Miti velati. La mitologia romana come problema storiografico

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Alla memoria di mio padre

CoUann NUOVA ATlANTIDE.

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in copertina:

IL RATTO DEUL SA BINE

in un dipinto diJACQUES LOUIS DAVID (174S-1825) eseguito nell799 PARIGI- Museo del Louvre.

© ECI G - Edizioni Culturali Internazionali Genova s.a.s. di G. L. Blengino & C.

Via Brignole De Ferrari, 9- 1 6 1 25 Genova l' Edizione 1 996 - ISBN 88-7545-69!>-X

Ubaldo Lugli

MITI VELATI LA MITOLOGIA ROMANA

COME PROBLEMA STORIOGRAFICO

ECIG edizioni culturali internazionali genava

INDICE

Premessa

9

l.

Il popolo senza fantasia

13

Il.

Una mitologia nascosta

19

III.

Dal Giove romano al Romolo indoeuropeo

33

IV.

Variazioni (romane) sul tema

43

v.

Portata ed effetti della demitizzazione

53

VI.

I "miti storificati"

65

VII.

Che cos'è il mito?

79

VIII. Dalla mitologia alla storia IX.

Antiquus animus

95 105

Bibliografia

115

Indice degli autari antichi e modemi

121

PREMESSA

••l Romani hanno mai avuto una loro propria mitologia? » . Questa domanda è stata rivolta - tra molte altre - a un significapvo campione di studenti e neo-laureati di facoltà umanistiche italiane da un 'équi­ pe di esperti in Didattica della Storia, nell 'ambito di una ricerca av­ viata nel 1 993 e tuttora in via di svolgimento. Benché formulata in modo troppo poco articolato perché le risposte potessero risultare davvero significative , essa ha comunque permesso di assodare che circa il posto occupato dalla mitologia nella cultura romana anche coloro che possiedono una specifica preparazione nel campo delle scienze umane hanno le idee alquanto confuse. Infatti, a fron te del 7% di SI, i NO sono stati il 48% e i NON SO il45%.'' ' Tale risultato, apparentemente sconcertan te , trova la sua naturale spiegazione nel fatto che mentre il dibattito sul mito romano - dagli anni '30 a oggi tanto vivace - si svolgeva in un hortus clausus di studi altamente specializzati, gli strumenti d'informazione di base (enci­ clopedie , manuali scolastici, opere storiche a carattere divulgativo) hanno con tinuato a fare riferimento a lavori superatissimi.'" Anche le rare (rarissime ) volte che ad assumersi l'incombenza di una seria divulgazione sono state persone di sicura competenza, la reverenza ispirata da tutti i luoghi comuni ben consolidati ha spinto a una trat­ tazione prudente sino al punto di essere poco chiara.''' D ' altronde, a ben vedere , la questione risulta effettivamente assai intricata, soprat­ tutto per il modo troppo libero con il quale nella discussione ad essa relativa sono stati usati tanto il sostantivo mitowgia quanto l'aggettivo romana. Quella evidenziata, nondimeno, appare una lacuna culturale piut­ tosto grave, della quale c'è forse motivo di rammaricarsi particolar­ mente nel nostro Paese, dove da tanto tempo e tan to ad alto livello ci si occupa dei miti romani. 9

Il proposito di aggiornare il pubblico dei non-specialisti circa l'at­ tuale status quaestùmis appare , pertanto, senz' altro giustificato . Tutta­ via, una tale impresa risulta di fatto più ambiziosa di quan to potreb­ be sembrare , essendo pressoché impossibile mantenersi nei limiti di una semplice, ancorché attenta, ricognizione dei momenti salienti dell' annoso dibattito. Come capita quasi sempre , l' approfondirsi dell'indagine e l ' am­ pliarsi delle conoscenze hanno significato an che per la questione della mitologia romana tutt'altro che una semplificazione. Se al prin­ cipio del secolo il problema era quello de li' assenw di miti relativi alle divinità nel complesso religioso della Roma arcaica, da quando Geor­ ges Dumézil ha applicato il comparativismo indoeuropeista alla tradi­ zione romana bisogna rendere conto anche dell'eventualità inaspet­ tata di una loro presenza- seppure in fanna criptica - nella più antica storiografia. Di questi due problemi, soltanto il primo - ben !ungi, peraltro, dall' essere esaurito - può essere considerato ormai definitivamente impostato . Il secondo, invece , malgrado l'in discutibile valore delle pun tuali osservazioni di cui è stato fatto oggetto, appare ancora com­ plessivamente mal definito, forse talvolta anche un poco frain teso. Essi , d 'altronde, sono tra loro sicuramente connessi , e affron tare l'u­ no evi tando l ' altro sarebbe, più che limitativo, me todologicamente inopportuno. Si dovrà parlare della religione senza miti, problema essenzialmente politico-teologico, e anche dei "miti storificati ''; feno­ meno a tale ambito non necessariamen te relativo . E si dovrà farlo te­ nendo ben presente che il punto sul quale si accentrano oggi gli in­ terrogativi è quest'ultimo. In effetti, la polemica scientifica che portò a sostituire l'immagine di una cultura "senza miti" con quella di una cul tura "demitizzata" può essere in un certo senso considerata una discussione di valore in­ troduttivo rispetto a un più vasto problema la cui trattazione non può prescindere dall' analisi del rapporto mitologia/annalistica. Subordinato alla definizione di una nozione problematica come quella di mito e riguardante dire ttamente il campo della tradizione orale - materia fino a oggi rimasta totalmente estranea agli studi ro­ manistici - il "mito storificato" costituisce un terreno d' indagine tanto affascinan te quanto pericoloso. Speriamo che il prestare attenzione ai "cantori di piazza" non ci faccia giudicare - come i bersagli dell 'in­ vettiva eraclitea('l - inintelligenti e senza senno! Almeno una critica sembra in ogni caso opportun o prevenire. IO

L' argomento trattato è vasto, piuttosto stringata la trattazione. Tale concisione non significa assolutame n te superficialità: è de ttata dal desiderio di esporre nel modo più perspicuo una materia alla cui comprensione ha spesso soprattutto nuociuto una certa tortuosa ver­ bosità.

Note (l) L'informazione è stata resa disponibile dalla cortesia del dott. G.M. Libri­ ci, direttore della ricerca. (2) Quattro opere scelte a caso tra le molte che ben dopo la definitiva dimo­ strazione della sua sostanziale falsità hanno conti nuato a propalare l'idea che a Roma non esistesse alcuna mitologia essendo gli dèi romani soltanto forze natu­ rali prive di qualsiasi rappresen tazione: V. EHRENBERG, Società e civiltà in Grecia e Roma, Milano 1973, pp. 113 s. (ed. orig. London 1964); A. KING, Archeowgia del­ l1mpero romano, Brescia 1986, pp. 147 ss. (ed. orig. wndon - New York - Sidney ­ Toronto 1982); E. GU ERRIERO- G. LA ROSA, appendice I a G J. BELLINGER, Enciclo­ pedia delle Religion� Milano 1989, p. 7 94; D. MANACORDA - G. PUCCI , Carso di Storia antica e medieuale, Bologna 1990, cap. 13.6. (3) Così, per esempio, P. GRIMAL, Dictionnaire de la mythowgie grecque et romaine, Paris 1979' (trad. it. Brescia 1987), dopo un'Introduzione lucida e aggiornata nella quale almeno taluni dei recenti sviluppi della ricerca relativa alla mitologia roma­ na sono esplicitamen te segnalati, nell 'illustrare le singole voci si serve della stessa scorretta terminologia che e ra in uso al principio del secolo. (4) Heracl. A104 D.-K' Procl. In Aie. I (p. 117 West. ) . =

Il

CAPITOLO l

IL POPOLO SENZA FANTASIA

l.

Graecia capta . . . L' aspe tto più appariscente di quell' imponen te processo di trasformazione della realtà romana così bene sintetizzato dalla celeberrima frase oraziana fu senz'altro costituito dalla diffusio­ ne della mitologia greca, alle cui vicende terribili o piccanti alludeva­ no tanti dei monumenti che andavano via via segnando i successi mi­ litari della nuova superpotenza ellenistica e tante delle pagine che ne testimoniavano il raffinamento culturale. Memoria presso i posteri della grandezza di "Roma, quei monu­ menti e quelle pagine avrebbero accreditato nei secoli l'immagine nella prospettiva cristiana carica d'intrinseco valore - di una civiltà "classica" la cui doppia radice proprio nella mitologia trovava il suo congiungimento. Gli Ercoli e i Giovi tanto incisivamente en trati a far parte del pa­ trimonio culturale dell' Occiden te post-medievale grazie a fortunatis­ sime opere come il Genealogia dearum Gentilium del Boccaccio ( 1 36 7 ) e il De laboribus Herculis di Coluccio Salutati ( 1 405-6) erano creature a pieno titolo "greco-romane" e tali sarebbero rimaste fino ai grandi dizionari mitologici ottocenteschi. Ma al di sotto delle incrostazioni elleniche l'indagine dei primi seri esploratori della religione romana andò me ttendo progressivamente in luce i contorni di una costruzio­ ne religiosa alquan to diversa da quella greca, e prese corpo la curio­ sità verso l ' origina le religione dei più antichi Romani. Così , tra le altre cose, il secolo di K.O. Miiller,J. Grimm e A. Kuhn apprese, non senza stupore, che sebbene l' Olimpo fosse riemerso dal­ l' oblio delle scuole claustrali parlando latino, gli antenati di Ovidio non avevano narrato alcun mito: una mitologia romana non era mai 13

esistita! Ciò che colpiva non era il fatto - giusta la teoria diffusionista vol terriana, (l) perfettamente normale - che genti rozze e arretrate avessero imitato le Jabks di un popolo più raffinato, ma l'idea di una civiltà priva di miti. I l primo studioso che formulò questa conclusione in maniera esplicita fu probabilmente E . Aust, secondo il quale le divinità dei pri­ sci Quirites avevano avuto carattere puramente cultuale, mancando di forma umana, sen timenti, virtù, vizi, relazioni reciproche , sedi co­ muni, rapporti familiari, esistenza indipendente». (21 Qualche anno più tardi, l 'ipotesi che prima del dilagare della mi­ tologia ellenica Roma non avesse conosciuto il mito raggiunse lo sta­ tus di dato acquisito con quella tappa fondamentale nella storia degli studi romanistici che fu Religion und Kultus der Riimer di Georg Wis­ sowa.('1 Osservando come la sensibilità religiosa dei Romani non mostras­ se d'essere stata stimolata né dai fenomeni naturali né dai conce tti etici, e come, d'altra parte, quelle che sembravano configurarsi quali le più antiche forme divine (gli "dèi momentanei" citati nelle liste sa­ cerdotali note come indigitamenta('1) fossero prive di una ben definita "personalità", il grande studioso tedesco definiva la religione romana "a-mitica" In particolare, egli concludeva che: . . . Il popolo romano ha dovuto trascorrere una giovinezza estremamente dura e quando nella sua esistenza fu per la prima volta libero da pressanti preoccu­ pazioni e da lotte logoranti era ormai giunto alla maturità disincanta­ ta e positiva nella quale non c'è più posto per l 'inclinazione al vario­ pin to gioco del raccontare e del poetare, né per la sua comprensio­ ne". Questo mana, forma del sacro identificata come la più elementa­ re, parve a Rose dominare la religione romana e spiegarne tutto lo sviluppo. Convinto che esso trovasse una precisa corrispondenza nel concetto espresso dalla parola latina numen, egli vide proprio nella natura a-mitica degli dèi romani, oltre che nell 'estrema limitatezza della sfera d ' azione dei Sonckrgottm degli indigitamenta, la prova che l 'arcaica religione romana era rimasta ferma al livello predeistico, mostrandosi appena al di sopra di un puro e semplice "polidemoni­ smo". Sulla scorta di un superficiale aggiornamento della teoria for­ mulata da Hermann Usener nel suo celebre GOttemamen (1896),1"> le divinità romane finirono così per essere considerate , tranne una o due eccezioni : Si trattava però di una voce in I talia del tutto isolata. D'altronde, in quale impasse metodologica l'autorevole valutazione di Wissowa avesSe messo lo studio della mitologia romana, finendo con il costi­ tuire il più grosso degli scogli che intralciavano la via dei ricercatori impegnati sul tema, è evidente: anche se l'idea che non fosse docu­ mentato alcun mito romano era revocata in dubbio dall 'esistenza di non pochi elementi mitici che molti esperti propendevano a ricono­ scere come originalmente romani, l'autenticità di tali testimonianze non era definitivamente dimostrabile finché non fosse stata provata in modo positivo la possibilità dell 'esistenza di una mitologia romana autonoma da quella ellenica. Alla luce del materiale de ttagliatamente esaminato in Religion und Kultus der Rorner, Roma non sembrava avere mai avuto un suo pro­ prio patrimonio mitologico: da un lato, un ammasso incoerente di fabulazioni dal sospetto sapore greco; dall'altro, un meccanismo ri­ tuale che mostra di funzionare perfettamen te senza bisogno di alcun pun tello mitico. Ma la pur penetrante analisi wissowiana non aveva saputo mettere opportunamente a fuoco qualcosa che in realtà c'e­ ra. Ciò non soltanto per la pregiudiziale diffidenza verso testimo­ nianze inevitabilmente "tarde", ma soprattutto perché fuorviata dal modello mitologico greco, con il suo impressionante sviluppo e i 19

suoi specifici rapporti con la religione e la società. Se le tracce di una mitologia romana sembravano tanto povere era, infatti, soprat­ tutto per il confronto con l'opulentissima mitologia dell 'Ellade . Vit­ tima di questo errore prospe ttico era stato - ben prima di Wissowa - il retore greco Dionigi di Alicarnasso, deciso ammiratore di una conce­ zione romana del divino che gli appariva libera da ogni blasfema fan tasticheria mitologica.'•) Frutto di una particolarissima situazione storica, la produzione mitologica greca possiede un carattere di asso­ luta eccezionalità che la rende inconfrontabile con ogni altro corpus mitologico e, a fortiori, con quello romano: là una diversificazione del panorama religioso che riflette la molteplicità delle poleis e un 'e­ laborazione mitologica liberamente gestita dai poeti, qua una reli­ gione centralizzata sotto il rigido controllo di un 'élite sacerdotale as­ servita allo Stato. Là un atteggiamento non di rado razionalistico che arriva a mettere l 'Oiimpo sotto processo, qua un rapporto con il sa­ cro improntato a un rispettoso timore. Diffidenti verso tutto ciò che può costituire una potenziale limitazione della loro libertà d'azione e, al tempo stesso, consapevoli del rischio di dire una parola di trop­ po in quel dialogo con il super-umano in cui la prudenza è la prima regola, i Romani, a differenza dei Greci, tendono a dire dei propri dèi il meno possibile. E dicono effettivamente assai poco.'') Soltanto negli anni '30 i tempi sarebbero stati maturi per un 'in­ versione di tendenza. Ai primordi della Romanistica, J.A. Hartung aveva paragonato la religione di Roma a un vecchio tronco seminascosto da una sovra­ struttura che confonde la propria con la sua fisionomia.") La neces­ sità di distinguere tra elementi locali ed elementi acquisi ti attraverso l ' influsso culturale italico e greco era stata poi ribadita dallo stesso Wissowa, agli occhi del quale, anzi, la partizione (di) indigetes l (di) n quanto di quella del contesto italico, dove, per quel che è dato giudi­ care sulla base delle scarse testimonianze disponibili , tra mito e culto le relazioni permangono evidenti in ogn i epoca. La profondità del contrasto è ben indicata dal caso dei Diòs koroi. Giunti in I talia assai precocemen te, da Etruschi, Marsi e Peligni tali dèi son o chiamati - con un nome proprio colle ttivo modellato su quello greco - Dioscuri e, conformemente all'etimologia della deno­ minazione, riconsciuti "figli di Giove" Per i romani d'età storica - lo­ ro entusiasti devoti - essi saranno invece Castore e Polluce, collettiva­ mente indicati- in epoca tarda- come Castores. ''"> L'asse discriminan te relativo alla presenza mitologica passerebbe dunque non già tra Roma e la Grecia, ma all'interno del mondo itali­ co-romano, tracciando una duplice distinzione, diacronica e sincro­ nica, tra la Roma più antica e l'insieme delle popolazioni italiche da un lato, e la Roma pienamente storica dall'altro.""> Sulla base del rilievo effettuato, Koch costruisce la sua rivoluzio­ naria tesi: possessori di un corpus mitologico analogo a quello delle altre popolazioni centro-italiche, a un certo punto del proprio svilup­ po storico i Romani avrebbero consapevolmente rimosso il mito dal culto di Stato. Va precisato che, diversamente da quella che in segui­ to diverrà - anche tra gli specialisti del settore - la communis opinio, l'Autore non crea il conce tto di demitizzazione (Entmythieserung) , ma- attraverso una costruzione puramente teorica- si limita a giusti­ ficarlo. '""> Di passata, è in teressante notare come negli stessi anni in cui gli ideologi del Nazionalsocialismo attingevano al materiale rac­ colto da Otto per dare una base mitica alla teoria dello Stato che an­ davano elaborando, la rimozione "per decreto" descritta nel romisclu Juppiter costituisse un processo diretto in senso esattamen te contra­ rio. Forse fu anche per questo che il brillante studioso dovette atten­ dere piuttosto a lungo prima di ottenere la nomina a docente.121> Il motivo di una decisione invero priva di calzan ti paralleli e i meccanismi attraverso i quali essa sarebbe stata messa in pratica sono da Koch delucidati analizzando la specifica caratterizzazione della quale appare essere stato oggetto, nel momento in cui la triade capi­ tolina Juppiter-Jun o-Minerva sostituiva la triade arcaica Juppiter­ Mars-Quirinus, il dio il cui culto costituisce il nucleo fondamen tale del sistema religioso romano. 24

Analogamente allo Zeus Meilichios greco e sud-italico, i numerosi Joves Jaziali si presentano come divinità estendenti il proprio campo d'azione al mondo sotterraneo e alle quali è riconosciuto il ruolo di progenitrici. 122> Così Io Juppiter lndiges del fiume Numico presso La­ vinio - figura da Koch accuratamente studiata in Gestimverherung im alten Italien - era titolare di un culto celebrato presso la presunta tom­ ba di Enea e all'eroe-progenitore divinizzato veniva comunemente assimilato. Contro l'ipotesi wissowiana, infatti, indiges significherebbe appunto "capostipite". 1"> Assumendo i titoli di Dptimus e Maximus il Giove romano dismette entrambe queste caratteristiche, che vengono "scaricate" su Vediovis, sorta di Giove "imperfetto" in relazione con i di manes e venerato ritu humano che molto significativamente i Julii - pretesi discendenti di Enea e attraverso lui gli unici che potessero vantare un'origine gio­ viale - consideravano proprio capostipite. 124> Il sommo dio dei Roma­ ni si è ormai trasformato in una divinità con attributi e competenze decisamente uraniche, a proposito della quale le interdizioni cui era sottoposto il jlaTIIffl Dialis1"> proverebbero come non fosse lecito il minimo riferimento alla sfera ctonia. Verificando il collegamento tra ctonicità e culto degli antenati postulato nello studio del '33, 1•"> a tale incompatibilità si affianca la completa estraneità all'ambito genealo­ gico: a differenza della maggior parte dei di indigettS romani, che in un un modo o nell'altro la tradizione mitologica esaltava come pro­ genitori e inseriva all'interno di una rete di relazioni reciproche, fu� piter Dptimus Maximus non è mai messo in relazione né con dèi né con uomini. Lasciatisi alle spalle tanto la complessità, non disgiunta da aspetti "oscuri ", del Giove pre-capitolino, quanto gli ingombranti rapporti genealogici che pesavano sugli dèi di Roma, il "nuovo" Juppiter si propone come simbolo di un orientamento di pensiero tutto rivolto al "vivo presente" della realtà romana e perfettamente incurante del passato. Espressione privilegiata del passato erano le imagines divi parenti portate in processione nel corso dei funerali. E proprio il modo in cui nelle vie dell'Urbe a tale corteo privato nel quale le gentes esibiva­ no l' auctoritas e la gloria dei propri antenati si alternava, e implicita­ mente si contrapponeva, il trionfo - sfilata organizzata dallo Stato e senza rapporto alcuno con i privilegi gentilizi, nella quale il generale vittorioso, con l'abbigliamento e Je·insegne del dio e il volto dipinto di rosso, rappresentava lo stesso juppiter Dptimus Maximus - permette 25

d'intendere l'intimo significato della demitizzazione: con trobilancia­ re la spinta centrifuga costituita dalle rivendicazioni tradizionali delle grandi famiglie elevando la res publica al di sopra di ogni particolari­ smo: .Il Juppiter della repubblica romana personificata, proprio nella sua compiuta determinazione, nient'altro che il pensiero sta­ tuale medesimo, l'idea di un 'omogeneità carica del senso del destino sovraordinata a tutte le fazioni della civitas. In passato il dio costituiva una forza che si manifestava nei vari elementi della natura e poteva essere in connessione con ogni tipo di società umana. Ma d'ora in poi la volontà romana l'ha stabilmen te identificato con la luce del cielo, e qui egli si pone dinanzi a ogni essere umano e a ogni stirpe allo stesso modo come totalità, e ugualmente si leva a simbolo e ga­ rante di ciò che, al di là di gentes e di fazioni, costituisce il popolo nel suo insieme».'271 Si tratta, in fondo, dello stesso atteggiamento di decisa volontà di controllo della sfera politico-religiosa, insofferente d'ogni potenziale interferenza esterna, che trapela dalla diffidenza di Roma nei con­ fronti dei culti stranieri. '"'1 Ciò non significa, in ogni caso, ostile rifiu­ to del mito. Anche se evita ogni esplicito riferimento agli accadimen­ ti mitologici, il culto non osa mai contraddire la loro struttura, ma la tiene anzi costantemente presente, come mostra il raggruppamento delle coppie divine nei li!ctisternia. L'unica figura divina effettivamen­ te demitizzata risulta essere Juppiter. Per il resto, i miti delle varie di­ vinità non vengono negati, sono sol tanto "taciuti" onde evitare che la loro inesauribile ricchezza costituisca un intralcio all' opera "stataliz­ zante" del sommo dio. '""' Del reale significato e dell 'effettiva portata di tale reticenza appare indicativo il fatto che essa si estendesse pure a quegli dèi greci la notorietà delle cui vicende mitiche nella cultura romana non può certo essere messa in dubbio. '"'1 Vale la pena di segnalare che - pur con i limiti che le sono intrinse­ ci'"' - l' archeologia ha nel corso degli anni recato alla teoria di Koch tutta una serie di conferme, dalla statuetta di Vediovis rinvPnuta pres­ so gli altari di Lavinio al gmppo acroteriale in terracotta del VI sec. rappresentan te Atena-Minerva che introduce Eracle-Ercole nell'Olim­ po scavato nell ' "area sacra" del foro Boario.'"1 Priva di significato ap­ parirebbe invece, anche se venisse un giorno definitivamente compro­ vata, la circostanza - riferita nel libro I delle Antiquitates rerum Divina­ rum"'J che nei tempi più antichi i Romani rifuggissero da ogni rap­ presentazione figurativa dei loro dèi: anche l' Era di Samo era stata in origine rappresentata soltanto da una "tavola grezza" ( axoos sanis) ,'"1 e i Samii non erano certo privi di una mitologia! « ••

-

26

Gruppo statuario votivo in tt'rTacotta. facente parte rlel tt>mpio arcaico di S. Orno­

bono c rapprt·scntantc Eracle con \1inerva armata. :>:\0 a.C. rirca. Roma. Anliqun·

rium CÀ1mrmnle.

4.

Il primo a rendersi conto dell'importanza dell'opera di Koch fu probabilmente uno storico delle religioni ungherese assai vicino, per sensibilità e prospettive di studio, a W.F. Otto, Karoly Kerényi. Dopo averla salutata già in una recensione pubblicata nel '38 come il defini­ tivo superamento delle posizioni wissowiane, 1") egli le riservò ampio spazio in un importan te volume dedicato alla messa a pun to della propria dottrina, La religione antica neUe sue linee fondamentali ( 1 940) 1'"> Alla base di questo lavoro - attraverso il quale l'Autore si propone­ va di presen tare in forma sistematica la filosofia della religione (e quindi, dal suo punto di vista, della civiltà) "antica" - era la convinzio­ ne che il mondo religioso dell'uomo greco-romano (l' antiker Mensch per antonomasia dei classicisti mitteleuropei ) costituisse un sistema di pensiero unitario, del quale Grecja e Roma, attraverso i propri dif­ ferenti "stili" religiosi, avevano enfatizzato le due complementari mo­ dalità di manifestazione, mito e culto . 1"> Sviluppando le osservazioni di Koch, a fronte del "mito narrato" dei Greci veniva quindi riconosciuta quale espressione privilegiata dello "stile" religioso romano la rappresentazione cultuale dei conte­ nuti milici: un "mito vissuto " del quale risulterebbe paradigmatica esemplificazione la vita colma d'interdizioni che era costretto a con­ durre il jlamen Dialis, "sacra statua vivente " di Giove, secondo la defi­ nizione plutarchea (q.R. 111) . Intesa come "romanizzazione" del mi­ to e sottratta ormai completamente alla dimensione storica per di­ ventare il "modo d 'essere " stesso del mito a Roma, la demitizzazione si è però trasformata in qualcosa di profondamente diverso da ciò che Koch aveva teorizzato. In effetti, nel momento stesso in cui La re­ ligione antica, accolta come "una pietra miliare nello studio dell'anti­ chità classica",1"'> assicurava la diffusione delle idee kochiane, di fatto le stendeva sul letfo di Procuste delle personali concezioni del suo autore. Concezioni differentissime da quelle esposte nel romische Jup­ piter, tanto che, marginalizzato il ruolo di Vediovis, il Giove capitoli­ no si vedeva addirittura restituire le sue prerogative ctonie e genealo­ giche.1"'> Questo ribaltamento della prospettiva originaria sarebbe stato da Kerényi ribadito nel celebre studio scritto in collaborazione con Cari Gustav Jung, Einfohrung in das wesen der Mythologie ( 1 94 1 ). Vediovis e Juppiter sono qui due figure pressoché senza rapporto, ricondotte a due ben distinti archetipi, quello del "fanciullo divino" e quello - nel.

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la prospettiva junghiana sempre latentemente efficace e pron to a riattualizzarsi - del "primo padre generatore". l ' attenzione dello studioso appare infatti completamente assorbita da un ben preciso processo culturale, che oltre a costituire una sua personale scoperta risulta strettamente connesso alla verifica della teoria delle tre fun­ zioni: il passaggio dalla mitologia alla storiografia. Dopo la svolta segnata da La prehistoire tks Jlamines majeur ( 1 938) , dall'altro perme tte di recupe­ rare al comparativismo indoeuropeista una massa di nuovi dati u tili ai fini dello studio dell ' ideologia trifunzionale. Per quel che riguarda il problema della mitologia, tenuto anche conto di quanto appare possibile inferire da riti come quello di Mater Matuta, il suo significa­ to è chiaro: .la mitologia romana è esistita, e fu ricca quanto la mi­ tologia degli Indiani vedici o degli Scandinavi. Di essa, ampie parti che riguardavano molte divinità sono senza dubbio scomparse . Ma altre parti , e le più importanti . . . sono state conservate. I miti sono sta­ ti semplicemente trasposti dal loro peculiare universo al mondo ter­ reno e i loro protagonisti non sono più dèi ma grandi uomini di Ro­ ma che ne hanno assunto la fisionomia . . . » . ( ,.> È curioso osservare che se sulla storicità di tanti personaggi (ma­ gari presentati come membri di ben note grmtes ancora esistenti nel momento in cui l' annalistica pontificale li immortalava) e delle im­ prese che li vedevano protagonisti prima di Dumézil nessuno aveva mai sollevato questioni, il carattere "favoloso" delle vicende relative ai primi tre regni era stato da tempo intuito. Dubbi bisecolari esiste­ vano, in particolare , circa la "saga" di Romolo e Remo, ma p urtroppo il fraintendimento costante del conce tto di mito aveva sempre impe­ dito (come avrebbe con tinuato a fare ancora a lungo) che essa fosse riconosciuta per quel che è. Dopo che, nel 1738, la sua fondatezza storica era stata con validi argomenti messa in discussione da Louis de Beaufort, (2 essa fu dap­ prima ritenuta residuo di un componimento epico andato perduto (Niebuhr) e poi una rimeditazione di "antichissime memorie" com­ piuta sotto l'influsso della cultura greca ( Schwegler) . Valutata di vol­ ta in volta pura invenzione, magari dettata da opportunismo politico (Mommsen ) , o sottoprodotto di reali vicende storiche, la fabulazione dei gemelli è en trata negli studi moderni sotto la duplice etichetta di fiaba e legge nda. A queste definizioni , che per quan to discutibili hanno il merito di una relativa chiarezza, talvolta se ne aggiunge una terza: "mito eroico ". Essa sembrerebbe u tile per indicare in modo specifico le fabulazioni mitologiche con protagonisti umani, ma, al­ l ' atto pratico, non possiede alcun significato; infatti, coloro che la impiegano - e tra loro è anche Dumézil - hanno cura di precisare che miti veri e propri sono soltanto quelli divini. « •.

38

jACQUF.'ò-Lous DAVID, Il giuramento degli Orazi, 1 784-1 785.

3.

Dapprima oggetto di stupore e scetticismo, in seguito entusiastica­ mente ammirata, l 'opera di Georges Dumézil è stata sempre fatta se­ gno di attacchi - spesso ostili e qualche volta in mala fede - da parte dei maggiori studiosi suoi contemporanei. 1 2 1 1 Era l'inevitabile reazio­ ne allo stravolgimento delle consolidate delimitazioni disciplinari operato da uno studioso in ogni senso "di frontiera" e ha costituito un fenomeno sostanzialmente posi tivo, spingendo l'Autore a rimette­ re continuamente in discussione i propri risultati e anche - talvolta - a ritornare sui propri passi. Sotto il tiro incrociato dell 'aggressione esterna e della lucida au3!1

tocritica si sono con il tempo rivelate infondate molte delle ipotesi dumeziliane. Tra di esse, almeno in qualche misura anche quella del trifunzionalismo, il cui presupposto principale - che la divisione ideo­ logica in trç funzioni riflettesse una reale tripartizione della società, secondo il modello indiano - finì per rivelarsi inapplicabile al conte­ sto romano. tn> Dell ' enorme edificio delineato in tan ti anni d'intensa attività re­ sta comunque in piedi la struttura complessiva. Presupposta, descrit­ ta e discussa in 7 0 volumi e oltre 220 articoli, la cultura indoeuropea costituisce oggi un campo di studi autonomo e sviluppatissimo. Resta però insoluto un quesito di fondo: dietro l' ideologia indoeuropea, esiste un popolo indoeuropeo? Anche considerando dimostrato che alla base di quelle che ogg� sono chiamate lingue indoeuropee si trovi effettivamente un insieme di elementi fono-lessicali e morfo-sin tattici comuni ( senza tenere conto delle riserve sollevate da N.S. Trubetzkoj e da V. Pisani, che ri­ duceva tutto a un "sistema di isoglosse ") , certamente la possibilità di ricondurre la fondamentale unità linguistica se non addirittura a una specifica etnia, anche soltanto a quella originale e ben individuata ci­ viltà materiale che Dumézil implicitamente ammette è ancora da di­ mostrarsi in modo definitivo. ) Alla problematica della mitologia romana Brelich ritornerà con autorevolezza - storico delle religioni ormai affermato - diciassette an­ ni più tardi, con i fondamentali studi raccolti in Tre variazioni romane sul tema delk origini ( 1 956) . Qui, prendendo le mosse dall' approfon­ dimento dell'ambigua figura di Caeculus, egli mette a fuoco in tutta la sua ricchezza e complessità la mitologia romana della fondazione . Dietro i l duplice schermo dell ' elucubrazione erudita degli Antichi e della moderna ipercritica, viene chiarito che Picus, Faunus, Satur­ nus e Ianus, )ungi dall'essere - evemeristicamente - arcaici sovrani di­ vinizzati, ( di effettivamente storico aveva assai poco: dalla genuina ricerca storica si era passati, insensi­ bilmente e inconsapevolmente , a una specie di determinismo neo­ evoluzionistico.

4.

Se da Brelich la demitizzazione era stata infine considerata nien­ t'al tro che un 'ipotesi plausibile e interessante , essa risulta invece al cen tro dell' attenzione di un altro esponente della "scuola romana", Dario Sabbatucci, che intendendo i quesiti posti in Introduzione alla storia delle religùmi ( Ben maggiormente esteso da quello teorizzato da Koch, il feno­ meno non avrebbe comunque avuto, secondo Brelich, carattere tota­ lizzante , continuando a interessare il solo livello sacerdotale-statuale della religione. Tale carattere esso invece assume nell' opera di Dario Sabbatucci, ed è probabile che proprio ad essa, coeva alle sue ricer­ che, la Piccaluga intendesse soprattutto riferire i suoi appunti critici. Anche se la puntuale analisi di un processo di demitizzazione operante a livello cultuale riguarda sempre la sola figura di Giove che risulta tra l ' altro giustamente riscattata dal livello "primitivo " cui era stata fatta ripiombar� dagli ultimi lavori di Brelich, venendo n­ condotta allo specifico adattamento di un originario modello di rega­ lità divina diffuso in tutto il bacino del Mediterraneo 1 '"> - la demitizza­ zione cessa di essere un processo "tecnico" relativo alle sistematizza­ zioni teologico-speculative operate a livello di culto di Stato, per di­ ventare la strategia stessa di una cultura a indirizzo "attualistico",

4.

Anche ammettendo che quelli riferiti nei Fasti siano effettivamen­ te veri e propri miti romani (cosa che, comunque , non potrebbe es­ sere stabilita "d'ufficio" una volta per tutte ma dovrebbe essere effica­ cemente comprovata caso per caso) , sino a prova contraria, cioè fin­ ché non fosse dimostrato che Ovidio prendeva sul serio le vicende che con tan ta vivacità ha descritto, lo sarebbero soltanto nel primo si­ gnificato, per così dire metonimico, del termine. Quel che qui im­ porta, comunque, è l ' avere messo meglio a fuoco la nozione di demi­ tizzazione nella sua portata teorica e nel suo impiego storiografico da parte dei diversi autori. Tra l ' altro, è emersa la differenza esistente tra i modelli in terpre­ tativi proposti da Koch e Brelich e quello elaborato da Sabbatucci: da una parte , una demitizzazione limitata all'ambito cultuale; dall' altra, una demitizzazione estesa a tutta la cultura. Proprio qui sta, a questo punto degli studi, il maggiore in terrogativo inerente alla mitologia romana. Assodato che la civiltà romana - giudicata da.Wissowa a-mitica e da 59

Rose e dai suoi seguaci addirittura pre-mitica - in una sua fase più o meno arcaica aveva in realtà posseduto una mitologia, bisogna adesso chiedersi se nel momen to in cui Catone stigmatizzava il filellenismo degli Scipioni questa mitologia apparteneva ormai al passato, essendo stata per un motivo o per l ' altro definitivamente rimossa e dimentica­ ta, oppure se faceva ancora parte dell' orizzonte culturale romano. Che al culto continuassero, seppur "taciute ", a essere associate del­ le fabulae (come, al di là del loro disaccordo circa la reversabilità del processo demitizzante - cioè circa la possibilità del mito di tornare da "rappresentato "l "vissuto " ad essere "narrato " - pensavano sia Koch sia Kerényi) e che a un certo momento la stessa religione ufficiale fi­ nisse per riconoscerne l ' importanza è testimoniato da quanto si affer­ ma nella parte conclusiva dell 'interessan tissima classificazione delle "teologie" messa a pun to da Varrone (che ammetteva esplicitamente l'esistenza di una mitologia romana e ne sottolineava l'utilità politi­ ca) ,"7J sulla base di una suddivisione operata, al principio del I sec. a.C., dal pon tefice Quinto Muzio Scevola: « l ) Nel primo tipo di teo­ logia si incontrano molte fabulae con trarie alla dignità e alla natura degli dèi immortali, come ad esempio la nascita di una divinità uscen­ do da una testa, da una coscia o da una goccia di sangue; o anche de­ gli dèi ladri, adulteri, schiavi di qualche uomo; insomma, vi si attribui­ scono agli dèi tutti i disordini in cui cadono gli uomini, i più sprege­ voli addirittura . 2) . Il secondo tipo di teologia che ho individuato diede argomento a un gran numero di libri in cui i filosofi discutono sulla definizione degli dèi, il loro soggiorno, la loro essenza, le loro qualità: sono esistiti a partire da un determinato momento o sono eterni? Provengono dal fuoco, come crede Eraclito, o dai numeri, co­ me afferma Pitagora, o dagli atomi, come sostiene Epicuro? E altre domande di tal genere, che le orecchie tollerano meglio tra le mura di una scuola piuttosto che nel foro. . 3) . . Il terzo tipo di teologia è quello che i cittadini e soprattutto i sacerdoti degli stati devono cono­ scere e praticare. Esso consiste nel sapere a quali dèi si debba tributa­ re culto pubblico, e a quali cerimonie, a quali sacrifici, sia tenuto ognuno . . . » . Ciò - è abbastanza chiaro - non risponde al vero. A essere respin te sono sol­ tanto le fabulazioni (poetiche e filosofiche) d'origine greca, che nul­ la hanno a che fare con il processo interno alla religione romana tec...

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nicamente definito demitizzazione. Per quel che riguarda le storie tradizionali, la testimonianza dell' ultimo pontifex maximu.s dei Mucii Scaevolae va esattamente nel senso opposto. Dumézil considera un mito come quello di Anna Perenna "etiolo­ gico ". 1"'> Si tratta di ipercritica (forse non disgiunta da una certa dose di malafede ) . Va notato che esiste un mimo di Laberio intitolato pro­ prio Anna Perenna. Per quan to sicuramente deformata rispe tto a quella che si potrebbe, provvisoriamente , definire la sua versione ori­ ginale (cioè rispetto alla storia che sull ' argomento racco�tavano gli antenati dei Romani storici ) , quella recitata davanti a un pubblico ca­ ratterizzato dal basso livello culturale non era certo un ' invenzione di raffinati intellettuali. Era una storia tradizionale: e, come si chiarirà più avanti, ciò non è senza significato. 1 2'> Tuttavia, lo spessore dell' affabulazione mitologica che in e tà stori­ ca faceva da cornice ai vari culti risulta allo stato attuale degli studi inverificabile; tanto più che come mostrano le stesse pagine del De ci­ vitate Dei che hanno conservato il riferimento a Scevola e il testo var­ roniano, le non certo abbondanti allusioni alle vicissitudini dei vari dèi con sicurezza iden tificabili nei ri ti appartenenti alla tradizione re­ ligiosa romana non sono sempre immuni da una certa "grecizzazio­ ne". 1 22> Pertanto, onde verificare se il mito è stato definitivamente eli­ minato, lasciando quale testimonianza di sé sparsi e inerti brandelli, o se , in qualche modo, ha continuato a essere operativo , sembra più utile rivolgere l ' attenzione al problema specificamen te trattato da Sabbatucci, vale a dire alla cosiddetta storificazione del mito.

Note ( l ) OVID. fasti iii 327-344: . . Essi ti chiamarono dunque, o Giove, giù dal cie.­ lo, e per Più che le riserve espresse in merito all ' inevitabile genericità e astrattezza dell ' interpretazione strutturalistica di un testo antico e più che le accuse di provvidenzialismo idealistico rivolte a una ricostruzione storica che esplicitamente ruota intorno alla "rea­ lizzazione dell'idea di Stato", i rilievi che in ordine al problema della cosiddetta storificazione del mito appaiono dawero interessanti - e che risultano anche essere i più gravi e i meglio fondati - sono quelli relativi all'eccessiva disinvoltura con la quale viene accostato il mate­ riale annalistico (identificando senz' altro gli Ab Urbe condita libri con la tradizione degli annali dei pontefici e rinunciando a qualsiasi Quel­ lenforschung· tesa a enucleare i diversi filoni ideologici soggiacenti al­ l'opera liviana) e quelli inerenti alla tendenza a isolare - attraverso 69

l'utilizzazione della superatissima categoria della "romanità" - Roma dalla koiné grec Fa sen tire, in tal modo, tutto il suo peso la distanza tra una demi­ tizzazione di li m itata portata, fru tto di un orien tamento culturale che, pur tentando di controllarne l' invadenza, tollera il mito, e una demitizzazione "a 360 gradi" concepita da una società che, al contra­ rio, lo esclude completamente , condannando chi eventualmente lo recepisse a una deminutio della sua personale attendibilità fra gente condizionata, culturalmente, ad attenersi al "vero storico"•• . La defmizione di mito come "storia esemplare " fatta propria dal­ l 'autore di Mythes et Épopée è, palesemente, quella elaborata da Mircea Eliade, studioso con il quale egli ebbe prolungati e profondi rapporti intellettuali, e anche alla base della sua ambigua valutazione dei "miti romani" sembra di poter riconoscere qualcosa di eliadiano: la nozi� ne di "mito degradato ". Coeren temente con i presupposti del suo pensiero, il celeberrimo storico delle religioni rumeno sostiene, in­ fatti, che il mito tenda fatalmente a "degradarsi ", trasformandosi sul piano religioso in rituale o superstizione, sul piano narrativo in leg­ genda epica, ballata o romanzo, senza per questo perdere il suo val� re archetipale: « . . . eviden teme n te ogni gradino disceso rende più •••

74

"opaco" il conflitto e i personaggi drammatici, la trasparenza origina­ le si oscura, le note specifiche di "colore locale" si moltiplicano. Ma i modelli trasmessi dal più lontano passato non scompaiono; non per­ dono il loro potere di riattualizzazione,. . In questo modo, millenari canovacci mitologici entrano ne Il' annalistica. Che a questo punto i miti abbiano un ' apparenza storica è sempli­ cemente ovvio . La natura del veicolo plasma una tradizione narrativa di per sé fluida, i cui intrecci possono essere recitati indifferentemen­ te da attori umani o sovraumani. La convinzione che a Roma la mito­ logia fosse orientata storicamente nasce dalla mancata comprensione di questo meccanismo, unita al sistematico rifiuto delle scarse tracce 98

lasciate dai "miti divini", generalmente valutate costruzioni di tipo etiologico (nel senso di artificiale) senza tener conto della duplice possibilità che esse costituiscano un 'ulteriore rielaborazione (ovvia­ mente popolare) del mitologema a quei miti soggiacen te (!O) o che i materiali impiegati nell'eventuale ricostruzione dotta siano d' origine autenticamente arcaica. A un esame delle fonti metodologicamente awertito e privo di preconcetti appare chiaro che, almeno per quel che riguarda la mitologia, non c'è ragione di parlare di uno champ idéologique romano, e che se i pontefici impegnati nelle registrazioni annalistiche "pensano storicamente " è solo perché stanno scrivendo dei testi storici. ( 2 l ) Se l'attribuzione di specifiche peculiarità mitiche alle diverse per­ sonalità storiche effe ttuata dal l ' orgoglio familiare dei posteri nel­ l'ambito dell' autocelebrazione gentilizia non era stata, presumibil­ mente , del tutto casuale, (.,) alla selezione del materiale destinato a entrare nella narrazione annalistica presiedettero senz 'altro precise ­ per quanto oggi difficilmente recuperabili - ragioni ideologiche. Non è comunque difficile immaginare che prima della definitiva cernita operata dalla finale redazione pubblica degli archivi pontificali (gli Annales maximi) , alla preoccupazione di creare una mitologia repub­ blicana (magari con intenti "fondanti " o "giustificativi") si giustappo­ nessero non trascurabili spinte centrifughe. Particolare attenzione al significato della connotazione mitica di taluni personaggi e talune fa­ miglie ha riservato Enrico Montanari, tra i cui numerosi lavori rivolti alla problematica inerente alla mitologia romana si segnalano, a que­ sto proposito, Nomen Fabium ( 1 9 7 3) - dedicato a quei Fabii, fatui e fa­ natici in quan to devoti a Faunus, cui infine si opporrà la scelta "an ti­ fatale" di Furio Camillo - e Mucii Scaevolae e "mito della publicatio " ( 1 982) - dove si studia l 'apparente adeguamento di una gens a un mo­ dello comportamentale miticamente fissato. ("l Assai interessante è il modo in cui - superata l ' opposizione mito "esemplare " /mito "fon­ dan te " -, pur nella più completa fedeltà al modello sabbatucciano della storificazione come demitizzazione lo studioso giunga in un suo recente lavoro ( Mito e stcrria nell'annalistica romana delk crrigini, 1 990) ad ammettere che le "riattualizzazioni" operate da (o su) pon tefi­ ci massimi come Caecilius Metellus e come i Mucii Scaevolae testimo­ niano . . . del fatto che, ancora nella fase terminale dell'elaborazione annalistica pontificate , prassi storiografica e prassi fabulatoria potes­ sero in teragire in funzione dell 'edificazione della res publica» .(••l La fissazione scritta di una storia mitizzata come quello di Cecilio Metello è testi­ monianza della vitalità, in piena età repubblicana, dell ' arcaico mito­ logema dell'eroe del fuoco metallurgico (prototipo del ben noto ti­ po del burgne) 1 '"> e contemporaneamente ne è veicolo - sotto una for­ ma specifica (ma tutte le forme sono specifiche, il mitologema in se stesso è soltan to un 'astrazione) - di ulteriore sopravvivenza. 1 00

3.

Quali che siano i suoi precisi meccanismi, l ' utilizzazione che i pontefici fanno delle tradizioni mitologiche presenta senz'altro un si­ gnificato politico. Ciò però non significa che le storie ereditate dagli antenati siano soltanto l'inerte materiale con il quale una disincan ta­ ta kadership costruisce una mitologia completamen te artificiale e di carattere essenzialmente letterario, come sostiene in Roman Myths ( 1 9 7 1 ) Michael Gran t - prolifico autore di opere di alta divulgazione sull 'antichità classica -, confondendo l' appropriazione aristocratica dei miti con la loro creazione e trasformando gli annalisti romani in professionisti della persuasione occulta degni di governare la repub­ blica platonica.1291 In primo luogo, l' uso politico costituisce una delle tante modalità di riutilizzazione attraverso le quali i miti si perpetua­ no;1 '0 1 inoltre, va sottolineato che le iniziative personali di quelli che in Mythe et Épopée III ( 1 9 7 3) Dumézil chiama "amministratori della memoria e del pensiero collettivo" nei confronti del "lavoro incon­ scio, collettivo e continuo dello spirito di una società attraverso le ge­ nerazioni " più che all 'imbrigliamento di una fiumana possono essere paragonate a una lieve increspatura sulla superficie del mare . C h e molti dei m i ti rivendicabili alla tradizione nazionale romana presenti nelle fonti di carattere letterario siano stati riesumati dai poeti dell 'età augustea dopo un periodo di oblio presumibilmente assai lungo, è un fatto indiscutibile . E, d 'altronde, appare prpbabile che leggendo, per esempio, la celebrazione virgiliana della «Saturnia Terra, gloriosa madre di messi e di eroi» nessun Romano trovasse in quei versi - nutriti di letteratura ma ricchissimi pure di quello che og­ gi si chiamerebbe folklore - qualcosa di più che un 'espressione arti­ sticamente elevata e un po' sen timen tale del comune orgoglio pa­ triottico. Ma ciò non significa né che essi siano pura e semplice "let­ teratura"1'1 1 né - tan tomeno - che siano sostanzialmen te artificiali. Adottando la distinzione proposta da N.M. Horsfall si potrebbe sem­ mai parlare di "miti secondari " Inoltre , va tenuto ben presente che accan to ai miti di questo tipo non sono nell'annalistica rari i "miti primari" e nei loro confron ti ben diverso è l' atteggiamento dei con­ temporanei di Virgilio. Come osserva Walter Burkert, Cesare fu fatto a pezzi in Senato nello stesso modo del mitico primo re, e Bruto che portava lo stesso nome di quello che la tradizione considerava il tirannicida per antonomasia -, ne fosse cosciente o no, pugnalando il padre adottivo non faceva altro che assumersi il tragico peso di vivere in accordo con le prescrizioni di un mito. 1"1 IO !

Note ( l ) Arch . B7 D. -K. ' STOB. jlm. IV l , 1 39 Hense . ( 2 ) Gemelli rivali sono, nello zervanismo iranico, i due figli di Zervan , Or­ mazd e Arimane; tali si possono considerare, nell ' .pos celtico, anche Cu Chullain e il suo "fratello d'armi" Fer Diad, presentato come ·l'unico uomo a Cu Chullain pari nelle prodezze d'armi e nelle grandi imprese • . Per quel che riguarda la bel­ va nutrice, basterà ricordare la storia di Ciro salvato da una cagna (HEROD. I 1 22) . rimandando per ulteriori esempi a S. THOMPSON , Motiflndex ofFolk Literature, vol. VI (indice) s.v. "Wild Animai ", Copenhaghen 1 958. (3) Sia nel Nord sia nel Sud America quello dei $ emelli costituisce il mito più importan te dell'intero complesso mitologico, cfr. A. HULKRANZ, u religioni degll indiani d:Amnica, in Storia delk religioni, a cura di H.-C. Puech, XVIII l , Roma-Bari 1 978, pp. 1 99 ss. (ed. ori g. Paris 1 970) ed E. ScHADEN, u religioni indigene deU:Ame­ rica mnidionak in Storia delk religioni, a cura di C.-H. Puech, XVIII 2, Roma-Bari 1 978, pp. 295 ss. (ed. ori g. Paris 1 970) . Ad esso è in larga parte dedicato l'impor­ tante volume nato dalla collaborazione di K. KE.RÉNYI, C.G. J u NG E P. RADIN, n bric­ cone divino ( trad. it. Milano 1 965) . Due gemelli allevati da un giaguaro sono i protagonisti di un mito riportato da C. NIMUENDAJU ' , Apontamenlru so/n'e ru Gua­ rani, ·Rev. do Museo Paulista•, 8, 1 954, pp. 45-47. Una storia che assomiglia mol­ to a quella di Rea Silvia è la vicenda - riferita dal Popol Vuh (II 3) - di Ixquic, ma­ dre dei gemelli Hunahpu e Ixbalanqué. Su di essa cfr. ]. DAN, The Innocent Persecu­ !Ld Heroine. An Attempt at a Model far tht Surfaa Uvel of the Narrative Structure of the Femak Fairy Taks, in Patterns in Oral Literature, a cura di H. Ja.son e D. Segai, The Hague 1 977, pp. 1 3-30 (il confron to è limitato a esempi greci ) . ( 4 ) Circa i contatti transatlantici nella preistoria, cfr. E. RlCHARDS, u pri11U! mi­ grazioni deU 'uomo, in Popoli della Terra. n futuro deU'umanità, a cura di E.E. Evan s­ Pritchard, Milano 1 982', pp. 22-26 (ed. orig. Miinchen 1 973) . Sulla preistoria del Nuovo Mondo v. S. CANAI.S FRAu, Préhistoire de l :Amérique, Paris 1 953; J.D. JENNINGS, Prehistory of North America, New York-London 1 97 4'. (5) Cfr. F. COARELLI , Il monumento di Verrio Fiacco nel foro di Preneste, Roma 1 987' pp. 17 ss. (6) A proposito di tale possibilità v. G. CAMAssA , L 'occhio e ii 11U!tallo. Un mito/ogema greco a Ruma �. Genova 1 983, in particolare pp. 67 ss. (7) V. supra VI! n . l 9 . ( 8) P IATO. Uggi 664a. (9) CIC. de kg. l 47; PLIN. ep. IV 7, 6. (l O) Cfr. Ovm. fast. IV 328. ( I l ) Cfr. TAc. A nn. XVI 2 1 . ( 1 2) VARRO . de vita p.R. , fr. l O l Rip. ( 1 3) CATO. Orig. , fr. 1 1 8 P. ( 1 4) La diffusione nel Lazio protostorico della pratica del symposion - pun to d'intreccio tra gli interessi commerciali dei protagonisti della "seconda colon izza­ zione" e le esigenze di prestigio delle aristocrazie indigene - è dimostrata dal re­ cente ritrovamento di un servizio da banchetto effettuato a Ficana (a l l km. da Roma) ; sul! 'argomento cfr. ANNETTE RATHJE, A Banquet Servi a from the Lati n City of Ficana, "Anal. Rom. Instit. Danici "•, 1 2 , 1 983, pp. 7-29. =

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]. HEURGON paragona i carmina convivalill alle chans011.1 dL geste (&7111! ti la Médi­ terra nét occidLntale jusqu 'aux gunres puniques, Paris 1 969, p. 23 1 ) e risulta interes­ sante notare che tali composizioni medievali sono state a loro volta ricondotte a una matrice narrativa protostorica ( indoeuropea, per la precisione ) da J.H. GRJs­ WARD, Archéologie dL l 'épopù médiévale, Paris 1 98 1 . ( 1 5 ) I l testo è citato, a p . 559, d a R . RAINERO, Fonti orali e storiografia: i l problema dLlla storia dei popoli africani in Introduzione allo studio dLlla Storia, Il, Milano 1 982, pp. 549-575. Sulla "memoria storica" in una cultura orale cfr. anche ]. VANSINA, La tradizione orale. Saggio di 7111!todologia storica, Roma 1 976 (ed. orig. Tervuren 1 96 1 ) , in particolare il cap. Vl. ( 1 6) Cfr.]. VANSINA, La tradizione oralt, cit., pp. 2 1 0 ss. ( 1 7) Cfr. F. COARELLI, Le pitture dLlla tomba François a Vulci: una proposta di lettu­ ra, ·Dia!. di Archeol . • III 2, 1 983, pp. 4�9. ( 1 8) Tale è l'ipotesi di E. MONTANARI, Mito t storia neU'annalistica romana dLlle origini, Roma 1 990, pp. 30 ss. ( 1 9 ) Cfr. supra V1 n. 20. Circa i problemi relativi alla compilazione annalistica v. anche B. GF.NTll.l - G. CERRI, Le teorie dLl discorso storico nel pensiero greco e la storie>­ grajia romana arcaica, Roma 1 975. (20) Non bisogna commettere l'errore di considerare i miti, "divini" o "eroi­ ci" che siano, una realtà statica: un mito autentico (nel sen so di non-artificiale) è con tinuamente in mutamento. Ben chiaro, al proposito, TH. P. VAN BAAREN, The Flexibility of Mith, in Ex orbt rtligionum. Studia G. WìndLngren oblata II, Leiden 1 972, pp. 1 99-206. (21 ) Che la "storificazione" dei miti costituisca un fenomeno indipendente dalla demitizzazione, non configurandosi necessariamente come una sua conse­ guenza o una sua alternativa, è suggerito anche da E. GABBA, Dionigi, Varront t la nligione senza miti, ci t., p. 865. (22) Della questione si interessò già Th. Mommsen; cfr., ad es., Gesam7111!lte Schrijlen IV, 1 906, pp. 22 ss. Il padre della romanistica interpretava le vicende del­ la più antica storia romana (da lui definite Quasihistorit) come una proiezione nel passato di reali avvenimenti storici, promossa da famiglie in teressate a dare una più solida base al proprio prestigio amplificando l ' importanza dei propri antena­ ti. Così, per esempio, il nome e le gesta di Anco Marcio sembrerebbero sicura­ mente da mettersi in relazione con i successi registrati dalla gens Marcia in torno alla metà del IV sec. a.C. Dumézil (che discute la teoria di Mommsen alle pp. 22 ss. de La religione romana arcaica) si mostra invece molto dubbioso circa la possibi­ lità di comprendere la relazione in tercorren te tra personaggi storici e figure miti­ che, cfr. G. DUMEZIL, Mythe et Épopée III. Histoires romaines, Paris 1 973, p. 301 . (23) E. MONTANARI , No7111!n Fabium, Lecce 1 973; Mucii Scaroolae e "mito dLlla pu­ blicatio", Religion i e Civil tà " , 3, 1 982, pp. 409-430 ( ldLntità culturale t conflitti nli­ giosi nella Rnma repubblicana, Roma 1 988, pp. 6 1 -87) . (24) E. MONTANARI, Mito e storia neU'annalistica romana delle origin� Roma 1 990, p. 82 (cfr. anche p. 26 n . 57) . L'A. ammette l' esistenza nella cul tura romana di una tendenza m itizzan te individuando in alcune vicende riferite dalla vulgata an­ nalistica un carattere "fondante " o "etiologico" (pp. 42 s. ) oppure la ripetizione di un "archetipo" (p. 60) . Come per Sabbatucci, però, anche per lui questi non ..

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sono più veri miti, perché ·Roma non opera una distinzione fra "tempo degli dèi" e "tempo degli uomini"• (p. 35) . Malauguratamente, Montanari non espone in modo esplicito che cosa a suo parere si debba intendere per mito, rimandan­ do, in modo sibillino, alle "class i che osservazioni" di Eliade (p. 24, n. 49) . (25) V. A. B R F.LI CH, fl mito nella storia di ucilio Mtulla, ci t., pp. 39 ss. Purtrop­ po. la felice intuizione della natura dinamica dei miti sarebbe stata dall 'A. abban­ donata nei lavori successivi. (26) Cfr. L. ARCELL-\, L 'iscrizione di Satriro t il mito di Publio Va/trio, •S.M.S.R· n . s. 1 6, 1 992, pp. 2 1 9-247. La vicenda di Publio Valerio Publ icola (LJv. II 7, 5-7; DION. HAL. 5, 1 6 ; Pt.UT. Popl. 9, 4) si riallaccia a un vero e proprio complesso miti­ co ruotante intorno alla gms Valeria, v. VAL. MAx. II 4, 6 (Valesius) ; [PLUT.) Parai. min. 35 Ba (Valeria Luperca) ; P L UT . dt muL virt. 1 4 (Valeria) . (27) Questa è anche l 'opinione d i G . Dumézil, MythL ti Épopu III. c it., p . 30 1 . (28) All 'eroe del fuoco metallurgico è dedicato i l vol . di G . CAMASSA , L 'occhio e il metallo, ci L, ricco d'indicazioni bibliografiche. (29) Cfr. M . GRANT, Rmnan Myths, London 1 9 7 1 , pp. XV ss. L'affermazione appare, negli anni ' 70, alquan to anacronistica e, ol tretutto, la nozione di "mito artificiale" è impiegata in maniera scorretta, poiché e ssa in realtà designa delle costruzioni narrative imitan ti lo "stile" mitologico ma inventate ex-novo per moti­ vi didascalici, come ad esempio i "miti " platonici o le cosmogonie gnostiche. (30) Un buon esempio di con tinua riutilizzazione - anche politica - di un mi­ tologema è fornito dal cap. IV di W. BURKERT, Mito e ritual.t in Grecia, ci t. (Eracl.t t il "Signore dtgli animali ") . ( 3 1 ) Owiamente, a proposito del ciclo di Enea va tenuta ben presen te la par­ ticolarità della sua circolazione, soprattutto in ordine all 'eventuali tà di una "rica­ duta" di taluni temi e taluni motivi dalla letteratura colta a quella popolare. ( 32) Cfr. W. BURKERT, Catsar und Romulus-Quirinus, ·Historia• , 1 1 , 1 962, pp. 356-376.

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CAPITOLO IX

ANTIQUUS ANIMUS

l.

Più che con i l turbolento nipote d i Numitore, i l "Romolo" che nel libro II delle Antichità T011Ul ne di Dionigi di Alicamasso tanto si preoc­ cupa per i costumi religiosi del suo popolo deve essere identificato con Quinto Muzio Scevola, il pontefice che onde salvaguardare gli dèi di Roma dall'irriverenza dei Plauto e dal razionalismo degli Eve­ mero si assunse il compito di distinguere le diverse categorie di affa­ bulazioni sviluppatesi intorno ad essi (quelle che egli definisce "teo­ logie ") . È notevole il fatto che la sua operazione censoria ammetta tra le Jabuku «che i cittadini e soprattutto i magistrati devono conoscere e me ttere in pratica" almeno una vicenda che per il suo contenuto li­ cenzioso la critica implacabile di Agostino avrebbe riconosciuto con facilità analoga a quelle riprovate come «contrarie alla dignità e alla natura degli dèi immortali• : la storia della notte trascorsa da Acca La­ rentia tra le braccia di Ercole, riferita a proposito dei Larentalia. < ' 1 Notevole non tanto perché dimostra una volta d i più l a tortuosità della riflessione dionisiana, ma perché testimonia come uomini dello stampo del pon tefice Scevola e di Varrone, alla fine cultura dei quali certo non meno che al vescovo d'lppona sfuggiva l ' intrinseca somi­ glianza di tante Jabuku appartenenti al terzo tipo di teologia a quelle del primo tipo, stabilissero comunque tra le due categorie di racconti una netta distinzione, evidentemente sulla sola base della loro perti­ nenza o meno alla tradizione nazionale. Che la cultura romana non fosse poi così tetragona alle fabulazio­ ni mitologiche e neanche troppo restia a immaginare gli dèi implica­ ti in situazioni sconvenienti, per la verità lo prova lo stesso Dionigi , ri­ ferendo, per esempio, dei rapporti tra il re Numa e la ninfa Egeria 1 05

(Il 60, 4-7) e della violenza commessa da Marte su Rea Silvia (1 77 , 3) . Sebbene egli sappia che vi sono storici che rifiutano le epifanie divi­ ne come elemento favoloso (Il 6 1 , 3) e sia anche personalmen te ri­ luttante ad atuibuire alle divinità azioni men che corrette (l 77 , 3) , non può fare a meno di accogliere tali narrazioni nella sua esposizio­ ne perché esse sono già state inserite nelle histariae rnum gestarum da­ gli autori storici latini e sono dai Romani credute vere. Quando osserva che . . .i Romani non rappresentano affatto quel paradosso di un popolo senza mitologia che i manuali indulgono an­ cora a segnalare» , L' autore delle Catilinarie è un principe del foro sulla solidità del cui pragmatismo non esistono dubbi, ma il senso della realtà non ne­ cessariamente esclude la fede nella tradizione, anche se viene da essa contraddetto. Come ha giustamente osservato Veyne, le modalità del credere sono molteplici e quella "verità" di solito ritenuta essere la più semplice e più diretta esperienza delle cose è, a ben vedere, la più storicamente condizionata di tutte (•> . Realizzati, nel pieno dell 'età graccana, per volontà del pontefice P. Mucio Scevola, gli annales maximi cui Cicerone accorda tanta fidu­ cia costituiscono la trascrizione ad uso pubblico di quanto ab initio re­ rum Rnmanorum il collegio pontificale aveva anno per anno registrato. Il loro scopo principale era quello di evitare che in un momento di così gravi disordini la memoria collettiva dei Romani cadesse preda degli in teressi di parte . ( '"' Si tratta di una presa di posizione del "pubblico " nei confronti del107

l'invadenza del "privato" che ricorda da vicino il processo socio-politi­ co immaginato nel romische Juppiter e riproposto in Mito e demitiu.azione nell'antica Roma; tuttavia, anche se effe ttivamente coinvolti in un 'ope­ razione esattamente parallela, a distanza di qualche secolo, a quella postulata quale causa di una demitizzazione che - limitata da Koch al campo cultuale - Sabbatucci estende all ' annalistica, i miti romani non subiscono alcuna deprivazione della loro natura mitica. L'elemento importante, infatti, non è che Cicerone preferisca una fabula conser­ vata negli Anna/es maximi a una fabula riferita da annali gen tilizi, ma che in forza della tradizione egli accetti come "vera" una narraz ione di cui riconosce l'inverosimiglianza. D ' altronde, se preferisce gli anna­ /es publici ai privati è perché essi gli appaiono gli unici sicuramente conformi alla tradizione, quella tradizione per la difesa della quale il padre del sistematizzatore delle "teologie " li aveva pubblicati.

3.

Nel proemio alle sue Genealogie, Ecateo di Mileto aveva preso fer­ ma posizione con tro la tradizione mitologica, osservando che le nar­ razioni cui i suoi con te rranei prestavano tanta attenzione erano in realtà contraddittorie e risi bili. ( I l ) Una simile affermazione dei diritti della ragione a fronte della tradizione - attraverso la quale, come os­ servava Gaetano De Sanctis, viene fondata la scienza storica("> - nella cultura romana non ci fu mai. Di questa fedeltà al passato una forte componente è costituita senz 'altro dal rispetto per i patres. Ma non si tratta soltanto di un ossequio formale, come pensava Louis de Beau­ fort nella sua Dissertation sur l 'incertitude des cinq premiers siècles de l 'hi­ stoire romaine. ( "> Livio dichiara che quaedam religio gli vieta di respinge­ re quel che fu acce ttato da prudentissimi viri. (l'> Lungi dall 'essere peculiarmente romano, tale atteggiamento psi­ cologico è alla base del concetto stesso di tradizione : molto molto tempo fa - tanto tempo fa che la storia dev'essere vera, perché i no­ stri avi lo credevano» . Così Dickens, introducendo la Storia 'dei folletti che rapirono un becchino. ( l 5 ) Il sentimento che a Roma soprattutto pre­ siede all' accettazione incondizionata della tradizione è però un altro; è una sorta di volontaria abdicazione alla propria scepsi suggerita dalla consapevolezza di appartenere a un gruppo distinto e privile­ giato che dalla tradizione riceve la sua identità e la sua forza. In que­ sto senso, con tinuare a "credere" - ricorrendo magari anche al pun«••.

1 08

tello della razionalizzazione - è funzionale a quella medesima opera di edificazione dello Stato cui, secondo Koch, era stata diretta la ri­ mozione dei miti dal culto pubblico . . . . tu regere imperio populos, Romam memento . . . (Verg. Aen. VI 85 1 ) . Per adempiere alla propria missione storica i Romani devono guar­ dare al futuro, ma non scordare il passato, perlomeno il passato pub­ blico. L'esigenza è strettamente connessa al sistema degli auspicia, i segnali celesti attraverso i quali l'operato del magistrato (e più tardi dell'imperatore) riceve la sua sanzione assoluta. 11"1 Lo straordinario successo politico-militare di Roma attestava che essa era stata investi­ ta alla sua missione da Giove stesso, e quindi la piena legittimità delle sue pretese imperialistiche: . . . se mai a un popolo sarà lecito il fare sacre le sue origini ( scii. della propria città) e il ricondume agli dèi la fondazione - così Livio redarguisce i Greci che sorridono della tradi­ zione romana delle origini - tanta è la gloria militare del popolo ro­ mano, che se vuole vantare Marte come padre suo e del suo fondato­ re, le umane genti dovrebbero sopportare ciò altrettanto volentieri come ne sopportano la supremazia» . 1171 L'inarrestabile propagatio ter­ minvrum però dimostrava - sperimentalmente, per così dire - anche un 'altra cosa: che ciò in cui avevano creduto i suoi artefici era sicura­ mente "vero ". Verosimile o inverosimile, la storia più antica "deve " essere consi­ derata vera perché tale la dimostrano gli even ti successivi. La tradi­ zione non può essere sottoposta a revisione critica; essa va soltanto salvaguardata dalle alterazioni. Tale persuasione - nella quale si espli­ ca pienamente quella mescolanza di conservatorismo e patriottismo che si evidenzia come il più tipico e il più indelebile contrassegno della cultura romana - trova chiara espressione in un importante dia­ logo del De natura tkvrum ove Aurelio Cotta, pontefice vicino alle po­ sizioni di Carneade e della Nuova Accademia, discute con lo stoico Quinto Lucilio Balbo di quel vero e proprio mito di fondazione del­ l 'istituto augurale che è l'articolata vicenda di Atto Navio. Dopo aver avuto cura di riconoscere che . . . Romolo e Numa posero le fonda­ menta dello Stato istituendo gli auspici e i sacrifici•• , il pontifex - che prima di essere un seguace dello sce tticismo restava un Romano - si dice certo che " · · . senza l 'altissimo favore degli dèi immortali Roma non sarebbe diventata a tal punto grande » e conclude accetterò da te, come filosofo, la teoria della religione; ma sono tenuto a cre­ dere ai nostri antenati, anche se non offrono alcuna spiegazione ra­ zionale » . 1 1"1 «

«

l i v ri t t i t ra la fi n e deg l i an n i '20 e i primi anni ' 30 ) . R. FINNEGAN , Ora/ Pr,try. lts .Valuu, Significanu and SQnal Cor�tn:t, Cambrid­ ge 1 977. H. _JAsoN - D. SEGAL (a cura di ) , Pattnru in Oral Litn-atuu, Th e H ague 1 9 77, PP - 1 3-30. WJSEMAN T.P., Rn11U1n &gmd and Oral Tradition, • The Journal of Roman Studies•, 79, 1 989, pp. 1 2 9- 1 37. L' n ' u t i l e rasseg n a b i b l i og rafica sul i 'arg o m e n t o è del 1 986, dal i a rivista · O ra l Tradition • .

1 20

pubbl i cata,

dalr ouobre

INDICE DEGU AUTORI ANTICHI E MODERNI

Abraham ,

Cancik,

K.: 93

H.:

29

Adorno, T.W. : 29

Caracciolo, A . : 29

Agostino: 3 1 , 63, 1 05, 1 1 2

Carneade: 1 09

Al theim,

F.:

20, 2 1 , 22, 29, 30, 33, 63

(C.) C.assi o Emina: 1 0 7

Apollodurrr. 88

Cassirer, E . : 93

Arcella, L.: 1 00, 1 04

Castagnoli,

Archilll di Taranto: 95, 1 02

CatOTU'. 60, 9 7 , 102

Aust,

Cerri, G. : 1 03 , 1 1 2

E.:

14, 1 6

F.: 30

CiurOTU'. 77, 97, 1 0 2 , 1 0 7 , 1 08, 1 1 3 Cicu, L.: 63 Bachofe n , J J . : 93

Coarelli, F.: 1 02, 1 03

Bacon ,

Cocchi a , E . : 1 9 ,

F.:

81

Cond ri ngton ,

Bayle, P.: 8 1

Cornell, T.: 76 Creuzer,

Beaufort, L . de: 38, 4 1 , 108, 1 1 3

Il

Bellinger, GJ.: Betùni, Boas,

M.:

F.:

16

84, 92

113 Dan , J . : 1 02

33

David, J.-L.: 39

Boccaccio, G.: 1 3 , 80 Bonanate,

F. :

29

R.H.:

Baye t , J . : 69, 76

U.:

De Sancùs, G. : 62, 63, 1 08, 1 1 3

17

Deùenne,

Boyancé, P.: 3 1 Brelich, A.: 29, 30, 3 1 , 44, 4 5 ,

46,

47, 48,

M.: 88, 93

Deubner, L. : 1 5 , 1 7

50, 5 1 , 53, 54, 56, 58, 59, 62, 63, 69,

Dickens, Ch.: 1 08

76, 77, 96, 1 00, 1 04

Dionigi di A licarna.uo: 1 9 , 29, 5 7, 62, 63, 104, 1 05

Bre mmer , J . N . : 62 Brosses, C h . De: 82

Dubuisso n , D . : 4 1

Bruno, G.: 8 1

Dumézi l , G . :

Bultmann,

R.:

I lO

Burkert, W.: 88, 89, 93, 94,

IO, 1 7, 3 4 , 3 5 , 3 6 , 3 7 , 44, 45, 49, 58, 6 1 , 62,

39, 40, 4 1 ,

IO ! ,

10 4

68,

38, 65,

69, 70, 73, 75, 76, 95, 1 0 1 , 1 03,

1 04, 1 06 , 1 1 2

(L.) Calpumio Pistml': 1 0 7 , I lO Camassa, G.: 1 02 , 104

Ecateo di Milrto:

Campbel l , J . : 94

E h renberg,

Canals

Frau S.: ,

1 02

Eliade,

l 08,

V.: I l

1 12

M.: 74, 77, 86,

1 04 121

Epirura: 60 Emrlita: 1 1 , 60

R.: 89

Jacobso n ,

102 46, 50 J ung, C.C. : 28, 85, 102 Jennings, J . D . :

Erodota: 92, 93, 94 Esiodo: 79, 88 Euing, L .: 2 1 , 30

Jensen, A.B.:

Eusebio di U.nu": 63 Euripide: 82

Evans-Pritchard, E . E . :

93

Evtmn"CT. 80, 105

K. : 28, 3 1 , 36, 47, 58, 60, 6 3 , 68, 84, 85, 1 02

Kerényi,

King, A.: I l

16 87, 88, 93, 94 Koc h , C . : 2 1 , 23, 24, 25, 26, 28, 29, 30 , 33, 35, 36, 47, 48, 49, 54, 55, 5 6 , 5 7 , 5 8 , 59, 60, 63, 68, 7 0 , 7 1 , 7 6 , 77, 9 5 , 1 08, 1 09, 1 1 3 Ku h n , A . : 1 3, 84 King, J . N . :

Fasce, S . :

Kirk, G.S.:

1 13

Finnegan , R . :

93

Fluro: 107 8 1 , 92 6 2 , 76 Frazer , J . G . : 1 6 , 44, 84, 85, 86, 93 Freud, S.: 85, 93 Fulgmzia: 92 Fon tenelle, B . De: Fraschetti, A.:

Labmo: 6 1 , 63, 97 57, 63, 103 Gari n , E.: 92 Ge n tili, B.: 1 03, 1 1 2 Gemet, L.: 74, 77 Giordano, F. : 29 Graf, F.: 76, 94 Grant , M.: 1 0 1 , 1 04 Gabba, E.:

Gri mal, P . : I l

1 3 , 84 Grisward , J . H . : 1 03

Gri m m , J . :

82 1 6, 33, 85, 86, 93

Lafitan , J .-F. : Lang, A.:

La Rosa, G.: I l Laue, K. :

1 5 , 1 7, 34, 40, 62 76, 87, 89, 94

Lévi-Strauss, C.:

Libri ci, C . M . : I l Lobeck, C.A.: Lord, A. B . :

93

93

Lucrnio, 8 1 1 13

Lugl i , G . :

Guerriero, E . : I l

Mncrobio: 62 94 Harris, M.: 40 Harri son , J . : 86

Hampl, F . :

H artung , J .A.:

20, 29

88, 93, 96 82, 83 Heurgon , J . : 1 0 3 Heyne, C. G . : 8 2 , 8 3 Horkhe imer, M . : 2 9 Horsfall, N . M . : 55, 6 2 , I O ! Hul kranz, A.: 1 02 Havelock, E . :

Herder, J . G . :

lsidoro: 92 1 22

Malinowski, B . :

33, 86

Manacorda, D . : I l

84 76, 77 Mom igliano, A.: 4 1 Mommse n , Th . : 1 4 , 38, 1 0 3 Montanari , E . : 4 0 , 6 3 , 7 6 , 9 9 , 1 03, 104, 1 13 Moravia, S . : 92 Moritz, K.P . : 83 Mùller, F.M.: 43, 84, 93 Muller, K. O . : 1 3 , 9 1 , 94 (P.) Muzio Sr.rvokz: IO 7 (Q.) Muzio Srevola: 60, 6 1 , 63, 1 05 Man n h ard t , J.W.E.: Mazzarino, S.:

Renfrew, L.:

Niebuhr, G .B . :

41 I 02 Ricoeur, P . : l IO, 1 1 3 Ri mbotti, L.L.: 30 Robenson S m i th , W.: 86 Rose, HJ . : 1 6, 1 7, 33, 50. 60 Rusconi , M.: 1 1 2

38 F.: 21. 93 Nilsson, M.P.: 91 Nimuendaju ' , C.: 102 Nuviu: 97

Richards, E . :

N i e tzsc he,

63. 68.

41 79, 88 Ornz.iu: 92 OrigmL: 80 Otto, W.F. : 2 1 , 22, 24, 28, 29. 30, 33, 58, 7 1 , 84 Ovidio: 22. 53, 54, 59, 6 1 , 62, 97, 1 02

Olender, M.:

Omnu.

29, 30. i6. Si, 77. 95,

Parry, M . : 88,

93, 96 23, 30 113 Perrault, Ch . : 8 1 Peter, H . : 1 1 2 Pasquali, G.:

Pensabene, P.:

Pettazzoni, R.: 40, 44, Piccaluga, G.:

50, 90, 94 53, 54, 55, 56, 57,

62, 1 1 3

Pisani, V.: 40 Pitagorn: 60

58,

59,

Sabbatucci, D . :

48, 49, 50, 5 1 , 59, 6 1 , 63, 69, 70, 7 1 , 73, 75, 76, 77. 1 03. 1 0 8 Salutati, C . : 13 Scagno, R. : 77 &roio: 92 Scznec, J.: 92 Schade n , E . : 102 Schelling, F.W.: 83 Schlegel, F.: 84 Schwegler, A.: 38 &Jock: 82 Sommella-Mura, A.: 30 Staz.iu: 92 Steiner, A. M . : 1 1 3 Suettmio: I l 3

Platvne:

Tabeling. E . :

Plauur.

Taritu.

79, 92, I02 1 05 Pletone, G . : 8 1 Plinio i l GiovaJU: 97, 1 02 Plinio il V.cc.hiu: 73, 107. 1 1 3 Plutarar. 35, 62, I04 Poucet, J . : 30, 50 Prandi , C.: 77 Preuss, K. Th . : 1 6, 22, 30, 86 Propp. V.: 89, 93, 94 Pucci , G . : I l

I02 49, 5 1 , 66, 68, 70, 73, 1 06, 1 08, 1 09, I l O, 1 1 2, 1 1 3 Taylor, L.R. : 3 1 , 57, 63 Trubeukoy, N.S.: 40 Tucididt: 88, 92, 93, 94 Tylor, E.B.: 1 6

(C.) Qpadrigario:

Usener, H . : 1 6 ,

l IO

R.adcliffe-Brown, A.R.:

102 R.ahner, H . : 92 R.ainero, R. : 103 R.athje, A.: 102 R.awson, E.: 1 1 2 Radi n , P.:

33

2 1 , 30

102

Teagme d i &ggiu:

Theiler,

80

W.: 30

Thompson, S.: Tito Livio:

l 04,

17

Vakrio Mas.si11111:

Vahlert, K. :

104 33, 40

Van Baaren, Th. P.: Vansi n a , J . : Varrvne:

I03

103

31, 60, 63, 97, 1 02, I06, I07, 1 1 2

1 05

Veyne, P . :

1 23

Vico, G.B.:

83, 92

ViTlio: 80, IO!

82, 92 Voltaire: 1 6 Voss, J . H . : 93 Volney:

33, 34, 40 92 Wikander, S.: 74, 77 Windelband, W.: 51 Wagenvoon, N.:

Wiseman,

T.P. : 62

1 4 , 1 5, 1 7, 1 9 , 20, 22, 29, 35, 4 1 , 56, 59, 62, 74, 95 Wi ttgenste i n , L.: 93

Wissowa, G.:

XmofaTII!: 57

Wilhelm , F . :

1 24

Zo lla, E . :

75, 92

I

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