveva agire più in fretta. «Ecco», disse, facendo un passo indietro per ammirare la propria opera. Charlotte poteva anche rinvenire, ora, ma non sarebbe andata da nessuna parte. La mente di Angela era un turbinio di pensieri. Avrebbe voluto fermare il tempo e tornare indietro in un universo parallelo, dieci minuti nel passato. Se in quel preciso istante avesse potuto premere un tasto e mettere tutto in pausa, si sarebbe resa conto che la situazione non era tragica come sembrava. L’unica cosa che Charlotte sapeva per certo era che lei era andata su alcuni siti web dal computer dell’ufficio. A seconda del grado di dettaglio con cui la Ladyform controllava i computer dei dipendenti, Charlotte poteva anche sapere che era stata lei a passare informazioni a Mindy Sampson e a postare commenti negativi su Casey. In quell’istante, se fosse riuscita a ragionare, avrebbe potuto risolvere tutto parlandone. Ma ovviamente non era riuscita a ragionare, perché quella stupida trasmissione televisiva l’aveva gettata nel panico fin dal momento in cui era stata nominata Laurie Moran. «Forse non dovrei sentirmi tanto in colpa per quello che sta per succederti. In fin dei conti», disse aspra guardando Charlotte, «è stato soprattutto grazie al legame della tua famiglia con Under Suspicion se Laurie Moran ha deciso di dar retta a Casey.» Per tutti quegli anni lei aveva convinto Charlotte – e chiunque altro – a crederla la più leale amica e sostenitrice della cugina. Era lei che andava regolarmente a trovarla in prigione. Quante volte si era sentita dire: «Sei veramente una buona amica. Sei veramente una brava persona. Casey è molto fortunata a poter contare su di te». Tutta quella messinscena poteva ancora reggere, adesso? All’inizio le aveva semplicemente dato fastidio l’idea che la cugina andasse in televisione a sostenere di essere innocente. Ancora una volta, agli occhi di qualcuno sarebbe stata la fidanzata innamorata che non faceva mai niente di male. Ma poi Casey le aveva detto di aver notato che una fotografia era sparita dal comodino di Hunter dopo l’omicidio. Peggio ancora, ne aveva parlato con Laurie. In quel

momento Angela si era convinta che la verità stesse infine per venire a galla. Ma poi si era resa conto di quanto tempo fosse passato da quando aveva ucciso Hunter Raleigh. La mente umana è fragile, i ricordi si sfocano e svaniscono. Angela era sicura che Sean si sarebbe ricordato del litigio che aveva messo fine alla loro relazione. Si sarebbe ricordato che era stato a causa di Hunter. Poteva persino ricordarsi della scatola di ricordi che aveva scovato nel ripostiglio. Ma poteva aver memorizzato esattamente il contenuto della scatola? Avrebbe ripensato a quell’unica, particolare fotografia di Hunter con il presidente? Forse no. Anzi, molto probabilmente no. Angela aveva disperatamente cercato di convincersi. E ovviamente aveva distrutto il contenuto di quella scatola il giorno dopo, per quanto fosse stato doloroso. Charlotte cominciava a muoversi. Emise un gemito di dolore. Era gutturale, indistinto. Angela aveva corso il rischio di telefonare a Sean quando Casey aveva suggerito a Laurie di intervistarlo per la trasmissione. «Dopo tutti questi anni, penso sarebbe dura se le nostre strade dovessero tornare a incrociarsi. Tu sei felicemente sposato. Io sono ancora sola. Perché ci eravamo lasciati? Preferirei che questa cosa non venisse fuori. Ti sembra sensato?» Gli era sembrato sensato, anche se non lo era, perché la gente è sempre prontissima a dare per scontato che una donna single della sua età non possa essere felice da sola. Ma adesso Charlotte stava cominciando a dimenarsi, non riuscendo a capire come mai non potesse muovere braccia e gambe. «Angela?» domandò incerta. Angela tentò di rallentare il flusso dei pensieri. Anche se ho convinto Sean a declinare l’invito alla trasmissione di Laurie, rifletté, non ho avuto il coraggio di chiedergli esplicitamente della scatola di ricordi che aveva trovato nel mio ripostiglio. Solo nominarla avrebbe potuto fargli tornare in mente tutto, o indurlo a domandarsi perché gliene parlavo. Ho dovuto incrociare le dita e sperare che non ripensasse a quella sera. Ho dovuto sperare che magari non avrebbe nemmeno guardato la trasmissione. Mi sono immaginata la moglie

che gli domandava: «Perché guardi quella roba? È perché sei curioso di Angela?» Se non l’avesse guardata, nessun problema. Se non si fosse ricordato della fotografia di Hunter con il presidente, nessun problema. E anche se avesse fatto due più due, avrei potuto dire che Sean si confondeva, forse aveva visto un’altra foto. Oppure che aveva covato del risentimento verso di me per tutti questi anni. Avrei potuto dire anche che avevo ammirato quella foto e Hunter me ne aveva dato una copia. Non sarebbe mai stato possibile condannarmi per omicidio oltre ogni ragionevole dubbio basandosi solo sul fatto che un ex fidanzato ricordava di aver visto una fotografia incorniciata in una scatola nel mio ripostiglio, tanti anni prima. Ma adesso guarda cos’ho fatto, pensò. Non ho scelta. Devo ucciderla e farlo sembrare un incidente. Charlotte stava riprendendo conoscenza. Angela tirò fuori la pistola che teneva nella borsa per precauzione fin dal giorno in cui Casey aveva firmato i documenti per apparire in Under Suspicion. Dall’espressione terrorizzata di Charlotte, capì che era sveglia abbastanza da vedere l’arma nella sua mano. «Va bene, capo», disse Angela, «adesso devi metterti in piedi. Andiamo.»

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IL conducente di Uber si fermò all’indirizzo che Laurie aveva avuto dalla segretaria di Charlotte. Lei tentò timidamente di ringraziarlo. «Mi dispiace, probabilmente ha avuto l’impressione di essere diretto in un posto molto pericoloso.» Lui stava già controllando il telefono per mettersi in contatto con il prossimo cliente. «Senza offesa, signora, ma lei ha una fervida immaginazione. Se vuole la mia opinione, dovrebbe farsi quattro passi, o magari un po’ di meditazione. Per me è l’unico modo di arrivare a fine giornata.» E se ne andò, lasciando Laurie da sola davanti al magazzino. Lei sentì un cane abbaiare in lontananza. Le strade erano sorprendentemente silenziose. Chiamò di nuovo Leo, ma il cellulare la dirottò sulla segreteria. Provò a casa. «Ehi, mamma.» In sottofondo si sentiva un videogame di Timmy. «Il nonno è tornato dalla riunione?» gli domandò, cercando di non lasciar trapelare l’agitazione. «Non ancora. Kara e io stiamo giocando a Angry Birds.» Ogni volta che c’era la sua baby sitter preferita, Timmy era più che contento se Laurie e Leo stavano fuori fino a tardi. Il padre di Laurie doveva essere in metropolitana. Provò di nuovo a chiamare il cellulare di Charlotte. Nessuna risposta. Guardando la facciata del magazzino notò che la serranda di metallo era sollevata di una trentina di centimetri. Che sia già troppo tardi? si chiese. Forse Angela si è resa conto che Charlotte ha capito? Non poteva più aspettare. S’infilò con la schiena sotto la saracinesca, premette il ventre a terra e strisciò dentro.

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LEO era tutto preso dai suoi pensieri quando uscì dall’ufficio in Lower Manhattan. Gli mancava il brivido del lavoro in polizia, ma non voleva riprenderlo a tempo pieno. L’occasione di collaborare a quella task force era perfetta: gli avrebbe occupato parecchie serate al mese, e gli avrebbe permesso di svolgere parte del lavoro da casa. Avrebbe continuato a badare a Timmy e aiutare Laurie. Percorrendo i tre isolati fino alla stazione della metropolitana, notò un taxi che faceva scendere dei passeggeri e cambiò idea. Quando loro furono smontati, saltò a bordo e diede al tassista l’indirizzo di Laurie. Prese il cellulare per controllare i messaggi, poi si ricordò che lo aveva spento per evitare interruzioni durante la riunione. Il suo cuore si mise a battere forte quando lesse il messaggio di Laurie e poi ascoltò quello in segreteria. L’edificio in cui Charlotte e Laurie si trovavano era a poco più di tre chilometri. «Cambio di programma», gridò al tassista. «Andiamo al 101 di Fulton Street a Brooklyn, e di volata!» Aprì il portafogli e tenne sollevato il tesserino della polizia in modo che l’autista potesse vederlo nello specchietto retrovisore. «Sono un poliziotto, non prenderai nessuna multa. Muoviti!» La prima telefonata la fece all’ufficio del commissario. Ottenne la promessa che alcune auto di pattuglia sarebbero state immediatamente inviate all’indirizzo di Brooklyn. Mentre il tassista sfrecciava per le strade anguste tra i clacson degli automobilisti arrabbiati, Leo chiamò il cellulare di Laurie. Ebbe un tuffo al cuore quando gli rispose la segreteria telefonica.

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LE faceva male la testa. A malapena cosciente, Charlotte sentì che stava salendo delle scale, un po’ spinta e un po’ trasportata a braccia. Perché non riusciva a usare le braccia? Le era difficile muovere le gambe, qualcosa le bloccava. Cos’era successo? Sentì la voce di Angela. «Devi andare avanti. Su, Charlotte.» La voce di Angela. E poi. E poi. Angela aveva spedito quelle terribili e-mail. Perché? Charlotte sentì qualcosa che le premeva forte contro la schiena. «Ho iniziato a portarmi dietro una pistola quando la tua cara amica ha deciso di indagare sulla condanna di Casey.» Era la voce di Angela, eppure suonava diversa. Aveva qualcosa di disperato, di isterico. Erano arrivate al primo piano. Charlotte si sentiva cedere le ginocchia, ma Angela la spinse avanti. «Continua a salire, accidenti a te. E non ti preoccupare: anche se ti succede qualcosa, lo spettacolo andrà avanti lo stesso.» Si mise a ridacchiare. «Magari alla tua famiglia farà anche piacere che io dedichi la sfilata a te. Meglio ancora, potrebbero offrirmi il tuo posto.» Arrivate all’ultimo piano, Charlotte crollò a terra. «Non sei… costretta… a farlo», implorò. «Sì che lo sono, Charlotte», disse Angela, alzando gradualmente la voce. «Non ho scelta. Ma siamo amiche, ti prometto che sarà una cosa rapida. Non soffrirai nemmeno un po’.» Charlotte gridò di dolore quando l’altra le diede uno strattone ai polsi legati dietro la schiena per tirarla in piedi, e poi iniziò a spingerla verso il vano ascensore.

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NON posso prendere l’ascensore, pensò Laurie febbrilmente. Angela non deve sapere che sono qui. Sentì una voce urlare dai piani alti: «Ti prometto che sarà una cosa rapida. Non soffrirai nemmeno un po’». Suo padre le avrebbe detto di non entrare nel magazzino da sola, ma non aveva avuto scelta. Mise a terra la borsa, prese il cellulare e si accertò di aver escluso la suoneria. Se voleva avere la minima possibilità di salvare Charlotte, doveva agire in silenzio. Si tolse le scarpe e andò verso le scale.

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CHARLOTTE cercò di opporre resistenza mentre Angela la spingeva verso l’ascensore rotto. «Ah, dimenticavo», disse Angela in tono divertito. «L’ascensore è bloccato giù, ma le porte a questo piano si aprono lo stesso. È un volo di quindici metri.» Lasciò che Charlotte, il respiro affannato, crollasse contro il muro accanto all’ascensore. «Non capisco», ansimò lei. «Perché mi stai facendo questo?» Angela s’infilò la pistola nella cintura dei pantaloni e tirò fuori il taglierino dalla tasca della giacca. Charlotte sussultò vedendo la lama. «No!» «Non ti farò del male», disse Angela. «Almeno, non con questo.» Per prima cosa recise il corpetto da ginnastica che le aveva legato attorno alle caviglie. Appena sentì le gambe libere, Charlotte istintivamente ruotò i piedi per sgranchirli. Angela premette il pulsante di chiamata dell’ascensore. Le porte si aprirono, ma senza il rumore della cabina che risaliva dal piano terra. La donna allungò la mano per afferrare i polsi di Charlotte e trascinarla verso il vano aperto, ma lei disse: «Angela, spiegami una cosa. Come hai fatto a uccidere Hunter e far ricadere la colpa su Casey?»

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ARRIVATA in cima alle scale, Laurie riuscì a vedere Angela e Charlotte accanto all’ascensore del magazzino. Angela le dava le spalle, e stava togliendo dalle caviglie di Charlotte, seduta contro il muro, quello che le pareva un pezzo di stoffa. La donna era rivolta verso Laurie. «Non ti farò del male», sentì Angela dire. «Almeno, non con questo.» Laurie doveva cogliere al volo quell’occasione. Uscì dalla buia tromba delle scale, avanzò nella sala e agitò le braccia. Ti prego, fa’ che Charlotte mi veda, implorò. Fa’ che mi veda. Il magazzino era un ambiente vasto e poco illuminato, Charlotte poteva accorgersi di lei solo se avesse guardato nella sua direzione. Laurie armeggiò con il cellulare per attivare la funzione torcia. Colse un’altra occasione quando Angela si spostò verso l’ascensore, e agitò rapidamente il fascio di luce del telefono nella direzione di Charlotte, poi subito lo spense. Mi ha vista? si chiese. Non c’era modo di saperlo. Poi sentì la voce di Charlotte. «Angela, spiegami una cosa. Come hai fatto a uccidere Hunter e far ricadere la colpa su Casey?» Laurie ricominciò a respirare: forse il piano aveva funzionato e l’amica l’aveva notata. Charlotte stava cercando di guadagnare tempo. Però, da dove si trovava, Laurie non poteva aiutarla. Cominciò ad avanzare lentamente nella sala, cercando i punti più bui.

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A CHARLOTTE parve di sentire un rumore in lontananza, e poi vide un breve lampo di luce. C’era qualcuno? Qualcuno che poteva aiutarla? Era la sua unica speranza. Il buio la aspettava oltre le porte aperte dell’ascensore. E lei non aveva la forza per impedire ad Angela di buttarla giù. Un mal di testa lancinante la stordiva. Angela è un’assassina, Angela sta cercando di uccidermi, pensò. Doveva trovare il modo di salvarsi, di guadagnare tempo. Doveva convincerla a parlare. Se laggiù c’è qualcuno, per favore mi aiuti, pregò. «Angela, spiegami una cosa. Come hai fatto a uccidere Hunter e far ricadere la colpa su Casey?» Per un attimo si sentì sollevata quando Angela fece un passo indietro e si mise in tasca il taglierino. Ma poi si sfilò la pistola dalla cintura. «Oh, Charlotte, sei stata così gentile a lasciarmi uscire prima tutte quelle volte, di venerdì, per andare a trovare Casey. Nessuno sapeva che gioia mi dava vederla invecchiare in quel posto orribile.» Parlava veloce, da esaltata. «Era meraviglioso e molto divertente. La mia cuginetta, mia sorella, sempre più in gamba di me, più amata di me, finita in prigione. E oltretutto disprezzata, detestata per aver ucciso Hunter. Quando eravamo piccole nessuno pensava mai che io fossi speciale. Io ero la figlia di una madre single. Non ho mai preso i voti di Casey, né partecipato alle sue attività scolastiche. Io ero quella che aveva rinunciato all’università per fare la modella, la ragazza facile. Nessuno ha mai pensato di me che avrei avuto una carriera, o che avrei potuto sposare uno come Hunter Raleigh. Invece i genitori di Casey si comportavano sempre come se lei potesse addirittura camminare sulle acque.» «Ma perché uccidere Hunter? Perché uccidere me?» Ora la voce di Charlotte era bassa.

«Io non voglio che tu muoia», disse Angela, «esattamente come non volevo che morisse Hunter. È stato stupido da parte mia credere che la trasmissione della tua amica potesse scoprire abbastanza da farmi condannare. E invece guarda cos’ho fatto.» Si mise a piangere. «Ora tu diresti a tutti quello che è successo, quello che io ti ho raccontato.» «Ma perché lo hai ucciso?» la incalzò Charlotte. «Non doveva andare così. È stata tutta colpa sua.» Charlotte non riusciva a cogliere il senso di quelle frasi sconclusionate. «Lui frequentava Casey, proprio come prima usciva con me, e con altre. Ma poi le aveva chiesto di sposarlo, come se lei fosse speciale, come se loro vivessero in una specie di fiaba. Casey mi ha raccontato tutto di quando lui è crollato, e ha pianto per la madre che era morta di cancro al seno. E lei ha avuto il coraggio di dirmi che il fatto di aver perduto entrambi una persona cara li aveva uniti.» Adesso parlava a voce alta, quasi gridava. «Ma quella perdita non era di Casey, era mia. Non capisci? Era mia. Lei poteva anche aver perso una zia, invece io avevo perso mia madre, proprio come Hunter. Invece no, era con Casey che si era confidato. «Stavano organizzando il matrimonio, che assurdità. Casey faceva tanto la perfettina, ma Hunter doveva capire che sarebbe stata imbarazzante per lui. Ho comprato il Roipnol sul mercato nero e gliel’ho messo nel secondo bicchiere di vino.» Adesso Angela rideva. «Inutile dire che ha subito fatto effetto.» «Io ancora non capisco», sussurrò Charlotte, sperando di prolungare la storia. Aiutatemi, pensò. Qualcuno mi aiuti. Mi ero sbagliata su quella luce, qui non c’è nessuno. Adesso era come se Angela parlasse tra sé e sé. «Sono venuta via prima dal galà, proprio come avevo preavvertito, perché il giorno dopo avevo un servizio fotografico. Ma non sono tornata a casa. Ho preso la macchina e sono andata da Hunter, nella dimora di campagna. Ho parcheggiato in fondo alla strada. Quando loro sono arrivati ho aspettato qualche minuto e poi ho raggiunto la porta. Era socchiusa, quindi l’ho aperta semplicemente spingendola. Lei era

sdraiata sul divano. Hunter era chino su di lei e diceva: ‘Casey, Casey, coraggio, svegliati’. Quando mi ha vista gli ho spiegato che ero molto preoccupata per mia cugina e li avevo seguiti. Poi ho indicato lei e gli ho detto: ‘Hunter, ma guardala. Vuoi veramente sposare questa alcolizzata?’ «Lui mi ha detto di tacere e andarmene.» Alle spalle di Angela, Charlotte vide qualcuno, Laurie, che avanzava lentamente nel set parzialmente allestito. Non aveva idea di quanto ancora sarebbe riuscita a far parlare Angela. Ma se dovesse smettere, pensò, mi butterebbe giù nel vano dell’ascensore. «Hunter è corso in camera da letto. Io l’ho seguito. Ho cercato di dirgli che volevo solo aiutarlo, impedirgli di commettere un errore. Non mi stava nemmeno ad ascoltare. È stato allora che ho deciso che se non potevo averlo io, non lo avrebbe avuto nemmeno Casey. Sapevo che teneva una pistola nel comodino.» Laurie si era fermata dietro il divano del finto soggiorno, l’ultimo nascondiglio disponibile prima di arrivare da loro. Charlotte fece un cenno quasi impercettibile nella sua direzione per farle capire che l’aveva vista. Laurie è qui, Laurie è qui, pensò. Devo continuare a prendere tempo! «Lui intanto era andato in bagno. Sentivo scorrere l’acqua nel lavandino. Mentre era di là, io ho recuperato la pistola. Sapevo anche usarla. Casey non era l’unica donna che Hunter avesse portato al tiro a segno. È uscito dal bagno con un panno umido in mano, immagino che volesse metterlo sulla fronte della cara Casey. Ma non ha potuto.» Angela fece un sorrisetto. «Aveva un’espressione così confusa quando ha visto che gli puntavo contro la pistola. Un attimo dopo era sdraiato sul letto, sanguinante, moribondo. Sapevo che dovevo andarmene subito. Ma prima dovevo riflettere. Doveva sembrare che fosse stata Casey a sparargli. «Hunter aveva lasciato cadere a terra il panno bagnato. L’ho raccolto. Impronte. Ne avevo lasciate? Ho pulito il cassetto del comodino. «Ho sparato un colpo contro il muro.

«Sono andata in soggiorno.» Charlotte si rese conto che Angela stava rivivendo la notte dell’omicidio. Dal tono della voce, sembrava in una sorta di trance. «Casey doveva risultare l’ultima ad aver usato la pistola. L’ho pulita. Gliel’ho messa in mano. Ho premuto il suo dito sul grilletto. Ho sparato un altro colpo contro il muro. Ho preso la pistola con il panno. L’ho nascosta sotto al divano. «La Bella Addormentata non ha mai battuto ciglio. Ho pensato alle pillole. Se la polizia avesse fatto le analisi avrebbe capito che era drogata. E se si fosse drogata da sola? Ho recuperato il sacchettino dalla mia borsa e l’ho pulito con il panno, poi ci ho premuto sopra le dita di Casey e l’ho messo nella sua borsetta. Non sono stata in gamba?» «Come hai potuto fare questo a tua cugina?» domandò Charlotte mentre guardava Laurie avvicinarsi. La domanda riscosse Angela dal suo sproloquio. «Ora basta parlare.» Spostò la pistola nella mano sinistra e prese il taglierino dalla tasca. «Voltati», le disse. Per Charlotte quella era l’ultima occasione, non poteva lasciarsela scappare. Si girò leggermente in modo che Angela potesse tagliare il corpetto legato attorno ai polsi. Poi si abbassò e si rialzò di scatto, colpendo violentemente con la testa il mento di Angela. Un dolore lancinante le saettò giù nel corpo. Sentì il rumore metallico della pistola che cadeva al suolo sul cemento.

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QUANDO vide Angela barcollare all’indietro e cadere a terra insieme con la pistola, Laurie si lanciò in avanti e si buttò verso l’arma. Troppo tardi. La guardò scivolare nel vano dell’ascensore e poi sentì il tonfo al piano terra, quando colpì la gabbia di metallo giù in fondo. Charlotte si chinò, i polsi ancora legati dietro la schiena. Angela si era rimessa in piedi e avanzava verso di lei. In una mano le brillava una piccola lama argentea. «Scappa!» Laurie gridò a Charlotte, precipitandosi verso di loro. «Ha un coltello.» Charlotte inciampò, cadde e si raggomitolò a palla per proteggersi. Laurie raggiunse Angela e le saltò sulla schiena con tutta la forza che riuscì a trovare. Caddero a terra entrambe. Anche a quattro zampe, Angela stringeva ancora la lama nel pugno destro. Laurie non riusciva a pensare ad altro che a quel taglierino. Non poteva permetterle di alzarsi in piedi, non mentre l’aveva in mano. Le afferrò il braccio e cominciò a scuoterlo, cercando di farle mollare la presa. Charlotte non stava più in posizione fetale ma era ancora a terra, e tirò dei calci alle braccia di Angela, facendola finire sdraiata. Laurie riuscì a rimettersi in piedi barcollando. Schiacciò a terra con un piede il polso di Angela, facendo attenzione a non lasciare che la lama si avvicinasse troppo al proprio piede scalzo, poi spostò tutto il proprio peso sulle ossa dell’altra finché sentì che mollava la presa. «Il coltello», strillò a Charlotte. «Togliglielo!» Con un calcio, lei lo scagliò lontano dalla mano di Angela, e Laurie scattò a raccoglierlo. «Preso», esclamò. Corse da Charlotte e le liberò i polsi. Angela intanto si era tirata su e si dirigeva rapida verso di loro. Si fermò quando Laurie sollevò il taglierino. «Non costringermi a farlo, Angela!»

Lei abbassò le spalle di colpo quando si rese conto che non aveva più nessuna possibilità. Laurie sentì l’urlo delle sirene che si avvicinavano. Si voltò per guardare fuori dalla finestra e in quel momento Angela si mise a correre verso le scale. Era ancora a metà strada quando Leo, pistola in pugno, fece irruzione proprio da lì. «Ferma. Mettiti a terra. Mani dietro la testa», gridò, avanzando verso di lei. Nel frattempo si udirono altri passi pesanti su per le scale e numerosi poliziotti entrarono nella sala. Leo sollevò il distintivo. «Sono il vicecommissario Farley.» Indicò Angela. «Ammanettatela!»

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QUANDO Paula era tornata in albergo e aveva detto alla figlia che Laurie sarebbe andata avanti comunque con la trasmissione, aveva concluso angosciata: «Ti avevo implorato di non fare questo a te stessa, a noi. Ti avevo avvisata. Ti avevo detto…» «Va bene! Smettila. Ti pare che non lo sappia di aver commesso un errore? Adesso tutti penseranno che, anche se ho passato quindici anni in prigione, me la sia cavata con poco. Avrebbero dovuto darmi l’ergastolo. E probabilmente è quello che pensi anche tu.» Tornarono nel Connecticut in auto, in un silenzio di tomba. I pochi tentativi di Paula di fare conversazione finirono in niente. Erano le sei del pomeriggio quando Paula entrò in casa, andò in soggiorno e accese il televisore per vedere il notiziario. Sentì il conduttore dire: «Una notizia appena arrivata. C’è stato un nuovo e sorprendente sviluppo nel caso dell’omicidio, avvenuto quindici anni fa, del filantropo Hunter Raleigh. Diamo la linea alla nostra inviata sul posto, Jaclyn Kimball». Oddio, pensò Paula. E adesso che succede? Sbalordita, vide Angela che veniva portata fuori in manette dal magazzino, affiancata da due poliziotti. «Casey», strillò. «Vieni! Vieni qui.» Casey arrivò di corsa. «Che succede?» Poi sentì la voce di Angela e i suoi occhi s’incollarono allo schermo. I giornalisti allungavano i microfoni verso sua cugina, che veniva sospinta verso un’auto della polizia. Si sentì un reporter che gridava: «Angela, perché hai ucciso Hunter Raleigh?» Il viso di lei era una maschera di rabbia. «Perché se lo meritava», disse aspra. «Doveva essere mio e Casey me lo ha rubato. Lei meritava di finire in prigione.» Un agente di polizia la spinse sul sedile posteriore dell’auto di pattuglia e chiuse lo sportello con forza.

Passarono vari secondi prima che una di loro riuscisse a parlare. «Come può averti fatto questo?» gemette Paula. «Oh, Casey, mi dispiace. Mi dispiace di non averti creduto.» Con il viso rigato di lacrime si voltò verso la figlia. «Potrai mai, mai perdonarmi?» Casey sentì che un immenso fardello le veniva tolto di dosso, si avvicinò alla madre e la strinse tra le braccia. «Anche se non mi credevi, sei sempre stata dalla mia parte. Sì, ti perdono. È finita. È finita per tutte e due.»

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ALLE due in punto del giorno seguente Laurie era davanti alla porta di casa Raleigh e suonava il campanello. Rimase stupita nel vedere che il generale in persona veniva ad aprirle. La condusse alla biblioteca, e lei si sedette nella stessa poltrona di due settimane e mezzo prima, quando aveva intervistato Andrew. «Signora Moran, come potrà immaginare, io sono sconcertato. La donna che mio figlio amava tanto ha passato quindici anni in prigione per un omicidio che non ha commesso. Lei si è sempre dichiarata innocente e io sono stato sordo alle sue parole. Quando è stata condannata ho presentato Jason Gardner al mio editore. Volevo che scrivesse un libro per distruggerla definitivamente. «Avevo promesso di partecipare alla sua trasmissione, e ho mancato alla parola. «Sono stato in torto fin dall’inizio. Ho cercato di convincere mio figlio a rompere il fidanzamento con Casey Carter. E poi, dopo che lei aveva scontato tutti quegli anni in prigione, mi sono compiaciuto nel vedere che nemmeno con il rilascio i suoi tormenti erano finiti. «Adesso, se lei è d’accordo, mi farebbe piacere partecipare al suo programma e presentare le mie più profonde scuse a Casey su una rete nazionale. «Desidero anche dare una risposta a tutte le sue domande lasciate in sospeso. Hunter sospettava che la mia assistente, Mary Jane, fosse stata licenziata dal suo precedente datore di lavoro per qualche scorrettezza. Ecco come sono andate le cose: lei collaborava come assistente personale con il marito della sua migliore amica. Quando ha scoperto per caso che lui aveva prenotato un viaggio con l’amante, quell’uomo l’ha licenziata. Le ha detto che avrebbe reso la sua vita un inferno e le avrebbe rovinato la reputazione se si fosse fatta scappare una sola parola al riguardo. Nei vent’anni che è stata con me, si è dimostrata una collaboratrice impeccabile e fidata.»

«Generale, tutto questo dev’essere stato terribile per lei. La prego di credere che lo capisco.» «Ho telefonato a Casey questa mattina.» L’uomo aveva la voce incrinata. «Le ho detto che mi dispiaceva non averla accolta a braccia aperte nella nostra famiglia. È stata straordinariamente disponibile al perdono. Ora capisco che cos’aveva visto mio figlio in lei.» Pochi minuti dopo, il generale Raleigh accompagnava Laurie di nuovo alla porta. «La voglio ringraziare ancora per tutto quello che la sua trasmissione ha fatto. Niente potrà riportare indietro Hunter, ma io ho avuto modo di riflettere. Negli anni che mi restano, cercherò di essere un padre migliore per Andrew.» Laurie gli posò un bacio sulla guancia e senza dire una parola scese i gradini. Salì nell’auto che la aspettava e diede al conducente l’indirizzo di Alex.

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ANCHE Alex si presentò personalmente ad aprirle la porta, Ramon non si vedeva da nessuna parte. Lui le diede un breve abbraccio senza nessun calore. «Grazie per aver accettato di vedermi», gli disse Laurie. «Figurati», le rispose stringato, e le fece strada in soggiorno. «Posso offrirti qualcosa?» Lei scosse la testa e si sedette sul divano, lasciando libero un posto accanto a sé. Alex si accomodò sulla poltrona di fronte. «Alex, lo so che hai detto di aver bisogno di riflettere, ma questo silenzio mi sta facendo impazzire. Dicono che non bisogna mai andare a dormire senza aver fatto pace. Noi non ci parliamo da due giorni.» «Lo dicono delle coppie sposate, Laurie. Noi siamo lontanissimi dall’esserlo, no?» Lei deglutì. La cosa si prospettava più difficile di quanto si aspettasse. «Sì, ma io pensavo…» «Tu pensavi che io ti avrei aspettato per tutto il tempo che ci voleva. Lo pensavo anch’io. Ma quando sono stato io ad avere bisogno di tempo – e stiamo parlando di un paio di giorni per capire come poteva essere tra di noi, con il nostro lavoro e le nostre vite – non me l’hai concesso. Anzi, eccoti qui a pretendere qualcosa che non sono nemmeno sicuro tu voglia davvero.» «Non pretendo niente, Alex. Mi dispiace molto di essere stata tanto insistente a proposito di Mark Templeton. Hai ragione, avrei dovuto fidarmi di te quando mi hai detto di lasciarlo stare. Vorrei solo che le cose tra di noi tornassero com’erano prima di questo caso.» «Com’erano prima di questo caso? E com’erano, esattamente? A che punto eravamo, Laurie? E che cosa siamo, adesso che non sono più il conduttore della tua trasmissione? Sono l’amico con cui tuo padre guarda le partite, il compagno di giochi di tuo figlio. Ma per te, cosa sono?»

«Tu sei… sei Alex. Sei l’unico uomo, dopo la morte di Greg, che mi faccia desiderare di riuscire a lasciarmi tutto alle spalle.» «So che suona cinico, Laurie, ma sono passati sei anni da allora.» «Ti prego, cerca di capire che per cinque di questi io mi sono svegliata ogni mattina in un limbo. Anche solo andare a cena con un altro uomo senza sapere chi avesse ucciso Greg mi sarebbe sembrato un tradimento. Era quello il mondo in cui vivevo quando ci siamo conosciuti. Sto ancora imparando a venirne fuori. Ma ci riuscirò, so che ci riuscirò. Sento che sto cominciando a farlo. E tu sei la persona – l’unica persona – che mi spinga a desiderarlo.» Il tempo parve fermarsi mentre lui la guardava in silenzio. Laurie non riusciva a interpretare la sua espressione. Dovette costringersi a non trattenere il respiro. «Io volevo credere che fosse solo una questione di tempo, Laurie, lo volevo davvero.» Lei non poté evitare di notare che stava parlando al passato. No, pensò. Ti prego, non permettere che succeda. «Ero pronto ad aspettare per tutto il tempo necessario. Ma questa… cosa che è successa con la tua trasmissione è preoccupante. Come potrei ignorarla? Ci siamo sempre detti che con il tempo tutto si sarebbe risolto, ma forse il problema è che tu, semplicemente, non ti fidi di me.» «Ti ho detto che mi dispiace. Non succederà più.» «Non puoi controllare il tuo cuore, Laurie. Greg era un eroe, lui salvava vite in un pronto soccorso. Tu eri il suo unico vero amore. E poi avete avuto Timmy e siete diventati una famiglia. E io ho visto anche quanto tu adori tuo padre. Pure lui è uno dei buoni: combatte il crimine e aiuta le vittime. Ed è quello che adesso fai tu con la tua trasmissione. Ma io chi sono? Solo uno scapolo solitario che si guadagna da vivere facendosi ingaggiare come un sicario per difendere i colpevoli.» «Questo non è vero…» Lui scosse la testa. «Di certo io non penso che lo sia, ma tu sì. Ammettilo, Laurie: tu non potrai mai ammirarmi, non come ammiravi Greg. Quindi continua pure a raccontarti che stai cercando di lasciarti

tutto alle spalle, però non è così. Non finché non troverai la persona giusta, e a quel punto semplicemente accadrà. Senza nessuno sforzo. Ma tra noi?» Accennò a entrambi. «Tra noi non c’è stato altro che sforzo.» «Cosa stai dicendo?» «Io tengo moltissimo a te. Ti ho profondamente amata e forse ti amo ancora. Però non posso aspettare dietro le quinte per sempre. Adesso credo sia venuto il momento che smettiamo di provarci. Ti lascio andare.» «Ma non è quello che voglio.» Alex fece una risata triste. «Non è così che funziona tutta quella faccenda del ‘se ami qualcuno, lascialo libero’, Laurie. Tu non hai voce in capitolo, stavolta. Se mai sentirai di essere veramente pronta a stare con me, fammelo sapere e forse potremo ripartire da lì. Ma non sarà né oggi, né domani, né la prossima settimana.» In altre parole, si era stancato di aspettare. Il suo abbraccio, sulla porta, sembrava un addio. No, pensò Laurie entrando in ascensore. Questa non è la fine della storia. Io sono pronta a tornare a vivere, non in un limbo ma libera e felice, come Greg vorrebbe che facessi. Alex è la persona con cui voglio condividere la mia vita, e troverò il modo per dimostrarglielo. Alex stava per versare del gin in uno shaker di metallo quando Ramon uscì dalla sua stanza, gli fece cenno di allontanarsi e continuò al posto suo. «I tuoi Martini sono sempre migliori dei miei», ammise Alex con gratitudine. «Non ho potuto fare a meno di notare che stava sorridendo, signor Alex», osservò Ramon. «È andato tutto bene?» Alex sapeva che dare un dolore a Laurie adesso era il prezzo da pagare per avere un futuro. «È stato un caso molto difficile, Ramon», rispose mentre si sedeva in poltrona e prendeva il bicchiere che l’altro gli stava porgendo. «Però ho fatto una buona requisitoria finale, e credo che la giuria emetterà un verdetto in mio favore.» Si appoggiò allo schienale e cominciò a sorseggiare il suo Martini.

Ringraziamenti

ANCORA una volta è stato per me un piacere collaborare con la mia collega scrittrice Alafair Burke. Due cervelli con un unico caso da risolvere. Marysue Rucci, direttrice editoriale di Simon & Schuster, è di nuovo la nostra mentore in questo viaggio. Mille grazie per l’incoraggiamento e i saggi consigli. La squadra di casa mantiene saldamente le posizioni: il mio straordinario marito John Conheeney, i miei figli e il mio braccio destro, Nadine Petry. Tutti loro rendono piacevole questo mestiere fatto di carta e penna. E grazie a voi, miei cari lettori. Siete sempre nei miei pensieri quando scrivo. Leggendo questo libro, voglio che sentiate di spendere bene il vostro tempo. Cari saluti Mary

Questo ebook contiene materiale protetto da copyright e non può essere copiato, riprodotto, trasferito, distribuito, noleggiato, licenziato o trasmesso in pubblico, o utilizzato in alcun altro modo ad eccezione di quanto è stato specificamente autorizzato dall’editore, ai termini e alle condizioni alle quali è stato acquistato o da quanto esplicitamente previsto dalla legge applicabile. Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata di questo testo così come l’alterazione delle informazioni elettroniche sul regime dei diritti costituisce una violazione dei diritti dell’editore e dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla Legge 633/1941 e successive modifiche. Questo ebook non potrà in alcun modo essere oggetto di scambio, commercio, prestito, rivendita, acquisto rateale o altrimenti diffuso senza il preventivo consenso scritto dell’editore. In caso di consenso, tale ebook non potrà avere alcuna forma diversa da quella in cui l’opera è stata pubblicata e le condizioni incluse alla presente dovranno essere imposte anche al fruitore successivo. Questo libro è un’opera di fantasia. Riferimenti a eventi storici, persone e luoghi autentici sono usati in chiave fittizia e gli altri nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono frutto dell’immaginazione delle autrici. Ogni rassomiglianza con fatti e località reali o persone, realmente esistenti o esistite, è puramente casuale. I versi di Oscar Wilde sono tratti da La ballata del carcere di Reading, traduzione di Clemente Fusero, Dall’Oglio, Milano 1962. www.sperling.it www.facebook.com/sperling.kupfer Non chiudere gli occhi di Mary Higgins Clark, Alafair Burke © 2019 Mondadori Libri S.p.A., Milano Titolo originale The Sleeping Beauty Killer Copyright © 2016 by Nora Durkin Enterprises, Inc. Originally published by Simon and Schuster, Inc. All rights reserved, including the right to reproduce this book or portions thereof in any form whatsoever. Pubblicato per Sperling & Kupfer da Mondadori Libri S.p.A. Ebook ISBN 9788893429030 COPERTINA || RIELABORAZIONE GRAFICA SU FOTO DI © ARCANGEL E © SHUTTERSTOCK | ART DIRECTOR: FRANCESCO MARANGON | GRAPHIC DESIGNER: CLAUDIA PUGLISI

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