L'ombra del Kahal. Immaginario antisemita nella Russia dell'Ottocento 8867280120, 9788867280124

Russia, seconda metà dell'Ottocento. La questione ebraica diviene argomento di dibattito pubblico sulle pagine di g

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L'ombra del Kahal. Immaginario antisemita nella Russia dell'Ottocento
 8867280120, 9788867280124

Table of contents :
Copertina
Collana
Frontespizio
Indice
Prefazione, di Cesare G. De Michelis
Introduzione
1. La questione ebraica. Premesse storiche
1. Le grandi spartizioni
2. La zona di residenza
2. Gli ebrei nella lingua e nella letteratura russa
1. I nomi dell’ebreo
2. Genesi di un topos
3. La giudeofobia russa
1. Tra giudeofilia e giudeofobia: “žid” e polemiche letterarie
2. Dal “židok” al “žid idët”
3. A caccia di “židy”
4. La subcultura antiebraica nella cultura russa
1. La giudeofobia “oggettiva”: l’ebreo sfruttatore
2. La giudeofobia occulta: il “complotto ebraico”
3. Razzismo e antisemitismo
4. Sincretismo antiebraico
5. Antinichilismo e giudeofobia
1. L’antinichilismo
2. Il romanzo antinichilista
3. L’antinichilismo giudeofobo
6. Il mito del complotto ebraico nel romanzo russo
1. Bezdna
2. Tёmnyj put’
3. Žid idët
4. Po gorjačim sledam
5. Sredi evreev
Conclusioni
Bibliografia
Indice dei nomi

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I libri di Viella 154

Alessandro Cifariello

L’ombra del kahal Immaginario antisemita nella Russia dell’Ottocento

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Copyright © 2013 - Viella s.r.l. Tutti i diritti riservati Prima edizione: maggio 2013 ISBN 978-88-6728-226-5 (pdf)

Questo volume è stato pubblicato con un contributo dello Small Grant for Thesis Publication Programme della Rothschild Foundation (Hanadiv) Europe.

viella

libreria editrice via delle Alpi, 32 I-00198 ROMA tel. 06 84 17 758 fax 06 85 35 39 60 www.viella.it

Indice

Prefazione di Cesare G. De Michelis Introduzione

7 11

1. La questione ebraica. Premesse storiche 1. Le grandi spartizioni 2. La zona di residenza

15 19

2. Gli ebrei nella lingua e nella letteratura russa 1. I nomi dell’ebreo 2. Genesi di un topos

27 29

3. La giudeofobia russa 1. Tra giudeofilia e giudeofobia: “žid” e polemiche letterarie 2. Dal “židok” al “žid idët” 3. A caccia di “židy”

43 55 65

4. La subcultura antiebraica nella cultura russa 1. La giudeofobia “oggettiva”: l’ebreo sfruttatore 2. La giudeofobia occulta: il “complotto ebraico” 3. Razzismo e antisemitismo 4. Sincretismo antiebraico

73 91 105 110

5. Antinichilismo e giudeofobia 1. L’antinichilismo 2. Il romanzo antinichilista 3. L’antinichilismo giudeofobo

119 128 136

L’ombra del kahal

6

6. Il mito del complotto ebraico nel romanzo russo 1. Bezdna 2. Tёmnyj put’ 3. Žid idët 4. Po gorjačim sledam 5. Sredi evreev

141 152 174 210 227

Conclusioni

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Bibliografia

251

Indice dei nomi

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Prefazione

Léon Poliakov, uno dei maggiori studiosi del problema, ha scritto che «i due epicentri dell’antisemitismo moderno» sono state Russia e Germania,1 le quali nel corso del XIX secolo hanno imbastito un intenso scambio di modelli e mitemi che, secondo Walter Laqueur,2 ha messo capo alla massima esplosione d’antisemitismo nel XX secolo, la Shoah. L’antica avversione nei confronti degli ebrei, d’origine religiosa, ha conosciuto in Russia un’impetuosa evoluzione a partire dalla fine del XVIII secolo, da quando cioè con le spartizioni della Polonia una rilevante massa ebraica (soprattutto di ashkenaziti) entrò a far parte dell’Impero russo, facendo così piegare l’antigiudaismo in giudeofobia, ed infine in antisemitismo. Una questione, quella “ebraica”, che nel settantennio sovietico sembrava aver esaurito la sua virulenza per via ideologica (sembrava, ma l’aveva soltanto occultata, come è risultato chiaro dai tempi di Stalin con la lotta al “cosmopolitismo” a quelli di Brežnev con la lotta al “sionismo”) ma che, dopo l’implosione dell’Unione Sovietica nel 1991, è ripresa con violenza: del che testimonia, oltre la lutulenta pubblicistica di “patrioti” quali Oleg Platonov, Jurij Begunov, Vadim Kožinov o Aleksandr Strižev, l’ultima, discussa, fatica storiografica di Aleksandr Solženicyn intesa a disegnare un quadro apparentemente equilibrato, ma in realtà nutrito di radicati pregiudizi, del rapporto tra i russi e il mondo ebraico a far tempo, appunto, dalle spartizioni della Polonia: «duecento anni assieme».3 1. L. Poliakov, Soria dell’antisemitismo. IV. L’Europa suicida 1870-1933 [1977], trad. it. Firenze 1990, p. 358. 2.  W. Laqueur, Russia and Germany Hitler’s mentors [1965], trad. russ. Rossija i Germanija nastavniki Gitlera, Washington 1991. 3. A. Solženicyn, Dvesti let vmeste (1795-1995), Moskva 2001-2002; trad. it. Due secoli insieme, Napoli 2007.

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Cesare G. De Michelis

La “questione ebraica” ha così innescato in Russia un vero e proprio corto-circuito culturale che non consente più, a chi ne è contagiato, di affrontare con lucidità i termini concreti – e talora drammatici – in cui essa si è venuta formando ed aggrovigliando, dalla “zona di residenza” zarista al Birobidžan sovietico, dalla ghettizzazione alla assimilazione di ampi strati di popolazione, dalla cultura ebraica “in russo” alla cultura russa d’origine ebraica;4 e ha prodotto un singolare fenomeno semiotico, una specifica “subcultura”: Per subcultura dell’antisemitismo russo s’intende un determinato settore dell’insieme culturale russo che non esiste autonomamente […] ma che da un lato è sottoposto alle leggi generali ed entra nel campo semantico complessivo, e dall’altro possiede la capacità di codificare le altre subculture con un codice proprio.5

Si tratta di un fenomeno abbastanza diffuso (non riguarda solo l’antisemitismo), che porta a ‘fagocitare’ materiali estranei entro il proprio sistema di valori e ossessioni:6 finché rimane una manifestazione secondaria, può anche esser visto con ironia condiscendente, come un tratto folcloristico, ma quando assume il carattere di una ideologia diffusa può indurre un pericolosissimo “sonno della ragione”. Il carattere duraturo e pervasivo della “subcultura dell’antisemitismo russo” ne ha fatto appunto qualcosa del genere; e l’indagine delle sue forme costitutive offre una chiave essenziale per capirne la natura specifica. Ad es., Savelij Dudakov ha così descritto la genesi del documento eponimo dell’antisemitismo russo, i Protocolli dei Savi di Sion: Se è discutibile che i “lavori scientifici” di fine XIX sec. abbiano rivestito il ruolo principale nella costituzione dei Protocolli, la letteratura d’invenzione è stata senza dubbio in merito non solo la “levatrice” ma altresì la “balia”. Ecco perché nel mito della “congiura mondiale” degli ebrei il principio bellettristico occupa giustamente una posizione decisiva.7 4. Per la storia dell’ebraismo russo dalla seconda metà del XIX sec. resta fondamentale il saggio di J. Frankel, Gli ebrei russi. Tra socialismo e nazionalismo [1981], trad. it. Torino 1990. 5.  M. Zolotonosov, U istokov SRA-ideologii, in AA.VV., Evrei v Rossii. Istorija i kul’tura, Sankt-Peterburg 1995. 6. Si pensi, ad es., ai temi politici (e talora, ahimé, razziali) di cui si nutre il tifo sportivo. 7. S. Dudakov, Istorija odnogo mifa. Očerki russkoj literatury XIX-XX veka, Moskva 1993, p. 134.

Prefazione

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Dunque, i romanzi e i racconti nutriti di giudeofobia che hanno visto la luce nel corso dell’Ottocento letterario russo non vanno visti come un epifenomeno secondario dell’ideologia antigiudaica (e infine antisemita), ma come parte costitutiva della subcultura che l’ha animata. Umberto Eco concludeva la sua proposta di disamina dello stesso documento dicendo che «riflettere sui complessi rapporti tra lettore e storia, finzione e realtà, può costituire una forma di terapia contro ogni sonno della ragione che genera mostri»:8 la raccomandazione andrà estesa all’insieme dell’ideologia dell’antisemitismo russo, dunque non solo in relazione al tema della “congiura”, ma anche a quello del “delitto rituale”9 e a quanti altri emergono nel dibattito sulla “questione ebraica”. Il lavoro di Alessandro Cifariello, che nasce come tesi di dottorato (in una redazione accademica fin eccessivamente documentaria) ed è qui concentrato sul XIX secolo, risponde egregiamente alla complessità dell’indagine di cui ho sopra indicato i parametri metodologici, mettendo a frutto le sue molteplici competenze in campo sia storico, che linguistico, che letterario. Esso offre un contributo originale alla comprensione di quella “subcultura”, mostrandone la specificità e conducendo il lettore per un sentiero poco frequentato (non solo in Italia) che permette di gettare uno sguardo per molti versi innovativo sul complesso fenomeno dell’antisemitismo moderno, e alla vasta letteratura ad esso dedicata. Cesare G. De Michelis

8. U. Eco, Protocolli fittizi, in Sei passeggiate nei boschi narrativi, Milano 1994, p. 173. 9. Cfr. L. Kacis, Krovavyj navet i russkaja mysl’, Moskva-Ierusalim 2006.

Sigle AIU

Vsemirnyj evrejskij sojuz (Alliance Israélite Universelle)

ČPO

Čerta postojannoj osedlosti (Zona di residenza permanente)

OPE

Obščestvo dlja rasprostranenija prosveščenija meždu evrejami v Rossii (Società per la diffusione dell’istruzione tra gli ebrei in Russia)

PSM

Protokoly Sionskich Mudrecov (Protocolli dei Savi di Sion)

SRA

Subkul’tura russkogo antisemitizma (Subcultura dell’antisemitismo russo)

Introduzione

[…] mente colui che dice il falso volendo ingannare. Ne segue che certamente dice una menzogna colui che asserisce il falso allo scopo d’ingannare. È dunque cosa evidente che la menzogna è un’affermazione falsa proferita con l’intenzione d’ingannare. Se poi soltanto in questo caso ci sia la menzogna, è un’altra questione. Agostino d’Ippona, La menzogna

La xenofobia è la paura dell’alterità umana: l’“altro” è un singolo individuo oppure un’intera collettività.1 Il sentimento xenofobo, rivolto a una minoranza di tipo nazionale, etnico, religioso, linguistico, culturale, è causa di ostilità, violenza, massacri, pogrom, espulsioni di massa. Rivolto verso un elemento di una cultura “altra”, “straniera”, il sentimento xenofobo può portare a politiche aggressive – dalla discriminazione etnica all’eliminazione fisica di singoli individui e alla cancellazione d’interi popoli – e alla difesa della purezza della cultura nazionale – e conseguentemente della lingua, secondo il principio semiotico della loro inscindibilità in un sistema storico-reale.2 In un’indagine di tipo prettamente psicologico, la xenofobia è una particolare fobia che attiene ai disordini dell’ansia: «nel caso dell’esperienza fobica, la differenza tra ansia e paura, fondata sull’esistenza o meno di un pericolo, viene a cadere poiché l’ansia si manifesta comunque a causa di un 1.  Murav’ev, Ksenofobiia: ot instinkta k idee; A. Alarape, Xenophobia, pp. 72-84. 2.  Lotman, Uspenskij, Sul meccanismo semiotico della cultura, p. 64.

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L’ombra del kahal

pericolo, anche se inconscio, che l’Io sposta su un oggetto esterno, al fine d’impedire che “pensieri e sentimenti inaccettabili giungano alla consapevolezza cosciente”».3 La xenofobia è dunque una psicopatologia – individuale o collettiva – basata sulla paura pretestuosa dell’“altro”, percepito come un pericolo proveniente dall’esterno. Allo stesso modo, nel 1882, nel celebre pamphlet protosionista Autoemanzipation!, L. Pinsker descriveva gli effetti della giudeofobia sulla mente dell’uomo: la giudeofobia è una malattia psichica inguaribile – una paura ansiogena – che ha come oggetto il fantasma dell’ebraismo – l’“alterità ebraica”.4 La giudeofobia, al pari di una febbre virale capace di trasformarsi in pandemia, è alimentata da fatti reali, concreti, verificabili sul campo – come le guerre, le relazioni tra stati, i legami sociali, i diversi usi e costumi – e da bizzarre teorie irrazionali – come quelle sugli omicidi rituali, sulle incarnazioni demoniache dell’ebreo, e persino sugli oscuri governi occulti che controllano il mondo. Ciò avviene anche – e soprattutto – nel luogo della nostra indagine: la Russia. Qui, nella seconda metà dell’Ottocento, nel corso di decenni di campagne giudeofobe a mezzo stampa, la paura psicotica dell’ebreo è capace di nutrire, tra menzogna e manipolazione dell’informazione, le più fantasiose, ardite, malevoli e pericolose calunnie antiebraiche. Personaggi di varia estrazione sociale e differente livello intellettuale arrivano a scorgere dietro alle decisioni di un qualsiasi governo nazionale e a ogni evento storico un velo tenebroso: quello del kahal. Il kahal, calco di “kehilla kedosha”, “comunità santa”, era il termine assegnato nel medioevo dai legislatori polacchi alla struttura comunitaria ebraica. Riconosciuto come istituzione di autogoverno della comunità ebraica sin dal XVI secolo, aveva mantenuto per secoli grande potere, soprattutto a livello locale. Al tempo delle spartizioni della Polonia, verso la metà del XVIII secolo, il legislatore russo s’imbattè nell’esistenza della struttura comunitaria, che decise di mantenere fino alla sua definitiva abolizione, nel 1844. Tuttavia, nella seconda metà dell’Ottocento, in particolare dopo la pubblicazione dei celebri volumi di Brafman, nell’immaginario collettivo, da termine indicante la forma di autogoverno delle comunità ebraiche dell’Europa orientale, il kahal acquisisce il significato di potenza occulta, di vera e propria società segreta, di direzione centrale ebraica che – attraverso una cospirazione planetaria – governa nell’ombra il popolo 3. Fiore, Le dinamiche psicologiche che rendono gli uomini xenofobi, p. 262. 4. Pinsker, Autoemanzipation!, pp. 9-10.

Introduzione

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ebraico, attua il programma di dominazione del mondo, dirige la mano armata del nichilismo nel suo attacco all’Europa, e realizza il progetto di disgregazione fisica e morale dell’Impero russo. Si cristallizza dunque nella cultura russa una “menzogna calunniosa” che ha come bersaglio l’immaginario kahal degli ebrei. L’origine etimologica di “menzogna” è il latino tardo “mentire”, da “mente”, nel senso di “inventare con la mente”, cioè “fingere”. Con la mente s’inventa la “calunnia”, un’“affermazione coscientemente falsa atta a offendere la reputazione di un individuo”. Difficile è riconoscere la menzogna: «giacché per sua natura essa è finzione, dobbiamo attenderci che una maschera perfetta non sia riconoscibile come tale».5 Infatti, la menzogna, ben mascherata, atto linguistico indistinguibile, funziona come qualsiasi altra affermazione.6 Nella presente ricerca credo di aver riconosciuto la maschera illusoria della giudeofobia e i suoi effetti terribili sulla società dell’Impero russo: l’ombra del kahal dietro a ogni evento avverso alla Russia. Sta ora al lettore osservarne i contorni torbidi e minacciosi, che, mutatis mutandis, si estendono come “tenebra egizia” fino ai nostri giorni. Passando dalla menzogna alla calunnia la gente arriva, infatti, a credere, come scrive Umberto Eco, «solo a quello che sa già, e questa è la bellezza della Forma Universale del Complotto».7 Per il sostegno alla ricerca sulla giudeofobia russa, si ringraziano: Irene Baccarini, Elena Baraban, Israel Barthal, Claudio Cadeddu, Marina Ciccarini, Jonathan Dekel-Chen, Cesare G. De Michelis, Ester Di Segni, Avital Dubinsky, Dmitrij El’jaševič, David Engel, Anna Foa, Zvi Gitelman, Rita Giuliani, Leonid Kacis, Viktor Kel’ner, Mark Kupoveckij, Nicoletta Marcialis, Gabriele Mazzitelli, Michael Miller, Mara Morini, Heléna Mortara, Claudia Olivieri, Donatella Possamai, Laura Quercioli Mincer, Natal’ja Popova-Rogova, Yakov Ro’i, Gabriella Safran, Hannu Salmi, Laura Salmon, Shmuel Schwarzband, Francesco Scorza Barcellona, Shaul Stampfer, Bianca Sulpasso, Elena Tolstaja, Michail Vajskopf. Un pensiero speciale va agli studiosi recentemente scomparsi Jonathan Frankel, John D. Klier e Leon Volovici. Nel periodo 2004-2012 la presente ricerca non ha avuto il supporto economico dello Stato italiano: negli anni 2004-2009 sono stato, infatti, titolare di un 5. Sommer, Elogio della menzogna, p. 14. 6. Pisanty, La menzogna, p. 10. 7. Eco, Il cimitero di Praga, p. 96.

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dottorato di ricerca senza borsa di studio. Il lavoro è stato finanziato grazie all’aiuto economico della mia famiglia – a cui vanno i più sentiti ringraziamenti – e ai riconoscimenti internazionali dell’Università ebraica di Gerusalemme (Israele) e dell’Università di Turku (Finlandia). La pubblicazione del presente volume è in parte finanziata da The Rothschild Foundation Europe.

1. La questione ebraica. Premesse storiche

Tale dunque lo storico ideale. Sia senza paura, obiettivo, indipendente, amante della libertà di parola e della verità, come suggerisce il Comico, capace di dire pane al pane e vino al vino, non uno che esprime giudizi per odio o amore né li sottace o per pietà o per ritegno o per malevolenza, giudice imparziale, ben disposto nei confronti di tutti fino a non attribuire all’uno o all’altro qualcosa più del dovuto, senza patria e senza città quando si tratta di scrivere, autonomo e non soggetto al potere; uno che non sta a calcolare che cosa sembrerà bene a Tizio, ma dice che cosa è stato fatto. Luciano, Come si deve scrivere la storia

1. Le grandi spartizioni Caterina II: pragmatismo e questione ebraica Preparata da secoli di tradizionale odio antigiudaico, la vera e propria “questione ebraica” (evrejskij vopros), che toni così drammatici assumerà proprio in Russia, prende avvio negli anni di regno di Caterina II, quando le maggiori potenze europee – la Prussia, la Russia e l’Austria-Ungheria – si spartiscono, in tre fasi distinte nel corso di un ventennio, il territorio polacco-lituano. La prima spartizione, datata 5 agosto 1772, è quella di minore impatto sul piano demografico: con l’annessione alla Russia delle province di Mogilёv, Polock e Vitebsk divengono sudditi russi poco più di 30.000 ebrei.1 La seconda e la terza spartizione, avvenute rispettivamente il 23 gennaio 1793 e il 24 ottobre 1795, segnano invece sul piano politico la fine della Confederazione polacco-lituana, la Rzeczpospolita Obojga Narodów, sul piano geografico l’acquisizione di grandi territori dell’Europa centro-orientale, e su quello demografico l’aumento consi1. Klier, Russia gathers her Jews, p. 55.

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stente della popolazione ebraica dell’Impero, che arriva a superare la cifra di 400.000 individui.2 A differenza di Elizaveta Petrovna, la cui politica era stata segnata dall’intolleranza religiosa, Caterina sembra ignorare la pregiudiziale antigiudaica che aveva influenzato i primi scritti “moderni” russi adverus Iudaeos.3 Già a partire dal 1772 l’imperatrice, che mai si rivolge agli ebrei chiamandoli imeni Christa Spasitelja nenavistniki (esecratori del nome di Cristo Salvatore) o vragi Christovy (nemici di Cristo), promulga una serie di atti legislativi – il primo è l’ukaz n. 13.850 del 16 agosto 17724 – che regolano lo status dei nuovi sudditi, tra cui anche gli ebrei bielorussi: Caterina promette l’intangibilità dei patrimoni e la salvaguardia delle libertà di cui avevano goduto prima dell’annessione.5 La condizione di autonomia politica e sociale che gli ebrei avevano acquisito durante il regno polacco muta comunque nel corso del regno russo, quando l’amministrazione russa provvede, già nel primo decennio dalla prima spartizione, a regolare sul piano giuridico lo status degli ebrei. Un buon esempio di questa “frattura” è costituito dalla politica relativa al kahal. Riconosciuto come istituzione di autogoverno della comunità ebraica sin dal 1551, all’epoca di Sigismondo Augusto di Polonia, il kahal – calco del polacco, dall’ebraico kehilla, cioè “comunità”6 – aveva mantenuto per secoli grande potere, soprattutto a livello locale. Ma al tempo delle spartizioni della Polonia, verso la metà del xviii secolo il kahal attraversava ormai una profonda crisi, causata dai conflitti sociali e religiosi interni alla comunità.7 All’epoca delle tre spartizioni gli ebrei delle terre polacche si 2. Ibidem. 3. De Michelis, La giudeofobia in Russia, p. 18. 4. Polnoe sobranie zakonov, I, vol. XIX, pp. 553-559. 5. Klier, Russia gathers her Jews, p. 37. 6. Klier, The Kahal in the Russian Empire, p. 33. Ogni insediamento ebraico possedeva una kehilla kedosha, cioè una “santa comunità”. 7. Klier, Russia gathers her Jews, p. 65. Nel periodo a cavallo delle tre spartizioni (tra gli anni settanta e ottanta del Settecento) il fenomeno dell’Illuminismo ebraico – l’Haskalah – è pressoché sconosciuto in Europa orientale. Dunque, se in Occidente – in Germania – l’ebraismo va nella direzione della modernizzazione e della riforma della vita religiosa, nell’Europa orientale i mitnagdim mantengono una rigida osservanza delle tradizioni, e si schierano in difesa dell’ortodossia religiosa. L’Haskalah si consoliderà tra gli ebrei dell’Impero russo solo nel corso dell’Ottocento: i rappresentanti dell’Illuminismo ebraico orientale – la prima generazione di maskilim russi – sono liberi pensatori e autodidatti che, seguendo l’insegnamento del berlinese Moses Mendelssohn, sono accettati come interlocutori dallo

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presentano disuniti, in lotta fra loro, pronti a denunciare il nemico interno alle autorità secolari. Il mondo ebraico giunge al 1772 diviso in due grandi fazioni: i mitnagdim – ebrei ortodossi fedeli alla Torah, al Talmud e all’autorità rabbinica – e i chassidim – ebrei chassidici, seguaci di Ba’al Shem Tov e devoti dei vari tzaddikim locali.8 In lotta contro la stagnante oppressione dei mitnagdim, i chassidim contendono al partito rabbinico le regioni della futura čpo9 e della Polonia, spingendo le comunità ebraiche a una vera e propria guerra civile-religiosa.10 L’attrito è così forte che proprio nel 1772 i mitnagdim di Lituania scomunicano le comunità di ebrei chassidim. Ebbene: l’esigenza da parte dello stato russo, dopo la prima spartizione del 1772, di mantenere un organo di riscossione dei tributi e di controllo sociale costringe le autorità a ignorare la crisi che travaglia la comunità ebraica. La mancanza di istituzioni centralizzate di autogoverno ebraico nelle comunità chassidim e per contro l’esistenza dei kehalim (pl. di kahal) tra i mitnagdim spinge il governo russo a rivolgere la propria attenzione soprattutto verso questi ultimi. Un ukaz del senato – n. 14.522 del 17 ottobre 1776 – legittima l’esistenza del kahal all’interno del sistema giuridico russo quale intermediario tra l’amministrazione centrale e la popolazione ebraica, assegnandogli funzioni fiscali e giuridico-amministrative.11 I “nuovi” ebrei La prima tendenza del governo russo è quella di far propria la visione degli ebrei appartenuta al precedente governo polacco: gli ebrei costituiscono ai suoi occhi una comunità compatta al proprio interno e ben separata dal mondo dei gentili, un ceto che non differenzia i propri membri per occupazione lavorativa e patrimonio personale. stato russo. Foa, Diaspora, storia degli ebrei nel Novecento, p. 10; Klier, Imperial Russia Jewish question, p. 26. 8. Tzaddik (o Tzadik), ebr. ‫צדיק‬, “il giusto”, da tzedek, ebr. ‫צדק‬, “giustizia”. I chassidim usavano chiamare tzaddik il maestro (rebbe), pensando che possedesse un elemento dell’anima di Mosè. Cfr. Unterman, Dizionario di usi e leggende ebraiche, p. 300. Il nome del movimento chassidico (chasidut, ebr. ‫חסידות‬, “devozione”, “carità”) trae origine da chasid, “pio”. 9. Čerta postojannoj osedlosti, cioè: zona di residenza permanente. Nel corso del libro si userà l’acronimo čpo. 10. Klier, Russia gathers her Jews, p. 51. 11. Polnoe sobranie zakonov, I, vol. XX, pp. 436-437.

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Una lenta inversione di tendenza – a partire da un ukaz del 177512 – porta nel 1786 Caterina, speranzosa di migliorare le economie cittadine, a puntare sulle qualità economico-commerciali della popolazione ebraica: l’imperatrice ordina di registrare gli ebrei di Bielorussia nelle città, con gli stessi obblighi e privilegi dei ceti urbani. Gli ebrei sono inseriti nel meščanstvo – il ceto che raccoglie gli artigiani, i negozianti, i piccoli commercianti di città – e nel kupečestvo – il ceto mercantile, diviso in gilde secondo il reddito dichiarato.13 L’ukaz del senato n. 16.391 del 7 maggio 1786 segna un momento importante nella storia del kahal e soprattutto della čpo: innanzitutto assegna all’amministrazione cittadina il monopolio della vendita di alcolici, e a tutti i cittadini – inclusi gli ebrei – la possibilità di affittare le distillerie e le osterie per somministrarli; inoltre stabilisce che il kahal si occupi esclusivamente di questioni spirituali e di rappresentare l’amministrazione centrale in materia di riscossione dei tributi; infine garantisce agli ebrei appartenenti al meščanstvo e alle gilde del kupečestvo di godere degli stessi diritti degli altri cittadini, ma proibisce loro l’iscrizione a gilde esterne a quelle della Bielorussia.14 Già negli anni novanta, tuttavia, l’inclusione di una più vasta – e meno omogenea – popolazione ebraica che fa seguito alla seconda e terza spartizione della Polonia, costringe il governo a rivedere le proprie politiche in materia d’ebrei; con una lunga serie di atti legislativi volti soprattutto alla costituzione della čpo la sovrana dimostra di aver abbandonato – tanto più dopo la rivoluzione francese – ogni velleità illuminista. L’ukaz n. 17.006 del 23 dicembre 179115 fissa il principio della residenza permanente in una data regione: ai mercanti ebrei di Bielorussia si vieta la possibilità d’iscriversi alle gilde delle città russe dell’interno (cioè fuori dalla futura čpo). L’ukaz n. 17.224 del 23 giugno 179416 conferisce a gran parte delle 12. Ukaz n. 14.392 (17 novembre 1775; in Polnoe sobranie zakonov, I, vol. XX, pp. 229-304), n. 14.522 (17 ottobre 1776; ibidem, pp. 436-437), n. 14.962 (7 gennaio 1880; ibidem, p. 907), n. 15.130 (10 marzo 1781; ibidem, XXI, p. 73). 13. Gessen, Istorija evrejskogo naroda, I, pp. 22-46. 14. Polnoe sobranie zakonov, I, vol. XXII, pp. 595-599. Secondo alcuni storici la legge del 1786 costituisce il primo atto legislativo della futura legislazione discriminatoria (inclusa l’istituzione della čpo) nei confronti degli ebrei nel xix secolo. Qui infatti viene codificato il concetto per cui agli ebrei è proibito tutto ciò che non è contemplato da un ukaz ad hoc. In particolare agli ebrei di Bielorussia, grazie all’ukaz del 1786, non è permesso risiedere in altre regioni dell’Impero. Cfr. Dubnov, History of the Jews in Russia and Poland, I, p. 314; Pipes, Catherine II and the Jews, p. 14; Klier, Russia gathers her Jews, p. 73. 15. Polnoe sobranie zakonov, I, vol. XXIII, p. 287. 16. Ibidem, p. 532.

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terre acquisite nel corso delle spartizioni lo status di residenza degli ebrei e introduce discriminazioni tra cristiani ed ebrei, tra cui la tassazione pro capite doppia rispetto a quella dei cristiani. L’ukaz n. 17.340 dell’8 giugno 179517 infine combina sistema fiscale e discriminazione religiosa, dividendo gli ebrei in sudditi di serie A – cioè la minoranza dei caraiti, ebrei turanici che non riconoscono l’autorità della tradizione rabbinico-talmudica e sono dunque esonerati dal doppio carico fiscale pro capite – e sudditi di serie B – tutti gli altri ebrei.18 Nel periodo compreso tra il 1772 e il 1796 la politica di Caterina II nei confronti degli ebrei conosce dunque diverse fasi: dall’iniziale tentativo di inserire gli ebrei nella vita economica dell’Impero, permettendo loro autonomia culturale e religiosa, si giunge a misure di tipo sempre più restrittivo – in particolare attraverso la doppia tassazione pro capite – e si gettano le fondamenta giuridiche della futura čpo. 2. La zona di residenza Tentativi di riforma del mondo ebraico durante i regni di Paolo I e Alessandro I Durante il breve regno di Paolo I il governo continua una politica dualistica, alternando l’impulso integrazionista, volto a inserire gli ebrei nel meščanstvo e nelle diverse gilde del kupečestvo, a quello discriminatorio – ad esempio, con la ratifica della legge della doppia tassazione pro capite.19 In questi anni il governo centrale e le amministrazioni locali si occupano delle delicate relazioni tra contadini, ebrei e Szlachta – la nobiltà locale d’origine polacca – e si analizzano in modo dettagliato i problemi del microcosmo ebraico e della miseria dei contadini della čpo (in particolare di quelli bielorussi). Alcune voci invocano la riforma generale del modo di vita, della tassazione e delle istituzioni comunitarie degli ebrei. In questo contesto s’inserisce la figura di G.R. Deržavin, le cui posizioni avranno forti ripercussioni sull’ideologia giudeofoba della seconda metà dell’Ottocento. Deržavin, cui la fama letteraria apre l’accesso alla 17. Ibidem, pp. 705-706. 18. Dubnov, History of the Jews in Russia and Poland, I, pp. 316-319. 19. Ukaz n. 17.694 (29 dicembre 1796; in Polnoe sobranie zakonov, I, vol. XXIV, pp. 256-257), n. 18.015 (23 giugno 1797; ibidem, p. 635).

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carriera governativa,20 nel biennio 1799-1800 è inviato in Bielorussia a investigare su alcuni fatti riguardanti ebrei locali e sulla condizione dei contadini bielorussi: da questo momento comincia a interessarsi di questione ebraica. Avendo una limitata conoscenza degli ebrei e del loro ruolo nella società bielorussa, Deržavin si fa un’opinione raccogliendo informazioni da più fonti, inclusa la legislazione precedente inerente agli ebrei.21 La meta che egli si prefigge è la trasformazione degli ebrei in cittadini utili. I risultati delle sue ricerche sono inseriti in Mnenie senatora Deržavina ob otvraščenii v Belorussii nedostatka chlebnogo obuzdaniem korystnych promyslov Evreev, o ich preobrazovanii i o pročem (Parere del senatore Deržavin in merito alla opportunità di contrastare la penuria di grano in Bielorussia attraverso il controllo delle attività economiche degli ebrei, in merito alla loro trasformazione e ad altro ancora) del 1800,22 in cui l’autore “smaschera” le “perfidie” degli ebrei e propone una riforma minuziosa della vita ebraica: attacca da un lato il Talmud, corruttore del mondo ebraico, che promette agli ebrei il dominio su tutte le altre nazioni, e dall’altro il potere universale del kahal che, dominando le grandi masse ebraiche, costituisce uno stato nello stato23 – idea questa che sarà cara alla giudeofobia24 della seconda metà dell’Ottocento. La relazione di Deržavin (come quelle di altri funzionari coevi) contribuisce a diffondere idee giudeofobe provenienti dalle terre polacche, evidenziando l’incompatibilità dei “fanatici” ebrei con il benessere della società. Gli ebrei, descritti come parassiti e sfruttatori della 20. Conobbe il favore dell’Imperatrice grazie all’ode Felica (1782) a lei dedicata. Si veda Di Salvo, Le lettere russe nel sistema europeo, p. 305. 21. A questo riguardo Deržavin scrive: «Quindi, durante questo suo [secondo la moda dell’epoca parla di sé in terza persona] passaggio, raccolse testimonianze da cittadini sapientissimi, dall’Accademia dei gesuiti, da tutti gli uffici, dai nobili e dai mercanti e dagli stessi cosacchi, sul modo di vita degli ebrei, sulle loro occupazioni, su tutti gli inganni, i trucchi, gli espedienti con cui attraggono e affamano i contadini poveri e tonti, e [apprese] con quali mezzi si potesse difendere da loro [dagli ebrei] il popolino ignaro, e fornir loro [agli ebrei] un modo di sostentamento onesto e decente, e, collocandone la residenza proprio nelle loro città e paesi, renderli cittadini utili». Tratto da Deržavin, Zapiski, pp. 408-409. 22. Deržavin, Mnenie, pp. 229-332. 23. Ibidem, pp. 245-258. 24. Il termine “giudeofobia” (ru. judofobija) definisce propriamente la paura, il panico, il terrore nei confronti degli ebrei. Del termine esiste anche una variante russificata, il calco judeobojazn’, la paura prodotta dagli ebrei (Dubnov, Kniga žizni, p. 572). Nel romanzo giudeofobo Po gorjačim sledam (Sulle tracce fresche, 1892), I.I. Jasinskij, cercando di riassumere il sentimento di repulsione dei russi verso gli ebrei, definisce il giudeofobo un židonenavistnik – una persona che prova židonenavist’, cioè che odia gli ebrei.

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popolazione locale – in particolare rurale – sono un “caso” a parte; si fa largo l’idea d’istituire un comitato che studi attentamente la questione ebraica e prepari un regolamento definitivo che regoli l’esistenza degli ebrei russi. Salito al trono nel 1801 in seguito all’assassinio del padre, il 9 novembre 1802 Alessandro I crea il Komitet ob ustroenii evreev,25 volto alla riorganizzazione del modo di vita degli ebrei, il primo di una serie di comitati destinati a studiare e a risolvere il problema della questione ebraica. Il comitato elabora un progetto di riforma che prevede la riorganizzazione della struttura comunitaria del kahal, l’istruzione scolastica degli ebrei e il loro inquadramento all’interno delle classi lavoratrici esistenti.26 Il 9 dicembre 1804 l’imperatore ratifica l’ukaz n. 21.547, contenente il Položenie dlja evreev, lo statuto degli ebrei. I primi dieci articoli dello statuto riguardano i vari aspetti legati all’istruzione scolastica, che avrebbe dovuto migliorare la società ebraica trasformando gli ebrei in cittadini utili – un aspetto della riforma destinato a fallire. Lo statuto poi contiene una definitiva classificazione degli ebrei – nasce anche la figura del contadino ebreo, un aspetto secondario di questa riforma che si rivelerà fallimentare – , ma soprattutto ratifica una politica di apartheid, sancendo l’esistenza di una zona di residenza ebraica – la čpo – e fornendone le basi legali, che rimarranno in vigore fino al 1917. Infine lo statuto non tocca l’autonomia del kahal, che resta in vita (per la legislazione russa) fino al 1844, e anzi sancisce, all’art. 53, che per ogni comunità possa esistere un solo kahal.27 A far data dal 1805 la situazione internazionale ha però il sopravvento sulle questioni di politica interna: la Russia è coinvolta, assieme alle altre nazioni europee, nelle guerre napoleoniche. In questi anni di sforzo bellico prende vita il sospetto che gli ebrei siano in qualche modo legati a doppio filo a Napoleone, e che dunque la loro lealtà verso l’Impero russo sia dubbia. Napoleone convoca il 30 maggio 1806 un’assemblea ebraica per chiarire la condizione degli ebrei negli stati controllati dalla Francia, e annuncia poi la ricostituzione del “Grand Sanhédrin”. La riunione del Sinedrio, che si protrae da febbraio a marzo 1807, suscita in Russia grande 25. L’ukaz in cui il comitato è istituito non è inserito nel Polnoe sobranie zakonov, ma è citato a posteriori nell’ukaz n. 21.547 del 9 dicembre 1804, intitolato Ob ustrojstve evreev, in Polnoe sobranie zakonov, I, vol. XXVIII, pp. 731-737. 26. Mindlin, Dejatel’nost’ komitetov, komissij i soveščanij po evrejskim reformam, pp. 13-27. 27. Polnoe sobranie zakonov, I, vol. XXVIII, p. 737.

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allarme: il 20 febbraio il ministero degli interni suggerisce ai governatori delle province occidentali di diffondere voci relative a un presunto progetto del Sinedrio parigino di abbandonare la religione ebraica e di dare al governo francese il controllo delle terre abitate dagli ebrei.28 Anche se gli ebrei dell’Europa orientale guarderanno con sospetto a Napoleone e anche se nel 1812 gli ebrei russi sosterranno il governo russo contro i francesi, l’idea del “Grand Sanhédrin” penetra in profondità la cultura russa cristallizzandosi nell’immaginario dei futuri giudeofobi. Nel dopoguerra Alessandro persegue politiche più rigide – in particolare intensificando la censura e mettendo al bando le società segrete – e riguardo agli ebrei a volte apertamente antigiudaiche – istituendo ad esempio l’Obščestvo izrailskich christian (Società dei cristiani israeliti),29 una società che, sostenendo gli ebrei convertitisi al cristianesimo, interpretava la conversione come soluzione definitiva alla questione ebraica. La politica antiebraica di Nicola I Dopo il fallimento dell’insurrezione decabrista, la politica del nuovo imperatore, Nicola I, si mostra ferma, determinata e basata su un’impostazione militare.30 A differenza del suo predecessore, Nicola è deciso a difendere con ogni mezzo l’ordine costituito e l’autocrazia. Le idee dell’autocrate trovano espressione nella triade elaborata nel 1833 dal ministro dell’istruzione popolare S.S. Uvarov: ortodossia (pravoslavie), autocrazia (samoderžavie), nazionalità/popolo-nazione (narodnost’).31 Già dal principio del suo regno Nicola mira a interrompere l’isolazionismo e l’autonomia degli ebrei: estende il metodo della coscrizione militare a molti gruppi residenti nei passati domini polacchi, tra cui gli stessi ebrei. L’ukaz n. 1.330 del 26 agosto 1827, intitolato Ustav rekrutskoj povinnosti i voennoj služby evreev (Regolamento della coscrizione obbligatoria e del servizio militare degli ebrei),32 introduce la leva venticinquennale per gli ebrei maggiorenni e il reclutamento degli ebrei minorenni, i cosiddetti kantonisty, spediti all’età di 12 anni – praticamente a vita – in battaglioni preparatori al servi28. Klier, Russia gathers her Jews, pp. 148-149. 29. Ukaz n. 26.752 (20 marzo 1817; in Polnoe sobranie zakonov, I, vol. XXXIV, pp. 119-123). 30. Riasanovsky, Storia della Russia, pp. 323-324. 31. Cioè gli elementi-base del nazionalismo russo. Cfr. Uvarov, Pis’mo Nikolaju I. 32. Polnoe sobranie zakonov, II, vol. II, pp. 727-741.

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zio militare.33 Non solo la riforma ha ripercussioni profonde nella vita degli ebrei russi, ma la paura di essere costretti a lasciare le proprie famiglie e a battezzarsi è così grande da costringere le future reclute ad automutilazioni o a scatenare vere e proprie rivolte pur di non adempiere gli obblighi di leva.34 Il reclutamento è affidato al kahal, che in questo modo rafforza il proprio potere sulla popolazione ebraica divenendo una sorta di “agenzia di polizia” con la funzione di reclutare la quota di soldati imposta dal governo.35 In seguito all’insurrezione polacca del biennio 1830-1831 il governo tende ad ammorbidire la propria politica nei confronti degli altri gruppi etnici residenti negli ex territori della Polonia, inclusi ebrei e ucraini,36 e rimanda di alcuni anni l’introduzione di nuovi provvedimenti antiebraici. Il 13 aprile 1835 il governo emana l’ukaz n. 8.054 a completamento dello statuto del 1804:37 il nuovo codice vieta agli ebrei i matrimoni tra minorenni, l’impiego di domestici cristiani, li obbliga a usare nei documenti pubblici il russo, il tedesco, il polacco e dunque a rinunciare allo yiddish, affida al kahal la supervisione dell’attuazione degli ordini governativi da parte della comunità e ne regola il sistema elettivo; ma soprattutto, definisce ufficialmente, attraverso la formalizzazione normativa, nome ed estensione geografica della čpo degli ebrei, usando formule quali čerta postojannogo žitel’stva evreev, čerta obščej osedlosti evreev, ecc. Tuttavia la politica antiebraica di Nicola non si limita a questo. La corrispondenza segreta tra il ministro dell’istruzione popolare Uvarov e il segretario di stato Bludov, avvenuta nel 1834, pone l’accento sulla pericolosità dei libri in ebraico – in particolare quei libri che diffondono le dottrine talmudiche.38 Il 27 ottobre 1836 il governo, con l’ukaz n. 9.649, inaugura quindi una campagna censoria contro i libri degli ebrei. La legge decreta: che i rabbini incaricati dallo stato esaminino tutti i libri in ebraico in pubblicazione e quelli già pubblicati e posseduti dagli ebrei; che, scaduti i termini di consegna dei libri alle autorità, chi sia trovato in possesso di libri proibiti sia processato; che siano chiuse tutte le tipografie ebraiche 33. Dubnov, History of the Jews in Russia and Poland, II, p. 19; Petrovskij-Štern, Evrei v russkoj armii, p. 43 e ss. 34. Klier, Imperial Russia’s Jewish Question, p. 332; Nathans, Beyond the Pale, p. 28. 35. Dubnov, History of the Jews in Russia and Poland, II, p. 22-23. 36. In questi anni l’Ucraina è di moda. Dopo l’insurrezione polacca, inoltre, Nicola I favorisce questo fenomeno. Cfr. Colucci, Gogol’, p. 507. 37. Polnoe sobranie zakonov, II, vol. X, pp. 308-323. 38. Cenzura v carstvovanie Imperatora Nikolaja I, pp. 658-659.

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tranne le due di Kiev e Vil’na; che siano presi in osservazione anche i libri in ebraico pubblicati all’estero ma presenti sul territorio nazionale.39 Poiché queste misure hanno un enorme successo, la quantità di libri proibiti raccolta è talmente imponente da renderne impossibile l’invio a Pietroburgo.40 Il 29 novembre 1837 l’imperatore emana l’ukaz n. 10.751 – il primo di una serie – che concede alle autorità locali di “archiviare” la questione mandando al rogo i libri proibiti,41 e nel corso del 1838 delocalizza il controllo della censura a Vil’na e a Kiev.42 Nel 1840 viene fondato il Komitet dlja Opredelenija Mer korennogo Preobrazovanija Evreev v Rossii,43 un nuovo comitato governativo – attivo fino al 1863 – che aveva come scopo un dettagliato approfondimento della questione ebraica – in particolare il problema del kahal – e una sua definitiva soluzione, cioè una riforma radicale del modello di vita degli ebrei russi.44 Nel 1844 le idee del comitato, guidato dal conte P.D. Kiselёv – coadiuvato da S.S. Uvarov e A.G. Stroganov –, diventano legge. L’ukaz n. 18.545 del 19 dicembre decreta da un lato la “definitiva” abolizione del kahal – le cui funzioni di controllo sulla popolazione ebraica e di distribuzione e prelievo fiscale passa alle autorità cittadine o rurali –, dall’altro mantiene in vita alcune prerogative istituzionali del kahal – quali la responsabilità collettiva della comunità ebraica di fronte all’amministrazione centrale, il beth din – cioè il tribunale rabbinico –, le tasse sulla macellazione rituale e sulle candele per lo shabbat, e il sistema elettorale dei funzionari della comunità.45 Allo stesso tempo l’aumento dell’imposta sugli abiti tradizionali ebraici decretato nella legge del 1844 anticipa l’ukaz del 1 maggio 1850 n. 24.127, che sancisce il definitivo divieto agli ebrei, a partire dal 1 gennaio 1851, di indossare il loro particolare vestiario.46 Accanto all’introduzione di norme che sempre più tendono a limitare la vita degli ebrei, le politiche governative propongono la conversione come vera soluzione alla questione ebraica (e in genere a tutte le questioni 39. Polnoe sobranie zakonov, II, vol. XI, pp. 136-137. 40. Cenzura v carstvovanie Imperatora Nikolaja I, p. 662. 41. Polnoe sobranie zakonov, II, vol. XII, pp. 942-943. 42. Cenzura v carstvovanie Imperatora Nikolaja I, p. 663. 43. Cifariello, Ebrei e “zona di residenza”, p. 88. 44. Klier, The Kahal in the Russian Empire, pp. 42-45. 45. Polnoe sobranie zakonov, II, vol. XIX, pp. 887-890. 46. Ibidem, XXV, p. 416.

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inerenti ad altre confessioni religiose). Già nel 1831 i cappellani militari sono autorizzati a battezzare le reclute ebraiche senza il permesso delle autorità ecclesiastiche.47 Il codice penale del 1845 ribadisce poi un principio importante: la riduzione della pena non solo ai criminali che decidono di confessare il proprio crimine e denunciare i complici, ma anche – e soprattutto – a quelli pronti a convertirsi al cristianesimo ortodosso.48 Tuttavia, anche se alcuni ebrei si convertono e conducono attività missionaria tra la loro gente, tali politiche sono destinate a fallire miseramente.

47. Dubnov, History of the Jews in Russia and Poland, II, p. 45. 48. Art. 157, Uloženie o nakazanijach ugolovnych i ispravitel’nych, pp. 52-53.

2. Gli ebrei nella lingua e nella letteratura russa

Nessuno può afferrare l’inafferrabile. Koz’ma Prutkov, Passi dalle memorie di mio nonno

1. I nomi dell’ebreo A differenza delle altre lingue europee che possiedono generalmente tre etnonimi riferiti a “ebreo”,1 il russo conserva una peculiare quadripartizione semantica in modo piuttosto stabile fino al xx secolo: “žid”, “evrej”, “iudej”, “izrail’tjanin” – approssimativamente “giudìo”, “ebreo”, “giudeo”, “israelitico”. Il termine “žid”, a partire dall’etnonimo “Iudaeus” passa, attraverso la mediazione di un ambiente germanofono, agli slavi meridionali e occidentali, e successivamente a quelli orientali (ru. “žid”, ucr. “žyd”, biel. “žyd”). D’uso consueto dall’xi al xviii secolo, “žid” è antagonista linguistico più popolare, senza alcuna accezione semanticamente peggiorativa (almeno come termine a sé stante), del termine più colto “iudej”. Se “iudej” e “izrail’tjanin” appartengono al lessico dotto, le oscillazioni nell’uso di “žid” e “evrej” segnano, nel corso del secolo xix, diversi momenti della questione ebraica nell’Impero russo. Il termine “žid”, per un particolare processo di risemantizzazione locale, che ha inizio subito dopo le annessioni settecentesche dei territori polacchi all’Impero russo,2 assume nella seconda metà del xix secolo una valenza semantica fortemente peggiorativa connotando la popolazio1. S.P. Markish (Erasmus and the Jews, pp. 60-61) ha offerto una lettura diacronica dell’uso dei tre termini. 2. Sin dalla prima annessione il termine “žid” è inteso come non idoneo, nel lessico burocratico-legislativo, a rappresentare l’etnia ebraica, mentre viene ampiamente usato dalle amministrazioni locali della futura čpo. Negli ultimi dieci anni del regno di Caterina II la parola scompare dagli atti ufficiali per lasciare il posto a “evrej”. Cfr. Dubnov, Novejšaja Istorija Evreev, p. 45; Klier, Zhid: Biography, pp. 2-3.

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ne ebraica come arretrata e legata saldamente a tradizioni, usi e costumi dell’ebraismo medievale. Dunque se usato nei confronti del più evoluto maskil russo, verso cui si dovrebbe usare “evrej”, il termine risulta ancor più offensivo. Questa ricodificazione porta con sé una crescente frequenza d’utilizzo del sinonimo “evrej” – sentito come più adeguato ai maskilim e in generale appropriato rispetto a un uso colto della lingua russa – e il declassamento di “žid” a espressione del linguaggio popolare – il cosiddetto prostorečie. In russo si arriverà infine a percepire “žid” come un termine obsoleto oppure come espressione di un giudizio negativo su una persona. È importante ai nostri fini sottolineare la divaricazione crescente nell’uso e nel significato del termine tra le lingue slave della čpo – il russo, il polacco e l’ucraino. In polacco “żyd” non implica tonalità emotive. Per ottenere una connotazione negativa il polacco ricorre a derivati quali “żydziak”, “żydziuk” (ebreaccio, ebreuccio), o al sintagma con aggettivi qualificativi, tipo “parszywy żyd” (ebreo rognoso), “obrzydliwy żyd” (ebreo schifoso). Il diminutivo “żydek” assume invece una connotazione maggiormente compassionevole, tipo “biedny żydek” (povero ebreuccio).3 Nello spazio culturale ruteno la valenza offensiva dell’uso russo e quella neutra dell’uso polacco entrano in conflitto. Nella lingua letteraria dell’Ucraina orientale si comincia a utilizzare “jevrejí” al posto di “žyd”, dalla fine del xix secolo, come reazione al carattere offensivo del russo “žid”;4 ancora nel biennio 1861-1862 la polemica tra l’“intelligencija russo-ebraica” della rivista «Sion» e l’“intelligencija ucrainofila” della rivista «Osnova» dimostrava la neutralità semantica di “žid” nell’uso linguistico ucraino.5 3. Birnbaum, Some problems with the etymology, p. 7. 4. Cfr. Farion, Slova jak svidki pravdi. 5. Nel libro usiamo espressioni come “intelligencija liberale giudeofila”, “intelligencija russo-ebraica”, “intelligencija conservatrice giudeofoba”, “intelligencija nazionalista russa”, ecc. Nel far ciò seguiamo l’uso del termine fattone dalla pubblicistica sin dagli anni sessanta dell’Ottocento. Importato dalla cultura tedesca (“Intelligenz”), “intelligencija” è risemantizzato per designare un fenomeno esclusivamente russo: intellettuali delle classi medie, di alta cultura e grande senso etico, liberi di far parte di schieramenti e movimenti politici diversi e di praticare le professioni più varie. Lo stesso Efron-Litvin (Efron-Litvin, Missionery i načetčiki, p. 9) usa il termine per riferirsi a un unico organismo – il cui destino è «collaborare al progresso e alla prosperità della patria» – in cui convivono «liberali, occidentalisti, slavofili, conservatori, radicali e persino rivoluzionari». Per la storia del termine, cfr. Pipes, Russia under the Old Regime, pp. 250-257.

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L’isoglossa “žid” delimita dunque, nel periodo in osservazione, la zona di territorio tra Polonia, Ucraina, Bielorussia e Russia. Quindi, per determinare la semantica del termine si deve, senza generalizzare, prima di tutto evidenziare (evitando implicazioni politiche) la contiguità culturale polacca e russa all’interno della čpo e analizzare ogni caso specifico nel contesto e nell’uso pragmatico che del termine si fa nel russo, tenendo sempre a mente il valore più marcatamente neutro del termine nelle altre lingue della čpo. 2. Genesi di un topos Tradizione allogena e letteratura russa Oltre al passaggio di “žid” a vera e propria parola offensiva, in seguito alle spartizioni della Polonia nella cultura dell’Impero ha luogo una lenta evoluzione della figura-stereotipo dell’ebreo. Mentre sul piano giuridicoamministrativo il governo si applica alla questione ebraica, su quello letterario tutto tace, almeno fino al 1858. È vero, ebrei compaiono nella letteratura russa, ma ciò avviene in modo sporadico, e, in forza della censura,6 mai positivo.7 Perciò gli scrittori russi ritraggono una figura buffa e pietosa, ma allo stesso tempo terribile, codarda e malvagia, che finge di amare la Russia mentre spia per conto del nemico, contrabbanda alcol e tabacco, avvelena la moralità del contadino russo, batte falsa moneta e specula sul prezzo delle merci. Quando non ispirate a nozioni etnografiche, a pregiudizi antigiudaici del Medioevo russo o a elementi di cultura popolare, questi 6. La censura in questo periodo storico vieta categoricamente la rappresentazione letteraria di ebrei positivi, perché «i “židy” non possono e non devono essere virtuosi» (Vajskopf, Sem’ja bez uroda, p. 307), e dunque proibisce da un lato la discussione pubblica della questione ebraica e dall’altro qualunque accenno letterario ai realia ebraici dell’Impero. 7. Caso atipico è il Rossijskij Žilblaz (Un Gil Blas russo, 1814) di V.T. Narežnyj – novità letteraria del panorama culturale russo – in cui compare il primo “žid” a incarnare, a differenza dalle future rappresentazioni dell’ebreo, il modello dell’eroe positivo (cfr. Dudakov, Istorija odnogo mifa, pp. 70-71). Tuttavia la travagliata storia della pubblicazione di questo romanzo evidenzia l’azione della censura governativa sulla letteratura russa di argomento ebraico. Poco dopo la pubblicazione, nel 1814, il censore ordina il ritiro delle prime tre parti del romanzo e ne blocca l’ulteriore pubblicazione (Strano, Faddej Venediktovič Bulgarin, p. 55). Altre due volte (nel 1835 e nel 1841) il censore impedisce la pubblicazione del romanzo (Dudakov, Istorija odnogo mifa, p. 70).

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stereotipi sono prodotti d’importazione della tradizione allogena occidentale – lo Shylock de Il mercante di Venezia o il Barabba de L’ebreo di Malta.8 Il risultato è una raffigurazione di maniera che non può riflettere in alcun modo la realtà. Attraverso la rappresentazione artefatta gli ebrei diventano mostri capaci di nuocere e uccidere i gojm (i non-ebrei, i Gentili). Così, rimanendo profondamente ancorato a una visione stereotipica, l’autore non può che fallire nel rappresentare in modo realistico il byt, la vita quotidiana degli ebrei. Tra stereotipo e realtà s’inserisce il celebre Pis’ma russkogo putešestvennika (Lettere di un viaggiatore russo) di Karamzin. Nelle “lettere” l’autore si mostra profondamente addolorato per la condizione reale degli abitanti del ghetto di Francoforte.9 Tuttavia la descrizione dei locali ebrei ortodossi – sudditi non russi – è condotta attraverso una serie d’immagini stereotipiche negative, a cui è implicitamente opposto il Jerusalem di Mendelssohn, fondamento per una possibile riforma dell’ebraismo. Ulteriore contrapposizione al Jerusalem di Mendelssohn è la messa in scena nel teatro cittadino de Il mercante di Venezia, il fondamento delle caratterizzazioni stereotipiche occidentali, che offende non solo gli ebrei locali ma l’intera nazione ebraica. La descrizione del “žid” di Karamzin – cioè lo “Jude” di Francoforte – è quella di un essere profondamente ributtante, sporco e maleodorante, che sta in sinagoga come un irredento criminale in attesa di essere giustiziato. Per l’autore in grado di salvare gli ebrei da questa sorte è solo l’Illuminismo, in particolare l’esempio di Mendelssohn: inizialmente “žid”, grazie alle sue convinzioni illuministiche è riuscito a riformare il proprio modo di vita e ad accendere una luce di speranza per il rinnovamento del suo popolo. Così, da una parte deve esser bandito dalla letteratura l’uso di stereotipi occidentali – come quelli che compaiono appunto in Shakespeare –, dall’altra i nuovi cittadini russi di fede mosaica devono riformarsi secondo i principi dell’Haskalah.10 Altro è l’atteggiamento degli scrittori successivi. Nella prima metà dell’Ottocento l’intellettuale romantico è attratto dall’ebreo come parte di un più vasto spettro di passioni, quali la storia, l’esotismo, l’etnografia. L’ebreo del romanticismo russo è un personaggio che rivela una particola8. Kunitz, Russian literature and the Jew, pp. 17-18. 9. Nell’edizione sovietica dell’opera di Karamzin pubblicata nel 1950 il passo in questione è stato eliminato. Cfr. Pipes, The Background and Growth of Karamzin’s Political Ideas, p. 31. 10. Karamzin, Pis’ma russkogo putešestvennika, pp. 13-15.

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re “doppiezza” nei confronti della Russia. Per questo motivo l’intellettuale romantico tratteggia generalmente l’ebreo in modo marcatamente negativo, attraverso stereotipi della tradizione occidentale: se da una parte, infatti, questo ebreo appare schierato agli antipodi dei valori nazionali in favore del cosmopolitismo, di cui è un “degno” rappresentante (ebreo come cittadino del mondo), dall’altra egli è rinchiuso nel “recinto” dell’isolamento nazionale (ebreo come membro della “nazione” ebraica).11 L’ebreo-persona-riprovevole fa la comparsa in Puškin, nello Skupoj rycar’ (Il cavaliere avaro, 1830). Tuttavia, già dieci anni prima della stagione delle “piccole tragedie” – tra cui Skupoj rycar’ –, in un paio di versi di Čёrnaja šal’ (Lo scialle nero, 1820) l’autore manifesta il proprio sdegno verso l’ebreo: qui l’ebreo, fattosi delatore, in cambio di oro ha rivelato all’eroe del poema il tradimento dell’amata.12 Nel biennio 1820-1821, durante il confino obbligato a Kišinёv (Chişinău, Moldavia), il giovane Puškin non può non incontrare ebrei in carne e ossa; eppure nel 182713 ancora vede l’ebreo attraverso lo specchio del modello letterario occidentale: un essere avido amante dell’oro, un codardo con i tratti della «spia che puzza del maledetto Giuda».14 Per il poeta, dunque, la semantica dell’“ebreo spregevole” (“žid prezritel’nyj”) non può essere sostituita da quella di un ebreo “altro”. Ebbene, nel 1830 nello Skupoj rycar’ l’autore, il cui giudizio nei confronti degli ebrei è invariato, ricorre a modelli occidentali nel rappresentare l’ebreo usuraio. Nella “piccola tragedia” il poeta riproduce la decadenza del sistema feudale del Medio11. Vajskopf, “Strannye proroki”. 12. Levitina, Russkij teatr i evrei, I, pp. 28-29. 13. In un passo del diario datato 15 ottobre 1827 (Puškin, Dnevniki, p. 18), Puškin appunta le impressioni dovute a un incontro casuale con l’amico V.K. Kjuchel’beker. L’incontro avviene in una stazione di posta: Puškin sta rientrando da Michajlovske a Pietroburgo, mentre Kjuchel’beker viene tradotto dalla fortezza di Šlissel’burg a quella di Dinaburg, e da lì in Siberia per vent’anni, fino alla morte. Non riconoscendo immediatamente l’amico, Puškin pensa di trovarsi di fronte a un “vero ebreo” (“nastojaščij žid”), e reagisce voltandosi dall’altra parte per ignorare la “spia”. Da una prima lettura di questo frammento si potrebbe con malizia accusare il poeta di aver mostrato freddezza per calcolo o istinto di sopravvivenza, per evitare di rimanere coinvolto nell’affare dei decabristi, da cui si era precedentemente dissociato. Puškin è controllato, infatti, dalla celeberrima Terza Sezione e dal suo capo, A.Ch. Benkendorf per ordine diretto dell’imperatore (Lotman, Puškin, p. 422). Le successive parole di Puškin (Puškin, Dnevniki, p. 349) fugano però ogni dubbio. Il poeta, infatti, riconosciuto il vecchio amico, non nasconde il profondo affetto che lo lega al condannato: lo abbraccia, cerca di aiutarlo, chiede che sia nutrito e dissetato. Il rapporto della staffetta conferma gli appunti del poeta. 14. Kunitz, Russian literature and the Jew, pp. 20-25.

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evo francese usando modelli stereotipici del teatro europeo, in particolare l’Arpagone di Molière – su cui Puškin costruisce il personaggio del barone avaro, padre del principe Al’ber (e metafora del padre dell’autore)15 – e lo Shylock di Shakespeare, immagine allegorica dell’usuraio ebreo – qui Solomon, servitore del principe. Attingendo alle due fonti occidentali l’autore contrappone i tratti poliformi dell’usuraio – l’ebreo – ai tratti uniformi dell’avaro – il barone. Secondo Puškin infatti, a differenza dei personaggi di Molière, immobili nelle loro passioni e nei loro difetti, gli eroi di Shakespeare mostrano allo spettatore un carattere poliedrico, tant’è che «l’Avaro di Molière è avaro, e basta; lo Shylock di Shakespeare è avaro, ingegnoso, vendicativo, arguto, ama la propria prole».16 Tuttavia diversamente dallo shakespeariano Shylock il “žid” puškiniano è un personaggio con caratteristiche esclusivamente negative, la cui bramosia di denaro lo rende capace persino di ricorrere all’omicidio. Skupoj rycar’, messo per la prima volta in scena nel 1852 e rappresentato molto raramente in Russia, costituisce una pietra miliare nella storia della giudeofobia perché, grazie all’autorità del poeta, fissa nella tradizione della letteratura russa moderna il modello – preesistente – dell’avido ebreo amante dell’oro.17 Spesso l’immagine stereotipica dell’esotico “žid” evolve in una figura grottesca in grado di produrre nel lettore – così come nello stesso autore – disprezzo, disgusto, repulsione. Questi “semplici” riflessi istintivi18 testimoniano il radicamento di un profondo sentimento giudeofobo tra gli intellettuali russi. È qui che entra in scena il Taras Bul’ba (1835). Nella prima metà degli anni trenta Gogol’, profondamente attratto dalla storiografia, espone in Arabeski (Arabeschi, 1835) la sua idea di racconto storico. Nel 1833, nel tentativo – risultato vano – di assicurarsi un posto come professore di storia all’università di Kiev, scrive O prepodavanii vseobščej istorii (Sull’insegnamento della storia universale), in cui concepisce un programma didattico che coniughi l’insegnamento di una storia unica e ininterrotta dell’umanità a un approfondimento della storia dei singoli popoli. Allo stesso tempo si dedica a raccogliere le fonti storiche – persino i canti popolari, intesi come «storia nazionale, viva, vivida, piena di colori, di verità, che mette a nudo tutta quanta 15. Puškin pubblica il dramma con uno pseudonimo per evitare che dall’avarizia, narrativa, del padre dell’eroe si possa risalire a quella, reale, del padre dell’autore (Malcovati, Prefazione, p. XXXVIII). 16. Cit. in Blagoj, Tvorčeskij put’ Puškina, p. 585. 17. Levitina, Russkij teatr i evrei, I, p. 31. 18. Edel’štejn, Istorija odnogo stereotipa.

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la vita del popolo»19 – per una storia della Piccola Russia, di cui è testimone l’articolo Vzgljad na sostavlenie Malorossii (Uno sguardo al formarsi della Piccola Russia). Nel 1834, in Sletser, Miller i Gerder (Schlözer, Müller e Herder), afferma che per scrivere la storia universale, oltre alle qualità possedute dai tre intellettuali citati nel titolo, a uno storico è necessaria la cosiddetta “alta arte drammatica” – cioè la capacità comune a Schiller, Walter Scott e Shakespeare, di rendere attraente la narrazione della storia. Nel Taras Bul’ba, l’unica povest’ storica completata, l’autore ricorre proprio all’arte del dramma storico, miscelata a procedimenti popolari – il vertep20 nella scazzottata tra padre e figlio della prima scena – e al grottesco – la parodia del Mazepa (1833-34) di Bulgarin nella famosa e terribile scena dell’affogamento dei “židy”.21 Gogol’ infatti, attraverso l’effetto parodico-comico delle risate dei carnefici divertiti nel vedere gli ebrei che dimenano le gambe in aria,22 definito da Pumpjanskij «crudeltà per niente epica, ossia il ghigno di disprezzo per il torturato»,23 rende farsesca la scena del Mazepa in cui il cosacco Palej ordina di gettare l’ebreo nelle acque del Dnepr. Non si deve però dimenticare che, dopo aver descritto il terribile pogrom – episodio derivato da Istorija Rusov (Storia degli abitanti della Rus’)24 –, lo scrittore chiama gli ebrei “bednye syny Izrailja”, poveri figli d’Israele. Nel 1836, nel primo numero del «Sovremennik», Puškin scriverà a proposito di Mirgorod che la prosa gogoliana «ci costringe a ridere tra le lacrime».25 Difatti il lessico propriamente prosastico del Taras Bul’ba, intrinsecamente dotato di “dialogicità” plurilinguistica e pluridiscorsiva,26 è interrotto dall’improvviso calembour sentimentale,27 e la declamazione patetica dell’autore dispiaciuto per la sorte dei poveri ebrei 19. Gogol’, Sui canti della Piccola Russia, p. 994. 20. Il teatro ucraino delle marionette, procedimento già sfruttato in alcuni racconti di Večera na kutore bliz Dikan’ki (Le veglie in una fattoria presso Dikan’ka, 1831). 21. Gippius, Gogol’, pp. 63-64. 22. Gogol’, Taras Bul’ba, p. 372. 23. Cit. in Carpi, Storia della letteratura russa, p. 386. Di epos omerico in Taras Bul’ba parla Brjusov (Brjusov, Ispepelёnnyj), secondo cui la descrizione della battaglia di Dubno trae ispirazione dalle immagini dell’Illiade nella traduzione di Gnedič. 24. Strano, Gogol’, p. 87. Istorija rusov è un pamphlet storico anonimo composto tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento, tradizionalmente attribuito all’arcivescovo bielorusso G. Konisskij. Parzialmente edito nel 1836 sul primo numero del «Sovremennik» di Puškin, il testo completo circola manoscritto fino al 1846, anno in cui è pubblicato integralmente, dopo anni di rimaneggiamenti e di circolazione manoscritta, da O.M. Bodjanskij. 25. Cit. in Gogol’, Opere, I, p. 1277. 26. Bachtin, La parola nel romanzo, pp. 122-123. 27. Ejchenbaum, Come è fatto Il cappotto di Gogol’, p. 263.

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spezza lo stile della povest’. Lo stile declamatorio è un procedimento artistico costante nell’opera di Gogol’28 che, divenuto patetico e non compassionevole, nel capitolo controbilancia appunto il grottesco dell’affogamento precedente e del conseguente riso amaro. Tuttavia, nel piano generale della povest’, fondando il suo “žid” sulla letteratura di Walter Scott e di Shakespeare, Gogol’ ne ricodifica l’alta arte drammatica: il “žid” Jankel’ – appaltatore, taverniere, avido amante dell’oro, capace di divorare l’intero paese,29 ma anche unico sopravvissuto agli orrori del pogrom – non è altri che il riflesso di una tradizione letteraria importata e divenuta in Russia – come nel 1828 attesta un articolo sulla narrativa storica30 – vera e propria moda. Nella raffigurazione grottescamente drammatica del “žid” Jankel’, l’autore usa la doppia immagine “personaggio buffo”/“essere riprovevole” parodiando le peculiarità fisiche, morali e religiose dell’ebreo. Arricchendo l’etnonimo di nuovi significati lo scrittore ridefinisce l’aura semantica di “žid”. L’ebreo dello Skupoj rycar’ e quello del Taras Bul’ba formano con il “žid” dell’Ivan Vyžigin (1829) di Bulgarin una sorta di trilogia.31 Questo terzo “žid” è la caricatura diffamatoria e piena di luoghi comuni del tipico ebreo della Bielorussia polacca. Faddej Bulgarin nasce polacco con il nome di Tadeusz Bułharyn. Nel biennio 1811-1812 combatte persino nell’esercito napoleonico. Dopo il 1825, a causa del clima di sospetto instauratosi in seguito alla rivolta dei Decabristi, per allontanare ogni sospetto determinato dalla sua origine etnica e dai suoi trascorsi giovanili, Bulgarin ha bisogno di apparire un suddito fedele e leale. Durante il regno di Nicola, dunque, rinnega il passato e diviene il campione della delazione e della reazione, condannando persino l’insurrezione polacca del 1830-1831.32 Inoltre, nel corso della sua attività letteraria fa mostra di approvare incondizionatamente l’ordinamento sociale e politico dell’Impero.33 Sotto questa luce deve esser letto l’intento apertamente didattico-moralistico – “delectando docere”34 – di presentare al lettore russo la differenza tra virtù e vizi, tra bene e male.35 Nella costituzione dell’exemplum, accanto al nobile russo, 28. Ibidem, pp. 252-255. 29. Gogol’, Taras Bul’ba, p. 453. 30. Gippius, Gogol’, p. 60. 31. Dudakov, Istorija odnogo mifa, p. 75. 32. Strano, Faddej Venediktovič Bulgarin, p. 14. 33. LeBlanc, “Russkij Žilblaz” Faddeja Bulgarina. 34. Strano, Faddej Venediktovič Bulgarin, p. 130. 35. Katz, Faddej Bulgarin’s Polish Jews, p. 407.

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raffigurato come grande patriota – dunque personaggio positivo –, colloca l’ebreo – figura esclusivamente negativa. Nella costruzione letteraria lo scrittore arricchisce il suo “žid” da un lato di stereotipi negativi che importa dalla Polonia alla Russia, dall’altro di scene di “vita ebraica” tradotte dalla pubblicistica polacca.36 Per questa via dunque Bulgarin ricodifica nella cultura russa modelli culturali allogeni esplicitamente giudeofobi. Perciò Movša, il ricco ebreo a cui Bulgarin dedica il VII° capitolo – intitolato proprio Bogatyj žid. Istočniki ego bogatstva (Il ricco ebreo. Fonti della sua ricchezza) –, rappresenta non il singolo individuo ma l’intero popolo ebraico37 intento al commercio di prodotti alimentari e degli alcolici. Ubriacando il popolo e carpendone i segreti, il “žid” arriva al “pomeščik”, il nobile possidente terriero, ne diventa l’intermediario e ne gestisce gli interessi.38 Quello che per il lettore delle capitali costituisce una novità, per il polacco, il bielorusso o l’ucraino è storia: in qualità d’intermediario tra nobiltà polacca e contadini l’ebreo è un ingranaggio del sistema economico della čpo. Una volta ricodificato il nuovo modello letterario e introdotta una diversa concezione dell’ebreo, il termine “žid”, prima percepito come estraneo alla cultura russa, acquisisce adesso un nuovo significato. In genere il modello letterario del “žid” si basa sullo schema didascalico dell’“ebreo-rappresentazione-del-male” e non sui realia ucraini, cioè la vita religiosa-spirituale della popolazione ebraica e il “microverso culturale del mestečko-shtetl”.39 Il “žid” di Bulgarin è invece parte integrante dei realia ucraini: ghettizzato nella čpo, conosciuto dall’amministrazione soprattutto per motivi giuridico-fiscali e quasi completamente ignorato dalle restanti componenti dell’Impero,40 possiede il carattere esotico di luoghi sconosciuti, lontani dalle capitali. Allo stesso tempo, a causa dell’oppressione economica sul “semplice” e “incontaminato” mondo cristiano, questo “žid”, al pari del modello classico, è percepito dal lettore come immorale e malvagio. In un periodo in cui la letteratura comincia a essere un fenomeno commerciale, l’esotismo dell’argomento ebraico, che in pieno spirito romantico soddisfa il gusto del pubblico, ne garantisce il successo e permette la diffusione di questo modello caricaturale ben delineato. Il romanzo di Bulgarin infatti costituisce, a cavallo tra gli anni venti e gli anni trenta, un vero e proprio 36. Ibidem, pp. 409-410. 37. Dudakov, Istorija odnogo mifa, p. 75. 38. Bulgarin, Ivan Vyžigin, I, p. 82. 39. Cifariello, Ebrei e “zona di residenza”, pp. 85-87. 40. Katz, Faddej Bulgarin’s Polish Jews, p. 417.

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caso letterario,41 s’inserisce nella tradizione dei due grandi scrittori russi – Puškin e Gogol’ – e con essi influenza le future generazioni. Affascinato dall’argomento ebraico, dopo circa un decennio I.S. Turgenev pubblica Žid (1846), racconto giovanile poco conosciuto, in cui tratti realistici si miscelano con elementi stereotipici e giudeofobi. L’autore, infatti, crea i suoi personaggi attingendo alla tradizione russa, la quale a sua volta rimanda al modello letterario occidentale del vecchio e avido padre ebreo, della giovane e bella figlia ebrea e dell’amante goj. Il “žid” Giršel’, che usa la figlia per i suoi imbrogli, è una spia per conto del nemico. Condannato alla forca, l’ebreo tenta senza successo di salvarsi vuotando il sacco e facendo proposte di ogni tipo. Il realismo della descrizione degli ultimi attimi dell’ebreo – le contorsioni nel tormento che anticipa la morte – impressiona la critica russa.42 Giršel’ testimonia l’evoluzione del modello classico del “žid” approfittatore, malvagio, codardo, pronto a vendere la figlia, spia al soldo del nemico, ostile alla patria che lo ospita. Perciò il termine “žid”, che diviene, per metonimia, continuità semantica delle parole cui è comunemente affiancato (contrabbando, spionaggio, prestito, vendita di alcolici, sfruttamento, viltà), ricorda ormai l’uso dispregiativo dei composti della lingua polacca. Inoltre, dimostra soprattutto che a questo punto il modello letterario del “žid”, passato per le penne di Bulgarin, Puškin e Gogol’, è pienamente acquisito e ben ricodificato nella cultura russa. Quando – dopo il 1858 – diventa possibile discutere pubblicamente, da parte degli intellettuali russi, di questione ebraica, il modello letterario del “žid” si sovrappone al bersaglio della polemica giudeofoba: l’ebreo in carne e ossa. Pregiudizi autoctoni e letteratura russa Nella prima metà dell’Ottocento la letteratura russa non propone esclusivamente immagini stereotipiche mediate dalla tradizione occidentale, ma scavando nel passato attinge anche alla fonte della cultura russa, in particolare alla storia e alle tradizioni delle sue terre, antigiudaismo medievale incluso. L’antigiudaismo nella tradizione letteraria della Rus’ di Kiev e poi della Moscovia poggia su un topos comune a tutto il cristianesimo: il tradimento di Giuda e il conseguente deicidio. L’idea dell’ebreo spia deici41. Dudakov, Istorija odnogo mifa, p. 75; LeBlanc, “Russkij Žilblas” Faddeja Bulgarina. 42. Kunitz, Russian literature and the Jew, p. 50.

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da risuona nelle parole di Taras Bul’ba contro l’ebreo Jankel’, colpevole di avergli riferito il tradimento del figlio Andrij.43 Mutatis mutandis, gli stessi concetti riecheggiano in Zapiski mёrtvogo doma (Memorie dalla Casa dei morti; 1861-1862) di Dostoevskij: nelle parole di Luka Kuz’mič rivolte a Bumštejn, l’autore dà voce ai sentimenti popolari antiebraici miscelati a un radicato antigiudaismo cristiano. Ebbene, nella tradizione dell’antigiudaismo russo emerge una figura letteraria autoctona: Scharija,44 iniziatore dell’eresia cosiddetta dei “giudaizzanti” sviluppatasi a Novgorod e a Mosca negli ultimi decenni del XV secolo.45 Bisogna inoltre ricordare che al principio del XIX secolo tra i movimenti ereticali di cui il governo s’interessa s’annovera la setta dei “subbotniki”. Apparsa nelle regioni centrali dell’Impero per la prima volta nel primo decennio del XVIII secolo,46 la setta “giudaizzante”47 si diffonde tra i contadini del governatorato di Voronež dalla fine del secolo.48 Nel corso degli anni dieci e venti del XIX secolo contro la setta si susseguono inchieste ministeriali e processi,49 fino alla pubblicazione il 3 febbraio 1825 del lungo ukaz sinodale n. 30.436а, che, volto a impedirne l’ulteriore diffusione, sentenzia che:50 i “subbotniki”, rei di diffondere l’eresia, se abili alla leva siano arruolati nell’esercito, o se inabili, puniti con il confino siberiano; inoltre, come agli ebrei è vietato accesso e residenza nelle regioni in cui è apparsa la setta, così ai “subbotniki” sia impedito di viaggiare e, dunque, essere in contatto con gli “altri” ebrei; ai “subbotniki” sia infine 43. Gogol’, Taras Bul’ba, p. 411. 44. Zaccaria Ghisolfi de’ Scala. Cfr. De Michelis, La Valdesia di Novgorod, pp. 85-87. Ne parla Iosif Volockij (Iosif di Volokolamsk, Narrazione sull’eresia degli eretici di Novgorod, apparsa di recente, p. 227) nella storia del movimento ereticale. 45. In base agli studi effettuati da De Michelis in La Valdesia di Novgorod (Torino 1993) – testo a cui facciamo riferimento e rimandiamo – si è giunti alla conclusione che il movimento di Novgorod-Mosca rappresenti la massima propaggine nell’oriente cristiano del movimento Valdo-Husita. 46. Klibanov, Religioznoe sektantstvo v prošlom i nastojaščem, p. 63. 47. Nelle pubblicazioni ufficiali i “subbotniki” sono chiamati anche “židovstvujuščie” o “iudejstvujuščie”. Di loro si parla per la prima volta nelle lettere scritte negli anni dieci del Settecento da I. Posoškov. Inoltre, in Rozysk o raskol’nič’ej barynskoj vere (del 1709, ma pubblicato nel 1745) il metropolita Dmitrij Rostovskij annota l’esistenza di una setta che “po-židovski”, alla maniera ebraica, santifica il Sabato e rifiuta il culto delle icone. Cit. in Šmulevič, Kipnis, Subbotniki (Iudejstvujuščie). 48. L’vov, Russkie iudejstvujuščie. 49. Baradinov, Istorija ministerstva vnutrennich del, pp. 87-99. 50. Polnoe sobranie zakonov, I, vol. XL, pp. 396-408.

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proibita l’osservanza dei rituali ebraici. Con l’avvicendamento al trono di Nicola I s’inasprisce la reazione del governo contro gli eretici, inclusi i “subbotniki”.51 Sin da subito, dunque, nasce il mito dei moderni “subbotniki” figli del movimento giudaizzante del Medioevo russo. La fonte di Karamzin, nel sesto volume (1817) della Istorija gosudarstva rossijskogo (Storia dello stato russo, 1816-1829), sulla nascita e diffusione dell’eresia dei “giudaizzanti” medievali è il Prosvetitel’ (Illuminatore, sec. XVI) di Iosif Volockij.52 Il primo storico puro a confrontarsi con la questione “giudaizzanti” è N. Rudnev, che nel 1838 pubblica Rassuždenie o eresjach i raskolach, byvšich v russkoj cerkvi so vremeni Vladimira Velikogo do Ioanna Groznogo (Riguardo alle eresie e gli scismi avvenuti nella chiesa russa a partire dal periodo di Vladimir il Grande a quello di Ivan il Terribile). Anche se osserva che il testo di Volockij presenta varie contraddizioni, Rudnev è tuttavia costretto – non potendo negare in toto le affermazioni del “santo monaco” – «a un eclettismo che vedremo poi ripresentarsi in numerosi studiosi e a ripiegare sull’idea che l’eresia dovesse constare di un impasto di giudaismo e di razionalismo cristiano».53 Negli anni trenta in Russia si diffonde il genere del dramma storico alla Walter Scott. Inoltre, alla fine del decennio la letteratura russa comincia a interessarsi di Scharija. I.I. Lažečnikov, il Walter Scott russo, è il primo scrittore a inserire questa figura in un romanzo storico. Nel prologo di Basurman (L’infedele, 1838), romanzo sul regno di Ivan III, lo scrittore, accostandosi alle posizioni di Gogol’, illustra il compito di un autore di romanzi storici: a differenza del biografo e dello storico puro, questi deve attenersi più alla poesia della storia che alla cronologia degli eventi, non esser schiavo delle cifre ma esclusivamente fedele allo spirito dell’epoca in 51. Uno dei primi provvedimenti di Nicola I è rivolto ai “subbotniki” che si rifiutano di tornare in seno all’ortodossia. Cfr. ukaz del 18 dicembre 1825 n. 4, in Polnoe sobranie zakonov, II, vol. I, pp. 11-12. 52. Marcialis, L’eresia dei giudaizzanti: rassegna degli studi, p. 158. 53. Ibidem, pp. 158-159. Abbiamo deciso di non citare il quinto volume di Istorija Rossijskaja (Storia della Russia) di Tatiščev, perché la pubblicazione del volume – in cui lo studioso si occupa anche del periodo di Ivan III e dei “giudaizzanti” – è successiva a quella delle opere oggetto di questo paragrafo. Come premette Bodjanskij (Bodjanskij, Predislovie, pp. II-IV) nell’introduzione del 1847 al volume, il manoscritto di Tatiščev – di cui fino a quel momento s’ignorava l’esistenza – viene miracolosamente ritrovato nel 1843 da Pogodin nella sua biblioteca. La storia trattata nel manoscritto comincia proprio dal punto in cui s’interrompe il quarto volume (la terza parte nel progetto di Tatiščev) pubblicato un settantennio prima.

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cui il racconto si svolge e al “motore” che quell’epoca muove. Il compito dell’autore, in pieno spirito romantico, è secondo Lažečnikov «selezionare […] gli avvenimenti più brillanti e interessanti, legati al personaggio principale del racconto, e accoppiarli nel momento poetico».54 La fonte degli avvenimenti selezionati da Lažečnikov è proprio il sesto volume della Istorija gosudarstva rossijskogo.55 Il soggetto ebraico è trattato dall’autore a volte con stereotipi romantici ma più spesso in maniera originale e non malevola: l’ebreo Scharija è ritratto come persona educata, intelligente, ambiziosa, nobile, onesta, dotata d’incantevole eloquenza e capace di abnegazione e sacrificio personale, coi tratti stereotipici del chimico, del medico e dell’occultista.56 Il motivo di Scharija primo giudaizzante al centro della storia russa raffigurato da Lažečnikov viene ricodificato nel 1840 da N.V. Kukol’nik. Al pari di Bulgarin Kukol’nik è un rappresentante importante del costume, della letteratura e della cultura russa dell’epoca: attenendosi alla triade di Uvarov, metabolizzando tutte le concezioni governative incluso il punto di vista inerente agli ebrei e alle eresie, e ponendosi quindi distante anni luce dalle posizioni di Lažečnikov, da una parte gode di popolarità «presso il pubblico meno smaliziato e ideologicamente più conformista», dall’altra è circondato dal favore dell’«establishment politico dell’epoca».57 Le autorità, infatti, nel 1834 avevano ordinato persino la chiusura del «Moskovskij Telegraf» pur di punirne l’editore, N.A. Polevoj, giudicato colpevole di aver lanciato dalle pagine della rivista aspre critiche alla pièce di Kukol’nik Ruka vsevyšnego otečestvo spasla (La mano dell’Altissimo ha salvato la patria).58 Nelle pièce di Kukol’nik Statuja Christofa v Rige (La statua di Cristoforo a Riga, 1840) e Knjaz’ Cholmskij (Il principe Cholmskij, 1840) il “žid” assume il ruolo di primo rappresentante dell’eresia. In Statuja Christofa v Rige l’autore mette in scena il tentativo di ottenere il controllo di Riga da parte di varie potenze straniere. In questa città, assieme ad altri ebrei, vivono Scharija e la figlia Rachil’. Anche se il nome di Scharija è tratto dalle narrazioni storiche, in particolare dalle opere di Karamzin e di Lažečnikov, ancora una volta la storia russa si fonde, nei ritratti del padre e della figlia, con la tradizione occidentale di Shakespeare 54. Petrunina, Romany I.I. Lažečnikova. 55. Viktorovič, Lažečnikov, p. 275. 56. Kunitz, Russian literature and the Jew, pp. 32-33. 57. Davydov, La prosa e il teatro dell’età di Puškin, p. 483. 58. Strano, Gogol’, p. 132.

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e Marlowe.59 Con molta teatralità l’autore presenta Scharija nelle vesti di cabalista, mago e veggente, e Rachil’ ingioiellata in abiti costosi. Costretto a nascondersi assieme alla figlia a causa di un pogrom, Scharija ordina a un altro ebreo di dichiarare falsa testimonianza, azione che causa la morte di un gran numero di mercanti russi. Le parole dell’ebreo – che a differenza di Shylock non parla per sé, ma a nome di tutto il mondo ebraico60 – servono a dimostrare che il carattere vendicativo degli ebrei, formatosi nei secoli a causa delle persecuzioni e dell’odio antiebraico dei gentili, è il motore delle loro azioni: Se siamo poveri, da noi voglion ricchezze e perciò siamo costretti a rubare. Se siamo onesti, non ci credono e allora dobbiamo usar l’inganno, e quindi tutto diventa più facile e comodo. Se siamo bravi, ci perseguitano e ci spremono la bile – e l’uomo è [fatto di] carne… Le sofferenze ci governano e dunque, irritati dall’ingiustizia, ci trasformiamo in aspidi velenose e vendicative… Siam veraci… ma dobbiamo comprare la vita al prezzo della falsa testimonianza.61

Statuja Christofa v Rige e Knjaz’ Cholmskij formano due capitoli di uno stesso dramma storico dalle aspre tinte giudeofobe. In Knjaz’ Cholmskij, nuovo capitolo del dramma, Scharija veste i panni della spia crudele, dell’astrologo imbonitore, del negromante avvelenatore e soprattutto dell’eretico erudito, capace di diffondere ovunque l’eresia. E dunque, quando apprende che Rachil’ è innamorata di Cholmskij, le chiede di avvelenare, o almeno ammaliare, il principe russo. L’ebreo prova un odio talmente intenso verso i cristiani che sacrificherebbe la vita di Rachil’ piuttosto che permettere il trionfo dell’amore della figlia per un cristiano. Le voci dei due personaggi sono verosimili, ma non originali: le parole di Scharija alla figlia ricordano quelle del Barabba di Marlowe.62 Nei drammi, dunque, Kukol’nik mette in scena assurde fantasie riscrivendo la storia russa e il ruolo in essa giocato dagli ebrei, che ora portano i tratti di pericolosi eretici. Con questa pièce, che ottiene scarsa fortuna di pubblico, il drammaturgo prepara il terreno, nel futuro regno di Alessandro II, alla reazione aspramente antiebraica fondata su un modello giudeofobo precostituito. Il “žid” di trecentocinquant’anni prima presentato 59. Kunitz, Russian literature and the Jew, p. 28. 60. Ibidem, p. 29. 61. Kukol’nik, Sočinenija dramatičeskie, II, p. 332. 62. Kunitz, Russian literature and the Jew, p. 31.

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da Kukol’nik è un problema contingente: un nemico vivo e vegeto che dall’interno ordisce un complotto volto a disgregare l’Impero, abbatterne i valori e sottomettere i russi.63 Ancor più rilevante nella strutturazione e diffusione del mito del “žid” a capo del complotto contro la Russia e l’intero mondo cristiano è la povest’ di Bulgarin intitolata Esterka (1828): episodi del trecento polacco servono ora a spiegare gli eventi della storia più recente – come ad esempio le campagne napoleoniche. Nel capitolo intitolato Sanchedrin (Sinedrio) Bulgarin descrive un incontro misterioso tra un delegato del Papa e un rabbino polacco, e poi una riunione segreta del Sinedrio. Chiamato a grandi lettere kahal, il Sinedrio discute del futuro di Esterka, la compagna ebrea del re polacco Kazimir, e dei loro figli. La descrizione della riunione è molto dettagliata e ricca di particolari. L’atmosfera ricorda la futura «scena, dal Giuseppe Balsamo di Dumas (del 1849) in cui si descrive l’incontro tra Cagliostro, capo dei Superiori Sconosciuti, e altri illuminati».64 L’incontro avviene nel folto di un bosco, in un posto segreto, «un tugurio di pescatori, dove solo in casi eccezionali si riuniva il terribile tribunale ebraico, il Sinedrio».65 Sulle pareti del tugurio sono appesi panni neri assieme a tessuti bianchi su cui sono impressi i capitoli del Talmud, mentre su un grande tavolo coperto con un panno nero sono posti due grandi candelabri. Assieme al rabbino ci sono 23 individui, ognuno con il proprio Talmud. Gli ebrei sono stati convocati per giudicare secondo la Legge mosaica Esterka, accusata di aver disubbidito al Sinedrio, di non aver osservato la Torah, la Legge, e l’intera fede mosaica, e infine del reato più terribile di tutti: di aver somministrato un’educazione cristiana ai figli. Il rabbino, dopo una lunga sentenza seguita da una maledizione, emette la condanna a morte. A differenza che nelle altre opere sinora osservate, in Esterka l’autore sposta al Medioevo polacco il cronotopo del potente kahal ebraico e del suo tribunale, il beth din (cioè gli oggetti dei futuri progetti di riforma degli uomini di governo di Nicola I). Esclusivamente mediato dalla tradizione popolare è invece il “žid” di V.I. Dal’ in Skazka pro žida vorovatogo, pro cigana borodatogo (La favola dell’ebreo disonesto e dello zingaro barbuto, 1835). In questa favola il grande linguista sintetizza l’impossibilità di dipingere un ebreo positivo e la volontà di raffigurare un personaggio da sbeffeggiare e additare al 63. Levitina, Russkij teatr i evrei, I, pp. 37-38. 64. Eco, Protocolli Fittizi, p. 168. 65. Bulgarin, Esterka, p. 100.

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pubblico ludibrio, miscelando tradizione popolare e disprezzo personale. Il “žid” Icka è un personaggio che non costituisce alcun pericolo per la Russia: goffo, insignificante, inerme, poco dotato intellettualmente ed economicamente, è umiliato, schernito, irriso,66 e provoca nel russo riso piuttosto che disprezzo. I riferimenti alla vita e alla lingua degli ebrei della čpo – rappresentazioni fondate da Dal’, oltre che sulla tradizione, anche sulla conoscenza diretta – dimostrano l’allontanamento dai modelli occidentali e la riproduzione, attraverso lo stile personale, dell’atmosfera di quel particolare “microverso multiculturale del mestečko-shtetl”. Il “žid” è vittima di uno zingaro e del suo servo ucraino, abbocca a qualsiasi tranello e viene ripetutamente imbrogliato; buffo, impacciato, infinitamente comico, è percosso dal servo Ivan. Le violenze del “malvagio” contadino russo nei confronti del “povero” ebreo divengono immagini grottesche e allo stesso tempo catartiche che, attraverso le pagine del racconto, agiscono sul pubblico in una sorta di pogrom letterario. L’autore stesso, desiderando il castigo del “žid”, si preoccupa di informare il lettore sulla varietà di modi per torturare l’ebreo.67 Un pogrom virtuale che, unito al pregiudizio antigiudaico, all’antitalmudismo e alla kahalofobia, anticipa le violenze antiebraiche dei decenni a venire.68 Dunque, già dagli anni quaranta il “žid” è una creatura composita, poliprospettica, fondata su una serie di modelli antiebraici ormai digeriti e ricodificati nella letteratura e, più in generale, nella cultura russa. A partire dal regno di Alessandro II la letteratura sarà minacciata da una lenta deriva verso il giornalismo delle riviste, la “publicistika”:69 stessa sorte toccherà al “žid” dei romanzi russi, ormai oggetto della discussione pubblica della questione ebraica avvenuta sulle pagine delle riviste.

66. Katz, Faddej Bulgarin’s Polish Jews, p. 414. 67. Kunitz, Russian literature and the Jew, p. 45. 68. Cfr. Klier, Unravelling of the Conspiracy Theory, pp. 87-89. 69. Bonamour, Turgenev, p. 661.

3. La giudeofobia russa

Non spargere calunnie riguardo al prossimo. Lev. 19:16

1. Tra giudeofilia e giudeofobia: “žid” e polemiche letterarie La discussione pubblica della questione ebraica Nell’Ottocento russo l’uso del termine “žid” come elemento centrale della questione ebraica costituisce un problema rilevante, alla base di dibattiti e polemiche di vaste proporzioni. Durante il regno di Nicola I tuttavia tali dibattiti sono inibiti: sulle pagine della pubblicistica e più genericamente della letteratura è vietato discutere di questioni che hanno per oggetto i realia della società, inclusa la questione ebraica. Quando si parla di mondo ebraico, l’immagine presentata è quasi sempre artefatta e basata su stereotipi negativi. Di questo per la prima volta si parla negli articoli del 1848 su «Odesskij Vestnik» e «Illjustracija», che nel loro approccio controcorrente alla questione ebraica sono l’eccezione che conferma la regola. Nell’articolo Po slučaju dobrogo slova (In occasione di una buona parola),1 O.A. Rabinovič loda un giornalista dell’«Illjustracija» che in Prežnee i nynešnee položenie evreev (La condizione precedente e attuale degli ebrei)2 non ha offeso o diffamato gli ebrei con le accuse preconfezionate di perfidia, avarizia, viltà, fanatismo. Il giornalista dell’«Illjustracija», sottolinea Rabinovič, ha descritto gli ebrei con equità, magnanimità, umanità, con toni compassionevoli, e alla fine scrive apertamente che i ritratti degli ebrei abbozzati dagli scrittori russi [fino a quel momento] non sono per niente veritieri e – oltre al fatto che le mancanze e i difetti rimproverati 1. «Odesskij Vestnik», 34 (28/IV/1848). 2. «Illjustracija», 12 (1848).

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da sempre a questo popolo non sono stati per nulla dimostrati – che [il popolo ebraico] possiede persino particolari virtù nazionali e, con l’avanzare dei secoli, è stato capace, al pari di tutti i popoli colti, di cose grandi e belle.3

Sulla scia dell’articolo dell’«Illjustracija», dopo aver lodato il governo per l’attenzione prestata alla questione ebraica, Rabinovič accusa gli scrittori russi «di infamare, deridere, umiliare gli ebrei, di rimproverarli per crimini e difetti inesistenti, e di mettere in scena personaggi ripugnanti per rappresentare un intero popolo»4 al solo scopo di dimostrare che gli ebrei sono incapaci di miglioramenti, dunque reietti che non meritano di essere uguali agli altri sudditi. Il discorso di Rabinovič evidenzia da una parte la posizione del Komitet di Kiselёv – le generiche “autorità” cui si riferisce l’autore – che, operando in favore della popolazione ebraica, realizza persino l’abolizione del kahal,5 dall’altra l’atteggiamento manifesto di autori russi generalmente giudeofobi che, noncuranti dei realia russo-ebraici e dell’azione governativa, dipingono l’ebreo con i tratti di un mitico “žid”. Dunque, l’atteggiamento della letteratura russa nei confronti dell’ebreo, continua l’autore, si muove in due distinte direzioni: il “žid” compare da una parte come caricatura stereotipica di un ebreo artificiale, dall’altra come immagine denigratoria di un ebreo reale, cioè conosciuto di persona dallo scrittore di turno. Rabinovič rileva che il modello infamante di questo “žid” prodotto dalla letteratura è penetrato così profondamente nell’immaginario del pubblico russo da rendere gli ebrei reali uguali ai personaggi letterari. L’articolo pubblicato sulle pagine di «Illjustracija», mostrando in modo inconsueto simpatia verso gli ebrei, fa gioire Rabinovič: l’uso esclusivo di “evrej” da una parte rompe con lo sprezzante “žid” e con tutti i significati negativi che il termine porta alla mente (battere falsa moneta, contrabbandare, ubriacare contadini e popolino, mediare tra diverse parti sociali e gestire il patrimonio dei nobili possessori terrieri), e dall’altra, rivolgendosi in modo umano agli ebrei, li ammette in modo insolito a go3. Rabinovič, Po slučaju dobrogo slova. 4. Ibidem. 5. Cfr. Cifariello, Ebrei e “zona di residenza”, p. 88. Anche se dal 1835 Nicola I stabilisce ufficialmente la čpo, formalizzando le precedenti restrizioni sulla residenza ebraica, gli ufficiali illuminati del Komitet vedono la soluzione della questione ebraica – come delle altre questioni dell’Impero – sotto un’ottica diversa da quella dell’autocrate e della letteratura russa. Sono proprio questi intellettuali a preparare il terreno per la realizzazione delle grandi riforme dell’era di Alessandro II, inclusa l’abolizione, il 19 febbraio 1861, della servitù della gleba.

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dere dei diritti garantiti a tutti gli altri sudditi. Rabinovič, dunque, in tempi non sospetti, definisce la dicotomia tra “žid” ed “evrej”, mostra l’esistenza di un’idea giudeofoba in fieri, evidenzia la percezione della giudeofobia da parte della nascente “intelligencija russo-ebraica” e l’assenza della medesima percezione nella maggior parte degli scrittori russi dell’epoca, giudeo­fobi congeniti. Con la morte di Nicola I e l’avvicendamento al trono di Alessandro II si apre una nuova fase della storia russa: l’epoca delle grandi riforme. Nella prima parte del regno di Alessandro II, grazie all’allentamento delle maglie della censura e, di conseguenza, a una maggiore libertà di stampa, alla società civile è permesso discutere pubblicamente di questioni in precedenza tabù, tra cui la questione dei servi della gleba (“risolta” con la riforma del 19 febbraio 1861) e la questione ebraica.6 Pertanto, proprio attraverso tale dibattito, il governo coinvolge l’opinione pubblica nella ricerca dei mali della società e di adeguate soluzioni. In particolare, dibattere apertamente di questione ebraica permette non solo al pubblico russo di approfondire la conoscenza degli ebrei, ma soprattutto al governo di ottenere un riscontro alle proprie politiche volte, almeno nelle intenzioni, alla modernizzazione e all’emancipazione degli ebrei.7 Una serie di riviste russe, tra cui «Russkij Vestnik», «Russkij Invalid», «Sovremennik», s’interessa di questione ebraica.8 Inoltre, fino al 1859 sulle pagine dell’«Odesskij Vestnik» partecipano attivamente alla discussione pubblica della questione ebraica i maskilim ebrei, incluso lo stesso Rabinovič. Tutto comincia proprio con l’articolo di Rabinovič sull’«Odesskij Vestnik» intitolato O Moškach i Jos’kach (Sui Moška e gli Jos’ka, 1858).9 Oggetto dell’articolo è nuovamente la tipologia diffamatoria dell’ebreo della letteratura russa. Rabinovič invita gli ebrei dell’Impero a evitare “žid”, d’uso tradizionale nelle terre polacche, e sfruttare “evrej”, alternativa lessicale “propria” della lingua russa. L’autore ricorda poi che nel Medioevo la Szlachta polacca, da cui dipendevano economicamente gli ebrei, usava chiamarli con diminutivi e soprannomi simili a quelli conferiti agli animali domestici. Secondo Rabinovič è necessario abolire l’uso terminologico prettamente medievale, proveniente dalle terre polacche, di storpiare il nome degli ebrei, perché le offensive storpiature 6. Cfr. Klier, 1855-1894, Censorship of the Press; Klier, Imperial Russia’s Jewish question, pp. XV-XVII. 7. Ibidem, p. XIV. 8. Cavaion, Memoria e poesia, p. 30. 9. «Odesskij Vestnik», 10 (25/I/1858).

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onomastiche sono «il simbolo della sottomissione degli ebrei e una manifestazione di violenza nei loro confronti».10 In questo periodo alcuni importanti eventi segnano la storia della pubblicistica russa: l’esplosione, nel 1858, della polemica intorno ai feuilleton di V.R. Zotov, che scatena una protesta letteraria collettiva sottoscritta dalle penne più celebri di Russia; la nascita, nel 1860, della prima rivista in russo diretta dall’“intelligencija russo-ebraica”, cioè «Razsvet»; lo scoppio, nel 1861, di una diatriba giornalistica, tra la rivista russo-ebraica «Sion» e la rivista ucrainofila «Osnova». Il caso «Illjustracija» Nel giugno del 1858 sulle pagine di «Illjustracija» compare un feuilleton dal sapore aspramente antiebraico. Come reazione alla pubblicazione del feuilleton esplode una polemica contro la rivista,11 condotta da diversi periodici, che culmina nella prima grande protesta collettiva della letteratura contro un giornale. Firmandosi Znakomyj Čelovek per mantenere l’anonimità Zotov attacca l’ebreo russo E.G. Gincburg, cioè il futuro banchiere e fondatore della Borsa di Pietroburgo, arricchitosi grazie ai profitti derivati dalla riscossione delle accise sull’alcol.12 Per l’autore il ricco Gincburg, ritratto dalla stampa francese come un generoso filantropo, le cui fortune purtuttavia hanno un’origine avvolta nel mistero, messi da parte kippah, peot e tallit, si è trasferito a Parigi, si veste all’occidentale ed è diventato un mecenate. Zotov usa come modello Gincburg per condannare l’intero mondo ebraico. Il «Russkij Invalid»13 allora biasima «Illjustracija»: con la condanna generica di tutti gli ebrei Zotov in realtà ricodifica il celebre topos antigiudaico “la colpa di uno ricada su tutti”. Al contrario l’anonimo giornalista del «Russkij Invalid» non condanna nessuno, ma propone, come soluzione ai problemi derivati dalla questione ebraica, di estendere i diritti civili a tutti gli ebrei, capaci di profonda raffinatezza intellettuale, e dunque meritevoli di pari diritti e dignità. Nei confronti degli ebrei è inoltre necessario abbandonare l’umiliante “žid”, termine associato proprio a “privazione dei diritti”. In difesa della dignità di Gincburg il pubblicista rimanda alla lettu10. Salmon, L’antroponimia russa, p. 54. 11. Cfr. Sviristelev, Pis’mo iz provincii; Klier, The Illiustratsiia Affair; Serbyn, Ukrainian Writers on the Jewish Question; Klier, Imperial Russia’s Jewish question, pp. 51-65. 12. «Illjustracija», 25 (26/VI/1858). 13. «Russkij Invalid», 168 (3/VIII/1858).

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ra dell’«Odesskij Vestnik», in cui compare l’elenco delle azioni positive e caritatevoli del ricco ebreo. Nell’immediata replica14 Zotov, con un pretenzioso discorso storicofilologico, presenta “žid” come l’unico appellativo appropriato per gli ebrei russi per il fatto che, completamente differenti dai “confratelli” occidentali, sono indegni di emancipazione. Condicio sine qua non per abolire l’uso dell’etnonimo è per Zotov l’abbandono delle superstizioni della religione e soprattutto del Talmud. Proprio il Talmud, scrive l’autore, ha reso gli ebrei padroni del mondo e permette loro di derubare, opprimere, sottomettere gli altri popoli della terra. Inoltre nella čpo, ricorda Zotov, gli ebrei gestiscono taverne, amministrano terreni, strade e ponti delle proprietà nobiliari, sono dunque intermediari tra Szlachta e contadini, ubriacano questi ultimi, provocano inimicizia tra i vari strati sociali, praticano l’usura, e in tempo di guerra rifiutano l’uso delle armi e contemporaneamente cercano il massimo profitto. Zotov osserva che, con il miglioramento delle condizioni di vita, l’arricchimento e l’accesso all’alta società, l’istanza degli ebrei di non esser più chiamati “židy” può essere accolta solo se: il “žid” in carne e ossa accetta i principi dell’Illuminismo – in questo riecheggiando Karamzin –, sviluppa morale e sentimenti della restante umanità, si assimila realmente alla società. In questo modo, conclude Zotov, l’ebreo può dunque essere equiparato per diritti e doveri a tutti gli altri sudditi. A Zotov rispondono indignati diversi intellettuali. Oltre ai feuilleton di F.N. Berёzkin15 e P.M. Ljakub16 sull’«Odesskij Vestnik», appaiono gli articoli “Illjustracija” i vopros o rasširenii graždanskich prav evreev («Illjustracija» e la questione dell’ampliamento dei diritti civili degli ebrei) di I.A. Čackin17 e Russkie evrei. Po povodu stat’i o nich v “Illjustracii” (Gli ebrei russi. A proposito dell’articolo che li riguarda pubblicato in «Illjustracija») di M.I. Gorvic.18 Čackin e Gorvic esaminano l’uso retorico della classica formula antigiudaica, per cui le azioni e i vizi del singolo ebreo – in questo caso Gincburg – rappresentano il comportamento dell’intero popolo ebraico. A differenza di Zotov, per Gorvic è impossibile distinguere nettamente “evrej” da “žid”, che non è un autonimo ma un eteronimo. Čackin invece sostiene che Zotov è mosso dallo stesso fanatismo che ha prodotto 14. «Illjustracija», 35 (4/IX/1858). 15. «Odesskij Vestnik», 117 (18/X/1858). 16. «Odesskij Vestnik», 139 (11/XII/1858). 17. «Russkij Vestnik», 17 (IX/1858). 18. «Atenej», V, 42 (IX-X/1858).

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la notte di S. Bartolomeo e i roghi dell’Inquisizione spagnola. Zotov, afferma Čackin, non può giustificare l’uso di “žid” perché nel corso della storia il termine è degenerato acquisendo varie sfumature semantiche vergognose e ingiuriose – tra cui quella classica di “usuraio” –, perdendo quindi il generico significato di “ebreo” e divenendo un vero e proprio insulto. Perciò secondo Čackin non si può risolvere la questione con le proposte di Zotov: l’uguaglianza e l’estensione dei diritti civili anche agli ebrei non passano per l’Illuminismo, ma per lo spirito umanitario (“čelovečnost”). Nel controbattere a queste argomentazioni e nel proseguire la polemica sulle pagine del giornale,19 Zotov scrive che i due pubblicisti – che chiama “rebe” – sono diventati agenti di Gincburg «che non lesina oro per la gloria del proprio nome».20 Difendendosi dall’accusa di antigiudaismo l’autore afferma di insorgere non contro un’intera nazione ma esclusivamente nei confronti di quei rappresentanti che ne disonorano il nome, cioè «gli sporchi e disonesti židy» della čpo che, nei panni di contrabbandieri «con fisionomie da bricconi, girando ovunque nella regione occidentale della Russia [la čpo], provocano angoscia e sconforto».21 L’accezione negativa di “žid”, conclude Zotov, è dovuta agli inconfutabili difetti degli ebrei che con insistenza chiedono diritti e allo stesso tempo «vogliono rimanere incalliti talmudisti e si permettono di chiamare i cristiani goim».22 A questo punto sulle pagine di «Sankt-Peterburgskie Vedomosti», «Russkij Vestnik» e «Moskovskie Vedomosti» esplode la prima protesta letteraria collettiva della storia della letteratura russa. L’inconsueta reazione è provocata non solo dall’accusa a Čackin e Gorvic di essere agenti di Gincburg, ma soprattutto dall’accostamento al nome degli intellettuali ebrei dell’appellativo “reb”, inteso con il significato di “maschio adulto di una comunità ebraica tradizionale” e percepito, se rivolto a maskilim perfettamente integrati, come un vero e proprio oltraggio. Il lessico “offensivo” serve infatti a ipotizzare l’esistenza di uno stretto legame tra i due intellettuali e i mitnagdim – la cui morale è corrotta dai nocivi precetti del Talmud – o i chassidim – che sono l’archetipo dell’ignorante “žid” della čpo. L’uso del termine “reb” è dunque per metonimia possibile nei confronti delle masse ebraiche, ma diviene sprezzante se rivolto a ebrei acculturati.23 Manifesto della protesta collettiva 19. «Illjustracija», 42; 43; 44 (23/X; 30/X; 6/XI/1858). 20. «Illjustracija», 44 (6/XI/1858). 21. «Illjustracija», 43 (30/X/1858). 22. Ibidem. 23. Klier, Imperial Russia’s Jewish question, p. 62.

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è la lettera pubblicata sul «Russkij Vestnik»24 e firmata da quarantotto penne, a cui sempre nello stesso numero se ne aggiungono altre novantanove. Seguono poi: una lettera individuale di Turgenev; una lettera collettiva degli intellettuali ucrainofili P.A. Kuliš, M. Vovčok (M.A. Vilinskaja), N.I. Kostomarov, M. Nomis (M.T. Simonov), e T.G. Ševčenko. Con quest’ultimo documento l’“intelligencija ucrainofila” vorrebbe siglare la pace definitiva tra l’Ucraina e gli ebrei della čpo. Gli ucraini scrivono, infatti, che per molti secoli negli ex territori polacchi gli ebrei sono stati chiamati “scellerati”, “traditori”, “truffatori”, “nemici di Dio e del genere umano”. La società civile e il governo delle terre ucraine nel corso della storia hanno manifestato il proprio sdegno verso gli ebrei non limitandosi alle parole ma arrivando ai fatti: gli ebrei potevano esser semplicemente esiliati oppure, peggio, erano uccisi come bestie, nei modi più orribili – affogati, impiccati, arsi vivi, e così via.25 Secondo i pubblicisti ucraini la questione ebraica non può esser risolta attraverso la persecuzione fanatica tipica dei russi, e neppure attraverso l’apostasia degli ebrei russificati, ma grazie all’applicazione del principio dell’autodeterminazione dei popoli. In questo modo secondo gli intellettuali ucraini gli ebrei possono costituire parte integrante di un’ipotetica futura nazione ucraina multietnica e pluriconfessionale in un Impero russo plurinazionale guidato dall’autocrate. Eppure, contravvenendo ai principi appena espressi, a distanza di tre anni dalla pubblicazione della lettera, l’“intelligencija ucrainofila” partecipa a una nuova polemica, questa volta proprio contro gli intellettuali ebrei.26 La polemica tra «Osnova» e «Sion» In seguito alle posizioni ambigue assunte da «Odesskij Vestnik» sulla questione ebraica,27 il 26 maggio 1860 l’“intelligencija russo-ebraica” fonda la prima rivista ebraica in russo: «Rassvet». La rivista, diretta dallo stesso Rabinovič e da I. Tarnopol’, ha vita brevissima e chiude dopo un anno. Tuttavia l’“intelligencija russo-ebraica” continua l’esperienza di «Rassvet» in un nuovo periodico, d’indirizzo politico-culturale, chiamato 24. «Russkij Vestnik», 18 (XI/1858). 25. Kostomarov, Kuliš, Nomis, Ševčenko, Vovčok, Do redakciji žurnalu «Russkij Vestnik», p. 222. 26. Cfr. Polemičeskij slučaj s «Osnovoj» i «Sionom», in «Vremja», 12 (XII/1861); Serbyn, Sion-Osnova Controversy; Klier, Imperial Russia’s Jewish question, pp. 102-123. 27. Cavaion, Memoria e poesia, pp. 30.

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«Sion» e diretto da L. Pinsker e E. Solovejčik.28 Anche la vita di «Sion» è molto breve – dura un anno, dal 7 luglio 1861 al 27 aprile 1862. La rivista sin da subito s’interessa all’argomento “žid e letteratura russa”: nel primo numero, infatti, comincia una serie a feuilleton – mai terminata – di A. Gatcuk intitolata Evrej v russkoj istorii i poezii (L’ebreo nella storia e nella poesia della Russia).29 Inoltre il giornale nel corso della sua esistenza cerca di definire i concetti di “sbliženie” – nel senso di accettabile riavvicinamento, integrazione, ovvero l’acquisizione da parte degli ebrei degli stessi diritti e doveri delle altre nazionalità dell’Impero russo – e “slijanie” – nel senso di inaccettabile assimilazione, russificazione, ovvero la cancellazione del proprio passato nazionale. Infine, a differenza di «Rassvet», «Sion», conduce una diatriba giornalistica con gli intellettuali ucrainofili di «Osnova» fino alla fine dei suoi giorni. Le riforme di Alessandro II risvegliano le aspirazioni nazionalistiche delle varie etnie dell’Impero. Se da una parte con «Sion» gli intellettuali ebrei propongono l’integrazione come processo su cui fondare una rinascita nazionale ebraica all’interno della Russia, con «Osnova» gli intellettuali ucraini vogliono far valere il diritto di sviluppare una cultura ucraina nazionale, non in senso separatista ma come parte della cultura imperiale. Nel mensile, pubblicato a Pietroburgo dal gennaio 1861 al settembre 1862 in russo e in ucraino, gli intellettuali operano alla riscoperta del passato, delle tradizioni, della cultura della Piccola Russia – incluso l’uso linguistico degli eteronimi tradizionali: “moskal’” per russo, “liakh” per polacco, “nimets’” per tedesco e “žyd” per ebreo. Nella rivista si rimarca che la maggior parte degli ebrei russi, che popolano le terre della čpo, Ucraina inclusa, costituiscono il fondamentale motore dell’economia regionale; tuttavia la tendenza degli ebrei a integrare usi, costumi e lingua della Russia è sentita dagli ucrainofili come una «minaccia alla rinascita nazionale ucraina».30 Nel giugno 1861 «Osnova»31 pubblica una lettera anonima seguita da un articolo di P.A. Kuliš. Nella lettera V.O. Portugalov,32 offeso dal frequente uso di “žid”, afferma che il termine è l’epiteto peggiore con cui insultare un ebreo. Ebbene, secondo Portugalov “žid” ha perso le caratteristiche 28. Cfr. Klier, Imperial Russia’s Jewish question, pp. 102-123. 29. Gatcuk, Evrei v russkoj istorii i poezii. 30. Serbyn, The Sion-Osnova Controversy of 1861-1862, p. 85. 31. «Osnova», 6 (VI/1861), pp. 134-142. 32. Klier, Zhid: Biography, p. 9; Serbyn, The Sion-Osnova Controversy of 1861-1862, pp. 85-87.

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dell’etnonimo divenendo una parola offensiva usata verso gli appartenenti a qualsiasi confessione religiosa e a qualunque strato della società: difatti ai tempi degli studi universitari a Char’kov, Kiev e Kazan’, ricorda Portugalov, i compagni destinavano il termine esclusivamente a ladri (“pluty”) e truffatori (“mošenniki”). Tuttavia Portugalov, che scrive la lettera in russo, non specifica – forse intenzionalmente – se si riferisca all’ucraino “žyd” oppure al russo “žid”. Sebbene con una pronuncia leggermente diversa, all’epoca i due termini si scrivevano con gli stessi grafemi dell’alfabeto cirillico. Portugalov però non si limita al lessico, e nella lettera va ben oltre: accusa «Osnova» di voler risvegliare l’ostilità antiebraica dei secoli bui del Medioevo e, dunque, riportare la nazione ucraina ai tempi di Bohdan Chmel’nyc’kyj, cioè quando i cosacchi sterminarono mezzo milione d’ebrei. A differenza della redazione di «Osnova», conclude Portugalov, negli ultimi anni gli studenti delle università russe hanno imparato a riconoscerli come evrei e a non bollarli con “žid”, termine maggiormente offensivo. Di conseguenza le espressioni “žid, židova”, e simili, non producono ora quell’effetto che producevano ai tempi di Faddej Venediktovič Bulgarin e compagnia.33

In Nedorazumenie po povodu slova “žid” (Equivoco a proposito della parola “žid”),34 articolo in risposta a Portugalov, Kuliš rigetta le accuse di odio antiebraico, e sostiene che gli episodi del Medioevo, Chmel’nyc’kyj incluso, appaiono come «sintomi di un organismo sociale ammalato».35 Anche se non è mai ricorso a “žid”, dice Kuliš, ne giustifica l’uso perché è l’unica parola adottata nella lingua popolare ucraina, e perfino da Ševčenko, per denominare l’ebreo. Per il pubblicista il termine, giunto dalla Polonia in Ucraina assieme alla popolazione ebraica – e dagli ebrei polacchi ancora usato come autonimo –, non ha nessun senso offensivo, può essere accostato al tedesco “Jude” e al francese “juif” e utilizzato senza doppi fini perché «una rosa rimane sempre una rosa comunque la si chiami».36 Kuliš riconosce l’esistenza di un sentimento ostile della popolazione ucraina nei confronti degli ebrei, ma aggiunge poi che “žid” non è espressione di tale sentimento e che la colpa non è degli ucraini: «la parola žid, che nelle loro [del popolo] bocche indica una persona che il popolo non tiene in gran conto, rappresenta 33. «Osnova», 6 (VI/1861), pp. 134-136. 34. Ibidem, pp. 136-142. 35. Ibidem, p. 136. 36. Ibidem, p. 139.

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una certa tipologia morale [di persona] che non suscita verso di sé alcuna particolare disposizione».37 A questo punto l’autore, non limitandosi all’etimologia della parola, prende come esempio una canzone popolare ucraina sugli ebrei – apparsa alcuni anni prima in un’altra opera38 – per accusarli di aver sfruttato in vario modo nel corso della storia il popolo ucraino:39 […] / Gli ebrei eran locatori / Affittavano tutte le strade cosacche, / Cosicché per ogni miglio, / Mettevan tre taverne, / Cioè mettevan taverne fino alle vallate, / Piantavan pali sugli alti tumuli. / E ancora gli ebrei-locatori / Non si fermavano qui: / Nella gloriosa Ucraina tutti i mercati cosacchi аffittavano / E tasse su tasse riscuotevano: / Da quello con un carro / Una mezza moneta d’oro, / Da quello appiedato / Un dazio di tre quarti di copeco prendevan, / Dal povero vecchio / Le galline e le uova prendevan, / E poi ancora chiedevano: / “Non è che ce ancora qualcos’altro, gattino mio?” / E ancora gli ebrei-locatori / Non la finivano qui: / Nella gloriosa Ucraina tutte le chiese cosacche affittavan: / A qualunque cosacco, o contadino, a cui nascevan figli, / Non serviva andar dal pope per la benedizione, / Ma dall’ebreo-locatore, a porgergli una moneta da tre copechi, / Per farsi aprire le porte della chiesa / E battezzare i figli. / A qualunque cosacco, o contadino, i cui i figli si dovevan sposare, / Non serviva andar dal pope per la benedizione, / Ma dall’ebreo-locatore, a porgergli un tallero cesellato, / Per farsi aprire le porte della chiesa, / dove far sposare i figli. / E ancora gli ebrei-locatori / Non la finivano qui: / Nella gloriosa Ucraina affittavano tutti i fiumi cosacchi: / Per primo il Samara, / Per secondo il Saksahan, / Per terzo il Hnyla, / Per quarto il Probijnja, / Per quinto il Kudeska. / Se qualche cosacco, o contadino, desiderava pescare, / Per sfamare moglie e figli: / Non doveva andar dal pope per la benedizione, / Ma dall’ebreo-locatore, a dargliene una parte, / Per pescare nel fiume, / E col pesce sfamare moglie e figli.40

La canzone è pubblicata allo scopo di elencare, attraverso le parole della tradizione popolare, tutti quei privilegi dell’ebreo-intermediario che nel corso della storia lo hanno reso inviso alla popolazione ucraina. Per Kuliš quindi la reputazione degli ebrei non è legata al nome, ma al comportamento nei secoli. Dunque, scrive il pubblicista, se i rapporti sono condizionati dal comportamento – l’isolamento dal resto della popolazione, l’indifferenza al 37. Ibidem. 38. Kuliš, Zapiski o Južnoj Rusi, I, p. 58. 39. La canzone popolare ucraina riecheggia i motivi che Gogol’ pone alla base delle violenze antiebraiche secentesche nel suo Taras Bul’ba (Gogol’, Taras Bul’ba, pp. 370-372). 40. «Osnova», 6 (VI/1861), pp. 140-141.

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suo destino –, ci sarà sempre incomprensione. L’incomprensione ebraicoucraina non può esser risolta, conclude l’autore, con l’integrazione basata sull’acquisizione di lingua e costumi russi, bensì con «la mutua integrazione [tra ucraini ed ebrei], l’istruzione, il cambiamento di quegli atteggiamenti nocivi della società, cioè in poche parole la causa a cui […] possono consacrarsi le persone che desiderano servire il proprio popolo».41 Questa lettera ravviva la rabbia mai sopita dell’“intelligencija russoebraica” di «Sion», manifestatasi già all’epoca della polemica contro Zotov. Nell’articolo «Osnova» i vopros o nacional’nostjach («Osnova» e la questione delle nazionalità)42 gli intellettuali ebrei tentano, senza successo, di montare una nuova protesta letteraria collettiva. Il giornalista, dopo aver analizzato le sfumature linguistiche nell’uso terminologico, conclude che se nelle altre lingue dove non esiste alternativa a “žid” il termine deve essere accettato senza riserve, il russo “žid” è invece una parola del prostorečie, il lessico popolare, mentre l’alternativo “evrej” costituisce un termine del lessico ufficiale-burocratico. Tuttavia la rabbia di «Sion» esplode non nella questione linguistica, ma in quella patriottica: il ruolo degli ebrei in Ucraina. L’intellettuale di «Sion» scrive infatti che, riguardo all’abilità di unire gli interessi nazionali a quelli di patria, dell’umanità o dell’intero mondo, gli ebrei possono servire da esempio per moltissimi popoli. Lo diciamo senza temere di attirarci addosso l’accusa di superbia, perché attribuiamo questa nostra caratteristica non al nostro merito personale, ma al destino che ci ha concesso la storia, cioè a quel destino che possiamo chiamare buono solo in base al detto che bastone e pane fanno i figli belli. Osservate l’ebreo istruito: egli è un ebreo, e considera fratelli per fede e per origine gli ebrei di tutti i paesi; lui insieme ai [fratelli] russi, o francesi, o inglesi, e di altre nazionalità, è pronto a sacrificare tutto per gli interessi della propria patria; è tuttavia anche un cosmopolita e quando la questione non riguarda interessi religiosi o di patria, per lui tutti gli uomini indistintamente gli sono prossimi.43

Dunque, Kuliš sbaglia ad attaccare gli ebrei: a differenza degli ebrei – inclusa l’“intelligencija russo-ebraica” di «Sion» – che possiedono un punto di vista cosmopolita, secondo il giornalista di «Sion» gli editori ucrainofili di «Osnova» non si preoccupano di tutte le etnie dell’Impero 41. Ibidem, p. 141. 42. «Sion», 10 (10/IX/1861), pp. 158-161. 43. Ibidem, p. 160.

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russo ma solo della popolazione ucraina, e invece di produrre testi in una lingua comune a tutti i sudditi dell’Impero – cioè il russo – producono una letteratura in lingua ucraina di parte, rivolta esclusivamente alla componente piccolo-russa. «Osnova» pronunzia giudizi negativi sulle peculiarità secolari degli ebrei e allo stesso tempo fa risaltare le peculiarità culturali e linguistiche degli ucraini. Scrive dunque il giornalista di «Sion» che, a differenza degli ucraini, se gli ebrei devono rinunciare alle proprie particolarità nazionali, «sarà in favore di un insieme [l’Impero russo], e non invece esclusivamente di una qualsiasi sua parte [l’Ucraina]».44 Insomma, l’accusa che «Sion» muove a «Osnova» sembra quasi una denuncia alle autorità russe di “propaganda separatista”. La polemica tra «Sion» e «Osnova» a questo punto si fa rovente, è un continuo botta e risposta che, a differenza dei fatti del 1858, non muove alcuna protesta letteraria collettiva – come chiede a gran voce «Sion» –, bensì genera due fronti distinti a sostegno di una o dell’altra posizione.45 Così il «Russkij Vestnik» di M.N. Katkov parteggia per «Sion» perché «in Russia un ebreo è ancora un ebreo, ma vuol diventare russo»,46 oppure «Severnaja Pčela» del defunto Bulgarin si schiera con «Osnova» in difesa della letteratura, dell’arte, della musica e della lingua ucraina.47 Nel dibattito fa sentire la propria voce anche lo storico ucraino N.I. Kostomarov, che, proprio dalle pagine di «Osnova», in Iudejam. Ob’’jasnenie po povodu slova “žid” (Ai giudei. Spiegazione a proposito della parola “žid”),48 taglia la testa al toro proponendo ironicamente al posto degli etnonimi “evrej” e “žid” il termine dotto “iudej”. L’ironia di Kostomarov è evidente persino quando presenta il modo in cui è nata la discussione tra le riviste, che riporta al celebre litigio gogoliano tra Ivan Nikiforovič e Ivan Ivanovič. Tuttavia, Kostomarov, che non cerca la riappacificazione tra le parti, facendosi serio e vicino alle posizioni di Kuliš, sostiene che gli ebrei sono indifferenti alla storia dell’Ucraina e ripropone l’immagine storica degli ebrei agenti intermediari della nobiltà polacca che sfruttano il popolo ucraino. Gli ebrei, secondo Kostomarov, sono «una nazione estranea, […] dannosa nel momento in cui, sfruttando le circostanze di quel paese [in cui vive], afferra un qualunque ramo dell’azione sociale e contemporaneamente conserva in modo peculiare obiettivi e 44. Ibidem, p. 160-161. 45. Ibidem, pp. 94-95. 46. Katkov, Kakoj byvaet vred ot monopolii?, p. 48. 47. Naši žurnaly. Vremja i Osnova, p. 174. 48. «Osnova», 1 (I/1862), pp. 38-58.

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aspirazioni».49 La polemica tra le due riviste – interessate più a vincere la battaglia personale che a stabilire verità storiche50 – prosegue fino alla chiusura definitiva di «Sion»: nell’ultimo numero la redazione annuncia la sospensione delle pubblicazioni perché, in seguito all’intervento del censore di Odessa, è divenuto impossibile per la stampa ebraica confutare i bassi attacchi della pubblicistica russa contro gli ebrei.51 2. Dal “židok” al “žid idët” Pubblicistica russo-ebraica: «Den’» Dopo poco meno di una decade dalla polemica tra «Osnova» e «Sion», l’“intelligencija russo-ebraica” fonda «Den’». Il giornale, operativo nel triennio 1869-1871 come organo degli ebrei russi di Odessa, chiede al governo di fare un passo formale per l’emancipazione degli ebrei. Come scrive Cavaion, la redazione del giornale è per il “tutto e subito”.52 Tra i vari argomenti trattati dalla rivista nella sua breve esistenza triennale, c’è anche “žid”. Nel n. 44 di «Den’»53 il pubblicista annota il risorgere della calunnia contro gli ebrei, secondo l’uso antigiudaico, ovvero quello di essere sempre i segreti colpevoli di qualunque tragedia. Per dimostrare che ormai si crede a tutto purché si parli della colpa degli ebrei, il giornalista prende a esempio le posizioni del «Kievljanin», quotidiano riconosciuto dagli stessi ebrei come il massimo organo giudeofobo. Sulla base della sola testimonianza dei contadini locali, il «Kievljanin» accusa gli ebrei di uno shtetl nei pressi di Kiev di causare la moria delle bestie. Ebbene, questo modo d’agire, evidenzia il giornalista, ricorda le accuse medievali agli ebrei mosse dalla cristianità occidentale: l’avvelenamento dei pozzi e delle sorgenti per diffondere la peste, gli omicidi di bambini cristiani e la dissacrazione dell’ostia a scopi rituali e così via, sono opera della mano ebraica.54 Perciò con il termine “žid” continuano a essere ricodificati palesi modelli antigiudaici del Medioevo. 49. Ibidem, p. 42. 50. Serbyn, The Sion-Osnova Controversy of 1861-1862, p. 104. 51. «Sion», 43 (27/IV/1862). 52. Cavaion, Memoria e poesia, pp. 50-51. 53. «Den’», 44 (31/X/1870), p. 270. 54. Foa, Dalla Peste Nera all’emancipazione, pp. 13-20.

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Nel n. 23 di «Den’»55 si analizza l’uso di “žid” da parte dell’«Odesskij Vestnik» nell’accusare gli ebrei di sfruttamento economico dell’intero popolo russo, oltre ad accostare il termine alle metafore popolari in cui l’ebreo indossa i panni del mostro demoniaco. Nel giornale di Odessa, racconta il pubblicista russo-ebreo, si è sviluppata sistematicamente l’idea che tutti i “židy” della Novorossija sono «autentici vampiri che succhiano via i migliori succhi del paese», parassiti che «sfruttano tutti e tutto, derubano gli ingenui contadini, truffano alle porte della città».56 L’impiego del termine “žid” marca dunque un ambito semantico diverso da quello di “evrej”: da una parte incarna quei tratti del mondo ebraico percepiti come negativi, dall’altra è utilizzato in modo sarcastico negli attacchi e nelle accuse dei giudeofobi “židoedy” contro gli “evrei”.57 Nel n. 19 di «Den’»,58 nella risposta a un articolo pubblicato in «Novorossijskij Telegraf» il pubblicista adopera in modo marcato “žid” e “evrej”. Il giornalista del «Novorossijskij Telegraf» accusa gli “evrei” di dominare la Novorossija attraverso il controllo dei prezzi del pane, la gestione da posizioni di monopolio di grano ed esportazioni, la distribuzione ovunque dei propri agenti per la compra-vendita di merci a prezzi imbattibili, l’accaparramento di appalti di ogni genere, specialmente le concessioni per le costruzioni ferroviarie. Quello che per il «Novorossijskij Telegraf» è “evrej”, in «Den’» torna a essere “žid”. Con l’uso polemico di “žid” il pubblicista ebreo rimarca il significato che l’“intelligencija giudeofoba” ha assegnato a questo significante: il “žid” realizza il “gospodstvo židov”, il dominio degli ebrei, attraverso lo sfruttamento economico, cioè “židovskoe nabivanie cen”, l’aumento dei prezzi imposto dal “žid”. Il giornalista poi passa all’opposizione “žid” vs. “evrej” per rimarcare la differenza tra l’ebreo tradizionale della čpo – il “žid” – e l’ebreo (auto)emancipato di Odessa – l’“evrej” (considerato dagli intellettuali ebrei indubbiamente figura positiva).59 55. «Den’», 23 (6/VI/1870), p. 388. 56. Ibidem. 57. Sulle pagine di «Den’» i giudeofobi sono caratterizzati, sulla falsariga di “samoedy” (cfr. Hajdú, Introduzione alle lingue uraliche, p. 141), e soprattutto “miroedy” (cfr. Klier, Imperial Russia’s Jewish question, p. 321), attraverso il termine “židoedy”, mangiatori di “židy”. 58. «Den’», 19 (8/V/1871), pp. 287-288. 59. Cifariello, Ebrei e “zona di residenza”, pp. 101-102.

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Nel 1869, nel n. 25 di «Den’»,60 Žemčugin – pseudonimo di un anonimo poeta dell’“intelligencija russo-ebraica” – pubblica una serie di versi satirici su diversi personaggi nazionali e internazionali apertamente schierati contro il mondo ebraico. Oggetto della satira di Žemčugin è anche V.Ja. Šul’gin, uno dei più famosi giudeofobi dell’epoca. Su richiesta del governatore generale nel luglio del 1864 Šul’gin fonda il «Kievljanin» e lo dirige fino al 1878, anno della sua morte. Il giornale continuerà a essere controllato dalla sua famiglia sino al 1917.61 Fin dai primi anni il «Kievljanin», anche se inizialmente non dichiaratamente giudeofobo, gioca una parte importante nell’ideologia della giudeofobia russa; in seguito, nel corso degli anni settanta, diffonde le idee giudeofobe con la pubblicazione di testi nazionali e internazionali contro gli ebrei. Inoltre Šul’gin è soprannominato il “Katkov kieviano” – e il suo giornale è chiamato il “«Moskovskie Vedomosti» di Kiev” – perché al pari del più celebre intellettuale moscovita il giornalista kieviano inveisce contro gli intrighi polacchi e il separatismo del movimento degli ucrainofili.62 Ebbene, nella satira di «Den’» Žemčugin fa raccontare in prima persona a Šul’gin la sua storia, il resoconto delle proprie azioni e delle future intenzioni, rimarcando che nella visione di un giudeofobo l’opposizione “žid” vs. “evrej” non ha alcun significato: Con un ragionamento sovrumano, / come storico-liberale, / io nei riguardi degli evrei con convinzione / ho attratto simpatie. // […] Tutto quello che ha agitato la mia mente / scompaia senza [lasciar] traccia: / spingerò il mio pungiglione / nel polacco e nel žid! // Ho affermato che fin quando / il russo non eleverà la propria condizione / dobbiamo tenere i židy in schiavitù! / che muoiano, che scompaiano! // Sono lontano dalla tirannia / dei secoli barbari del Medioevo, / le porte delle regioni interne della Russia / apro ai židy. // Ma su questo possiedo un giusto, ragionevole, / personale punto di vista: / che i židy sono un popolo maligno, / e per noi un veleno mortale. // Rapidamente dobbiamo / diluirli per tutti i luoghi / altrimenti noi stessi presto / pian piano soffocheremo // Che gli evrei estinguano le forze, / che gridi l’odessita Den’. / Io, o giudeofili, per farvi un dispetto / continuo [a pubblicare] queste 60. «Den’», 25 (1/XI/1869). 61. Il figlio Vasilij, anch’egli direttore del «Kievljanin» e noto antisemita, nel biennio 1911-13 si schiera tuttavia contro l’accusa a M.T. Bejlis di omicidio rituale (cfr. Kacis, Krovavyj navet i russkaja mysl’, p. 20). 62. Cfr. Klier, Kievljanin and the Jews; Klier, Imperial Russia’s Jewish question, pp. 182-203.

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sciocchezze // Pubblico il mio Kievljanin, / […] // Studio la vita degli evrei / dai registri della cancelleria; / lì dov’è necessario colmo / le lacune con la fantasia. // Con il žid-spauracchio / terrorizzo il mondo intero, / che gridino che sono un retrogrado: / non mi tocca per nulla! // Vado per la mia strada – / tutti conoscono la mia indole irremovibile, – / e conduco un ragionamento serio, / che abbia ragione degli evrei, // poiché il nostro contadino russo / li maledice dalla disperazione: / che in un colpo il Kievljanin tranci / tutti i židy uno dopo l’altro!63

La giudeofobia del «Novorossijskij Telegraf» A distanza di poco più di un lustro, sul «Novorossijskij Telegraf»,64 organo che presenta un punto di vista duplice nei confronti degli ebrei fino ad arrivare a una giudeofobia più reazionaria, compare Gordiev uzel evrejskogo voprosa (Nodo gordiano della questione ebraica). Nell’articolo si afferma che l’accezione negativa di “žid” è dovuta alle attività commerciali, finanziarie e speculatorie degli ebrei causate proprio dalle limitazioni imposte dai russi. L’autore evidenzia poi l’esistenza nella questione ebraica di una duplicità contrapposta di punti di vista: «Siamo noi giudeofili o giudeofobi? […] Dire che siamo giudeofili significa sollevare un’intera ondata di esclamazioni e rimproveri ed essere considerati un organo dei židy. Dire che siamo giudeofobi vuol dire farsi annoverare nella schiera dei cavalieri dell’oscurantismo, dei nemici dei principi d’uguaglianza, fraternità e libertà».65 Per superare quest’instabilità la soluzione adottata, riassunta nell’aforisma popolare «dare ragione a tutti»,66 indica che manca la volontà di spiegare la propria posizione, ambigua e vile. Tuttavia il pubblicista, aborrendo indecisione e superficialità, sceglie di rispondere in maniera netta e decisa: la questione ebraica va limitata all’aspetto socioeconomico del mondo ebraico (l’oggetto della cosiddetta “giudeofobia oggettiva”), che ha assorbito altri tratti ebraici quali «l’ignoranza, il limitato 63. «Den’», 25 (1/XI/1869), pp. 398-399. 64. «Novorossijskij Telegraf», 558 (12/XII/1876). 65. Ibidem. 66. L’aforisma “s odnoj storony priznat’sja, s drugoj nel’zja ne soznat’sja” (letteralmente “da una parte ammettilo, dall’altra non puoi non confessare”) entra per la prima volta in letteratura nel cap. IX di Devnik liberala v Peterburge (Diario di un liberale a Pietroburgo, 1872) di M.E. Saltykov-Ščedrin. Questa formula peculiare – una chiara “espressione alata”, cioè una citazione non virgolettata della letteratura russa – serve, secondo SaltykovŠčedrin, a smascherare nella pubblicistica liberale l’assenza di principi.

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nazionalismo, la tendenza a sfruttare, l’isolamento».67 Sfruttamento, concorrenza, egoismo, speculazione, passione per il lucro, sono caratteristiche comuni a tutti i popoli. Tuttavia la propensione al kahal, l’isolamento, il fanatismo, la fossilizzazione delle strutture sociali, la solidarietà di popolo e lo status in statu, sono “peculiarità” del mondo ebraico che nascono non in conseguenza di tradizioni religiose, bensì in reazione a secoli di restrizioni socio-economiche. Grazie a questa condizione obbligata (una sorta di “selezione artificiale”) gli ebrei hanno acquisito una spiccata abilità mercantile che li ha trasformati in commercianti, operatori del cambio e usurai. Allo stesso tempo i riformatori della società combattono una guerra accanita nella sfera del commercio. Dunque, rimandando implicitamente al darwinismo sociale nell’osservare l’evoluzione della lotta per l’esistenza nel campo dell’economia, l’autore afferma che è proprio quando osserviamo un’intera nazione occuparsi di commercio, borsa, speculazione, che gli assegniamo il suo nome vero, ma purtroppo dimentichiamo che žid è davvero opera nostra […] E dimenticando che proprio noi siamo colpevoli di aver reso l’evrej un žid, ancora lo rimproveriamo di essere un žid. Ma questo non è tutto. Ad esempio, i nostri giornalisti accusano di essere sfruttatori esclusivamente gli ebrei e percepiscono l’ebreo come la causa principale dello sfruttamento e dell’impoverimento del popolo.68

Negli ultimi tempi, ricorda il pubblicista, il «Novoe Vremja» ha cominciato a intendere la questione ebraica con lo stesso spirito dell’«Odesskij Vestnik»: il mondo ebraico è deviato per colpa degli stessi ebrei, divenuti sfruttatori. Sono le condizioni economiche e sociali, scrive il giornalista, a far sviluppare agli ebrei determinate caratteristiche razziali. Le speculazioni sullo sfruttamento ebraico, sostiene, sono semplicemente un mezzo per allontanare lo sguardo dal male reale, cioè quei fattori che permettono il manifestarsi negli ebrei proprio delle aspirazioni di sfruttatori. Scrive dunque il pubblicista che «anche annientando gli ebrei, cacciandoli e privandoli dei diritti civili, ma lasciando immutati i fattori socio-economici, per il popolo non sarà comunque più facile: ci sarà solo una differenza, cioè che al posto degli ebrei a sfruttare il lavoro del popolo saranno esclusivamente i cristiani».69 Kulaki e miroedy, evidenzia il pubblicista, operando la speculazione e lo sfruttamento socio-economico occupano infatti già nel 67. «Novorossijskij Telegraf», 558 (12/XII/1876). 68. Ibidem. 69. Ibidem.

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resto dell’Impero il medesimo posto riservato nella čpo agli ebrei. Dunque l’autore conclude che il male non è nell’ebreo, ma nel commercio che serve evidentemente come punto di contatto tra la produzione e il consumo, e che tiene sostanzialmente sotto il proprio giogo la produzione e il consumo e, per mezzo dei propri capitali e della propria supremazia sul mercato, costringe i piccoli produttori a vendere a prezzi inferiori rispetto a quelli reali, e i consumatori a comprare a prezzi più cari degli attuali… Dunque non siamo né giudeofili né giudeofobi, ma siamo nemici dello sfruttamento, della speculazione, del parassitismo e di chi mangia sul lavoro altrui.70

Negli anni successivi «Novorossijskij Telegraf» continua a rimarcare la differenza tra “židy” e “evrei”. In Naši dela i del’cy (I nostri affari e i nostri affaristi)71 D. Or-bo non vuole mostrarsi nemico o difensore degli ebrei. L’autore vuole semplicemente essere indipendente dal direttore e poter esprimere in piena libertà la propria verità su affaristi ebrei e loro affari. Il giornalista in polemica con Nejzvestnyj72 scrive che «a molti abbonati e lettori evrei del Novorossijskij Telegraf» non è piaciuto il fatto che il «Novorossijskij Telegraf» abbia iniziato ad attaccare «“il male degli evrei” e a chiamare židy quegli evrei colpevoli di condurre furbescamente affari sporchi».73 A questo punto abbonati e lettori “evrei” «hanno cominciato a manifestare ovunque a voce alta la propria insoddisfazione, considerando le invettive contro i židy un affronto sanguinoso a tutta la nazione ebraica».74 L’autore sostiene che il compito del direttore ebreo di un giornale russo è quello di non nascondere il “male degli evrei”, non favorire nella massa degli evrei la coscienza che se una persona onesta, o un giornale russo, chiama žid solo il truffatore, l’imbroglione, il parassita degno di questo nomignolo, significa che tale atto deve esser considerato un affronto sanguinoso all’intera nazione. Al contrario sono convinto che tutti gli evrei onesti e istruiti non sopportano nel proprio habitat “židy truffatori” che compromettono gli evrei onesti, e che gli evrei istruiti devono essere grati a ogni giornale russo che tenta di liberare 70. Ibidem. 71. «Novorossijskij Telegraf», 1656 (18/VIII/1880). 72. Pseudonimo del pubblicista che sulle pagine del quotidiano «Pravda» ha presentato un feuilleton in cui accusa il «Novorossijskij Telegraf» di fustigare “židy” e loro “affari”. 73. «Novorossijskij Telegraf», 1656 (18/VIII/1880). 74. Ibidem.

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gli evrei onesti dal male dei veri “židy”; e dopotutto sono anche convinto che lo stesso Novorossijskij Telegraf è consapevole dell’esistenza di molti evrei istruiti e onesti che non oserà mai, in tutta coscienza, mescolare a quei “židy” che giustamente fustiga. Possono offendersi solo gli evrei sempliciotti che non comprendono l’utilità della fustigazione dei “židy”.75

Secondo il giornalista quindi l’impiego lessicale di “žid” è importante non solo sul piano semantico – usato come sinonimo di “imbroglione” (“plut”) – ma soprattutto sul piano sociale: il termine serve a smascherare il male del mondo ebraico, e libera gli “evrei” per bene dalle accuse ingiuste che ricadono indiscriminatamente su tutta la nazione ebraica per colpa della disonestà dei “židy”. Nell’articolo dal titolo O židovskom znameni76 i ego nositeljach (Intorno al vessillo dei židy e ai suoi portatori),77 l’autore afferma che da dodici anni il giornale si batte senza sosta contro i “partiti giudaizzanti”. Il carattere della lotta, scrive il giornalista, ha marcato la differenza tra il vessillo dei “židy” (“židovskoe znamja”) – verso cui mostrarsi sempre ostili – e quello degli “evrei” (“znamja evrejskogo plemeni”) – uguale al vessillo di ogni altro popolo dell’Impero, senza velleità politiche o indipendentiste, a cui rivolgersi senz’alcuna ostilità. Il giornalista afferma poi che «quest’idea di vessillo russo non può conciliarsi con la concezione che il kahal ha di un qualche particolare “vessillo dei židy”, a cui deve sottomettersi e da cui deve dipendere, secondo i židy, l’intero [vessillo] russo».78 Per il pubblicista l’azione dei “židy” è sempre tesa allo sfruttamento del lavoro e del patrimonio del popolo russo con lo scopo finale di corromperlo e, attraverso mezzi illeciti, impossessarsi del suo patrimonio; il «Novorossijskij Telegraf», aggiunge il giornalista, si è sempre opposto alle relazioni tra i russi della čpo e i “židy” che, a differenza degli “evrei”, rappresentano «i nemici di quella regione» e aggirano la legge per spremere «i beni dei russi».79 Il giornalista riconosce che 75. Ibidem. 76. La contrapposizione tra i valori del vessillo del mondo cristiano (“christianskoe znamja”) e quelli, opposti, del mondo ebraico è codificata nella discussione pubblica della questione ebraica già nel 1862 in un articolo di I.S. Aksakov, in «Den’», 19 (16/II/1862), intitolato Sleduet li dat’ Evrejam v Rossii zakonodatel’nye i administrativnye prava? (Si devono concedere in Russia diritti giuridici e amministrativi agli ebrei?). 77. «Novorossijskij Telegraf», 3820 (26/VIII/1887). 78. Ibidem. 79. Ibidem.

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molti evrei […] hanno portato e portano “il vessillo russo” … Ma non sopportiamo i židy perché sono la feccia del mondo ebraico, i loro nemici, gli ignoranti grazie ai quali tutto il mondo ebraico patisce e [a causa dei quali] lo Stato è costretto a sottomettere l’intero mondo ebraico a leggi speciali per l’impossibilità di secernere da sé [dal mondo ebraico] i židy. Sembra chiaro che la nostra lotta contro i židy non è la lotta contro gli evrei, e se riuscissimo ad abbattere il loro dominio, ciò rasserenerebbe anche il destino degli stessi evrei. Ci possono indicare gli articoli “sugli evrei”, contro “il kahal degli evrei”, ecc., ma in questo caso la discussione sarà non sulla semantica, ma sulle nude parole. Chiaramente dal “mondo degli evrei” questi articoli hanno distinto il mondo dei židy. Nel discutere delle masse non si usa scrivere židy. Il Novorossijskij Telegraf fa in questo caso una digressione nella speranza così di distinguere gli evrei dai židy. E malgrado ciò non desiderano capirci, e ciononostante ci rimproverano di non schierarci contro la feccia del mondo ebraico in quanto elemento nocivo nello stato, ma contro gli evrei come nazione.80

Durante il regno di Alessandro III la “doppiezza” del «Novorossijskij Telegraf» serve dunque a chiamare alla lotta elementi esterni e interni al mondo ebraico allo scopo di “sterilizzare” l’eterogeneo ebraismo russo in favore di una popolazione completamente russificata. È questa in conclusione la soluzione proposta dal giornale alla questione ebraica. I campioni della pubblicistica giudeofoba: il «Kievljanin» e il «Novoe Vremja» Se già nel primo articolo della pubblicistica sulla questione ebraica Rabinovič si lamentava dell’uso di “žid”, auspicando l’eliminazione del termine obsoleto, negli anni ottanta dell’Ottocento il termine “žid” non è più tollerato dagli ebrei.81 A questa posizione si riallaccia nel 1882 un giornalista del «Kievljanin»,82 scrivendo che se gli ebrei accettassero di instaurare nuove relazioni con i Gentili, il termine “žid” perderebbe il generico significato di “malvagio” e acquisirebbe l’accezione di “cittadino 80. Ibidem. 81. In Kak vernee nazyvat’ posledovatelej Moiseeva zakona: evrejami, judejami, ili izral’tjanami (Come si possono chiamare nel modo più corretto i seguaci della Legge mosaica: ebrei, giudei, o israeliti; in «Evrejskie zapiski», I/1, 1881, pp. 54-55) l’autore si chiede quale, tra “evrei”, “iudei”, “izrail’tjane”, sia l’autonimo per nominare l’intero popolo; sostiene poi che “i seguaci della Rivelazione ricevuta sul Sinai da Mosè”, cioè il popolo ebraico, non devono essere chiamati né ebrei né giudei, ma, usando le parole dello stesso Mosè, israeliti. 82. «Kievljanin», 105 (14/V/1882).

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di religione ebraica capace, per qualità morali, di rivaleggiare con gli altri cittadini non ebrei”. In pieno spirito giudeofobo il pubblicista incolpa però gli stessi ebrei di aver causato i pogrom del biennio 1881-1882: cioè ripetendo uno dei pilastri della giudeofobia russa sin dagli articoli di Kuliš e Kostomarov sostiene che il popolo ha maturato, nel corso di centinaia d’anni di sfruttamento, un represso odio antiebraico esploso poi in vere e proprie violenze. Dunque, scrive l’autore, la soluzione alla questione ebraica non può essere l’emigrazione – la scelta di parte della popolazione ebraica dopo le violenze fisiche e patrimoniali, finanziata dalle associazioni internazionali ebraiche e dagli stati europei – ma esclusivamente il riequilibrio in Russia dei rapporti sociali. Con lo stesso ordine di idee del «Novorossij­skij Telegraf», secondo l’autore i “vizi” degli ebrei dovrebbero essere combattuti principalmente dall’opera riformatrice – dall’interno – dell’influente’“intelligencija russo-ebraica” – come esempio alle grandi masse della čpo: gli influenti intellettuali ebrei hanno il compito di spiegare «alle masse ebraiche lo stato reale delle cose», di mostrare agli ebrei «la situazione disperata a cui sono arrivati», di costringere «i propri correligionari a rispettare la legge» e provare «la necessità di generare nei cristiani, al posto dell’odio e della rabbia, pace e rispetto nei loro confronti».83 Nel 1880, un anno prima dei pogrom, sulle pagine del quotidiano pietroburghese «Novoe Vremja», ormai divenuto organo della destra radicale,84 A.S. Suvorin, firmandosi con lo pseudonimo Neznakomec (“lo Sconosciuto”), pubblica l’articolo Žid idёt! (Pis’mo k redakciju) (L’ebreo sta avanzando! Lettera alla redazione).85 Pochi giorni prima della pubblicazione di quest’articolo-pamphlet, l’importanza e l’autorevolezza di Suvorin nel campo della cultura russa sono rimarcate da Nord-Vest (anonimo pubblicista di «Rassvet») in Fel’eton gazety “Razsvet”. Otkrytoe pis’mo g. Neznakomcu (Feuilleton del giornale “Rassvet”. Lettera aperta al sig. Sconosciuto),86 se83. Ibidem. 84. A partire dal 1877 Suvorin lancia i suoi strali di giudeofobia oggettiva contro il mondo ebraico. Nel panorama socio-culturale il giornale di Suvorin acquista negli anni prestigio notevole: all’inizio del Novecento la sua reputazione è elevatissima. Persino chi critica la politica editoriale di Suvorin ritiene il giornale una fonte importante per l’informazione pubblica. Dalla fine dell’Ottocento il giornale è letto da tutti i ranghi, imperatore e burocrati inclusi, e percepito come «il portavoce non ufficiale del Ministero degli esteri russo» (Balmuth, Novoe Vremia’s War against the Jews, p. 33). 85. «Novoe Vremja», 1461 (23/III/1880). 86. «Rassvet», 1880, 10 (6/III/1880), pp. 390-398.

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condo cui mai possono essere ignorate le parole di Suvorin, «il rappresentante più brillante della giudeofobia russa».87 In Žid idёt! Suvorin ritiene che gli ebrei russi, in particolare l’elevata percentuale di ebrei istruiti, siano pronti a crescere come classe sociale, a discapito della popolazione russa ortodossa. Per Suvorin i russi sono profondamente infastiditi dall’avanzata degli ebrei che dentro e fuori la čpo si accaparrano gli appalti ferroviari, gli istituti bancari e di credito, l’industria, il commercio, le proprietà fondiarie, la professione medica, l’avvocatura, la stampa e le arti. L’autore scrive dunque che per quanto notevole diventi la presenza e l’influenza nell’ambiente circostante di questo specifico elemento corruttore, introdotto dagli svariati signori dell’Israele [russo] in tutte le sfere della propria attività, tuttavia vediamo ancora solo i fiorellini di questo – per noi nuovo – campo d’Israele che si propaga rapidamente da tutte le parti; sono già maturi la sua bacca e il suo frutto, e promettono un raccolto ricco e abbondante.88

Dopo l’analisi di dati statistici in cui dimostra che la percentuale degli istruiti rispetto al totale degli ebrei russi è superiore in confronto a quella di altre confessioni religiose – ribadendo così il concetto che l’ebreo è una categoria sociale di tipo religioso e non etnico –, Suvorin afferma che il costo pagato dalla popolazione russa per l’istruzione degli ebrei è altissimo e insostenibile. Certo, scrive Suvorin, l’istruzione è meglio dell’ignoranza, ma la situazione non può essere accettata incondizionatamente: Noi preferiremmo gli ebrei istruiti alle masse rozze solo se con l’aumento dei primi non si consolidassero disagi e limitazioni al nostro sviluppo personale e al nostro benessere morale. Ma finché a questo riguardo non si sia ottenuto tutto ciò che si desidera o che è almeno necessario – necessario a noi stessi per non dover riconoscere la superiorità degli ebrei nel campo dell’istruzione – meglio che il sale della nostra terra, se ci si offre sotto forma dei vari Kupernik, Serebrannyj, Notovič, rimanga nelle viscere della terra e la nostra mensa pubblica faccia a meno di questo sale. La relativa dovizia di questi personaggi illuminati è scomoda in due sensi: [nel senso che un tale numero di ebrei istruiti] non può non causare un considerevole danno alla nostra integrità e unicità spirituale, e [che] la stessa istruzione gli viene pagata con i miseri spiccioli del popolo russo, di cui lo stesso popolo russo ha estrema necessità per i propri bisogni.89 87. Ibidem, p. 391. 88. «Novoe Vremja», 1461 (23/III/1880). 89. Ibidem.

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Suvorin attacca il sistema scolastico che crea disparità nella società: coi soldi del contadino russo qualsiasi ebreo, avanzando assieme ai propri familiari, occupa nel ginnasio il posto che spetta di diritto al povero russo. L’autore retoricamente si chiede: Desideriamo noi forse che l’accesso ai ginnasi sia chiuso agli elementi allogeni? No di certo. Desideriamo solo che le nostre classi d’intellettuali riflettano sulla prospettiva di una sempre più grande loro diluizione da parte dell’“intelligencija allogena”, in particolare quella dei židy, e siamo convinti che il fenomeno, rimasto sinora invisibile, meriti seria attenzione.90

Alla pubblicazione dell’articolo di Suvorin, l’espressione “Žid idёt!” si afferma quale popolare slogan antiebraico destinato a permanere nel linguaggio per i decenni a venire. Quest’espressione tuttavia non è stata coniata da Suvorin ma esiste già da alcuni decenni nel lessico del russo, ed è stata semplicemente ripresa dall’autore, come monito alla nazione: “l’ebreo sta avanzando per dominare la Russia!”. 3. A caccia di “židy” L’espressione “žid idёt” Già dalla fine degli anni cinquanta le riforme sull’eliminazione parziale della čpo hanno provocato la comparsa di ebrei in luoghi dove prima erano assenti; questi rappresentanti dell’ebraismo russo si muovono lentamente verso i centri della cultura e dell’economia dell’Impero.91 L’ampliamento della libertà di parola e la discussione pubblica della questione ebraica permettono l’evoluzione di un’idea giudeofoba che si rafforza sempre più nel corso degli anni sessanta e settanta. Proprio con l’espressione “Žid idёt!” il giornalismo russo degli anni sessanta testimonia la comparsa degli ebrei nelle regioni interne dell’Impero, dunque al di fuori della čpo. Quando la popolazione ebraica risiede nella čpo, lontano dalle grandi capitali culturali dell’Impero quali Mosca e Pietroburgo, l’opinione pubblica immagina l’ebreo come una figura astratta e tipicamente letteraria, senza alcuna relazione con la realtà quotidiana. Una volta “liberato” grazie alla riforma parziale della čpo, l’ebreo giunge nei governatorati interni della Russia, ma trova una 90. Ibidem. 91. Cfr. Cifariello, Ebrei e “zona di residenza”, pp. 91-92.

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fredda accoglienza da parte della società cristiana: l’ebreo è, infatti, percepito come uno straniero avido di potere, un estraneo dotato esclusivamente di caratteristiche negative. Tale percezione non è limitata agli “emigranti”, ma passa persino ai correligionari rimasti nelle città e negli shtetlekh della čpo. Nel corso del dibattito sulla russificazione e sul futuro politico delle varie nazionalità dell’Impero, la stampa periodica accusa costantemente gli ebrei di aver danneggiato economicamente i vasti strati di popolazione della čpo.92 Nell’articolo di Suvorin si segue l’evoluzione della questione ebraica, percepita come un vero e proprio problema nel passaggio dal danno economico causato dal mondo ebraico al danno culturale, sociale e politico arrecato dagli studenti ebrei alla società russa. L’autore, infatti, insinua che gli studenti ebrei, oltre a occupare ingiustamente le istituzioni scolastiche, hanno un influsso negativo sull’intera società: capeggiano il movimento rivoluzionario, ne monopolizzano tutti i livelli, e sono coinvolti nei processi politici in percentuale superiore rispetto ai russi. Per Suvorin, pertanto, l’ebreo non solo sta “semplicemente” avanzando, ma insorge contro la Russia. «Novorossijskij Telegraf», «Kievljanin», «Moskovskie Vedomosti», e altri quotidiani, trovandosi sulle stesse posizioni del «Novoe Vremja», cominciano una campagna diffamatoria accusando gli ebrei di essere i veri colpevoli di tutti i mali che il popolo russo ha subito nel corso dei secoli. Lo zaricidio del 1 marzo 1881 non fa altro che dare nuova linfa all’aspra polemica antiebraica: lo zar è stato ucciso, scrivevano i giornali, per mano di ebrei.93 Dunque “Žid idёt!” non testimonia solo l’esistenza di un’espressione polemica nella lingua russa, ma conferma la presenza inscindibile di un’idea giudeofoba dai risvolti storico-politico-culturali: nell’ultimo quarto degli anni settanta, in seguito alle tensioni internazionali sfociate nella guerra russo-turca del 1877-1878, nella società russa cresce la virulenza di un sentimento sempre più slavofilo e giudeofobo che, da attacchi ideologici tesi ad aizzare la popolazione, dopo lo zaricidio culmina in vere e proprie violenze fisiche. «Novoe Vremja» batte il “žid” Nel biennio 1881-1882 i giornali dell’“intelligencija nazionalista e giudeofoba”, tranne alcune rare eccezioni “funzionali” come quella del «Novorossijskij Telegraf», smettono di distinguere “evrej” e “žid”: il termine “žid” è 92. Bartal, Ot obščiny i nacii, pp. 205-218. 93. Klier, Russians, Jews, and the Pogroms of 1881-1882, p. 105.

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ora rivolto a tutte le parti del mondo russo-ebraico, intellettuali ebrei inclusi. A ridosso dei pogrom del 1881-1882 un articolo pubblicato sul giudeofobo «Kievljanin»,94 ispirato al feuilleton di Suvorin, testimonia e conferma l’uso tipico della stampa di includere l’“intelligencija ebraica” nella semantica di “žid”. La stampa russa, sostiene il giornalista, vede ormai anche nell’“intelligencija russo-ebraica” – al pari degli altri ebrei – il nemico della Russia e della società russa: l’“intelligencija russo-ebraica” è passata al servizio esclusivo dell’intera nazione ebraica difendendola da qualunque attacco da parte dell’“intelligencija giudeofoba”. L’esclamazione “Žid idёt!” è rivolta quindi proprio all’“intelligencija russo-ebraica”. Inoltre, secondo il giornalista ucraino, l’istruzione pubblica non serve a integrare gli ebrei ma, al contrario, essa è la causa delle idee sovversive che hanno contagiato tutta la gioventù russa. Il giornalista riconosce che tra l’“intelligencija russo-ebraica” esiste una minoranza sincera e onesta, e tuttavia isolata, che cerca di liberare gli ebrei dal fanatismo religioso, dai pregiudizi secolari, dalla morale talmudica. A questo gruppo d’ebrei l’erario garantisce di fruire di un’istruzione, dà la possibilità di ottenere un diploma, e di conseguenza, pur senza i requisiti per beneficiare della parziale abolizione della čpo, permette di godere di maggiori diritti rispetto alla restante popolazione ebraica. I “pratici figli d’Israele”, avendo capito che «la missione civilizzatrice non è un’impresa semplice» e constatando la crescita della forza della finanza ebraica, «al posto della lotta hanno preferito l’alleanza con il mondo ebraico e sono intervenuti come suoi difensori; invece delle prediche e delle denunce si sono dedicati a intessere le lodi della tribù d’Israele».95 Per l’“intelligencija russo-ebraica” i “kulaki” sono un elemento della società che può appartenere a qualsiasi etnia dell’Impero (russi, tedeschi, ebrei, ecc.), mentre per il pubblicista del «Kievljanin» costituiscono un’eccezione tra i russi e una regola tra gli ebrei. Il fatto che gli intellettuali ebrei neghino l’esistenza di “kulaki” ebrei che sfruttano la popolazione ortodossa, evidenzia l’autore, serve dunque ad assolvere la popolazione ebraica da accuse innegabili. Secondo l’“intelligencija russo-ebraica”, scrive il giornalista, la classe sociale degli sfruttatori ebrei, i “kulaki” ebrei, è generata dalla limitazione dei diritti – tra cui la čpo – e, dunque, può essere eliminata grazie alla concessione della parità di diritti anche al popolo ebraico. Tuttavia il giornalista del «Kievljanin», come la restante stampa giudeofoba, accusa l’“intelligencija russo-ebraica” – con cui è in totale disaccordo 94. «Kievljanin», 92 (26/IV/1881). 95. Ibidem.

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– di essersi schierata contro la Russia. Partendo da questo punto di vista i rappresentanti della giudeofobia russa, in primis Suvorin, hanno levato il grido “žid idёt!” proprio contro l’“intellettuale žid” e hanno mostrato che «è stato chiaramente un errore grandissimo educare a spese dell’erario quegli ebrei che alla fine sono rimasti “židy” identici alla massa da cui erano emersi, hanno servito poi esclusivamente gli interessi ebraici e hanno sostenuto i propri correligionari in tutti i modi possibili».96 Il pubblicista nota quindi che gli ebrei si sono fatti più spavaldi grazie all’aumento dell’“intelligencija russo-ebraica” e al «rafforzamento dell’alleanza con il restante mondo dei “židy”».97 Ritenendosi portatrice di cultura, l’“intelligencija russo-ebraica”, conclude il giornalista del «Kievljanin», sogna di «trasformare quasi tutta la “capace e intelligente razza ebraica” nella classe dirigente dell’Impero russo mediante le istituzioni scolastiche statali e l’istruzione gratuita».98 Secondo il giornalista l’assimilazione non risolve la questione ebraica: infatti, sul piano delle relazioni socio-economiche i russi sono più deboli degli ebrei e i vari tentativi di assimilazione hanno prodotto una nuova forza nociva (l’“intelligencija russo-ebraica”). Per il pubblicista la questione ebraica non si risolve neppure interagendo con gli ebrei. Al contrario, scrive il giornalista ucraino, la questione si può risolvere esclusivamente lavorando sulla popolazione russa, trasformandola cioè, attraverso l’innalzamento del livello culturale e l’aumento del benessere materiale, in una forza di contrapposizione all’influenza ebraica. Questo scopo può essere raggiunto, conclude l’autore, solo grazie a misure protettive e a una politica adeguata in grado di “imbrigliare” gli ebrei, cioè obbligarli al lavoro produttivo, e contemporaneamente correggerne i difetti congeniti. Dall’aprile 1881 nelle regioni della čpo comincia la terribile ondata di pogrom che attanaglia la Russia per oltre un anno. Se nell’articolo “Liberaly” po povodu razgroma evreev (“Liberali” a proposito della devastazione degli ebrei)99 I.S. Aksakov definisce i pogrom come la manifestazione della giusta ira popolare contro l’oppressione economica degli ebrei, nell’articolo Čto nam delat’ s evrejami (Che dobbiamo farci degli ebrei)100 Suvorin, con un gioco di parole basato sulla trasformazione dell’amletico “essere o non 96. Ibidem. 97. Ibidem. 98. Ibidem. 99. «Rus’», 29 (6/VI/1881). 100. «Novoe Vremja», 1857 (1/V/1881).

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essere” in “battere o non battere” («bit’ ili ne bit’»),101 esprime il dubbio della popolazione della čpo se insorgere o meno contro gli ebrei. Suvorin sostiene che l’ira esplosa nei pogrom, comunque ingiustificabile, scaturisce dal represso odio atavico delle popolazioni locali – di cui avevano già scritto i giudeofobi ucrainofili. Per simili violenze antiebraiche, afferma Suvorin, i paesi stranieri accusano la Russia di essere un Impero senza cultura dove detta legge il capopopolo con il bastone in mano. Secondo il giornalista le misure repressive non bastano per rimuovere la radice del male, ma si deve trovare una soluzione alla questione ebraica, «una delle “maledette” questioni della nostra epoca, toccata alla Russia in eredità dalla Polonia».102 Dopo avere riassunto brevemente la storia dei rapporti tra Szlachta, ebrei e popolo contadino come una sorta di gioco allo sfruttamento del più debole, Suvorin sostiene, con metafore colorite, che dal 1772 la Russia ha interrotto la realizzazione delle politiche ebraiche della Polonia: Il nostro governo, riconoscendo che la presenza di un gran numero di ebrei è male, ha seguito l’esempio di quei medici che non si curano della parte del corpo colpita da una certa piaga, ma provano solamente a prevenire l’ulteriore diffusione della malattia e il contagio delle parti sane dell’organismo.103

L’autore nota, infatti, che il governo non ha cercato di contrapporsi nella čpo al potere degli ebrei che da secoli gravavano sulla popolazione locale, ma gli ha aperto persino la Novorossija continuando a proteggere dal possibile contagio dello sfruttamento ebraico esclusivamente il resto dell’Impero. Tuttavia, Suvorin critica implicitamente la riforma parziale della čpo:104 sostiene che i suoi confini sono diventati sempre più permeabili e, dunque, che gli ebrei, aggirando la legge e l’amministrazione, si diffondono lentamente comunque per tutta la Russia; la presenza ebraica provoca al di fuori della čpo le medesime lamentele suscitate già al suo interno. In altre parole l’intellettuale giudeofobo ribadisce, alla luce dei primi pogrom del 1881, il concetto espresso l’anno precedente in Žid idёt!. Suvorin critica le due proposte dell’“intelligencija giudeofila”: l’eliminazione defini101. Durante la guerra civile, tra il 1919 e il 1920, Babel’ (Babel’, Diario dell’anno 1920, p. 1167) testimonia l’ormai cristallizzata sentenza giudeofoba del “batti il žid” nelle parole dei combattenti-“pogromščiki” privi ormai di qualsiasi dubbio amletico: «morte ai giudei, salviamo la Russia» («bej židov, spasaj Rossiju»). 102. «Novoe Vremja», 1857 (1/V/1881). 103. Ibidem. 104. Cifariello, Ebrei e “zona di residenza”, pp. 87-91.

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tiva della čpo attraverso l’abbattimento di tutte le barriere legali, e dunque la totale apertura della Russia agli ebrei; l’equiparazione dei diritti degli ebrei a quelli degli altri cittadini, e quindi la loro definitiva “emancipazione giuridica”. Queste proposte sono diffuse dagli organi di stampa “ebraicizzanti” («evrejstvujuščie organy») e presentate come un miglioramento degli ebrei: ad esempio «Porjadok» e «Golos»,105 propongono che gli ebrei si diffondano per tutto l’Impero e siano assorbiti dalle grandi masse slave, sostenendo che ciò favorirebbe la scomparsa dei “negativi” tratti nazionali ebraici. Per Suvorin questa proposta è un errore: «Come razza completamente estranea alle stirpi indo-europee, gli ebrei possiedono certe qualità che non rendono assolutamente possibile la loro assimilazione da parte della popolazione russa, tranne, ovviamente, casi isolati. […] Gli ebrei rimarranno così come sono sempre stati».106 Dunque, secondo l’autore l’“intelligencija giudeofila” mente sapendo di mentire quando afferma che «la propensione degli ebrei all’usura, la loro sgradevolezza, e altre proprietà poco attraenti sono semplicemente il risultato di un’oppressione secolare influenzata dalle idee del cristianesimo medievale».107 Suvorin ribatte che il comportamento della popolazione ebraica dell’antichità, ben descritto dagli storici latini, non si discosta molto da quello degli ebrei moderni, ad esempio, di Berdičev o Šklov, città della čpo ad alta densità ebraica; aggiunge poi che la diffusione territoriale degli ebrei in piccole percentuali è utile all’economia e al commercio della Russia, mentre l’emancipazione di qualche milione d’individui capaci di riprodursi e moltiplicarsi velocemente nuoce profondamente all’equilibrio dell’Impero. Secondo il giorna105. Fondato col contributo del ministro A.V. Golovnin e pubblicato da A.A. Kraevskij dal 1863 al 1884, «Golos» rappresenta per le classi istruite dell’Impero l’equivalente russo di «The Times» di Londra. Il giornale acquisisce un graduale carattere d’opposizione nel momento in cui attacca le grandi riforme. Indipendentemente dal fatto che Kraevskij sia uno dei fondatori dell’Obščestvo dlja rasprostranenija prosveščenija meždu evrejami v Rossii (Società per la diffusione dell’istruzione tra gli ebrei in Russia; attiva sin dal 1860), il giornale non mostra affatto cordialità nel trattare gli ebrei: da una prima posizione neutrale il quotidiano si sposta apertamente nel campo giudeofobo. L’orientamento liberale del giornale viene proclamato già nel primo numero (1/I/1863): l’integrazione della società russa deve avvenire unendo le varie classi sociali in una comunità attraverso l’abbattimento delle barriere legali e sociali tradizionali (Cfr. Klier, Imperial Russia’s Jewish question, p. 374). Nel periodo in cui Suvorin pubblica l’articolo, «Golos», ormai estraneo alle iniziali posizioni giudeofobe, è già passato al campo giudeofilo. 106. «Novoe Vremja», 1857 (1/V/1881). 107. Ibidem.

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lista russo la concessione anche agli ebrei dell’uguaglianza dei diritti è un male peggiore del mantenimento della legislazione discriminante, perché gli ebrei, com’è noto, sono cosmopoliti, non vivono nella propria terra o in un ambiente per qualche ragione con loro solidale, ma [risiedono] dove a loro è più conveniente secondo la teoria: ubi bene ibi patria.108 […] Sono possibili, di conseguenza, anche gli effetti opposti. All’ebreo rendete la vita svantaggiosa e il soggiorno disagiato e lui si trasferirà dove gli parrà più vantaggioso.109

Pieno di carica retorica e mancante di obiettività, l’autore osserva che gli ebrei emigrati in America sono molto contenti delle nuove condizioni di vita. Invece della libertà di movimento e di residenza della popolazione ebraica per tutta la Russia, la soluzione proposta da Suvorin è dunque proprio l’emigrazione. Seguendo questa linea, l’intellettuale giudeofobo stila un programma preciso che ha come obiettivo finale l’emigrazione degli ebrei, dalla borghesia all’intelligencija, dalla plutocrazia a tutta la restante popolazione ebraica della čpo: «Nel momento del nuovo “esodo” degli ebrei, i vari Gincburg e gli altri agenti dell’aiu110 in Russia possono assumere il ruolo onorifico di guide del popolo che hanno interpretato un tempo Aronne e gli altri adoratori del vitello d’oro».111

108. Anche «patria est ubicumque est bene» (la patria è dove si sta bene). Si tratta di una frase di Marco Pacuvio citata da Cicerone in Tusculanae Quaestiones, V, 37, 108. L’espressione è rivolta agli ebrei che antepongono la condizione personale (il viver bene) al rispetto per la patria “ospitante”. 109. «Novoe Vremja», 1857 (1/V/1881). 110. “Vsemirnyj evrejskij sojuz”, cioè Alliance Israélite Universelle. Nel corso del libro si userà l’acronimo aiu. 111. Ibidem.

4. La subcultura antiebraica nella cultura russa

Il male genera il male; […] L’idea del male non può entrare nella testa dell’uomo senza che egli desideri tradurlo in pratica; le idee sono creature organiche, ha detto qualcuno: la loro origine dà loro forma e questa forma è azione Lermontov, Un eroe del nostro tempo

1. La giudeofobia “oggettiva”: l’ebreo sfruttatore Pinsker e la definizione di “giudeofobia” Secondo un’errata tradizione occidentale, che ignora la storia dei paesi dell’Est-Europa Russia inclusa, il termine “giudeofobia” è un’invenzione del xx secolo.1 In realtà il termine è entrato in uso in Russia nella seconda metà dell’Ottocento, nel corso della discussione pubblica della questione ebraica. A darne un’esaustiva definizione è L.S. Pinsker, che lo risemantizza e ne diffonde maggiormente l’impiego anche lontano dai confini russi. Nei primi anni sessanta dell’Ottocento Pinsker, impegnato nella discussione pubblica della questione ebraica prima con «Rassvet» e poi con «Sion», propone un programma d’ammodernamento dell’ebraismo russo legato ai principi dell’Haskalah, ma, non rinnegando storia, usi e tradizioni del suo popolo, presenta ai lettori di lingua russa la cultura degli ebrei, con la speranza di favorirne un’ipotetica “integrazione” (“sbliženie”). Dagli anni settanta l’“intelligencija giudeofoba” lancia strali sempre più virulenti contro la popolazione ebraica dell’Impero, prendendo in particolar modo di mira l’“intelligencija 1. P. Schäfer (Schäfer, Giudeofobia, p. 17), ragionando sul termine “giudeofobia”, scrive di aver inizialmente pensato di aver coniato una nuova parola, ma di essersi poi reso conto che con disappunto che il termine è comparso per la prima volta in un altro articolo, come racconta Zvi Yavetz. Nell’articolo citato Z. Yavetz sostiene a sua volta che il termine apparirebbe per la prima volta nell’articolo di J. Halévy, Le Calembour dans la judéophobie alexandrine, in «Revue Sémitique», 11 (1903), pp. 263-268.

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russo-ebraica”. Secondo i giudeofobi, colpevoli di negare l’evidenza dei mali dell’ebraismo sono proprio gli intellettuali ebrei, cioè gli unici rappresentanti del mondo ebraico con cui l’“intelligencija giudeofoba” intesse un dialogo-scontro. Inoltre, nel corso degli anni settanta monta un’ondata di violenza sempre più feroce contro la popolazione ebraica: a cominciare dal pogrom del 1871 a Odessa, l’apice delle distruzioni è raggiunto nel biennio 1881-1882 in diverse città dell’Impero. Dalla fine degli anni settanta, poi, gli scritti di antisemiti tedeschi, tradotti e pubblicati in Russia dalle riviste “patriottiche” – tra cui il «Novoe Vremja» di Suvorin e il «Kievljanin» di Šul’gin –, o editi in tedesco da pubblicazioni dell’Impero russo in lingua – quali l’«Herold» di Pietroburgo e il «Libausche Zeitung» –, cominciano a influenzare l’opinione degli esponenti del movimento slavofilo. Arrivano infine in Russia notizie del I° Congresso Internazionale Antisemita, tenutosi a Dresda nel settembre 1882: reportage dettagliati sono pubblicati, tra il mese di settembre e il mese di novembre, su «Vol’noe Slovo», periodico dell’emigrazione russa a Ginevra finanziato dalla Svjaščennaja družina.2 Pinsker spera inizialmente in una soluzione positiva della questione ebraica in Russia. Tuttavia, in seguito al pogrom del 1871 muta la propria posizione pro-governativa, tanto da divenire successivamente uno dei capi del movimento Hibbat Zion (Amanti di Sion).3 Lo scoppio dei pogrom del 1881 e le notizie internazionali provenienti dal congresso degli antisemiti del settembre 1882 danno a Pinsker la certezza che ormai il legame tra ebrei e cristiani d’Europa si è spezzato. Di conseguenza Pinsker cambia definitivamente l’approccio alla questione ebraica e, in contemporanea al Congresso di Dresda, pubblica – anonimo, a Berlino e in lingua tedesca – il pamphlet “Autoemancipation!” Mahnruf an seine Stammesgenossen von einem russischen Juden (“Autoemancipazione!” Appello di un ebreo russo ai suoi connazionali, 1882), in cui rivede radicalmente la propria posizione integrazionista. In questo documento, poi tradotto in altre lingue (tra cui il russo), Pinsker riassume tutte le accuse esposte nei due decenni precedenti dall’“intelligencija giudeofoba” e auspica come soluzione l’emigrazione degli ebrei dall’inospitale čpo: infatti, gli intolleranti Gentili non solo per2. Organo creato dopo lo zaricidio del 1 marzo 1881, formato prevalentemente da un gruppo di aristocratici d’indirizzo giudeofobo e reazionario – tra cui l’ober-prokuror del Santo Sinodo K.P. Pobedonoscev e il ministro degli interni conte N.P. Ignat’ev, con lo scopo di difendere la persona dello zar e avviare una lotta “terroristica” contro “i nemici dell’ordine pubblico” (Dubnow, History of the Jews, II, p. 248). 3. Bartal, Ot obščiny i nacii, p. 216.

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cepiscono ovunque gli ebrei come un elemento estraneo, privi di patria e governo propri, concorrenti, sfruttatori, miserabili, codardi, cosmopoliti, ma li odiano al punto da non permetter loro neppure l’integrazione. Ebbene, riguardo alla questione ebraica in Russia Pinsker auspica la stessa soluzione prospettata da Suvorin, confermando così che proprio in questo particolare periodo storico il programma politico del proto-sionismo è strettamente connesso al prevalere dell’antisemitismo in Europa.4 In questo pamphlet sull’autoemancipazione, che costituisce il primo manifesto ebraico del partito dell’emigrazione,5 Pinsker tenta di dare della giudeofobia una spiegazione grottescamente “scientifica”, al pari della pretesa scientificità dell’antisemitismo:6 La giudeofobia è un tipo di malattia che ha come oggetto gli spettri, con la differenza che il fantasma dell’ebraismo spaventa non solo singoli popoli ma tutto il genere umano, e che tale fantasma non è incorporeo come gli altri, ma è fatto di carne e sangue e soffre in maniera insopportabile delle ferite arrecategli da una folla vigliacca che si ritiene in pericolo. La giudeofobia è una psicosi. Come psicosi è ereditaria, e come malattia, che si trasmette da duemila anni, è inguaribile. Questa paura del fantasma (che in quanto radice della giudeofobia ha rievocato quell’odio astratto e per così dire platonico, per cui tutta la nazione ebraica risulta responsabile per qualsiasi delitto reale o immaginario dei suoi singoli membri) fa sì che essa [la nazione ebraica] venga calunniata in svariati modi, e si cura di schiaffeggiarla con l’infamia.7

Dagli anni ottanta proprio i giornali diretti dall’intellettuale ebreo A.E. Landau – «Nedel’naja Chronika Voschoda», «Evrejskaja Biblioteka» e «Voschod» – usano termini come giudeofobia e antisemitismo, e su essi propongono studi approfonditi o momenti di riflessione. A volte dalle pagine di questi giornali emerge che l’antisemitismo fosse non solo sottostimano dagli intellettuali ebrei, ma persino ritenuto un problema a conclusione rapida: questo traspare, ad esempio, da un articolo del 1880, pubblicato sulle pagine di «Evrejskaja Biblioteka», in cui si analizza il fenomeno della 4. Katz, Zionism vs. Anti-Semitism, p. 141. 5. Cavaion, Memoria e poesia, p. 109. 6. Con questo discorso Pinsker anticipa le definizioni di “fobia” riguardo al concetto di “xenofobia” date dalla psicologia nel corso del xx secolo. A livello di fenomenologia individuale le fobie sono disturbi d’ansia che si manifestano a causa di un pericolo inconscio, mentre a livello di fenomenologia sociale queste tipologie d’ansia da fisiologiche diventano vere e proprie psicopatologie collettive (cfr. Fiore, Le dinamiche psicologiche). 7. Pinsker, Autoemanzipation!, pp. 9-10.

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Antisemiten-Liga – la Lega antisemita di W. Marr.8 Il termine “giudeofobia” (e aggettivi corrispondenti) è poi ripetuto e spiegato spesso sulle pagine del settimanale «Nedel’naja Chronika Voschoda», durante gli anni ottanta e novanta. Nel 1895, inoltre, nell’articolo dal titolo Iz pol’skoj pečati (Dalla stampa polacca),9 il giornalista nota con acuta ironia di essere rimasto sorpreso dal fatto che sulle pagine di «Niwa» – giornale di Varsavia definito “spiritičesko-judofobskaja gazeta”, cioè quotidiano spiritistico-giudeofobo – «si faccia della giudeofobia del genere più ordinario», tanto che a ogni passo ci si lamenta «dell’“onnipotenza ebraica”, del pericolo degli ebrei che minacciano tutto il mondo cristiano, da cui d’altronde quest’ultimo può salvarsi se diligentemente si abbonerà a Niwa».10 L’articolo analizza poi la tattica elettorale degli ebrei, che usano i capitali inviati dall’aiu per togliere di mezzo i propri oppositori. Il giornalista scrive infine che la giudeofobia va di pari passo con «certe inimmaginabili sciocchezze sullo spiritismo, la magia, l’occultismo, cose che il giornale allo stesso tempo riesce a intrecciare agli ebrei».11 Quest’immagine finale ricorda molto da vicino la giudeofobia descritta nel romanzo di N.P. Vagner, di cui si parlerà oltre. Il mito della colpevolezza Il mito della colpevolezza dell’ebreo sfruttatore è legato indissolubilmente, sin dall’Ottocento, alla questione dei pogrom, percepiti come la giusta punizione popolare alla malvagità ebraica. Nel corso della discussione pubblica della questione ebraica l’“intelligencija giudeofoba” spesso evidenzia un nesso di causalità ed effetto tra ebreo sfruttatore, sentimenti antiebraici, violenze e distruzioni degli anni settanta e ottanta dell’Ottocento. Tuttavia il mito della colpevolezza dell’ebreo sfruttatore, preesistente alla discussione pubblica, è introdotto nella cultura russa – mediato dalla tradizione popolare delle terre ucraine – per il tramite della settecentesca Istorija Rossijskaja s samych drevnejšich vremёn (Storia della Russia dai tempi più antichi) di V.N. Tatiščev. Grazie alla Istorija Rossijskaja, la cui pubblicazione (postuma) costituisce «uno dei maggiori eventi nella cultura russa del secondo Settecento», le successive generazioni di russi percepiscono Tatiščev come «il padre della […] storiografia 8. Klier, German Antisemitism and Russian Judeophobia, p. 535. 9. «Nedel’naja Chronika Voschoda», 4 (1895), pp. 78-80. 10. Ibidem, p. 79. 11. Ibidem, p. 80.

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moderna».12 Nell’ampliare un episodio narrato nell’Ipat’evskaja letopis’ (Cronaca Ipaziana; inizio XV sec.), il secondo manoscritto più antico della Povest’ vremennych let (Racconto degli anni passati),13 Tatiščev evoca lo spettro del primo pogrom della storia degli ebrei russi.14 Nell’episodio ascritto all’anno 6621 (1113) della Povest’ si narra che, alla morte del gran principe Svjatopolk, gli abitanti di Kiev si radunarono in consiglio e decisero di chiedere a Volodimir (Monomach) di accettare il trono. Poiché la richiesta degli abitanti di Kiev non era stata accolta da Volodimir, i kieviani mossero contro gli ebrei e ne massacrarono alcuni al fine di gettare scompiglio tra la popolazione ebraica della città. Poi mandarono a dire al principe che se non si fosse recato a Kiev ne avrebbero uccisi altri, e conseguentemente i superstiti tra gli ebrei si sarebbero mossi contro la cognata, contro i boiari, e soprattutto contro i monasteri, di cui il principe era responsabile.15 Nella Povest’ l’attacco della popolazione è rivolto contro una reale comunità ebraica kieviana – cioè qui, a differenza di altri passi della Povest’, il termine “žid” si configura come uno dei realia della cronaca. Anche se la storia è contenuta sia nell’Ipat’evskaja letopis’ che nello Skazanie o Borise i Glebe (Narrazione su Boris e Gleb), lo Skazanie è spoglio dei riferimenti a quei “židy” presenti unicamente nella scena di violenza descritta dall’Ipat’evskaja letopis’.16 La vicenda narrata nella Istorija Rossijskaja di Tatiščev, una variazione sul tema della Ipat’evskaja letopis’, è arricchita delle cosiddette “Tatiščevskie izvestija”, cioè notizie costituite da poche parole o persino da interi racconti che sono assenti dalle cronache note e che appaiono per la prima volta proprio con Tatiščev.17 Le con12. Picchio, La crisi petrina, p. 232. 13. Picchio, La letteratura russa antica, p. 68. 14. Cfr. Pritsak, The Pre-Ashkenazic Jews of Eastern Europe, p. 11. Pritsak nota che già nel Quattrocento J. Długosz in Polonia legge gli eventi narrati nella Povest’ vremennych let allo stesso modo di Tatiščev trecento anni dopo. 15. Racconto dei tempi passati, p. 171. 16. Per Pritsak (Cfr. Pritsak, The Pre-Ashkenazic Jews of Eastern Europe, p. 8, p. 12) e Pereswetoff-Morath (Pereswetoff-Morath, A Grin without a Cat, II, pp. 107-109) la testimonianza testuale rifletterebbe esclusivamente la toponomastica kieviana. Difatti, “na Židy” della cronaca è accusativo del plurale “Židove”, toponimo che indica una parte di Kopyrev konec, ossia il sobborgo occidentale dell’antica Kiev attraversato dal fiume omonimo. Inoltre, nell’Ipaziana all’anno 6632 (1124) “Židove” è una zona di Kiev, paragonabile al quartiere ebraico di molte città bizantine, e agli anni 6654 (1146) e 6659 (1151) si parla di “Židov’skie vorota”, una delle porte della città. 17. Žuravel’, Tatiščevskie izvestija.

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getture personali dello storico, che accrescono la vicenda con moltissimi particolari, spostano la mitologia del pogrom ai tempi della Rus’ kieviana: alla pubblica richiesta da parte dei cristiani di Kiev di aver ragione degli ebrei, concorrenti economici degli slavi, il consiglio dei principi decretò l’espulsione “definitiva” della popolazione ebraica dai confini della Rus’. La vicenda narrata da Tatiščev ha influenzato la storiografia successiva: data per vera in quasi tutte le storie inerenti agli ebrei russi ha generato fraintendimenti, e nel pensiero giudeofobo dell’Ottocento ha ispirato l’idea di uno sfruttamento economico ebraico che persisteva sin dai tempi della Rus’, cioè sin dagli albori della storia russa. Duecento anni dopo le fantasie di Tatiščev sono ancora in grado di alimentare il fuoco dell’antisemitismo – come appare evidente dalle parole di A.S. Šmakov all’epoca del processo Bejlis (1911-1913),18 oppure dai lavori di Kostomarov, schierato dalla parte dei giudeofobi nella discussione pubblica della questione ebraica. Già nel corso della polemica tra «Osnova» e «Sion», Kostomarov aveva dato risalto al mito della colpevolezza dell’ebreo malvagio sfruttatore e all’idea di una sua giusta punizione. In Iudejam, alla luce del mito, Kostomarov deforma un fatto reale – le relazioni socio-economiche nell’Ucraina polacca – per motivare un evento ritenuto inspiegabile – il pogrom. Nel corso della storia della Polonia e della Piccola Russia gli ebrei hanno fatto opera di sensaleria ricoprendo l’incarico d’intermediari tra i potenti pany, i signori polacchi, e i chlopy, i contadini slavi. Il problema è sorto, scrive Kostomarov, quando «il popolo, nell’insorgere contro i pany, ha cominciato a condannare anche i loro aiutanti».19 La stessa condanna riecheggia nel corso degli eventi del Seicento, quando «i cosacchi, insorti contro i pany, hanno massacrato con ogni crudeltà i giudei».20 Tra le fonti da cui Kostomarov attinge per ricostruire la storia dell’Ucraina c’è anche il pamphlet Istorija rusov – usato già da Gogol’ per il suo Taras Bul’ba. Tuttavia con il passar degli anni Kostomarov cambierà opinione su Istorija rusov, ritenendolo un testo inaffidabile, pieno di «fatti incredibili e invenzioni, e […] più in generale una fonte straordinariamente torbida»21 che «ha diffuso false idee sul passato dell’Ucraina».22 18. Šmakov, Meždunarodnoe tajnoe pravitel’stvo, p. 8. 19. «Osnova», I/1 (1862), p. 43. 20. Ibidem, p. 44. 21. Kostomarov, Pis’mo k redakciju, p. 732. L’autore parla ancora di Istorija rusov come fonte torbida in Kostomarov, Literaturnoe nasledie, p. 37. 22. Kostomarov, Pis’mo k redakciju, p. 738.

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Nel 1883, dopo più di venti anni dalla pubblicazione di Iudejam e ormai pienamente convinto dell’inaffidabilità di Istorija rusov, Kostomarov ritorna sull’argomento “pogrom” in Židotrepanie v načale xviii v. (Mattanza di židy al principio del secolo xviii),23 un racconto fantastico su un pogrom settecentesco scoppiato dopo un presunto omicidio rituale. Lo storico, oltre a sostituire, come in Iudejam, “iudej” a “žid” (tranne che nella composizione del titolo), al posto del termine “pogrom” usa “židotrepanie”, «un’insurrezione del popolo tutto contro i giudei»24 caratteristica, sin dai tempi antichi, della Rus’ meridionale. Secondo Kostomarov la nazione ebraica sfrutta la residenza a «detrimento della popolazione indigena».25 Nell’affrontare la storia degli ebrei della Rus’ dell’XI secolo Kostomarov attinge proprio alla tradizione di Tatiščev, ricordando che alla morte del gran-principe kieviano scoppiò la più antica “židotrepka”, cioè la “mattanza di židy”, in cui «molti furono derubati e mandati in rovina, altri vennero massacrati di botte».26 Poi passa al periodo della dominazione polacca della Rus’ meridionale, descrivendo l’attività ebraica: l’ebreo, che «con inimitabile sfrontatezza strisciava nel luogo da cui era stato precedentemente cacciato, offrendo i propri servizi lì dove prima si faceva anche senza di lui»,27 trovò nella Rus’ dominata dalla Polonia terreno fertile per i propri “intrighi giudaici”, tanto che «i servizi dell’ultimo [il “žid”] diventarono necessari per l’esistenza del primo [il “pan”]».28 Il nobile pan della Szlachta, non occupandosi direttamente della gestione della sua proprietà, aveva assunto l’ebreo come proprio rappresentante nelle questioni con i contadini e i clienti: l’ebreo «percepiva come fonti di profitto […] la proprietà e i diritti del possidente, che quest’ultimo [il possidente] ignorava [di avere]»;29 per di più, oltre a occupare legalmente i settori dell’economia che generavano maggior profitto, l’ebreo era divenuto consigliere del pan (ottenendo in cambio diritti esclusivi sulle terre nobiliari e lauti guadagni grazie al ruolo d’intermediario). Quest’attività, tuttavia, ebbe i suoi effetti, generando un profondo odio antiebraico tra i sottoposti, cioè contadini e popolino. Traccia della manifestazione esteriore di questo sentimento in atti di pura 23. Kostomarov, Židotrepanie v načale xviii v., I, pp. 1-26. 24. Ibidem, p. 1. 25. Ibidem. 26. Ibidem. 27. Ibidem, p. 2. 28. Ibidem. 29. Ibidem.

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violenza si ha già dagli anni ottanta del Cinquecento, quando, ricorda Kostomarov, «i cosacchi sotto la guida dell’atamano Šacha batterono i giudei che si occupavano di commercio degli alcolici perché avevano aumentato il prezzo della vodka».30 Kostomarov aggiunge poi che in seguito all’Unione di Brest in Ucraina furono concessi diritti inerenti alla gestione delle chiese ortodosse proprio agli ebrei, che divennero dunque veri «proprietari, tutori, amministratori della vita spirituale dei sottoposti».31 L’esasperazione del popolo russo si manifestò concretamente, dall’ultimo decennio del Cinquecento fino alla metà del Seicento, in una serie d’insurrezioni cosacche contro gli ebrei che seguivano sempre lo stesso iter: abbatterne le sinagoghe, distruggerne le abitazioni, profanarne i luoghi sacri, massacrarli, affogarli, impiccarli. Durante l’epoca di Bohdan Chmel’nyc’kyj ci fu lo «sterminio crudele della nazione giudaica in tutta la Rus’ meridionale»,32 periodo impresso nella memoria nazionale degli ebrei. Allo stesso tempo si fece strada l’idea tra gli ucraini che la possibilità di riappacificare la società fosse direttamente collegata alla definitiva scomparsa degli ebrei dalla “Piccola Russia”. Ed effettivamente, scrive Kostomarov, in questo periodo nessun ebreo «osava farsi vedere nella regione cosacca»,33 dove il viaggiatore s’imbatteva nel giubilo popolare dovuto alla «distruzione del dominio giudaico».34 Tuttavia, sostiene Kostomarov, le violenze non costituirono un deterrente sufficiente a tenere lontani gli ebrei, che comparvero nuovamente nell’Ucraina cosacca alla fine del XVII secolo, e – «avidi di appalti come corvi sui cadaveri»35 – gestirono «i profitti dal commercio della vodka e di alcuni altri beni, in cambio dei fabbisogni delle truppe».36 Kostomarov termina l’excursus storico con l’immagine degli ebrei che sgomitano per occupare il posto di altri e “arrivare ovunque”, per rimarcare il fatto che il “žid” sta avanzando. A questo punto Kostomarov comincia il racconto fantastico, in cui descrive la violenza di un pogrom esploso agli inizi del Settecento in seguito all’accusa di omicidio rituale. Ebbene, in questo modo il racconto di Kostomarov prende una direzione tradizionalmente diversa rispetto alle classiche accuse dell’“intelligencija giudeofoba”. In Russia l’accusa agli 30. Ibidem. 31. Ibidem, p. 3. 32. Ibidem. 33. Ibidem, p. 4. 34. Ibidem. 35. Ibidem. 36. Ibidem.

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ebrei di omicidio rituale è un modello ibrido che proviene dalle terre polacche nel periodo delle spartizioni settecentesche e si sviluppa nel corso di tutto il XIX secolo per raggiungere il picco massimo nel primo Novecento con il “caso Bejlis”.37 Alessandro I aveva proibito in assenza di prove reali d’incriminare gli ebrei con l’accusa di omicidio rituale. Il caso di Veliž (Vitebsk), a cavallo di due regimi tra il 1823 e il 1835, era finito con l’assoluzione di tutti gli ebrei accusati e il confino siberiano degli accusatori cristiani. Tuttavia, dopo l’assoluzione, nel 1840, per iniziativa di Nicola I – che sospettava l’esistenza all’interno del mondo ebraico di sette fanatiche che utilizzavano sangue cristiano a fini rituali – il ministro degli interni commissionò uno studio completo sull’omicidio rituale,38 che nel 1878 sarà ripubblicato dal «Graždanin». Nel 1852 a Saratov (lontano dalla čpo) accade un presunto omicidio rituale. Il relativo processo si conclude nel 1860 con un verdetto di colpevolezza. In seguito a questo caso il governo crea una speciale commissione, di cui fanno parte D.A. Chvol’son e lo stesso Kostomarov, per investigare sulla veridicità delle accuse. Una prima edizione dello studio della commissione è pubblicata a nome di Chvol’son nel 1861 – lo stesso anno in cui gli ebrei sono accusati di omicidio rituale in provincia di Kovno – con il titolo O nekotorych srednevekovych obvinenijach protiv Evreev (Su alcune accuse medievali contro gli ebrei), e una seconda edizione compare nel 1880 come miglioramento a quella breve pubblicata in seguito all’accusa di ebrei georgiani nel caso di Kutais (1879), con il titolo Upotrebljajut li Evreev christianskuju krov’? (Utilizzano dunque gli ebrei il sangue cristiano?). Nel 1876 appare a Mosca l’opera di I.I. Ljutostanskij Vopros ob upotreblenii evrejamisektatorami christianskoj krovi dlja religioznych celej, v svjazi s voprosami ob otnošenijach evrejstva k kristianstvu voobšče (Questione sull’uso da parte degli ebrei settari di sangue cristiano per scopi religiosi in relazione alle questioni dei rapporti del mondo ebraico in generale verso quello cristiano), ripubblicata in seconda edizione arricchita e ampliata nel 1880 con il titolo differente Ob upotreblenii evrejami (talmudistskimi sektatorami) christianskoj krovi dlja religioznych celej v svjazi s voprosom ob otnoshenijach evrejstva k christianstvu voobšče (Sull’uso da parte degli ebrei – settari talmudisti – del sangue cristiano per scopi religiosi in relazione alla questione dei rapporti del 37. De Michelis, Il “delitto rituale”, pp. 35-39. 38. Attribuito comunemente a Dal’, ma prodotto in collaborazione con I.V. Kamenskij e il consigliere segreto Skripicyn.

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mondo ebraico in generale verso quello cristiano). Nel frattempo nel 1879 Ljutostanskij aveva pubblicato il celebre Talmud i Evrei (Il Talmud e gli ebrei) in risposta alla pubblicazione di Mirovozzrenie Talmudistov (La Weltanschauung dei talmudisti; SPb 1874-1876) da parte dell’ope.39 La stampa segue la questione dell’omicidio rituale, dando molta attenzione al caso di Kutais, e dunque schierandosi, in base al proprio orientamento giudeofobo o giudeofilo, contro o in favore degli ebrei. Sulla scia dei ragionamenti di Ljutostanskij e Kostomarov, nell’arco di pochi giorni sulle pagine di «Novoe Vremja» si alternano due articoli – il secondo in realtà è un feuilleton di Kostomarov contro l’edizione breve del libro di Chvol’son – in cui l’autore dimostra di credere nell’esistenza di una fanatica setta ebraica estremista che usa il sangue dei cristiani per motivi rituali.40 L’accusa del sangue si aggiunge, dunque, alla lista di recriminazioni antiebraiche della giudeofobia russa, pronta a essere utilizzata ad hoc contro gli ebrei. Storia e calunnia Kostomarov nel corso degli anni sessanta e settanta approfondisce la questione dell’omicidio rituale. Židotrepanie v načale xviii v., che riunisce acquisizioni storiche a congetture fantastiche, è pubblicato nel periodo dei grandi pogrom. In questi anni rilanciare tra i lettori l’idea di una setta ebraica dedita all’uso rituale del sangue significa mettere a repentaglio la vita di centinaia di migliaia d’individui. Ebbene: seppure ammonito da Chvol’son,41 Kostomarov ignora il problema approvando implicitamente i lavori di giudeofobi coevi – tra cui Ljutostanskij – e pubblica il suo pamphlet. La cosiddetta calunnia del sangue, che negli anni sessanta costituisce argomento sporadico di discussione nel campo della questione ebraica, nel corso del decennio successivo comincia tuttavia ad avere sulle pagine della pubblicistica un peso maggiore.42 Infatti, è proprio a metà degli anni settanta che compaiono i primi “importanti” scritti di Ljutostanskij. 39. Obščestvo dlja rasprostranenija prosveščenija meždu evrejami v Rossii, cioè Società per la diffusione dell’istruzione tra gli ebrei in Russia. Nel corso del libro si userà l’acronimo ope. 40. «Novoe Vremja», 1169; 1172 (2/VI; 5/VI/1879). Chvol’son risponde su «Novoe Vremja», 1192 (25/VI/1879) con un articolo in cui ribadisce il suo punto di vista in difesa degli ebrei e, nemo propheta in patria, mette in guardia Kostomarov sul pericolo di rilanciare tra il pubblico russo la nota calunnia del sangue. 41. «Novoe Vremja», 1192 (25/VI/1879). 42. Klier, Imperial Russia’s Jewish question, pp. 420-422.

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Ippolit Ljutostanskij – pol. Hipolit Lutostański – nasce nel 1835 nel governatorato di Kovno da famiglia polacca di confessione cattolica. Nel 1864 prende i voti e diviene prete cattolico. Tuttavia, nel 1867, in seguito a un processo per stupro, è sospeso dall’ufficio sacerdotale. Nel 1868 si converte all’ortodossia russa e diviene monaco ortodosso. Dal 1875 pubblica una serie di opere d’argomento ebraico, ampliate negli anni e caratterizzate da citazioni di varie opere giudeofobe – in particolare dal Kniga Kagala di Brafman –, che gli valgono la fama di essere un compilatore piuttosto che un autore di libri. Ljutostanskij saccheggia anche gli scritti di Kostomarov, per sminuire la posizione di Chvol’son nella disputa attorno alla calunnia del sangue e avvalorare la propria tesi, cioè l’esistenza di una setta talmudica dedita all’uso di sangue umano per scopi rituali. Di Ljutostanskij nel 1880 esce la seconda edizione di Ob upotreblenij evrejami (talmudistskimi sektatorami) christianskoj krovi dlja religioznych celei. Presentando questo lavoro come il primo serio approfondimento della questione dell’uso rituale del sangue cristiano da parte degli ebrei, auspica un’evoluzione del genere nella letteratura russa. Secondo Ljutostanskij, gli ebrei, oltre a usare mezzi potentissimi per plasmare in loro favore l’opinione pubblica delle società cristiane, sono responsabili dell’assenza di un testo scientifico che, attraverso la critica storica, spieghi il fenomeno dell’uso del sangue per scopi rituali. L’autore sostiene, a parole, che a compiere gli omicidi rituali è un gruppo ristretto di fanatici ebrei e non l’intero popolo ebraico. Però poi, nel corso del testo, questa specificità si perde, sostituita da generiche accuse contro tutti gli ebrei. Dire che “l’uso del sangue è il risultato di deformazioni della Legge mosaica su cui si basa lo studio del Talmud da parte d’interpreti ignoranti ed eredi fanatici” significa semplicemente accusare i mitnagdim lituani.43 A ciò si aggiunga, più in là nel testo, il paragone tra il fanatismo dei mitnagdim e quello dei chassidim: secondo l’autore, infatti, i mitnagdim lituani sono «una comunità che per fanatismo non è da meno dei chassidim»,44 cioè fanatici che «idolatrano il proprio rebe (maestro) come i chassidim il proprio tzaddik».45 Tuttavia nell’introduzione Ljutostanskij restringe il campo d’accusa sostenendo che il fanatismo estremo di usare il sangue a scopi rituali è una peculiarità propria di una particolare e sconosciuta setta talmudica. Eppure, sebbene posti davanti al pericolo 43. Ljutostanskij, Ob upotreblenij evrejami, I, p. V. 44. Ibidem, p. 25. 45. Ibidem.

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del Talmud, gli intellettuali russi non hanno mai approfondito la questione ma si sono limitati esclusivamente alla produzione di bellettristica di argomento ebraico;46 gli stessi intellettuali ebrei, accusa Ljutostanskij, pur conoscendo in profondità il Talmud e la degenerazione da esso derivata, hanno preferito tacere l’esistenza della setta talmudica criminale.47 Nel corso delle sue elucubrazioni Ljutostanskij s’inserisce, come i vari predecessori giudeofobi, nella polemica sull’uso dell’etnonimo “žid”: “žid” non costituisce di per sé un’offesa ma, come “izrailtjanin”, è semplicemente sinonimo di “evrej”; è lo stile del discorso a determinare l’uso della coppia “žid”-“evrej”, al pari di altre coppie, come “nemec”-“germanec” (approssimativamente, “muto”-“tedesco”), “litva”-“poljak” (“lituano”“polacco”), “chochol”-“maloross” (“ciuffo”-“ucraino”), e così via. Secondo Ljutostanskij la marca offensiva in “žid” è dovuta esclusivamente al comportamento immorale della nazione ebraica nel corso della storia,48 e a strutture sociali quali “evrejskie bratstva”, cioè le confraternite ebraiche, “faktorstvo”, l’attività di senseria, e altre forme di relazioni sociali con le locali popolazioni cristiane.49 Il disprezzo degli ebrei nei confronti dei cristiani, inoltre, è dovuto al Talmud, secondo cui gli ebrei sono uomini «mentre gli altri popoli non lo sono»50 e le anime degli “Akimy” (i cristiani) provengono da spiriti impuri mentre quelle degli ebrei dallo Spirito Santo;51 inoltre, l’“intelligencija talmudica”52 (un eufemismo per “intelligencija russo-ebraica”) è sempre pronta a proteggere gli ebrei, persino quando il loro odio fanatico per i cristiani si manifesta in azioni blasfeme e sacrileghe, contro i simboli del cristianesimo – in particolare l’immagine di Cristo e della croce.53 E in questo modo l’autore certifica che colpevoli del pogrom di Odessa del 1871 sono stati gli stessi ebrei: il fanatismo che ha spinto gli ebrei a profanare una cappella rimuovendone la croce causa 46. Ibidem, pp. 3-4. 47. Ibidem, pp. X-XVII. 48. Ibidem, pp. V-VII. 49. Ibidem, pp. 8-12. 50. Ibidem, p. 143. 51. Ibidem. 52. Ibidem, p. 36. Sull’influenza malefica del Talmud fonti di Ljutostanskij sono Eisenmenger e Chiarini. Sulla penetrazione in Russia della talmudofobia, grazie all’opera di Chiarini Théorie du Judaïsme, attraverso il dibattito della pubblicistica attorno alla questione ebraica, cfr. Klier, Imperial Russia’s Jewish question, pp. 132-135. 53. Ibidem, pp. 186-198.

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la violenta reazione del popolo.54 Inoltre, l’odio anticristiano caratteristico degli ebrei è testimoniato dalle costanti macchinazioni e dai continui intrighi orditi a scapito dei cristiani. Se da una parte i cristiani, ignari di tutto, concedono diritti e benefici agli ebrei,55 dall’altra gli ebrei, secondo i precetti del Talmud, non possono amare o rispettare i cristiani, neppure esserne amici, ma devono odiarli, sfruttarli, soggiogarli, sterminarli, e alla fine dominare il mondo.56 Conseguentemente gli ebrei, ovunque nell’Impero, intrecciano strette relazioni con i cristiani, e allo stesso tempo, aborrendo il lavoro produttivo utile all’intera società, conducono le proprie attività commerciali e imprenditoriali a spese proprio della popolazione cristiana, a cui riservano i compiti più pesanti.57 Ljutostanskij inoltre dedica parte dell’introduzione alle aspre critiche che la prima edizione dell’opera ha suscitato tra gli appartenenti al “kahal dei židy”, cioè i rappresentanti dello schieramento giudeofilo (inclusa l’“intelligencija russo-ebraica”) tra cui N.N. Golicyn e lo stesso Chvol’son. Upotrebljajut li evrei christianskuju krov’? di Chvol’son, scrive Ljutostanskij, è capostipite di una serie di scritti, tra cui quello omonimo di Golicyn, con lo scopo di dimostrare che gli ebrei non usano sangue per scopi rituali.58 Ljutostanskij riprende la questione sollevata da Chvol’son e, citando le parole di Kostomarov su «Novoe Vremja»,59 si chiede retoricamente perché, «se tra altre popolazioni, e persino tra sette cristiane, è esistita una superstizione talmente terribile, cioè l’uso di sangue umano a scopi rituali, […] non è possibile allora [concepirne l’esistenza] tra i židy?».60 “Non so”, gli avrebbe risposto l’anno successivo in un ipotetico dialogo a distanza Dostoevskij per bocca del suo Alёša Karamazov.61 Dopo aver ricordato con orgoglio che Kostomarov si è schierato in sua difesa nella polemica con Chvol’son, Ljutostanskij cita Brafman secondo cui «dai talmudisti ci si può aspettare di tutto, non solo la ‘strage degli innocenti’ cristiani, ma anche qualcosa di estremamente peggiore, che non si può neppure immaginare, cioè il fatto che i talmudisti sono veramente capaci 54. Ibidem, p. 192. 55. Ibidem, p. 209. 56. Ibidem, pp. 167-168. 57. Ibidem, pp. 140-141. 58. Ibidem, pp. VII-XIV 59. Kostomarov, Zamečanie po povodu brošjury, izdannoj g. Chvol’sonom. 60. Ljutostanskij, Ob upotreblenij evrejami, II, pp. III-IV. 61. Dostoevskij, I fratelli Karamazov, pp. 1308-1309.

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di [compiere] qualunque cosa».62 Dopo aver attaccato Chvol’son in tutti i modi possibili, incluso destare il sospetto che Chvol’son abbia rinnegato la religione ebraica e si sia fatto cristiano per convenienza e non per fede, Ljutostanskij lo prende a modello di tutto il mondo ebraico: poiché gli ebrei (come Chvol’son) rimarrebbero sempre fedeli al Talmud senz’alcuna speranza di progresso, pronunciarsi in favore degli ebrei, in particolare chiederne la parità di diritti, sarebbe nocivo per tutto il popolo russo, debole e facilmente sfruttabile. Dunque, secondo l’autore, gli ebrei sono forestieri che «strisciano come scarafaggi sulla terra russa»63 per diffondere il cosmopolitismo, cioè «l’amore per tutto il mondo e non per la patria»,64 per sfruttare «i bisogni del popolo, come all’epoca della guerra russo-turca»,65 per compiere omicidi politici e allo stesso tempo mostrarsi «sedicenti propiziatori del popolo russo, con cui non possono avere nulla in comune».66 Con questi sentimenti, che dal punto di vista psicopatologico possono esser definiti nuda xenofobia, è accolto lo zaricidio del 1 marzo 1881. Un secolo di pogrom I pogrom del biennio 1881-1882, scoppiati un mese dopo lo zaricidio, sono solo l’ultimo episodio di un secolo di violenze antiebraiche che scuotono la Russia. La pubblicistica spiega la serie di pogrom esplosi nel corso dell’Ottocento a Odessa, la terza città dell’Impero per numero di abitanti,67 attraverso il cosiddetto “paradigma del pogrom”, cioè stereotipi pronti all’occorrenza per interpretare eventi futuri.68 All’inizio dell’Ottocento Odessa è una “pacifica” isola greca in un mare slavo. Nel corso del secolo tuttavia tra la popolazione cittadina, aumentata demograficamente e divenuta multietnica, la pace è rotta dalla rivalità economica tra greci ed ebrei, che alla metà del secolo costituiscono ormai un terzo della popolazione urbana. Durante la Settimana Santa l’immagine evangelica degli ebrei colpevoli della crocifissione di Gesù agisce nella società cittadina trasformando la rivalità economica in insofferenza religiosa. Ebbene, quando la Pasqua cristiana e 62. Ljutostanskij, Ob upotreblenij evrejami, II, pp. VI-VII. 63. Ibidem, p. XVIII. 64. Ibidem. 65. Ibidem. 66. Ibidem. 67. Klier, The pogrom paradigm, p. 33. Sull’evoluzione di Odessa negli anni settanta, cfr. Cifariello, Ebrei e “zona di residenza”, pp. 101-102. 68. Klier, The pogrom paradigm, p. 15.

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quella ebraica coincidono, l’insofferenza si tramuta in violenza. A innescare la violenza popolare contribuiscono, inoltre, una serie di motivi, quali: un qualsiasi pretesto (come, ad esempio, il rifiuto di levarsi la kippah) durante il passaggio della processione pasquale nei pressi di abitazioni o negozi ebraici; la riesumazione di antiche leggende medievali sul sangue cristiano usato nell’impasto delle matzot di Pesach (gli azimi rituali della Pasqua ebraica); voci su presunti omicidi rituali avvenuti in qualche parte della Russia; l’ipotetica autorizzazione governativa a “battere il žid”; lo smodato uso d’alcolici durante la festività. La letteratura russa ha ripetuto più volte il concetto che nel corso dei pogrom la popolazione offende la proprietà piuttosto che la persona: tuttavia, l’inviolabilità dell’ebreo in quanto persona nel corso del pogrom è semplicemente un falso mito che persiste nella coscienza dei russi. Le cronache dei pogrom – inserite nel dibattito pubblico della questione ebraica sin dal 1859 e dunque documentate in modo dettagliato dalla pubblicistica – spiegano spesso le violenze antiebraiche come fanatismo religioso o semplice ignoranza popolare.69 A cominciare dalla metà degli anni sessanta il dibattito s’intensifica. In seguito alla fallita insurrezione polacca del 1863 gli ebrei lituani sono considerati indistintamente traditori della patria e obbligati dalle autorità locali a una russificazione forzata.70 Nuove accuse sono poi lanciate dall’“intelligencija giudeofoba” – Brafman e Aksakov in primis – secondo cui esiste uno “status” ebraico, il “kahal”, che segretamente domina la Russia “in statu”, dall’interno, e apertamente sfrutta la popolazione locale. Durante la Settimana di Pasqua del 1871 scoppia a Odessa un nuovo terribile pogrom che dura tre giorni, dal 28 marzo al 1 aprile. La relazione del governatore P.E. Kocebu viene pubblicata sotto forma di resoconto dall’organo ufficiale del governo, il «Pravitel’stvennyj Vestnik», e ripreso poi dai vari periodici coinvolti nella discussione pubblica della questione ebraica. Secondo Kocebu i motivi alla base delle tensioni sociali che si manifestano nei pogrom non sono religiosi bensì economici, cioè il fatto che gli ebrei dominino l’economia locale.71 Se per l’«Odesskij Vestnik» principali colpevoli delle violenze sono l’alcol e l’astio tra greci ed ebrei,72 i giornali d’orientamento 69. Ad es., il pogrom odessita del 1859 è documentato da «Odesskij Vestnik», 42 (21/IV/1859); M.D., Gonenija na Evreev v Odesse; V.A. Ja., Demonstracii protiv Evreev v Odesse. 70. Cifariello, Ebrei e “zona di residenza”, p. 100. 71. Klier, The pogrom paradigm, pp. 21-24. 72. «Odesskij Vestnik», 69 (3/IV/1871).

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giudeofobo invece accusano dei disordini proprio le vittime, gli ebrei, rei d’aver soggiogato la Russia attraverso il dominio del kahal, l’abuso delle attività commerciali, il controllo delle terre e degli appalti, il monopolio delle occupazioni impiegatizie e mediche.73 Secondo A.M. DondukovKorsakov, governatore-generale della regione, che condivide queste idee, il pogrom è stato causato dall’irrisolta questione ebraica, in particolare dall’astio generato dall’attività delle grandi imprese della finanza ebraica e delle società di costruzioni ferroviarie.74 Il 4 aprile su «Moskovskie Vedomosti», il più importante quotidiano dell’Impero, appare un resoconto sui disordini odessiti ampiamente ripreso dalla pubblicistica coeva, in cui si menzionano gli espedienti escogitati dai cittadini per evitare le violenze contro la proprietà e la persona, tra cui esporre alle finestre croci e icone. Il 6 aprile esce un articolo di Čackin, dove per la prima volta alle testimonianze delle violenze si associano anche quelle degli stupri.75 L’8 aprile è pubblicato l’editoriale – che precede la riproduzione del resoconto dell’«Odesskij Vestnik» – in cui Katkov riassume brevemente la dinamica delle violenze: La folla frantumava le taverne; gettavano in strada l’alcol e il petrolio fotogeno e gli davan fuoco; tutta quella parte di città […] era ricoperta di un pulviscolo di piume uscite dai materassi scaraventati [per strada] dalle case degli ebrei, al cui interno la folla distruggeva mobili, stoviglie e altri beni. [Come al passaggio d’una tempesta] interi mercati erano sconquassati. E queste furiose violenze avvenivano in ogni angolo della città!76

La voce autorevole dell’editore critica il resoconto dell’«Odesskij Vestnik», secondo cui nei tre giorni d’ininterrotte violenze i cittadini, abbandonati al proprio destino, avrebbero lodevolmente formato delle squadre in difesa delle proprie abitazioni e sarebbero persino riusciti a catturare alcuni saccheggiatori; nel racconto dell’«Odesskij Vestnik» si osserva inoltre che, se «a Odessa durante la Settimana Santa le risse tra greci ed ebrei sono un evento usuale»,77 i disordini del 1871 «hanno assunto un carattere particolarmente minaccioso».78 Katkov, al contrario, sostiene che già dal 73. «Kievljanin», 47 (22/IV/1871); «Golos», 123 (5/V/1871); «Sankt-Peterburgskie Vedomosti», 128 (11/V/1871). 74. Klier, The pogrom paradigm, pp. 32-33. 75. «Moskovskie Vedomosti», 70-71 (4/IV-6/IV/1871). 76. «Moskovskie Vedomosti», 73 (7/IV/1871). 77. Ibidem. 78. Ibidem.

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secondo giorno sono state prese misure talmente efficaci – «di truppe a Odessa ce n’era in abbondanza»79 – da permettere di sedare le violenze il quarto giorno, ancora prima dell’arrivo dei rinforzi. Katkov ricorda che i disordini del 1871 sono molto simili a quelli del 1859: a quell’epoca le violenze, scoppiate il primo giorno di Pasqua, dalla zona della chiesa greca si diffusero per tutta la città; alle inefficaci misure prese nei primi due giorni dal comando locale seguirono, il terzo giorno, le violente esecuzioni pubbliche a colpi di nagajka per punire chiunque fosse stato catturato in strada. Katkov rimarca che se nel pogrom del 1871 i capibanda non sono stati catturati, nel 1859 i principali colpevoli sfuggirono alla punizione e senza aprire alcuna inchiesta giudiziaria «quelli che erano stati arrestati furono subito rimessi in libertà».80 Questo tipo di riflessione, in cui si raffronta il pogrom attuale con quelli del passato, rientra nell’idea di confrontare le violenze proprio con fatti o stereotipi mediati dagli eventi precedenti (il “paradigma del pogrom”). Un possibile raffronto tra il pogrom del 1871 e quelli futuri permette l’arte grafica di V.V. Vachrenov, che riproduce in venti schizzi gli eventi osservati in prima persona a Odessa. Oltre alle reali distruzioni, ai pogromščiki in carne e ossa, nelle sconcertanti immagini Vachrenov mostra anche la folla di spettatori silenti che percepiscono la violenza odessita come una consuetudine della quotidianità.81 Fissando per sempre attraverso le immagini l’evento distruttivo nel silenzio dei presenti, Vachrenov pare riassumere la generica indifferenza delle masse cittadine alle disgrazie del prossimo, l’“altro”. Dopo l’attentato del 1 marzo 1881, la stampa dà risalto all’importante apporto all’azione terroristica da parte di Gesja Gel’fman – l’ebrea padrona dell’appartamento in cui si riuniscono i terroristi –, e soprattutto all’origine ebraica di I.I. Grinevickij – il terrorista morto dopo aver lanciato la bomba che ha dilaniato l’imperatore. Le allusioni alla mano ebraica dietro allo zaricidio accendono la miccia dei violenti pogrom antiebraici in tutto il paese.82 In particolare, le accuse di «Vilenskij Vestnik» e «Novoe Vremja» rafforzano l’idea che lo zar “unto del Signore” sia stato massacrato dagli ebrei “anticristi”. Inoltre la stampa fa riferimento anche alla nazionalità polacca di Grinevickij: nell’immaginario collettivo l’elemento polacco ben si sposa con quello ebraico quando si tratta di indicare gli “agitatori” e i “ter79. Ibidem. 80. Ibidem. 81. Klier, Iskusstvo i pogromi, p. 439. 82. Cifariello, Boris Akunin e il romanzo antinichilista giudeofobico, p. 181.

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roristi” all’attacco della Russia. La campagna della stampa contro gli ebrei zaricidi è talmente virulenta che basta la comparsa, sulle pagine di «Novoe Vremja», di un riferimento velato al fatto che uno degli assassini sia di “tipo asiatico” a gettare nel panico gli ebrei.83 Gesja Gel’fman inoltre assurge a simbolo di tutto il male ebraico nella mente dei futuri pogromščiki.84 Il 15 aprile 1881 Elizavetgrad è la prima città a essere investita dall’esplosione del pogrom. Le violenze poi, come un potente tsunami, scuotono Kiev, Odessa, inondano le campagne, e a Natale allagano Varsavia. Nel 1882, nella settimana di Pasqua, le onde del pogrom toccano Balta, nel 1883 Ekaterinoslavl, e nel 1884 giungono persino a Nižnyj Novgorod. La dinamica del pogrom è sempre la stessa: da un’iniziale situazione di calma e apparente normalità la violenza scoppia, inizialmente in modo spontaneo, per sfociare in un odio distruttivo, manovrato da fili oscuri che fanno capo ai servizi segreti e alla polizia zarista. Tuttavia, alcuni studi recenti dimostrano il prevalere della spontaneità sul carattere cospiratorio dei pogrom degli anni ottanta.85 In quest’atmosfera insanguinata esce Sočialističeskaja agitacija kak glavnaja pričina vnezapno vozbuždennoj nenavisti k Evrejam. Neobchodimost’ osnovatel’nogo peresmotra našego zakonodatel’stva otnositel’no Evreev (La propaganda socialista come ragione principale dell’odio antiebraico sorto all’improvviso. La necessità di un riesame serio della nostra legislazione riguardo agli ebrei)86 di Katkov. L’editore definisce i pogrom di questo periodo epidemie mentali diffuse dall’intrigo del “Comitato Centrale” e fa un sunto della propria visione della questione ebraica. Per Katkov gli ebrei della čpo sono oppressi dalla propria comunità; tuttavia, non usa il termine “kahal”, che indica la struttura comunitaria abolita nel 1844, ma “evrejskoe obščestvo”, cioè la comunità ebraica riconosciuta dalla legislazione vigente come interlocutore ufficiale tra popolazione ebraica e stato russo. La soluzione della questione ebraica consiste per Katkov nella liberazione degli ebrei dall’“evrejstvo” – inteso proprio come “comunità ebraica” – attraverso un riesame completo e accurato dell’intera legislazione inerente alla materia ebraica e l’abrogazione di quelle leggi che vincolano gli ebrei all’“evrejskoe obščestvo”, 83. Klier, Imperial Russia’s Jewish question, p. 403. 84. Klier, Lambroza, The pogroms of 1881-1884, p. 39. 85. Klier, Unravelling of the Conspiracy Theory, pp. 79-89; Klier, Russians, Jews, and the Pogroms of 1881-1882, pp. 81-82. 86. «Moskovskie Vedomosti», 110 (21/IV/1882).

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incluse quelle che regolano le tasse comunitarie. Con queste parole pertanto Katkov dimostra implicitamente che la legge emanata il 14 agosto 1881 sulle procedure straordinarie87 non risolve la questione: una volta codificata e sistematizzata la precedente legislazione repressiva, la legge sulle procedure straordinarie sarebbe infatti divenuta la definitiva “costituzione” russa, che concentrava «la lotta alla sovversione nella figura del ministro degli Interni, dove sarebbe rimasta da quel momento in poi».88 Secondo Katkov l’unica soluzione capace di offuscare la sete di giustizia del popolo russo è liberare russi ed ebrei dall’influenza malevola della comunità ebraica: cioè, attraverso concezioni kahalofobiche, anche se espresse con parole e in modi diversi rispetto ai giudeofobi, Katkov accusa dei mali della Russia proprio lo “status in statu” degli ebrei, o, più semplicemente, il “kahal dei židy”. 2. La giudeofobia occulta: il “complotto ebraico” Il mitema giudeofobo Tra i rappresentanti dell’“intelligencija giudeofoba” emerge la convinzione che dietro gli eventi storici e la situazione politica internazionale ci sia la mano di un complotto ebraico mondiale volto a spezzare l’unità dell’Impero e a sovvertirne i valori. Sostenendo quest’idea, nel corso degli anni settanta gli intellettuali giudeofobi pubblicano diversi articoli e pamphlet in cui porre l’accento sull’esistenza del complotto. Tra le bizzarre teorie che realizzano il topos del complotto ebraico c’è persino quella secondo cui il complotto avrebbe inizio nel periodo del kaganato chazaro. L’idea che sia stato ordito un complotto antirusso sin dai tempi dei chazary e che il popolo russo, oltre a combattere il complotto, acquisisca la funzione di salvatore dell’umanità, dimostra, secondo V. Shnirelman, una visione escatologica della storia russa.89 In questo contesto la storia del regno dei chazary e il suo ruolo nella formazione della Rus’ kieviana si miscelano bene alle richieste dei nazionalisti russi della seconda metà del XIX secolo di trovare un passato mitico nella storia della Russia. La conversione della nobiltà chazara alla religione ebraica diviene il pretesto per affermare che 87. Ukaz n. 350, in Polnoe sobranie zakonov, III, vol. I, pp. 261-266. 88. Pipes, La Russia, pp. 436-437. 89. Shnirelman, The Myth of the Khazars, pp. 1-2.

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la genesi degli intrighi e della dominazione degli ebrei è da ricercarsi negli albori della Rus’: in questo modo i nazionalisti russi accusano gli ebrei di aver ordito intrighi ai danni della Russia sin dalle sue origini. Nel XX secolo la medesima logica per cui la cospirazione ebraica nasce nell’antichità e si sviluppa nei millenni emergerà meglio strutturata nel materiale che anticipa90 i psm.91 Il “mitema giudeofobo” è costituito dunque dal mito del complotto dell’ebreo deicida contro l’umanità in generale e il cristianesimo ortodosso in particolare; si tratta, cioè, dell’elemento distintivo di una giudeofobia mitica propria della cultura nazionalista della Russia ortodossa dell’Ottocento. De Michelis evidenzia che, se il termine “giudeofobia” può sembrare superfluo alla luce del più attuale “antisemitismo”, la nozione di “antisemitismo” è in qualche modo ambigua, perché prima di tutto il termine “semitico” «stava a indicare il gruppo delle lingue del “ceppo di Sem” (accadico, cananeo, ebraico, aramaico, arabo) e solo nella seconda metà del xix secolo la cultura etnologica ne fece una categoria “razziale” con cui indicare per antonomasia gli ebrei»,92 e poi anche perché per la Russia si tratta di un “prodotto d’importazione”; la nozione di “giudeofobia” rappresenta invece «l’esito relativamente recente (inizi del xix secolo) dell’antica ostilità per l’ebraismo (antigiudaismo)» a cui si assomma «il timore nei confronti degli ebrei che si diffuse in Russia a partire dal Settecento […] con l’annessione di una parte notevole dell’Ucraina e con le spartizioni della Polonia».93 Questo tipo peculiare di “idea giudeofoba” unisce due precedenti percezioni antiebraiche: la prima, esterna, consiste nella «convinzione che gli ebrei avessero avuto parte nel crollo dell’Ancien régime», mentre la seconda, interna, deriva dalle posizioni assunte dagli ebrei polacchi «al tempo della campagna napoleonica di Russia del 1812 e della rivolta polacca del 1831».94 Dunque, l’idea di una piccola entità, di un “petit peuple”, all’interno di una grande nazione che ne mina l’unità, è una questione che viene da lontano, sia nel tempo (fine Settecento-inizi Ottocento-1831) che nello spazio (Francia giacobina-Francia napoleonica-rivolta polacca). Tuttavia, è nel periodo dell’insurrezione polacca del 1863, nel pieno della discussione pubblica della questione ebraica, 90. Si veda Men’šikov, Zagovory protiv Čelovečestva. 91. Protokoly Sionskich Mudrecov, cioè Protocolli dei Savi di Sion. Nel corso del libro si userà l’acronimo psm. 92. De Michelis, La giudeofobia in Russia, pp. 16-17. 93. Ibidem. 94. Ibidem.

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che sulle pagine della pubblicistica russa emerge a gran voce il concetto di “status in statu” riferito per la prima volta all’intera popolazione ebraica dell’Impero, senz’alcuna distinzione. Lo “status in statu” e il mito del kahal Il sintagma “status in statu” riferito agli ebrei compare per la prima volta proprio nel 1863, dopo l’insurrezione polacca, in un articolo pubblicato su «Golos». Secondo l’anonimo giornalista la legislazione russa tratta gli ebrei all’interno dalla società come gruppo etnico speciale separato, una sorta di “stato nello stato”.95 A una maggiore diffusione del concetto contribuisce soprattutto l’opera di Aksakov (slavofilo prima, panslavista poi) che, spesso anticipando temi e motivi dell’intero movimento giudeofobo, «è divenuta in seguito il fondamento dell’ideologia dell’antisemitismo russo e il punto di partenza del suo sviluppo teoretico».96 Aksakov affronta la questione ebraica dalle pagine delle sue riviste, in cui propaganda la teoria del complotto universale ebraico.97 Nel 1867 pubblica su «Moskva» un articolo intitolato Ne ob emancipacii Evreev sleduet tolkovat’, a ob emancipacii Russkich ot Evreev (Non sull’emancipazione degli ebrei si deve discutere, ma sull’emancipazione dei russi dagli ebrei).98 L’articolo si basa sulla notizia data da «Moskovskie Vedomosti»,99 il quotidiano di Katkov, dei grandi disordini scoppiati nel 1866 nei dintorni di un monastero ortodosso dove una folla d’ebrei si era radunata per prevenire il battesimo di una giovane ebrea. Per Aksakov, secondo cui la legislazione russa concede privilegi agli ebrei, il fatto di cronaca acquisisce un particolare significato, che dimostra il trattamento differente riservato alla popolazione ebraica: solo agli ebrei, infatti, è riconosciuto il diritto – anomalo per qualunque altra comunità religiosa – di ritardare o prevenire il battesimo di un confratello in cerca di conversione. Per l’autore le notizie «sul despotismo dei rabbini, sul fanatismo degli tzaddikim, sul commercio d’uomini allestito dagli ebrei per la fornitura di reclute, sull’asservimento in cui l’ebreo tiene 95. «Golos», 132 (28/V/1863). Sulla genesi dell’accusa di “status in statu” nel dibattito pubblico sulla questione ebraica si vedano anche la serie di articoli di Levanda in «Vilenskij Vestnik», 20-26-27 (25/I; 1/II; 3/II/1866). 96. El’jaševič, Ideologija antisemitizma v Rossii, p. 48. 97. Ibidem, pp. 48-52. 98. «Moskva», 84 (15/VII/1867). 99. «Moskovskie Vedomosti», 51 (4/IV/1867).

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l’agricoltore russo» dimostrano che la čpo si è trasformata «nella Palestina dei židy».100 Dipingendo lo scenario poi prospettato dalle successive opere di Brafman – ma anche dal famoso brano di Dostoevskij sullo “status in statu”, dal pamphlet di Ljutostanskij e dalle immagini della trilogia giudeofoba di Krestovskij –, la voce di Aksakov ha il “merito” di aver conferito autorevolezza al mito del governo segreto ebraico che come un “petit peuple” domina la Russia dall’interno. Sulla discussione intorno allo “status in statu” ebraico negli anni settanta hanno effetto dirompente i lavori di Jakov Brafman. Brafman, soprannominato dalla rivista degli ebrei odessiti il “Pfefferkorn russo”,101 è un ebreo convertitosi al cristianesimo ortodosso, divenuto successivamente funzionario statale e allo stesso tempo acerrimo giudeofobo. Preso a modello l’organo soppresso ma mai scomparso «di autogestione delle comunità ebraiche» come il “male degli ebrei”, getta «le basi “documentarie” per dare corpo all’idea di un “governo mondiale segreto” degli ebrei».102 Dunque, se i psm sono figli di genitori misteriosi, Brafman ne è sicuramente il nonno: assieme all’“intelligencija giudeofoba russa” egli dà, infatti, un contributo fondamentale al sorgere del moderno antisemitismo.103 Alla fine degli anni sessanta vedono la luce i due celeberrimi lavori Evrejskie bratstva, mestnye i vsemirnye (Le confraternite ebraiche, locali e mondiali; Vil’na 1868) e Kniga Kagala (Il libro del Kahal; Vil’na 1869). In generale le opere di Brafman non costituiscono la “semplice” idea di un ebreo rinnegato, di un neofita paranoico, o di un giudeofobo autolesionista, ma la posizione ufficiale dell’apparato statale: i due lavori sono il prodotto di un funzionario di Vil’na, Brafman appunto, pubblicati dalla Pečatnja Vilenskogo gubernskogo pravlenija, la casa editrice dell’amministrazione del governatorato in cui Brafman lavora. Questi testi, che esprimono teorie che attraggono l’attenzione dell’amministrazione locale,104 circolano tra l’apparato burocratico – inviati come dispacci agli uffici governativi della čpo per presentare ai burocrati russi l’esistenza in Russia di pericolosi realia ebraici105 – e suscitano enorme scalpore nelle principali città dell’Impero (Pietroburgo, Mosca, Vil’na, Kiev e Odessa).106 100. Aksakov, Evrejskij vopros, p. 482. 101. «Den’», 29 (29/XI/1869). 102. De Michelis, La giudeofobia in Russia, p. 21. 103. Klier, Imperial Russia’s Jewish Question, p. 263. 104. Ibidem, p. 170. 105. Ibidem, p. 266. 106. V.K., Kritika, p. 124.

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Ebbene, le idee di Brafman giungono non solo negli ambienti importanti della società, ma soprattutto tra l’“intelligencija giudeofoba russa”, e, traghettando fatti reali verso la finzione letteraria, ne influenzano in modo decisivo l’evoluzione culturale. All’inizio dell’attività di supporto al governo russo Brafman, che lavora come censore di libri ebraici, si schiera tra le file dei missionari dediti alla conversione degli ebrei. Nel corso degli anni sessanta egli, oltre a riconoscere il fallimento clamoroso della sua esperienza di missionario, osserva il generale insuccesso delle politiche ebraiche del governo – tra cui quelle inerenti all’educazione laica e all’attività agricola. Questi disastri, secondo Brafman, sono il risultato dell’azione di un kahal occulto.107 Attraverso la pubblicazione e il commento delle pinkas108 del kahal di Minsk nei due volumi citati, l’autore presenta il kahal come: un’istituzione sopravvissuta alla riforma del 1844 e pronta a dominare la Russia; il governo talmudico aristocratico che detiene in modo dispotico il potere sulla comunità ebraica; la “confraternita” alla guida di tutte le altre “confraternite” ebraiche che controlla il popolo ebraico – “am ha-aretz”109 senza diritti; un’organizzazione ostile ai goim della čpo. Secondo Brafman il kahal assomiglia alle logge massoniche, oppure a quella Rząd Narodowy che nel 1863 guidò l’insurrezione polacca. La nascita del kahal risale ai tempi antichi, sotto forma di “chabura”, cioè “unione” della classe aristocratica, di cui fa parte tutto l’Israele dotto, ricco e influente. Questo kahal fonda la propria autorità sul Talmud, cioè, secondo l’autore, una raccolta di testi inerenti esclusivamente all’ufficio divino al di fuori del tempio, e alla politica al di fuori dello stato. Egli sostiene che ormai la politica e l’economia del mondo sono controllate dall’aiu, la “chabura” parigina che nella čpo sta disponendo i suoi “consoli” – una serie di confraternite ebraiche a essa sottoposte – ed è a capo dell’ope, la filiale pietroburghese. Brafman si scaglia più volte contro l’ope nel corso della sua attività letteraria. Ad esempio, in un articolo del 1876 intitolato Iezuity Iudejstva (I gesuiti del mondo giudaico),110 egli scrive che 107. Klier, The Kahal in the Russian Empire, pp. 48-50. 108. “Atti”, tradotto in russo come “protokoly”. 109. Cioè ‫הארץ‬-‫עמ‬, letteralmente “popolo della terra”, nella letteratura rabbinica i contadini – di cui il Talmud apprezza la loro religiosità – che trascuravano le decime agricole e non seguivano le regole alimentari ebraiche. Nel periodo post-talmudico l’espressione venne a indicare persona ignorante, non al corrente dei rudimenti delle tradizioni talmudiche e mancante di sensibilità morale (Unterman, Dizionario di usi e leggende ebraiche, p. 19). 110. «Golos», 117 (28/IV/1876).

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l’ope corrisponde alla sezione russa dell’aiu, considerato il kahal universale a capo dei kehalim della terra, che guida la cospirazione internazionale ebraica contro il mondo cristiano. Nell’articolo Brafman analizza il libro Mirovozzrenie talmudistov voluto e sostenuto dall’ope. Con Mirovozzrenie talmudistov, sostiene Brafman, l’ope propaganda tra i russi le idee e i valori immorali del Talmud usando sinonimi, perifrasi, eufemismi, piuttosto di tradurre letteralmente il testo ebraico e farne capire la vera natura anticristiana e sovversiva. In questo modo l’ope distoglie il lettore dal senso reale delle parole del testo religioso rivolte proprio contro i goim. M.G. Morgulis, pubblicista di «Den’», dimostra sin da subito che gli atti presentati da Brafman sono senza dubbio pinkas originali, il cui unico punto debole è una cattiva traduzione in russo che ne altera il senso. Nel corso del 1871 Morgulis pubblica su «Den’» una celebre serie di articoli intitolata Kagal i učreždenija magdeburgkogo prava (Il kahal e le istituzioni della legge di Magdeburgo) dove si oppone all’interpretazione del kahal come di una “repubblica municipale talmudica” all’interno dello stato russo. Secondo Morgulis il modo di vita esclusivo degli ebrei in Europa centrale e orientale, di cui il kahal è stato espressione, è esclusivamente la risposta alle lunghe persecuzioni da parte delle popolazioni locali: in questo contesto la creazione del kahal corrisponde dunque a un fenomeno simile alla crescita di gilde urbane nella lotta contro il feudalesimo. Il pubblicista riassume quindi la storia della nascita della struttura del kahal in Polonia. Infine, proprio in risposta a Kniga Kagala Morgulis affronta l’argomento “kahal e confraternite ebraiche” distruggendo la tesi di Brafman secondo cui il kahal è superiore alle altre confraternite.111 Brafman, dunque, sintetizza la questione ebraica, soffermandosi esclusivamente sull’esistenza segreta del kahal. L’abolizione del kahal secondo Brafman rimane l’unica soluzione possibile alla questione ebraica. Attraverso questo slogan egli semplifica tutto il complesso di relazioni socio-economiche su cui si basa la “giudeofobia oggettiva”, e crea una formula più diretta, più comprensibile, capace di attizzare il fuoco della cosiddetta “giudeofobia occulta”. A differenza della “giudeofobia oggettiva”, che per essere credibile ha bisogno di un costante riscontro oggettivo nella quotidianità russa, la “giudeofobia occulta” è capace di amplificare l’odio antiebraico proprio attraver111. Per Brafman le confraternite sono le arterie della vita comunitaria degli ebrei, strette in legami non sempre armonici con l’istituzione fondamentale: il kahal. Cfr. «Den’», 19 (8/V/1871), pp. 289-291.

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so il velo del mistero, del segreto, del fantastico.112 Negli anni seguenti i lavori di Brafman sono ritenuti dall’opinione pubblica come la reale testimonianza della segreta esistenza del kahal che, vivo e vegeto, opera a detrimento della Russia. Così, grazie allo “smascheramento” del kahal da parte di Brafman, l’“intelligencija giudeofoba” sposta l’attenzione dalla reale questione ebraica – “giudeofobia oggettiva” – a un immaginario complotto internazionale ebraico volto alla dominazione del mondo – “giudeofobia occulta”.113 Perciò, nel 1881, nel pieno dei pogrom, l’opera di Brafman influisce sulla storia e sulla società più che mai. Ciò traspare in maniera esplicita dagli strali – il cui senso invero non si discosta dai discorsi degli anni sessanta – che l’autorevole Aksakov lancia dal pulpito di «Rus’», con cui invita in modo freddo e lucido a osservare la questione ebraica nei termini seguenti: gli ebrei costituiscono nella čpo «uno “stato nello stato”, con proprie autorità amministrative e giudiziarie, con un governo nazionale locale, cioè uno stato il cui direttivo è al di fuori della Russia, all’estero, il cui governo supremo è l’“aiu” a Parigi».114 In una commistione tra antigiudaismo cristiano, giudeofobia russa e crudo antisemitismo Aksakov spiega che gli ebrei non hanno ascoltato la chiamata con cui Cristo li invitò al “dominio universale dello spirito”, ma «continuano ad aspirare al dominio universale della negazione, al dominio universale dell’idea anticristiana incarnata dal dominio universale ebraico».115 Brafman, scrive Aksakov, ha rivelato che gli ebrei hanno «rafforzato l’edificio del loro stato-nazione, imposto la propria autorità su tutti i cristiani, consolidato […] il loro sistema di sfruttamento della popolazione russa, il loro sistema d’inganni»116 grazie alle leggi dello stato russo. La questione, dunque, può esser risolta apportando modifiche a quelle leggi che permettono l’esistenza di particolari comunità ebraiche a cui è concesso il diritto di raccogliere dai propri membri le tasse da versare allo stato, sbrigare gli obblighi di stato, e imporre proprie tasse comunitarie: in altre parole, conclude Aksakov sulla scia di Brafman, la soluzione alla questione ebraica è «liquidare gli esattori delle imposte ebrei e sopprimere la tassa sulla carne kosher».117 La “korobočka”,118 112. Cfr. Klier, Imperial Russia’s Jewish question, pp. 417-449. 113. Klier, The Kahal in the Russian Empire, p. 50. 114. Aksakov, Po povodu statej Brafmana o kagale, p. 508. 115. Ibidem. 116. Ibidem, p. 509. 117. Ibidem. 118. Ru. “Korobočnyj sbor” (tassa della scatola) o semplicemente “korobočka”, e yid. ‫( טַאקסע‬/takse/).

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riformulata dalla stessa legge che decretava l’abolizione del kahal – l’ukaz n. 18.545 del 19 dicembre 1844119 –, corrispondeva all’introito speciale, dovuto per la carne macellata ritualmente, destinato a pagare i debiti della comunità, le scuole e le istituzioni benefiche e filantropiche degli ebrei. Queste parole non rappresentano affatto una novità nella discussione pubblica della questione ebraica, ma riecheggiano concetti già espressi in passato. Nel 1868 Šul’gin, occupandosi dello speciale sistema di tasse degli ebrei dell’Impero, aveva scritto sulle pagine del «Kievljanin»120 che la “korobočka” costituiva un privilegio e un aiuto allo “status in statu” degli ebrei, e che se dall’esterno appariva come un mezzo necessario a soddisfare i bisogni della comunità, veniva invece usata per scopi antigovernativi.121 Per questo motivo i rappresentanti dell’“intelligencija giudeofoba” con Brafman in testa condividono l’idea che la legislazione inerente agli ebrei, nociva alla Russia, deve essere rivista non secondo principi di differenziazione etnico-religiosa, ma seguendo esclusivamente i tre valori fondanti dello stato russo: “autocrazia”, “ortodossia”, “popolo-nazione”. Gli ebrei alla conquista del mondo A enfatizzare l’esistenza di una macchinazione ebraica per il dominio del mondo intero interviene il celebre pamphlet del maggiore OsmanBey,122 un testo fondamentale nella storia del pensiero dell’antisemitismo ottocentesco.123 Edito per la prima volta nel 1873 in tedesco,124 il testo russo è pubblicato a Odessa nel 1874 con il titolo Pokorenie mira evrejami (L’assoggettamento del mondo da parte degli ebrei) e nuovamente nel 1880, intitolato – in modo leggermente differente – Zavoevanie mira evrejami (La conquista del mondo da parte degli ebrei). In quest’opera Osman-Bey dichiara che per dominare il mondo – la vera missione programmatica degli ebrei – il popolo ebraico sta preparando un’offensiva combattente «contro tutto il genere umano».125 Da subito il pamphlet attrae profondamente 119. Polnoe sobranie zakonov, II, vol. XIX, pp. 876-887. 120. «Kievljanin», 105-107 (3/IX; 5/IX; 7/IX/1868). 121. «Kievljanin», 106 (5/IX/1868). 122. De Michelis, Il manoscritto inesistente, pp. 149-152. Prima della conversione all’Islam, il suo nome di battesimo era Frederick Millingen. 123. De Michelis, Un professionista dell’antisemitismo ottocentesco. 124. Osman-Bey, Die Eroberung der Welt durch die Juden (Basel 1873). Tradotto in italiano come Gli ebrei alla conquista del mondo (Venezia 1880). 125. Fel’dman, Zapiska majora V. Osman-beja, p. 271.

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l’interesse dell’“intelligencija giudeofoba”. Šul’gin, in particolare, lo fa recensire immediatamente sul suo quotidiano.126 La recensione del «Kievljanin» è parte di una più sottile strategia d’attacco perseguita nel corso della discussione della questione ebraica: da alcuni anni, infatti, lo schieramento giudeofobo – in particolare il «Kievljanin» – giocando a mischiare reale e fantastico, unisce immagini della “giudeofobia oggettiva” a quelle della “giudeofobia occulta”. Sempre nell’attuazione della medesima strategia Šul’gin nel 1873 ha introdotto nella discussione pubblica della questione ebraica il celebre “discorso del rabbino”.127 Attraverso la scelta di Šul’gin il complotto, da mitema letterario, si avvia a far parte nel mondo reale della “vera” questione ebraica dibattuta a colpi di articoli di giornale. Il “discorso del rabbino” appartiene al secondo capitolo di Biarritz (Berlino 1868), romanzo di Sir John Retcliff (pseud. del prussiano H. Goedsche), intitolato Auf dem Judenkirchhof in Prag (Il cimitero ebraico di Praga).128 L’opera è pubblicata nel 1871 a Pietroburgo con il titolo Do Sedana! (Biaric-Varšava, Gaeta, Djuppel’) (Fino a Sedan! Biarritz-Varsavia, Gaeta, Düppel). Dal 1872 il capitolo appare anche singolarmente in diverse edizioni, con titoli vari, differenti traduzioni e diversa lunghezza: Evrejskoe kladbišče v Prage i sovet predstavitelej dvenadcati kolen izrailevych (Il cimitero ebraico di Praga e il consiglio delle dodici tribù d’Israele; SPb 1872); Na židovskom kladbišče v češkoj Prage. Židy – vlasteliny mira (Al cimitero ebraico nella Praga ceca. Gli ebrei dominatori del mondo; Moskva 1876), Na židovskom kladbišče v češkoj Prage. Židy – vlasteliny mira (Moskva 1880), Noč’ na evrejskom kladbišče v Prage (Glava iz istoriko-političeskoj chroniki Sera-Džona Redklifa “Do Sedana”) (Notte al cimitero ebraico di Praga. Capitolo tratto dalla cronaca storico-politica Fino a Sedan di Sir John Redklif; Char’kov 1906). Infine, il “discorso” è consacrato alla storia del moderno antisemitismo sotto forma di pamphlet intitolato Reč’ Ravvina k evrejskomu narodu (Il discorso del rabbino al popolo ebraico), appendice di quel Vragi roda čelovečeskogo (I nemici del genere umano) di Butmi129 contenente anche la terza edizione in lingua russa dei psm. 126. «Kievljanin», 80 (6/VII/1874). 127. «Kievljanin», 45-48 (17-24/IV/1873). 128. Eco (Eco, Il Pendolo di Foucault, pp. 377-387; Sei passeggiate nei boschi narrativi, pp. 168-169; Il cimitero di Praga) si è occupato più volte della questione Goedsche/“discorso del rabbino”. 129. Butmi, Vragi roda čelovečeskogo, pp. 79-84.

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Il prussiano Goedsche, probabilmente ignaro delle polemiche che la sua creazione alimenterà in terra russa, progetta il capitolo all’interno di un’unica grande “epopea” in cui le attività di qualunque ebreo sono direttamente o indirettamente conseguenti al progetto di dominazione del mondo ordito e guidato dallo stato maggiore ebraico. Espunto dalla trama del romanzo, eliminata tutta la “materia bellettristica”, l’idea della dominazione ebraica assume forma reale. Dunque, a differenza del pamphlet di OsmanBey in cui l’autore rilegge la realtà secondo il suo punto di vista, il “cimitero”, di per sé finzione letteraria, diviene descrizione di eventi reali miscelati – come si afferma nell’introduzione alla prima edizione russa del singolo capitolo130 – con elementi fantastici. Se il pubblico di Goedsche è in grado di notare la realizzazione dei piani ebraici in tutta la sua vasta produzione letteraria, allo stesso modo i lettori del singolo capitolo ne cercano origini, conferme e soluzioni extratestuali, nella realtà quotidiana, oggettiva, della Russia. Dunque, è proprio in questo modo che si compie il passaggio che trasforma il testo da mitema letterario a testimonianza reale “verificabile”: la narrazione perde la sua funzione semplicemente estetica per svolgere anche una seconda funzione specificamente polemica – “realtà” travestita da finzione letteraria – nella discussione pubblica della questione ebraica. Ebbene, se il passaggio della nuova idea del complotto ebraico da finzione a realtà avviene nel corso della discussione pubblica della questione ebraica degli anni settanta, la sua completa formalizzazione si compie tra il 1879 e il 1880, grazie a Ljutostanskij. In O evrejskich bratstvach (Intorno alle confraternite ebraiche), capitolo di Ob upotreblenij evrejami (talmudistskimi sektatorami) christianskoj krovi dlja religioznych celei,131 Ljutostanskij – che saccheggia Evrejskie bratstva mestnye i vsemirnye e Kniga Kagala di Brafman interpolandone parti intere – espone la storia del progetto di dominazione universale degli ebrei a cominciare dall’idea dello “status in statu”. Secondo una visione brafmaniana dell’ebraismo lo stato nello stato è rappresentato dalle confraternite ebraiche che da una parte sfruttano le grandi masse ebraiche, impoveritesi miseramente, e dall’altra raccolgono enormi capitali per la realizzazione di vari scopi segreti, tra cui la dominazione del mondo. Le confraternite controllano le ignoranti masse ebraiche attraverso l’opera dell’“intelligencija talmudica” (predicatori e insegnanti) che, travisando la Bibbia (la Torah scritta) e la Mishnah (la Torah orale), trasforma i precet130. Redcliff, Evrejskoe kladbišče v Prage, p. 3. 131. Ljutostanskij, Ob upotreblenij evrejami, I, pp. 13-72.

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ti in superstizione, sfrutta l’ignoranza delle masse – sottomesse alla nuova esegesi talmudica – per consolidarne la fede nella venuta dell’unico Messia e imporgli interpretazioni distorte dei testi in oggetto. Ljutostanskij, citando Brafman, evidenzia che le confraternite, sparse per tutta la terra, sono state fondate dai capi del mondo ebraico, nella cui lista inserisce Montefiore, Crémieux, le famiglie dei Rothschild in Europa e dei Gincburg in Russia. A capo delle confraternite – definite anche logge massoniche e unioni segrete – c’è l’aiu, in Russia rappresentata dall’ope. Con un occhio al testo di Brafman e l’altro all’idea del complotto mondiale, Ljutostanskij sostiene che la struttura delle confraternite è costituita da una rete di membri che cinge tutta la terra e che serve a realizzare il progetto della dominazione del mondo. Inoltre, attingendo a piene mani dal testo di Osman-Bej, Ljutostanskij attacca l’aiu, che, in apparenza istituzione filantropica mondiale, è in realtà un’agenzia segreta con scopi politici, che controlla la stampa, la politica, l’economia, e combatte la guerra per la dominazione del mondo non con la forza (la “spada”) ma con il denaro (l’“oro”), attraverso l’azione dei suoi servitori – giornalisti, agenti segreti, politici, diplomatici, uomini d’affari, personaggi più o meno importanti di tutte le nazionalità della terra. In questa struttura mondiale, aggiunge Ljutostanskij, gli ebrei sono tra loro uniti dal “legame talmudico” delle confraternite, che li rende ovunque «un insieme unico, forte e invincibile».132 Il “legame talmudico” è esplicitato anche in Talmud i evrei: qui Ljutostanskij scrive che gli ebrei, uniti dall’idea della venuta del Messia e della dominazione del mondo, sono ovunque tra loro solidali come una comunità simbiotica – il “corporativismo ebraico” –, trovando dappertutto aiuto e sostegno.133 Per dare credito alle parole proprie e altrui, nel testo interpolato di Osman-Bej sul compito segreto e politico dell’alleanza ebraica Ljutostanskij inserisce un documento polacco che dice di aver tradotto in russo, intitolato Političeskaja reč ravvina (Il discorso politico di un rabbino),134 cioè «il discorso di un levita […] con l’aiuto del quale si può arrivare a comprendere l’obiettivo delle confraternite ebraiche mondiali».135 Ljutostanskij ripete concetti già espressi in precedenza: la dominazione universale attraverso la propaganda giudeofila (la stampa), lo scontro di civiltà (cristiani contro ebrei), la strategia della tensione (i liberali e i nichilisti contro le monarchie euro132. Ibidem, p. 35. 133. Ljutostanskij, Talmud i evrei, I, pp. 165-166. 134. Ljutostanskij, Ob upotreblenij evrejami, I, pp. 36-44. 135. Ibidem, p. 35.

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pee), l’uso dell’oro al posto della spada (la grande finanza ebraica), lo sfruttamento delle risorse nazionali (i grandi monopoli degli appaltatori ebrei), l’asservimento dei goim (la cattività dei popoli tra cui gli ebrei risiedono). L’autore avverte che il discorso è inserito nell’opera polacca di un certo R.W. (sic!) intitolata Żydzi i kahały, pubblicata nel 1875 a L’vov; in realtà egli omette il vero nome dell’autore, che altri non è se non lo stesso Brafman!136 Ljutostanskij usa qualunque mezzo, inclusa la mistificazione letteraria, pur di rendere credibile ogni calunnia volta a confermare il progetto di dominazione ebraica. In Żydzi i kahały l’originale russo è ampiamente sintetizzato: il volume, infatti, è un riassunto dell’edizione russa di Brafman. Nel volume polacco compare inoltre un’introduzione del curatore dell’opera – K.W. e non R.W. – che traduce dal russo in polacco proprio il “discorso del rabbino” – all’epoca già riprodotto in Russia ben tre volte (come capitolo del romanzo; nella prima edizione singola; sulle pagine del «Kievljanin»). Nel 1880 l’opera di Ljutostanskij, sulla scia della falsificazione letteraria, costituisce l’acme di un triplice calembour mistificatore: traduce in russo il testo dal polacco – che Ljutostanskij sa essere una sintesi dal russo di una traduzione dal tedesco; tradisce l’originale finzione letteraria del testo – che Ljutostanskij presenta come la testimonianza di un vero discorso di un rabbino in carne e ossa; fonda una vera e propria tradizione del “discorso del rabbino” – mentre cela l’origine del testo, dell’autore – sir John Retcliff alias Herman Goedsche – e dell’ignoto traduttore russo – Ljutostanskij stesso. A questo punto Ljutostanskij esplicita l’idea di un complotto giudaicomassonico prendendo come riferimento il Sinodo ebraico tenutosi a Lipsia a partire dal 29 giugno 1869. Tentando ancora una volta di dissimulare il saccheggio letterario, cita l’evento ma non la fonte: Le Juif, le judaïsme et la judaïsation des peuples chrétiens (L’ebreo, il giudaismo e la giudaizzazione dei popoli cristiani; Paris 1869) di Gougenot des Mousseaux,137 un testo ben noto agli studiosi dei psm138 e più in generale fondamentale per la ricostruzione della preistoria dell’antisemitismo cattolico. Nel “suo” testo Ljutostanskij interpola traducendo punto per punto l’intero decimo capitolo del volume di des Mousseaux, e senza inserire alcun segno grafico per indicare la presenza di voce altrui lo fa sembrare il prodotto della propria 136. Brafmann, Żydzi i kahały, pp. 8-18. 137. Gougenot des Mousseaux, Le Juif, le judaïsme et la judaïsation des peuples chrétiens, pp. 333-349. 138. Cohn, Licenza per un genocidio, pp. 20-23.

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penna.139 Tuttavia, all’improvviso, nel pieno del plagio, avverte che l’oggetto del suo discorso è stato già esposto da una non meglio identificata “letteratura parigina”, da cui ha appreso dell’esistenza, poi personalmente verificata, di potenti «società segrete, chiamate società della nuova massoneria, dove gli ebrei sono a capo d’intere moltitudini [di uomini]».140 In Le Juif, le judaïsme et la judaïsation des peuples chrétiens l’ultracattolico des Mousseaux denuncia l’esistenza dei “cabalisti del giudaismo”, un gruppo di adoratori di Satana i cui poteri, derivati dal sangue degli omicidi rituali, gli permettono di realizzare la dominazione del mondo e di fare insediare al trono universale l’Anticristo, inteso come il Messia degli ebrei. Oggetto del plagio di Ljutostanskij è il decimo capitolo, da cui espunge gli accenni espliciti alle “hautes sociétés de l’occultisme”, ai massoni agenti di Satana e in generale a realia riconducibili all’Anticristo. In questo capitolo il progetto ebraico di dominazione del mondo per des Mousseaux è ideato dalle società segrete giudaico-massoniche. Secondo des Mousseaux le società segrete, fatte a immagine e somiglianza dell’ebreo di cui incarnano spirito e ideali, sono strutturate, al pari della società ebraica, in una rete che cinge il mondo, formata da maglie – i membri delle società segrete – tra loro intersecanti. Se da una parte l’aiu, associazione legalmente istituita che offre un legame e un aiuto all’ebraismo mondiale, opera alla luce del giorno, dall’altra agisce la sua controparte occulta, la massoneria, che unisce tutte le società del mondo in un’unica rete. A capo della multiforme rete sono pochi iniziati, “cabalitisti del giudaismo”, il cui scopo è portare al trionfo mondiale le idee degli ebrei, cioè il modernismo. La tradizione cattolica antiebraica traccia «un collegamento tra massoni ed ebrei (soprattutto nella forma che vede i massoni strumenti degli ebrei)»,141 senza però notare che «originariamente agli ebrei fosse interdetto l’accesso alle logge massoniche».142 Nel 1864 Pio IX aveva pubblicato l’enciclica Quanta cura, a cui aveva allegato il Syllabus complectens praecipuos nostrae aetatis errores (Elenco contenente i principali errori del nostro tempo) in cui condannava il libero pensiero dell’Illuminismo, lo spirito della rivoluzione francese e l’idea di uno stato aconfessionale, e in generale aborriva tutte le “pestilenze” moderne – il liberalismo, il socialismo, le società segrete e quelle clerico-liberali – capaci di pervertire la società e la morale cristia139. Ljutostanskij, Ob upotreblenij evrejami, I, pp. 46-57. 140. Ibidem, p. 50. 141. Benz, I Protocolli dei Savi di Sion, p. 33. 142. Ibidem.

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na. L’ultramontano des Mousseaux si schiera dalla parte del Papa nella condanna al progresso, al liberalismo e alla moderna civiltà, e in risposta Pio IX lo benedice per il coraggio manifestato nei suoi scritti.143 Secondo des Mousseaux proprio l’influsso nefasto degli ebrei ispira nella società cristiana il modernismo. Una volta corrotto lo strato più puro della società – la gioventù cristiana – le idee degli ebrei sono in grado di generare pericolose agitazioni popolari. Manifestazione clamorosa dell’opera di perversione da parte degli ebrei è il terrorismo politico dei figli della rivoluzione, l’ex gioventù cristiana diventata più o meno consciamente la mano armata dell’esercito ebraico alla conquista del mondo. Ebbene, l’inevitabile risultato dello scontro tra le società segrete giudaico-massoniche e la civiltà cristiana, ammonisce des Mousseaux, è proprio il trionfo dell’ebreo. Nella ricodificazione ljutostanskiana del sincretismo giudaico-massonico di des Mousseaux appare manifesta la metamorfosi del mito del complotto massonico. Il mito del complotto nasce alla metà del XVIII secolo in ambito cattolico gesuitico «come denuncia di un presunto complotto giansenistico ed in Germania era rapidamente stato tradotto in ambito protestante nella forma del complotto gesuitico, per poi passare negli anni ottanta alla forma del complotto massonico».144 A partire dal periodo della Rivoluzione francese è possibile seguire la metamorfosi del mito nella forma di complotto massonico sulle pagine di una ricca “letteratura del complotto”, che attraversa tutto il XIX secolo.145 In questa letteratura, specialmente francese (in particolare Barruel e des Mousseaux), si deve inserire anche il Mazepa di Bulgarin, della cui giudeofobia Ljutostanskij non può non aver tenuto conto. Difatti il mito del complotto penetra nella letteratura russa proprio grazie a questo romanzo. G. Strano ricorda che «molte pagine di Bulgarin documentano una concezione della politica e della storia come risultato di complotti di varia origine e natura – massonico, gesuitico, ebraico, persino muliebre – , concezione che germina nel Settecento postrivoluzionario e radica addentro al Novecento».146 Per il Mazepa Bulgarin attinge dalla stessa fonte usata da Gogol’ per il Taras Bul’ba: il già citato Istorija Rusov, in cui l’anonimo autore esprime a chiare lettere «la tesi di una connivenza ‘cattolico-giudaica’»147 dietro ai destini dell’Ucrai143. Cohn, Licenza per un genocidio, p. 23. 144. Cazzaniga, La religione dei moderni, p. 44. 145. Cazzaniga, Il complotto: metamorfosi di un mito. 146. Strano, Faddej Venediktovič Bulgarin, p. 6. 147. Ibidem, p. 134.

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na. Mutatis mutandis, Ljutostanskij usa l’idea del complotto giudaicomassonico per dare una spiegazione “coerente” a una serie di fatti storici degli anni settanta, come la serie di attentati politici di matrice terroristica o la coalizione internazionale antirussa. Secondo l’autore la Russia, vittima del complotto giudaico-massonico, deve reagire contro il suo vero nemico: il “žid”. Guidato dal “governo segreto ebraico” (“podpol’nyj židovskij žond”),148 il “žid” ha ormai reso la čpo una seconda Palestina: ne offende continuamente la popolazione, accentra nelle proprie mani tutte le risorse e diviene persino tutore della «morale del clero ortodosso».149 Inoltre, sostiene Ljutostanskij, in seguito alla concessione del diritto di residenza nelle capitali, la furia del “žid” russo supera i confini del proprio regno, la čpo, e penetra nel cuore della Russia.150 Il “žid”, conclude l’autore, domina la situazione internazionale. Per portare a termine il piano di dominazione, che ha come punto centrale la disgregazione dell’Impero russo, nella guerra russo-turca il “žid” da un lato ha operato come spia al soldo del sultano e dall’altro è divenuto il parassita dell’esercito russo. Inoltre, il governo occulto russofobico dei “židy” controlla la stampa viennese e ha posto a capo dell’Inghilterra un suo rappresentante, «un žid, un nuovo Shylock»,151 ossia Disraeli. Nelle pagine di Ljutostanskij risuona forte e chiara la chiamata alla difesa patriottica dal pericolo ebraico: il “žid”, il cui volto figura ormai ovunque, minaccia l’esistenza della Russia! 3. Razzismo e antisemitismo Razzismo e mondo ebraico Nel 1859 su «Severnaja Pčela»,152 il giornale di Bulgarin e Greč, compare un articolo in cui risuonano le teorie razziste provenienti dalla Francia. 148. Ljutostanskij, Talmud i evrei, I, p. 438. Con questa espressione Ljutostanskij sta esplicitamente tracciando una linea di congiunzione tra il “governo segreto ebraico” degli anni settanta e il “governo ombra” dell’insurrezione polacca del 1863 – il cosiddetto “Rząd Narodowy”, il “governo nazionale”. Secondo Ljutostanskij (p.454) infatti nel corso dell’insurrezione gli ebrei, in cambio di laute ricompense, furono zelanti esecutori di tutti gli incarichi dei cospiratori polacchi. 149. Ibidem, p. 430. 150. Ibidem, p. 443. 151. Ibidem, p. 460. 152. «Severnaja Pčela», 63 (21/III/1859).

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N.B. Gersevanov153 pubblica O narodnom charaktere evreev (Del carattere nazionale degli ebrei), poi ampliato l’anno successivo in un omonimo pamphlet.154 Con questo lavoro l’autore non solo partecipa alla discussione pubblica della questione ebraica, attaccando le posizioni giudeofile in favore dell’emancipazione ebraica, ma, sotto l’influsso dei francesi A. Moreau de Jonnès e A. De Gobineau, rileva persino l’esistenza di un carattere semitico che pervade le grandi masse ebraiche, che si fonda su “temperamento” (“temperament”) e “origine” (“proischoždenie”): I popoli […] quasi sempre agiscono in base al richiamo del proprio carattere. Il carattere di un singolo individuo come anche del popolo dipende molto dal proprio temperamento e dalla propria origine. Per temperamento i popoli cristiani appartengono in gran parte alla stirpe indo-germanica che vive in Europa; gli Ebrei alla stirpe semitica che popola l’Asia. Tra questi temperamenti passa un intero abisso.155

Le qualità che caratterizzano le popolazioni semitiche, afferma Gersevanov, trovano riscontro anche nel popolo ebraico: velocità di ragionamento, devozione tenace e spesso istintiva agli usi antichi, spirito d’osservazione e di calcolo, carattere inquieto, turbolento, mai soddisfatto del proprio destino, coraggio, costanza nelle avversità, furbizia e feroci passioni. Questa inquietudine caratteriale si manifesta in tutta la storia del popolo ebraico: una serie infinita di rivolte, complotti, condanne, stragi d’innocenti o d’intere comunità per sentenza di popolo o di tribunale, con pene atroci e disumane. A fermare l’evoluzione del popolo ebraico nel corso della storia è proprio l’esistenza del carattere collerico: «gli ebrei, stirpe semitica, […] con insolito ingegno e perspicacia, comprendendo la propria impotenza, volevano elevarsi all’idea dello stato, ma il temperamento collerico, fonte 153. Klier (Klier, The Jewish Question, p. 315) rintraccia articoli di Gersevanov, pubblicati senza nome e patronimico, in «Sankt-Peterburgskie Vedomosti» e «Severnaja Pčela». Con sicurezza si tratta del generale-maggiore N.B. Gersevanov, pubblicista e collaboratore di «Syn otečestva», «Otečestvennye zapiski», «Odesskij Vestnik», «Russkij Invalid», «Severnaja Pčela», «Vesti», ecc. Nel Russkij Biografičeskij Slovar’ di A.A. Polovcov (Russkij Biografičeskij Slovar’ v 25 tomach, vol. Gep-Ger, p. 88) si legge che Gersevanov dedica la sua attenzione non solo nel 1859 alla riforma dei contadini, di cui è fiero oppositore, ma anche nel 1860 al dibattito sulla questione ebraica esprimendo la propria contrarietà all’emancipazione degli ebrei dell’Impero russo. La questione è riassunta anche nelle pagine elettroniche di Biografija.ru e sull’Enciklopedičeskij slovar’ F.A. Brokgauza i I.A. Efrona. 154. Gersevanov, O narodnom charaktere evreev. 155. Ibidem, pp. 2-3.

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primaria di tutte le loro catastrofi, non gliel’ha permesso».156 Gersevanov si dichiara oppositore dell’integrazione della popolazione ebraica, perché il carattere ebraico permane immutabile per tutto il corso della storia: in ogni epoca, secondo il pubblicista, il temperamento collerico e l’odio sanguinoso agiscono con furia costante.157 Riallacciandosi alle differenze razziali, oltre che culturali, proposte dal razzismo francese,158 Gersevanov delinea l’albero genealogico dei popoli semitici (tutti con caratteristiche razziali negative) che vengono ad opporsi ai popoli indogermanici (possessori invece di qualità positive). La civiltà occidentale dei popoli indogermanici, secondo l’autore, deve dominare l’oriente barbaro giudaico e musulmano: la soluzione alla questione ebraica, in conclusione, consiste nella rieducazione morale degli ebrei (russificazione culturale) e nel matrimonio misto (russificazione razziale). Se la soluzione proposta da Gersevanov cozza totalmente con la visione più radicalmente razzista della purezza del sangue,159 tuttavia in essa non può non scorgersi il progetto di cancellare una razza ebraica “pura”. Le teorie d’importazione non hanno presa immediata tra i nemici degli ebrei, che inizialmente le rifiutano allo stesso modo dei filosemiti,160 ma grazie a Gersevanov sono comunque ricodificate nella discussione pubblica della questione ebraica e permangono nell’ambiente culturale russo, sotto forma di pamphlet, pronte a essere riutilizzate al momento opportuno. L’antisemitismo ha, infatti, serie difficoltà ad agire nel contesto dei valori del nazionalismo russo, che rifiuta a spada tratta i modelli occidentali, e in una nazione come la Russia, che non ha permesso agli ebrei di emanciparsi allo stesso modo dei confratelli occidentali; non si deve però neppure dimenticare quanto affini siano certe concezioni della raz156. Ibidem, p. 11. 157. Ibidem, pp. 14-15. 158. L’articolo scaturisce proprio dalla lettura di un passo di Statistique des peuples de l’antiquité (Statistiche dei popoli dell’antichità, 1851) di Moreau de Jonnès, e soprattutto di Essai sur l’inégalite des races humaines (Saggio sull’ineguaglianza delle razze umane, 1853-1855) di De Gobineau, opera in cui sono espressi i concetti razziali popolari nell’allora ambiente culturale francese. L’Essai di De Gobineau però non condivide con l’articolo di Gersevanov alcuni punti, tra cui l’idea della superiorità dei bianchi purosangue (la razza ariana) sulle altre razze, e soprattutto il concetto (diametralmente opposto all’esposizione del russo) della disgregazione delle civiltà a causa di motivi razziali, in particolare per il miscuglio etnico. Cfr. Klier, The Jewish Question, pp. 316-317. 159. Klier, The Jewish Question, pp. 315-317. 160. Klier, German Antisemitism and Russian Judeophobia, p. 531.

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za alla cultura nazionalpopolare dell’Impero russo, facilmente riscontrabili in alcuni detti popolari come quelli riportati dal Dal’ sugli ebrei. Verso l’antisemitismo L’antisemitismo nella letteratura e nella pubblicistica dell’Impero russo si sviluppa dagli ultimi decenni del XIX secolo attorno a una concezione razzista e pseudo-scientifica proveniente dall’Occidente, molto più radicale rispetto al pensiero classico della giudeofobia russa.161 L’antisemitismo considera gli ebrei nemici del genere umano e li esclude dalla famiglia comune dell’umanità. Le richieste fatte dall’antisemitismo tedesco però male si adattano alla legislazione dell’Impero russo che già limita la vita degli ebrei (il permesso di residenza, la čpo, le restrizioni sulla professione, ecc.). Inoltre in un Impero come quello russo, in cui è pressoché indissolubile il legame tra Stato e Chiesa ortodossa, la religione cristiana non è in pericolo. È poi sorprendente che spesso la legislazione russa o le soluzioni concepite dagli intellettuali giudeofobi forniscano l’esempio da imitare proprio agli antisemiti tedeschi. In aggiunta, due dei contributi più importanti alla creazione del moderno mitema antisemita della cospirazione internazionale ebraica, cioè Kniga Kagala e i psm, muovono dalla Russia verso occidente.162 In Russia si percepisce chiaramente il processo di ricodificazione di tutti i mitemi giudeofobi con le più “moderne” teorie antisemite sulla razza. La pubblicistica giudeofoba per prima introduce nella discussione pubblica della questione ebraica queste concezioni antiebraiche, ponendole all’attenzione del lettore russo. Il grande iniziatore della commistione di concetti razzisti occidentali e di tradizione autoctona russa è sicuramente Aksakov.163 Subito dopo il testimone della propaganda antisemita passa inaspettatamente a Dostoevskij.164 Recentemente Vajskopf, prendendo a esempio il Reč o Puškine (Discorso su Puškin) dell’8 giugno 1880, ha constatato che l’opera di Dostoevskij ha assorbito profondamente le “nuovissime” teorie antisemite.165 Nel Reč Dostoevskij afferma infatti: Così, d’un colpo, ci siamo sollevati alla concezione di una più vitale unione, alla concezione dell’unione di tutta l’umanità! Noi abbiamo accettato nel 161. El’jaševič, Ideologija antisemitizma v Rossii. 162. Klier, German Antisemitism and Russian Judeophobia, p. 530. 163. El’jaševič, Ideologija antisemitizma v Rossii, pp. 48-52. 164. Ibidem, pp. 52-56. 165. Vajskopf, Sem’ja bez uroda, pp. 300-302.

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nostro animo, senza ostilità (come avrebbe potuto anche accadere), ma amichevolmente, con pieno affetto, i geni delle nazioni straniere, tutti insieme, senza fare differenze di privilegi, di razze, sapendo istintivamente, quasi dal primissimo passo, distinguere le differenze, eliminare le contraddizioni, perdonare e conciliare le divergenze, dimostrando già anche solo con questo la nostra disposizione e inclinazione all’unione universale di tutti i popoli della grande razza ariana. Sì, la missione dell’uomo russo è incontestabilmente paneuropea e universale. Diventare un vero russo, diventare completamente russo, forse, significa soltanto (infine, notate bene questo) diventare fratello di tutti gli uomini, uomo universale, se volete. Oh, tutto questo nostro slavofilismo, questo nostro occidentalismo non sono altro che un grande malinteso, per quanto storicamente necessario. Ad un vero russo l’Europa e il destino di tutta la grande razza ariana stanno tanto a cuore quanto la Russia stessa, quanto il destino del proprio paese, perché il nostro destino è l’universalità, acquistata non con la spada, ma con la forza della fratellanza e dell’aspirazione fraterna nell’unione di tutti gli uomini.166

In questo discorso, oltre a punti di contatto con l’opera di Renan, traspare la presenza di un caratteristico pancristianesimo russo, cioè la disponibilità e l’inclinazione all’unione fraterna con i soli popoli appartenenti alla razza ariana. L’avvicinamento dello scrittore a posizioni già razziste e antisemite, ma anche l’accettazione del mitema giudeofobo del complotto giudaico-massonico, è confermato inoltre dai noti passaggi dell’anno 1877 contenuti nel Dnevnik pisatelja (Diario di uno scrittore). Dostoevskij, infatti, termina il capitolo No da zdravstvuet bratstvo (Viva la fratellanza) ipotizzando che gli ebrei entrino a far parte della fratellanza in nome della Russia. Lo scrittore però sostiene che per quanto si dia agli ebrei la possibilità di diventare uomini nuovi, l’indole ebraica rifiuta categoricamente la partecipazione a questa fratellanza con persone diverse per fede e per sangue. Per Dostoevskij, dunque, la colpa della mancata fratellanza non è dei russi, ma degli stessi ebrei, che vivono in isolamento come uno “status in statu”. D’altronde il principio dell’immanenza della colpa ebraica è l’idea su cui si fonda la Weltanschauung di Aksakov, il “motore mobile” della giudeofobia e dell’antisemitismo della Russia. Tuttavia, come ha notato El’jaševič, l’antisemitismo di Dostoevskij è un fenomeno più complesso e profondo della giudeofobia dei giovani slavofili con a capo Aksakov.167 166. Dostoevskij, Diario di uno scrittore, p. 1278. 167. El’jaševič, Ideologija antisemitizma v Rossii, p. 52.

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4. Sincretismo antiebraico Subcultura dell’antisemitismo russo In questo brevissimo accenno alla nascita e all’evoluzione dell’idea antisemita in Russia, e in particolare a Dostoevskij, che considero la punta di diamante del pensiero giudeofobo, slavofilo e antinichilista dei nazionalisti russi, si percepisce pienamente il sincretismo di concezioni giudeofobe (la fede, come questione personale e di comunità) e antisemite (il sangue giudaico). M. Zolotonosov, specialista in materia di letteratura antisemita, definisce il fenomeno coniando l’acronimo sra.168 La sra è la peculiare manifestazione dell’antisemitismo russo che accumula materiale estraneo, ne modifica funzionalmente il valore e ne livella il significato per renderlo omogeneo alla nuova cultura in cui viene inserita. Così facendo, la sra tende a scuotere le corde dell’anima russa giocando su tre elementi distintivi: la giudeofobia (l’atavica paura degli ebrei), il mistero (in particolare l’inclinazione verso l’ignoto), il governo occulto (una Volontà Superiore che domina segretamente il mondo). Con sra s’intende dunque «una parte determinata dell’insieme culturale russo che non esiste autonomamente (per le parole di un ebreo, “il sostrato dell’antisemitismo penetra come elemento necessario nella letteratura russa del XIX secolo”), che da un lato è sottoposta a leggi universali ed entra nel campo semantico comune e dall’altro possiede la capacità, con il proprio codice, di codificare altre subculture».169 A questo riguardo, oltre a ricordare che, trattandosi di testi che spaziano tra XIX e XX secolo, sarebbe «improprio parlare di “antisemitismo” prima del 1879-1880, quando Wilhelm Marr impiegò il termine in senso antiebraico», De Michelis rileva che «potrebbe parere una vacua preoccupazione terminologica, se dietro ad essa non vi fosse il problema della interrelazione tra antigiudaismo, giudeofobia e antisemitismo, termini il cui uso indifferenziato complica anziché chiarire la questione».170 Perciò l’espressione di Zolotonosov è «giustificata dal fatto che si tratta di un complesso mitico-ideologico sfociato in antisemitismo bello e buono».171 J.D. Klier evoca la stretta interconnessione esistente sul piano storico tra 168. “Subkul’tura Russkogo Antisemitizma”, cioè “Subcultura dell’Antisemitismo Russo”. Nel corso del libro si userà l’acronimo sra. 169. Zolotonosov, U istokov SRA-ideologii, p. 162. 170. De Michelis, La giudeofobia in Russia, p. 16. 171. Ibidem.

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antisemitismo e giudeofobia proprio negli anni ottanta dell’Ottocento, scrivendo che l’antisemitismo tedesco e austriaco erano ben conosciuti in Russia e le opere dei suoi esponenti principali erano ampiamente discusse dalla stampa giudeo­ foba e giudeofila. Nel tempo i nemici degli ebrei russi cominciarono persino ad adottare il termine per se stessi. […] I giudeofobi russi diedero il benvenuto alla comparsa in Occidente dell’articolato antisemitismo perché serviva a legittimare i loro attacchi agli ebrei, i cui oppositori [i giudeofobi] erano spesso liquidati come “intolleranza religiosa”. La comparsa dell’antisemitismo rivolto contro gli ebrei assimilati nelle società “avanzate” di Germania e Austria aiutò a rendere più rispettabile la locale giudeofobia russa.172

La sra agisce sul codice letterario attraverso tre differenti modalità: il bricolage, cioè la manipolazione di forme già pronte con cui non si ha un nesso semantico cosciente; una ricodificazione cosciente e a volte involontariamente cifrata degli elementi della sra; la risemantizzazione attraverso la miscelazione di più codici come tentativo di superamento di un contenuto precedente – questo, ad esempio, è il caso del “complotto mondiale ebraico”, e dunque della guerra delle forze sataniche contro la santa Russia attaccata dall’“idra dalle mille teste del kahal ebraico”.173 Il mito centrale che permea l’essenza della sra, la cui esistenza è costantemente alimentata, come si è accennato, dall’accumulazione, o risemantizzazione, di materiale indigeno con quello di codici allogeni appartenenti ad altre culture, è proprio il complotto mondiale degli ebrei contro l’umanità. Tale concetto mitologico, chiamato da Cohn “antisemitismo demonologico”, è sotteso all’idea che il giudaismo fosse «un’organizzazione di cospiratori uniti al servizio del male, occupati a ostacolare i piani di Dio per il mondo e a complottare senza sosta per la rovina del genere umano».174 A questo riguardo sostengo l’idea di De Michelis che afferma che «pur se legati tra di loro, antigiudaismo, giudeofobia e antisemitismo non sono la stessa cosa, né è detto che la forma più moderna inglobi quella più antica; in Russia, la dominante è rimasta quella della giudeofobia, e in tale luce […] va letto l’antiebraismo che si è riproposto dopo l’implosione del sistema sovietico».175 172. Klier, German Antisemitism and Russian Judeophobia, p. 539. 173. Zolotonosov, “Master i Margarita”, pp. 47-48. 174. Cohn, Licenza per un genocidio, p. IX. 175. De Michelis, La giudeofobia in Russia, p. 17.

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Ljutostanskij: i tratti caratteristici dell’ebreo Maestro del sincretismo della sra è Ljutostanskij, che nei suoi libri, oltre a interpolare testimonianze di altri autori, ricodifica tutte le immagini e i concetti dell’antiebraismo mondiale, incluso i principi del razzismo e del nascente antisemitismo. In Talmud i evrei Ljutostanskij prova a rileggere la storia del mondo ebraico alla luce delle teorie del razzismo per spiegare l’innata repulsione ebraica al progresso. Secondo l’autore l’ebreo si distingueva inizialmente per il coesistere di tratti contrastanti – una sorta di psicopatologica “doppiezza” caratteriale – quali «l’estrema propensione al sogno con l’estrema praticità, la devozione all’astrattezza con la [concreta] passione per il lucro, il medesimo interesse per la teologia e il commercio».176 Dopo la scomparsa dello stato ebraico dalla Palestina, l’assoggettamento degli ebrei agli altri popoli ha determinato nel corso dei secoli da una parte l’estinzione dei tratti positivi e dall’altra l’evoluzione esclusiva di quelli negativi – inerenti a qualità morali e proprietà fisiche. Percorrendo una strada simile, scrive Ljutostanskij, la poco “lungimirante” religione ebraica si è evoluta esclusivamente basandosi su errori, ignoranza, e pregiudizio, e ha imposto un modo di vita dai tratti sempre più formalisti. Infine Ljutostanskij, che cita Renan, rileva che per mantenere puri e inalterati morale (spirito) e fisionomia (corpo) gli ebrei sono rimasti estranei e ostili (grazie all’endogamia e al kahal) alle popolazioni tra cui si sono insediati. Per questa via la nazione ebraica, sostiene Ljutostanskij, si è autoesclusa dalla società fraterna di cui fanno parte tutte le nazioni della terra – che, a loro volta, nel corso dei secoli hanno maturato un particolare odio antiebraico (cioè, il mito che la colpa dell’ostilità antiebraica ricade sugli stessi ebrei). Dunque, il mondo ebraico da un lato cerca di rinsaldare il suo popolo sparso sulla terra attaccandosi al proprio passato biblico, cioè «estrapolando un qualunque significato da ogni parola testamentaria enunciata dai suoi antenati»,177 e dall’altro, guidato da segrete istituzioni talmudiche, conduce di nascosto una costante lotta contro gli altri popoli credendo ciecamente «nella futura gloria di Sion».178 Quali sono dunque, secondo Ljutostanskij, i tratti permanenti dell’ebreo? Innanzitutto l’amore atavico degli ebrei per l’oro. Si tratta di una sorta di febbre aurea che, secondo lo scrittore – che ripropone le idee 176. Ljutostanskij, Talmud i evrei, I, pp. 395-396. 177. Ibidem, p. 398. 178. Ibidem, p. 397.

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di Gougenot des Mousseaux –, si esprime nella ricerca del facile guadagno e nell’usura. Se con l’oro gli ebrei si mostrano forti, una volta nell’esercito, soldati con le armi in mano, diventano «combattenti estremamente cattivi» e «terribilmente codardi».179 A queste caratteristiche Ljutostanskij associa tutta una serie di tratti caratteriali tipici del razzismo alla De Gobineau – proposti in Russia per la prima volta venti anni prima, da Gersevanov: «gli ebrei hanno generalmente un temperamento sanguigno, e sono irascibili, stizzosi, vendicativi, dotati di un’intelligenza (o, meglio, di un istinto) fuori dal comune, capacissimi di assimilare le scienze naturali, in particolare matematiche, e di imparare a fare lavori artigianali e manuali che tuttavia eseguono in modo negligente e disattento».180 Inoltre, aggiunge Ljutostanskij, «il carattere congenito degli ebrei è fervore asiatico e odio per le popolazioni straniere»,181 amplificato da audacia, viltà e sfrontatezza a causa della “dottrina antiumana” del Talmud, il motore che spinge gli ebrei a insorgere contro i cristiani. Quali sono poi le caratteristiche fisiche che contraddistinguono l’ebreo? Citando ancora Gougenot des Mosseaux, Ljutostanskij elenca la scabbia e la tigna – malattie invalidanti che alterano la pelle degli ebrei – e il caratteristico odore “ripugnante” – la “puzza di cimice”. I tratti del viso poi li rendono riconoscibili ovunque dimorino, immutati nel corso dei millenni: scrive Ljutostanskij che a differenza della pelle degli arabi residenti in Russia, che si schiarisce alla terza generazione, sulla pelle ebraica «il processo di acclimatamento non ha alcuna influenza […] il carattere e la fisionomia rimangono sempre uguali, senza trasformazione alcuna».182 Inoltre, riproponendo un’immagine che negli anni settanta ha avuto grande risalto nel dibattito intorno alla questione ebraica, Ljutostanskij afferma che gli ebrei assomigliano a “sanguisughe” che «in osservanza del Talmud succhiano il sangue dei cristiani».183 Attingendo a piene mani dal darwinismo sociale di Spencer, Ljutostanskij dipinge il “žid” come l’attore principale nella lotta per l’esistenza. In questa guerra infinita – in cui la “razza ebraica” ha un ruolo importante come razza superiore (per le idee professate da De Gobineau) –, il “žid” si 179. Ibidem, p. 452. 180. Ibidem, p. 404. 181. Ibidem, p. 407. 182. Ibidem, p. 413. 183. Ibidem, p. 407.

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sottomette all’avidità, l’istintiva passione al profitto, «penetrata nella carne e nel sangue» talmente in profondità «da spegnere tutti gli altri sensi e tutte le altre passioni»,184 incluso l’amor proprio. Il profitto – l’unico scopo della sua vita – trasforma il “žid” nell’eterno antagonista dell’umanità secondo il principio che «gli uomini esistono solo per ingannarsi e divorarsi l’un l’altro».185 Per divorare, il “žid”, paragonato a un uccello rapace o a una iena, ricorre «alla menzogna, alla furbizia e alla doppiezza».186 Come fosse un’equazione matematica, riecheggiando sempre più il concetto di “struggle for life and death” applicato a giudeofobia e antitalmudismo, Ljutostanskij sostiene che «in questa lotta i più furbi e i più rapaci (secondo il Talmud intelligenti) devono divorare tutti gli altri uomini, i goim appunto».187 Dunque, nella lotta per la sopravvivenza la furbizia e gli istinti rapaci degli ebrei hanno generato negli “altri” un sentimento d’insofferenza nei “loro” confronti. Riesumando, quindi, il mito classico della colpa che ricade sempre sull’ebreo, egli pubblica Na mnogie voprosy odin otvet (A molte domande un’unica risposta), una serie di versi letti su un giornale del cui nome però – secondo il procedimento letterario della “chiacchiera con gli amici” – dice di non aver memoria: Chi spreme i succhi del prossimo? / Chi guarda ovunque all’utile? / Chi guadagna soldi rapidamente? / Il žid! // Chi si può incontrare dappertutto? / Chi è rinvigorito dall’indigenza degli uomini? / Chi è ingiuriato sfacciatamente da tutti? / Il žid! // A chi piace lo sporco esteriore? A chi lo sporco del cuore da ricompense? A chi il tradimento è così comprensibile? / Al žid! // Da chi è dimenticato l’onore? / Da chi vien fatta una casa di groshi? / Da chi è disprezzata la luce bianca? / Dal žid!188

Nella guerra russo-turca del biennio 1877-1878 il “žid” russo ha mostrato al mondo intero il talento innato di cui è dotato: quello di spia al soldo delle potenze occidentali, oltre che del sultano. Inoltre, in qualità di membro del “Tovariščestvo” – cioè la compagnia Greger, Gorvic, Kogan & co. a cui è concesso l’appalto dei rifornimenti dell’esercito –, il “žid”spia ha monopolizzato le provviste delle truppe. Ljutostanskij afferma che l’esercito è stato aggredito dai “židy” i quali, nella lotta in nome del profitto 184. Ibidem, p. 446. 185. Ibidem. 186. Ibidem, p. 455. 187. Ibidem, p. 446. 188. Ibidem, p. 447.

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per la vita e la morte, «sopraggiungevano su di esso come cavallette, come una piaga d’Egitto, come mosconi; questi, come parassiti voraci e tenaci, coprirono tutte le retrovie dell’esercito e cominciarono a ingurgitare i succhi di tutti quanti».189 Intraprendendo il commercio in modo disonesto, aggiunge Ljutostanskij, gli ebrei hanno attentato al successo dell’esercito russo, consegnando merci cattive e avariate a un prezzo estremamente elevato. Ebbene, conclude Ljutostanskij, gli ebrei, intenti a sfamare e a straziare l’esercito, a fare la spia per conto del nemico, in questa selezione del più forte non possono essere altro che traditori della Russia. Suvorin: la disputa intorno all’ebraismo È possibile delineare un tentativo di arricchimento filosofico di questo sincretismo tutto russo in un passo di V konce veka. Ljubov’ (Alla fine del secolo. L’amore) di Suvorin, che dunque, oltre a essere l’editore di «Novoe Vremja», si è distinto anche come scrittore di romanzi. Pubblicato a puntate tra dicembre 1892 e marzo 1893 sulle pagine di «Novoe Vremja», il romanzo sfrutta appieno procedimenti tradizionali della polemica antinichilista: miscela infatti monologhi, prediche, dialoghi, immagini simboliche, concezioni cristiane e citazioni bibliche. In un monologo sul cristianesimo avversato dal materialismo e dal nichilismo, Suvorin mostra tutto il suo antiebraismo e allo stesso tempo esprime la propria personale concezione del “Gesù storico”: Tutte queste campagne contro Cristo avvantaggiano il mondo ebraico […] ; da un pezzo questo [il mondo ebraico] conta le proprie vittorie sulle rovine del mondo cristiano. È un nemico terribile, un nemico armato di praticità di vita, munito di una morale comprensibile e applicabile direttamente alle condizioni di vita. Nessuna religione è mia nemica, ma mi oppongo a quelle posizioni che legano in un’unità indissolubile il Vecchio e il Nuovo Testamento, e conferiscono grandi probabilità di successo al mondo ebraico. Cristo e l’ebreo sono due poli come il cielo e la terra. È venuto per demolire il Vecchio Testamento e non per compierlo… L’ebreo discuteva costantemente con Dio, contrattava con lui, concludeva accordi, insistentemente gli chiedeva ora questo ora quest’altro, e attendeva quel Messia che avrebbe sottomesso i popoli all’autorità degli ebrei… Questo popolo insaziabile che desidera imprigionare lo stesso Dio o renderlo [in eterno] il suo debitore insolvente… Aveva bisogno di un re onnipotente e fortissimo, un Messia del commercio, dell’industria e della borsa 189. Ibidem, p. 461.

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che soddisfacesse Strauss e i contemporanei con una fede vacillante in Cristo e con una fede illusioria nel progresso e nella scienza che nessuno conosce… E quando è apparso Cristo di Nazareth, gli ebrei, naturalmente, non Gli hanno creduto. La Sua dottrina rompeva completamente con la morale ebraica e le sue attese. Le loro attese non cambiarono e non poterono cambiare niente nel mondo ebraico perché l’attesa è qualcosa di astratto. […] E il mondo ebraico con le attese del Messia, con la morale interrotta, è rimasto immobile. […] È giunto Cristo, come incarnazione di nuove idee, nuove concezioni di Dio, dell’amore, della fratellanza, e nacque questo profondo movimento che ha cambiato il mondo. La fede cristiana ha acquisito un’energia e un’autorità vittoriose, perché ha unito la vita religiosa degli uomini con una persona che non è solamente un maestro e un predicatore di qualità morali, ma la piena incarnazione della dottrina veramente divina, mai esistita prima, dell’amore e dell’abnegazione dell’individuo. Seguire la dottrina di Cristo significa seguire Cristo, amarLo, rinunciare a sé stessi in nome Suo come ideale etico supremo. […] La religione ebraica si è arrestata alla propria morale gretta ed egoista con le proprie attese del Messia, mentre il cristianesimo è l’eterno avanzare verso quell’ideale, quella perfezione che Cristo ha indicato e che Egli Stesso rappresenta […] Il positivismo, il buddismo, lo spiritismo hanno un unico principio: l’anima si è svuotata nel corso del progresso materiale, nel fermento dei pensieri, e cerca un approdo, la fede.190

In questa sezione del romanzo Suvorin critica i due volumi di Das Leben Jesu kritisch bearbeitet (La vita di Gesù esaminata criticamente, 1835), opera del teologo e filosofo tedesco D.F. Strauss (definito da Suvorin un “senza Dio”) che esamina criticamente il Gesù storico.191 Strauss, afferma Suvorin, giudica il cristianesimo come un semplice pregiudizio, e la sua opera, anche se non avrà in seguito un successo duraturo, apre le porte a un genere polemico a cui prendono parte innumerevoli studiosi. Nel 1863 Renan pubblica La Vie de Jésus. Sebbene abbia avuto più successo di Strauss, Suvorin stigmatizza l’opera di Renan perché al suo scetticismo titubante (cioè loda Cristo dubitando di lui) predilige la sincera e decisa negazione di Strauss. Renan, amico dello stesso De Gobineau, degli ebrei del suo tempo ha dato in precedenza, «pur non avendo la certezza che […] fossero una razza, […] un’immagine spirituale e religiosa in antitesi a quella degli ariani».192 In La Vie de Jésus Renan cerca dunque di “de-ebraizzare” 190. Suvorin, V konce veka. Ljubov’, pp. 171-174. 191. Ibidem, p. 157. 192. Ghiretti, Storia dell’antigiudaismo e dell’antisemitismo, p. 165.

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Cristo. In questo modo la scissione del Gesù storico – che nasce ebreo – dal Gesù fondatore del cristianesimo – religione contrapposta alla fede ebraica – amplifica nei giudeofobi il sentimento antiebraico.193 L’idealizzazione degli eroi di questo romanzo è riassunta in Murin, personaggio che mostra tratti dell’umanista impegnato uniti a indizi di eroe-predicatore (ad esempio, il monologo-predica su Cristo), apostolo e pastore, le cui parole sono colme di sentimento antiebraico.194 Adattando le parole di Strauss al suo discorso, Suvorin-Murin spiega “ormai non siamo più cristiani, abbiamo smesso di esserlo”. Cristo non parlò di stato, di commercio, d’industria, d’arti che abbelliscono la vita, e dunque la dottrina di Cristo non può guidarci nella vita. “Io”, dice Strauss, “non voglio confondere la fede o la coscienza di nessuno; ma a chi è scosso nella fede e nella coscienza voglio mostrare il percorso su cui trovare un terreno stabile”.195

Evocando l’idea della lotta per la sopravvivenza, Suvorin-Murin termina la sua disputa contro l’ebraismo e il paganesimo materialista evidenziando il pericolo di questa guerra attuale, che assumerebbe i tratti di quella del primo cristianesimo, cioè la “lotta del paganesimo contro il cristianesimo”. E afferma che l’“amore attivo” (“dejatel’naja ljubov’”), cioè il nuovo comandamento di amare il prossimo, realizza dunque il cristianesimo ed è l’unica salvezza per il mondo.196 L’amore attivo è la chiave di volta, l’anello di congiunzione che lega tutte le rappresentazioni simboliche e la struttura stessa del romanzo: l’incarnazione dell’immagine cristiana dell’aspetto (esteriore e interiore) dell’uomo, cioè l’incarnazione dell’uomo a immagine e somiglianza di Dio. Attraverso le implicite citazioni vetero e neotestamentarie, oltre a rimarcare le idee “classiche” della sostituzione dell’Israele ebraico con il nuovo Israele dei cristiani, del confluire dei comandamenti del Vecchio Testamento nell’amore per il prossimo del Nuovo, e dunque della superiorità della Grazia sulla Legge, Suvorin propone le idee “nuove” del razzismo di Renan, cioè della divisione degli uomini tra semiti e ariani e della sostituzione dell’elezione divina degli ebrei-semiti con quella dei cristiani-ariani.197 193. Foa, Diaspora, p. 50. 194. Starygina, Russkij roman, p. 329. 195. Suvorin, V konce veka. Ljubov’, p. 165. 196. Ibidem, p. 174. 197. Foa, Diaspora, p. 48.

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L’esempio sincretico di Suvorin mostra quanto il sistema della sra incarni una visione strutturale del mondo molto complessa che da una parte ha i suoi prodromi proprio nell’antica tradizione antigiudaica del primo cristianesimo, e che dall’altra ingloba concezioni della giudeofobia russa assieme a idee dell’antisemitismo internazionale. Si deve ricordare che Suvorin nell’articolo Žid idёt! presenta concezioni di una giudeofobia socioeconomica che si oppone all’avanzata dell’“intelligencija russo-ebraica” nella società russa, che apparentemente non hanno nulla a che vedere con il sincretismo antiebraico mostrato in V konce veka. Ljubov’. Eppure in entrambe le opere, distanti nel tempo e nello spazio, risuona la medesima idea originata dal darwinismo sociale: nella lotta per l’esistenza che si combatte sul suolo della Russia gli ebrei hanno il ruolo di “divoratori” della società cristiana ortodossa.

5. Antinichilismo e giudeofobia

Proclamata ex cathedra, la nuova verità se ne va per il mondo, a raccogliere estimatori e seguaci.

Gogol’, Le anime morte 1. L’antinichilismo Il nichilismo Al principio del regno di Alessandro II la Russia è attraversata da una profonda crisi di potere dovuta alla pesante sconfitta di Nicola I nella guerra di Crimea (1853-1856). Il nuovo sovrano tenta di risolvere i problemi della società attraverso una serie di riforme il cui picco massimo è, il 19 febbraio 1861, il decreto-manifesto n. 36.650:1 l’abolizione della “servitù della gleba”. L’intero periodo è segnato dalla divisione della società in due fronti contrapposti: allo schieramento nazionalista, in difesa dei valori nazionali – la cosiddetta triade di Uvarov –, si oppone lo schieramento progressista, in difesa dei valori democratico-rivoluzionari espressi dai “nichilisti”. Che cos’è, dunque, il nichilismo? È la variante russa delle teorie del positivismo e del darwinismo applicato alla società.2 Il termine, che deriva dal latino “nihil” (nulla), indica il rifiuto delle forme del sistema sociale e intellettuale, delle norme e degli ideali morali, della cultura e di tutto ciò che è al di fuori delle scienze naturali.3 Nel 1857 Turgenev, polemizzando contro la dottrina materialista di Černyševskij, prende in prestito la parola dal linguaggio filosofico,4 e successivamente la inserisce in Otcy i deti (Padri e figli; 1862): “nichilismo” serve a descrivere il processo, in atto nella 1. Polnoe sobranie zakonov, ii, vol. xxxvi, pp. 128-134. 2. Terechin, Tipologija “antinigilističeskogo” romana. 3. Gajdenko, Nigilizm, p. 64. 4. Šarifullina, Proza V.V. Krestovskogo, p. 44.

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società russa ed europea, della prima formazione del pensiero dei democratici-rivoluzionari, gli “uomini nuovi”.5 Apparso sulle pagine del romanzo, il termine conosce un uso più ampio, dalla letteratura alla pubblicistica, per indicare generalmente l’ideologia dei “raznočincy”, gli intellettuali plebei:6 l’accettazione di ciò che è percettibile dai cinque sensi e il rifiuto in toto del mondo extra-sensibile. In generale nella prima metà degli anni sessanta gli studenti nichilisti, attratti dal materialismo radicale,7 seguono con passione «Sovremennik» di Dobroljubov e Černyševskij, «Russkoe slovo» di Pisarev, e le pubblicazioni londinesi «Poljarnaja zvezda» e «Kolokol» di Herzen. Turgenev si sofferma maggiormente sull’aspetto teoretico-filosofico del termine, piuttosto che sulla variante pratica – il nichilismo rivoluzionario, che appare concretamente in Russia già nell’autunno 1861.8 Il nichilista, dopo aver messo in dubbio le istituzioni, le norme e i costumi esistenti (della familiglia, dello stato, della religione), è, ormai rivoluzionario, «pronto a rigettarle e distruggerle, se non coincidono con i propri criteri utilitaristici e materialisti».9 Ebbene, dalla pubblicazione di Otcy i deti il termine nichilismo comincia ad assumere significati e sfumature lievemente diversi in base all’orientamento politico o all’appartenenza sociale dei parlanti: nella varietà diastratica del linguaggio dell’“intelligencija progressista”, in particolare sulle pagine della pubblicistica democratica – primo fra tutti il «Sovremennik» di Dobroljubov e Černyševskij – e nei romanzi nichilisti, il termine assume un carattere positivo, incarnando idee e mentalità proprie delle forze democratiche degli “uomini nuovi” che si oppongono all’ideo­ logia dominante e ufficiale russa; nella varietà diastratica del linguaggio dell’“intelligencija nazionalista”, in particolare sulle pagine della pubblicistica conservatrice – primo fra tutti il «Russkij Vestnik» di Katkov – e 5. Novikov, Nigilizm v Rossii, p. 66. 6. Batjuto, K voprosu o proischoždenii slova “nigilizm”, p. 520. 7. L.N. Tolstoj (Tolstoj, Vospitanie i obrazovanie, in «Jasnaja Poljana», 7, 1862) descrive l’occupazione prediletta degli studenti russi: la lettura di testi proibiti di L. Feuerbach, J. Moleschott e L. Büchner. Oltre agli autori citati da Tolstoj, P.D. Boborykin (Boborykin, Za polveka, I, pp. 272-274; II, pp. 106-107, p. 436) ricorda che gli studenti russi seguivano il libero pensiero tedesco e leggevano i libri di V.I. Bakst e F.C. Donders. 8. Nel mese di settembre a Pietroburgo scoppiano agitazioni studentesche – poi estesesi a Mosca e in altre università – represse con la forza dalla polizia che provoca numerosi feriti e arresta centinaia di manifestanti. Sull’autunno caldo del 1861 si veda: Venturi, Il populismo russo, II, pp. 75-82. 9. Pipes, Russkij konservatizm, p. 4.

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nei romanzi antinichilisti, il termine possiede un carattere negativo perché indica ideologie progressiste e democratiche di quei movimenti che mirano alla distruzione dei fondamenti della Russia, attraverso la diffusione di spirito amorale, la negazione della spiritualità, il sovvertimento dei rapporti sociali ed economici. Il termine diviene così sinonimo di “ignoranza”, “faciloneria”, “distacco dalle radici popolari”, “mancanza di obiettività e di fondamento”, ma soprattutto “netto rifiuto della cultura precedente”. Dalla seconda metà degli anni sessanta il termine viene accostato a parole come “terrorismo” e “sedizione”. L’antinichilismo Se l’improvvisa comparsa dell’“uomo nuovo” costituisce un trauma culturale per la società, è proprio quando dalle parole quest’uomo passa ai fatti che si osserva la reazione dell’“intelligencija nazionalista”: il nichilista, non più in fieri ma ormai in itinere, spaventa gli intellettuali conservatori perché presagisce terribili avvenimenti e allo stesso tempo rappresenta «tutto il male della cultura occidentale in generale, e degli occidentalisti russi in particolare».10 Negli anni sessanta i conservatori russi elaborano «la teoria dell’antinichilismo, cioè il tentativo di creare un’alternativa allo spettro spaventoso dell’“uomo nuovo” che Černyševskij aveva agitato davanti alla società russa».11 Lo Čto delat’? (Che fare?) di Černyševskij, pubblicato grazie a una svista della censura nel 1863 nel «Sovremennik», oltre a riallacciarsi al dibattito tra progressisti e conservatori e presentare il clima arroventato dell’epoca, sfrutta la popolarità tipica del romanzo, la caratteristica cioè di arrivare a un pubblico molto vasto, proponendosi come «un manuale di vita e un programma d’attività per le nuove generazioni e per gli intellettuali progressisti di Russia».12 Accortosi della pericolosità rivoluzionaria del romanzo, il censore ritira immediatamente l’opera e la Terza Sezione fa arrestare Černyševskij che, per crimini contro lo Stato, è condannato ai lavori forzati in Siberia. Un ruolo fondamentale nella difesa della patria dagli attacchi dell’“intelligencija democratica e liberale”, dal nichilismo, e – come si vedrà – dal supposto complotto straniero contro la Russia, gioca il «Russkij Vestnik». Organo principale della pubblicistica e della letteratura antidemocratica, la 10. Pipes, Russkij konservatizm, p. 4. 11. Ibidem, p. 5. 12. Ambrogio, Introduzione, p. XI.

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rivista è fondata nel 1856 da M.N. Katkov (a lungo direttore anche di «Moskovskie Vedomosti») e da lui guidata fino al 1887, anno della morte.13 La rivista è costituita da cronache, articoli di varia natura e soprattutto romanzi a puntate.14 Katkov – influente tra i vertici dell’Impero – è conservatore, nazionalista, reazionario, ma mai apertamente giudeofobo,15 mostrando spesso comprensione e solidarietà nei confronti degli ebrei. Allo stesso tempo, tuttavia, sostiene la politica di russificazione “aggressiva” su cui basare l’emancipazione ebraica16 e conduce una campagna – mai ossessiva – contro gli “eccessi del kahal” (1870).17 Nell’attività letteraria del «Russkij Vestnik» negli anni 1856-1862 si può distinguere chiaramente la formazione in Katkov dell’ideologia antinichilista. Nell’articolo Koe-čto o progresse (Qualcosa sul progresso)18 Katkov riserva al termine “nichilismo” un significato diverso rispetto al passato: egli, infatti, attacca i “progressisti” del «Sovremennik» che, anche beandosi del “nichilismo”, non vogliono essere chiamati “nichilisti” ma, appunto, “progressisti”. In seguito alla polemica scatenata dalla pubblicazione in «Russkij Vestnik», dal febbraio 1862, del romanzo Otcy i deti, Katkov pubblica una “dilogia antinichilista” in cui getta le basi teoretiche per la critica al nichilismo e mostra una visione antinichilista della recente storia russa.19 In Roman Turgeneva i ego kritiki (Il romanzo di Turgenev e i suoi critici),20 primo articolo della “dilogia antinichilista”, l’autore scrive che la tradizione letteraria della gioventù degli anni quaranta, appassionata di filosofia tedesca, continua a vivere nelle “vuote” concezioni della scienza naturale dei giovani nichilisti. Tuttavia uno degli eroi del romanzo, Arkadij Kirsanov, amico e discepolo del nichilista Evgenij Bazarov, è soggetto, al pari di qualsiasi giovane della realtà extra-letteraria, alla forza degli ideali: nasce come utopista, in seguito diviene attivo materialista, infine tenta di “rifondare” il mondo. Allo stesso tempo se inizialmente è limitato dalla leggerezza della gioventù, con l’età acquisisce saggezza ed esperien13. Per una storia dettagliata del «Russkij Vestnik», cfr. Šarifullina, K istorii sozdanija žurnala «Russkij Vestnik». 14. Šarifullina, Proza V.V. Krestovskogo, p. 69. 15. Klier, Imperial Russia’s Jewish question, p. 385, p. 389. 16. Ibidem, p. 155. 17. Ibidem, pp. 156-157. 18. «Russkij Vestnik», 10 (X/1861), pp. 107-127. 19. Šarifullina, Proza V.V. Krestovskogo, p. 73. 20. «Russkij Vestnik», 5 (V/1862), pp. 393-424.

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za e perde di vista gli ideali giovanili, che rapidamente svaniscono. In O našem nigilizme. Po povodu romana Turgeneva (Del nostro nichilismo. A proposito del romanzo di Turgenev),21 secondo articolo della “dilogia antinichilista”, l’autore afferma che i nichilisti trasformano la categoria del dubbio – a partire da Cartesio e Kant – in quella della negazione e che l’ideologia nichilista è una “religione rovesciata”, la “religione del rifiuto”, in cui con orgoglio fanatici adepti – i “nichilisti” – negano qualsiasi autorità all’infuori della stessa negazione. Analizzando gli eroi di Turgenev, Katkov si sofferma su Bazarov, nichilista in fieri, il cui nichilismo, costituito da frasi vuote, non si manifesta in itinere, nella vita attiva dell’eroe. La scuola, istillando i semi dello spirito di negazione, ha reso Bazarov un nichilista.22 Inoltre i semi del nichilismo, acquistando forza in base all’ambiente circostante, possono trovare terreno fertile in qualsiasi russo con un’istruzione. Per contrapporsi al “nichilismo”, dunque, l’unico modo è coinvolgere i giovani nelle opere di riforma della società russa conformi ai valori tradizionali. Il governo deve opporsi al “velenoso” nichilismo attraverso un programma politico e legislativo di “libertà” e “tolleranza” il cui scopo è rinsaldare gli elementi positivi – religiosi, economici, culturali, politici – della società. Dopo il 1863 per Katkov, polonofobo e ucrainofobo, il fenomeno “nichilista” è associato a due eventi: il primo, letterario, è la pubblicazione del romanzo di Černyševskij; il secondo, storico, è l’“intrigo polacco”.23 Proprio in seguito all’insurrezione polacca del 1863 in alcuni articoli apparsi 21. «Russkij Vestnik», 7 (VII/1862), pp. 402-426. 22. A distanza di decenni Katkov, nell’articolo V zaščitu klassičeskoj sistemy obrazovanija protiv obvinenij ee v sovremennom šatanii umov (In difesa del sistema scolastico d’indirizzo classico contro le accuse nell’attuale dimenarsi di cervelli; «Moskovskie Vedomosti», 136, 30/V/1879), ricorda il pericolo della scuola degli anni cinquanta e sessanta, a cui erano legati i giovani implicati nei processi politici degli anni settanta. Quel tipo di preparazione scolastica era sufficiente «perché per qualunque Nečaev direttamente dalla strada fosse possibile iscriversi all’università». I giovani sono diventati terroristi, oppure fanno parte dell’“intelligencija rivoluzionaria” che ammorba i giovani con la malattia del nichilismo. Nell’articolo Ešče v zaščitu našej srednej školy (Ancora in difesa della nostra scuola media; «Moskovskie Vedomosti», 152, 15/VI/1879), Katkov afferma che colpevole della sedizione è l’intelligencija, perché strappa «le persone dalla scuola, dalla famiglia, dalla Chiesa, dallo Stato, e gli fa odiare la scuola, la famiglia, la Chiesa e lo Stato». L’unica possibilità per sradicare la radice del male è «una scuola giusta e una seria educazione»: la scuola d’indirizzo classico. 23. Klier, Imperial Russia’s Jewish question, p. 402.

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su «Russkij Vestnik» e «Moskovskie Vedomosti» il suo antinichilismo assume la forma di vero e proprio credo politico. In Pol’skij vopros (La questione polacca)24 Katkov rivendica la dimensione nazionale della questione polacca, perché «è sempre stata anche la questione della Russia».25 Il corso della storia, che ha posto tra Russia e Polonia «la questione fatale di vita e di morte»,26 la sopravvivenza di una a discapito dell’altra, testimonia l’eterna rivalità, la costante inimicizia, l’impossibilità di coesistenza pacifica. Persa l’indipendenza, la Polonia non si è riconciliata con il proprio destino e, insoddisfatta della pura protesta, punta alla distruzione dell’avversario: la Russia. Nella battaglia per l’indipendenza i polacchi hanno trovato compagni pronti a tutto senza un’attenta analisi della questione. Il 19 febbraio 1863, due anni dopo la “liberazione dei contadini”, in un volantino dei rivoluzionari di Zemlja i Volja – appello che, secondo Katkov, nasconde la mano degli indipendentisti polacchi – si rivendica l’indipendenza della Polonia e si chiede agli ufficiali e ai soldati russi in Polonia di volgere, a nome e per il bene del popolo russo, le armi contro la madrepatria. Indirizzando l’appello ai rivoluzionari russi, gli autori sostengono la necessità di agire contro la Russia per la rinascita del popolo russo, e simultaneamente accusano il governo di essere l’unico colpevole del sangue versato in Polonia. Per Katkov, secondo cui i veri responsabili del massacro sono proprio i rivoluzionari polacchi e russi, la lotta non è politica ma patriottica: «cedere alle pretese del patriottismo polacco significa emanare una sentenza di morte per il popolo russo».27 In quest’articolo l’autore enuncia un principio fondamentale dell’ideologia antinichilista, condiviso poi da varie pubblicazioni slavofile tra cui «Den’» di I.S. Aksakov e «Otečestvennye zapiski» di M.E. Saltykov-Ščedrin: il seme della rivoluzione instillato nel cuore dei nichilisti russi ha una genesi polacca. Secondo l’intellettuale, infatti, «gli agitatori polacchi hanno istruito […] i rivoluzionari locali e disprezzandoli nell’anima li sanno utilizzare, e gli stessi profeti ed eroi della terra russa (come li onorano gli agitatori polacchi, adulando la loro stoltezza) non sospettano affatto di quali mani sono creatura».28 Chi sono, dunque, 24. «Russkij Vestnik», I/1 (1863), pp. 471-488. 25. Ibidem, p. 476. Su «Moskovskie Vedomosti» Katkov (Katkov, Sobranie stat’ej po pol’skomu voprosu, I, pp. 37-88) ribadisce che la questione polacca, per motivi storici è di esclusivo interesse nazionale, un affare di stato che riguarda esclusivamente Russia e Polonia 26. Ibidem. 27. Ibidem, p. 482. 28. Ibidem, p. 479.

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gli agitatori polacchi? Katkov risponde su «Moskovskie Vedomosti»:29 l’insurrezione polacca è organizzata dall’unione di «due brame di potere insaziabili», cioè dalla Szlachta «che desidera dominare il popolo russo» e dal clero cattolico «che desidera soggiogare la chiesa ortodossa».30 Di conseguenza l’insurrezione non è una lotta per la libertà ma un intrigo per il potere: ricostituire lo stato polacco per poi sottomettere il popolo russo, con uno spirito di conquista «destinato ad agire con i metodi amorali dell’intrigo» polacco-gesuitico che «cova la fine dello stato russo, del popolo russo e della chiesa russa ortodossa».31 In un articolo sul «Moskovskie Vedomosti»32 Katkov ribadisce che non si possono né si devono concedere speciali autonomie politiche o militari ai polacchi. Per ottenere una pace duratura tra Russia e Polonia si deve perseguire l’unità statale tra Impero russo e Regno polacco attraverso l’assimilazione economica della Polonia in un bilancio statale unico.33 Per il futuro ottenimento della russificazione fisico-economica del territorio giocano una parte importante i contadini, che – possibili alleati in funzione antipolacca – guardano con dispetto i polacchi e i loro falsi amici, gli ebrei. In Čto nam delat’ s Pol’šej? (Cosa dobbiamo fare con la Polonia?)34 la soluzione alla questione polacca, secondo Katkov, è la creazione di uno stato unitario russo-polacco privo di velleità indipendentistiche, con la possibilità di mantenere a livello regionale una certa autonomia e un’amministrazione locale. Con questi articoli Katkov alimenta la teoria di un complotto antirusso, ordito dai polacchi, i primi nemici della Russia: attraverso la stampa democratica, i polacchi ispirano i pensieri e le azioni dei nichilisti, le agitazioni dei giovani studenti, e le rivolte della popolazione della čpo. Secondo l’autore la stessa čpo, messa in pericolo dalla nefasta influenza dei polacchi, è il campo di battaglia in cui la vittoria determina la sopravvivenza di uno dei due contendenti: la Russia o la Polonia. Per contrastare la vittoria della Polonia Katkov prepara un programma per russificare la regione e liberare i contadini dal “giogo” dei proprietari terrieri polacchi.35 In una lettera privata al ministro degli interni P.A. Valuev del 12 maggio 29. «Moskovskie Vedomosti», 130 (15/V/1863). 30. Katkov, Sobranie stat’ej po pol’skomu voprosu, I, p. 255. 31. Ibidem, p. 257-258. 32. «Moskovskie Vedomosti», 69 (29/III/1863). 33. Katkov, Sobranie stat’ej po pol’skomu voprosu, II, p. 58. 34. «Russkij Vestnik», 3 (III/1863), pp. 469-506. 35. Klier, Imperial Russia’s Jewish question, pp. 183-184.

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1863,36 Katkov, coerente con le idee che manifesta pubblicamente negli articoli, sostiene che la Russia è un paese d’indole antirivoluzionaria, che la rivoluzione, organizzata dalla Polonia e dall’Europa, dai territori polacchi si propaga gradualmente per la čpo per mano degli “agenti della rivoluzione”. Definiti da Katkov «mediocri miserabili che non meritano altro che disprezzo», i rivoluzionari russi possono acquistare importanza come arma della rivoluzione polacca ben organizzata che non si arrende di fronte a niente ed è decisa a puntare tutto. Tuttavia, oltre a loro, da noi ci sono ovunque moltissimi polacchi che ora sono talmente terrorizzati dal tribunale segreto che dappertutto manda a morte, che sono pronti a obbedire, fino alla fanatica abnegazione, a tutte le disposizioni delle autorità segrete. Spesso però non è possibile discernere il polacco dal russo!37

Inoltre, i rivoluzionari russi si mescolano alla popolazione per spingerla a ribellarsi contro i proprietari terrieri, definiti nemici dello zar. L’immagine di una sinergia tra istigatori polacchi e nichilisti russi nella preparazione dell’insurrezione polacca è proposta apertamente in un articolo pubblicato su «Moskovskie Vedomosti».38 Per Katkov, dunque, contro gli agitatori polacchi – colpevoli d’istigare i nichilisti russi – sono necessarie le maniere forti, poi usate concretamente da M.N. Murav’ёv – governatore generale delle province del nord-ovest (Vil’na, Kovno, Grodno e Minsk) dal 3 maggio 1863 fino all’aprile 1865 –, soprannominato per l’occasione “veščatel’”, cioè “il forcaiolo”. Katkov, in lunghi panegirici a Murav’ёv, elabora un programma punitivo in cui prevede la perdita dell’autonomia amministrativa della Polonia.39 Il governo, che apprezza il programma di Katkov, tenta di ridurre il potere e l’influenza dei polacchi nella čpo, incentivando l’acquisto di terra da parte dei non-polacchi e vietandone la vendita ai polacchi. Con Murav’ёv e i successori K.P. von Kaufman e E.T. Baranov la politica di russificazione, promossa da Katkov sui suoi giornali, arriva in Lituania più come vendetta che come soluzione del problema.40 Nel romanzo storico Gorjačee vremja (Tempi bollenti), edito a puntate dal 36. «Russkaja starina», 8 (VIII/1915), pp. 296-300. 37. Katkov, Pis’mo M.N.Katkova, p. 297. 38. «Moskovskie Vedomosti», 103 (13/V/1863). 39. Il 28 marzo 1867 sono ufficializzati i dieci governatorati del Regno di Polonia (Privislinskie guberni) facenti parte del Privislinskij kraj (1867-1917) che perdono autonomia ma possiedono comunque uno status particolare. 40. Klier, Imperial Russia’s Jewish question, p. 159.

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1871 al 1873 in «Evrejskaja Biblioteka» e poi raccolto in un unico volume nel 1875, L.O. Levanda descrive la politica di russificazione voluta dal governo, ostile a ogni possibilità di collaborazione tra russi, polacchi, e rappresentanti dell’“intelligencija russo-ebraica”: a questi ultimi si nega di aver tenuto un comportamento leale nei confronti della Russia nel periodo dell’insurrezione. Inoltre, per Levanda l’azione rivoluzionaria dei polacchi è rivolta non solo contro l’Impero, ma attraverso la manipolazione dei burocrati russi, anche contro quegli ebrei che, come lo stesso autore, hanno scelto il russo come lingua della cultura.41 Dalla seconda metà degli anni sessanta lo Stato comincia a combattere con durezza l’intero movimento democratico-rivoluzionario. In un testo segreto del 1865 la censura zarista manifesta grande apprensione per gli effetti del “nichilismo” di Černyševskij sulla società russa, con particolare riguardo ai «suoi deleteri influssi sugli spiriti moralmente più instabili, nelle capitali e in provincia».42 Inoltre, in seguito al fallito attentato alla vita dello zar di D.V. Karakozov del 4 (16) aprile 1866, al “nichilismo”, che comincia a essere associato a vero e proprio terrorismo politico, si oppone l’“antinichilismo” di stato: nel rescritto n. 43.298 del 13 maggio 1866 Alessandro II ordina al presidente del Comitato dei ministri43 di «proteggere il popolo russo dai germi nocivi delle false dottrine, che col tempo potrebbero scuotere l’ordine sociale se non venisse messo un freno alla loro evoluzione».44 Lo zar inoltre comanda di indagare sulla nascita e la diffusione nell’Impero delle “false” dottrine democratico-rivoluzionarie, capaci di penetrare facilmente nel processo educativo, e vigilare sugli organi d’informazione colpevoli di propaganda nichilista.45 Effetti pratici sono la chiusura dei giornali «Sovremennik» e «Russkoe slovo» e la soppressione delle iniziative studentesche extra-universitarie. Ebbene, anche se a causa del fallito attentato allo zar il governo cerca di reprimere il movimento, senza perdersi d’animo la gioventù studentesca democratico-rivoluzionaria persegue nuove forme di lotta. Nascono così circoli studenteschi clandestini che, sviluppando concezioni anarchico-insurrezionali, continuano l’opera di Karakozov attraverso atti terroristici contro la società russa e i suoi maggiori esponenti. S.G. Nečaev 41. Klier, The Jew as Russifier, pp. 45-46. Oltre al testo di Klier, su Gorjačee vremja si vedano: Salmon, Krizis evrejskoj samobytnosti; Hetényi, In a Maelstrom, pp. 62-70. 42. Ambrogio, Introduzione, p. XII. 43. Polnoe sobranie zakonov, ii, vol. xli, otd. 1, pp. 547-549. 44. Ibidem, p. 547. 45. Ibidem, p. 548.

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ricorda infatti che l’atto di Karakozov segna «l’inizio della […] santa causa» e, dunque, «dev’esser considerato come un prologo».46 Se è evidente che le autorità tentano di sopire e zittire qualsiasi vagito democratico, è tuttavia ancor più manifesta la cooperazione tra l’autocrazia e le “assennate” forze conservatrici, nazionaliste, reazionarie, scioviniste, che, attraverso un punto di vista antinichilista, lottano in difesa dei valori patri e suggeriscono al governo le soluzioni per fermare il contagio della rivoluzione. 2. Il romanzo antinichilista Il modello duale nella Weltanschauung antinichilista In seguito alla pubblicazione di Otcy i deti di Turgenev e Čto delat? di Černyševskij la letteratura antirivoluzionaria partorisce un nuovo genere: il romanzo antinichilista. Turgenev, che già nel titolo del romanzo esprime l’idea di un conflitto generazionale, attraverso il “nichilismo” mostra la nuova generazione (i figli democratici) rifiutare il mondo dell’irrazionale concepito dai padri (i liberali degli anni quaranta) a favore del mondo biologico-naturale. In polemica con il romanzo di Turgenev – percepito dagli intellettuali democratici come «un’inopportuna presa in giro del rivoluzionario»47–, Černyševskij descrive nel suo romanzo la vera vita di “uomini nuovi” che concepiscono la famiglia e la società in conformità alle idee democraticorivoluzionarie e propagandano il socialismo. Tra i vari personaggi spiccano Rachmetov – che diviene nella letteratura russa il prototipo del rivoluzionario-nichilista – e Vera Pavlovna – che con gli stessi diritti e doveri dell’uomo, stravolgendo l’immagine tradizionale della donna russa, si dedica al lavoro utile per la società. I personaggi del romanzo di Černyševskij, che ai valori della Russia ortodossa contrappongono i principi democratico-rivoluzionari dell’Occidente europeo, divengono sia l’archetipo degli eroi del romanzo cosiddetto “nichilista” sia l’obiettivo principale degli attacchi di autori antinichilisti. L’“intelligencija antinichilista” combatte il “nichilismo” – la “nuova forma mentis” – e il “nichilista” – l’“eroe dei tempi moderni” – attraverso il “medium” del nuovo romanzo antinichilista, cioè, secondo M.E. SaltykovŠčedrin, «letteratura inquieta di tempi inquieti».48 46. Venturi, Il populismo russo, II, p. 278. 47. Buttafava, Introduzione a Padri e figli, p. 5. 48. Šarifullina, Proza V.V. Krestovskogo, p. 7.

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Inizialmente il romanzo antinichilista, oltre a opporsi a spada tratta alle idee dell’“intelligencija democratico-rivoluzionaria”, si collega al dibattito avvenuto negli anni 1859-1861 sulle pagine delle pubblicazioni periodiche, inclusa la questione dei servi della gleba, ed evolve fino al 1866 in modo caratteristico attaccando il “nichilista”, rivoluzionario “domestico” d’idee democratiche. Inoltre, seguendo l’esempio di Katkov, attraverso il romanzo antinichilista l’“intelligencija conservatrice” reagisce violentemente all’insurrezione polacca del 1863 e combatte una guerra virtuale contro le forze rivoluzionarie straniere. Proprio dall’insurrezio ne polacca si diffonde l’idea che elementi occidentali, assieme ad alcuni rappresentanti dell’ebraismo locale, abbiano avuto una parte importante nelle vicende polacche: dunque, le tendenze della gioventù rivoluzionaria sono rappresentate «come un’“infezione” che viene da occidente, confermando così che gli stranieri rappresentano probabilmente la principale forza rivoluzionaria».49 Tuttavia, dal 1866, anno dell’“affare Karakozov”, ai primi anni settanta dell’Ottocento si sviluppa una seconda tipologia di romanzo, in cui il “nichilista” diventa un terrorista a tutti gli effetti. Se ciò non bastasse, nel 1869 la storia del romanzo antinichilista è segnata dal famoso “affare Nečaev”. Il circolo di Nečaev, che usa metodi terroristici e da associazione a delinquere, è rappresentato negli articoli della pubblicistica reazionaria come il prototipo per qualsiasi movimento rivoluzionario. Dunque, il romanzo antinichilista, che codifica la storia degli anni sessanta, passando per le tappe del 1861, 1863, 1866 e 1869, mostra una visione politica precisa – l’ideale politico-ideologico dell’“intelligencija conservatrice” –, uno stile determinato e soprattutto una trama perfettamente schematizzata: lo schema della lotta tra due schieramenti opposti, cioè lo scontro tra le forze del bene (l’incorruttibile mondo russo-ortodosso strenuo difensore dei valori patri) e le forze del male (l’“intelligencija democratica” e il movimento rivoluzionario). A causa del netto rifiuto delle idee democratico-rivoluzionarie, l’“intelligencija conservatrice” è etichettata dall’“intelligencija democratico-rivoluzionaria” come “reazionaria” e “oscurantista”.50 Dunque, per screditare e condannare le forze del male, inclusa l’“intelligencija democratico-rivoluzionaria”, l’autore antinichilista codifica la realtà – la cronaca ufficiale degli avvenimenti reali, i corrispondenti racconti cronachistici pubblicati dai quotidiani, oppure la 49. Ibidem, p. 9. 50. Moskalenko, Vozvraščenie, p. 4.

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descrizione di personaggi storici – assieme a rappresentazioni romanzesche, a personaggi fantastici, a congetture personali o semplici calunnie. Per ottenere l’effetto desiderato, lo scrittore utilizza uno stile multiforme ed eclettico, cioè l’unione meccanica di più principi stilistici di differenti tradizioni letterarie, l’integrazione di una vasta serie di sottogeneri narrativi – tra cui spiccano il romanzo d’avventura e del mistero, il romanzo storico, il romanzo psicologico51 – e non-narrativi – come la memorialistica e la pubblicistica, che svolge un ruolo fondamentale. Una delle caratteristiche del movimento letterario del XIX secolo è proprio il complesso procedimento d’interconnessione tra letteratura e giornalismo – inclusi i dibattiti pubblici a mezzo stampa –, che riflette la storia dello sviluppo del pensiero della società in Russia.52 Vzbalamučennoe more (Mare agitato, 1863) di A.F. Pisemskij è il primo romanzo della polemica antinichilista. A Vzbalamučennoe more seguono: Nekuda (Da nessuna parte, 1864) di N.S. Leskov; Marevo (Miraggio, 1865) di V.P. Kljušnikov; Sovremennaja idillija (Idillio contemporaneo, 1865) e Povetrie (La corrente,53 1867) di V.P. Avenarius, raccolti in seguito in Brodjaščie sily (Forze vaganti, 1867); Panurgovo stado (I montoni di Panurgo, 1869) e Dve sily (Due forze, 1874) di V.V. Krestovskij, poi raccolti in Krovavyj puf (Il pouf insanguinato, 1875); Na nožach (Ai ferri corti, 1870-1871) di Leskov e V vodovorote (Nel vortice, 1871) di Pisemskij, usciti quasi contemporaneamente a Besy (I demóni, 1872) di Dostoevskij e Marina iz Alogo roga (Marina da Corno scarlatto, 1873) di B.M. Markevič. Oltre che in Nekuda, Marevo e Krovavyj puf, l’insurrezione polacca e il nemico polacco sono elementi rintracciabili anche in Gorjačee vremja di Levanda e V lesach i pod pol’jach (Nei boschi e nei sotterranei, 1895) di S.K. Efron-Litvin. In Vzbalamučennoe more l’autore mostra l’esistenza di una continuità tra fenomeni negativi precedenti e successivi alle riforme (tra cui l’abolizione della servitù della gleba). L’eroe dei romanzi di Pisemskij, attento ai realia della vita russa, è predisposto all’azione più che alla riflessione; nella rappresentazione artistica degli “uomini nuovi” l’autore, infatti, non è attratto dal contenuto delle idee della gioventù democratica, ma dalla capacità di mettere in pratica nella realtà le teorie del movimento rivolu51. Sorokin, Antinigilističeskij roman, p. 102. 52. Šarifullina, Proza V.V. Krestovskogo, p. 64. 53. Il termine significa “corrente”, “moda”, ma anche “epidemia”. Cfr. SaltykovŠčedrin, Brodjaščie sily.

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zionario.54 Pensato come un racconto storico sulla Russia contemporanea, il romanzo descrive l’ascesa di un movimento rivoluzionario che predilige il formalismo ipocrita alla sostanza, ed è dunque incapace di penetrare l’animo popolare. Nella prima parte del romanzo l’autore descrive i “padri” – gli idealisti degli anni quaranta appassionati di filosofia e d’estetica – colpevoli di aver diffuso gli ideali socialisti tra i “figli” – i rivoluzionari degli anni sessanta. Secondo l’autore l’uomo per natura aspira al bene e alla verità, mentre i nemici del genere umano, perseguendo le proprie idee, esprimono punti di vista assurdi e criminosi e compiono atti malvagi e insensati. Per Pisemskij i nemici del genere umano sono: i nichilisti – che operano apertamente per la rivoluzione; i polacchi – che istigano il popolo a scontri di piazza; i rappresentanti dell’emigrazione russa a Londra – che con le pubblicazioni sobillano in patria i rivoluzionari; gli ebrei russi – capitalisti oppure contestatori. Rappresentanti degli ebrei sono i membri della famiglia Galkin, legata al nascente sistema del capitalismo – che, dal punto di vista antinichilista è espressione, assieme alla rivoluzione, del male. La vicenda di Galkin padre è intrecciata a innumerevoli intrighi, di cui egli stesso è causa: l’appaltatore corrompe il potere, rapina o spinge alla depravazione le persone con cui entra in contatto, e compie una serie infinita di crimini.55 Inoltre la vicenda di Galkin figlio è quella dell’eterno ribelle implicato costantemente nel complotto rivoluzionario, prototipo del nichilismo ebraico: il rivoluzionario in giovinezza nega l’autorità paterna, nella maturità colpevolizza lo stato, la struttura sociale ed economica, i fondamenti morali e religiosi, le relazioni sessuali.56 Dunque, nella trama del primo romanzo antinichilista gli ebrei sono nemici del genere umano. Besy segna un momento importante per il destino del romanzo antinichilista. La percezione nella coscienza collettiva del romanzo di Dostoevskij57 come picco massimo della produzione letteraria dell’antinichilismo ha posto il problema del romanzo antinichilista posteriore, considerato ormai prodotto di un genere letterario incapace di evolversi in modo significativo.58 Secondo Dostoevskij l’idea di fondo del romanzo antinichilista è racchiusa nell’onorevole “russicità” della cultura imperiale, da contrapporsi alle idee 54. Lotman, Pisemskij-romanist, p. 134. 55. Ibidem, p. 136. 56. Kunitz, Russian literature and the Jew, p. 81; Lotman, Pisemskij-romanist, p. 136. 57. Šarifullina, Proza V.V. Krestovskogo, p. 22. 58. Moser, Antinihilism in the Russian Novel, p. 61.

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internazionali che hanno snaturato gli intellettuali russi.59 Infatti, da una parte sceglie di raffigurare il “russo qualunque”, come egli stesso scrive a Katkov l’8 ottobre 1870,60 e dall’altra, assorbendo in modo personale la questione legata all’“affare Nečaev”, vuole demistificare la lotta politica in quanto evento amorale.61 Nell’articolo Odna iz sovremennych fal’šej (Una delle falsità contemporanee) pubblicato nel volume del 1873 di Dnevnik pisatelja (Il diario di uno scrittore)62 Dostoevskij afferma che il terrorismo è un «delitto tanto mostruoso» da spingere «le persone più pure di cuore e più ingenue» a trasformarsi in mostri e a compiere azioni orribili.63 I vari Nečaev, rappresentazioni fittizie di personaggi reali, possono non essere affatto fanatici ma semplicemente “samozvancy”, mistificatori – i “demóni” sono «la forma più diabolicamente complessa di samozvanstvo» –,64 che sanno suonare come uno strumento musicale il lato magnanimo dell’anima dei giovani.65 Dunque, in Besy compaiono «il tema della mistificazione e dell’usurpazione del movimento rivoluzionario», cioè «l’anima mistificatoria» del nichilismo,66 e «il tema della follia», cioè «l’anima tragica del nichilismo».67 Come rappresentanti delle due anime del raccapricciante nichilismo, l’autore propone le figure di Nikolaj Stavrogin e Pёtr Verchovenskij. Verchovenskij, che afferma apertamente di essere non un socialista bensì un truffatore, è il nichilista a parole, in fieri: persona capace e ingegnosa, Verchovenskij è un avventuriero e uno speculatore che ha scelto la lotta politica come mezzo per avanzare in società. Al contrario Stavrogin, socialista pratico che promuove una falsa idea morale, è il nichilista che dalle parole passa ai fatti, in itinere: dotato di personalità e autocontrollo, unisce in sé volontà e azione, che tuttavia persegue senza alcun «obiettivo, eccetto la “prova di forza”, […] che gli dà la più grande soddisfazione quando pubblicamente viola i confini del bene e del male e compie il proibito».68 Queste due tipologie di nichilista, divenute immediatamente clichés letterari, penetrando nei romanzi antinichilisti posteriori a Besy sono ripetute all’infinito. 59. Moskalenko, Vozvraščenie, p. 5. 60. Zolotonosov, «Slučajnyj čelovek» v «Besach», p. 61. 61. Ščennikov, Chudožestvennoe myšlenie Dostoevskogo, pp. 62-63. 62. Dostoevskij, Diario di uno scrittore, pp. 190-205. 63. Ibidem, p. 198. 64. Strada, Introduzione, pp. XXII-XXIII. 65. Dostoevskij, Diario di uno scrittore, p. 195 66. Strada, Introduzione, pp. LXVI-LXVII. 67. Ibidem, p. LXVII. 68. Ščennikov, Chudožestvennoe myšlenie Dostoevskogo, p. 63.

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Crisi e rinnovamento Il romanzo è un genere che si rinnova costantemente. Grazie al legame tra l’opera d’arte e lo spirito del tempo, in una determinata epoca «il romanzo fiorisce in quegli aspetti tipologici che corrispondono alle “idee del tempo”, ma dopo un certo periodo le loro possibilità estetiche si esauriscono».69 In seguito alla crisi di possibilità estetiche il rinnovamento del romanzo avviene attraverso la ricerca di nuove forme narrative. Oltre all’impossibilità di eguagliare negli anni successivi la compiutezza e la perfezione di un’opera come Besy, tra i diversi fattori alla base della decadenza del romanzo antinichilista ci sono «la cattiva frettolosità […], la […] soggettività tendenziosa, lo stretto legame delle […] convinzioni con l’ideologia reazionaria e, in ultimo, il poco talento» degli scrittori antinichilisti. Inoltre, il romanzo antinichilista subisce una trasformazione peculiare, diventando «il monumento vergognoso dell’oscurantismo e dell’odio zoologico verso tutto ciò che rappresentava progresso e onorabilità», che occupava «il posto alla periferia estrema della rappresentazione letteraria della vita socio-politica di quest’epoca».70 Inoltre, dal punto di vista puramente artistico questo romanzo era «espressione tipica d’imitazione ed eclettismo letterario, un mosaico di maniere e procedimenti letterari assimilati da altri scrittori, ma nient’affatto equivalenti per valore».71 Dal 1874 la crisi si acuisce: a contrastare il nichilismo nella vita letteraria e intellettuale della Russia interviene il movimento filosofico antipositivista, con particolare riguardo alla pubblicazione della tesi di laurea di V.S. Solov’ёv dal titolo Krizis zapadnoj filosofii. Protiv pozitivizma (La crisi della filosofia occidentale. Contro il positivismo; 1874). Nello scontro ideologico con il nichilismo la corrente filosofica antipositivista in qualche modo ruba il posto al romanzo antinichilista degli anni precedenti, rivelando la “verità cristiana” in forma filosofica. Nel corso degli anni settanta il romanzo antinichilista è influenzato dunque dalla comparsa dell’antipositivismo e dalla contemporanea scomparsa della pubblicistica e del romanzo nichilisti. Ciò da una parte determina il prevalere della componente storica su quella filosofica,72 dall’altra comporta l’identificazione della dottrina socialista con il satanismo, e dell’affermarsi del socialismo con il regno dell’Anticri69. Starygina, Russkij roman, p. 310. 70. Batjuto, Antinigilističeskij roman, p. 292. 71. Ibidem. 72. Starygina, Russkij roman, pp. 311-312.

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sto.73 I riflessi di questa visione escatologica compaiono, oltre che in Povest’ ob antichriste (Il racconto dell’Anticristo; 1899-1900) di Solov’ёv,74 nel Dnevnik pisatelja di Dostoevskij, che evidenzia una nuova Weltanschauung antinichilista. Nel secondo paragrafo del terzo capitolo di Dnevnik pisatelja (I/1876), intitolato Spiritizm. Nečto o čertjach. Črezvyčajnaja chitrost’ čertej, esli tol’ko eto čerti (Lo spiritismo. Qualcosa sui diavoli. La straordinaria furbizia dei diavoli, se solo questi sono diavoli),75 Dostoevskij assimila il regno del demonio con l’utopia socialista, cioè la vita senza Dio. Lo scrittore si occupa in maniera “scherzosa” – così scrive – di diavoli e di spiritismo, fenomeno che nei primi anni settanta comincia a prendere piede in Russia tra i vari rappresentanti delle classi colte. In tutto il discorso l’autore usa le metafore “spiritismo = utopia socialista” e “demónio = spirito del nichilismo”. Se in Russia s’instaurasse lo “spiritismo”, ovvero il socialismo, i “demóni”, cioè gli spiriti del nichilismo, mostrerebbero la propria potenza rendendo schiavi quegli uomini il cui aspetto bestiale dello schiavo riflette l’“immagine della bestia”, e i “diavoli” diverrebbero politici pronti a realizzare il programma dello “spiritismo”, cioè fondare il proprio regno in Russia sulla discordia e dominare in eterno l’intera umanità attraverso il metodo del “divide et impera”. Generata la discordia e realizzato lo spiritismo, i “diavoli”, pronti a un’azione concreta, attraverso l’istruzione penetrerebbero nel popolo russo indifeso, cieco e dissoluto. In questo modo il popolo, credendo con passione alle “false dottrine” dei “diavoli”, abbandonerebbe i valori morali della Russia (la triade di Uvarov) e si rivolgerebbe con venerazione idolatra all’ideologia del materialismo. In sintesi, oltre alla storia e alla politica, punti fondamentali delle trame del romanzo antinichilista successivo a Besy cominciano a essere anche il demoniaco e l’amoralità (nel senso di “inosservanza dei valori morali della Russia”). Zolotonosov nota che proprio attraverso il demonismo, e in particolare la figura dell’Anticristo, sono prodotte, nel sistema della sra, alcune identità che eguagliano l’ebraismo alla massoneria, cioè «“anticristo = ebrei” e “anticristo = massoni”», e, dunque, «in virtù della legge della transitività si stabilisce anche una terza identità: “ebrei = massoni”».76 Dal corso circolare di queste identità penetra nel romanzo antinichilista la teoria della sra secondo cui la Russia è oggetto d’intrighi internazionali, 73. Telegin, Žizn’ mifa v romane Dostoevskogo Besy, p. 25. 74. Cfr. Solov’ëv, Il racconto dell’Anticristo. 75. Dostoevskij, Sobranie sočinenij, XIII, pp. 36-42. 76. Zolotonosov, “Master i Margarita”, p. 26.

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un complotto ebraico-massonico (la massoneria è specchio dell’Europa occidentale) le cui appendici giungono nella Russia stessa. In questo periodo, dunque, il mito del complotto mondiale deve essere ricercato anche nell’evoluzione del romanzo antinichilista. Dentro e fuori la “scuola di Katkov” Dalla seconda metà degli anni settanta attorno a Katkov e alle sue riviste si raggruppa quella che Šarifullina chiama “katkovskaja škola”, cioè la “scuola di Katkov”. Questo circolo di romanzieri nazionalisti e conservatori, spesso di origini nobili, rielabora e diffonde le idee reazionario-sciovinistiche dell’editore del «Russkij Vestnik».77 Dalla “scuola di Katkov” germina il romanzo antinichilista post-Besy in cui sono riprodotte in modo malevolo le caricature dei “padri” – i liberali degli anni quaranta – e dei “figli” – i democratici rivoluzionari degli anni sessanta e i “narodniki” degli anni settanta. Gli autori della “scuola di Katkov” ricorrono continuamente alla stampa, dotata di un profondo carattere polemico, come fonte illimitata da cui attingere materiale per realizzare il proprio romanzo. Tuttavia, a differenza del passato, dalla seconda metà degli anni settanta manca un reale oppositore, sia esso romanzo o stampa nichilista. Tratti comuni della “scuola di Katkov” sono la tendenza antidemocratica, l’attenzione alla vita e all’ambiente nobiliare a cui appartiene l’eroe principale, l’interessamento alla quotidianità e alla semplicità del popolo russo, la satira, e l’uso cospicuo – superiore rispetto al passato – proprio del genere cronachistico della pubblicistica. Inoltre, a differenza dei romanzi antinichilisti degli anni sessanta, è spesso assente l’antipolonismo di Katkov. Gli autori principali della “scuola” sono Markevič, il caposcuola, e Krestovskij, l’autore dal successo più duraturo.78 Markevič progetta un’epopea in nove volumi, una cronaca vasta e articolata della storia russa la cui 77. Cfr. Šarifullina, Proza V.V. Krestovskogo, pp. 85-97. 78. Secondo Sorokin (Sorokin, Antinigilističeskij roman, p. 113), i lavori degli altri maggiori rappresentanti della “scuola” sono: Skrežet zubovnyj (Stridore di denti, 1878) e Zloj duch (Spirito maligno, 1881-1883) di V.G. Avseenko, Vne kolei (Fuori dalla carreggiata, 1882) di Orlovskij (K.F. Golovin), Kružkovščina. Naši lučšie ljudi – gordost’ nacii (I circoli. I nostri migliori uomini: l’orgoglio della nazione, 1879) di Nezlobin (A.A. D’jakov). Non afferiscono alla “scuola di Katkov”: Tajny sovremennogo Peterburga (I segreti della Pietroburgo contemporanea, 1876-1877) di V.P. Meščerskij, Sokolij perelet (Il volo del falco, 1883) e Nezametnyj sled (Traccia impercettibile, 1884) di Leskov, V konce veka. Ljubov (Alla fine del secolo. L’amore, 1892-1892) di Suvorin.

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azione comincia nel 1850 e si interrompe, per la morte dell’autore, con gli avvenimenti del 2 aprile 1879, cioè il fallito attentato del terrorista A.K. Solov’ёv nei confronti di Alessandro II: Četvert’ veka nazad (Un quarto di secolo fa; 1878, 3 voll.), Perelom (La crisi; 1880, 3 voll.), Bezdna (Il baratro; 1885, 3 voll.). Krestovskij, oltre a scrivere una post-fazione all’incompiuto Bezdna, in cui prova a ricostruire gli eventi non ancora descritti, lavora alla sua nuova trilogia antinichilista soprannominata Žid idёt, anch’essa rimasta incompiuta. Nella trilogia, composta dai romanzi T’ma egipetskaja (La tenebra egizia; 1888), Tamara Bendavid (1890), e Toržestvo Vaala (Il trionfo di Baal; 1891), Krestovskij rilegge la storia degli anni settanta, incluse le vicende del movimento rivoluzionario, la guerra russo-turca e lo zaricidio del 1881, attraverso un punto di vista antinichilista. Anche intellettuali non appartenenti alla “scuola” tentano di percorrere la strada del romanzo antinichilista post-Besy. È il caso, ad esempio, del dottor N.P. Vagner, conosciuto nella storia della letteratura russa con lo pseudonimo Kot-Murlyka, “gatto Murlyka” principalmente per aver composto le fiabe della raccolta Skazki Kota-Murlyki (Le fiabe del Gatto Murlyka; 1872). Vagner pubblica à feuilleton sulle pagine della rivista «Rebus» il romanzo antinichilista Tёmnoe delo (Un affare oscuro; 1881-1884), diviso in tre parti e senza un finale definitivo. Raccoglie in un secondo tempo le puntate apparse negli anni ottanta nel volume Tёmnyj put’ (La via oscura; 1890): oltre che modificarne il titolo, questa edizione amplia Tёmnoe delo con l’aggiunta di una quarta parte a conclusione del romanzo. In quest’opera l’autore, parimenti a Markevič e Krestovskij, propone la rilettura in chiave antinichilista della storia russa degli ultimi decenni, con particolare riguardo al periodo che va dalla disfatta della Russia nella guerra di Crimea alla comparsa dei rivoluzionari degli anni sessanta. 3. L’antinichilismo giudeofobo Bersaglio mobile: il “žid” Sin dagli albori dell’antinichilismo, gli scrittori antinichilisti associano il termine “nichilismo” al rivoluzionario, incluso anche quello di origini ebraiche. Nel 1866, a tre anni dalla fine dell’insurrezione polacca, periodo in cui si rafforza l’ideologia antinichilista, sulle pagine di «Vilenskij Vestnik» appare una serie di articoli in cui gli autori ampliano il concetto espresso dai romanzieri antinichilisti, dimostrando, con riferimenti a fatti

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reali, che nella vita dell’Impero esiste un’equazione che accosta il nichilismo non al singolo, bensì all’intero mondo ebraico. In K voprosu o evrejach v zapadnorusskom krae (In risposta alla questione degli ebrei nella regione dei russi occidentali),79 risposta a un articolo di Levanda, K-vskij dimostra che è impossibile per gli ebrei, anche studiando, diventare completamente russi perché incapaci di comprendere concetti legati all’educazione, alla morale e alla spiritualità dei russi. Gli ebrei, scrive K-vskij, rimangono un magnum nihil. In un altro numero del «Vilenskij Vestnik»80 A. Vladimirov, oltre a constatare che sempre più ebrei scelgono la via dell’istruzione, paragona i medici ebrei ai Bazarov, convinto del fatto che un cristiano non permetterebbe mai a un nichilista – per di più ebreo – di occuparsi della propria salute. All’inizio degli anni settanta, cioè alla comparsa – nel pieno della campagna giudeofoba – di articoli e intere opere che accostano il mondo ebraico al potere del kahal, si afferma sempre più la teoria dello stretto legame tra ebreo e nichilismo. Dopo lo scoppio della guerra russoturca l’idea della corrispondenza tra ebraismo e nichilismo si amplia maggiormente: la figura dell’ebreo nichilista viene infatti associata al complotto internazionale contro la Russia. Inoltre, in un arco temporale che culmina nel 1885, l’ebreo nichilista è accostato alla “kramola”, la “sedizione”. In quest’epoca si osserva la parabola ascendente e discendente del movimento Narodnaja Volja – guidato, secondo gli scrittori antinichilisti, da un’oscura mano ebraica: gli attentati alla classe politica e militare dello stato, la risposta del governo con la cosiddetta “dittatura del cuore” di M.T. LorisMelikov,81 lo zaricidio del 1 marzo 1881, lo sbigottimento dell’autocrazia prima e la successiva reazione alla nuova offensiva del fronte rivoluzionario, che, nel 1885, ne determina la crisi e la dissoluzione.82 Dunque, dalla seconda metà degli anni settanta il romanzo antinichilista è interpretato non solo come evoluzione, ma anche come crisi di questa tipologia narrativa. Alla luce degli avvenimenti storici del periodo 1877-1885, infatti, il romanzo antinichilista evolve differenziandosi dalla produzione precedente, in particolare grazie all’appropriazione della nuova Weltanschauung giudeofoba: l’ebreo, percepito come una forza astratta e malevola,83 è il princi79. «Vilenskij Vestnik», 99 (12/V/1866). 80. «Vilenskij Vestnik», 144 (7/VII/1866). 81. Sulla “dittatura del cuore” si veda: Cifariello, Giudeofobia e romanzo antinichilista, pp. 283-287, n. 31; Cifariello, Identità nazionale e costituzione. 82. Sorokin, Antinigilističeskij roman, p. 98. 83. Klier, Imperial Russia’s Jewish question, p. 448.

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pale attore, insieme alle forze occidentali, del complotto contro la nazione e i valori russi (la chiesa russa ortodossa, l’autocrazia imperiale, l’integrità morale del popolo russo). Cioè, se inizialmente il romanzo antinichilista attaccava esclusivamente i rivoluzionari degli anni sessanta di qualunque origine etnica, ora prende di mira i “narodniki”, cioè i popolulisti – in particolare i “narodovol’cy”, cioè i membri dell’organizzazione Narodnaja Volja, – e l’“intelligencija russo-ebraica”. Assorbendo in questo modo la questione ebraica, il romanzo antinichilista s’inserisce nel dibattito pubblico in qualità di medium di massa, dando così maggiore risonanza alla voce dell’“intelligencija giudeofoba”. Prodotto da un’élite tendenzialmente nazionalista e conservatrice, questo genere di romanzo ne riflette pienamente il carattere “reazionario” e il sentimento giudeofobo. Gli eroi negativi del nichilismo – il rivoluzionario e il “narodnik”,84 oppositori dei valori patri – sono costruiti in maniera specularmente contrapposta a quelli positivi dell’antinichilismo – l’“ochranitel’”, cioè il conservatore, rappresentante dell’“intelligencija reazionaria e sciovinista” che difende gli antichi principi fondanti della Russia (la triade di Uvarov). Mentre in questi anni alla giudeofobia russa si accosta l’ideologia dell’antinichilismo storico – espressa da uno sciovinismo reazionario all’attacco delle forze rivoluzionarie russe e internazionali, inclusi i ribelli polacchi, al fine di screditarle e comprometterle attraverso la mischela esplosiva di accuse e insinuazioni85 –, allo stesso tempo l’idea giudeofoba è attraversata dall’antisemitismo politico-ideologico dei tedeschi; tuttavia, rispetto all’antisemitismo tedesco la giudeofobia russa rimane l’espressione di un sentimento antigiudaico condito da visioni e miti stereotipici piuttosto che una vera e propria concezione basata su razza e sangue. Infatti, indipendentemente dall’origine etnica, all’interno del movimento giudeofobo operano molti ebrei convertiti all’ortodossia russa che screditano gli 84. Sul “narodničestvo” proponiamo le sintetiche parole di Seton-Watson (SetonWatson, Storia dell’impero russo, p. 385): «Nel 1873 [le attività politiche della gioventù intellettuale] furono sostituite da un movimento di massa, detto dell’“andata al popolo”. Questa espressione derivava dall’appello che Herzen aveva rivolto in passato alla gioventù russa: “Al popolo!” (v narod), egli aveva scritto. Il motto diede il nome a tutto il movimento rivoluzionario sviluppatosi negli anni settanta, i cui seguaci furono detti narodniki, o populisti. Nel 1873, e più ancora, nell’estate del 1874, centinaia di giovani, fra cui molte ragazze, andarono nei villaggi a predicare fra i contadini le idee rivoluzionarie. […] fra il 1873 e il 1877 ne furono arrestati 1611 […] solo nel 1877 si tennero due grandi processi a carico dei giovani rivoluzionari». 85. Sorokin, Antinigilističeskij roman, pp. 98-99.

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altri ebrei dell’Impero, rinnegano e contrastano la religione dei padri, e divengono, dunque, accesi promotori della giudeofobia russa.86 Gli ebrei alla conquista del mondo Per spiegare le relazioni internazionali e la situazione interna all’Impero russo, raccontare questo particolare periodo della storia, illustrare la “fondamentale” partecipazione ebraica al processo distruttivo della Russia e descrivere il progetto di conquista del mondo da parte degli ebrei, il romanzo antinichilista si appropria dell’impianto ideologico della Weltanschauung giudeofoba preesistente. Le concezioni giudeofobe espresse, basate su testi eteroctoni in traduzione – come il pamphlet di Osman-Bey o il testo di Goedsche –, su opere autoctone in originale – quali i celeberrimi volumi di Brafman –, sul “bricolage” letterario – come i lavori di Ljutostanskij –, s’intrecciano, in uno scambio continuo, alle idee apparse in pamphlet e articoli di giornale, vero campo di battaglia della questione ebraica. Si rilevano, dunque, diverse corrispondenze tra l’opera degli autori antinichilisti e gli articoli polemici sulla questione ebraica pubblicati in vari giornali, in particolare «Kievljanin», «Golos», «Novoe Vremja». Ebbene, all’interno di questa bellettristica coesistono visioni legate a una giudeofobia “oggettiva” critica delle azioni e dei comportamenti “reali” del popolo ebraico, e immagini connesse alla “giudeofobia occulta”, in cui è accentuata la funzione della cospirazione degli ebrei nel complotto contro la Russia: gli autori antinichilisti, se da una parte tengono il romanzo incollato ai realia della società russa per descriverne gli elementi riscontrabili nella quotidianità, dall’altra arricchiscono la storia russa con idee e fantasie incredibili ed enigmatiche fino all’elaborazione di vere e proprie calunnie allo scopo di attaccare violentemente il “žid”. Nel corso del processo creativo gli scrittori rielaborano, in una sorta di tradizione aperta, elementi tratti anche da altri romanzi antinichilisti.87 Attraverso questo procedimento il romanzo antinichilista di matrice giudeofoba crea, sviluppa e veicola miti della “giudeofobia occulta” che rappresentano i nichilisti-rivoluzionari, come scrive De Michelis, come «la truppa segretamente diretta dallo stato 86. Sul processo psico-sociale dell’odio di sé ebraico (“Jewish self-hatred’), dell’autodisprezzo e della giudeofobia dei convertiti nella storia degli ebrei, in particolare il monaco H.-J. ben David Ha-Levi e J. Pfefferkorn, si veda Gilman, Jewish self-hatred, pp. 1-67. 87. Ad esempio, riguardo all’idea del complotto ebraico contro la Russia la trilogia di Krestovskij assorbe elementi dei romanzi di Markevič e Vagner.

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maggiore ebraico»,88 cioè il volto militante di un oscuro governo ebraico internazionale – il kahal mondiale. All’esercito antirusso del nichilismo guidato dagli ebrei l’autore oppone l’eroe positivo che agisce nello spirito delle idee antinichiliste dell’“intelligencija reazionaria e sciovinista”. Proprio l’idea del kahal alla guida dei nichilisti-rivoluzionari, argomento polemico e reazionario usato dall’“intelligencija giudeofoba” nel dibattito interno alla questione ebraica, è assorbita dal romanzo come nuova accusa nei confronti del mondo ebraico. In un articolo relativo al rapporto artistico tra la “kleveta”, cioè la calunnia, e l’opera letteraria Dudakov scrive che «se le “opere scientifiche” di fine XIX secolo difficilmente hanno giocato un ruolo fondamentale nella creazione dei psm, in questo ambito la bellettristica è stata indubbiamente non solo una “levatrice”, ma persino una “nutrice”», e questo spiega «perché nel mito del “complotto mondiale” degli ebrei il principio delle belles-lettres occupa un posto dominante».89 In un passo di Bezdna Markevič accenna al procedimento della “kleveta” che egli stesso applica nella propria opera. Quando i pettegolezzi riferiti a una persona o a un avvenimento diventano una “kleveta”, scrive Markevič, il nome e l’onore della persona offesa sono indelebilmente macchiati, oppure il senso reale dell’avvenimento citato cambia radicalmente. L’autore aggiunge poi che, nel corso dell’opera denigratoria, la “kleveta”, diffondendosi tra sempre più persone pronte a crederci, ripetuta innumerevoli volte amplia il proprio effetto negativo.90 Negli anni novanta il romanzo antinichilista di matrice giudeofoba si trasforma in qualcosa di nuovo. Infatti, grazie al cospicuo uso del procedimento della “kleveta”, il romanziere perde l’interesse per l’elemento antinichilista, che emerge lontano nello sfondo narrativo, completamente sfuocato. È il caso dei lavori di I.I. Jasinskij (M. Belinskij) e S.K. Efron-Litvin, che incarnano pienamente la nuova tipologia di romanzo esclusivamente giudeofobo. Po gorjačim sledam (Sulle tracce fresche) di Jasinskij, pubblicato unicamente a puntate su «Trud», 1-8 (1892), testimonia la prevalenza schiacciante di elementi giudeofobi rispetto a quelli antinichilisti. Sredi Evreev (Tra gli ebrei; 1897) di Efron-Litvin, ispirato in gran parte dai lavori precedenti, in particolare dalla trilogia di Krestovskij, perde quasi completamente la componente antinichilista e costituisce la definitiva evoluzione del romanzo giudeofobo in pura “kleveta”. 88. De Michelis, La giudeofobia in Russia, p. 28. 89. Dudakov, Faktosočinitel’stvo kak literaturnyj žanr, p. 97. 90. Markevič, Polnoe sobranie sočinenii, IX, p. 56.

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Un tale lavoro sarebbe stato per me solamente noioso, molesto e rivoltante se non avessi compreso quanto avrebbe potuto essere utile e interessante constatare l’esistenza dei complotti dei congiurati per mezzo dei loro stessi archivi, e poter annunziare alle nazioni, prove alla mano, con quale abilità e per mezzo di quali persone si cerca di sedurle tentando di rovesciare tutti i loro altari, nessuno escluso, […] Barruel, Memorie per la storia del giacobinismo

1. Bezdna L’eterna lotta tra il Bene e il Male Dal 1880, sulle pagine del «Russkij Vestnik»1 appare à feuilleton il romanzo antinichilista Bezdna: si tratta dell’ultima parte dell’epopea antinichilista dedicata agli anni del regno di Alessandro II in cui l’autore progetta di riscrivere la storia del movimento rivoluzionario russo al fine di motivare le reazioni estreme del governo. Del progetto parla lo stesso Markevič in una lettera a P.K. Ščebal’skij: «Ora [parliamo] del mio futuro romanzo […] Me lo richiede il Russkij Vestnik. E hanno pensato persino il titolo: “Sul baratro”, cioè la dégringolade della nostra società, l’epopea della “dittatura del cuore” negli ultimi anni del passato regno, e il 1 marzo pour clôture».2 Nel 1885 le puntate sono raccolte in tre volumi, e in seguito i volumi riuniti nell’Opera omnia ai precedenti due romanzi della trilogia: Četvert’ veka nazad 3 e Perelom.4 Incompiuto per sopraggiunta morte dell’autore, Bezdna è “completato” nella postfazione da Krestovskij con un prospetto “a grandi linee”.5 La trama del romanzo – un’opera a più voci 1. «Russkij Vestnik», 1-4, 7, 9, 11 (I-IV, VII, IX, XI/1880), 5-11 (V-XI/1884). 2. Markevič, Polnoe sobranie sočinenii, X, p. 283. 3. «Russkij Vestnik», 4, 6-8, 10-12 (IV, VI-VIII, X-XII/1878). 4. «Russkij Vestnik», 2-10 (II-X/1880); 1-12 (I-XII/1881). 5. «Russkij Vestnik», 1-2 (I-II/1885).

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– è antinichilismo puro; tuttavia in diversi punti è presente un sottotesto giudeofobo. Il modello duale su cui lo scrittore plasma l’opera è l’eterna lotta tra il Bene – la schiera dei rappresentanti di Cristo – e il Male – la legione dei servi dell’Anticristo. Seguendo una prospettiva giudeofoba, la legione anticristiana include i giovani nichilisti ebrei e l’occulto governo ebraico a capo del movimento rivoluzionario, il cui scopo è la distruzione dell’Impero e dei valori della Russia. La vicenda si snoda tra gli anni 1876-1879 e ruota attorno ai tre fratelli “nichilisti” Bujnosov-Rostovskij. In Antonina Bujnosova-Rostovskaja coesistono due “anime”, quella della “nichilista in spirito” e quella della nobile “radical-chic”: si mostra una fiera occidentalista, un “čelovek sovremennyj”, cioè una donna della modernità battezzata dallo “struggle for life”, ovvero, secondo le concezioni del darwinismo sociale, la “lotta per l’esistenza”, che forgia l’uomo contemporaneo con valori opposti a quelli del popolo russo; è dotata interiormente di “ženskaja lovkost’”, cioè destrezza femminile, e di cinismo, ed esternamente di un’immagine demoniaca dai tratti serpentini con cui pervertire gli uomini; usa inoltre “kovarnye reči”, perfidi discorsi, per avvelenare l’anima d’ogni suo interlocutore, e sensualità e ammaliamento per realizzare le proprie fantasie e i propri desideri avulsi dalla morale tradizionale; è infine spietata con il marito, uomo di antichi valori e di morale tradizionale, e con il fratello, nichilista di formazione. In Nastas’ja Bujnosova-Rostovskaja al contrario, attraverso la funzione salvifica dell’arte, si è spenta la giovanile infatuazione per il nichilismo. La ragazza ha come modelli di riferimento la semplicità, l’abnegazione, l’ubbidienza e i sentimenti nobili del popolo russo. Infine, il nichilista rivoluzionario Vladimir Bujnosov-Rostovskij è ricercato dalla polizia: facendo propaganda rivoluzionaria è “andato al popolo”, ha tentato infruttuosamente di risvegliare in esso la coscienza dei diritti civili offuscata da secoli di schiavitù e, come un santo che cerca il “podvig” nel martirio, vuole l’arresto e la deportazione – la Siberia, infatti, costituisce la via più breve per raggiungere Ginevra, il centro del movimento rivoluzionario. Secondo Vladimir la causa della rivoluzione assume l’immagine di una “tysjačeglavaja gidra”, cioè un’idra immortale dalle mille teste, che da ogni testa mozzata ne rigenera tre ex novo: la rigenerazione nel corso della lotta rappresenta il continuo unirsi di nuove forze al movimento. Per descrivere l’attuazione del piano dei nichilisti rivoluzionari contro la Russia, l’autore usa le figure di Volk e Pospelov. Volk è un soprannome – il vero nome rimane celato – che rimanda non solo alla “bestialità” delle

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caratteristiche fisiche e, in particolare, alla ferocia del rivoluzionario che ricorda il Lupo cattivo della favola di I.A. Krylov, ma anche allo spirito ateo e nichilista del rivoluzionario, nel senso di “nemico della dottrina cristiana”.6 A causa di una certa “ucrainicità” nei discorsi, se ne intuisce tuttavia l’origine etnica. Condannato alla Siberia, Volk fugge a Venezia, dove incontra Pospelov. Uomo di grandi capacità organizzative e di controllo, Volk sa di avere un ruolo importante nella causa della rivoluzione: è in grado non solo di contrapporsi alla dirigenza del movimento, ma anche di creare e guidare un’organizzazione parallela, forte e unita (nella realtà extra-letteraria rappresentata da Narodnaja Volja). Dietro a Pospelov, l’altro nichilista, si cela l’identità di Vladimir Bujnosov. Pospelov partecipa ad alcune discussioni dell’emigrazione russa a Venezia, in cui emerge il legame tra mondo ebraico e polacco, tra nobiltà polacca e movimento rivoluzionario, tra i rappresentanti dell’“intelligencija liberale” e la gioventù nichilista. Secondo Pospelov la situazione internazionale sfavorevole alla Russia dopo la guerra russo-turca permette finalmente di realizzare in patria la lotta rivoluzionaria. Tuttavia, la società russa, che reagisce duramente all’azione dei nichilisti rivoluzionari, si divide sulle nuove politiche e riforme liberali del governo: l’alta società e gli esponenti governativi di Pietroburgo (cioè Loris-Melikov) le approvano, mentre la stampa “oscurantista” di Mosca (cioè Katkov), ossia il cuore pulsante del popolo russo, assieme allo stesso popolo, le rifiutano, come fossero il baratro (“bezdna”). Ai nichilisti l’autore contrappone il generale Troekurov, eroe dell’esercito russo all’epoca dell’insurrezione del 1863, rappresentante della nobiltà di servizio, “ultimo dei Mohicani” del vecchio regime, e, come gli inquilini della sua proprietà, ideale difensore dei valori patri. Per Troekurov il fallito attentato del 2 aprile 1879 allo zar “Unto del Signore” – azione del nichilista A.K. Solov’ёv che anticipa il programma di Narodnaja Volja, ovverosia “abbattere il tiranno” – è un peccato nei confronti di tutta la Russia. Secondo la sintesi della storia del movimento populista-rivoluzionario, esposta dall’autore per bocca del suo eroe, l’azione rivoluzionaria si divide in due fasi: inizialmente Zemlja i Volja ha seminato il dissidio tra il popolo e in cambio ha ricevuto una strenua resistenza; successivamente Narodnaja Volja all’“andata al popolo” ha sostituito l’azione contro il governo, senza 6. Il soprannome Volk può rimandare, infatti, anche all’“eretico” Ivan Volk Kuricyn, esponente del movimento “giudaizzante” di Novgorod-Mosca. Volk significa non solo lupo, ma, come scrive De Michelis (De Michelis, La Valdesia di Novgorod, p. 63), ha proprio «il significato […] di “nemico della dottrina cristiana, eretico».

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però scatenare alcun rivolgimento popolare. Per non aver ottenuto i risultati sperati, i rivoluzionari progettano l’uccisione del sovrano e la diffusione di falsi documenti per agitare il popolo e scatenare in Russia la rivoluzione. Il figlio di Troekurov associa l’attentato di Solov’ёv alla I° Lettera di san Paolo a Timoteo: da una parte i nichilisti rappresentano i seduttori della Fine del Mondo, spiriti menzogneri che allontanano la gioventù dalla fede con dottrine false e diaboliche; dall’altra, l’attentato all’“Unto del Signore” incarna la profezia dell’Apocalisse e annuncia il periodo storico della Fine del Mondo. L’approssimarsi dell’Apocalisse trova inoltre conferma nelle colonne dei quotidiani: la gioventù è diventata violenta, assassina, falsa e disonesta, si fa gioco di Dio e della religione e perseguita gli innocenti. In opposizione speculare ai nichilisti, i vari Troekurov che vivono secondo la volontà di Dio rappresentano l’anima russa, cioè il modello che tutte le persone devono seguire per salvarsi dalla tempesta dell’Apocalisse. Nichilismo letterario e realtà extra-letteraria Se in questo romanzo, dunque, realtà storica e favola letteraria s’intrecciano saldamente, le immagini dell’azione rivoluzionaria sono presentate da un punto di vista prettamente escatologico: la rivoluzione raffigura il trionfo sulla volontà umana del “duch t’my”, lo spirito delle tenebre, riprodotto nell’idra dalle mille teste. A sua volta l’idra simbolizza metaforicamente l’armageddon delle forze sataniche contro la santa Russia. Con le stesse coloriture escatologiche, dopo aver citato Napoleone III, secondo cui «il mondo è sicuramente governato da società segrete»,7 Markevič spiega, attraverso i nichilisti rivoluzionari Pospelov e Volk, come agiscono le forze dell’Anticristo. Come demóni, i nichilisti tentano, ossessionano, pervertono e allontanano dalla fede e dai valori patri la nobile gioventù russa trasformandola, come colpita da un’infezione contagiosa, in nichilista: inizialmente s’interessano alle diverse scienze, poi s’infatuano del sapere abbandonando Dio, la legge dello stato, i valori patri (ossia la triade di Uvarov), si oppongono quindi ai genitori, e infine, nel perseverare nell’“errore” nichilista e nel leggere testi proibiti, diventano una generazione inquieta. Nello sviluppo intellettuale e nelle conseguenti scelte politiche, l’arte e la letteratura giocano un ruolo fondamentale per l’effetto che possono avere sull’uomo, salvandolo oppure corrompendolo e trasformandolo in nichilista. Oltrepassando la “semplice” negazione di Bazarov, 7. Markevič, Polnoe sobranie sočinenii, IX, p. 67.

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il nichilista Pospelov non è cieco agli impulsi artistici né disprezza l’arte, bensì la ritiene una forma d’espressione del passato inadeguata ai tempi moderni; infatti, al gusto estetico di un’arte inutile preferisce l’utilità degli oggetti della vita quotidiana.8 Se in genere l’amore – come il piacere artistico – è la cura all’infezione del nichilismo, caratteristica del nichilismo di Pospelov è proprio il legame indissolubile tra rivoluzione e sentimenti: l’amore del rivoluzionario è funzionale alla causa della rivoluzione, alla cui realizzazione è subordinato ogni sentimento soggettivo. Lontano dall’amore e dall’arte, l’“uomo nuovo” ha consacrato la vita al programma del partito rivoluzionario: la lotta per abbattere il “potere mongolo” e gli “ordini asiatici” che determinano la struttura sociale della Russia. Da questa “jeunesse généreuse” la lotta rivoluzionaria è accostata al motto pseudo-machiavelliano, o più propriamente nečaeviano, del «crudo realismo utilitaristico che sancisce la legittimità di qualsiasi mezzo»9 per ottenere un fine: l’omicidio è appunto il mezzo più efficace e inesorabile per raggiungere il fine stabilito, e le conseguenti vittime sono inevitabili schegge, come quelle del proverbio russo “drova rubjat, ščepki letjat”, “le schegge volano quando si taglia la legna”.10 Non esistono, infatti, rivoluzioni senza sangue, il cui spargimento è insito nel concetto stesso di rivoluzione. Il discorso di Pospelov, riecheggiando Nečaev in Katechizis revoljucionera (Catechismo del rivoluzionario; 1869),11 si trasforma nel suo personale “catechismo del rivoluzionario”. Nel lavoro attribuito a 8. Markevič usa l’espressione “sapogi vyše Shakespeara”, che risale in altra forma alla prima satira di Kantemir come presa in giro del gusto estetico di un giovane che preferisce stivali e abiti ai classici (De Michelis, Futuristi & footballisti, pp. 30-31). Usato dai rappresentanti del “čistoe iskusstvo”, l’art-pour-l’art, contro i sostenitori del materialismo e della direzione realista nell’arte, il motivo letterario compare nel 1864 nella rivista di Dostoevskij, «Epocha», 5 (V/1864), sulle cui pagine si conduceva un’aspra polemica con il «Sovremennik». Il motivo è ripetuto da Ščedrin in funzione antinichilista nella satira Gospoda taškenty, ma è Dostoevskij a integrarlo in Besy per sottolineare la relazione utilitaristica tra democratici rivoluzionari e arte. 9. Sommer, Elogio della menzogna, p. 28. 10. Al proverbio si rifà anche il titolo Les rubjat – ščepki letjat (1871), romanzo antinichilista di A.K. Šeller-Michajlov. 11. Nečaev ha con molta probabilità assemblato il suo Katechizis revoljucionera seguendo la tradizione cominciata da Revoljucionnyj katechizis (Catechismo della rivoluzione, 1865) di Bakunin (opera scritta sotto l’influsso di Herzen), ma stravolgendone le posizioni. Sulla discussione ancora aperta attorno alla paternità del Katechizis, cfr. Confino, Il catechismo del rivoluzionario, pp. 48-64; Strada, Introduzione, pp. XLI-XLIII.

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Nečaev, a partire dal detto “il fine giustifica i mezzi”, convergono idee di diversi pensatori appartenenti a varie epoche storiche (tra cui Machiavelli e Proudhon). Punto fondamentale di Katechizis, perseguito dai nichilisti di Bezdna, è la considerazione che morale è solo ciò che è necessario al successo della rivoluzione. I rivoluzionari devono consacrarsi completamente alla causa della rivoluzione, troncare i rapporti con parenti e amici, rifiutare la morale tradizionale, annientare i traditori della rivoluzione, e perfino unirsi al mondo della comune delinquenza. Secondo i rivoluzionari l’ordine sociale si fonda sulla sofferenza e sullo sfruttamento da parte di quelle classi sociali “rapaci” (“chiščniki”), tra cui i “kulaki”, arricchitesi alle spalle del popolo stremato. Per realizzare il programma della rivoluzione al giovane nichilista rivoluzionario è, dunque, consentito qualsiasi metodo di lotta efficace senza implicazioni morali, in base all’utilità dell’azione, inclusa la licenza d’uccidere. In questo modo per Pospelov l’“andata al popolo” è superata e sostituita dalla “kramola”, la lotta al dispotismo in stile Narodnaja Volja. Per compiere la “kramola” per la causa della rivoluzione Volk, una volta in Russia, assume l’identità di uno studente del Technologičeskij Institut di Pietroburgo: Lev Gur’evič Bobrujskij. Secondo Volk-Bobrujskij la risposta del governo alla “kramola”, che scuote la Russia e di cui si parla nei giornali di tutta Europa, è stimolata dalla paura piuttosto che dal freddo calcolo. Nella realtà extra-letteraria il 25 maggio 1878 il barone G.E. Gejking, il colonnello dei gendarmi di Kiev, viene assassinato da G.A. Popko, membro del gruppo kieviano di Zemlja i Volja. Il 15 febbraio 1879 il governatore D.N. Kropotkin muore a Char’kov in seguito alle ferite mortali dell’attentato del 9 febbraio, compiuto dal “narodovolec” G.D. Gol’denberg. Il 2 aprile A.K. Solov’ёv attenta alla vita dello stesso zar, salvo per miracolo. Queste azioni non scatenano la rivoluzione, ma provocano l’arresto dei terroristi. Tuttavia, nella realtà testuale, per Volk-Bobrujskij la “causa” del partito rivoluzionario può essere realizzata grazie al futuro zaricidio che spingerebbe il popolo alla rivolta e l’intera società all’anarchia e all’autodistruzione. I rivoluzionari, inoltre, distruggendo tutto, cancellerebbero totalmente il vecchio mondo. Ebbene, nella realtà extra-letteraria, in seguito ai fatti del 2 aprile il governo ricorre inevitabilmente a provvedimenti eccezionali per fermare l’attività rivoluzionaria (“kramola”): gli studenti, posti sotto osservazione dalla famigerata Terza Sezione, sono senza posa perquisiti e interrogati. Il racconto di Markevič s’interrompe proprio su questi eventi per sopravvenuta morte dell’autore.

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Nel postumo Posleslovie (Postfazione)12 di Krestovskij, si riconosce la similitudine caricaturale tra la carriera del personaggio letterario VolkBobrujskij e la vita e le opere del terrorista della realtà extra-letteraria A.I. Željabov. La carriera di Željabov comincia con l’esclusione dall’università per aver guidato, nel 1871, la protesta degli studenti contro un professore, e la cacciata da Odessa, nel 1873, seguita da contatti con i circoli rivoluzionari di Kiev. Nel biennio 1873-1874 è di nuovo a Odessa, membro del circolo di F.V. Volchovskij. Nel 1874, arrestato e poi liberato su cauzione, riprende l’attività illegale. In questi anni Željabov si pronuncia «per la cospirazione, per la lotta e per un’organizzazione centralizzata».13 In seguito all’assoluzione al processo dei 193, nel 1878 “va al popolo”, tra i contadini, facendo propaganda. Partecipa in seguito a diversi congressi di Zemlja i Volja e dimostra di essere uno dei maggiori sostenitori del terrore politico. Qui segue da vicino l’evoluzione dei rivoluzionari che, assieme a lui, fonderanno Narodnaja Volja. Dopo la scissione di Zemlja i Volja diviene guida delle organizzazioni degli operai, degli studenti e dei combattenti di Narodnaja Volja. È, infine, uno degli organizzatori del catastrofico zaricidio del 1 marzo 1881 – che nella realtà letteraria sarebbe stato organizzato da Volk-Bobrujskij – ma alla vigilia, il 27 febbraio, è arrestato e successivamente, il 3 marzo, giustiziato con gli altri attentatori.14 Sottotesto giudeofobo Il sottotesto del romanzo presenta vari rimandi al mondo ebraico. Alcuni di essi non sono espressione di un’ideologia giudeofoba. Ciò avviene, ad esempio, nel corso della vicenda del “falso” Bobrujskij, quando lo scrittore ricorre alla figura di un ebreo convertito all’ortodossia russa, cioè il liberale Vladimir Christianovič Pec, che diviene inconsapevole strumento nelle mani di Bobrujskij. Caratteristica comune ai “nuovi” ebrei liberali della realtà russa, di cui Pec è il riflesso, è il mimetismo nell’etnosistema onomastico: se nel caso di Pec la marca etnonimica si conserva solo nel cognome, altre volte tale marca si perde attraverso la russificazione del cognome ebraico, cancellato per sempre. Secondo Salmon, il cambio di nome è strettamente legato al livello di russificazione ed educazione della popo12. «Russkij Vestnik», 2 (II/1885). 13. Venturi, Il populismo russo, III, p. 303. 14. Cfr. Željabov, in Dejateli revoljucionnogo dviženija v Rossii, III, Moskva 1933, vyp. i; Venturi, Il populismo russo, III, pp. 301-305, pp. 387-390.

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lazione ebraica,15 e anche alla nuova possibilità di emanciparsi per una particolare classe sociale di ebrei russi: i mercanti della prima gilda. Scrive, dunque, Salmon che «[…] proprio all’epoca del tollerante Alessandro II, era cresciuto a dismisura il numero di mercanti ebrei autorizzati a lasciare la zona di residenza coatta. Questi ebrei “emancipati”, dunque, si rivolgevano sovente alle autorità russe con la richiesta di correzione o sostituzione del nome ebraico con un nome “russo”».16 L’abolizione parziale della čpo è una delle riforme più importanti del regno di Alessandro II: attuata in maniera graduale a più riprese sino alla seconda metà degli anni sessanta, permette ad alcuni settori del mondo ebraico di muoversi liberamente nell’Impero.17 Con un nome russo marcatamente cristiano-ortodosso, inoltre, il movimento diventa ancora più semplice: dotati di “nuova nazionalità” gli ebrei convertiti, esentati dall’osservare la particolare legislazione ebraica, sono sottoposti alle più generali leggi rivolte alla popolazione russa. Ebbene: la triade antroponimica di Pec forma una combinazione nomepatronimico formalmente russa con un cognome esplicitamente ebraico. La precedente combinazione antroponimica permetteva a un lettore russo dell’epoca di stabilire con precisione che si trattava di un ebreo convertito all’ortodossia.18 Infatti, lontano dalla tradizione ebraica dell’“ermolka” (la kippah), dei “pejsy” (i cernecchi) e della palandrana ebraica della Polonia medievale – distante “cronotopicamente” anni luce dagli ebrei della čpo –, Pec impersona l’ebraismo uscito dalle scuole russe, liberale e non nichilista, che – come è ben spiegato nel coevo articolo Na rekach vavilonskich (Sui fiumi di Babilonia) sul «Novoe Vremja»19 – è strumento involontario nelle grinfie dei nichilisti: attraverso la concessione di fondi, l’assunzione per incarichi lavorativi, il pagamento di vitto e alloggio, l’ebreo ricco e liberale aiuta i nichilisti di qualunque etnia a compiere la “kramola” ai danni dell’Impero russo. Nella realtà letteraria Pec, avendo studiato al Technologičeskij Institut, prova simpatia per il “giovane” Bobrujskij, di cui diviene inconsapevole strumento. Il primo rimando a un sottotesto giudeofobo è un racconto nel racconto, carico di razzismo e antigiudaismo cristiano. Per dimostrare l’equazione {russo : coraggio = ebreo : codardia}, ovvero la costante della letteratu15. Salmon, L’antroponimia russa, p. 56. 16. Salmon, Chi è Lev Borisovič?, p. 455. 17. Cifariello, Ebrei e “zona di residenza”. 18. Salmon, L’antroponimia russa, pp. 40-41. 19. «Novoe Vremja», 1456 (18/III/1880).

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ra giudeofoba nel trattare la disequazione {ebrei ≠ armi + combattimento + esercito}, il racconto verte attorno a Pestruškin, un russo allegro e ben integrato nella società, e a Šefel’son, ebreo battezzato («iz kreščenych evreev») – ma pur sempre un ebreo («i žid, ja tebe skažu, žid!»).20 Pestruškin è pronto a spararsi di fronte ai commilitoni per dimostrare di non temere la morte. Pestruškin, nel controbattere alle accuse di Šefel’son secondo cui la prova di forza è dovuta a mancanza di soldi, mostra trenta rubli – ossia i trenta denari che spettano al Giuda Šefel’son. Scrive, dunque, l’autore: L’ebreo [žid] scoppiò a ridere: “Quindi […] lei non si sparerà mai”. “Scommettiamo?” […] Pestruškin stesso glielo propose […] “La prego, prenda […] dal muro quella rivoltella”. L’altro la prese. “È carica?” domandò. “Non posso dirlo con certezza”, rispose Pestruškin: “Con questa ho sparato recentemente, e se ho usato tutti i colpi, non lo ricordo; mi sembra, non [li ho sparati] tutti”. “Dunque, cosa propone di scommettere?” chiese l’ebreo [žid]. “Propongo quanto segue: ora mi metto la rivoltella in bocca e tiro il grilletto per tutti e sei i colpi. Se non spara, questi soldi”, e intanto li mostrava, “sono vostri, ma se spara lei allora organizzerà per i compagni un banchetto in mia memoria, e che il vino scorra per tutti fino allo sfinimento”… E l’ebreo [etot žid] cominciò a contrattare con lui […], tirò fuori venticinque rubli dicendo di “non poter sprecare altri quattrini per la scommessa”. E intanto il vigliacco [podlec] si mangiava con gli occhi i soldi posati sul tavolo. Pestruškin estrasse da un fascio di banconote un biglietto da venticinque rubli. “Eccoli qui […] i miei contro i vostri, e quel che rimane sia usato per il rito funebre organizzato dalla compagnia in mia memoria. D’accordo?” domandò. L’ebreo [žid] sussultò persino, perché […] valutava l’affare, se prendere venticinque contro trecento. “Ebbene, […] d’accordo”. Pestruškin afferrò la rivoltella, se la ficcò in bocca […] c’erano […] sei persone circa […] E come non permettere a questa persona di fare quello che voleva? Sarebbe stata una questione legata alla violazione del libero arbitrio dell’individuo … Dunque se la ficcò in bocca e cominciò a tirare il grilletto. Il primo colpo fece cilecca, il secondo pure, il terzo idem… L’ebreo [žid] gli stava di fronte, e la sua faccia gli si contorceva tutta. “Non è carica”, disse… Improvvisamente partì un colpo […] sangue e cervella spruzzarono addosso a uno dei nostri, un greco, un certo Psichaki, che gli era seduto accanto […] Dunque […] è proprio spiacevole che ci si possa sparare solo perché si è senza soldi.21

Il secondo rimando a un sottotesto giudeofobo esprime principalmente l’essenza della “giudeofobia occulta”, necessaria a introdurre il mito del 20. Markevič, Polnoe sobranie sočinenii, IX, p. 257. 21. Ibidem, pp. 257-260.

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complotto pluto-giudo-massonico contro la Russia. In una discussione tra Volk-Bobrujskij e Nastas’ja Bujnosova, si apprende la storia della conversione di Vladimir: grazie all’opera del corruttore Volk, Vladimir, all’epoca studente sempliciotto e credulone, diventa un nichilista rivoluzionario. Nella discussione emerge l’ordine interno che vige nel movimento rivoluzionario: la vita e l’azione dei membri, che non hanno segreti, è pubblica, trasparente, e ben conosciuta dai vertici del partito; inoltre, tra i nichilisti rivoluzionari è in vigore «la Legge mosaica dell’occhio per occhio» e le loro «braccia sono lunghe»22 e in grado di arrivare ovunque sulla terra. L’immagine di un partito dalle lunghe braccia fedele alla Legge mosaica è un chiaro accenno al popolo del Vecchio Testamento, al mondo ebraico. In questo partito rivoluzionario giudaico-ucraino-polacco (i cui membri sono caratterizzati dal punto di vista etnico nel corso del romanzo) convivono due essenze. La prima è quella del “bestiale” Volk, il rivoluzionario ucraino dalla figura di uomo-lupo dall’azione terribile, indipendente, anarchica, che comprende l’inutilità dell’“andata al popolo” rinominata “idillija tupologolovych baranov”, “idillio di ottusi pecoroni”, che non ha rimorsi, il cui “fine giustifica i mezzi”, che si immagina alla testa di un gruppo unico capace di colpire il mondo intero attraverso l’anarchia e la distruzione totale del vecchio ordine mondiale. La seconda essenza del partito rivoluzionario è quella dei suoi dirigenti, che, anche riconoscendo il valore delle imprescindibili qualità di Volk, temono la spregiudicatezza illimitata dei suoi audaci progetti. Per questo motivo Volk non è ammesso al cospetto del capo segreto, chiamato dall’autore il Dalai Lama di tutti i movimenti rivoluzionari che incendiano la Russia. Nelle mani del Dalai Lama convergono in un unico nodo tutti i fili della rivoluzione (i vari movimenti distesi per la Russia), e i suoi adepti rappresentano il misterioso comitato esecutivo rivoluzionario. I segreti e l’organizzazione interna del partito sono aperti a pochi eletti. La struttura del partito è raffigurata da una scala con infiniti scalini (i membri e i segreti del movimento) che punta verso l’alto e non permette di raggiungere né di scorgere la vetta. Violare gli ordini o svelare i segreti del partito significa incorrere nella sentenza di morte pronunciata da uno dei gradini e basata sulla Legge mosaica: le lunghe braccia della rivoluzione possono colpire ovunque e chiunque. Al partito – i cui segreti sono dovuti a scarsa fiducia – Volk oppone uomini segreti che fanno parte del suo enigmatico “comitato esecutivo”. Scrive, infatti, l’autore che l’“ar22. Markevič, Polnoe sobranie sočinenii, X, p. 97.

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cano” Dalai Lama, mai visto da Volk, era sconosciuto anche «a quelle pedine che proprio “Volk” muoveva in maniera dispotica, gli addetti di quel misterioso “comitato esecutivo”, nel cui nome comandava “Volk”».23 È evidente che queste due anime rivoluzionarie sono la raffigurazione romanzesca dei due movimenti nati da Zemlja i Volja, cioè Čёrnyj Peredel e Narodnaja Volja – quest’ultima “guidata” da Volk. Al pari dei membri reali di Narodnaja Volja, nelle prediche ai suoi uomini Volk chiede di colpire l’autocrate, e grazie all’omicidio aizzare le masse all’anarchia. In queste descrizioni l’autore si rifà a un caposaldo della letteratura del complotto, ossia la famosa lettera del capitano Simonini all’abbé Barruel,24 secondo cui tutte le rivoluzioni della storia umana sono parte di un complotto giudaico-massonico segretamente ordito e diretto da livelli superiori con ascendenze spirituali lontane e un’appartenenza etnica ben definita:25 nel nostro caso, al pari dei personaggi dell’incredibile lista di ebrei e amici degli ebrei di Simonini (che include Mani e il Veglio della Montagna),26 il Dalai Lama rappresenta il custode dei resti della stirpe d’Abramo in Tibet.27 Il terzo rimando a un sottotesto giudeofobo presenta elementi della “giudeofobia occulta” assieme a quelli della “giudeofobia oggettiva”. In una discussione, tra i rappresentanti locali del “partito conservatore” e del “partito della protesta”, sulla condizione di anarchia in cui si trova la Russia nel 1879 e sul rischio di una bancarotta finanziaria e di una crisi politico-sociale, si accenna a Rothschild, con cui il governo russo contratta per ottenere un prestito necessario al risanamento della valuta dell’Impero. La risposta di Rothschild alla Russia, scrive l’autore, lascia poco spazio all’immaginazione, perché subordina la concessione del prestito alla nomina «di un governo serio su cui poter contare».28 Per Rothschild la serietà equivale alla concessione di una costituzione, cioè alla trasformazione dell’autocrazia russa in una monarchia costituzionale in stile europeo. Per il “partito conservatore” esiste il pericolo che, temendo di non ricevere i soldi promessi da Rothschild, gli uomini al potere introducano in Russia una nuova forma di governo di tipo europeo voluta dal banchiere inglese. Secondo il “partito conservatore”, la Russia è stata in realtà già liberata 23. Ibidem, p. 100. 24. Preziosi, L’internazionale ebraica, pp. 163-168. 25. Cazzaniga, Il complotto, p. 323. 26. Preziosi, L’internazionale ebraica, p. 166. 27. De Michelis, La giudeofobia in Russia, p. 29, n. 118. 28. Markevič, Polnoe sobranie sočinenii, X, p. 209.

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dalla precedente tipologia di governo autoritario grazie all’attuazione delle riforme di Alessandro II: infatti l’applicazione di queste riforme, basate su una Weltanschauung occidentale, ha cancellato il passato modello di vita della società russa e dell’organismo statale. Dunque, conclude il “partito conservatore”, non potendo dare frutti positivi il trapianto in Russia del modello europeo, l’unica soluzione, nel pieno spirito della triade di Uvarov, è rinsaldare l’ortodossia e il popolo-nazione al “samoderžec”, lo zar autocrate. A differenza dei sovrani europei, lo zar è profondamente amato dal popolo russo, che, diversamente dai membri dell’“intelligencija liberale”, non ha perso il senso della propria nazionalità. Per il “partito della protesta” il modo di regnare dell’autocrate e del suo governo, ormai alla fine, «non ha realizzato le speranze di successo date […] dal suo inizio brillante»,29 e i nichilisti russi sono la manifestazione estrema di una società che sta sprofondando nel “baratro”, irritata dall’incapacità del governo di migliorare le condizioni della società stessa. Nella conclusione mai scritta l’autore avrebbe progettato di descrivere la durissima reazione del governo alla “kramola”, ispirata al manifesto del 29 aprile 1881, con cui K.P. Pobedonoscev chiedeva il ritorno di un potere forte e il rafforzamento dell’autocrazia.30 2. Tёmnyj put’ Scienza del rigore e arte del caos A differenza degli altri autori antinichilisti, letterati di professione, Vagner è un accademico a tempo pieno appassionato di letteratura. Ordinario di zoologia dal 1860 al 1862 all’Università di Kazan’, nel corso degli anni sessanta riceve due importanti riconoscimenti per la sua attività scientifica, da parte del mondo scientifico russo – l’Accademia delle Scienze di Pietroburgo nel 1863 – ed europeo – l’Accademia delle Scienze di Parigi nel 1869. Inoltre: dal 1870 è professore a Pietroburgo di zoologia e anatomia comparata, dal 1891 è presidente del Russkoe obščestvo Eksperimental’noj psichologii (Società russa di psicologia sperimentale), e dal 1898 è membro corrispondente dell’Accademia delle Scienze per le scienze biologiche. Tuttavia, a differenza dell’attività scientifica la cresci29. Ibidem, p. 210. 30. Ibidem, p. 283.

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ta ideologica non è lineare ma straordinariamente caotica: dai primi anni cinquanta, in seguito a una grave malattia, scopre il Vangelo – la cui lettura gli procura un’estasi religiosa –, e nondimeno, attento lettore di Herzen, Moleschott, Büchner, Vogt, si considera ateo e darwinista, almeno fino alla metà degli anni settanta. Oltre che dal positivismo materialistico e da Cristo, sin dalla fine degli anni quaranta Vagner è incredibilmente attratto dallo spiritismo. Tant’è che nel corso degli anni settanta, assieme a vari rappresentanti delle classi colte, organizza esibizioni medianiche31 di cui scrive32 e a causa delle quali polemizza prima con lo scettico Mendeleev, autore della tavola degli elementi, e poi con Dostoevskij, con cui intesse una relazione epistolare dal 1875 al 1877. Dal biennio della guerra russoturca Vagner subisce una manifesta involuzione politica che lo porta a posizioni nazionaliste e reazionarie. Il caos della vita si riflette anche nella successiva produzione artistica degli anni ottanta. Il titolo del suo romanzo antinichilista, Tёmnoe delo (L’affare oscuro; 1881-1884) – pubblicato à feuilleton su «Rebus» dove compaiono le prime tre parti –, si trasforma, in base all’evoluzione caotica dell’autore e dell’opera (il cui soggetto si allontana sempre più dal punto di partenza, l’omicidio rituale),33 in Tёmnyj put’ (La via oscura; 1890) – che in due volumi raccoglie, oltre alle parti edite, una quarta parte inedita a conclusione del romanzo. L’azione va dal 1851 fino agli incendi pietroburghesi del 1862, con un epilogo negli anni ottanta. A differenza dell’opera antinichilista di Markevič in cui l’elemento ebraico rimane secondario rispetto alla trama principale strettamente antinichilista, il romanzo di Vagner si sofferma su problemi e termini della questione ebraica, assorbendola completamente e cercando soluzioni da un punto di vista rigorosamente giudeofobo. In Tёmnyj put’ traspare l’esistenza di un ebraismo legato a pozioni, veleni e mondo dell’occulto, mezzi usati dagli ebrei per deviare, intossicare, trasformare la morale, i sentimenti, la personalità dei russi. Inoltre, secondo l’autore i tragici eventi degli anni settanta e ottanta sono 31. Assieme al pubblicista A.N. Aksakov e al chimico A.M. Butlerov, Vagner organizza nel 1874 a Pietroburgo l’esibizione di un medium, suscitando una feroce polemica. È degno di nota che A.N. Aksakov, parente di I.S. Aksakov, è legato alla discussione pubblica della questione ebraica cui contribuisce con Neskol’ko slov o Talmude (Alcune parole sul Talmud), firmato con lo pseudonimo A. Aleksandrov, in «Den’», 25 (31/III/1862). 32. Nel 1875 pubblica in «Russkij Vestnik», 10 (X/1875) un lunghissimo articolo (pp. 866-951), intitolato Mediumizm (Il fenomeno medianico). 33. Dudakov, Istorija odnogo mifa, p. 244.

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causati da un complotto internazionale contro la Russia, ordito sin dagli anni cinquanta, i cui primi artefici sono gli ebrei del kahal mondiale segreto. Nella visione escatologica con cui Vagner rilegge la storia della Russia gli ebrei giocano la parte dei servi dell’Anticristo. Nel costruire la trama l’autore non segue una linea precisa e univoca: essa è particolarmente confusa, disomogenea, con l’evidente assemblaggio di più parti. Alcune storie all’interno dell’opera possono, infatti, esser lette persino come «novelle interpolate nel testo».34 La narrazione avviene in prima persona, ma già dalle prime pagine si notano incongruenze pure riguardo al nome del protagonista: inizialmente è chiamato dalla madre Serge;35 circa centocinquanta pagine oltre compare il cognome, Olinskij;36 dopo altre duecento pagine è svelato il patronimico, ma accostato a un altro nome, Vladimir Pavlovič;37 infine il nuovo nome, Vladimir, è mantenuto dal personaggio fino all’epilogo. Ricordando implicitamente l’“evangelizzatore” della Rus’, il nome è messo in contrapposizione agli ebrei della čpo e del mondo intero proprio quando la vicenda romanzesca assume evidenti tratti giudeofobi. Questi particolari dimostrano che Vagner compie un’operazione di cucitura di diverse storie in un romanzo disorganico che punta in maniera confusa ad accusare gli ebrei. Anche quello che Mil’don chiama «complotto sionista internazionale»38 costituisce una macchina del fango antinichilista dall’azione piuttosto discontinua con la pretesa di spiegare gli avvenimenti della Russia e dell’Europa della seconda metà dell’Ottocento. Lo stile del romanzo è povero; il tentativo di farne un “racconto filosofico” si scontra con le varie forme sperimentate dall’autore, senza seguire un vero e proprio filo logico: da romanzo macabro-gotico a romanzo d’avventura, da romanzo sentimentale a romanzo del mistero, da romanzo antinichilista a romanzo di guerra. Influenzato probabilmente dalle teorie che portano in quegli anni a formulare il “train of thought” e lo “stream of consciousness”39 – l’interesse per la psiche umana è testimoniato, infatti, dalla sua attività nel Russkoe obščestvo Eksperimental’noj psichologii –, Vagner tenta di approntare in alcuni momenti del romanzo un tipo di scrit34. Ibidem, p. 245. 35. Vagner, Temnyj put’, I, p. 5. 36. Ibidem, p. 150. 37. Ibidem, p. 341. 38. Mil’don, Vagner, p. 385. 39. Cfr. James, The Principles of Psychology, Bergson, Essai sur les données immédiates de la conscience.

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tura aperta a impulsi, pensieri, impressioni, seguendo il proprio flusso di coscienza, e in altri momenti di riprodurre in alcuni personaggi gli stati alterati della coscienza umana. Inoltre, nel sottotesto della narrazione romanzesca Vagner inserisce la sua personale interpretazione delle teorie del razzismo scientifico e del darwinismo sociale. La dottrina della selezione naturale – che «possedeva caratteristiche […] tali da risultare seducenti anche per la “cultura di destra”»40 – innestata in una visione giudeofoba della storia umana si rintraccia nella parallela attività pubblicistica dello scienziato e spiega gli eventi del romanzo. Infatti, nel 1882 sul «Novoe Vremja», nel necrologio per la morte di Darwin intitolato Darvin i XIX stoletie (Darwin e il XIX secolo), Vagner usa il darwinismo sociale per spiegare proprio la questione ebraica in Russia. Nella “lotta per l’esistenza”, scrive Vagner, la vittoria tocca ai «lottatori più forti ed esperti […]». I vincitori descritti sono gli ebrei, popolo «nomade, senza patria, la cui […] vitalità si era formata nel corso di secoli d’oppressione e di persecuzioni», capaci di «adattarsi alle condizioni di vita […] pieni di risorse, intelligenti, furbi, ingegnosi, dotati di qualità», che arraffano tutto «con abilità, pazienza, inganno, spudorata sfacciataggine». Gli ebrei, continua Vagner, di per sé individui pericolosi, diventano una potente minaccia per le altre nazioni quando si riuniscono in una «coesione nazionale di matrice corporativistica» e usano il denaro per «sottomettere il mondo». Qual è, dunque, l’evento che ha reso gli ebrei così differenti dagli altri popoli? La risposta data dall’autore è di tipo evoluzionistico: attraverso millenni di persecuzioni nel popolo ebraico la natura ha selezionato le forze maggiormente produttive, furbe e ingegnose, e le ha rese capaci di «nascondersi al momento giusto, eludere, affrancarsi dalle persecuzioni» stesse. Questa lotta costante per l’esistenza «è penetrata nella carne e nel sangue» degli ebrei, cioè «è diventata l’esigenza dell’organismo». Dunque, conclude Vagner, l’unica soluzione per contrastare «le tendenze allo sfruttamento delle altre nazioni» da parte degli ebrei è «una rozza forza fisica»:41 ossia la forza del pogrom. E, infatti, è chiaro il tentativo attraverso la nuova tipologia di romanzo antinichilista di matrice giudeofoba, di alimentare l’odio antiebraico e scatenare pogrom reali. Il romanzo, in effetti, esce a puntate tra il 1881 e il 1884, cioè proprio negli anni in cui, in diverse città della Russia, esplodono atroci violenze contro gli ebrei. 40. De Michelis, Il manoscritto inesistente, p. 81. 41. «Novoe Vremja», 2201 (16/IV/1882).

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Questione turanico-semitica e accusa del sangue La vicenda comincia nel 1851, con il rinvenimento nella lontana provincia russa – nei pressi del governatorato di Kostroma – di vittime di omicidi rituali. Le indagini procedono con lentezza a causa di «una mano lunga e oscura».42 I probabili colpevoli, si scoprirà oltre, sono invasati della setta “dei radenija” – cioè “dei rituali estatici”43 – le cui «sfortunate vittime sacrificali erano oggetto di disgustosi attentati e terribili sacrilegi».44 A capo della setta sono i Barchaev, tre nobili fratelli tatari di fede islamica che organizzano banchetti omerici, riti orgiastici e sacrifici rituali. Nella seconda parte del romanzo l’autore svela che l’omicidio della madre del protagonista, una delle vittime di omicidi rituali, è una questione in cui sono intrecciati l’amore tra appartenenti a fedi incompatibili e in particolare il fanatismo islamico. L’omicidio rituale è, dunque, il primo argomento (apparentemente “islamico”, implicitamente “ebraico” e più in generale “turanico”-“semitico”) affrontato dall’autore. Vagner rielabora l’immagine del popolo ebraico che spia per conto del sultano formatasi in seguito alla guerra russo-turca: è cioè convinto dell’esistenza di uno stretto legame etnico tra turchi ed ebrei che coinvolge anche le popolazioni turaniche e semitiche dell’Impero russo. È oltretutto chiaro che il romanzo sin dalle prime pagine s’inserisce nel filone creato dalle opere di Kostomarov e Ljutostanskij sulla questione dell’omicidio rituale, oltre che dai numerosi articoli della pubblicistica: lo stretto legame è testimoniato, infatti, dalle descrizioni dei corpi, nudi, terribilmente feriti, orribilmente mutilati, decapitati, incaprettati, seviziati. Oltre che l’opera di Ljutostanskij, ricca di esempi, l’autore ha certamente in mente il secondo articolo della serie sull’omicidio rituale apparsa sul «Kievljanin»,45 dal titolo Tёmnyj vopros v istorii evreev (Po povodu obvinenija evreev v umerščvlenija christian dlja religioznych celej) (Questione oscura nella storia degli ebrei. Intorno all’accusa rivolta agli ebrei di omicidio di cristiani per scopi religiosi): qui il pubblicista trascrive gli atti di un processo del 1747 a Kremenec (Ucraina) in cui il magistrato descrive, dopo l’autopsia, le terribili menomazioni e ferite del cadavere. Nel documento si fa riferimento anche al detta42. Vagner, Temnyj put’, I, p. 20. 43. Il nome ricorda il rituale del “radenie”, praticato nei secoli xviii e xix da sette della provincia russa tra cui chlisty (flagellanti) e skopcy (castrati). Cfr. Berman, Prostonarodnye religiozno-mističeskie dviženija, pp. 3-17. 44. Vagner, Temnyj put’, I, p. 42. 45. «Kievljanin», 96-97 (14-16/VIII/1873).

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gliatissimo referto medico della commissione istituita nel 1696 a Vil’na in seguito a un altro caso di omicidio rituale. Senza escludere la conoscenza di ulteriori referti medici anche in casi di omicidi convenzionali e la partecipazione emotiva e professionale dell’autore, Vagner rielabora tutto il suo sapere in una particolare teoria: a compiere gli omicidi rituali nella regione di Kostroma – come Saratov, lontana dalla čpo – sono i membri della setta dei “radenija’. Ossia, a differenza della classica accusa agli ebrei, l’autore sposta il tiro incolpando l’Islam russo, con la decapitazione come elemento chiave della ferocia islamica (l’accusa della violenza islamica si ripete poi anche nelle descrizioni della guerra nel Caucaso). La serie del «Kievljanin» e il romanzo di Vagner sostengono, inoltre, la stessa teoria apertamente giudeo­foba: l’omicidio rituale è in realtà il risultato tragico di un eccessivo festeggiamento del Purim – il cosiddetto “carnevale ebraico” in cui gli ebrei celebrano gli eventi biblici narrati nel Libro di Ester. L’autore della serie del «Kievljanin» ipotizza, infatti, che in passato gli ebrei, sbronzi, durante una cerimonia del Purim, abbiano potuto uccidere un cristiano che impersonificava Haman. Allo stesso modo, nel romanzo di Vagner la gioventù “cristiano-ortodossa” del governatorato è invitata da Barchaev a festeggiare il «carnevale ebraico»,46 cioè proprio il Purim: tra balli e canti, i partecipanti fanno largo uso di alcolici e si accoppiano con minorenni. Oltre allo stravolgimento della realtà, l’immagine fantastica della partecipazione del capo della setta e dei suoi membri al “carnevale ebraico” dimostrerebbe l’esistenza di un legame tra mondo ebraico e mondo islamico – qui impersonificato dai Barchaev – per quanto riguarda l’accusa di omicidio rituale: il “legame turanico-semitico”. Vagner, cioè, definisce la natura etnica di quella “famosa” setta di cui scrivono in questo periodo Kostomarov, Ljutostanskij e la pubblicistica giudeofoba. L’amore semitico nella lotta per l’esistenza Attraverso le teorie del razzismo Vagner presenta gli effetti dell’amore multietnico, incluso l’“amore semitico”, un veleno in grado di ammorbare la mente sino alla malattia psichica. Grazie all’“amore semitico” l’ebrea, comunemente sbeffeggiata con grida pregne d’antigiudaismo cristiano, tipo «Židovka! Il žid ha venduto Cristo»,47 è capace di ubriacare il russo con l’alcol, sedurlo carnalmente e perfino derubarlo. Simile alla Marija 46. Vagner, Temnyj put’, I, p. 99. 47. Ibidem, p. 60.

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del Mazepa di Bulgarin è Sara, rappresentante femminile dell’ebraismo russo nella prima parte di Tёmny put’. Sara, apparentemente un’attrice di balagan,48 segretamente partecipa al complotto giudaico contro la Russia. Grazie all’“amore semitico”, usando come arma il proprio corpo e certe sostanze narcotizzanti, Sara è in grado di compiere una truffa ai danni di Vladimir e, in una sorta di “meretricio”, a sedurlo carnalmente. Per gli altri russi, Sara – che ammalia e truffa senza distinzione i non-ebrei – è una maledetta “židovka”: cioè, come gli altri “židy”, è uno di quei «diavoli che […] si comportano come se [la Russia] fosse casa loro»,49 e che, grazie all’«infame sangue dei židy»,50 sanno come ingannare i cristiani. L’esito dell’“amore semitico” consiste, infatti, nel truffare la persona sedotta: qui l’autore accosta la classica accusa dell’astuzia degli ebrei al sangue ebraico, fondamento dell’ideologia antisemita. Ma c’è un elemento innovativo che si manifesta nell’ideologia giudeofoba di Vagner: il sangue ebraico miscelato all’odio degli ebrei per i cristiani. Sara afferma con astio che, avendone la possibilità, eliminerebbe tutti gli odiati cristiani considerati «una maledetta genìa di despoti persecutori» dei poveri “evrei”.51 Nel sedurre e narcotizzare attraverso la droga dell’“amore semitico” – un particolare, sensuale e ipnotico profumo narcotizzante – l’ebrea pare «un vampiro desideroso di succhiare […] l’anima».52 Si scopre, infatti, che le “tracce” di delirio psichico di Vladimir sono causate proprio dal profumo narcotizzante somministrato dalla “židovka”, definita con l’espressione fortemente tendenziosa e connotata “figlia di Giuda” (“Iudina doč’”), capace di gettare il malcapitato non-ebreo nella fornace infernale dei “židy”, gli anticristi.53 Dunque, attraverso l’amore semitico si giunge proprio all’identità {ebrei = popolo d’anticristi}, che, generata dalla classica accusa antigiudaica del mancato riconoscimento di Gesù in quanto Messia dei cristiani, identifica il Messia atteso dagli ebrei moderni con la figura dell’Anticristo. Lo scrittore, dunque, rappresenta il mondo degli ebrei basandosi non solo sul mito del complotto ebraico contro la Russia (con i connotati del bulgariniano complotto muliebre), ma anche sull’immagine escatologica di “mostruosi anticristi”: attraverso droghe segrete, oppure l’“arma” 48. Un teatro itinerante. 49. Vagner, Temnyj put’, I, p.109. 50. Ibidem, p. 113. 51. Ibidem, p. 117. 52. Ibidem, p. 131. 53. Ibidem, p. 190.

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dell’“esoterismo”, l’ebrea, come il demonio tentatore nel deserto, è in grado di incantare il fedele cristiano. Sara, vampiro desideroso dell’anima cristiana e figlia di Giuda, secondo il sincretismo vagneriano rappresenta un lato della doppia natura dell’uomo: l’istinto alla belligeranza, che nella lotta per l’esistenza si contrappone all’istinto alla pace, alla giustizia e all’amore fraterno predicato nel Vangelo. Nel corso del romanzo Vagner spiega questo sincretismo di teorie razziste, darwinismo sociale e cristianesimo ortodosso: il popolo belligerante e più irrequieto – i semiti ebrei – ha posto tra i popoli pacifici la spada della discordia per il proprio bisogno di battaglia. La natura umana dell’uomo belligerante è alla base dell’insofferenza fanatica, contrapposta allo spirito di pace e fratellanza predicato nel Vangelo. Lo stesso fanatismo appartiene ai nemici della Russia uniti contro lo zar e il popolo russo. I motivi della guerra sono da ricercare nell’animo guerriero dell’umanità: lo spirito guerriero nasce dal tentativo di ogni uomo di realizzare le proprie ambizioni anche a costo di causare al prossimo il male. L’uomo si pone al centro del mondo, pensando che l’universo sia stato creato esclusivamente per lui; gli altruisti incarnano l’eccezione a questa legge naturale. Per superare la legge della natura l’uomo deve prendersi cura del prossimo secondo il principio evangelico «ama il Prossimo tuo come te stesso».54 Oltre a indicare che la radice del male è l’egoismo e la soluzione è il principio evangelico, l’autore manifesta la classica contrapposizione dell’antigiudaismo slavo-orientale che, lungo tutta la storia del cristianesimo orientale, a partire dallo Slovo o zakone i blagodati (Il Sermone della Legge e della Grazia; sec. xi), oppone la luce della Grazia dell’Israele cristiano alle tenebre della Legge dell’Israele ebraico. Dalla giudeofobia psicopatologica all’antigiudaismo escatologico Per giustificare sul piano scientifico l’ostilità nei confronti degli ebrei da parte della popolazione russa, Vagner trae spunto dalla speciale terminologia della discussione pubblica della questione ebraica, in particolare soffermandosi sulla “giudeofobia” come terrore incontrollabile in presenza dei “židy”, con ciò accettando la definizione di Pinsker – secondo cui la “giudeofobia” è una sorta di malattia psico-sociale. Ebbene, il termine “giudeofobia” è spiegato con l’esempio di Serafima, l’eroina femminile 54. Ibidem, p. 147.

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della seconda parte del romanzo. La presenza di «maledetti diavoli, i židy»55 turba l’equilibrio psico-fisico di Serafima scatenando terrificanti attacchi epilettici, cioè veri e propri “attacchi giudeofobi”. Proprio in seguito all’“attacco giudeofobo” Serafima acquisisce la chiaroveggenza e profetizza le riforme radicali del nuovo zar, come la “futura” legge del 19 febbraio 1861 – l’abolizione del diritto nobiliare alla servitù della gleba. Per Serafima l’“affare oscuro” è proprio la liberazione dei contadini, seguita da sanguinose rivolte contadine. La cecità dei russi di fronte all’approssimarsi dell’“affare oscuro” è causata dagli eterni nemici della Russia: il gioco e l’alcol. Per causa loro il popolo non lavora, non si cura dei diritti e non rispetta i doveri di cittadino. I židy, dice Serafima, che sono «il colpo di grazia alla Russia» e nella storia «segnano l’inizio e la fine del mondo intero»,56 non vagando nelle tenebre «sono l’unica nazione cui appartiene il futuro», e nell’attesa escatologica «sanno bene dove e perché andare»,57 ossia conoscono la propria meta e tengono sotto scacco il destino del mondo. Il potere ebraico, afferma Serafima, è destinato a reggere politiche economiche, promuovere guerre – in esse investendo i soldi, per esse ottenendo appalti e da esse guadagnando – e concentrare nelle mani letteratura, scienza, arte. Serafima, ripetendo alcune immagini e discorsi topici del romanzo, afferma che i “židy” «sanno tutto […] tutto fiutano», possiedono agenti ovunque, segretamente controllano «la bilancia della politica», promuovono la guerra «perché in essa investono denari» e da essa guadagnano, «tengono in pugno il destino del mondo intero»,58 e nel futuro controlleranno «tutte le operazioni commerciali» e terranno in pugno «la letteratura, la scienza, l’arte».59 Insomma, conclude Serafima, a osservarli bene gli ebrei non sono un “popolo oppresso”, perché «non sono loro nelle nostre mani, ma siamo noi nelle loro, e lo saremo in modo permanente quando si moltiplicheranno».60 Il discorso giudeofobo di Serafima intende mostrare – come poi sarà nei psm – che gli ebrei sono i veri e unici responsabili per tutti i disastri passati, presenti e futuri della storia della Russia e dell’umanità intera. Le parole angoscianti e profetiche di Serafima anticipano il terribile delirio notturno del protagonista, cioè l’effetto indiretto dell’“attacco 55. Ibidem, p. 347. 56. Ibidem, p. 348. 57. Ibidem, p. 349. 58. Ibidem, pp. 349. 59. Ibidem, pp. 350. 60. Ibidem.

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giudeofobo” della donna. Nell’incubo la corte imperiale e i nobili sono avvolti da fili oscuri, mentre Serafima rantola sul pavimento e ripete debolmente “via oscura”. Un ebreo, il “capo d’oriente” – un membro del kahal dei “židy” di cui si parlerà oltre –, svela il significato di “via oscura”: è la tenebra che avvolge il mondo cristiano alla fine dei tempi e che contemporaneamente evita quello ebraico, illuminato dalla conoscenza, dalla ricchezza e da futuri profitti. Intanto nelle tenebre vagano i goim, legati da fili insanguinati manovrati dal basso, un abisso profondo brulicante di gnomititani mostruosi in ceppi che «scavavano la terra come talpe, rimuovevano le rocce e da esse staccavano pietre enormi con cui costruivano in silenzio un enorme monumento funebre».61 Serafima, isterica, ripete che sono tutti schiavi delle proprie passioni e della propria ignoranza. Con queste immagini il sogno ripercorre metaforicamente le accuse della passione del popolo russo per le carte e la vodka, cioè le pulsioni “infernali” attraverso cui un volere maligno lega in ceppi i russi. Improvvisamente i ceppi si strappano, gli gnomi, piangendo, fanno il segno della croce, e da ogni lato arrivano altri ceppi striscianti «come serpenti neri enormi e grassi […] in terra, ammuffiti», da cui «scorreva acqua torbida».62 Questi ceppi robusti e perfetti da una parte avviluppano tutti, dall’altra si allungano verso l’alto, nel cielo, dove brillano d’oro. Il giovane alza la testa e vede che su tutti troneggia il kahal dei “židy” al gran completo. Terrorizzato, abbassato lo sguardo, Vladimir osserva un deserto uniforme e selvaggio, campi bruciati dal sole, boschi appena tagliati, steppe nude. Per quel deserto gli gnomi, come ombre, vagano pallidi e scarni, cadono dalla debolezza e muoiono. In alto, sempre più intenso risplende e tintinna l’oro del kahal ebraico. D’improvviso in basso tutti i campi e le steppe cominciano a scomparire, come fumo, in una nuvola nera. Dunque, in queste immagini i ceppi vengono strappati e sostituiti da altre vecchie torbide catene che avvolgono tutti e si allungano verso il cielo, dove brilla l’intero kahal risplendente nell’oro, mentre in basso, al posto delle foreste, è rimasto un deserto uniforme in cui gli gnomi, magri, muoiono di fame e stenti. Le metafore, quindi, si fanno sempre più chiare: le vecchie pulsioni “infernali” sono sostituite da un potere ancora più infernale e antico, quello del mondo ebraico che, attraverso il suo kahal anticristiano, con l’oro tiene in pugno il mondo intero. L’Anticristo non è un uomo, ma un intero popolo. Il regno dell’Anticristo corrisponde a un 61. Ibidem, pp. 354-355. 62. Ibidem, p. 355.

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proporzionale arricchimento del mondo degli ebrei-anticristi, grazie allo sfruttamento intenso delle riserve auree e al depauperamento del territorio e della natura, sino alla desertificazione del pianeta. Per colpa delle azioni anticristiane l’umanità è destinata a perire. Viene la sera, e il sole, come un globo rosso, si abbassa lentamente sulla terra; crescendo e avvicinandosi sempre più, questo globo risplende di fuoco e, pieno di sangue e di luce velata, illumina le tenebre notturne: è una cometa. Intanto tutti con terrore ripetono che «la via oscura è finita».63 La metafora apocalittica della nuova cometa dunque porta direttamente alla profezia del ritorno di Cristo rinato per sconfiggere l’Anticristo. La visione terrorizza i superstiti che hanno coscienza del fatto che, secondo la tradizione, alla vittoria di Cristo sull’Anticristo segue la fine del mondo e il Giudizio Universale. Queste percezioni saranno espresse nuovamente nel discorso simbolico di Nerokomskij. Il mondo alla fine dei tempi è diviso in due forze contrapposte: da un lato il ceto operaio rappresentato da un “serpente sotterraneo” e dall’altro il mondo ebraico (che ingloba la stessa borghesia), che per la legge mosaica dell’“occhio per occhio” è divenuto spirito vendicatore delle oppressioni del passato, e come i demoni Gog e Magog dell’Apocalisse renderà schiavi gli operai non ebrei. Nel passaggio dalla giudeofobia all’Apocalisse l’autore si sofferma sulla “salvezza dell’umanità”: cioè illuminare la “via oscura” e combattere l’“affare oscuro” attraverso l’istituzione di circoli che, propagandando il messaggio cristiano della fratellanza, vogliono distruggere il diritto nobiliare alla servitù della gleba, lottare contro la concussione e la menzogna, e combattere la guerra e l’egoismo personale in favore di un nuovo “umanesimo”: la “fratellanza universale dell’umanità”. L’autore, dunque, tenta di spiegare a modo suo la “čelovečnost’” di cui parlò Čackin per il caso «Illjustracija». L’“affare oscuro”, cioè la conduzione da parte dei russi di questo terribile modo di vita, ha permesso alla “razza ebraica” – che all’amore fraterno di Cristo sostituisce la ricchezza personale – di speculare e arricchirsi: i russi, infatti, nutrono «un’unica razza, per la quale profitto e peculato sono elementi naturali [cioè] la tribù di Giuda che un tempo, per diciotto secoli, ha ucciso l’“amore umano”»64 sostituendolo con il guadagno personale. Come non sentire in queste parole una profonda eco dei discorsi sulla fratellanza universale cristiana di Dostoevskij (in Dnevnik pisatelja e Reč o Puškine) 63. Ibidem, p. 356. 64. Ibidem, p. 205.

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da cui il grande scrittore esclude, a priori, gli ebrei? Il piano di Vladimir prevede l’eliminazione del diritto nobiliare alla servitù della gleba, la lotta alla concussione e alle menzogne, e la diminuzione del numero di “persone belligeranti” e di egoisti che agiscono solo per amor proprio e non di patria. A questo pensiero di speranza si oppone però quello di rassegnazione di un altro personaggio femminile, Lena, eroina di etnia russa e di religione cristiano-ortodossa, che scorge nell’“affare oscuro” dell’Apocalisse i progetti dell’Altissimo, cioè la purificazione dal Male e la sola salvezza per un pugno d’eletti. Secondo l’Apocalisse di Giovanni, infatti, il mondo è destinato a morire in una guerra tra le forze del Bene e del Male; segni nella società russa della fine dei tempi sono proprio l’indifferenza, l’immobilismo, l’egoismo e l’odio verso Dio. Per Lena il progetto divino è ineluttabile: il terribile “affare oscuro” inghiottirà tutto e tutti. Il kahal segreto dei “židy” Ponendo l’accento sui termini principali della questione ebraica, l’autore opera un sincretismo tra giudeofobia oggettiva e giudeofobia occulta. Gli ebrei, briganti appartenenti a un popolo di cospiratori cosmopoliti, odiano la “demoniaca” “razza” cristiana e sono pronti alla fine dei tempi a schiacciare la Russia attraverso la droga – strumento per avvelenare usato dall’ebrea cospiratrice –, l’alcol – strumento per ubriacare usato dall’ebreo della taverna – e l’attuazione di un programma sovversivo – strumento per dominare usato dall’ebreo rivoluzionario e dal ricco confratello plutocrate. Pubblicato quasi in contemporanea al capitolo del “discorso del rabbino” in T’ma egipetskaja di Krestovskij e con modalità simili a quelle del “cimitero ebraico” di Goedsche – le cui varie edizioni avevano avuto grande fortuna negli anni settanta tra gli ambienti della giudeofobia russa –, il programma degli ebrei viene esposto dal «kahal dei židy, una società segreta [che] organizza macchinazioni».65 La ricostruzione fantastica dell’autore trasmette nel lettore l’idea che le azioni del kahal, ignorate dalla polizia corrotta,66 rimangano impunite, e che gli ebrei siano dotati di una potenza enorme, capaci «contro di te […] di presentare venti denunce prima che tu riesca a presentarne una», da cui risulta che «immischiarsi in qualche affare politico era estremamente pericoloso, in particolare gli affari che riguardavano evrei, o židy».67 65. Ibidem, p. 133. 66. Ibidem, p. 134. 67. Ibidem.

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In un balagan, Vladimir segue di nascosto una riunione di ebrei che del “cimitero ebraico” ricalca molti aspetti. Venti uomini con una candela accesa, manti bianchi con strisce lunghe e scure e volti coperti da cappucci da cui spuntano barbe canute, si riuniscono in gran segreto. Dopo la preghiera dello Shabbat, comincia il consiglio dei massimi rappresentanti del “sofferente popolo di Geova” in cui si parla in tedesco e in yiddish,68 a cui partecipano solo sei persone: un segreto cospiratore ebreo amico del protagonista, un rabbino e quattro rappresentanti dell’ebraismo mondiale – in sostituzione dei dodici rappresentanti delle tribù d’Israele del “cimitero”. A prendere la parola è il rabbino che fa un breve discorso introduttivo – una sorta di sintesi dello “slovo” apparso nel romanzo di Krestovskij (che analizzo nella sezione successiva). Nel discorso, dai tratti esplicitamente messianici, il rabbino prevede il compimento in Russia del destino degli ebrei, dopo secoli di eterno errare, sofferenze e persecuzioni. Contro il forte nemico russo, «insorto con la spada», i furbi ebrei hanno usato nuove armi, posando «dell’oro sulla coppa dell’ira divina»: il russo «è forte delle proprie orde» e l’ebreo ha «di che comprarle»; il russo «succhia il sangue» dell’ebreo, e l’ebreo «gli succhia l’oro»; il russo «ha reso cantonisti» i figli degli ebrei, ma questi ultimi «sono leoncini che crescendo semineranno discordia nei suoi reggimenti».69 Dunque, gli ebrei – come le bibliche volpi di Sansone che con le code bruciarono le pasture dei filistei70 – saranno la rovina dei russi, destinati a bere «una coppa piena di fame e devastazione». Gli ebrei che disgregano dall’interno, conclude il rabbino, sono come «vacche magre» che, dopo aver munto «tutte le mammelle […] delle vacche grasse», le divorano.71 In termini escatologici la disgregazione dall’interno è l’opera che attua la grande Bestia dell’Apocalisse – in questo caso il popolo ebraico –, che divide gli uomini in nome di Satana. In pieno fervore messianico il rabbino lancia, infine, il grido di battaglia con cui augura la «morte ai nemici del popolo di Dio».72 Il discorso del rabbino è completato dai quattro “capi” del mondo ebraico. Il “capo d’oriente” accenna al caso dell’omicidio rituale di Saratov – altro 68. “Evrejskij žargon”, o più semplicemente “žargon”, era l’espressione comunemente utilizzata dai maskilim per indicare il “dialetto incolto” della popolazione ebraica dell’Europa orientale: lo yiddish (Salmon, Una voce dal deserto, p. 18). 69. Vagner, Temnyj put’, I, pp. 121-122. 70. Cit. da Giudici, 15: 4-6. 71. Vagner, Temnyj put’, I, pp. 121-122. 72. Ibidem, p. 122.

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particolare a conferma dell’attenzione alle pubblicazioni di Kostomarov – e, citando diversi kehalim posti fuori dalla čpo, alla forte concorrenza tra ebrei e tatari nella regione di Kazan’. Il riferimento all’omicidio rituale di Saratov e alla concorrenza tra ebrei e tatari di Kazan’ riporta alla mente del lettore proprio la scena dell’omicidio nelle prime pagine del romanzo e rimanda al “legame turanico-semitico”, ora tramutato in concorrenza tra tatari ed ebrei per il controllo della regione: ossia, nell’ottica del darwinismo sociale, una “lotta turanico-semitica” per il potere e la dominazione della società, combattuta non con la forza ma attraverso la “calunnia del sangue”. A seguire, il “capo d’occidente” accenna all’aiu: il forte centro parigino controlla le amministrazioni nazionali in cui ha inserito uomini pronti a combattere le monarchie in nome della democrazia. Tuttavia anche aggirando la legge, sostiene il “capo d’occidente”, tutti gli sforzi dell’aiu per aprire ai confratelli «le porte verso questo centro benefico [cioè Parigi] sono […] un insuccesso e s’infrangono contro la rigida volontà del monarca inflessibile». Nonostante ciò, in tutti i ministeri l’aiu ha «allertato le forze attive», cosicché, «appena la mano inflessibile si farà più leggera», le macchinazioni ebraiche «cominceranno ad agire».73 Aggiunge poi che gli uffici dell’aiu sparsi per l’Europa, incluso quello di Pietroburgo – cioè l’ope –, stanno all’erta, in attesa dei prospettati guadagni derivanti dagli affari nella guerra di Crimea dall’aiu progettata e finanziata. Dando un carattere maggiormente profetico al proprio discorso, il “capo d’occidente” afferma che in questa guerra futura, grazie alle segrete macchinazioni degli ebrei a cui «tutto è chiaro alla luce dell’oro», le grandi potenze europee – la Turchia, l’Inghilterra, la Francia, l’Austria e l’Italia – «si leveranno per sottomettere il colosso del nord che affligge i figli di Geova».74 Intanto, dall’interno dell’Impero russo gli agenti segreti dell’aiu hanno accesso ai dati sensibili, «dominano tutte le informazioni» di cui l’aiu ha bisogno, e sono a conoscenza persino dei dati demografici, economico-finanziari, e politico-legislativi inerenti a Pietroburgo «che neppure il governo conosce».75 Indebolito il sistema politico grazie alla guerra, per controllare il territorio e dominare il commercio e l’economia di tutta la Russia, gli ebrei progettano di costruire ferrovie, accaparrarsi tutte le aziende redditizie e gli uffici bancari, grazie alla borsa europea da loro controllata sottomettere la valuta russa, e battere ovunque la concorrenza. Gli ebrei prevedono di domi73. Ibidem, p. 124. 74. Ibidem, pp. 124-125. 75. Ibidem, p. 125.

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nare «le grandi operazioni commerciali» e controllare segretamente «nella borsa europea il termometro della valuta russa». In questo modo, conclude, gli ebrei hanno in pugno «la chiave dorata del futuro».76 La parola passa poi al “capo del settentrione” – un ebreo dai lunghi cernecchi definito dall’autore il «reale modello di žid».77 In questa parte di mondo, dove dal punto di vista etnodemografico la popolazione ebraica costituisce una minoranza microscopica, in cui regna una situazione di abbandono e di fame, in attesa della futura costruzione della ferrovia per avviare altri tipi d’imprese gli agenti ebrei riescono comunque a guadagnare sfruttando le foreste demaniali. Inoltre attraverso l’attività spionistica in favore dell’Inghilterra forniscono «agli inglesi, per un buon prezzo, diverse informazioni per una futura campagna».78 L’ultimo a prendere la parola, il “capo del meridione”, un parlante yiddish con i tratti somatici di un greco o di un armeno, afferma che la čpo, oltre a essere interamente controllata dagli ebrei, rappresenta ormai il loro paese natale; aggiunge poi che nella čpo circa ventimila ebrei, grazie alle autorità e alle polizie locali foraggiate con cospicue tangenti, e anche attraverso una serie d’appalti, hanno assoggettato i contadini russi e ucraini. Nell’illustrare il modo in cui gli ebrei gestiscono l’economia della čpo il “capo del meridione”, infatti, constata innanzitutto che «quello sporco contadino maledetto, come una cimice puzzolente» è ormai assoggettato al potere degli ebrei che lo stringono e l’opprimono, e poi che, oltre alla corruzione e agli appalti, gli ebrei nella čpo non possono più essere sconfitti. Infatti, anche provando a opporsi allo strapotere ebraico, il russo non riuscirebbe a far nulla: «ci taglierà una zampa e ce ne ricresceranno ex novo una decina; ci taglierà una testa, e ex novo ce ne ricresceranno un centinaio. […] l’intero meridione già ci appartiene: è tutto nostro, tutti i governatori occidentali, l’[intera] Ucraina».79 Il mondo ebraico meridionale viene dunque presentato attraverso l’immagine di un immortale idra policefalo. Questo simbolo, già visto in Markevič, riappare in Vagner come variante propriamente giudeofoba. Se la parola “idra” è omessa da questo discorso, il riferimento alle centinaia di teste rimarca palesemente l’immagine apparsa nel romanzo di Markevič, e viene ribadita, nel romanzo di Vagner, anche in una successiva scena in cui ai cospiratori nichilisti è esposto il programma del Comitato centrale rivoluzionario. 76. Ibidem, pp. 125-126. 77. Ibidem, p. 127. 78. Ibidem. 79. Ibidem, pp. 127-128.

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Insomma, il kahal ordisce un complotto criminale giudeofilo (“prestupnyj zagovor”, “judofil’skij zagovor”), minaccia le fondamenta dello stato e punta a rovesciare lo zar, progettando di sostituirlo con qualche protettore “tedesco” degli ebrei e quindi sottomettere l’Impero.80 Il kahal, infatti, ha preso in ostaggio, attraverso la finanza ebraica, la politica delle nazioni europee, compresa quella tedesca. L’idea della finanza ebraica dominatrice d’Europa, uno dei topoi della giudeofobia oggettiva di carattere internazionale, è spesso oggetto degli articoli dei pubblicisti nazionalisti. Questa visione della realtà letteraria è una chiara distorsione della realtà extra-letteraria: per le parole di Slezkine nel pluripremiato The Jewish Century, l’Impero di Bismarck «era costruito non solo su “sangue e spada” […] ma anche sull’oro e sull’abilità finanziaria garantita principalmente da Gerson von Bleichröder, il banchiere di Bismarck e della Germania».81 Insomma, nella prospettiva giudeofoba di Vagner è il kahal dei “židy” a essere il futuro colpevole, attraverso il controllo della finanza ebraica, di trasformare i regnanti europei in fantocci ai propri ordini, e allo stesso tempo, come si vedrà nel paragrafo successivo, usare i nichilisti come pedine nella partita a scacchi per la dominazione della Russia. Gli ebrei nichilisti e la dominazione del mondo Nella quarta parte di Tёmnyj put’ l’autore riunisce rappresentanti delle ideologie rivoluzionarie e “intelligencija ebraica” nella setta giudaica degli “Ebioniti”. In una lunga premessa l’autore fotografa le divisioni sociali, le agitazioni studentesche e la propaganda antigovernativa all’epoca delle grandi riforme alessandrine.82 Inoltre parla dell’“uomo belligerante” – una categoria razziale più che sociale, che si manifesta nel tentativo dei progressisti, insoddisfatti da qualsiasi concessione e bramosi «di tempesta», «d’insinuarsi avanti e in alto»83 – e della salvezza del mondo che dipende dalla legge evangelica di amare il prossimo – da cui esclude l’ebreo, ossia un essere “altro” dai «tratti inumani e repellenti».84 L’autore si sofferma, quindi, sulle attività di un falansterio pietroburghese. Qui un tipico “evrej”, Kerden, dichiara l’obiettivo del programma del Partito rivoluzionario: cercare 80. Ibidem, p. 173. 81. Slezkine, The Jewish Century, p. 49. 82. Sull’argomento, si veda Venturi, Il populismo russo, II, pp. 40-48. 83. Vagner, Temnyj put’, II, p. 239. 84. Ibidem, p. 255.

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una felicità comune a tutta l’umanità per assicurarla individualmente a ogni uomo, e prospettare l’unione di tutti gli uomini nell’unica grande famiglia della razza umana. Espone poi punto per punto il progetto programmatico dei nichilisti: l’uso della furbizia e della violenza fisica ed economica contro i nemici, la morte del “vecchio” – la tradizione – sostituito dal “nuovo” – la modernità –, la lotta comunista al “regno oscuro” della proprietà personale – intesa come peccato mortale dell’umanità che, nel corso della storia, ha diviso gli uomini-fratelli in ricchi sfruttatori e poveri sfruttati. La forza del popolo – l’arma principale per la realizzazione di questo progetto – è raffigurata proprio dall’idra policefalo, e la rivoluzione – lo scopo del progetto – da un mare in tempesta che spazza via il passato, e da un fuoco onnipresente che brucia gli elementi contrari al libero sviluppo. Nelle parole dell’“evrej” si alternano una serie di metafore e richiami alla tradizione letteraria nichilista e al motto «morte al vecchio, al decrepito, all’obsoleto»: mangiare i nemici «rodendoli lentamente», cavare «i denti alla società», mandare «in rovina […] i proprietari», andare «al popolo» selvaggio per istruirlo e mostrargli «l’astuto meccanismo85 che li schiaccia e li deforma», insorgere «contro il “regno oscuro”» della proprietà perché «la proprietà non è un furto, […] bensì il peccato mortale dell’umanità86», cioè «il bastone con cui dall’inizio dei tempi Caino batte il povero operaio, suo fratello che lavora, senza poterlo finire», levarsi in difesa dei contadini contro i loro nemici, dotati di «fucili, cannoni, baionette», con «falci e accette», e soprattutto con «lo spirito del popolo».87 Il movimento dei nichilisti rivoluzionari «forti perché inafferrabili», continua l’“evrej”, «incendierà le città» russe: sarà «un’idra dalle cento teste» che porterà «una seconda rivoluzione di Pugačev», ma «cento volte più potente», che «come una burrasca di fuoco si diffonderà da una regione all’altra, e brucerà, incenerirà tutto ciò che è decrepito e avverso e ostacola la libertà di progresso».88 A queste parole seguono le richieste del comitato rivoluzionario centrale di Ginevra di creare e diffondere segretamente in Russia circoli rivoluzionari secondo una gerarchia ben precisa: il livello più 85. Si riferisce a Andrej Ivanov. Chitraja mechanika. Pravdivyj rasskaz otkuda i kuda idut den’gi, fortunato brochure propagandistico di V.E. Varzar pubblicato anonimo a Zurigo nel 1874, e successivamente con altri nomi. Cfr. Venturi, Il populismo russo, II, p. 463 n. 113. 86. Si rifà alla celebre affermazione di Proudhon «La propriété, c’est le vol!». Cfr. Proudhon, Qu’est-ce que la propriété ?, pp. 13-14. 87. Vagner, Temnyj put’, II, pp. 287-288. 88. Ibidem, p. 288.

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basso è occupato dalle autonome “cinquine”, cioè nuclei rivoluzionari formati da «cinque membri che dovranno eseguire ciecamente ciò che ordinerà il comitato centrale rivoluzionario» e «non sapranno quello che conosce l’organizzatore»; il livello medio corrisponde agli organizzatori, che «non sapranno ciò che è noto ai capibanda»; il livello più alto è tenuto dai capibanda, cioè gli unici a cui «sarà manifesta la volontà del comitato centrale».89 Dunque, il progetto prevede che a battersi contro l’autocrazia, a levarsi contro il governo, a pervertire la gioventù, a incendiare Pietroburgo e a perseguire gli ideali della rivoluzione francese, sperando di rifondare lo Stato russo in una Repubblica costituzionale, siano gli ignari “cittadini” (i rappresentanti degli ebrei e dei polacchi e la gioventù democratica); ossia, proprio gli ignari “cittadini” divengono il braccio armato di un segreto comitato centrale. Chi sono, dunque, i capi del comitato centrale? Uno dei massimi rappresentanti a Pietroburgo del comitato è l’ebreo Bergenblat. Direttore di un ufficio bancario, Bergenblat è a capo della setta giudaizzante degli “Ebioniti”. La setta – che predica l’amore verso tutto il Creato per liberare l’uomo dalle tenebre della falsità e della violenza e guidarlo, attraverso la libertà divina, verso la luce – è in realtà l’élite ebraica. Bergenblat, che si oppone all’idea degli ebrei come “razza esclusiva” (“isključitel’naja rasa”) «ostile a tutta l’umanità, a tutti i popoli»,90 presenta in realtà un mondo ebraico sostanzialmente bipartito: l’alta società – gli “evrei” – professa l’unità ed è profondamente cosmopolita; la bassa società – cioè i “židy” – osserva ritualità, pregiudizi, fariseismo, fanatismo, talmudismo, odio secolare di razza. Queste due facce dell’ebraismo condividono, tuttavia, la medesima passione per l’oro, il guadagno lucroso, l’arricchimento personale, indipendentemente dal valore peccaminoso che il “vitello d’oro” rappresenta: per qualunque ebreo l’oro diviene il mezzo per fare il bene dei confratelli, è in grado di elevare il mondo ebraico su tutte le altre forze terrestri, ed è una necessità nel luogo in cui è imminente la lotta. Il discorso di Bergenblat è funzionale allo scrittore, oltre che per spiegare l’unione di “židy” ed “evrei” nella lotta contro i “goim”, per porre l’accento sulla genesi di due importanti termini della questione ebraica inerenti alla politica russificatrice: “sbliženie” e “slijanie”.91 Ebbene, 89. Ibidem, p. 289; sulla questione delle cinquine e del comitato centrale, cfr. Venturi, Il populismo russo, II, p. 297. 90. Ibidem, p. 315. 91. Cfr. Klier, Imperial Russia’s Jewish question, pp. 72-82. Nelle zone a maggioranza ebraico-polacca le politiche di fusione avevano portato alcuni ebrei a sentirsi polacchi di fede mosaica (polacy wyznania mojżeszowego) e ad appoggiare i moti locali d’indipen-

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per Vagner la politica dell’impero nei confronti degli ebrei è subordinata al progetto di un’élite settaria giudaizzante formata, nei termini giudeofobi della questione ebraica, da quell’aristocrazia ebraica che guida il kahal dei “židy” nel progetto di dominazione della Russia. Il progetto politico della setta degli “Ebioniti” di riunire questa élite ebraico-giudaizzante con le associazioni non ebraiche dedite a “riformare” la Russia serve in realtà, attraverso i processi di “sbliženie” e “slijanie”, per raccogliere e guidare i sottomessi “montoni di Panurgo” contro la stessa Russia. Perseguendo un tale scopo un altro membro della setta, Bejdel’, afferma di essere un “edinitel’”, cioè un unificatore, che sacrifica la propria natura ebraica per la “causa” dell’“edinenie”, l’unità. L’unità, all’apparenza una forma di russificazione, in realtà nasconde il piano meno appariscente di un complotto segreto antirusso che punta all’annullamento del commercio e dei capitali russi in favore di quelli dei confratelli ebrei uniti «dalle regole del kahal e dalla […] religione».92 L’eroina della quarta parte, l’ebrea Lija, la cui voce fuori dal coro esprime le idee dell’autore, sostiene che gli ebrei fanno spesso il doppiogioco: da un lato simulano e ingannano con le armi della menzogna e dell’illegalità, e dall’altro vogliono convincere i non-ebrei della loro sincerità e del loro senso di giustizia nel volere “sblizit’”, ovvero avvicinare, e “soedinit’”, cioè unire, i circoli occidentali con quelli orientali. L’autore, attraverso le parole dei personaggi, sostiene che quest’unione (“soedinenie”) avviene già in Europa occidentale e nella Russia meridionale in una sorta di nuova setta giudaizzante, che promuove la grande “causa” dell’umanità giudaizzata in cui la figura di Cristo, nella nuova fede, è “ovviamente” decentrata. Il kahal segreto degli “evrei” L’immagine degli ebrei in lotta per la dominazione del mondo è un motivo che compare costantemente nella quarta parte del romanzo. Il discorso di Nerokomskij verte sulle due grandi questioni che minacciano il mondo: «da un lato… c’è il serpente sotterraneo… che è il quinto stato, il ceto operaio, e dall’altro, gli evrei». Presto, accenna Nerokomskij, i russi saranno senza dubbio «nella condizione degli iloti dell’antica Grecia, o denza, come nel 1863 l’insurrezione per l’indipendenza della Polonia. A questa polonizzazione degli ebrei in senso nazionalistico (cfr. Levanda, Gorjačee vremja, p. 83) era opposta dal governo russo una politica altalenante di “sbliženie”, che produsse l’ebreo russificato dell’“intelligencija russo-ebraica”, detto, appunto, “rossijanin” di fede mosaica. 92. Vagner, Temnyj put’, II, p. 320.

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degli schiavi d’Egitto», cioè lavoreranno «per Israele… come vendetta per il fatto che questi una volta ha lavorato per gli egiziani» perché «la storia preserva gelosamente il cerchio universale della Nemesi… Occhio per occhio! Dente per dente!» Dopo aver sostenuto che gli “evrei” sono «i dominatori assiro-babilonesi! Sono Gog e Magog!!», si domanda «chi vincerà: gli operai o gli evrei?» Dunque, il mondo diviso «in due schieramenti militanti» è, secondo Nerokomskij, «una questione terribile, orrenda, fatale».93 La borghesia, inoltre, è parte dello stesso mondo ebraico (“evrejstvo, židovstvo”), con «le stesse aspirazioni a strozzare, inglobare e ingrassarsi».94 Il ceto operaio, raffigurato dal serpente sotterraneo, che in segreto avvolge la Terra, è contrapposto al mondo ebraico, l’essere diabolico che, partito da Gerusalemme all’epoca di Salomone, percorrerà ogni città della terra per rimettere la testa a Gerusalemme dopo tremila anni.95 Schiacciati nel circolo delle vendette tra “evrei” e operai – un possibile modello bicipite per il futuro serpente simbolico dei psm – sono i sudditi russi, poveri e indifesi costantemente alla mercé del più furbo e del più forte. Parallelamente al kahal dei “židy” della prima parte, nell’ultima l’autore descrive un nuovo “cimitero ebraico”: questa volta è una riunione del kahal segreto degli “evrei”. Sempre di nascosto Vladimir è in grado d’ascoltare un’accesa discussione in tedesco di alcuni ebrei, tra cui Bergenblat e Bejdel’. Gli ebrei accennano alla raccolta di forze dell’aiu, alla garanzia di un certo prestito da parte degli ebrei di Berlino, e al fatto che quasi tutti i governi delle grandi potenze, tra cui la Russia, debitrici di enormi cifre ai banchieri ebrei, saranno presto in loro potere: in cambio della cancellazione del debito gli ebrei otterranno la dominazione della politica e dell’economia dell’Europa e saranno in grado di accendere la miccia della guerra e portare anche la Russia sul campo di battaglia – ossia, secondo l’autore la guerra russo-turca sarebbe stata progettata dagli ebrei già dai primi anni sessanta. L’idea generale delle macchinazioni di un potere economico ebraico dietro la guerra, topos classico della giudeofobia occulta e del moderno antisemitismo, è stata già espressa da Vagner nella parte dedicata all’assedio di Sebastopoli, momento clou della terza parte del romanzo: secondo lo scrittore gli ebrei, cioè «i Rothschild, i Mendelson, gli Stevenson e qualsiasi [altra famiglia con il] cognome in son»,96 hanno finanziato la guerra con l’oro e in questo modo a 93. Ibidem, pp. 363-364. 94. Ibidem, p. 364. 95. Cfr. De Michelis, Il manoscritto inesistente, pp. 91-98. 96. Vagner, Temnyj put’, II, p. 80.

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Sebastopoli le potenze occidentali hanno avuto una potenza di fuoco superiore a quella dei russi. Spostando l’attenzione dagli affari esteri a quelli interni, Bergenblat afferma di controllare l’economia della Russia. La lenta ed efficace azione dell’élite ebraica degli “Ebioniti” segue uno schema programmatico: l’attacco alla società russa attraverso l’unione, il popolamento e la residenza – in un movimento che vede i confratelli dalla periferia al centro, verso le capitali; l’attacco all’economia attraverso il controllo delle borse; la propaganda a mezzo stampa. Quest’operazione di propaganda è rivolta agli “evrei” dell’“intelligencija russo-ebraica”, mentre l’assoggettamento delle masse ignoranti di “židy” fanatici sul piano religioso e sciocchi su quello intellettuale avverrà grazie all’impoverimento e alla diffusione dell’alcolismo. L’abolizione del diritto alla servitù della gleba apre vaste prospettive economico-commerciali sul territorio. Dunque, una volta conquistati la giustizia, il commercio e la famiglia, Israele tornerà all’antica potenza. Allora, dice Bergenblat, la lotta delle classi sociali vedrà il mondo diviso nello schieramento del «popolo benedetto d’Israele, a cui aderiscono tutte le persone agiate, […] cioè i cosiddetti borghesi», e in quello del «proletariato affamato degli operai»97 – paragonato al popolo dell’antico Egitto ridotto dal Signore in schiavitù. Bergenblat sostiene che Israele è segretamente già all’apice della propria potenza, si pone apertamente alla testa del mondo e «con il proprio tallone schiaccia l’aspide».98 Il mondo è appunto diviso in due schieramenti: gli ebrei e gli operai. La propaganda della stampa ebraica è volta alla diffusione di idee perniciose nel mondo ebraico e, in particolare, nella famiglia tradizionale e tra i rappresentanti dell’Haskalah. Quando le vacche magre – gli operai – avranno divorato quelle sazie – la borghesia –, la società si fonderà sulla nuova distinzione tra signori – i padroni ebrei – e i salariati – il proletariato schiavo – e, dunque, si diffonderà la potenza illimitata di Israele. Il proletariato sono i “montoni di Panurgo” che operano ignari guidati da un oscuro controllore, cioè l’onnipotente “governo ebraico” futuro dominatore del mondo. Questione ebraica e russificazione degli ebrei Nel corso del romanzo si contrappongono altri classici motivi della questione ebraica. Compare, infatti, l’opposizione “cosmopolitismo” vs. “orgoglio razziale”. Il “cosmopolitismo” è rappresentato in una visione del 97. Ibidem, p. 418. 98. Ibidem.

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mondo sovra-nazionale lontana dall’amore di patria, e proprio uno stato multirazziale come l’Impero russo permette all’ebreo di essere contemporaneamente cittadino del mondo e di nessuno stato. Ad esso si oppone l’“orgoglio razziale”, cioè l’orgoglio nazionale ebraico generato da secoli di oppressioni, che ha provocato l’ostilità della “razza” ebraica nei confronti dei gentili, i non-ebrei, considerati inferiori. Compare inoltre il motivo della “disonestà ebraica” opposto a quello dell’“ubiquità identitaria” degli ebrei, descritti da una parte come un popolo di furbi imbroglioni e dall’altra come una nazione sfortunata, senza terra, costretta all’eterno vagare. In queste parole riecheggia il motivo dell’ebreo errante (conosciuto come Ahasver, Ahasverus, Assuero), un mito che si perde nella storia e nello spazio della cultura europea. Gli autori tedeschi lo chiamarono der ewige Jude, “l’eterno ebreo”; in Russia è stato preso in prestito proprio dal tedesco e tradotto alla lettera Večnyj Žid. Il celeberrimo romanzo Le juif errant di Sue, autore popolarissimo anche in Russia e amato dagli scrittori antinichilisti (in particolare Krestovskij), ritraeva l’ebreo come il campione degli oppressi e della classe lavoratrice. Negli ultimi decenni dell’Ottocento in Germania presero piede le idee antisemite: l’“eterno ebreo” assunse connotati negativi, quali l’universalismo, il cosmopolitismo, il non riconoscere lo stato in cui viveva come la propria patria. I movimenti culturali profondamente nazionalisti, come in Germania o nell’Impero russo, non tolleravano, ma anzi rifiutavano con forza l’“ubiquità identitaria” degli ebrei.99 È proprio tale spirito razzista e nazionalista a trasparire in Vagner. Inoltre, il tema dell’“eterno errare ebraico” – l’infinita diaspora – nella cultura russa è letto anche in chiave antigiudaica, come punizione divina per i peccati del popolo ebraico.100 Sin qui è chiaro che a differenza di Markevič – che, estraneo alla discussione pubblica della questione ebraica, si limita a rilevare gli ebrei all’interno del movimento rivoluzionario e a calunniarli, creando particolari paradigmi pseudo-giudeofobi – Vagner espone punto per punto la questione ebraica rielaborando tutte le componenti sotto una “chiarissima” luce apocalitticogiudeofoba. Infatti, con l’epilogo, la cui azione si svolge molto dopo gli eventi narrati, in tempi successivi alla guerra russo-turca, l’autore vuole affermare che in Russia, a causa della lotta per l’esistenza e dell’approssimarsi dell’Apocalisse, stanno bene solo i forti, cioè i nuovi padroni “židy”-“evrei” 99. Cfr. Calimani, Storia dell’ebreo errante, pp. 14-16. 100. Rozanov, Počemu na samom dele evrejam nel’zja ustraivat’ pogromov, pp. 79.

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e “kulaki”-“miroedy”, capaci di annichilire l’economia rurale, corrompere la polizia locale e dominare l’intero Impero. Il romanzo si chiude, in una prospettiva escatologica, con alcune frasi sul futuro della Russia (quasi a ricordare l’immagine della Russia-trojka delle Anime morte): «Via oscura!.. E tu, dunque, ti muovi verso un orizzonte oscuro, mia cara patria! […] “Dunque, non solo tu, o Russia, ma ogni nazione va […] verso il terribile orizzonte del futuro, e si realizza il misterioso affare oscuro”. “Via oscura!” Via cupa!! Quando e come arriverà, dunque, il momento della schiarita?!.. O la tenebra circonderà in eterno il misero uomo?!..».101 Con queste parole Vagner non offre nessuna soluzione alle questioni aperte nel romanzo. Tuttavia, l’autore ha in precedenza esposto tutta una serie di possibilità per intervenire nella questione ebraica (così come anche in quella contadina). In particolare, secondo lo scrittore l’unica soluzione possibile è la russificazione sociale e religiosa della popolazione ebraica dell’Impero, e grazie alla piena accettazione dei valori cristiani da parte degli ebrei la “cancellazione della razza” e la contemporanea scomparsa della psicopatologia giudeofoba. Cioè, per l’autore è il carattere razziale degli ebrei a indurre nei russi la giudeofobia, perciò eliminare il carattere razziale ebraico equivale a curare i russi dalla malattia psichica: in mancanza di una completa russificazione degli ebrei, la malattia si diffonde capillarmente tra i russi e la Russia è destinata a essere eternamente governata, in una prospettiva escatologica, dagli ebrei-anticristi dominatori del mondo. 3. Žid idët Successo editoriale e polemiche per l’opera Tra gli scrittori che hanno contribuito allo sviluppo del romanzo antinichilista di matrice giudeofoba l’unico sopravvissuto alla storia, sia per la maggiore qualità delle opere che per la popolarità acquisita in vita, è V.V. Krestovskij. Considerato l’Alexandre Dumas russo102 e soprannominato “naš” (il nostro) Eugène Sue per l’affinità artistica con l’autore de Les Mystères de Paris (I misteri di Parigi; 1842-1843) e Le Juif errant (L’ebreo errante; 1844-1845),103 è ricordato nella storia della letteratura per 101. Vagner, Temnyj put’, II, pp. 485-486. 102. Petrovskij-Štern, Evrei v russkoj armii, pp. 481-482. 103. Viktorovič, Vsevolod Krestovskij, p. 44.

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aver scritto Peterburgskie Truščoby (I bassifondi di Pietroburgo;104 18641867), romanzo di matrice sociale degli anni sessanta che, scevro dei principi dell’antinichilismo, ha per oggetto le constrapposizioni di “classe” e le ingiustizie sociali in una grande città. Su altre posizioni si fonda l’azione della trilogia giudeofoba degli anni ottanta, chiamata ufficiosamente Žid idët. Qui l’autore, riprendendo una serie di motivi stereotipici antiebraici, miscela trama fantastica a eventi storici in un periodo che copre tutti gli anni settanta: la situazione del mondo ebraico nella čpo, i rapporti con la popolazione non ebraica e i pogrom, la questione orientale e la guerra russo-turca, la cronaca sociale, politica e economico-finanziaria nazionale e locale degli anni settanta, la storia dei movimenti studenteschi, dei nichilisti rivoluzionari e dei lavoratori. Nel romanzo la società russa e l’“intelligencija nazionalista” – raffigurata in declino – patiscono il nichilismo e sono incapaci di contrastare la forza del mondo ebraico. Gli ebrei inoltre, secondo la visione mediata dal Žid idët! di Suvorin, avanzano nella società russa: occupano posti sempre più alti nelle varie classi sociali e piazzano propri rappresentanti all’interno dell’élite politico-economica dell’Impero. È indubbio che Krestovskij, oltre a mostrarne la decadenza morale, delinei la composizione sociale dell’“intelligencija liberale” in cui gli ebrei sono in numero percentualmente superiore agli altri gruppi etnici. Il primo romanzo della trilogia, T’ma egipetskaja, comincia a puntate nel 1881 sui nn. 1 e 2 del «Russkij Vestnik». Credendo ciecamente nell’esistenza del potente kahal descritto nell’opera di Krestovskij, Katkov inizialmente non respinge la visione apertamente giudeofoba del romanzo; l’interruzione della pubblicazione alla vigilia del capitolo dedicato al pogrom può, dunque, avere varie motivazioni: l’editore può aver ricevuto aspre proteste da parte del pubblico liberale di «Russkij Vestnik»,105 oppure aver temuto lo scoppio di conflitti tra russi ed ebrei (poi realmente scatenatisi, in seguito allo zaricidio, nella čpo), o anche aver avuto dei dissapori personali con Krestovskij a causa dell’argomento trattato e della resistenza di entrambi ai punti di vista altrui. È certo, comunque, che Katkov considerava notevolmente tendenziosa la rappresentazione, in T’ma egipetskaja, della decadenza 104. Esiste una traduzione italiana del 1906 di Maria Fumasoni, edita nel 1907 per la Biblioteca romantica del Messaggero. Intitolata Il ventre di Pietroburgo, l’edizione è di quelle economiche, senza alcuna indicazione biografica e bibliografica. 105. Moskalenko, Vozvraščenie, p. 10.

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del cristianesimo e dell’avanzata degli ebrei nella vita russa,106 e dunque avrebbe interrotto la pubblicazione per il timore di esporre nel proprio giornale l’idea di un cristianesimo decadente soggiogato da un ebraismo aggressivo. In una lettera a Krestovskij, Kljušnikov conferma che Katkov è preoccupato per la descrizione nella narrazione di un particolare evento: l’entrata della neofita Tamara Bendavid, l’eroina ebrea del romanzo che ha ripudiato la religione dei padri, in una società russa caratterizzata da una forte contrapposizione tra un cristianesimo debole e morente e un ebraismo dalle salde fondamenta in grado, rafforzandosi, di assoggettare l’intera Russia. Secondo Katkov la rappresentazione di un cristianesimo in letargo non portava alcun vantaggio alla soluzione della questione, bensì solo le immagini di un cristianesimo vincente avrebbero potuto risvegliare nel lettore una nuova passione rigorosamente russo-ortodossa.107 Per questi motivi, solo nel 1888, in seguito alla morte di Katkov e all’arrivo al «Russkij Vestnik» del nuovo direttore F.N. Berg, amico dell’autore, è nuovamente possibile pubblicare l’intera trilogia.108 La pubblicazione di T’ma egipetskaja, che riprende dal primo capitolo, avviene nel 1888 sul «Russkij Vestnik»109 e in edizione in singolo volume nel 1889, Tamara Bendavid sul «Russkij Vestnik» tra il 1889 e il 1890,110 e in edizione singola nel 1890, e infine Toržestvo Vaala solo sul «Russkij Vestnik»111 e poi raccolto, assieme agli altri romanzi, nell’Opera omnia. In T’ma egipetskaja Krestovskij concentra la sua polemica su tre motivi fondamentali: la conversione al cristianesimo di una giovane ebrea; il kahal ebraico e anticristiano come governo segreto delle masse ebraiche e suoi legami con il mondo politico ed economico dell’Impero; infine, il risentimento popolare verso gli ebrei e il conseguente pogrom. In Tamara Bendavid l’autore sviluppa sostanzialmente due motivi: l’ebreo inteso come essere individuale – un individuo che sul piano razziale rimane ebreo anche se convertito ad altra religione; l’ebreo inteso come essere sociale – una comunità capace esternamente di sfruttare le popolazioni circostanti e il sistema economico-finanziario, e internamente mantenere stretti legami 106. Elec, Biografija, p. XXVI. 107. Ibidem, p. XXIV. 108. Viktorovič, Krestovskij, p. 149. 109. «Russkij Vestnik», 1-5, 7, 10, 12 (I-V, VII, X/1888). 110. «Russkij Vestnik», 2, 4, 6, 10, 12 (II, IV, VI, X, XII/1889); «Russkij Vestnik», 1-7 (I-VII/1890). 111. «Russkij Vestnik», 5, 7-11 (V, VII-XI/1891).

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con ogni suo membro. Infine, in Toržestvo Vaala, contrapponendo le due tipologie “spirituali” dell’ebreo – l’ebreo nichilista assimilato che rifiuta qualsiasi religione e l’ebreo convertito che assorbe la fede ma non la morale e la storia dei russi-ortodossi –, l’autore vuole dimostrare la permanenza della cultura ebraica in qualunque “figlio d’Israele”, indipendentemente dalle personali scelte di vita. Secondo Krestovskij è proprio il sostrato culturale ebraico a portare Tamara a sentirsi, alla fine della vicenda narrata, fortemente attratta dal suo popolo: un richiamo interiore al ritorno all’Israele russa, di cui è sempre parte integrante. Insomma, per Krestovskij è valida la massima frankista “un ebreo resta sempre un ebreo”112 riadattata alla giudeofobia russa: un “žid” rimane sempre un “žid”. Pubblicistica, pamphlettistica, romanzo Nella sua trilogia Krestovskij rielabora gli argomenti espressi in una serie di articoli, a cominciare da quelli del 1880 del «Novoe Vremja» sulla questione ebraica: in particolare, le equazioni di Suvorin su movimento rivoluzionario e capitale ebraico servono a Krestovskij per dare una spiegazione scientifica al “trionfo di Baal”, cioè all’aumento dell’influenza ebraica nella società russa e all’impotenza di un’indebolita «razza slava».113 Nel 1880 «Novoe Vremja», oltre al noto Žid idët! di Suvorin, pubblica una serie d’articoli sul nichilismo e gli ebrei,114 e spesso cita parti o pubblica 112. Nel 1818 W. Krasiński, padre del grande poeta del romanticismo polacco Z. Krasiński, pubblica un pamphlet dal titolo Aperçu sur les Juifs de Pologne par un officier général polonais, nonce à la diète (Panoramica sugli ebrei di Polonia da parte di un ufficiale generale polacco, nunzio presso la dieta) in cui i frankisti, un pericolo per il futuro della Polonia, «sono la dimostrazione dell’immutabilità dell’essenza ebraica. “Un ebreo resta sempre un ebreo”, afferma citando quella che sarebbe a suo vedere una massima dello stesso Frank» (Quercioli Mincer, Il frankismo nella cultura polacca, p. 135). 113. Elec, Posleslovie, p. 488. 114. In «Novoe Vremja», 1455 (17/III/1880) si descrive la composizione del partito rivoluzionario; in «Novoe Vremja», 1456 (18/III/1880), Na rekach vavilonskich (Sui fiumi di Babilonia) teorizza il legame tra ebrei rivoluzionari (nichilismo) ed ebrei capitalisti (capitale); in «Novoe Vremja», 1444 (6/III/1880), Moe mnenie o nigilizme (La mia idea di nichilismo) riassume la storia del movimento nichilista partendo dalla Comune parigina e puntando al nichilismo ebraico, facendo alla fine i nomi del terrorista L.N. Gartman e di Chvol’son. Inoltre «Novoe Vremja» segue con attenzione anche la vicenda di Gartman (Hartman) dal n. 1420 (10/II/1880) sino alla pubblicazione dell’articolo di Suvorin nel n. 1461 (23/III/1880). Riassumiamo la vicenda: dopo aver partecipato all’attentato dei “narodovolcy” al convoglio imperiale di Alessandro II a Mosca, Gartman fugge all’estero e nel febbraio 1880 è arrestato

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interi estratti del Kniga Kagala di Brafman.115 La trilogia di Krestovskij si fonda apertamente sull’opera di Brafman. L’autore s’interessa di Brafman sin dal 1870: sulle pagine della rivista conservatrice «Zarja» pubblica un lungo articolo116 dove recensisce entuasiasticamente le opere di Brafman. L’autore concepisce sin dal 1870 un futuro progetto letterario antinichilista in cui, lontano dall’antigiudaismo cristiano, descrivere la realtà dei “bassifondi ebraici” e del kahal: delle persecuzioni antiebraiche è colpevole solo ed esclusivamente il modo di vita comunitario degli ebrei. Il “microverso culturale del mestečko-shtetl”, in cui entrambi gli autori collocano l’onnipotente kahal, è l’esempio di come gli ebrei assoggettino la società locale e l’intero Impero russo: dal mestečko-shtetl, infatti, si dipana per l’Impero una rete d’intermediari – gli agenti e i fattori del kahal – che da una parte rappresenta la manifestazione oggettiva di un reale potere occulto – il kahal, appunto – e dall’altra opera per legare a sé il popolo, i funzionari statali, i sudditi dell’Impero russo (in particolare della čpo). Krestovskij concepisce, dunque, l’idea delle oscure trame del kahal che agiscono nella vita quotidiana dell’Impero già dal 1870, sette anni prima della guerra russo-turca, cioè prima dell’evento che scatenerà nella società russa, e in particolare in autori come Vagner, un profondo sentimento giudeofobo: per Krestovskij la produzione di Brafman è il nucleo testuale su cui sviluppare un “Truščoby” antinichilista del mondo ebraico. La necessità di chiarire alcuni momenti della vita sociale e religiosa degli ebrei, non descritti nel Kniga Kagala, spiega l’uso che Krestovskij fa di Zapiski evreja (Memorie di un ebreo; 1874), opera memorialistica di G.I. Bogrov, il quale, come lo stesso Brafman, si converte al cristianesimo e abiura il passato.117 Bogrov – che tinteggia di colori foschi i ricordi della giovinezza e, in particolare, del prematuro matrimonio, con immagini di violenza fisica e psicologica – preferisce il mondo russo a quello ebraico. Presentando la vita dell’ebreo come «una costante deviazione da una reale esistenza umana»118 Bogrov in Francia. Il governo russo prova a intavolare coi francesi trattative per l’estradizione del terrorista, tuttavia l’opinione pubblica spinge il governo francese a non concederla e, anzi, a liberare l’arrestato. Il nome di Gartman compare in Toržestvo Vaala (Krestovskij, T’ma egipetskaja, II, p. 130) nella lista degli attentatori nichilisti dal 1878 al 1880. 115. In «Novoe Vremja», 1727; 1734 (17/XII; 24/XII/1880) appare il lungo feuilleton Evrejskij vopros (La questione ebraica), che inquadra la questione ebraica alla luce del motto della rivoluzione francese. 116. V.K., Kritika. 117. Safran, Rewriting the Jew, pp. 29-34. 118. Cavaion, Memoria e poesia, p. 92.

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intende produrre «una specie di enciclopedia negativa della vita ebraica» in cui capovolgere «la scala di valori del popolo eletto».119 L’autore, inoltre, usa come fonte d’informazioni sul kahal anche la pubblicistica russo-ebraica. In una parte di T’ma egipetskaja, ad esempio, Krestovskij accusa le confraternite ebraiche di avere una dirompente sete di potere e di denaro, e di agire solo per il proprio tornaconto, a discapito dell’intera comunità ebraica. Per esempio, la confraternita funebre – l’agenzia funebre del kahal – chiede per la sepoltura del padre di Tamara, noto per il suo modo di vita all’occidentale, una cifra enorme. Alla matrigna viennese di Tamara, giunta dopo alcuni giorni di viaggio per onorare la salma del marito, la confraternita propone per la sepoltura un prezzo ancora più elevato. I Bendavid, che si rivolgono senza successo alla polizia russa, sono costretti a raggiungere un accordo svantaggioso con la confraternita. Durante il tragitto i membri della confraternita si fermano più volte per estorcere altro denaro, e, giunti al cimitero, vogliono sotterrare il morto, colpevole di epicureismo, tra i suicidi e i reietti. Alla fine i familiari sono costretti a sborsare altro denaro ai membri della confraternita per sotterrare la salma in un posto diverso. Una situazione molto simile è descritta sulle pagine di «Den’», in cui si denunciano le azioni senza cuore della confraternita funebre.120 Proprio quest’articolo, usato spesso dalla giudeofobia a testimonianza della crudeltà delle confraternite ebraiche, sta alla base del racconto in T’ma egipetskaja. Citando un caso di cronaca attorno alla vicenda di due fratelli ebrei, di cui uno è stato arrestato e deportato e l’altro muore in povertà, il giornalista accusa la società funebre (‫חברה קדשה‬, trascritta poi in cirillico dal pubblicista come Chevre-Kdoiše – e da Krestovskij Chabura-Kadisha) di non aver mostrato la dovuta misericordia ebraica nei confronti del morto. La confraternita funebre, infatti, fissa un prezzo altissimo per la sepoltura. Il deportato impegna l’ultimo suo vestito e, con il permesso delle autorità, si reca al funerale del fratello per saldare la confraternita. È un male, purtroppo, che il deportato abbia ancora l’orologio: la confraternita, accortasi dell’oggetto, vuole estorcergli altro denaro. Tuttavia, per i membri della confraternita non è sufficiente l’orologio per trattare il defunto con il dovuto rispetto. Di questi riferimenti allo strapotere del kahal e delle confraternite attinti da «Den’» è pieno il romanzo di Krestovskij. 119. Ibidem, pp. 93-94. 120. «Den’», 1 (2/I/1870), pp.1-16.

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Un’appendice alla descrizione dello strapotere del kahal – che condiziona buona parte di Tamara Bendavid, il secondo romanzo della trilogia dedicato interamente alla guerra russo-turca – è lo scandalo attorno all’appalto dei rifornimenti delle truppe assegnato al celebre Tovariščestvo.121 Nella vicenda romanzata si apprende che l’eroe del romanzo, il conte Valentin Nikolaevič Karžol’ de Notrek, lavora come agente intermediario del Tovariščestvo: un russo al servizio del kahal. A.I. Solženicyn in un passo della sua “storia” della questione ebraica in Russia evidenzia l’importanza del Tovariščestvo nel veicolare la trasformazione del sentimento d’odio verso gli ebrei, accusati di corruzione nella gestione degli appalti pubblici – nuovo motivo di scontro e divisione nell’aspro dibattito sulla questione ebraica.122 Nel dopo-guerra è caratteristico il sentimento antiebraico che si sviluppa nell’ambiente dell’esercito. I quotidiani russi pubblicano molti articoli – tra cui proprio quelli di Krestovskij come corrispondente dal fronte123 – attorno alle malversazioni degli approvvigionatori “židy” del Tovariščestvo. Anche se a speculare sugli appalti dei rifornimenti all’esercito non è stato un manipolo d’affaristi d’origine esclusivamente ebraica, ma una più vasta schiera di faccendieri di diverse nazionalità, tuttavia la stampa è esclusivamente interessata agli ebrei, e le loro azioni, come nella più classica accusa-maledizione dell’antigiudaismo per cui la colpa di pochi ricade indistintamente su tutti gli ebrei,124 sono il pretesto per una 121. La società Greger, Gorvic, Kogan & co. Secondo S. Dubnov, dei tre l’unico vero ebreo era Kogan (Cohen), mentre Greger aveva natali greci e Gorvic (Horvitz, Horowitz) era un ebreo convertito. Dubnow, History of the Jews, II, p. 202, p. 244. 122. Solženicyn, Dvesti let vmeste, I, p. 160. 123. Krestovskij, Dvadcat’ mesjacev v dejstvujuščej armii. 124. Su questo topos antigiudaico si vedano At. 5: 28 e Mt., 27: 25. Il passo evangelico riprende 2 Sam., 3: 29, a testimoniare la tradizione ebraica per cui «lo spargimento di sangue di un innocente è una colpa in cui il sangue della vittima ricade sulla stirpe del suo uccisore» (Taradel, L’accusa del sangue, p. 53). Sant’Agostino d’Ippona nel De Civitate Dei contra Paganos si pone il chiaro intento di dimostrare che tutte le catastrofi d’Israele (in particolare la distruzione di Gerusalemme e la diaspora ebraica), colpevole di avere respinto e ucciso Cristo, facciano parte di un più vasto disegno divino della storia dell’umanità in cui gli ebrei diventano «contro-testimoni della fede cristiana» (Gardenal, L’antigiudaismo, pp. 82-83). Ma sarà uno sconosciuto passo antigiudaico di Sant’Agostino, citato circa 800 anni dopo da Thomas Cantipratanus, a fissare nel Medioevo cristiano che la colpa del deicidio ricade sui figli d’Israele (Taradel, L’accusa del sangue, p. 52). Oltre ad un percorso dottrinale-patristico, l’uso dell’affermazione di Mt., 27: 25 evolve nel periodo medievale in una sfera etno-confessionale di maggiore accesso popolare per giungere fino ai nostri giorni (Belova, Petruchin, Evrejskij mif v slavjanskoj kul’ture, p. 229). Un’eco delle credenze

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generale accusa verso tutta la popolazione ebraica dell’Impero. S.M. Dubnov afferma, usando una metafora piuttosto provocatoria, che dei milioni di ebrei russi solo una manciata durante la guerra russo-turca si è gettata sull’affare degli approvvigionamenti all’esercito come uno stormo di avidi avvoltoi. Dunque, la cattiva reputazione di pochi ebrei diventa, agli occhi dell’opinione pubblica russa, il simbolo di un’intera parte della popolazione dell’Impero. Se l’opinione pubblica, che ignorava profondamente le condizioni reali delle grandi masse ebraiche della čpo, avesse conosciuto il livello d’indigenza e povertà di questi ebrei avrebbe smesso di considerarli ricchi e spietati sfruttatori.125 Purtroppo giudeofobi à la Krestovskij, anche conoscendo le reali condizioni degli ebrei, ritenevano che la soluzione alla questione ebraica consistesse nell’attacco costante e nella fabbricazione di sempre nuove accuse verificabili con esempi ad hoc tratti dalla realtà. Secondo Petrovskij-Štern la percezione degli ebrei nelle opere di Krestovskij cambia dal periodo antecedente alla guerra russo-turca a quello successivo: prima dell’avvento della guerra l’atteggiamento dell’autore verso gli ebrei è sempre ostile ma comunque, in un certo qual modo, “bilanciato”, cioè allineato al generico atteggiamento antiebraico nella letteratura russa. Durante e dopo la guerra il sentimento di repulsione dello scrittore si trasforma in vera giudeofobia dai tratti astiosi e violenti, così come traspare nei lunghi reportages dal fronte e soprattutto in Tamara Bendavid.126 Tuttavia, Petrovskij-Štern non ha preso in considerazione la recensione in «Zarja». Secondo il nostro parere in Krestovskij ci sono due fasi distinte nella percezione degli ebrei: nella prima, eccetto che per l’articolo apparso in «Zarja », la giudeofobia appare nelle sue opere semplicemente come parte di un più generale sentimento xenofobo, mentre nella seconda parte le convinzioni giudeofobe prevalgono sulla xenofobia caratterizzando maggiormente la sua produzione artistica. Dopo gli eventi bellici Krestovskij manifesta la certezza che è in atto un complotto mondiale ebraico ai danni della Russia. A supporto di quest’idea ricodifica nella trilogia motivi espressi da Suvorin in una serie di articoli sul Tovariščestvo: negli anni ottanta Suvorin è ancora talmente popolari nella piccola nobiltà russa di metà Ottocento risuona nelle pagine di Padri e figli: «[…] credeva in ogni sorta d’indizi, profezie, stregonerie, sogni; … credeva che il diavolo amasse stare dove c’è l’acqua e che ogni giudeo avesse sul petto una macchia sanguigna» (Turgenev, Padri e figli, pp. 129-130). 125. Kritikus, Literaturnaja letopis’. Belletrističeskij pamflet, pp. 39-41. 126. Petrovskij-Štern, Evrei v russkoj armii, p. 308.

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ossessionato dalla questione del Tovariščestvo da scriverne nel 1883 in Neobyknovennoe proisšestvie (v istorii klevety) (Incidente insolito nella storia della calunnia).127 Nell’articolo, un vero e proprio j’accuse ai danni di due pubblicisti del «Russkij evrej», Suvorin si difende ostinatamente dall’accusa che la sua giudeofobia nasca da una questione personale del 1878 con alcuni ebrei. Nell’articolo si parla di guerra russo-turca e del Tovariščestvo, e in particolare della cosidetta “rapina dei židy” (“židovskoe grabitel’stvo”) – ossia le accuse di sfruttamento dell’appalto dei rifornimenti in Romania lanciate nel 1878 da Suvorin contro il Tovariščestvo128 – e della “calunnia dei židy” (“židovskaja kleveta”) – cioè la polemica “creata ad arte” da giornali rumeni diretti dall’ebreo O.M. Lerner al soldo di Gorvic, uno dei soci del Tovariščestvo. L’aumento delle vendite del «Novoe Vremja» in seguito agli attacchi del giornale, nel 1878, contro gli ebrei – “nemici peggiori dei turchi” – aveva, in effetti, determinato la nuova politica editoriale giudeofoba di Suvorin.129 Inoltre, nella prima pagina del n. 813 di «Novoe Vremja»,130 accanto all’articolo in cui Suvorin attacca Lerner, nella rassegna quotidiana è amplificato il ruolo, avuto nel Congresso di Berlino, dell’Inghilterra e soprattutto di Disraeli, politico inglese di origini ebraiche difensore della Turchia (considerata una colonia inglese). In seconda pagina compare il sesto capitolo di S armiej (Vospominanija i itogi) (Dall’esercito – ricordi e bilanci) di V.I. Nemirovič-Dančenko: qui l’autore presenta il Tovariščestvo come un’orda di Shylock. Dunque, già dal 4 luglio 1878, sulle pagine dell’influente giornale di Suvorin, si propaganda lo stretto legame tra gli agenti ebrei del Tovariščestvo, i giornalisti ebrei al soldo dell’imprenditore ebreo Varšavskij,131 gli agenti inglesi nei Balcani e 127. «Novoe Vremja», 2680 (15/VIII/1883). 128. «Novoe Vremja», 813; 860; 861 (4/VII; 23/VII; 24/VII/1878). 129. Klier, Imperial Russia’s Jewish question, p. 393. 130. «Novoe Vremja», 813 (4/VII/1878). 131. Klier (Klier, Imperial Russia’s Jewish question, p. 290) inserisce Varšavskij in una lista d’imprenditori ebrei che sfruttarono positivamente le opportunità economiche del capitalismo nascente. Tra questi si annoverano il barone E.G. Gincburg – magnate di Pietroburgo – e S.S. Poljakov – che, assieme a Varšavskij, era il plutocrate appaltatore per la commessa della costruzione della prima rete ferroviaria russa. Nel periodo della guerra russo-turca Varšavskij si occupò principalmente dell’approvvigionamento di bestiame, mentre i rifornimenti sul campo erano di responsabilità della ditta Greger, Gorvic & Kogan (Klier, Imperial Russia’s Jewish question, p. 393). Varšavskij era celebre per il suo spirito filantropico nei confronti non solo degli ebrei russi, in particolare con le attività dell’ope, ma anche di altri gruppi etnico-sociali (Bejzer, Evrej v Peterburge).

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i rappresentanti delle potenze occidentali al Congresso di Berlino, tra cui proprio gli inglesi. Dal punto di vista giudeofobo questo legame dimostrerebbe la partecipazione di ebrei e inglesi al complotto per distruggere la Russia attraverso una guerra senza frontiere. In linea con Suvorin e il «Novoe Vremja», Krestovskij considera la questione orientale come la contrapposizione tra tutte le potenze occidentali e l’Impero russo durante la guerra e in seguito, al congresso di Berlino. Il fatto che il governo inglese fosse guidato da Benjamin Disraeli, secondo l’“intelligencija giudeofoba” uno dei capi del complotto, si mescolava all’ideologia panslava che enfatizzava i legami culturali e religiosi tra gli slavi della Russia e quelli dei Balcani.132 Alla fine degli anni settanta l’idea del complotto antirusso non circolava esclusivamente nell’ambiente dei giudefobi, ma più in generale si insinuava tra i soldati, i funzionari di Stato, i giornalisti nazionalisti, gli scrittori reazionari. Dunque si fa sempre più strada tra l’“intelligencija nazionalista e conservatrice” l’idea di un complotto mondiale contro l’autocrazia (Alessandro II), l’ortodossia (la religione degli slavi dei Balcani e della Russia) e il popolo-nazione (gli slavi dei Balcani e della Russia). Quest’atteggiamento, come ha sottolineato G. Safran,133 è pienamente riflesso nel coevo racconto di Leskov Rakušanskij melamed (Il melamed d’Austria; 1878) e nella parodia di Bogrov dal titolo Talmud i Kabbala po “Russkomu Vestniku” (Il Talmud e la Kabala secondo il «Russkij Vestnik»; 1879). La teoria del complotto è in pieno fermento nel corso della guerra, e, come dimostrano i reportages di Krestovskij, è palese per i giudeofobi proprio nelle attività extra-belliche del Tovariščestvo. Il successivo sviluppo di questa teoria nella trilogia di Krestovskij e nelle altre produzioni giudeofobe dimostra la sua profonda e permanente virulenza nella letteratura e pubblicistica russa “fin de siècle”. Notevole influenza sull’ideologia di Krestovskij, come lo scrittore apertamente afferma nella trilogia – ma anche sulla pubblicistica socio-politica degli anni settanta – ha esercitato I.S. Aksakov, profondamente rispettato dai contemporanei per la sua “rettitudine intellettuale”. In Tamara Bendavid Krestovskij cita apertamente due famosi discorsi di Aksakov sulla questione orientale. L’Opera omnia dimostra chiaramente che Aksakov si è occupato della società e della politica della Russia in tutti gli aspetti, incluse la questione occidentale, la questione ebraica, la questione polacca e la questione 132. Klier, Imperial Russia’s Jewish question, p. 390. 133. Safran, Rewriting the Jew, p. 54.

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degli ex-domini polacchi della čpo. Krestovskij basa la storia della conversione di Tamara e le conseguenti violenze degli ebrei in T’ma egipetskaja su un incidente, avvenuto nel 1867, di cui racconta proprio Aksakov in Ne ob emancipacii Evreev sleduet tolkovat’, a ob emancipacii Russkich ot Evreev: una folla d’ebrei minacciava di scatenare la rivolta alle porte del monastero di Staryj Počaev, al confine tra l’Austria e la Galizia uniate, per prevenire il battesimo di un’ebrea.134 Di quest’articolo, pubblicato sul «Moskva», si è già scritto a proposito dello “status in statu” e del mito del kahal. Sempre sullo stesso numero di «Moskva» appare l’articolo Evrejskaja privilegija (Privilegio ebraico) di Kochanovskaja in cui l’autrice è testimone oculare della vicenda del battesimo dell’ebrea – avvenuto il 23 settembre 1866 a Staryj Počaev –, dell’intenzione di quest’ultima di unirsi in matrimonio con un cristiano, e dei conseguenti disordini scatenati dagli ebrei. Krestovskij riprende, infine, la visione dei kulaki ebrei in T’ma egipetskaja e Toržestvo Vaala dall’articolo Evrejskij vopros v Rossii (La questione ebraica in Russia) di A.I. Umissa.135 La testimonianza di Umissa che l’azione dei pogromščiki era rivolta esclusivamente alle proprietà mobiliari e immobiliari degli ebrei, ma evitava di colpire gli ebrei in carne e ossa, può ben ricordare il pogrom descritto in T’ma egipetskaja. Altre fonti di Krestovskij sono il capitolo sul “cimitero ebraico” di Goedsche, la “conquista del mondo” di Osman-Bey e il famoso (falso) “discorso di Crémieux” alla seduta inaugurale dell’aiu.136 Inoltre, come ha dimostrato Safran,137 grande influenza ha il romanzo Meir Ezofowicz (1878) della polacca Eliza Orze134. Safran (Safran, Rewriting the Jew, p. 99) ha ragione quando nel ricercare le fonti per i capitoli di T’ma egipetskaja sul pogrom ebraico dice che lo scrittore si è basato sugli eventi del 1867 e in nota rimanda a Klier. A sua volta Klier (Imperial Russia’s Jewish question, pp. 436-437) rinvia all’articolo di Aksakov. In realtà l’episodio è descritto dettagliatamente nell’articolo della Kochanovskaja. Inoltre, Krestovskij può aver appreso la notizia anche da «Moskovskie Vedomosti» di Katkov. 135. «Jug», 2 (II/1882). Umissa tenta di spiegare le ragioni che starebbero alla base dei pogrom degli anni 1881-1882, partendo da cause economiche sviluppatesi negli anni successivi alla liberazione dei servi della gleba. 136. Nell’edizione del 1882 di Kniga Kagala compaiono diversi estratti dai discorsi dei capi dell’Alliance che prefiguravano un intero corpus di discorsi fraudolenti attribuiti di solito a Crémieux e pubblicati dalla stampa antisemita negli anni ottanta. Aksakov pubblica in «Rus’» in funzione anti-ebraica alcuni estratti dall’edizione di Brafman del 1882 e nel 1883 anche il discorso di Crémieux, considerato autentico. Cfr. Klier, Imperial Russia’s Jewish question, p. 284. 137. Safran, Rewriting the Jew, pp. 97-107.

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szkowa (Ožeško/Oržeško) nella versione pubblicata dal giornale «Gazeta A. Gatcuka» (1880-1881). All’azione la reazione: il kahal e l’ira popolare Nel romanzo il kahal è descritto come una potente struttura comunitaria che controlla ogni aspetto della vita e del pensiero degli ebrei e ostacola il singolo deciso ad abbandonare la comunità. Il kahal, infatti, interviene duramente per impedire il battesimo dell’ebrea Tamara, accolta al monastero femminile della Santa Trinità. Con il battesimo cristiano l’eroina perderebbe lo status di ebrea, e con ciò potrebbe non solo sposare il conte cristiano Karžol’ de Notrek, ma soprattutto ottenere la parità dei diritti e la protezione della legge. Tuttavia questa scelta avrebbe anche conseguenze tragiche: Tamara, oltre a essere ripudiata dai suoi cari e considerata dagli altri ebrei una “dannata apostata”, sarebbe maledetta per sempre e soggetta alla vendetta del kahal. La voce dell’autore risuona nelle considerazioni dell’eroina che hanno per argomento il kahal, presentato come una guida opprimente «che immobilizza ogni aspetto della vita, della volontà, del pensiero di ogni ebreo».138 Il potente kahal usa qualsiasi mezzo e agisce in qualunque momento, Sabato incluso, pur di far rientrare la proselita nei ranghi dell’ebraismo. Nel corso del romanzo lo scrittore presenta il quartiere ebraico e la struttura del Gran consiglio del kahal (Velikij sovet kagala), tenuto in sinagoga. Il terribile beth din, il tribunale del kahal, decreta di raccoglierere tutte le cambiali firmate dal conte per consegnarle al nonno di Tamara, Solomon Bendavid, e avvalersi del diritto di meropia; inoltre condanna Tamara all’espropiazione dei beni mobili e immobili, e all’espulsione dalla comunità. Nessun ebreo osa disattendere o ritardare le delibere del Gran Consiglio del kahal, contenute negli atti firmati e autenticati dal beth din. Eppure, durante il consiglio il mondo ebraico appare disunito: se il kahal ritiene che gli incidenti à la Tamara siano causati da un’educazione laica contrapposta ai precetti dei padri, i chassidim accusano il kahal di aver maturato decisioni senza rispettare la sacralità del Sabato. Violare il Sabato, sostiene l’accusatore chassid, provoca l’allontanamento della venuta del Messia degli ebrei; inoltre, la violazione del Sabato tramuta i membri del kahal in servi di Baal, idolatri del vitello d’oro, veri e propri goim, cioè ebrei “debreizzati” senza più il diritto di porsi alla guida del popolo ebraico. Il capo del beth din difende il kahal citando il Talmud: il ka138. Ibidem, p. 38.

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hal ha trasgredito l’osservanza del Sabato per salvare l’anima di un’ebrea. A questo punto improvvisamente scoppia il pogrom. Manca il passaggio diretto tra l’assemblea e il pogrom, ma è chiaro che se i chassidim hanno dimostrato di non essere d’accordo con il kahal, ciò significa che non sono stati loro a creare il presupposto per lo scoppio delle violenze antiebraiche. Gli ebrei che hanno agito alle porte del monastero sono proprio gli agenti del kahal: riecheggiando motivi della pubblicistica, per l’autore i veri colpevoli del pogrom sono i “židy” del kahal, a prescindere dai responsabili materiali delle violenze. Il pogrom, causato dal tentativo violento del kahal di liberare Tamara, è basato su fatti realmente accaduti in Ucraina negli anni settanta. L’autore deforma, dunque, il quadro del pogrom dato dalla pubblicistica e lo riempie di dettagli che servono ad accusare il kahal – cioè gli stessi ebrei – di esserne il promotore e l’unico vero colpevole. Il mitema dell’atavica colpevolezza del popolo ebraico è applicato per mezzo di una serie di accuse e soprattutto attraverso il confronto con eventi biblici e reali: la colpa, cioè, ricade sempre e unicamente sugli ebrei.139 Per Tamara, infatti, l’ubiqua colpa ebraica si può leggere nella storia stessa del popolo ebraico, di cui il kahal è parte imprescindibile: dietro ogni grande evento c’è sempre lo zampino del kahal.140 Il “žid” del kahal è l’unico colpevole delle violenze, perché attenta all’integrità del simbolo del cristianesimo orientale – il monastero –, ossia distrugge le immagini sacre, uccide una monaca a sassate, imbratta i portoni affrescati, infrange i vetri, bestemmia davanti alla casa di Dio. I giovani contadini ucraini, riunitisi per muovere contro i “židy”, raccontano l’accaduto ai russi. I russi vanno a fracassare una taverna ebraica. La folla di russi e ucraini, come un flusso umano omogeneo, si divide e si riunisce continuamente in un moto distruttivo, sfasciando tutto quello che incontra nella zona ebraica. Segue la descrizione, come in un film, degli ebrei che sbarrano le botteghe e tra le urla corrono verso casa, inseguiti da un fiume di cristiani. Intanto diversi giovani sfondano i vetri delle case e dei negozi lanciando grida di vittoria. A questo punto l’autore riveste l’ebreo del classico stereotipo della vigliaccheria ebraica: per mettere in salvo le abitazioni, l’attività commerciale e la stessa vita, gli ebrei, attoniti e spaventati, tentano di nascondersi ai pogromščiki: mettono in bella vista simboli cristiani nelle proprie case, i più abbienti cercano di farsi prestare le icone dai russi, e, ultima ratio, col gesso tracciano sulle porte l’immagine della croce – cioè un 139. Bernstein, The History of a Lie, pp. 7-8. 140. Krestovskij, T’ma egipetskaja, I, pp. 197-200.

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simbolo che per le parole di Krestovskij, e implicitamente di Ljutostanskij,141 offende le credenze ebraiche. Queste immagini di sangue e violenza rievocano il profondo odio antiebraico delle popolazioni slave della čpo: qui russi e ucraini, prima divisi da opinioni politico-nazionali radicate in un paio di decenni, adesso uniti sotto la bandiera del pogrom, perseguitano i “židy” ovunque. L’odio si trasforma in uno tsunami potentissimo che distrugge tutto ciò che incontra sul proprio cammino. I russi (“kacapy”) si occupano della prima parte del pogrom, saccheggiando rapidamente case e botteghe degli ebrei, e a seguire gli ucraini (“chochly”) distruggono e devastano tutto. Qualunque merce trattata dagli ebrei, inclusi gli alcolici, perde il valore economico e diviene il simbolo di una cultura antitetica alla Russia. Frantumare, spaccare, lordare, insozzare, tramutare in polvere le merci di lusso, e in generale la ricchezza degli ebrei, produce nel pogromščik da un lato una sorta di sollievo, dall’altro un bisogno di violenza che aumenta in modo proporzionale alla distruzione stessa. La furia distruttiva e sempre più feroce ha come finalità la cancellazione definitiva della vita e della quotidianità ebraica. Ebbene, la distruzione di documenti, carte creditizie, soldi, dimostra che il vero scopo dei pogromščiki, lungi dal furto e dall’arricchimento personale, è l’annientamento dello spazio economico ebraico. Ossia, secondo il proverbio-epigramma citato dall’autore: “chi semina vento raccoglie tempesta”.142 Krestovskij vorrebbe penetrare a fondo l’animo degli slavi d’Ucraina, per cercare le motivazioni “reali” di tanto odio, disprezzo, ostilità, inimicizia. Secondo lo scrittore, dunque, l’odio razziale è generato da un profondo rancore che gli indigeni avrebbero covato nel corso di secoli di sottomissioni e sfruttamenti da parte dei “židy”, cioè «il continuo disprezzo dei židy […], i continui imbrogli, gli inganni, le frodi sulle misure, gli ammanchi, l’oppressione economica dei gestori delle bettole e dei “locatari” e qualsiasi altro tipo di sfruttamento [economico]».143 La folla, infatti, non prova alcun sentimento d’odio verso il singolo individuo, mentre aggredisce i “židy” come comunità (“židovstvo”). Lo scopo di Krestovskij è mostrare che dietro alle oppressioni del popolo della Russia meridionale c’è sempre stata la mano oscura del kahal, e che, dunque, colpevole del pogrom è solo e unicamente il kahal, verso cui il popolo sfoga risentimento e rabbia accumulati nei secoli. 141. Ljutostanskij, Talmud i evrei, I, p. 285. 142. Il detto riportato dall’autore è “ne dobrom nažite, ne dobrom i pogine” (Krestovskij, T’ma egipetskaja, I, p. 237), cioè alla lettera “chi non vive nel bene, non muore nel bene”. 143. Krestovskij, T’ma egipetskaja, I, pp. 237-238.

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Finanza ebraica e complotto internazionale In T’ma egipetskaja, nel diario di Tamara – che, interrompendo la narrazione, racconta eventi avvenuti negli anni precedenti – l’autore presenta il modo di operare della finanza ebraica in Europa, capace di divorare le economie nazionali e i singoli capitali. Tamara nasce nel 1857 – cioè nei primi anni di regno di Alessandro II – e, rimasta orfana di madre, vive col padre, di professione banchiere, a Vienna – il simbolo dell’emancipazione dell’ebraismo occidentale. La bancarotta colpisce l’attività del padre. Tamara è spedita dai nonni nella città di Ukrainsk – metafora urbana di qualsiasi shtetl della čpo –, mentre il padre, rimasto a Vienna, si risposa con una ricca vedova, una Mendelssohn, la cui famiglia lavora per i Rothschild. Arricchitosi nuovamente, il padre, amante del rischio, non può fare a meno di giocare in borsa. Giunto a Ukrainsk per festeggiare la fine degli studi di Tamara, il 4 agosto 1874, alla vigilia del viaggio di ritorno, apprende di aver subito una nuova enorme perdita finanziaria e, dunque, per la seconda volta in bancarotta, collassa e muore. La figura del padre banchiere riassume la percezione dei giudeofobi del mondo del capitalismo e della finanza degli ebrei. La storia a cui si riferisce l’autore è la bancarotta della borsa di Vienna del 4 agosto 1874. In questo scandalo dell’alta finanza emergono vari illeciti finanziari in cui sono coinvolti ebrei e cristiani, alcuni dei quali vicini a Bismarck. Con un effetto ping-pong, il tracollo della borsa di Vienna, che seguiva il fallimento nel 1873 di una banca dei Rothschild, ha forti ripercussioni in Germania sul settore bancario e industriale, e provoca la rovina di migliaia di famiglie borghesi e aristocratiche.144 La colpa è attribuita ai banchieri ebrei: infatti, gli istituti bancari – con una consistente partecipazione ebraica – hanno giocato un ruolo importante nello sviluppo del capitalismo industriale e finanziario, con l’accumulo di monumentali fortune e la colossale rovina di patrimoni. I banchieri ebrei entrano nel mirino dei futuri antisemiti tedeschi, e, di conseguenza, dei giudeofobi russi: nella propaganda antiebraica il banchiere Gerson von Bleichröder – il consigliere finanziario di Bismarck citato da Krestovskij che a Berlino rappresentava gli interessi dei Rothschild – diviene il prototipo del capitalista della finanza ebraica che sfrutta e rovina la Germania.145 Se già nei decenni precedenti un gruppo d’intellettuali tedeschi aveva preso di mira i finan144. Foa, Diaspora, p. 58. 145. Ghiretti, Storia dell’antigiudaismo e dell’antisemitismo, pp. 186-187.

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zieri ebrei e, dunque, la relazione esistente tra ebrei e capitale,146 negli anni settanta la crisi finanziaria diviene nella percezione del tedesco, anche in relazione al sentimento nazionalistico causato dalla recente guerra francoprussiana, la dimostrazione evidente e tangibile dell’esistenza di un complotto ordito dagli ebrei per impadronirsi del potere mondiale attraverso gli strumenti della finanza ebraica – nell’immaginario collettivo ottocentesco, rappresentata proprio dai Rothschild. In Tamara Bendavid l’autore descrive lo stretto legame tra il movimento dei nichilisti-rivoluzionari e il capitale ebraico, e in particolare il complotto internazionale contro la Russia che diviene manifesto nel corso della guerra russo-turca. Krestovskij, che cita apertamente Aksakov,147 accusa l’Inghilterra guidata da Disraeli di complottare dall’esterno contro la Russia, e punta il dito contro le società segrete comparse in Russia che tentano dall’interno di governare l’opinione pubblica attraverso l’uso dei mezzi d’informazione, in particolare la stampa. L’importanza di Disraeli come primo nemico della Russia, ribadita più volte nella pubblicistica coeva, è affermata a grandi lettere in un editoriale di «Novoe Vremja».148 Nella rassegna quotidiana di sabato 28 luglio 1879 il giornalista evidenzia che la politica del governo inglese è basata sul costante tentativo di controllare i luoghi strategici a scapito della Russia. Inoltre, nel complotto internazionale contro l’Impero russo per Krestovskij hanno un ruolo attivo i nichilisti, quasi tutti di origine ebraica. In un momento critico per la Russia, il 6 dicembre 1876, a Pietroburgo, sulla piazza di fronte alla Cattedrale di Nostra Signora di Kazan’, nel corso di una manifestazione di circa trecento giovani in favore dell’intervento militare russo nei Balcani, uno dei dimostranti si scaglia ad alta voce contro l’oppressione del governo nei confronti degli “uomini migliori”, accusati e deportati. Sulla folla sventola la bandiera di Zemlja i Volja. La polizia intima ai partecipanti di disperdersi ma i dimostranti rimangono uniti. A questo punto, racconta Krestovskij, tra i presenti si fa avanti una ragazza bionda e riccia «di tipo semitico, con trecce arruffate, che gesticolando vivacemente lanciava urla dal chiaro accento 146. Sachar, A History of the Jews in the Modern World, pp. 117-119. Ad accusare i Rothschild non sono solo gli intellettuali tedeschi, ma tutto il mondo occidentale, America inclusa, com’è dimostrato in un articolo pubblicato nel 1850 sul «New York Herald»: qui il nome dei Rothschild è associato al noto processo di Damasco (1840) per un presunto caso di omicidio rituale (cfr. Cohen, Antisemitic Imagery, p. 310). 147. Aksakov, Reč’ viсeprezidenta. 148. «Novoe Vremja», 1226 (29/VII/1879).

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ebraico»149 per spingere i dimostranti all’insurrezione e alla violenza. Questa giovane «Megera, che urlava in modo sfibrante “Avanti, seguitemi!” era l’evrejka Fejga Šeftel’»,150 al secolo Felicija Isaakovna Šeftel’, attivista del movimento rivoluzionario ricordata nella storia proprio per l’azione dimostrativa del 6 dicembre. Per l’autore è evidente il carattere propriamente ebraico della manifestazione: «La gioventù “studentesca” e “protestataria” ebraica prese in quest’affare una parte notevolmente attiva. Nei passati processi politici i nomi ebraici spuntavano […] sporadicamente, mentre ora emergevano di punto in bianco come un intero gruppo».151 In seguito allo zaricidio del 1881 si scatena in maniera virulenta la già ricordata campagna a mezzo stampa contro gli ebrei assassini. Krestovskij, ricostruendo, con l’uso implicito di articoli di giornale e testimonianze personali, la storia dei terroristi-nichilisti degli anni precedenti allo zaricidio,152 marca il legame tra le azioni terroristiche e l’elemento ebraico, usando come fonte proprio la lista di nomi dei personaggi implicati nei processi politici. Lo scrittore, nell’affermare che nelle azioni terroristiche i rivoluzionari russi erano parte di un più complesso intrigo internazionale, accenna all’importanza dell’elemento polacco e soprattutto straniero, «senza contare gli ebrei […] a volte sudditi rumeni, a volte sudditi turchi».153 Nota che tra i partecipanti all’“andata al popolo” «giocavano un ruolo estremamente attivo elementi allogeni», con «cognomi armeni, georgiani ed ebraici […]».154 Inoltre, ritornando sull’argomento dei processi politici nel corso della guerra lo scrittore ribadisce ancora una volta l’implicazione di «studenti e studentesse ebrei».155 Si deve tuttavia evidenziare che, contrapponendosi alla visione dei giudeofobi à la Krestovskij, i commentatori e gli storici hanno sempre considerato l’apporto ebraico al movimento rivoluzionario del tutto insignificante, se rapportato in percentuale ai personaggi di altre etnie che ebbero un’importanza decisiva nell’evoluzione degli eventi russi dagli anni 149. Krestovskij, T’ma egipetskaja, I, pp. 336-337. 150. Ibidem, p. 337. 151. Ibidem, p. 338. 152. Storia ricostruita anche dal coevo Stepnjak-Kravčinskij nei «profili e bozzetti rivoluzionari dal vero» di Podpol’naja Rossija (La Russia sotterranea); cfr. De Michelis, Stepnjak-Kravčinskij, pp. 31-36. 153. Krestovskij, T’ma egipetskaja, II, pp. 132-133. 154. Krestovskij, T’ma egipetskaja, I, p. 338. 155. Ibidem, p. 468.

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settanta fino al 1 marzo 1881.156 L’equazione ebrei-socialismo rivoluzionario – ossia il ruolo giocato dagli ebrei all’interno di tale movimento – fu proprio una delle componenti fondamentali, ma relativamente tarde, della giudeofobia conservatrice russa. Con pochissime eccezioni gli ebrei furono quasi interamente assenti dai primi gruppi rivoluzionari socialisti organizzati, giocarono un ruolo minimo nel movimento populista dell’“andata al popolo”, e costituirono fino agli anni ottanta una percentuale insignificante del movimento terrorista; e anche se alcuni elementi della gioventù ebraica parteciparono attivamente al movimento rivoluzionario, passarono inosservati all’attenzione dell’opinione pubblica.157 Al contrario, nella visione giudeofoba di Krestovskij, distante dalla realtà extra-letteraria, il movimento rivoluzionario è formato soprattutto da studenti ebrei. La maggioranza di essi, inoltre, grazie a un particolare istinto di autoconservazione della razza ebraica (“evrejskaja rasa”),158 allontanandosi dalla piazza della Cattedrale prima del precipitare degli eventi, ha evitato l’arresto; i pochi che non riescono a scappare sono annoverati dallo scrittore nella lista dei processati. L’autore cita la posizione di Katkov intorno al processo e, in particolare, la delusione per il verdetto finale, perché la sentenza, non risolvendo il problema, condanna semplicemente pedine insignificanti lasciando i “pesci grossi” in libertà. Con la lunga citazione delle parole di Katkov, Krestovskij vuole rimarcare l’esistenza di un occulto direttorio straniero che ha organizzato la “dimostrazione-farsa” e guida segretamente i nichilisti rivoluzionari: È evidente che i fili direttivi di questa dimostrazione di židy si estendevano sin qui dall’estero dove il progetto doppiogiochista era ben chiaro: se il governo russo avesse avuto paura del movimento che aveva afferrato il suo popolo e avesse rinunciato alla causa degli slavi, sarebbe diventato estremamente impopolare e antipatico a casa sua, e allo stesso tempo il prestigio della Russia tra gli slavi e la fiducia che riponeva in essa tutto l’Oriente cristiano sarebbero stati per molto tempo, se non per sempre, minati, e attraverso ciò si sarebbe liberata per i suoi avversari la strada verso la penisola balcanica; se questo governo si fosse lanciato all’impazzata nella [mischia della] guerra, sarebbe stato ancora meglio; la guerra avrebbe indebolito sostanzialmente la forza militare e il po156. Ad es. Aldanov, Russkie evrei v 70-80-ch godach, p. 48. 157. Cfr. Klier, Imperial Russia’s Jewish question, pp. 396-397. 158. Il richiamo alla razza in Krestovskij dimostra chiaramente che le visioni di Aksakov e Dostoevskij (cfr. El’jaševič, Ideologija antisemitizma v Rossii, pp. 48-56) sono pienamente digerite, alla fine degli anni ottanta, dagli intellettuali giudeofobi.

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tere finanziario in Russia, lo avrebbe privato per un certo tempo della libertà d’azione e avrebbe fatto guadagnare enormemente le borse europee, in particolare quelle tedesche e gli stessi ebrei, avrebbe messo le finanze russe in una condizione di servile dipendenza dai vari Bleichröder et consorts.159

I “vari Bleichröder et consorts” sono il barone Gerson von Bleichröder di Berlino, consigliere finanziario di Bismarck, ma anche Alphonse de Rothschild, consulente di Adolphe Thiers alla conferenza di pace di Versailles – al pari della coppia Bismarck-Bleichröder nella crisi finanziaria dei primi anni settanta. Inoltre, con i “vari Bleichröder et consorts” l’autore traccia un collegamento tra i Rothschild e l’istituto bancario dei Gincburg a Pietroburgo. Oltre alla grande finanza ebraica, l’entrata in guerra della Russia arricchirebbe tutti gli ebrei, inclusi quelli russi: durante l’azione bellica attraverso fortunate operazioni commerciali otterrebbero cospicui guadagni. Questo è il motivo per cui i rabbini, con discorsi patriottici, chiedono agli ebrei di sacrificarsi per la Russia. Tuttavia, in seguito lo scrittore omette intenzionalmente di rappresentare la figura del “soldato ebreo”, proponendo invece diverse immagini del “rifornitore ebreo”: secondo l’idea giudeofoba, infatti, l’ebreo in guerra non combatte ma commercia,160 e grazie alla guerra si arricchisce tutta l’alta finanza ebraica, governata dal kahal. Il complotto giudaico-polacco In Tamara Bendavid, dopo aver accusato gli ebrei di essere i segreti artefici di ogni rivoluzione, guerra, crisi, da cui trarre vantaggio personale – ossia la più classica delle accuse mosse agli ebrei –, citando implicitamente il Žid idёt! di Suvorin, Krestovskij afferma che i “židy”, avanzando, hanno occupato qualsiasi settore della società, e che ormai si trovano dappertutto: «nei processi politici […], nelle rivoltose dimostrazioni di piazza […], tra la stampa liberale e nell’avvocatura […], e nelle bancarotte […]; in varie azioni furtive e sacrileghe, nei saccheggi indiscriminati del tesoro e dell’esercito […], nell’affare delle gallette e dei corrieri che ha ridotto in miseria migliaia di contadini russi […], e persino nella “Crocerossa”». L’ubiquità ebraica, e in particolare il fatto che a Costantinopoli, in seguito al trionfo dell’esercito russo, i židy avessero «i volti spudoratamente trionfanti e non volessero riconoscere ordini e disposizioni delle autorità se a loro non portavano vantaggi 159. Krestovskij, T’ma egipetskaja, I, p. 339. 160. Petrovskij-Štern, Evrei v russkoj armii, p. 309.

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[…] indignò profondamente l’anima dei russi». Tutti i russi presenti a Costantinopoli – anche quelli che fino ad allora avevano ignorato la “questione ebraica” in Russia – compresero e pronunciarono coscientemente e ad alta voce «l’ammonimento “il žid sta avanzando!”, e questo žid pareva più terribile di qualunque coalizione europea contro la Russia».161 In Toržestvo Vaala Krestovskij presenta una serie di tipi che servono a giustificare l’idea che “gli ebrei stanno avanzando” ovunque: non limitandosi, cioè, alle grandi capitali russe, stanno toccando i vertici di tutta la società dell’Impero. Aloizij Markovič Agronomskij, uno dei rappresentanti del complotto antirusso, è arrivato, appunto, in una cittadina di provincia, distante centinaia di chilometri da Pietroburgo, al seguito della società di costruzioni ferroviarie. Nell’immaginario dell’epoca il prototipo dell’appaltatore dei lavori di costruzioni ferroviarie era il magnate ebreo Varšavskij, e dunque, implicitamente, datore di lavoro di Agronomskij. Agronomskij, spiega l’autore, è un cognome con una probabile origine polacca o ebraica – «non è completamente polacco e neppure completamente ebreo, ma forse è tutt’e due assieme, in un composto strano e indeterminato»162 – mentre Aloizij è un nome estraneo alla schiera dei santi russi e greco-ortodossi e provienente direttamente dal mondo cattolico. Nel suo accento c’è qualcosa d’indefinito in parte polacco, in parte ebraico. Il personaggio è, dunque, la sintesi delle etnie della čpo “ostili” ai russi e in lui convive lo spirito di un ipotetico complotto giudaico-polacco contro la Russia. Inoltre, un sacerdote osserva che Agronomskij, seguendo la scuola dei gesuiti, prima tira il sasso e poi nasconde la mano. La scuola dei gesuiti è da una parte un chiaro riferimento alle origini polacche di Agronomskij, dall’altra anche una sottile allusione al complotto giudaico-polacco contro la Russia, di cui egli stesso è parte. Dal modo d’esprimersi emerge «un’educazione ricevuta nelle strutture scolastiche russe» e «un prolungato soggiorno in Russia tra la società russa».163 Nel personaggio l’autore sintetizza, dunque, il processo di russificazione culturale dell’“intelligencija ebraico-polacca” della čpo avvenuta nelle scuole russe a cui non corrisponde la russificazione sul piano religioso-spirituale. A differenza dei precedenti proprietari terrieri di origine nobiliare, Agronomskij è il nuovo proprietario terriero di spirito liberale, cioè, per l’autore, un rappresentante dello schieramento del Male: il personaggio, di origine plebea, 161. Krestovskij, T’ma egipetskaja, I, p. 475. 162. Krestovskij, T’ma egipetskaja, II, p. 24. 163. Ibidem, p. 79.

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si è arricchito con la vendita della vodka – ossia è un gestore di taverne, un “kabatčik”, la cui storia ricorda “in piccolo” quella del barone E. Gincburg –, finge di considerare il contadino un fratello minore per poi sfruttarlo barattando il lavoro con gli alcolici. Usando l’esempio di Agronomskij, l’autore sottolinea la profonda differenza tra il vecchio possidente aristocratico, il “pomeščik”, e il nuovo proprietario terriero, il “zemlevladelec”, che non ha ereditato servi della gleba ma ha “solo” acquistato la proprietà. Tramite Agronomskij Krestovskij può rappresentare l’influsso del mondo ebraico sulla campagna russa: ormai la provincia è dominata dal potere dei vari Agronomskij, mentre la campagna versa in una condizione di miseria tra furti e incendi, ed è priva dei capitali necessari allo sviluppo agricolo. La causa principale, afferma uno dei contadini, sono proprio i “židy”, senza i quali nella campagna russa sarebbe tutto più facile. Ebbene, com’è possibile allora la massiccia presenza ebraica in luoghi lontani dalla čpo? Gli abitanti delle campagne spiegano che “židy” vari, «tamburini a riposo, infermieri, scrivani, mediatori nella vendita di granaglie, o […] ebrei che provenivano dalle file dell’intelligencija»,164 attirati dalla necessità dei contadini di ottenere credito, sono diventati usurai e prestano denaro al cinque per cento mensile. Sulla questione ebrei-čpo-provincia russa l’autore mostra che l’afflusso di ebrei nel territorio russo avviene indipendentemente dall’esistenza della čpo: gli ebrei che formalmente non hanno diritto di vivere in queste province, grazie all’indifferenza della polizia s’insediano nel nuovo territorio. La situazione descritta in Toržestvo Vaala ricorda le pesanti critiche alle forze dell’ordine di Kiev, mosse alcuni decenni prima da Šul’gin sul «Kievljanin»:165 la polizia permetteva, infatti, agli ebrei la residenza illegale nelle zone a loro vietate senza mai espellerli. Nel corso del romanzo Tamara sostiene che esiste un legame di solidarietà tra gli ebrei locali e quelli che vivono nella čpo. Inoltre, la politica provinciale è di orientamento liberale e giudeofilo. Agronomskij è il prototipo del liberale di vedute giudeofile e dell’“intelligencija atea liberale” che sostiene idee pedagogiche che rifiutano l’educazione religiosa – cioè propone un’educazione laica i cui principi sono quelli dell’Occidente materialista, democratico, nichilista. Inoltre, le posizioni di Agronomoskij e dell’“intelligencija liberale” arrivano persino a eguagliare, almeno in maniera simbolica, quelle estreme di Narodnaja Volja – il cui obbiettivo, l’eli164. Krestovskij, T’ma egipetskaja, II, p. 52. 165. «Kievljanin», 45 (13/X/1864).

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minazione fisica dello zar, si concretizza nell’azione del 1 marzo. Le posizioni ideologico-pedagogiche di Agronomskij sono secondo Krestovskij “anticristiane” come quelle della maggioranza dei pedagoghi europei, a cui l’autore contrappone l’insegnamento di Katkov. Per l’autore il programma nichilista di Agronomskij corrompe, dunque, la morale dei bambini, stimola comportamenti illegali e rivoluzionari, trasforma i giovani in nullafacenti o delinquenti che pesano sulla comunità rurale e su tutta la società. Il programma si oppone apertamente al desiderio dei contadini e si scontra con la tradizione morale e religiosa ortodossa. Con ciò l’autore vuole ribadire ciò che Katkov aveva già espresso nel celebre articolo Nigilizm po brošjure prof. Citoviča (Il nichilismo secondo il brochure del prof. Citovič),166 ossia che la nuova “intelligencija liberale” mette in pratica le bizzarre teorie didatticopedagogiche di Černyševskij con i soldi pubblici. Difatti l’“intelligencija liberale” di Agronomskij, descritta in una lunga rassegna in modo piuttosto dettagliato, contribuisce appieno a sperperare il denaro dell’erario. Rimarcando che l’educazione del popolo è una questione legata all’“intelligencija giudaico-polacca” (o, meglio, giudaico-cattolica), un sacerdote rievoca l’idea del complotto ebraico(massonico)-cattolico(polacco-gesui­ tico) contro la Russia – espresso cinquant’anni prima dall’ebrea Marija nel Mazepa di Bulgarin. Il programma del complotto da una parte prevede la diffusione dell’alcolismo tra i contadini, dall’altra l’educazione prettamente laica e materialista dell’“intelligencija liberal-nichilista”. Difatti, il mezzo-“žid” mezzo-cattolico-polacco Agronomskij ha in pugno sia la gestione dell’alcol che l’educazione di tutto il popolo di provincia. Le idee di Agronomskij sono condivise da Ochrimenko – ex insegnante di Tamara che in T’ma egipetskaja aveva dato a Tamara consigli d’indirizzo nichilista e democratico-rivoluzionario. Ex compagno di Agronomskij in un ginnasio di Odessa – molto probabilmente il Liceo Richelieu167–, Ochrimenko, tolti gli abiti da professore, è divenuto un funzionario autentico, tirato a lucido, vestito «non con sfarzosità, ma con grazia».168 Dopo l’arresto per l’implicazione in un certo affare politico nella čpo, da cui è stato liberato grazie alle “nuove tendenze” della “dittatura del cuore” del conte M.T. Loris-Melikov,169 Ochrimenko diventa più ragionevole: dismette gli abiti 166. «Moskovskie Vedomosti», 153 (17/VI/1879). 167. Sul Liceo Richelieu, si veda Cifariello, Ebrei e “zona di residenza”, pp. 101-102. 168. Krestovskij, T’ma egipetskaja, II, p. 171. 169. Sulla “dittatura del cuore” si veda Cifariello, Giudeofobia e romanzo antinichilista, pp. 283-287, n. 31; Cifariello, Identità nazionale e costituzione.

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del nichilista per trasformarsi in un ispettore ministeriale apparentemente conformista – cioè simpatizza, “coopera”, e prende lo stipendio – mentre interiormente rimane d’idee progressiste. A differenza dell’Ochrimenko “conformista apparente”, Agronomskij rifiuta i valori dell’autocrazia, dell’ortodossia e della cultura russa. Infatti, come già fu negli anni sessanta per Pisarev, secondo Agronomskij l’inno, il ritratto dello zar, la beatificazione letteraria di Puškin, sono valori diseducativi. Per Agronomskij è fondamentale impartire le nozioni dei padri del nichilismo internazionale – la tradizione del pensiero democratico. Ochrimenko rompe con questa visione: avendo compreso l’errore nel modo d’agire dei nichilisti, mostra un nuovo punto di vista. L’“andata al popolo”, i proclami, le dimostrazioni, gli attentati dinamitardi hanno per lui un carattere obsoleto, completamente inutile e inadatto ai tempi moderni: la strada percorsa dai nichilisti fino a questo momento è sbagliata, la “causa comune” necessita di un altro modo d’agire. La novità del pensiero di Ochrimenko, e più in generale l’idea alla base dell’intera trilogia di Krestovskij, è il movimento dei nichilisti verso i piani alti della società. L’evoluzione del nichilismo rivoluzionario si manifesta proprio attraverso l’espressione “žid idёt”, “l’ebreo sta avanzando”, con il verbo “idti” nel senso metaforico di “idti v pravitel’stvo”, “andare al governo”: i tre romanzi della trilogia hanno, in effetti, la funzione di dimostrare il movimento compiuto dagli ebrei e dai loro alleati per occupare i posti più importanti della società. Questo movimento “v pravitel’stvo” è il compimento del complotto dei nichilisti “židy” e polacchi per la dominazione della Russia: il fine del movimento non è, infatti, l’integrazione al “pravitel’stvo”, bensì il suo controllo, dall’alto delle importanti posizioni acquisite. Il piano di Ochrimenko, sconcertante per Agronomskij, prevede proprio il raggiungimento del potere attraverso un movimento verso l’alto: dai livelli alti della società il nichilista può vincere la battaglia finale contro il governo russo. Tuttavia, durante l’elevazione il funzionario nichilista deve tener duro e conformarsi al comportamento altrui facendo “buon viso a cattivo gioco”. Per Ochrimenko il prototipo della nuova tipologia di rivoluzionario-nichilista, che dall’interno dell’amministrazione statale persegue i propri scopi distruttivi, è incarnato dalla figura di Konrad Vallenrod.170 Infatti, Ochrimenko mostra il percorso attraverso cui compiere dall’interno l’azione rivoluzionaria seguendo l’esempio di Vallenrod: bisogna fare fuoco e fiamme, strisciare come un serpente nel campo dei nemi170. Maggori dettagli in Cifariello, Padri e figli, pp. 48-49.

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ci, imitare tutti i loro atteggiamenti esteriori, mostrarsi loro amico, fugare ogni loro sospetto, e alla fine «infettarli assieme a tutto il circondario, di soppiatto, come fece Konrad, con la propria peste».171 Ochrimenko prospetta il percorso di questo progetto nichilista, prevedendo che nel corso di un paio di decenni, servendo nell’amministrazione pubblica, la dirigenza di tutti i ministeri sarebbe stata per metà composta dai “loro” uomini, e, dunque, i rivoluzionari avrebbero alfine allungato le mani sul governo dell’Impero. Ammessa anche la vittoria dei “vecchi” nichilisti dell’“andata al popolo”, sarebbero stati i vari Ochrimenko – nichilisti guidati dall’oscura mano ebraica – a far funzionare tutta la macchina statale e a compiere dall’interno il progetto di dominazione totale della Russia. Il discorso del rabbino Nel 1881 il «Russkij Vestnik» pubblica a puntate la prima parte di T’ma egipetskaja. All’inizio del romanzo l’antica famiglia ebraica dal “nobile” cognome Bendavid, dopo la cena del venerdì, ascolta il lungo mussar – cioè predica o sermone – del lamdan172 Ionafan Brill’jant, rappresentante del kahal. Il capitolo intitolato Slovo rabbi Ionafana (Il sermone del rabbino Ionafan)173 costituisce il fulcro della prima puntata e forse dell’intera trilogia. In questo capitolo Krestovskij sfrutta il topos ipercollaudato del “cimitero ebraico” in un “originalissimo” “discorso del rabbino”. Un’unica voce ingloba le voci degli ebrei dei precedenti “cimiteri” e riassume i punti principali di un ipotetico programma ebraico per la dominazione del mondo. A partire dal titolo il capitolo è pieno di rimandi alla tradizione giudeofoba, kahalofobica e talmudofobica. Il titolo, infatti, è costruito sul calco paronomastico di Reč’ ravvina-fanatika (Il discorso del rabbino fanatico),174 in cui Krestovskij sostituisce reč’ con slovo, come traduzione di mussar, e del talmudico Iochanan ben-Zakkai (Giovanni figlio di Zaccheo), sostituito da Ionafan. Come in un droshe,175 nella struttura del sermone il “fanatico” rabbino unisce a parti di Torah interpretazioni, commenti e 171. Krestovskij, T’ma egipetskaja, II, p. 189. 172. Lamdan (ebr. ‫ )למדן‬per “esperto in letteratura rabbinica e predicatore”, e maggid (ebr. ‫ )מגיד‬per “predicatore”. 173. Krestovskij, T’ma egipetskaja, I, pp. 16-33. 174. Ljutostanskij, Talmud i evrei, p. 395. Il testo va da p. 421 a p. 425. 175. Composizione che assieme a parti originali seleziona citazioni dalla Torah, dal Talmud e da altre raccolte di letteratura rabbinica (cfr. Cifariello, La memoria funzionale di un antisemita, p. 61).

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ragionamenti personali per dare maggior credito alla tesi esposta. Come si è visto a proposito, ad esempio, di V konce veka. Ljubov’ di Suvorin,176 nel romanzo antinichilista dialoghi, monologhi e veri e propri sermoni sono procedimenti usati come specchio dei ragionamenti dell’autore nella polemica filosofico-politica contro lo schieramento del Male. Con tale procedimento Krestovskij s’inserisce nell’evoluzione del “discorso del rabbino”, a partire dall’Esterka (1828) di Bulgarin, assorbendo materiale letterario autoctono e letteratura allogena, per avvalorare le sue convinzioni: l’esistenza di un complotto mondiale ebraico in generale contro l’umanità e in particolare contro l’Impero. Attraverso le testimonianze e le profezie delle Sacre Scritture, il sermone ruota attorno ai compiti e all’importanza degli ebrei nel mondo e al destino del popolo ebraico, che è, secondo il rabbino, il tema più sentito dall’ebreo nel golus (ebr. galut, esilio). Se l’Europa, dice, è destinata a essere avvolta da particolari tenebre, al contrario il popolo d’Israele ha davanti a sé un avvenire radioso, nella terra promessa.177 La vocazione degli ebrei, tutta terrena, è ben descritta dalle Scritture e dal Talmud, che passo dopo passo ne disegnano il programma politico. Il rabbino sfrutta quindi il topos dell’amore ebraico per l’oro per meglio definire la natura ebraica: gli ebrei, a differenza degli altri popoli, sono obbligati ad amare l’oro giacché questo metallo, come l’anima ebraica, è sinonimo di forza (la solidità dell’ebreo) e nobiltà (la purezza dell’ebreo). La fonte della potenza degli ebrei e del loro dominio dell’umanità risiede nell’oro, sostiene, sin dal principio, nel Genesi. Terminato l’excursus sull’oro, il rabbino si sofferma sui compiti e gli obiettivi del “mondo ebraico” (“evrejstvo”), volti all’accumulazione e al mantenimento del benessere materiale: le enormi ricchezze citate nelle Scritture sono, infatti, la ricompensa per l’assoggettamento di terre e popoli stranieri, in particolare gli arroganti “akimy”, ovverosia i cristiani;178 questi ultimi, credendosi padroni del mondo, hanno tenuto per diciotto secoli gli ebrei in schiavitù “politica”, privandoli persino dei diritti civili. Krestovskij usa, come sarebbe ovvio, l’espressione “graždanskie prava”: l’uso di “graždanskie” in pieno spirito illuminista rimarca la contrapposizione tra il cosmopolita “cittadino-citoyen-graždanin” e il “suddito-sujet-poddannyj” dell’Impero russo. In queste parole risuona l’eco dell’aperta polemica re176. Suvorin, V konce veka. Ljubov’, pp. 171-174. Sotto forma di monologo compare il giudizio negativo e l’atto d’accusa nei confronti degli ebrei. 177. Krestovskij, T’ma egipetskaja, I, p. 18. 178. Per l’uso di “Akimy” si veda Ljutostanskij, Talmud i evrej, I, pp. 76-77.

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lativa alla richiesta, espressa dall’“intelligencija ebraica” sulle pagine dei suoi periodici, del “ravnopravie”, l’uguaglianza di diritti, e le considerazioni negative su questo argomento addotte dalla stampa giudeofoba. Il fatto che quest’espressione così marcata sia messa in bocca a un rabbino, cioè un soggetto ostile all’“intelligencija liberale ebraica”, mostra come nella rappresentazione lo scrittore non tenga conto dei divergenti punti di vista delle diverse componenti dell’ebraismo dell’Impero, ma tratteggi la figura di un ebreo ibrido verso cui, non facendo differenza tra chassidim, mitnagdim, maskilim, esprimere un biasimo generalizzato. Nei secoli di apparente “cattività”, spiega il rabbino, gli ebrei hanno accumulato tutte le ricchezze del mondo e si sono impossessati di mercati e borse dell’Europa e dell’America, con lo scopo ultimo di divenire i signori della finanza mondiale. Dunque, usando un motivo conforme all’antisemitismo economico, sostiene che, dopo secoli di falsità e ristrettezze per il popolo ebraico, «la risposta adeguata d’Israele agli akimy è l’istituto bancario dei Rothschild».179 In grado di controllare la politica interna ed estera delle “grandi potenze”, la banca dei Rothschild garantisce con la sua autorità la concessione di prestiti per azioni belliche, obbligando i regnanti della terra a richiedere la loro autorizzazione prima di dichiarare guerra al proprio vicino, e in tempo di pace, senza le armi e usando il “gioco al ribasso” – cioè attraverso l’inflazione monetaria –, manda in bancarotta gli stati. Ebbene, in questo contesto suona retorica la domanda del rabbino sull’identità effettiva dei padroni del mondo, se i capi cristiani oppure il “žid” Rothschild: quest’ultimo, disprezzato e considerato una “nullità” dai cristiani, incarna infatti, secondo il rabbino, la saggezza veterotestamentaria d’Israele. Ossia, il “žid” Rothschild realizza nei tempi moderni le profezie di Abramo: dopo diciotto secoli di oppressione in cui si è segretamente arricchito, ora il popolo ebraico – grazie ai Rothschild – sfoggia davanti al mondo le proprie ricchezze. Allo stesso tempo, l’ebreo osserva gli ordini – in Gen. 26, 3 – di Dio ad Abramo di rimanere straniero in terra straniera – la condizione d’isolamento degli ebrei, percepiti come «estranei indesiderabili, dappertutto respinti, cattivi e spietati»180 – in attesa di dominarla: come mezzi per impadronirsi gradualmente delle terre altrui, rimandando ai tempi antichi, cita due classici topoi giudeofobi, la “furbizia” (“chitrost’”) e la “malizia” (“kovarstvo”), assieme a una terza variante, l’“aperta violenza” (“otkrytoe 179. Krestovskij, T’ma egipetskaja, I, p. 19. 180. Ibidem.

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nasil’stvo”). In realtà, afferma il rabbino, la terra promessa appartiene agli ebrei per diritto divino. In Egitto, ricorda, il popolo d’Israele non fu mai in vera difficoltà: lì prolificò, divenne molto potente, vi si stabilì “di diritto”, sottomise gli egiziani, e divenne l’esattore di tributi del faraone. Nel frattempo il popolo d’Egitto, vivendo in cattività e con profondo disagio, implorava il faraone di liberarsi degli ebrei. Col tempo gli ebrei cominciarono ad ampliare i propri obiettivi politici, coltivare l’aspirazione a un’esistenza autonoma e indipendente e imporre il proprio governo sulle altre genti. A questo punto Dio invia contro l’Egitto le famose dieci piaghe. La nona piaga, come recita Es. 10, 21, è proprio la “tenebra egizia”, che serve, accanto alla chiave “laica” (l’articolo Žid idёt!), da chiave tematica scritturale per l’intera trilogia: la tenebra egizia dura, metaforicamente e non fisicamente, ancora nel presente narrativo, mentre il futuro riserva la decima piaga, la morte dei primogeniti, cioè il castigo per i nemici d’Israele. Con l’allusione alle piaghe compare, grazie all’uso funzionale delle scritture, la fusione tra mito del complotto e calunnia del sangue. Tuttavia questa particolare combinazione non viene poi sviluppata, mentre ha una precisa evoluzione nel romanzo di Vagner. Per indebolire, estirpare, sterminare le genti tra cui si stabiliscono, dice il rabbino, gli ebrei devono aiutare e favorire i confratelli, «evitare contatti e accordi con i non ebrei, ma soprattutto essere saldi nella fede [ebraica]».181 Ionafan, citando le Sacre Scritture, fa derivare il diritto ebraico di “meropia” e “chazaka” – cioè il diritto di segreto asservimento sulla persona e sui beni mobili e immobili di ogni non-ebreo – direttamente da Dio. Com’è evidente già nella recensione di «Zarja», per “meropia” e “chazaka” Krestovskij attinge a piene mani dall’opera di Brafman. Il rabbino stila poi tutta una serie di regole di comportamento, attinte sempre da Kniga Kagala e confermate dal Deuteronomio, che gli ebrei devono rispettare nei riguardi dei confratelli e dei non-ebrei, tra cui la possibilità di vendere ai “goim” cibo taref, non idoneo, per accelerarne la morte. Inoltre, se la sottomissione degli ebrei all’amministrazione del paese di residenza è esclusivamente di facciata, in segreto ogni ebreo deve rispettare la Legge assieme agli «ordini e decisioni del Gran Consiglio del “Kahal Universale”».182 Com’è possibile evincere dal confronto dei testi, il “discorso del rabbino” rielabora l’idea espressa nei libri di Brafman, in particolare gli attacchi all’aiu – evidenziati nella stessa recen181. Ibidem, pp. 22-23. 182. Ibidem, p. 23.

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sione di «Zarja»; tuttavia si avverte anche una lontana eco dell’articolo di Aksakov su «Moskva» o del pamphlet giudeofobo di Osman-Bey. Ionafan, dunque, elenca per ordine d’importanza gli elementi su cui basare la fede dell’ebreo e, rispettandone la disposizione, per sottomettere tutti i popoli della terra: la Torah, il Talmud, gli ordini e le decisioni del “Kahal Universale”. Dalla Torah si evince, secondo il rabbino, il dovere del popolo ebraico di continuare l’opera razzista di “separazione religiosa e sociale” (“religioznaja i obščestvennaja obosoblennost’”) e mantenere la “purezza della razza” (“čistota rasy”), «rifiutando il miscuglio con il sangue di razze impure».183 Attraverso altre citazioni dalla Torah e dai profeti il rabbino sostiene che lo scopo finale dell’ebraismo non è la rifondazione del regno in Palestina – dove sarebbe impossibile vivere per i sei milioni di ebrei della diaspora – bensì il «dominio del mondo».184 Nella sterile Palestina gli ebrei, ostili al lavoro della terra, morirebbero di fame o – secondo i principi del darwinismo sociale – soccomberebbero «in una lotta intestina per l’esistenza».185 Inoltre, la Palestina, oltre a rappresentare la fine del progetto, renderebbe impotente il mondo degli ebrei: questo nuovo stato, infatti, non avrebbe la stessa forza delle grandi potenze europee; è invece determinante per gli ebrei mantenere il ruolo di “forza attiva” tra i popoli in cui vivono, e conservare la rete ebraica che avvolge il mondo abitato e che li sostiene, li difende, li tutela a vicenda, nasconde i loro peccati e le loro mancanze, ma soprattutto serve a raggiungere lo scopo segreto in realizzazione nel presente narrativo. Il rabbino afferma che a favore del compimento del dominio mondiale (siamo nell’anno 1876) si schierano personaggi importanti – già citati nell’articolo di «Zarja» e nell’opera di Brafman: Moses Montefiore,186 i Rothschild,187 183. Ibidem, p. 28. 184. Ibidem, p. 29. 185. Ibidem, p. 30. 186. Ultranovantenne nel momento storico in cui si svolge la vicenda romanzesca, chiamato principe degli ebrei (ibidem, p. 8), è stato il grande oppositore del manifesto sentimento pre-antisemita in Europa: già nel 1847 intervenne per chiedere alle autorità russe di fermare nel Caucaso le violenze antiebraiche scatenate da un’accusa di omicidio rituale (Klier, Imperial Russia’s Jewish question, p. 419). 187. La dinastia di banchieri, in particolare la casa di Francoforte, è molto attiva nel XIX secolo in tutta Europa. Il più importante tra loro, che acquisce per primo il titolo di barone, Sir Anthony Nathan de Rothschild, è famoso perché nel 1870 è stato il primo presidente della United Synagogue (organizzazione degli ebrei londinesi fondata con un atto parlamentare). Tuttavia all’epoca degli avvenimenti trattati il barone è morto da quasi un anno (3 gennaio 1876).

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Adolphe Crémieux,188 Benjamin Disraeli.189 Sono questi, secondo il rabbino, i creatori e le guide di un’organizzazione ancora più potente dei gesuiti: l’“Unione mondiale della fratellanza ebraica” (“Vsemirnyj sojuz evrejskogo bratstva”), l’“Unione di tutte le comunità ebraiche” (“Sojuz vsech evrejskich sojuzov”), il “Kahal dei kehalim” (“kagal kagalov”), cioè l’aiu, come primo passo verso la realizzazione della “conquista del mondo”. L’autore sta chiaramente attingendo all’articolo Iezuity Iudejstva, dove nel 1876 Brafman attacca l’ope, considerata la sezione russa dell’aiu. Ionafan sostiene che ogni ebreo per la causa comune ha l’obbligo di far parte dell’Unione. Per raggiungere l’obiettivo finale l’Unione sottomette segretamente i non-ebrei, agisce in favore degli ebrei, e incorpora membri di altre associazioni non ebraiche. Per ottenere parità di diritti civili in nome della giustizia, della civiltà e del progresso, e parallelamente «conservare la propria individualità, il proprio isolamento nazionale»,190 ogni mezzo è lecito – in linea con il realismo utilitaristico machiavelliano: ad esempio, oltre a corrompere chi ostacola il piano, ci si può convertire esteriormente a un’altra religione – a patto di mantenere segreta la propria individualità ebraica, ossia senza mai smettere di essere, «nell’anima, un ebreo fedele servitore del mondo ebraico».191 I punti del piano esposto dal rabbino per realizzare l’obiettivo finale sono: il raggiungimento del benessere materiale attraverso il dominio delle borse e del commercio; la gestione di terreni, case, impianti e fabbriche; il controllo di stampa e giornalisti; l’asservimento del potere legislativo e della stessa legge (corrompere l’amministrazione e penetrare nella macchina amministrativa con lo scopo di guidarla oppure annientarla attraverso altra corruzione, falsità e discordia); l’accumulo, assieme alle finanze di tutte le nazioni, di accise, diritti d’imposta, monopoli, ferrovie, compagnie di navigazione, compagnie azionarie, appalti e forniture per lo stato, la flotta e l’esercito; l’avocazione 188. Fondatore dell’aiu nel 1860, assieme a Montefiore, e rappresentante del Board of Deputies of British Jews, nel 1867 si reca senza successo a Bucarest per chiedere l’emancipazione degli ebrei. Già da qualche mese prima della pubblicazione di questa parte del romanzo di Krestovskij circola il famoso falso discorso di Crémieux alla seduta inaugurale dell’aiu. 189. Importante politico e statista inglese, di famiglia ebraica ma battezzato cristiano, non vede incompatibilità tra religione cristiana e etnia ebraica, di cui si considera parte. Noto anche come scrittore (in Coningsby, or the New Generation, 1844, espone la teoria del complotto ebraico), nel 1876 è nominato dalla regina Conte di Beaconsfield. Profondamente russofobo, gioca un ruolo importante nelle decisioni di politica internazionale. 190. Krestovskij, T’ma egipetskaja, I, p. 30. 191. Ibidem, pp. 30-31.

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a sé di tribunali e la gestione dell’avvocatura; il dominio di tutti gli aspetti e le forme di scienza e arte. A conclusione del sermone è posta una lista di ebrei che realizzano il compito dell’ebraismo: alcuni di loro sono reali – Benjamin Disraeli, Heinrich Heine, Ferdinand Lassalle, Jacques Offenbach, l’istituto bancario dei Bleichröder – mentre altri immaginari – il contrabbandiere, il falsario, lo studente di medicina coinvolto nel processo contro i nichilisti russi, ecc. La lotta contro i cristiani, termina il rabbino, possibile e necessaria, sarà sempre più facile: citando e integrando Is. 60, 17, il motto degli ebrei diverrà «non con il ferro, ma con l’oro; non con la spada, ma col portafogli».192 Questa rielaborata variante del “cimitero ebraico”, ben camuffata nel racconto di fantasia, costituisce non solo il fondamento della posteriore ideologia della giudeofobia occulta, ma soprattutto il materiale testuale utilizzato dal falsario – o falsari – dei psm. Un ebreo rimane sempre un ebreo Se con il discorso del rabbino Krestovskij dà voce alla giudeofobia occulta, quando focalizza l’attenzione sui tratti degli ebrei, l’autore riprende la percezione classica che gli ebrei – qualunque scelta di vita abbiano fatto, a qualunque strato sociale appartengano, siano essi agenti “židy” del Tovariščestvo o rappresentanti “evrei” dell’“intelligencija russo-ebraica” – rimangono sempre ebrei. Le parole di Krestovskij confermano le affermazioni di Dubnov e di altri intellettuali sulla percezione dell’ebreo da parte della popolazione russa durante la guerra: questo spiegherebbe l’incertezza con cui gli ebrei come Tamara si pongono nei confronti dei propri connazionali e della società cristiana. In Tamara Bendavid l’eroina teme infatti che, grazie ai tratti somatici del viso, sia smascherata la sua origine etnica, cioè il fatto di essere «carne della carne e sangue del sangue proprio dei “membri del Tovariščestvo” e dei loro “agenti”», e che i rimproveri e il disprezzo verso il Tovariščestvo «riguardasse indirettamente anche lei in quanto ebrea». La ragazza percepisce che non «la salvava neppure l’essersi fatta cristiana, che per sangue rimaneva tuttavia una “židovka” e agli occhi della maggioranza, agli occhi della folla, sarebbe per sempre rimasta una “židovka”».193 Tamara, piena di dubbi, non sa se nascondere o rinnegare la 192. Ibidem, p. 31. 193. Ibidem, p. 360.

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propria origine. Ebbene, l’ebreo convertito non produce sul piano sociale lo stesso effetto che provoca sul piano dei diritti civili: se per lo stato gli ebrei diventano sudditi russi di fede cristiana, purtuttavia per il popolo rimangono solo dei “židy”. In un articolo del 2007 ho sottolineato che, «quando alla fine si giungeva alla conversione vera e propria, i rapporti con le popolazioni locali non miglioravano; questa continua e persistente ostilità si riflette – sull’asse diastratico – nel linguaggio del popolo, in particolare in quei detti popolari che Dal’ ha consegnato alla storia».194 I detti raccolti dal Dal’195 seguono nella costruzione uno schema fisso, {A + Bx} dove A corrisponde alla parte comune, in questo caso “žid battezzato”, e Bx a quella variabile: “lupo addomesticato”, “ladro perdonato”, “nemico rappacificato”, “cavallo curato”.196 È innegabile che tali detti attribuiscano all’ebreo battezzato un certo carattere di redenzione, ma è chiaro che comunque l’equazione tra ebreo e lupo/ladro/nemico permane nel pensiero popolare. Le parole di Krestovskij, però, superano la visione antigiudaica del popolo e sconfinano in una sempre più marcata Weltanschauung razzista che in sostanza si basa sull’affinità di carne e sangue della “razza ebraica”: anche se battezzato, l’ebreo rimane comunque carne e sangue dei “židy” e, dunque, un nemico da combattere. In Toržestvo Vaala lo scrittore rimarca l’affetto che Tamara, battezzata e strappata al nido originario, nutre nei confronti del nonno, e commenta: «qui è questione di cuore carnale, è questione di sangue».197 In una lettera di Krestovskij a N. Ljubimov, l’autore, paragonando russi ed ebrei, afferma che «noi [russi] siamo afflosciati, rammolliti, ci trasformiamo in una sorta di pappamolla, mentre il “žid” si fa forte; ed è forte in primo luogo della potenza della propria fede e in secondo luogo della potenza fisiologica del sangue».198 Dunque, fede e sangue, religione giudaica e razza ebraica sono i due elementi costitutivi dell’ebreo: venendo a mancare la religione, rimane l’elemento fisiologico della razza. Nel pensiero giudeofobo l’“intelligencija russo-ebraica” possiede per sua stessa natura l’elemento fisiologico negativo della razza ebraica, mentre in essa è spesso (se non sempre) assente l’elemento religioso; tuttavia, anche lontana dalla religione, l’“intelligencija russo-ebraica” è, secondo quest’idea, comunque parte del complotto contro la Russia autocratica e ortodossa. Lo stesso Ak194. Cifariello, Boris Akunin e il romanzo antinichilista giudeofobico, p. 177. 195. Dal’, Poslovicy russkogo naroda. 196. Ibidem, p. 17, p. 20, p. 366, p. 776. 197. Krestovskij, T’ma egipetskaja, II, p. 220. 198. Elec, Biografija, p. XXXVII.

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sakov, nell’articolo Obezvredjatsja li Evrei, preobrazovavšis’ v kul’turnyj sloj? (Diventeranno innocui quegli Ebrei che hanno modificato il proprio livello culturale?), si scaglia contro l’“intelligencija russo-ebraica” sostenendo che gli ebrei che hanno ricevuto un’istruzione costituiscono per i russi un pericolo, perché indipendentemente dal livello culturale raggiunto minacciano la cultura in cui si vanno ad innestare, destinata dunque a scomparire.199 In T’ma egipetskaja Tamara riceve da Karžol’ il Nuovo Testamento, libro a lei proibito dai precetti del kahal. Una volta letto il Vangelo, ripensa all’apostolo Paolo e all’amore cristiano come compimento della Legge degli ebrei. Quest’idea si basa sul concetto dell’antigiudaismo medievale russo, espresso nello Slovo o Zakone i Blagodati, della supremazia della Grazia sulla Legge. La lettura del Vangelo provoca in lei una profonda crisi morale e si sente pronta per amore ad abbandonare il mondo e la religione degli ebrei. In un particolare punto di Tamara Bendavid200 l’eroina ripudia la religione ebraica e diventa cristiana. Karžol’ le scrive che le prove cui è stata sottoposta stanno per terminare e lasciare il posto alla pace e alla tranquillità estranee all’ebraismo, ossia la felicità luminosa della conversione al cristianesimo. In queste parole è contenuta l’immagine-metafora classica del battesimo cristiano come luce che illumina l’oscurità del cuore infedele (pagano, di diversa confessione/religione, ateo). Tuttavia Tamara non ha il tempo necessario per prepararsi al battesimo: sa di cosa è capace l’“onnipotente intrigo ebraico” (“vsesil’naja evrejskaja intriga”) e ha conseguentemente bisogno di battezzarsi al più presto. Durante la rapida preparazione al battesimo l’anima di Tamara tentenna: da una parte è felice che gli sforzi abbiano finalmente la giusta conclusione, dall’altra dubita di essere pronta a cambiar fede. All’improvviso, però, la felicità si trasforma in terrore: il battesimo rappresenta un taglio netto con il mondo ebraico. Eppure Tamara individua non uno bensì due mondi ebraici separati e distinti: il primo è quello dei ricordi belli – cioè l’intimità con i propri cari che le fa palpitare il cuore –, l’altro, verso cui è indifferente, è rappresentato dall’intero mondo ebraico (“celyj evrejskij mir”), che la maledirà in eterno. La fede cristiana possiede però una forza superiore persino all’amore per i propri cari: per Tamara non è possibile – ma anzi sarebbe da pusillanime – rimanere 199. «Rus’» (1/X/1883); Aksakov, Evrejskij vopros, pp. 532-542. 200. Krestovskij, T’ma egipetskaja, I, pp. 314-327.

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nella religione degli ebrei dopo aver conosciuto Cristo. Così anche gli altri dubbi che l’hanno colta in poco tempo scompaiono. Arriva infine il momento del battesimo cristiano: le si chiede di giurare, di accettare la fede in modo autentico, di rinnegare il credo giudaico, gli usi rituali e le festività ebraiche, le dottrine del Talmud – in particolare quelle contro il Vangelo e Cristo – e la dottrina del falso Messia atteso dagli ebrei. Tamara rinnega tutto, dando particolare enfasi all’ultima rinuncia: il Messia degli ebrei è, infatti, considerato l’Anticristo. Nello stesso tempo Tamara sente di disconoscere e maledire il proprio passato: i legami di sangue, i parenti e gli amici, i nonni e la memoria dei genitori. Questa terribile prova morale le provoca «uno sdoppiamento interiore, come se in lei vivessero contemporaneamente due persone, due correnti contrapposte che combattono in eterno, irriducibili, destinate per sempre a violare l’armonia del suo mondo spirituale».201 Il compimento del battesimo ortodosso dona al neofita pace interiore e nuove speranze. Tuttavia, la pace di Tamara scompare nell’apprendere la tragica realtà sul destino dei nonni; l’eroina, influenzata nuovamente dal medesimo «sdoppiamento interiore che aveva provato dentro di sé per la prima volta la sera del pogrom a Ukrainsk, […] ma con una duplice potenza»,202 dà la colpa di tutto al suo desiderio di conversione. In lei, che si sente colpevole per la morte della nonna, ora la voce dei legami familiari e del sangue primeggia sulle proprie convinzioni cristiane. Eppure si rende conto di essere per il nonno ormai nient’altro che un’apostata, colpevole delle future disgrazie d’Israele. Solo le parole di un sacerdote (cioè la forza del cristianesimo attivo) fanno scomparire la crisi interiore. Proprio questa sfiducia nell’esito della conversione degli ebrei è una delle possibili letture dell’opera di Krestovskij: lo scrittore può aver inteso la conversione come la dimostrazione che alla fine il neofita rimane pur sempre un ebreo. Sui dubbi di una vera o falsa conversione al cristianesimo che attanagliano lo spirito dell’epoca in cui Krestovskij pubblica la sua trilogia, Safran scrive che «sebbene la legge russa avesse sempre reso la conversione al cristianesimo un atto vantaggioso dal punto di vista legale ed economico, la percezione di un incremento del battesimo degli ebrei nel tardo XIX secolo disturbò i membri dell’intelligencija russa nei vari campi della politica e perfino alcuni ideologi all’interno 201. Ibidem, p. 320. 202. Ibidem, p. 325.

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della chiesa ortodossa».203 Questa tipologia di neofita risale a un prototipo neotestamentario, in cui Paolo rappresenta il convertito sincero (Atti, 9), mentre quello falso è, appunto, Giuda Iscariota, oppure il corruttore “fariseo”, che nel vocabolario dell’epoca sta a significare “ebreo”, “ipocrita della fede” o semplicemente “ipocrita”.204 Inoltre, la sfiducia nella conversione degli ebrei rimanda a un testo polacco importante per la crescita intellettuale dello scrittore – che, avendo trascorso a Varsavia il biennio 1865-1866 come membro di una commissione ministeriale, ha dimestichezza anche con la lingua e la cultura polacca: il capolavoro di Z. Krasiński Nie-Boska komedia (La non-divina commedia; 1835).205 Infatti, se i Neofiti di Krasiński «svelano immediatamente il carattere puramente fittizio della loro conversione, e, al tempo stesso, la potenza del loro complotto»,206 nella Tamara di Krestovskij la natura ebraica ricompare proprio nel momento in cui, nell’ultimo volume, la vicenda s’interrompe, per rimarcare l’impossibilità di una vera conversione al cristianesimo. Dunque, in quest’ottica appaiono calzanti per l’opera di Krestovskij le stesse parole usate da H. Segel per Krasiński: ritenendo che «il pericolo più grande per l’Europa» fosse «il profondo sconvolgimento portato dalla rivoluzione sociale e l’ascesa al potere del materialismo senza Dio», con Nie-Boska Komedia Krasiński – e allo stesso modo con Žid idёt Krestovskij – mostrava che la rivoluzione era «promossa da ebrei convertiti che esternamente si professano cristiani ma, segretamente, praticano il giudaismo, e il cui obiettivo non è altro che rovesciare l’ordine esistente e assumere il potere in mano propria».207 Dunque, secondo questo punto di vista gli ebrei convertiti – Tamara inclusa – fanno il loro ingresso nel cristianesimo ortodosso per contribuire, dall’interno, alla realizzazione del complotto ebraico contro la Russia. 203. Safran, Rewriting the Jew, pp. 110-111. 204. Ibidem, p. 111. 205. In questo capolavoro della letteratura polacca è percepibile l’influsso sia del padre Wincenty che del precettore, l’ecclesiastico talmudofobico L. Chiarini. L’antitalmudismo si tocca con mano nella figura del Neofita (ebreo convertito al cristianesimo) che – professandosi esternamente cristiano ma praticando segretamente il giudaismo – sostiene che dal Talmud «ci vengono la forza e la dolcezza, per i cristiani amarezza e veleno» (cit. in Quercioli Mincer, Il frankismo nella cultura polacca, p. 136). 206. Quercioli Mincer, Il frankismo nella cultura polacca, p. 138. L’obiettivo dei Neo­fiti è «rovesciare l’ordine esistente e assumere il potere in mano propria» (Segel, L’immagine dell’ebreo, p. 336). 207. Segel, L’immagine dell’ebreo, p. 336.

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Antisemitismo razziale vs. antigiudaismo cristiano La conclusione di Toržestvo Vaala – e dunque dell’intera trilogia – riporta Tamara, in un percorso circolare, all’iniziale mondo ebraico. In una situazione di estrema difficoltà, un’amica le suggerisce di chiedere aiuto al nonno. Tamara, tuttavia, ritiene che il nonno non possa far nulla per lei, avendola ripudiata in osservanza della “legge ebraica” (“zakon evrejskij”). Eppure le parole dell’interlocutrice – che alla legge oppone il sangue – convincono l’eroina che la consanguineità è un legame inscindibile. Ricevuta la lettera d’aiuto, il nonno, pur temendo la potenza del kahal, sente di amare la nipote e di soffrire per il sangue del suo sangue: Tamara «è sua consanguinea, è l’eredità del suo sangue, del sangue dei Bendavid».208 Il romanzo si chiude con l’immagine di Solomon Bendavid che medita sulle parole di Tamara: non sarà vana la richiesta della nipote. Secondo Safran il motivo del sangue alla fine del romanzo mostra la prossimità tra l’ideologia giudeofoba di Krestovskij e quella razziale dell’antisemitismo dell’Europa occidentale, anche se la giudeofobia in Krestovskij ha un più generale fondamento di tipo economico-politico.209 Safran rileva che i tentativi di Tamara, vanificati dalla voce del sangue, di eliminare la propria parte ebraica servono all’autore per dimostrare che entrambe le culture – cristiana ed ebraica – sono tra loro ostili a causa di una qualità intrinseca del sangue che rende impossibile l’assimilazione culturale perché corruzione della propria “identità razziale”.210 Anche se non esiste alcun dubbio sull’esistenza di un legame tra giudeofobia e antisemitismo in quanto componenti essenziali del conservatorismo prerivoluzionario,211 il richiamo del sangue nel libro di Krestovskij potrebbe essere letto anche al di fuori di tali schemi, in un’analisi diversa, estranea a implicazioni di tipo razziale. Ritengo che nella conclusione il romanzo guardi non all’occidente e agli antisemiti tedeschi, ma alla cultura dell’antigiudaismo russo-ortodosso, in particolare alle idee espresse in uno dei suoi monumenti letterari: lo Slovo o Zakone i Blagodati. Per prima cosa, ci si soffermi sui personaggi in cui Krestovskij fa agire la voce del sangue: il richiamo ha luogo non tra i membri del kahal, tra i rappresentanti delle varie “compagnie” durante la guerra russo-turca o tra i burocrati giudeo208. Krestovskij, T’ma egipetskaja, I, p. 224. 209. Safran, Rewriting the Jew, p. 224, n.101. 210. Ibidem, p. 103. 211. Klier, Imperial Russia’s Jewish question, p. 385.

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nichilisti che vogliono dominare la Russia, ma proprio negli unici due ebrei positivi di tutta la trilogia, ossia Tamara e Solomon. In particolare, Solomon è la raffigurazione artistica tipica del vecchio patriarca biblico, cioè una figura positiva e di alto valore morale.212 Il richiamo del sangue, che agisce in Tamara, si manifesta anche nello stesso Solomon: per lui, infatti, la nipote rimane pur sempre “una di famiglia”, e l’affetto famigliare, indipendentemente da tutte le maledizioni dell’apostata, non è mai scomparso. Ebbene, il romanzo si chiude con l’immagine di Solomon che supera la tradizione ebraica attraverso il sentimento dell’amore. Come se il legame di sangue tra un vecchio patriarca e una rinnegata legasse a sua volta il cuore del parente ebreo alla nuova religione. Come se, nel cuore di Solomon, riecheggiassero le parole di Cristo sull’amore fraterno, su quella fratellanza in Cristo di cui parlano altri scrittori contemporanei all’autore. A parer mio la trilogia di Krestovskij in realtà è stata volutamente lasciata con un finale aperto: prevedendo un ipotetico ritorno nel mondo ebraico di un’ebrea battezzata in Cristo, attraverso il classico messaggio dell’antigiudaismo russo-ortodosso – il superamento della “Grazia” sulla “Legge” (proprio l’interlocutrice alla “Legge” oppone una “questione di sangue”) – Tamara va a illuminare le tenebre egizie dell’ebraismo della čpo con la luce del cristianesimo. Ovverosia, quello che il sermone di Ilarion nei fatti propone: la contrapposizione {ebraismo/vecchio popolo vs. cristianità/ nuovo popolo}.213 A differenza dello Slovo, nel finale di Toržestvo Vaala l’ebreo gioca un ruolo molto particolare: preannunciare la fine e la rinascita della Russia alla luce della soluzione alla questione ebraica. Dunque, se la trilogia, come afferma il suo stesso autore, serviva a rappresentare l’avanzamento dell’ebreo nella società russa, il finale ne presenta proprio la soluzione: l’assimilazione totale – di tipo culturale, etnico e religioso – di tutti gli ebrei dell’Impero. Tamara diviene dunque il simbolo della vittoria dell’“idea russa” proprio attraverso il richiamo del sangue; il personaggio di Tamara non rappresenta le paure giudeofobe di un ebreo che, eliminato l’autocrate, dominerà l’Impero, ma racchiude in sé tratti della subcultura antigiudaica slavo-orientale intesa come “memoria storica non ereditaria” della popolazione russo-ortodossa,214 ricodificata nel sistema 212. Kritikus, Literaturnaja letopis’. Belletrističeskij pamflet, pp. 25-27. 213. Secondo Pereswetoff-Morath (Pereswetoff-Morath, A Grin without a Cat, I, p. 86) già nell’incipit dello Slovo attribuito a Ilarion s’intuisce il senso dell’opera, in cui gli ebrei giocano un ruolo esclusivamente teologico nella Heilsgeschichte dell’umanità. 214. Cfr. Lotman, Uspenskij, Sul meccanismo semiotico della cultura, p. 66.

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della cosiddetta sra. La figura di Tamara si contrappone definitivamente alla possibilità – utopica – dell’esistenza di una popolazione russa di fede mosaica, per incarnare l’unica probabilità di salvezza della Russia di fronte agli attacchi giudaico-nichilisti: la creazione di uno stato russo, formato anche dagli ebrei russificati – nuovi rappresentanti del popolo-nazione –, che abbia come valori tradizionali esclusivi l’autocrazia e l’ortodossia. Infine, in questo processo di assimilazione culturale e religiosa può esser letta anche la profezia per cui negli ultimi tempi gli ebrei si convertono al cristianesimo riconoscendo nel Messia il Cristo dell’Apocalisse. Alla luce, dunque, di una visione escatologico-apocalittica del futuro del mondo ebraico e di tutta la Russia termina la trilogia di Krestovskij – in piena armonia e stretta contiguità con gli altri romanzi antinichilisti di matrice giudeofoba. 4. Po gorjačim sledam Sulle tracce di Jasinskij Jasinskij è uno scrittore poco studiato nelle storie della letteratura. Eppure, nel corso della sua vita l’autore ha conosciuto notorietà e successo,215 ha avuto rapporti di collaborazione e di amicizia con figure di primo piano della letteratura russa, tra cui Čechov, Leskov, Gippius e Merežkovskij, ed è stato oggetto di varie polemiche letterarie. Inoltre, dalla fine degli anni ottanta – passato allo schieramento conservatore –, come collaboratore del «Novoe Vremja» conosce Suvorin, di cui diviene amico. Infine, tra i suoi conoscenti spicca il nome di Vagner – con cui probabilmente ha condiviso il punto di vista sulla questione ebraica.216 Di padre polacco e di madre ucraina,217 Jasinskij in gioventù a Kiev è profondamente attratto dalle idee dei democratici degli anni sessanta. Tuttavia, nel 1884, in un articolo pub215. Tolstaja, Poetika razdraženija, p. 319. 216. Dudakov, Paradoksy i pričudy filosemitizma i antisemitizma v Rossii, p. 455. 217. Jasinskij, Roman moej žizni, pp. 8-10. Alcune famiglie di nobili polacchi sono di origine franchista: tra i vari loro cognomi c’è anche Jasinskij. Tuttavia, la tesi di Dudakov secondo cui I.I. Jasinskij avrebbe avuto la certezza dell’esistenza, tra i suoi antenati, di un adepto della setta di Frank non può essere sostenuta. Infatti, la pagina a cui, a conferma di questa tesi, rimanda Dudakov (Jasinskij, Roman moej žizni, p. 128) non corrisponde a ciò che scrive lo studioso israeliano (Dudakov, Paradoksy i pričudy filosemitizma i antisemitizma v Rossii, p. 438).

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blicato su «Zarja»,218 dimostra di avere cambiato punto di vista su scienza e arte in seguito alla lettura di Anna Karenina: la vera scienza non è nelle discipline esaltate dal positivismo, scrive l’autore, ma – facendo «apologia dell’estetismo»219 – nella letteratura de “l’art-pour-l’art”, che ha la funzione di rendere le persone più felici.220 La pubblicazione delle sue opere è costantemente accompagnata da accuse e polemiche montate dai critici dell’“intelligencija democratica”. Ciononostante, proprio grazie alla reputazione scandalistica e alla tendenziosità delle sue opere, Jasinskij cattura l’attenzione dell’opinione pubblica, e dal 1886 diffonde efficacemente tra critica e pubblico le proprie idee estetiche. Il cambiamento avvenuto in Jasinskij sul piano letterario e anche ideologico – percepito dai critici come il rifiuto della Weltanschauung radicale dei democratici degli anni sessanta – genera nella coscienza di molti l’immagine del “voltagabbana”.221 In questo periodo, mostrando di apprezzare la tradizione del realismo russo, ravviva il profondo interesse per la vita psicologica che l’ha colpito sin dalla prima metà degli anni ottanta: su «Slovo», «Novoe obozrenie» e «Zarja», tra l’ottanta e l’ottantacinque ha pubblicato infatti una serie di articoli in cui, oltre al magnetismo, all’ipnotismo e alla telepatia, s’interessa alla psicologia222 – argomenti indubbiamente vicini agli studi di Vagner. Dalla seconda metà degli anni ottanta subisce inoltre il fascino dell’opera di Tolstoj – che chiama “profeta-riformatore” – e di Gogol’ – “profetaconservatore”,223 apprezza Nietzsche e Baudelaire, e rilegge a modo suo il Bazarov di Turgenev.224 Un primo tentativo di racconto antinichilista è la povest’ Učitel’ (Il maestro; 1886) fortemente influenzata da Otcy i deti: proprio su Bazarov è plasmato l’eroe principale, Pomorov.225 Nella produzione artistica di questi anni Jasinskij contribuisce anche all’evoluzione del romanzo antinichilista di matrice giudeofoba. Nel 1892 pubblica esclusivamente a puntate (settantuno capitoli) sulla rivista «Trud», 1-8 (I-VIII/1892) Po gorjačim sledam. Il romanzo è omesso dai recenti lavori su Jasinskij di E. Tolstaja e E. Nymm, che tuttavia trattano 218. Belinskij, Po povodu otryvka, pp. 1.-2. 219. Nymm, Literaturnaja pozicija Ieronima Jasinskogo, p. 21. 220. Belinskij, Po povodu otryvka, p. 2. 221. Nymm, Literaturnaja pozicija Ieronima Jasinskogo, p. 58. 222. Ibidem, pp. 62-63. 223. Ibidem, p. 41. 224. Ibidem, pp. 62-67. 225. Ibidem, p. 68.

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della produzione artistica dell’autore a cavallo tra gli anni ottanta e novanta dell’Ottocento. Inoltre, del romanzo, mai più ripubblicato dopo il 1892, tacciono le sue stesse memorie.226 In esso Jasinskij, esprimendo una visione profondamente giudeofoba della questione ebraica, riassume temi e motivi già visti nei romanzi, negli articoli e nei pamphlet dell’“intelligencija giudeofoba”: prendendo a pretesto un fatto di cronaca legato all’accusa del sangue e, dunque, all’omicidio rituale, l’autore arriva ad accusare di qualsiasi nefandezza il kahal degli ebrei. Come rappresentante dell’“uomo nuovo” – l’ideale dei democratici degli anni sessanta – l’autore tratteggia l’eroe del romanzo: Solomon Solomonovič Kalman. Basato sul modello dell’ebreo ateo e materialista, del maskil nichilista in spirito, quest’eroe non tollera l’umiliazione causata dall’inalienabile origine etnica, cioè il mondo ebraico con le sue “colpe” millenarie. L’“uomo nuovo”: tra maskilim ed “eterni ebrei” L’“uomo nuovo” Kalman parla con accento ebraico, possiede i tipici tratti ebraici (capelli scuri, occhi neri), e tuttavia ha rinunciato alle sue origini ebraiche: è un “evrej” laureato, un maskil russificato, un ateo benestante che ha abbandonato la religione e i costumi dei padri. Possiede un appartamento atipico per un “žid”, con servitù russa e senza una biblioteca con libri o quotidiani ebraici. Dai russi Kalman è considerato non un “žid”, bensì «una persona civilizzata»,227 «scevra dai pregiudizi dello spirito ebraico»,228 che non osserva gli usi ebraici, incluse le regole alimentari – infatti mangia persino carne di maiale. Nonostante l’autoemancipazione e l’intolleranza verso i “židy” – che con i propri crimini arrecano danno agli “evrei istruiti (“obrazovannoe evrejstvo”) –, la sorte l’ha costretto a vivere nella čpo dov’è considerato comunque un “žid”. Eppure Kalman, descrivendo le distinzioni di ceto all’interno del mondo ebraico, riconosce che «per quanto strano i židy hanno una propria aristocrazia e demo­crazia».229 Kalman è «un am ha-aretz, un evrej plebeo […] che qualsiasi oste può calpestare e polverizzare come un onisco»;230 in quanto am ha-aretz considerato dai “patrizi” un essere inferiore come «una bestia a 226. Cfr. Jasinskij, Roman moej žizni. 227. Jasinskij, Po gorjačim sledam, 6, p. 498. 228. Jasinskij, Po gorjačim sledam, 4, p. 33. 229. Jasinskij, Po gorjačim sledam, 5, p. 247. 230. Jasinskij, Po gorjačim sledam, 7, p. 2.

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quattro zampe, […] marmaglia, indipendentemente dal […] grado d’istruzione», per la legge ebraica deve esser tenuto all’oscuro di tutti i segreti, e per il Talmud, che gli proibisce di sposarsi con una donna di più alto grado sociale, deve essere «dilaniato come un pesce».231 Per questi motivi l’eroe considera i “židy” una «genìa cattiva e maledetta».232 A causa della provenienza – am ha-aretz – e dell’educazione – maskil ateo – è considerato un “evrej” rinnegato (“evrejskij otščepenec”), ed egli in cambio considera il mondo dei “židy” una malattia disgustosa. Riflettendo l’interesse dell’autore verso la psicologia, l’eroe sostiene che in ogni “evrej” che ha «assaporato l’educazione […] c’è una frazione del» suo “io”, in cui «quell’“io” è comico, ma quando assume dimensioni maggiori si trasforma in tragedia». Da piccolo, dopo aver saputo di essere un am ha-aretz, progetta di liberarsi «da quella condizione infame e, dopo aver ottenuto onori, gloria e ricchezza grazie a una dotta saggezza», conquistare «il rispetto di persone oneste […] uscendo dal mondo ebraico».233 Schernito da compagni e insegnanti, carico dell’“odio di sé ebraico”, il giovane eroe rinnega il Talmud e i riti ebraici, percepisce negativamente molte cose dell’ebraismo, con fatica si libera dell’accento dei “židy” mentre siede «per ore intere […] davanti a un pezzettino di specchietto cercando nella […] fisionomia tratti semitici» e elimina uno a uno «gli stessi moti d’animo che aveva notato nei connazionali».234 Per lui il mondo dei “židy”, cioè il “židovstvo”, non è più una caratteristica dei “židy” o il male degli “evrei”, ma in generale il male comune a tutti gli uomini, compagni russi inclusi – cioè “žid”, non più marca etnica, è l’uomo malvagio. Nonostante la scelta di ripudiare il popolo e la religione, anche con il battesimo, un “žid”, evidenzia Kalman, non sarebbe mai completamente libero dalle «grinfie della religione giudaica»235 e, incapace di diventare un “evrej”, resterebbe comunque un “žid”. Amaramente constata che, anche se «l’intelligencija dei židy» lo avesse scansato, i russi gli avrebbero «continuato a sussurrare alle spalle […] žid scabbioso [parch]».236 Kalman decide comunque di intraprendere l’iter per cambiare il proprio status giuridico facendosi cristiano. Tuttavia, se da una parte «il Dio cristiano non lo incantava affatto», dall’altra «il Dio ebraico lo abban231. Jasinskij, Po gorjačim sledam, 5, p. 247. 232. Ibidem. 233. Jasinskij, Po gorjačim sledam, 7, p. 2. 234. Ibidem. 235. Jasinskij, Po gorjačim sledam, 5, p. 247. 236. Ibidem.

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donò» e la sua anima «divenne un luogo deserto»: la religione del rifiuto. Alla volontà di convertirsi al cristianesimo «l’orgoglio di evrej cominciò a sussurrargli» che avrebbe fatto meglio a rimanere se stesso, e «l’appellativo di ribattezzato gli pareva un’offesa ancora più oltraggiosa del nomignolo in gioventù di am ha-aretz». Ebbene, il nichilista ateo Kalman è ripudiato anche dai russi che «lo trattavano in maniera piuttosto sprezzante; lo incolpavano di arrivare a lezione prima degli altri studenti e di sedere al primo banco, e di dare lezioni eccellenti nelle case degli evrei ricchi».237 Considerando la “praticità ebraica” l’unica caratteristica vincente degli evrei, grazie a fortunati investimenti l’eroe, sempre parsimonioso nelle spese, ottiene denaro sufficiente per prepararsi all’esame di dottore in medicina. Con l’inasprirsi delle relazioni con i membri della comunità locale, si trasferisce a Pietroburgo. Qui trova «evrei dell’intelligencija che avevano rinnegato i židy e si erano fatti russi, e che però tutti i russi continuavano a considerare židy»: questi “evrei”, infatti, «recitavano la misera parte di ospiti non invitati, che non erano cacciati di casa solo per paura di uno scandalo, ma a cui nel corso del banchetto non si versava da bere». Qui incontra anche ebrei «ipocriti che, russi solo in apparenza, sognavano un rinnovamento degli evrei e persino la loro elevazione al rango di classe dominante dello stato»: questi, perseguendo il proprio obiettivo, «fondavano uffici bancari, aprivano negozi di lusso, case di ricreazione, pubblicavano libri, quotidiani, riviste, si “ficcavano” nella scienza, nella letteratura, coprivano col denaro e corone d’alloro i russi che scrivevano in loro difesa articoli e interi trattati, s’introducevano nelle cancellerie, corteggiavano gli impiegati statali e provavano a fondere la giudeofilia all’attitudine liberale».238 Inoltre, questi ebrei ipocriti, pianificando l’unione coi conservatori, «coraggiosamente si muovevano nel campo degli esecratori di židy [židonenavistniki], si dichiaravano loro amici, a loro si rendevano necessari, si spolmonavano persino per l’ortodossia [cristiana], riempivano le redazioni giudeofobe e poi, rafforzatisi, viravano corrente».239 Profondamente indignato nei confronti degli ebrei opportunisti, Kalman non si schiera dalla parte di nessuno e anzi sferza chiunque – russo o ebreo – con l’arma della satira. Attacca gli ebrei in tutti i modi: come medico si ribella alla malasanità di cui è testimone nell’ospedale dove opera, ma viene licenzia237. Jasinskij, Po gorjačim sledam, 7, pp. 2-3. 238. Ibidem, p. 3. 239. Ibidem, p. 4.

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to; denuncia pubblicamente i crimini del personale ebraico dell’ospedale, ma ottiene la reazione negativa della stampa; indomito, continua ad attaccare, ma è vittima di un complotto ordito per disonorarlo. Come il nichilismo “a parole” di Bazarov, così Kalman, tornato nella čpo e assunto come direttore di una distilleria di alcolici, accusa i “židy” di vari crimini esclusivamente “a parole” e tuttavia “nei fatti” non arriva mai a una vera denuncia, perché sa che i tempi non sono maturi: poiché il kahal ha un potere enorme che sovrasta la giustizia ordinaria gli “evrei” sono più forti del potere giudiziario. Nel momento in cui l’ombra della colpa sfiora la popolazione ebraica, dopo avere appreso le infamanti accuse nei confronti dei “židy”, Kalman – che tuttavia è «alieno da qualsiasi fanatismo, […] per concezione personale […] un purissimo nichilista o un razionalista pienamente e sinceramente consapevole che tutti gli uomini sono fratelli e che qualunque fanatismo è il baluardo d’ignoranza e di perniciosa inimicizia»240 – manifesta profondi timori dovuti all’ineluttabile condizione, intrinseca al sangue ebraico, di essere “žid”: è, infatti, dal popolo associato a «quei cani rabbiosi [paršivcy]» a cui è «realmente legato da innumerevoli fili» e, riconosciuto in sé «proprio il žid […] oltre alla persona rimane un žid». Dal momento in cui i lontani antenati degli am ha-aretz – probabilmente popolazioni di origine turanica o chazara – furono convertiti dai rabbini alla religione giudaica in essi agì «il sangue d’Israele»: proprio il sangue – cioè il richiamo della razza – diviene l’eterno legame che unisce tutti gli ebrei, indipendentemente dalle scelte di vita, am ha-aretz inclusi. Ebbene, in Kalman, maskil ateo russificato, «come dentro a un astuccio, risiede una sagomina vile» capace di qualunque bassezza «che gli sussurra: “tu sei un žid”, lo prende per i capelli, sbeffeggia i suoi nobili pensieri e lo piega verso una sudicia fossa».241 Questa “sagoma giudaica” – la cui lettura potrebbe esser fatta sul piano razziale o psicologico – bloccata dall’intelletto dell’eroe, è in potenza infame e perfida. Purtroppo, anche tenendo a freno il “žid” interiore, l’eroe percepisce che i russi, pieni di pregiudizio, condannano a priori il maskil ateo dall'irreprensibile comportamento. Pur rivolgendosi al reale colpevole dell’omicidio chiamandolo “maledetto žid scabbioso” (“prokljatyj parch”), sente la presenza di quel “žid” interiore – colpa della sua rovina – di cui non si è mai liberato: anche se da una parte disprezza la razza ebraica «che ha generato una marmaglia di canaglie, imbroglioni, 240. Jasinskij, Po gorjačim sledam, 5, p. 248. 241. Ibidem, pp. 248-249.

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impostori», dall’altra è talmente legato ai “židy” che il suo tradimento sarebbe punito da un qualunque “žid”, che lo «toglierebbe dalla faccia della terra».242 Quando alla fine realizza che tra “evrej” e “žid” non c’è più alcuna differenza e che il “žid” interiore è l’ebreo errante (“Večnyj Žid”), pone fine con il suicidio all’insopportabile condizione di “eterno ebreo”. Secondo il punto di vista dell’autore, dunque, l’“evrej” non può diventare un “uomo nuovo” perché in realtà l’“evrej” non esiste: qualunque ebreo non è mai un “evrej” ma è l’ennesima incarnazione dell’“eterno” “žid”, e come “žid”, cioè senz’alcuna possibilità di emancipazione, dovrà morire. Il vampiro All’ebreo-maskil-nichilista l’autore oppone l’immagine dell’ebreovampiro coniugata con la figura di ebreo-motore dell’economia – l’attività primaria dell’ebreo-vampiro nella čpo è, infatti, proprio lo sfruttamento economico dei contadini. Nel romanzo l’ebreo-vampiro-e-sfruttatore è reso sul piano lessicale con l’appellativo “parch”, che sta per “parchatyj žid”, “žid scabbioso”. Nel prostorečie, il lessico popolare, l’ebreo è tipizzato fisicamente con la scabbia (ucr. “parcha”, rus. “parša”), la malattia della cute che si manifesta con bollicine e forte prurito e che lascia segni indelebili sul volto del malcapitato. Il termine è usato ampiamente nella discussione pubblica della questione ebraica, da cui attinge chiaramente l’autore. Dunque, qual è il significato che l’autore assegna a “parch”? Innanzitutto, prototipo del “parch” è Judka Šapošnik, un vero “žid” con cernecchi (“pejsy”) che osserva usi e costumi ebraici. Inoltre, un “parch” è un ashkenazi che da una parte osserva la tradizione religiosa degli ebrei dell’Europa orientale e le rigide regole alimentari, si veste in lapserdak e porta lunghi cernecchi, dall’altra è uno sfruttatore senza scrupoli dalle grandi capacità commerciali. Senza i “parchatye židy” – utili “nullità giudaiche” (“ničtožnye iudei”)243 – l’economia della čpo sarebbe in stallo. Il “parch” appartiene alla schiera di ebrei raffigurati dal sostantivo polisemico “žid”, contrapposto a “evrej”. “Židy” in questo caso sono gli ebrei – chassidim delle province occidentali e mitnagdim della Lituania – che osservano la tradizione e rifiutano la modernità e l’educazione dello stato, contrapponendosi a “evrei” – la borghesia dei maskilim ebrei più o meno russificati. L’“evrej” è Kalman, alieno da pregiudizi culturali e lontano dallo spirito del “žid”. Tale dicotomia tra 242. Ibidem, p. 267. 243. L’autore assegna la paternità di quest’espressione a Kostomarov.

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il significato maggiormente positivo (o meno negativo) di “evrej” e quello propriamente negativo di “žid” corre per tutto il romanzo: a compiere l’omicidio rituale, dice il giudeofobo ucraino Onuprienko, sono stati “židy” e non “evrei”; a sporcare il buon nome degli “evrei” (“evrejstvo”) sono le azioni criminali del mondo dei “židy” (“židovstvo”); a vivere la storia millenaria e a portare il marchio d’infamia degli ebrei per il mondo è l’“Ebreo errante” (“Večnyj Žid”), che non può essere l’eroe, perché è un “evrej” e non un “žid”. Con la contrapposizione “žid” vs. “evrej” riecheggia l’aspra polemica sull’uso dei due termini nel corso della trentennale discussione pubblica della questione ebraica. Inoltre, dall’immaginazione e dal pregiudizio popolare derivano le raffigurazioni di ebrei-parassiti-e-sfruttatori – che, rielaborate nella discussione pubblica della questione ebraica, penetrano nel romanzo giudeofobo. In opposizione all’“evrej” Kalman è Ajzik Pec, “žid” del kahal e archetipo di qualunque ebreo-parassita-e-sfruttatore della realtà russa. Nome e cognome sono ricalcati da due personaggi di precedenti romanzi antinichilisti giudeofobi: Vladimir Christianovič Pec di Bezdna e Ajzik Šacker di T’ma egipetskaja. Del primo il “žid” di Jasinskij, oltre al cognome, riprende il lavoro legato alla distilleria, del secondo invece, oltre al nome, ricalca il fanatismo religioso: se come lavoratore alla distilleria di alcolici Pec gode della piena fiducia del suo direttore – cioè proprio l’“evrej” Kalman – come fanatico “talmudista” beneficia del rispetto dell’intera comunità di “židy”. Pec possiede una casa conforme all’iconografia dell’ebreo errante: la sua struttura prefabbricata è facile da smontare e si può trasportare velocemente ovunque.244 La narrazione comincia proprio da questa casa, dove i “židy” apparentemente festeggiano il Bar Mitzvah della figlia di Pec: Musja. Attraverso il prisma dell’immaginazione e del pregiudizio un vicino di Pec vede gli avvenimenti che accadono in casa del “žid”: nella visione fantastica gli occhi di Pec, a capo di una seduta del beth din, sono di color rosso sangue – caratteristica del “žid”-vampiro della pubblicistica giudeofoba; inoltre, il consiglio segreto del kahal spacciato per la festa del Bar Mitzvah assume le forme del rituale ebraico del sangue – la raccolta del sangue “kosher” di un fanciullo. Nella visione del vicino i “židy” affilano i coltelli 244. Secondo Slezkine (Slezkine, The Jewish Century, p. 9) sul piano della decorazione, dei colori, delle ristrutturazioni le case ebraiche in Ucraina non erano simili a quelle contadine né armoniche con il paesaggio: erano le abitazioni temporanee e mobili dei figli d’Israele, un popolo nomade che non aveva sposato lo spazio ma il tempo.

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mentre il fanciullo giace controvoglia, con braccia e gambe legate. Scrutando da una fessura, l’uomo osserva i rabbini e moltissimi altri “židy” che sul «bel giovinetto, come un vitello, […] apportano incisioni e fanno uscire il sangue» ripetendo «“kosher, kosher!”» – secondo l’osservatore, infatti, «il žid, avendo una tale legge, non può [vivere] senza sangue», che raccoglie «goccia a goccia».245 Tra realtà e finzione, l’uomo vede “židy” riempire di sangue piccole boccette per la distribuzione nelle farmacie delle città. La visione termina con lo sguardo dell’osservatore ipnotizzato dagli occhi rosso sangue. Dunque in questo romanzo, realizzando immagini appena accennate nelle altre narrazioni giudeofobe, il “žid” si trasforma, almeno nell’immaginario popolare collettivo, in un vero vampiro succhia-sangue. In questo caso l’autore non inventa, ma propone insinuazioni e pregiudizi del popolo e della pubblicistica giudeofoba. Proprio la pubblicistica giudeofoba si occupa dell’ebreo-vampiro sin dal 1869, quando F. Samochin pubblica Evrei arendatory (Ebrei affittuari):246 i contadini chiamano gli ebrei sanguisughe, e tuttavia, a differenza delle sanguisughe che, sazie del sangue, si staccano dall’ospite, gli ebrei si attaccano alla comunità rurale per succhiarne l’energia senza trovare opposizione, e «non esiste alcuna forza al mondo in grado di farli staccare».247 A un mese dalla pubblicazione di Evrei arendatory, un secondo articolo248 riproduce varie immagini, tratte dalla tradizione popolare, di “židi-randari” (il termine ucraino per ebrei affittuari usato negli articoli da Kostomarov e Kuliš). In risposta agli ebrei intermediari – che infastidiscono, strapazzano, imbrogliano i contadini – e agli ebrei tavernieri – che li ubriacano –, la fantasia popolare reifica l’immagine del demone-“žid”: l’ebreo tentatore che «per sedurre l’anima del cristiano assume un aspetto umano».249 Se l’autore riprende le fantasie popolari dalla pubblicistica giudeofoba riproducendole liberamente nel suo romanzo, l’eroe ne teme il disastroso risveglio: grazie a una delazione calunniosa, quelle fantasie popolari produrrebbero infatti una distruttiva “reazione a catena”. La delazione di Onuprienko – che, pieno di propri pregiudizi, ritiene che l’eroe interpreti «il ruolo del vampiro sulle cui labbra è presente del sangue umano»250 – assume la forma di voci popolari incon245. Jasinskij, Po gorjačim sledam, 1, p. 4. 246. «Kievljanin», 23 (25/II/1869). 247. Ibidem. 248. «Kievljanin», 35 (25/III/1869). 249. Ibidem. 250. Jasinskij, Po gorjačim sledam, 6, p. 504.

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trollate: del presunto omicidio rituale è accusato proprio Kalman, descritto dal giudeofobo come un ebreo dai tipici tratti vampireschi – «labbra rosse [e] occhi arrossati, che […] spalma di sangue»,251 Altra raffigurazione, a metà tra narrazione biblica e fantasia popolare, che riproduce le immagini prodotte dal «Kievljanin» nei decenni precedenti, è l’ebrea “ammaliante seduttrice-serpente” (“čarujuščaja zmejka-soblaznitel’nica”) – cioè Musja, figlia di Pec, che lancia incantesimi ebraici (“evrejskie čary”) e, alludendo allo spargimento di sangue, ama punzecchiare Onuprienko con un ago. L’ebrea incarna la sorella del vampiro-“žid” che ha bisogno della sua vittima «come una sanguisuga del sangue».252 Onuprienko, ottenebrato dall’ebrea, definisce l’“ammaliante seduttrice-serpente” Musja una “ninfa strisciante” (“nimfa presmykajuščaja”), una “seduttrice giudea” (“soblaznitel’naja iudejanka”), una “vessatrice di anime” (“mučitel’nica duš”). Musja è una chiara evoluzione delle figure di ebrea seduttrice che parte dalla Marija di Bulgarin – il prototipo – e passa per la Sara dell’“amico” Vagner: l’ebrea seduce il nemico, lo conquista, gli impartisce ordini, lo umilia, lo schiavizza, e alla fine, dominandolo completamente, lo rende innocuo, inoffensivo. Musja partecipa attivamente al complotto giudaico-muliebre contro la Russia ordito dal kahal. Ebbene, come sfondo alle azioni di Musja e Onuprienko Jasinskij pone il quadro di Giuditta e Oloferne: in ogni rappresentazione pittorica del passo biblico l’ebrea mozza con la spada la testa al nemico assiro. Giuditta è il prototipo scritturale della patriota ebrea pronta a tutto pur di salvare il suo popolo. Tuttavia l’immagine, non rimandando solamente alla Bibbia, ripete un motivo già apparso nel romanzo di Vagner: nella quarta parte di Tёmnyj put’ l’ebrea Gesja afferma di sentirsi Giuditta e di vedere il suo Oloferne in Vladimir. A differenza della Giuditta biblica, Musja non esegue materialmente la condanna a morte di Onuprienko emessa dal kahal, ma, invece di mozzare la testa al suo nemico, esprime il desiderio di strappargli il cuore. Il kahal e l’emancipazione degli ebrei Jasinskij descrive nel romanzo il kahal di Podlesnyj, uno shtetl immaginario della Bielorussia. Tuttavia, la potenza del kahal non è limitata alla čpo. Come una piovra la comunità ebraica locale estende i propri tentacoli 251. Ibidem, p. 505. 252. Jasinskij, Po gorjačim sledam, 8, p. 258.

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fino agli ambienti importanti delle capitali russe. Il kahal è talmente influente da condizionare persino i più importanti rappresentanti dell’Impero che si levano in difesa del mondo ebraico, noncuranti degli interessi del popolo russo. Come già esposto da Krestovskij nel “discorso del rabbino”, il kahal di Jasinksij usa due metodi per controllare e mantenere il proprio potere sulla società russa: la concussione e l’omicidio – perché dove non riesce il denaro, arriva la spada. Inoltre, il kahal, grazie al “giogo” delle cambiali, tiene in pugno personaggi di spicco anche della società di provincia – persino il capo della polizia. L’autore scrive che la struttura della comunità, secondo le disposizioni del Talmud, è divisa in classi sociali non comunicanti, con il divieto di passaggi di “casta” e matrimoni misti: al vertice ci sono i “patrizi” del kahal – come Pec – che conoscono i segreti del Talmud, e alla base sono posti i “plebei” am ha-aretz – come Kalman. Nel corso del romanzo l’eroe racconta come vivono gli ebrei nella čpo e, mutatis mutandis, in tutto il mondo: nella čpo – dov’è «impossibile trattare senza un evrej»253 – ogni comunità possiede il proprio kahal economicamente indipendente grazie alla “korobočka” (in città come Odessa, ripete disgustato l’autore, pagata persino dai cristiani). Grazie alla speciale legislazione antiebraica (che non limita il kahal, bensì lo avvantaggia), e grazie anche al mantenimento delle secolari consuetudini esteriori (il caffettano, i cernecchi, ecc.), il kahal si rafforza economicamente, domina la regione e contemporaneamente conserva la propria individualità o, per meglio dire, alterità ebraica. Afferma l’autore tramite il suo eroe che se la legislazione antiebraica non imponesse il divieto ai matrimoni misti e permettesse dunque agli ebrei di sposarsi con i cristiani ortodossi «si leverebbe un antisemitismo tale mai visto prima in Europa»254 e il governo dovrebbe ricorrere ai militari, sparando contro i russi, pur di difendere il popolo ebraico. Ricodificando le immagini di Brafman, la voce dell’autore per bocca dell’eroe sottolinea che il mondo ebraico della čpo con i suoi kehalim è un’enorme società internazionale controllata dal centro parigino: riferendosi chiaramente all’aiu, l’autoreeroe trasforma gli ideali reali dell’associazione nel programma rivoluzionario di «rovesciare l’ordine della società e dello stato e sostituirlo con l’ateismo, il comunismo e l’anarchia».255 Il primo passo del programma è 253. Jasinskij, Po gorjačim sledam, 8, p. 264. 254. Jasinskij, Po gorjačim sledam, 2, p. 261. 255. Jasinskij, Po gorjačim sledam, 3, p. 496.

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l’attacco al valore economico della moneta nazionale russa con l’immissione sul mercato di banconote false per aumentare l’inflazione e distruggere il credito. Primo rappresentante del kahal locale è Pec, “deputato degli evrei” (“deputat evrejstva”). La definizione rimanda alla storia del kahal nella prima metà dell’Ottocento, cioè prima della definitiva abolizione, quando fu realmente rinominato “commissione deputata” e i suoi membri “deputati”.256 L’uso anacronistico di una terminologia obsoleta quasi all’alba del ventesimo secolo è spiegato dal fatto che l’autore non descrive una vicenda d’attualità ma, nel riecheggiare Brafman, sta semplicemente evocando una realtà storica fuori dal tempo, cioè avvenimenti vecchi di oltre mezzo secolo. Nel momento in cui l’autore scrive, il kahal è ormai un organo che esiste in rare forme clandestine; inoltre, al lettore russo coevo accennare all’esistenza di un’aristocrazia ebraica ricorda soprattutto il barone Gincburg e il suo circolo.257 A questa élite nobiliare ebraica, dunque, rimanda il personaggio di Pec. Nel kahal Pec è un morejne – figura a cui Brafman dedica la postilla 12 di Kniga Kagala. Grazie a Kniga Kagala – probabilmente dall’edizione del figlio, Aleksandr Brafman – e alla trilogia di Krestovskij, Jasinskij apprende del morejne – come anche del diritto di meropia, e di altri dati della legislazione e dell’organizzazione della comunità ebraica. Sparse nel romanzo, sono elencate le funzioni del morejne: interrogare sotto giuramento qualsiasi ebreo su questioni economiche, assegnare il posto in sinagoga, rilasciare permessi di lavoro, concedere dietro compenso il diritto di meropia, cioè sfruttare i non-ebrei – perché il beneficiario della meropia presta soldi per poi “strozzare” il debitore. Il morejne Pec è un “kagal’nyj sud’ja”, cioè un giudice del tribunale del kahal (“kagal’nyj sud”) detto anche tribunale talmudico (“talmudičeskij sud”). In questo modo l’autore lega il kahal al Talmud – riprendendo l’anti256. Minkina (Minkina, “Evrejskoe dvorjanstvo”) afferma che una nuova aristocrazia ebraica sorse, tra la fine del XVIII e gli inizi del XIX secolo – periodo in cui sono redatte le Pinkas (Protocolli) del kahal di Minsk pubblicate da Brafman – come contraltare all’inquadramento del kahal nei ranghi dello Stato: dal 1803 al 1844 il kahal fu organo ufficiale degli ebrei con cui l’amministrazione ebbe un confronto diretto. I “deputati” (membri) della “commissione deputata” (kahal) – considerata un’istituzione statale di alto rango che valeva quasi quanto un ministero – dovevano condurre un regime di vita caratteristico dei vertici della nobiltà della capitale. 257. Gli aristocratici à la Gincburg, nella storia degli ebrei russi, sostituirono dal punto di vista pratico il kahal sia nel rappresentare di fronte allo stato il mondo ebraico, che come suo portavoce “illuminato”. Cfr. Nathans, Beyond the Pale, pp. 38-43.

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talmudismo propagandato da Aksakov sin dai primi anni della discussione pubblica della questione ebraica.258 Come membro del tribunale il morejne, occupandosi di affari civili e penali, può condannare ebrei – ladri, rapinatori, criminali – a pagare ammende o alla pena capitale, e agire nei confronti di un non-ebreo nocivo agli interessi dell’ebraismo attraverso limitazioni, concussione, false accuse e nei casi estremi la morte. Nel romanzo il kahal tenta inizialmente di corrompere Tat’jana, la giovane cristiana accusata di concupire un ebreo, poi emette la condanna a morte, eseguita da due “židy”; uno dei due esecutori, un “micic”, avendo in sinagoga il compito di «succhiare via il sangue dalla ferita della circoncisione»,259 è il più adatto a compiere un omicidio apparentemente rituale. L’autore, dunque, accusa dell’assassinio di Tat’jana il kahal dei “židy”. Secondo l’“intelligencija giudeofoba” l’accoglimento della richiesta di parità di diritti fatta dai pubblicisti ebrei è direttamente condizionato dall’esistenza del kahal, che l’“intelligencija ebraica” – ripetono i giudeo­fobi – si ostina a non denunciare. Proprio con l’opposizione “kahal vs. emancipazione-parità-di-diritti” l’autore s’inserisce ancora una volta nella discussione pubblica della questione ebraica: attraverso le parole di Kalman si mostra contrario a equiparare i diritti degli ebrei a quelli degli altri cittadini. Per riassumere l’intera questione, l’autore usa il dialogo-scontro tra Tolbuzin – giovane liberale russo giudeofilo che incarna l’ideologia della pubblicistica russo-ebraica – e Kalman – che rappresenta l’“odio di sé ebraico” à la Brafman.260 Ripetendo concetti tratti dalla pubblicistica e dalla legislazione sulla questione ebraica, secondo Tolbuzin gli ebrei sono “cittadini utili” (“poleznye graždane”) al commercio nella čpo e, dunque, allo sviluppo economico della regione; nel chiedere uguaglianza di diritti (“ravnopravnost’”) si mostra contrario alle restrizioni di legge e auspica la cancellazione dell’obbligo per gli ebrei di risiedere nella čpo. L’“evrej” Kalman, al contrario, sostenendo la legislazione restrittiva, dichiara di non aver mai subito limitazioni legislative, ma anzi di aver usufruito della riforma parziale dell’obbligo di residenza e dunque essersi potuto laureare in medicina ed entrare di diritto nella società russa; inoltre, secondo l’eroe il diritto di residenza nelle capitali – il “cervel258. In «Den’», 25 (31/III/1862), giornale diretto da I.S. Aksakov, è pubblicato Neskol’ko slov o Talmude (Alcune parole sul Talmud), firmato con lo pseudonimo A. Aleksandrov (A.N. Aksakov, cugino di I.S. Aksakov). 259. Jasinskij, Po gorjačim sledam, 7, p. 9. 260. Seguendo un altro percorso alle stesse nostre conclusioni arriva Dudakov (Dudakov, Paradoksy i pričudy, p. 447).

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lo del paese” – è solo dei diplomati e non dei “židy” senza diploma, su cui, rischiando d’ingrassare le file del proletariato, devono invece abbattersi le restrizioni; per l’eroe, infine, le rappresentazioni della čpo sono un “mito” non credibile, di cui è colpevole proprio la popolazione ebraica, considerata una potente comunità di parassiti estranea ai lavori pesanti in grado di controllare l’economia della regione. Dalle parole dell’eroe svanisce definitivamente la distinzione tra “evrej” e “žid”: Basta [saper] rilegare male i libri, cucire molto male abiti da donna e da uomo, intagliare in modo orribile stivali, fare in modo pessimo il fabbro, il meccanico, ecc., da permettervi, se foste un evrej, accesso libero proprio nel cuore della Russia. Ma gli evrei [“evrejstvo”] costituiscono una massa di parassiti tali da non potersi nemmeno fingere lavoratori. Il mestiere per l’evrej è una piaga d’Egitto; ed egli si lamenta esigendo i diritti del parassita. […] vuole che lo ammettiamo in qualità di mercante e oste, e non di artigiano. L’evrej è una sanguisuga, è una persona che prende da voi una provvigione per il fatto che portate un cucchiaino alla bocca. […] gli evrei godono di diritti migliori rispetto a quelli dei russi! […] Le domando […] se lei e tutti i suoi conoscenti […] organizzaste una comunità, e in un’altra città un qualsiasi altro Tolbuzin organizzasse una comunità tale e quale, e così anche in una terza città e poi in una quarta, ed ogni comunità avesse proprio denaro e a poco a poco si allargasse, e alla fine si formasse una comunità enorme che avvolgesse tutta la Russia meridionale, mi permetta [di domandarglielo], il governo tollererebbe un tale modello? […] e se lo tollerasse, potrebbe esser definito una sua [di Tolbuzin] mancanza di diritti? Pensa dunque che non debba esser chiamato un particolare privilegio? No, ci pensi bene, non sono i soldi forse il mezzo più potente nelle mani di qualunque comunità?261

Calunnia del sangue e pregiudizi antiebraici La calunnia di Jasinskij è molto più sottile di quella di Markevič. Secondo l’autore, le storielle mitologiche attorno ai “židy” nascono proprio per colpa del mondo ebraico: si tratta della classica accusa dell’antigiudaismo cristiano, cioè “la colpa ricade sempre sugli ebrei”. Kalman scherza in maniera crudele con una sua dipendente polacca, la spaventa con storie sull’ubiquità ebraica – in grado di essere ovunque l’eroe si divide in più parti incarnando in un’unica persona, similmente all’antico Israele, le dodici tribù –, sadicamente la minaccia di metterla in una botte chiodata e farla rotolare 261. Jasinskij, Po gorjačim sledam, 2, pp. 258-259.

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per il cortile fino a privarla del sangue. Da Kalman si presentano due “evrei”: Il’ja Borisovič Ašmul, giovane proprietario di terreni e tenute in Polonia, e Isaj Michajlovič Lejbovič, ricco industriale del legname, un “evrej” civilizzato (“cybulizovannyj”),262 cioè educato al ginnasio e membro di una società scientifica ebraica. Anche Lejbovič e Ašmul, prendendosi pesantemente gioco della polacca, ripetono l’accusa – già vista nell’immagine dei “židirandari” – che i “židy”-vampiri bevono come sanguisughe il sangue del popolo. Dalla credulità di persone come la dipendente polacca, che, credendo a tutto, scambia per realtà la pura finzione, avverte l’eroe, nascono le leggende sul “cannibalismo” ebraico. È proprio il macabro umorismo caratteristico dei “židy”, aggiunge, colpevole di generare voci mostruose nei confronti del popolo ebraico. La forza del mito, conclude, ha fatto sì che persino gli “evrei”, incluso egli stesso, hanno cominciato a credere nell’esistenza di una setta ebraica dedita all’uso del sangue per scopi rituali. Il motivo più appariscente dell’intero romanzo è l’accusa del sangue. Viene ritrovato il cadavere di Tat’jana Drajca, giovane cristiana che lavorava presso una taverna dei “židy”. Per il popolino si tratta di omicidio rituale, mentre le autorità propendono per un delitto classico commesso dagli ebrei: dice, infatti, il capo della polizia che «i židy sono persone tali e quali a noi e non sgozzano nessuno».263 Tuttavia, poiché le masse ignoranti non distinguono tra “židy” ed “evrei”, l’“evrej” Kalman ha paura dell’effetto che l’accusa di omicidio può avere sul popolo: teme che queste voci alimentino nel popolo lo spirito di vendetta contro gli ebrei determinando lo scoppio di un pogrom contro l’intera comunità. I timori dell’eroe riportano alle violenze esplose dopo lo zaricidio, quando il popolo, accusando i “židy” di aver ucciso lo zar “unto del Signore”, distruggeva lo spazio ebraico senza fare alcuna distinzione tra “židy” ed “evrei”. I lavoratori della distilleria gestita da Kalman incolpano dell’omicidio la comunità ebraica: gli ebrei hanno ucciso la ragazza cristiana per impedire la conversione al cristianesimo di un giovane ebreo. Secondo Onuprienko – che focalizza la propria attenzione sui motivi per cui «i židy, e si noti che non parlo d’evrei, hanno versato il sangue»264 262. Questo calembour tra “civilizzato” (ru. “civilizovannyj”) e “cipolla” (ucr. “cybulja”), riproduce anche il modo di storpiare la lingua russa da parte degli ebrei. La cipolla costituisce inoltre nel gioco di parole un elemento prettamente connotativo come ingrediente base della cucina ebraica dell’Europa orientale, più volte citata sulle pagine del primo capitolo di T’ma egipetskaja di Krestovskij. 263. Jasinskij, Po gorjačim sledam, 4, p. 24. 264. Ibidem, p. 33.

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di una cristiana – l’omicidio è un esempio verosimile di “fanatismo sanguinario” (“krovožadnyj fanatizm”). Kalman riporta le accuse rivolte ai “židy” osservanti dello «spargimento [rituale] del sangue, […] cioè bevono ogni giorno un bicchierino di sangue di fanciullo o persino di vergine, a colazione e a pranzo»,265 constatando con ciò che l’accusa diverge da quella classica: nell’accusa del sangue il sangue dei bambini è estratto per la Pasqua ebraica; inoltre, qui si parla non di bambini, bensì di vergini – come se si celebrasse una messa nera. Grande è il “timore giudaico” (“velik strach iudejskij”) dell’eroe secondo cui i pregiudizi sugli ebrei portano tutto il mondo ebraico alla catastrofe – maskilim inclusi. I pregiudizi, infatti, vanificano tutti gli sforzi del maskil per uscire dal “židovstvo”, attraverso l’istruzione, la russificazione culturale e persino l’ateismo religioso. Il popolo, che disprezza profondamente i “židy”, non fa alcuna distinzione tra un “prokljatyj parch” e un “evrej”. Per questi motivi Kalman è considerato comunque un “žid”, che percepisce come un “marchio d’infamia” insopportabile. In mancanza di una verità attorno alla scomparsa di Tat’jana, l’eroe teme che dal fermento dei pregiudizi – «mito, favola, tanto peggio» – si arrivi alla catastrofe. Perciò auspica che si scoprano modi, motivi e colpevoli (“židy” o cristiani) dietro all’omicidio «e la vendetta del popolo non sarà rivolta contro tutti gli evrei, ma solo contro i singoli individui che faranno i conti con la giustizia».266 Senza queste certezze il destino di un “evrej” istruito, triste a causa della vita in uno shtetl della čpo e l’emarginazione della società, è appesantito dal ritrovarsi «nella condizione d’accusato sia per il giudizio della massa analfabeta che per un tale organo governativo [la polizia], il cui dovere è “dissipare le tenebre”».267 L’incertezza sull’esito delle indagini rafforza chiacchiere e pregiudizi e rischia di fomentare feroci pogrom, che colpirebbero anche il maskil “evrej” perché appartenente alla “razza ebraica” e dunque ritenuto un “žid”: La mattanza dei židy268 cominciò [in un piccolo shtetl della Bielorussia] perché qualche ragazzotto ebreo aveva calato sugli occhi il berretto a un ragazzotto cristiano. Per un futile motivo quante famiglie furono gettate sul lastrico! e quanto ha sofferto il mio povero amico dottor Tripol’skij, solo per 265. Jasinskij, Po gorjačim sledam, 6, p. 506. 266. Jasinskij, Po gorjačim sledam, 5, p. 256. 267. Jasinskij, Po gorjačim sledam, 6, pp. 502-503. 268. Ciò che Kostomarov chiama “židotrepka”, cioè “mattanza dei židy”: i disordini scoppiati nel biennio 1881-1882 a Elizavetgrad, Odessa, Kiev e altre città della Russia meridionale.

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il fatto di avere gli occhi arrossati e un tal nasaccio! […] Dunque, sono un gatto […] Žid significa che tu mangi topi o che i topi li abbia mangiati tuo padre, e sopporti quando la massa ignorante irrompe nella tua camera, fracassa e demolisce tutto, ti fa volare dal secondo piano e oltraggia tutte le persone a te care. Sei colpevole, e come gatto sei punito dai topi che hanno perso la pazienza a causa della tua oppressione.269

Dalle iniziali metafore vampiresche-demoniache si giunge, dunque, a una definizione di “žid” legata al mondo animale, metafora del mondo economico: “žid” incarna la figura del gatto che gioca con il popolo contadino, il topo; essere “žid” significa mangiare il topo e poi sopportare la ribellione-pogrom del topo-massa ignorante in una tempesta oltraggiosa di violenza e distruzione; “žid” significa essere il gatto colpevole di opprimere profondamente (sul piano economico) i topi, che in un secondo tempo, persa la pazienza, si vendicano per le precedenti vessazioni attraverso la violenza del pogrom. Antigiudaismo, giudeofobia, antisemitismo Il “židovstvo” è mostrato, attraverso il prisma dell’antigiudaismo cristiano, guidato dal “Gran Sinedrio degli accusatori di Cristo”, mediato dall’immagine del Sinedrio di Napoleone – che invece aveva promesso agli ebrei l’abbattimento delle differenziazioni sociali e la parità di diritti, dunque in antitesi con la società piramidale degli ebrei della čpo. Jasinskij, tuttavia, acquisisce la terminologia inerente al kahal attingendo da una prospettiva giudeofoba al mito del Gran Sinedrio,270 creando la figura calunniosa del potentissimo Gran Giudeo, l’“Archižid”, il capo del kahal, capace di decidere della vita e della morte di qualsiasi persona. Se Onuprienko individua erroneamente l’“Archižid” nell’“evrej” Kalman, nel racconto questa figura è proprio Pec, membro della “commissione deputata” – il kahal – a capo del “židovstvo”. Se la non-ebrea Serafima in Vagner serve per spiegare la giudeofobia come malattia psico-sociale, in Jasinskij un ebreo, Kalman, riconosce nel mondo ebraico, il “židovstvo”, una malattia patologica senza rimedi. Proprio a causa di questo “židovstvo” l’eroe è costretto dagli eventi, dal pensiero comune e dai pregiudizi secolari, a incarnare la figura del “Večnyj Žid”, l’ebreo errante. Dalla visione giudeofoba di un “židovstvo” come malattia si passa dunque a una di tipo antigiudaico in cui la storia degli ebrei, “maledetti 269. Jasinskij, Po gorjačim sledam, 5, pp. 256-257. 270. Cfr. Dudakov, Istorija odnogo mifa, p. 262.

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senza Cristo” (“nechristi prokljatye”), è condizionata dalla colpa del deicidio e dalla conseguente condanna: la diaspora per il mondo, la mancanza di patria, il disprezzo generale dell’umanità. Questo “žid” errante è costretto ad abbandonare la Russia e trasferirsi in America, a New York, dove è non più “žid”, ma “novyj čelovek”, l’“uomo nuovo”, una persona civilizzata. In queste immagini è possibile scorgere il grande movimento migratorio degli ebrei che, dopo i pogrom del 1881-1882, cominciano in massa ad abbandonare gli shtetlekh “semiselvaggi” dell’Impero russo per acquisire la cittadinanza di una nuova patria “civile”. Ebbene: l’emigrazione oltreoceano è l’unica soluzione prospettata dall’autore alla questione ebraica. Come ricorda Kalman, infatti, non basta convertirsi all’ortodossia per perdere, di fronte al popolo, lo status di “evrei” e essere considerati russi: lo stesso eroe, che concepisce ogni fanatismo come baluardo d’ignoranza e perniciosa inimicizia, a causa dell’origine etnica viene ritenuto dal popolo appartenente al “židovstvo”, a cui è ineluttabilmente legato a causa del sangue ebraico. Molto più evidente che in Krestovskij, questo legame tra “židovstvo” e sangue ebraico è proprio un chiaro riferimento alle teorie razziste del movimento antisemita tedesco. In Jasinskij, “amico” di Suvorin, antigiudaismo, giudeofobia e antisemitismo agiscono in modo esplosivo e prospettano come unica soluzione possibile alla questione ebraica, oltre all’impraticabile suicidio dei maskilim, proprio l’esodo biblico verso la nuova “terra promessa”. La situazione ideologica prospettata da Jasinskij corrisponde ai risultati del famoso studio di J. Katz sul movimento sionista come contrapposizione e reazione a quello antisemita.271 Il programma politico del sionismo, infatti, è connesso con l’evolversi, in questo periodo storico, dell’antisemitismo in Europa. Com’è noto, la concezione centrale dell’antisemitismo si basa proprio sulla nozione della razza e del sangue del “maledetto” popolo d’Israele. 5. Sredi evreev Dall’ebraismo ortodosso al cristianesimo ortodosso: l’“odio di sé ebraico” e la kahalofobia Proveniente da una famiglia di mitnagdim lituani, Efron-Litvin studia nel corso degli anni sessanta nella scuola rabbinica di Vil’na fino al 1870. 271. Katz, Zionism vs. Anti-Semitism.

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Dal 1869 comincia la sua critica al mondo ebraico tradizionale: diventato gradualmente una sorta di neo-Brafman colmo d’“odio di sé ebraico”, pubblica su varie riviste racconti di argomento ebraico che negli anni assumono un carattere sempre più polemico. Inizialmente ispirato dagli articoli di Levanda sul «Vilenskij Vestnik», in seguito focalizza l’attenzione della sua opera sul mondo ebraico. Nell’analisi critica dell’ebraismo, Efron-Litvin elabora, partendo dal Bazarov di Turgenev, la seguente tesi: l’uomo non può essere studiato come un albero; a differenza dell’albero, ogni uomo individualmente rappresenta un singolo mondo; se ogni uomo rappresenta un mondo singolo da studiare, allo stesso modo ogni singolo popolo o stato, come l’insieme d’innumerevoli singoli mondi, ha un diritto ancora maggiore a uno studio particolare; senza questo studio «non è in alcun modo possibile comprendere i suoi bisogni spirituali, e fors’anche materiali».272 Tuttavia, l’opera di Efron-Litvin, contraddicendo la tesi precedente, è improntata più sulla calunnia che sullo studio asettico del mondo ebraico. L’apice di questa tendenza è Syny Izrailja (I figli d’Israele; 1899), pièce scritta a quattro mani con il drammaturgo V.A. Krylov: nel 1900 al Malyj teatr di Pietroburgo – in quel periodo diretto proprio da Suvorin – la prima messa in scena dell’opera, rinominata Kontrabandisty (Contrabbandieri), provoca grande scandalo.273 Influenzato dalla visione religiosa di N.P. Giljarov-Platonov, direttore di «Sovremennye izvestija» nonché slavofilo collaboratore di Aksakov,274 Efron-Litvin, una volta convertitosi – verso la fine degli anni settanta – al cristianesimo ortodosso, sostiene di sentirsi pienamente russo.275 L’autore confronta Giljarov-Platonov con le due celebri figure del nazionalismo russo della seconda metà dell’Ottocento: Katkov e Aksakov. Tuttavia, scrive Efron-Litvin, a differenza delle due autorità, che «operavano per i vertici», Giljarov-Platonov, sul piano dell’orizzonte intellettuale di più larghe vedute, era propenso a una democrazia di stampo non occidentale «elaborata dal genio popolare russo»,276 cioè basata sui valori morali dell’Impero: ortodossia, autocrazia, popolo-nazione. Sredi Evreev è l’opera di Efron-Litvin che, oltre a essere legata all’evoluzione di un’idea giudeofoba e all’esplosione di un odio religioso, è soprattutto alla base della versione romanzata della storia (a priori) dei psm. 272. Efron-Litvin, Missionery i načetčiki, pp. 60-61. 273. Levitina, Russkij teatr i evrei, II, pp. 13-36. 274. Efron-Litvin, Missionery i načetčiki, pp. 5-30. 275. Rejtblat, Litvin, p. 368. 276. Efron-Litvin, Missionery i načetčiki, p. 21.

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Pubblicata inizialmente a puntate nel 1896 sulle pagine dell’«Istoričeskij Vestnik» di Suvorin277 e poi l’anno successivo inserita in una raccolta di racconti,278 col tempo la povest’ acquisisce notorietà. Tuttavia, nella trama del romanzo il furto di documenti non è reale, ma simulato: alla morte del vecchio proprietario, le testimonianze epistolari della rete ebraica mondiale, passate in eredità al nuovo legittimo proprietario – estraneo alla rete ebraica –, sono raccolte e portate a Pietroburgo. Ecco in breve la trama. L’eroina del racconto, la pietroburghese Pelageja, ingaggiata da Michail Borisovič Berdičevskij come istitutrice per le figlie Sorenca e Roza, si reca a Central’sk – nome di fantasia di uno shtetl della čpo. Della famiglia Berdičevskij fanno parte anche la giovane moglie aristocratica – figlia del milionario Bobrujskij, legata alla Weltanschauung dell’Haskalah, che ha vissuto in Occidente e ama l’alta società di Pietroburgo – e il vecchio padre Boruch, ricco tradizionalista ortodosso. Da casa Berdičevskij sono banditi i cristiani: l’eroina, nei panni dell’ebrea Peša, lavora in incognito. Boruch ingaggia la ragazza come segretaria per un lavoro delicato che richiede il massimo riserbo e da cui dipende il futuro degli ebrei. Tryndin, uno degli ebrei che frequentano casa Berdičevskij e che conosce la vera identità della ragazza, appreso del lavoro segreto di Pelageja, escogita un piano per eliminarla. La ragazza, tuttavia, si salva grazie al colpo di genio. Bluffando, sostiene di aver ricopiato alcuni importanti documenti del vecchio e di averli spediti a Pietroburgo a un’amica pronta a consegnarli alle autorità. La vicenda prende così una diversa direzione. Il vecchio progetta di sposare Pelageja, che, secondo lui, a differenza del figlio maskil, è la custode ideale in grado di gestire, oltre ai soldi, anche le relazioni che lo rendono forte, potente e dominatore del mondo. Durante il banchetto in onore dello zaddik arrivato in città per il matrimonio, Pelageja, disgustata, getta il cibo “kosher” in terra – secondo gli ebrei un’azione sacrilega perché tramuta il cibo in “tref”. Segue il colpo di scena: insultata, Pelageja svela la sua vera identità, provenienza e religione. Boruch muore colto da infarto. Pelageja si salva dalla furia degli ebrei pronti a ucciderla. La nuora di Boruch è felice di essere diventata la nuova ricca padrona di casa. Secondo la volontà della “Santa Confraternita” (“Chevre Kadiše”), il funerale ha un costo esorbitante e il vecchio è condannato alla sepoltura come un criminale assieme a ladri e truffatori, senza cerimonia e onori. Il kahal inoltre vuole indietro tutti i docu277. «Istoričeskij Vestnik», 10-12 (X-XII/1896). 278. Efron-Litvin, Sredi Evreev.

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menti di Boruch, e per ottenere questo è pronto a sottrarli con ogni mezzo e a qualsiasi prezzo. Tuttavia, la nuora è stata previdente: per cautelare se stessa e la casa dalla furia della folla inferocita ha chiamato in aiuto la forza pubblica; in questo modo i documenti del kahal sono ben protetti. Con la minaccia di usare i protocolli, la nuora ordina al kahal di fare un fastoso funerale e dare al defunto gli onori della sepoltura ebraica. Inoltre parte assieme a Peša per Pietroburgo, portando con sé l’archivio di Boruch; il prezioso archivio le permette di non temere il kahal e tenere lontano ogni pericolo. Sredi Evreev può essere considerato un T’ma egipetskaja semplificato. Perdendo completamente la componente antinichilista, il romanzo è di matrice esclusivamente giudeofoba: la descrizione dell’attività del kahal mondiale – il collante di tutte le comunità locali – che progetta la dominazione del mondo; l’esposizione dei progetti del kahal in lettere segrete provenienti da ogni parte della terra, inviate al “grande vecchio”, leader della comunità; l’anticipazione narrativa dell’esistenza di protocolli segreti – forse proprio i falsi psm –, a dimostrazione del vincolo indissolubile tra il kahal ebraico mondiale e tutte le singole comunità locali della terra. Inoltre, la vicenda si svolge in un’immaginaria Central’sk, un luogo che ricorda la fantasiosa Ukrainsk di T’ma egipetskaja. I prestiti dagli altri romanzi giudeofobi sono molto evidenti.279 La figura di Boruch è costruita dall’autore secondo procedimenti non realistici. Come si è dimostrato in un articolo dedicato a Zamužestvo Revveki (Il matrimonio di Rebecca), Efron-Litvin,280 al pari di Bogrov,281 aspira alla creazione di un’enciclopedia in negativo della vita 279. In particolare, Bobrujskij, il cognome da nubile della signora Berdičevskaja – la nuora, come vedremo, del “grande vecchio” – è lo stesso Volk, il “falso” Bobrujskij in Bezdna di Markevič. Deve però essere rilevato che è falsa l’affermazione di Dudakov (Dudakov, Istorija odnogo mifa, p. 136.) che nella famiglia di Moisej (sic!) Borisovič Berdičevskij c’è, oltre alle due figlie e alla moglie – conosciuta per tutto il romanzo come madame Berdičevskaja –, il milionario Bobrujskij – padre della moglie. Il cognome dovrebbe legare il rivoluzionario Volk al vecchio Boruch, a capo del kahal mondiale. Tuttavia il milionario Bobrujskij non compare in Sredi Evreev: se ne parla esclusivamente nel momento in cui l’autore presenta la nuora di Boruch. Il vecchio Boruch, inoltre, è il padre di Michail (Michel’ke) Borisovič (Boruchovič) Berdičevskij: non esiste quindi alcun Moisej; cioè, il nome del figlio di Boruch indicato da Dudakov non corrisponde all’originale di Efron-Litvin. Dunque, il legame tra Boruch e Volk delineato da Dudakov non esiste. Semmai, esiste una connessione tra il nichilismo di Volk e la nuora di Boruch, anche se il primo è sostanzialmente un nichilista anarchico e la seconda una convinta liberale viennese. 280. Cifariello, La memoria funzionale di un antisemita, pp. 47-74. 281. Cavaion, Memoria e poesia, pp. 92-93.

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ebraica attraverso il sovvertimento della scala dei valori del popolo eletto. Il cristiano ortodosso Efron-Litvin conosce in modo profondo ciò che ha ripudiato – lingua, storia, usi e costumi degli ebrei – e, carico dell’“odio di sé ebraico” rifiuta l’identità d’origine attraverso il sovvertimento della realtà, cioè storia e conoscenza diretta: nel forgiare i propri racconti da una parte crea ex-novo un’enciclopedia dell’ebraismo dai valori sovvertiti, dall’altra assorbe la tradizione giudeofoba dei decenni precedenti. Nella sua produzione c’è sempre un ebreo che da una posizione interna al mondo ebraico manifesta dubbi sulla religione e sugli usi ebraici, mentre tutti gli altri ebrei difendono i valori “sovvertiti” dal kahal.282 Boruch è costruito proprio attraverso il procedimento del “sovvertimento”: sebbene l’origine “plebea” lo collochi tra gli am ha-aretz, il “grande vecchio” è posto – secondo la logica giudeofoba che scombina realtà e storia – a capo del kahal mondiale. I membri del kahal, i “deputati” della “commissione deputata”, erano proprio la nobiltà ebraica della čpo opposta ai “plebei” am ha-aretz. Sia il padre di Tamara in T’ma egipetskaja che Michail in Sredi Evreev vivono all’occidentale e sono maledetti dalla comunità fino alla terza o quarta generazione. Simile alla morte del padre di Tamara in T’ma egipetskaja, è la morte di Boruch in Sredi Evreev: la “Confraternita funebre” chiede un’enorme somma di denaro per il funerale e vuole seppellire il defunto senza cerimonie nella parte del cimitero riservata ai criminali. Prossimo alla Riška in Tёmnyj put’ e alla Musja in Po gorjačim sledam è il personaggio di Sorenca, una bambina deviata che incarna uno spirito demoniaco ammaliatore. La comprensione del testo di Efron-Litvin è, dunque, imprescindibile dalla lettura dei precedenti romanzi antinichilisti di matrice giudeofoba. Tuttavia, a differenza degli scrittori precedenti, Efron-Litvin conosce il punto di vista dell’“intelligencija ebraica”, avendo persino provato profonda stima per quelli che, come Levanda dalle pagine del «Vilenskij Vestnik»,283 hanno criticato profondamente il mondo ebraico. L’autore si muove con agilità in entrambi gli schieramenti: lo storico Gessen nota infatti che nel 1895 pubblica opere giudeofile per il «Voschod» di A. Landau – Moj djadja reb Šebsel’-Ejzer (Mio zio reb Šebsel’-Ejzer) – e contemporaneamente giudeofobe per l’«Istoričeskij Vestnik» di Suvorin – Smert’ deda Simchi (La morte di nonno Simcha).284 Dunque, l’autore opera con 282. Dudakov, Faktosočinitel’stvo kak literaturnyj žanr, p. 98. 283. Rejtblat, Litvin, p. 368. 284. «Buduščnost’», 47 (1900), p. 950.

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una personalità multipla e quasi schizofrenica: con l’aiuto di una potente immaginazione e da una duplice posizione sullo stesso argomento riscrive la realtà ebraica per soddisfare le richieste del mercato librario, guadagnare il più possibile e soprattutto alimentare il senso d’avversione e di sospetto verso il modo di vita degli ebrei.285 A cavallo di due mondi, l’autore rielabora la questione ebraica attraverso il metodo della calunnia e della diffamazione e quello del sovvertimento della scala di valori del mondo ebraico. L’enorme e terribile segreto di Boruch da cui dipende la felicità del popolo d’Israele non solo riassume i discorsi e i progetti degli ebrei esposti già nei romanzi di Markevič, Vagner, Krestovskij e Jasinskij, ma racchiude anche un elemento innovativo: l’archivio segreto del “grande vecchio” contenente i documenti del kahal universale. L’idea dell’archivio del “grande vecchio” poggia, ovviamente, sulle reali “pinkas” di Minsk pubblicate da Brafman, e tuttavia, al posto delle traduzioni di atti di un vero kahal, l’autore nutre l’immaginazione del lettore con il piano segreto per la dominazione del mondo attraverso l’archivio del kahal universale ebraico. L’elemento più calunnioso che traspare dalla corrispondenza è l’unione tra il mondo di Boruch – i chassidim – e le altre componenti dell’“evrejstvo”, compresi gli ebrei atei ed emancipati di Vienna. Secondo l’autore, dunque, tutto il mondo ebraico è governato dal kahal universale, che a sua volta, attraverso il mondo ebraico, vuole conquistare le nazioni della terra. Inoltre, l’immagine del kahal più forte di qualsiasi altra legge o istituzione e più potente dell’Ordine dei Gesuiti riporta alla mente i concetti espressi nel Kniga Kagala e in Iezuity Iudejstva da Brafman. I gesuiti dell’ebraismo di cui parla Efron-Litvin – cioè, secondo Brafman, i membri dell’aiu nel mondo e dell’ope in Russia – controllano il mondo ebraico in modo così profondo che riescono persino a dettare le politiche economiche a banchieri come i Rothschild. Il riferimento ai Rothschild è chiaramente collegato al discorso del rabbino in T’ma egipetskaja, e dunque porta a collocare la vicenda narrata negli anni settanta. D’altronde, il racconto si svolge in un segmento cronotopico irreale e aperto all’immaginario del lettore tipico dell’epoca, capace, grazie alle conoscenze personali, di collocare il mondo descritto in un tempo della storia russa che va dalle prime riforme di Alessandro II fino allo zaricidio del 1 marzo 1881 e ai successivi pogrom antiebraici. Il discorso del rabbino di T’ma egipetskaja evolve qui nella breve profezia del “grande vecchio” all’eroina: è prospettata l’insurrezione 285. Gincburg, Literatura rynočnogo sprosa, pp. 26-28.

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e la vittoria finale, per diritto divino, dell’oppresso popolo eletto contro l’oppressore cristiano. Alla conquista del mondo da parte degli ebrei gioca un ruolo fondamentale il kahal universale, di cui il “grande vecchio” è capo incontrastato. L’“odio di sé ebraico” dell’autore – al pari dell’“odio di sé ebraico” del defunto Brafman – porta a porre la questione ebraica esclusivamente attorno al problema del kahal. L’unica soluzione, secondo l’autore, è usare i documenti del kahal contro il kahal stesso. Un suggerimento che è stato colto in pieno dall’autore o dagli autori dei psm.286 Tratti tipizzanti della giudeofobia russa Dei classici tratti somatici e caratteriali tipici dell’ebreo descritti dalla giudeofobia russa è zeppo il testo di Efron-Litvin. Attraverso l’eroina – che di norma evita i repellenti “židy” e per cui portare, anche simulando, un nome ebraico, condurre una vita “all’ebrea” e, in un certo qual modo, «rinnegare il proprio nome cristiano»,287 è un’«umiliazione morale»288 – l’autore descrive Michail, così come gli altri ebrei, secondo lo schema classico, attraverso i tratti stereotipici dell’ebreo: viso sgradevole, naso lungo e ricurvo, ricci corvini, una luce maligna negli inquieti occhi neri, sensuali labbra carnose. Tratto caratteriale deplorevole è inoltre l’umiliante codardia. L’autore ripropone i tratti tipicamente antigiudaici che si fondano sulla figura del traditore Giuda Iscariota: la slealtà, il doppiogiochismo, l’amore per i soldi, l’amoralità, la vigliaccheria, la delazione, divengono il prototipo caratteriale di tutta la razza ebraica.289 Michail è presentato, quindi, come un vigliacco «che ha paura di tutti, in particolare del padre e della moglie, che lo sottomette completamente».290 Nel descrivere il rapporto tra Sorenca e Boruch, ai precedenti tratti tipici l’autore unisce la morbosità: la “voce felina” è un miagolio demoniaco della bambina per ingraziarsi il nonno amato più dei genitori e ritenuto un vero e proprio amante per cui battersi. Il legame morboso tra Boruch e Sorenca eleva la bambina al di sopra degli intimoriti abitanti di casa 286. Un posto importante nella storia dei psm è assegnato all’opera di Efron-Litvin nel 1943 nel n. 1-2 (47) di «Welt-Dienst»: secondo G. Schwartz-Bostunitsch, nazista ucraino collaboratore di Himmler, Efron-Litvin fu un importante testimone dell’autenticità dei psm (cit. in Dudakov, Istorija odnogo mifa, p. 169). 287. Efron-Litvin, Sredi Evreev, p. 19. 288. Ibidem, p. 20. 289. Dudakov, Istorija odnogo mifa, p. 64. 290. Efron-Litvin, Sredi Evreev, p. 34.

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Berdičevskij. Roza, la figlia minore di Michail, possiede un aspetto ancor meno piacevole, contraddistinto da un’esagerata gracilità e dai segni di una recente scrofolosi. Com’è noto, un’offesa rivolta agli ebrei era “giudeo scabbioso”, “parchatij žid”. Se l’aspetto di Sorenca è lo specchio di una bambina cattiva e capricciosa, quello di Roza non è conforme alle qualità interiori: pronta, sveglia, attenta, assimila bene le spiegazioni dell’educatrice. Al contrario, vincere l’atteggiamento viziato e malvagio di Sorenca, l’incarnazione di «uno spirito maligno e demoniaco»,291 diviene il podvig dell’educatrice. Per l’eroina è sorprendente come Boruch, un banale “žid mingherlino” (“pljugavenkij židoček”) dalla testa strana, con un aspetto dimesso, occhi semichiusi, una kippah di velluto bisunta, viso pallido e labbra emaciate, incuta in tutti, perfino in Sorenca, «bambina viziata, cattiva e capricciosa»,292 un timore reverenziale. Il vecchio, di bassa statura, quando si accende di rabbia diventa un gigante nel corpo e nello spirito: «un žid forte, serio, vendicativo e minaccioso come Geova»,293 capace di incutere puro terrore, uno spietato tiranno che riconosce solo la propria autorità, «calpesta e schiaccia tutti con il suo peso»,294 delinque in nome del suo Dio. Dalle precedenti tipizzazioni giudeofobe è esente la raffigurazione fisica ed estetica della nuora di Boruch, che, assieme a Michail, per convinzioni personali, stile di vita, ateismo, è lontana dal “žid”: i due coniugi, allettati da modernità, occidente cristiano e grandi capitali, ritengono che «si debba imparare proprio dai cristiani come vivere».295 La nuora, inoltre, rifiuta la possibilità di vivere tra gli ebrei dopo una futura rifondazione del regno d’Israele in Palestina – culmine del pensiero dei “palestincy”.296 Le accuse di Tryndin – un assiduo frequentatore di casa Berdičevskij – alla nuora di Boruch di essere «stupida e malvagia» e allo stesso tempo «furba e falsa»297 appaiono come generiche critiche nei confronti di una persona non allineata al volere della comunità ebraica: in nome dell’occidente, del 291. Ibidem, p. 42. 292. Ibidem, p. 24. 293. Ibidem, p. 25. 294. Ibidem, p. 33. 295. Ibidem, p. 17. 296. Nel terribile biennio 1881-1882 si formarono in Russia diversi partiti dell’emigrazione, in particolare il Bilu (ebr. “‫”בילו‬, acronimo dal versetto di Isaia 2, 5: «‫»בית יעקב לכו ונלכה‬, cioè “Bet Yaakov, lekhu ve-nelkha”), movimento giovanile nato nel gennaio 1882 che prospettava un ritorno nella terra dei padri; cfr. Frankel, Gli ebrei russi, pp. 109-171. 297. Efron-Litvin, Sredi Evreev, p. 34.

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progresso, dell’emancipazione femminile (di černyševskiana memoria), la donna, infatti, rifiuta la tradizione del suo popolo. Altro motivo topico della giudeofobia è la rappresentazione della rete di ricche comunità ebraiche che controlla l’economia del paese. Tuttavia, la descrizione dei membri della rete esula dalla tipizzazione classica dell’ebreo. Della rete fa parte Tryndin, il cui aspetto è ben diverso dall’ebreo classico: bassa statura, un viso discreto, franco, basette ricciute e ben curate, benevoli occhi grigi; all’aspetto sembra un uomo completamente innocuo. La conoscenza estetica si oppone però alla consapevolezza etica. Per lo scrittore, infatti, l’etica non può riprodursi semplicemente dalle descrizioni fisiche, ma è necessario penetrare profondamente nell’animo umano – unico e irripetibile – per scoprire la vera essenza dell’individuo. Tryndin è «una persona furba, riservata, non benevola, e possiede in generale tutte quelle qualità negative proprie degli evrei non del tutto civilizzati»;298 il suo viso provoca inoltre involontariamente un senso di repulsione, “gadlivost’”, da accostare ai termini simbolici per indicare nel romanzo nichilista il male, cioè “rettile”/“vigliacco-porcheria”, “gad”/“gadost’”;299 l’involucro esterno, cioè la fisionomia di Tryndin, nasconde internamente un nucleo maligno, lo spirito di un demonio: in questo caso il nichilista è trasformato dall’autore in un membro del kahal. Anche alla classica figura del finanziere ebreo – in questo caso senza cilindro – sono miscelati i tratti della bestia: il milionario Trejmler è un giovane alto, magro, con fronte stretta e sudata, naso lungo e ricurvo, bocca larga, labbra grassocce, occhietti piccoli, neri e splendenti come un topino, capelli corti neri e ricci, braccia lunghe e curve come uno scimmione, sguardo vile come una lepre. La simbologia animalesca di questa descrizione è molto forte, rendendo in pieno il disprezzo antigiudaico di un cristiano; inoltre gli occhi di topo, le braccia di scimmia, lo sguardo di lepre non raffigurano semplicemente il “žid”, ma ricostruiscono visivamente l’uomo-bestia (“čelovek-zver’”) contrapposto a “uomo-a immagine e somiglianza di Dio” (“čelovek-obraz i podobie Božie”), cioè l’opposizione “bestiale” (“tvarnoe”) vs. “spirituale” (“duchovnoe”): Trejmler è Giuda Iscariota, il figlio del male, il traditore anticristiano; Trejmler è l’ultima incarnazione nella letteratura russa del prototipo del finanziere ebreo su cui si fonda la giudeofobia oggettiva, ap298. Ibidem, p. 31. 299. Cfr. Starygina, Russkij roman, pp. 140-158; Cifariello, Boris Akunin e il romanzo antinichilista giudeofobico, p. 173.

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parso nella sezione finale – Evrejskaja melodija (Melodia ebraica) – del noto poema di Nekrasov Sovremenniki (I contemporanei, 1875). Contrapposizione di modelli culturali I personaggi sono inizialmente presentati attraverso l’opposizione {russo vs. ebreo}, {sincerità vs. menzogna}, {Pelageja vs. Michail}. Se per Michail è necessario mentire al padre sull’ebraicità dell’educatrice, per Pelageja, incapace a simulare, c’è il rischio che la sua vera identità sia smascherata. Il personaggio della nuora di Boruch rappresenta l’ulteriore contrapposizione {ebreo russo-tradizione vs. ebreo europeo-modernità}, {inciviltà-arretratezza vs. civiltà-progresso}. In qualità di donna progressista, infatti, la nuora ammette di essere fedele al progresso e alla civiltà, di aver vissuto in Europa e lì appreso «come si viva e si debba vivere da persone civili».300 Il progresso dell’Occidente si basa su educazione e cultura – gli obiettivi perseguiti dalla nuora della finzione e dall’“intelligencija russo-ebraica” della realtà – in contrapposizione all’arretratezza culturale dei “židy” della čpo – il mondo di Boruch. Al progresso occidentale – e al nichilismo dello Čto delat? – Boruch oppone l’economia domestica attraverso cui la donna può diventare imprenditrice, arricchirsi e accumulare capitale. Per Boruch – a cui importa solo l’utilità economico-religiosa della cultura – l’unica scienza è la ragioneria e l’unico insegnamento è la «sacra lingua [degli] evrei».301 Secondo la mentalità del povero arricchito, del “nuovo ricco”, l’educazione statale è qualcosa di funzionale al denaro, all’accumulazione di un capitale, all’arricchimento economico; parimenti l’arricchimento spirituale deriva unicamente dall’ebraismo e dalla scuola ebraica. Per Boruch, infatti, fondamento di qualsiasi conoscenza sono gli antichi libri sacri, in particolare il Talmud: nel Talmud è scritto tutto ciò che serve all’uomo, e soprattutto che «oltre al Dio d’Israele non c’è alcun Dio».302 Unicamente grazie alle proprie forze, l’ignorante “am ha-aretz” Boruch è divenuto un uomo potentissimo che non riconosce altra autorità oltre ai soldi.303 Proprio i soldi – di diverso peso nella scala dei valori delle culture ebraica e cristiano-giudaica – sono lo spunto per la successiva contrapposizione {soldi come mezzo vs. soldi come fine}. Infatti, se i cri300. Efron-Litvin, Sredi Evreev, pp. 17-18. 301. Ibidem, p. 29. 302. Ibidem, p. 75. 303. Ibidem, p. 33.

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stiani amano i soldi come mezzo per vivere bene, «l’evrej ama i soldi in quanto tali», perché «lo riempiono di felicità e fortuna, lo rendono forte e potente».304 Secondo l’autore, rinnegando le proprie origini, se per l’ebreo è possibile farsi cristiano, per il cristiano è impossibile diventare ebreo: passare dal cristianesimo all’ebraismo significa simulare, recitare una parte prefissata, agire falsamente, corrompere i principi morali e religiosi, rinunciare al nome cristiano, fingere persino di pregare. Questo porta alla nuova opposizione {ebreo-codardia vs. cristiano-coraggio}. Il coraggio e la temerarietà di Pelageja sono riconosciute da tutti gli ebrei e dallo stesso Boruch, che se ne innamora. L’atteggiamento del vecchio nei confronti della falsa ebrea è il risultato vincente dell’azione della fata (“volšebnica”) cristiana: in sostanza, si passa da una Sorenca-strega malvagia che tiene in scacco casa Berdičevskij attraverso l’autorità del nonno, a Pelageja-fata, capace d’incantare anche il “žid” più temuto e malvagio. Alla fine del romanzo Pelageja appare nella sua vera essenza di predicatrice di Cristo: al Dio ebraico della vendetta oppone «il Dio [cristiano] dell’amore e della misericordia».305 In qualità di falsa ebrea, Pelageja è dunque una figura femminile positiva di origine russa e di fede ortodossa in risposta alla serie di ebree seduttrici degli altri romanzi antinichilisti. Un’ulteriore opposizione è {Regno della natura vs. mondo ebraico}, costruita attraverso un procedimento descrittivo, improvvisamente interrotto dalla voce dei personaggi. Al paesaggio pittoresco della campagna russa che dona estasi e pace, l’autore oppone casa Berdičevskij, definita dagli ebrei un “vero paradiso” (“nastojaščij raj”): colma di libri, la casa è il sacrario del volume ornato, dorato, rilegato in pelle, prezioso. Gli ebrei amano i libri perché «il libro per gli ebrei è il miglior ornamento per la casa».306 La descrizione serve a fomentare una calunnia insensata contro il “popolo del libro”, come per dire: “gli ebrei amano i libri, al pari dei soldi, solo per accumulazione, e non, come i cristiani, in quanto mezzo per aumentare la propria cultura personale”. Attraverso la sua eroina, delineando nettamente il confine che esiste tra la natura del cristiano e quella dell’ebreo, l’autore giunge alla terribile conclusione – che poi è la summa del suo pensiero – che “gli ebrei sono esseri inferiori per razza e condizione”: 304. Ibidem. 305. Ibidem, p. 107. 306. Ibidem, p. 16.

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nella natura dell’evrej si è radicato qualcosa che lo fa costantemente sentire umiliato in presenza di cristiani. L’evrej, per quanto sia ricco, civilizzato, evoluto, per quanto disprezzi i cristiani considerandosi il rappresentante di una razza [“rasa”] superiore e prescelta [dal Dio d’Israele], tuttavia in presenza di un cristiano si sente a disagio e con tutte le forze si adopera per servirlo, mostrandogli particolare ossequio. Del resto, persino il loro correligionario Lassalle di questa capacità ebraica attesta […] “che i millenni di schiavitù gli hanno fatto assimilare le abitudini degli schiavi”. Dubito che Lassalle avesse ragione. Voleva, come evrej intelligente, semplicemente addossare la colpa a noi, cristiani, e delle cause dell’umiliante condizione degli evrei dava una spiegazione più arguta che veritiera.307

Il “grande vecchio” e il kahal mondiale Boruch, innanzitutto, incute timore grazie allo sguardo. Lo sguardo come specchio dell’anima è un concetto – non originale – che si ripete per tutta l’opera e qui si rifà alla simbologia manichea del romanzo antinichilista. Lo sguardo di Boruch, mostro fanatico, non ha bisogno di presenza fisica: il vecchio possiede la capacità di vedere anche a occhi chiusi, cioè prevede le azioni degli altri attraverso il temuto “terzo occhio”. Oltre allo sguardo, la voce è fonte costante di nuovo terrore: all’eroina pare che il vecchio quando parla, agitando nell’aria le dita ossute, si trasformi in un enorme ragno che l’avviluppa nella tela, pronto a «morderle lentamente il corpo e succhiarle via il sangue».308 Sono immagini terribili: il ragno enorme che succhia il sangue della vittima è metafora del vecchio disgustoso, “gadkij”, in cui *gad-, che indica qualità negative quali la vigliaccheria, riporta alla mente l’immagine di “orribili rettili striscianti”. In quest’affresco è presente, ancora una volta, il parallelo tra l’animale del demonio e la forza impura e anticristiana del grande vecchio che ordisce «sempre nuovi intrighi», è dietro a ogni complotto e spia «le azioni di tutti».309 Boruch, inoltre, incute timore a tutti perché è il “grande vecchio” – riproduzione letteraria di vari anziani ebrei quali Moses Montefiore, filantropo difensore dei diritti degli ebrei morto centenario nel decennio precedente, o Adolphe Crémieux, fondatore dell’aiu morto ultraottantenne nel 307. Ibidem, p. 39. 308. Ibidem, p. 82. Sulla metafora “žid-pauk” a partire dal Dnevnik pisatelja di Dostoevskij, cfr. Zolotonosov, Ochutokoc-Achum, pp. 81-89. 309. Efron-Litvin, Sredi Evreev, pp. 43-44.

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1880 – ai vertici dell’onnipotente kahal dei “židy” – organizzazione che, come una rete, si trova ovunque sulla terra e da cui, dunque, è impossibile nascondersi. La temeraria Pelageja non trema davanti al “grande vecchio” perché non conosce la potenza del kahal né la posizione di Boruch. Ammettendo la possibilità di ribellarsi al kahal e ai suoi membri che sono semplicemente dei vili (“podlye”), secondo l’eroina non opporsi a esso significa compiere un’«azione terribilmente bassa e vile».310 Tuttavia, secondo l’autore il kahal è reale, forte, pericoloso e malvagio: andare contro il “grande vecchio” – e, dunque, contro il kahal – significa «armare il kahal contro se stessi».311 Il kahal, infatti, è più potente non solo di qualsiasi legge o istituzione sulla terra, ma persino dell’Ordine dei Gesuiti – che «al proprio tempo […] tenevano nelle proprie mani re, imperatori, papi e governavano tutto il mondo… […] erano crudeli e per raggiungere i propri scopi non disdegnavano alcun mezzo: uccidevano le persone di nascosto e anche in modo manifesto, torturavano e bruciavano sui roghi».312 Il kahal agisce in segreto senza che nessuno possa ostacolarlo: fa vittime innumerevoli «e allo stesso modo punisce senza pietà tutti quelli che lo ostacolano o che gli oppongono resistenza; siano essi evrei o cristiani».313 È chiaro dunque che al passato complotto gesuitico – che nell’ottica russa significa polacco – l’autore accosta automaticamente il complotto segreto del kahal ebraico volto alla dominazione del mondo: ai nemici e agli oppositori il kahal invia avvertimenti vari fino alla tortura o all’omicidio. Il nucleo centrale del racconto è il pacco di documenti – «tutti i segreti d’Israele»314 – conservato negli appartamenti del “grande vecchio”, di cui l’eroina è messa a conoscenza e per cui, minacciata di morte, è obbligata alla riservatezza. Il topos del “discorso del rabbino”, appena accennato nel brevissimo sermone del “magid” – che racconta «dell’antica grandezza d’Israele, del tempio, dei sacrifici e, nel descrivere con tinte fosche l’ira di Geova […] per i peccati del popolo prescelto, [della distruzione] del tempio e [della dispersione] d’Israele per la faccia della terra, richiama i presenti alle preghiere e alla mortificazione della carne»315 – , è sviluppato maggiormente nelle parole di Boruch. Il “grande vecchio” afferma che «le oppressioni e le persecuzioni del 310. Ibidem, p. 35. 311. Ibidem. 312. Ibidem, p. 37. 313. Ibidem. 314. Ibidem, p. 57. 315. Ibidem, p. 87.

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popolo eletto», odiato e disprezzato da tutti, «hanno preso dimensioni tali che è vicina l’ora in cui empie popolazioni diranno che Israele non ha il diritto d’esistere!». La questione, avverte il vecchio, non ruota «solo intorno alle avversità materiali, alle limitazioni dei diritti civili degli ebrei», ma soprattutto all’attacco di queste «popolazioni maledette» alla religione e al Dio degli ebrei: «Chiudono le nostre case di preghiera e le nostre scuole; s’intromettono nell’educazione dei nostri figli; ci impongono le proprie scienze e si fanno in quattro per toglierci lo “tselem Elohim” (cioè a immagine e somiglianza di Dio), con cui Dio ci ha segnato per distinguerci dagli altri popoli».316 Lo scopo delle “popolazioni maledette”, sostiene Boruch, è far scomparire gli ebrei dalla faccia della terra attraverso l’assimilazione, cioè «mischiarsi con il grande popolo, creato per l’abbellimento del mondo divino, per farlo svanire senza lasciar traccia». Tuttavia, il vecchio è convinto che «il Signore non priverà la terra del suo migliore ornamento»: terminato l’esilio, il Dio d’Israele «riunirà da tutti gli angoli della terra la stirpe di Giacobbe e farà sì che il suo popolo sottometterà tutte le altre popolazioni; e tutte queste popolazioni lo serviranno, come Lui […] ha promesso attraverso i profeti». Secondo Boruch non è importante che molti ebrei si sono assimilati coi non-ebrei e, dunque, si sono schierati con il nemico: «Si sono staccati i soli rami secchi e marci; la radice d’Israele è sana e dà nuovi germogli! Crescerà come mai prima l’arbore d’Israele e disporrà ampiamente i suoi nuovi rami su tutto il mondo».317 Secondo il “grande vecchio” il futuro riserva a Israele la dominazione sugli altri uomini, destinati a servirlo come schiavi. Nel frattempo, in attesa del radioso avvenire, gli ebrei sono destinati a «soffrire e con rassegnazione subire la punizione divina per i […] peccati e provare con tutte le forze a non mescolarsi agli eterodossi, a non affratellarsi con loro, a non imparentarsi, per conservare nella purezza la stirpe di Giacobbe».318 Dunque, Boruch, come gli altri prescelti, consacra il proprio lavoro «a vantaggio d’Israele e per la gloria di […] Dio»: «conservare nella purezza se non tutto il […] popolo almeno un suo granello; quando passerà l’ira divina Egli si ricorderà del Suo popolo, darà a questo granello gravidanza plurima, lo accrescerà e lo renderà più numeroso della sabbia del mare». Nel piano è assegnato un compito anche all’eroina: Pelageja, donna d’ingegno e di cultura, deve «servire entrambi, Dio e il Suo popolo, allo stesso modo delle migliori mogli come Debora, Ester, […] Non 316. Ibidem, p. 55. 317. Ibidem, p. 56. 318. Ibidem.

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invano è stato detto: “Una vergine ti verrà in aiuto (Israele) e ti salverà”».319 Il vecchio ha bisogno di Pelageja per occuparsi della corrispondenza segreta. Le lettere, chiuse in una piccola scatola, divise per lingua, sono state inviate da tutto il mondo da un numero considerevole di ebrei devoti (cioè da Berlino, Parigi, Vienna, Londra, Costantinopoli, New York, Madrid, e Gerusalemme – il “centro del mondo”): «impegnati nella lotta contro gli infedeli», questi ebrei «dedicano il proprio tempo e i propri capitali alla grande opera di preservare la purezza delle […] sante leggi e proteggere i […] correligionari dall’enorme disgrazia di essere sottoposti a leggi altrui e di mischiarsi con le popolazioni impure di cui il mondo è pieno». In questa lotta per l’esistenza, che «diviene una questione di vita e di morte», vinceranno gli ebrei guidati dalla mano di «Dio, che gli ha dato la Torah sul monte Sinai, li ha posti alla testa di tutte le nazioni, li ha sollevati su tutte loro, e ha promesso loro in eredità il mondo intero». Ebbene, gli ebrei, cioè «il popolo del regno», sono destinati a vincere «tutte le genti» per soggiogarle e dominarle, «grazie alle virtù che ha conferito loro [agli ebrei] proprio Dio Sabaoth [il Signore degli eserciti]» mentre «le nazioni empie soccomberanno grazie alle passioni donate loro da Satana».320 Nel leggere le lettere l’eroina «comprende quale terribile potenza fosse concentrata nelle mani degli ebrei e come la utilizzassero a danno di tutta l’umanità»: in alcune «si trasmettevano i diversi segreti di diversi governi e in modo particolareggiato si comunicava di progetti di legge in preparazione e imprese di enorme importanza»; certi mittenti, «accolti come “gli eminentissimi d’Israele”», volevano reagire all’oppressione delle popolazioni non-ebraiche, «mentre altri venivano biasimati» perché era necessario soccorrerli; erano esposti «interi programmi con l’indicazione di come si dovesse agire riguardo al governo di questo o quello stato». Dalle missive, pervase da «quel terribile odio e quell’arrogante disprezzo verso i non-ebrei», apprende che gli ebrei – «dispersi per tutto il globo terrestre», accomunati dagli stessi interessi e «riuniti nel lottare contro tutti gli altri popoli» – «come una fitta rete hanno avvolto tutti gli stati e, come un ragno, succhiano via senza posa tutti i succhi vitali delle proprie vittime». Dalle lettere emerge, dunque, che gli ebrei si considerano «i padroni di tutto il mondo» e «comandano tutti gli stati».321 319. Ibidem, p. 57. 320. Ibidem, p. 58. 321. Ibidem, p. 59.

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L’eroina è stupefatta dal fatto che dietro al vecchio “židok” analfabeta si nasconde un potente della terra che tiene «in mano tutti i fili della politica europea», che a lui sono «noti tutti i segreti dei governi europei, che lui, con la sua misera persona, rappresenta un’eminenza dell’organizzazione più potente del mondo, chiamata kahal universale».322 Inoltre, da tutto il mondo politici e finanzieri si rivolgono «a quest’infimo židok con grandissimo rispetto e venerazione»323 per dargli incarichi importanti e chiedergli consigli e istruzioni. Da una parte il “mondo ebraico” (“evrejstvo”) insidia «la morale, il benessere e la religione»324 dei governi e dei popoli non russi, dall’altra il kahal universale, tramite le filiali europee e i vari kehalim locali, tenta di mandare in bancarotta la Russia attraverso la richiesta di pagamento dell’enorme debito estero: infatti, gli ebrei dei grandi centri dell’Europa occidentale e centrale hanno preso misure «per far fallire […] l’ultimo prestito». I vari rappresentanti del kahal, dunque, definiti agenti segreti dotati di potenti mezzi al lavoro dai loro centri, costringono i Rothschild, «contro la loro volontà, a dare al governo russo un ultimatum»:325 in cambio di un contribuito della banca per sanare il debito «concedere agli ebrei parità di diritti». Pelageja viene, infine, a conoscenza degli innumerevoli mezzi posseduti da «questi agenti segreti, queste talpe che lavoravano nelle proprie tane e fessure», dei tantissimi «segreti degli ebrei e […] dell’opera segreta dei kahal ebraici» di cui ora è in grado di seguire «tutti i fili degli […] intrighi».326 Il succo dei documenti e degli intrighi segreti, secondo l’autore, è racchiuso in Lamentazioni, 1: 1-2, la chiave scritturale del “discorso”: gli ebrei pregano Dio perché «innalzi il loro regno, gli restituisca l’indipendenza, li elevi su tutti i popoli e rigeneri il tempio». Basato sulle scritture, il lavoro del kahal è qualcosa di occulto, sotterraneo, e i membri sono agenti segreti che partecipano agli intrighi mondiali. Boruch, il “terribile žid” (“strašnyj žid”) a capo del kahal mondiale, di fronte al quale chiunque prova i brividi della paura e del terrore, «ha sotto di sé tutti gli ebrei della terra».327 L’atteggiamento impavido e temerario rende l’eroina agli occhi del “grande vecchio” una sua pari, cioè una talpa-agente segreto capace di muoversi nel mondo oscuro del kahal e mantenere profondo riserbo. 322. Ibidem. 323. Ibidem. 324. Ibidem. 325. Ibidem. 326. Ibidem, p. 60. 327. Ibidem, p. 92

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Pelageja al contrario ritiene l’azione segreta del kahal nient’altro che male terribile (“strašnoe zlo”), attività disgustosa (“gnusnaja dejatel’nost’”) che si rivolge contro l’umanità tutta. L’accostamento degli aggettivi “strašnyj” e “gnusnyj” riporta ancora al mondo del romanzo antinichilista, in cui le azioni di agenti segreti e terroristi sono la parte visibile del più complesso complotto contro il genere umano. “Gnus’” indica una qualità negativa, legata al mondo animale: il male terribile è il prodotto della disgustosa attività bestiale degli uomini-talpa del kahal, pronti a portare il mondo intero, attraverso le loro trame e i loro complotti, sull’orlo del baratro. Il “grande vecchio” svela all’“eroina”-“agente-segreto” tutti i segreti d’Israele, e la rende persino partecipe di tutte le attività del kahal. Tryndin, che conosce invece il segreto dell’eroina, sente di avere il diritto di agire nel modo più terribile contro la ragazza, “cattiva” (“skvernaja”) come il peggior serpente, una terribile ingannatrice (“strašnaja obmanščina”) che, in qualità di acerrima nemica d’Israele, rappresenta un pericolo per tutto il mondo ebraico, kahal incluso. Pelageja è divenuta un rettile strisciante, il più pericoloso dei rettili-uomini-bestia, capace di combattere il male con un male ancor più grande, in grado di ingannare, secondo un’ottica tutta litviniana, chi già inganna il mondo. Per Tryndin questa nuova minaccia a Israele può essere combattuta attraverso la distruzione totale del nemico. Tuttavia l’eroina, simbolo antinichilista della difesa del mondo dal complotto del kahal, all’inganno risponde con l’inganno, alla viltà senza limiti dei “židy” (“židovskaja trusost’”) – che trasforma “rabbia” (“zlost’”), “boria” (“vysokomerie”), “rozzezza” (“grubost’”) in “un unico terrore” (“odin tol’ko strach”) – reagisce con il “coraggio” (“chrabrost’”) e il “sangue freddo” (“chladnokrovie”). Se il kahal universale del “grande vecchio” incarna un grandissimo potere, il destino d’Israele è nelle mani dell’eroina cristiana che, senza “sete di sangue” (“krovožadnaja”), richiede solo silenzio e ubbidienza. Alla fine del racconto l’archivio del “grande vecchio”, passato in eredità alla nuora, diviene l’arma più potente contro il kahal. Con i documenti nascosti a Pietroburgo la nuora sarà in grado di vendicarsi di tutti gli ebrei. Tuttavia, della vendetta l’autore tace. Ebbene, è in questo finale aperto che s’innestano, in linea sincronica, i psm – l’arma “finale”, la soluzione “definitiva” alla questione ebraica.

Conclusioni

Tutti sanno […] che, studiando la polizia segreta dell’Impero russo, lo storico immancabilmente s’imbatte nella Francia, cioè nell’emigrazione, negli agenti segreti russi. Si sarebbe potuto in modo chiaro spiegare tutto […] Ju. Trifonov, Un’altra vita

Nel corso del libro si è voluto dimostrare quanto la bellettristica antinichilista sia stata parte di un più complesso sistema culturale, assieme alla pubblicistica e alla pamphlettistica reazionaria e conservatrice, e come abbia generato al proprio interno, a partire dagli avvenimenti storici della seconda metà degli anni settanta dell’Ottocento, un particolare genere di romanzo: il romanzo giudeofobo. Il romanzo giudeofobo rielabora idee e concetti espressi nel corso degli anni sessanta, settanta e ottanta sulle pagine delle pubblicazioni dell’“intelligencija giudeofoba”. La bellettristica giudeofoba – come qualsiasi elemento della sra – non inventa nulla, ma rielabora materiale preesistente nel romanzo, cioè un genere letterario maggiormente accessibile a un pubblico eterogeneo, in cui la questione ebraica è uno degli elementi su cui è costruita la trama avventurosa. Confermando l’interpretazione delle recensioni dell’epoca, in particolare quella di Dubnov,1 lo stesso Krestovskij ammette che il suo Žid idёt appartiene al filone letterario che s’inserisce nella discussione pubblica della questione 1. Secondo Dubnov (Kritikus, Literaturnaja letopis’. Belletrističeskij pamflet, p. 25), nell’ultimo periodo della vita artistica l’unico scopo di Krestovskij è attaccare in maniera zelante i “židy”. È un momento storico in cui sono bene accolte le calunnie letterarie e qualsiasi altra forma di testimonianza contro gli ebrei: come nel Medioevo avveniva per i diavoli e le streghe, il lettore moderno crede ciecamente all’esistenza dell’“ebreo perfido”. Ogni epoca, sostiene l’autore, possiede patologie psichiche o morali che si muovono dalla vita alla letteratura e viceversa, dalla letteratura alla vita. Per l’autore i romanzi di Krestovskij appartengono alla corrente della società e della stampa russe che, sviluppando il tema antiebraico, risveglia spaventosi fantasmi antichi e terribili demoni moderni con lo scopo di spaventare il pubblico credulone. Il pubblico crede ciecamente al testo letto e prende a odiare sempre più intensamente i “židy”.

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ebraica: senza dubbio lo scrittore si schiera dalla parte dell’“intelligencija reazionaria e giudeofoba” e ne assorbe ideologia e miti. Infatti, come si è visto, una delle fonti da cui Krestovskij trae ispirazione è l’articolo di Suvorin Žid idёt! L’articolo di Suvorin è parte della politica editoriale giudeofoba dell’“ufficiale” «Novoe Vremja», fatta di attacchi sempre più feroci al mondo ebraico, che durerà molti anni. Tra i giornalisti che “sottoscrivono” la politica di «Novoe Vremja» appare la figura di M.O. Men’šikov. Intellettuale giudeofobo, collabora prima con «Rus’», il quotidiano diretto negli anni ottanta da I.S. Aksakov, e poi, a partire dal 1901, scrive sul quotidiano di Suvorin «Novoe Vremja». Fonti e radici delle opere giudeofobe degli scrittori antinichilisti vanno dunque rintracciate all’interno del sistema culturale in cui prenderanno forma i psm, di cui lo stesso Men’šikov aveva preannunciato l’esistenza, descrivendoli già nel 1902 in un feuilleton sul «Novoe Vremja».2 Dal canto loro i collaboratori di «Novoe Vremja» conoscono perfettamente i romanzi antinichilisti giudeofobi – molti dei quali sono pubblicati in volume proprio dalla casa editrice di Suvorin – che finiscono per rappresentare ai loro occhi una realtà parallela, non meno importante di quella fattuale. I psm, comparsi per la prima volta nel 1903, s’innestano dunque nella tradizione culturale della giudeofobia russa, in cui interagiscono generi letterari nati e sviluppatisi nelle polemiche roventi della seconda metà dell’Ottocento – la discussione pubblica della “questione ebraica” ha inizio nel 1858 –, e tra questi generi il romanzo giudeofobo occupa una parte importante. Non si vuole con questo negare o sminuire la ben accertata importanza del Dialogue aux Enfers entre Machiavel et Montesquieu (Dialogo agli Inferi tra Machiavelli e Montesquieu; Bruxelles 1865) di M. Joly nella strutturazione dei psm:3 al contrario, ritengo fondamentale appurare la possibile conoscenza di tale 2. Men’šikov, Zagovory protiv Čelovečestva (Complotti contro l’umanità). Sull’anticipazione dell’esistenza dei psm da parte di Men’šikov, cfr. Skuratovskij, Problema avtorstva “Protokolov Sionskich Mudrecov”, p. 7; De Michelis, Il manoscritto inesistente, p. 33. 3. Come per la diffusione del testo di Goedsche in Russia non è servito alcun “anello tedesco”, così non serve postulare l’esistenza di un “anello francese” (Ginzburg, Rappresentare il nemico, p. 199) necessario alla propagazione del libro di Joly nella subcultura russa. Tacendo il fenomeno settecentesco della gallomania (che non ha analoghi nella cultura francese), dobbiamo ricordare che l’“intelligencija giudeofoba” è in grado di leggere e scrivere varie lingue europee, come il francese, il tedesco, l’inglese, persino l’italiano (nel caso di Markevič). E del libro di Joly, come ricorda N. Marcialis citando Lucianstudien (Ostern 1895) di J. Rentsch, era stata pubblicata già nel 1865, a Lipsia, una traduzione anonima in lingua tedesca dal titolo Gespräche aus der Unterwelt zwischen Macchiavelli

Conclusioni

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documento (in recensione, citazione o traduzione parziale o totale) da parte della pubblicistica giudeofoba antecedente alla maturazione dei psm. La conoscenza di testi francesi, tradotti o rielaborati, all’interno della polemica sulla questione ebraica è dimostrabile, infatti, già a partire dal 1859, quando Gersevanov pubblica O narodnom charaktere evreev su «Severnaja Pčela», la rivista diretta da Bulgarin – quello stesso Bulgarin, d’altronde, che tra gli anni venti e trenta aveva introdotto nei suoi romanzi e racconti, attraverso l’azione dell’ebrea Marija, il mito del complotto ebraico-gesuitico-muliebre contro la Russia.4 Nel libro si è voluta sottolineare la stretta connessione esistente tra la cultura europea e il pensiero giudeofobo russo: il pamphlet di Gersevanov dimostra un legame profondo con l’ambiente francese, in particolare con l’opera di A. Moreau de Jonnès e A. De Gobineau; il pamphlet di Ljutostanskij plagia intere parti del volume di Gougenot des Mousseaux; Aksakov ha un dialogo aperto, dalla fine degli anni settanta, con gli antisemiti tedeschi. Senza contare l’importanza dei testi di Osman-Bey e Herman Goedsche tradotti in russo. Tuttavia, né Gersevanov, né Ljutostanskij, né lo stesso Aksakov sono totalmente debitori alle idee maturate negli ambienti culturali dell’Europa occidentale: questi autori rimangono, infatti, profondamente ancorati a una visione russa della questione ebraica. Meno radicale delle concezioni razziste dell’Occidente, il pensiero giudeofobo russo è formato da due componenti: la giudeofobia oggettiva, che ha come proprio oggetto reali rapporti economici – la vendita degli alcolici, l’usura, lo sfruttamento delle risorse, e simili –, e la giudeofobia occulta, che si incentra sul problema del complotto ebraico.5 Principale sostenitore dell’idea di un complotto anti-russo è I.S. Aksakov, che propaganda dai suoi giornali una lotta senza quartiere a quelli che Brafman definisce “i gesuiti dell’ebraismo”, influenzando profondamente non solo la pubblicistica coeva di orientamento reazionario e xenofobo, ma anche i romanzi giudeofobi, sulle cui pagine le due anime della giudeofobia russa si ricompongono. Per oltre un ventennio il romanzo antinichilista di matrice giudeofoba gioca un ruolo determinante per la trasmissione di immagini giudeofobe. Nel libro si è voluto ricostruire appunto il percorso che porta ai psm, attraverso il mutamento della percezione dell’ebreo all’interno della cultura russa nel corso dell’Ottocento, dovuto sostanzialmente alla metaund Montesquieu (Marcialis, Caronte e Caterina, p. 19). Per quanto riguarda Joly e i psm, cfr. De Michelis, “Protokoly Sionskich Mudrecov”, pp. 82-88. 4. Strano, Faddej Venediktovič Bulgarin, pp. 133-134. 5. Cfr. Klier, Imperial Russia’s Jewish question, pp. 384-449.

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morfosi del “žid” personaggio storico-letterario e persino folkloristico nel “žid” vivo e reale della questione ebraica; cioè un “žid” in carne e ossa che, oppresso da pogrom sempre più violenti e distruttivi, da accuse false e da calunnie infamanti, sceglie di emigrare oppure, rimanendo in Russia, chiede parità di diritti civili. Ma per l’“intelligencija giudeofoba e reazionaria” in generale e per il «Novoe Vremja» in particolare le richieste di emancipazione ed eliminazione totale della čpo equivalgono alla “guerra del mondo ebraico” determinato ad ottenere il controllo totale dell’Impero russo.6 Suvorin esprime questo concetto, già formulato implicitamente nell’articolo Žid idёt!, in maniera più estesa nel 1888, quando afferma pubblicamente che gli ebrei nella vita politica ed economica del popolo russo costituiscono un elemento nocivo e fatale.7 Analizzando da questo angolo visuale l’opera di Krestovskij, risulta chiaramente come l’intreccio delle due giudeofobie e della polemica antinichilista si risolva in una visione giudeofoba totalizzante, che accusa gli ebrei di congiurare per la rovina dell’Impero russo operando su tutti i livelli: l’oste ubriaca il popolino, il magnate lo affama, l’“intelligencija russo-ebraica” ne avvelena le coscienze, propagandando l’ateismo, il liberalismo, il materialismo, il comunismo, lo spirito nichilista e rivoluzionario – in piena contrapposizione ai valori espressi dalla “triade di Uvarov” su cui si fonda il nazionalismo russo. Del resto, già nel 1934 Dubnov aveva sostenuto che nella trilogia giudeofoba di Krestovskij – ma questo vale per qualunque romanzo antinichilista di matrice giudeofoba da me analizzato – è rappresentato il «il perfido dominio mondiale degli ebrei nello stesso spirito manifestatosi poi nei Savi di Sion».8 Ne Il manoscritto inesistente, grazie a un approfondito studio filologico sui testi “originali” (per quanto tali possano chiamarsi), De Michelis giunge a collocare l’origine testuale dei psm in ambiente russo, individuando in alcuni dei testi di cui si è parlato nel corso del libro i materiali di costruzione «effettivamente usati […] per organizzarne il contenuto».9 Attraverso l’analisi di questo sottotesto giudeofobo russo, passando per il dibattito pubblico della questione ebraica, si può confermare l’ipotesi di De Michelis: all’editore dei psm nella sua opera compilativa bastava innestare Joly sulla pletora di testi autoctoni che hanno come filo comune il complotto mondiale ebraico contro l’Impero russo. A ciò si aggiunga, inoltre, 6. Balmuth, Novoe Vremia’s War against the Jews, p. 40. 7. «Novoe Vremja» (7/IX/1888). 8. Dubnov, Kniga žizni, p. 159. 9. De Michelis, Il manoscritto inesistente, p. 45.

Conclusioni

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che il contesto culturale era più che maturo per esprimere le tesi contenute nei psm, senza bisogno di importare spunti antisemiti dall’Occidente. Joly fornisce la cornice formale per qualcosa che radicava profondamente nella tradizione russa. Applicando il metodo storico degli studi di Klier e Frankel dedicati alla questione ebraica nella seconda metà dell’Ottocento, in particolare per l’uso che gli storici fanno della pubblicistica, e utilizzandolo a integrazione della ricerca puramente letteraria, più frequentemente praticata, si è potuto ricostruire il panorama culturale della Russia del XIX secolo nelle sue varie sfaccettature, con particolare riguardo alla storia della giudeofobia russa e delle sue origini testuali. Una giudeofobia che, mai debellata nel corso del XX secolo, sta risorgendo nel XXI secolo più virulenta che mai, come si riscontra da siti internet in lingua russa – a partire da http://www.rus-sky.com/ che raccoglie un gran numero di documenti giudeofobi e antisemiti della cultura russa, o dai numerosissimi forum di discussione che ripropongono, senz’alcuna moderazione, in maniera più o meno diretta, la teoria del complotto ebraico contro la Russia – che aumentano costantemente giorno dopo giorno e riescono a diffondere il loro pensiero in maniera capillare in ogni angolo della Federazione Russa e del mondo intero. Il 25 gennaio 2011 alla tavola rotonda dal titolo Informazione, mistificazione, falsi storici: il pregiudizio antiebraico nell’epoca di internet promossa dal Comitato di Coordinamento per le celebrazioni in ricordo della Shoah della Presidenza del Consiglio dei Ministri in collaborazione con l’ucei, studiosi, politici e rappresentanti delle istituzioni e del governo italiano hanno enfatizzato l’importanza dei lavori scientifici dedicati allo studio della realtà storica e degli stereotipi distorti come fonti dei miti dell’antisemitismo moderno per sconfessare le attuali dottrine antiebraiche costruite su “pacchetti” di “falsità virtuali”. Auspico, dunque, che L’ombra del kahal, confrontandosi con i falsi miti e i ragionamenti calunniosi della giudeofobia russa dell’Ottocento, sia di supporto a futuri studi tesi a smascherare le falsità diffuse da internet e dagli altri mezzi di comunicazione di massa.

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Indice dei nomi

Abramo, 151, 199 Agostino d’Ippona, 11, 180 n. 124 Aksakov Aleksandr Nikolaevič (A. Aleksandrov), 153 n. 31, 222 n. 258 Aksakov Ivan Sergeevič, 61 n. 76, 68, 87, 93-94, 97, 108, 109, 124, 153 n. 31, 183-184, 189, 191 n. 158, 204-205, 222, 228, 246-247 Alessandro I (Aleksandr I Pavlovič), imperatore di Russia, 21-22, 81 Alessandro II (Aleksandr II Nikolaevič), imperatore di Russia, 40, 42, 44, 45, 50, 119, 127, 136, 141, 148, 152, 177 n. 114, 183, 188, 232 Alessandro III (Aleksandr IIIAleksandrovič), imperatore di Russia, 62 Anticristo, 103, 134, 142, 144, 154, 158, 161-162 Aronne, 71 Arpagone, personaggio letterario, 32 Assuero (Ahasver, Ahasverus), 173 Avenarius Vasilij Petrovič, 130 Avseenko Vasilij Grigor’evič, 135 n. 78 Ba’al Shem Tov (Israel ben Eliezer), 17 Babel’ Isaak Ėmmanuilovič, 69 n. 101 Bakst Vladimir Ignat’evič, 120 n. 7 Bakunin Michail Aleksandrovič, 145 n. 11 Balsamo Giuseppe (conte di Cagliostro), 41 Barabba, personaggio letterario, 30, 40 Baranov Ėduard Trofimovič, 126 Barruel Augustin, 104, 141, 151

Baudelaire Charles, 211 Bazarov Evgenij Vasil’evič, personaggio letterario, 122-123, 137, 144, 211, 215, 228 Begunov Jurij Konstantinovič, 7 Bejlis Mendel’ (Menachem) Tev’evič, 57 n. 61, 78, 81 Ben David Ha-Levi Judah (Hermann), 139 n. 86 Benkendorf Aleksandr Christoforovič, 31 n. 13 Berёzkin Faddej Nikolaevič, 47 Berg Fёdor Nikolaevič, 176 Bismarck Otto von, 167, 188, 192 Bleichröder, famiglia, banca, 203 Bleichröder Gerson von, 167, 188, 192 Bludov Dmitrij Nikolaevič, 23 Boborykin Pёtr Dmitrievič, 120 n. 7 Bodjanskij Osip (Iosif) Maksimovič, 33 n. 24, 38 n. 53 Bogrov Grigorij Isaakovič, 178, 183, 230 Brafman Aleksandr Jakovlevič, 221 Brafman Jakov Aleksandrovič, 12, 83, 85, 87, 94-98, 100-102, 139, 178, 184 n. 136, 200-202, 220-222, 228, 232-233, 247 Brežnev Leonid Il’ìč, 7 Brjusov Valerij Jakovlevič, 33 n. 23 Büchner Ludwig, 120 n. 7, 153 Bulgarin Faddej Venediktovič (Tadeusz Bułharyn), 33, 34-36, 39, 41, 51, 54, 104, 105, 158, 195, 198, 219, 247

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L’ombra del kahal

Butlerov Aleksandr Michajlovič, 153 n. 31 Butmi de Kacman Georgij Vasil’evič, 99 Caino, 168 Cartesio (René Descartes), 123 Caterina II (Ekaterina II Alekseevna), imperatrice di Russia; nata Sophie Auguste Friederike von Anhalt-Zerbst-Dornburg, 15, 16, 18, 19, 27 n. 2 Cavaion Danilo, 55 Chiarini Luigi, 84 n. 52, 207 n. 205 Chmel’nyc’kyj Bohdan, 51, 80 Chvol’son Daniil Avraamovič, 81-83, 8586, 177 n. 114 Cicerone Marco Tullio, 71 n. 108 Cohn Norman, 111 Crémieux Adolphe (Isaac-Jacob), 101, 184, 202, 238 Čackin Isaak Andreevič, 47-48, 88, 162 Čechov Anton Pavlovič, 210 Černyševskij Nikolaj Gavrilovič, 119-121, 123, 127-128, 195 Dal’ Vladimir Ivanovič, 41-42, 81, 108, 204 Darwin Charles Robert, 155 Debora, 240 De Gobineau Joseph Arthur, 106, 107 n. 158, 113, 116, 247 De Michelis Cesare G., 37 n. 45, 92, 110111, 139, 143 n. 6, 248 des Mousseaux, v. Gougenot des Mousseaux H.R. Deržavin Gavriil (Gavrila) Romanovič, 1920 Disraeli Benjamin (lord Beaconsfield), 105, 182, 183, 189, 202-203 Dobroljubov Nikolaj Aleksandrovič, 120 Donders Franciscus (Franz) Cornelis, 120 n. 7 Dondukov-Korsakov Aleksandr Michaj­ lovič, 88 Dostoevskij Fёdor Michajlovič, 37, 85, 94, 108-109, 110, 130, 131-132, 134, 145 n. 8, 153, 162, 191 n. 158, 238 n. 308

Dubnov (Dubnow) Semёn (Simon, Shimon) Markovič (Meerovič) (Kritikus), 180 n. 121, 181, 203, 245, 248 Dudakov Savelij Jur’evič, 8, 140, 210 n. 217, 222 n. 260, 230 n. 279 Długosz Jan, 77 n. 14 Dumas Alexandre (padre), 41, 174 Eco Umberto, 9, 13, 99 n. 128 Efron-Litvin (Efron) Savelij Konstan­tinovič (Šeel’ Chaimovič), 28 n. 5, 130, 140, 227-233 Eisenmenger Johann Andreas, 84 n. 52 Elizaveta I Petrovna (Imperatrice di Russia), 16 El’jaševič Dmitrij Arkad’evič, 109 Ester, 157, 240 Feuerbach Ludwig, 120 n. 7 Frank Jakob (Jakub), 177 n. 112, 210 n. 217 Frankel Jonathan, 8, 249 Fumasoni Maria, 175 n. 104 Gartman (Hartman) Lev Nikolaevič, 177178 n. 114 Gatcuk Aleksej Alekseevič, 50 Gejking (fon) Gustav Ėduardovič, 146 Gel’fman Gesja Mirovna (Meerovna), 8990 Gersevanov Nikolaj Borisovič, 106-107, 113, 247 Gessen Julij Isidorovič, 231 Gesù di Nazareth, 16, 84, 97, 115-117, 142, 153, 157, 158, 162, 170, 180 n. 124, 206, 209-210, 226, 227, 237 Giacobbe, 240 Giljarov-Platonov Nikita Petrovič, 228 Gincburg, famiglia, banca, 71, 101, 192 Gincburg Evzel’ (Iosif-Evzel’) Gavriilovič, 46-48, 182 n. 131, 194, 221 Giovanni, santo, 163 Gippius Zinaida Nikolaevna, 210 Giuda Iscariota, 31, 36, 149, 158-159, 207, 233, 235

Indice dei nomi Giuditta, 219 Gnedič Nikolaj Ivanovič, 33 n. 23 Goedsche Hermann (John Retcliff/Redklif), 99-100, 102, 139, 163, 184, 246 n. 3, 247 Gogol’ Nikolaj Vasil’evič, 32-34, 36, 38, 52 n. 39, 78, 104, 119, 211 Golicyn Nikolaj Nikolaevič, 85 Gol’denberg Grigorij Davydovič, 146 Golovnin Aleksandr Vasil’evič, 70 n. 105 Gorvic Martyn Isaevič, 47-48 Gougenot des Mousseaux Henri Roger, 102-104, 113, 247 Greč Nikolaj Ivanovič, 105 Greger, Gorvic, Kogan & co., società appaltatrice, 114, 180 n. 121, 182 n. 131 Grinevickij Ignatij Ioachimovič, 89 Halévy Joseph, 73 n. 1 Haman, 157 Heine Heinrich, 203 Herzen Aleksandr Ivanovič, 120, 138 n. 84, 145 n. 11, 153 Himmler Heinrich, 233 n. 286 Ignat’ev Nikolaj Pavlovič, 74 n. 2 Ilarion “Rusin”, metropolita di Kiev, 209 Ivan III (Vasil’evič), zar di Russia, 38 Jasinskij Ieronim Ieronimovič (M. Belinskij), 20 n. 24, 140, 210-212, 217, 219, 221, 223, 226-227, 232 Joly Maurice, 246, 247 n. 3, 248, 249 Kamenskij IvanVasil’evič, 81 n. 38 Kant Immanuel, 123 Kantemir Antioch Dmitrievič, 145 n. 8 Karakozov Dmitrij Vladimirovič, 127-128, 129 Karamzin Nikolaj Michajlovič, 30, 38, 39, 47 Katkov Michail Nikiforovič, 54, 57, 88-91, 93, 120, 122-126, 129, 132, 135, 143, 175-176, 184 n. 134, 191, 195, 228 Katz Jacob, 227 Kaufman Konstantin Petrovič von, 126

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Kiselёv Pavel Dmitrievič, 24, 44 Kjuchel’beker Vil’gel’m Karlovič, 31 n. 13 Klier John Doyle, 106 n. 153, 110, 182 n. 131, 184 n. 134, 249 Kljušnikov Viktor Petrovič, 130, 176 Kocebu Pavel Evstaf’evič (Paul Demetrius Kotzebue), 87 Kochanovskaja, v. Sochanskaja N.S. Konisskij arciv. Georgij (Grigorij Iosifovič), 33 n. 24 Kostomarov Nikolaj Ivanovič, 49, 54, 63, 78-82, 83, 85, 156-157, 165, 216 n. 243, 218, 225 n. 268 Kožinov Vadim Valerianovič, 7 Kraevskij Andrej Aleksandrovič, 70 Krasiński Wincenty, 177 n. 112, 207 n. 205 Krasiński Zygmunt, 177 n. 112, 207 Krestovskij Vsevolod Vladimirovič, 94, 130, 135-136, 139 n. 87, 140, 141, 147, 163, 164, 173, 174-177, 178-181, 183-184, 187-193, 194-198, 200, 202 n. 188, 203-204, 206-210, 220, 221, 224 n. 262, 227, 232, 245-246, 248 Kropotkin Dmitrij Nikolaevič, 146 Krylov Ivan Andreevič, 143 Krylov Viktor Aleksandrovič, 228 Kukol’nik Nestor Vasil’evič, 39-41 Kuliš Pantalejmon Aleksandrovič, 49, 5053, 54, 63, 218 Kuricyn Ivan “Volk”, 143 n. 6 K-vskij K.E.R., 137 Landau Adol’f Efimovič (Aharon Chaimovič), 75, 231 Laqueur Walter, 7 Lassalle Ferdinand, 203, 238 Lažečnikov Ivan Ivanovič, 38-39 Lermontov Michail Jur'evič, 73 Lerner Osip Michajlovič, 182 Leskov Nikolaj Semënovič, 130, 135 n. 78, 183, 210 Levanda Lev Osipovič, 93 n. 95, 127, 130, 137, 228, 231 Ljakub Pёtr Moiseevič, 47 Ljubimov Nikolaj Alekseevič, 204

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L’ombra del kahal

Ljutostanskij Ippolit Iosifovič (Hipolit Lutostański), 81-82, 83-86, 94, 100-105, 112-115, 139, 156-157, 187, 247 Loris-Melikov Michail Tariélovič, 137, 143, 195 Luciano di Samosata, 15 Machiavelli Niccolò, 146 Mani (Mānī), 151 Marcialis Nicoletta, 246 n. 3 Markevič Boleslav Michajlovič, 130, 135136, 139 n. 87, 140, 141, 144, 145 n. 8, 146, 153, 166, 173, 223, 230 n. 279, 232, 246 n. 3 Markish Shimon (Simon Perecovič), 27 Marlowe Christopher, 40 Marr Wilhelm, 76, 110 Mendeleev Dmitrij Ivanovič, 153 Mendelson, famiglia, 171 Mendelssohn Moses, 16 n. 7, 30 Men’šikov Michail Osipovič, 246 Merežkovskij Dmitrij Sergeevič, 210 Meščerskij Vladimir Petrovič, 135 n. 78 Mil’don Valerij Il’ič, 154 Minkina Ol’ga Jur’evna, 221 n. 256 Moleschott Jakob, 120 n. 7, 153 Molière (Jean-Baptiste Poquelin), 32 Montefiore Moses, 101, 201, 202 n. 188, 238 Moreau de Jonnès Alexandre, 106, 107 n. 158, 247 Morgulis Michail (Menashe) Grigor’evič, 96 Mosè, 17 n. 8, 62 n. 81 Murav’ёv Michail Nikolaevič, 126 Napoleone I Bonaparte, 21, 22, 226 Napoleone III di Francia (Carlo Luigi Napoleone Bonaparte), 144 Narežnyj Vasilij Trofimovič, 29 n. 7 Nejzvestnyj (Anatolij Afanas’evič Kogan), 60 Nekrasov Nikolaj Alekseevič, 236 Nemirovič-Dančenko Vladimir Ivanovič, 182

Nezlobin (Aleksandr Aleksandrovič D’jakov), 135 n. 78 Neznakomec, v. Suvorin A.S. Nečaev Sergej Gennadievič, 123 n. 22, 127, 129, 132, 145-146 Nicola I (Nikolaj I Pavlovič), imperatore di Russia, 22-25, 34, 38, 41, 43-45, 81, 119 Nietzsche Friedrich, 211 Nomis M. (Matvej Terent’evič Simonov), 49 Nord-Vest (Nikolaj Maksimovič Vilenkin), 63 Nymm Elena, 211 Offenbach Jacques, 203 Oloferne, 219 Or-bo D. (Osip Semёnovič Broud), 60-61 Orlovskij (Konstantin Fёdorovič Golovin), 135 n. 78 Orzeszkowa Eliza (Ožeško/Oržeško), 184185 Osman-Bey (Bej) V.A. (Frederick Millingen), 98, 100, 139, 184, 201, 247 Pacuvio Marco, 71 n. 108 Paolo I (Pavel Petrovič), imperatore di Russia, 19 Paolo (Saulo) di Tarso, santo, 144, 205, 207 Pereswetoff-Morath Alexander, 77 n. 16, 209 n. 213 Petrovskij-Štern Jochanan, 181 Pfefferkorn Johannes (Josef), 94, 139 n. 86 Pinsker Lev Semёnovič (Leon, Leo, Yehudah Leib), 12, 50, 73-75, 159 Pio IX (Giovanni Maria Mastai Ferretti), papa, 103-104 Pisarev Dmitrij Ivanovič, 120, 196 Pisemskij Aleksej Feofilaktovič, 130-131 Platonov Oleg Anatol’evič, 7 Pobedonoscev Konstantin Petrovič, 74, 152 Pogodin Michail Petrovič, 38 n. 53 Polevoj Nikolaj Alekseevič, 39 Poliakov Léon, 7

Indice dei nomi Polovcov Aleksandr Aleksandrovič, 106 n. 153 Popko Grigorij Anfimovič, 146 Portugalov Veniamin Osipovič, 50-51 Posoškov Ivan Tichonovič, 37 n. 47 Pritsak Omeljan, 77 n. 14, 77 n. 16 Proudhon Pierre-Joseph, 146, 168 n. 86 Pugačëv Emel’jan Ivanovič, 168 Pumpjanskij Lev Vasil’evič, 33 Puškin Aleksandr Sergeevič, 31-32, 33, 36, 196 Rabinovič Osip Aronovič, 43-46, 49, 62 Renan (Joseph) Ernest, 109, 112, 116-117 Rentsch Johannes, 246 n. 3 Rostovskij metropolita Dmitrij (Dimitrij); nome di battesimo: Daniil Savvič Tuptalo, 37 n. 47 Rothschild, famiglia, banca, 101, 151, 171, 188-189, 192, 199, 201, 232, 242 Rothschild Alphonse de, 192 Rothschild Anthony Nathan de, 201 n. 187 Rudnev Nikolaj Andreevič, 38 Safran Gabriella, 183-184, 206, 208 Salmon Laura, 147-148 Salomone, 171 Saltykov-Ščedrin Michail Evgrafovič, 58 n. 66, 124, 128, 145 n. 8 Samochin F., 218 Sansone, 164 Satana, 103, 164, 241 Schäfer Peter, 73 n. 1 Scharija (Zaccaria Ghisolfi de’ Scala), 3740 Schiller Friedrich, 33 Schwartz-Bostunitsch Gregor, 233 n. 286 Scott Walter, 33, 34, 38 Seton-Watson Hugh, 138 n. 84 Shakespeare William, 30, 32, 33, 34, 39 Shnirelman Victor A., 91 Shylock, personaggio letterario, 30, 32, 40, 105, 182 Simonini Jean-Baptiste, personaggio letterario, 151

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Skripicyn Valerij Valerievič, 81 n. 38 Slezkine Yuri, 167, 217 n. 244 Sochanskaja Nadežda Stepanovna (Kochanovskaja), 184 Solovejčik Ėmmanuil Michajlovič, 50 Solov’ёv Aleksandr Konstantinovič, 136, 143, 144, 146 Solov’ёv Vladimir Sergeevič, 133-134 Solženicyn Aleksandr Isaevič, 7, 180 Sorokin Jurij Sergeevič, 135 n. 78 Spencer Herbert, 113 Stavrogin Nikolaj Vsevolodovič, personaggio letterario, 132 Stepnjak-Kravčinskij Sergej Michajlovič, 190 n. 152 Stevenson, famiglia, 171 Strano Giacoma, 104 Strauss David Friedrich, 116-117 Strižёv Aleksandr Nikolaevič, 7 Stroganov Aleksandr Grigor’evič, 24 Sue Eugène, 173, 174, 175 Suvorin Aleksej Sergeevič, 63-71, 74-75, 115-119, 135 n. 78, 175, 177, 181183, 192, 198, 210, 227-229, 231, 246, 248 Svjatopolk (Michail) Izjaslavič, Gran principe di Kiev, 77 Šarifullina Svetlana Valentinovna, 135 Ščebal’skij Pёtr Karlovič, 141 Šeftel’ Felicija Isaakovna, 190 Šeller-Michajlov Aleksandr Konstantinovič, 145 n. 10 Ševčenko Taras Grigor’evič, 49, 51 Šmakov Aleksej Semёnovič, 78 Šul’gin Vitalij Jakovlevič, 57, 74, 98-99, 194 Šul’gin Vasilij Vital’evič, 57 n. 61 Tarnopol’ Ioachim Isaakovič, 49 Tatiščev Vasilij Nikitič, 38 n. 53, 76-79 Thiers Adolphe, 192 Cantipratanus (von Cantimpré) Thomas, 180 n. 124 Tolstaja Elena Dmitrievna, 211 Tolstoj Lev Nikolaevič, 120 n. 7, 211

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L’ombra del kahal

Trifonov Jurij Valentinovič, 245 Turgenev Ivan Sergeevič, 36, 49, 119-120, 123, 128, 211, 228 Umissa Anton I., 184 Uvarov Sergej Semёnovič, 22-24, 39, 119, 134, 138, 144, 152, 248 Vachrenov Vasilij Vasil’evič, 89 Vagner Nikolaj Petrovič (Kot-Murlyka), 76, 136, 139 n. 87, 152-155, 156-159, 166, 167, 170-171, 173, 174, 178, 200, 210-211, 219, 226, 232 Vajskopf Michail Jakovlevič, 108 Vallenrod (von Wallenrode) Konrad, 196197 Valuev Pёtr Aleksandrovič, 125 Varšavskij Abram Moiseevič, 182, 193 Varzar Vasilij Egorovič, 168 n. 85

Verchovenskij Pёtr Stepanovič, personaggio letterario, 132 Vladimirov A., 137 Vogt Carl, 153 Volchovskij Feliks Vadimovič, 147 Volockij Iosif (Iosif di Volokolamsk), 37 n. 44, 38 Volodimir Vsevolodovič Monomach, Gran principe di Kiev, 77 Vovčok Marko (Marija Aleksandrovna Vilinskaja, poi Markovič, poi Lobač-Žučenko), 49 Yavetz Zvi, 73 n. 1 Zotov Vladimir Rafailovič, 46-48, 53 Zolotonosov Michail Naftalievič, 110, 134 Željabov Andrej Ivanovič, 147 Žemčugin, 5

Finito di stampare nel mese di maggio 2013 dalla Grafica Editrice Romana S.r.l. Roma