Ri-conascere Michelangielo. La scultura del Buonarroti nella fotografa e nella pittura dall’Ottocento a oggi

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Ri-conascere Michelangielo. La scultura del Buonarroti nella fotografa e nella pittura dall’Ottocento a oggi

Table of contents :
Copertina......Page 1
Titolo......Page 3
Sommario......Page 8
Cristina Acidini......Page 10
Claudio de Polo Saibanti......Page 11
Luigi Zangheri......Page 12
Giampiero Maracchi......Page 13
Angelo Tartuferi......Page 14
Saggi......Page 17
Michelangelo. La fama dal romanticismo all'informale, e oltre......Page 18
Fotografia e scultura: ri-conoscere Michelangelo......Page 36
L'album e l'archivio fotografico nell'officina dello storico dell'arte: da "outils pratiques" a "outils intellectuels"......Page 62
La documentazione delle sculture di Michelangelo nel gabinetto fotografico della sopraintendenza fiorentina......Page 78
Michelangelo, la rilettura infinita......Page 90
Michelangelo: una storia d'immagini, dal sasso al pixel......Page 100
Tavole......Page 123
Catalogo......Page 295
Apparati......Page 327
Biografie......Page 328
Bibliografia generale......Page 350
Indice dei nomi......Page 364
Colophon......Page 368

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r i - c o n o s c e r e

M i c h e l a n g e l o L a n e L L a

s c u L t u r a

d e L

f o t o g r a f i a

e

B u o n a r r o t i n e L L a

d a L L ’ o t t o c e n t o

a

p i t t u r a

o g g i

a cura di

Monica Maffioli e SilveStra Bietoletti

ri-conoscere Michelangelo La scuLtura deL Buonarroti neLLa fotografia e neLLa pittura daLL’ottocento a oggi Firenze, Galleria dell’Accademia 18 febbraio - 18 maggio 2014

SOTTO L’ALTO PATRONATO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Presidente della mostra Soprintendente Cristina Acidini

ENTI PROmOTORI

Presidente Fratelli Alinari I.D.E.A. S.p.A. Claudio de Polo Saibanti

Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Toscana

Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo museale della città di Firenze

Galleria dell’Accademia

Direzione della mostra Angelo Tartuferi

Uffcio servizi aggiuntivi Simona Pasquinucci Veruska Filipperi Angela Rossi

Vicedirezione della mostra Lia Brunori

Responsabile della sicurezza michele Grimaudo

Direzione amministrativa per la Galleria dell’Accademia marzia marigo

Uffci del Polo Museale forentino Biblioteca del Polo museale forentino Gabinetto Fotografco Segreteria del Soprintendente Uffcio Città di Firenze Uffcio Catalogo Uffcio Consegnatario Uffcio Esportazione Uffcio Protocollo Uffcio Restauri Uffcio Ricerche e Archivio Storico delle Gallerie Uffcio Tecnico

Curatela della mostra monica maffoli Silvestra Bietoletti Comitato scientifco Cristina Acidini Luigi Zangheri Angelo Tartuferi Lia Brunori Silvestra Bietoletti monica maffoli Laura Serani Tiziana Serena marilena Tamassia Segreteria scientifca Francesca Ciaravino Segreteria generale Giorgio Angioloni Cristina Panconi con Simone Giordani

Mostra in collaborazione con Produzione e gestione della mostra Opera Laboratori Fiorentini Civita Group

Media partner

Direzione amministrativa e del personale per la Soprintendenza al Polo Museale forentino Silvia Sicuranza

Gestione e coordinamento del personale di vigilanza Flavia Cappelli maira Corsinovi Antonella motti Lorella Naldini Squadra tecnica Federica Baldini Stefania Cacciatore

Uffcio Mostre del Polo Museale forentino marco Fossi Sabrina Brogelli monica Fiorini Produzione e gestione della mostra Opera Laboratori Fiorentini - Civita Group

PER LA FRATELLI ALINARI Responsabile delle collezioni maria Possenti Ricerca iconografca Francesca Bongioanni Uta Ruster Conservazione e restauro Angela Barbetti Stampa delle fotografe Francesco Buonamici

COmUNICAZIONE Comunicazione a cura di Opera Laboratori Fiorentini - Civita Group Sito web www.unannoadarte.it Coordinamento, comunicazione e relazioni esterne mariella Becherini Uffcio Stampa Salvatore La Spina Barbara Izzo e Arianna Diana - Civita per Firenze e la Toscana Camilla Speranza Immagine coordinata e progetto grafco per sito web Senza Filtro Comunicazione - Firenze

ALLESTImENTO

ASSICURAZIONI

Ideazione, progettazione e direzione dei lavori maria Cristina Valenti con la collaborazione di Andrea Niccolai

Assicurazione commerciale del concessionario Wills Italia S.p.A.

Assistenza alla direzione dei lavori michele martino Nicola Voria Registrar Giorgio Angioloni Francesca Ciaravino Simone Giordani marzia marigo Cristina Panconi Laboratori di restauro del Polo Museale forentino Sabrina Biondi Assistenza tecnica e redazione schede conservative Rossella Lari Sabrina Biondi maria Chiara Brancaleoni Traduzioni apparati didattici Joan m. Reifsnyder Realizzazione dell’allestimento Opera Laboratori Fiorentini Civita Group Realizzazione grafca Bernardo Delton Stampe fotografche digitali Center Chrome, Firenze Sistemi di sicurezza Professional Security Sistema di controllo climatico LSI LASTEm srl; Shylock e-solutions TrasporTi e imballaggi Trasportatore uffciale della mostra APICE scrl

garanzia di sTaTo Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo Direzione Generale er la valorizzazione del patrimonio culturale Anna maria Buzzi

Direzione Regionale per i beni culturali e paesaggistici della Regione Toscana Direttore regionale Isabella Lapi marinella Del Buono maurizio Toccafondi Lucia Ezia Veronesi

RESTAURI

Servizio I – Valorizzazione del patrimonio culturale, programmazione e bilancio manuel Roberto Guido, marcello Tagliente

Cat. 2 Agnès Cascio

Uffcio Garanzia di Stato Antonio Piscitelli

Cat. 36 Alessandra Tibiletti

Opifcio delle Pietre Dure Soprintendente marco Ciatti

Cat. 78 maria Grazia Cordua

Francesca Ciani Passeri Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro Gisella Capponi Anna milaneschi maria Concetta Laurenti Ministero dell’Economia e delle Finanze - Dipartimento Ragioneria dello Stato Ispettorato Generale del Bilancio - Uffcio XI Rosario Stella Sebastiano Verdesca Carla Russo Corte dei Conti - Uffcio di controllo sugli atti del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, del Ministero della salute e del Ministero del lavoro e delle politiche sociali maria Elena Raso Lina Pace

Cat. 11, 15, 41, 48, 51, 52 Petra Juliane Wagner

PRESTATORI Accademia della Crusca, Firenze Accademia delle Arti del Disegno, Firenze Accademia di Belle Arti, Firenze Archivi Alinari, Firenze Aurelio Amendola, Pistoia Biblioteca Berenson - Fototeca, Villa I Tatti, Firenze Bibliothèque nationale de France, Paris Gianni Berengo Gardin / Fondazione FORmA per la Fotografa, milano Daniel Blau, münchen-London Romano Cagnoni, Pietrasanta Civico Archivio Fotografco, milano Collection Andrew Cowan, United Kingdom Collezione massimo Bartolozzi, Firenze Collezione Francesco Colacicchi, Fiesole Collezione Enrico Lumina, Bergamo Collezione Ferruccio malandrini, Firenze Collezione mario e Donatella Peliti David Finn, New York Fondazione BEIC, milano Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia - Collezione marabottini, Perugia Gabinetto Fotografco S.S.P.S.A.E. e per il Polo museale della città di Firenze, Firenze Galerie Nathalie Obadia, Paris-Bruxelles Galleria Aquafortis, Firenze Galleria Daniela Balzaretti, milano Galleria d’Arte moderna, milano Galleria Poggiali e Forconi, Firenze Frank Horvat, Paris Institut national d’histoire de l’art (INHA), Paris Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione miBACT, Roma Karen Knorr, London KIm Ki-duk Film, Korea Kunsthistorisches Institut in Florenz, Firenze Lê An-my / murray Guy, New York

Herbert List Estate, Hamburg massimo Listri, Firenze magnum Photos, Paris The metropolitan museum of Art, New York Gjon mili / Time Inc. Antonia mulas, Todi musée Fabre, montepellier musée matisse, Nice museé Rodin, Paris musées Royaux des Beaux Arts de Belgique, Bruxelles museo medardo Rosso, Barzio, Lecco museo michelangiolesco, Comune di Caprese michelangelo, Arezzo museo Nazionale del Bargello, Firenze The New York Public Library, New York Tim Parchikov, mosca Luca Pignatelli, milano Provincia di massa-Carrara, Palazzo Ducale, massa Provincia di Napoli, Palazzo matteotti, Napoli Raccolte museali Fratelli Alinari, Firenze Gérard Rondeau, Trélou-sur-marne Lise Sarfati, Paris Société français de photographie, Paris Solomon R. Guggenheim museum, New York Studio Gabriele Basilico, milano e i collezionisti privati che desiderano conservare l’anonimato.

CATALOGO Giunti Editore

Responsabile editoriale Claudio Pescio

a cura di monica maffoli Silvestra Bietoletti

Editor Augusta Tosone

Saggi di Cristina Acidini Silvestra Bietoletti monica maffoli Laura Serani Tiziana Serena marilena Tamassia Schede di maria Grazia Badino (gb) Sandro Bellesi (sbe) Silvestra Bietoletti (sbi) Lia Brunori (lb) Daniela Cammilli (dc) monica maffoli (mm) Paola mola (pm) maria Possenti (mp) Stefania Rispoli (sr) Chiara Ruberti (cr) marilena Tamassia (mt) Biografe di maria Grazia Badino (gb) Sandro Bellesi (sbe) Silvestra Bietoletti (sbi) Daniela Cammilli (dc) Stefania Rispoli (sr) Chiara Ruberti (cr) marilena Tamassia (mt)

Ricerca iconografca Cristina Reggioli Progetto grafco, copertina e impaginazione RovaiWeber design Supervisione tecnica delle immagini Nicola Dini Fotolito Giunti Industrie Grafche S.p.A.

REFERENZE FOTOGRAFICHE © 2014. Foto Scala, Firenze Su concessione del ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo © 2014. Image copyright The metropolitan museum of Art /Art Resource / Scala, Firenze © Antonia mulas, Todi. Tutti i diritti riservati © Antonio Quattrone, Firenze © Archivi Alinari, Firenze © Aurelio Amendola © Candida Höfer / VG Bild-Kunst, Bonn 2014 © The Robert mapplethorpe Foundation. Courtesy Art + Commerce © Eve Arnold / magnum Photos / Contrasto © Frank Horvat © Gabriele Basilico / Studio Gabriele Basilico © Gérard Rondeau © Gianni Berengo Gardin / Contrasto © Giuseppe Anello © Gjon mili / Time Life Pictures / Getty Images © Grand Palais (musée du Louvre) / Gérard Blot / RmN-Réunion des musées Nationaux / distr. Alinari © Hans madej / Laif / Contrasto © Herbert List / magnum Photos / Contrasto © L’Illustration (www.lillustration.com) © INHA, Dist. RmN-Grand Palais / distr. Alinari © Istituto Luce / Gestione Archivi Alinari © Jean Brusselmans, Hans-Peter Feldmann, Tano Festa, Candida Höfer, Frank Horvat, Succession Picasso by SIAE 2014 © Karen Knorr © Kunsthistorisches Institut in Florenz, max-Planck-Institut

© Lise Sarfati © Lorenzo Mennonna, Firenze © Luciano Pedicini, Napoli © Maïmouna Guerresi © Massimo Listri, Firenze © Maurice Jarnoux / Hollandse Hoogte / Contrasto © Musée Fabre de Montpellier Agglomération - photograph by Frédéric Jaulmes © Musée Rodin (photo Jérome Manoukian) © Programma Immagini, Massa © Rabatti & Domingie Photography, Firenze © Romano Cagnoni © Musées Royaux des Beaux Arts de Belgique, Bruxelles / photo: J. Geleyns/Roscan © Sailko © Société française de photographie © Succession H. Matisse, by SIAE 2014. Photo: François Fernandez © The Bridgeman Art Library /Archivi Alinari © The Helmut Newton Estate © Thomas Struth © Tim Parchikov Tuscany 2008 Accademia delle Arti del Disegno Biblioteca del Museo di Storia della Fotografa Fratelli Alinari, Firenze Cliché Bibliothèque nationale de France Fondazione Casa Buonarroti, Firenze Foto Alexo Wandael cortesia Antonio Pio Saracino Foto Chang Won-seok / KIM Ki-duk Film Foto Gianni Cigolini Foto Giuseppe Schiavinotto, Roma Foto Raimondo Santucci, Milano Immagini proprietà di IBM - Digital Pietà Project. Civico Archivio Fotografco, Milano / Fondazione BEIC Photography Collection, Miriam and Ira D. Wallach, Division of Art, Prints and Photographs, The New York Public Library, Astor,

Lenox and Tilden Foundations Robert Capa/Magnum/Contrasto - © International Center of Photography SSPSAE e per il Polo Museale della città di Firenze, Gabinetto Fotografco. Su concessione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo. Su autorizzazione dell’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione - MiBAC. Divieto di ulteriore riproduzione e/o duplicazione con qualsiasi mezzo The Digital Michelangelo Project cortesia: Collezione Malandrini, Firenze David Finn Enrico Lumina Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia - Foto S. Bellu Francesco Colacicchi Galerie Daniel Blau, München / London Galleria Daniela Balzaretti, Milano Galleria Minini, Brescia / Foto Gilberti Gianluca Salvatori Antichità Horst Estate / Condé Nast Murray Guy, New York Studio d’Arte Nicoletta Colombo, Milano Youssef Nabil and Nathalie Obadia Gallery, Paris / Brussels Le opere conservate in Gallerie, Musei e Biblioteche dello Stato Italiano sono riprodotte su concessione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo. È vietato ogni ulteriore riproduzione con qualsiasi mezzo. Per quanto riguarda i diritti di riproduzione, l’editore si dichiara disponibile a regolare eventuali spettanze per quelle immagini di cui non sia stato possibile reperire la fonte.

RINGRAzIAMENTI Si ringrazia tutto il personale della Galleria dell’Accademia Il Direttore della Galleria dell’Accademia e le Curatrici dell’esposizione desiderano esprimere particolare riconoscenza a Lino Pertile Lorenzo Poggiali e inoltre a: Colomba Agricola Francesca Amendola Giuseppe Anello Massimo e Donatella Bartolozzi Jean Sébastien Baschet Paolo Belardinelli Sandro Bellesi Elena Berardi Filippo Betti Giancarlo Biagi François Blanchetière Daniel Blau e Laura Seller Maria Francesca Bonetti Valentina Branchini Giovanna Calvenzi Luisa Caporossi Costanza Caraffa Giovanni Chiaramonte Andrea Cirla Carlo Colaiacovo Nicoletta Colombo Barbara Costantini Francine Deroudille Ute Derks Audrey d’Hendecourt Jane Donnini Fulvio e Napoleone Ferrari Antonello Franceschi Silvia Franchini Pietroarco Franchetti Maria Luisa Garlaschi François Hebel Hans P. Kraus jr. Monique Le Pelley Fonteny Ferruccio Malandrini Danila Marsure Rosso Giuliano Masciarri Lucia Miodini Paola Mola Laura Moro

Sauro Moroni Giuseppina Ornaghi Daniela Pacchiana Antonio Padoa-Schioppa Giovanni Pagliarulo Maria Rosaria Palombi Silvia Paoli Mario e Donatella Peliti Hélène Pinet Ulrich Pohlmann Germana Pucci Marina Pugliese Paola Refce Camelia Ropotan Patrizia Rosazza Ferraris Viviana Rossi Caffel Claudio Salsi Enrico Sartoni Laura Seller Giuliano Sergio Dietmar Siegert Carlo Sisi Luigi Tomassini Roberta Valtorta Maria Laura Vergelli Grazia Visintainer Luigi zanzi Paola zatti

S O M M A R I O

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cristina acidini

claudio de Polo saibanti

luigi Zangheri

giampiero Maracchi

angelo Tartuferi

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saggi

silvestra Bietoletti

Monica Maffoli

Tiziana serena

Marilena Tamassia

Michelangelo. la faMa dal roManticisMo all’inforMale, e oltre

fotografia e scultura: ri-conoscere Michelangelo

l’albuM e l’archivio fotografico nell’officina dello storico dell’arte: da “outils pratiques” a “outils intellectuels”

la docuMentazione delle sculture di Michelangelo nel gabinetto fotografico della soprintendenza fiorentina

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laura serani

cristina acidini

TaVole

caTalogo

aPParaTi

Michelangelo, la rilettura infinita

Michelangelo: una storia d’iMMagini, dal sasso al pixel

biografie bibliografia generale indice dei noMi

Cristina Acidini Soprintendente per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo museale della città di Firenze

Spesso mi sorprende l’effetto-valanga che carat-

telli Alinari I.D.E.A. S.p.A. per il quale sono grata al

terizza il percorso di certe idee: concepite velocemen-

presidente Claudio de Polo.

te, poi condivise a voce o per scritto, captate, svilup-

La mostra è stata resa possibile, altresì, dall’inse-

pate, infne rapidamente realizzate. Altre idee, magari

rimento nel programma espositivo “Firenze. Un Anno

altrettanto valide, vanno incontro a percorsi lenti e

ad Arte 2014”, che anche in questa ottava edizione vede

accidentati e arrivano alla meta tardi, e forse mai.

partner “storici” della Soprintendenza l’Ente Cassa di

Sono dunque non soltanto lieta, ma perfno un

Risparmio di Firenze presieduto da Giampiero marac-

po’ meravigliata che sia giunto a compimento, e in

chi e Opera Laboratori Fiorentini - Firenze musei.

una forma così effcacemente risolta, il suggerimento

A loro, e a tutti quelli che hanno creduto in questa

che mi trovai a dover inserire estemporaneamente nel

mostra quando era solo un rigo in una lista, va la mia

o

programma delle celebrazioni per il 450 anno dalla

più viva gratitudine, così come alla direzione e ai cu-

morte di michelangelo Buonarroti, allora in feri con

ratori e collaboratori, che hanno declinato secondo un

il coordinamento dell’Accademia delle Arti del Dise-

percorso di rigore scientifco e insieme di evidente go-

gno: un appuntamento al quale la Galleria dell’Acca-

dibilità un tema così attuale, che attraverso l’immagi-

demia non poteva mancare, benché la storica diret-

ne – rifesso di un’attitudine evocativa o testimonianza

trice Franca Falletti fosse in fase di uscita, e non fosse

con ambizioni d’oggettività o interpretazione d’artista

ancora designato il successore Angelo Tartuferi, oggi

– invita a un nuovo e diverso avvicinamento alla statua-

direttore con la vicedirezione di Lia Brunori.

ria forse più celebre del Rinascimento e di tutti i tempi.

Devo a loro se lo spunto di partenza, il proposito

L’editore Giunti, con questo impegnativo catalo-

quindi di dedicare – in uno dei musei del Polo foren-

go, offre alla mostra un complemento prezioso, con

tino più connotati dalla presenza di capolavori miche-

testi specifcamente redatti e una strepitosa rassegna

langioleschi – una rassegna di immagini dal xix al xxi

d’immagini.

secolo, di pittura e specialmente di fotografa, origi-

Credo sia questo, e le tante manifestazioni messe

nate da quell’artista e da quelle opere, è poi divenuto

in calendario per il 2014 nel nome di michelangelo

la mostra Ri-conoscere Michelangelo.

potranno confermarlo, un metodo appropriato e so-

E lo devo alle curatrici ospiti Silvestra Bietoletti

stenibile di mettere la persona e l’opera del sommo

e monica maffoli, che hanno contribuito al progetto

artista al centro dell’attenzione del grande pubblico,

espositivo con le loro personali competenze d’eccel-

individuando l’aspetto specifco del suo passaggio da

lenza nella pittura del “Romanticismo storico” e nella

presenza storica a nostro contemporaneo, nella peren-

storia della fotografa, entro un partenariato con Fra-

ne attualità della creazione artistica.

_ 10

Claudio de Polo Saibanti Presidente Fratelli Alinari

La presenza della Fratelli Alinari, in qualità di

di storici dell’arte e sono stati pubblicati prestigiosi

partner del Polo museale forentino, in occasione di

studi critici illustrati per la maggior parte con loro

questa mostra celebrativa dedicata alla rappresen-

fotografe, alcuni stampati per i tipi dalla stessa casa

tazione fotografca e pittorica dell’opera plastica di

editrice Alinari.

michelangelo dall’Ottocento ad oggi, raffgura sim-

Oltre al ruolo di attori principali del processo di

bolicamente il riconoscimento del determinante ruo-

“educazione visiva” svolto dalla fotografa, gli Alinari

lo svolto dagli Alinari, in oltre centosessanta anni di

sono oggi anche i custodi di un patrimonio storico fo-

attività, nella produzione, divulgazione e conoscenza

tografco inestimabile e imprescindibile per qualsiasi

del patrimonio artistico nazionale.

studio che voglia prendere come riferimento la pro-

Dalle prime fotografe della metà del

xix

secolo

duzione svolta dai molti ateliers fotografci che ope-

che documentano la statua del David nella sua col-

rarono in Italia nel corso del xix e xx secolo.

locazione originaria in Piazza Signoria, alle sistema-

Desidero dunque ringraziare il Polo museale fo-

tiche campagne fotografche svolte a più riprese nel

rentino e in particolare la Soprintendente Cristina

corso degli anni, gli Alinari sono stati tra i maggiori

Acidini, per aver invitato Alinari a partecipare alla

interpreti dei monumenti e delle opere d’arte italia-

realizzazione di questo importante evento espositivo,

ne, creando un loro “stile”, che ha condizionato lo

che trova nella Galleria dell’Accademia la sua pre-

stesso modo di percepire e riconoscere visivamente il

stigiosa sede, e per aver riconosciuto l’impegno che

nostro patrimonio artistico. Attraverso l’obiettivo de-

una delle più antiche aziende fotografche italiane ha

gli Alinari e il loro modo di interpretare la scultura,

svolto e ancor oggi svolge nel promuovere la cultura

anche di michelangelo, si sono formate generazioni

visiva e gli studi sulla storia della fotografa.

_ 11

Luigi Zangheri Presidente Accademia delle Arti del Disegno

«Non riuscivano veramente grandi tra gli uomi-

L’Accademia continuò, secondo il principio pe-

ni, che quei pochissimi che aveano lasciata alcuna cosa

dagogico e memorialista vasariano incarnato sulle

stabile fatta da loro», è questa la rifessione che nell’ot-

virtù a ricordare il padre di quelle tre arti (pittura,

tobre del 1766 il giovane Vittorio Alferi compiva am-

scultura e architettura) che in lui si erano viste riunite

mirato davanti al monumento funebre di michelan-

e che videro per la prima volta sul di lui monumen-

gelo in Santa Croce.

to funebre l’espressione artistica di quello che sarebbe

Le cose, del resto, quando non si intendano come

divenuto in seguito il sigillo dell’Accademia, tre coro-

vocaboli generici sono oggetti contemplati nella loro

ne intrecciate. Nel 1595 la stessa Accademia delibera-

relazione con il soggetto che lo detiene. Ecco che il

va di affdare a Pompeo di Giulio Caccini un quadro

materiale michelangelo e l’immaginario michelan-

che ritraesse michelangelo nel suo studio nell’atto di

gelo diventano, nel nostro fare una storia delle cose,

intrecciare le tre ghirlande delle arti: una raffgura-

endiadi di un tutt’uno che ha rappresentato una gran

zione simbolica e memoriale che riuniva all’interno

parte della storia e della memoria di questa Accade-

del dipinto, oltre il chiaro riferimento all’Accademia,

mia delle Arti del Disegno che compie i suoi 450 anni

anche la raffgurazione del torso donato dall’Am-

dalla nascita soltanto pochi mesi prima della morte

mannati e della statuetta raffgurante un nudo virile,

dell’«Angel divino» come veniva appellato secondo il

ritenuta lungo tutto il Cinque e Seicento un originale

famoso epiteto ariostesco. L’Accademia nacque infatti

michelangiolesco. Un fare le cose, quell’intrecciare le

per volontà di Cosimo de’ medici e di Giorgio Vasari

corone, che ha contraddistinto tutto il percorso suc-

nel momento in cui il Duca chiedeva un riconosci-

cessivo dell’Accademia delle Arti del Disegno.

mento del suo ruolo internazionale e in cui il Con-

michelangelo e l’Accademia del Disegno riman-

cilio di Trento, ancora per poco riunito, aveva varato

gono ancora oggi un binomio che ha visto nell’arte

importanti riforme, discutendo anche la riforma del-

del disegno lo sviluppo di un processo creativo nuo-

le immagini non senza che l’opera dello stesso miche-

vo, al di là di ogni aggettivo che sia stato avvicinato

langelo fosse passata indenne da queste censure.

all’artista, un legame che vogliamo ancora ripropor-

michelangelo fu eletto a Accademico della neo-

re a distanza di 450 anni. È ciò che ci accingiamo a

nata istituzione attribuendogli il titolo di padre delle

realizzare in questo periodo con il fondamentale sup-

arti e sancendo così un’impronta che dovette infor-

porto fnanziario di Regione Toscana e di Ente Cas-

mare tutto l’iniziale percorso dell’Accademia. Barto-

sa di Risparmio di Firenze. Questa serie di iniziative,

lomeo Ammannati proprio per sottolineare il legame

che vede in questa mostra Ri-conoscere Michelangelo

decise di fare dono alla nuova Arte, nel 1583, del tor-

uno dei suoi fondamentali percorsi, non è concepita

so michelangiolesco non fnito identifcato come Dio

soltanto per celebrare un uomo o un’arte, ma per tor-

Fluviale che è ancora oggi patrimonio di questo istitu-

nare a rileggere l’opera, a confrontarci, a ritrovarci

to (oggi in deposito presso Casa Buonarroti).

in quel segno.

_ 12

Giampiero Maracchi Presidente Ente Cassa di Risparmio di Firenze

“Ri-conoscere michelangelo” evoca nella mia

stereotipi confezionati, la curiosità, fondamentale

fantasia la lanterna magica, quello strumento che per

molla della cultura, e il desiderio di conoscere sono

primo, a partire dagli esemplari costruiti alla fne del

sempre meno diffusi.

Seicento fno a quelli più noti ed evoluti dell’Ottocento,

Ogni iniziativa che segua percorsi particolari

permetteva di proiettare le immagini.

e non convenzionali, come questa mostra, è dunque

Non più la realtà quale essa appare ai nostri occhi,

benvenuta per gli effetti positivi che trasmette sulla

ma una realtà che viene mediata da una macchina,

modalità di guardare il mondo e di interpretare la realtà.

un passo in avanti importante verso il mondo delle

Quale migliore scuola poter osservare michelangelo

immagini che diventerà più tardi, con le immagini in

come lo guardano gli altri e come artisti diversi

movimento, il cinema. La mostra, come una lanterna

interpretano uno stesso artista attraverso le loro

magica, ci propone michelangelo visto da fotograf,

immagini.

pittori, scultori dall’Ottocento ai nostri giorni.

Grazie dunque alla Soprintendente al Polo museale

Dunque un modo inusuale e originale di avvicinarsi

della città di Firenze Cristina Acidini, che ha concepito

a un grande artista del passato mediato da altri artisti

questa idea originale e, naturalmente, alle curatrici

e quindi con l’aggiunta di una sorta di commento non

monica maffoli e Silvestra Bietoletti che l’hanno così

scritto che ci parla di lui ma anche di chi lo interpreta.

magistralmente realizzata.

Una specie di storia dell’arte al quadrato che ci permette

Ci auguriamo che, sempre di più, le iniziative

di sbirciare, con curiosità, nel pensiero di artisti che

che si concretizzano nelle mostre siano occasione per

si sono avvicinati a un altro artista per capirlo, per

promuovere una cultura attiva, una cultura, cioè,

commentarlo, per apprezzarlo, per interpretarlo.

che aiuti lo spettatore a essere sempre meno passivo

La mostra è un ottimo esempio della cultura del

di fronte a ciò che vede, sviluppando una sorta di

“perché”, cioè di un percorso che suscita delle domande

commento personale. Questo metodo dovrebbe essere

in chi guarda. Negli ultimi decenni infatti, in parte per

adottato il più possibile nelle scuole per insegnare ai

un certo conformismo del mondo accademico legato

giovani a pensare in modo indipendente e creativo, così

ai meccanismi delle carriere universitarie, in parte per

come gli artisti della mostra Ri-conoscere Michelangelo

l’eccessiva abbondanza di tecnologie che propongono

hanno in certo senso ri-creato michelangelo.

_ 13

Angelo Tartuferi Direttore della Galleria dell’Accademia

Il 2014 è, com’è noto, un anno “michelangiole-

dello in terracruda del cosiddetto Ratto delle Sabine di

sco”, a quattrocentocinquanta anni dalla morte del

Giambologna, condotto con la consueta sapienza da

Buonarroti e dalla fondazione dell’Accademia delle

Cinzia Parnigoni, sotto la direzione di Franca Fallet-

Arti del Disegno, la prestigiosa istituzione forentina

ti, che ha concluso con questa impresa la sua “storica”

che il 14 luglio 1564 curò le solenni esequie dell’artista

permanenza alla guida della Galleria.

nella chiesa di San Lorenzo – un autentico funerale

Non credo di peccare di presunzione afferman-

di Stato dell’epoca –, nel corso delle quali l’umanista

do che, in maniera analoga a quanto avvenne in occa-

Benedetto Varchi pronunciò da uno dei pulpiti di Do-

sione del IV Centenario della nascita di michelangelo

natello un’appassionata orazione funebre in cui, tra

nel 1875, anche per questo 450 o della morte la celebra-

l’altro, il “divino” michelangelo era dichiarato «per-

zione più impegnata e memorabile si svolge natural-

fetto Pittore, perfetto Scultore, e perfetto Architet-

mente alla Galleria dell’Accademia. All’ingresso del-

tore», nonché unico artista che riuscì nell’intento di

la mostra il visitatore è accolto da un ritratto sin qui

superare la Natura.

inedito del grande artista, attribuito da Sandro Bellesi

La mostra presente invita a “Ri-conoscere mi-

a Domenico Cresti, detto il Passignano (1559-1638),

chelangelo”. E come si potrebbe non riconoscere mi-

mentre all’interno il vasto pubblico internazionale

chelangelo Buonarroti qui, alla Galleria dell’Acca-

del museo – e, voglio sperare, anche forentino – potrà

demia, che nell’immaginario collettivo mondiale è

intraprendere un affascinante viaggio ideale dall’Ot-

soprattutto, e ineluttabilmente, il luogo dov’è conser-

tocento ai giorni nostri che documenta in maniera

vato dal 1873 il suo David colossale ultimato nel 1504,

effcacissima il mito vitalissimo e attuale dell’artista.

icona assoluta del Rinascimento forentino? Per que-

Dipinti, disegni e sculture scelti da Silvestra Bietoletti,

sta ricorrenza non è proprio possibile avvertire in Via

circondati dalle fotografe d’autore selezionate da mo-

Ricasoli l’improvvisazione, l’insofferenza, e sovente

nica maffoli, che parleranno a tutti attraverso mol-

il disagio esplicito che accompagna le celebrazioni

teplici angolazioni e con le numerose proposte inter-

legate agli anniversari più o meno importanti che si

pretative della fgura e dell’opera del Buonarroti. Ar-

parano in maniera incessante davanti alle istituzioni

tisti quali Eugène Delacroix, Horace Vernet, Auguste

culturali. Qui è “Il luogo del David”, come s’intitola per

Rodin, Antonio Puccinelli s’ingegnano di scrutare e

l’appunto la rivista scientifca della Galleria, che l’an-

fssare nelle loro opere perfno momenti e stati d’ani-

no prossimo riprenderà a uscire, dopo molti anni, con

mo di michelangelo, mentre i pionieri autentici della

un numero dedicato all’importante restauro del mo-

fotografa, quali Eugène Piot, Édouard-Denis Baldus,

_ 14

gli Alinari, John Brampton Philpot, prendendo a sog-

guardato anche la Galleria dei Prigioni, dove sono stati

getto i suoi capolavori, s’incaricano di elevare subito al

trasferiti per una migliore leggibilità i profeti Isaia e

rango di pratica artistica l’esercizio del nuovo medium,

Giobbe di Fra’ Bartolomeo che testimoniano le sue ri-

che però dichiara inevitabilmente nel contempo la sua

fessioni sugli affreschi michelangioleschi della Cap-

formidabile valenza documentaria e di studio, ancora

pella Sistina, insieme alla grande pala di Francesco

oggi irrinunciabile per ogni storico dell’arte.

Granacci con la Madonna della Cintola, opere grandio-

Nel corso del Novecento la “presenza” di miche-

se e solenni che si prestano molto bene, a nostro modo

langelo continua ad aleggiare in artisti come medardo

di vedere, per introdurre il visitatore in quell’autenti-

Rosso, Henri matisse, Carlo mollino, e nelle fotogra-

co santuario della scultura del Buonarroti, la Galleria

fe di Emmanuel Sougez, Herbert List, Horst P. Horst,

dei Prigioni, attraverso la quale si giunge alla Tribuna

per giungere negli anni Settanta alle ricerche di Tano

del David, apoteosi del mito imperituro dell’artista.

Festa, Paolo monti, Antonia mulas, che introduco-

A partire da questa – diffcile immaginare per

no alle espressioni della contemporaneità di Helmut

noi un inizio più simbolico e pregnante –, la Galle-

Newton e Gabriele Basilico. Questa presenza fortis-

ria ospiterà due grandi mostre all’anno, che stanno

sima e condizionante si tramuta invece in “assenza”

impegnando tutto il personale, al momento davvero

nell’attività di altri due protagonisti dei nostri giorni

“ridotto all’osso”, considerata l’articolazione del com-

nel campo della fotografa, Thomas Struth e Candi-

plesso museale e, soprattutto, per il fatto di essere dopo

da Höfer, le cui foto donate alcuni anni or sono alla

gli Uffzi il museo più visitato di Firenze: di questo

Galleria dell’Accademia sono ora fnalmente esposte

impegno sono sinceramente grato ai colleghi della

al pubblico in maniera defnitiva.

Direzione, della Segreteria, ai capiservizio e al perso-

In altra sede ho già affermato che un modo op-

nale di Vigilanza.

portuno per “riconoscere” michelangelo alla Galleria

In conclusione, mi unisco al Soprintendente nel

dell’Accademia può consistere, anche, nel migliorare

ringraziare quanti hanno reso possibile questa mostra,

l’accoglienza e i servizi per le folle dei visitatori che

con particolare riguardo alle curatrici Silvestra Bie-

ogni anno vogliono vedere la scultura più famosa del

toletti e monica maffoli, l’architetto maria Cristina

mondo e nel valorizzare al meglio la fruizione delle

Valenti e Andrea Niccolai per l’allestimento, Opera

altre sezioni del museo, come già si è cercato di fare

Laboratori Fiorentini - Civita Group per la realizza-

con il nuovo ordinamento della Sala del Colosso appe-

zione, l’editore Giunti per il bel catalogo, in partico-

na inaugurato nel dicembre 2013. Quest’ultimo ha ri-

lare nelle persone di Claudio Pescio e Augusta Tosone.

_ 15

s a g g i

M l r a e

i c h e l a n g e l o . a f a M a d a l o M a n t i c i s M o l l ’ i n f o r M a l e , o l t r e

s i lv e s t r a B i e t o l e t t i

«Spero non si riterrà presuntuoso da parte mia apparire nella schiera non dirò dei suoi imitatori, ma dei suoi ammiratori», asseriva Sir Joshua Reynolds nel suo Discorso su Michelangelo, pronunciato alla Royal Academy nel 1790, e concludeva: «Mi compiaccio con me stesso nel sapermi capace di quelle sensazioni che egli voleva suscitare. Considero, non senza vanità, che questi Discorsi recano testimonianza della mia ammirazione per quell’uomo veramente divino e desidero che l’ultima parola da me pronunciata in quest’Accademia e dall’alto di questa carica, sia il nome di Michelangelo»1. Encomiastica dichiarazione di stima che Reynolds aveva già reso nota in maniera plateale una decina d’anni addietro, dipingendo, in occasione del trasferimento della Royal Academy alla Somerset House, un proprio ritratto nel quale si raffgurò con la cappa di dottore in legge oxoniano, accanto a una replica di sua proprietà del busto di Michelangelo eseguito da Daniele da Volterra2. Il Discorso di Reynolds – un’esortazione ai giovani artisti britannici affnché prendessero a modello l’arte del Buonarroti – rientrava nell’ambito delle indicazioni didattiche da maestro ad allievo, aggiornate sul concetto di “sublime”; tuttavia, l’esplicita ammirazione del pittore per la vigorosa drammaticità della maniera di Michelangelo e il confronto, a favore di questa, con la “nobile compostezza” dello stile di Raffaello, è un chiaro indizio di come in Inghilterra il diffondersi delle concezioni estetiche romantiche avesse infuito sul virare del gusto verso espressioni più coinvolgenti e appassionate, in sintonia con quel crescente desiderio di «forti emozioni» che sarebbe stato ritenuto da Stendhal carattere primario del secolo a venire3. Non è un caso, quindi, che proprio alla cultura letteraria inglese, «entusiasta», «intensa», «appassionata», e che dal Settecento aveva saputo far rivivere i soggetti della tradizione medioevale adeguandoli alle aspirazioni moderne, egli facesse riferimento per additare quale dovesse essere lo spirito con cui rinnovare il pensiero estetico del xix secolo, che avrebbe avuto in Michelangelo il suo nume principale4.

_ 19

Fu in ossequio a una simile convinzione se alla

dalla visione di un cartone di Michelangelo, che gli

metà del secondo decennio dell’Ottocento, non anco-

aveva risvegliato nell’animo «la passione delle grandi

ra spenti i clangori delle battaglie napoleoniche, né

cose» spronandolo a riprendere la lettura di Dante9, il

attenuato il ricordo dei tumultuosi anni della Rivo-

pittore, all’epoca venticinquenne, aveva cominciato a

luzione, Stendhal propose, nella Histoire de la Pein-

guardare al Buonarroti come a un modello di com-

ture en Italie, un’interpretazione della personalità e

portamento: «Infelice! che cosa vuoi fare di grande,

dell’opera di Michelangelo in grado di rinnovare dal

in questo eterno contatto con tutto ciò che è volgare?»,

profondo il gusto dell’epoca, che, per infuenza della

annotava allora sul diario, meditando su di sé, «pensa

cultura neoclassica, considerava la maniera del Fio-

al grande Michelangelo. Nutrisciti delle grandi e se-

rentino priva di grazia e lontana dalla serena distac-

vere bellezze che alimentano l’animo […] Ricerca la

cata bellezza delle sculture classiche come dall’armo-

solitudine»10, e presto aveva preso a rifettere sull’in-

niosa perfezione della pittura di Raffaello.

dole e sull’opera dell’artista secondo le indicazioni

I ragionamenti di Stendhal riguardo all’ener-

dello scrittore. Considerazioni che avrebbero avuto

gia creativa di Michelangelo e alla potenza della sua

come esito la stesura di un saggio su Michelangelo e

espressione appassionata, lo portarono a giudicare

l’esecuzione di un dipinto ove lo scultore è raffgurato

l’opera dell’artista come la più idonea a essere di rife-

in pensosa malinconia circondato dalle proprie ope-

rimento alle aspirazioni estetiche e sociali dell’uomo

re, e che portarono a una nuova interpretazione del

moderno, desideroso di un’arte in grado di suscitare

non fnito michelangiolesco come «discrimine di due

5

passioni e non di una che si limitasse a descriverle .

diverse specie di genio artistico»11. «La sproporzione è

Il prodigioso vigore della maniera di Michelangelo

forse una condizione necessaria, per suscitar l’ammi-

incarnava un ideale, che, come aveva innervato l’arte

razione?» si chiedeva Delacroix meditando sulla mi-

del Rinascimento, si sarebbe dimostrato profcuo per

nor impressione suscitata da opere pur grandissime

secolo,

come quelle di Mozart, di Cimarosa, di Racine, prive

insofferente verso i canoni estetici del recente passa-

però di qualunque discordanza adeguata a metterne

to e “assetata” di emozioni. Sarebbe dunque stata «une

in rilievo le perfette qualità e le proporzioni. E con-

peinture exacte et enfammée du coeur humain»,

veniva che parte dell’ammirazione per le sculture di

alimentata dalle rifessioni sull’opera del Buonarro-

Michelangelo, dello stupore e del senso di sgomento

ti, rivelatrice di come la forza della passione sia altro

che esse destano, era dovuta proprio a certe loro spro-

dalla forza fsica, a distinguere l’arte dell’Ottocento da

porzioni o alle «parti incompiute che, per contrasto,

infondere nuova vitalità alla cultura del

xix

6

facevano risaltare l’importanza di quelle fnite»12. Mi-

quella dei secoli che l’avevano preceduto . Con la logica chiarezza che connota il suo pen-

chelangelo era, sì, un «genio focoso», «indisciplinato»,

siero, Stendhal individuava in Michelangelo un

capace di «obbedire soltanto all’istinto», ma proprio

esempio eccellente da proporre agli artisti romantici:

per questo, egli era uno degli «iniziatori e [de]i pastori

un’immagine solenne e austera della vera gloria che,

del gregge»: paragonabile a quei «monumenti spesso

disprezzando le fallaci apparenze del successo, «dialo-

informi ma imperituri, che per i caratteri eterni delle

7

ga con sé stessa nell’urgenza del capolavoro» ; consa-

loro parti belle, dominano nei deserti come in mezzo

pevole dell’importanza che questa sua interpretazione

alle civiltà più raffnate delle quali restano il punto di

della personalità di Michelangelo avrebbe assunto per

partenza e nel medesimo tempo la critica»13.

l’evoluzione dell’arte moderna francese, nello scrive-

A Michelangelo Delacroix sembra attribuire

re la vita dell’artista, Stendhal s’impegnò a esprimer-

atteggiamenti e doti che appartengono al suo stesso

si con uno stile «vigoureu et elliptique, à la Monte-

carattere e al suo stesso modo di rapportarsi con la

8

squieu», in modo da dare un sobrio risalto alle pagine .

propria arte: «immaginazione ardente», «audacia»,

Eugène Delacroix fu uno dei primi a cogliere la

«ispirazione focosa», «foga esecutiva», ma anche in-

novità delle considerazioni di Stendhal. Entusiasmato

quietudini dello spirito e profonde malinconie det-

_ 20

HoraCe verNet Raphaël au Vatican [Raffaello in Vaticano], 1832 Parigi, Musée du Louvre, inv. 8356

l’opera sul fascicolo dell’“Antologia” del febbraio

tate dall’insoddisfazione nel non riuscire a esprimere 14

nell’opera «la sublimité des ses idées» . E sono simili

1832, nel dipinto non c’è prevaricazione di un anta-

stati dell’animo che egli volle evocare raffgurando Mi-

gonista sull’altro: Vernet rispetta in eguale misura

chelangelo solo nello studio, pensoso e immalinconito,

la diversa personalità dei due «divini maestri», uno

in un’immagine complementare alla biografa dell’ar-

dei quali «rallegrasi del dolce raggio del sole», men-

tista da lui scritta nel 1830: « Je me le fgure à une heure

tre l’altro ama essere cinto «nel maestoso orrore delle

avancée de la nuit, pris de peur lui-même au specta-

procelle»19. Eseguito a Roma, quando il pittore era di-

cle de ses créations, jouissant le premier de la terreur

rettore dell’Accademia di Francia, e nelle dimensioni

secrète qu’il voulait éveiller dans les âmes, aux images

monumentali consone ai soggetti di storia, il Raphaël

terribles de destruction et de vengeance de la religion.

au Vatican sembra offrire una soluzione al dibattito

J’aime encore à l’imaginer dans ces moments où, fati-

tra classicisti e romantici: senza assegnare la palma

gué de n’avoir pu arriver par la peinture à la sublimité

della vittoria all’uno o all’altro dei due artisti, lascia

de ses idées, il essayait, dans l’inquiétude de son esprit,

intendere che l’ammirazione per Raffaello non dove-

d’appeler à son secours la poésie. C’était alors l’expres-

va signifcare la condanna dell’arte di Michelangelo,

sion d’une mélancolie profonde, ou bien ses agitations,

e viceversa. Concetto per altro già espresso da Vernet,

son effroi, en pensant à la vie future: les regrets du bel

e con altrettanta eloquenza, nel 1827 quando dipinse

15

Giulio II commissiona i lavori del Vaticano e di San Pie-

âge, la crainte de l’obscur et affreux avenir» .

tro a Bramante, Michelangelo e Raffaello per un sofftto

È la concezione del genio secondo le convenzioni romantiche, impersonata perfettamente dal Buo-

del Louvre.

narroti, che Delacroix s’ingegnò di rappresentare nel

Fedele all’intento di dirimere la questione fra

Michel-Ange dans son atelier, esaltando la solitudine

opposte concezioni estetiche, palesato nelle due ope-

dell’artista e l’individualità della sua ricerca, motivo

re con il tenore didascalico confacente alla mentalità

di lotte interiori e di tormenti dello spirito16, e nel far-

della Restaurazione, Vernet non condivise la decisio-

lo «gettò una luce commovente sulle agonie che a lui

ne del ministro Thiers di far eseguire una copia del

stesso costava il processo creativo»17.

Giudizio Universale di Michelangelo come oggetto

Il carattere d’introspezione psicologica, intessuto

di studio per gli allievi dell’École des Beaux-Arts20;

d’implicazioni autobiografche, che connota il dipinto

Delacroix, invece, si dichiarò entusiasta dell’iniziati-

di Delacroix, eseguito fra il 1849 e il 1852, lo distingue

va affdata a Xavier Sigalon, che permetteva agli ar-

nettamente dai tanti quadri che dall’inizio del secolo,

tisti un confronto – se pur mediato – con l’opera di

e in Francia soprattutto dal 1817, anno dell’edizione

quel Fiorentino «padre dell’arte moderna», il cui stile

dell’Histoire de la Peinture en Italie di Stendhal, raff-

sarebbe sempre stato un riferimento ineludibile per

guravano episodi della vita di Michelangelo – veri o

ritrovare grandiosità e bellezza al di là di qualunque

presunti – declinati secondo le cadenze affabilmen-

capriccio o velleità di cambiamenti dettati da mode

te narrative della pittura di genere attenta a mettere

effmere21.

in evidenza le doti morali o la fermezza di carattere

Contrariamente a Horace Vernet, Delacroix non

dell’artista, nonché i suoi rapporti con i grandi perso-

era mai stato in Italia, e conosceva dal vero soltanto

naggi dell’epoca. Soltanto Horace Vernet si era soffer-

due sculture di Michelangelo, i Prigioni del Louvre;

mato sull’indole tenebrosa del Buonarroti, illustrando

è dunque comprensibile che plaudisse all’“impresa”

l’aneddoto descritto da Quatremère de Quincy secon-

di Sigalon, esposta nella primavera del 1837 nella

do cui l’artista ha un diverbio con Raffaello, a suo pa-

chiesa dei Petits-Augustins22, insieme ai calchi del-

rere esageratamente mondano e sempre attorniato da

le statue della Sagrestia Nuova. Si può quindi forse

un seguito pari a quello di un generale; «e voi», gli

imputare alla mancanza di un rapporto diretto con

risponde Raffaello «ve ne state da solo come un boia»18.

la scultura di Michelangelo, essenzialmente mediato

Tuttavia, come già notava Enrico Mayer recensendo

dalle riproduzioni grafche e, dalla metà del secolo,

_ 22

dalla fotografa, l’opinione di Delacroix riguardo alla

al Cinquecento, che pochi anni dopo Giovanni Degli

maggior bravura di Michelangelo come pittore che

Alessandri, direttore della Galleria degli Uffzi, decise

non come scultore.

di collocare il Tondo Pitti di Michelangelo, acquista-

«Nella sua scultura […] sembra sempre che egli

to da Fedele Acciai nel maggio 1823, nel Corridoio di

abbia tracciato un proflo ideale che si sia sforzato di

sculture moderne, nuovo ambiente del museo conce-

riempire, come fa un pittore», appuntava l’artista nel

pito per allestirvi «una collezione di Scultura toscana

diario, e ignaro del signifcato che il punto di vista

disposta istoricamente dal risorgimento dell’arte fno

privilegiato aveva per Michelangelo, insisteva: «si di-

al suo perfezionamento»26. Di quel percorso che pren-

rebbe che la sua fgura o il suo gruppo gli si presenti

deva l’avvio dalle cantorie di Luca della Robbia e di

solamente sotto una faccia: come a un pittore. Quan-

Donatello, il Tondo Pitti avrebbe rappresentato «l’ul-

do bisogna cambiar punto di vista […], ci si accorge

timo e il più cospicuo anello»27 secondo un preciso

per conseguenza delle membra torte, dei piani che

programma storiografco che inseriva Michelangelo

mancano di precisione, insomma di tutto ciò che non

nell’ambito del Rinascimento toscano.

23

si vede negli antichi» .

In quegli anni che vedevano crescere la “fortuna”

Delacroix ne era quasi certamente all’oscuro,

della scultura forentina del Quattrocento, apprezza-

ma già Leopoldo Cicognara nella Storia della scultura

ta per la sua intrinseca perfezione formale ma anche

dal suo risorgimento in Italia fno al secolo di Napoleone

per i valori civili che le si attribuivano28, il riconosce-

– titolo poi corretto in «fno al secolo di Canova» –

re nell’arte del Buonarroti – almeno in quella degli

aveva espresso un giudizio a favore della superiorità

anni giovanili – l’approdo di quella cultura, signifcò

di Michelangelo come pittore, sebbene le sue consi-

assegnare alla fgura di Michelangelo un ruolo stret-

derazioni, correlate a una meditata lettura storiogra-

tamente connesso all’insorgere d’ideali patriottici,

fca dell’evoluzione artistica, fossero motivate da os-

che nella Firenze del tempo s’identifcavano con la

servazioni ben differenti. Cicognara riteneva, infatti,

Toscana governata da Leopoldo II di Lorena. Non è

che fossero stati gli esempi degli eccellenti pittori del

un caso se Giovan Battista Niccolini, concludendo la

Quattrocento con cui Michelangelo si era confron-

sua lezione Del Sublime e di Michelangelo29, nella qua-

tato fn dall’apprendistato presso il Ghirlandaio, da

le esaltava «la ferezza nobile e generosa» dell’artista

Masaccio a Beato Angelico, a Benozzo Gozzoli, ai

creatore di opere e autore di azioni tali da “assuefare”

Lippi, alla «ferezza dei nudi» del Pollaiolo, al teno-

gli uomini «a grandi movimenti dell’animo», stabi-

re eletto delle fgure di Piero, ai «terribili soggetti»

liva un legame fra Michelangelo e Galileo che della

di Luca Signorelli, «composti con tanta intelligenza

genialità toscana, di cui il primo era stato straordina-

e studio d’anatomia», fno «all’altissimo ingegno» di

rio interprete, sarebbe stato l’erede30.

Leonardo, a permettere al Buonarroti di «essere salito

La celebrazione del Buonarroti come modello

a maggior grido nell’arte del pennello» piuttosto che

di virtù patria trovava un motivo d’essere nelle stesse

24

nella scultura .

vicende umane dell’artista divenute soggetto di opere

La teoria del Cicognara, in merito alle doti di Mi-

letterarie e di dipinti, come la sua partecipazione alla

chelangelo sollecitate dal confronto con gli artisti più

difesa di Firenze contro le truppe imperiali, tema il-

anziani, si rivelò fondamentale per una nuova e più

lustrato da Annibale Gatti, da Beppe Moricci, dal gio-

storica valutazione dell’arte del Buonarroti, considera-

vane Borrani31, e il suo «fero diniego» alla proposta di

ta adesso, sì, opera di un «genio favorito dalla natura»

Alessandro de’ Medici di lavorare alla fortifcazione

ma anche agevolato dalla cultura che lo aveva prece-

della città, rievocato da Guerrazzi nell’Assedio di Fi-

duto e che gli aveva consentito di «spiegar […] un volo

renze, e più tardi trattato in pittura da Enrico Polla-

25

felice» . Fu attenendosi alle teorie estetiche espresse da

strini e da Domenico Morelli. E che un simile episo-

Cicognara nel secondo volume della Storia della scul-

dio fosse stato investito di signifcati civili e politici lo

tura, pubblicato nel 1816 e dedicato al Quattrocento e

attesta la decisione di Emilio Santarelli, autore della

_ 23

DoMeNiCo Morelli Michelangelo rifuta la collaborazione al duca Alessandro de’ Medici per la fortifcazione di Firenze, 1855-1857. Collezione privata

statua raffgurante l’artista al Loggiato degli Uffzi, di

di farne un calco in gesso da utilizzarsi come simu-

rappresentare Michelangelo turbato in volto e nell’at-

lacro per poter comprendere quale sarebbe stata la

to di calpestare il foglio con la richiesta del duca Ales-

collocazione più idonea della statua, se la Loggia dei

sandro di costruire una fortezza. La statua del Buo-

Lanzi o l’Arco maggiore degli Uffzi aperto sull’Ar-

narroti, allogata nel 1836, era stata la prima a essere

no. Nell’agosto del 1846 Clemente Papi venne inca-

realizzata delle ventotto destinate a comporre quella

ricato di formare il calco della scultura, utilizzato in

imponente “memoria” della passata grandezza della

seguito per farne una replica donata da Leopoldo II

patria, che, in sintonia con la cultura del romantici-

alla regina Vittoria33. Posto sotto la Loggia dei Lan-

smo storico, faceva ricorso alle effgi di “uomini illu-

zi, il gesso iniziò presto a deteriorarsi, nel 1854 venne

stri toscani”, ben più capaci, di quanto ormai lo fos-

quindi rimosso e collocato nella Sala del Colosso alla

sero le allegorie, nell’esortare gli animi a sentimenti

Galleria dell’Accademia34. Le peregrinazioni del calco non terminarono

che nel volgere di poche stagioni si sarebbero caricati

qua: nel 1866, nonostante le rimostranze del presiden-

di infessioni risorgimentali. L’interpretazione dell’opera giovanile di Mi-

te dell’Accademia, Niccolò Antinori, venne portato al

chelangelo in una linea di continuità con la scultura

Museo Nazionale del Bargello dove rimase esposto al

quattrocentesca comportò il rinnovarsi della fortuna

primo piano dal marzo all’ottobre dell’anno seguen-

del David, e una inusitata attenzione conservativa nei

te, quando venne riportato in Accademia35.

suoi confronti. Se fno agli anni Trenta, la statua non

Nel frattempo Pasquale Poccianti, che nel gen-

aveva avuto un particolare rilievo nelle raffgurazioni

naio 1852, in qualità di presidente di una commissio-

pittoriche della Piazza del Granduca, nei decenni che

ne di studio formata da professori dell’Accademia,

seguirono essa cominciò a essere considerata il princi-

era stato incaricato di stabilire lo stato di degrado

pale ornamento di quel maestoso spazio urbano ricco

dell’originale marmoreo e di deciderne gli interventi

di monumenti, tanto da divenire soggetto autonomo

di restauro, aveva confermato l’opinione di Bartoli-

di immagini fotografche, di cui, forse, una delle prime

ni consigliando vivamente la rimozione della statua

fu quella eseguita da Eugène Piot fra il 1850 e il 1853.

il cui stato era gravemente compromesso dalla puli-

Attorno a quella data, le preoccupazioni per la

tura del 1843, che, nell’intento di ritrovare un can-

conservazione della scultura avevano indotto la di-

dore del marmo, ritenuto originale, aveva eliminato

rezione delle Regie Fabbriche a proteggerla con un

la protezione cerosa data nel 1813 da Stefano Ricci36.

modesto baldacchino che la riparasse dalla pioggia in

L’ipotesi dello spostamento della scultura non venne

attesa di un suo spostamento già sollecitato da Lorenzo

però accolta in modo unanime; Antonio Zobi sugge-

Bartolini, consultore di quell’istituzione granducale,

riva allora come soluzione alternativa «una copertura

nella primavera del 1842. Turbato dalla situazione in

di ferro fuso a foggia d’edicola, aperta da quattro lati,

cui versava un simile «trofe[o] della scultura moder-

ampia, elegante, svelta, di stile analogo al palazzo ed

na», Bartolini, dopo averne fatta eseguire la pulitura

alla loggia»37. Proposta che testimonia dell’interesse

e affdato il restauro del piede ad Aristodemo Costoli,

per il gusto neogotico che in quel medesimo scorcio

si era rivolto al marchese Ballati Nerli, direttore dello

di tempo trovava a Firenze una precisa affermazione

Scrittoio delle Regie Fabbriche, esortandolo a mettere

nell’avviato cantiere di Santa Croce – il suggestivo

al riparo «quell’unico capodopera» per salvarlo «dalla

campanile del Baccani era stato terminato da una de-

distruzione delle ingiurie dei tempi», e così conserva-

cina d’anni e si iniziava a lavorare alla facciata – e nel

re «all’ammirazione del Mondo questa gioja del pro-

progetto di restauro del Bargello.

32

gresso dell’arte statuaria» .

I varî tentativi di trovare una nuova adeguata

Le raccomandazioni di Bartolini, se non sorti-

collocazione al David non condussero a nessun risul-

rono subito l’esito sperato, convinsero tuttavia della

tato soddisfacente, e solo all’inizio degli anni Settan-

necessità di spostare il David; pertanto venne deciso

ta venne accolto il suggerimento di Emilio De Fabris

_ 25

HENRI FANTIN-LATOUR La leçon dans l’atelier, 1879 Bruxelles, Musées Royaux des Beaux-Arts de Belgique

di costruire, al temine della galleria dei quadri anti-

nella primavera del 1872, con assai poco tempo da de-

chi nel museo dell’Accademia, un locale adeguato ad

dicare alle opere d’arte della città, non trascurò di vi-

accogliere la statua: una vera e propria “tribuna” in

sitare la tomba di Giulio II, e della statua riportò l’im-

onore di Michelangelo38. In tal modo il David, già

pressione di una «fgura strana, sformata, ma bella, e

predisposto a divenire un emblema della grandezza

piena di vita»42.

dell’arte italiana, otteneva «una sistemazione architet-

Un commento espresso con naturalezza, sull’on-

tonica di grande intenzionalità retorica: «il prodotto

da dell’emozione, ma comunque indicativo, nella

principe del “genio italico” scultoreo veniva posto a

sua stringata semplicità, di come alle soglie dell’ot-

campeggiare in una calibrata macchina classicista di

tavo decennio dell’Ottocento l’interesse degli artisti

colonne, di archi, di volte, tipicamente, accentuata-

per Michelangelo fosse rivolto ai valori formali e

39

mente “italiana”» .

sentimentali della sua opera, assunta a meditato ri-

Tralasciando il culto tributato al David in ambi-

ferimento. Dalla metà del secolo, il diffondersi delle

to forentino, le sculture di Michelangelo che nell’Ot-

ricerche fgurative fondate sull’analisi positiva aveva

tocento più godettero di ritrovata fama e ammirazio-

fatto apparire superata l’eloquenza narrativa e passio-

ne furono il Mosè e le statue eseguite per la Sagrestia

nale dell’arte romantica, e la sua aspirazione a un pia-

Nuova, soprattutto i Duchi Medici e in particolar

no comunicativo di larga intesa; di conseguenza, la

modo Lorenzo, commovente «nella sua insolita carat-

raffgurazione delle vicende biografche del Buonar-

40

terizzazione e formale fnitezza» .

roti, privata dei signifcati didascalici che ne costitui-

Mosè è l’opera raffgurata più spesso nei dipin-

vano la ragion d’essere, aveva perduto ogni attualità.

ti ottocenteschi ispirati alla vita di Michelangelo. Il

Al loro posto erano andate sostituendosi immagini di

confronto con l’antico sollecitato da Vasari, e risolto

ritemprato formalismo basato sul tenore del disegno,

a tutto vantaggio dell’insuperabile bellezza della scul-

attente a esprimere tramite i rimandi allo stile di Mi-

tura, infuì in maniera considerevole nel ristabilire

chelangelo, alla “grandeur” e alla malinconia delle

il valore delle “divine” qualità della statua negli anni

sue sculture, una nuova aspirazione alla bellezza.

di transizione dall’ideale neoclassico alle implicazio-

Un simile desiderio di rinnovamento affora

ni emotive dell’estetica romantica; ma per i pittori

nell’opera di giovani scultori francesi fn dal 1859,

dovette contare ancor più quella identifcazione fra

anno in cui Ernest Christophe espose al Salon La

la «gravissima attitudine» del Mosè, espressione della

maschera, frutto di rifessioni sulla commossa bellez-

sua grandezza morale, e il carattere di Michelangelo

za dello Schiavo morente, e con maggior chiarezza se

suggerita da Stendhal – per altro già adombrata nel

ne leggono gli esiti in sculture eseguite alcuni anni

ritratto del Buonarroti di Federico Zuccari – e che gli

più tardi quali la Madonna col Bambino di Paul Dubois

artisti romantici e i loro successori volsero in quella

(1867; Parigi, chiesa della Trinità), memore «dell’unio-

sorta di processo auto-identifcativo cui si è accennato

ne di ferezza e mestizia» della Madonna di Bruges, o le

a proposito di Delacroix e del suo Michelangelo nel-

fgure sulla tomba del generale Lamoricière, a Nantes,

lo studio che di quel fenomeno rappresentò il vertice.

per le quali Falguière fece riferimento ai Duchi della

L’inquietudine di Michelangelo, immaginato solita-

Sagrestia Nuova43.

rio nella stanza semibuia fra il Mosè e la Madonna col

Guardare a Michelangelo per trarne motivi ade-

Bambino per la Sagrestia Nuova – «fantasmi di mar-

guati a suggerire sentimenti di mistero, di commozio-

mo che egli stesso ha strappato alla materia bruta» –

ne, di dolore, confacenti alla sensibilità e alla cultura

altro non è se non un rifesso dei turbamenti del suo

contemporanee, signifcava inevitabilmente una co-

41

epigono moderno .

noscenza più approfondita e diffusa della sua opera,

Anche Giovanni Fattori si lasciò attrarre, pur

dovuta a più fattori, i più importanti dei quali furono

senza coinvolgimenti psicologici, dalla forza vitale

l’attenzione da parte delle Accademie a proporre come

e dalla potenza espressiva del Mosè, quando, a Roma

modello agli studenti una selezione sempre più ampia

_ 27

di calchi in gesso delle sculture dell’artista, e il mol-

conservati al British Museum, a Casa Buonarroti e in

tiplicarsi delle pubblicazioni su di lui, che avrebbero

altri archivi, forentini e non, delle tante che si erano

avuto un considerevole aumento attorno al 1875, quar-

susseguite dal Discorso di Reynolds proponendo inter-

to centenario della sua nascita. Da non sottovalutare,

pretazioni della personalità e dell’opera di Michelan-

per una più vasta e “trasversale” crescita della fama

gelo con intenti più o meno apologetici.

europea di Michelangelo, anche la presenza all’Espo-

Fra le molte iniziative editoriali legate alla ri-

sizione Universale di Parigi del 1867, della fusione in

correnza del centenario della nascita di Michelange-

bronzo del David, realizzata da Clemente Papi in pre-

lo, vi fu la fondazione della rivista francese “L’Art”

visione della sostituzione dell’originale sull’arengario

che dedicò l’intero tomo dell’annata 1875 all’artista,

44

di Palazzo Vecchio .

pubblicando una serie di articoli relativi alle cele-

Ma certo, la manifestazione più signifcativa in

brazioni corredati di splendide illustrazioni, di cui

tal senso fu la Celebrazione del centenario, che vide

quello conclusivo, redatto da Paul Leroi, il corrispon-

l’entusiastica partecipazione di Accademie e d’Isti-

dete per la rivista da Firenze48, sottolineava quanto

tuti di cultura europei, uniti nell’idea di glorifcare,

determinante fosse l’ispirarsi a Michelangelo per il

insieme a Michelangelo, Firenze, «fglia primogenita

rinnovamento dell’arte moderna. È possibile che una

del mondo moderno», come la defnì nell’occasione il

simile affermazione, insieme agli articoli di Eugène

45

rappresentante dell’Accademia di Weimar . Firenze,

Guillaume pubblicati sulla “Gazette des Beaux Arts”

dunque, intesa come “il presente e il futuro” di una

nel gennaio 1876, sollecitasse Rodin a compiere un

cultura che travalicava i confni nazionali, e che, in-

viaggio forentino per confrontarsi direttamente con

dissolubilmente associata a Michelangelo, diventava

l’opera del Buonarroti49. «Tutto quello che ho visto

«una presenza irrinunciabile nel panorama dei riferi-

in fotografa in gesso non dà la minima idea della

46

menti dell’arte moderna» .

sacrestia di San Lorenzo» ammetteva lo scultore, as-

La mostra allestita alla Galleria dell’Accademia

sorto nella contemplazione delle fgure dei Duchi e

rappresentò l’avvenimento più importante delle cele-

delle statue sui sarcofagi, considerando tra sé, quasi

brazioni; alla sua realizzazione contribuirono dona-

con stupore, che Michelangelo stesso, quel «grande

zioni e prestiti pubblici e privati, italiani e stranieri,

mago», gli stava trasmettendo qualcuno dei suoi «se-

così che si videro riuniti attorno al David – unica ope-

greti»50. Al ritorno in Francia, meditando sui disegni

ra originale – le riproduzioni in gesso delle scultu-

eseguiti nella Sagrestia, Rodin s’impegnò a tradurre

re, le copie e le fotografe delle pitture e dei disegni,

in sculture dal violento contrapposto quelle «strut-

con un effetto senz’altro stupefacente della potenza

ture in torsione»51 che tanto lo avevano conturbato e

somma e ineguagliata dell’arte di Michelangelo47. Ma

che gli furono di sprone nel perseverare in un proce-

altrettanto importante si rivelò la mostra ordinata

dimento creativo sempre più libero e audace nei con-

da Cesare Guasti all’Archivio di Stato, con autogra-

fronti della forma. Le sue rifessioni sul San Matteo,

f dell’artista e documenti inerenti alla sua attività e

allora nell’atrio della Galleria dell’Accademia, e sui

alle sue opere, fra cui le lettere di Bartolini al diretto-

Prigioni di Boboli52 indussero Rodin a ritenere il non

re dello Scrittoio delle Regie Fabbriche, che in qual-

fnito michelangiolesco, da lui interpretato come

che modo avallavano “storicamente” la decisione dello

un’analogia del fusso della vita nel suo suggerire

spostamento del David.

stadi precedenti e successivi a quelli intrinseci alla materia lavorata, l’espressione più confacente ai voli

Basate sull’attenta lettura dei documenti erano

dell’immaginazione53.

anche due delle pubblicazioni motivate dalla celebrazione del centenario, il Carteggio privato dei ricordi e

Michelangelo, dunque, come viatico a un’arte

dei contratti artistici, curato da Gaetano Milanesi, e la

liberata dal realismo materialista, e in grado di co-

Vita di Michelangelo di Aurelio Gotti, la prima bio-

municare emozioni intensamente umane tramite la

grafa dell’artista stesa con l’ausilio dei documenti

recuperata interezza dell’espressione.

_ 28

«Uomo di fantasia, di contemplazione, d’azione»

al medesimo tempo, come espressione profonda dello

venne defnito Rodin da Ugo Ojetti, estimatore, nel

spirito59. Di quel libro, e degli altri volumi che com-

1901, della «gara di fecondità e di energia con la stes-

pongono le Laudi del cielo, del mare, della terra e degli

sa natura» condotta da quello scultore «unico e origi-

eroi, De Carolis, che come D’Annunzio viveva a Firen-

nale», capace di esprimere nelle proprie opere «tutta

ze dai primi anni del Novecento, eseguì le illustrazio-

l’angoscia convulsa» dell’epoca e «il suo spasimo sen-

ni delle copertine e del frontespizio, secondo profon-

54

suale verso l’ideale» ; parole che da sole sembrano

de consonanze di spirito con il poeta il cui amore per

suggerire l’infuenza che Michelangelo ebbe su Rodin

Michelangelo si esternava non solo nei versi o nell’o-

le cui fgure simboliche possedevano «le attitudini sa-

pera letteraria, ma anche nell’arredo delle proprie di-

cre dell’uomo moderno, quelle che gli sono proibite

more. Alla Capponcina, la casa sul colle di Settignano

dalla vita ordinaria, e oltrepassano l’individuo me-

dove visse fno al 1910, D’Annunzio aveva, oltre a una

55

testa del David a grandezza naturale realizzata dalla

scolandolo all’esistenza universale» . Alle soglie del Novecento, l’aspirazione a recu-

Manifattura di Signa, un calco dello Schiavo moren-

perare all’arte spiritualità, fantasia, cultura, senti-

te, regalatogli da Eleonora Duse. Di quel «giovane che

mento, ricordo, superando l’oggettività del materia-

inarca il braccio sinistro sul capo e posa le musiche

lismo positivista, suggerì agli artisti più sensibili di

dita dell’altra mano sotto la zona del petto, bello come

fondere interiorità e visione in immagini simboliche,

un Orfeo che abbia infranto la pettide e sia rimasto

o di coniugare sogno e presente in espressioni fgu-

in su la porta dell’Ade a sostenere con la sua deserta

rative solenni e assorte a un tempo, proprio come era

bellezza il dolore di tutti i perdimenti»60, egli avrebbe

delle fgure di Michelangelo che a Gustave Moreau

avuto più di un esemplare anche al Vittoriale: simu-

apparivano «inconsapevoli del movimento che fanno»

lacri di un’idea di bellezza costantemente ricercata ed

56

perché «prese dai sogni» . Un’immagine dell’opera di

espressa con enfasi ed esasperata sensibilità verbale da

Michelangelo affne a quella pervasa di malinconia, e

D’Annunzio il quale, quasi immedesimandosi in Mi-

«tormentat[a] da un aspro desiderio d’infnito»57, rie-

chelangelo, pativa immaginando «l’ansia del sublime

vocata dai Preraffaelliti, da Rossetti e da Burne Jones

[che] senza posa travaglia[va] quello spirito insonne

più di tutti, che tanto infusso ebbe sull’arte di Sar-

pronto a gettare una sfda sempre più alta»61.

torio e di De Carolis, tutt’e due raffnati illustratori

La ricerca stilistica di Rodin, il modellato fuen-

della rivista “Convito” e delle opere di D’Annunzio. E

te, mosso, suscettibile alla luce, delle sue sculture,

se Sartorio guardò a Michelangelo per reinterpretar-

furono probabilmente all’origine dell’amicizia che

ne «le pose incoscienti ed abbandonate che formano

all’inizio degli anni Novanta aveva unito l’artista a

58

quasi la transazione fra la vita e la morte» , De Ca-

Medardo Rosso; rapporto fondato sulla reciproca am-

rolis meditò sull’arte del Buonarroti per alimentare

mirazione ma rapidamente concluso a causa delle

il fusso vitale che anima le sue decorazioni parietali

forti divergenze fra le concezioni estetiche dei due,

e la forza espressiva della sua grafca. Negli affreschi

oltre che – pare – per la disconoscenza da parte di

del Palazzo della Provincia di Ascoli Piceno, eseguiti

Rodin dell’aiuto e dei profcui consigli datigli da Ros-

nel 1907, De Carolis si esprime con il tono eloquente

so riguardo all’esecuzione del monumento a Balzac.

e cromaticamente fastoso che distingue la sua pittu-

L’appassionato vitalismo della ricerca di Rodin, vòlta

ra – e ancor più lo farà negli anni a venire – tesa alla

al superamento del realismo positivista, si caricava di

ricerca di un’armonia classica basata sullo studio del

implicazioni simboliche relative all’uomo e al suo de-

nudo virile esemplato su Michelangelo.

stino; al contrario, le forme evocative della scultura

Una simile ricerca fgurativa trovava intrinseche

di Rosso, apparentemente fragili nel loro variare agli

rispondenze nella poesia di D’Annunzio, e in parti-

effetti della luce, si richiamavano a situazioni sempli-

colare nei versi della Laus Vitae che cantavano i nudi

ci e quotidiane di un’umanità senza pretese – la porti-

della Sistina come immagini di una bellezza eroica, e

naia, il bambino malato, la donna che ride – resa con

_ 29

un modellato sdutto, d’origine “scapigliata”, idoneo a

«dà tutta l’abissale esperienza accumulata dall’uma-

suggerire la transitorietà di un’impressione.

nità prima di lui»67.

Al tempo della loro amicizia, i due artisti si erano

Al tempo della mostra forentina sull’impressio-

scambiati alcune sculture, e fu proprio il Torso d’uo-

nismo, la cultura fgurativa era sempre più orientata

mo regalato da Rodin a Rosso in cambio della Donna

verso un classicismo fondato sulla continuità con la

ridente a fgurare alla Prima mostra italiana dell’im-

tradizione, in sintonia con le teorie estetiche di Mau-

pressionismo francese organizzata a Firenze nella pri-

rice Denis che sostenevano la necessità di recuperare

mavera del 1910 da Soffci, Prezzolini e Papini, nel cui

i valori “classici” della fgurazione per ottenere uno

ambito un’intera sala era dedicata a Medardo Rosso.

stile attuale, basato su canoni di sintesi e di sempli-

Emilio Cecchi, in una straordinaria pagina di critica,

fcazione, in grado di ovviare alla frammentazione

poneva l’accento sul «dissidio terribile» fra quelle due

impressionistica come al pragmatismo raziocinante,

sculture, una «aperta» e «sostenuta dalla tradizione»,

e di ritrovare l’affabilità comunicativa del soggetto.

l’altra, «simile ad una anatomia di anime dilacerate»,

Un’interpretazione, dunque, profondamente variata e

creazione di «un grande poeta della malinconia» che

umana di classicismo, aperta ai molteplici aspetti della

non vuole illudersi «nella gioia esteriore delle cose»,

vita quotidiana, e contraria a ogni forma di astrazione.

62

ma «soltanto saziarsi nel suo segreto cuore» . Tutta-

L’adesione a un ideale classico inteso come armo-

via, era stato proprio con il Torso di Rodin, accostato

nia tra l’attenzione al vero, la resa dell’emozione, e la

a una copia in bronzo della Testa di Vitellio, a una in

bellezza della forma, aveva portato a riconsiderare il

cera della Madonna col Bambino di Michelangelo per

nudo l’espressione più nobile e impegnativa dell’ar-

la Sagrestia Nuova, e a una sua Testa di bambino, che

te; concezione sostenuta dalle teorie purovisibiliste di

Rosso aveva composto una “storia per immagini” del-

Adolf Hildebrand come dal neoumanesimo germa-

la propria evoluzione fgurativa attraverso un proces-

nico di Max Klinger, e che inevitabilmente contribuì

so che indicava con chiarezza in Rodin il tramite da e

a ravvivare l’interesse per Michelangelo per il quale

per Michelangelo63.

«nudo e arte furon sinonimi», come aveva affermato

Un Michelangelo sul quale Rosso, pur dichia-

Bernard Berenson a proposito dell’artista, insistendo

rando una totale indifferenza per la tradizione rina-

sulla superiorità estetica ed etica del nudo in quanto

scimentale, faceva complesse elucubrazioni, fno a

«ottimo veicolo di ciò che in arte conferma ed esalta

concepire una propria interpretazione della Madon-

direttamente il senso vitale», e perché «l’oggetto più

na col Bambino della Sagrestia, partendo da un calco

signifcativo, in tutto il mondo umano»68. All’indomani della Grande Guerra, il classici-

in gesso di una traduzione bronzea settecentesca di 64

dimensioni ridotte ; e con l’arte del Buonarroti egli

smo poté anche volgere verso espressioni rigorosa-

volle anche cercare un confronto diretto, se davvero

mente formaliste, nelle quali il rimando alla tradi-

nel 1911 chiese di esporre una propria opera alla Gal-

zione acquistava intonazioni più programmatiche e

65

leria dell’Accademia , come soleva fare con il Torso

perentorie, tanto più quando il riferimento al passa-

di Rodin da lui presentato «dappertutto in mezzo ai

to veniva citato con oggettività, seppure in contesti

[suoi] lavori, coerente a quanto anche dalla photogra-

contemporanei: è quanto avviene nell’Autoritratto di

66

fa» per sollecitare utili paragoni . Un’esposizione che

Achille Funi eseguito nel 1920, anno in cui il pittore,

non avrebbe giocato a favore di Rosso, se non forse per

con alle spalle esperienze futuriste, partecipò a una

Soffci, fazioso sostenitore dello scultore piemontese,

mostra milanese sotto l’egida di Margherita Sarfat-

almeno a giudicare dal commento – forse ingenuo ma

ti, accolta con sincero entusiasmo da Enrico Somaré

sincero – di Giovanni Boine secondo il quale Miche-

per la «severa aspirazione all’arte» dimostrata dagli

langelo sa suscitare nell’animo dello spettatore «un

espositori impegnatisi faticosamente nel tentativo

mondo colossale che Rosso non sospetta nemmeno»:

di ricondurre la pittura «alla sua origine schietta»69.

se questi dà «l’impressione di un momento», il primo

Nel dipinto, che lo raffgura accanto a un boccale di

_ 30

aCHile FUNi Autoritratto con brocca blu, 1920 Milano, Studio Nicoletta Colombo

_ 31

Ketty la roCCa David, 1973 Collezione privata

foggia rinascimentale su cui si legge il nome d’arte

gote lisce e i riccioli morbidi, esemplare della gran-

ch’egli s’era dato, Funi assume la posa del Giuliano de’

dezza di Michelangelo nell’eguagliare l’antico, di-

Medici nella Sagrestia di San Lorenzo, declinandola

venne da allora oggetto di studio da parte degli artisti,

con un pathos drammatico di sapore neocaravaggesco.

e come tale proposta agli allievi come modello. Più

All’incirca nello stesso tempo, ma con altro

spesso, però, essa ha assunto signifcati più profondi,

orientamento di pensieri, anche Henri Matisse si ri-

di meditazione, di confronto, contemplativi, rivela-

volse a Michelangelo per trarne rinnovata ispirazio-

tori, non tanto del mutare della cultura nel tempo,

ne, quando a Nizza, dal 1918, prese a frequentare con

quanto dell’indole e della sensibilità di chi ha scelto

assiduità l’École des Arts Décoratifs, allora diretta da

quel “frammento” come motivo di una propria ope-

Paul Audra suo compagno nell’atelier di Gustave Mo-

ra, sia essa un interno con fgure, un autoritratto, una

reau, per fare disegni da un gesso della Notte per la

natura morta. E se per Fantin-Latour la testa dello

Sagrestia Nuova, nel tentativo di assorbire «la conce-

Schiavo diventa l’elemento principale di una moder-

zione semplice e complessa della costruzione di Mi-

na, poeticissima allegoria della pittura, di cui stabili-

chelangelo», come l’artista confdò all’amico Charles

sce il tenore emotivo, e per Brusselmans rappresen-

70

Camoin . Se infatti da quegli studi derivò in manie-

ta una sorta di alter-ego alla propria maniera di fare

ra esplicita l’Odalisca, oggi allo Stedelijk Museum di

arte, per Giovanni Colacicchi s’intesse del sentimento

Amsterdam, sono le complesse strutture delle fgure

per la bellezza che ha accompagnato l’artista per tut-

umane a indicare la costanza della ricerca di Matisse

ta la vita; accostata a qualche frutto e a pochi oggetti

il cui interesse per Michelangelo risaliva almeno al

amati, essa diventa un viatico alla serena contempla-

1907, anno in cui aveva ammirato dal vero le sculture

zione, alla felicità dell’immaginazione.

della Sagrestia traendone profonde suggestioni subi-

Contrariamente a Colacicchi, che nel 1947 riba-

to concretizzate in dipinti, come testimonia Scultura

diva la necessità di «dar forma ad immagini umane»

e vaso persiano del 1908 (Oslo, Nasjonalgalleriet). Nel

per poter esprimere in pittura «idee, e aspirazioni, e

1922 il pittore richiese al Louvre un calco dello Schia-

sentimenti, e spirituali pensieri»72, la modernità nel

vo morente, sempre poi rimasto nello studio dell’arti-

dopoguerra imponeva all’arte la programmaticità

sta, e lo ritrasse più volte: in un caso, come oggetto

o l’astrazione, e di conseguenza sviliva i riferimenti

d’arredo accostato ai suoi quadri, in una sorta di con-

alla tradizione fgurativa, anche per le presunte im-

fronto diretto (Pianista e giocatori di scacchi, 1922;

plicazioni con la cultura dei decenni precedenti. La

Washington, National Gallery of Art, Mellon Collec-

bellezza delle fgure scolpite di Michelangelo con la

tion), nell’altro, invece, rispettandone l’entità di sta-

loro saldezza formale e di pensiero, perse ogni fascino

tua assunta a fonte di intime rifessioni, e modello per

agli occhi degli artisti attratti dai nuovi linguaggi che

il proprio lavoro [si veda cat. 89].

esaltavano la materia, il segno, il gesto. Ciò nonostante l’informale, con la sua incom-

Incondizionatamente ammirato fn dall’inizio 71

dell’Ottocento dai romantici come dai classicisti , lo

bente presenza materica, poteva diventare espressione

Schiavo morente era divenuto nel corso del secolo – e

dello stesso Michelangelo secondo un’interpretazione

tanto più dal 1876, quando al Louvre era stata riallesti-

del non fnito di Cesare Brandi per il quale «le parti

ta la sala delle Sculture del Rinascimento italiano in

escrescenti delle sculture michelangiolesche, che sono

seguito all’acquisto della Porta Stanga, una delle scul-

quanto mai sodali e pertinenti all’immagine, non oc-

ture più note e amate di Michelangelo, per il carattere

corre eliminarle mentalmente ed anzi è impossibile

squisitamente patetico della bellezza del volto, e della

eliminarle se non sostituendo d’arbitrio un’immagine,

posa abbandonata che avrebbe suscitato in D’Annun-

che non è più quella di Michelangelo», perché, chiariva

zio l’immagine di un Orfeo arreso all’ineluttabilità

il critico, «la potente, sovrumana organizzazione pla-

della morte. Soprattutto la testa, dalla straordinaria

stica dell’immagine vinceva e assimilava quei residui

tenerezza di modellato e dal delicato contrasto fra le

non rimossi, ancora più che se fossero stati asportati»73.

_ 33

Si doveva giungere alla Pop Art perché l’imma-

La tessitura di segni geometrici, e le porzioni di

ginazione di un artista fosse nuovamente sollecitata

cielo che si sovrappongono all’immagine dell’Aurora

da Michelangelo, e val la pena considerare che ciò av-

proiettata sulla tela, nel verso corretto o in contropar-

venne in una situazione di spirito turbata: fu per la

te, suggerite dalla Optical Art, acquisiscono più pro-

morte del fratello Francesco Lo Savio che Tano Festa

fonde implicazioni intellettuali se lette come l’esito

ricorse a un’iconografa michelangiolesca – l’Adamo

di rifessioni sulle teorie di Arnheim relative alla per-

dalla Sistina – accostandola a una visione di cielo. Era

cezione visiva75. L’«ossessione»76 per Michelangelo ha

il 1963 e da quell’anno le rifessioni di Festa sull’opera

alimentato la creatività di Festa, salvandola dal vuoto

di Michelangelo si sarebbero susseguite ininterrotta-

emozionale dovuto alla volontaria rinuncia all’intesa

mente per una ventina d’anni. A sollecitare l’atten-

comunicativa in vista di una “concettualità” dell’arte.

zione dell’artista contribuì certamente la Mostra cri-

Quel concettualismo che ha indotto Ketty La Rocca a

tica delle opere michelangiolesche curata da Bruno Zevi

constatare come i valori estetici e storici di un’opera

e da Paolo Portoghesi nel 1964 per il IV Centenario

d’arte siano resi vani dall’abuso della sua immagine che

della morte del Buonarroti. Concepita come un’impo-

la banalizza svuotandola di ogni potere evocativo. «Il

nente scenografa didascalica, la mostra era costituita

David, per esempio, non esiste più», nota in proposito

da riproduzioni fotografche, plastici delle architettu-

l’artista, «quello vero è quello delle cartoline o quello

re, calchi, proiezioni audio e visive, e dette una lettu-

più raffnato delle fotografe per turisti o dei libri di

ra dell’opera di Michelangelo assolutamente in linea

storia dell’arte, eppure è per questo che è così misterio-

con le ricerche linguistiche dell’arte del tempo.

so e se io voglio un David tutto per me posso rifarmelo,

Nella ricorrenza del IV Centenario venne realiz-

ricostruirlo per i miei ricordi, su misura sul mio modo

zato anche il critoflm Michelangelo di Carlo Ludovi-

di essere, di sentire, di vivere»77. Dolorosa constatazione

co Ragghianti, che dà particolare risalto alla Sagrestia

cui Ketty La Rocca tenta di porre rimedio ripercorren-

Nuova, soffermandosi sull’Aurora con una ripresa

do la sagoma della scultura con quel suo «specialissi-

dell’insieme e dei particolari che sembra dialogare

mo tracciato calligrafco»78, fno a renderla pressoché

con il taglio dell’immagine adottato da Tano Festa per

diafana, memoria interiorizzata di un capolavoro che,

le opere esposte alla Galleria La Tartaruga nell’otto-

perduta la sua maestosità materica, è fnalmente pre-

74

bre del 1965, al rientro da New York .

servato nella sua integrità di bellezza e di pensieri.

1

10

idem, p. 47; appunto del 4 gennaio 1824.

11

Barocchi 1962, IV, p. 1654.

Sir Joshua Reynolds, XV Discorso, citato nella traduzione di P.

Prestini, si veda reynolds 1991, p. 259. 2

Penny 1986, p. 287.

12

3

stendhal 1817, II, p. 429.

1853.

4

idem, II, p. 428.

13

idem, II, p. 354; appunto del 10 giugno 1856.

5

idem, II, p. 241.

14

delacroix (1830), 1926, p. 52

6

idem, II, pp. 363, 431-432.

15

Ivi; «Me lo immagino a notte fonda, intimorito dallo spet-

7

Berthier 1977, p. 78; al testo si rimanda per un’approfondita

tacolo delle sue proprie opere, godendo per primo del terrore

disamina delle concezioni di Stendhal sull’importanza di Mi-

segreto che voleva ispirare negli animi con le immagini ter-

chelangelo nell’Ottocento.

ribili di distruzione e di vendetta imposte dalla religione. Mi

8

Nota di Stendhal in margine al manoscritto; si veda Berthier

piace anche immaginarmelo in quei momenti in cui, deluso di non essere giunto, attraverso la pittura, alla sublimità delle sue

1977, p. 63. 9

delacroix 1954, II, p. 34; appunto sul diario del 9 maggio

delacroix 1954, I, p. 44; appunto sul diario del 30 dicembre

idee, tentava, nel suo spirito inquieto, di invocare l’aiuto della poesia. Esprimeva allora una profonda malinconia, o anche

1823.

_ 34

l’inquietudine, la paura ispirate dal pensiero della vita futura;

47

Parrini 1876, pp. 47-49.

il rimpianto per l’età giovanile, la paura dell’oscuro e orrido

48

idem, p. 209.

avvenire».

49

Fergonzi 1985, p. 117. Lettera di Auguste Rodin a Rose Beuret (Parigi, Archivio

16

de toLnay 1962, p. 48.

50

17

haskeLL 1978, p. 147.

Rodin), citata in Le normand romain 2001, p. 39.

18

idem, p. 146.

51

eadem, p. 40.

19

mayer 1832, p. 169.

52

Il permesso di spostare le sculture dalla Grotta del Buonta-

20

Il pittore per altro condannò anche la decisione di far copiare

lenti fu concesso da Vittorio Emanuele III nel 1906, e i Prigioni

gli affreschi delle Logge vaticane e quelli delle Stanze, ordinate

giunsero nella Galleria dell’Accademia nel 1909.

da Thiers con il medesimo intento, su indicazione di Ingres;

53

Le normand romain 2001, p. 46.

cfr. rosenthaL (1914), 1987, p. 305.

54

ojetti 1901, p. 44. maucLair 1904, p. 40; citato in deL Bravo 1993, p. 32.

deLacroix (1837), 1926, II, pp. 223, 224

55

22

Oggi è la cappella dell’École des Beaux-Arts.

56

renan 1899, p. 202.

23

deLacroix 1954, II, p. 33; appunto del 9 maggio 1853.

57

deL Bravo 1993, p. 29.

24

cicognara (1813-1818), ed. cons. 1823-1824, II, pp. 162-164.

58

Il giudizio di Sartorio è citato da Francesco Leone, si veda F.

25

idem, p. 104.

Leone 2011, p. 55.

26

AGU, flza XLVII, 1823, n. 7; per la presenza di Michelangelo

59

Si veda de Lorenzi 1999, p. 249. D’Annunzio, Le faville del maglio, II, 180; si veda tamassia

21

agli Uffzi, si veda angLani 1998, pp. 51-64.

60

27

AGU, flza XLVII, 1823, n. 16.

massarotto 1949, p. 331.

28

sPaLLetti 1986, p. 101.

61

eadem, p. 319.

La lezione fu tenuta all’Accademia della Crusca nell’adunan-

62

cecchi 1910, p. 329.

63

LamBerti 1985, p. 21. Si veda la scheda di Paola Mola, qui in catalogo [cat. 55-

29

za del 12 aprile 1825. 30

niccoLini 1828, pp. 16, 17.

64

31

Pinto 1973-1974, p. 80.

57].

32

Lettera di Lorenzo Bartolini al Direttore Generale delle Re-

65

Lista 2003, p. 332.

gie Fabbriche in Toscana, del 24 maggio 1843; si veda Lorenzo

66

Lettera di Rosso a Prezzolini datata 1909; si veda rodriguez

Bartolini 1978, pp. 186-187.

1994, p. 163, nota 381.

33

caPuto caLLoud 1989, p. XXV.

67

34

AABBAA, flza 43 A, 1854, n. 65.

gio 1910; si veda idem, pp. 216-217.

35

AABBAA, flza 55, 1866, n. 6.

68

Berenson (1896), 1965, p. 114.

36

AABBAA, flza 41 B 1852, II parte, n. 1.

69

somaré 1920, p. 34.

37

zoBi 1854, p. 8.

70

Lettera di Henri Matisse a Charles Camoin del 10 aprile 1918;

38

angLani 1997, p. 30.

si veda giraudy 1971, p. 21.

39

moroLLi 1989, pp. 277-278.

71

Barocchi 1962, II, p. 313.

40

Barocchi 1962, III, p. 1005.

72

Brandi (1956), 1992, p. 38.

41

BaLdinotti 2006, p. 181.

73

coLacicchi 1947, senza numero di pagina.

42

dineLLi 2008, p. 157.

74

Francesconi 2012, pp. 107-108; rimando al saggio della stu-

43

LomBardi 1995, pp. 93-94.

diosa per un’accurata analisi storica e critica della vicenda.

La fusione, autorizzata da Leopoldo II nel 1858, fu realizzata

75

eadem, p. 109.

76

coLomBo 1968, p. n. n. Omaggio a Ketty La Rocca 2001, p. 109. sisi 2004, p. 143.

44

nel 1866; si veda caPuto caLLoud 1989, p. XXV. 45

Parrini 1876, p. 193.

77

46

Fergonzi 1985, p. 118.

78

_ 35

Lettera di Giovanni Boine a Alessandro Casati datata 8 mag-

f o t o g r a f i a e s c U l t U r a : r i - c o n o s c e r e M i c h e l a n g e l o

MoNiCa MaFFioli

«La sculpture a plusieurs inconvénients qui sont la conséquence nécessaire de ses moyens. Brutale et positive comme la nature, elle est en même temps vague et insaisissable, parce qu’elle montre trop de faces à la fois. C’est en vain que le sculpteur s’efforce de se mettre à un point de vue unique; le spectateur, qui tourne autour de la fgure, peut choisir cent points de vue différents, excepté le bon, et il arrive souvent, ce qui est humiliant pour l’artiste, qu’un hasard de lumière, un effet de lampe, découvrent une beauté qui n’est pas celle à laquelle il avait songé. […]»1 (Charles Baudelaire, 1846)

Tra coloro che hanno salutato con diffdenza, se non con manifesto disprezzo, la rapida diffusione e affermazione delle sperimentazioni fotografche realizzate grazie al “rivoluzionario” apparecchio per la “riproduzione della realtà”, Charles Baudelaire, nel 1846 in occasione del Salon di Parigi, esprime alcune considerazioni critiche nei confronti della scultura, in particolare sulle intrinseche diffcoltà connesse alla visione dell’opera plastica, che in parte anticipano il dibattito protrattosi fno alla seconda metà del Novecento sulle specifcità tecniche ed estetiche delle riproduzioni fotografche di opere d’arte. Dibattito teorico ed estetico che ha alimentato per molti decenni la cultura artistica e fotografca, stimolando una costante ridefnizione dei piani interpretativi e di lettura dell’immagine d’arte, fno al raggiungimento di una nuova consapevolezza nella percezione dell’opera d’arte fltrata dai diversi medium visivi2. La natura “ambigua” e “perturbante” della fotografa3, anche quando riproduce una scultura, ci costringe inevitabilmente a prendere in considerazione i diversi piani e ruoli interscambiabili che essa può assumere, a seconda delle applicazioni e fnalità che le vengono attribuite: immagine documento, invenzione, interpretazione o nuovo soggetto autonomo. Allo stesso tempo, essa va considerata

_ 37

per le diverse modalità con le quali è intervenuta mo-

per sperimentare le proprie riprese, non solo perché

difcando il campo della scultura: documentando le

elemento per sua natura, immobile e monocromo, ma

opere, spesso al fanco degli scultori, a volte anch’essi

in quanto offre al fotografo la possibilità di essere og-

fotograf; operando con gli storici dell’arte una nuova

getto di manipolazione attraverso la ricerca di effet-

lettura dell’opera, anche attraverso la sua destruttura-

ti di luce e di spazialità. William Henry Fox Talbot,

zione visiva, alla ricerca, nei dettagli delle forme e del-

nell’illustrare le potenzialità tecniche delle sue spe-

la materia, delle conferme storiche e critiche; infne,

rimentazioni con il negativo di carta – prima vera e

ridefnendo il concetto stesso di scultura, per creare a

propria matrice di infnite stampe e dunque di multi-

sua volta nuove forme plastiche attraverso l’uso delle

pli fotografci – nell’opera The Pencil of Nature, edita

4

tecniche fotografche .

nel 1844, descrivendo forse la prima immagine di una

La dilatazione dei modelli di rappresentazione

scultura riprodotta su carta sensibile, la sua fotografa

dell’opera d’arte tridimensionale, tramite la fotografa

di una copia del Busto di Patroclo5, già realizzata nel

e le molteplici chiavi di lettura che possono interagire

1839, così si esprime: «Statues, busts, and other speci-

nella valutazione di una riproduzione fotografca che

mens of sculpture, are generally well represented by

ha per soggetto la scultura, dove i confni tra autoria-

the Photographic Art; and also very rapidly, in conse-

lità della fotografa e documento iconografco possono

quence of their whiteness. These delineations are sus-

non essere facilmente distinguibili e quindi riconosci-

ceptible of an almost unlimited variety: since in the

bili nella loro dimensione autonoma, sono dunque le

frst place, a statue may be placed in any position with

direttrici della nostra proposta narrativa dedicata alla

regard to the sun, either directly opposite to it, or at

rappresentazione fotografca della scultura del Buo-

any angle: the directness or obliquity of the illumina-

narroti. Partendo dalla ricerca delle “fonti” documen-

tion causing of course an immense difference in the

tarie, in questo caso la testimonianza della produzione

effect. And when a choice has been made of the direc-

fotografca realizzata da alcuni tra i più noti ateliers

tion in which the sun’s rays shall fall, the statue may

e professionisti dalla seconda metà del xix secolo, si è

be then turned round on its pedestal, which produces

cercato di evidenziare il determinante ruolo che la fo-

a second set of variations no less considerable than the

tografa ha svolto nel consolidare la “fortuna” critica

frst. And when to this added the change of size which

e iconografca di un circoscritto numero di opere di

is produced in the image by bringing the Camera Ob-

Michelangelo e attraverso di esse la celebrazione del

scura nearer to the statue or removing it further off,

suo “mito”. Una lettura “trasversale”, in chiave stori-

it becomes evident how very great a number of differ-

co-fotografca, che mette al centro il ruolo svolto dalla

ent effects may be obtained from a single specimen of

fotografa, fn dalle sue origini, nel celebrare uno dei

sculpture […]»6. Nelle prescrizioni indicate da Talbot

più importanti e noti artisti del Rinascimento italia-

come necessarie a qualifcare la riproduzione fotogra-

no, e nell’eleggere un ristretto pantheon di sue opere

fca che ha come soggetto una scultura, riconosciamo

come monumenti della memoria collettiva: modelli

già alcuni degli elementi propri della sintassi estetica

e citazioni presenti nell’opera di altrettanti artisti del

della fotografa – illuminazione, punto di vista e for-

e xx secolo, così come espliciti riferimenti ricono-

mato – che, diversamente declinati negli anni a ve-

scibili nella produzione delle avanguardie artistiche

nire, diventeranno identifcativi delle potenzialità e

moderne e contemporanee, sino alla loro trasfgura-

dell’autonomia creativa dell’atto fotografco, liberan-

zione in veri e propri topoi e strumentali feticci della

dolo dalla pregiudiziale ideologica che tendeva a con-

massifcazione.

fnarlo, poiché atto meccanico, nella sfera della mera

xix

rappresentazione “oggettiva” della realtà. Fin dalle prime applicazioni delle nuove tecni-

Le prime tracce7 lasciate da una scultura di Miche-

che di riproduzione proposte da Daguerre e da Tal-

langelo sulla carta fotografca sono quelle del Mosè in

bot, la scultura si presenta come un soggetto ideale

San Pietro in Vincoli a Roma, ripresa il 24 febbraio del

_ 38

The Monument of Lorenzo de’ Medici, by Michael Angelo, in the Italian Court, at The Cristal Palace, incisione da fotografa di Philip H. Delamotte, 1854 ca., in “The Illustrated London News”, 16 settembre 1854. Biblioteca di Storia della Fotografa Fratelli Alinari.

1847 dalla pittrice e fotografa francese Amélie Guil-

FRATELLI ALINARI Bacco con il satiro al Museo Nazionale del Bargello, 1875 ca. Raccolte Museali della Fratelli Alinari, Collezione Palazzoli

lot-Saguez8 in occasione di un suo soggiorno nella città pontifcia. Utilizzando la tecnica del talbotipo, alla quale, in collaborazione con il marito medico, aveva apportato dei miglioramenti tecnici e delle semplifcazioni relativamente al procedimento di sensibilizzazione del negativo di carta9, la scultura del Mosè è inquadrata da un’angolazione e da una distanza tali da permettere la ripresa completa del basamento e delle due partizioni architettoniche che la delimitano nella nicchia al centro del mausoleo di papa Giulio II. Il riferimento alla tradizione della traduzione incisoria e alle regole del disegno, sempre riconoscibile nella fotografa delle origini, è qui evidente, ma ciò che ci sorprende oggi, così come ricordarono i critici dell’epoca10, è la straordinaria luminosità che emana l’immagine, la declinazione dei toni monocromi ed evanescenti dai quali emerge la monumentalità della scultura, anche se le sue forme sono riportate su un piano bidimensionale, appena tratteggiate dal pennello della luce naturale, che l’autrice ha sapientemente saputo registrare, superando le diffcoltà dovute all’oscurità presente nell’ambiente della chiesa. Una dimostrazione di capacità tecnica nell’affrontare le diffcoltà legate all’illuminazione, che sarà riconosciuta, qualche anno dopo, anche a James Anderson quando, in occasione dell’Esposizione Universale di Parigi del 1855, presenterà alcune stampe fotografche di grande formato del suo repertorio dei monumenti di Roma e tra queste, sono particolarmente apprezzate «le tre vedute di interni del Vaticano e il Mosè del Buonarroti sono ancora superiori, avendo dovuto lottare con la luce che è molto rara nella chiesa»11. La diffcoltà di realizzare riprese fotografche all’interno di edifci poco illuminati condiziona in modo signifcativo l’iniziale produzione del repertorio iconografco riferito a soggetti pittorici e scultorei, potendo contare fno alla metà degli anni Sessanta dell’Ottocento solo sulle capacità tecniche di quei fotograf che, basandosi sulla luce naturale12, e a volte aiutandosi con un complesso gioco di specchi, erano in grado di orientare e plasmare l’illuminazione sull’opera da riprodurre. Inoltre, le variabili atmosferiche legate alle condizioni di luce della giornata potevano infuire non solo sui

_ 40

tempi della ripresa ma anche sulla qualità del risultato

so il 1852: la formazione pittorica dell’autore e la sua

estetico dell’immagine ottenuta. Nel caso della docu-

attiva partecipazione all’ambiente internazionale ar-

mentazione delle opere a tuttotondo, infatti, gli effetti

tistico e fotografco, che in quegli anni si concentrava

delle ombre e dei chiariscuri determinati dalle con-

a Roma per confrontarsi sulle nuove ideologie e pul-

dizione della luce, a seconda dei casi, restituivano la

sioni antiaccademiche, si rivelano nelle scelte adotta-

plasticità dei volumi estremamente diversifcata, poco

te dal fotografo che traduce l’opera michelangiolesca

rispondente alle indicazioni di “oggettività”, ma al-

in un’apparizione di drammatica teatralità. La fgura

tresì in continuità con le aspettative e la sensibilità vi-

del Mosè emerge dall’ombra della nicchia nella quale

13

siva della tradizione pittorica di matrice romantica .

è quasi costretta, strabordante nella ripresa ravvicina-

La poetica della luce, che proprio nella seconda metà

ta, i forti contrasti della luce e i marcati chiaroscuri

dell’Ottocento torna ad essere centrale nell’ambito del

della stampa, esaltati dalla tecnica del negativo di car-

14

dibattito pittorico europeo , nella dialettica tra foto-

ta, che accentua la pastosità dei toni e ammorbidisce

grafa e scultura, diventa l’elemento linguistico qua-

la defnizione delle linee, svelano le forme lavorate

lifcante e distintivo della sintassi fotografca, sempre

da Michelangelo, come la muscolatura della spalla e

più consapevole e impegnata nell’affermazione della

la mano che scosta la barba, colpite dalla luce prove-

propria autonomia formale e creativa nei confron-

niente da una sorgente laterale, e conferiscono all’o-

ti delle gerarchie conservatrici del primato delle Pit-

pera un vigore e una drammaticità che diffcilmente

tura. «[…] Lo scopo del fotografo non è solamente la

ritroveremo nella fotografa dell’Ottocento. Diversa,

riproduzione della natura comunque si presenta: la

infatti, è l’interpretazione della stessa opera da parte di

scelta deve presiedere alla sue operazioni, e tale scelta

altri due autori, il già citato James Anderson e Robert

è determinata dalle idee e dai gusti di ciascuno. Si è

MacPherson, entrambi anglosassoni e attivi a Roma

per questo che ognora si ravvisano nelle produzioni

dalla metà del secolo, i quali condividono la scelta di

fotografche certi caratteri particolari che rivelano la

un diverso punto di ripresa della scultura del Mosè,

personalità, e pertanto un’impronta speciale che addi-

colto da destra verso sinistra e a una distanza tale da

ta la loro provenienza sebben non segnate dall’autore.

comprendere anche il basamento, per riparametrarla

Ognuno, infatti, secondo il tipo che formasi del bello,

all’interno del contesto architettonico del mausoleo,

sceglie il suo soggetto, dispone le parti nella scena da

proponendo, nel suo insieme, una rigorosa lettura del-

riprodursi, combina il chiaro-scuro; e nell’esecuzione

le forme plastiche e un’immagine pervasa da un’aura

stessa trova infnite gradazioni per l’aspetto generale

monumentalità: il volto del Mosè, così come il movi-

15

della sua opera [...]» , veniva ricordato in una rivista

mento del braccio con il gomito fesso contrapposto al

del settore nel 1863. Il carattere autoriale della foto-

ginocchio, che fuoriesce dal panneggio della fgura,

grafa di riproduzione d’arte, si conferma alla metà

suggeriscono i riferimenti di profondità e di volume

dell’Ottocento non solo nelle scelte delle soluzioni tec-

della scultura, sulle cui superfci, in una continua al-

niche adottate dal fotografo – negativo di carta piutto-

ternanza di pieni e di vuoti, scivola la luce rivelando

sto che negativo di vetro –, che secondo i casi potevano

la geniale creatività e il vigoroso, tormentato segno

essere più idonee all’ottenimento dei risultati estetici

lasciato dallo scalpello di Michelangelo.

desiderati, come osservava il pittore e fotografo Giacomo Caneva nel suo Trattato pratico del 185516, ma

Mentre nei repertori di riproduzioni d’arte dei

è soprattutto riconoscibile, anche quando si tratta di

fotograf attivi a Roma fno alla fne degli anni Cin-

riproduzioni di sculture, nelle differenti modalità di

quanta dell’Ottocento, il riferimento alla scultura del

interpretazione della ripresa del soggetto, condizio-

Buonarroti sembra essere unicamente la documenta-

nate a loro volta dall’agenda del fotografo. Esemplare

zione del Mosè di San Pietro in Vincoli, negli stessi anni

ci sembra in tal senso la fotografa della scultura del

a Firenze, in continuità con le suggestioni letterarie e

Mosè in San Pietro in Vincoli realizzata da Caneva ver-

la coeva pubblicistica di viaggio delle guide Baedeker

_ 41

e Murray17, la fotografa celebra due opere di Miche-

al basamento della statua, rendono nel suo complesso

langelo: la statua del David e le tombe di Lorenzo e

la veduta formalmente distante dalle regole imposte

Giuliano de’ Medici in San Lorenzo. Nella produzio-

dalla fotografa di documentazione d’arte. L’attenzio-

ne pittorica e grafca della prima metà dell’Ottocento,

ne mostrata in quegli anni dalle cronache cittadine

così come testimonia anche l’incisione da dagherroti-

nei confronti della statua del David per denunciare

po della serie edita, nel 1842, da Ferdinando Artaria,

la gravità delle condizioni conservative in cui versava

la statua colossale del David sembra avere un ruolo

il capolavoro di Michelangelo, non può considerarsi

marginale, rispetto a una più puntuale testimonianza

ininfuente rispetto al parallelo crescente interesse da

delle opere presenti sotto la Loggia dei Lanzi, e appare

parte di alcuni fotograf attivi a Firenze – come Vero

come uno dei molti riferimenti scultorei citati nelle

Veraci, John Brampton Philpot, Leopoldo Alinari,

numerose vedute di Piazza della Signoria, posta sullo

Alphonse Bernoud – nel voler inserire l’iconografa

sfondo delle prospettive che inquadrano Palazzo Vec-

della scultura all’interno dei loro cataloghi commer-

chio. La prima immagine fotografca che documenta

ciali, a prescindere dalla momentanea presenza del

l’opera del David nella sua interezza, come soggetto

baldacchino ligneo che per qualche tempo ricoprì la

autonomo, è presumibilmente quella eseguita tra il

scultura riparandola dalle intemperie20. Ne è prova la

1850 e il 185318, dall’erudito collezionista d’arte e foto-

fotografa realizzata da Leopoldo Alinari, verso il 1852,

grafo francese Eugène Piot, selezionata tra i soggetti

la prima immagine del David a entrare nel repertorio

che avrebbero dovuto rappresentare L’Italie Monu-

michelangiolesco del più noto stabilimento fotograf-

mentale, uno dei primi fascicoli illustrati previsti da

co forentino. Le forme colossali della statua del David

Piot per il suo progetto editoriale dedicato alla diffu-

e il suo signifcato simbolico di baluardo civile posto a

sione e alla conoscenza dell’arte dei maggiori paesi eu-

difesa della Repubblica Fiorentina, sono traslati dalla

ropei. Anche se il piano editoriale non ebbe l’auspica-

documentazione fotografca di Alinari, in conformità

to successo e già nel 1854 se ne decretava il fallimento

con gli stilemi che connoteranno per decenni la loro

fnanziario, esso si proponeva, come il primo utopico

produzione: la scelta della ripresa frontale, ravvicina-

musée imaginaire, destinato a favorire il processo di

ta e dal basso, costretta dalla presenza dell’impalcatura

ampliamento della conoscenza del patrimonio artisti-

lignea della copertura provvisoria, è capace di esaltare

co verso un pubblico sempre più numeroso, sebbene

la monumentalità dell’opera e le proporzioni anato-

ancora elitario, superando i confni di tempo e spazio

miche della fgura, in un’opposizione netta tra il chia-

che, prima della fotografa, avevano limitato le possi-

ro della possente fgura e il fondo scuro del bugnato

bilità di apprendimento e di educazione, soprattutto

della facciata del palazzo, mentre la testa del David

nel campo delle arti. Gli interessi di collezionista d’ar-

rimane nell’ombra, quasi a nascondere le tracce che

te, orientato in particolare verso il Medio Evo e il Rina-

l’incuria e il tempo hanno lasciato su uno dei più im-

scimento, certamente condizionano Piot nella scelta

portanti capolavori del Rinascimento. Da questo mo-

19

dei soggetti monumentali da riprodurre a Firenze :

mento la statua diventa oggetto di un ininterrotto pro-

una serie di riprese di architettura dell’esterno di

cesso di documentazione fotografca, sia riferito agli

Santa Maria del Fiore e della struttura della cupola

eventi che porteranno, nel 1873, al suo trasferimento

brunelleschiana, tre vedute della facciata di Palazzo

nella nuova sede appositamente progettata presso

Vecchio, con il dettaglio del portone fancheggiato

l’Accademia di Belle Arti21, sia perché la musealizza-

dalle quattro statue poste sull’arengario, e una vedu-

zione di questo capolavoro, come vedremo più avanti,

ta ravvicinata della statua del David. Quest’ultima è

coincide con una diversa consapevolezza da parte della

un’immagine di grande fascino per la primitiva quali-

fotografa delle potenzialità di comunicazione e frui-

tà dei toni e il rigore compositivo, anche se la presenza

zione dell’opera d’arte, alimentando un più ampio e

sulla parete di fondo della rastrelliera con i fucili del

sistematico processo di amplifcazione e riproduzione

corpo di guardia granducale e la poltrona addossata

della sua immagine, in diversi formati, su molteplici

_ 42

Fratelli aliNari La Civetta nella fgura della Notte. Monumento a Giuliano de’ Medici, 1935 ca. Archivi Alinari, archivio Alinari

adolfo venturi, Michel-Ange avec 296 reprodutions hors texte, Paris 1927, coperta con rielaborazione grafca da fotografa Anderson. Biblioteca di Storia della Fotografa Fratelli Alinari.

supporti, frammentandone la visione in innumerevo-

za la fonte di luce naturale, proveniente dalla fnestra

li dettagli e infnite immagini derivate, fno a perdere

prevista da Michelangelo a illuminare la tomba, per

la consapevolezza dell’unicità del capolavoro.

costruire forti contrasti di chiaroscuri e profonde ombre, fno a celare il volto di Lorenzo de’ Medici, quasi a

Delle due tombe medicee realizzate da Miche-

voler suggerire visivamente il carattere schivo e la me-

langelo nella Basilica di San Lorenzo, la prima a esse-

lanconia “neoplatonica” che hanno segnato la breve

re oggetto di riproduzione da parte della fotografa è

vita del Duca d’Urbino.

quella di Lorenzo de’ Medici, come testimonia l’imma-

Dalla fne degli anni Sessanta del

xix

secolo le

gine del francese Paul Berthier, scattata nel 1855. Lo

due tombe de’ Medici sono oggetto di una più attenta

stesso soggetto è presente nel catalogo delle riprodu-

lettura che prevede la documentazione specifca an-

zioni pubblicato dai Fratelli Alinari nel settembre del

che delle quattro fgure allegoriche poste sui due sar-

1856, mentre nel loro catalogo precedente, dell’aprile

cofaghi. Ne sono un esempio di raffnata qualità, per

dello stesso anno, vi era già il riferimento alla tomba

la tecnica di stampa al carbone e il grande formato,

di Giuliano de’ Medici. Se Berthier si orienta in favo-

le fotografe realizzate, tra il 1868 e il 1870, dagli ope-

re di una veduta parziale del monumento a Lorenzo,

ratori dello stabilimento alsaziano di Adolph Braun26.

accentuando nell’inquadratura la composizione pira-

Esse fanno parte di una più ampia campagna di do-

midale dell’immagine, con la fgura del Medici in asse

cumentazione dedicata all’opera di Michelangelo, che

rispetto alle due sculture allegoriche del Crepuscolo e

aveva visto per due anni a Roma gli operatori inviati

dell’Aurora, Leopoldo Alinari restituisce un’imma-

da Braun impegnati a riprodurre gli affreschi della

gine della tomba vista frontalmente e nella sua inte-

Cappella Sistina27 e alcune sculture del Buonarroti:

rezza, compresi gli elementi architettonici della pa-

la Pietà Rondanini, il Cristo alla Minerva, il Mosè e la

rete dove si trova addossata, rispettando il rigore delle

tomba di Giulio II in San Pietro in Vincoli, la Pietà in

forme rinascimentali e la visione complessiva della

Vaticano, quest’ultima ripresa in due scatti a distan-

progettualità proposta dal Buonarroti. Come ha sug-

ze diverse. L’elevato numero di opere di Michelangelo

gerito in un suo saggio Graham Smith22, le soluzioni

presenti dal 1870 nel catalogo commerciale d’arte del-

compositive dell’immagine realizzata da Alinari sem-

la ditta Braun, che riporta poche altre riproduzioni

brano rispondere alle suggestioni letterarie e poetiche

di sculture28, contraddistingue il loro lavoro rispetto a

proposte dal poeta inglese Samuel Rogers23 in occasio-

quanto potevano offrire a quella data gli ateliers foto-

ne della sua visita alla Cappella dei Medici, nel novem-

grafci italiani29, proponendo uno dei repertori icono-

bre del 1814: «I am become the slave of a demon. […]

grafci più completi relativi all’opera del Buonarroti

He sit gazing, day after day, on that terrible phantom,

e certamente di riferimento per quel processo di dif-

the Duke Lorenzo in M. Angelo’s Chapel […]. He sits

fusione e conoscenza della sua opera, presso le scuole

a little inclining from you, his chin resting upon his

d’arte, le accademie e i musei d’Europa; un prezioso

left hand, his elbows on the arm of the chair. His look

contributo per la costituzione di quelle collezioni

is calm & thoughful, yet it seems to say a something

fotografche di riproduzioni d’arte, che, insieme alle

that makes you shrink from it, a something beyond

copie dei più importanti capolavori della storia della

words. Like that of the Basilisk, it fascinates – & is in-

scultura, si stavano formando nell’epoca della ripro-

tolerable. […] There, from age to age Two Ghosts are

ducibilità tecnica, per rispondere all’ideale positivista

24

sitting on their sepulchres» . Suggestioni citate anche

delle potenzialità formative e educative costituite dal-

nel 1854 a corredo didascalico dell’illustrazione tratta

le raccolte enciclopediche. Se per la conoscenza della

dalla fotografa di Philip H. Delamotte della copia del

pittura italiana, infatti, gli studiosi potevano contare

monumento a Lorenzo esposta all’interno del Crystal

dalla fne degli anni Cinquanta su alcuni repertori di

Palace di Londra25. La ripresa fotografca proposta da

riproduzioni di grande rilievo, come per esempio la

Alinari risponde alla visione poetica di Rogers e utiliz-

monumentale serie di 310 fotografe commissionata,

_ 45

tra il 1858 e il 1859, dal principe Alberto d’Inghilter-

Il corpus fotografco dedicato da Alinari e da

ra e relativa ai «Disegni di Raffaello e d’altri maestri

Brogi all’opera di Michelangelo vede, verso il 1875,

esistenti nelle gallerie di Firenze Venezia e Vienna ri-

un considerevole incremento dei soggetti rappresen-

prodotti in fotografa dai Fratelli Alinari e pubblicati

tati: alle vedute generali delle due tombe de’ Medici

da Luigi Bardi»31, non altrettanto abbondante era ne-

in San Lorenzo, si aggiungono quelle delle quattro

gli stessi anni l’iconografa disponibile per chi si inte-

fgure allegoriche poste sui sacelli, documentate sin-

ressava alla scultura italiana, come lamenta lo storico

golarmente e inquadrate secondo i rigorosi parametri

dell’arte americano Charles Perkins nella prefazione

della traduzione grafca delle forme plastiche su un

al suo volume Tuscan Sculptors, del 1864. Egli consi-

piano frontale, riprese in diversi formati del negativo

gliava, infatti, agli studenti che non potevano compie-

in ragione di una valutazione delle potenzialità com-

re il Grand Tour nel Sud Europa, di avvicinarsi alla

merciali dei soggetti. Non altrettanto varia è l’offer-

conoscenza dei maestri del Rinascimento frequentan-

ta dei formati delle fotografe realizzate nello stesso

do la straordinaria collezione di copie delle sculture

periodo alle opere del Buonarroti presso la Galleria

italiane posseduta dal South Kensington Museum, o

degli Uffzi, la Galleria dell’Accademia e il Museo

32

quelle esposte al Crystal Palace di Sydenham .

Nazionale del Bargello, e le opere michelangiolesche oggetto di riproduzione sono ancora in numero ridot-

In occasione della mostra promossa dall’Accade-

to, forse anche per le diffcoltà lamentate dai fotograf

mia di Belle Arti di Firenze per celebrare il IV Cente-

nell’ottenere la concessione di operare nelle Gallerie

nario della nascita di Michelangelo, nel 1875, la foto-

Fiorentine34. Non a caso la parte più consistente dei

grafa ebbe un importante ruolo, in molti casi unica

soggetti fotografati si riferisce ai disegni di Miche-

testimonianza visiva dell’ampio catalogo di opere

langelo conservati alla Galleria degli Uffzi, quindi-

attribuite all’artista e conservate in diverse collezio-

ci di essi già presenti nel catalogo Alinari del 186335,

ni pubbliche e private europee33. In previsione delle

poiché per loro natura si confgurano più idonei alla

celebrazioni, infatti, un rinnovato interesse muove i

trasposizione fotografca, mentre troviamo per la pri-

fotograf forentini ad ampliare i propri repertori di

ma volta citate nel catalogo Alinari del 1873 le scul-

immagini dedicati alle opere dell’artista. Se la testimo-

ture del Bacco, dell’Apollo, del Fauno e il bassorilievo

nianza della scultura di Michelangelo nelle fotografe

della Sacra Famiglia conosciuto come Tondo Pitti. Di

degli Alinari fno alla fne degli anni Sessanta, rientra

quest’ultima opera abbiamo testimonianza in una

nel quadro di una sommaria selezione di emergen-

rara stampa fotografca, riferibile alla documentazio-

ze monumentali dedicate alla costruzione di un ar-

ne realizzata dagli Alinari poco prima che, nel 1873,

chetipico souvenir di Firenze, dopo l’Unità d’Italia, i

l’opera fosse trasferita al Museo Nazionale del Bargel-

confni della loro missione documentaria si dilatano

lo; ciò che colpisce dell’immagine è l’anomalia delle

– così come avviene per gli altri grandi stabilimen-

modalità espositive dell’opera, ripresa alla Galleria

ti italiani specializzati in riproduzioni d’arte, come

degli Uffzi, murata a parete nel Corridoio delle scul-

quelli di Giacomo Brogi, di Domenico Anderson, di

ture moderne insieme ad altri manufatti del Rinasci-

Enrico Verzaschi, di Romualdo Moscioni, di Giorgio

mento, al di sotto della cantoria del Duomo opera di

Sommer, solo per citarne alcuni dei più noti e attivi

Donatello, come testimonia la presenza delle scritte a

secolo – promuovendo la

grandi caratteri con i nomi degli artisti e le relative

sistematica catalogazione fotografca non solo delle

date anagrafche di nascita e di morte. L’insolita testi-

“eccellenze” dell’arte italiana, ma operando una pun-

monianza visiva dell’opera e l’apparente ambiguità di

tuale rivisitazione fotografca del patrimonio artistico

questa immagine, potrebbero indurre erroneamente

conservato all’interno degli edifci religiosi e presso le

a pensare che la Sacra Famiglia ripresa dagli Alinari

principali collezioni pubbliche e private presenti sul

non sia l’originale di Michelangelo ma una copia del-

territorio nazionale.

la stessa messa a disposizione in un cotesto diverso per

nella seconda metà del

xix

_ 46

facilitare la buona riuscita della riproduzione, in con-

ogniqualvolta si accinge a riprodurre un’opera d’arte,

formità con le indicazioni impartite ai fotograf dal-

diventano rilevanti se ricondotti non solo nell’ambito

le autorità delle Gallerie. Oltre alle considerazioni di

di una necessità pratica fnalizzata ad ampliare l’of-

tipo flologico36, che questo documento può stimolare,

ferta commerciale, ma in quanto rimandano a una

l’aspetto particolarmente intrigante dell’immagine

programmatica scelta inevitabilmente condizionata

è, a nostro parere, l’effetto destabilizzante e ambiguo

da valutazioni gerarchiche di importanza storico cri-

che essa trasmette. La fotografa, infatti, ha il potere

tica del soggetto rappresentato e dunque, nel caso dei

di dilatare la percezione dell’originale ma anche del-

diversi formati della sua ripresa, al condizionamento

la sua copia, dissolvendo il paradigma dell’hic et nunc

stesso della percezione e della memoria visiva di al-

37

riconosciuto da Benjamin come elemento unico e ir-

cune “icone” dell’arte. La scultura, restituita attraver-

ripetibile dell’autenticità dell’opera d’arte. Nell’epoca

so la fotografa, trova, infatti, nella spettacolarità del

del multiplo e della riproducibilità meccanica, dove la

grande formato delle stampe un’ideale mimesi con la

copia è considerata “analogica” rispetto all’originale

monumentalità delle sue forme, consentendo al fo-

e oggetto di studio equivalente per le fnalità educati-

tografo di poter intervenire nella fase di stampa con

ve nel campo delle arti visive, la fotografa apre a una

una “soggettiva” restituzione visiva dell’opera, sia sul

nuova «estetica dell’autenticità», estendendo ulterior-

piano della resa delle tonalità e dei contrasti, sia at-

mente i modelli di analisi dell’opera d’arte per scopri-

traverso i procedimenti di colorazione consentiti dai

re una terza dimensione, accessibile solo all’obiettivo

viraggi, proponendo nuove formule estetiche e spunti

fotografco: la capacità di rivelare aspetti dell’origina-

di rifessione sulle potenzialità espressive e autoriali

lità grazie a una diversa percezione visiva dell’oggetto

possibili anche nella documentazione fotografca del-

d’arte e alle infnite possibilità che ha la fotografa di

le opere d’arte.

scandagliare e leggere le sue forme, fno a tradurle nel lessico di una propria sintassi creativa autonoma.

Nel dimostrare le sue teorie della visione monofocale, cioè dell’unico punto di vista frontale attraver-

Le prime espressioni di “autonomia critica” da

so il quale è corretto valutare la scultura, poiché pre-

parte del fotografo nella formulazione di una diversa

stabilito dall’artista all’interno del processo creativo

trascrizione visiva dell’opera del Buonarroti, le rin-

dell’opera, Wölffin, nel suo saggio del 1896, Fotogra-

tracciamo nel repertorio Brogi, datato 1886, e in par-

fare la scultura, illustrato con riproduzioni tratte dai

ticolare nella documentazione della scultura del Da-

repertori Alinari, Brogi e Anderson, quando si con-

vid, rappresentata forse per la prima volta attraverso

fronta con l’opera di Michelangelo ammette che, «la

una serie di scatti che la riprendono da diversi punti

situazione cambia… Egli pone allo studioso una quan-

di vista, tra cui quello da tergo, «con fondo naturale» o

tità di domande. Come voleva che fosse visto il suo

«con fondo nero», e soprattutto l’inedita immagine del

David? Esistono fotografe in cui la scultura possiede

particolare della testa del David, ripresa sia dal calco

una straordinaria mobilità, mentre in altre è del tutto

in gesso sia dalla scultura originale. È da notare che

paralizzata. La decisione qui non è affatto semplice e

tutti questi punti di vista “atipici”, rispetto alla tradi-

pertanto metto da parte questo caso eccezionale, nel

zione della veduta monumentale e frontale del capola-

vero senso del termine, rinviandone successivamente

voro, sono prodotti in piccoli formati, album (10 x 14)

l’analisi»39. Ritenendo necessario «defnire una norma-

ed extra (20 x 25), per rispondere a un’ampia richiesta

tiva di riferimento comune per gli studiosi, gli editori,

non solo di tipo amatoriale, ma soprattutto delle scuo-

le imprese fotografche e infne gli stessi fotograf»40,

le d’arte e dei laboratori di decorazione e tornitura,

egli propone di disciplinare attraverso le regole pu-

dove la fotografa si offre come uno dei modelli privi-

rovisibiliste la visione e la documentazione fotogra-

legiati a cui fare riferimento per la produzione di co-

fca della scultura, imprescindibile dalla conoscenza

pie seriali. I diversi formati38, selezionati dal fotografo

da parte del fotografo dei signifcati storico-artistici

_ 47

dell’opera, tuttavia, implicitamente sottende alla ne-

Molto diverso da quello di Rodin è, invece, il

cessità di misurarsi e delimitare gli spazi di autonomia

rapporto che Medardo Rosso ha con lo strumento fo-

che sempre più consapevolmente, tra la fne dell’Ot-

tografco, mezzo creativo funzionale alla personale

tocento e i primi decenni del Novecento, i linguaggi

ricerca nella scultura di nuovi valori di modernità e

della fotografa stavano conquistando.

rottura con i parametri fssati dalla tradizione rinasci-

A questo percorso di riconoscimento dell’auto-

mentale. Nell’opera di Rosso, Michelangelo non è solo

nomia critica e di indipendenza estetica della fotogra-

un riferimento alla sua formazione artistica ma è una

fa contribuiscono anche gli scultori, i quali, in prima

costante presenza, a lato del suo processo creativo, con

persona o stabilendo rapporti privilegiati con alcuni

il quale tiene aperto un dialogo mediato dalla fotogra-

operatori, identifcano nell’azione del fotografo, ar-

fa, così come testimoniano alcune sue immagini, del-

41

tifex additus artifci , l’attitudine critica e dunque la

le straordinarie e complesse composizioni sceniche,

capacità di interpretare l’essenza concettuale e mate-

dove all’interno dell’inquadratura o nei pastiches delle

secolo

stampe fotografche artigianalmente rielaborate da

l’uso da parte degli artisti della documentazione foto-

Rosso, riconosciamo la presenza di un bozzetto della

grafca delle opere d’arte era prassi comune, creando

Madonna Medici di Michelangelo, collocata a fanco

personali memoranda d’immagini, necessari al loro

delle sue sculture, a volte sullo sfondo, in altri casi, più

processo creativo, ma anche per testimoniare il loro

accostata, forse a suggerire delle analogie e un’ideale

lavoro e renderlo noto negli ambienti artistici e in oc-

affnità elettiva con l’inquietudine creativa dello scul-

casione delle Esposizioni Universali e dei Salon. Nello

tore rinascimentale nei confronti del quale l’artista

stesso anno in cui Wölffin pone per la prima volta

sembra esprimere un sentimento di riconoscenza. Un

all’attenzione degli storici dell’arte il rapporto esisten-

legame forte quello con Michelangelo, che Rosso di-

te tra scultura e fotografa, nel 1896, August Rodin, «il

chiarerà apertamente nel 1911 quando, in occasione di

Michelangelo francese», come veniva considerato dai

un suo soggiorno a Firenze, nel mese di luglio, otterrà

contemporanei, dichiara l’inutilità della ricerca di un

dalla Direzione della Galleria dell’Accademia il per-

unico punto di vista per apprezzare la scultura, poiché

messo di esporre per un giorno una sua cera accanto

non esiste, affermando viceversa la necessità di gira-

ai Prigioni43.

rica dell’opera. Fin dalla seconda metà del

xix

re intorno all’oggetto plastico, valutando i molteplici piani che esso offre allo sguardo. A questa moltitudi-

Il superamento delle teorie purovisibiliste e l’af-

ne di punti di vista risponde, secondo gli auspici dello

fermarsi delle nuove formule estetiche espresse dalle

scultore, una moltitudine d’interpretazioni che varie-

avanguardie del Novecento, rinnovano il dibattito sul-

ranno a secondo dello sguardo di ciascuno. Con questo

le potenzialità della fotografa e le sue diverse decli-

convincimento Rodin stabilisce con la fotografa un

nazioni autoriali. Il fenomeno dell’ampliamento della

forte e duraturo legame e sceglie di affdare a più in-

percezione visiva promosso dalla fotografa, offrendo,

terpreti la documentazione delle sue sculture, conse-

nel caso della scultura, una più articolata lettura po-

gnandone la lettura a Eugène Druet, Stephen Haweis

li-focale delle sue forme, interviene nel lavoro degli

e Henry Coles, Edward Steichen, ma soprattutto sta-

storici dell’arte in modo dirompente. La critica d’arte,

bilendo una stretta e prolungata collaborazione con

infatti, come Adolfo Venturi aveva preconizzato nel

Jacques-Ernest Bulloz: con quest’ultimo, l’artista par-

1888, non potendo più «abbandonarsi a voli fantasti-

tecipa alla scelta dell’inquadratura, si confronta sulla

ci… deve depurare e demolire tutta la vecchia istoria…»

luce o sui fondali più idonei per esaltare la materialità

e non può prescindere dalla fotografa nell’affrontare

dell’opera, condivide le soluzioni adottate, con la con-

il nuovo processo di analisi dell’opera d’arte; Roberto

sapevolezza che il suo lavoro sarà conosciuto global-

Longhi, Pietro Toesca e Bernard Berenson, per esem-

mente attraverso la circolazione delle riproduzioni

pio, trovano nella frammentazione visiva compiuta

fotografche più che vedendo dal vero le sculture42.

dal fotografo, con la destrutturazione in moltepli-

_ 48

FotograFo NoN iDeNtiFiCato Interno della Fonderia Artistica Ferdinando Marinelli a Rifredi, Firenze, 1940 ca. Collezione Malandrini

ci dettagli del soggetto artistico il supporto alla loro

da di ciascun autore. I Prigioni del Louvre fotografati

ricerca stilistica e comparativa. Per la prima volta si

negli anni Venti da Jacque-Ernest Bulloz, e nel 1951

palesa indispensabile la collaborazione tra studiosi e

da Emmanuel Sougez per un numero de “L’Illustra-

fotograf fnalizzata alla necessità di misurarsi in un

tion” dedicato alla scultura del Rinascimento italiano

dialogo tra “rigore scientifco” e nuovi strumenti di

al Louvre46, sono ripresi con inquadrature dal basso

decodifcazione visiva dell’opera d’arte. Ne è un esem-

verso l’alto che esaltano il dettaglio delle teste rese

pio, il contributo del lavoro fotografco svolto, nel 1938,

con una potenza espressiva di effetto cinematograf-

da Giuseppe Pagano, su incarico di Pietro Toesca, per

co, manifestazione di una nuova sensibilità che, nel

documentare la scultura della Pietà da Palestrina, im-

declinare la lettura dell’opera di Michelangelo, uti-

magini servite allo storico dell’arte a supportare l’at-

lizza i codici estetici della modernità, per trasforma-

tribuzione dell’opera a Michelangelo, trovando con-

re il contenuto formale nella creazione di una nuova

forto per i necessari riscontri stilistici e formali nella

visione bidimensionale, dove lo status della scultura è

lettura analitica dei dettagli proposti dalle fotografe

assente47. Nel decontestualizzare il soggetto dall’unità

di Pagano: i tagli prospettici, le riprese ravvicinate sul

di appartenenza e da ogni riferimento spaziale, tanto

modellato dei volti, la suggestione dei particolari ri-

più quando è presentato su un fondo nero, il dettaglio

tagliati nell’inquadratura, come la mano che regge il

acquista il valore di un tutto e diventa un’opera foto-

corpo abbandonato del Cristo, la luce radente che esal-

grafca che a sua volta crea un nuovo cosmo della scul-

ta la materia e il non fnito, traducono visivamente la

tura; il gioco delle forme e dei primi piani dei dettagli

poetica espressa nel saggio di Toesca a dimostrazione

dell’opera reale sono nella fotografa oggetti irreali,

dell’inequivocabile attribuzione dell’opera al Buonar-

indipendenti dai loro modelli48.

roti: «Si compone il gruppo di un complesso di forme

Proposte visive di rilettura della scultura alle

– masse e linee – che ha un ritmo mosso ma profon-

quali non si sottraggono anche gli operatori che per

damente grave e dolce insieme: la scultura si muta in

Brogi e Alinari frmano gli aggiornamenti delle loro

pura armonia di parti di cesure e di cadenze, eloquente

campagne, svolte a più riprese sulle sculture di Miche-

e pur vaga come in suoni musicali […]»44.

langelo nel secondo ventennio del Novecento: ora si cerca il dettaglio, l’inusuale inquadratura, una serie di

Il lungo processo di autodeterminazione che la

sequenze che esaltano la forza espressiva dei sogget-

“nuova arte”, fn dalle prime applicazioni aveva cercato

ti scolpiti, i volti ripresi di proflo e frontalmente in

di esprimere, negando il ruolo subordinato attribuito-

modo ravvicinato, seguendo i modelli della ritrattisti-

le dalla tradizione artistica, si avvia al suo compimen-

ca, con tagli di luce diretta che valorizzano i volumi,

to all’inizio del Novecento, grazie alle nuove pulsioni

fno a proporre una narrazione visiva che accompagna

critiche ed estetiche delle avanguardie, conquistando

nella visione a tutto tondo dell’opera. Le singole scul-

la piena autonomia formale e l’affermazione della di-

ture del complesso delle tombe de’ Medici, smontate

mensione “autoriale” del linguaggio fotografco, su-

dalla loro sede per proteggerle dai danni della seconda

perando, allo stesso tempo, i confni dei “generi” della

guerra mondiale, o ancora, la documentazione della

rappresentazione, stabiliti dalla tradizione accademi-

Madonna di Bruges esposta a Firenze nel 1953, offrono

ca, per aprire la strada alle estetiche della modernità e

alla fotografa l’opportunità di un inedito e irraggiun-

45

della contemporaneità .

gibile sguardo “critico”, che conferisce a ciascuna del-

La scultura e, nello specifco di questa ricerca, la

le immagini un nuovo valore di forma concettuale,

lettura dell’opera di Michelangelo, diventa per mol-

tendente all’astrazione.

ti fotograf del Novecento il soggetto prescelto con il

«Les œuvres d’art sont objets de mètamorpho-

quale confrontarsi nel tentativo di esprimere con il

se – comme les dieux», afferma André Malraux alla

mezzo ottico la ricerca di formule estetiche mediate

metà degli anni Cinquanta50 e, conscio del potere di

dalla cultura artistica e fgurativa specifca dell’agen-

condizionamento della fotografa nella comprensione

_ 50

dell’arte, estremizza la dissoluzione operata dal me-

la editoriale del fotolibro. La Pietà Rondanini era stata

dium nella riconoscibilità dell’artefatto originale, reso

oggetto dell’interesse di Paolo Monti54 subito dopo il

bidimensionale e svincolato dalle nozioni di spazio e

trasferimento della scultura da Roma al Castello Sfor-

tempo con cui si relaziona l’opera originale. Lo storico

zesco di Milano, nel 1952, incuriosito più che altro dal

dell’arte francese, nell’esaltare il ruolo mediatico del-

pubblico milanese che si recava ad ammirare l’opera,

la fotografa, in particolare quella delle riproduzioni

ripreso dal fotografo forse a sua insaputa, giocando tra

di scultura, le riconosce la capacità di formulare una

i ruoli di “osservato e osservatore”, vicino alle poetiche

nuova cultura visiva dell’arte, relativizzando l’ogget-

humaniste degli scatti “rubati” di Robert Doisneau al

to: «La bellezza mutilata del frammento scultoreo an-

pubblico che si accalcava, nel 1945, per vedere la Gio-

tico diventa nella cultura modernista paradossalmen-

conda rientrata al Louvre dopo la guerra. Verso la fne

te “integro” e veicolo di espressione di ciò che il caso,

degli anni Sessanta, Monti si interessa nuovamente

la natura, la società, il contesto hanno trasformato in

alla scultura di Michelangelo, in occasione di una vi-

una nuova forma d’arte ed è questa immagine trasf-

sita alle tombe medicee di San Lorenzo e ne riporta

51

gurata alla quale il fotografo modernista dà voce» .

un lavoro di straordinaria qualità critica, ad oggi poco

Nell’accostare una all’altra le 700 fotografe del-

noto, ricco di riferimenti alla ricerca artistica post-

la sua «grande epica visiva», Le Musée imaginaire de la

moderna, dove i corpi michelangioleschi sono defor-

sculpture mondiale, pubblicata nel 1952, Malraux com-

mati da esasperate prospettive e i volti e le maschere

pie un’invenzione straordinaria: la proposta di un mu-

sembrano trasformarsi in voci pietrifcate che annun-

seo di carta dove il lettore è invitato a compiere un’e-

ciano il dramma del passaggio dalla vita alla morte.

sperienza visiva e intellettuale che non ha precedenti,

Nel 1977 torna a rileggere la Pietà Rondanini con uno

52

e come giustamente ha ricordato Henri Zerner , la

sguardo diverso, maturato dalle sue costanti ricerche

meditazione e la riscoperta della scultura attraverso il

sull’astrazione e sullo studio della diffrazione della luce.

punto di vista della fotografa e la luce scelta per rap-

Attraverso di essa, procede nella restituzione di forme

presentarla, sono determinanti per Malraux nell’enfa-

astratte e masse materiche, che rivelano l’invenzione

tizzare il soggetto, a volte più di quanto lo stesso scul-

di Michelangelo e allo stesso tempo decompongono la

tore possa aver voluto, e conferiscono all’opera d’arte

scultura in altrettante intuizioni creative, autonome

un’esistenza virtuale pienamente realizzata esclusiva-

nelle quali riconoscere la genialità del Maestro. La sf-

mente grazie alla riproduzione fotografca.

da che Antonia Mulas55 affronta nel confrontarsi con Michelangelo nasce, invece, da un interesse cultura-

Se per le prime pubblicazioni illustrate dedicate

le nei confronti dell’opera e del tormentato processo

a Michelangelo, come quelle di Corrado Ricci, Adolfo

intellettuale dello scultore, rintracciabile nelle forme

53

Venturi, Arturo Rusconi, Ettore Sestieri , gli studio-

delle fgure allegoriche poste al di sopra delle tombe

si attingono ai reperti fotografci di Alinari, Brogi,

Medici. Volti e corpi indecifrabili, asessuati, la cui bel-

Anderson, Lombardi, Vasari, per comprovare le loro

lezza è colta dall’obiettivo della fotografa attraverso

analisi stilistiche e comparative, dalla seconda metà

visioni forzate, in cui le masse marmoree delle parti

degli anni Settanta l’editoria d’arte si orienta verso un

anatomiche dirompono dall’inquadratura, alla ricer-

nuovo genere di pubblicazioni “frmate” dal fotografo

ca di un colloquio intimo, ravvicinato con quanto di

in qualità di interprete e coautore dell’analisi formale

enigmatico ha voluto trasmetterci il suo artefce.

e critica dello storico dell’arte, dove comunque la pro-

Diverso è il ruolo svolto da fotograf come David

posta narrativa dell’illustrazione fotografca è premi-

Finn, Giorgio Avigdor56, Liberto Perugi57, Aurelio

nente e spesso svincolata dal testo storiografco.

Amendola, i quali hanno più volte contribuito con il

Per Paolo Monti e Antonia Mulas, viceversa, la

loro sguardo alla lettura dell’opera di Michelangelo,

personale ricerca che li ha portati a confrontarsi con

pubblicando numerosi volumi dedicati alla creazione

Michelangelo e la scultura, si confgura nella formu-

di un’iconografa divulgativa che ha contribuito a tra-

_ 51

roBert Capa Picasso a Palazzo Grimaldi, Antibes agosto 1948. New York, Robert Capa / Magnum / Contrasto © International Center of Photography

sformare la percezione dei suoi capolavori e a glorifca-

testa dello Schiavo morente nell’immagine della mo-

re lo ‘status’ di genialità dell’artista, mostrando ciò che

della nell’atelier, sembra essere l’omaggio a un ideale

non è evidente, interpretando la tensione delle forme e

di bellezza classica che trova il suo corrispondente in

la monumentalità scultorea, cercando nell’ingrandi-

quella femminile; ad altri signifcati, di distruzione

mento dei particolari materici le formule dell’unicità

e di rinascita dalle rovine della guerra, rimanda la

creativa e consolidando il mito contemporaneo basato

straordinaria fotografa di Herbert List scattata a Mo-

sulla suggestione e sacralità e che le sue opere esercita-

naco all’Accademia di Belle Arti nel 1946, ritrovan-

no su milioni di persone.

do nell’opera dello Schiavo morente l’idealizzazione

«I believed that my camera might help to deter-

dell’estetica del nudo maschile e i motivi della clas-

mine the work’s authenticity», afferma David Finn,

sicità riletti attraverso i codici della fotografa mo-

con riferimento alle fotografe da lui realizzate a un

derna. Qualche decennio dopo, nel 1974, i riferimenti

modello giovanile per il David attribuito a Michelan-

all’identità di Michelangelo e alla sua opera, percepita

gelo e oggetto di studio da parte di Frederick Hartt, e

come erotica, verranno estremizzati da Robert Map-

affda all’ingrandimento della lente fotografca l’au-

plethorpe nell’enigmatico oggetto fotografco intito-

tentifcazione della monumentalità creativa del Buo-

lato Slave, una cornice contenente la fotografa di un

58

narrori in nuce nel piccolo bozzetto . Mentre ogni

libro aperto con due immagini del dettaglio del busto

scatto di Finn travalica l’esperienza dell’indagine foto-

dello schiavo morente e un coltello sovrapposto, il tut-

grafca dell’opera d’arte per trasformarsi in immagine

to delimitato da una targhetta sottostante con il nome

autonoma di forme astratte o dettagli anatomici che

del fotografo. Un’emblematica e sconcertante appro-

convertono la fotografa in un’opera a sé stante, che

priazione autobiografca dell’opera di Michelangelo,

non ha necessità di riferimenti al soggetto rappresen-

che Mapplethorpe usa come un gioco di parole, tra-

tato per affermare la propria identità di espressione

sferendo la propria identità in quella di Michelange-

creativa, Aurelio Amendola esercita un occhio foto-

lo e proiettando la propria «personalità professionale

grafco più tradizionale. Capace di entrare a contatto

pubblica e privata […] forzando il confronto tra la sta-

con l’opera, Amendola la disarticola in diverse par-

tua di Michelangelo e un’immagine specifcatamente

ti non con intenti “scientifci” ma con lo sguardo di

omoerotica [...]»60.

chi si avvicina emotivamente, incuriosito e allo stesso

Nella contemporaneità, i diversi codici espressivi

tempo intimorito dalla grandezza del “mito” miche-

del linguaggio fotografco vengono declinati in altret-

langiolesco, benché il proprio bagaglio culturale gli

tante forme autoriali che, avvicinandosi al tema della

offra l’occasione per rintracciare delle consonanze vi-

scultura ed entrate in contatto con l’opera di Miche-

sive in chiave “modernista”, come suggerisce Antonio

langelo, in alcuni casi si sono espresse stravolgendo il

59

Paolucci in un saggio dedicato al lavoro del fotografo

principio stesso della fotografa documentaria, come

alla Sagrestia Nuova di San Lorenzo e alle sue sculture.

dimostra Karen Knorr, che destabilizza la tradizionale visione idealizzata dell’opera d’arte originale per ri-

Mentre alcuni fotograf hanno dedicato parte

defnirla, in quanto copia riproducibile, in uno spazio

della loro carriera ad approfondire il tema della ri-

museale atipico, lo stesso in cui si muove il lavoro di

produzione della scultura di Michelangelo, svisceran-

Lise Sarfati al Pushkin Museum. Altre volte, invece,

done le possibili declinazioni e creando un loro stile

l’accidentale incontro con Michelangelo, da parte di

documentario di riferimento, la presenza del Buonar-

artisti che non hanno mai sperimentato la fotografa

roti è rintracciabile anche nel percorso progettuale di

di scultura, ha dato vita a immagini di inedito fascino,

molti altri fotograf del Novecento e della contempo-

nelle quali è ben riconoscile la costruzione formale e

raneità. A volte citazione e rimando alla propria for-

stilistica dell’autore: l’obiettivo di Helmut Newton si

mazione artistica, come nel caso del noto fotografo di

sofferma sulla fgura del Mosè di Michelangelo con lo

moda Horst P. Horst, dove il particolare del calco della

stesso sguardo che lo ha reso tra i più celebrati foto-

_ 53

graf di moda, con riprese estremamente ravvicinate

più drammatica interpretazione fgurativa. «Un ab-

ed effetti di luce che esaltano il bianco e il nero e la

braccio all’intera umanità, alle sofferenze, una com-

sensualità delle forme, contrapposte alla rigidità delle

prensione e compassione del dolore», come ricorda il

linee geometriche, in un’esaltazione eroica e celebra-

regista coreano Kim Ki-duk, il quale alla Pietà di Mi-

tiva dell’unicità del capolavoro. Un sentimento oppo-

chelangelo deve il titolo e l’immagine della comuni-

sto pervade l’immagine di algida bellezza della Pietà

cazione del suo flm, estrema espressione del carattere

Rondanini realizzata da Gabriele Basilico, in occasio-

di simulacro raggiunto dalla fotografa.

ne di un suo inedito avvicinamento alla scultura di

Molteplici declinazioni attraverso le quali la fo-

Michelangelo, costruita secondo le regole composi-

tografa si trasforma da traduzione documentaria a

tive della prospettiva centrale, tuttavia spezzate dalla

medium concettuale dell’opera d’arte e, nel caso della

luce abbagliante che pervade lo spazio, trasformando-

scultura di Michelangelo, in una presenza-assenza,

lo in un sacrario metafsico, al centro del quale sem-

metafora di signifcati che trascendono la citazione

bra campeggiare un monumento funebre con la sua

diretta dell’opera, come dimostra Thomas Struth64

lapide, e all’ombra proiettata dalla scultura è affdato

nel suo lavoro svolto all’interno della Galleria dell’Ac-

il compito di dare corpo e profondità alla realtà della

cademia di Firenze, nel 2004, dove il David non è più

fotografa.

oggetto delle sue riprese, ma è trasfgurato nella mas-

Il tema della pietas, più volte presente nell’opera

sifcazione del pubblico che accorre a vedere l’opera

di Michelangelo e oggetto d’infnite letture fotograf-

più celebre dello scultore. L’esaltazione del “mito” e del

che, a volte di vere e proprie sfde, come quella di Ro-

potere comunicativo attribuito a Michelangelo trova

61

bert Hupka , che per oltre un anno cercò l’immagine

qui la sua più chiara esemplifcazione, aprendo nuovi

“perfetta”, l’icona assoluta, che potesse rappresentare

interrogativi che, tuttavia, non possono prescindere

la genialità artistica della Pietà del Vaticano, viene ri-

dalla nostra rifessione iniziale, sul ruolo svolto dalla

letta dalla fotografa contemporanea in chiave di sta-

fotografa, fn dalle sue prime sperimentazioni e nelle

ged photography, come l’interpretazione proposta da

sue diverse declinazioni espressive, nel ri-conoscere la

Youssef Nabil, la ricostruzione scenica di un’effgie

personalità di uno dei più importanti artisti di tutti i

riconoscibile a livello inconscio collettivo di quell’uni-

tempi e celebrare universalmente la grandezza della

versale dolore che trova nell’opera di Michelangelo la

sua opera.

1

C. Baudelaire, Pourquoi la sculpture est ennuyeuse (Salon de

soprattutto da studiosi anglosassoni e francesi, mentre appare

1846), in Baudelaire 1976, vol. 2, pp. 487-489.

più recente l’attenzione sull’argomento da parte della saggisti-

2

Affrontare oggi il tema della rappresentazione fotografca

ca italiana: dopo i fondamentali interventi di Massimo Ferretti

della scultura non può prescindere dalla considerazione che,

(1977) e di Ettore Spalletti (1979) dedicati alla documentazione

dagli anni Settanta del secolo scorso, grazie anche ad alcune

fgurativa dell’opera d’arte, solo diversi anni dopo Maria Grazia

importanti esposizioni internazionali, gli studi sull’argomen-

Messina (2001a) affronta con uno sguardo storiografco il tema

to si sono moltiplicati e hanno declinato in modo puntuale le

fotografa / scultura in occasione della mostra da lei curata,

molteplici interazioni esistenti tra le due arti, utilizzando, a se-

Scultura e fotografa questioni di luce, e presentata a Palazzo Pit-

conda dei casi, chiavi di lettura storiografche, critiche, semiolo-

ti nel 2001. In quest’ultimo decennio si moltiplicano anche in

giche, etc. così come avviene per le altre discipline con le quali

Italia gli studi sull’argomento ma, al di là del recente e prezioso

la fotografa si confronta fn dalla sua invenzione. Scorrendo la

intervento teorico di Benedetta Cestelli Guidi (2008) che ac-

Bibliografa generale pubblicata in fondo al presente catalogo,

compagna l’edizione italiana del saggio di Heinrich Wölffin

troviamo conferma, seppur nei limiti dei riferimenti necessari

del 1896, la ricerca sembra indirizzata, da un lato, ad approfon-

alla presente ricerca, della quantità di saggi pubblicati sul tema,

dire l’aspetto relativo all’utilizzazione del medium fotografco

_ 54

da parte degli scultori, come nel caso per esempio degli artisti

fotografche eseguite in Toscana: «[…] Ho ricevuto per mezzo

Umberto Milani (aPPella 2003) e Medardo Rosso (lista 2003;

del Principe Demidoff due dagherrotipi di un basso rilievo che

Bertelli 2004, mola 2006), e dall’altro, a mettere in luce, all’in-

esiste nel palazzo della Gherardesca a Firenze. Si crede di Mi-

terno di una più ampia analisi dell’attività svolta dai fotograf,

chel Angelo e rappresenta la morte del Conte Ugolino antenato

le modalità del loro lavoro di riproduzione e di interpretazione

della Famiglia Gherardesca. Questi due dagherrotipi rappre-

dell’opera d’arte plastica, come nel caso della produzione dello

sentano il med.o soggetto uno più grande e l’altro più piccolo.

Stabilimento dei Fratelli Alinari (Quintavalle 2003; maFFioli

Sopra il piccolo essendo il dagherrotipo rovescio si deve ope-

2003; Possenti 2005) o di Paolo Monti (Paoli 2007-2008). Si

rare per l’incisione, il grande serve solo per mostra […]»; cfr.

discosta da questo flone di studi il saggio proposto da Maria

Biblioteca Estense di Modena, Fondo Giovanni Battista Amici,

Francesca Bonetti (2006), un’inedita e flologica ricostruzione

cartella 1150 – documento 11304. Per maggiori approfondimen-

storica riferita alle modalità di rappresentazione fotografca di

ti sull’attività dei dagherrotipisti in Toscana si rimanda a maF-

una singola opera scultorea, il Laocoonte dei Musei Vaticani, la

Fioli 8

cui “fortuna iconografca” è testimoniata da un precoce e am-

2003b.

In questo caso e da ora in poi ogni qual volta nel testo ver-

pio repertorio di riproduzioni realizzato da alcuni qualifcati

ranno citati un autore o una delle opere esposte nella mostra

fotograf professionisti della metà dell’Ottocento.

e illustrate nel presente catalogo, si rimanda per maggiori ap-

3

profondimenti alle relative Biografe e Schede tecniche qui

L’uso che qui si è fatto degli aggettivi “ambigua” e “pertur-

pubblicate.

bante” rimanda, nel primo caso, alle rifessioni di Jean-Marie

9

Schaeffer sulla natura della fotografa riconosciuta al tempo

Il procedimento tecnico del negativo di carta messo a punto

stesso con carattere di indice e icona; nel secondo caso si fa rife-

dalla coppia Guillot-Saguez verrà da loro reso noto di ritorno a

rimento alle rifessioni teoriche, legate alla soggettività incon-

Parigi dall’Italia nella primavera del 1847 e pubblicato nell’au-

scia provocata da un’immagine fotografca, espresse da Walter

tunno dello stesso anno in guillot-saguez 1847.

Benjamin, Susan Sontag e Philippe Dubois. Per una sistema-

10

tica analisi degli orientamenti culturali e delle diverse teorie

della Guillot-Saguez: «[...] Il sole è l’operaio pronto, fedele, abi-

sui codici signifcanti e identifcativi della fotografa rimando

le che l’eliografa chiama in suo aiuto, ma come vi sono operai

all’Introduzione di Remo Ceserani, in ceserani 2011, pp. 13-60.

e operai, così c’è sole e sole, e M. Guillot-Sagnez [sic] ha avuto

4

Per quanto riguarda le diverse declinazioni del tema fotogra-

l’intuizione di associarsi con l’astro che inonda di luce l’Italia

fa e scultura dalle origini al contemporaneo si veda uno dei

e l’Oriente. Si sente che le sue vedute sono illuminate da dei

più recenti e completi lavori, il catalogo della mostra curata da

raggi vividi, limpidi, squillanti, che possono, di rifesso, dare

Roxana Marcoci, The Original Copy. Photography of Sculpture,

della luminosità alle ombre stesse. […] Il Mosè di Michelan-

1839 to Today, presentata nel 2010 al Museum of Modern Art

gelo è molto meglio riuscito, tanto più che, nell’impossibilità

di New York.

di spostarlo, questa eliografa è stata eseguita nelle più cattive

5

condizioni di illuminazione [....]» (cfr. auBenas et al. 2010, pp.

Il soggetto del Busto di Patroclo, copia della scultura in mar-

Nel 1849 Léon de Laborde scrive a proposito delle fotografe

mo ritrovata nella Villa Adriana nel 1769 e acquistata dal British

281-282).

Museum nel 1812 insieme alla Collezione Townley, è stato ripre-

11

so fotografcamente da Talbot in diverse varianti e due di esse

tura di Anderson potevano essere ammirate anche a Firenze

sono presenti anche nel volume The Pencil of Nature del 1844.

nel 1855: «[...] Dell’Anderson abbiamo veduto in Firenze lavori

La Lumière... 1851-1860, vol. I, 1855, p. 79. Le fotografe di scul-

Citazione tratta da William Henry Fox talBot, The Pencil of

bellissimi. La veduta del Ponte S. Angelo con il Castello e il S.

Nature, parte I, London 1844; anche in Talbot 1989. Si veda an-

Pietro in lontananza è di una fnezza di esecuzione tale da farla

che kraus 2005, p. 10.

parere una incisione in acciaio. I tre interni del Museo Vatica-

7

La prima notizia di un’opera attribuita a Michelangelo ri-

no, le statue, i busti, i bassorilievi, i candelabri ci sono sembrati

prodotta con il mezzo ottico della dagherrotipia si trova nella

meravigliosi; sublime poi il portentoso Mosè del Buonarroti:

corrispondenza degli anni Quaranta dell’Ottocento dello scien-

nella cui riproduzione l’artista ha dovuto lottare contro l’ele-

ziato modenese Giovan Battista Amici in occasione di alcuni

mento principale, la luce, che aveva scarsissima nella chiesa di

invii al fsico francese Hippolyte Fizeau di sperimentazioni

S. Pietro in Vincoli ove trovasi il Mosè. Ed è questa una delle

6

_ 55

diffcoltà che la massima parte dei fotograf non son giunti an-

e l’emozione della scoperta archeologica, rievocando in modo

cora a vincere; di riprodurre cioè con modica luce qualunque

romantico il passato e il mistero che lo circonda. Louis Delatre

statua nell’interno delle chiese o gallerie [...]» (cfr. Della Foto-

descrive una di queste esperienze di visita notturna con que-

grafa 1855).

ste parole: «[...] Le nostre torce giravano attorno allo stupendo

12

L’utilizzo della luce prodotta bruciando il magnesio, in base

gruppo del Laocoonte, facendocelo vedere in modi differenti,

alla scoperta fatta da Crookes nel 1859, comincia a diffondersi

scoprendo le più recondite parti, scandendo gli splendidi pas-

tra i fotograf solo un decennio dopo, in primo luogo a causa

saggi, e capendo il loro signifcato [...]» (delatre 1870, p. 163).

del costo della materia prima. Inoltre, l’uso di questo tipo di il-

14

luminazione non era considerato particolarmente adatto nella

della produzione pittorica e fotografca, in particolare in Italia

pratica della ritrattistica poiché incideva sull’effetto di “rasso-

tra gli esponenti della “macchia”, si veda I Macchiaioli... 2008.

miglianza”: «[...] l’azione di questa luce, estremamente viva,

15

“La Camera Oscura” 1863-1864, n. 8, 30 luglio 1863, p. 85.

fa si che i muscoli del volto si contraggano involontariamente

16

caneva 1855, p. 11: «[...] Le negative su vetro danno delle posi-

alterandone l’espressione. Ma è facile rimediare a questo incon-

tive d’un’estrema fnezza, ma un po’ crude e senza prospettiva

veniente: basta combinare schermi turchini coi rifessori con-

aerea, con poca varietà di toni locali; p. es. un monumento anti-

cavi. Dunque l’applicazione pratica del magnesio alla fotografa

co rovinato e variopinto dai secoli sembra una cosa tutta nuova,

non è più un sogno; le esperienze qui descritte ed alle quali ho

o per meglio dire un’imitazione moderna. – Dal contrario le

preso parte non lasciano alcun dubbio a tale riguardo. Questa,

negative in carta danno tutta la scabrezza, la ruvidità e la im-

o signore, è una fase importante nella storia della nostra in-

mensa varietà dei toni della natura. Mancano però pur queste

dustria; nel nostro secolo di progresso e di libertà dobbiamo

di prospettiva aerea ma meno che quelle dal vetro. – Quindi è

andar superbi di un nuovo passo che ne rende indipendenti dal

che una fabbrica moderna, una statua, un panorama, un qua-

sole e ci libera dalla tirannia delle tenebre […]», si legge in un

dro, un’incisione riusciranno a maraviglia sul vetro. – E il pae-

resoconto della rivista “La Camera Oscura” 1863-1864, n. 13,

saggio, i monumenti antichi, le rocce ecc. ecc. converrà sempre

15 ottobre 1864, pp. 152-153. Sull’uso della luce artifciale e sui

trarle con carta così si avranno i risultati desiderati. – L’amatore

condizionamenti che determinò nella produzione di immagi-

pratico pertanto potrà profttare di quale dei due mezzi più si

ni con tonalità e contrasti violenti, in particolare nella ritratti-

acconcia all’oggetto che vuol riprodurre [...]».

stica, con forti contrapposizioni tra masse scure e masse chiare,

17

si veda anche scharF 1979, pp. 57-61, il quale ricorda che tra

specifco della produzione Alinari, cfr. smith 2006. Si veda an-

i primi a condurre esperimenti fotografci alla luce artifciale

che ritter 2009, pp. 49-55.

furono Fantin-Latour, nel 1844, e Nadar.

18

13

Sul tema della luce come elemento estetico e simbolico pre-

riportate la data 1853 e la scritta «Piot fecit et excudit», tuttavia

sente nella produzione fotografca dedicata alle opere di scul-

l’autore è certamente presente a Firenze già nell’ottobre del 1850

tura, in particolare dell’antichità classica, realizzata dai foto-

quando fa domanda di poter fotografare alcune opere dell’Ac-

graf attivi a Roma durante il pontifcato di Pio IX si rimanda

cademia di Belle Arti e dell’Opera del Duomo, come conferma

al saggio di Bergstein 1998, dove l’autrice sottolinea il potere

la corrispondenza conservata presso l’Archivio dell’Accademia

mistifcatorio della fotografa nel formulare un’idea di conti-

di Belle Arti di Firenze, Catalogo degli affari esistenti dal 1611

nuità tra i fasti dell’antichità e il potere della restaurazione del

al 1851, Fotografa esercitata da Piot Eugenio, permesso per ri-

pontifcato di Pio IX. È suggestivo, inoltre, il riferimento che la

trarre i principali Lavori Artistici, flza 1850 / 86. In particolare

studiosa propone di una continuità estetica tra la fotografa e

riportiamo il testo del documento indirizzato a: Illus.mo Com-

le modalità di visione abitualmente proposte, ancora nella se-

mendatore presidente all’Accademia di belle Arti / Dall’Opera di

conda metà dell’Ottocento, per visitare gli scavi archeologici e

S. M. del Fiore / Li 5 ottobre 1850 / Questa Deputazione ricevuto

le antichità vaticane. Le visite venivano effettuate di notte, alla

l’annesso biglietto dal Ministero di Pubblica Istruzione onde sia-

luce delle candele per creare delle suggestioni estreme legate

no procurate all’Artista Eugenio Piot tutte quelle facilitazioni che

alla scoperta archeologica, utilizzando le torce, così come face-

stieno ad agevolare al medesimo la domanda di poter ritrarre col

va la fotografa, come medium per sollecitare l’immaginazione

processo fotografco le porte del tempio di S. Giovanni. E inoltro

_ 56

Sul tema della luce e sul dibattito artistico sviluppato da parte

Sul tema del rapporto tra fotografa e guide di viaggio nel caso

Sulla cartonatura originale della fotografa del David sono

tale Offciale a Vs. ill.mo perché possa dare alli impiegati dell’O-

e la melanconia, che pervadono la visione di Rogers della cap-

pera quelle ingiunzioni che crederà proprie e perché presentandosi

pella, nelle forti ombreggiature e nei chiaroscuri delle stampe

il detto Artista possano da Lei esser presi col medesimo l’opportuni

fotografche.

concerti. / Il deputato Pompeo B. Del Monte». Secondo le notizie

23

hale 1956.

biografche riportate in auBenas

2010, p. 300, Piot fece

24

Cfr. smith 2004, pp. 218-219.

numerosi viaggi in Italia e risulterebbe aver realizzato le sue

25

Nel giornale inglese “The Illustrated London News” del 16

prime fotografe nella nostra penisola nel 1849 ed essere pre-

settembre 1854 è pubblicata un’incisione tratta da una fotogra-

sente a Roma ancora nel 1856, quando ottiene l’autorizzazione

fa di Delamotte che raffgura il Monumento di Lorenzo de’ Me-

da parte dei Musei Vaticani per riprodurre delle opere. Per una

dici, posto nell’Italian Court del Crystal Palace e ricordato come

aggiornata e puntuale analisi delle diverse campagne fotogra-

una delle opere più signifcative eseguite da Michelangelo.

fche svolte da Piot in Italia si rimanda al recente lavoro serena

26

2014, in corso di stampa al momento della stesura del presen-

lebrare il proprio centenario si afferma che «nel 1868 venne

te saggio. Ringrazio Tiziana Serena per avermi fatto partecipe

inviato a Roma per eseguire la riproduzione della cappella Si-

della sua ricerca prima che venisse data alle stampe.

stina un operatore della ditta, un ex gendarme il quale rimase

19

I negativi di Piot dei soggetti italiani a cui si fa riferimento

nella città due anni e mezzo, impiegando i primi sei mesi alla

fanno parte della collezione conservata presso la Bibliothèque

preparazione del lavoro e il resto a riprendere con entusiasmo

de l’Institut National d’Histoire de l’Art, Collezione Jacques

tutto Michelangelo, tutto Raffaello, la Farnesina, gli affreschi

Doucet di Parigi.

delle chiese della città, tanto da richiamare anche l’interesse

20

Le nostre ricerche d’archivio non hanno al momento con-

del Papa» (cfr Braun 1948, p. 12). Il nome dell’operatore è Mar-

sentito di reperire una documentazione storica che attesti con

mand, lo stesso fotografo di cui si ha notizia a Firenze nel 1868

certezza la data della posa in opera della copertura lignea a pro-

quando presenta all’Accademia di Belle Arti domanda per fo-

tezione del David, tuttavia Eugenio Pieraccini nell’introduzio-

tografare gli affreschi del cenacolo di San Salvi (AABA, Filza

ne alla sua Guida alla R. Galleria Antica e Moderna e Tribuna

1868 n. 9) e, nel 1869, per riprodurre le Pitture nel chiostro dello

del David, pubblicata nel 1884, ricorda che a seguito del pro-

Scalzo (AABA, Filza 1869 n. 34). Il nome di Marmand come

lungarsi dei tempi della Commissione incaricata per lo sposta-

operatore dello Stabilimento Braun è confermato anche nel te-

mento della statua, nel 1851 venne deciso di intervenire con la

sto di le men 2003, p. 10 dell’edizione pubblicata sul sito htp://

copertura provvisoria della stessa. Una data che per noi diventa

rgi.revues.org. Il responsabile della campagna fotografca in

il riferimento cronologico post quem per l’esecuzione di alcune

Italia è Henri Braun, fglio del fondatore della ditta Adolphe.

fotografe che raffgurano il David nella sua collocazione origi-

Per maggiori approfondimenti sullo Stabilimento Braun, si ve-

naria e al di sotto della tettoia lignea. Cfr. Pieraccini 1884, p. 6.

dano kemPF 1994. Bergstein 1998 e o’Brien et al. 2000.

21

27

et al.

Per le vicende conservative ottocentesche dell’opera del David

Nel catalogo edito nel 1948 dallo stabilimento Braun per ce-

Per quanto riguarda la riproduzione fotografca degli affre-

e sulla sua ricollocazione nella Galleria dell’Accademia di Fi-

schi della Cappella Sistina per opera di Braun e di altri impor-

renze, si veda Falletti 1997.

tanti autori, si rimanda a miraglia 1991.

22

Cfr. smith 2004 per l’interessante chiave di lettura proposta

28

Nel catalogo Braun 1912, pp. 59-60, dedicato ai capolavori del-

relativamente alle fotografe realizzate dai Fratelli Alinari nel

la pittura, dell’architettura e della scultura presenti nei musei,

1856 alle due tombe de’ Medici in San Lorenzo. Secondo Gra-

nelle gallerie e nelle collezioni private più importanti dell’epo-

ham Smith, alcuni fotograf contemporanei hanno interpreta-

ca, nella sezione dedicata alle scultura del Medioevo e del Rina-

to le due fgure con effetti di luminosità e di documentazione

scimento sono presenti i seguenti soggetti nel formato extra:

dei marmi, diventando editori di una visione dell’opera total-

«[...]Donatello 1965 - Saint Georges. Florence, Or San Michele,

mente attualizzata dalla loro formazione visiva, mentre nel

Ghiberti Lorenzo. 1107 - Porte en bronze du Baptistère de Flo-

secolo precedente i fotograf sono stati certamente infuenzati

rence, Michel-Ange 1139 – David. Florence Académie des B. A.;

nella scelta delle modalità di ripresa dai riferimenti letterari

1140 – Monument de Laurent de Médicis. Florence, Sacrestie

dell’epoca, come nel caso delle evocazioni del poeta, collezio-

de Saint Laurent; 1141 – Laurent de Méedicis, dit “il Pensiero”;

nista ed esperto d’arte Samuel Rogers, traducendo il mistero

détail du précédent; 1142 – L’Aurore; détail du précédent; 1144

_ 57

Monument de Julien de Médicis. Florence Sacrestie de Saint

copie e incentivando la creazione di archivi fotografci e biblio-

Laurent; 1147 La nuit; détail du précedent; 1150 Moise, detail

teche con volumi illustrati. È signifcativo in tal senso, ricorda-

du tombeau de Jules II Rome Eglise de Saint Pierre in Vinculis;

re per esempio l’attività svolta dalla Arundel Society di Londra

1153 Pieta. Rome, Eglise de Saint Pierre; 1155 Un captif (pour le

per la commercializzazione delle fotografe relative alle opere

monument de Jules II) Paris, Louvre».

conservate presso il South Kensington Museum, promuoven-

29

Conferma di quanto sia stata precoce l’attenzione rivolta dalla

done la diffusione presso le scuole d’arte inglesi ed europee (cfr.

ditta Braun nel realizzare la documentazione delle principali

arundel society 1866). Sulla pratica ottocentesca della riprodu-

sculture di Michelangelo a Roma e Firenze si può avere dall’a-

zione tridimensionale della scultura e la formazione delle col-

nalisi dei soggetti michelangioleschi presenti nei cataloghi

lezioni europee di copie di opere d’arte, si veda Fawcett 1987.

dei più noti fotograf attivi a Roma negli anni Sessanta. Nella

Per maggiori approfondimenti sulla storia delle Cast Courts del

collezione di fotografe di Robert MacPherson, celebrato per le

Victoria and Albert Museum, cfr. Baker 2007.

sue qualità di fotografo di scultura e autore di un catalogo de-

31

dicato, nel 1863, esclusivamente alle riproduzioni delle sculture

pe Alberto d’Inghilterra agli Alinari per la campagna fotogra-

dei Musei Vaticani, troviamo che nel 1862 sono presenti nel suo

fca dedicata ai disegni dei grandi maestri della pittura italiana

repertorio di immagini dedicate alla scultura di Michelangelo

si rimanda a maFFioli 2003a, pp. 11-29.

solo la veduta del Mosè di San Pietro in Vincoli (con il numero

32

di catalogo 97) e una veduta della tomba di Giulio II nella stessa

delle opere italiane presentate in forma di copie all’interno del

chiesa (con il numero di catalogo 264), cfr. macPherson 1862;

Crystal Palace e il forte signifcato educativo e popolare rappre-

così anche nel catalogo di vendita delle fotografe di Enrico

sentato dal complesso espositivo del Palazzo di Cristallo e del

Verzaschi, del 1873, sono ricordate due vedute nel formato extra

suo parco, si rimanda alla fonte dell’epoca PhilliPs 1854. È inte-

(41 x 27) del soggetto del Mosè e, nel formato più piccolo chia-

ressante notare che nel contesto delle opere che rappresentano

mato Gabinetto, una veduta del Mosè e una della Pietà di San

l’eccellenza del Rinascimento italiano, l’opera di Michelangelo

Pietro in Vaticano, mentre nel formato stereoscopico esistono

è testimoniata dalla Vergine con Bambino della Sagrestia di San

solo due riprese del Mosè, una «di Prospetto» e l’altra «veduto di

Lorenzo, dalle due tombe de’ Medici della stessa chiesa e da una

fanco» (cfr. verzaschi 1873). Infne, nel catalogo di vendita del-

non precisata scultura della Pietà (cfr. PhilliPs 1854, pp. 91-92).

le fotografe Alinari del 1876, sono citati anche i soggetti ripor-

33

tati dalla campagna fotografca realizzata a Roma tra il 1873 e il

renze si conserva un importante fondo di stampe fotografche

1876, e di questi tre sono dedicati alle sculture di Michelangelo,

originali ricevute in occasione delle celebrazioni michelangio-

la Pietà in Vaticano, il Mosè di San Pietro in Vincoli e il Cristo

lesche del 1875: 34 stampe fotografche sono relative all’opera

con la croce nella chiesa di Santa Maria sopra Minerva.

scultorea di Michelangelo e sono realizzate da Braun, Brogi,

30

secolo proliferava in Europa un forido

Alinari, Lombardi e da autore non identifcato (AAAD – Fon-

commercio di copie dei capolavori della scultura classica e ri-

do fotografe michelangiolesche, cartella 1); un’altra serie di 19

nascimentale e dal 1864, in base alla Convention of promoting

stampe fotografche originali, inviate nel 1874 all’Accademia

universally Reproductions of Work of Art, voluta da Henry Cole,

dal Departement of Prints and Drawings del British Museum

primo direttore del South Kensington Museum di Londra (poi

(AAAD – Fondo fotografe michelangiolesche, cartelle 2 e 3);

Victoria and Albert Museum) e sottoscritta da quindici Principi

una cartella formato album con coperta cartonata e titolo a ca-

regnanti d’Europa, si formarono collezioni come le Cast Courts

ratteri in foglia d’oro «Photographs of Drawings by Michael

al South Kensington Museum, inaugurate nel 1873; l’interesse

Angelo at Oxford», contenente 48 tavole formato 37 x 47 cm

da parte dei musei di formare delle collezioni di copie è genera-

con fotografe originali di riproduzioni di disegni (AAAD

lizzato se ancora nel 1891 il Metropolitan Museum di New York

– Fondo fotografe michelangiolesche, inv. A 13). Nella rela-

pubblica una lista di opere necessarie a fni educativi: Tentative

zione a stampa sul Centenario, edita nel 1876, è citato l’elenco

List of Objects Desirable for Collection of Castes, Sculptural and

di tutte le fotografe che vennero presentate in mostra grazie

Architectural, Intented to Illutrate the History of Plastic Art. La

all’invio dei materiali da parte di Istituzioni e privati: «Cento-

fotografa affancherà questa attività via via sostituendosi alle

diciotto fotografe della Cappella Sistina proprietà dell’Acca-

Dalla fne del

xvii

_ 58

Per ulteriori approfondimenti sulla committenza del princi-

Cfr. Perkins 1864, p. VII; per una più completa descrizione

Presso l’Archivio dell’Accademia delle Arti del Disegno di Fi-

demia; Due fotografe del S. Petronio e dell’Angelo dono del

ben riuscito. Le statue non sono mai riuscite bene e quelle foto-

Municipio di Bologna; Sei fotografe dell’altare Piccolomini

grafate che si vedono di originali che esistono nella Galleria di

nella metropolitana di Siena, le cui cinque statue sono attri-

Firenze, sono tutte levate dai gessi che il fotografo si è procurato

buite a Michelangiolo, dono del Rettore dell’Opera del Duomo

fuori dallo stabilimento, e che ha collocato nella luce aperta a

di Siena; Fotografa d’un Cristo della stessa chiesa, statua attri-

suo bell’agio per servire a tutte quelle esigenze che tali operazio-

buita a Michelangiolo, dono del Rettore dell’Opera del duomo

ni richiedono. Per gli oggetti di piccola mole e di facile traspor-

di Siena; Otto fotografe di disegni di Michelangiolo dono del

to, il Direttore della Galleria ha permesso a qualche distinto fo-

Governo Inglese; Sette fotografe da disegno originali (Museo

tografo di prendere copia, e siccome era necessità di trasportare

di Lilla) dono del Governo Francese; Sedici fotografe da di-

i medesimi ad una luce adattata, il monumento veniva rimosso

segni originali (Museo di Weimar) dono del Governo di Sas-

e mai abbandonato da un impiegato del Dipartimento, fnché

sonia Weimar; Quindici fotografe da disegni originali della

non fosse ricollocato al posto [...]» (cfr. Domanda dell’Accademia

collezione del Castello di Windsor dono della Regina d’Inghil-

di Belle Arti di Milano all’Accademia di Firenze su come si deve re-

terra; Venticinque fotografe da disegni originali (Museo del

golare sui permessi ai fotograf di fotografare le opere d’arte. Rispo-

Louvre) dono del Governo Francese; Otto fotografe di disegno

sta di Luca Bourbon Del Monte al Sig. Giovanni Masselli Presidente

originali (gallerie private) dono del Governo Francese; Ventu-

della R. Accademia di Belle Arti di Firenze, poi inviata a Milano,

no fotografe da disegni originali, da bozzetti in terra cotta, in

7 dicembre 1857, Archivio dell’Accademia di Belle Arti di Fi-

marmo ecc. (Museo Britannico dono del Governo Inglese; Due

renze, Filza 1857, n. 97 e n. 755). Un rapporto contrastato, quel-

fotografe di disegni, dono del sig. prof. Robinson; Sei fotogra-

lo dei fotograf con le autorità museali, che portava in alcuni

fe rappresentanti: Il monumento di papa Giulio II, il Mosè, la

casi anche a dure reazioni, come per esempio avvenne nel 1866,

Pietà, il Cristo della Minerva, il Giudizio fnale e l’abbozzo di

quando il Soprintendente del museo del Louvre ne ordinò, dal

un’altra Pietà, dono di Sua Eminenza Monsignor Arcivescovo

mese di agosto di quell’anno, la chiusura indistintamente a tutti

di Firenze; Fotografa della Fortuna, statua in pietra esistente

i fotograf «per la grande noncuranza da essi manifestata, ver-

nel palazzo degli Alessandri in Firenze, dono del conte Cosimo

sando soluzioni corrosive sui pavimenti delle sale, senza alcun

degli Alessandri» (cfr. Relazione... 1876, pp. 215-216).

riguardo, come se fossero nei loro laboratori» (cfr. “La Camera

34

Oscura”, Rivista universale dei progressi della fotografa , a. IV,

Testimonianza delle diffcoltà che dovevano affrontare i fo-

tograf nel riprodurre le opere di scultura appartenenti alle

XII, Milano, tip. Giuseppe Redaelli, 1866, p. 239).

Gallerie si ha dalla corrispondenza conservata nell’archivio

35

dell’Accademia di Belle Arti e nell’Archivio Storico delle Gal-

Galleria degli Uffzi e già presenti nella serie «Disegni di Raffa-

lerie Fiorentine relativamente alle richieste per ottenere i per-

ello e d’altri maestri esistenti nelle gallerie di Firenze Venezia e

messi. In una lettera del 1857 del direttore delle “Gallerie Reali”

Vienna riprodotti in fotografa dai Fratelli Alinari», pubblicati

di Firenze, Luca Bourbon Del Monte, si descrivono le misure di

da Luigi Bardi tra il 1858 e il 1859, sono elencati nel loro catalogo

prevenzione necessarie dettate ai fotograf per consentire loro

del 1863, con il numero di serie originale, titolo e misure: «60.

di fotografare le sculture: «I permessi per copiare in Fotografa

Ritratto di Vittoria Colonna, bel disegno a matita nera, di Mi-

sono stati dati fno ad ora a persone, la cui abilità in tal sorta

chelangiolo (36 cent. per 25) / 61. tre teste di donna con bizzarre

di lavori fosse stata constata da opere precedentemente eseguite.

acconciature, a matita nera, di Michelangiolo (36 cent. per 25)

Le domande dei dilettanti, degli apprendisti vengono rigettate.

/ 62. La Furia, ovvero un’anima dannata, bellissimo disegno a

La Galleria di Firenze ha fno ad ora permesso di fare tale ope-

matita nera, di Michelangiolo (29 cent. per 20) / 63. Due teste,

razione dai monumenti di piccola mole, e da quelli ancora di

una delle quali di donna, disegno a matita nera, di Michelangio-

gran mole, come sarebbero statue, purché fossero in posizione,

lo / 64. Una donna che si guarda nello specchio, disegno penna

sì per la distanza che per la luce, da potersi fare dal posto dove

di Michelangiolo (37 cent. per 27) / 65. La Sibilla Libica, studio

sono. Il trasporto di queste in altro sito non è stato mai concesso.

a matita rossa per l’affresco della Cappella Sistina di Miche-

I risultati sono stati gli appresso: le sculture sì in bassorilievo che

langiolo (36 cent. per 26) / 66. Figura d’uomo sopra d’un pie-

in tondo, tanto in avorio che in bronzo dorato e del suo colore, in

distallo, disegno a matita nera di Michelangiolo, per una delle

legno, cesellature, come pure disegni, tutti questi oggetti hanno

cariatidi della volta della Cappella Sistina (36½cent. per 26) / 67.

_ 59

I disegni di Michelangelo riprodotti dai Fratelli Alinari alla

Un demonio, tocco in penna di Michelangiolo, per il grande

(cfr. eco 1973, pp. 110-111).

affresco del Giudizio universale nella Cappella Sistina (26 cent.

42

per 21) / 68. Gruppo di diverse fgure nude, disegno a penna di

fotografa e in particolare con alcuni autori che seppero inter-

Michelangiolo / 69. Figura d’uomo colla spada in mano, forse

pretare le sue sculture in modo totalmente autonomo, come nel

un San paolo, disegno a matita rossa di Michelangiolo (43 cent.

caso di Stieglitz, si vedano i contributi di Hélène Pinet, Les Pho-

per 28) / 70. Testa di donna vista di proflo, disegno a matita

tographes de Rodin. Jacques-Ernest Bulloz, Eugène Druet, Stephen

rossa di Michelangiolo. / 71 Due fgure d’uomo, e dei fanciulli

Haweis et Henry Coles, Jean-François Limey, Eduard Steichen

schizzati a penna da Michelangiolo (36 cent. per 27) / 72. Dise-

(catalogo della mostra, Paris, Musée Rodin, Cabinet des Pho-

gno per il gran Monumento per il Papa Giulio Secondo, ideato

tographies, 1986) e Rodin et la photographie (Paris, Gallimard-

da Michelangiolo (37 cent. per 29) / 73. Studio a penna per uno

Musée Rodin, 2007).

dei Monumenti Medicei di Michelangiolo, nella chiesa di San

43

Lorenzo / 74. La Fortuna, disegno a matita nera di Michelan-

so con la fotografa è stato oggetto di analisi da parte di diversi

giolo (45 cent. per 29)».

studiosi ma in particolare qui si rimanda ai lavori, lista 2003,

36

Il caso di questa fotografa è estremamente interessante dal

Bertelli 2004 e mola 2006. Per una più dettagliata analisi del

punto di vista storico fotografco e testimonia del modo di ope-

repertorio di fotografe di Rosso dove è presente il riferimento

rare degli Alinari e certamente non solo loro, nella spigliata

della copia della Madonna Medici di Michelangelo si rimanda

rielaborazione e rivisitazione del proprio lavoro al fne di un

alle schede cat. 55-57 in questo volume a cura di Paola Mola,

costante aggiornamento dei repertori commerciali. La lastra

che qui ringrazio per il prezioso contributo e la collaborazione.

negativa originale della stampa Alinari con il soggetto del Ton-

44

do Pitti ripreso agli Uffzi, tutt’oggi conservata negli Archivi

da Pagano nel 1938 su commissione di Pietro Toesca in occasio-

Alinari, venne “riciclata” dai fotograf, scontornando il basso-

ne dell’esposizione della Pietà da Palestrina alla Mostra autar-

rilievo dallo sfondo e reinserendola nel catalogo di vendita del

chica del Minerale Italiano; l’iconografa di Pagano è utilizzata

1876 con la sua nuova collocazione al Museo Nazionale del Bar-

anche in pubblicazioni successive, con particolare riferimento

gello, dove era stata trasferita dal 1873. Per maggiori approfon-

ai dettagli della fgura del Cristo, cfr. russoli 1959, tav. 122. Sul

dimenti sulle vicende tecniche e sul negativo in oggetto si ri-

tema dell’uso della fotografa da parte di Toesca nell’ambito dei

manda alla scheda cat. 34 di Maria Possenti in questo catalogo.

suoi studi si veda callegari

Per una puntuale analisi del coinvolgimento di Rodin con la

Cfr. lista 2003, p. 332. Il complesso rapporto di Medardo Ros-

Cfr. toesca 1938-1939, p. 108; la documentazione è realizzata

et al.

37

Benjamin 1966, p. 22.

fotografe di Pagano pp. 111-112.

38

Se si scorrono i cataloghi pubblicati dai più noti stabilimenti

45

2009 e in particolare sulle

A proposito del tema dei “generi” artistici e fotografci si ri-

fotografci italiani specializzati in riproduzioni d’arte, dalla se-

manda al fondamentale saggio storico-critico di Marina Mira-

conda metà del xix fno al primo quarantennio del xx secolo, si

glia, I “generi” fra regola e creatività (miraglia 2012, pp. 1-32),

può riscontrare che i soggetti più celebri sono ripresi in tutti i

che analizza le forme teoriche della loro evoluzione nelle arti

formati di negativo, carte de visite (5 x 9 cm), stereoscopico

fno al loro naturale superamento nell’ambito di una più com-

(8 x 15 cm), album (10 x 14 cm), piccole (19 x 25 cm), mezza-

plessa trasformazione dei linguaggi fgurativi espressi dalle

ne (28 x 38 cm), grandi (44 x 58 cm) e grandissimi (70 x 9 cm)

estetiche della modernità.

mentre, via via che le opere sono meno conosciute al grande

46

Cfr. auBert 1953.

pubblico, oppure si tratta di riprese di dettagli dell’opera d’arte

47

Cfr. Bezzola 2010, pp. 28-35.

e punti di vista atipici, quindi d’interesse prevalentemente spe-

48

Un’interessante chiave di lettura del signifcato attribuito dalla

cialistico, esse sono riprodotte nel formato piccolo, più consono

fotografa fn dalle sue origini alla ripresa di dettagli della natu-

alla richiesta degli studiosi e agli usi editoriali.

ra, di persone e di oggetti è offerta dal saggio di marBot 1989,

39

wölFFlin 1896-1897, p. 21.

pp. 147-157.

40

Cfr. cestelli guidi 2008a, p. 47.

49

41

Defnizione ripresa da Umberto Eco allorché si riferisce al

Nazionale del Bargello nella sala terrena dedicata alle opere

lavoro fotografco svolto da Ugo Mulas in qualità di testimone

di Michelangelo dal 25 novembre alla fne di dicembre del

dell’attività e delle opere di molti artisti del Novecento italiano

1953, e «accolta con molta gioia da moltissimi forentini che

_ 60

La Madonna di Bruges venne esposta a Firenze nel Museo

non l’avevano veduta e dagli studiosi tutti, fu in quell’occasio-

56

redig de camPos 1975.

ne fotografata dalla Società Fratelli Alinari e le belle fotogra-

57

Baldini 1982.

fe che ne riproducono i più minuti particolari e ne consento-

58

Cfr. David Finn, A Note on the Photography, in hartt 1987.

no il pieno godimento, sono quelle che qui ora si pubblicano»,

Nella prefazione al volume dedicato da Finn alle tre Pietà di

scrive Giovanni Poggi nell’Introduzione al volume dato alle

Michelangelo, l’autore scrive: «This book owes its existence to

stampe dalla casa editrice Alinari nel 1954. In una nota al suo

the inquiring camera of David Finn. The photographs publi-

testo Poggi ricorda che «Friedrich Kriegbaum nell’articolo “Le

shed here greatly extendeour knowledge of three masterpie-

statue di Michelangelo nell’altare dei Piccolomini di Siena”

ces by Michelangelo that we thought we knew and hoped we

pubblicato nel volume “Michelangelo Buonarroti nel IV cente-

understood. For me they have been a revelation, not only of

nario del Giudizio Universale”, Firenze, Sansoni, 1942, p. 111, a

new aspects of the style of these familiar works, but of many

proposito della Madonna di Bruges lamentava che “purtroppo

unsuspected subtleties of concept and execution [...]» (cfr.

di quest’opera di massima importanza mancano sempre an-

Finn 1975).

cora delle fotografe suffcienti per un’esatta visione”. Con le

59

fotografe eseguite dalla Società Fratelli Alinari questa lacuna è

60

colmata [...]» (La Madonna 1954, p. 7).

Mapplethorpe vista attraverso il suo rapporto con la scultura è

50

offerta da hood 1998, pp. 199-212.

La citazione di Malraux si trova nel frontespizio del volume

Cfr. Paolucci 1993, p. 14. Un’interessante chiave di lettura dell’opera fotografca di

dedicato dallo storico dell’arte americano Frederick Hartt al

61

modello del David opera del giovane Michelangelo, pubblica-

tà, iniziai con amore questo lavoro. Ma, una volta comincia-

zione illustrata con fotografe di David Finn (hartt 1987).

to, non riuscii più a smettere di fotografare sino a quando la

«Nel mio sforzo di ottenere la più bella fotografa della Pie-

Testo ripreso da Bergstein 1995, p.13; inoltre, sul contributo

nave che riportava l’opera in Italia sparì dalla mia vista». Cfr.

dato da Malraux a una diversa valutazione della fotografa di

huPka 1975, p. 80. Robert Hupka, fotografo e appassionato di

riproduzione d’arte e alle implicazioni teoriche connesse all’u-

musica, lavorò per oltre venti anni accanto a Arturo Toscanini

so delle fotografe da parte degli storici dell’arte, si rimanda

e in occasione della presentazione al pubblico americano del-

all’ampio saggio critico di zerner 1998, pp. 116-130 e al testo di

la Pietà di Michelangelo inviata a New York per l’Esposizione

Tiziana Serena pubblicato in questo catalogo.

Universale nell’aprile 1964, scattò nell’arco di un anno e mezzo

51

52

zerner 1998, pp. 116-130.

oltre 1.500 fotografe dell’opera, poi oggetto di una selezione di

53

ricci 1902; venturi 1927; rusconi 1943; sestieri 1952.

150 immagini per un volume pubblicato la prima volta a New

54

Per il lavoro dedicato alla Pietà Rondanini si veda il volume

York nel 1975, cui seguirono numerosissime riedizioni in di-

monti 1977; per maggiori ed esaustive analisi dedicate al lavo-

verse lingue e una mostra presentata in diverse sedi e, nel 2004,

ro fotografco di Paolo Monti si rimanda a chiaromonte 1992;

esposta nel Braccio di Carlo Magno in Vaticano.

Paoli 2007-2008; valtorta 2008; zanzi 2010.

62

55

le “Panorama”, 4 settembre 2012.

La personale ricerca di Antonia Mulas, volta a cogliere della

Intervista a Kim Ki-duk di Simona Santoni per il settimana-

scultura rinascimentale e barocca gli aspetti più intimi e dissa-

63

Sul tema della fotografa come simulacro, si veda Bonetti 2010.

cranti rispetto alla tradizione iconografca, è ben espressa nel

64

Il lavoro di Thomas Struth è realizzato e presentato in oc-

suo lavoro fotografco dedicato alla lettura dell’interno della

casione della mostra nella Galleria dell’Accademia di Firenze,

Basilica di San Pietro a Roma e pubblicato, con la prefazione di

Forme per il David / Forms for the David nel 2004, cfr. corà et

Federico Zeri in mulas 1979.

al.

_ 61

2004 e in particolare sull’artista si vedano pp. 111-127.

l ’ a l b U M e l ’ a r c h i v i o f o t o g r a f i c o n e l l ’ o f f i c i n a d e l l o s t o r i c o d e l l ’ a r t e : d a “ o U t i l s p r a t i q U e s ” a “ o U t i l s i n t e l l e c t U e l s ”

tiziaNa sereNa

Per tracciare le linee principali di questo intervento possiamo partire da una icona. Nel 1953, il fotografo Maurice Jarnoux realizza un emblematico doppio ritratto di uno storico dell’arte e del suo studio. André Malraux, letterato engagé, elegantemente vestito, con disinvoltura tiene come di consueto una sigaretta all’angolo della bocca e, con occhiali sflati in mano, sembra essersi appena sollevato dai materiali del suo lavoro. Il suo studio si presenta a sorpresa fuori cliché: quasi del tutto privo di libri, come si converrebbe a un homme de lettres, ha un pavimento cosparso di una messe d’immagini fotografche1. Sono le prove di stampa del suo secondo volume Musée imaginaire de la sculpture mondiale 2. Nonostante sul pavimento siano sparse, ma con un certo ordine, alcune centinaia di immagini fotografche, delle circa 700 che verranno pubblicate, e malgrado la vertigine che – a una prima occhiata – esse provocano, a ben guardare non hanno un’aria così perturbante. Probabilmente perché così disposte sulle doppie pagine aperte le immagini fotografche assumono le quiete sembianze di un album di famiglia, per quanto smembrato. Inoltre, esse sono orientate verso chi guarda questa fotografa, coinvolgendoci come spettatori. Sul ruolo dello spettatore, ma questa volta delle opere custodite dei musei, Malraux spende alcune parole nelle pagine iniziali del primo volume della serie del Musée imaginaire (del 1947): «Le xixe siècle a vécu d’eux; nous en vivons encore, et oublions qu’ils ont imposé au spectateur une relation toute nouvelle avec l’œuvre d’art»3. La causa di quanto si è imposto è ovviamente la fotografa con la sua capacità di rappresentare – come scrisse Paul Valéry nel suo La conquête de l’ubiquité – «une Réalité Sensible à domicile»4. La sua attitudine a divenire prossima e familiare può essere messa in relazione con quanto ha sostenuto Malraux sul fatto che la storia dell’arte è diventata la storia di quello «che è fotografabile», che in altre parole signifca anche di quanto può divenire visibile e accessibile, fruibile a domicilio. Per questo aspetto, oltre per il fatto di essere essere concepito sulla base della strategia di un montaggio creativo

_ 63

fra le fotografe, il Musée imaginaire è stato defnito da

bilità che questo apre nel comparare forme artistiche

5

più autori un “album” : una forma narrativa limitata

collocate in luoghi fra loro lontani: dalle facciate de-

dal numero delle sue immagini che è da considerarsi

gli edifci, ai piccoli dettagli architettonici e di plastica

il frutto di un grande lavoro di selezione dall’archivio

decorativa, passando per le opere pittoriche e scultoree

fotografco di documentazione delle opere scultoree di

dei grandi maestri del passato così come degli anoni-

tutto il pianeta, reso disponibile dalla notevole espan-

mi autori. Attraverso la combinazione delle forme

sione del mercato editoriale delle fotografe d’arte e, al

artistiche riprodotte, si costruiscono e verifcano a

contempo, dalle committenze degli storici dell’arte di

tavolino le ipotesi di nuove traiettorie geografche e

campagne fotografche mirate, dalle loro esigenze di

storiche. L’epifania di questo fenomeno passa attraver-

6

studio ed editoriali, nonché dai loro sguardi privati .

so peculiari operazioni conoscitive dell’accostamento e del montaggio delle forme artistiche, organizzando

Le fotografie come fonti deLLa storia deLL’arte

le fotografe in piccoli insiemi dotati di senso, come

La fotografa di documentazione, come quella de-

potrebbero essere le suddivisioni funzionali, ma non

gli stabilimenti fotografci Alinari, Anderson, Braun,

defnitive in: artisti, scuole, stili, generi, etc. Sovente

Brogi, Moscioni, Naya e molti altri, è stata da molto

queste suddivisioni, magari organizzate in raccoglito-

tempo considerata dalla storiografa come vera e pro-

ri di vario genere, anche solo per necessità numerica

pria “fonte” in relazione al suo utilizzo come cruciale

approdano alla struttura dell’archivio fotografco. Il

7

strumento di analisi negli studi di storia dell’arte . Si

montaggio è tipico della struttura narrativa dell’al-

tratta di una prospettiva di verifca del tutto calzante

bum, ma è anche strategia compositiva specifca e

con le numerose dichiarazioni degli stessi storici dell’ar-

connaturata alle esigenze della descrizione storico-ar-

te sull’utilità della fotografa: da Adolfo Venturi che, a

tistica, come nell’esempio paradigmatico delle tavole

fne Ottocento, la reputava «il grande sussidio della sto-

del Bilderatlas Mnemosyne di Aby Warburg. Progetto

ria dell’arte»8, a quelle proverbiali di Bernard Berenson

per altro non concepibile senza l’archivio fotografco

di una certa bulimia visiva sul fatto che di fotografe non

ad esse strettamente connaturato, in quanto nato per ri-

ce ne sono mai abbastanza per l’esercizio del mestiere9,

spondere a esigenze di carattere conoscitivo, sviluppato

fno alle provocazioni bonarie di Donald Preziosi, che

in relazione al progredire della disciplina e alle necessi-

vede la storia dell’arte letteralmente fglia della fotogra-

tà conseguenti di avvalersi di nuovi strumenti intellet-

10

fa , senza dimenticare quelle sferzanti di Heinrich Dil-

tuali nutriti da corpora di riproduzioni fotografche13.

ly il quale sostiene che, proprio per la fortuna riscossa da

Fonte complessa e dispositivo articolato, l’archivio fo-

questo medium, i veri originali della storiografa sareb-

tografco è il frutto diretto dell’azione del singolo sto-

bero da considerarsi le riproduzioni fotografche e non

rico dell’arte o delle istituzioni di ricerca in cui opera,

11

le opere d’arte . Una sentenza che ha del vaticinio.

rifettendone gli interessi scientifci e la politica cul-

L’argomentazione che segue prende spunto da una

turale, come quelli costituiti da musei, da soprinten-

ipotesi di partenza che fra le fonti della storia dell’arte sia

denze14, o da sedi universitarie, fra i più noti in Italia

possibile ascrivere non solo le fotografe, anche le forme

quello di Adolfo Venturi e di Igino Supino15.

in cui le fotografe sono state accumulate, e che sia pos-

L’analisi integrata di questi variabili accumuli di

sibile riconoscere in queste un corpus a sé stante d’in-

fotografe, assieme a quella dei processi relativi con-

12

dagine . Fra queste forme, album e archivi fotografci

nessi – le modifche strutturali nel corso del tempo, i

rappresentano, a partire dalla metà dell’Ottocento, gli

cambi di proprietà e d’uso etc. –, ci permetterebbe di

strumenti visivi per eccellenza che affancano e so-

restituire un’idea più complessa del modus operandi

stengono le ricostruzioni storico-artistiche. Con que-

dello studioso al lavoro nel suo spazio privato, intento

sta strumentazione lo storico dell’arte costruisce nella

a sporcarsi le mani con la materia grezza del suo me-

propria offcina sempre più un sapere che è plasmato

stiere. Maneggiando outils pratiques, tecniche e mate-

dal materiale visivo che ha a disposizione, dalle possi-

riali vili quasi da bottega, articolandoli entro strutture

_ 64

MaUriCe jarNoUx Malraux, chez lui, 1953 © Maurice Jarnoux / Hollandse Hoogte / Contrasto

di senso, attraverso l’enorme esercizio combinatorio di

assieme alle fotografe, anche saperi complessi21. Saperi

fotografe e delle loro nomenclature, il suo studio assu-

che sono da intendersi in relazione ai programmi cultu-

me il fascino di un’alchemica fucina in cui si forgia il

rali che hanno determinato la loro formazione e svilup-

sapere16. Per questi motivi, e in quanto dispositivi della

po, coinvolgendo disparati attori in altrettanti diversi

memoria, frutto di programmi specifci di ricerca e di

momenti della loro storia: autori fotograf, istituzioni e

selezione, le forme di accumulo di fotografa non sono

storici dell’arte committenti e, spesso, a loro volta foto-

ora più intesi dalla storiografa come meri outils pra-

graf22. Nel 1950, l’UNESCO pubblicava il volume Réper-

tiques e neutri contenitori, bensì vengono considerati

toire international des archives photographiques d’œuvres

emblematici, quanto intriganti, outils intéllectuels.

d’art23 a difesa di un patrimonio reputato importante da salvaguardare, e fra gli archivi descritti erano numerosi

aLbum e archivi fotografici come nuove fonti

e rilevanti quelli degli storici dell’arte. Solamente nella

Per descrivere il funzionamento nell’Ottocento

città di Firenze ne venivano elencati quattro, apparte-

dell’«album fotografco» di riproduzioni di opere d’arte

nenti a Roberto Longhi, Leo Planiscig, Carlo Ragghianti

Stephen Bann ha proposto la suggestiva defnizione di

e Mario Salmi, per un complessivo di circa 100.000 pez-

17

«accumulatore culturale» . Il ricorso a un termine tec-

zi: una stima che appare importante se comparata al nu-

nico come “accumulatore”, letteralmente un dispositivo

mero di negativi, anche se riguardanti soggetti in parte

che serve ad accumulare energia e a renderla disponibi-

diversi fotografati per altre fnalità, pari a circa 70.000

le nel momento in cui è richiesta, focalizza sul fatto che

che viene indicato per la sola Società Fratelli Alinari.

esso circoscrive un sapere in una forma narrativa conchiusa, che nel tempo si dischiude a nuove interpreta-

connoisseurship e fotografie

zioni. In bilico tra continuità e innovazione, l’album con

A partire dalla seconda metà dell’Ottocento, quan-

le sue fotografe – invalse sin dalle loro origini per la de-

do lo storico dell’arte ha cominciato ad affnare gli stru-

precabile quanto accattivante servile mìmesis – avrebbe

menti del proprio mestiere nella direzione di una «scien-

svolto ruoli determinanti nella storia dell’arte infuen-

za delle fonti», come l’aveva defnita Julius von Schlosser,

zando lo sviluppo della disciplina stessa; incrementan-

integrando all’analisi delle fonti cartacee, cara alla diplo-

do le condizioni culturali per l’accesso delle raccolte

matica, l’esame diretto e comparativo dell’opera d’arte, la

museali, nelle quali sono custodite le opere riprodotte

fotografa ha ben presto sostituito le incisioni e si è im-

dalle fotografe e per mezzo di queste diffuse a un ampio

posta come strumento di incomparabile utilità. L’Hi-

pubblico, che ne acquistava una copia anche nell’econo-

stoire de l’art par les monuments (1811-1820) di J.B.L.G.

mico e piccolo formato tascabile carte-de-visite; infne,

Seroux D’Agincourt che, con i suoi sei volumi, apre la

funzionando come una sorta di catalizzatore nella crea-

stagione moderna della storia dell’arte, si presenta con

18

zione di istituzioni preposte agli studi storico-artistici .

un ricchissimo apparato fgurativo di incisioni a puro

La defnizione di “archivio fotografco” è stata a

contorno di 1.400 monumenti in 375 tavole. Costituisce

sua volta al centro di rifessioni recenti d’ambito teori-

così il primo vasto e moderno «museo immaginario»24

co19 e anche di una serie di convegni internazionali. Fra

dell’arte occidentale, adeguato alle nuove esigenze co-

questi i Photo Archives and the Photography Memory of

noscitive, nonostante restasse ancora «un deserto im-

20

Art History hanno proposto di passare da una visione

menso» da esplorare e ordinare con «l’ausilio indispen-

utilitaristica che considera le collezioni di fotografe e

sabile del disegno»25. Pochi decenni dopo, per scopi del

le fototeche come spazi neutrali di servizio, in cui sono

tutto analoghi, lo storico dell’arte si trova ad accumula-

semplicemente raccolte e ordinate le fotografe, a una

re fotografe. Del resto già al momento del suo annun-

visione più articolata di esse. Il che permetterebbe di re-

cio pubblico, nel 1839, la fotografa conteneva in nuce la

cuperare una parte fondamentale della loro storia in una

promessa dell’archivio, della seriazione delle informa-

dimensione epistemologica dell’archivio fotografco in

zioni visive, della tassonomia capace di placare gli ani-

quanto contenitore in cui sono strutturati e sedimentati,

mi assettati di una conoscenza positivista del mondo.

_ 66

La prima raccolta di immagini fotografche rea-

della calotipia33. Le sue opere erano vendute da Gou-

lizzata da uno storico dell’arte è stata con ogni proba-

pil e quest’album rappresenta uno dei primi esempi

bilità quella di John Ruskin. Nel 1845, durante un

d’intersezione fra il mondo della critica artistica, della

soggiorno a Venezia, acquistò dagherrotipi da un ope-

fotografa e del collezionismo.

ratore ambulante e ben presto si persuase della neces-

Il mercato dell’album fotografco, indirizzato a

sità di realizzarli egli stesso per poter avere immagini

un pubblico di amatori e storici dell’arte, defnisce la

esatte e adeguate ai suoi studi. I due volumi The Sto-

sua fsionomia editoriale proprio grazie al coinvolgi-

nes of Venice (1851-1852) furono illustrati da incisioni

mento di conoscitori e storici dell’arte che guardano

tratte dalla sua collezione di dagherrotipi, di cui re-

con interesse alle potenzialità della fotografa: se nel

26

centemente è stato trovato un altro prezioso lotto . Fu

caso di Notice sur la vie de Marc-Antoine Raimondi

la cultura architettonica ad avere maggiore disponibi-

(1853-1855) a realizzare testo e fotografe è il collezio-

lità di fotografe dei suoi oggetti di studio, tanto che

nista Benjamin Delessert, L’œuvre de Rembrandt (1853-

alla metà degli anni Cinquanta dell’Ottocento risale la

1858) ha uno scritto compilato da un nume tutelare

formazione dei primi archivi fotografci integrati alla

come Charles Blanc, ex direttore dell’amministrazio-

pratica della professione, come nel caso di quello costi-

ne delle Beaux-Arts nazionali34. Mentre l’esemplare

tuito da Eugène Emmauel Viollet-le-Duc27.

committenza, e prima nel suo genere, del principe Al-

Ciononostante, prima del consolidamento di

berto d’Inghilterra ai maggiori fotograf europei per

queste pratiche di raccolta delle fotografe, l’inizio

la ricomposizione fotografca del corpus di disegni di

del decennio è segnato dalla fortuna di imprese pio-

Raffaello è realizzata con la consulenza di uno specia-

nieristiche che utilizzano la formula dell’album fo-

lista in materia come Johann David Passavant35.

tografco. Antesignano è il progetto editoriale L’Ita-

Il modello di questa tipologia di album fotogra-

lie monumentale (1851) di Eugène Piot, collezionista

fco, che potremmo defnire prêt-à-porter e intessuto

d’arte italiana ed editore di studi storico-artistici28,

con tematiche e autori della storiografa artistica, vie-

presto naufragato probabilmente a causa dell’arrivo

ne presto scalzato dal dirompente arrivo sul mercato

sul mercato di attività proto-industriali per la stam-

degli stabilimenti fotografci. Già sul fnire degli anni

pa di fotografe, come quelle dell’editore Louis-Désiré

Cinquanta, la vendita di singole fotografe di dipinti,

Blanquart-Evrard.

di sculture e di architetture, stampate in diversi formati, e montate in bottega in album più o meno per-

Questi, fra il 1851 e il 1855, stampa 24 album fo29

tografci indirizzati a un pubblico di amatori d’arte .

sonalizzati, è un fenomeno in grado di far prevedere i

Alcuni di essi si pongono in continuità con la tradizio-

successivi e rapidi sviluppi. Infatti, nel giro di un paio

ne dei recueils di viaggio, come l’Album photographique

di decenni, gli stabilimenti amplieranno notevolmen-

30

de l’artiste et de l’amateur (1851) , mentre altri mostra-

te la loro rete commerciale e, di conseguenza, le di-

no un’attenzione per la produzione artistica contem-

mensioni dei propri archivi fotografci36.

poranea. Tuttavia, L’Art contemporain. Architecture.

Basta sfogliare i loro copiosi cataloghi di vendita,

Peinture. Sculpture (1854) non tiene il confronto con la

che uno storico dell’arte come Adolfo Venturi reputa-

produzione della Maison Goupil. Questa, sfruttando

va alla stregua di «una vera serie di guide artistiche»37,

le possibilità offerte dalla fotografa, prosegue il pro-

per rendersi conto che la possibilità offerta dalla fo-

getto ambizioso di collocarsi a metà strada fra la stam-

tografa, nell’analisi e nella comparazione delle forme

31

pa di incisioni originali e la galleria d’arte . In questo

artistiche, fu davvero rivoluzionaria. Tanto che pos-

contesto l’album più importante prodotto è forse quel-

siamo sostenere che la fotografa abbia accompagnato

lo con testo di Henri Delaborde, direttore del Gabinet-

l’evoluzione in chiave scientifca della connoisseurship

to delle Stampe alla Bibliothèque Nationale, sul pitto-

e che, già a fne Ottocento, fosse una pratica non solo

re Paul Delaroche32, da poco scomparso e, fra l’altro,

consolidata, ma dalla quale nessuno studio storico-ar-

maestro di una generazione di pittori passati all’arte

tistico potesse ormai più prescindere38.

_ 67

scuLture, fotografie, coLLezioni, esposizioni

quella collezione43. Quando a Firenze, in vista delle

Il caso della fotografa di opere scultoree ci per-

celebrazioni del IV Centenario della nascita di Mi-

mette di parlare dei rapporti fra la connoisseurship, il

chelangelo (del 1875), si ipotizza di costituire un «vero

museo e la didattica artistica come punto nodale in cui

museo michelangiolesco»44 con calchi e fotografe, si

gli accumuli di fotografe fanno da relais. Nel 1864,

sta pensando a una soluzione simile a quello che era

Charles C. Perkins pubblica i primi due volumi di una

un modello imprescindibile anche per altri progetti in

ricerca sulla scultura italiana con incisioni tratte da fo-

città: il South Kensington Museum. Il proponente è

tografe, che egli stesso ha realizzato per necessità repu-

ancora una volta Marco Guastalla45. Legato al mercato

tando sia che gli stabilimenti fotografci della penisola

dell’antiquariato e alle vicende del costituendo Museo

non offrissero ancora un buon catalogo per le scultu-

Nazionale del Bargello, già dal 1863, è in collegamento

re, sia che le opere storiografche di riferimento, come

con Robinson, il quale aveva assicurato la disponibilità

quelle riccamente illustrate di D’Agincourt e Leopoldo

a collaborare alla sua realizzazione46.

Cicognara, e gli studi più recenti di Jacob Burckhardt

Il progetto museale michelangiolesco lascia spa-

sul Rinascimento e John C. Robinson sulla scultura,

zio però, sin dal 1873, alle ipotesi più realistiche ed

non potessero comunque esimere lo storico da uno

economiche offerte da un album fotografco a mo’ di

39

studio in loco . Perkins evidenzia la necessità di avva-

museo portatile dei suoi disegni. Nelle intenzioni del

lersi di fotografe non solo in gran numero, ma di fo-

Comitato per i festeggiamenti, più che nella realizza-

tografe che rispecchino il punto di vista dello studioso

zione, l’Album michelangiolesco47 rappresenta un pun-

nell’approccio all’opera. Su questo versante gli esempi

to d’intersezione possibile con l’idea di museo di copie

sono davvero numerosi. Arthur Kingsley Porter, per la

in gesso e fotografche. La ricostruzione del corpus di

40

sua poderosa opera Lombard Architecture (1915-1917) ,

disegni riprodotti in fotografa si affanca, difatti, al

compie i primi viaggi sistematici della storia dell’arte in

progetto della mostra che si tenne alla Galleria dell’Ac-

automobile, realizzando con la moglie Lucy migliaia

cademia di Firenze sulle opere di scultura attribuite al

di fotografe per il suo archivio fotografco e, una volta

maestro, esponendo calchi in gesso e, soprattutto, oltre

rientrato negli U.S.A., intrattiene una corrispondenza,

200 fotografe provenienti da tutta Europa48.

a tratti giornaliera, con le ditte fotografche italiane41.

Un’esposizione siffatta aveva dei precedenti il-

Negli anni Trenta è poi altrettanto indicativa la vicen-

lustri non solo stranieri, ma poteva vantare anche

da dell’architetto Giuseppe Pagano il quale, chiamato

un primato dell’Accademia di Belle Arti di Firen-

a produrre materiale su temi non perlustrati dagli sta-

ze che, prima in Italia, nel 1871, aveva allestito una

bilimenti fotografci nazionali per la Mostra sull’archi-

«Galleria di fotografe» dei disegni degli antichi

tettura rurale alla Triennale di Milano (1936), si ritrova

maestri49. La soluzione forentina coglieva i frutti di

a essere fotografo per caso, formando il primo nucleo

una precoce attenzione dimostrata per la fotografa

42

del suo personalissimo archivio fotografco .

dagli istituti italiani di formazione artistica negli

Tornando a Perkins, stupisce la sua affermazione

anni preunitari50. La stagione era stata aperta dal noto

sulla mancanza di fotografe per il fatto che egli pro-

discorso di Pietro Selvatico, del 1852, Sui vantaggi che

viene dal South Kensington Museum, dove la politica

la fotografa può portare all’arte51, all’Accademia di Ve-

di acquisizione di Thomas Cole e di John Charles Ro-

nezia, dove la biblioteca acquistò prontamente per usi

binson, sin dagli anni Cinquanta, aveva permesso di

didattici una serie di album fotografci, fra cui Notice

formare quella che fu la più ricca collezione europea

sur la vie de Marc Antoine Raimondi e Recueil. Œuvre

di gessi e di fotografe di sculture. Indirizzata all’uso

d’Albert Dürer52. Singole fotografe e lotti provenienti

didattico e per la produzione artistica e artigianale,

dalle nascenti industrie fotografche ben presto ar-

rifetteva anche gli interessi di ricerca dello stesso Ro-

ricchiscono le raccolte di disegni e modelli didattici

binson, il quale aveva da poco realizzato uno studio

degli istituti di formazione artistica53. L’Accademia

pionieristico sulla scultura italiana basato proprio su

Albertina conserva ancora un fondo di fotografe im-

_ 68

Raccolta fotografica, denominata Pittura italiana, cosiddetta “Raccolta Jacob Burckardt”, organizzata per autori e località, 1900 ca., particolare. Firenze, Kunsthistorisches Institut in Florenz – Max-Planck-Institut, Fototeca.

portante, fra cui un nucleo di riproduzioni di ogget-

grado di rappresentare in modo uniforme lo spettro

54

ti dell’Armeria Reale . L’esperienza antesignana fu

dei colori, comunque offriva indubitabili vantaggi allo

probabilmente quella dell’Accademia di Belle Arti di

storico dell’arte, fra i quali quelli di riportare con dovi-

Brera, con il precoce coinvolgimento del pittore-foto-

zia i minuti dettagli dell’opera e di interpretarne preci-

grafo Luigi Sacchi, le cui fotografe furono conservate

samente il disegno e la forma. Certamente non è stato

nel fondo del pittore Francesco Hayez, a cui seguì la

un processo di acculturazione a senso unico, come sem-

collezione di album fotografci realizzata da Giuseppe

plice ricezione dell’una nell’altra e, nel tempo, si sono

55

Mongeri e Gustavo Frizzoni .

creati procedimenti inversi. Da un lato, la cultura della storia dell’arte ha infuenzato il modo con cui venivano

«...si maintenant vous tournez La feuiLLe,

realizzate le riprese fotografche e la descrizione visiva

vous êtes en présence d’un micheL-ange!»

di dettagli signifcativi per un pubblico via via sempre

Questi esempi ci permettono di evidenziare come

più specializzato, dall’altro lato la fotografa ha rispo-

le modalità con cui le fotografe sono entrate a far parte

sto con delle modalità differenti a seconda del merca-

degli outils pratiques dello storico dell’arte sono sostan-

to, le quali – secondo Heinrich Wölffin – arrivarono

zialmente riconducibili a un processo che potremmo

a delle esagerazioni interpretative in quelle immagini

defnire di «acculturazione» di una tecnica di ripro-

dal taglio esageratamente «pittoresco» che venivano

duzione. La differenza con le arti incisorie di «tradu-

pubblicate nella letteratura popolare illustrata57.

zione», in cui il lemma impiegato lasciava spazio alla

L’Esposizione Universale di Parigi del 1867, forni-

libera interpretazione dell’artista, fu recuperata da chi

sce a Charles Blanc, il pretesto per scrivere un libro, di

utilizzava la fotografa con la parola «documentazione»

vasariana memoria, sugli artisti del suo tempo a conclu-

per la sua qualità così tecnicamente accurata da appari-

sione del quale c’è un capitolo di nostro interesse58. In

re scientifca56. Sebbene la fotografa fosse ancora uno

questo, l’autore passa a descrivere le opere dei grandi

strumento alquanto limitato nella corretta interpre-

maestri del passato, che tutti possono ammirare perché

tazione chiaroscurale, fno almeno al 1880 ca. quando

riprodotte nelle «inalterabili» stampe fotografche al

vennero introdotte le emulsioni ortocromatiche in

carbone dal francese Adolphe Braun59. Esprimendo un

_ 69

giudizio condiviso, Blanc scrive che la fotografa, pur se

rata nel momento in cui il discorso sull’arte si è fatto

fallace per la riproduzione di oggetti non monocromi,

via via più visivo per necessità conoscitive, in cui lo

non lo è affatto per disegni e stampe dove viene esaltata

storico ha cominciato a lavorare non solo sulle fotogra-

la sua capacità di rendere il ductus dell’autore e la materia

fe, per basarvi l’analisi lenticolare dell’opera d’arte e

dell’opera. Mentre, per le opere scultoree e le partiture ar-

procedere alle comparazioni – basti pensare all’impeto

chitettoniche, aggiunge che queste possono essere ancor

morelliano62 – ma anche con le fotografe. Ed è proprio

meglio «copiate» dai calchi in gesso, giungendo però a

in questo passaggio che assume allora particolare va-

specifcare una differenza fra i calchi e la fotografa tutta

lore il modo con cui si costruisce e si sostiene l’ipotesi

a favore di quest’ultima e in direzione di un suo sdogana-

storiografca, attraverso l’affnamento degli outils pra-

mento ulteriore come tecnica di traduzione: “Copiés” – in

tiques nella creazione di insiemi di fotografe, in cui i

corsivo nel testo – «n’est pas le mot, à vrai dire, puisque la

limiti fsici e le potenzialità di articolare un pensiero

photographie, telle que la pratique M. Adolphe Braun,

per immagini condizionano parte del discorso sull’ar-

60

est un seconde création par la lumière» .

te. Così che le semplici immagini documentarie, una

Le modalità con cui Blanc, in questo frangente,

volta che entrano a fare parte dell’album e dell’archi-

perviene a un’icastica descrizione di disegni e dipinti

vio dello storico dell’arte, parlano attraverso il signi-

sono illuminanti, proprio perché realizzate attraverso

fcato del loro montaggio, del loro arbitrario accosta-

la mediazione della fotografa. Se per la galleria d’artisti

mento ad altre immagini e del loro inserimento in

contemporanei basa l’ékphrasis sulle opere che ha avuto

serie: attitudine questa, per esempio, più semplice che

di fronte, invece per quella degli antichi maestri il re-

mai nel disporre un’articolata e poli-focale rappresen-

gistro ecfrastico si adatta alla qualità delle riproduzioni

tazione degli oggetti tridimensionali o una sequenza

fotografche che ha dinanzi a sé. Tramite esse il discorso

veduta-particolari.

sull’arte, nel descrivere particolari visivi e fare appel-

I casi in cui le fotografe che trovandosi accosta-

lo all’immaginazione, è il risultato di una complessa

te semplicemente aprono il campo del possibile sono

e contraddittoria sinergia fra esperienza e visione, fra

fra i più disparati. Un esempio sui generis è costituito

opera e traduzione. In aggiunta, l’autore rivela un’at-

dalla fototeca di Heinrich Thode nella sua residenza

tenzione alle potenzialità immaginative sollecitate dal

estiva a Villa Cargnacco, poi passata al dannunziano

montaggio della sequenza delle fotografe così che,

Vittoriale. Essa conserva ancora le tracce degli inte-

dopo aver descritto una danza rustica di Hans Holbein

ressi storiografci di Thode, per esempio in una serie

(sempre attraverso il medium della fotografa), esorta il

cospicua di fotografe di opere di Michelangelo fra le

lettore a procedere in questa avventura dello sguardo

quali numerose Braun. Ma della loro disposizione ori-

sfogliando l’album: «Que si maintenant vous tournez

ginaria non sappiamo molto perché, dopo il passaggio

61

la feuille, vous êtes en présence d’un Michel-Ange!» .

di proprietà, d’Annunzio non solo ha in parte smem-

Blanc ha a disposizione solamente venti fotografe per

brato e riconfgurato l’archivio, ma ha anche estra-

il suo album, ma già ci troviamo di fronte all’uso di uno

polato alcune fotografe della serie michelangiolesca

strumento duttile e immaginativo sul quale costruire la

di Thode, creando nuove piccole serie e disponendole

narrazione storico-artistica basandola sulla descrizione

entro cornici appese alle pareti come arredo, con un

dei dettagli e sulla correlazione delle informazioni con-

gusto per l’artista condiviso con Eleonora Duse e con

tenute nelle immagini fotografche.

la ballerina Isabella Duncan, la quale partecipava a dir poco con fervido entusiasmo alle conferenze che

da “outiLs pratiques” a “outiLs inteLLectueLs”

Thode, proprio in quel periodo, teneva proprio sulle

In effetti, la cultura della storia dell’arte ha utiliz-

sculture delle tombe medicee, facendoci sospettare che

zato in più occasioni l’accumulazione delle fotografe

l’allestimento della parete rifettesse un immaginario

e il loro montaggio come una possibilità di critica che

più ampio di quello evocato dalle semplici riproduzio-

potremmo giudicare come creativa. Questa si è avve-

ni fotografche63.

_ 70

Visto da un’altra prospettiva, il campo del possibi-

copo Bellini conservati al Louvre; mentre gli altri due

le può essere sintetizzato con un’espressione utilizzata

offrivano riproduzioni di dipinti conservati in diversi

da Mary Bergstein nel sostenere l’interpretazione che

musei di Giovanni Bellini e Vittore Carpaccio, ai qua-

lo «stile cognitivo» di Sigmund Freud fosse condizio-

li nel nuovo allestimento era dedicata un’intera sala67.

nato oltre che dalla cultura letteraria, anche da quella

Secondo questa strategia museale, la fotografa sarebbe

cultura visiva nutrita quasi esclusivamente da fotogra-

passata da mero strumento mnemonico, a un presso-

fe. Ha supposto pertanto che si possa far riferimento

ché rivoluzionario «strumento di esercizio creativo» in

all’esistenza di un «visual archive», indicando però con

ambito espositivo – come lo ha defnito Giulio Manieri

64

questo non un archivio fsico di immagini . Volgiamo

Elia68 – che ci pare addirittura un caso precursore per

lo sguardo ancora al genere ritrattistico dello studioso

concepire un museo non ancora «senza muri» come

nel suo spazio di lavoro anche se si tratta di uno psico-

quello di Malraux, bensì con muri mobili.

analista: in un ritratto fotografco di Freud cogliamo

Fra i casi più emblematici della fotografa come

alle sue spalle, volutamente ben visibili, una ripro-

strumento di esercizio creativo, cronologicamente le-

duzione fotografca e una copia ridotta dello Schiavo

gato alle vicende relative alla ricostruzione del ciclo di

morente di Michelangelo al Louvre, autore certo a lui

Sant’Orsola del Carpaccio nelle Gallerie dell’Accade-

caro, grazie anche alle frequentazioni del testo di Tho-

mia di Venezia, merita attenzione per la sua capacità

de. La presenza di questo modello scultoreo e le liasions

d’illuminare il passaggio da outils pratiques a outils in-

con l’opera di Thode, ci portano in un altro studio dove

tellectuels, il caso di una serie di fotografe dello storico

ritroviamo la sua presenza sempre accanto a delle fo-

dell’arte Gustav Ludwig studiate da Costanza Caraf-

tografe, ma questa volta siamo in Italia, al Vittoriale,

fa69. Provenienti dall’archivio dello stesso e confuiti

in quel contesto di cui abbiamo già fatto breve accen-

come lascito nella Fototeca del Kunsthistorisches In-

65

no . In ogni caso, queste “copie” come frammenti che

stitut di Firenze, questo gruppo di immagini ci mostra

concorrono a formare il «visual archive» freudiano66,

come è stato operato il lavoro su di esse per sostenere

ci permettono di sottolineare il ruolo nell’apertura del

determinate ipotesi storiografche. Le fotografe dei ri-

possibile: prima di fare esperienza della sua opera, il

quadri di Carpaccio, forse realizzate dal fotografo Car-

genio terribile di Michelangelo fu a lungo lavorato

lo Naya, furono montate sulla struttura di un modello

immaginativamente da Freud attraverso le fotografe

ligneo costruito in una scala conveniente a ospitarle

disposte sul suo tavolo a Vienna. Il suo a lungo atte-

nei riquadri, secondo una sequenza del ciclo pittorico

so appuntamento con il Mosè a Roma, non era certo al

ipotizzata da Ludwig. La scena così allestita fu nuova-

buio poiché ne conosceva tutti i minuti dettagli che so-

mente fotografata da diverse prospettive che ne rende-

lamente le fotografe (non sappiamo quali), ma non gli

vano la tridimensionalità da Tomaso Filippi. Le nuove

studi storici, gli potevano letteralmente rivelare.

stampe fotografche all’albumina realizzate furono

L’apertura al possibile, resa praticabile dalla fredda

“rilavorate” con ritocchi e interventi chimici, e succes-

fotografa documentaria, ha però precedenti particolar-

sivamente ancora fotografate, ottenendo delle stampe

mente eloquenti in campo artistico e museale. A fne

alla gelatina di bromuro, alcune delle quali ulterior-

Ottocento, il soprintendente Giulio Cantalamessa, pre-

mente tradotte nel processo a mezzatinta e utilizzate

posto al riordino dell’allestimento delle sale dell’Acca-

per la stampa del volume di Ludwig, del 190670.

demia delle Belle Arti di Venezia, propose di indirizza-

I vari passaggi di questa lavorazione materiale e in-

re il visitatore a un’avventura dello sguardo che andava

tellettuale sulle e con le fotografe, come pratica quotidia-

al di là delle opere esposte degli indiscussi maestri della

na della sua fucina, ci permettono di descrivere Ludwig

scuola veneziana. L’espediente fu quello di rendere con-

come uno storico dell’arte bricoleur. La defnizione for-

sultabili, sopra appositi mobiletti, tre album fotografci

nita da Claude Lévi-Strauss ne La pensée sauvage (1962),

da utilizzare in contemporanea alla contemplazione

di un artigiano che lavora necessariamente con materiali

delle opere: uno contenente fotografe dei disegni di Ja-

preesistenti, è stata ampliata dalla ricezione di Jacques

_ 71

L’avventura deLLo sguardo

Derrida che propose in questa chiave una interpretazio71

ne della fgura dell’intellettuale . Se accettiamo questa

L’icona che abbiamo utilizzato in apertura merita

ipotesi, lo storico dell’arte opererebbe tramite le foto-

a questo punto qualche approfondimento. Il settima-

grafe e, attraverso il loro montaggio, per creare nuove

nale illustrato “Paris Match”, da pochi anni rifonda-

strutture di pensiero. L’esempio pare essere decisamen-

to sulle orme dell’americana “Life”, pubblica nel 1953

te calzante per la nostra analisi dell’archivio fotografco

quella fotografa all’interno di un servizio giornali-

dello storico dell’arte, che viene concepito per via di ac-

stico di Jarnoux su uno storico dell’arte ammantato

cumulazioni successive entro modulazioni transitorie,

dell’aura da personaggio pubblico. Il tamburello di

sottoposte a modifcazioni e rideterminazioni via via che

copertina recita: «Un grand reportage couleur. L’aven-

il suo sapere alimenta le fotografe di cui può disporre in

ture d’André Malraux»72. Marlaux è un noto letterato,

una crescita reciproca.

con un passato d’azione sul fronte della liberazione na-

Come un palinsesto, la fotografa nell’offcina

zionale, e storico dell’arte noto per i suoi viaggi esteri,

dello storico dell’arte conserva le tracce dei suoi impie-

la cui opera può cogliersi nel signifcato attribuito alla

ghi in quanto materia prima: il suo verso si arricchi-

parola «aventure», come se questa fosse associabile a un

sce di preziose annotazioni manoscritte riguardanti

particolare moto di coscienza che tramite gli oggetti

l’opera d’arte che è raffgurata nel recto ove ha luogo

della storia dell’arte mondiale – resi accessibili dalla

l’immagine fotografca; i problemi attribuzionistici

fotografa – potesse parlare all’uomo dell’uomo.

e, di conseguenza, le ipotesi di collocazione all’inter-

Il museo immaginario – scrive Malraux – «est un

no dell’archivio trovano riverbero in titolazioni, sigle,

des lieux qui donnent la plus haute idée de l’homme»73.

cancellazioni e abrasioni. Infne, quando la fotografa

È esplicito e programmatico il riferimento alla cultura

esce dall’archivio per essere pubblicata come illustra-

umanista, che si riverbera nella fducia per la fotogra-

zione in un testo connesso alla sua attività, altri segni

fa di costituire un linguaggio universale comprensi-

si sommano: sono quelli relativi ai tagli per il posizio-

bile a tutti. La stessa fducia che si ritrova nella cele-

namento nella pagina, ai ritocchi e alle mascheratu-

bre mostra fotografca The Family of Man organizzata,

re: spesso anche questi di mano d’autore, ovvero dello

da Edward Steichen per il Museum of Modern Art di

storico dell’arte. Quanto questa prospettiva d’indagine

New York, nel 1955, itinerante per circa un decennio e

condotta sul lato della fotografa, dove non vi è l’im-

visitata da quasi 10 milioni di persone74. Nel volume di

magine fotografca, possa essere feconda, lo si può

Malraux e nella mostra di Steichen si mostrano rispet-

verifcare da numerose pubblicazioni di storiografa

tivamente fotografe di opere dell’uomo e fotografe

dell’arte dell’ultimo lustro. In esse le fotografe che

della vita dell’uomo, unite dallo scopo di confrontarsi

provengono dagli archivi degli storici dell’arte fanno

tra loro abbattendo le frontiere culturali sotto l’egi-

la loro comparsa nella pagina, ma sono riprodotte dal

da di un rinnovato interesse per l’uomo dopo gli anni

lato in cui, letteralmente, non si vede niente, ma che

della guerra: per aiutare a rendere comprensibile il

tuttavia appare come un palinsesto di segni e d’indizi

signifcato dell’unità della cultura umana in tutto il

utili a ricostruire la loro storia di oggetti fotografci

pianeta75, interpreta Didi-Huberman con parole para-

lavorati nel tempo dalle pratiche della storia dell’arte.

gonabili a quelle utilizzate da Steichen per descrivere

A questo punto apparirà chiaro come l’archivio

la sua esposizione che vuole dimostrare che l’arte della

fotografco, nato per semplice accumulo di materiali

fotografa (quindi non solo la fotografa) è una sorta di

eterocliti diventi un serbatoio aperto e a disposizione

processo dinamico che spiega l’uomo all’uomo76.

delle ipotesi interpretative e degli usi che ne deter-

Georges Didi-Huberman reputa il ritratto-icona

minano via via la sua fsionomia nel tempo: un altro

di Malraux, con la sua mise en scène, una pubblicità del

tipo – se vogliamo – di «accumulatore», anche se a dif-

Musée imaginaire de la sculpture mondiale tutto conce-

ferenza dell’album, l’archivio fotografco si presta a

pito attorno al potere rivelatore della fotografa di ri-

maggiori cambiamenti di stato nel corso della sua vita.

produrre e narrare, secondo montaggi e mises en page,

_ 72

aNDré vigNeaU Fotografie del Monumento sepolcrale di Philippe Poy, Grand Sénéchal de Bourgogne, realizzato da Antoine Le Moiturier (attr. a), fine del xv secolo, in Encyclopedie 1948, pagine non numerate.

oggetti artistici tra loro geografcamente e cultural-

aperta per fnalità didattico-conoscitive78. Accostare le

mente lontani, per ricomporli strategicamente nella

immagini nasceva da necessità comparative sperimen-

doppia pagina e nelle sequenze di fotografe. La serie

tate anche nella pressoché coeva didattica della storia

di volumi di storia dell’arte illustrata Le musée imagi-

dell’arte, di cui restano illustri le proiezioni d’imma-

naire sono la realizzazione di un’idea persuasiva mes-

gini in aula realizzate da Wölffin79.

sa a punto dal 1947 con il primo della serie. Malraux

Più vicino cronologicamente all’opera di Malraux,

approverà la traduzione in inglese di una parte della

un’altra edizione storiografca in stile catalogo dimostra

sua collana Musée imaginaire con il titolo “Museum

le possibilità di un cambiamento fortemente condizio-

77

without Walls” , che ancor più effcacemente poteva

nato dalla fotografa: l’Encyclopédie photographique

servire a sottolineare un signifcato di rottura dei con-

de l’Art costituisce il precedente più importante alla

fni tradizionali in cui si concepiva non solo il museo,

sua opera80. Con fotografe, «inedite» come sbandiera

ma anche la stessa storia dell’arte, cioè capace di far

il frontespizio, di ottima fattura realizzate dal foto-

vacillare la tenuta del metodo stilistico e, ad esso col-

grafo André Vigneau e in relazione con le opere del

legato, quello delle scuole regionali: un topos storio-

Louvre, questa operazione editoriale prova a esaudire

grafco che Henri Focillon, con il suo La vie des formes

le possibilità feconde di dialogo fra discorso sull’arte

(1933) aveva per altra via già sottoposto a verifca, ma

e fotografa: un team di storici; un unico fotografo

che nell’opera di Malraux assume un carattere volu-

interprete particolarmente esperto e ben direzionato

tamente astorico. A questi risultati crediamo che non

da un rapporto di committenza in possesso di com-

poco avesse contribuito in termini di cultura visiva e

petenze qualifcate; una notevole qualità della ripresa

aperture del possibile la fotografa.

fotografca nelle modulazioni delle luci sulla materia

Per esempio, rimanendo nel settore della scultu-

dell’opera e nella scelta di dettagli signifcativi. L’ot-

ra, un riccamente illustrato catalogo di fne Ottocento

timo risultato è garantito dalla professionalità di Vi-

del Musée de sculpture comparée ci permette di verif-

gneau, che oltretutto ha un passato come scultore, ma

care una possibile genealogia poiché il volume è in

soprattutto è magistrale il montaggio delle fotografe

parte concepito su un accorto montaggio di fotografe

sulla doppia pagina aperta per la composizione di ca-

fra loro affancate sullo specchio della doppia pagina

rattere geometrico, quasi astratto, e i giochi chiaroscu-

_ 73

rali che si vengono a creare. Per esempio, in essa ven-

scorgiamo una fotografa appoggiata verticalmente: è

gono disposte immagini dello stesso oggetto scultore

l’unica di grandi dimensioni della stanza e ne possiamo

ripreso in campo e controcampo, oppure da angolatu-

riconoscere chiaramente il soggetto. Si tratta del volto

re complementari e fra loro simmetriche, provocando

della Madonna Medici di Michelangelo a San Lorenzo,

una sorta di disorientamento percettivo fra la sorve-

la cui immagine era stata stampata nel primo volume.

gliata precisione della fotografa, tecnicamente inecce-

In altre fotografe del servizio di Janroux questa imma-

pibile, e la composizione quasi ludica delle forme che

gine appare ancora al fanco di Malraux in altre pose

emergono dalla visione della doppia pagina.

ritratto, ma è nella mise en scène iconica che ci pare as-

La stessa fotografa di Jarnoux ci permette di met-

suma un signifcato emblematico. Di questa fotografa

tere in luce due aspetti di un cambiamento incipiente

vicino al pianoforte ne possiamo cogliere l’inquadra-

nella storia dell’arte, che non poteva del tutto persua-

tura che accentua la postura reclinata della testa della

81

dere gli studiosi accademici come Ernst Gombrich . Il

Madonna (che non è un semplice “dettaglio” scultoreo

libro d’arte è ora concepito in modo nuovo: il testo vie-

per via del suo simbolismo) la quale stagliandosi su un

ne ridimensionato in relazione alla persuasività delle

fondo nero pece riceve una luce dall’alto: una fonte lu-

fotografe che diventano il dispositivo privilegiato per

minosa naturale, oppure una che ne segue la sua diret-

una certa idea di storia dell’arte. Nel Musée imaginaire,

trice, così come era stato pensato da Michelangelo. Il

la composizione delle sue pagine e la scelta delle foto-

progetto di Michelangelo della collocazione della Ma-

grafe e dei loro tagli di luce, drammatici o distesi nella

donna al culmine dello schema compositivo del mo-

ritrattista scultorea, piega la fotografa alla politica del

numento dove, secondo la lettura neoplatonica dell’in-

loro uso: Malraux, nella sua offcina, forza in più oc-

tero complesso delle Tombe medicee, questo gruppo

casioni il limite fsico del suo materiale: le fotografe

scultoreo, simbolo della vita eterna, ne sarebbe stato il

vengono capovolte sul lato destro-sinistro per ragioni

centro spirituale, pare essere ulteriormente interpre-

di astratta composizione simmetrica fra due forme,

tato dalla mise en scène di Malraux. Ed è così che, in

come nel caso della Natività di Filippo Lippi e quella

un’analoga posizione, alta e centrale, quella fotografa

di Luca Signorelli82, o addirittura sulla direttrice alto

con una ripresa che esalta lo sguardo fsso e cavo verso

e basso, come nel caso della Resurrezione di san Lazza-

il basso e verso le cose del mondo come – scrisse Adolfo

83

ro di Giotto che appare a testa in giù , venendo così a

Venturi «a dissernarne i misteri»84 –, è stata ricollocata

creare oggetti artistici che nella loro rappresentazione

nella composizione dell’immagine di Janroux, ma ora

esatta, ma percettivamente alterata, risultano presso-

qui appare laicamente volta verso le apparenze delle

ché irreali. Tuttavia, le fotografe così espressivamente

opere dell’uomo.

manipolate sono in grado di dialogare tra di loro nella

Questa icona del Musée imaginaire – con le sue

pagina affancata tramite simmetrie, diagonali, cre-

ipotesi di verifcare le possibilità creative di montag-

ando suggestioni visive e compositive, sostanzialmen-

gio dell’album che, un decennio dopo, lascia spazio

te forgiando l’immaginazione.

alle esigenze dell’inventario e dell’archivio85 – pare sol-

Torniamo ancora alla fotografa d’apertura per

lecitarci a ricordare come nelle intenzioni il progetto

prendere congedo. Proprio vicino a Marlaux, che oc-

di Malraux volesse soprattutto sollevare domande, più

cupa il centro della composizione della nostra icona,

che affermare verità .

1

La fotografa in oggetto è stata pubblicata numerose volte per

rifessione ha riguardato l’ABC della Guerra di Brecht (1955):

illustrare il lavoro di Malraux. Su questo autore si rimanda al

didi-huBerman 2013, il quale però a p. 26 scrive che non ci sono

recente e importante lavoro del flosofo Georges Didi-Huber-

libri nello studio, che invece sono collocati sotto la fnestra.

man dedicato a L’Album de l’art à l’époque du “Musée imaginaire”

2

che in parte chiude una linea di ricerca di cui un importante

versioni precedenti del Musée imaginaire sono: La Psychologie

_ 74

L’opera esce in due volumi: malraux 1952-1954, mentre le due

de l’art e Les Voix du silence, rispettivamente: malraux 1947;

11

dilly 1975, p. 53.

malraux 1951.

12

Sul tema dell’archivio in relazione alla fotografa come fon-

malraux 1947, p. 13. Sul ruolo dello spettatore per alcune ri-

3

te complessa, cfr. schwartz 1995, 2000, 2002; schwartz - cook 2002; giudici 2004, 2007; caraFFa 2011; caraFFa - serena 2012;

fessioni utili, cfr. somaini 2005. valery 1928: «Comme l’eau, comme le gaz, comme le cou-

e Framing photographs, denying archives: the diffculty of focusin

rant électrique viennent de loin dans nos demeures répondre

on archival photographs di Tim schlak (in “Archivsl Science”, 8,

à nos besoins moyennant un effort quasi nul, ainsi serons-nous

2008, pp. 85-101).

alimentés d’images visuelles ou auditives, naissant et s’évanou-

13

issant au moindre geste, presque à un signe. […] Je ne sais si

pia bibliografa, rimandiamo a centanni 2002; didi-huBerman

jamais philosophe a rêvé d’une société pour la distribution de

2006; sull’archivio fotografco del Warburg Institut, cfr. maz-

Réalité Sensible à domicile».

zucco

4

5

Ovviamente didi-huBerman 2013; e sulla stessa linea l’inter-

14

Su Warburg, nell’impossibilità di citare esaustivamente l’am-

2012.

Per gli archivi delle Soprintendenze si rimanda al volume

pretazione come “album”, cfr. arnaldo alcuBilla 2007, cit. in

fondamentale degli atti del convegno: sPiazzi

malraux 2013, p. 23 (di cui la n. 28 a p. 195).

un inquadramento sulla ricezione della fotografa nelle istitu-

6

et al.

2010. Per

zioni d’inizio Novecento in Italia: miraglia 2000; miraglia

Sul ruolo della fotografa nell’opera di Malraux, nelle sue con-

traddizioni e potenzialità premoderniste: crimP 1993, in par-

- ceriana 2000.

ticolare p. 56; krauss 1996. L’opera di Malraux ha un collega-

15

mento per certi versi necessario con il tema proposto da Walter

2008. Numerosi sono gli esempi più tardi, fra cui si ricorderà la

Benjamin dell’arte nell’epoca della sua riproducilità tecnica, di

fototeca di Giuliano Briganti e di Federico Zeri (per questo cfr.

cui Malraux stesso ne parlò, nello stesso anno in cui uscì nell’edi-

Federico Zeri... 2009) dalle quali sono state promosse iniziative

zione francese tradotta da Pierre Klossowski, al congresso degli

recenti di discussione. In generale sul tema, cfr. gli Atti del con-

scrittori che si tenne a Londra (cfr. rosa da silva 2002).

vegno Fototeche a regola d’arte 2007.

7

16

Una serie di interventi negli anni Settanta del Novecento eb-

Rispettivamente, cfr. valeri 1994-2000, Progetto... fototeca

Un’arguta rifessione sull’uso, e abuso, del lemma “offcina”

bero il merito di aprire le prime indagini (scharF 1979) di cui un

negli studi storico-artistici è offerta da occhiPinti 2012.

resoconto in Freitag 1979. In tempi più recenti gli strumenti im-

17

prescindibili sono le raccolte di saggi curati da Helene E. Roberts

esiti del convegno in Bann 2011a.

(1995) e da Costanza Caraffa (2009; 2011). Per l’ambito italiano

18

Su questo tema, cfr. anche Bohrer 2002.

si segnalano gli studi di Ettore Spalletti (1979), Marina Miraglia

19

Per un resoconto sul tema dell’archivio fotografco al centro

(1981, 1991), Massimo Ferretti (1977; 2003). Sull’attività fotogra-

di differenti ambiti disciplinari, cfr. serena 2010; ma anche le

fca in relazione alla tutela per l’Ottocento, cfr. mozzo 2004, levi

rifessioni e casi di studio proposti da kelsey 2007; tagg 2009;

È il titolo del suo stesso intervento: Bann 2011b; cfr. anche gli

2010 e la mostra (con piccolo catalogo) tenuta all’ICCD sui fondi

edwards 2011, Pijarski 2011; caraFFa - serena 2012.

fotografci ministeriali accumulati durante l’attività di tutela:

20

Fotografare 2013; per il signifcativo caso di studio costituito da

caraFFa 2011.

Pietro Toesca e la fotografa si segnala callegari et. al. 2009.

21

8

venturi 1887, p. XXXIX.

9

La celeberrima citazione (usata anche come sottotitolo nell’in-

Gli atti delle prime due conferenze di Firenze e Londra, in

Con il titolo Archivi fotografci. Spazi del sapere, luoghi della

ricerca abbiamo recentemente proposto un numero monografco dedicato a questo tema: caraFFa - serena 2012.

troduzione al volume roBerts 1995) nella sua forma comple-

22

A titolo di esempio fra i numerosi, cfr. l’interessante esperien-

ta suggerisce una linea di ricerca su usi e scambi di fotografe:

za di Ralf Lieberman (1995).

«I owe no little to colleagues like Venturis, Toesca, Van Mar-

23

le, Yashiro, Gillet, Gronau, Hadeln, Perkins, Fiocco, Cagnola,

sistenze fotografche: Longhi (c. 25.000), Planiscig (c. 25.000),

Offner, Nicholson, and Clark for assistance in procuring pho-

Ragghianti (c. 17.000), Salmi (c 20.000-30.000). Nel 1954 esce

unesco 1950, a p. 435 indica rispettivamente le seguenti con-

tographs. Photographs! Photographs! – in our work one can ne-

anche il secondo volume.

ver have enough!» (in Berenson 1932, p. X).

24

Barocchi 1998, p. 6.

25

séroux d’agincourt 1829, p. XXXI.

10

Preziosi 1989, p. 72.

_ 75

Uno studio su Ruskin e la fotografa si deve a Paolo Costantini

42

de seta 1979; musto 2007.

(1986b); alla mostra al Musée d’Orsay, Voir l’Italie et mourir sono

43

roBinson 1862; hamBer 1996b, in particolare p. 426.

stati esposti nuovi dagherrotipi ruskiniani (Voir l’Italie... 2009).

44

corsi 1994b, p. 14 n. 3.

27

45

Nel 1861, Guastalla stesso aveva organizzato l’Esposizione di og-

26

L’archivio è custodito alla Médiatheque de l’Architecture et

du Patrimonie a Parigi. Come storia mancata della creazione

getti d’arte del Medioevo e dell’epoca del Risorgimento dell’arte, da

di un album e di un archivio funzionale, potrebbe essere letta

considerarsi come esperienza apri pista per la defnizione cul-

la vicenda della prima campagna fotografca del patrimonio

turale del Bargello stesso in relazione alle esperienze del Musée

architettonico nazionale francese, nota come “Mission Hélio-

de Cluny e del South Kensington Museum. Cfr. Paolozzi strozzi

graphique”, che venne coordinata da Prospére Mérimée, della

2004 p. 29 e Alle origini dell’arte nostra. La mostra giottesca del 1937

Commission des monuments historiques: mondenard 2002.

a Firenze di Alessio monciatti (Milano, Il Saggiatore, 2010, p. 117).

28

46

Rimandiamo ai nostri interventi preparatori alla pubblica-

zione di un volume dedicato a Piot: serena 2006; serena 2014.

corsi 1994, p. 14 n. 4. Più tardi, nel 1870, Robinson, nell’in-

troduzione a un volume dedicato allo studio dei disegni di

29

jammes 1981.

Raffaello e Michelangelo, conservati a Oxford, aveva asserito

30

Album 1851.

che la fotografa aveva effettuato una rivoluzione nella molti-

31

Sull’attività Goupil, cfr. laFont - couturier 2000, e sulle rela-

plicazione virtuale, e senza limiti, delle opere imponendo una

zioni con la fotografa, cfr. renié 2007.

pratica prima impossibile da concepirsi, non senza pensare alla

32

Œuvre de Paul Delaroche, reproduit en photographie par Bing-

ricaduta nella didattica (roBinson 1870). Sul questo tema, cfr.

ham, préface de Henri Delaborde, Paris, Goupil, 1858, con foto-

hamBer 2003, (pp. 229-231) p. 219. Ricordiamo che il catalogo

grafe di Robert Bingham e un testo di Henri Delaborde.

Braun del 1887 (alla sua prima edizione era del 1880) contiene

33 34

auBenas et al. 2010; mondenard - Pagneux 2012.

una prefazione oltre che di Venturi, anche di altri autorevoli

Rispettivamente, cfr. delessert 1853-1855, Blanc 1853-1858

storici dell’arte europei: P. De Saint-Victor; H. Jouin, C. Ruland,

con fotografe dei disegni realizzate dai fratelli Bisson e un testo

e lo stesso J. C. Robinson (Braun 1887).

di Blanc il quale realizzerà in seguito per lo stesso editore un

47

catalogo dei disegni di Rembrandt, ma che non venne illustrata

due album con titoli diversi e in dimensioni diverse, di questi

dalla fotografa (Blanc 1859-1861). Questo album è il primo di

ci è stato possibile reperire solo il secondo: Album michelangio-

una lunga serie di studi illustrati in relazione alla fortuna sto-

lesco... 1875.

riografca dell’artista, cfr. scallen 2004.

48

Relazione... 1876, a p. 229 vengono indicati come realizzati

Sull’importante fondo di fotografe conservato all’Accademia e

35

höPer 2001; maFFioli 2003a; Peters 2011.

costituito in relazione alle celebrazioni del 1875, si rimanda al testo

36

Sul precoce caso Alinari, Graham Smith ha sottolineato il signi-

di Monica Maffoli in questo volume (in particolare n. 31). Con-

fcato del passaggio dal “catalogo” all’“archivio”, cfr. smith 2011.

temporaneamente a Dresda una galleria privata organizzò una

37

venturi 1887, p. XXVII.

esposizione di ben 338 pezzi michelangioleschi riprodotti in fo-

38

Impossibile evitare i riferimenti con il purovisibilismo e con

tografa e calchi. L’informazione è riportata senza ulteriori speci-

tutto il mondo della cultura tedesca della kunstwissenschaft. 39

fche nella raccolta di scritti di Eugenio Battisti (2012, p. 106, n. 10).

Perkins 1864. Su Burckhardt e la cultura visiva, cfr. Pinotti -

49

Le vicende della fotografa nell’Accademia di Belle Arti di Fi-

roli 2011; sui suoi rapporti con la fotografa, cfr. amato 2000,

renze sono state studiate da migliorini 1994 e da greco 2004.

coen 2011. Sulla raccolta fotografca cosiddetta “Burckhardt” al

50

Ne fornisce un valido resoconto Paoli 2010.

Kunsthistorisches Institut, di cui un particolare è l’immagine a

51

Pubblicato nell’intervento L’arte insegnata nelle accademie se-

p. 69 in questo saggio (si veda anche dercks 2013).

condo le norme scientifche: selvatico 1852, poi in Bertelli - Bol-

40

Porter 1915-1917; tosco 1995.

lati

41

Il suo archivio fotografco di circa 26.500 pezzi è stato scorpo-

anni veneziani, cfr. costantini 1986a.

1979, vol. II, pp. 233-235. Su Selvatico e la fotografa negli

rato nelle raccolte didattiche della Università di Harvard alla

52

auF der heyde 2013, p. 174, n. 88

Fine Arts Library. La corrispondenza è custodita negli Harvard

53

Per la situazione francese e l’École des Beaux-Arts, nella qua-

University Archives, Papers of Arthur Kingsley Porter, 1883-

le è confuita la collezione di fotografe dell’architetto Charles

1925, Correspondance, 1910-1925; cassese 2013.

Garnier: mathon - garcia 1991. Per l’Italia, dopo i primi inter-

_ 76

venti sull’archivio dell’Accademia di Brera (agosti 1997), solo

cfr. il volume di Allan Derek con il titolo Art and the Human

recentemente si è riaperto il dibattito con l’incontro: Patrimoni

Adventure: André Malraux’s Theory of Art (derrek 2009, in co-

da svelare per le arti del futuro. Primo convegno di studi per la

pertina l’immancabile fotografa di Janroux).

salvaguardia dei beni culturali delle Accademie di Belle Arti in

73

malraux 1951, p. 200, cit. in derrek 2009, p. 76.

Italia, Napoli, Accademia di Belle Arti, 13-15 giugno 2013.

74

steichen 1955.

54

Sull’ambiente torinese, cfr. cavanna 2005.

75

didi-huBerman 2013, p. 50.

55

Su Sacchi, cfr. miraglia 1996; per la didattica artistica a Brera

76

Questo il tono della prefazione al catalogo (steichen 1955).

e la fotografa, cfr. cassanelli 2000.

77

Si ricorda che nel 1965 esce la nuova edizione di Les Voix du

56

silence, a cui viene integrata la seconda parte del titolo con

Un caso di studio interessante per la verifca della terminolo-

gia, relativamente alla Cappella Sistina, cfr. miraglia 1991.

Musée imaginaire (si veda nota 2), alcuni anni dopo l’edizio-

57

messina 2001b, p. 15.

ne inglese (con titolo approvato da Malraux stesso) propone il

58

Blanc 1876, pp. 531-532.

sottotitolo citato: The Voices of Silence. I. Museum without Walls

59

Sull’attività Braun, cfr. o’Brien et al. 2000.

(malraux 1967).

60

Blanc 1876, pp. 528-529, citazione a p. 529.

78

courajod - marcou 1892.

61

Blanc 1876, p. 532. Non abbiamo prove a riguardo (né forse

79

Su Wölffin ovviamente è fondamentale il suo testo sullafo-

le potremmo avere), ma ci piace congetturare che le fotografe

tografa di scultura (wölFFlin 1896-1897; cestelli guidi 2008a).

Braun delle opere di Michelangelo avessero qualche collega-

80

mento con la mostra forentina dell’anno prima della pubbli-

nel 1936 alle Édition TEL. Nel 1949 inizia una nuova serie con

cazione di questo volume, in cui Blanc era stato ospite d’onore

l’editore “La Documentation française”. Il volume Sculptures du

e aveva tenuto un discorso inagurale, poi pubblicato nella Re-

Moyen âge (Encyclopedie... 1948) ha un testo di Marcel Aubert.

lazione 1876.

Forse questa esperienza fu davvero importante per Aubert che,

L’opera inizia nel 1935 per le edizioni del Louvre, passa già

62

Su Morelli e la fotografa, cfr. Peters 2009.

sempre per il Louvre, realizza successivamente il volume La

63

mozzo 2009. Su D’Annunzio e la fotografa, cfr. miraglia 1988.

Sculpture de la Renaissance Italienne, coinvolgendo il fotografo

64

Bergstein 2010, p. 3.

Emmauel Sougez (auBert 1953). Sulle stesse cronologie, e in re-

65

Cit. in Battisti 2012, p. 151.

lazione all’opera fotografata di Michelangelo, va ricordato che

66

Mary Bergestein dedica il secondo capitolo a Freud’s Miche-

i cinque volumi di Charles de Tolnay (1943-1960) avevano, se-

langelo. L’autrice ha sottolineato come la visione di Freud della

condo lo studioso di Michelangelo ed esperto della sua riprodu-

scultura di Michelangelo fosse correlata in modi diversi ai pa-

zione, Eugenio Battisti, circa il doppio delle immagini normal-

radigmi della fotografa: Bergstein 2010, p. 34.

mente disponibili nell’archivio fotografco. Battisti, nel 1989, ha

manieri elia 2011. L’album fotografco carpaccesco realizzato

sottolineato la necessità di scrivere una storia della riproduzione

con una rilegatura pensata per resistere all’usura è ancora con-

fotografca dell’opera di Michelangelo in relazione alla fortuna

servato integro negli archivi dell’Accademia, in manieri elia

storiografca, fornendo alcune indicazioni bibliografche uti-

2011, p. 200.

li (Battisti 1989, p. 11 sgg.). In una prospettiva più ampia sulla

67

68

manieri elia 2011, p. 194.

fortuna fotografca di Michelangelo, anche se ridotta alle opere

69

caraFFa 2012.

scultoree, ovviamente si veda il testo fondamentale di Monica

70

Il testo uscì anche con il nome di Pompeo Molmenti nel 1906

Maffoli in questo volume.

(Vittore Carpaccio: la vita e le opere), cit. in caraFFa 2012, p. 44.

81

geimer 2009, p. 79.

lévi-strauss 2010, passim; derrida 2002 pp. 367-368 relativa-

82

didi-huBerman 2013, p. 33.

mente a quelle che sono considerate le prime considerazioni di

83

geimer 2009, p. 88.

Lévi-Strauss relativamente al bricolage sul piano intellettuale e

84

venturi 1943, cit. in de Fiores 2010, p. 68.

mitopoietico.

85

In relazione al suo incarico come ministro della cultura fra il

72

1959 e il 1969, sulla relazione museo immaginario-inventario,

71

Un grand reportage couleur. L’aventure d’André Malraux, “Paris

Match”, 19 giugno 1954, n. 273, copertina. La parola «aventure»

cfr. marcoci 2010, p. 13; melon 2001.

è stata più volte ripresa nella sua fortuna critica, per esempio,

86

_ 77

didi-huBerman 2013, p. 31.

l d d n f s f

a d o c U M e n t a z i o n e e l l e s c U l t U r e i M i c h e l a n g e l o e l g a b i n e t t o o t o g r a f i c o d e l l a o p r i n t e n d e n z a i o r e n t i n a

M a r i l e N a ta M as s i a

Le ragioni della presenza di questo gruppo di fotografe (una parentesi tra le eccelse fotografe autoriali scelte per il percorso della mostra) sono dovute alla volontà dei curatori della mostra, e in particolare modo del Direttore della Galleria dell’Accademia Angelo Tartuferi, di presentare un’ottica diversa rispetto alla qualità notevole delle fotografe selezionate per l’esposizione. In particolare si intende sottolineare il ruolo che, nell’ambito della Soprintendenza Speciale per il Polo Museale forentino, ha svolto il servizio pubblico di addetti alla fotografa. Un ruolo costruito non su grandi protagonisti, ma su validi professionisti che hanno svolto il loro lavoro di fotograf seguendo le direttive loro impartite dai vari direttori e soprintendenti che si sono avvicendati nei diversi decenni. Un ruolo quindi di servizio pubblico in cui i fotograf non sono stati incoraggiati a porre i loro nomi accanto alle loro realizzazioni. E quindi ben sa chi si occupa di fotografa, è stato ed è spesso diffcile, arduo, quasi proibitivo, dare un volto e una storia a chi ha svolto questo tipo di servizio. È stato solo nei decenni più recenti che la fotografa ha avuto il titolo di bene culturale e i suoi autori hanno potuto vedere riconosciute le loro creazioni. Ripercorrere, brevemente, le tappe della nascita e dello sviluppo del Gabinetto Fotografco all’interno della Soprintendenza signifca anche ripercorrere un percorso che ha portato la fotografa ad assumere un ruolo sempre più importante e un veicolo di creazione artistica al pari delle diverse arti come pittura, scultura, architettura e tutte le altre. Per questo non è stato semplice, frugando negli inventari e nell’archivio del Gabinetto Fotografco, reperire immagini a cui dare un volto e un nome. Non per disprezzo o noncuranza verso l’operatività dei fotograf, ma per una scelta di percorso collettivo teso a valorizzare le opere d’arte nella loro complessità e non il singolo operatore del servizio.

_ 79

Detto questo, vorrei anche sottolineare come la fo-

assumono è quindi privo di autonomia, legato piutto-

tografa, fn dal suo primo apparire, si sia mossa tra la

sto a una poetica improntata al “mestiere” o a una pra-

necessità e la volontà di “riprodurre” la realtà così come

tica di “artigianato”, se pure di alto livello: tanto più

si presenta, in modo meccanico, senza alcuna interpre-

forte questa pratica lo sarà nella fotografa di scultura

tazione personale e l’esigenza di “ricreare” e interpre-

nella quale, proprio per le intrinseche caratteristiche di

tare la realtà e con ciò a fornirne una chiave di lettura

tridimensionalità, l’elemento interpretativo rischia di

“artistica” e personale. Non quindi solo una espressione

diventare fattore di non poco conto, infciandone le f-

meccanica, ma un’interpretazione della realtà.

nalità. Tutto ciò non signifca e non toglie che gli stessi

Nel dibattito nato sull’uso della fotografa nella

fotograf, così formatisi sotto la guida della colta e po-

storia dell’arte, le due interpretazioni diventano due

liedrica personalità di Ricci, non indulgano e indugi-

partiti. Il primo, di cultura positivista, che si potrebbe

no, fuori da questo contesto, in immagini di maggiore

chiamare “dell’oggettività” sostiene che la fotografa

vena creativa. Ne è testimonianza lo stesso Cipriani che

riproduce in modo meccanico il reale, addirittura ri-

con alcune sue fotografe di paesaggio emoziona posi-

levando ciò che all’occhio umano sfugge: si ha un pro-

tivamente la critica alle esposizioni del 1925 e del 1927.

cesso meccanico privo di qualità artistica e incapace di

Siamo nel 1904. Approfondiamo qui le tappe, le

rivaleggiare con la pittura e le altri arti. Questa sarà

circostanze e la persona che hanno portato alla fonda-

anche la posizione sostenuta da Corrado Ricci, il fon-

zione del Gabinetto Fotografco e al suo sviluppo.

datore del Gabinetto Fotografco, di cui parleremo più

Corrado Ricci, funzionario storico dell’arte, nasce

avanti. Questo partito era inizialmente maggioritario.

da un padre fotografo e ha sempre, nella sua vita, avu-

L’altro partito, il partito “della soggettività”, in

to una particolare attenzione per la fotografa. È a lui

principio in minoranza, riteneva che la fotografa in-

che dobbiamo l’istituzione del Gabinetto Fotografco

terpretasse la realtà e rifettesse la particolare visione

nella Soprintendenza forentina, nato a seguito della

dell’autore. Questa posizione risentiva del dibattito e

fondazione, per opera dell’ingegner Giovanni Gar-

delle sperimentazioni di fotografa artistica.

giolli, nel 1892, del Gabinetto Fotografco Nazionale

La fotografa di documentazione delle opere d’ar-

del Ministero della Pubblica Istruzione2. Corrado Ric-

te si colloca ovviamente in questo primo flone di pen-

ci comprende assai per tempo la necessità e l’impor-

siero e fn dall’inizio dell’istituzione del Gabinetto Fo-

tanza di una documentazione fotografca: a Milano si

tografco si è sempre posto l’accento sulla necessità di

adopera per la creazione del «ricetto fotografco», ossia

“documentare”.

la Pubblica Raccolta Fotografca di Brera, forse il primo modello (1899) d’archivio, che raccolse circa 10.000

Quando e per opera di chi viene istituito il Ga-

immagini.

binetto Fotografco? La sua nascita si deve a una persona, un funzionario dello Stato di grande capacità e

In Francia già dal 1851 era stato fotografato il pa-

lungimiranza, uno storico dell’arte di vaglia e uno stu-

trimonio architettonico nazionale. In Italia i primi

dioso di grande levatura, intendo parlare di Corrado

tentativi di catalogo a mezzo fotografco erano dovu-

Ricci. Egli è la fgura chiave che codifca i parametri

ti a professionisti privati quali gli Alinari, che ebbero

utili e necessari per la ripresa corretta dell’opera d’arte:

un’attenzione tutta speciale all’Italia centrale.

una sorta di vademecum per l’operatore, per il quale il

Corrado Ricci venne chiamato a Firenze a diri-

mezzo fotografco diviene strumento da utilizzare in

gere le Regie Gallerie il 12 ottobre 1903 e svolse questo

modo asettico e impersonale. I tecnici-operatori delle

incarico sino al 1o ottobre 1906, quando fu chiamato a

Soprintendenze da lui dirette, per quanto è consentito

Roma a coprire il posto di Direttore Generale. Aveva

dalle situazioni ambientali, non sono tenuti a inter-

all’epoca quarantacinque anni ed ebbe questo incarico

pretazioni, e si atterranno a regole di ripresa in vista

dal Ministro della Pubblica Istruzione Nunzio Nasi,

di una realizzazione aderente a un modello visivo non

dopo che si era distinto nei brillanti interventi muse-

idealizzato né idealizzante. L’atteggiamento che essi

ografci di Modena, di Parma e di Milano.

_ 80

joHN BraMptoN pHilpot Il Palazzo Vecchio, particolare della facciata dalla Loggia dei Lanzi, ante 1859. Firenze, Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Firenze, Gabinetto Fotografco

viNCeNzo perazzo Veduta della Tribuna del David dalla Galleria dell’Accademia, 1906 circa. Firenze, Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Firenze, Gabinetto Fotografco

Nello stesso anno in cui venne pubblicato il pri-

rado Ricci e altri si chiedono: se la fotografa è solo una

mo catalogo del Gabinetto Fotografco del Ministero

documentazione del reale, chi deve esserne l’autore? Si

della Pubblica Istruzione, nel 1904, Corrado Ricci, in

pensa a una piccola équipe, formata da due fgure pro-

collaborazione con la locale Società Fotografca e con

fessionali, lo storico dell’arte e il fotografo, unite da un

il concorso dei massimi fotograf cittadini, crea l’Ar-

rapporto molto simile a quello riscontrabile in ambito

chivio Fotografco della Galleria degli Uffzi, appli-

cinematografco tra regista e operatore di macchina.

cando qui lo stesso metodo sperimentato a Brera.

Il cosa riprendere spetta allo storico dell’arte, il come

3

Scrive Ricci : «Il Gabinetto Fotografco ha lo

è frutto di una mediazione fra storico e fotografo. Le

scopo di diffondere la conoscenza del patrimonio

fotografe devono trasmettere la struttura e le caratte-

monumentale e artistico, di cui è tanto ricca l’Italia

ristiche tecnico-stilistiche dell’oggetto inquadrato. Ne

e soprattutto di servire di ausilio ai cultori e studiosi

deriva la scelta – specie con manufatti complessi o di

di cose d’arte. Le sue fotografe, a differenza delle altre

grandi dimensioni – di accoppiare le vedute d’insieme

che sono in commercio non subiscono alcun ritocco,

a una serie di dettagli sempre più ravvicinati, che se

e si chiamano, quindi, documentarie, perché costitui-

necessario possono essere anche svisati.

scono il vero documento in riproduzione fedele degli

Questo metodo è stato seguito anche nelle cam-

oggetti d’arte, che le ingiurie del tempo potrebbero

pagne fotografche di documentazione presenti al Ga-

alterare o distruggere. Per conseguire questo fne il

binetto Fotografco: un’inquadratura complessiva del

Gabinetto pone la massima cura nella esecuzione delle

quadro, scultura e poi particolari sempre più ravvici-

fotografe, in modo che da esse risultino tutti i parti-

nati, particolari ovviamente segnalati dai vari direttori

colari degli originali riprodotti. A tale pregio, che dif-

o studiosi che hanno diretto le campagne fotografche.

fcilmente si ricercherebbe nelle fotografe commer-

Per esempio, anche per il David di Michelangelo

ciali, è dovuto il favore col quale, in Italia e all’estero,

la documentazione in nostro possesso ha seguito que-

sono accolte quelle eseguite da questo Gabinetto».

sta strada e, in epoche successive, abbiamo foto dell’intera scultura nelle classiche vedute frontali, laterali, di

Corrado Ricci ritiene che la tutela delle opere

retro, e poi inquadrature del volto, delle mano e altre.

d’arte può passare solo attraverso la loro conoscenza; e la loro conoscenza aveva come propria, prima, fon-

Dopo aver diffuso la lettera circolare del 1903 che

te la riproduzione dell’immagine dell’oggetto stesso,

invitava fotograf e cittadini a donare immagini per

leggibile per l’età antica nelle vedute, nelle copie, nei

costituire l’archivio fotografco, Corrado Ricci si tro-

disegni, negli schizzi, per l’età contemporanea nella

va di fronte al problema di dotare questa sua creatura

fotografa.

di risorse umane.

L’attività svolta dal Ricci nei tre anni forenti-

Spigolando tra la corrispondenza di Corrado Ricci

ni ha del prodigioso. Tra le altre attività, interviene

raccolta alla Biblioteca Classense di Ravenna, appren-

nella Galleria dell’Accademia, all’epoca priva di una

diamo che fn dal 1901 egli entra in contatto una persona

fsionomia precisa, connotandola come tempio del-

che ha tutte le caratteristiche per essere il “suo” uomo, la

la gloria michelangiolesca. Per raggiungere questo

persona giusta al posto giusto. Questi è Vincenzo Peraz-

obiettivo nel 1906 ottiene dal re Vittorio Emanuele

zo, nato a Bologna il 4 aprile 1866, che diventerà il pri-

III i Prigioni collocati nella Grotta del Buontalenti a

mo fotografo del Gabinetto Fotografco di Firenze.

Boboli (Palazzo Pitti era reggia sabauda). È il capola-

Nella ftta corrispondenza che Vincenzo Perazzo

voro museografco di Corrado Ricci, documentato, tra

intrattiene con Corrado Ricci si può seguire il largo

l’altro dalle fotografe che fece eseguire nell’occasione

raggio della sua attività. Perazzo studia all’Istituto

dal Gabinetto Fotografco, di cui mostriamo una scel-

(allora chiamato anche Accademia) di Belle Arti di

ta a illustrare le pagine di questo saggio.

Bologna pittura e ornato4.

Nel dibattito vivo sulla fotografa come docu-

All’Istituto è allievo di Corrado Ricci, che all’epo-

mentazione, gli storici dell’arte Adolfo Venturi, Cor-

ca vi insegnava storia dell’arte, e nella corrispondenza

_ 83

viNCeNzo perazzo David-Apollo, 1918-1919. Firenze, Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Firenze, Gabinetto Fotografco

che intrattiene con lui si defnisce spesso suo “scola-

le per mandare avanti il Gabinetto Fotografco, di cui

ro”. Terminati gli studi, lavora come restauratore (per

rivendica un’autonomia amministrativa che lo renda

esempio nella chiesa di Santa Caterina d’Alessandria

lontano dai tanti obblighi burocratici imposti dall’am-

di Montovolo, nell’Appennino bolognese). Compie

ministrazione centrale6. Un’altra rivendicazione che

diversi lavori come pittore, decoratore, esegue foto-

popola le lettere del fotografo bolognese è quello del

grafe, è insegnante, studia i monumenti medievali.

riconoscimento, in pianta organica, del ruolo dei foto-

La formazione di Vincenzo Perazzo è simile a

graf. Infatti sia lui che i fotograf successivi sono inqua-

quella di tanti altri fotograf che, agli albori della fo-

drati nel ruolo di “disegnatori” ed è importante sotto-

tografa, avevano una formazione tecnica o artistica,

lineare come questa battaglia indichi la consapevolezza

che permetteva loro di padroneggiare le tecniche,

ormai raggiunta della fotografa come espressione arti-

complesse, di ripresa e stampa delle fotografe. Erano

stica. Scrive al Ricci conoscendo la sua sensibilità a que-

spesso incisori, chimici, disegnatori o pittori (come il

sto problema e si appella spesso alle sue prerogative di

Perazzo). Fin dal 1901 Perazzo è attivo al Museo Ar-

Direttore Generale che gli potrebbero rendere possibile

cheologico di Taranto dove lavora come disegnatore

la realizzazione di questo obiettivo. È importante sotto-

avventizio. Nella corrispondenza racconta di trarre

lineare quest’aspetto a testimonianza della consapevo-

disegni dai reperti archeologici e anche di fotogra-

lezza di esercitare preciso, tecnicamente impegnativo e

farli. Nel 1904, in occasione della presentazione di

passibile di autonomia nella scelta delle inquadrature,

titoli per un concorso tra i disegnatori avventizi, di-

dell’uso della luce e dei tempi di posa.

chiara che nei tre anni e più di servizio a Taranto, ol-

Perazzo, nell’esame delle sue fotografe del Gabi-

tre ai disegni e alle fotografe, ha eseguito acquerelli

netto Fotografco forentino si rivela abile nella scelta

e rilievi, ha dipinto sale al Museo Archeologico, ha

e nel taglio delle inquadrature delle opere d’arte che

disegnato mobili. Da subito si rivela poliedrico e do-

deve riprodurre. Spesso le sue inquadrature hanno

tato in diverse discipline.

tagli interessanti e innovativi, come dimostra nella

Nel febbraio 1904 scrive al Ricci che sarebbe la

campagna fotografca degli affreschi di Piero della

maggiore delle fortune lavorare a Firenze con lui e

Francesca in San Francesco ad Arezzo7, dimostrando in

quest’ultimo si interessa per portarlo a Firenze, dove

ciò anche le sue conoscenze storico-artistiche e la sua

arriva nell’agosto 1905, «avendo il Direttore delle RR.

abilità di pittore. È invece più impacciato nell’uso delle

Gallerie di Firenze richiesto l’opera del Perazzo per la

luci e talvolta le sue fotografe hanno passaggi troppo

defnitiva sistemazione e per la regolare funzione del

crudi dalla luce all’ombra. Giovanni Poggi, suo diret-

5

Gabinetto e dell’Archivio fotografco di detto Istituto» .

tore dopo il Ricci, dice di lui «è ottimo fotografo e lavora con sentimento e passione di artista»8.

Le fotografe della Galleria dell’Accademia nella nuova veste conferitale dal Ricci sono quindi di Vin-

Nel 1916 chiede il trasferimento a Bologna e

cenzo Perazzo. Nel 1906 Perazzo elenca una lista di

scrive: «Credo d’aver fatto il mio dovere per 10 anni

124 negativi e 192 positivi, che sono i suoi primi lavori

(producendo 10.000 negativi) e se ora ò chiesto a Lei di

a Firenze. Appartiene al suo lavoro di fotografo anche

venire a Bologna è per serie ragioni di famiglia»9. In

la foto del David-Apollo, conservato al Museo Nazio-

realtà chiede il trasferimento per dissapori con Nicolò

nale del Bargello, che il Perazzo ritrae con un taglio

Cipriani, nel frattempo entrato al Gabinetto Fotogra-

intrigante e suggestivo.

fco col compito di inventariare e coordinare il lavoro

Corrado Ricci dirige il Gabinetto Fotografco,

interno. Perazzo rimane a Firenze sino al 1919, anno

fno all’8 settembre 1906, quando diventa Direttore

in cui ottiene il trasferimento a Bologna. Si affaccia

generale delle Antichità e Belle Arti, carica che detie-

così sulla scena, da protagonista, Nicolò Cipriani 10. Nicolò Cipriani dichiara di essere responsabile del

ne dal 1906 al 1919. Nella corrispondenza con il Ricci Perazzo riferi-

Gabinetto Fotografco della Soprintendenza dal 1o feb-

sce spesso di adoperarsi nel migliore dei modi possibi-

braio 1920, ma in realtà vi è presente almeno dal 1916.

_ 85

Nicolò cipriaNi Peducci sopra il Monumento di Giuliano de’ Medici nella Sagrestia Nuova di San Lorenzo, agosto 1939, Firenze, Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Firenze, Gabinetto Fotografco

Oltre che interessato all’archiviazione delle fotografe,

sia nel taglio dell’inquadratura che nell’uso delle luci. È

è fotografo lui stesso in prima persona. Partecipa nel

sempre interessato anche alla fotografa di paesaggio,

1925 alla I Mostra Fotografca del Paesaggio Toscano,

come dimostra la sua partecipazione alle due rassegne

nel cui catalogo si dice: «è stata ordinata egregiamente

forentine sopra citate e come dimostrano i numerosi

dal Sig. Nicolò Cipriani, Fotografo Capo delle RR. Gal-

scatti del suo archivio, confuiti nel fondo della Fotote-

lerie, che espone personalmente due bellissime auto-

ca Italiana.

11

cromie» . In seguito partecipa alla II Mostra Fotogra-

Alla metà degli anni Cinquanta, una volta anda-

12

fca del Paesaggio Toscano nel 1927 .

to in pensione, viene sostituito da altri validi e capa-

Le fotografe delle sculture michelangiolesche

ci operatori, che continuano la prestigiosa tradizione

delle Cappelle Medicee, del 1945-1946, appartengono

della fotografa documentaria di servizio pubblico.

sicuramente alla mano di Nicolò Cipriani, all’epoca

Il nostro racconto si ferma a questi anni a noi più

fotografo capo del Gabinetto Fotografco. Negli anni

lontani e quindi più storicizzati e alle fotografe di

successivi l’attività del Cipriani e del Gabinetto si vol-

questo momento storico aurorale e poi di consolida-

ge a una documentazione sistematica delle opere d’ar-

mento della riproduzione di opere d’arte. Il momen-

te dei musei forentini.

to attuale, che vede il passaggio alla ripresa digitale,

Il Cipriani, durante la sua lunga carriera di foto-

cambia nuovamente gli scenari e i saperi necessari alla

grafo alle Gallerie, si dimostra capace, intraprendente,

ripresa fotografca. Ma questo è il futuro, che rende

meticoloso e molto interessato anche al lato creativo

obsoleta la sapienza di ripresa e di stampa degli ope-

del mestiere di fotografo. Le sue immagini sono spesso

ratori fn qui esaminati e richiede tutt’altro tipo di co-

di documentazione e sono eseguite con perizia e abilità

noscenze e di prassi.

1

La nascita di Corrado Ricci nel 1858 a Ravenna, nella casa di un

«di traduzione e d’invenzione» e, infne, di prendere in carico

fotografo – suo padre Luigi esercitava quell’attività in via Farini

«il materiale fotografco» eseguito fuori della propria struttura,

nella suddetta città, dopo essersi formato come scenografo tea-

«necessario alla catalogazione» e in gran parte dovuto all’accu-

trale – ne aveva fn dai primi anni permesso una particolare di-

mulo delle copie d’obbligo depositate, sulla ragione di tre esem-

mestichezza con gli attrezzi del mestiere paterno. Ereditata dal

plari per soggetto, da operatori esterni.

padre la passione per la tecnica fotografca, ha sempre conside-

3

rato questo tipo di documentazione uno strumento di lavoro di

pos. I n. 41, 16 novembre 1903, testo a stampa. Questo testo è simi-

insostituibile importanza. È stato sempre fautore non solo della

le a quello utilizzato per la fondazione del “ricetto fotografco”

raccolta di fotografe e immagini documentarie, strumentali

di Brera. In un opuscolo a stampa conservato nell’Archivio Sto-

all’attività di tutela (operazione che considerava prioritaria su

rico della Soprintendenza, Corrado Ricci formula una proposta

qualsiasi altra), ma anche di tutti quei documenti “grafci” (di-

per l’istituzione di un Archivio Fotografco a Firenze. La propo-

segni inclusi) e fotografci, dalle vedute al ritratto, necessari agli

sta è indirizzata al Direttore dell’Uffcio Regionale per la con-

studi di un uomo di cultura ancorché studioso di storia dell’arte.

servazione dei Monumenti e dice: «L’invenzione della fotografa

2

Roma, Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione,

e dei mezzi affni di riproduzione ha giovato fortemente agli

Archivio Storico, lettera del 31 marzo 1914, prot. 8893. Il Gabi-

studiosi e ai critici d’arte, ed ha procurato il maggiore sviluppo

netto Fotografco Nazionale nasce come sezione speciale del La-

alla tipografa fornendo i mezzi di facilmente e splendidamen-

boratorio di fotoincisione della Regia Calcografa. Il suo com-

te illustrare opere e riviste artistiche, storiche e scientifche. Ma

pito principale è quello di eseguire le riproduzioni fotografche

se la grande invenzione è stata ed è in mille guise dai singoli

«del materiale artistico immobile e mobile esistente nel Regno

istituti o dai privati utilizzata ed applicata, non vedo però che

e nelle Colonie» e di vendere copia di dette riproduzioni presso

si sia pensato a raccolte pubbliche, dove i prodotti d’essa si tro-

la Regia Calcografa dove già avveniva lo «spaccio» delle stampe

vino in numero cospicuo e con ordine disposti. I vantaggi che

_ 87

Firenze, Archivio Storico delle Gallerie Fiorentine, Direzione,

s’avrebbero da questa specie d’archivio fotografco sono evidenti.

in qualità di disegnatore al Museo Archeologico e scavi, ma nel

Ognuno potrebbe ricercarvi molti dei documenti grafci che gli

ruolo organico non fo ancora parte ed è perciò che dal mio di-

abbisognano per i suoi studi; né solo agli sprovvisti di mezzi vi

rettore stesso fui consigliato di rivolgermi al Prof. Ricci; e oltre

troverebbero un giusto aiuto; ma tutti indistintamente, ricchi

l’aiutarmi nell’entrare in un Uffcio Regionale fsso se vuole

o poveri, dalla quantità del materiale raccolto e dalla regolare

ottenere che io entrassi in pianta. Credo bene a tal scopo infor-

disposizione d’esso, sarebbero grandemente agevolati nel lavoro

mare Lei pure caro e gentil Cavaliere dei lavori eseguiti d’ordine

e nella ricerca. In tale deposito si raccoglierebbero, nel maggior

dell’Uffcio Regionale Emiliano i quali sono lo scoprimento e

numero possibile, fotografe d’opere d’arte, di luoghi, d’avveni-

restauro degli affreschi in S. Caterina di Montovolo, il plafone

menti, di persone ragguardevoli in ogni campo dello scibile;

in affresco d’Imola, la sala del Franceschini nel Palazzo Bonini,

perché l’archeologo, il critico e l’artista, che compiono uno stu-

diverse fotografe ortocromatiche degli affreschi d’Innocenzo

dio o una ricerca sopra una qualche opera o sopra un pittore,

d’Imola nella palazzina Viola (Bentivoglio) all’Orto Botani-

uno scultore, ci potessero trovarvi in gran parte riunito ciò che

co, la classifcazione generologica dei Monumenti a Ravenna

amano di conoscere; gli architetti, avervi esempi di costruzio-

ecc. ecc. / Nell’arte decorativa poi Ella sa bene come nella villa

ni; i geograf, vedute di paese; gli storici, una larga provvisione

Cennè sue sale nel Palazzo in Città nonché villa Pancaldi caffè

iconografca; gli artigiani, in genere, i saggi migliori di quanto

del Pavaglione, prospettive all’incausto e imitazione all’antica

è stato fatto o si fa nel loro mestiere; gli editori, infne, un utile

ecc. ecc. mi procurasse apprezzamenti e lode. Ebbi pure incarico

materiale per opere e rassegne illustrate».

dell’insegnamento della geometria all’Istituto Aldini Valeria-

4

Ravenna, Biblioteca Classense, Fondo Ricci, Carteggio – Cor-

ni sostituendo l’Ing. Dell’Acqua e fui insegnante ancora nella

rispondenti Perazzo, vol. 147, n.27525. In questa lettera così

scuola professionale serale nell’Istituto Don Neri... / Ciò che do-

descrive la sua formazione: «Taranto 22 novembre 1901 Con

mando è d’essere messo in pianta e possibilmente in un Uffcio

lettera dell’amico Vellani (direttore del Liceo Musicale del Co-

Regionale ove potrei meglio spiegare i miei studi d’arte bizanti-

mune di Bologna, amico di Ricci N. d. A.) apprendo del vivo

na, romanica e medievale ecc. ecc.». Da questa corrispondenza si

interessamento che Ella si è preso per me e ne sono grato. / Si è

vede il largo raggio di attività di Vincenzo Perazzo, che si forma

che nel Tacco d’Italia le fu suo scolaro in storia dell’arte nella R.

all’Accademia di Belle Arti di Bologna come pittore e decora-

Accademia di Bologna e affdatomi il restauro di affreschi nel-

tore; esercita la sua abilità nel restaurare la chiesa di Santa Ca-

la chiesa di Montovolo (Uff. Regionale) in una gita col Vellani

terina d’Alessandria di Montovolo nell’Appennino bolognese.

ebbi fortuna di rinnovare la di Lei conoscenza a Castiglione dei

Questo restauro è eseguito nel 1896 e nella relazione coeva il

Pepoli colle spettabili famiglie Martucci Sanguinelli Pesci. Qui

Perazzo è chiamato pittore. La corrispondenza tra Ricci e Pe-

a Taranto mi trovo bene essendovi per direttore il Quaglioti mio

razzo è stata esaminata dalla scrivente in Primi anni di attivi-

amico di studi a suo tempo; ma la incerta posizione in avveni-

tà del Gabinetto Fotografco 1904-1922, Quaderni del Gabinetto

re mi fanno restare un po titubante e non avere la tranquillità

Fotografco della Soprintendenza Speciale per il Polo Museale

voluta onde eseguire sempre più con coscienza i lavori affdato-

forentino, n. 1, Livorno 2011.

mi. / Pur oltre all’archeologia di comune accordo col Direttore

5

studio i Monumenti medievali e le chiese, ritraendone fotogra-

rispondenti Perazzo, vol. 147, n. 27536. Taranto 20 agosto 1905:

fe disegni e facendone cenni storico critici, ma ora si trovano

«Oggi fui chiamato al Museo per notifcarmi la Ministeriale in

al Ministero. Sia i miei disegni (a parte la modestia) la di Lei

data 23 agosto 1905 n. di protocollo 12863 che dice “il suddetto

infuente parola, l’appoggio dell’amico direttore Quaglioti che

Ministero ha trasferito il Perazzo al Gabinetto Fotografco delle

ora è a Roma mi danno a sperare di un prossimo miglioramen-

Gallerie di Firenze colla stessa qualità di disegnatore cottimista

to della mia incerta posizione… / Mi rivolgo a Lei ripetendole

e con un compenso non superiore alle 100 lire mensili... Questo

che a Taranto mi trovo abbastanza bene…». In un’altra lettera

provvedimento che deve aver effetto dalla data della presente è

(Ravenna, Biblioteca Classense, Fondo Ricci) Carteggio-Corri-

stato preso anche per ragioni d’uffcio, avendo il Direttore delle

spondenti Vellani, vol. 198, n. 56871, Taranto 5 ottobre 1901 nar-

RR. Gallerie di Firenze richiesto l’opera del Perazzo per la de-

ra al Vellani la sua formazione e le sue prime opere: «…non so

fnitiva sistemazione e per la regolare funzione del Gabinetto e

se ricorda che fui chiamato a Taranto per ordine Ministeriale

dell’Archivio fotografco di detto Istituto. / Potrà idearsi sulla

_ 88

Ravenna, Biblioteca Classense, Fondo Ricci, Carteggio – Cor-

commozione avuta (che effettuava fnalmente mercè Lei il mio

ancora da stampare, soprattutto vi è il lavoro che il Perazzo sta

più bel sogno e voto)…».

compiendo per l’Elenco indicativo degli oggetti d’arte, lavoro

6

Ravenna, Biblioteca Classense, Fondo Ricci, Carteggio – Corri-

sotto tutti i rispetti utilissimo e di molta urgenza, che da una

spondenti Perazzo, vol. 148, n. 27575, Firenze 26 novembre 1910,

sua partenza sarebbe addirittura compromesso. Poiché ella ha

Perazzo chiede al Ricci la creazione del ruolo dei fotograf e la

avuto la cortesia di chiedere su ciò il mio parere, La consiglie-

possibilità di autonomia amministrativa per il Gabinetto Foto-

rei di rispondere al Perazzo che terrà presente la sua dimanda

grafco: «…Ho saputo che vogliono fare un organico a parte per

di trasferimento a Bologna, ma che intanto torni a Firenze e

l’Opifcio, la Calcografa e il Gabinetto Fotografco Nazionale

riprenda i suoi lavori incompiuti; una volta che il Perazzo sia

di Roma..la parte modesta fn ad ora ò condotto questo gabinetto

qua penserò io a fargli abbandonare l’idea di lasciare Firenze».

procurando di fare del mio meglio…ciò se chiedo se a Lei piace-

9

rà e se crederà mi possa giovare in miglioramento il passaggio

10

dal ruolo dei disegnatori a quello di fotograf!!».

sferito a Firenze il 28 luglio 1911. Muore a Firenze il 1o febbraio

7

1968.

Questi affreschi sono pubblicati dalla scrivente in Primi anni

Ibidem. Nicolò Cipriani è nato a Ravenna il 1o dicembre 1892 e si è tra-

N. ciPriani, La Mostra fotografca del paesaggio toscano, “Illu-

di attività del Gabinetto Fotografco seconda parte: 1904-1922,

11

Quaderni del Gabinetto Fotografco della Soprintendenza Spe-

strazione Toscana”, maggio 1927, anno V, n. 5, pp. 21-27. «Alla

ciale per il Polo Museale Fiorentino, n. 2, Livorno 2012.

mostra del 1927 Cipriani Nicolò di Firenze presenta quindici

8

Ravenna, Biblioteca Classense, Fondo Ricci, Carteggio – Corri-

ingrandimenti della spiaggia di Viareggio, interessanti turisti-

spondenti Perazzo, vol. 148, n. 27625, 5 febbraio 1916. Da questa

camente poiché, in tutta la loro semplicità di stampa al bro-

data il Perazzo chiede di tornare a Bologna, ma i veri motivi del-

muro, offrono una attrattiva particolare per il taglio allungato

la sua richiesta sono spiegati in una lettera che Giovanni Poggi

delle fotografe che, eliminando le parti superfue di cielo e di

scrive a Ricci: «La ringrazio di avermi trasmesso la lettera del

primi piani stradali, pone in risalto il soggetto principale. Il va-

Perazzo, che Le restituisco con questa, e secondo il suo desiderio

sto campo abbracciato con effetto grandangolare, senza danno

riservatamente e francamente rispondo. / So le ragioni per cui

della prospettiva, permette di presentare anche soggetti archi-

il Perazzo ha colto il pretesto delle sue condizioni di famiglia

tettonici bene ambientati, cioè completati da elementi accessori

per chiedere il trasloco a Bologna. Ella che conosce da tempo

che valgono a stabilire l’esatta ubicazione di essi. I più notati per

il Perazzo e ne apprezza ed ama, come me, le ottime qualità, si

le caratteristiche su accennate sono “Litorale di Viareggio dal

sarà anche accorto che egli, mentre è ottimo fotografo e lavora

Molo”, “Royal Hotel e Kursaal”, “Select Palace Hotel”, “Pine-

con sentimento e passione di artista, come amministratore è un

ta di Levante”, “Pineta di Ponente col tennis”, “Lago di Massa-

po’ disordinato, cosicchè è avvenuto che, avendo il Gabinetto di

ciuccoli”, ecc. Il Gabinetto Fotografco della R. Soprintendenza

Firenze preso col tempo un sempre maggiore incremento, era

all’arte medioevale e moderna di Firenze presenta una serie di

però rimasta un po’ di confusione nell’ordinamento del ma-

Castelli e Torri ed una del Monte Amiata, nonché due serie di

teriale, catalogazione delle positive e negative eseguite, etc. A

ingrandimenti da negativi dell’Ispettore onorario dei monu-

tutto ciò è stato recentemente posto riparo, con l’intervento del

menti, Cav. Alessandro Del Vita, appassionato dilettante».

Segretario della Soprintendenza, sig. Cipriani, cosicchè tutto

12

il materiale è ora in perfetto ordine. Ma questo riordinamento

Diego Garoglio, coadiuvato dal comm. Vittorio Alinari, dal cav.

non è avvenuto senza che la suscettibilità del Perazzo non ne sia

Raffaele Bacci e dal fotografo Nicolò Cipriani. A p. 12 della re-

rimasta un po’ offesa. E qui sta la vera ragione per cui, passato

censione dell’Esposizione, pubblicata su “Illustrazione Toscana”

questo primo momento, e trattandosi di due ottime e brave per-

si dice: «RR. Gallerie di Firenze: un intiero reparto della mostra

sone, come il Perazzo e il Cipriani, il malinteso cesserà e tornerà

è occupato da fotografe scelte con sentimento artistico e divise

fra i due la pristina cordialità. E io farò il possibile perché la

per Comuni. Il Paesaggio Toscano è qui sinteticamente illustra-

riconciliazione avvenga al più presto. Premesso ciò, debbo dirle

to in quanto ha di più attraente. Questa bella collezione, voluta

che l’allontanamento del Perazzo dalle Gallerie in questo mo-

e diretta dall’ill. Comm. Poggi, è stata ordinata egregiamente

mento sarebbe un grandissimo danno. Vi sono molti lavori in-

dal Sig. Nicolò Cipriani, Fotografo Capo delle RR: Gallerie, che

terrotti da riprendere e terminare, vi sono centinaia di negative

espone personalmente due bellissime autocromie».

_ 89

In questa mostra il comitato esecutivo è presieduto dal prof.

M i c h e l a n g e l o , l a r i l e t t U r a i n f i n i t a

laUra seraNi

Nel corso del tempo il porsi della fotografa rispetto alle realtà del mondo, comprese le sue espressioni artistiche, è andato cambiando. Parallelamente all’evoluzione del ruolo, delle fnalità e alla conseguente trasformazione dei linguaggi visivi, oltre che strumento di pura documentazione e divulgazione, la fotografa viene progressivamente riconosciuta in quanto chiave di rilettura e di reinterpretazione del reale, poi di espressione artistica e creativa originale, inscrivendosi pienamente nella storia dell’arte degli ultimi centottant’anni. Superata la circosπezione iniziale verso questa nuova forma di rappresentazione, pittori e scultori ne hanno rapidamente colto il potenziale e l’utilità, coscienti come Rodin che la diffusione di copie seriali, avrebbe raggiunto un pubblico molto più largo di quello che poteva avere accesso alle opere originali. La riproduzione delle opere d’arte, destinata a collezioni e archivi, ad uso pedagogico o decorativo è allora, altrettanto rapidamente, diventata un’attività importante per numerosi fotograf e studi fotografci e questi elementi d’interesse reciproco, sono la base di relazioni complici, tra artisti e fotograf, ancora oggi in vigore. Dalla nascita del nuovo medium, le opere del Buonarroti, come il testo di Monica Maffoli, qui in catalogo, racconta e documenta dettagliatamente, sono state probabilmente tra le più fotografate, partecipando direttamente alla costruzione del mito Michelangelo. Ma una volta espletate le funzioni prime di documentazione e di divulgazione, oltre alla potenza e alla bellezza dell’opera, immensa ma relativamente rara, che cosa continua a motivare artisti e fotograf a ritrarre ancora il David, le Pietà, il Mosè, tante volte ripresi da tutti i punti di vista possibili, e a confrontarsi ancora all’universo michelangiolesco? Forse la personalità forte e complessa che ancora intriga, affascina e intimidisce quanto l’opera, offre una chiave d’interpretazione del magnetismo esercitato ancora oggi da Michelangelo.

_ 91

HaNs MaDej Europe, Italy, Tuscany, Florence Souvenirshop with models of David built by Michelangelo, 2005 © Hans Madej/Laif/Contrasto

Artista assoluto in un’epoca in cui il sapere spa-

da Rodin, citando Michelangelo1. O ancora: «E piu mi

ziava dalla scienza all’arte e all’arte del costruire, Mi-

giova dove piu mi nuoce […], La mia allegrez’ è la ma-

chelangelo oltrepassa ogni immaginario possibile

ninconia […], Mille piacer non vaglion un tormento!»2.

della fgura contemporanea dell’artista globale, in un

E contemporaneo per la libertà dei codici di rap-

tempo come il nostro in cui la specializzazione domi-

presentazione che inventa e impone, come la spro-

na tutti gli aspetti e in tutti i settori dell’attività econo-

porzione dei corpi, tesa a esprimere caratteri morali

mica, sociale e creativa.

e relazioni tra i personaggi, o la sensualità austera e

Investito dell’attributo di un carattere divino,

sconcertante, futuri elementi di ricerca e di scoperte

della missione di rivelare su terra la bellezza celeste e

infnite per la fotografa. Le sue sculture, concepite

di trovare una forma fnita all’assoluto, Michelange-

come Forma dell’Idea, espressione del divino, oggi si

lo è al tempo stesso estremamente attuale, nel crede-

prestano a un’ulteriore lettura dove appaiano princi-

re l’idea preesistente alla forma, nella ricerca conse-

palmente come espressione della forza e dei tormenti

guente della forma che rifetta l’idea e dell’equilibrio

tutti umani di Michelangelo. Già mito al suo tempo,

tra l’essere spirituale e corporale. Attuale per il modo

da allora continua ad attirare e folgorare visitatori,

di vivere, pienamente ed esclusivamente, l’essere ar-

studiosi e artisti, fno ad abitare ormai un immagi-

tista, in un confitto continuo tra la necessità d’auto-

nario collettivo dove le sue opere diventano la fgura

nomia, le pressioni fnanziarie e i giochi d’infuenza;

stessa della scultura. Gli artisti sembrano allora inte-

vincolato, in un rapporto sofferto col potere, a papi e

ressarsi a Michelangelo come a un archetipo della cre-

principi che, nella celebrazione della propria gloria e

azione artistica, ognuno a suo modo e con motivazioni

del proprio nome, rendevano possibile la realizzazione

diverse, come sotto l’infusso, il magnetismo dei mas-

delle sue opere e dei suoi progetti più ambiziosi.

simi sistemi, per accostarsi al segreto della bellezza, per misurare le valenze e i limiti della rappresentazione o

L’esigenza estrema e i ritmi estenuanti di lavoro

per rendere omaggio a un maestro assoluto.

autoimposti giorno e notte, raccontati dai suoi biograf, illustrano un processo creativo sofferto e che sap-

Le rifessioni di Rodin che riaffermano l’impor-

piamo spesso interminabile. Come interminabili le

tanza e l’infuenza di Michelangelo, al tempo stesso

ricerche del marmo, che Michelangelo, come è noto,

aiutano a coglierne il carattere essenziale e doloroso:

riteneva contenesse già in sé le sculture da liberare

«S’il m’est permis de parler un peu de moi, je vous dirai

della massa superfua, con un’attenzione alla materia

que j’ai oscillé, ma vie durant, entre les deux grandes

che anticipa la consapevolezza del valore dei materiali

tendances de la statuaire, entre la conception de Phi-

tipica dell’arte contemporanea.

dias et celle de Michel-Ange. Je suis parti de l’Anti-

La problematica del ruolo e del posizionamento

que ; mais lorsque j’allai en Italie, je me suis épris sou-

dell’artista nel suo tempo e i tormenti di Michelange-

dain du grand maître forentin, et mes œuvres se sont

lo, sembrano per alcuni aspetti vicini alle diffcoltà e

certainement ressenties de cette passion. / Depuis, sur-

alle urgenze a cui la creazione è confrontata oggi, con

tout dans les derniers temps, je suis revenu à l’Antique.

i relativi quesiti sulle forme dell’impegno artistico,

/ Les thèmes favoris de Michel-Ange, la profondeur de

sull’indipendenza delle scelte di fronte agli imperativi

l’âme humaine, la sainteté de l’effort et de la souffran-

del mercato, pensando il mercato dell’arte contempo-

ce sont d’une austère grandeur. Mais je n’approuve pas

ranea come l’equivalente della fgura dei mecenati, ai

son mépris de la vie. L’activité terrestre, si imparfaite

quali si è andato via via sostituendo.

qu’elle soit, est encore belle et bonne. / Aimons la vie

Contemporaneo Michelangelo anche per le con-

pour l’effort même qu’on y peut déployer. / Pour moi,

traddizioni, le inquietudini e la malinconia pre-roman-

j’essaie de rendre sans cesse plus calme ma vision de la

tica: «Pourquoi espère-t-on plus de vie et de plaisir – dit-

nature. C’est vers la sérénité que nous devons tendre. /

il dans un de ses beaux sonnets –. La joie terrestre nous

Il restera toujours en nous assez de l’anxiété chrétienne

nuit d’autant plus quelle nous séduit davantage», ricor-

devant le mystère»5.

_ 93

Mosè di San Pietro in Vincoli, Due fotogrammi tratti dal cortometraggio Lo sguardo di Michelangelo di Michelangelo Antonioni (15’, 2004). Produttori: Istituto Luce Cinecittà e Lottomatica Produttore esecutivo: Zelap srl

Nonostante la comparsa di nuove visioni e di nuo-

natura dei corpi. «Plus vrai que nature…» Frammenta-

ve flosofe, l’infuenza del mito Michelangelo, espres-

te in primi piani, spalle, teste, membra assomigliano a

sa nella forma di confronto ed esplorazione dell’opera

rovine, mentre esaltate o confuse dalla luce, le fgure

o come fonte d’ispirazione, doveva persistere nel corso

assumono le sembianze di corpi viventi.

dei secoli in maniera indelebile nella cultura occiden-

I riferimenti all’Antichità e l’invocazione del

tale. Tuttora soggiacente, senza eccezioni per la foto-

mistero della vita, trovano con la fotografa un proce-

grafa che ha offerto e offre potenzialità uniche di let-

dimento illusionistico perfetto per esprimere la con-

tura e rilettura alla scultura che, in cambio, le offre i

tinuità temporale e suscitare dubbi e ambiguità tra

più perfetti dei modelli.

l’animato e l’inanimato. La fotografa allora perturba

La fotografa, visiteuse, visitatrice complice della

la percezione dell’opera, vela la natura della materia

scultura in generale, nella statuaria di Michelangelo

e l’assenza di proporzioni, trascendendone i limiti in

esplora incessantemente il mistero della creazione,

illusioni visive.

sottolinea la raffnatezza anatomica, valorizza la per-

Nel confronto diretto con l’opera, oppure in ac-

fezione dei movimenti nell’incongruità dello sforzo,

curate messe in scena allegoriche, seguendo ognuno

esalta le forme, i volumi, le tensioni muscolari, rompe

la propria sensibilità, gli autori presenti nella mostra

o accentua la solitudine delle fgure.

Ri-conoscere Michelangelo, lavorano su aspetti e concet-

Gérard Rondeau, fotografando lo Schiavo moren-

ti diversi, evidenziando a volte il non fnito, dove sem-

te, sembra aver scelto di seguire il volere di Michelan-

bra afforare l’eco dell’antichità e del gotico, a volte la

gelo, mettendo in evidenza gli elementi simbolici che

distorsione o la tensione dei corpi tesa a indicare per

hanno ispirato la realizzazione della famosa statua: la

Michelangelo il carattere morale della fgura rappre-

lotta dello spirito contro la materia, rappresentata da

sentata, ciascuno insistendo sui punti di risonanza, a

catene quasi invisibili in allusione a vincoli d’ordine

volte la grandezza e la forza, altre volte la sensualità

morale, la torsione dell’anima su se stessa, la sofferen-

pertanto mai rivendicata, o ancora la malinconia.

za. Elementi simbolici, al di là della rappresentazione,

Accostandosi all’opera da vicino o da lontano, se-

attraverso le fgure destinate al monumento funerario

guendo l’idea di Rodin per cui il frammento è altret-

di papa Giulio II, delle province da lui conquistate. La

tanto forte e completo dell’intera fgura, o situando

scelta dell’opera, l’inquadratura parziale, la luce che

l’opera nello spazio inteso come quinta teatrale, ogni

dal basso sottolinea la postura del collo e il movimento

autore forte del proprio vissuto e del proprio sistema

della mano e lascia l’oscurità assorbire la fgura come

creativo mette in scena immagini singolari per una

sospinta indietro dalla massa della materia, sembrano

visione corale, dove risuona l’eredità lasciata da Mi-

un riferimento all’incompiuto, costante dell’opera e

chelangelo.

dramma di Michelangelo, mai cancellati da ricono-

Creando in relazione a un luogo determinato, se

scimenti e onori, né dal mito che lo circondava.

non appositamente concepito, Michelangelo non la-

La fotografa a volte trascende e instaura con la

sciava niente al caso, teneva conto dello spazio e del-

scultura un dialogo sul vero e il falso: le statue, da evo-

la prospettiva, della provenienza della luce, del punto

cazione di corpi immobili, con la fotografa si trasfor-

di vista principale e dell’ambientazione per creare un

mano in corpi reali dalle fattezze statuarie. La scultura

progetto complesso di cui l’opera diventava parte, pro-

imita, sublima e smembra i corpi in movimento fno a

cedimento proprio e preliminare alle opere, che oggi

rendere credibile la materia inerte. La fotografa spin-

sarebbero state defnite site specifc.

ge più lontano questo gioco confondente, conduce in

La Pietà Rondanini, l’ultima scultura alla quale

un labirinto di specchi dove tutti gli effetti sono possi-

Michelangelo aveva lavorato fno a pochi giorni pri-

bili: frammentazioni, isolamento dei dettagli, abbagli

ma della morte, sfugge a quelle caratteristiche tanto

e chiaroscuri generano una nuova e diversa lettura che

presenti nelle altre opere, come la lotta, la dualità e la

rinforza il mistero della perfezione e l’enigma sulla

violenza dei movimenti. Le due fgure in piedi, espres-

_ 96

maÏmouna guerresi Sospensione mosaica o Moisa, 2009. Studio Copernico-Materima, Casalbeltrame (Novara)

sione della tendenza all’astrazione di Michelangelo,

e iconografa vernacolare, passato e presente, storia e

appaiono disincarnate, liberate dal peso della materia

vissuto, in dispositivi scenici in cui le loro opere a vol-

ma non libere, piegate sotto il peso della sconftta.

te appaiono come dei presagi.

Quella della Pietà Rondanini resta un’immagine

Quanto alle preferenze / references del pubblico

assai rara anche nell’insieme dell’opera di Gabriele

di oggi, habitué di mostre e viaggi standardizzati da

Basilico, eppure perfettamente coerente con la visione

un turismo culturale in espansione, spaziano dall’An-

dello spazio che prevale in tutti i suoi lavori. Piuttosto

tica Grecia al Novecento, spesso nutrite da rappresen-

che focalizzarsi su monumenti e singole costruzioni,

tazioni seriali.

che vede e defnisce come dettagli di un insieme, con-

Tim Parchikov, sulle tracce della nuova borghe-

suetudine di Basilico è privilegiare il paesaggio, il pa-

sia russa, individua nell’attrazione attuale per le copie

esaggio urbano, i piani larghi, che raccontano la storia

di statue antiche e classiche, la ricerca di uno status

di territori e di città in permanente trasformazione. In

symbol, di un riferimento culturale che partecipi ai

questo caso, la stanza diventa paesaggio e partecipa alla

segni esteriori di riconoscimento e di riuscita; come

costruzione dell’immagine, Gabriele Basilico ritrae la

se le copie delle statue create per la gloria dei poten-

Pietà Rondanini a una distanza che permette di abbrac-

ti e destinate oggi a ornare dimore e giardini privati,

ciare lo spazio circostante, come a esprimere una pre-

potessero diffondere la propria aura sui nuovi pro-

occupazione costante e a creare un equilibrio con gli

prietari. Parchikov si interroga sul senso della copia

elementi centrali. Isolati per meglio esprimere la tra-

all’epoca del consumismo e della riproduzione massi-

gicità dell’opera, Maria e il Cristo risultano immersi

va e si interessa alle sculture, di tutte le taglie, fogge e

in una solitudine e una malinconia assolute. Lo spazio

colori, pronte a lasciare i capannoni dei cantieri nelle

per metà precipitato nell’oscurità, rinvia alla dualità

periferie italiane per raggiungere in Russia le ville di

tra il giorno e la notte, il bene e il male.

nuovi magnati.

In questo vuoto e in una luce che ne accentua la

ll David di Michelangelo, onnipresente e decli-

purezza delle forme, la Pietà incompiuta, terribile di

nato in tutte le sembianze, dalle statuine in resina fo-

bellezza e religiosità, sembra respirare la condanna di

sforescente alla stampa grandezza naturale su eleganti

Michelangelo a non terminare le sue opere maggiori,

quanto discreti grembiuli da cucina, sarebbe sicura-

come la Tomba di Giulio II, protrattasi per quarant’an-

mente al primo posto di un ipotetico ma interessante

ni, o la facciata della chiesa di San Lorenzo a Firenze

Top ten delle vendite di “prodotti derivati culturali”. Hans Madej, in un approccio simile a quello di

o, ancora, la Biblioteca Laurenziana. Opere dove anche

Parchikov, crea un effetto di vertigine fotografando

l’incompiuto si trasforma in sublime. Durante il Rinascimento il ritorno del fascino per

schiere di statuette miniatura allineate sulle banca-

le rovine greche, che lasciavano immaginare il movi-

relle di Firenze, pronte ad atterrire su mensole e ca-

mento dello spirito liberatosi dalla materia e indovi-

minetti dove un giorno poter essere fotografate da un

nare la forma delle opere originali, infuenza gli ar-

Martin Parr ispirato, poi col passare del tempo acqui-

tisti e il gusto del pubblico. A partire dalla metà del

stare una certa dignità e chissà, magari un valore non

Settecento, il culto dell’Antico e la poetica delle rovi-

solo affettivo, come souvenir d’epoca.

ne ritornano regolarmente, con motivazioni e forme

L’infuenza di Michelangelo, irrigando ogni

variabili da un’epoca all’altra, fno all’affermazione

sfera della creazione, al di là della rappresentazione

progressiva del carattere metaforico e poi metafsico.

dell’opera, si estende fno all’evocazione metaforica e

Artisti contemporanei come Mimmo Jodice, Dahn

integra l’universo creativo di artisti pluridisciplinari

Vo ed Ernest Pignon-Ernest, nonostante le differenze

come Youssef Nabil o Maïmouna Guerresi.

che li contraddistinguono, hanno in comune l’uso e

Youssef Nabil nel suo primo flm You never left

il ricorso a frammenti e vestigia del passato, prossimo

(8’; 2010) mette in scena una Pietà orientalista dove

o remoto, per mettere in risonanza icone universali

Fanny Ardant, in madonna dalle sembianze d’eroi-

_ 98

na greca, tiene sulle ginocchia il corpo abbandonato

sticità, in contro campo appare e scompare Antonio-

del giovane Tahar Rahim; sul fondo, un’oasi di palme

ni, lo sguardo fsso sul Mosè, soggiogato, interrogativo

nane. Immagine tipica dell’universo così particolare

e malinconico.

di Nabil, intriso di referenze cinematografche e pit-

L’infuenza di Michelangelo continua d inter-

toriche, dove i cliché in bianco e nero sistematicamente

pellare e ad abitare l’immaginario non solo di artisti

ricolorati con tinte tenui, partecipano a esprimere una

e cineasti. Ulteriore conferma il romanzo Parle-leur

serenità, una sensualità e una nostalgia atemporali.

de batailles, de rois et d’éléphants, dove Mathias Enard

Evidente per Maïmouna Guerresi, il cui univer-

intrecciando fatti storici, indizi e fnzioni racconta il

so è il risultato dell’elaborazione di un profondo mi-

viaggio di Michelangelo a Costantinopoli in risposta

sticismo, il richiamo palese al Mosè di Michelangelo,

all’invito del sultano Bajazet e alla proposta di conce-

nella scultura di grandi dimensioni, in resina bianca,

pire un ponte sul Corno d’Oro, dopo il fallimento di

chiamata Sospensione Mosaica o Moisa, raffgurante

Leonardo da Vinci nella stessa impresa.

una donna sospesa dal suo stesso velo, che lascia sco-

La cronaca del misterioso viaggio e della sco-

perta solo parte del capo dove spuntano due protube-

perta di Costantinopoli diventa il supporto a un con-

ranze, rappresentazione materica della luce. Ulteriore

fronto tra il pensiero del Rinascimento e il mondo

riferimento al Mosè, il ricorso al bianco, quarto, nella

ottomano, il pretesto per tracciare un appassionante

flosofa suf, dei sette colori che, associati a uno dei

ritratto del genio, delle esitazioni e delle contrad-

sette profeti, compongono i sette gradi del cammino

dizioni di Michelangelo e, per fnire, la maniera di

evolutivo dell’essere verso Dio.

far rivivere uno dei suoi grandi progetti rimasti in-

Un altro misticismo vibra nell’ultimo cortome-

compiuti. Progetto che, assunto a simbolo di manca-

traggio di Michelangelo Antonioni, Lo sguardo di

to ponte tra due civiltà, solleva questioni ancora oggi

Michelangelo (15’, 2004), successione di travelling si-

sensibili e d’attualità.

lenziosi che esplorano ed esaltano dei particolari della statua del Mosè, flmata nella penombra della chiesa di San Pietro in Vincoli a Roma.

1

La cinepresa sale e scende in piano serrato lungo

Propositi di Rodin, in L’Art, entretiens réunis par Paul Gsell,

cap. X, Paris, Grasset, 1911.

tutto il corpo, si sofferma sul volto, le mani, le pieghe,

2

ma ritorna sempre sugli occhi, il più nobile dei sensi

r. rolland, Vie de Michel-Ange, Paris, Librairie Hachette, 1947.

secondo i neoplatonici. Mentre la cinepresa sembra

3

cercare di penetrare il mistero della forza e della pla-

cap. X, Paris, Grasset, 1911.

_ 99

Poésies, Édition Carl Frey, capp. XLII, LXXXI, LXXIV, in

Propositi di Rodin, in L’Art, entretiens réunis par Paul Gsell,

M U d d a

i c h e l a n g e l o : n a s t o r i a ’ i M M a g i n i , a l s a s s o l p i x e l

Cr isti Na aCi Di N i

Lo sguardo deLL’artista, vista e visione Da qualsiasi parte si prendano a considerare la vita e l’opera di Michelangelo Buonarroti – e da qualsiasi parte, esse non possono che confermare i loro requisiti di eccezionalità nello scenario artistico di tutti i tempi – ci si va a confrontare con questioni di vista e di visione, di soggetto che guarda e di oggetti guardati, di sguardo che intuisce e di sguardo che progetta. Michelangelo per primo non esitò a testimoniare le proprie grandi fatiche nel cimento con la materia e con i luoghi, quindi con le condizioni duramente fsiche e tangibili del suo lavoro indefesso: da scultore l’approvvigionamento dei marmi e poi il maneggio del trapano, del mazzuolo e degli altri arnesi per la lavorazione estrema del marmo (fn nella tarda età, come ricordò il diplomatico francese Blaise de Vigenère, che avendolo visitato tra il 1549 e il 1551 lo descrisse, settantacinquenne, pieno d’impeto e di furia mentre fra le scintille del mazzuolo faceva saltar via grosse scaglie dal blocco, probabilmente per la Pietà Bandini), così come da pittore il cimento con l’intonaco fresco di volte e pareti, che nel caso della Volta Sistina ebbe a procurargli per la protratta posa innaturale le dolorose deformazioni corporee, sulle quale egli stesso fece dell’ironia nel sonetto «I’ho già fatto un gozzo in questo stento», accompagnato da una vignetta caricaturale1. E tuttavia alla radice dei processi creativi di Michelangelo, come in molti altri artefci ma in lui in misura più vasta e profonda, s’intuisce una potente capacità di visione che genera rappresentazioni interiori, preliminari a qualsiasi studio o mossa. Quando Michelangelo fa allineare sulla marina di Avenza i blocchi di marmo di varie forme e misure, già all’interno di ognuno di essi il suo sguardo ha cercato e visto la fgura ivi racchiusa, che gli altri non vedono ancora, imbozzolata e celata com’è nell’opaca massa del «superchio» (Rime 151) che l’avvolge. Nei disegni di quei blocchi marmorei conservati nei fogli dell’Archivio Buonarroti, già sta-

_ 101

MiCHelaNgelo David, 1501-1504, particolare dopo il restauro del 2004. Firenze, Galleria dell’Accademia (foto: Antonio Quattrone, Firenze).

tue, capitelli, colonne, basi, elementi di trabeazione

poco a poco del pari, così vengono a scoprirsi prima le

giacciono in un sonno opaco, in attesa del risveglio

parti più rilevate et a nascondersi i fondi, cioè le parti

liberatore. Non con l’occhio dell’uomo qualunque

più basse della fgura, tanto che nel fne ella così viene

che vede solo il mondo sensibile, ma grazie all’occhio

scoperta tutta. Nel medesimo modo si debbono cavare

dell’anima, che secondo la dottrina neoplatonica (en-

con lo scarpello le fgure de’ marmi, prima scoprendo

tro la quale avvenne la prima e decisiva formazione di

le parti più rilevate e di mano in mano le più basse;

Michelangelo) può essere educato alla percezione de-

il quale modo si vede osservato da Michelagnolo ne’

gli intelligibili, l’artista penetra l’irregolare spessore

sopradetti Prigioni».

del materiale e trova in esso il futuro della sua opera,

Mi è già occorso di rifettere su come il motivo

con un decisivo sguardo mentale che appartiene già,

della visione di oggetti di altissima rilevanza attraver-

esso stesso, all’atto creativo. Quel suo senso aggiuntivo

so trasparenze, che vanno dal solido all’etereo, sia un

e personale si esercita attraverso un organo interiore,

motivo di ascendenza dantesca. Nella prima cantica ci

cui potremmo attribuire i requisiti dell’emblema pre-

viene incontro dalla profonda Antenora infernale la

scelto da Leon Battista Alberti nel cuore del xv secolo:

descrizione delle anime dannate sigillate nel ghiaccio

un occhio alato e folgorante, che guizza per l’aria del

limpido e terso, ognuna di loro visibile «come festuca

Creato. Del resto, proprio Leon Battista aveva parla-

in vetro» in grande varietà di pose, anche le più in-

to, per la scultura, di «fgura indita et abscondita» nel

naturali e attorte: «Altre sono a giacere; altre stanno

materiale lapideo. E Marsilio Ficino, in chiave neo-

erte, / quella col capo e quella con le piante; / altra,

platonica, di bellezza nascosta che, vista dall’intuito

com’arco, il volto a’ piè rinverte»3. Motivo di prigionia

chiaroveggente, vien liberata togliendo l’eccesso2.

che ha un’eco speciale nei versi con cui Michelangelo

Trasparenza, dunque: trasparenza e immedia-

stesso apre le rifessioni amare e ironiche delle terzine

tezza di visione da parte dell’artista, laddove l’uomo

di Rime 267: «Io sto rinchiuso come le midolla / da la

comune vede soltanto materia informe e inespressiva.

sua scorza, qua pover e solo, / come spirto legato in

Di fronte al blocco per due volte intaccato e per

un’ampolla», dove si susseguono, a denotare un sen-

due volte abbandonato presso l’Opera di Santa Ma-

so di contenimento claustrofobico, due similitudini

ria del Fiore, gli basta far saltar via un certo «nodo»

illuminanti nella loro diversità: quella naturalistica

per vedere che può cavare dal marmo il «suo» David:

del midollo vegetale rinserrato dalla corteccia opaca

e solo allora sottoscrive il contratto. Nella capacità di

(ricordando che “scorza” era un termine usato anche

far emergere la forma dall’informe risiede, secondo

per la pelle ruvida del marmo), e quella tecnica dello

Michelangelo, la superiorità dello scolpire il marmo

spirito chiuso nella vetreria alchemica, visibile nella

rispetto al modellare i materiali plastici e al fondere

sua prigione «come festuca in vetro». All’opposto nel-

statue bronzee. «Io intendo scultura, quella che si fa

la terza cantica dantesca, del Paradiso, la visione del

per forza di levare: quella che si fa per via di porre, è

poeta ascende a gradi via via superiori di splendore,

simile alla pittura», scrisse a Benedetto Varchi che lo

che comportano effetti di trasparenze immateriali at-

interrogava sul “paragone” fra le arti.

traversate da raggi e luci, come cristalli e pezzi d’am-

E un’altra metafora, quella della fgura nell’ac-

bra penetrati dal lume solare.

qua formulata per spiegare a Giorgio Vasari come si

Ma l’occhio dell’artista può altro ancora. Oltre a

scolpiscono le statue, rivela che per liberare la forma

intuire la fgura prigioniera, pur invisibile nel mar-

racchiusa basta farla emergere progressivamente dal

mo od offuscata nell’acqua, lo sguardo percepisce

«superchio», questa volta immaginato come liquido e

le misure, calcola le distanze, valuta le proporzioni.

diafano: «…se e’ si pigliassi una fgura di cera o d’al-

Quale varco dell’intelletto, l’occhio possiede una ri-

tra materia dura e si mettessi a diacere in una conca

sorsa strumentale, citata nella raccomandazione che

d’acqua, la quale acqua essendo per sua natura nella

secondo il Vasari Michelangelo ripeteva, le «seste» ov-

sua sommità piana e pari, alzando la detta fgura a

vero il compasso4.

_ 103

L’esempio sommo di sguardo misurante si ritro-

Ritroveremo quello sguardo corrucciato e inten-

va nel David (1501-1504). Quanto gli sguardi profetici

to nel Mosè, teso a sua volta in un sovraccarico di ener-

delle Madonne di Michelangelo escludono la realtà

gia spirituale e fsica.

contingente per fssarsi su un invisibile futuro, in an-

In un solo caso, forse, le seste negli occhi dello

ticipazione del sacrifcio del Figlio per la Redenzione,

scultore si allargarono troppo, a squadrare un obietti-

tanto all’opposto gli occhi del David puntano su una

vo visionario e fuori portata. Incaricato da papa Giulio

presenza contingente che da soli bastano a evocare,

II Della Rovere di progettare e scolpire la sua tomba

nonostante la sua ovvia assenza fsica, quella del gi-

(vicenda tormentosa che perseguitò l’artista fno alla

gante Golia. Già nel piccolo San Procolo di Bologna,

tarda età, e che egli stesso defnì «la tragedia della se-

con il corpo costruito per contrapposizioni di parti e

poltura»), nel 1506, trentenne, Michelangelo trascorse

inclinazioni nello spazio che rivela una tensione vigi-

tre stagioni nelle cave di marmo delle Alpi Apuane so-

le e fremente, sono gli occhi dal fulminante sguardo

vrintendendo senza sosta alla cavatura, alla scelta, alla

in tralice sotto la fronte aggrottata a denotare l’atten-

sbozzatura dei blocchi, fno al loro trasporto alla spiag-

zione concentrata del giovane milite, in procinto di

gia, da dove le «carrate» di marmo s’imbarcavano per

affrontare l’assalto e il martirio.

raggiungere il porto fuviale di Ripa Grande a Roma.

Anche nel David Michelangelo coglie una si-

In quei mesi di esilio operoso in luoghi selvag-

tuazione transitoria, della durata di qualche istante,

gi e in scenari di schiacciante incombenza, diviso –

quando il giovane pastore fssa lo sguardo sull’avver-

come sarebbe accaduto di lì a pochi anni a Niccolò

sario, pronto a scagliare su di lui la pietra che lo co-

Machiavelli confnato in campagna – tra la rustica

glierà in fronte. La sua espressione, più che una gene-

compagnia diurna dei lavoratori locali e le buone

rica minaccia, rispecchia una profonda concentrazio-

letture serali accompagnate in lui dall’esercizio del

ne mentale. Come in un “fermo immagine” estratto

disegno, Michelangelo concepì un progetto utopi-

dalla sequenza rapidissima dei movimenti narrati dal

co, che a distanza di decenni ricordava con chiarez-

passo scritturale – David corre, fcca la mano nella bi-

za: «gli venne voglia di fare un Colosso che da lungi

saccia, prende il sasso, lo inserisce nella fonda, lo lan-

apparisse a’ naviganti invitato massimamente dalla

5

cia e colpisce Golia – qui egli sta prendendo la mira

comodità del masso, donde cavare acconciamente si

e, in ragione della distanza, sta calcolando la forza da

poteva, e dalla emulazione delli antichi […] E certo

imprimere alla rotazione della fonda che accompa-

l’arebbe fatto, se ’l tempo bastato gli fusse, o l’impresa

gnerà con tutto il suo corpo: dunque fa ciò che Mi-

per la quale era venuto l’avesse concesso. Del che un

chelangelo stesso faceva nella professione, prende le

giorno lo senti’ molto dolere»6. Di questa visione, Mi-

misure con un’occhiata. L’annotazione autografa di

chelangelo più che settantacinquenne subiva ancora

Michelangelo su un disegno, «Dauitte cholla fromba

il fascino: «…era […] una pazzia venutami per detta.

et io cho-ll’arco» – il trapano ad arco per lavorare il

Ma s ‘io fusse sicuro di vivere 4 volte quanto son vis-

marmo – adombra un parallelismo fra lo scultore e il

suto, sare’vi io entrato»7.

personaggio biblico, ognuno con la sua arma, ognuno

Il colosso apuano avrebbe saldato il sogno antico

col suo strumento, guidati da «la man che ubbidisce

di Dinocrate, che a dire di Vitruvio progettò per Ales-

all’intelletto» (Rime 151). Grazie alle «seste negli occhi»

sandro Magno la costruzione di una città-montagna

e alla fonda in mano, David farà compiere al ciotto-

in forma umana, con il futuro monumento nazionale

lo di fume una traiettoria esatta che raggiungerà il

del Monte Rushmore ricavato dalle granitiche Black

punto voluto, tracciando in aria un disegno immate-

Hills nel South Dakota. Michelangelo l’avrebbe certo

riale e tuttavia perfetto. Ed ecco la vittoria del debole

ottenuto dalla montagna «per forza di levare», facen-

giusto sul forte iniquo: un fatto già accaduto per l’e-

do rimuovere a squadroni di scalpellini il «superchio»

roe pastore, una sfda da affrontare ogni giorno per

che imprigionava la fgura gigantesca da lui vista

l’artista tormentato.

all’interno del duro sasso alpestre: forse l’Altissimo,

_ 104

MiCHelaNgelo Schizzi di blocchi di marmo per cavatori di pietra con disegni, annotazioni e misure autografe, Firenze, Casa Buonarroti (foto: Fondazione Casa Buonarroti).

che da un certo punto di vista suggerisce la sembianza

MiCHelaNgelo Mosè, 1513, particolare. Roma, San Pietro in Vincoli (foto: Scala, Firenze)

d’un solenne ammantato, con le braccia sollevate in atto accogliente e protettivo. micheLangeLo negLi sguardi degLi aLtri artisti La storia delle copie, derivazioni, stampe di traduzione e di ogni altro mezzo di riproduzione delle opere di Michelangelo inizia con le opere stesse, e la diffusione delle immagini tratte dai suoi originali è così vasta e ramifcata, da sconsigliare di seguirne i percorsi per autori, tempi, manifestazioni e generi artistici, onde evitare la trasformazione del testo restante in un arido elenco. Ma non si può non ricordare almeno un caposaldo nel rapporto discusso, articolato, variabile tra originale e copia, che fu rappresentato dalla mostra della Galleria dell’Accademia di Firenze, allora Regia Galleria d’Arte Antica e Moderna, per il quarto centenario della nascita di Michelangelo nel 18758. Nell’osservanza della missione didattica della “giovane” Galleria, affne all’istanza educativa che aveva presieduto al formarsi di tanti musei in Europa e negli Stati Uniti, lungo il percorso di avvicinamento al David da poco sistemato sotto il lucernario della Tribuna fu allestita una parata di copie al vero delle sculture michelangiolesche, comprese quelle conservate a Firenze. Alla sistemazione museale odierna aprì la strada il soprintendente e studioso Corrado Ricci, quando nel 1909, tolte le copie in gesso, distribuì lungo le pareti della “navata” che conduce alla Tribuna i quattro Prigioni destinati alla tomba di Giulio II (già nella Grotta Grande del Giardino di Boboli) e il San Matteo destinato al Duomo, cui si sarebbe aggiunta più tardi la Pietà da Palestrina, gruppo marmoreo di attribuzione discussa. Per comprendere appieno l’eccezionale potenza d’irradiamento dei capolavori michelangioleschi, fn dalla loro prima apparizione o rivelazione, basteranno pochissimi esempi scelti. Un fenomeno di immediata e diffusa ricezione fu rappresentato dalla Sagrestia Nuova in San Lorenzo a Firenze: architettura e sculture – tra le quali celeberrime la Madonna col Bambino e le Tombe di Lorenzo e Giuliano de’ Medici – che videro l’artista impegnato, con interruzioni, tra il 1520 e il 1534.

_ 106

Il cortile dei calchi allestito come il cortile del Bargello. Mosca, Museo Puskin (foto: Sailko).

HaNs-peter FelDMaNN David, 2010. Cortesia Galleria Minini, Brescia (foto: Gilberti)

Le statue rivoluzionarie e potenti, pur lasciate

venivano eseguiti da artisti quali Daniele da Volterra

incomplete e in posizioni provvisorie dal loro auto-

e Vincenzo Danti. Essi esportarono la percezione delle

re alla partenza defnitiva per Roma, diedero origine

statue nella loro pienezza volumetrica e complessità di

a una messe di derivazioni (disegni, incisioni, riela-

lavorazione, offrendo materia di studio nelle maggio-

borazioni, copie piccole delle statue, copie e calchi a

ri Accademie di Belle Arti d’Europa, ed entrando così

grandezza naturale), dal tempo di Michelangelo fno

nella formazione di generazioni d’artisti. Ancor più ha conosciuto e conosce una fortuna

quasi ai nostri giorni, tanto che a questo argomento 9

planetaria il David, entrato a sua volta fsicamente –

sono stati dedicati studi specifci . La Sagrestia infatti venne frequentata assidua-

tramite copie tridimensionali, a grandezza naturale

mente dopo la partenza di Michelangelo (benché

– nei luoghi più diversi, a partire dalle Accademie di

fosse diffcile visitarla, dovendo farsela aprire da Ot-

Belle Arti, le cui gipsoteche sovente fanno pare dei

taviano di Bernardetto de’ Medici, parente del duca

musei da esse originati o ad esse collegati: sono i casi

Alessandro); già sulla metà del secolo vi erano am-

del Victoria and Albert Museum a Londra, del Mu-

messi regolarmente dei giovani, tra cui Giorgio Va-

seo Pushkin a Mosca, della Akademie der Bildenden

sari e Bartolomeo Ammannati, e l’Accademia delle

Künste a Monaco di Baviera. Di queste copie “stori-

Arti del Disegno che il Vasari, d’intesa con don Vin-

che” otto-novecentesche in scala 1:1 si può considerare

cenzio Borghini, fece fondare al duca Cosimo nel

capostipite il calco in gesso a tasselli di Clemente Papi

1563, vi tenne vere e proprie sessioni di studio gra-

(1847). Quelle già note fnora sono numerose, in vari

fco e di esercizio critico collettivo. Battista Franco,

materiali10. Tra le ultime copie in ordine di tempo, al

Francesco Salviati e Giovan Battista Naldini furono

centro di eventi culturali, va ricordata quella in re-

tra i primi artisti a dedicarsi allo studio delle statue, il

sina che fu protagonista, tra il Duomo e Piazza della

secondo anche allo scopo di farle incidere da Cornelis

Signoria, della manifestazione “Florens 2012”. Una

Cort nel 1570, e continuarono Bartolomeo Passarotti,

copia in bronzo era stata donata nel 2010 alla città ci-

Tintoretto (che possedeva dei calchi parziali), Ludo-

nese di Ningbo, d’iniziativa privata. Anche “parti” del

vico Cigoli, Fabrizio Boscoli, Pieter Paul Rubens, fno

David – come i calchi degli occhi elaborati da Claudio

ad Auguste Rodin e oltre, ricordando come Henri

Parmeggiani – godono di uno statuto speciale nelle

Matisse si dichiarasse «prigioniero di una donna» che

attenzioni degli artisti odierni (ma anche nel mer-

altri non era che la Notte, copia in gesso nell’École des

chandising museale, alla portata dei visitatori). Non sempre tuttavia e non ovunque è stata ben

Beaux Arts di Nizza. In quell’autentica “palestra” per artisti e soprat-

accetta questa statua fuori dell’ordinario, generatrice

tutto per i giovani istruiti alle arti nell’ambito acca-

di reazioni altrettanto esorbitanti11. Nel 1995 la città

demico, fnché le statue della Notte e del Dì, dell’Au-

di Gerusalemme ne rifutò la copia offerta in dono

rora e del Crepuscolo giacquero sul pavimento, fu

da Firenze per l’anniversario davidico, adducendo a

possibile accostarvisi con confdenza e ammirare la

motivo l’esplicita nudità dell’eroe biblico.

vitalità latente nello splendore carnale delle fgure

Non si contano poi le reinterpretazioni e le

specialmente femminili, tali da dar luogo a un nuovo

reinvenzioni di questa possente icona della bellezza

ideale di bellezza, atletico ed eroico. Visibili da ogni

maschile e dell’eroismo civile, anche paradossali e

lato, le Parti del Giorno furono studiate e disegnate da

dissacranti. Qualche esempio? L’artista concettuale

punti di vista non più recuperabili, una volta monta-

turco Serkan Özkaya ne creò una versione in espan-

te sui sarcofagi.

so grande due volte l’originale e interamente dora-

Alcuni scultori, a partire da Niccolò Tribolo, ne

ta, David (inspired by Michelangelo); destinata alla

trassero copie ridotte ovvero ricordi, ma di ben mag-

Biennale di Istanbul del 2005 ma distrutta acciden-

giore importanza fu il ruolo dei calchi a grandezza na-

talmente nel montaggio, fu ricostruita e installata

turale, parziali o totali, che già nel cuore del xvi secolo

presso il 21c Museum Hotel in Louisville, Kentucky,

_ 109

dopo un’esposizione itinerante per le strade di New

che aveva fno ad allora dovuto contare su copie, inci-

York nel 2010. Un’altra copia di questa statua si trova

sioni di traduzione e su appunti grafci presi di perso-

in Turchia a Eskisehir. ᾽ Nel 2012, per la mostra Arte torna arte presso la

na dagli studiosi, di fronte agli originali.

Galleria dell’Accademia di Firenze dove si trova l’ori-

ordinarle, e in una parola disporre di una fototeca di-

ginale, nel cortile fu installata una replica in materia-

venne nell’arco del secolo scorso un percorso obbliga-

li sintetici leggeri che, con il coordinamento di Hans

to per le istituzioni dedite a questi studi, come l’ICCD

Feldmann, alcuni studenti dell’Accademia di Belle Arti

– Fototeca Nazionale, gli Istituti di Storia dell’Ar-

dipinsero di rosa, giallo, azzurro e marrone, ottenendo

te delle Università, le Soprintendenze e gli Istituti

un ironico effetto bambolesco. Il David grasso (Fat Da-

Centrali, le biblioteche specializzate – impareggia-

vid), popolare deformazione che dilata e appesantisce

bili sul suolo italiano quelle tedesche, la Hertziana

le atletiche proporzioni del gigante, dal 2007 gioca un

Max-Planck-Gesellschaft a Roma e il Kunsthistori-

ruolo di deterrente contro l’abuso di junk food e contro

sches Institut a Firenze – senza dimenticare l’Archi-

l’assenza di attività fsica, all’origine dell’obesità.

vio Fotografco dei Musei Vaticani. Ma anche gran-

Procurarsi fotografe di opere d’arte, catalogarle,

Si potrebbe continuare enumerando altri casi, ma

di studiosi giunsero a disporre di archivi fotografci

ci si limita a ricordare che in chiusura dell’anno dell’a-

personali e domestici, oggi in gran parte accessibili e

micizia culturale Italia-USA, il 10 dicembre 2013,

perfno consultabili on-line, in tanto più preziosi in

a New York sono stati presentati i due monumentali

quanto depositari, sul verso delle stampe, di annota-

“guardiani” Hero and Superhero di Antonio Pio Saraci-

zioni autografe di studio e di lavoro. Bernard Beren-

no, donati dall’Italia e collocati in Bryant Park, presso

son, Roberto Longhi, poi Federico Zeri, Giuliano Bri-

la Biblioteca Centrale di Manhattan. Hero altro non è

ganti, Mina Gregori sono tra i nomi più importanti

che una reinterpretazione in marmo da 3,6 tonnellate

che corre l’obbligo di citare, quali cultori di una con-

del David, immediatamente riconoscibile dalla sago-

noisseurship che trovava e trova nella quantità e nella

ma e dalla posa, nonostante la scomposizione del vo-

qualità delle immagini fotografche a disposizione il

lume in piani orizzontali distanziati tra loro, a livelli

proprio strumento d’elezione, nonché un fattore di

sovrapposti.

autonomia, di originalità e di potere. La statuaria di Michelangelo fu da subito, e non

daLL’obiettivo fotografico aL Laser scanner

poteva non essere, protagonista della fotografa in

Con l’invenzione e la diffusione della fotogra-

bianco e nero, ricevendo straordinarie attenzioni,

fa attraverso le sue diverse fasi tecniche, il rapporto

con straordinari risultati, dai Fratelli Alinari di Fi-

tra l’oggetto e la sua immagine sarebbe cambiato per

renze e da molti loro coevi e seguaci. A differenza

sempre. La nuova modalità di fssaggio e tramando

dei sitter viventi, va detto che le statue offrivano l’ov-

dei fenomeni visivi entrò in una complessa dialettica

vio vantaggio di mantenere identica a loro posizio-

con le arti, ben prima che essa stessa vedesse ricono-

ne quantunque fossero lunghi o lunghissimi i tempi

sciuto il suo status d’arte. Se in particolare nel ritrat-

delle pose, tipici degli albori della fotografa, facili-

to di persone singole o di gruppi la fotografa parve

tando le riprese.

sostituirsi – pur con le diffcoltà delle lunghe pose e

Fare la storia della fotografa attraverso le scul-

i limiti della resa monocroma – a un consolidato ge-

ture di Michelangelo in Europa sarebbe, a tutti gli

nere della pittura o del disegno, nei confronti delle

effetti, un’impresa piena di sfda e di fascino: ne

opere d’arte e dei paesaggi la fotografa si affermò

risulterebbe una storia d’interpretazioni, in cui ve-

per il suo valore di documentazione, cui si attribuì

dremmo la statua ora stagliarsi scontornata e dunque

a lungo un’oggettività che era lungi dal possedere.

estratta dal contesto così da apparire atemporale e as-

La fotografa diede anche decisivo impulso a una

soluta, ora invece immersa nell’ambiente, col quale

disciplina relativamente giovane, la storia dell’arte,

instaura un dialogo di antica o recente origine. Ve-

_ 110

Antonio Pio SArAcino The Guardians: Hero e Superhero a Bryant Park, New York, 10 dicembre 2013 (foto: Alexo Wandael).

Torso Gaddi, I secolo a.C., Firenze, Galleria degli Uffzi (foto: Rabatti & Domingie Photography, Firenze).

dremmo i rilievi ammorbidirsi e quasi appiattirsi in

da Palestrina, che fece fotografare minuziosamente

tagli e illuminazioni frontali, oppure al contrario,

da Giuseppe Pagano (Pogatschnig) con l’assunzione

grazie a visuali oblique e a luci decise e radenti, pren-

che si trattasse di un autografo michelangiolesco: il

der risalto negli aggetti e sprofondare in ombra nelle

fotografo istriano, architetto fondatore di “Casabel-

cavità. Armonia e inquietudine, serenità e dramma,

la” ed esponente di spicco del razionalismo tra le due

convenzione e trasgressione sono individuati e colti

guerre, dedicò al gruppo quaranta scatti di Rolleifex,

dagli obiettivi e restituiti nei negativi e nelle stam-

nel 193814. Sette fotografe di particolari della serie

pe, all’insegna di una variabilità che tiene molto del

Pagano-Toesca sono state identifcate nella fototeca

soggettivo, in quanto facente capo alla fliera degli

di Bernard Berenson, con il quale Toesca mantenne

operatori e delle operazioni e comunque, essenzial-

stretti rapporti15. E quanto fosse essenziale il possesso

mente, riconducibile al fotografo.

di fotografe dettagliate e in gran numero per formar-

Per ogni scultura Michelangelo (e in verità per

si un’opinione personale – specie in questo caso parti-

ogni sua pittura, architettura e disegno), non si con-

colare, di gruppo statuario dall’autografa controver-

tano le documentazioni-interpretazioni fotografche,

sa – concorre a dimostrarlo la presenza, nella fototeca

disponibili negli archivi storici come quello ricchis-

di Federico Zeri, di una serie fotografca dedicata alla

simo di Alinari con apporti successivi di Brogi, An-

medesima problematica Pietà, comprendente sette

derson, Villani e altri, dai quali nel tempo, comprese

foto d’insieme e diciannove particolari del fotogra-

le edizioni di cartelle fotografche, sono stati tratti vo-

fo Cesare Faraglia in Roma. Uno scatto di Daniela

12

lumi monografci . Innumerevoli positivi singoli o

Cammilli per Alinari si è aggiunto nel 1990 alla già

in serie sono approdati a fototeche più e meno fornite

intensa storia fotografca di questa Pietà, pur emersa

e illustri. La maggioranza si riconducono a una pro-

all’attenzione solo nel 1937; le fotografe successive al

venienza Alinari, ma non mancavano altri fornitori,

restauro del 2010 ne rappresentano l’immagine più

compresi i valenti fotograf attivi per le Soprinten-

aggiornata.

denze e in Vaticano, i cui nomi sono da rintracciare.

Giova rammentare a questo proposito che per le

Tuttavia, per le statue specialmente, esigenze

opere d’arte presenti a Firenze e in particolare per le

specifche potevano esser soddisfatte solo dall’esecu-

sculture, un cospicuo fondo michelangiolesco è con-

zione di foto fatte fare secondo precise indicazioni.

sultabile presso il Gabinetto Fotografco della Soprin-

Così non sorprende che Sigmund Freud, per svilup-

tendenza Speciale per il Patrimonio Storico, Artistico

pare la sua interpretazione del Mosè in chiave psica-

ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della cit-

nalitica (con presupposti giudaici ed edipici secondo

tà di Firenze (già alle Gallerie), dove si trovano dalle

13

Bergstein ) nel saggio apparso per la prima volta nel

lastre, negativi e positivi storici delle opere a Firen-

1914, oltre che trarre lui stesso schizzi parziali dal ca-

ze, sino ai fotocolor e alle odierne immagini digita-

polavoro michelangiolesco ordinasse delle fotografe

li, accessibili on-line dal website www.polomuseale.

ravvicinate e frontali, così da documentare la presa

frenze.it/Archivi Digitali. Sono altresì in continuo

della mano sulle tavole e la pressione del dito indice

aggiornamento le serie fotografche collegate a re-

sulla folta barba: segni di controllo sulla rabbia in-

stauri recenti di opere in musei e chiese. Una raccolta

sorgente in lui, presumibilmente, alla vista dell’ido-

fotografca altamente specializzata si trova presso la

latria d’Israele.

Casa Buonarroti a Firenze.

Nella raccolta che supportava gli studi di Pietro

Come una forma d’arte che cresce sull’arte, la

Toesca, commuove trovare un positivo dello Schiavo

fotografa d’interpretazione creativa si è arricchita di

morente nel Musée du Louvre, con l’annotazione sul

autori specialmente nell’ultimo mezzo secolo e spe-

verso che la qualifca come prestito o dono del suo

cialmente avvalendosi – prima per mancanza d’alter-

maestro Adolfo Venturi. Toesca si provvide anche di

nativa, ma poi per scelta – del bianco e nero: il me-

una campagna fotografca di prima mano della Pietà

dium che per eccellenza svela e insieme commenta lo

_ 113

svolgersi nello spazio di masse e spessori, la comples-

sta nel “corpo” acefalo e privo d’arti. Suggestioni,

sità dei partiti chiaroscurali, la varietà dei trattamenti

d’altronde, percolate in entrambi (Michelangelo e

superfciali dal rustico al levigato, passando per una

Finn) dal superiore esempio della statuaria ellenisti-

miriade di fniture intermedie ottenute dallo scultore

ca ritrovata mutila, ma non per questo meno carica

con strumenti attentamente alternati.

di esemplare effcacia: basta pensare all’azione ispiratrice esercitata nei secoli dal Torso Gaddi.

Un artista della fotografa dalla spiccata predilezione per il nudo maschile, Herbert List, si rivolse

In ambito italiano, le fotografe di Aurelio

alla statuaria di Michelangelo indagando in essa la

Amendola hanno accompagnato numerose pubbli-

fsicità eroica e insieme patetica. È giustamente noto

cazioni dedicate alla scultura di Michelangelo, fra

il suo scatto del 1945-1946 dello Schiavo morente, cal-

gli altri, da Antonio Paolucci e da chi scrive. Artef-

co in gesso nella Akademie der Bildenden Künste di

ce di memorabili immagini del David, dei Prigioni,

Monaco di Baviera, in cui alla forida integrità del

delle Pietà e d’altre sculture, una speciale confden-

torso e del grembo, offerti alla luce obliqua e model-

za Amendola la instaurò più di venti anni fa con la

lante, si contrappone il traumatico squarcio nel brac-

Sagrestia Nuova, a partire dalla selezione fotografca

cio levato: uno strazio della forma assunto a emblema

data alle stampe negli anni Novanta17. La sua restitu-

della tragedia della guerra, che aveva visto Monaco (e

zione, dove afflata e dove smussata, delle membra-

l’Accademia) duramente colpita dal bombardamento

ture architettoniche e delle membra umane, riesce a

inglese del 1940.

conferire una dimensione sensoriale allargata alla vi-

Si sono distinti, nell’integrazione della propria

sta, guidando a una percezione più ampia e complessa

opera con la scrittura storico artistica altrui, gran-

dei valori plastici e tattili: non a caso una sua mostra

di interpreti della scultura di Michelangelo quali

del 2008 ebbe per sottotitolo Perché i sensi vedano, a

David Finn e Aurelio Amendola. Dal sodalizio di

indicare la convergenza sinestetica di ogni facoltà

Finn con Frederick Hartt (che ebbe inizio nel 1972

percettiva nello sguardo. Le fgure nude e tormentate

con Donatello. Prophet of Modern Vision), scaturirono

delle quattro Parti del Giorno si trasformano in pano-

indagini fotografche quali Michelangelo’s Three Pie-

rami corporei dove i muscoli si gonfano come colli-

tas: a Photographic Study (New York 1975), cui fece

ne, i solchi affondano come valli, gli arti si slanciano

seguito David by the Hand of Michelangelo. The Ori-

come ponti. Onde di luce investono pelli lisce lascian-

ginal Model Discovered (New York 1987), imperniato

dole lustre e madide, per infrangersi poi in righe, sca-

quest’ultimo su un presunto modello del David, di

glie e punti laddove la superfcie ultima è rugosa o

cui la comunità scientifca non ha fnora accolto la

rustica, e lasciar specchi d’ombra negli anfratti. E il

paternità michelangiolesca. In queste pubblicazioni,

sonno immemore della Notte, l’assorta cecità del Dì,

16

così come nella storia del nudo in scultura , Finn af-

il rigirarsi inquieto del Crepuscolo, la mesta torsione

fonda lo sguardo nella materia e contribuisce a sca-

dell’Aurora, lo scatto vigile di Giuliano, la lontananza

varla, quasi proseguendo l’azione originaria dell’ar-

di Lorenzo perso in fantasticherie insondabili sono i

tista compiuta «per forza di levare»; fa assurgere

frammenti di un discorso poetico e artistico che attra-

parti e membra delle fgure alla dimensione astratta

verso l’obiettivo del fotografo ritorna a essere incom-

di meri incastri lapidei, in un’alternanza di turgo-

piuto e scomposto, come Michelangelo lo lasciò alla

ri e depressioni ricondotta a fenomeno luministico.

sua partenza per Roma interrompendo per sempre i

Nel suo rinunciare – spesso – alle teste, per privile-

lavori, che altri ultimarono in sua assenza meglio che

giare l’accavallamento e la compressione delle masse

poterono.

muscolari sottoposte a torsione nel nodo anatomico

Tra le sorprese che artisti della fotografa come

torace-bacino, il fotografo ritrova un percorso com-

Finn e Amendola riservano agli storici dell’arte, ri-

piuto da Michelangelo stesso nella fase degli studi

corre – grazie alle inquadrature inedite e talora spre-

grafci, dove il principio dell’invenzione si manife-

giudicate delle sculture, all’inversione del rapporto

_ 114

CaNDiDa HöFer La Tribuna del David, 2008 (© Candida Höfer/VG Bild-Kunst, Bonn 2014).

Scansione del volto del David per la ricostruzione tridimensionale computerizzata, 2004 (foto: The Digital Michelangelo Project).

chiaroscurale con artifci illuminotecnici e ad altri

Dalla lucida vena ironica di Aldo Fallai dobbia-

dispositivi professionali – la rivelazione di profli mai

mo addirittura aspettarci modelli en travesti, atteg-

prima còlti, disegni mai disegnati su carta ma riversa-

giati e addobbati sull’esempio di scelti marmi miche-

ti dall’autore senza mediazioni nella materia scolpita,

langioleschi.

fautori di interpretazioni nuove e diverse, suggeritori

In parallelo alla via dell’immedesimazione attra-

di accostamenti mai prima tentati. Un esempio per

verso immagini fortemente soggettive e materiche,

tutti: la testa dello Schiavo morente del Louvre, ripre-

vien percorsa dalla fotografa del nostro tempo anche

sa da Finn da un’angolatura spiazzante e fortemente

la strada alternativa dell’astrazione, della distanza, della

illuminata di sotto in su, presenta un proflo espanso

depurazione. Inquadrature che privilegiano la simme-

(o se di preferisce, un tre quarti afflato) che ha molti

tria e l’assialità, l’ampiezza della visione piuttosto che il

tratti di somiglianza con il disegno di Testa ideale con

particolare, la luminosità diffusa e omogenea, presen-

l’orecchino nell’Ashmolean Museum a Oxford, a sua

tano le statue immerse in un’atmosfera senza tempo e

volta rapportabile ai giovani Ignudi della Volta Sisti-

consegnate all’eternità. Candida Höfer e Massimo Li-

na, a confermare l’unità dell’ispirazione michelan-

stri, nei rispettivi linguaggi e stili, ben rappresentano

giolesca a un prototipo di bellezza androgina assolu-

questa corrente di sereno razionalismo, che peraltro

ta, ora dolente ora pensosa, nelle tecniche più diverse

ha i suoi dignitosi precedenti nelle foto di “documen-

– disegno, pittura, scultura – in questi primi lustri del

tazione” degli Alinari, della Soprintendenza e d’altri

xvi

secolo.

sconosciuti ma non meno sensibili artefci d’immagi-

La radicata immanenza della scultura di Miche-

ni. Il David di Höfer e Listri dismette la sua sovrastante

langelo nella storia della percezione del corpo umano

fsicità e perfno si ritrova attenuata la sua dimensione

si scorge nelle opere di altri grandi fotograf, che pur

colossale, posto com’è nel fulcro della maestosa Tribu-

non rivolgendo direttamente l’obiettivo alle statue, da

na costruita per accoglierlo, alla convergenza di diret-

esse mutuano l’impianto eroico, la fermezza musco-

trici prospettiche provenienti dalla navata e dei bracci,

lare, le pose cerebrali e sforzate trasferendole nei pro-

che si raccolgono nella parete absidata alle sue spalle.

pri nudi maschili o femminili. Dentro le Giacenti di

Il disegno rigoroso dei partiti architettonici fa risaltare

Emmanuel Sougez stanno, come nuclei sepolti nelle

la tricromia schiettamente toscana della grigia pietra

perle, la Notte e l’Aurora; dentro le sue fgure sorgenti

serena, del bianco intonaco dealbato, del rosso pavi-

o conculcate si nascondono i Prigioni. (Alcuni decen-

mento in laterizio: il marmo del Gigante v’introduce

ni fa, del resto, il modello d’una foto pubblicitaria di

la sua purissima e solitaria sigla fgurativa, dilavata – di

una storica maison riprodusse, in omaggio congiunto

giorno – dalla luce uniforme spiovente dal lucernario.

all’Italia e alla Francia, la posa dello Schiavo moren-

Ne percepiamo il lucido spaesamento, per esser stato

te...). La scintilla tra l’incombente presenza miche-

estratto dal vivo commercio quotidiano con la città

langiolesca e la fotografa contemporanea all’insegna

e con gli abitanti e consegnato, idolo sull’altare di un

dell’epos del nudo scoccò nella Galleria dell’Accade-

nuovo santuario, alla laica venerazione dei visitatori.

mia nel 2009, con la mostra La perfezione della forma

Esperimenti ancora diversi spostano il punto di

dedicata a Robert Mapplethorpe, il fotografo che ave-

vista dalla parte degli “altri”: dei visitatori appunto,

va dichiarato: «Se io fossi nato cento o duecento anni

che vengono ripresi mentre osservano, nel corso della

fa, avrei potuto fare lo scultore, ma la fotografa è un

loro visita al museo, i capolavori michelangioleschi e

modo più veloce per vedere le cose, per fare scultura».

non soltanto. Maree di teste, mosaici di volti, foreste

E davvero Mapplethorpe «fa scultura» con l’obiettivo,

di corpi sui cui atteggiamenti e abbigliamenti sareb-

trasfgurando la carne in ebano e in marmo, forzan-

be facile e ingeneroso far dell’ironia. Li vediamo nelle

do le membra a formare architetture ingegnose, che

celebri immagini a colori di Thomas Struth, rifessi

rivelano la diffcoltà e l’artifcio consentanei alla tor-

appannati – nella loro umanità fragile e transitoria –

mentata creatività dell’artista rinascimentale.

dell’invisibile e inalterabile bellezza che li sovrasta.

_ 117

MiCHelaNgelo BUoNarroti Pietà Bandini, 1550-1555. Firenze, Museo dell’Opera del Duomo (foto: Rabatti & Domingie Photography, Firenze)  Elaborazione digitale della Pietà Bandini (foto: Fausto Bernardini, New York; © IBM Visual & Geometric Computing Group Digital Pietà Project).

Gentle Giant, un gruppo facente capo a Levoy stava

E li vediamo nelle assai meno note eppur pre18

gevoli fotografe in bianco e nero di Lucia Baldini :

sperimentando un prototipo di replica in miniatura

quasi sempre con espressioni concentrate e perples-

di resina, basata sul modello 3D di Stanford, a scopo

se, come di chi s’interroga sulla qualità della propria

commerciale.

esperienza, o sulla correttezza della propria risposta

Quasi contemporaneamente, tra il 1997 e il 2002

emotiva. Non manca chi osservando la statua si ade-

fu realizzato a Firenze un progetto con scopi simili, la

gua ad essa, inclinando la testa o piegando la persona,

creazione di un modello virtuale avente per oggetto la

in obbedienza ai comandi di “neuroni specchio”, che

Pietà Bandini nel Museo dell’Opera del Duomo. IBM,

gli suggeriscono un’inconsapevole mimesi con l’og-

avvalendosi della collaborazione dello storico dell’arte

getto della sua attenzione e (forse) ammirazione. Non

Jack Wasserman, sperimentò un sistema innovativo

si può che sorvolare sui casi di approccio cinemato-

basato su circa 700 riprese fotografche effettuate da

grafco alla statuaria michelangiolesca, che hanno

angolazioni differenti con 6 fotocamere digitali. Il

picchi d’alta qualità nel critoflm di Carlo Ludovico

modello virtuale e i suoi risultati furono descritti in

Ragghianti, Michelangiolo (1964, ultimo di una serie

un volume monografco sul gruppo scultoreo21; non è

di ventuno) e nel cortometraggio Lo sguardo di Mi-

noto se trovasse in seguito altre applicazioni.

chelangelo, di Michelangelo Antonioni, che tramite

Il continuo evolversi delle tecniche digitali di

la vista (e il tatto a momenti) dialoga silenziosamente

acquisizione e di riproduzione dell’immagine fa pre-

col monumento funebre di Giulio II in San Pietro in

vedere che ulteriori nuove tappe saranno presto rag-

Vincoli (2004).

giunte.

E infne, qualche parola sulle tecniche digitali

Anche per la pittura di Michelangelo – che qui

di acquisizione e restituzione d’immagini tridimen-

si è volutamente confnata sullo sfondo – possiamo

sionali, che hanno avuto nelle sculture di Michelan-

già contare su strumenti di fruizione e di studio a

gelo i loro precoci banchi di prova.

carattere immersivo, quali l’immagine ad altissima

Era il 1997 quando Marc Levoy, docente a Stan-

risoluzione del Tondo Doni della Galleria degli Uffzi

ford, CA., prese i contatti per avviare il suo Digital

realizzata da MICC-Centrica (Firenze) per la navi-

Michelangelo Project: il primo progetto di ampio re-

gazione su Touchscreen, che rende possibile entrare

spiro che, avvalendosi di un laser rangefnder apposi-

nella composizione pittorica fno a scorgere la più

tamente progettato, costruito e collaudato e di appo-

sottile delle pennellate e a monitorare la più minuta

site intelaiature meccaniche, avrebbe sperimentato la

delle craquelure; la riproduzione digitale tridimen-

scansione di grandi statue. La campagna di acquisi-

sionale della Cappella Sistina; le fotografe in HD di

zione dei dati, svolta insieme con l’Università di Wa-

alcuni disegni della cosiddetta “Stanza segreta” in

shington nel 1997-1998, si basò sulla scannerizzazio-

San Lorenzo.

ne di dieci statue (il David, i Prigioni e il San Matteo

Quanto alla scultura, oltre alla possibilità di as-

nella Galleria dell’Accademia e le quattro Parti del

sumere virtualmente punti di vista non praticabili

Giorno nella Sagrestia Nuova) insieme con le struttu-

nei luoghi reali, la visione 3D e la rotazione nello

re architettoniche di entrambi i musei. Un lungo la-

spazio di una fgura o di un gruppo sullo schermo

voro di elaborazione sui dati acquisiti, portato avanti

del proprio strumento (pc, tablet, smartphone, Ipad,

in California, ebbe come risultato principale che dal

ecc.) offrono un accesso mai prima d’ora sperimen-

2009 esiste un modello 3D ad alta risoluzione del Da-

tato a utenti remoti in modalità 7/24, incoraggiando

20

vid, oltre a buoni modelli delle altre statue .

la conoscenza ed eventualmente lo studio di quest’ar-

Già nel restauro del 2003-2004 il modello del

te che richiede – ben più che la pittura – la perce-

David fu utilizzato per archiviare secondo coordinate

zione degli sviluppi volumetrici e delle lavorazioni

matematiche i dati materici, le criticità e gli inter-

superfciali. Dal materiale al virtuale, dall’originale

venti conservativi. Nel 2004, con la collaborazione di

ai suoi infniti cloni, il percorso cominciato da «la

_ 120

man che ubbidisce all’intelletto» di Michelangelo,

Ma se una certezza resta, è che l’unicità degli ori-

ed evoluto in una disseminazione planetaria delle ri-

ginali ne riesce confermata, consolidata ed esaltata,

produzioni tratte dalle sue opere, è ormai lungo cin-

motivando le scelte dei tanti visitatori che si spostano

que secoli e si inoltra verso un futuro che sfugge alle

per compiere, in modo diretto e personale, l’esperien-

previsioni. Anche l’adeguamento degli smartphone

za della vicinanza fsica e del contatto visivo con statue

e tablet a standard di qualità sempre più elevati sta

(e dipinti) che occupano le pagine centrali della storia

creando, al di fuori di ogni possibile controllo, un

dell’arte di tutti i tempi. In un’epoca di trasformazio-

archivio diffuso di immagini amatoriali, che sareb-

ni accelerate e di precarietà endemica, accertare “dal

be interessante far emergere alla conoscenza almeno

vero” l’esistenza e la bellezza di questi capolavori è cosa

per campioni.

che – mi piace credere – rassicura e consola.

1

Sonetto n. 5, in Buonarroti, Rime, 1534, ed. girardi 1960, p. 562.

ni di individuare un disturbo specifco, da lei pubblicato come

2

«Quemadmodum qui statuam indigenam fabricant anferen-

“sindrome di Stendhal”.

tes omnia quae circum apposiat impediunt, perspicuum formae

12

latentis intuitum, solaque ablatione pulchritudinem ipsam in

le seguenti pubblicazioni, delle quali la maggioranza concer-

se pandentes occultam». Dionysii Aeropagitae... 1561, III, p. 1020.

nenti i disegni: ricci 1902; Buonarroti, Disegni, I, 1921, 1 car-

Debbo alla cortesia di Monica Maffoli la segnalazione del-

3

dante alighieri, Commedia, I (Inferno), XXXIV, 12-15.

tella (20 c. di tav.); Buonarroti, Disegni, II, 1921, 1 cartella (20

4

Il detto fu raccolto anche dall’Armenini: «...soleva rispondere

c. di tav.); de rinaldis 1921; Poggi 1954, [II], 12, p. 20 c. di tav.

l’eccellente Michelangelo Buonarroti [bisogna] avere le seste

[eliotipie] (della stessa Madonna, un’estesa campagna fotogra-

negli occhi e non in mano» (armenini 1587, ed. Folliero-metz

fca del 1950 fu acquisita da Federico Zeri per la propria fotote-

- gramatzki 2013 e in particolare al testo di Giulia Ceriani Se-

ca, presso Pietro Chauffourier in Roma); Drawings... [1960?],

bregondi dal promettente titolo: Michelangelo e le «seste negli

1 cartella (4 p. XX c. di tav. sciolte); Michelangelo... [1974?], 1

occhi». Prassi architettonica e capacità aritmetiche del Cinque-

cartella (4 c. di tav.). Bergstein 2006, pp. 158-176.

cento a confronto.

13

5

Primo libro di Samuele, 17: 48-49.

14

de seta 1979.

6

condivi 1553, ed. hirst - elam 1998.

15

callegari et al. 2009.

Postilla dettata a Tiberio Calcagni al passo del Condivi, in

16

goldBerg 2000.

condivi 1553, ed. hirst - elam 1998, n. 10, p. XXI.

17

Occhio su Michelangelo... 1993.

8

Si veda Michelangelo nell’Ottocento... 1994.

18

monti 2007.

9

In particolare da rosenBerg 2000 e rosenBerg 2003, pp. 114-

19

Un saggio del risultato è reperibile su YouTube (http://www.

7

136.

youtube.com/watch?v=e-l2BMStRcg), interessante a dispetto

10

dell’inopinata colonna sonora a tempo di valzer.

Le copie sono indicate da vari web-site, tra i quali www.whe-

reisthedavid.com, attivato dall’Assessorato alla Cultura del Co-

20

wasserman 2003.

mune di Firenze.

21

Possibilità apprezzata forse anche al di sopra del merito

11

oggettivo da J. huston mcculloch, in David... 2007; http://

Furono i suoi effetti su pazienti temporaneamente psichiatri-

www.econ.ohio-state.edu/jhm/arch/david/David.htm.

ci che permisero alla psichiatra e psicologa Graziella Magheri-

_ 121

T A V O L E

1. Domenico Cresti, detto Il Passignano, Ritratto di Michelangelo Buonarroti, inizi del xvii secolo

_ 125

_ 126

2. Auguste Rodin L’homme au nez cassé, 1910 ca. 3. Giovanni Antonio Santarelli Ritratto di Michelangelo Buonarroti, 1812

_ 127

4. Lorenzo Gori, Giovanni Antonio Santarelli, Nicola Farnesi Medaglia del Centenario di Michelangelo Buonarroti, 1875 5. Emilio Santarelli, Michelangelo Buonarroti, 1836-1838 (?)

_ 128

_ 129

6. Carlo Ferrari La piazza del Granduca e la Loggia dei Lanzi, 1853 7. Paolo Fumagalli su disegno di Friedrich Wilhelm Moritz, Piazza del Granduca presa sotto la Loggia dei Lanzi, 1830

_ 130

_ 131

8. Ferdinando Artaria e Figlio / Johann Jakob Falkeisen [Firenze. La Loggia dei Lanzi], 1842

_ 133

9. Eugène Piot Florence. David. Statue colossale de Michel Ange, 1851 ca. 10. Eugène Piot [Il David], 1851 ca.

_ 134

_ 135

11. Vero Veraci [Il David], 1851 ca. 12. Vero Veraci [Il David fuori Palazzo Vecchio], 1852 ca.

_ 136

_ 137

13. Leopoldo Alinari [Il David], 1852 ca. 14. John Brampton Philpot Il Palazzo Vecchio, particolare della facciata dalla Loggia di Lanzi, ante 1859

_ 138

_ 139

_ 140

15. Fratelli Alinari [Palazzo Vecchio dalla Loggia dei Lanzi], 1855 ca. 16. Fratelli Alinari [Il David], 1857 ca.

_ 141

17. Fotografo non identifcato [La Madonna di Bruges], 1851 ca.

_ 143

18. Édouard-Denis Baldus [Schiavo morente], 1854 19. Édouard-Denis Baldus [Schiavo incatenato], 1854

_ 144

_ 145

_ 146

20. Niccola Monti Michelangelo sospende di scolpire la statua del Mosè per rifettere sul lavoro, 1838 21. Enrico Fanfani Michelangelo legge dei versi a Vittoria Colonna nello studio dove campeggiano il Mosè e il suo bozzetto, 1863

_ 147

22. Amélie Guillot-Saguez [Mosè di San Pietro in Vincoli], 1847

Cliché Bibliothèque nationale de France

23. Giacomo Caneva [Mosè di San Pietro in Vincoli], 1852 ca.

_ 148

_ 149

_ 150

24. James Anderson [Mosè di San Pietro in Vincoli], 1855 ca. 25. Robert MacPherson [Mosè di San Pietro in Vincoli], 1857 ca.

_ 151

26. Adolphe Braun [Tomba di papa Giulio II], 1868-1870

_ 153

27. Eugène Delacroix Michel-Ange dans son atelier, 1849-1853

155

_

Musée Fabre, Montpellier Agglomération © cliché Frédéric Jaulmes

28. Fratelli Alinari [Tomba di Lorenzo de’ Medici], 1856 29. Fratelli Alinari [Tomba di Giuliano de’ Medici], 1855-1856

_ 156

_ 157

30. Paul Berthier [Tomba di Lorenzo de’ Medici], 1855 31. Stabilimento Brogi [Tomba di Lorenzo de’ Medici], 1875 ca.

_ 158

_ 159

32. Stabilimento Brogi Il Crepuscolo, 1875 ca. 33. Stabilimento Brogi La Notte, 1875 ca.

_ 160

_ 161

_ 162

34. Fratelli Alinari [La Madonna col Bambino della Sagrestia di San Lorenzo], 1875 ca. 35a-b. Fratelli Alinari [La Madonna col Bambino della Sagrestia di San Lorenzo], verso e recto, 1875 ca.

_ 163

36. Cherubino Cornienti Michelangelo mostra al papa il cartone del “Giudizio Universale”, 1857

_ 165

37. Adolphe Braun [Cristo alla Minerva], 1868-1870 38. Adolphe Braun [Pietà Rondanini a Roma], 1868-1870 39. Adolphe Braun [Pietà di San Pietro], 1868-1870

_ 166

_ 167

40. Antonio Puccinelli Michelangelo alle cave di Carrara, 1861-1865

_ 169

41. Fratelli Alinari [Tondo Pitti], 1870 ca. 42. Fratelli Alinari [Interno della sala dedicata a Michelangelo al Louvre], 1900 ca.

_ 170

_ 171

43. da Michelangelo Buonarroti Prigione (o lo Schiavo morente), calco, 1863 44. Fratelli Alinari [Schiavo morente], 1900 ca. 45. Fratelli Alinari [Schiavo incatenato], 1900 ca.

_ 173

46. Nicola Parisi Michelangelo studia le fortifcazioni di San Miniato, 1870

_ 175

47. Fratelli Alinari [Il David nella Tribuna], 1885 ca.

_ 177

_ 178

48. Stabilimento Braun [Il David, particolare del busto], 1910 ca. 49. Anchise Mannelli [Il David, particolare della testa], 1910 ca.

_ 179

50. Stabilimento Anderson [Mosè di San Pietro in Vincoli, particolare], 1900 ca.

_ 181

51. Stabilimento Brogi [L’Aurora, particolare], 1920 ca. 52. Stabilimento Brogi [La Notte, particolare], 1920 ca.

_ 182

_ 183

53. Stabilimento Brogi [Giuliano de’ Medici], 1905 ca. 54. Stabilimento Brogi [Lorenzo de’ Medici], 1905 ca.

_ 184

_ 185

55. da Michelangelo Buonarroti Madonna Medici, calco ridotto in gesso, 1900-1901

_ 187

56. Medardo Rosso Fotomontaggio con Madonna Medici, 1901 ca. 57. Medardo Rosso Salon d’Automne, Parigi 1904, ingrandimento con Madonna Medici, 1904 ca.

_ 188

_ 189

_ 190

58. Stabilimento Brogi [Madonna con Bambino, particolare], 1932-1936 59. Stabilimento Brogi [Il Genio della Vittoria, particolare], 1932-1936

_ 191

60-67. Stabilimento Brogi Statua di Giuliano de’ Medici, 1943 ca.

_ 193

_ 194

_ 195

_ 196

68. Stabilimento Brogi [La Notte], 1943 ca. 69. Nicolò Cipriani [L’Aurora], particolare, 1945

_ 197

70.-71. Nicolò Cipriani Monumento a Lorenzo de’ Medici e Giuliano de’ Medici, 1945

_ 198

_ 199

_ 200

72.-73.-74. Nicolò Cipriani Monumento a Lorenzo de’ Medici e Giuliano de’ Medici, 1945

_ 201

75. Gabinetto Fotografco della Soprintendenza per il Polo Museale di Firenze Bruto, particolare della fbbia, 1980 ca. 76. Gabinetto Fotografco della Soprintendenza per il Polo Museale di Firenze Madonna col Bambino e san Giovannino, o Madonna Pitti, particolare, 1980 ca.

_ 202

_ 203

77. Adolfo De Carolis I grandi aretini (bozzetto), 1922

_ 205

78. da Michelangelo Buonarroti Madonna col Bambino, o Madonna di Bruges, calco, 1875

79.-84. Fratelli Alinari La Madonna di Bruges, 1953

_ 208

_ 209

85.-88. Nicolò Cipriani Madonna col Bambino a Bruges, Notre-Dame, 1953

_ 210

_ 211

_ 212

_ 213

89. Henri Matisse Interieur à l’esclave [Interno con lo schiavo], 1924 ca.

_ 215

90. Carlo Mollino Genesi, 1935

_ 217

_ 218

91. Jacques-Ernest Bulloz [Lo Schiavo morente, particolare], 1920 ca. 92. Fotografo non identifcato [Dettaglio della testa dello Schiavo morente], anni ’20

_ 219

93. Fotografo non identifcato [Dettaglio del torso dello Schiavo morente], anni ’20

_ 221

_ 222

94. Emmanuel Sougez Tête de l’esclave enchainé de Michel-Ange, ante 1953 95. Emmanuel Sougez Tête de l’esclave prisonnier de Michel-Ange, ante 1953

_ 223

96. Renato Sansaini Michelangelo: La Pietà (particolare) Basilica di San Pietro, 1940 ca.

_ 225

97. Giuseppe Pagano [La Pietà da Palestrina: particolare della parte superiore del gruppo], 1938

_ 226

98. Giuseppe Pagano [La Pietà da Palestrina: intero], 1938 99. Giuseppe Pagano [La Pietà da Palestrina: particolare delle gambe di Cristo], 1938

_ 227

100. Giuseppe Pagano [La Pietà da Palestrina: particolare del volto di Cristo], 1938 101. Giuseppe Pagano [La Pietà da Palestrina: particolare del volto di san Giovanni Evangelista], 1938

_ 228

_ 229

102. Giuseppe Pagano [La Pietà da Palestrina: particolare del torso di Cristo], 1938 103. Giuseppe Pagano [La Pietà da Palestrina: particolare della mano destra della Madonna], 1938

_ 230

_ 231

104.-105. Paolo Monti [Visitatori nella Sala della Pietà Rondanini. Milano, Castello Sforzesco], 1956 e1961

_ 232

_ 233

106. Paolo Monti [Pietà Rondanini: dettagli delle gambe], 1977 107. Paolo Monti [Pietà Rondanini: dettagli delle teste della Madonna e di Cristo], 1977

_ 234

_ 235

108. Tano Festa Particolare delle Tombe medicee, 1965

_ 237

109. Paolo Monti [Madonna con Bambino nella Sagrestia Nuova], fne anni ’60 110. Paolo Monti [L’Aurora, dettaglio della tomba di Lorenzo de’ Medici], fne anni ’60

_ 238

_ 239

111. Antonia Mulas Il Crepuscolo, Cappelle Medicee, Basilica di San Lorenzo, Firenze, 1978

Fotografa di Antonia Mulas © Tutti i diritti riservati

112. Antonia Mulas La Notte, Cappelle Medicee, Basilica di San Lorenzo, Firenze, 1978

_ 240

241

_

Fotografa di Antonia Mulas © Tutti i diritti riservati

113. Antonia Mulas La Notte, Cappelle Medicee, Basilica di San Lorenzo, Firenze, 1978

Fotografa di Antonia Mulas © Tutti i diritti riservati

114. Antonia Mulas Il Giorno, Cappelle Medicee, Basilica di San Lorenzo, Firenze, 1978

_ 242

243

_

Fotografa di Antonia Mulas © Tutti i diritti riservati

_ 244

115.-116. David Finn [Lo Schiavo giovane di Michelangelo, particolari], anni ’80

_ 245

117. David Finn [Modello in terracotta del David di Michelangelo, particolare del torso], 1986 118. David Finn [Modello in terracotta del David di Michelangelo, particolare del pettorale sinistro], 1986 119. David Finn [Modello in terracotta del David di Michelangelo, particolare dei glutei], 1986

_ 246

_ 247

_ 248

120. Aurelio Amendola Giuliano de’ Medici, 1992 121. Aurelio Amendola [Veduta tergale del Giovinetto], 2000 122. Aurelio Amendola [Veduta frontale del Giovinetto], 2000

_ 249

_ 250

123. Gianni Berengo Gardin La Pietà di Michelangelo, 1998 124. Gérard, Rondeau “Esclave” de Michel-Ange, Musée du Louvre, Paris, 2012

_ 251

© The Helmut Newton Estate

125.-126. Helmut Newton Moses, 2000 © The Helmut Newton Estate

_ 252

253

_ © The Helmut Newton Estate

127. Gabriele Basilico Michelangelo, Pietà Rondanini, Milano, 2011

_ 255

128. Massimo Listri Tomba di Giuliano de’ Medici, 2008

_ 257

129. Jean Brusselmans Autoritratto con lo Schiavo, 1934

_ 259

130. Horst P. Horst Estrella Boissevain, photograph for Vogue, New York, 1938

_ 261

_ 262

131. Herbert List Copia in gesso dello Schiavo di Michelangelo, Monaco, 1946

Image by Gjon Mili © Time Inc. All rights reserved. Used with permission

132. Gjon Mili Lo studio di Picasso a Notre-Dame-de-Vie, 1967

_ 263

133. Robert Mapplethorpe Slave, 1974

265

_

© Mapplethorpe Foundation

134.-135. Luca Pignatelli Analogie: Schiavo, Fauno Barberini, Il prigione morente, 2013 Sculture \ 8788, 2013

_ 267

136. Giovanni Colacicchi Natura morta con la testa dello Schiavo morente e le tre melagrane, 1989

_ 269

137. Charles Rettrew Sheeler jr. Cast of Giuliano de’ Medici by Michelangelo, 1942 ca.

_ 271

138. Karen Knorr The Work of Art on the Age of Mechanical Reproduction, 1986-1988

_ 273

139. Lise Sarfati Musée Pouchkine Moscou. David di Michelangelo, 1993

_ 275

140. An-My Lê Milani Workshop, Vicenza, Italy, 1991

_ 277

141. Eve Arnold China. Chongqing. Art class, 1979

279

_ © Eve Arnold / Magnum Photos

142. Romano Cagnoni Pietrasanta. Artigiani del marmo, 1985

_ 281

143. Tim Parchikov Tuscany, 2008

_ 283

144. Frank Horvat Aurelia, 1985

_ 285

145. Youssef Nabil You Never Left # XI, 2010

_ 287

146. Kim Ki-duk Pietà, 2012

_ 289

147. Thomas Struth Audience 1, Florence 2004

_ 291

148. Candida Höfer Accademia, Firenze V, 2008

_ 293

Nota Le schede relative a ciascuna opera in mostra riportano le seguenti voci: numero di catalogo che rispecchia la sequenza delle Tavole; cognome e nome dell’artista; dati anagrafci; titolo dell’opera (quando riportato tra parentesi quadre sta a indicare che si tratta di titolo attribuito); data dell’opera (nel caso di fotografe si intende data dello scatto); tecnica; eventuale ulteriore data (indicata tra parentesi tonde) riferita alla data della stampa fotografca se successiva a quella dello scatto; misure dell’opera (che si intendono sempre in centimetri – se non diversamente indicato – e altezza per base) e nel caso delle stampe fotografche la seconda misura, se presente, si riferisce al supporto secondario; timbri e iscrizioni; provenienza; numero di inventario; fonti e bibliografa riferite esclusivamente all’opera schedata.

Le schede e le biografe sono siglate con le abbreviazioni degli autori per le quali si rimanda al colophon. Abbreviazioni delle sigle nelle schede: BnF Bibliothèque nationale de France ICCD Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione INHA Institute national d’histoire de l’art RMFA Raccolte Museali Fratelli Alinari

C A T A L O G O

1 _ Cresti, Domenico detto Il Passignano (Passignano 1559 - Firenze 1638) Ritratto di Michelangelo Buonarroti, inizi del xvii secolo Olio su tela; 120 x 95 Bergamo, Enrico Lumina Tra tutte le grandi personalità artistiche viventi e del passato, a uno studio critico ad ampio raggio, nessuna può essere paragonata a quella di Michelangelo Buonarroti per quanto concerne la fortuna legata alla divulgazione, nel corso dei secoli, di opere raffguranti effgi o episodi di vario tipo tratti dalla vita di un artista. Per sancire l’importanza di quanto appena detto, emblematica risulta la mostra intitolata Il volto di Michelangelo, allestita nel 2008 nelle sale di Casa Buonarroti a Firenze, nella quale vennero presentate e commentate, con rigore critico, pitture, sculture, incisioni, ma anche disegni e medaglie dedicati dal Cinquecento all’Ottocento all’immortale maestro toscano. Al già cospicuo campionario di opere dedicate al Buonarroti presentate nella citata esposizione appare doveroso aggiungere oggi, tra le acquisizioni artistiche “antiche” di maggiore interesse, un raffnatissimo ritratto pittorico, proposto dallo scrivente all’attenzione della critica in tempi recenti (Bellesi 2013, p. 13 e fg. 5). L’opera, in ottimo stato conservativo e condotta con indubbi virtuosismi pittorici, presenta, all’interno di uno spazio architettonico aperto su uno sfondato atmosferico azzurro scuro dove si intravede la cupola michelangiolesca di San Pietro in Vaticano, la fgura di tre quarti dell’artista, raffgurato, come tradizione iconografca, con una veste nera e con lo sguardo dialogante rivolto, idealmente, verso immaginari interlocutori. Per sottolineare il primato rivestito dal Buonarroti nei settori della pittura, della scultura e dell’architettura, questi appare effgiato vicino a un tavolo, dove è disposto un modellino in marmo della statua del Giorno delle Cappelle Medicee, in atto di sostenere tra le mani una tavolozza con pennelli e un compasso appoggiato a un foglio di carta bianco. Collocabile stilisticamente ai primi anni del Seicento, la tela, già assegnata in una perizia critica presso il proprietario a Cristofano Allori, mostra caratteri stilistici e pittorici particolari che hanno indotto, l’autore di questo studio, ad assegnarla al catalogo centrale di Domenico Cresti, detto il Passignano. Originario di Passignano (Firenze), Domenico si trasferì in giovanissima età nel capoluogo toscano, dove fu introdotto allo studio della pittura dapprima nella scuola di Girolamo Macchietti e poi in quella di Giovan Battista Naldini. L’incontro con Federico Zuccari, documentato nella Città del Giglio dal

1575 al 1580, favorì nuovi approfondimenti nell’arte del Cresti, che al seguito del maestro marchigiano si trasferì, dopo una breve sosta a Roma, per alcuni anni a Venezia, dove ebbe agio di completare i suoi studi grazie alla conoscenza dell’arte lagunare di fne secolo, dominata dalle opere dei tardi Tiziano e Tintoretto e di Palma il Giovane. Al ritorno in Toscana, l’artista fu il promulgatore insieme al Cigoli della riforma pittorica forentina, intesa come superamento degli ormai facchi stilemi tardo-manieristi, orientata verso la tradizione toscana del disegno e l’acceso cromatismo veneto. La fama raggiunta dall’artista all’inizio del Seicento favorì più volte il trasferimento di questi a Roma, dove nel corso degli anni lasciò opere importanti, degne del massimo interesse. Rientrato pressoché stabilmente a Firenze nel 1616, il Cresti, titolare di una rinomata bottega dove presero le mosse artisti di rilievo come i fratelli Cesare e Vincenzo Dandini e Ottavio Vannini, si distinse fno in tarda età per opere condotte con notevole perizia tecnica e impeccabili impaginati scenografci. Dopo anni distinti da importanti successi professionali l’artista morì nel capoluogo mediceo nel 1638 (per la biografa e l’elenco di opere dell’artista, si veda Bellesi 2009, I, pp. 114-116; con bibliografa precedente). Importante precedente per la tela con Michelangelo che presenta a Pio IV il modello della cupola di San Pietro in Vaticano in Casa Buonarroti a Firenze, licenziata dall’artista tra il 1618 e il 1619 (Procacci 1967, p. 174 e tav. 16), l’opera, databile con probabilità al primo o all’inizio del secondo decennio del Seicento, mostra debiti tipologici da precedenti iconografci di vario tipo dedicati alla ritrattistica buonarrotiana, in particolare da un dipinto di Anonimo Toscano della fne Cinquecento già nella Collezione Drury-Lowe a Locko Park e da una tela di Pompeo Caccini in Casa Buonarroti, del 1595 (per le due opere si veda E. Marconi - P. raGionieri, in Il volto di Michelangelo 2008, pp. 60 e 74-74). Più addolcita rispetto ai dipinti citati nella resa meno dura dei lineamenti del volto dell’artista, l’opera in esame, nella quale appaiono evidenti analogie esecutive con le pitture forentine di maestri come Cristofano Allori e Francesco Curradi, rivela assonanze lessicali con varie opere eseguite dall’artista nel corso dei primi anni del Seicento, come l’Elezione del beato Manetto a generale dell’Ordine dei servi di Maria nel santuario della Santissima Annunziata a Firenze, frmata e datata 1602 (J. L. nissMan, in Il Seicento forentino. Pittura 1986, pp. 120-122 n. 1.25; con bibliografa precedente), e la Deposizione di Cristo nella Galleria Borghese a Roma, del 1612 ca. (Bellesi 2009, II, fg. 359). L’interesse attestato dal Passignano per l’arte michelangiolesca o per il mondo statuario in generale si evince dall’esame di vari dipinti dell’artista, tra i quali appare suffciente

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menzionare la pala con San Luca che ritrae la Vergine con Gesù Bambino nelle Gallerie Fiorentine, dove in primo piano compare, non a caso, una statua mutila antica, affne a molte opere buonarrotiane (per un’immagine del dipinto si veda Bellesi 2009, II, fg. 362). La recente acquisizione di questa opera consente di gettare nuova luce sulla fortuna riscossa dai ritratti di Michelangelo anche nei secoli successivi alla sua morte, come ideale omaggio alla memoria di uno dei più grandi, e forse proprio il più grande, genio artistico italiano. Molte delle opere dedicate all’effgie del Buonarroti nel corso del SeiSettecento si distinsero per sigle tipologiche analoghe in campo pittorico e scultoreo ed ebbero rifessi marcati e duraturi ancora nell’Ottocento. Debiti dai prototipi di maestri forentini come Giovan Battista Foggini e Antonio Montauti (S. Bellesi, in Il volto di Michelangelo 2008, pp. 54-55 n. 19) si sottolineano, per esempio, nella formulazione fsionomica del rinomato ritratto marmoreo di Michelangelo nel Loggiato degli Uffzi, eseguito tra il 1840 e il 1845 da Emilio Santarelli (sull’artista si veda Del Bravo 1996 pp. 98-109 e Bellesi 2000, pp. 307-309 e 319 note 31-45). In relazione a questa scultura, preceduta da un raffnato modellino in terracotta presso il Museo Michelangiolesco a Caprese Michelangelo (Arezzo), rendiamo oggi noto un inedito busto in gesso policromato conservato in collezione privata (alt. cm 61; [fg. 1]), associabile a un originale fornito dal Santarelli per la realizzazione di alcune statue in biscuit di porcellana, eseguite nella Manifattura Ginori di Doccia a Sesto Fiorentino. Uno di questi esemplari, affancato a un Busto di Galileo Galilei tratto da un modello di Aristodemo Costoli oggi non identifcato e ignorato negli studi recenti sull’artista, fu presentato, come apprendiamo dai documenti, all’Esposizione Internazionale di Parigi del 1855, dove riscosse notevole successo (Ginori lisci 1963, pp. 115 e 136 nota 152). Bibliografa: Bellesi 2013, p. 13. (sbe)

[fg. 1] Emilio Santarelli, Busto ritratto di Michelangelo, 1840-1845. Collezione privata

2 _ Rodin, Auguste (Paris 1840 - Meudon 1917) L’homme au nez cassé, 1910 ca. Terracotta; 54,4 x 38,7 x 22,7 Paris, Musée Rodin, inv. S.974 Nel 1876 Rodin fa il suo primo viaggio in Italia, spinto dall’occasione del quadricentenario della nascita di Michelangelo, per la quale la Galleria dell’Accademia aveva radunato intorno al David una mostra, e può vederne direttamente le opere per la prima volta (A. le norManD roMain 2001, pp. 38-40). A cinque giorni dall’arrivo a Firenze scrive: «Solo oggi ho visto la sagrestia. Ebbene, per cinque giorni sono stato freddo. Tre immagini mi rimarranno impresse: Reims, le muraglie delle Alpi e la Sagrestia. Davanti, quando le si vede per la prima volta, non le si analizza. [...] Da quando sono giunto a Firenze dedico il mio tempo allo studio di Michelangelo, e credo che questo grande mago mi stia consegnando qualcuno dei suoi segreti. Non può dirsi altrettanto di nessuno dei suoi allievi, e neanche dei suoi maestri. Non capisco bene perché, dal momento che vado cercando fra i suoi allievi diretti, ma evidentemente è in lui, e solo in lui, che si trova il segreto» (cit. in A. le norManD roMain 2001, p. 39). Rodin da Michelangelo si sentì come liberato dai vincoli delle regole fno ad allora apprese (sachs 2012, p. 33) e, come forse nessun altro, forse per quel “segreto” che riuscì a captare, in base al quale avvicinava la Sagrestia Nuova alle Alpi, è stato considerato prossimo alla grandezza espressa dalla scultura michelangiolesca, tanto che il suo Pensatore – un David seduto moderno – è opera quasi più universalmente nota del suo prototipo della Cappella Medici. L’homme au nez cassé fu una prima volta modellato da Rodin nel 1863, ed è una prova del fascino ch’egli provava per la fgura di Michelangelo anche assai prima del viaggio in Italia (ibidem). Egli conosceva già la versione del busto di Daniele da Volterra conservata al Louvre, e aveva presente la narrazione del Vasari relativa all’adolescenza di Michelangelo alla scuola del giardino mediceo: «Dicesi che il Torrigiano, contratta seco amicizia, mosso da invidia di vederlo più onorato di lui e più valente nell’arte, con tanta ferezza gli percosse d’un pugno il naso, che, rotto e stiacciatolo di mala sorte, lo segnò per sempre» (vasari 1550, ed. Bettarini Barocchi 1966-1987, VI, p. 12 ). È vero anche che la prima versione dell’opera, in terra cruda, fu concepita come ritratto di un operaio parigino soprannominato “Bibi”: esso fu il primo ritratto eseguito da Rodin, e Rilke ne scrisse: «In una sorta di fede cieca, egli aveva creato L’uomo dal naso rotto, senza domandarsi chi fosse quest’uomo la cui vita fuiva ancora una volta tra le sue mani. Egli lo aveva formato come Dio aveva formato il primo uomo; senza intenzione di produrre nient’altro

che la vita stessa, una vita senza nome» (rilke [1919], 2012, p. 78). È un’interpretazione vitalistica che non sembra lontana dalla visione rodiniana di Michelangelo. Rodin considerava L’homme au nez cassé la sua prima buona scultura, ma il busto, lasciato alle intemperie, si rovinò ed egli ne eliminò la parte posteriore per poterlo presentare al Salon del 1863, dove fu rifutato. Il marmo che ne fu poi tratto da Léon Fourquet (Rodin modellava soltanto le proprie opere, il marmo era sempre eseguito da collaboratori) fu invece accettato dal Salon del 1873. L’opera in seguito ebbe enorme successo e ne esistono più versioni in diversi materiali (bronzo, marmo, gesso), questa in terracotta viene datata al 1910 circa. Bibliografa: le norManD roMain 2001, pp. 38-46; von rilke [1919], 2012, p. 78; sachs 2012, pp. 33-38. (gb)

3 _ Santarelli, Giovanni Antonio (Manoppello, Pescara 1758 - Firenze 1826) Ritratto di Michelangelo Buonarroti, 1812 Rilievo in cera; diam. 6,5; cornice, diam. 11 Firenze, Museo Nazionale del Bargello, inv. Cere 1914, n. 134 Piccolo rilievo in cera raffgurante il proflo a destra di Michelangelo Buonarroti montato su fondo di vetro nero e inserito in una cornice circolare in legno intagliato e dorato, coeva. Fa parte della collezione di ritratti in cera di personaggi storici e contemporanei conservata presso il Museo Nazionale del Bargello, usualmente defnita “Collezione Santarelli”, perché principalmente costituita da opere di Giovan Antonio Santarelli, incisore e medaglista di grande fama nella Toscana dei primi decenni dell’Ottocento. Della raccolta, in massima parte connotata dai 385 pezzi acquistato dalle Reali Gallerie il 5 marzo 1888, fa parte anche un più piccolo gruppo di cere, cui la presente appartiene, che provenendo dall’Accademia di Belle Arti di Firenze, nel 1909 passò al Bargello da Palazzo Pitti. Fra queste cere si annovera anche questo Ritratto di Michelangelo Buonarroti che viene citato nelle guide dell’Accademia di Belle Arti sin dal 1869 insieme a una dozzina di altri pezzi in cera di Santarelli, fra i quali le effgi di Thorwaldsen, Canova, Poussin, Alferi. Questo, come gli altri ritratti, furono eseguiti lavorando la cera a caldo, probabilmente allo scopo di documentare l’attività dell’artista e anche per formare una sorta di campionario per la clientela (casarosa GuaDaGni 1981, p. 15) e di esso esistono più repliche, di cui due al Bargello: una identica a questa (inv. Cere 1914, n. 133) e una seconda, molto simile, montata su vetro blu (inv. Cere 1914, n. 135); una pasta vitrea con lo stesso soggetto è conservata al Museo Thorvaldsen

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di Copenaghen (inv. G. 211) e una cera al Museo di Montpellier (inv. Arts. Min. 1033), datata 1813. Il ritratto di Michelangelo costituì una delle più fortunate realizzazioni del Santarelli che, assunto dal 1797 dall’Accademia forentina di Belle Arti come professore d’intaglio di gemme, utilizzò questo modello per realizzare la medaglia in bronzo dorato destinata a premiare gli allievi vincitori al concorso triennale del 1812. In realtà la commissione della medaglia era già stata promossa nel 1809 da Maria Luisa di Borbone, reggente d’Etruria, che avrebbe voluto distribuirla personalmente nel concorso di quell’anno, ma le vicende storiche dell’epoca non lo permisero, così il progetto venne portato a termine nel triennio successivo, reggente Elisa Baciocchi. La medaglia in bronzo dorato, della quale esistono due esemplari al Bargello (inv. 9419-9420; cfr. vannel toDeri 20032007, IV, p. 21, nn. 119-120), presenta sul rovescio le tre corone di quercia, alloro e ulivo intrecciate, simbolo dell’Accademia, e sul diritto il ritratto di Michelangelo tratto dalla presente cera. Questo, sebbene ispirato da antichi prototipi come quello di Pompeo Leoni al British Museum di Londra, venne ripreso da Raffaello Morghen che lo utilizzò per decorare gli attestati dei diplomi di insegnamento e di benemerenza rilasciati dall’Accademia (casarosa GuaDaGni 1981, p. 23), divenendo il simbolo di questa prestigiosa istituzione. Il ritratto di Michelangelo del Santarelli ebbe nel tempo un grande successo come testimoniano la medaglia di Nicola Cerbara del 1828 e un rilievo di Vincenzo Consani del 1840 conservato alla Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti, a Firenze (inv. 1936, n. 716). Tale fortuna iconografca fece sì che questo ritratto venisse usato come “effgie uffciale” del Buonarroti per il conio della medaglia del centenario michelangiolesco del 1875 [cfr. cat. 4]. Bibliografa: Descrizione degli Oggetti... 1869, p. 50; casarosa GuaDaGni 1981, pp. 37-38; Matucci 2008, p. 48. (lb)

4 _ Gori, Lorenzo (Livorno 1842-1923), Santarelli, Giovanni Antonio (Manoppello, Pescara 1758 - Firenze 1826), Farnesi, Nicola (Lucca 1836-1904) Medaglia del Centenario di Michelangelo Buonarroti, 1875 Rame; diam. 5,5 Iscrizioni: «MICHEL PIU’ CHE MORTAL ANGEL DIVINO / SANTARELLI F», diritto «PEL/ QUARTO CENTENARIO / IN FIRENZE / MDCCCLXXV, IN / N. FARNESI», rovescio Firenze, Accademia della Crusca, inv. 216

Medaglia in rame raffgurante sul diritto il proflo destro di Michelangelo circondato

dall’iscrizione, e sul rovescio una corona di alloro e quercia che circonda la dedica riferita alla celebrazione del quarto centenario della nascita del Buonarroti (Caprese, Arezzo 1475 - Roma 1564). Nel 1875, infatti, a Firenze furono organizzati grandi festeggiamenti per celebrare tale anniversario e fra le varie iniziative previste vi fu anche quella della coniazione di questa moneta. Per realizzare tali importanti feste, che mobilitarono la vita cittadina, il 16 maggio del 1873 venne richiesta la partecipazione dei rappresentanti delle principali istituzioni della città, fra cui l’Accademia delle Crusca, cui questa moneta appartiene, a una Commissione che organizzasse i festeggiamenti e proponesse «tutti quei modi e provvedimenti che per la celebrazione di tanta solennità stimeranno meglio corrispondenti colla grandezza dell’Artista e colla dignità dell’Italia» (ASC, Pezzo 411, Affari e Rescritti..., Inserto 7). L’Accademia, nell’adunanza del 27 maggio, scelse come proprio rappresentante l’Accademico Ordinario, Cav. Gaetano Milanesi (ASC, Pezzo 135, Corrispondenza..., lettera n. 142 del 17 giugno 1873), divenuto un’autorità nel campo degli studi michelangioleschi e che poi, su richiesta della Commissione stessa, pubblicò Le lettere di Michelangelo Buonarroti (Firenze 1875), un testo sulle Esequie del divin Michelangelo Buonarroti (Firenze 1875) e un saggio sui ritratti di Michelangelo comparso nel volume Ricordo al popolo italiano (Firenze 1875, n. 77). Della commissione, presieduta da Ubaldino Peruzzi, sindaco di Firenze, facevano parte autorevoli personaggi della cultura forentina, fra i quali Aurelio Gotti, Giuseppe Poggi, Emilio De Fabris, Atto Vannucci, Aleardo Aleardi, Cesare Guasti e Emilio Santarelli. Su richiesta della commissione, l’Accademia della Crusca si riunì, assieme all’Accademia delle Belle Arti, con una solenne adunanza che si tenne il 14 settembre nell’aula che fu del Senato e durante la quale furono lette le lodi del sommo maestro nella sua doppia veste di letterato e artista. Fra le tante iniziative promosse dalla commissione, vi fu la coniatura di una medaglia commemorativa, per il rovescio della quale fu incaricato l’incisore Pieroni, che con una lettera del 12 novembre 1874 aveva presentato un disegno raffgurante Michelangelo omaggiato dalle personifcazioni delle tre Arti e della Poesia (ASCF, Centenario di Michelangelo Buonarroti, 1875, CF 4990, ins. Conio di medaglie commemorative). Il bozzetto fu apprezzato, ma non essendo stato ritenuto opportuno replicare l’immagine di Michelangelo, già presente nel diritto, fu chiesto al Pieroni di modifcare il soggetto escludendo l’immagine dell’artista. Mentre questi stava attendendo ai nuovi disegni,

morì improvvisamente nell’aprile del 1875; così la Commissione, nell’adunanza del 30 aprile, deliberò che non si allogasse più a nessuno il disegno e che nel rovescio si presentasse solo un’iscrizione che venne dettata da Cesare Guasti e che così recitava: «PEL/ QUARTO CENTENARIO/ IN FIRENZE/ MDCCCLXXV» (Relazione, 1876, p. 17). Sebbene il medaglista forentino Giovanni Vagnetti si fosse proposto per realizzare il rovescio della medaglia, a fronte di un acquisto da parte della Commissione di 200 medaglie al costo di lire 10 l’una, venne accolto il preventivo del 6 luglio di Lorenzo Gori che, al costo totale di lire 2.030, fornì, oltre al conio, 300 medaglie in rame, 20 in argento e 20 in rame dorato (ASCF, Centenario di Michelangelo Buonarroti, 1875, CF 4990, ins. Conio di medaglie commemorative; CF 4992 registro Resoconto generale delle Entrate e delle spese). Il Gori si impegnò a realizzare a sue spese il conio del rovescio che doveva essere inciso dal Prof. Farnesi di Lucca mentre per il diritto avrebbe usato il conio Santarelli, già realizzato per le monete dell’Accademia di Belle Arti nel 1812 dall’incisore Giovan Antonio, padre dello scultore Emilio che tanta parte ebbe nelle celebrazioni michelangiolesche. Le medaglie così realizzate furono in parte vendute e in parte donate agli illustri partecipanti ai festeggiamenti, e quindi anche all’Accademia della Crusca che la ricevette dopo la conclusione delle feste, l’8 febbraio 1876 (ASCF, Centenario di Michelangelo Buonarroti, 1875, CF 4991, ins. Pubblicazioni michelangiolesche). Fonti: ASC, Pezzo 411, Affari e Rescritti, Filza 10, 1873-1877, Inserto 7; ASC, Pezzo 135, Corrispondenza Offciale 1868-1877, c. 39v, lettera n. 142; ASCF, Centenario di Michelangelo Buonarroti. 1875, CF 4990, ins. Conio di medaglie commemorative; CF 4991, ins. Pubblicazioni michelangiolesche; CF 4992, registro Resoconto generale delle Entrate e spese. (lb)

5 _ Santarelli, Emilio (Firenze 1801-1886) Michelangelo Buonarroti, 1836-1838 (?) Marmo; 62 x 23 x 22 Caprese Michelangelo (Arezzo), Museo Michelangiolesco Piccola scultura a tutto tondo raffgurante Michelangelo Buonarroti secondo i caratteri della statua facente parte della serie degli Uomini Illustri, presente nelle nicchie del loggiato degli Uffzi a Firenze. Quest’ultima opera venne commissionata da Vincenzo Batelli, l’organizzatore di tutto il ciclo scultoreo destinato a celebrare i grandi toscani, allo scultore forentino Emilio Santarelli nel 1836,

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una delle prime quattro del ciclo, assieme alle effgi di Dante Alighieri, Leonardo da Vinci e Machiavelli, commissionati ad altrettanti celebri scultori del periodo, così da dare maggior risalto all’impresa. Entro il gennaio 1838 Santarelli consegnò, secondo le regole, il bozzetto in creta e il modello in gesso, e nel settembre 1840 la scultura era già fnita e visibile nello studio dell’artista dove rimase fno al giugno 1845 quando venne posta nella quarta nicchia del loggiato di levante da dove verrà spostata tre anni dopo per essere collocata nella nona (IacopozzI 2001, p. 91). L’opera riscosse subito molto successo tanto che il Santarelli ne scolpì almeno una replica citata nel catalogo di vendita delle sue opere trovate nello studio al momento della morte (Catalogo 1887, p. 11). Non è facile capire in che rapporto si colloca con la più nota opera forentina la scultura di Caprese che differisce dalla maggiore solo per un’impostazione più contenuta delle forme e per un’intensità più sofferta del volto scavato, esemplato pur sempre sul celebre prototipo del Volterrano. Pur nel piccolo impianto, nell’opera di Caprese si nota una maggior precisione nella resa dei particolari vestimentari, ovvero l’utilizzo di un modulo più sciolto nel disegno del tessuto dell’abito e il dettaglio del colletto della veste, più aderente al collo, che scompare nella redazione maggiore per lasciare in vista solo quello più ampio del mantello, con una palese semplifcazione. Inoltre nella scultura più piccola è variata, seppur di poco, la posizione delle mani che corrisponde a una gestualità più contenuta, mentre gli oggetti in basso, simbolo dell’attività dell’artista, presentano maggiori differenze rispetto all’altra scultura: più arretrata e meno visibile la tavolozza con i pennelli, ben evidente una mazzetta invece dello scalpello e un motivo ornamentale al posto della maschera tragica. Sembrerebbe che gli strumenti della statua piccola volessero sottolineare maggiormente il ruolo dello scultore rispetto a un’elaborazione più completa dell’attività del sommo artista, presente nell’opera forentina. Tali elementi potrebbero far pensare a una precedenza cronologica della scultura di Caprese, forse nata come una prima idea, poi affnata per la realizzazione del bozzetto richiesto dalla Commissione. Il “piccolo Michelangelo”, riferito nella Guida del Museo di Caprese ad «ignoto maestro toscano», giunse a Caprese nel 2006 in seguito alla donazione al Museo Michelangiolesco della collezione del professor Enrico Guidoni, formata da circa 200 sculture di autori italiani del xIx e xx secolo in medio e piccolo formato reperiti nel tempo sul mercato antiquario (Del MorIno 2007, p. 35). Bibliografa: Del MorIno 2007, p. 35. (lb)

6 _ Ferrari, Carlo (Verona, 1813-1871) La piazza del Granduca e la Loggia dei Lanzi Firmato e datato in basso a sinistra: «C. Ferrari 1853» Olio su tela; 134 x 178 Collezione Massimo Bartolozzi Una veduta inconsueta della piazza del Granduca, colta dall’arengario di Palazzo Vecchio, o meglio dalla soglia del portone del Palazzo, punto di vista privilegiato scelto evidentemente dal pittore nell’intento di dare particolare risalto alla collezione di statue poste a ornamento del luogo. A introdurre alla visione di quella sorta di museo di scultura all’aperto sono l’Ercole e Caco di Baccio Bandinelli, alla sinistra della tela e, a destra, il David di Michelangelo la cui fgura di spalle si delinea in un delicato controluce sulla volta ariosa di un cielo di reminiscenza tiepolesca. Con la cura che gli è abituale, Ferrari descrive con minuziosa attenzione gli edifci, monumentali e non, eretti sulla piazza, per poi soffermarsi a tratteggiare nella sua varietà la moltitudine di personaggi che anima quello scorcio urbano; sono gli uffciali di guarnigione, le signore a passeggio, i turisti, i cocchieri, i mendicanti, le foraie, un venditore di medicamenti portentosi – forse quel Niccolai ciarlatano poi ricordato da Giuseppe Conti in Firenze vecchia –, e addirittura un fgurinaio con il suo repertorio di statuine di gesso fra cui spicca un busto di Napoleone, quasi una scherzosa traduzione in chiave popolaresca della nobile dignità delle statue antiche, oggetto dell’ammirazione dei cittadini e dei visitatori stranieri. Fra tutte, è proprio il David a richiamare l’interesse della coppia che sosta in contemplazione della scultura, suggerendo l’aggiornata sensibilità nei confronti di quella statua che attorno alla metà dell’Ottocento era tornata a rivestire valori estetici e patriottici affni a quelli che l’avevano resa insigne all’inizio del Cinquecento, quando per la sua bellezza, superiore a quella di «tutte le statue moderne et antiche, o greche, o latine», come scrisse Vasari, e per i signifcati connessi al soggetto, era stata eletta a simbolo della libertà della Repubblica forentina. La rinnovata attenzione, anche conservativa, per il David aveva comportato una maggior diffusione della sua immagine, da allora spesso assunta a elemento principale delle raffgurazioni pittoriche o incisorie, e ben presto anche fotografche, della piazza del Granduca. Erano immagini rivolte soprattutto a un pubblico internazionale, desideroso di portare con sé, al ritorno dal “voyage d’Italie”, un ricordo dei luoghi visitati, secondo un’abitudine che risaliva al Grand-Tour. Non è dato sapere se questa fosse anche la destinazione del dipinto di Ferrari; certo è che fn dagli inizi della carriera l’artista aveva lavorato per una clientela straniera,

estimatrice delle sue vedute urbane che coniugavano armoniosamente il «virtuosismo narrativo», da paesista nordico, all’affabilità dell’ambientazione di genere (MarInI 2005, p. 26). Alla veduta il pittore, noto anche con il nomignolo di Ferrarin, si era dedicato dalla giovinezza, ottenendo fn dall’esordio, nel 1837, il plauso della critica e di colti committenti fra i quali il maresciallo Radetzky, acquirente di una delle numerose redazioni eseguite dall’artista di Piazza delle Erbe a Verona, di cui una appartenuta a Anatolij Demidov (cfr. S. MarInellI, in Il Veneto e l’Austria 1989, p. 220, n. 148). A Demidov si deve probabilmente anche la redazione del nostro quadro, forse esito di appunti dal vero presi dall’artista a Firenze durante il viaggio che lo avrebbe condotto a Roma per eseguirvi varie vedute della città ordinategli dal principe russo, e compiute nel 1854 (cfr. MarInI 2005, p. 58). La particolarità dell’inquadratura che crea un risentito asse diagonale determinato dalla Loggia dei Lanzi e dalle facciate in ombra delle case alte, e ha il suo punto di fuga nell’inoltrarsi della via oltre il cosiddetto “tetto dei Pisani”– secondo un escamotage compositivo memore degli esempi di Giuseppe Canella – infonde all’immagine un sentore di verità, invero ben maggiore di quanto non facciano le fgurette che popolano la scena, e di cui già all’epoca dell’artista si erano resi conto i critici più accorti, ammirati «dell’esattezza e rapidità prodigiosa» con cui Ferrari fssava «le forme e le tinte di quanto gli sta[va] dinanzi», tali da indurre a credere che esse «venissero a fermarsi sulla tela attraverso il vero d’una camera oscura» (MuranI 1844, I, p. 153). Bibliografa: MuranI 1844, I, p. 153; S. MarInellI, in Il Veneto e l’Austria 1989, p. 220, n. 148; MarInI 2005, pp. 26, 58. (sbi)

7 _ Fumagalli, Paolo (Milano 1797 - Firenze 1873) su disegno di Moritz, Friedrich Wilhelm (Neuchâtel 1783 - 1855) Piazza del Granduca presa sotto la Loggia dei Lanzi, post 1830 Incisione all’acqua tinta; foglio, 340 x 240 mm; stampa, 270 x 210 mm Iscrizioni sul foglio: in alto a destra «III»; in basso a sinistra, «F. W. Moritz disegnò»; in basso a destra, «Paolo Fumagalli incise» Didascalia: «Piazza del Granduca presa sotto la Loggia de’ Lanzi / Firenze presso Luigi Bardi – Borgo degli Albizzi N. 460» Firenze, Galleria Aquafortis La tavola riproduce puntualmente l’immagine disegnata da Francesco Pieraccini e incisa da Giovan Paolo Lasinio per illustrare La piazza del Granduca di Firenze co’ suoi

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monumenti di Melchiorre Missirini, edita dal calcografo forentino Luigi Bardi nel 1830. L’acquatinta faceva parte di una raccolta fttizia di vedute di Firenze composta dal frontespizio e da un numero di tavole variabile, fatta realizzare da Bardi in seguito al successo ottenuto con la pubblicazione di quella prestigiosa edizione in folio, di cui l’album costituito dalle tavole incise da Paolo Fumagalli, su disegno dello svizzero Moritz, doveva rappresentare una versione assai meno meno impegnativa, anche economicamente, e dunque alla portata di un pubblico più vasto. L’invenzione del Pieraccini, di cogliere la veduta di Palazzo Vecchio dall’interno della Loggia de’ Lanzi consentiva una suggestiva, teatrale visione della piazza e delle statue che la ornavano, dalla silhouette in controluce del Perseo di Cellini, al monumento equestre di Cosimo I del Giambologna, ma sorprendentemente, almeno in confronto a illustrazioni dei decenni precedenti, era il David di Michelangelo ad assumere un ruolo di preminenza, ribadito dall’ombra della sua mole proiettata sulle pietre del Palazzo. Un’immagine che sarebbe stata presto diffusa non solo dal susseguirsi delle raffgurazioni a stampa, ma anche dalla fotografa. La calcografa di Luigi Bardi, attiva dai primi anni dell’Ottocento e dal 1815 in alcune stanze messe a disposizione dall’Accademia di Belle Arti nel convento di San Marco, sarebbe diventata una delle maggiori fra quelle operanti in ambito forentino grazie alla nomina del Bardi a Regio Calcografo, ottenuta dopo poche stagioni dalla fortunata edizione della Piazza del Granduca co’ suoi monumenti e da quella Delle statue di Arnolfo di Lapo e di Filippo di Ser Brunellesco eseguite da Luigi Pampaloni, anch’essa curata dal Missirini nel 1830. Forte della protezione granducale, Bardi intraprese il progetto di pubblicare i dipinti della Galleria Palatina, opera impegnativa che vide al lavoro molti dei giovani artisti, abituali frequentatori del suo negozio di Borgo degli Albizzi, vero e proprio centro di conoscenza e di diffusione di opere d’arte italiane e straniere, antiche e moderne (cfr. C. SISI, Introduzione, in Disegni dell’Ottocento dalla collezione Batelli, catalogo della mostra [Firenze, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe degli Uffzi, 1987], a cura di C. Sisi, Firenze 1987, pp. 12-13). Fumagalli, giunto a Firenze nel 1825 al seguito di Vincenzo Batelli – l’editore che avrebbe promosso la decorazione del loggiato degli Uffzi con le statue degli Illustri toscani –, aveva cominciato da subito a lavorare per Luigi Bardi realizzando soprattutto stampe di soggetto forentino che avevano ampio smercio tra i forestieri (G. Fumagalli 1937, pp. 27-56). Bibliografa: Inedito. (sbi)

8 _ Artaria, Ferdinando e Figlio / Falkeisen, Johann Jakob (1804-1883) [Firenze. La Loggia dei Lanzi], 1842 Acquatinta da dagherrotipo, colorata a mano; 16 x 21,3; 28,6 x 37,1 Al recto sul supporto in basso al centro iscrizione a stampa: «EXÉCUTÉ D’APRÈS L’ORIGINAL DU DAGUÉRREOTYPE / Milan chez Ferd. Artaria et Fils, Editeurs» Dalla serie Vues d’Italie d’après le Daguerréotype, Ferd. Artaria et Fils Editeurs, 1840-1847 Firenze, RMFA, inv. FVQ-F-45384 I primi tentativi per individuare una tecnica capace di rendere possibile la moltiplicazione dell’immagine dagherrotipica, di per sé unica e irriproducibile, si manifestano già a pochi mesi di distanza dal 7 gennaio 1839, data dell’annuncio dell’invenzione del dagherrotipo presso l’Accademia delle Scienze a Parigi (BonettI et al. 2003, pp. 33-34). L’incisione ottenuta attraverso il ricalco dell’immagine dal dagherrotipo è la tecnica impiegata per la realizzazione di diverse imprese editoriali fnalizzate a produrre repertori di immagini rappresentative dei più importanti luoghi e monumenti con la garanzia di realismo offerta dalla ripresa in dagherrotipia. Tra queste la serie dell’editore Artaria dalla quale è tratta l’incisione in oggetto. I dettagli delle sculture e la presenza di fgure rivelano l’intervento disegnativo nel passaggio tra la matrice dagherrotipica e l’incisione fnale eseguita in questo caso da Falkeisen che cominciò a operare per Artaria nel 1842 (BonettI et al. 2003, p. 185). Donatella Falchetti, nell’esaustiva scheda in BonettI et al. 2003, p. 186, riporta la data di registrazione delle tavole delle Vues d’Italie nell’“Elenco delle opere stampate e pubblicate in Milano e nelle province lombarde” e/o nel registro di ingresso della Biblioteca Nazionale Braidense: la tavola di Falkeisen relativa alla Loggia dei Lanzi risulta registrata nel primo elenco nel settembre 1842, termine dal quale si può ricavare la data di esecuzione collocandola verosimilmente a un momento di poco antecedente. Bibliografa: BonettI et al. 2003, p. 186; QuIntavalle 2003, p. 95 (ill.), 135 scheda 3b (ill.) (mp)

9 _ Piot, Eugène (Parigi, 1812-1890) Florence. David. Statue colossale de Michel Ange, 1851 ca. Stampa su carta salata, da negativo di carta; 32,5x19; 42,3x28,3 Sul recto in basso a sinistra sotto l’immagine iscrizione a stampa: «Eug. Piot fecit» e a destra «et excudit 1853»; al centro: «David. Statue Colossale de Michel Ange Buonarotti [sic] au palais vieux / Paris L’AUTEUR Rue St Fiacre 20» Firenze, RMFA, inv. 134622

La fotografa fa parte della serie di soggetti realizzati da Piot in Italia tra il 1849 e il 1853 e destinati alla raccolta L’Italie Monumentale. L’opera, che prevedeva la pubblicazione in fascicoli periodici di cento stampe su carta salata dedicate all’Italia, non fu mai portata a termine. In particolare la scultura del David, assieme ad altri quattro soggetti forentini, era inclusa nella terza livraison dell’opera, datata 1853, dopo la quale la pubblicazione fu interrotta. Bibliografa: QuIntavalle 2003, p. 238, scheda 176c (ill.); Éloge 2010 p. 48 (ill.). (mp)

10 _ Piot, Eugène (Parigi, 1812-1890) [Il David], 1851 ca. Negativo di carta; 32 x 19 Parigi, INHA, Bibliothèque, Collections Jacques Doucet, inv. Fol Phot 047 nég 024 Si tratta del negativo corrispondente alla stampa conservata presso le RMFA [cfr. la scheda cat. 9]. Per le questioni relative alla datazione delle immagini del David nel periodo tra il 1851 e il 1863, si veda la scheda cat. 16. (mp)

11 _ Veraci, Vero (? - Firenze 1855) [Il David], 1851 ca. Stampa su carta salata da negativo di carta; 35,2 x 26,8; 54,4 x 37,8 Al recto sul supporto iscrizione: «Statue à […] l’entrée au Palais Vieux souvenir de Florence par Monsieur George […] 1853» Roma, ICCD, Collezione Becchetti, inv. 9700/2 La data presente nell’iscrizione e relativa alla dedica, costituisce certamente un terminus ante quem ma non necessariamente coincide con la data della ripresa fotografca. Si veda la scheda cat. 16 per le questioni relative alla datazione delle immagini del David nel periodo tra il 1851 e il 1863. Bibliografa: Falzone Del BarBarò et al. 1989, p. 41 (ill.). (mp)

12 _ Veraci, Vero (? - Firenze 1855) [Il David fuori Palazzo Vecchio], 1852 ca. Negativo di carta; 29 x 22,1 Firenze, RMFA, inv. NVQ 2773 Il calotipo fa parte di una serie di 110 negativi su carta conservati presso le Raccolte Museali Fratelli Alinari (inv. da NVQ-F-2068 a NVQ-F-2085; da NVQ-F-2417 a NVQ-F- 2446; da NVQ-F-2745 a NVQ-F-2775; da NVQ-F-219579 a NVQ-F-219583; NVQ-F-210312; NVQ-F-212265; NVQ-F-2721).

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Il gruppo, omogeneo per provenienza, formati e soggetti (vedute e monumenti di Firenze) include due esemplari frmati e datati (Porta Laterale del Duomo e Piazza del Bargello, frmati «G. Vero Veraci, 1852»). Oltre a quello in oggetto, altri due calotipi della serie rappresentano la scultura del David: il primo (NVQ 2070) con un punto di vista leggermente più ravvicinato e ripreso in diverse condizioni di luce, come rivelano le ombre sulla facciata del palazzo che appaiono meno marcate, il secondo (NVQ 2615) offre una veduta orizzontale che include il portale di Palazzo Vecchio e la scultura di Ercole e Caco. (mp)

13 _ Alinari, Leopoldo (Firenze 1832-1865) [Il David], 1852 ca. Stampa all’albumina 32 x 22,5; 59,2 x 46,2 New York, The New York Public Library, Photography Collection, Miriam and Ira D. Wallach Division of Art, Prints and Photographs, Astor, Lenox and Tilden Foundations, inv. 111PH069.098-3012 Sulla stampa non compare il numero di negativo. Il soggetto è presente nel catalogo Alinari dell’Aprile 1856 con il numero 16 («Le David, statue colossale, par Michelangiolo»), nel catalogo del settembre 1856 con il numero 18 e nel catalogo dell’ottobre 1857 con il numero 20 (stesso titolo). Tuttavia, la stampa alla scheda cat. 16, che riporta il numero 20, presenta un’immagine diversa, nella quale non compare il riparo al di sopra della scultura. Si può supporre che quella in oggetto sia la prima immagine del David realizzata da Leopoldo Alinari prima di costituire nel 1854 la società con i fratelli Giuseppe e Romualdo: quando Leopoldo inizia a realizzare le proprie riprese fotografche, intorno al 1852, la scultura si trovava infatti verosimilmente già riparata dalla copertura visibile in questa immagine. Al momento della rimozione del riparo l’immagine fu probabilmente aggiornata con il nuovo scatto (per ulteriori considerazioni a questo proposito, si veda la scheda cat. 16). Altri esemplari di questa immagine presso: Collezione W. Bruce and Delaney H. Lundberg; Firenze, RMFA, inv. FVQ-F-210233. Fonti: alInarI 1856a; alInarI 1856b; alInarI 1857 Bibliografa: QuIntavalle 2003, p. 39 (ill.); QuIntavalle et al. 2003, p 365 (ill.); poSSentI 2005, p. 25 (ill.); pohlMann et al. 2009, p. 180 (ill.), 360. (mp)

14 _ Philpot, John Brampton (Maidstone 1812 - Firenze 1878) Il Palazzo Vecchio, particolare della facciata dalla Loggia dei Lanzi, ante 1859 Calotipo; 44 x 17 In basso, a sinistra, la frma: «J. B. Philpot» Firenze, Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Firenze, Gabinetto Fotografco, inv. 2400 È una delle fotografe più interessanti di John Brampton Philpot, rilevante sia per l’audace taglio verticale che per il sapiente e drammatico gioco di luce che, partendo dall’oscurità della Loggia dei Lanzi, si riversa nella luminosità della piazza, del bugnato di Palazzo Vecchio e del David che si erge dietro il possente leone. Philpot adotta un punto di vista insolito, scegliendo un audace taglio verticale che vede in primo piano il leone della Loggia dei Lanzi e, dietro, il David e Palazzo Vecchio. Notevole il contrasto coloristico tra le strutture di pietra del Palazzo e le due sculture. La presenza dello stemma dei granduchi lorenesi, di travertino, che compare sopra la bifora cieca con gli infssi dipinti sull’intonaco, pone il termine ante quem della ripresa in quanto lo stemma fu asportato nel 1859. Il David è protetto dalla tettoia installata nel 1851, dopo che il Collegio dei professori dell’Accademia di Belle Arti aveva constatato il deterioramento del marmo. La ripresa inquadra un pilastro della Loggia dei Lanzi e la base della scultura del leone, che creano due linee scure – una breve linea orizzontale e una lunga verticale – e mettono in risalto la luce che dà forma al bugnato di Palazzo Vecchio e alle due sculture. Il primo piano della statua leonina è molto suggestivo. In tutta l’immagine il gioco di luci e ombre è sapientemente orchestrato. La fotografa era esposta al Museo Storico-Topografco Fiorentino nel 1909, con la didascalia «N. 1. Veduta di Palazzo Vecchio con la statua del David e lo stemma lorenese, sulla porta principale». Non sappiamo se la data 1859 è dovuta a notizie allora disponibili o se è un ante quem basato sulla presenza dello stemma dei granduchi lorenesi in due di essi, il Palazzo Vecchio, particolare della facciata dalla Loggia dei Lanzi e Ponte alla Carraia con fuochi artifciali. Il 4 aprile 1909 Pasquale Nerino Ferri, ispettore e reggente, direttore degli Uffzi, direttore del Gabinetto Disegni e Stampe, scrive a Corrado Ricci: «Caro Direttore, sabato fu una giornata fortunata per la Raccolta stor. Topogr. Fior.a. Si sono potuti acquistare per sole 140 lire 28 negativi 40 x 30 eseguiti dal Philpot nel 1859 su carta al cloro bromuro rappresentanti le principali vedute di Firenze.

Si tratta di documenti fedeli e irrefragabili di fronte ai quali i disegni, le stampe, le litografe ed i dipinti passano in seconda linea! Togliendo i negativi dal commercio le nostre fotografe diventano di una rarità eccezionale! Siccome nella Casa Buonarroti non ho più un palmo di parete disponibile ho subito ordinato un paio di colonne giranti in ferro per esporvi le prove che il nostro bravo Perazzo sta fnendo e che non mancherò di spedirti». Il Fondo Philpot è costituito di 28 negativi su carta ed è uno dei fondi più prestigiosi e preziosi del Gabinetto Fotografco. Il calotipo, inventato da William Henry Fox Talbot nel 1840, è il progenitore del moderno negativo fotografco. La calotipia è un procedimento che produce immagini direttamente su carta. Questa viene impregnata di ioduro d’argento e lavata con una soluzione di acido gallico e nitrato d’argento. Il calotipo serviva da negativo per stampare il positivo su carta della stessa natura. Mentre il dagherrotipo, suo diretto predecessore, è prodotto su lamine argentate e realizza per ogni esposizione un solo positivo con una nitidezza minuziosa di ogni dettaglio, il calotipo, per la porosità della carta su cui vengono registrati sia negativo che positivo, rende le immagini meno nitide, riuscendo a cogliere meglio sia l’insieme che i singoli particolari. In Italia la calotipia si diffonde a partire dal 1841, qualche mese dopo la comunicazione uffciale di William Henry Fox Talbot. Bibliografa: Ferri 1909, n. 541; Alle origini della fotografa...1989, p. 45; Firenze ottocentesca 2002, p. 30. (mt)

15 _ Fratelli Alinari [Palazzo Vecchio dalla Loggia dei Lanzi], 1855 ca. Stampa all’albumina 33,5x26; 63,8x49,1 Sul negativo in basso a destra: «15» Roma, ICCD, Collezione Becchetti, inv. 8094 Il soggetto è presente nel catalogo Alinari dell’aprile 1856 con il numero 12 (“Le Palais Vieux de dessous la Loggia dei Lanzi”); nel catalogo del settembre 1856 con il numero 15 (“Detail de la Loggia dei Lanzi et du Palais Vieux”) Fonti: alinari 1856a; alinari 1856b. Bibliografa: Quintavalle 2003, pp. 160 (ill.), 158, 221 scheda 40c (ill.). (mp)

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16 _ Fratelli Alinari [Il David], 1857 ca. Stampa all’albumina; 33,5 x 23,8; 61 x 46 Al recto sul supporto in basso al centro iscrizione in inchiostro: «Firenze / Il David statua colossale, di Michelangiolo» e timbro a secco ovale: «FRATELLI ALINARI / FOTOGRAFI / FIRENZE / PRESSO LUIGI BARDI»

Firenze, Collezione privata, già Collezione Malandrini, inv. CDP-A-MAL185-5 La datazione di questa stampa non può essere attribuita con certezza. Essa si basa in primo luogo sui dati direttamente riscontrabili sulla stampa in oggetto (numero di negativo; timbro a secco) che delimitano un ambito cronologico di circa dieci anni e in secondo luogo sull’osservazione e il confronto di altre fotografe riferibili allo stesso soggetto, o nelle quali la scultura del David è comunque visibile, al fne di collocare con più esattezza questa immagine in una sequenza cronologica. Per quanto riguarda il numero di negativo, sulla stampa compare il numero 20, iscritto sulla lastra. Questo numero si riscontra associato al soggetto «Le David, statue colossale, par Michelangiolo» nella première serie (formato 35 x 27) dei cataloghi commerciali Alinari dell’ottobre 1857 e del 1858 e con il titolo in italiano «Il David statua colossale di Michelangiolo», prima serie, formato 35 x 27, nei cataloghi del 1863 e 1865. Il timbro a secco, presente sul cartone di supporto, è quello indicato nella classifcazione proposta in Quintavalle 2003, p. 595 come timbro 2, databile tra il 1854 e il 1863. L’elemento che determina incertezza riguardo alla possibilità di una più precisa datazione della fotografa emerge dall’osservazione di altre immagini databili tra il 1851 e il 1865: si tratta della copertura in legno posta a protezione della scultura che compare in alcune fotografe. Ponendo le immagini in ordine cronologico si osserva quanto segue: nella fotografa di Piot [cat. 10], datata 1851 ca., la copertura non è ancora presente, così come nell’immagine di Veraci [cat. 11] datata sicuramente ante 1853 e verosimilmente in base a quanto sarà illustrato qui di seguito verso il 1851; compare invece nei tre negativi di Veraci conservati presso le Raccolte Museali Fratelli Alinari [cat. 12] databili 1852 ca.; una seconda fotografa di Alinari, priva di numero di negativo e con timbro 2 [cat. 13], mostra anch’essa la copertura. La stessa si ritrova nel Palazzo Vecchio dalla Loggia dei Lanzi conservato presso l’ICCD [cat. 15] e datata 1855 ca., nella fotografa di Philpot [cat. 14] datata ante 1859 e in una serie di vedute di Palazzo Vecchio e Piazza della Signoria eseguite dai Fratelli Alinari, conservate presso le Raccolte Museali Fratelli Alinari nelle quali è visibile la scultura, datate tra il 1856 e il 1857 (OTC-F-18; FVQ-F-190974;

PDC-F-5173; FBQ-F-4847; cfr. Quintavalle 2003 p. 221; Fanelli 2003, p. 105, n. 16). Altre due vedute dei Fratelli Alinari nelle quali compare il monumento lo mostrano invece di nuovo privo di copertura e sono databili rispettivamente post 1863 e post 1865 (RMFA FVQ-F-206060; RMFA AVQ-A-2965-10; cfr. Fanelli 2003, p. 101, n. 12; Fanelli 2003, p 107, n. 18). La copertura lignea di protezione alla scultura del David sembra quindi essere stata eretta tra il 1851 e il 1852 ed essere poi stata rimossa sicuramente prima del 1863. Nei documenti di archivio relativi alla vicenda di conservazione del David tra il 1843 e il 1873, approfonditamente analizzati da Franca Falletti e Marcella Anglani, non risulta alcun accenno all’installazione della copertura. Tuttavia, nella Guida della R. Galleria Antica e Moderna e Tribuna del David di Eugenio Pieraccini, al capitolo Notizie storiche sul David di Michelangelo (Pieraccini 1884, pp. 9-15) si fa riferimento al Consiglio Accademico riunito dal Presidente dell’Accademia di Belle Arti per far fronte alla situazione, dato che era stato riscontrato che «i danni si facevano sempre più gravi» (Pieraccini 1884, p. 12); si riferisce poi che «la cosa però anche questa volta non sortì più dell’altra esito felice e tutto rimase sopito». Si aggiunge tuttavia che «si pensò di fare una copertura che riparasse la statua dalla pioggia»: questo pare quindi un chiaro riferimento alla copertura e si può verosimilmente supporre che essa sia stata eretta poco dopo, tra il 1851 e l’inizio del 1852. Questa ipotesi è cronologicamente compatibile con quanto riscontrato dall’osservazione delle fonti iconografche. Ritornando quindi alla datazione della fotografa qui esaminata, si può ipotizzare che lo scatto sia posteriore alla rimozione del riparo: considerando infatti che il soggetto con questo numero compare nel catalogo del 1857, esso potrebbe essere stato eseguito per sostituire la precedente immagine [cfr. cat. 13] e aggiornare l’iconografa nel momento in cui il riparo venne rimosso. D’altro canto si può osservare che già l’altra immagine citata era stata eseguita da un punto di ripresa molto ravvicinato in modo da tagliar fuori il più possibile il riparo ligneo, del quale non era stata inclusa la copertura in alto ma solo i sostegni laterali, pur a costo di sacrifcare in tal modo la visibilità del basamento della scultura. Fonti: alinari 1857. (mp)

17 _ Fotografo non identificato [La Madonna di Bruges], 1851 ca. Stampa su carta salata da negativo di carta; 21,7 x 15,2; 55 x 42 Al verso al centro iscrizione in grafte: «38 y 8» Monaco di Baviera - Londra, Daniel Blau, inv. 2070

Questa immagine si ritrova inserita nell’Album photographique de l’Artiste et de l’Amateur, una raccolta di fotografe di opere d’arte eseguite da diversi autori (tra questi i più illustri rappresentanti della fotografa francese dell’epoca ma anche in taluni casi anonimi) pubblicata nel 1851 da Louis Désiré Blanquart -Evrard. Nell’esemplare dell’opera conservato presso le Raccolte Museali Fratelli Alinari una stampa della stessa fotografa (tagliata in maniera differente, con il lato in alto tondeggiante), compare alla tavola n. 7 con la seguente didascalia a stampa in caratteri dorati sul supporto: «La Vierge de Michel Ange dans l’Eglise de Notre Dame, à Bruges». Nel catalogo ragionato degli album fotografci editi da Blanquart-Evrard, Isabelle Jammes indica le istituzioni presso le quali si conservano esemplari dell’opera che contengono la tavola numero 7, corrispondente a questa fotografa: Parigi, Bibliothèque nationale; Lille, Bibliothèque municipale; Lille, Musée industriel et commercial; Bruxelles, Bibliothèque royale Albert 1er (JaMMes 1981, p. 136). Fonti: BlanQuart-evrarD 1851, tav. 7. Bibliografa: JaMMes 1981, p. 136, tav. 7 (ill.); Gegossenes Licht 2008, tav. XXVIII, scheda XXVIII. (mp)

18 _ Baldus, Édouard-Denis (Grünebach 1813 - Arcueil-Cachan 1889) [Schiavo morente], 1854 Stampa su carta salata da negativo di carta; 39,8 x 20,3; 62 x 51 Al recto sul supporto in basso a destra frma in grafte: «Baldus»; in basso a sinistra iscrizione in inchiostro: «J.S. 4.6.5.» Monaco di Baviera - Londra, Daniel Blau, inv. EB-P-3096 Presso la stessa collezione si conserva una seconda stampa dello stesso soggetto, frmata in basso a sinistra sul negativo, riprodotta in Baldus 1995, p. 34; Billeter et al. 1997, p. 60 e in GeGossenes licht 2008, tav. XXV. Questa fotografa e la successiva fanno parte della serie di riproduzioni di sculture antiche e del Rinascimento prodotta da Baldus nel 1854. Benché non vi sia evidenza della pubblicazione della serie come collezione unitaria, molti soggetti si ritrovano individualmente nel catalogo di Baldus databile al 1863 circa (BalDus 1863) nel quale, tra le altre, compaiono le due voci «Prisonnier endormi» e «Prisonnier» sotto il nome di «Michel-Ange» nella sezione «Vues format grand raisin», senza numerazione. Fonti: BalDus [1863]. Bibliografa: BalDus 1895; Gegossenes Licht 2008, tav. XXVI (ill.), scheda XXVI. (mp)

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19 _ Baldus, Édouard-Denis (Grünebach 1813 - Arcueil-Cachan 1889) [Schiavo incatenato], 1854 Stampa su carta salata da negativo di carta 39,8 x 20,9; 62 x 51 Sul negativo in basso a sinistra frma: «E. Baldus»; al recto sul supporto in basso a sinistra iscrizione in inchiostro: «J.S. 4.6.6.» Monaco di Baviera - Londra, Daniel Blau, inv. EB-P-3095 Si veda scheda cat. 18. (mp)

20 _ Monti, Niccola (Pistoia 1780 ca.- Cortona 1864) Michelangelo sospende di scolpire la statua del Mosè per rifettere sul lavoro, 1838 Olio su tela; 100 x 70 Collezione privata Michelangelo è in piedi sul tavolato dell’impalcatura necessaria per scolpire la parte superiore della grande fgura in marmo del Mosè, 1513-1516, destinata alla tomba di Giulio II. Alla sua sinistra, su un trespolo, è il modello in creta, mentre a terra, oltre ai frammenti di marmo che indicano che l’artista fno a poco prima stava usando il mazzuolo e lo scalpello che ha ancora nelle mani, sono gli altri suoi strumenti da scultore: «l’asta di un trapano a violino attorcigliata nello spago (mai, si noti, impiegato da Michelangelo), una sesta, una gradina, un’unghietta, una subbia, una punta» (Giovannelli 2008, p. 51). Le tracce di tali strumenti potevano, e ancora oggi possono, essere riconosciute facilmente da un artista nelle parti incompiute dei Prigioni, al tempo ancora inseriti nella Grotta del Buontalenti a Boboli, o nel San Matteo. Ancora più a sinistra, al culmine della scala di legno, sta una bottiglia in cui l’acqua, utile a dissetarsi durante il lavoro, rifette una sagoma che sembra essere una «fgurina di una donna inginocchiata come in atto di pregare» (ibidem), ovvero simile alla statua della Rachele biblica, scolpita da Michelangelo per la tomba papale, collocata nella sua forma defnitiva in San Pietro in Vincoli nel 1545. Giorgio Vasari aveva riportato che la statua era un’allegoria della Vita contemplativa, come l’altra della sorella Lia, della Vita attiva (vasari 1550, ed. Bettarini - Barocchi 1966-1987, VI, p. 69). Forse Monti intendeva, con tale presenza evanescente, ribadire il signifcato di quiete della rappresentazione di un Michelangelo non irato e intento a chiedere «perché non parli?» al suo capolavoro, secondo la tradizione popolare, bensì intento a osservare il procedere della propria opera, solo nel proprio studio. L’ambiente è descritto con pochi dettagli, sui quali, peraltro, lo sguardo indugia, invogliato dalla luce pomeridiana di una stagione intermedia. Giustamente è stato scritto che probabilmente questo, più che lo

studio romano di Michelangelo, evoca quello di un artista forentino, forse quello stesso di Monti in via del Maglio (giovAnnelli 2008, p. 51). E il volto di questo Michelangelo, il cui abito e grembiule sono di stoffa morbida e pesante come un panno di Jacopo da Empoli, è inspiegabilmente «austero, scarno, barbuto, assiderato», come fu descritto in una recensione del “Giornale del Commercio” del 1838 (cit. in giovAnnelli 2008, p. 50). La composizione è simile a quella del Michelangelo nel suo studio di Delacroix, successivo di soli dieci anni, ma il pathos implodente del francese è lontano, molto lontano: quello di Monti è un Michelangelo piuttosto biedermeyer. I caratteri esteriori della fgura sembrano ripresi dalla statua che Emilio Santarelli stava proprio in quel momento eseguendo per il Loggiato degli Uffzi (1836-1840; cfr. iAcopozzi 2000, p. 33), ed è simile persino nelle grinze delle brache, ma il naso schiacciato di Michelangelo nel dipinto appare come un accidente naturale, più che la conseguenza di un evento degno di narrazione vasariana (vAsAri 1550, ed. BettArini - BArocchi 1966-1987, VI, p. 12). Il talento di Monti, «senza toccare in genere livelli altissimi di qualità e di stile» (giovAnnelli 1988-1989, p. 407), incarna il momento della restaurazione da lui vissuto, nella quiete di quel breve periodo, in cui ci si immerge con nostalgia osservando la luce placida di questo interno, ma anche i limiti entro cui il genio si auspicava circoscriversi, in un «placido ordine, statuito e prevedibile nel suo svolgimento, come il ruotare delle stagioni» (del BrAvo 1970-1971, in del BrAvo 1985, p. 260). Lo stesso Monti, d’altronde, scriveva: «Che vado io parlando di flosofa! Oggi tutte le flosofe del mondo sono per lo più rancidumi, ciance. Platone con la sua sapienza, Diogene con le sue stravaganze, Socrate con la sua dottrina, che fgura farebbero oggi nel nostro mondo!» (Monti 1833, p. 1). Bibliografa: Monti 1833; giovAnnelli 19881989 (1989), pp. 397-432; iAcopozzi 2000, p. 33; giovAnnelli 2008, pp. 50-52 (con bibliografa precedente). (gb) 21 _ Fanfani, Enrico (Firenze 1824 - notizie fno al 1885) Michelangelo legge dei versi a Vittoria Colonna nello studio dove campeggiano il Mosè e il suo bozzetto, 1863 Olio su tela; 54,5 x 46,6 Firmato in basso a destra: «E. Fanfani» Perugia, Fondazione Cassa di Risparmio, Collezione Marabottini Fin dall’inizio dell’Ottocento, la personalità e l’opera di Michelangelo erano state argomento di un’appassionata rivisitazione da parte della storiografa artistica, che in Toscana aveva, per di più, assunto precise valenze

patriottiche, e la fgura del Buonarroti era stata eletta a soggetto di quadri e di sculture che ne esaltavano la grandezza d’artista dalla straordinaria esperienza umana e intellettuale, capace di esprimersi con eguale potenza nelle arti fgurative come in poesia. Fu però solo dopo la metà del secolo che l’amicizia spirituale tra Michelangelo e Vittoria Colonna divenne un soggetto ricorrente, ed è molto probabile che a ispirare Fanfani abbia contribuito in maniera decisiva la nuova edizione delle Rime del Buonarroti curata da Cesare Guasti con intenti flologici, e pubblicata a Firenze nel 1862. Appoggiato con disinvoltura al trespolo su cui è posato il modelletto in creta del Mosè, Michelangelo recita alcune rime a Vittoria Colonna che, seduta di fanco alla redazione marmorea della statua pressoché terminata, ascolta commossa. Ambientata nello studio dell’artista, ingombro di arnesi, di strumenti, di opere in lavorazione e di arredi di pregio come la scranna tornita e l’arazzo ornato dello stemma mediceo, la scena è descritta con l’accuratezza illustrativa utile a ricostruire “flologicamente” la verosimiglianza e la fondatezza storica dell’episodio narrato e, al medesimo tempo, infondervi sentimenti attuali, secondo quella particolare declinazione della pittura di storia sempre più propensa a esprimersi con l’affabilità colloquiale della pittura di genere, fno ad assumerne la fsionomia. Una simile concezione del quadro di storia in costume, diffusa a Firenze da Saverio Altamura, e che dagli anni Sessanta aveva interpreti rinomati quali Stefano Ussi, Annibale Gatti o Amos Cassioli, si confaceva alla sensibilità di Enrico Fanfani il quale, formatosi nell’ambito della cultura del Romanticismo storico, si era dedicato fn dalla giovinezza ai temi connessi alle vicende di uomini illustri del passato e ai soggetti storici d’ispirazione letteraria spesso tratti da testi contemporanei, come nel caso dell’Ultima confessione di Beatrice Cenci, la protagonista del romanzo di Domenico Guerrazzi edito nel 1854, o di Bice del Balzo nel castello di Rosate, l’eroina del Marco Visconti di Tommaso Grossi (1834), tutti e due eseguiti nel 1856. Allievo di Giuseppe Bezzuoli all’Accademia di Belle Arti di Firenze, Fanfani aveva esordito all’inizio degli anni Cinquanta riscuotendo il favore della critica che aveva giudicato il suo modo di dipingere «corretto in rapporto alla composizione, al disegno e allo stile» (BordigA 1851), tanto che nel 1853 un suo quadro, L’obolo della vedova, venne comprato da Leopoldo II di Lorena per la costituenda galleria di quadri moderni della città; a quel primo acquisto granducale fece seguito, nel 1857, quello del Milton cieco detta il suo poema alle fglie, nel quale l’intonazione chiarissima dell’atmosfera si coniuga ai trapassi d’ombre profonde dando netto risalto alle fgure, a testimonianza dei tentativi dell’artista di rinnovare i temi storico-letterari

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tramite gli effetti luministici e cromatici, in sintonia, dunque, con le sperimentazioni condotte allora a Firenze dai giovani impegnati nel rinnovamento dei linguaggi pittorici per via formale. Ricerca che nel 1860 ebbe come esito La mattina del 27 aprile del 1859 in Firenze, senz’altro l’opera più nota di Fanfani, presentata con successo all’Esposizione Nazionale del 1861. Di quel soggetto di storia moderna il pittore eseguì più d’una versione, tuttavia egli non accantonò i temi in costume e anzi fu con tali soggetti che negli anni a seguire partecipò alle mostre forentine, dove nel 1863 e nel 1864, insieme a episodi tratti dalla vita di Cimabue, Dante, Donatello, Tasso, Cellini, Milton, presentò Michelangelo legge alcune sue poesie a Vittoria Colonna onde alleviarle il duolo per la perdita del di Lei sposo, molto probabilmente identifcabile con il dipinto in questione. Sul tema Fanfani sarebbe tornato almeno un’altra volta, quando nel 1878 espose alla mostra della Società d’Incoraggiamento di Firenze un quadro di tal soggetto (si trattava forse del medesimo dipinto?), ponendolo in vendita al prezzo considerevole di 2200 lire. Bibliografa: Catalogo… Esposizione… Belle Arti in Firenze… 1863, p. 15, n. 264; Esposizione… Belle Arti in Firenze… 1864, p. 13, n. 204; Gli uomini illustri, in Romanticismo Storico 1973, p. 110; S. Bietoletti, in Gusto Romantico... 2013, p. 108, n. 42. (sbi)

22 _ Guillot-Saguez, Amélie [Mosè di San Pietro in Vincoli], 1847 Stampa su carta salata da negativo di carta; 26,3 x 19 Al recto sul supporto iscrizione: «Fait à San Pietro in Vincoli 24 février 1847» Parigi, Collection de la Société française de photographie, inv. PH 1630 La fotografa è contenuta nell’album Regnault conservato presso la Société française de photographie assieme a tre altre stampe di Guillot - Saguez, le uniche oltre a quella in oggetto a oggi attribuibili con certezza alla coppia di autori (Jacques-Michel Guillot e Amélie Guillot Saguez). Il Mosé si trova alla tavola numero 69 dell’album, gli altri tre soggetti (Pifferaio, Acquedotto antico, S. M. in Cosmedin) riportano rispettivamente i numeri 64, 70 e 71. Eseguita durante il soggiorno in Italia della coppia Guillot - Saguez nel febbraio 1847, la fotografa fu esposta all’Exposition des produits de l’industrie del 1849, in occasione della quale gli autori furono insigniti di una medaglia di bronzo, e fu descritta da Léon de Laborde nel rapporto della giuria come una prova tecnicamente diffcile ma ben riuscita considerando le pessime condizioni di illuminazione nella quali era stata realizzata (cit. in AuBenAs et al. 2010, p. 281).

Bibliografa: JaMMes et al. 1983, pp. 186 (ill.), 187; BouQueret et al. 1989, pp. 93 (ill.), 225; cartier Bresson et al. 2003, pp. 20 (ill.), 22, 148; auBenas et al. 2010, pp. 49 (ill.), 281; Éloge 2010, p. 225. (mp)

23 _ Caneva, Giacomo (Padova 1813 - Roma 1865) [Mosè di San Pietro in Vincoli], 1852 ca. Stampa su carta salata da negativo di carta; 263 x 186; 260 x 370 Parigi, BnF, Département des Estampes et de la Photographie, inv. RESERVE – Vf-88(i)-4, f 71, donazione della baronessa Salomon de Rothschild nel 1922 La fotografa fa parte di un album con rilegatura in tela rossa con titolo sulla costola Album de photographie italienne. Al recto sul supporto in basso a destra iscrizione in grafte: «Mosè di Michielangelo [sic] a S. Pietro in Vincoli». Altri esemplari di questa immagine: Firenze, RMFA, inv. AVQ-A-613-1; Parigi, École nationale Supérieure de Beaux Arts, inv. Ph 1630; Modena, Fotomuseo, inv. 239, frmata al verso. Bibliografa: Chefs d’œuvre 1991, pp. 222, 223; cartier Bresson et al. 2003, p. 148 (ill.); Bonetti et al. 2008, p. 149 (ill.); Éloge 2010, pp. 114 (ill.), 211 (mp)

24 _ Anderson, James (Blencarn 1813 - Roma 1877) [Mosè di San Pietro in Vincoli], 1855 ca. Stampa all’albumina 40,3 x 31,2; 62,2 x 47 Al recto sul supporto in basso a destra iscrizione in inchiostro: «Moises by Michel Angelo / St. Pietro in Vincoli» Firenze, RMFA, inv. AVQ-A-1211-39 Il soggetto è presente nel catalogo Anderson del 1859, nel formato 31 x 47 con il numero 33 («Le Moïse de Michel Ange») all’interno della sezione «Statues antiques de Rome». Fonti: anDerson 1859, p. 6. Bibliografa: La Lumière... 1851-1860, 1855, p. 79. (mp)

25 _ MacPherson, Robert (Edimburgo 1811 - Roma 1872) [Mosè di San Pietro in Vincoli], 1857 ca. Stampa all’albumina; 34,4 x 26,9; 63,5 x 48,7 Al recto sul supporto al centro sotto l’immagine iscrizione in grafte: «The Statue of Moses by Michael Angelo in the church of San Pietro in Vincula»; in basso al centro timbro a secco ovale:

«R. MACPHERSON / ROME» con al centro numero manoscritto in grafte: «97» Firenze, RMFA, inv. AVQ-A-89-17 Il soggetto è presente nel catalogo MacPherson del 1857 con il numero 97 («The Statue of Moses, by Michael Angelo in the Church of San Pietro in Vincula»). Fonti: MacPherson 1857. (mp)

26 _ Braun, Adolphe (Besançon 1812-1877) [Tomba di papa Giulio II], 1868-1870 Stampa al carbone; 48 x 38; 70 x 54 Al recto sul supporto in alto al centro iscrizione in grafte: «7»; in basso, a stampa: «MICHEL-ANGE / REPRODUCTION INALTERABLE D’APRÈS L’ORIGINAL PAR A. D. BRAUN DORNACH (Ht Rhin)»

Firenze, Accademia delle Arti del Disegno, cartella Centenario Michelangelo 1875, inv. 7 Per la datazione si veda la scheda cat. 37. (mp)

27 _ Delacroix, Eugène (Charenton-Saint-Maurice 1798 - Parigi 1863) Michel-Ange dans son atelier, 1849-1853 Olio su tela; 41 x 33 Iscrizioni: in basso a sinistra: «Eug. Delacroix» Montpellier Agglomération, Musée Fabre, inv. 868.1.40 Il 16 settembre 1849 Delacroix scriveva nel suo diario: «Bonne journée. Composé et ebauché le matin la Femme qui se peigne et Michel-Ange dans son atelier», e il 14 marzo 1853 scrive al mercante Thomas per consegnargli il quadro: questi lo venderà nel 1860 al collezionista e amico di Delacroix Alfred Bruyas che, nel 1868, lo donerà al Museo Fabre (Les chef d’œuvre du Musée de Montpellier, 1939). Michelangelo è ritratto nello studio tra due sue opere, la Madonna Medici e il Mosé, seduto e meditabondo, in una posa curiosamente simile a quella del Sardanapalo nel famoso quadro del 1827 (Wayne cole - ParDo 2005, p. 170; due disegni preparatori, conservati al Fitzwilliam Museum di Cambridge, sono pubblicati alle pp. 169-170). Delacroix aveva dedicato due scritti a Michelangelo, nel 1830 sulla “Revue de Paris” e nel 1837 su “La Revue des deux mondes”, e nella sua pittura vi sono molti richiami all’opera michelangiolesca, ma, tra gli artisti del passato, i suoi modelli sono Rubens e Tiziano, i cui colori e stesure sono alla base anche della pittura calda e veloce del Michelangelo nel suo studio. Le parole dell’articolo del 1830 sono come scolpite nel defnire l’assoluta ammirazione del pittore romantico:

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«Les ouvrages de Michel-Ange donnent incontestablement la sensation la plus épurée et la plus élevée qu’il soit possible d’éprouver à un art», e nell’articolo del 1837 lo descrive come il padre dell’arte moderna. Ed è a un livello profondo, non formale, e anche molto interessante, che Delacroix dialoga con il “gigante” Michelangelo, rapporto che Charles de Tolnay, il grande specialista e direttore della Casa Buonarroti scomparso nel 1991, analizzò in un saggio dedicato interamente a questo dipinto (De tolnay 1962, pp. 43-52). Tolnay mette in rilievo come Delacroix si identifchi con Michelangelo, «e penetr[i], per mezzo dell’intuizione, nel profondo della sua anima nel rivivere il suo processo creativo» (p. 43; traduzione mia). Lo studioso rileva i dettagli che fanno intendere come Michelangelo sia raffgurato triste e insoddisfatto, persino scoraggiato e irato, come può indicare la presenza dello scalpello sul pavimento, quasi fosse stato gettato via dall’artista nell’interrompere il proprio lavoro. La portata storica del Michelangelo nel suo studio è che «Delacroix fu il primo ad esprimere in un dipinto l’insoddisfazione e lo scoraggiamento» da cui un artista può essere assalito nella propria ricerca (ivi, p. 46), «e appare evidente che l’abbattimento di Michelangelo, in quest’opera, è in realtà un’immagine di quello che esisteva nell’anima dello stesso Delacroix, e che è testimoniato più volte nel suo Journal» (ibidem). Tolnay identifca, poi, nella raffgurazione della Melancolia di Dürer (1514), il precedente iconografco dell’atteggiamento, simile per la testa posata sulla mano e l’altro pugno chiuso, l’abbandono dei propri strumenti (ivi, p. 47). La differenza tra rappresentazione allegorica, interpretabile come autoritratto spirituale di Dürer, e la rappresentazione, invece, viva, di un tormento di Michelangelo, ma fatto proprio da di Delacroix, è il punto chiave e caratterizzante. Nel “Journal” (1857), Delacroix scriveva: «Cette tourbulence sombre de Michel-Ange... tout cela est de nous» (ivi, p. 46), istituendo precisamente tale fratellanza, attraverso i secoli, nel tormento insito nella ricerca, davvero eroica, dell’arte. E Tolnay ricorda ciò che il francese ripeteva a sé stesso durante i momenti di scoraggiamento: «Pensez au grand Michel-Ange!». Michelangelo diventa esempio di resistenza nei momenti in cui le forze e il talento sembrano inadeguati alla grandezza dell’ispirazione, e fonte cui attingere conforto sulla strada impervia e solitaria dell’arte. Sono sentimenti vissuti profondamente, che non hanno origine nel mito, ma nei capolavori giunti sino a noi. Bibliografa: Catalogue… Musée Fabre 1914, p. 45, cat. 142; Les chefs d’œuvre... 1939, pp. 94-95, cat. 144; De tolnay 1962, pp. 43-52; E. Marconi, in Il volto di Michelangelo 2008, pp. 46-47 (con bibliografa precedente). (gb)

28 _ Fratelli Alinari [Tomba di Lorenzo de’ Medici], 1856 Stampa all’albumina; 33,5 x 23; 62,9 x 48,3 Sul negativo in basso a destra: «60» Al recto sul supporto in basso al centro timbro a secco ovale: «FRATELLI ALINARI / FOTOGRAFI / FIRENZE / PRESSO LUIGI BARDI» Firenze, RMFA, inv. FVQ-F-26739

31 _ Stabilimento Brogi [Tomba di Lorenzo de’ Medici], 1875 ca. Stampa all’albumina; 54 x 41; 88 x 62 In basso sotto l’immagine didascalia sul negativo: «3102 FIRENZE. MONUMENTO DI L.DE MEDICI DI MICH.°» Firenze, Accademia delle Arti del Disegno, cartella Centenario Michelangelo 1875

Il soggetto compare nel catalogo del settembre 1856 con il numero 54 e in quello dell’ottobre 1857 con il numero 60.

Il soggetto è presente con il numero 3102 in formato “Extra grand” (40 x 54) nel catalogo Brogi del 1878 («Nouvelle Sacristie - Monument à Laurent de Médicis par Michelangiolo»). La fotografa fa parte del corpus di fotografe, oggi conservate presso l’Accademia delle Arti del Disegno di Firenze, inviate in dono da vari musei europei in occasione della mostra celebrativa del IV Centenario della nascita di Michelangelo nel 1875 presso la Galleria dell’Accademia.

Fonti: alinari 1856b; alinari 1857. Bibliografa: Mason et al. 1985, p 82, scheda 67 (ill.) (mp)

29 _ Fratelli Alinari [Tomba di Giuliano de’ Medici], 1855-1856 Stampa all’albumina; 34,7 x 25,4; 61,1 x 45,1 Sul negativo in basso a destra: «59». Al recto sul supporto in basso al centro iscrizione in inchiostro: «Firenze / Monumento a Giuliano e Lorenzo di Medicis [sic] di Michelangiolo» Firenze, Collezione privata, già Collezione Malandrini, inv. CDP-A-MAL185-6 Il soggetto compare nel catalogo Alinari dell’aprile 1856 con il numero 54, nel catalogo del settembre 1856 con il numero 53 (al numero 54 compare in questo catalogo il Monumento a Lorenzo de’ Medici, che non era presente nell’aprile 1856) e nel catalogo dell’ottobre 1857 con il numero 59. Fonti: alinari 1856a; alinari 1856b; alinari 1857. Bibliografa: sMith 2004, pp. 221, 222 (ill.). (mp)

30 _ Berthier, Paul (1822-1912) [Tomba di Lorenzo de’ Medici], 1855 Stampa su carta salata da negativo su vetro 25,9 x 34,4; 55 x 67,8 Al recto sul supporto in basso al centro timbro a secco: «Paul Berthier O. ST Michel. 19»; in basso a destra iscrizione in grafte: «Michel Anger [sic] a Florence»; in basso a sinistra iscrizione in grafte: «BER 410635» Monaco di Baviera - Londra, Daniel Blau, inv. 3193 La fotografa propone un insolito taglio orizzontale della parte centrale del monumento, che non si ritrova nel repertorio di altri fotograf, e che inquadra effcacemente le tre fgure di Lorenzo de’ Medici, del Crepuscolo e dell’Aurora accentuando la geometria piramidale dell’insieme. Bibliografa: Gegossenes Licht 2008, tav. LVIII, scheda LVIII. (mp)

34 _ Fratelli Alinari [La Madonna col Bambino della Sagrestia di San Lorenzo], 1875 ca. Stampa alla gelatina bromuro d’argento (1900 ca.); 57,3 x 43 In basso sotto l’immagine didascalia sul negativo: «Alinari 2258 CHIESA DI S. LORENZO. MICHELANGELO. LA MADONNA COL BAMBINO GESÙ» Firenze, Kunsthistorisches Institut in Florenz, inv. GF 289900

Il soggetto è presente con il numero 3008 in formato “Extra grand” (40 x 54) nel catalogo Brogi del 1878 («autre statue symbolisant la Nuit»). La fotografa fa parte del corpus di fotografe relative a opere di Michelangelo conservate presso l’Accademia delle Arti del Disegno di Firenze (cfr. scheda cat. 31).

Nel catalogo Alinari del 1876 il soggetto è presente nel formato “Grande” (60 x 45) con il numero 8520 («La Madonna col Bambino Gesù»); nel catalogo del 1891 è presente nel formato “Grande” (58 x 44) con il numero 2258 (stesso titolo). Presso gli Archivi Alinari si conserva la lastra negativa corrispondente, in formato 60,8 x 44,7, eseguita con la tecnica al collodio. Essa presenta estesi ritocchi all’anilina e una mascheratura di carta nera impiegata per ottenere l’effetto del fondo bianco nella stampa. L’osservazione del negativo suggerisce qualche considerazione relativamente alla datazione dello scatto e della stampa di questa fotografa. La lastra, realizzata con la tecnica del collodio, presenta sul verso della carta utilizzata per la mascheratura un’iscrizione a lapis: «8520»: si tratta del vecchio numero attribuito al negativo, che compare nel catalogo Alinari del 1876 in corrispondenza di questo soggetto nel formato “Grande”. Questi elementi, che collocano la data della ripresa attorno al 1875, appaiono coerenti con la cronologia individuata dalla tecnica al collodio che conosce la massima diffusione tra gli anni Cinquanta e la fne degli anni Settanta dell’Ottocento (anche se, come evidenziato alla scheda cat. 47 gli Alinari continuano a utilizzare questo procedimento fno a un periodo piuttosto tardo). Tuttavia, osservando la didascalia applicata sul negativo in basso sotto l’immagine (che compare identica sul positivo in oggetto) si rileva che essa è costituita da due diversi blocchi di testo: uno, che indica il titolo, collocato al centro e l’altro, sulla sinistra, che riporta il numero di negativo e che è scritto con caratteri di tipo più moderno rispetto al primo. Appare quindi evidente che il negativo è stato rinumerato e l’indicazione del nuovo numero è stata applicata sulla vecchia lastra per mezzo di una nuova scritta che è stata posizionata a sostituire il numero precedente. La stampa è quindi posteriore di almeno 25 anni rispetto alla data presunta dello scatto (dato che il soggetto con il nuovo numero compare per la prima volta nel catalogo del 1891), come appare confermato anche dalla tecnica utilizzata per la realizzazione di questo positivo, stampato con il procedimento alla gelatina bromuro d’argento che non viene utilizzata prima degli anni Novanta dell’Ottocento.

Fonti: BroGi 1878, p. 12. (mp)

Fonti: alinari 1876, p. 23; alinari 1891, p. 20. (mp)

Fonti: BroGi 1878, p. 12. (mp)

32 _ Stabilimento Brogi Il Crepuscolo, 1875 ca. Stampa all’albumina; 41 x 54; 62 x 88 In basso sotto l’immagine didascalia sul negativo: «3009 FIRENZE. Il Crepuscolo. Frammento del Monumento de’ Medici di Michelangelo» Firenze. Accademia delle Arti del Disegno, cartella Centenario Michelangelo 1875 Il soggetto compare con il numero 3009 in formato “Extra grand” (40 x 54) nel catalogo Brogi del 1878 («statue de ce monument symbolisant le Crépuscule»). La fotografa fa parte del del corpus di fotografe relative a opere di Michelangelo, conservate presso l’Accademia delle Arti del Disegno di Firenze (cfr. scheda cat. 31). Fonti: BroGi 1878, p. 12. (mp)

33 _ Stabilimento Brogi La Notte, 1875 ca. Stampa all’albumina; 41 x 54; 62 x 88 In basso sotto l’immagine didascalia sul negativo: «3008 FIRENZE. La Notte» Firenze. Accademia delle Arti del Disegno, cartella Centenario Michelangelo 1875

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35a-b _ Fratelli Alinari [La Madonna col Bambino della Sagrestia di San Lorenzo], 1875 ca. Negativo su lastra di vetro al collodio con ritocchi all’anilina; 60,8 x 44,7 In basso sotto l’immagine didascalia a stampa su striscia di carta applicata al vetro dal lato emulsione: «(Ed.ni Alinari) P.I.N. 2258 CHIESA DI S. LORENZO. MICHELANGELO. LA MADONNA COL BAMBINO GESÙ» Archivi Alinari – archivio Alinari, Firenze, inv. ACA-F-2258

Sulla lastra, lato emulsione, mascheratura in carta nera a coprire lo sfondo attorno alla scultura. Sulla carta della mascheratura iscrizione in grafte a destra al centro: «8520» e a destra in basso etichetta in carta con iscrizione in inchiostro: «2258». (Si veda scheda cat. 34). Fonti: alinari 1876, p. 23; alinari 1891, p. 20. (mp)

36_ Cornienti, Cherubino (Pavia 1816 - Milano 1860) Michelangelo mostra al papa il cartone del Giudizio Universale, 1857 Olio su tela; 44,5 x 54,5 Milano, Galleria d’Arte Moderna, inv. 552 Il quadro fu donato da Ludovico Pogliaghi nel 1907, ed è uno dei dipinti del nuovo stile di Cornienti, uffcializzato nel 1853 con la prova da esibire dopo il soggiorno romano stipendiato, il Mosé fanciullo che calpesta la corona del faraone, che manifestò il suo defnitivo allontanamento dalla pittura accademica per uno stile più coloristico e immediato, memore del rococò veneto e precorritore della Scapigliatura pittorica, e in particolare di Federico Faruffni. D’altronde, l’artista a Milano frequentava la cerchia dello scrittore Giuseppe Rovani, forse conosciuto al tempo dei moti del 1848 e, non a caso, tra i suoi committenti vi fu anche il collezionista Giuseppe Puricelli, amante dell’arte scapigliata. Cornienti già dagli anni Quaranta aveva eseguito dipinti con soggetti tratti dalla vita di artisti del Rinascimento, di solito raffgurati mentre uomini di potere si recavano a constatare i frutti del lavoro del loro genio, come Leonardo da Vinci visitato da Lodovico il Moro con la corte nel cenacolo di Santa Maria delle Grazie, 1845; Raffaello visitato da Giulio II mentre dipinge l’Eliodoro” 1856, o il successivo Leonardo mostra a Lodovico il Moro le chiuse del Naviglio, 1858 (Milano, Galleria d’Arte Moderna). La scena è ambientata in studio: Michelangelo, vestito della gabbanella nera, simile a quelle utilizzate nelle accademie nell’Ottocento ma con maniconi cinquecenteschi, attende in piedi – forse tacendo dopo avere illustrato la propria

opera – il giudizio del papa, che sta seduto su un seggio con le gambe che sembrano accavallate, la testa all’indietro, come il cardinale al suo fanco, per poter vedere l’intera opera. Il quadro viene solitamente indicato come Michelangelo mostra a papa Giulio II il cartone del Giudizio Universale, ma si tratta di un anacronismo, giacché fu Clemente VII che chiese all’artista un progetto per la parete della Cappella Sistina, nel 1533. Difatti, i caratteri del volto appena accennato del pontefce sono consoni a un uomo ancor giovane, e non quelli del vecchio Giulio II come, per esempio, ce li ha tramandati Raffaello. Un altro cardinale, più a destra, è una bella quinta rossa che dà profondità al dipinto, e il frate con il saio grigio, in secondo piano dall’altro lato, dà defnizione alla fgura accanto. Al centro è il cartone preparatorio per il settore del Giudizio con i beati alla destra di Cristo, e vi si riconoscono le fgure di san Pietro e del san Bartolomeo che tiene in mano la propria pelle scuoiata con l’autoritratto di Michelangelo. In questo particolare, forse con sottintesa ironia, il primo papa e il simulacro di Michelangelo rifettono i protagonisti della scena principale, in cui il genio attende feramente il giudizio – incomparabilmente minore a quello raffgurato nel cartone – dal papa committente. Le opere presenti nello studio, da sinistra a destra, sono un pezzo antico simile al Torso del Belvedere, un modello della Notte delle Cappelle Medicee, lavoro che era stato richiesto da papa Clemente quando era ancora cardinale, e un altro gesso per una fgura michelangiolesca seduta di incerta identifcazione, forse il Prigione ribelle. Indubbio il ruolo dominante di Michelangelo in questo dipinto, che doveva richiamare alla mente dei contemporanei la vicenda storica dell’artista nei confronti di Clemente VII, e l’intermezzo della Repubblica forentina. Inoltre, il suo atteggiamento fero, e anche il volto, ricordano la fgura dell’eroe dell’antica Repubblica veneta Paolo Erizzo avviato al supplizio, dipinto da Cornienti anni prima. L’ammirazione per Michelangelo del pittore lombardo è testimoniata anche da una copia libera del ritratto eseguito da Marcello Venusti (Firenze, Casa Buonarroti), ora al Castello Visconteo di Pavia, e il Michelangelo in atto di mostrare il Mosè a Paolo III, 1856. Bibliografa: BossaGlia 1998, pp. 44, 109; S. Bietoletti, in Bietoletti - Dantini 2002, p. 48. (gb)

37 _ Braun, Adolphe (Besançon 1812-1877) [Cristo alla Minerva], 1868-1870 Stampa al carbone; 48 x 36; 70 x 54 Al recto sul supporto in alto al centro iscrizione in grafte: «10»;

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in basso, a stampa: «MICHEL-ANGE / REPRODUCTION INALTERABLE D’APRÈS L’ORIGINAL PAR A.D.BRAUN DORNACH (Ht Rhin)»

Firenze, Accademia delle Arti del Disegno, cartella Centenario Michelangelo 1875, inv. 10 Questa stampa e le seguenti [schede cat. 38, 39], eseguite da Braun in occasione della campagna condotta a Roma tra il 1868 e il 1870 (Braun 1948, p. 12; o’Brien et al. 2000, p. 129) fanno parte del corpus di fotografe, oggi conservate presso l’Accademia delle Arti del Disegno di Firenze, inviate in dono da vari musei europei in occasione della mostra celebrativa del IV Centenario della nascita di Michelangelo nel 1875 presso la Galleria dell’Accademia. (mp)

38 _ Braun, Adolphe (Besançon 1812-1877) [Pietà Rondanini a Roma], 1868-1870 Stampa al carbone; 48 x 38; 70 x 54 Al recto sul supporto in alto al centro iscrizione in grafte: «11!; in basso a stampa: «MICHEL-ANGE / REPRODUCTION INALTERABLE D’APRÈS L’ORIGINAL PAR A.D.BRAUN DORNACH

(Ht Rhin)» Firenze, Accademia delle Arti del Disegno, cartella Centenario Michelangelo 1875, inv. 11 Per la datazione si veda la scheda cat. 37. Presso l’Accademia delle Arti del Disegno di Firenze, all’interno dello stesso fondo, si conserva una seconda stampa dello stesso soggetto, che riporta sul cartone originale in alto al centro il numero 5. (mp)

39 _ Braun, Adolphe (Besançon 1812 - 1877) [Pietà di San Pietro], 1868-1870 Stampa al carbone; 47,5 x 36,5; 70 x 54 Al recto sul supporto in alto al centro iscrizione in grafte: «3»; in basso, a stampa: «MICHEL-ANGE / REPRODUCTION INALTERABLE D’APRÈS L’ORIGINAL PAR A.D.BRAUN DORNACH (Ht Rhin)»

Firenze, Accademia delle Arti del Disegno, cartella Centenario Michelangelo 1875, inv. 3 Presso l’Accademia delle Arti del Disegno di Firenze, all’interno dello stesso fondo, si conserva un’altra stampa dello stesso soggetto eseguita da Braun, nella quale il punto di ripresa è leggermente più ravvicinato in modo da escludere dall’immagine il basamento della scultura. Questa seconda stampa è di uguali dimensioni, è montata su identico cartone e riporta in alto al centro del supporto il numero 9. Per la datazione si veda la scheda cat. 37. (mp)

40 _ Puccinelli, Antonio (Castelfranco di Sotto 1822 - Firenze 1897) Michelangelo alle cave di Carrara, 1861-1865 Olio su tela; 157 x 128 Massa, Palazzo Ducale, Collezione Provincia di Massa Carrara Questo celebre dipinto di Antonio Puccinelli raffgura Michelangelo Buonarroti intento a scrutare un blocco di marmo statuario alle cave di Carrara; l’artista, vestito con un’elegante gonnella damascata che sancisce il ruolo ideale del personaggio, a differenza dei vicini garzoni vestiti con più usuali abiti da lavoro, sembra cercare nel marmo l’idea che, secondo il suo pensiero, pre-esiste alla realizzazione scultorea. Che il pensiero creativo guidi la mano dello scultore è sottolineato anche dalle presenza dei disegni abbandonati in terra in artistico disordine, su uno dei quali si intravede la traccia di una fgura maschile volta di spalle, forse una fgura di Sansone e il Filisteo, come tramandata dal bozzetto di Pierino da Vinci (saBato - vezzosi 2010, p. 157). Accanto all’idea, pari dignità ha l’azione fsica dello scultore, evocata dalla presenza dei suoi strumenti di lavoro posti accanto ai disegni: la cassetta degli utensili, la mazzetta e il compasso. Anche il taglio del paesaggio, scenografcamente costruito nel suo accecante candore del blocco marmoreo in primo piano, esalta la centralità del protagonista mentre in lontananza le fgurette dei cavatori creano l’ambientazione Di fronte alla rapita attività intellettuale di Michelangelo anche il disinteresse dei garzoni impegnati a parlare fra di loro, sottolinea l’isolata unicità del genio che si distacca da tutto e tutti. Quando Puccinelli realizzò quest’opera, all’inizio del suo periodo bolognese fra 1861 e 1865, aveva già terminato l’enorme tela dei Parentali di Platone (1854) per la Villa di Careggi nella quale rievocava su committenza del suo primo importante mecenate, Francis Joseph Sloane, le feste platoniche che Lorenzo de’ Medici organizzava con i dotti del suo tempo e più in generale celebrava l’atmosfera neoplatonica su cui si era formato il pensiero del giovane Michelangelo. A quegli stessi anni risale anche la più piccola tela raffgurante Michelangelo giovinetto ospite di Lorenzo de’ Medici a Careggi nella quale si riconosce il Magnifco intento a osservare, insieme ai suoi fgli, il giovane artista occupato a disegnare (DurBè 1997, p. 122, n. 65). Su questa base di pensiero “forentinamente” improntato a celebrare i fasti culturali dell’epoca medicea di cui Francis Sloane si sentiva erede, abitandone i grandi saloni di Careggi, quest’opera più tarda di Puccinelli, che ha per soggetto il divino Michelangelo, alla pari del contemporaneo Dante sull’Appennino che va in esilio, con il quale condivide l’austero paesaggio montano, quasi parlante rifesso dello scontroso carattere dei due personaggi, sembra maggiormente

corrispondere al comune sentimento dell’epoca improntato ai nuovi entusiasmi unitari nei quali il richiamo alle storiche fgure dei geni italici non poteva che stimolare le migliori virtù dei novelli cittadini. Che la fgura di Michelangelo fosse di esempio e di ideale riferimento in chiave risorgimentale per il pittore e la sua generazione è testimoniato anche dalla notizia, riportata nella “Rivista di Firenze” del 1859, di una perduta opera di Puccinelli raffgurante Michelangelo che scolpisce il Bruto «per isfogo dell’anima addolorata» a seguito della caduta della Repubblica forentina (DurBè 1997, p. 144, n. 96). L’intensa ispirazione sentimentale che Puccinelli affda al dipinto di Massa, animandone le “polite” forme accademiche apprese alla scuola del Bezzuoli con retaggi di gusto romantico, non troverà gli stessi esiti di equilibro nelle altre contemporanee opere puccinelliane di soggetto michelangiolesco, come è evidente nell’episodio della Villa del Boschetto, ispirato al celebre romanzo storico di Giovanni Rosini Luisa Strozzi, dove un galante e quasi goffo Michelangelo si inchina a baciare la mano della protagonista del romanzo, oppure nel Michelangelo alle cave di Carrara che sceglie il blocco di marmo per il suo Mosè (1860-1865) di ubicazione ignota ma reso noto da una foto dell’Archivio Bessi di Carrara (Paolicchi 2005, p. 33; BalDinotti 2007; Matucci 2008, p. 40). In quest’ultima opera prevale l’aspetto descrittivo che indugia nei particolari e nell’attenta, quasi fotografca descrizione dell’ambiente di lavoro dei cavatori che riporta alla mente lo scritto di Carlo Frediani, Ragionamento storico su le diverse gite fatte a Carrara da Michelangelo Buonarroti, edito nel 1837, nel quale ricostruisce le otto “gite” che il maestro effettuò a Carrara per approvvigionarsi dei marmi necessari per le sue opere. E proprio a una delle prime gite, quella del 1505 fnalizzata a i lavori per la tomba di Giulio II, Andrea Baldinotti (2007, p. 32), esaminando le concordanze fra le testimonianze del Condivi e del Vasari, riconduce l’ambientazione del dipinto del Palazzo Ducale di Massa. Bibliografa: DurBè 1997, pp 144-145, n. 96; BalDinotti 2007, pp. 32-33; Matucci 2008, n. 11, pp. 40-41; saBato - vezzosi 2010, p. 157, n. 5. (lb)

41 _ Fratelli Alinari [Tondo Pitti], 1870 ca. Stampa all’albumina; 42,4 x 32,4; 47,6 x 36 Sul negativo in basso al centro: «4182» Roma, ICCD, Fondo MPI, inv. MPI6018268 Il soggetto compare per la prima volta nel catalogo Alinari del 1873, con il numero 4182, nel formato “Extra” (44 x 33), all’interno della sezione relativa alla Galleria degli Uffzi

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(«Bassorilievo rappresentate una Santa Famiglia sbozzato da Michelangiolo»). Nel catalogo del 1876 il soggetto si ritrova, con lo stesso numero e nello stesso formato, nella sezione dedicata al Museo Nazionale («La Madonna col Bambino Gesù e San Giovanni, bassorilievo abbozzato da Michelangiolo Buonarroti»), mentre, a partire dal catalogo del 1891, è registrato con il numero 2703 («Madonna col Bambino Gesù e San Giovannino, tondo non fnito di Michelangelo Buonarroti») e disponibile nei tre formati “Album” (14,5 x 9,5), “Piccola” (27 x 21), “Extra” (44 x 33). Presso l’Archivio Alinari si conservano due negativi su lastra di vetro relativi a questo soggetto, entrambi contrassegnati con il numero 2703. Il primo, di formato 21 x 27 è un negativo alla gelatina bromuro d’argento, con ritocchi all’anilina, che mostra il bassorilievo su una parete di sfondo diversa da quella visibile sulla stampa positiva in oggetto, con una piccola targhetta sotto l’opera con la dicitura: «123 MICHELANGELO / LA VERGINE col BAMBINO». Il bassorilievo di Michelangelo fu spostato nel 1873 dalla Galleria degli Uffzi al Museo del Bargello (allora Museo Nazionale): le relative indicazioni nei cataloghi Alinari del 1873 e 1876 seguono infatti tale modifca di collocazione. Il negativo di formato 21 x 27 è evidentemente stato realizzato dopo il trasferimento, mentre qualche considerazione a parte merita il secondo negativo conservato presso gli Archivi Alinari. Si tratta di un negativo su lastra al collodio di formato 45 x 34,8 sul quale è visibile il solo bassorilievo, mentre tutto intorno al perimetro dell’opera l’emulsione è stata rimossa, lasciando il vetro trasparente e cancellando in questo modo la parte della parete di sfondo che, in una stampa positiva ottenuta da questo negativo, risulterebbe sostituita da uno sfondo completamente nero. Interessante anche un dettaglio: il piccolo numero tracciato sul negativo e visibile sulla stampa in oggetto in basso al centro al margine del bassorilievo e corrispondente alla vecchia numerazione, è stato anch’esso grattato via dalla lastra. La lastra sembra dunque essere stata realizzata all’epoca della vecchia collocazione presso la Galleria degli Uffzi, quindi prima del 1873 (e a questo periodo è da datare la stampa qui considerata). In seguito, quando l’opera è stata spostata, l’aggiornamento dell’immagine in formato “Extra” nel repertorio Alinari è stato operato non realizzando un nuovo scatto sul posto ma intervenendo sul negativo esistente per adattarlo a rappresentare in maniera corretta l’opera astraendola dal contesto della nuova collocazione fsica. Fonti: alinari 1873, p. 31; alinari 1876, p. 40; alinari 1891, p. 36. (mp)

42 _ Fratelli Alinari [Interno della sala dedicata a Michelangelo al Louvre], 1900 ca. Stampa al carbone; 57,5 x 42,2 Al recto in basso a destra sull’immagine timbro a secco: «FRATELLI ALINARI / FIRENZE / VIA NAZIONALE 8» Firenze, RMFA, inv. FVQ-F-220352 Il soggetto compare con il numero 22484 («Salle de Michel Ange») nel catalogo Alinari del 1908 in formato “Grand” (58 x 43). Presso l’Archivio Alinari si conserva il corrispondente negativo su lastra di vetro, di formato 60,1 x 45, che riporta applicata sulla lastra in basso sotto l’immagine la didascalia: «(Ed.ne Alinari) No 22484. PARIS – Musée National du Louvre. SALLE DE MICHEL-ANGE-». L’assetto della sala del Louvre visibile nell’immagine è quello posteriore al 1896, data nella quale fu collocata la scultura della Madonna con Bambino di Jacopo della Quercia, che si scorge sullo sfondo. In occasione della prima campagna eseguita dallo Stabilimento Alinari a Parigi vengono realizzate circa 3.000 fotografe, poi registrate nel catalogo commerciale edito nel 1908, che riprendono soggetti relativi al Louvre, NotreDame, Musée du Luxembourg, Musée des Thermes, Hôtel de Cluny, Versailles, e costituiscono una ricca documentazione delle opere conservate in questi musei, dalla pittura alla scultura alle arti minori di tutte le epoche e nazionalità. Si tratta per la maggior parte di fotografe in formato “Piccolo” (20 x 25) e solo in piccola parte in formato “Extra” (43 x 33, 171 soggetti) e “Grand” (58 x 43, 166 soggetti). Per quanto riguarda le opere di Michelangelo, su sette soggetti presenti quattro risultano disponibili nei tre diversi formati e due (dettagli dei busti degli Schiavi del Louvre. entrambi con il titolo “Esclave du tombeau de Jules II”) solo in formato piccolo. Fonti: alinari 1908, p. 16. Bibliografa: Messina 2001a, p. 26 (ill.). (mp)

43 _ da Michelangelo Buonarroti Prigione (o lo Schiavo morente), 1863 Calco formato in gesso; alt. 210 Firenze, Accademia di Belle Arti «Il braccio destro [della croce, che ha al centro l’edicola per il David], prolungato fno ai locali della Galleria dell’Accademia, contiene i calchi delle più note e ammirate opere dell’immortale Buonarroti: la Pietà Vaticana, il Cristo trionfante della Minerva, i due Prigioni del Louvre, uno dei quali ha una espressione di così intenso dolore, di angoscia così soverchiante le forze fsiche, e una movenza così naturale e così artistica che basterebbe da solo a far la fortuna

d’una pubblica mostra», scriveva Parrini nella Relazione relativa alle manifestazioni celebrative del IV Centenario di Michelangelo, fra le quali la mostra alla Galleria dell’Accademia, dove, attorno al David, acme straordinario dell’esposizione e sorprendente «rivelazione di un antico capolavoro» (Parrini 1876, p. 48), erano stati collocati i calchi e le fotografe delle opere dell’artista. L’Accademia forentina possedeva un calco in gesso dello Schiavo morente fn dal luglio del 1863, da quando cioè era giunto l’esemplare fatto realizzare dalla direzione del Louvre appositamente per l’Istituto che ne aveva fatto esplicita richiesta; tuttavia alla mostra venne esposto il calco fatto eseguire allo scopo dal Governo francese, insieme a quella dello Schiavo ribelle (BernarDini et al. 1989, pp. 155-158). Eseguito per la seconda versione della tomba di Giulio II, progetto poi abbandonato, il marmo dello Schiavo morente pervenne al Louvre nel 1794, dopo essere appartenuto a più proprietari. Regalata da Michelangelo a Roberto Strozzi, come ringraziamento per l’ospitalità e la premura dimostrata verso di lui, la scultura passò in Francia quando l’artista era ancora vivo, e appartenne, prima al connestabile Montmorency che la collocò nel proprio castello a Écouen, quindi a Richelieu che la pose nel castello di famiglia a Poitou dove rimase fno al 1793, anno in cui fu sequestrata dallo Stato francese. Bibliografa: Parrini 1876, pp. 49, 213; BernarDin et al. 1989, pp. 155-158; anGlani 1997b, p. 38. (sbi)

44 _ Fratelli Alinari [Schiavo morente], 1900 ca. Stampa all’albumina; 57,8 x 41,8 In basso sotto l’immagine didascalia a stampa sul negativo: «(Ed.ne Alinari) N. 22339. PARIS. Musée National du Louvre – ESCLAVE DU TOMBEAU DE JULES II – Michelangiolo Buonarroti» Firenze, RMFA, inv. FVQ-F-220352 Il soggetto compare con il numero 22339 («Escalve du tombeau de Jules II – statue en marbre – Michelangiolo») nel catalogo Alinari del 1908 in formato “Grand” (58 x 43). Presso l’Archivio Alinari si conserva il corrispondente negativo su lastra di vetro, di formato 60,1 x 45. Osservando il negativo si rileva come l’effetto del fondo nero sia stato ottenuto ponendo un telo bianco a sfondo al momento della ripresa. Le piegature del telo, che nella stampa non risultano visibili ma scompaiono nell’omogeneo effetto nero, sono ben evidenti sul negativo che, a toni invertiti, restituisce anche i dettagli dello sfondo bianco.

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Fonti: alinari 1908, p. 13. Bibliografa: carli 1942, pp. 45, 72 (ill.); De tolnay 1951, p. 283, tav. 97 (ill.); russoli 1953, tav. 36 (ill.); ForMaGGio 1955, tav. 38 (ill.); MonteverDi 1962, p. 42 (ill.). (mp)

45 _ Fratelli Alinari [Schiavo incatenato], 1900 ca. Stampa al carbone; 58,9 x 41,6 In basso sotto l’immagine didascalia a stampa sul negativo: «(Ed.ne Alinari) N. 22342. PARIS. Musée National du Louvre – ESCLAVE DU TOMBEAU DE JULES II – Michelangiolo Buonarroti» Firenze, Collezione privata, già Collezione Malandrini, inv. CDP-S-MAL540-5 Il soggetto compare con il numero 22342 («Escalve du tombeau de Jules II – statue en marbre – Michelangiolo») nel catalogo Alinari del 1908 in formato “Grand” (58 x 43). Presso l’archivio Alinari si conserva il corrispondente negativo su lastra di vetro, di formato 60,1 x 45 (per le considerazioni sul fondo nero si veda la scheda cat. 44). Fonti: alinari 1908, p. 13. Bibliografa: russoli 1953, tav. 37 (ill.); ForMaGGio 1955, tav. 35 (ill.); MonteverDi 1962, p. 43 (ill.). (mp)

46 _ Parisi, Nicola (Foggia 1827 - Casalnuovo, Napoli, 1887) Michelangelo studia le fortifcazioni di San Miniato, 1870 Olio su tela; 132 x 85 Napoli, Palazzo Matteotti, Collezione della Provincia di Napoli Il pittore fu un patriota fn dal sorgere delle prime agitazioni indipendentistiche, in particolare a Napoli, dove si recò a studiare ingegneria per poi volgersi all’arte per emulazione del cugino Francesco Saverio Altamura. L’ispirazione del tema proviene da un dipinto del bolognese Antonio Muzzi dallo stesso titolo (1867; Bologna, Galleria d’Arte moderna) – una meditazione moderna sulla fgura non solo del genio Michelangelo, ma sull’artista in generale, tanto che Muzzi ritrasse se stesso nel protagonista del dipinto –, ma le differenze, pur nel riferimento innegabile, aiutano a mettere a fuoco i signifcati che Parisi intendeva esprimere nella propria opera. Lo studio di Michelangelo di via Mozza è presentato non come una polverosa bottega, ma arredato di mobili scuri e intagliati, simili a un coro ligneo di chiesa o alla dimora di un principe dello spirito; non vi sono attrezzi per il lavoro manuale, ma ciò che vi regna è il pensiero e il genio. Per allestirlo, Parisi sembra ispirarsi sia alla pittura contrastata e frammentata di Domenico Morelli che agli

interni di Adriano Cecioni pittore, che poteva aver conosciuto per il tramite di Saverio Altamura. Al di là della quinta lignea, si scorgono i modelli in stucco del David e dell’Aurora, mentre a destra è suggerita la presenza di un dipinto, forse da intendersi come rimando al cartone della Battaglia di Cascina. Parisi rispetta la flologia e raffgura soltanto opere già eseguite prima dell’assedio di Firenze, che costituisce il momento storico in cui la scena si suppone svolgersi, e Michelangelo è ritratto in età matura, giacché nel 1529-1530 aveva 55 anni. Ma nel Michelangelo repubblicano, Parisi alludeva ai tempi recenti della lotta per l’indipendenza e l’unità nazionale appena conclusa, e, se non a se stesso, come forse Muzzi aveva in parte fatto, vuole riferirsi ai valori da lui personalmente e profondamente sentiti, e vissuti nell’impegno civile più che nella battaglia in campo. Il modello per il David, quantunque mai esistito – e questo è forse l’unico falso storico deliberato nel dipinto – sta per simbolo della vittoria sul tiranno, incarnato quando da Golia, quando dai Medici o dal giogo straniero; l’Aurora, forse, sta qui per l’alba della nuova Italia, libera e unita. È lo stesso spirito che, seppur con prolissità di altra epoca, trentacinque anni prima Francesco Domenico Guerrazzi aveva espresso nel suo romanzo storico L’assedio di Firenze (1836), che si conclude con queste parole: «noi vogliamo essere liberi dalla oppressione straniera». I bastioni, effettivamente, sono protagonisti della vicenda e del libro al pari delle fgure storiche, e il Guerrazzi ne scrive (p. 148): «Quantunque il Varchi ci narri nel decimo libro delle sue Storie essere stati biasimati da alcuni perché fatti con troppi fanchi, le cannoniere troppo spesse, per le quali venivano a indebolirsi, e troppo ancora sottili da non potere reggere l’urto delle grosse artiglierie, – nondimeno furono tenuti non solo per cotesti tempi stupendi, ma in epoca più recente meritarono che Vauban, celebrato ingegnere francese, ne levasse la pianta e ne prendesse le misure». E gli assedianti, studiando anch’essi le carte delle colline di Firenze, si scambiano queste frasi a proposito di Michelangelo (p. 129): «Ma quale odio lo muove contro Sua Santità?» interrogava l’Orange. «Anzi io credo che l’ami...». «E che maniera d’uomini siete voi altri Italiani? Il Buonarroti ama il papa e si apparecchia a combatterlo?...» «Monsignore, la è piana, se pensate che il Buonarroti più del papa ama la libertà». Quale precedente più appropriato e illustre per la lotta contro il papa-re, nel pensiero di un pittore del Risorgimento? Bibliografa: Catalogo Oggetti d’Arte... 1870, n. 92; greco - Picone - VAlente 1993, pp. 88 e 151, tav. 348; P. Piscitello, in Collezione d’arte Provincia Napoli 2001, p. 87; La patria, l’arte, la donna... 2012, cat. 3.9. (gb)

47 _ Fratelli Alinari [Il David nella Tribuna], 1885 ca. Stampa all’albumina; 41,5 x 31,8 Sul negativo in basso a sinistra: «869» In basso sotto l’immagine didascalia a stampa sul negativo: «FIRENZE – GALLERIA ANTICA E MODERNA. LA TRIBUNA DI MICHELANGIOLO. (PROF. E. DE’ FABRIS)»

Al verso in basso a destra iscrizione in grafte: «17320» (barrato); «1686» Firenze, Collezione privata, già Collezione Malandrini, inv. CDP-S-MAL409-6 Questo soggetto, con il numero di negativo 17320 e in formato “Extra” (44 x 33) compare nel catalogo commerciale Alinari del 1887 («La tribuna di Michelangiolo Buonarroti») e con il numero 1686, nello stesso formato in quello del 1891 («Tribuna del David»). Nelle Raccolte Museali Fratelli Alinari si conserva una seconda stampa delle stesse dimensioni e con identica immagine che presenta però diversa tipologia di didascalia, con carattere tipografco differente e riporta il numero di negativo 1686. Presso gli Archivi Alinari, si conserva il corrispondente negativo su lastra di vetro, di formato 44,8 x 35. Si tratta di un negativo al collodio al quale risulta però applicata, in basso sotto l’immagine, la didascalia in caratteri più moderni che si riscontra nella seconda stampa sopra menzionata «(Ed.ni Alinari) No 1686. FIRENZE – R. Galleria Antica e Moderna. Tribuna di Michelangiolo. (Prof. E. De Fabris)». La tecnica del collodio, una delle più antiche utilizzate dai fotograf per realizzare negativi su lastra di vetro e generalmente impiegata tra gli anni Cinquanta e la fne degli anni Settanta dell’Ottocento (per essere poi sostituita dal procedimento alla gelatina bromuro d’argento) farebbe propendere per una datazione precoce di questo scatto. Siamo tuttavia in presenza di un terminus post quem che ci consente in questo caso di dimostrare l’uso del collodio da parte degli Alinari fno ad oltre il 1880. La Tribuna del David alla Galleria dell’Accademia, la cui costruzione era iniziata nel 1873 quando la scultura vi fu collocata, fu completata dal De Fabris nel 1880 e inaugurata il 22 luglio 1882 (AnglAni 1997b, pp. 37, 40). La fotografa, che mostra una veduta della Tribuna già terminata, è stata quindi necessariamente scattata dopo questa data: il soggetto relativo al David nella Tribuna è infatti registrato per la prima volta nel catalogo Alinari del 1887. Nei cataloghi pubblicati tra il 1873 e il 1882 cioè nel periodo in cui la scultura si trovava già presso l’Accademia ma la Tribuna non era ancora completata, compare un solo soggetto relativo all’«Accademia di Belle Arti» ed è una veduta strettamente circoscritta alla scultura del David: nel catalogo del 1876 per la prima

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volta («il David», per il formato “Extra” numero 4132) e ancora nel catalogo del 1881 («Il David«, stesso formato, numero 11936). Evidentemente gli Alinari introdussero nel proprio repertorio l’immagine del David nella nuova collocazione immediatamente dopo il suo trasferimento, limitandosi però a riprendere la sola scultura e non l’ambiente circostante la cui sistemazione non era ancora completata. Nel primo periodo della collocazione all’Accademia infatti la scultura si trovava all’interno di un “casotto” che la riparava durante lo svolgimento dei lavori di costruzione della volta e degli archi al di sopra della trabeazione della Tribuna e che fu rimosso e sostituito da tendaggi in occasione della mostra del IV Centenario della nascita di Michelangelo nel 1875 (AnglAni 1997, p. 40). Fonti: AlinAri 1887, p. 28; AlinAri 1891, p. 25. (mp)

48 _ Stabilimento Braun [Il David, particolare del busto], 1910 ca. Stampa al carbone, con viraggio; 55,5 x 45 Timbro a secco: «Braun et Cie – Braun Clement» Roma, ICCD, Fondo MPI, inv. MPI6018269

Nel catalogo Braun del 1900 c’è un solo soggetto riferito al David, il 1139 (BrAun 1900, p. 50). Nel catalogo senza data ma sicuramente posteriore al 1911 (data in cui viene aperta la succursale di Londra citata sulla copertina del catalogo), nel quale i soggetti sono corredati da illustrazione, al numero 1139 corrisponde un’immagine del David a fgura intera (BrAun s.d., p. 93). In entrambi i cataloghi non compare una voce corrispondente al particolare del busto della scultura: si può quindi ipotizzare che questo sia stato introdotto successivamente. (mp)

49 _ Mannelli, Anchise (Firenze 1858-1925) [Il David, particolare della testa], 1910 ca. Stampa al carbone con viraggio verde 57,7 x 41,8 In basso sotto l’immagine didascalia a stampa sul negativo: «Firenze – Galleria Antica e Moderna IL DAVID – MICHELANGELO (Ed.ne Mannelli & Ce)» Firenze, RMFA, inv. FVQ-F-198242 Il soggetto è presente nel catalogo Mannelli (non datato ma certamente posteriore al 1902, data in cui la regione sociale dello Stabilimento diviene «Mannelli & Co.», come compare sul frontespizio del catalogo; e datato 1914 in DADDi 1991, p. 21)

con il numero 1158 («Il David, la testa di proflo») nel formato “Grandi” (44 x 58). Una nota al catalogo informa che: «Tutte le negative... possono essere stampate col processo al carbone e nelle seguenti tinte: Seppia, Rosso, Verde, Bleu, ecc.» In una lettera conservata presso dell’Archivio della Soprintendenza di Firenze e datata 14 febbraio 1895 (citata in DaDDi 1991, allegati p. 10), il Direttore delle R. Gallerie Ridolf accorda ad «Anchise Mannelli fotografo» il permesso di «riprodurre con la fotografa il David di Michelangelo esistente nella Galleria Antica e Moderna». Mannelli dunque ha certamente fotografato la scultura nel 1895 e la ripresa del dettaglio è verosimilmente stata eseguita, se non in quella data, comunque prima del 1914. Fonti: Mannelli [1914?], p. 50. (mp)

50 _ Stabilimento Anderson [Mosé di San Pietro in Vincoli, particolare], 1900 ca. Stampa al carbone; 57,2 x 42; 65,4 x 47,2 In basso sotto l’immagine didascalia sul negativo: «1956 Roma. Dettaglio del Mosé Chiesa di San Pietro in Vincoli - Anderson» Firenze, Kunsthistorisches Institut in Florenz, inv. GF 129297 Il soggetto compare con il numero 1956, nel formato “Folio” (60 x 50) nel catalogo del 1901 (“Rome - Michel Ange, Moïse”); in quello del 1907 (“Église de St. Pierre-auxliens – Monument de Jules II – Demi fgure de face”) e in quello del 1927 (“Chiesa di San Pietro in Vincoli. Monumento di Giulio II. Particolare: mezza fgura di fronte”). Nell’Archivio Anderson, presso gli Archivi Alinari, si conserva il negativo originale su lastra di questo soggetto nel formato “Normale” (20 x 26), illustrato con un’immagine nel catalogo del 1901: la ripresa leggermente diversa rispetto a quella riscontrabile nella stampa in oggetto testimonia che per ciascuno dei formati proposti in catalogo esisteva un corrispondente negativo e che le stampe di grande formato non erano ottenute per ingrandimento da un negativo più piccolo ma per contatto da lastre di uguali dimensioni. Nell’introduzione al catalogo del 1907 si trova infatti la seguente precisazione: «Chaque format, même les très grand, est exécuté directement d’après les originaux». Fonti: anDerson 1901; anDerson 1907, p. 247; anDerson 1927, p. 96. (mp)

51 _ Stabilimento Brogi [L’Aurora, particolare], 1920 ca. Stampa al carbone su supporto spesso al vivo; 44,3 x 59 Roma, ICCD, Fondo MPI, inv. MPI6018266 Sulla stampa non compare il numero di negativo tuttavia nell’Archivio Brogi presso gli Archivi Alinari di Firenze si conserva un negativo su lastra di vetro, formato 21 x 27, con identica immagine, che riporta il numero 3010a. Nella serie di cataloghi commerciali Brogi a noi noti questo numero non è presente prima del catalogo del 1932, dove corrisponde al soggetto «Monumento a Lorenzo dei Medici; busto dell’Aurora», disponibile nel formato “Foglio” (46 x 58). Fonti: BroGi 1932, p. 80. (mp)

52 _ Stabilimento Brogi [La Notte, particolare], 1920 ca. Stampa al carbone su supporto spesso al vivo; 46 x 57,5 Roma, ICCD, Fondo MPI, inv. MPI6018267 Sulla stampa non compare il numero di negativo tuttavia nell’Archivio Brogi presso gli Archivi Alinari di Firenze si conserva un negativo su lastra di vetro, formato 21 x 27, con identica immagine, che riporta il numero 3008c. Nella serie di cataloghi commerciali Brogi a noi noti, questo numero non è presente prima del catalogo del 1932, dove corrisponde al soggetto «Monumento a Lorenzo dei Medici; busto della Notte (di proflo)», disponibile nel formato “Foglio” (46 x 58). Fonti: BroGi 1932, p. 80. Bibliografa: carli 1942, pp. 45, 98 (ill.). (mp)

53 _ Stabilimento Brogi [Giuliano de’ Medici], 1905 ca. Stampa al carbone; 80,2 x 57,5 Al verso in basso al centro iscrizione in grafte: «5414 – Firenze Cappella Medicea – Giuliano dei Medici, Michelangelo». Nell’angolo in basso a sinistra timbro a inchiostro: «GIACOMO BROGI / FOTOGRAFO – EDITORE / FIRENZE» Firenze, RMFA, inv. FVQ-F-198460 Il soggetto è presente nei cataloghi Brogi del 1886 e del 1889 con il numero 5414a («Detta statua su fondo naturale»: in questi due cataloghi al numero 5414 corrisponde lo stesso soggetto ma «su fondo nero»); in quelli del 1907 («La statue de Julien de’ Medicis») e 1932 («statua di Giul. Dei Medici di fronte») con il numero 5414. Inoltre, nei cataloghi precedenti a quello del 1907, il massimo formato nel quale le stampe sono disponibili è

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“Extragrande” corrispondente a 40 x 54. Nel catalogo del 1907 si aggiunge la possibilità di stampare tutti i soggetti disponibili nel formato A (“Extragrande”) con un ingrandimento fno a 65 x 100. Nel catalogo del 1932 gli ingrandimenti, realizzabili per tutti i soggetti della collezione, sono proposti in 10 formati standard, tra i quali il 58 x 84. Fonti: BroGi 1886, p. 20; BroGi 1889, p. 97, BroGi 1907, p. 52; BroGi 1932, p. 80. (mp)

54 _ Stabilimento Brogi [Lorenzo de’ Medici], 1905 ca. Stampa al carbone; 80,2 x 56,7 Al verso in basso a sinistra iscrizione in grafte: «5415 Firenze Giuliano [sic] dei Medici» Firenze, RMFA, inv. FVQ-F-198496 Il soggetto è presente nei cataloghi del 1886 e 1889 con il numero 5415a («Detta statua su fondo naturale»: in questi due cataloghi al numero 5415 corrisponde lo stesso soggetto ma «su fondo nero»); 1907 («La statue de Laurent de’ Medicis») e 1932 («statua di Lorenzo») con il numero 5415. Per le considerazioni circa il formato della stampa si veda la scheda cat. 53. Fonti: BroGi 1886, p. 20; BroGi 1889, p. 97; BroGi 1907, p. 52; BroGi 1932, p. 80. Bibliografa: MonteverDi 1962, p. 49. (mp)

55 _ da Michelangelo Buonarroti Madonna Medici, 1900-1901 Calco ridotto utilizzato da Medardo Rosso per i d’après cat. 56, 57; altezza 25,4 Calco in gesso professionalmente eseguito, inserito in un piano di portata per le fusioni, altezza 2,1; coperto di sostanza distaccante per la formatura del negativo a tasselli. La testa risulta incollata e il piede destro restaurato. Barzio, Museo Medardo Rosso Calco dal Louvre o dai Musei Reali di Berlino. L’originale, distrutto nel corso della seconda guerra mondiale e del quale resta oggi solo la testa, era una copia ridotta, in terracotta, della Vergine con Bambino di Michelangelo nella Sagrestia Nuova di San Lorenzo, opera cinquecentesca di Johann Gregor van der Schardt, acquistata nel 1869 dai Musei Statali di Berlino (schottMüller 1933, p. 153, n. 266 ill.). Una copia settecentesca in bronzo della terracotta cinquecentesca, dalla quale probabilmente deriva questo calco, è conservata ai Musei del Louvre. Accanto al titolo Vierge et Enfant, Rosso nelle fonti chiama inspiegabilmente l’opera Pietà

(autografo a penna sotto il bronzetto sulla fotografa Neg. v12 nell’Archivio Rosso [d’ora in poi AR] o Pietà de Michel-Ange Buonarrotti [sic], in Medardo Rosso 1905, p. 6). Bibliografa: caraMel 1979, pp. 148-149, n. 78 (ill.); Mola 2014, pp. 264 (ill.), 267, 270-274, con bibliografa precedente anche dei d’aprés di Rosso in cera e bronzo. 56-57 _ Rosso, Medardo (Torino 1858 - Milano 1928) 56 _ Fotomontaggio con Madonna Medici, 1901 ca. Aristotipo, 14,7 x 17,5, applicato su cartoncino rigido ritagliato a mano sui quattro lati. Sul retro il cartoncino reca la scritta a matita autografa del fglio di Rosso, Francesco, «Rosso Rodin / Michelangelo». Foto Rosso; il fototipo è unico e inedito. Collezione privata Fotografa di un fotomontaggio su carta camoscio di due fotografe: la prima con un bronzo della Madonna Medici e il Bambino ebreo in cera nera e una seconda con il Torso di Rodin, lo stesso bronzo della Madonna Medici e una terza scultura di cui si intravede solo la base. Il fotomontaggio intero del 1901 ca. (negativo su vetro nell’Archivio Rosso, d’ora in poi AR) è pubblicato in hevesi 1905, tavola non numerata. La presente è una fotografa ridotta del primo fotomontaggio intero, in una stampa ritagliata a mano, in forma di trapezio irregolare, su tutti i lati: in basso riducendo la base del Bambino ebreo, in alto tagliando una serie di chiodi visibile sul muro, a sinistra eliminando la prima Madonna Medici con un taglio sghembo, a destra – sempre con un taglio in diagonale – eliminando il resto della scultura non identifcata sulla stampa sfocata. Il fototipo intero (negativo su vetro in AR) è riprodotto in Mola 2006, p. 39; un ritaglio tipografco (inv. cc7 AR) smarginato a mano dall’autore, con il solo Torso, Madonna Medici e il resto di scultura non identifcato, è ivi riprodotto a p. 38. Bibliografa: inedito. 57 _ Salon d’Automne, Parigi 1904, ingrandimento con Madonna Medici, 1904 ca. Stampa gelatina bromuro d’argento; 21,8 x 15,8; ritagliata a mano su due lati; foto Rosso. Collezione privata Particolare ingrandito da una ripresa al Salon D’Automne con il Malato all’ospedale e Madonna Medici davanti a ingrandimenti di altre fotografe di Rosso (Neg. v13 AR; pubblicato per la prima volta in hevesi 1905, p. 183). Il fototipo è unico. Bibliografa: Mola 2006, pp. 25, 35, 38, 46-47 (ill.), 52; Mola 2014, pp. 272, 273 (ill.), 274 e nota 44 p. 283.

Se non avessimo documenti, opere, cataloghi, parrebbe un’assurda contraddizione il lungo lavoro di Rosso sull’antico. Il Grande Inquisitore della Grecia e del Rinascimento, l’accusatore implacabile di Michelangelo in nome di un’arte totalmente nuova, che invece dalla Grecia, dal Rinascimento e Michelangelo è sedotto tanto da produrre quaranta opere almeno dall’antico, ma contando gli esemplari – certo più d’uno per ciascun tipo – non meno di sessanta, che signifca un quarto, per difetto, in rapporto al resto della sua scultura. È quanto emerge da uno studio appena pubblicato (Mola 2014): Rosso copia, o meglio lavora, perché si tratta di vere e proprie opere, sulla Testa Sabouroff, il Memnone, il Tolomeo X, dai Musei Reali di Berlino; lavora sullo Zeus di Olimpia, l’Attalo III, la testa di un fglio del Laocoonte e la Friluse di Houdon dal Louvre; una testa ellenistica di Fanciulla ridente dall’Albertinum di Dresda, l’Eracle di Tolemaide, il Vitellio vaticano, e poi, da Donatello, sul San Francesco, il Niccolò da Uzzano e il bozzetto del David ora al Bode di Berlino, recentemente considerato un falso opera di Rosso stesso ma che è invece un bronzo autentico del Rinascimento (ivi, pp. 278-280), sul quale Rosso lavora per calco, calco gemello di quello presentato qui della Madonna Medici. A differenza di quanto è stato detto tutto il lavoro di Rosso sull’antico non è mai d’invenzione, il modello è sempre un calco in gesso ottenuto nelle offcine di formatura dei musei d’Europa, a volte con richiesta personale ai direttori, fossero Georg Treu a Dresda o Wilhelm Bode a Berlino. Dunque Rosso è sulla forma che lavora, non sulla struttura: variazioni di materia, di colore, e completi rifacimenti sul pesante mantello della superfcie, piani totalmente rifatti, incisioni, cancellature. Il processo è lo stesso del lavoro fotografco: dove taglia il primo fototipo, ingrandisce, rifotografa e ristampa, cambiando ancora di misura, riducendo o sfocando, sperimentando viraggi ed emulsioni, per poi fotografare ancora: ma l’immagine all’origine è sovente uno scatto professionale, totalmente esterno al suo occhio (Mola 2006, pp. 13-31). Lo stesso accade dopo il 1900 quando s’afferma il lavoro dall’antico e più insistente diventa l’opera in fotografa, lo stesso accade per il resto della sua scultura: ogni testa o fgura non nasce più da una persona viva percepita in un attimo, e fssata nel ricordo: fantasma della mente che si traduce in cosa fuggevole e leggera: «uno scherzo di luce», come diceva. A parte l’Ecce Puer del 1906, dopo l’Esposizione Universale del 1900, con l’inizio esatto del secolo, tutta la sua scultura in cera gesso e bronzo è un lavoro di calco e di trasferimento: Madame Noblet passa dal bronzo al gesso, e da nera che era torna bianca, compatta, perde ogni foro aperto dalla fusione e si alza accogliendo nel modello certi mattoni aggiunti per tenerla

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in piedi. E poi da questo gesso ne produce un altro senza dietro, la sola maschera infne dell’immagine iniziale. E così per ciascuno dei lavori, opere su opere, come inventa il Novecento, ciascuno a suo modo, Brancusi, Warhol o Queneau, tanto per citare a caso. Yvette Guilbert passa dal gesso prosciugato al verde-molle della cera, l’Enfant juif da un tono all’altro di bronzi differenti, varianti solo apparentemente lievi ma che fanno la testa ora innocente, ora tragica ora quasi una maschera mortuaria. Poi, o piuttosto insieme, ogni fgura passa in fotografa. Un lavoro immenso di Rosso e ancora sottovalutato. Come aveva sperimentato leghe di cera e di metallo, tenta ora emulsioni, supporti impossibili come le carte da lettere d’hôtel, taglia di sghembo e trova nuovi spazi, obliqui, senza continuità: allora sulle carte le stesse fgure, la stessa Yvette Guilbert, lo stesso Enfant juif, o Madame Noblet riprendono altra vita, altro vagabondare, come oggetti imprendibili. Immagini slegate da ogni antica fssità della scultura (Mola 2014, nota 9). Per quanto paradossale possa apparire a prima vista, il lavoro sull’antico è la poetica di Rosso nella più pura sottigliezza. Defnitiva archiviazione di quella stanca visione impressionista che ha chiuso gli occhi a un intero secolo davanti a quanto di futuro e vivo ribolliva nella sua ricerca. Come si faceva a scuola useremo la Madonna Medici come exemplum, ma non fctum, autentico, autenticissimo invece, di una regola. La così detta copia dall’antico di Rosso infatti diffcilmente ha origine da un calco diretto della vera opera antica: come nella Madonna Medici inizia da un lavoro che è una copia a sua volta: in questo caso la riduzione cinquecentesca in terracotta di J. Gregor van der Schardt, nel Settecento di nuovo trasformata in bronzo nella riproduzione conservata al Louvre. Dunque Rosso parte dal calco in gesso di una traduzione in bronzo di una terracotta ridotta [cat. 55]. Michelangelo è lontanissimo (par più vicino Yves Klein). È lo stesso procedimento seguito nella fotografa delle sue proprie sculture, dove inizia da stampe che sono ingrandimenti o riduzioni con supporti e colori differenti: dove l’opera prima, concreta, è lontanissima. Lavora sull’opera degli altri come lavora su sé stesso. E sappiamo dal presente quanto ogni ingrandimento o riduzione porti con sé la perdita del senso, del contenuto, del tempo storico. Quindi dal calco della riduzione Rosso traduce l’opera in cera. Della prima Madonna Medici in cera scrive Julius Meier-Graefe nel 1904 (p. 291). L’aveva vista anni prima a Parigi, nello studio in boulevard des Batignolles e, sedotto, la dice «di una grazia quasi giapponese». È questa un’opera che oggi non abbiamo più, anche se resta la speranza che prima o poi ricompaia da qualche scantinato. Chiara, trasparente nella cera

appena fatta doveva parere quasi d’acqua. Abbiamo invece la fotografa del bronzo [cat. 57]: presentato al Salon d’Automne nel 1904 era già acquistato. Apparteneva all’immensa collezione rinascimentale di Eugen von Miller zu Aichholtz, così come la copia della Fanciulla ridente ellenistica apparteneva all’industriale, economista e flosofo Walter Rathenau, l’Attalo III e il Niccolò da Uzzano ai famosi collezionisti viennesi Herrmann e Gottfried von Eissler, una Frileuse a Richard Graul, direttore del Kunstgewerbe Museum di Lipsia. Non è un caso quindi che sia proprio Meier-Graefe (o Karl Schmidt su “Die Zeit”), a insistere sulla Madonna Medici: è un flone, questo dall’antico, che si mescola appieno alla grande corrente del Neo Umanesimo tedesco, la stessa che attraversa Nietszche, Warburg, Benjamin. Accomunati tutti da una visione del tempo dove futuro, presente e passato si confondono. La stessa visione del tempo che compare nel primo fotomontaggio di Rosso con un bronzo della Madonna Medici ripetuto due volte [fg. 1], più grande dietro all’inizio (perché, come la pagina scritta, anche l’immagine si legge da sinistra) e più piccola davanti in primo piano – in mezzo l’Enfant juif e il Torso di Rodin – con una prospettiva rovesciata, e, nella ripetizione, lo spaesamento del tempo. È questa la fotografa che presentiamo [cat. 55] in una versione ridotta del primo fotomontaggio [fg. 1] pubblicato in hevesi nel 1905 (p. 177)

ma che si data poco dopo il 1900 (negativo originale su vetro in AR, inv. v09). Neppure il bronzo della Madonna Medici è rimasto, o piuttosto neppure di questo conosciamo la collocazione, perché sappiamo dalle fonti che gli esemplari sono stati almeno tre, ed è improbabile che uno tra di loro non torni a farsi vivo. Ma abbiamo la fotografa: ritaglio di uno scatto professionale (ma aiutato dall’occhio di Rosso) accanto al Malade à l’hôpital in una stanza del Salon d’Automne. Di prospettive sghembe, il particolare ingrandito [cat. 57] ricorda tanto il ritratto alla moglie di Cézanne (New York, Metropolitan Museum) da parere una citazione. Ma anche e soprattutto una celebrazione: del traslato, dell’indiretto, con quelle sue fotografe di sue sculture dominanti alle spalle: l’ingrandimento almeno 30 x 40 della terra mai formata in bronzo del Dottor Fles, e l’altro ingrandimento, fotografa di stampa tipografca, che riprende a mezzo una fgura dell’Impressione d’omnibus, malposta su un fondo bianco e al limite dello sgranamento. Elogio della lontananza, omaggio al ricordo, le copie dall’antico di Rosso restano un centro di contraddizione. L’uomo che a parole condannava Michelangelo al punto da non uscire dal treno nelle soste a Firenze in viaggio verso Roma, lo amava insieme tanto da riportarlo in vita, oggi, qui. (pm)

58 _ Stabilimento Brogi [Madonna con Bambino, particolare], 1932-1936 Stampa moderna da negativo originale su lastra; 30 x 40 (negativo 21 x 27) In basso sotto l’immagine didascalia a stampa sul negativo: «(Ed.ni Brogi) 23940 FIRENZE. Cappelle Medicee. Madonna col Figlio. Michelangiolo (Riprod. Interdetta)» Firenze, Archivi Alinari – archivio Brogi, inv. BGA-F-23940 Il soggetto della Vergine con il Figlio nella Sagrestia Nuova di San Lorenzo è presente come intero nel catalogo del 1878 con il numero 3212 («La Vierge et son enfant», BroGi 1878, p. 12), formato “Extra” (20 x 25); nel catalogo del 1907, nello stesso formato, con il numero 3212 («La statue de la Vierge avec l’Enfant», BroGi 1907, p. 52); nel catalogo del 1932 lo stesso soggetto («Statua della Madonna col Figlio», BroGi 1932, p. 81) compare anche nei formati “Mezzo-foglio” (28 x 38) e “Gabinetto” (10 x 14) e si aggiungono, con i numeri 3212a e 3212b le vedute del monumento «da destra» e «da sinistra» nel formato “Extra”. Nei cataloghi commerciali Brogi ad oggi conosciuti tuttavia (purtroppo la serie storica risulta lacunosa ed è quindi possibile far riferimento unicamente ai cataloghi del 1878; 1886; 1889; 1907 e 1932) non compare il dettaglio della scultura rappresentato nella fotografa in oggetto. Il soggetto si ritrova invece elencato con il numero 23940 («Cappelle Medicee / Madonna col fglio, part. testa Madonna di fronte») in un registro dattiloscritto con titolo e data manoscritti: Brogi supplemento ai cataloghi a stampa, 1936 circa conservato preso gli Archivi Alinari. Sulla base di questi dati si potrebbe ipotizzare una data di esecuzione della fotografa tra il 1932 e il 1936. Una conferma indiretta di questa ipotesi può emergere dall’osservazione degli altri soggetti relativi allo stesso monumento presenti nell’Archivio Brogi (presso gli Archivi Alinari) ed elencati nel registro dattiloscritto di seguito al numero 23940: i numeri 26184; 26185; 26186 e 26402 corrispondono a 4 diversi dettagli della stessa scultura e possono essere datati grazie alle didascalie presenti sui negativi, che riportano espressamente la data di esecuzione (1938 i primi 3 e 1939 l’ultimo). La sequenza numerica dei negativi e quella cronologica delle date di scatto delle fotografe sembrano quindi corrispondere e collocare l’immagine in oggetto nell’arco cronologico ipotizzato. Fonti: BroGi 1936, p. 29. Bibliografa: carli 1942, pp. 45, 102 (ill.); russoli 1953, tav. 89. (mp)

[fg. 1] Medardo Rosso Fotomontaggio con il bronzetto ripetuto due volte della Madonna Medici, 1901 ca. Archivio Medardo Rosso.

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59 _ Stabilimento Brogi [Il Genio della Vittoria, particolare], 1932-1936 Stampa moderna da negativo originale su lastra; 30 x 40 (negativo 21 x 27) In basso sotto l’immagine didascalia a stampa sul negativo: «(Ed.ni Brogi) 23922. FIRENZE. Palazzo Vecchio. Testa della statua della Vittoria di Michelangiolo. (Riprod. Interdetta)» Firenze, Archivi Alinari – archivio Brogi, inv. BGA-F-23922 L’indicazione in didascalia della collocazione dell’opera presso Palazzo Vecchio stabilisce un terminus post quem alla data del 6 novembre 1920 quando la scultura fu spostata dalla Galleria dell’Accademia, dove si trovava dal 1909, alla nicchia sulla parete sud del Salone dei Cinquecento in Palazzo Vecchio. Nel catalogo Brogi del 1932 compare, nella sezione dedicata a Palazzo Vecchio, il soggetto «La Vittoria (la Virtù che distrugge il Male), gruppo in marmo scolpito da Michelangelo Buonarroti per la tomba di Giulio II» con il numero 3501 nel formato “c” (“normale”: 20 x 25). Non è tuttavia presente alcuna indicazione relativa a dettagli della scultura. Il dettaglio in oggetto compare tuttavia, con il numero 23922 («Palazzo Vecchio o della Signoria. La Vittoria, part della testa proflo sinistro») in un registro dattiloscritto con titolo e data manoscritti: Brogi supplemento ai cataloghi a stampa, 1936 circa (BroGi 1936) conservato presso gli Archivi Alinari. Sulla base dei dati disponibili si ipotizza quindi una datazione tra il 1932 e il 1936. Fonti: BroGi 1936, p. 24. Bibliografa: De tolnay 1951, p. 286, tav. 162 (ill.). (mp)

60-67 _ Stabilimento Brogi Statua di Giuliano de’ Medici, 1943 ca. 8 stampe moderne da negativi originali su lastra; 21 x 27 Al recto in basso sotto l’immagine didascalia a stampa sul negativo: «FOT. Flli ALINARI (BROGI) No 55676 (ED.1963) – FIRENZE, BASIL. DI S. LORENZO, SAGRESTIA NUOVA, STATUA DI GIULIANO DE’ MEDICI (MICHELANGIOLO)» identica su tutte

le 8 fotografe salvo per il numero di negativo: gli altri numeri sono: 55675; 55677; 55678; 55679; 55680; 55681; 55682) Firenze, Archivi Alinari – archivio Alinari, inv. ACA-F- 55675-55682 Questa serie di 8 immagini relative alla statua di Giuliano de’ Medici fanno parte di un insieme di 115 negativi su lastra di vetro di formato 21 x 27 conservati presso gli Archivi Alinari. Le lastre, che riportano

i numeri dal 55616 al 55729, sono tutte riferite alle sculture michelangiolesche della Sagrestia Nuova di San Lorenzo e fanno parte dell’Archivio Alinari. Non compaiono tuttavia in alcuno dei cataloghi commerciali pubblicati dallo Stabilimento: sono invece elencati su un registro manoscritto (Registro dei negativi, s.d.) nel quale sono riportati, come indicato nell’indice, i «negativi acquistati da altre collezioni, dal 48000 in poi». In particolare, per i numeri dal 55616 al 55729 si indica come collezione di provenienza «Brogi, Firenze». Si riportano poi le seguenti notazioni: «data di esecuzione: 1943?»; «data di registrazione: V 63» e si precisa inoltre: «fotografe eseguite in occasione della rimozione delle statue dai sarcofagi e dalle nicchie durante la guerra [19]40-[19]43». Si tratta quindi di riprese eseguite dallo Stabilimento Brogi in occasione dell’intervento di messa in sicurezza dei monumenti nel periodo bellico. Queste immagini non sono tuttavia presenti nei cataloghi commerciali Brogi e si può quindi concludere che, come in altri casi, si tratti di immagini inedite successivamente incluse nella collezione Alinari (benché 18 di esse siano state riprodotte, con attribuzione a Brogi in russoli 1953 alle tavole 50, 52, 53, 56, 57, 60-66, 68, 69, 79, 80, 86, 87). Nelle didascalie che si trovano attualmente applicate alle lastre negative compare l’indicazione di data «(ed. 1963)» che fa evidentemente riferimento al momento in cui le lastre Brogi sono state uffcialmente inserite nell’Archivio Alinari e numerate. Esse costituiscono l’ultima aggiunta al repertorio Alinari di soggetti relativi alle sculture di Michelangelo in San Lorenzo. È interessante osservare in sequenza le fotografe Alinari dei monumenti a Giuliano e Lorenzo de’ Medici e rilevare i criteri secondo i quali il repertorio si va arricchendo nel tempo. La prima immagine compare nel catalogo Alinari dell’aprile 1856, con il numero 54: «Monument à Julien des Medicis [sic] par Michelangiolo dans l’Eglise de San Lorenzo». Nel successivo catalogo, del settembre 1856, viene aggiunto, con il numero 53, anche il monumento a Lorenzo e nei successivi cataloghi (1857, 1858, 1863, 1865) i due soggetti compaiono con i numeri 59 e 60 (cfr. schede cat. 28-29): si tratta di vedute complessive delle due pareti che ospitano i monumenti funebri. A partire dal catalogo del 1876 (alinari 1876, p. 23) vengono introdotti nuovi soggetti, due dettagli delle fgure sottostanti i sarcofagi per ciascuno dei due monumenti («Il Giorno», con i numeri 5436, 6097, 7794, 8515 rispettivamente corrispondenti ai formati “Album”, “Piccole”, “Extra” e “Grandi”; «La Notte», con i numeri 5437, 6098, 7795, 8516; «L’Aurora», con i numeri 5439, 6100, 7797, 8518; «Il Crepuscolo», con i numeri 5440, 6101, 7798, 8519).

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Successivamente, nel catalogo del 1891 «Firenze e Contorni» (alinari 1891, p. 20), nel quale viene introdotto un nuovo sistema di numerazione che mantiene lo stesso numero di negativo per tutti i formati disponibili per uno stesso soggetto, gli scatti relativi ai monumenti michelangioleschi nella Sagrestia di San Lorenzo sale a 17 (numeri di negativo dal 2238 al 2256), con l’introduzione di alcuni dettagli più ravvicinati per ciascuna fgura, realizzati soltanto nel formato “Piccolo” (2241: «testa del suddetto» i.e. Giuliano de’ Medici; 2242: «una mano del suddetto»; 2244-45: «i due piedi della statua suddetta» i.e. Il Giorno; 2247: «testa della suddetta» i.e. La Notte; 2248: «un piede della suddetta»; 2251: «testa del suddetti» i.e. della statua di Lorenzo de’ Medici; 2253: «testa della suddetta» e 2254: «mano della suddetta» i.e. dell’Aurora; 2256: «testa del suddetto» i.e. del Crepuscolo). Gli stessi soggetti e gli stessi numeri compaiono invariati nei cataloghi del 1896, 1901 e 1916 (alinari 1896, p. 14; alinari 1901, p. 15; alinari 1916, p. 29) fnché, nel catalogo del 1930 Firenze I. Le Chiese (alinari 1930, pp. 32) si rileva un’ulteriore aggiunta: di 8 dei soggetti presenti nei precedenti cataloghi viene introdotta la versione su fondo nero, intercalando nella sequenza numerica i corrispondenti numeri di negativo con l’aggiunta della lettera “a” (e “b” per la testa del Giorno aggiunta ex novo direttamente in versione su fondo nero). I nuovi soggetti sono: 2243a: «Il Giorno riprodotto su fondo nero»; 2243b: «Il Giorno, la testa su fondo nero»; 2246a: «La Notte, riprodotta su fondo nero»; 2247a: «La Notte, la testa su fondo nero»; 2252a: «L’Aurora riprodotta su fondo nero»; 2253a: «L’Aurora, la testa su fondo nero»; 2255a: «Il Crepuscolo, riprodotto su fondo nero». Osservando le immagini corrispondenti ai soggetti fno qui elencati, conservate presso le Raccolte Museali Fratelli Alinari (stampe originali delle immagini elencate nei cataloghi dal 1856 al 1863) e presso gli Archivi Alinari (tutte le lastre negative su vetro corrispondenti ai soggetti elencati nei cataloghi dal 1891 in poi) si rileva che, pur se il punto di vista degli scatti si fa progressivamente più ravvicinato con l’introduzione di nuovi dettagli, tuttavia l’angolatura della ripresa resta sempre invariata e tutti i soggetti risultano fotografati da una posizione frontale. Questa impostazione è destinata a essere modifcata al momento della successiva aggiunta di nuovi soggetti, che trova riscontro nel catalogo del 1936 (alinari 1936), nel quale con i numeri dal 44266 al 44283, oltre al 2238a e 2258b, si introducono, oltre a nuovi dettagli, riprese delle stesse sculture già precedentemente presenti ma eseguite adesso con una forte angolazione di scorcio (2238a: «Monumento a Giuliano de’ Medici» di scorcio; 44274: «La Notte», di scorcio;

44273: «La Notte, altra veduta» di scorcio; 44266: «Il Giorno», di scorcio; 44267: «Il Giorno, altra veduta» di scorcio; 44268: «La maschera (sotto la fgura della Notte)»; 44269: «La civetta (sotto la fgura della Notte)»; 2249a: «Monumento a Lorenzo Medici duca d’Urbino», di scorcio; 44272: «L’Aurora», di scorcio; 44270: «L’Aurora, altra veduta», di scorcio; 44271: «Il Crepuscolo», di scorcio; 44275; «Il Crepuscolo, altra veduta» , di scorcio; 2258b: «Madonna con Bambino»). Sono del catalogo del 1951 (alinari 1951, p. 41) due ulteriori soggetti che anche nell’indicazione catalografca sono descritti come «visti di fanco» (58139: «Sepolcro di Lorenzo de’ Medici visto di fanco»; 58140 «L’Aurora vista di fanco»). Infne, grazie all’introduzione, nel 1963, nell’Archivio Alinari degli scatti eseguiti da Brogi, si ha la possibilità di aggiungere ulteriori punti di vista “a tutto tondo”, completando così la ricca e varia serie iconografca relativa ai monumenti michelangioleschi della Sagrestia Nuova di San Lorenzo. Fonti: Registro dei negativi, s.d. Bibliografa: russoli 1953, tavv. 65-66. (mp)

68 _ Stabilimento Brogi [La Notte], 1943 ca. Stampa moderna da negativo originale su lastra; 40 x 60 (negativo 21 x 27) Al recto in basso sotto l’immagine didascalia a stampa sul negativo: «FOT. FLLI ALINARI (BROGI) N° 55702 (ed. 1963) – FIRENZE, BASIL. DI S. LORENZO, SAGRESTIA NUOVA, MONUMENTO A GIULIANO DE’ MEDICI» Firenze, Archivi Alinari, inv. ACA-F-55702

La fotografa fa parte della serie di cui alla scheda cat. 60-67, alla quale si rimanda per la datazione e la provenienza. Fonti: Registro dei negativi, s.d. (mp)

69 _ Cipriani, Nicolò (Ravenna 1892 - Firenze 1968) [L’Aurora], particolare (Monumento a Lorenzo de’ Medici, Basilica di San Lorenzo, Sacrestia Nuova), 14 novembre 1945 Stampa originale alla gelatina bromuro d’argento; 18 x 24 da negativo su lastra di vetro alla gelatina bromuro d’argento 21 x 27 Cartonatura originale, 30,5 x 23 In alto del supporto di cartone, con caratteri dattiloscritti, i dati relativi al luogo di conservazione dell’opera, dell’autore, descrizione del soggetto, materiale di realizzazione della scultura, formato del negativo: «Firenze. Basilica di San Lorenzo

Michelangelo Monumento a Lorenzo de’ Medici scolpito in marmo. Particolare 21 x 27». In alto a destra il numero di inventario 42403. Sempre apposto sul recto del cartone, con timbro a inchiostro rosso a caratteri maiuscoli la scritta «vedi retro». Sul verso timbro tondo a inchiostro «negativo alluvionato1966». Firenze, Gabinetto Fotografco della Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Firenze, inv. 42403 Questa fotografa, il cui negativo risulta perduto nell’alluvione del 1966, è stata eseguita alla fne del 1945, come si evince dai registri conservati nell’archivio del Gabinetto Fotografco, subito dopo gli eventi bellici, in un momento in cui la documentazione delle opere d’arte presso il Gabinetto Fotografco delle Soprintendenze forentine riprendeva tecnicamente il normale andamento, con l’utilizzo, momentaneamente sospeso fra il 1944 e il 1945, di supporti negativi su lastra di vetro di grande formato. L’Aurora, generalmente ripresa a fgura intera in una veduta frontale o di scorcio, dal basso verso l’alto, o di lato, talvolta scontornata e su fondo nero, secondo quelle intenzioni “documentaristiche” ormai codifcate nella fotografa d’arte (vedute queste per assecondare ed esaltare l’andamento del corpo disteso e allungato, il piede sinistro poggiato forse su una nube e quello destro sulla falda estrema del velo, o ritratta nei particolari della testa, della mano o del piede), risulta ancora più originale in questa parziale inquadratura dall’alto, del busto e con il volto di proflo. La fonte di luce diretta, quasi abbagliante e la conseguente sovraesposizione, non attenuata in alcun modo in fase di ripresa, né corretta in fase di stampa, fa pensare a una scelta consapevole di Cipriani che si espone in questo “effetto bruciato” per far risaltare (contravvenendo alla fotografa oggettiva a favore di quella “interpretativa”), la personifcazione della luce nascente, della Terra che si ridesta con i primi raggi di sole. (dc)

70-71_ Cipriani, Nicolò (Ravenna 1892 - Firenze 1968) Monumento a Lorenzo de’ Medici e Giuliano de’ Medici, 14 novembre 1945 (Monumento a Lorenzo e Giuliano de’ Medici, Basilica di San Lorenzo, Sacrestia Nuova) Due stampe originali alla gelatina bromuro d’argento; 18 x 11 (inv. 44574), 16 x11 (inv. 44575) da negativi su lastra di vetro alla gelatina bromuro d’argento 21 x 27 Cartonature originali: 30,5 x 23 In alto del supporto di cartone, con caratteri dattiloscritti i dati relativi al luogo di conservazione dell’opera,

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dell’autore, descrizione del soggetto, materiale di realizzazione della statua, formato del negativo, data di ingresso nell’archivio del Gabinetto Fotografco. Sul recto del documento n. 44574: «Firenze, Basilica di San Lorenzo Sacrestia Nuova. Michelangelo. Monumento a Lorenzo de’ Medici scolpito in marmo. Particolare, 21 x 27, V.1946». Sul recto del documento n. 44575a: «Firenze, Basilica di San Lorenzo Sacrestia Nuova. Michelangelo. Monumento a Giuliano de’ Medici scolpito in marmo. Particolare 21x27, V.1946». Sul recto del supporto di cartone di ambo i documenti, timbro a inchiostro rosso a caratteri maiuscoli con la scritta «vedi retro». Sul verso di ambo i documenti timbro tondo a inchiostro: «negativo alluvionato 1966». Firenze, Gabinetto Fotografco della Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Firenze, invv. 44574, 44575a L’incognita e la variabilità della luce atmosferica incidevano particolarmente sulla ripresa delle sculture, in assenza di avanzate attrezzature tecniche, e facevano sì che l’operatore-fotografo, anche durante gli anni Quaranta, lavorando in ambienti diffcilmente illuminati, utilizzasse mezzi artigianali ed empirici ma effcaci per un buon sfruttamento della luce. Uno di questi, fra i più consueti, era quello di disseminare l’ambiente o gli ambienti dove avveniva la ripresa dell’opera d’arte, con grandi specchi, che appositamente sistemati e orientati, servivano a catturare e far rimbalzare la luce del sole, fltrante da fnestre o lucernari o vetrate, proiettandola così verso l’opera da riprodurre. Qui un ultimo specchio, sapientemente posizionato e costantemente basculante, mosso cioè dal basso verso l’alto e viceversa (operazione che richiedeva l’intervento di un assistente), serviva a “panneggiare”, a trovare cioè il giusto dosaggio di illuminazione che, nell’ottica di una documentazione tutta oggettiva e funzionale, riusciva nell’intento di caratterizzare la riproduzione fotografca da un buon livello di lettura. Questo metodo di lavoro è riconoscibile nelle foto dei due busti, Lorenzo e Giuliano de’ Medici ripresi da Cipriani in una visione angolata (invv. 44574 e 44575a). Soprattutto nella foto che ritrae Lorenzo (inv. 44574), inquadrato fno al gomito, è possibile intravedere lo specchio nel quale parzialmente si rifette il braccio, creando il classico gioco speculare. Trattasi quasi sicuramente di due scatti “prova” (purtroppo i negativi sono andati perduti durante l’alluvione del 1966), in vista di quello defnitivo, il cui risultato doveva garantire e sottolineare la massima gradualità dei toni nell’infnita scala di grigi offerta dal bianco e nero.

Bibliografa: De tolnay 1948, tavv. 38 e 43; De tolnay 1951, tavv. 127-132; Michelangiolo... 1953, tavv. 43-50. (dc)

72-73-74 _ Cipriani, Nicolò (Ravenna 1892 - Firenze 1968) Monumento a Lorenzo de’ Medici e Giuliano de’ Medici, 14 novembre 1945 (Monumento a Lorenzo e Giuliano de’ Medici, Basilica di San Lorenzo, Sacrestia Nuova) Tre stampe originali alla gelatina bromuro d’argento; 18 x 24 da negativi su lastra di vetro alla gelatina bromuro d’argento 21 x 27 (invv. 42387, 42388, 42396) Cartonature originali, 30,5 x 23 In alto con caratteri dattiloscritti i dati relativi al luogo di conservazione dell’opera, dell’autore, la descrizione del soggetto, il materiale di realizzazione, il formato del negativo, la data di registrazione nell’archivio del Gabinetto Fotografco. Sul recto dei documenti nn. 42387 e 42388: «Firenze, Basilica di San Lorenzo Michelangelo Monumento a Lorenzo de’ Medici scolpito in marmo. Particolare 21 x 27, V.1946», e in alto a destra i numero di inventari «42387, 42388». Sul verso di ambo i documenti timbro tondo a inchiostro «negativo alluvionato 1966». Sul recto del documento n. 42396: «Firenze, Basilica di San Lorenzo Michelangelo Monumento a Giuliano de’ Medici scolpito in marmo. Particolare 21 x 27, V.1946», e in alto a destra il numero di inv. «42396». Sul verso timbro tondo a inchiostro «negativo alluvionato 1966». Sul recto del supporto di cartone, timbro a inchiostro rosso a caratteri maiuscoli con la scritta «vedi retro. La data «V.1946» si riferisce all’ingresso nell’Archivio Fotografco. Firenze, Gabinetto Fotografco della Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Firenze, invv. 42387, 42388, 42396. Le statue di Giuliano e Lorenzo de’ Medici, rimosse per motivi di tutela durante gli eventi bellici, sono per l’occasione fotografate prima di essere riposte nelle rispettive Cappelle. I numeri 42388 e 42396 si riferiscono rispettivamente alla ripresa delle due teste dei Medici, quella di Lorenzo e Giuliano viste da tergo. I dettagli della capigliatura e dell’elmo risaltano maggiormente in questi scatti per il sapiente utilizzo della luce naturale che piove diffusa e morbida dall’alto, modellando i ricci dei capelli e le decorazioni dell’elmo con ombre leggermente contrastate. È una luce smorzata che non crea contrasti forti, con mezze ombre sulle fgure; una luce che penetra nei particolari, sapientemente gestita dal fotografo che riesce a fnalizzarla

per una lettura analitica e quasi “scientifca” dell’opera. In queste due immagini, ritagliate da un fondale nero a scontornarle, il fotografo ha voluto risaltarne la bellezza, insieme alla dolce drammaticità e al biancore del marmo. Così anche per la fgura di Lorenzo de’ Medici, ripresa intera e sempre da tergo (n. 42387) Cipriani ne esalta l’imponenza attraverso una visione più nuova e desueta, fnora celata al visitatore e allo studioso d’arte, ma che proprio il mezzo fotografco coglie e ferma, grazie a quella particolare occasione, rendendola visibile nella sua interezza. Bibliografa: De tolnay 1948, tav. 39; De tolnay 1951, tavv. 127, 131, 132; Michelangiolo... 1953, tavv. 45, 50. (dc)

75 _ Gabinetto Fotografco della Soprintendenza per il Polo Museale di Firenze Bruto, particolare della fbbia, 1980 ca. Stampa originale alla gelatina bromuro d’argento, 17 x 23; da negativo su pellicola ai sali d’argento, 4 x 5. Cartonatura originale; 31 x 25 In alto a sinistra sul supporto di cartone, con caratteri dattiloscritti, i dati sul luogo di conservazione dell’opera, dell’autore, descrizione del soggetto, formato del negativo, data di immissione nell’archivio: «Firenze. Museo Nazionale. Michelangelo. Bruto. Particolare, 4 x 5, 5.10.982». In alto a destra il numero di inventario «355161». Firenze, Gabinetto Fotografco della Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Firenze, inv. 355161 La tipologia di ripresa, che di consueto ritroviamo nelle pubblicazioni dedicate alla scultura michelangiolesca, si riferisce a una inquadratura tradizionale e convenzionalmente codifcata, per fni didattici e illustrativi: questa è realizzata da gran parte dei fotograf d’arte. La scultura raffgurante il Bruto viene generalmente proposta nella sua interezza, di fronte, quasi sempre col piedistallo su cui poggia, mentre la ricerca del particolare è limitata al volto, a volte in una luce densa per esaltare la già vigorosa e intensa espressività dei lineamenti. La ricerca del dettaglio nella ripresa della testina scolpita nella fbbia del Bruto, come nel caso della fotografa realizzata dall’operatore del Gabinetto Fotografco, è meno frequente e trova un precedente nell’immagine realizzata da Nicolò Cipriani sotto la direzione di Charles De Tolnay che la utilizza a corredo del proprio studio (De tolnay 1951, tav. 191). Bibliografa: De tolnay 1951, tav. 191. (dc)

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76 _ Gabinetto Fotografco della Soprintendenza per il Polo Museale di Firenze Madonna col Bambino e san Giovannino, o Madonna Pitti, particolare, 1980 ca. (Firenze, Museo Nazionale del Bargello) Stampa originale alla gelatina bromuro d’argento, 18 x 24; da negativo su pellicola 4 x 5 Cartonatura originale; 30,5 x 23 In alto a sinistra sul supporto di cartone originale, con caratteri dattiloscritti i dati sul luogo di conservazione dell’opera, dell’autore, descrizione del soggetto, formato del negativo, data di immissione nell’archivio: «Firenze. Museo Nazionale. Michelangelo. Sacra famiglia. Tondo. Particolare, 4 x 5, 5.10.1982». In alto a destra il numero di inventario «355164». Firenze, Gabinetto Fotografco della Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Firenze, inv. 355164. Trattasi di stampa fotografca non a contatto, bensì di ingrandimento 18 x 24 ricavato da supporto negativo 4 x 5. La fotocamera di medio formato usata per questa riproduzione è probabilmente una macchina confuita nel corredo tecnico del Gabinetto Fotografco – insieme ad altri materiali – come donazione degli alleati americani. Il piccolo formato, non frequentemente utilizzato per la documentazione delle opere d’arte, è stato forse ed eccezionalmente scelto sia per la maneggevolezza che per la capacità di risoluzione offerta. Siamo negli anni Ottanta, tempo in cui i progressi della tecnologia già mettevano a disposizione degli specialisti una serie di opzioni relative all’utilizzo della luce artifciale con apparati di ombrelli e diffusori per la ripresa delle opere d’arte. A maggior ragione, la fgurina del San Giovannino, particolare del Tondo, ripreso utilizzando un’illuminazione radente, che piove diagonalmente sulle fgure del Tondo, si confgura nell’intenzione dell’autore di ottenere un “effetto contrasto” certo più espressivo dal punto di vista fotografco, evidenziando, attraverso quelle zone d’ombra che più insistono sulla guancia e sul mento, l’incantato stupore del cherubino e la rugosa materialità del marmo scolpito. Bibliografa: venturi 1926, tav. XXXV; Bertini 1942, tavv. XXIII, XXIV, fgg. 33 e 34; Mariani 1942, tav. IX; GaMBa 1943, tav XVII; De tolnay 1947, tavv. 50-53; De tolnay 1951, tavv. 45-48; russoli 1953, tavv. 30-32; Bacci - GolDscheiDer 1957, tavv. 45, 46; Battisti 1964, tavv. XXXIII, XXXIV; D’ancona - Pinna - carDellini 1964, tavv. 33-36. (dc)

77 _ De Carolis, Adolfo (Montefore dell’Aso 1874 - Roma 1928) I grandi aretini (bozzetto), 1922 Olio su tela; 40 x 85 Milano, Galleria Daniela Balzaretti La tela è uno bozzetto per gli affreschi della Sala del Consiglio provinciale di Arezzo, dipinti da De Carolis tra il 1922 e il 1924, che includono, sulle pareti laterali, Il lavoro dei campi e Il lavoro delle miniere, mentre la parete di fronte a quella dei Grandi aretini contiene un’allegoria. I contrasti cromatici del bozzetto preludono alla cromia degli affreschi, decisa e austera al confronto con i poco precedenti affreschi dell’Aula Magna dell’Università di Pisa (1916-1920), impostati su toni più fusi e delicati. I personaggi illustri nativi del territorio della moderna provincia, nella tela come nell’affresco, sono, da sinistra a destra: Mecenate, Guido Monaco, Guglielmino degli Ubertini, Margaritone, Guittone, santa Margherita da Cortona, Francesco Petrarca, Spinello, Masaccio, Leonardo Bruni, Poggio Bracciolini, Piero della Francesca, Cristoforo Landino, Mino detto da Fiesole, Luca Signorelli, Michelangelo, Andrea Sansovino, Bernardo Dovizi, Giorgio Vasari, Giulio III del Monte, Pietro Aretino, Benedetto Varchi, Andrea Cesalpino, Pietro da Cortona, Alessandro Dal Borro, Francesco Redi, Vittorio Fossombroni, Pietro Benvenuti. La fgura di Michelangelo è al centro, incorniciato da una loggia d’onore, e atteggiato in maniera simile al Pensieroso della Sacrestia Nuova. La sua centralità non è solo geometrica, ma anche storica, nella sequenza secolare dei Grandi aretini, tanto da dover apparire provvidenziale. Sullo sfondo della sorta di tabernacolo abitato da Michelangelo appare, luminoso e come al di là del tempo, il San Matteo, il capolavoro che lo stesso De Carolis, quando insegnava a Firenze vedeva ogni giorno sotto forma di calco nel cortile dell’Accademia di Belle Arti, considerandolo «la sola luce» in quel luogo (De carolis 1999, p. 168). Al di sopra della quinta architettonica, sono nove fgure allegoriche femminili, che rispecchiano il numero delle Muse in maniera intenzionale, ma nelle quali si riconoscono le tre arti del Trivio e le quattro del Quadrivio insieme all’Arte e alla Scienza, tutte rappresentate nell’eccellenza dei nati in terra d’Arezzo. In esse è un chiaro riferimento fgurativo alle Sibille della Sistina, mentre nella serie dei Grandi è più spiccato il riferimento a serie di uomini illustri del Quattrocento (A. BalDinotti, in Fornasari - Giannotti 2002, p. 169) o alle grandi pareti affrescate dal Ghirlandaio nelle chiese forentine. L’intero ciclo di Arezzo è una complessa rete di simboli concatenati, per cui accanto alla missione trascendente del genio che cambia il corso della storia è presentato, sulle pareti, il complementare lavoro immutabile del popolo nei secoli

che è la memoria, sempre viva e rinnovata, dell’eternità del tempo che si esplica attraverso il folclore, un campo di studio prediletto da De Carolis (BaDino 2002, pp. 89-91). E, nella parete di fronte a quella in cui il protagonista è Michelangelo, è l’iscrizione «INTRA TEVERO ET ARNO», tratta dal canto XI del Paradiso dantesco: «Nel crudo sasso intra Tevere ed Arno / da Cristo prese l’ultimo sigillo, / che le sue membra due anni portarno», che fa intendere come tra i Grandi aretini si inserisca anche san Francesco, di Assisi, ma che, aveva ricevuto le stimmate in territorio aretino, alla Verna, a breve distanza, per una coincidenza che poteva apparire di nuovo provvidenziale, dal luogo di nascita di Michelangelo. Così, anche se non era questo lo scopo fnale dell’allegoria, Michelangelo indubbiamente viene investito di un’aura simile alla santità, tutta implicita, ma ben comprensibile e facilmente associabile al «divino Michelangelo» di vasariana memoria. De Carolis, nello stesso 1924, faceva un altro omaggio, più intimo, a Michelangelo, nel suo Autoritratto xilografco, ispirato al ritratto del grande aretino di Daniele da Volterra. Bibliografa: De Carolis e il liberty... 1999; A. BalDinotti, in Fornasari - Giannotti 2002, pp. 169-182; BaDino 2002, pp. 78-101. (gb)

78 _ da Michelangelo Buonarroti Madonna col Bambino o Madonna di Bruges, 1875 Calco formato in gesso; alt. 130 Firenze, Accademia di Belle Arti Nel 1875, in vista dell’allestimento alla Galleria dell’Accademia di un’esposizione celebrativa dell’arte di Michelangelo, nel IV Centenario della nascita dell’artista, il Governo belga inviò in dono al Municipio di Firenze un calco della Madonna di Bruges. Per accertarsi che la scultura, solamente attribuita al «divin Michelangelo», fosse effettivamente degna di essere esposta in quel luogo deputato a rappresentare l’eccellenza dell’opera del Buonarroti, anche se in simulacro, venne indetta una riunione del comitato perché esprimesse il proprio parere sull’autenticità o meno di quella statua. Il comitato, composto da professori e da scultori dell’Accademia – Giovanni Dupré, Giovanni Paganucci, Ulisse Cambi, Pasquale Romanelli, Luigi Cartei, Augusto Rivalta, Emilio Zocchi – fu unanime nel giudicare la Madonna di Bruges come opera autentica di Michelangelo, tenuto conto che «la qualità della composizione, le caratteristiche e l’impronta speciale che la distinguono» non potevano attribuirsi se non «alla mano

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del sommo artista» (si veda BernarDini et 1989, p. 144). Alla mostra, il calco fu collocato nel braccio destro che dall’edicola del David si prolungava verso i locali dell’Accademia, e ammirato come cosa «veramente stupenda» (Parrini 1876, p. 49). Il nome con cui la scultura è nota deriva dalla sua storia collezionistica. Eseguita a Firenze nei primi anni del Cinquecento (tra il 1501 e il 1504), come, secondo il de Tolnay, indica lo stile che dalle assonanze della fgura di Maria con la Pietà vaticana evolve verso modi più possenti nella plastica e nella posa del Bambino; nel 1506 fu venduta dall’artista, forse su intervento del mercante Giovanni Balducci, a una ricca famiglia di Bruges, i Mouscron (o, all’italiana, Mascheroni). Come noto, alla scultura sembra alludere una lettera di Michelangelo al padre, datata 31 gennaio 1506 nella quale si raccomanda che «quella nostra Donna di marmo» fosse portata nella casa paterna e non fatta «vedere a persona» (BalDini 1973, p. 92). al.

Bibliografa: Parrini 1876, pp. 49, 213; L. BernarDini, in BernarDini et al. 1989, pp. 143-144; anGlani 1997, p. 40. (sbi)

79-84 _ Fratelli Alinari La Madonna di Bruges, 1953 6 stampe moderne da negativi originali su lastra; (negativi 21 x 27) Firenze, Archivi Alinari - archivio Alinari, invv. ACA-F-50907 - ACA-F-50912 Le sei fotografe fanno parte della serie di 20 immagini realizzate dai Fratelli Alinari in occasione dell’esposizione della Madonna di Bruges di Michelangelo presso il Museo Nazionale del Bargello da novembre a fne dicembre 1953. Le fotografe di questa serie non compaiono in nessuno dei cataloghi a stampa pubblicate dallo Stabilimento Alinari. Si trovano invece elencate su un registro dattiloscritto datato 1960 conservato presso gli Archivi Alinari (Alinari 1960) nel quale compaiono nella sezione “Estero” con i numeri dal 50907 al 50928. Presso gli Archivi Alinari si conservano le corrispondenti lastre negative di vetro di formato 21 x 27. Le 20 fotografe sono state pubblicate da Alinari nel 1954 nel volume La Madonna di Bruges di Michelangiolo a cura di Giovanni Poggi. Fonti: alinari 1960, p. 109. Bibliografa: La Madonna... 1954 (ill.). (mp)

85-88 _ Cipriani, Nicolò (Ravenna 1892 - Firenze 1968) Madonna col Bambino, 1953 (Bruges, Notre-Dame, Cappella Mouscron) Stampa originale alla gelatina bromuro d’argento, 18 x 24, da negativo su lastra di vetro alla gelatina bromuro d’argento, 21 x 27 (inv. 96612). Tre stampe originali alla gelatina bromuro d’argento, 12 x16, da negativi su lastra di vetro alla gelatina bromuro d’argento, 13 x 18 (invv. 96615, 96618, 96622). Cartonature originali: 30,5 x 23 In alto a sinistra, con caratteri dattiloscritti, i dati sul luogo di conservazione dell’opera, dell’autore, descrizione del soggetto, materiale di realizzazione della statua, formato del negativo, data di ingresso nell’archivio e il numero d’inventario. Sul supporto di cartone n. 96612: «Bruges. Museo Michelangelo Madonna col Bambino; scultura in marmo, particolare 21 x 27, 24.XII.1953», e in alto a destra inventario «96612». Sui supporti di cartone nn. 96615, 96618, 96622: «Bruges. Museo Michelangelo Madonna col Bambino; scultura in marmo particolare 13 x 18, 24.XII.1953», e in alto a destra inventario «n. 96615, 96618, 96622». Firenze, Gabinetto Fotografco della Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Firenze; invv. 96612, 96615, 96618, 96622 La scultura, portata a Parigi come preda di guerra durante l’invasione napoleonica, fu restituita al luogo d’origine, la chiesa di Notre Dame in Bruges e ricollocata nella cappella dei Mouscron, nel 1815. L’opera fu temporaneamente esposta a Firenze, nel Salone delle Armi del Bargello, a seguito di una operazione culturale di scambio con Bruges (il Trittico Portinari di Van der Goes, conservato presso la Galleria degli Uffzi). Alcuni studiosi indicano il 1952 come data del suo ingresso a Firenze, mentre il professor Giovanni Poggi nell’introduzione alla cartella di eliotipie Alinari (1954), riferisce il 20 novembre 1953 come data di arrivo a Firenze e il 25 novembre la data di inizio della mostra nella sala a piano terreno dedicata alle opere michelangiolesche. Accolta con grande entusiasmo dai cittadini e dagli studiosi, soprattutto i fotograf specializzati in riproduzioni di opere d’arte colgono l’occasione per eseguirne le riproduzioni. Fino a quel momento infatti, gli storici dell’arte, per corredare le proprie pubblicazioni si erano avvalsi di fotografe realizzate direttamente da fotograf locali e conservate nelle Fototeche nazionali belghe, come si evince dai vari studi di Charles De Tolnay che ne riporta le provenienze nelle referenze fotografche (Archivio Gevaert, Bruges e A.C.L., Bruxelles). Dopo tale evento i Fratelli Alinari pubblicano

nel 1954 una cartella contenente 20 tirature eliotipiche dell’opera [catt. 79-84], anche se la foto della Madonna di Bruges già compare in una pubblicazione di Vittorio Mariani nel 1942 a frma Alinari. Le fotografe in tiratura originale, qui presentate ed eseguite da Nicolò Cipriani durante quell’evento, fanno parte di una serie di inquadrature (da inv. 96605 a inv. 96626) che procedono dall’intero al dettaglio, mentre la data apposta sulla cartonatura (24.XII.1953) è da riferirsi alla data di ingresso delle stampe nell’archivio del Gabinetto Fotografco. Trattasi di una galleria di immagini illustrative che riprendono la Madonna di Bruges da vari punti di vista, a varie distanze, sfruttando una luminosità diffusa e naturale che ne aumenta la leggibilità. A questo gruppo si aggiunge un corpus di stampe non numerate e di piccolo formato (in numero di nove) relative a particolari e vedute ravvicinate della Madonna di Bruges, sempre conservate nell’archivio del Gabinetto Fotografco. Nelle quattro selezionate è presentata l’indagine del fotografo attraverso riprese che rappresentano particolari signifcativi dell’opera michelangiolesca: il volto della Madonna visto frontalmente, la stessa in una visione angolata, la mano della Madonna sul libro sacro poggiato in grembo, e l’intreccio della mano della Madonna con quello del Bambino. Bibliografa: ricci 1902, p. 35; venturi 1926, tav. XXXI; Bertini 1942, tav. XIX, fg. 26; Mariani 1942, tav. VII; De tolnay 1947, tavv. 44-49; De tolnay 1951, tavv. 21-24; Michelangiolo... 1953, tavv. 4-5; russoli 1953, tavv. 18-21; La Madonna... 1954, tavv. 1-20; PoGGi 1954; Bacci - GolDscheiDer 1957, tavv. 34-42; Battisti 1964, tavv. XIX-XXI; D’ancona - Pinna - carDellini 1964, tavv. 28-32. (dc)

89 _ Matisse, Henri (Le Cateau 1869-Cimiez, Nizza, 1954) Interno con lo Schiavo, 1924 ca. Olio su tela; 91,7 x 73,2 Nizza, Musée Matisse L’interesse di Matisse per Michelangelo, diffcile da afferrarsi immediatamente, è stata oggetto specifco di una mostra a Brescia nel 2011, che ne ha messo in rilievo l’importanza (Matisse... 2011). Per Matisse, come per Rodin anni prima, la conoscenza diretta delle opere della Sacrestia Nuova fu una rivelazione, avvenuta durante il viaggio in Italia nel 1907 in compagnia di Gertrude e Léon Stein (C. aciDini, in Matisse... 2011, p. 22). D’altronde già il Nu bleu (Souvenir de Biskra) che espose in quello stesso anno al Salòn des Independants, ma del 1906, mimava la torsione dell’Aurora, e fu dipinto dopo un tentativo di modellare una fgura simile in scultura. Alle statue di San Lorenzo, da cui trasse studi grafci in epoche

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diverse, si riferiscono molte delle fgure reclinate di Matisse, come il Ratto d’Europa (1929; Camberra, National Gallery of Art) o le varie Odalische, e il Nudo rosa (1935; Baltimora, Baltimore Museum of Art) o, in scultura, il Grande nudo seduto (bronzo, 1922-1929; Le Cateau-Cambrésis, Musée départemental Matisse). È importante anche l’ammirazione che Matisse nutriva per Rodin, che in parte potè fargli da tramite nella sua ricerca di estrarre l’essenziale della plasticità michelangiolesca. Alcune affermazioni fanno comprendere lo sguardo di Matisse su Michelangelo: «Cerco di far mio il senso semplice e complesso della costruzione di Michelangelo” (C. aciDini, in Matisse... 2011, p. 23) e «Si potrebbe far rotolare una statua di Michelangelo dall’alto di una collina fno a far scomparire la maggior parte degli elementi di superfcie: la forma rimarrebbe comunque intatta... non si potrebbe dire altrettanto di Donatello» (ivi). Ed è di grande importanza la pratica stessa della scultura da parte di Matisse, ancor più che le opere fnite, per comprendere il suo approccio all’opera michelangiolesca. Di se stesso, nel 1950, Matisse ebbe modo di dichiarare: «io scolpivo come un pittore, non come uno scultore» (charBonnier [1950], 1960, pp. 14-15). Era essenziale, per lui, il rapporto tra forma e sfondo, tra la linea ondulata e lo spazio circostante i volumi, così le torsioni delle opere di Michelangelo potevano rappresentare molto effcacemente, per il pittore, un esempio di soluzione del rapporto fra piani spaziali. Nel 1922, Matisse si fece inviare dal Musée du Louvre la copia in gesso dello Schiavo morente, ed essa appare in un dipinto del 1924, Pianista e giocatori di dama (Washington, National Gallery of Art) (Matisse... 2011, p. 169). Qui, in un tripudio di colori e geometrie sfumate, tra tappezzerie diverse, l’abito giallo della pianista, il tappeto rosso, i ragazzi in pigiama rigato, il calco dello Schiavo fa da soprammobile fuori misura su un comò, e ha la base dipinta a pois rossi e blu, chissà se per alludere alle palle medicee o per variazione cromatica. Il suo valore evocativo è del tutto obliterato, per valorizzare quella ricerca di rapporti fra fgure e sfondo che fu centrale per Matisse. L’Interno con lo Schiavo, nella sua incompiutezza, può vedersi in analogia al non-fnito michelangiolesco e, nonostante l’assenza del colore – così fondamentale per Matisse – l’impronta dell’artista si può ritenere compiuta. Ci si chiede se non fosse per questo, e per un singolare omaggio a Michelangelo, che l’autore lo abbia lasciato allo stadio di disegno, su una tela bianca, come candido è il marmo, e, per l’artista, alle soglie di qualcosa di pensato, che non sarà mai visto. Bibliografa: charBonnier [1950], 1960, p. 14-15; Matisse... 2011. (gb)

90 _ Mollino, Carlo (Torino 1905-1973) Genesi, 1935 Stampa moderna da negativo originale su pellicola; 24 x36, 40 x 30 Firenze, Archivi Alinari - archivio Mollino, inv. NVQ-S-5-1 Tra il 1933 e il 1938 Carlo Mollino realizza una serie di scatti degli arredi di Casa Miller, una delle case studio delle quali aveva progettato gli interni e che utilizza in quegli stessi anni come spazio-scena per ambientare alcuni dei suoi più celebri ritratti fotografci femminili. Nell’intenzione di moltiplicare le possibilità di lettura degli spazi della casa, l’attenzione è rivolta al particolare e all’insieme dei particolari e gli scatti che ne risultano sono onirici, velati e ricreano le atmosfere sofsticate degli interni molliniani, più che descriverne gli ambienti. Genesi è una delle immagini più rappresentative e anche una delle preferite da Mollino stesso, che la pubblica nel suo Il Messaggio dalla Camera Oscura del 1949. Casa Miller è un mondo chiuso, denso di evocazioni simboliche, popolato da oggetti imprevisti e curiosi che alimentano suggestioni visive dove «non è possibile esprimersi con l’ordine gerarchico della prospettiva, perché tutte le cose sono ugualmente vicine, e ognuno ne implica infnite altre e tutte fanno ressa e non vogliono essere dimenticate», come ha osservato Carlo Levi nell’articolo dedicato a Casa Miller su “Domus” nel settembre del 1938. Così in Genesi, l’immagine dello Schiavo morente di Michelangelo utilizzata, sotto vetro, come piano per un tavolo, viene accostata in un continuo rimando simbolico a quella di una conchiglia, elemento che Mollino inserisce spesso nei suoi interni. La conchiglia rappresenta l’idea della dimora domestica che cresce in armonia con il corpo che la abita; e se Casa Miller è pensata da Mollino per se stesso, tutto ciò che la compone ruota intorno alla sua persona, della quale la gigantografa di uno dei Prigioni di Michelangelo, voluti da papa Giulio II a guardia del proprio mausoleo, evoca l’immortalità artistica. Le composizioni ambientali e quelle fotografche di Mollino condividono quell’irrisolto confronto tra fantasia della trasfgurazione e fantasia della rappresentazione che ne accresce la forza evocativa e il valore estetico e formale. Bibliografa: Levi 1938; MoLLino 1949, p. 243, tav. 180; Mollino 1989, p. 91; L’étrange univers... 1989, p. 53; FerrAri et al. 2003, p. 18; FerrAri et al. 2009, p. 34, tav. 26. (sr-cr)

91 _ Bulloz, Jacques-Ernest (Parigi 1858-1942) [Lo Schiavo morente], particolare, 1920 ca. Stampa alla gelatina bromuro d’argento; 28,9 x 23,7 Sul verso in basso al centro timbro a inchiostro: «Photo Bulloz», in alto a destra a inchiostro rosso: «F. Hartt Bequest» e manoscritto: «1993» Firenze, Biblioteca Berenson Fototeca Villa I Tatti, inv. 130000

Un negativo che raffgura il dettaglio del busto e della mano dello Schiavo morente è conservato nella collezione del Musée française de la Photographie, presso il quale si trova il più grande fondo fotografco di Sougez.

Conosciuto soprattutto come il fotografo uffciale di Auguste Rodin, Jacques-Ernest Bulloz nell’arco della sua carriera contribuisce alla divulgazione dell’arte del suo tempo. Esegue campagne fotografche dei principali monumenti e delle più importanti collezioni museali francesi: al museo del Louvre fotografa, tra le altre, anche la scultura michelangiolesca dello Schiavo morente, qui conservata sin dal 1794. (sr-cr)

96 _ Sansaini, Renato (? 1897 - ? 1958) Michelangelo: La Pietà (particolare) – Basilica di San Pietro, 1940 ca. Stampa alla gelatina bromuro d’argento; 17 x 23 Firenze, Collezione Malandrini

92 _ Fotografo non identifcato [Dettaglio della testa dello Schiavo morente], anni ’20 (Parigi, Musée du Louvre) Stampa alla gelatina bromuro d’argento; [34,2 x 24] Firenze, Kunsthistorisches Institut in Florenz, inv. 140165 (sr-cr)

93 _ Fotografo non identifcato [Dettaglio del torso dello Schiavo morente], anni ’20 (Parigi, Musée du Louvre) Stampa alla gelatina bromuro d’argento; [34,2 x 24] Firenze, Kunsthistorisches Institut in Florenz, inv. 140166 (sr-cr)

94-95 _ Sougez, Emmanuel (Bordeaux 1889 - Parigi 1972) Tête de l’esclave enchainé de Michel-Ange, ante 1953 Tête de l’esclave prisonnier de Michel-Ange, ante 1953 Stampe fotomeccaniche; 32,4 x 24,9; [39 x 29]; 32,4 x 24,9; [39 x 29] Firenze, Collezione Malandrini Noto soprattutto per la documentazione delle opere d’arte, Sougez ha realizzato una campagna fotografca al museo del Louvre negli anni dal 1934 al 1936, fotografando le sculture e le terrecotte presenti nelle collezioni. Presumibilmente al 1951 sono databili una serie di scatti dello Schiavo morente e dello Schiavo ribelle di Michelangelo, sicuramente eseguiti prima del 1953, anno in cui le fotografe di Sougez illustrano il fascicolo La Sculpture de la Renaissance Italienne au Musée du Louvre, a cura di Marcel Aubert.

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Bibliografa: Aubert 1953. (sr-cr)

Dalla seconda metà degli anni Venti è accertata la collaborazione di Renato Sansaini con i Musei Vaticani. A partire da quel periodo, il fotografo romano realizza numerose fotografe delle opere conservate in Vaticano, alcune delle quali confuiscono nelle pubblicazioni scientifche ad esso dedicate. (sr-cr)

97-103 _ Pagano, Giuseppe (Parenzo 1896 - Mauthausen 1945) [La Pietà da Palestrina: particolare della parte superiore del gruppo], 1938 [La Pietà da Palestrina: intero], 1938 [La Pietà da Palestrina: particolare delle gambe di Cristo], 1938 [La Pietà da Palestrina: particolare del volto di Cristo], 1938 [La Pietà da Palestrina: particolare del volto di san Giovanni Evangelista], 1938 [La Pietà da Palestrina: particolare del torso di Cristo], 1938 [La Pietà da Palestrina: particolare della mano destra della Madonna], 1938 Sette stampe alla gelatina bromuro d’argento; 28,5 x 23 ca. ciascuna Firenze, Biblioteca Berenson - Fototeca, Villa I Tatti, invv. 130001-130007 Nella produzione dell’architetto Giuseppe Pagano la maggior parte delle fotografe è dedicata alla documentazione dell’ambiente rurale e urbano dell’Italia del secondo dopoguerra. Le fotografe di opere d’arte, che si limitano quasi esclusivamente alla scultura e all’affresco, e di architettura sono prevalentemente focalizzate sul Medioevo. Pagano nel 1938 riceve da Pietro Toesca l’incarico di eseguire una campagna fotografca sulla Pietà da Palestrina, per illustrare il suo articolo Un capolavoro di Michelangelo “La Pietà da Palestrina”, uscito sulla rivista “Le Arti” (I, 1938-1939, pp. 105-110). La serie, di 40 scatti, viene realizzata con una Rolleifex quando l’opera, donata

allo Stato dal Duce, è temporaneamente esposta nel padiglione dell’arte della Mostra autarchica del Minerale Italiano, prima di essere trasferita nella Galleria dell’Accademia di Firenze. Nella primavera del 1939 da un carteggio risulta che Pagano invia a Berenson, su esplicita richiesta di Toesca, le sette fotografe oggi conservate a Villa I Tatti: queste immagini presentano tuttavia alcune varianti rispetto a quelle pubblicate i n “Le Arti”, probabilmente perché Pagano non ricordava gli scatti scelti per la pubblicazione. L’attenzione di Pagano si focalizza sulla materia attraverso arditi tagli prospettici e inquadrature ravvicinate che esaltano i dettagli, i passaggi chiaroscurali e l’effetto di non fnito, presumibilmente anche su richiesta di Toesca per meglio supportare la sua attribuzione dell’opera a Michelangelo.

106-107 _ Monti, Paolo (Novara 1908 - Milano 1982) 106 _ [Pietà Rondanini: dettagli delle gambe], 1977 Due stampe alla gelatina bromuro d’argento su carta baritata lucida affancate e unite tra loro con nastro adesivo; 29,5 x 20,2; 29,5 x 20,8 Milano, Civico Archivio Fotografco (in deposito da Fondazione BEIC), inv. c.084.11.06/3 e c.084.11.06/4

Bibliografa: russoli 1959, tav. 122; Giuseppe Pagano... 1979; calleGari et al. 2009, pp. 108-113. (sr-cr)

Dopo la prima campagna fotografca del 1956, Paolo Monti torna vent’anni dopo, nelle sale del Castello Sforzesco di Milano e documenta in modo completamente diverso la Pietà Rondanini. Nel 1977, in una sola settimana, effettua oltre 500 scatti, una selezione dei quali è poi pubblicata nel volume La Pietà Rondanini di Michelangelo Buonarroti. Fotografe di Paolo Monti (1977). Il progetto è probabilmente un’iniziativa personale che nasce in seguito alle conversazioni tra il conservatore al Gabinetto delle Stampe e al Museo, Giorgio Lise, lo stesso Monti e l’editore Battaglini. Nella prefazione al volume, quest’ultimo infatti scrive: «Per facilitare la lettura di un’opera si è pensato di proporne una meditata analisi fotografca. Questa della Pietà Rondanini […] è di Paolo Monti che crediamo abbia ottenuto un risultato tale da permettere una più completa e appassionante osservazione dell’incompiuto capolavoro». La scultura michelangiolesca è indagata da Monti con un’attenzione alla materia che lo porta a riprenderla secondo un percorso visivo che va dalla ripresa d’insieme ai dettagli, tra i quali anche quelli del gruppo delle gambe e del volto della Madonna.

104-105 _ Monti, Paolo (Novara 1908 - Milano 1982) [Visitatori nella Sala della Pietà Rondanini. Milano, Castello Sforzesco], 1956 e 1961 Due stampe alla gelatina bromuro d’argento; 22,5 x 16,7; 23,8 x 17,5 Milano, Civico Archivio Fotografco (in deposito da Fondazione BEIC), invv. s.086.03.03/2 e s.086.03.03/3 La presenza di Paolo Monti ai Musei del Castello Sforzesco è documentata sin dai primi giorni che seguono la loro riapertura dopo la guerra. Nell’aprile 1956 la ditta “Fotogramma”, con la quale Monti aveva iniziato l’attività professionale, effettua una campagna fotografca nel Museo d’Arte Antica. A quello stesso anno risalgono le prime fotografe di Monti relative alla Pietà Rondanini, nel nuovo allestimento della Sala degli Scarlioni realizzato dagli architetti Gian Luigi Banf, Lodovico B. Belgiojoso, Enrico Peressutti ed Ernesto N. Rogers (lo studio BBPR). L’isolamento, fsico e simbolico, del capolavoro dal resto delle altre opere, ottenuto grazie alle due quinte in pietra serena e legno d’ulivo, è sottolineato anche nelle riprese fotografche di Monti, dove compaiono alcune persone mentre contemplano l’opera. La stessa sala è oggetto di numerosi altri scatti, nei quali predomina l’illuminazione naturale e sono sempre visibili dettagli dell’allestimento. Bibliografa: Paoli 2007-2008. (sr-cr)

107 _ [Pietà Rondanini: dettagli delle teste della Madonna e di Cristo], 1977 Due stampe alla gelatina bromuro d’argento su carta baritata lucida affancate e unite tra loro con nastro adesivo; 29,1 x 20,5; 29,1 x 20,9 Milano, Civico Archivio Fotografco (in deposito da Fondazione BEIC), inv. c.084.11.06/1 e c.084.11.06/2

Bibliografa: Monti 1977; Paoli 2007-2008. (sr-cr)

108_ Festa, Tano (Roma 1938-1988) Particolare delle Tombe medicee, 1965 Smalto su tela; 200 x 200 Roma, Collezione privata La riproposizione di opere di Michelangelo coincide per Tano Festa con la storia della sua arte, dall’inizio alla sua fne precoce, e conta innumerevoli esempi, riferiti, peraltro, a un numero limitato di fonti rispetto alla vastità

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del corpus michelangiolesco. Il primo dettaglio appare in un’opera del 1963; è il Particolare della Sistina dedicato a mio fratello Francesco Lo Savio (Francesconi 2012, p. 91), ed è l’Adamo della Creazione, ma la foto è rielaborata solo parzialmente (per il processo di riduzione dell’immagine, cfr. ivi, pp. 106108). Qui, due anni dopo, la testa dell’Aurora sulla tomba di Lorenzo duca di Urbino è ridotta a fgura bidimensionale, di colore uniforme come può essere un oggetto tinteggiato a smalto. È un processo di oggettifcazione, analoga a quella della pop art americana, cui la Scuola di Piazza del Popolo, iniziata nel 1961 da Festa insieme ad Angeli, la Fioroni e Schifano, si può associare. La metodologia pop si fonde, in un altro versante dell’opera dell’artista romano, anche con una matrice dadaista, per l’uso di oggetti ready made, o che devono sembrare tali, cui Tano Festa intreccia la propria manualità e scelta artistica, allo scopo di renderla imperitura al pari dell’ottusa potenza insita negli oggetti quotidiani, che li rende resistenti e dà loro «quel carattere di immortalità paradossale che l’umiltà della [loro] apparenza non potrebbe garantire» (Bonito oliva 1988, p. 80). Tuttavia, quando Festa interviene, invece, sul capolavoro antico, ha di fronte a sé qualcosa di irriducibile che, pur nelle «superfci levigate e compatte, di colori neutralizzati da ogni profondità psicologica» rimane «dens[o] di spiritualità» (ivi, p. 79). Questo rimasuglio dell’arte michelangiolesca rappresenta l’appiglio sicuro cui Tano Festa non volle e non poté rinunciare: dopo la morte del fratello, e compagno d’arte, Francesco Lo Savio, suicidatosi a Marsiglia nel 1963, in un luogo simbolico come la Cité radieuse di Le Corbusier, egli «si allontanò dalla dissoluzione dell’opera», e «con l’annessione di particolari di opere rinascimentali nei suoi dipinti, Festa [iniziò a] comunica[re] l’intenzione di perseverare e di preservare l’immagine», anche in disaccordo con la memoria dell’arte dello stesso Lo Savio, come racconta Freddy Grunert in un’intervista a Sara Giannini (cfr. http: //www.artribune.com/2011/07/festae-lo-savio-fratelli-e-artisti-d’italia/). Senza contare il suo ruolo di precorritore dell’arte postmoderna (ibidem), ciò che a noi interessa, in relazione a Michelangelo, è come Tano Festa cerchi in lui, idealmente, qualcosa di simile al rifugio che si cerca da un padre: egli «si considera fglio di Michelangelo in quanto erede di una tradizione stampata nell’immaginario, contenuta nelle parole, espressa dai gesti. Michelangelo, come grandezza e come ordinamento, ma anche come segretezza della sofferenza, patimento del dolore, aspirazione all’infnito» (Festa è Festa... 2002, p. 11). Ci sembra questa la ragione per cui Tano Festa rifutava l’etichetta pop e persino la sua assimilazione alla Scuola di Piazza del Popolo: un artista sa sempre ciò che fa, e Festa sapeva che nella

sua estetica del colore – ricercato, brillante, memore della purezza di un Yves Klein – era riassunta la bellezza possibile in quel tempo diffcile. E nelle linee geometriche sovrapposte alla torsione dell’Aurora – evocative di «diversi quadri nello stesso quadro, più contesti sullo stesso piano» (Tano Festa 1967, cit. da Francesconi 2012, p. 109) – alludeva forse, come suggerisce un’artista contemporanea, a una «fgurazione che cerca di circoscrivere l’incontenibile, l’indelimitabile, l’inconfnabile» (Isabelle Dehais, comunicazione orale, Roma novembre 2013). La sofferenza, il «patimento del dolore» di Tano Festa, trovava in Michelangelo – come Delacroix nell’Ottocento – un sostegno che attraversava i secoli, ma, al travaglio creativo che il pittore romantico aveva sperimentato, si aggiungevano per lui gli ostacoli opposti alla ricerca della bellezza da un tempo, in fondo, spietato. Bibliografa: Bonito oliva 1988, p. 80; Gallo 2002, p. 11; Francesconi 2012, IX, pp. 91-120. (gb)

109-110 _ Monti, Paolo (Novara 1908 - Milano 1982) 109 _ [Madonna con Bambino nella Sagrestia Nuova], fne anni ’60 Stampa alla gelatina bromuro d’argento; 28,1 x 21,7 Milano, Civico Archivio Fotografco (in deposito da Fondazione BEIC), inv. c.026.04.07/1 110 _ [L’Aurora, dettaglio della tomba di Lorenzo de’ Medici], fne anni ’60 Stampa alla gelatina bromuro d’argento; 27,5 x 21,9 Milano, Civico Archivio Fotografco (in deposito da Fondazione BEIC), inv. s.026.02.25/12 Appassionato di arte classica, tardo rinascimentale e barocca, nel corso della sua carriera, Monti si dedica approfonditamente anche alla fotografa di scultura. Oltre alle note campagne fotografche relative alla Pietà Rondanini, l’opera michelangiolesca viene indagata anche in altre occasioni da Monti. Sono da riferire probabilmente alla fne degli anni Sessanta gli scatti che realizza all’interno delle Cappelle Medicee a Firenze, tra questi i dettagli della Madonna con Bambino e dell’allegoria dell’Aurora, nei quali si ritrova la stessa sensibilità verso l’opera dello scultore forentino ma un taglio meno interpretativo e drammatico rispetto alla serie che Monti realizza sulla Pietà nel 1977. (sr-cr)

111-114 _ Mulas, Antonia (Barbianello, Pavia, 1939) Il Crepuscolo, Cappelle Medicee, Basilica di San Lorenzo, Firenze, 1978 La Notte, Cappelle Medicee, Basilica di San Lorenzo, Firenze, 1978 La Notte, Cappelle Medicee, Basilica di San Lorenzo, Firenze, 1978 Il Giorno, Cappelle Medicee, Basilica di San Lorenzo, Firenze, 1978 Quattro stampe ai sali d’argento su carta baritata stabilizzata al selenio (2013); 50 x 50 Todi, Archivio A. Mulas In questa serie di fotografe, scattate all’interno della Sagrestia Nuova delle Cappelle Medicee a Firenze, lo sguardo di Antonia Mulas si concentra sulle allegorie del Giorno e della Notte e su quelle del Crepuscolo e dell’Aurora, scolpite da Michelangelo per le tombe di Giuliano e Lorenzo de’ Medici. Le immagini testimoniano la frequentazione di Mulas con la fotografa di scultura – la fotografa realizza infatti, sempre nel 1978, un ampio progetto all’interno della Basilica di San Pietro a Roma (Mulas 1979) – e il suo impiego ripetuto e insistito dei particolari, volto a cogliere l’essenziale senza astrarre il dettaglio dal suo contesto architettonico e scultoreo. Bibliografa: Billiter et al. 1997, pp. 208-209. (sr-cr)

115-116 _ Finn, David (New York 1921) [Lo Schiavo giovane di Michelangelo, particolari], anni ’80 Due stampe alla gelatina bromuro d’argento; 35,4 x 27,6 ; 35,2 x 27,5 New York, David Finn Scultore egli stesso e noto come fotografo soprattutto per il suo lavoro sulla scultura sia classica che contemporanea, David Finn nei suoi scatti insiste sui dettagli con l’intento di restituire la tridimensionalità propria della materia. Ha affermato infatti: «spero che le mie fotografe possano essere potenti tanto quanto le forme che il mio sguardo vede quando osserva da vicini i dettagli delle sculture […]. Attraverso le mie fotografe mi unisco agli scultori dando un contributo creativo al loro lavoro». Bibliografa: Johnson 1998, pp. 7-8. (sr-cr)

117-118-119 _ Finn, David (New York 1921) [Modello in terracotta del David di Michelangelo, particolare del torso], 1986 [Modello in terracotta del David di Michelangelo, particolare del pettorale sinistro], 1986

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[Modello in terracotta del David di Michelangelo, particolare dei glutei], 1986 Tre stampe alla gelatina bromuro d’argento; 35,2 x 27,5 ca. ciascuno New York, David Finn Nell’ambito della sua vastissima produzione fotografca dedicata alla scultura, Michelangelo ha rappresentato uno dei soggetti preferiti da David Finn. Per oltre vent’anni il fotografo ha documentato i capolavori dello scultore forentino, dalla Pietà di San Pietro ai Prigioni, dalla Pietà Rondanini al David. «Fotografare Michelangelo è un’esperienza unica», spiega Finn, «con le luci che fanno emergere la vivacità delle superfci e la forza delle curve e dei piani laddove Michelangelo ha lavorato la materia. Non ci sono limiti al numero di belle fotografe che possono essere scattate ad ogni sua singola opera». Nel 1986 Finn realizza una serie di scatti a uno dei bozzetti conservati a Casa Buonarroti a Firenze, per integrare gli studi che Frederick Hartt stava conducendo sulla scultura e sulla sua attribuzione a Michelangelo. In queste fotografe, l’utilizzo di un obiettivo macro, secondo le parole dello stesso Finn, permette di esaltare la monumentalità del soggetto nonostante le sue reali dimensioni e di «vedere la fgura su grande scala, come lo scultore doveva averla immaginata». «Michelangelo», continua Finn, «non poteva sfruttare l’aiuto di una fotocamera, ma credo che le fotografe ingrandite di questo modello siano l’eco di quanto lui aveva in mente». Bibliografa: Hartt 1987, pp. 138-142. (sr-cr)

120 _ Amendola, Aurelio (Pistoia 1938) Giuliano de’ Medici, 1992 Stampa alla gelatina bromuro d’argento; 30 x 40 Data sul verso. Pistoia, Aurelio Amendola Nel suo vasto repertorio di fotografe di arte e architettura, Aurelio Amendola ha documentato l’opera di grandi artisti, dalla scultura medievale e rinascimentale alle opere d’arte contemporanea. Privilegiando l’uso del bianco e nero, nella lettura che dà delle opere di Michelangelo, conservate in Italia ma anche all’estero, Amendola cerca diversi punti di ripresa dai quali la massa plastica emerga dall’oscurità dell’ambiente circostante o dalla struttura architettonica che la contiene. Anche la statua di Giuliano de’ Medici, nella Sagrestia Nuova, è oggetto di una serie di scatti che pongono l’accento su diversi dettagli della scultura, cambiando di volta in volta il punto di vista e la distanza di ripresa, come nel caso del particolare del volto.

Bibliografa: Michelangelo... 2007, p. 246; coRà 2008, pp. 23-24; Dotta mano... 2008; Michelangelo / Burri... 2008, pp. 62-63; FeRRetti 2013, pp. 28-29. (sr-cr)

121-122 _ Amendola, Aurelio (Pistoia 1938) [Veduta frontale del Giovinetto], 2000 [Veduta tergale del Giovinetto], 2000 Due stampe alla gelatina bromuro d’argento 37 x 19 [48 x 34]; 37 x 19 [48 x 34] Firenze, Kunsthistorisches Institut in Florenz, inv. Formati medi 552708 e 552706 In linea con il resto della produzione fotografca di Aurelio Amendola sulla scultura, nella quale grande spazio ha l’opera di Michelangelo, queste immagini danno una lettura tridimensionale del Giovinetto, lavoro giovanile dello scultore, adottando due diversi punti di vista, frontale e tergale. Le due stampe fotografche sono state donate alla Fototeca del Kunsthistorisches Institut in Florenz dallo storico dell’arte Detlef Heikamp, con il quale Amendola ha più volte collaborato nel corso degli anni. Bibliografa: Acidini 2006, pp. 55, 57; Michelangelo... 2007, p. 405; Dotta mano... 2008. (sr-cr)

123 _ Berengo Gardin, Gianni (Santa Margherita Ligure 1930) La Pietà di Michelangelo, 1998 Stampa ai sali d’argento su carta baritata (2013); 30 x 40 Milano, cortesia Fondazione Forma per la Fotografa La fotografa fa parte della più ampia serie San Pietro del Millennio, realizzata da Gianni Berengo Gardin per illustrare il volume San Pietro in Vaticano. Emozioni nel tempo (con fotografe di Gianni Berengo Gardin e Olivo Barbieri, Touring Club Italiano, Milano 1998). Bibliografa: Inedito. (sr-cr)

124 _ Rondeau, Gérard (Chalons-sur-Marne 1953) “Esclave” de Michel-Ange, Musée du Louvre, Paris, 2012 Stampa alla gelatina bromuro d’argento su carta baritata su alluminio (2013); 80 x 80 Firma e data sul verso, tiratura 1/7 Trélou-sur-Marne, Gérard Rondeau Tra i progetti fotografci più noti di Gérard Rondeau vi sono gli scatti realizzati, nell’arco di oltre quindici anni, all’interno dei musei, dove ha documentato gli spazi, le opere d’arte, i visitatori e gli addetti ai lavori. Gran parte

delle fotografe sono state scattate all’interno dei musei parigini, dove lo sguardo del fotografo ha indagato le collezioni, le mostre temporanee e i depositi, senza tralasciare quel dialogo silenzioso che di volta in volta si crea tra le opere d’arte e chi le osserva. Del progetto, che nel 2005 è stato esposto al Grand Palais di Parigi nella mostra Hors Cadre, fa parte anche il più recente “Esclave” de Michel-Ange che, con una presa ravvicinata e un taglio audace, riproduce la scultura di Michelangelo conservata al Louvre. Bibliografa: RondeAu 2005. (sr-cr)

125-126 _ Newton, Helmut (Berlino 1920 - Los Angeles 2004) Moses, 2 dicembre 2000 Due stampe alla gelatina bromuro d’argento; 24 x 30. Firmata e datata sul verso. Le stampe riportano i numeri di negativo HN14655/10 e HN14657/5 Roma, Collezione Mario e Donatella Peliti Alla fne del 2000, Helmut Newton è invitato a Roma per fotografare il Mosè di Michelangelo conservato nella chiesa di San Pietro in Vincoli. La famosa scultura e l’intero complesso monumentale della tomba di papa Giulio II sono infatti, da quell’anno e per i successivi quattro, oggetto del “Progetto Mosè”, un intervento di restauro promosso dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali e strutturato, fn dall’inizio, come un cantiere aperto, del quale si potevano addirittura seguire le diverse fasi via internet, attraverso una serie di webcam. Questa condizione di “cantiere aperto” ha permesso a Newton di fssare l’opera di Michelangelo in alcuni eccezionali scatti, utilizzati anche per la comunicazione e la promozione del “Progetto Mosè”, dei quali fanno parte questi due dettagli, del volto e del braccio. Bibliografa: Inedito. (sr-cr)

127 _ Basilico, Gabriele (Milano 1944-2013) Michelangelo, Pietà Rondanini, Milano, 2011 Stampa fotografca pure pigment print (2013); 80 x 100. Tiratura: 1/15 Milano, Studio Gabriele Basilico, inv. 11 A 4 - 62 La fotografa fa parte di una più ampia serie realizzata da Gabriele Basilico per illustrare il volume Italia Capolavori del Rinascimento (con prefazione di M. Ferrari, testi di L. Godart e una rifessione di Gabriele Basilico, FMR ART’E’, Bologna 2012), nel quale è pubblicata una variante, verticale, dello stesso scatto. Bibliografa: Inedito. (sr-cr)

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128 _ Listri, Massimo (Firenze 1954) Tomba di Giuliano de’ Medici, 2008 Stampa lambda; 120 x 150 Firenze, Archivio M. Listri, inv. 15.07.13 Massimo Listri è considerato tra i più rilevanti fotograf italiani di architettura e di interni. Nell’arco della sua carriera ha pubblicato oltre cinquanta volumi fotografci nei quali ha raccolto le immagini scattate in tutto il mondo. Ha a lungo documentato il territorio toscano, dalle ville ai giardini, dalle città ai monumenti più importanti, senza tralasciare la sua Firenze. Alla sua città natale ha dedicato numerosi scatti che, nel 2009, sono confuiti nella mostra Le Bellezze di Firenze. Spazi e Musei d’arte nelle fotografe di Massimo Listri, ospitata a Palazzo Pitti e dei quali uno dei più affascinanti è sicuramente l’immagine della tomba di Giuliano de’ Medici nella Sagrestia Nuova delle Cappelle Medicee. Bibliografa: Acidini 2009, p. 65; Ricco et al. 2013, p. 23. Sitografa: www.massimolistri.com. (sr-cr)

129 _ Brusselmans, Jean (Bruxelles 1884 - Dilbeek 1953) Autoritratto con lo Schiavo, 1934 Olio su tela; 115 x 100 Bruxelles, Musées Royaux des Beaux Arts de Belgique, inv. 9235 Jean Brusselmans fu classifcato da un critico del suo tempo come pittore espressionista, dando inizio a un’annosa incomprensione della sua opera, giacché «egli non voleva trasmettere emozioni con la sua pittura, bensì portare uno sguardo razionale sulla realtà» (Jean Brusselmans... 2011, p. 3). Durante la sua vita incrociò diverse correnti artistiche, ma con nessuna in particolare può essere, in defnitiva, assimilato. L’Autoritratto con lo Schiavo, donato al museo nel 1980 dal fglio del pittore, rappresenta molto bene la singolare personalità e le complesse radici artistiche di Brusselmans: gli inizi da litografo, l’esperienza fauviste riconoscibile nella stesura à plat del colore, privo tuttavia, in quest’opera, della vivacità delle pitture di Matisse o Derain. Scavando ulteriormente, la durezza dell’immagine e i colori dominanti, le terre brune e i toni bruciati possono rammentare l’ormai lontano Mangiatori di patate e i contadini del Brabante ritratti da Van Gogh. L’artista si presenta di lato, contro la parete scura sulla quale si stagliano le forme del suo proflo e del calco dello Schiavo morente del Louvre, oltre alle mani e al supporto dell’opera che deve ancora iniziare a delineare. È stato scritto che «i grigi di Brusselmans sono unici nella scuola belga del xx secolo, e gli altri toni sono di un vigore, di una purezza e d’una intensità la cui audacia incanta i giovani

artisti» (Fierens 1953, pp. 39-41): tutto questo nell’Autoritratto di Bruxelles risulta nell’icasticità quasi simbolica che vengono ad assumere le mani, il foglio o tavoletta sulla quale l’artista tra poco vergherà il suo segno, il suo sguardo intento all’immagine che si sta formando nella sua mente e, infne, lo stesso gesso dell’opera michelangiolesca. La testa dello Schiavo ha perso la morbidezza delle forme e il carattere patetico dell’originale, per diventare solo un oggetto, una natura morta senza echi sentimentali, e questo rivela un aspetto enigmatico dell’approccio di Brusselmans a Michelangelo. Il modo in cui delinea il proprio volto sembra richiamare le superfci scabre delle opere non fnite dello scultore, con un senso di tensione tra passato e presente rappresentato dal contrasto drammatico delle tinte: la testa dello Schiavo, nonostante che l’espressività gli venga tolta, emerge dal fondo come una presenza inevitabile, e il pittore in primo piano sembra meditare su quel passato, ineludibile perché grande, come a una questione irrisolta. Fierens rintracciava nella progressiva semplifcazione dei piani e dei volumi e nell’ispessimento dei contorni nelle opere del pittore belga una nuova monumentalità delle forme (ibidem) e questo, che fu il risultato più personale attinto da Brusselmans, era forse l’essenziale di ciò che egli ricercava e trovava in Michelangelo. La testa dello Schiavo morente si vede anche in un’altra tela, di poco più tarda di Brusselmans, Il grande interno (1939; Bruges, Groenige Museum), forse il suo capolavoro, in cui l’essenzialità e il colore di Matisse sono tradotte in masse monumentali, mentre l’esemplare michelagiolesco appare misteriosamente associato alla quieta lettrice, seduta in un coloratissimo e geometrico interno. In tutta l’opera di Brusselmans, nella costanza della fgurazione cui la sua potente espressione è sempre ancorata, il senso monumentale, associato a forme nettissime, conferisce alle composizioni il senso di una moderna classicità, e quel che può apparire limitativo nei confronti di Michelangelo, poteva rappresentare in quel momento storico un segno del rinnovamento di un grande passato nel presente. Bibliografa: Fierens 1953, pp. 39-41; Brusselmans... 2011. (gb)

130 _ Horst, P. Horst (Weissenfels-an-der-Saale 1906 - Palm Beach Garden Florida 1999) Estrella Boissevain, photograph for Vogue, New York, 13 settembre 1938 Stampa alla gelatina bromuro d’argento (1940); 25,2 x 20,4 Sul verso frma a matita. U.K., Collection Andrew Cowan

Sin dagli esordi negli anni Trenta, il lavoro di Horst si caratterizza per la metodicità della composizione fotografca e dell’allestimento scenico. Noto principalmente per le sue fotografe di moda, Horst infatti prepara sempre i suoi set allestendo sfondi neutri o caratterizzati da linee geometriche raffnate ed essenziali, facendo spesso uso di oggetti di scena e netti tagli di luce, ottenuti attraverso uno studiato posizionamento delle fonti luminosi. Nelle sue fotografe, come anche in Estrella Boissevain, fotografa di moda, New York, sono sovente rintracciabili riferimenti all’arte dell’antica Grecia e alla scultura classica, nonché alle atmosfere surrealiste dove gli oggetti e i loro accostamenti assumono carattere evocativo. Bibliografa: kazMaier 1991, tav. 43. (sr-cr)

131 _ List, Herbert (Amburgo 1903 - Monaco 1975) Copia in gesso dello Schiavo di Michelangelo, Monaco, 1946 Stampa alla gelatina bromuro d’argento (1955); 38,8 x25,8 Amburgo, Herbert List Estate Nel 1941 List fa ritorno in Germania dopo avere trascorso diverso tempo in Grecia. Terminato il secondo confitto mondiale comincia a fotografare la città di Monaco distrutta dai bombardamenti. Diversamente da quelle scattate da altri fotograf dello stesso periodo, che si concentrano sulla documentazione della liberazione dalle macerie ad opera delle “Trummerfrauen” [donne delle rovine], le fotografe di List non hanno un taglio giornalistico: sono piuttosto un inventario della città distrutta dalla guerra costruito attraverso una serie di immagini non sempre connesse tra loro. Nella sua rappresentazione del paesaggio delle rovine di Monaco, List riporta le esperienze vissute di fronte alle antiche rovine greche, fotografate negli anni Trenta. Scatta diverse fotografe degli edifci floellenistici voluti dalla famiglia reale dei Wittelsbach e lavora anche all’interno della distrutta Accademia di Belle Arti, mettendo in scena architettura e scultura con uno sguardo simile a quello che aveva contraddistinto le immagini realizzate in Grecia. All’Accademia fotografa anche il calco in gesso dello Schiavo di Michelangelo con un uso attento della luce e un’ombra sul busto e sul collo che accentuano i contrasti e sottolineano una concezione classica della fgura, della nudità e della fsicità. Con le fotografe scattate tra il 1945 e il 1947 a Monaco, List tematizza la distruzione del potere nazista, estetizzando la caduta e la rovina delle architetture e delle sculture con un interesse rivolto più a un messaggio flosofco

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ed estetico che non alla documentazione. Il progetto di una pubblicazione di queste immagini con il titolo Die magische Reste non suscita in quegli anni alcun interesse nelle case editrici e verrà pubblicato postumo cinquant’anni dopo nel catalogo Herbert List Memento 1945 (schirMer - Mosel 1995). Bibliografa: Billeter et al. 1997, p. 210; PohlMann et al. 2000, p. 100; scheler et al. 2002, pp. 113-114, 140, 306. (sr-cr)

132 _ Mili, Gjon (Korçë 1904 - Stamford 1984) Lo studio di Picasso a Notre-Dame-de-Vie, 1967 Stampa digitale; 25,4 x 15,2 U.S.A., Time Inc., inv. 6109102 Nel 1949 Mili fotografa per la prima volta Pablo Picasso a Vallauris, nel Sud della Francia. Nel corso dei successivi vent’anni torna a far visita all’artista in numerose altre occasioni, ogni volta svelando un nuovo aspetto dell’uomo e della sua opera. Nel 1967 Mili si reca a Mougins dove Picasso vive con la seconda moglie Jacqueline Roque e scatta diverse fotografe all’interno dello studio di Notre-Dame-de-Vie, nelle quali compaiono alcune opere, bozzetti, annotazioni e strumenti di lavoro dell’artista. Queste fotografe vengono pubblicate in un numero speciale di “Life” interamente dedicato a Picasso uscito nel 1968. Alla serie appartiene lo scatto dove una replica dello Schiavo morente di Michelangelo è circondata da un gruppo di calchi in gesso di Picasso. La scultura michelangiolesca è al centro anche di un altro gruppo di immagini, realizzate da Mili nel 1959 a Firenze e che rappresentano, tra le altre opere, il David della Galleria dell’Accademia con uno degli Schiavi, la copia del colosso in Piazza della Signoria e le statue delle Cappelle Medicee. Bibliografa: Mili 1980, pp. 120-123; “Life” 1968. (sr-cr)

133 _ Mapplethorpe, Robert (Floral Park, New York 1946 - Boston 1989) Slave, 1974 Stampa alla gelatina bromuro d’argento in cornice originale dell’artista, edizione unica; 48,9 x 39,4 [con cornice 50,8 x 40,6] New York, Solomon R. Guggenheim Museum. Gift, The Robert Mapplethorpe Foundation, 1998, inv. 98.4424 Dal 1973 Mapplethorpe inizia a lavorare sul confne tra scultura e fgura umana, tra arte e fotografa. La predilezione per la scultura classica è evidente in Slave, dove fotografa le pagine aperte di un libro

su Michelangelo su cui è appoggiato un coltello: si tratta di due immagini del Prigione morente, una raffgurante il busto e l’altra un dettaglio più ravvicinato del petto e del volto. La citazione della scultura michelangiolesca risponde a diverse esigenze: nel Prigione morente Mapplethorpe vede la bellezza del giovane e il suo corpo statuario, il desiderio omosessuale, la fotografa che guarda alla tradizione e l’interesse per l’immagine riprodotta. Il coltello, come suggerito da Germano Celant, sembra alludere «al principio attivo che modifca la materia passiva» e che, associato a Michelangelo, potrebbe indicare la volontà creativa che riesce a rivelare la componente carnale del marmo. Il Prigione richiama anche la nudità, il gesto di svestirsi e liberarsi da ogni legame o costrizione, nella ricerca del possesso della propria essenza e identità. Esso perciò non rappresenta solo il trionfo della fsicità, ma è anche metafora dell’esaltazione della bellezza interiore, vittima di un corpo che la imprigiona, e della tensione verso la liberazione del piacere sessuale. A rafforzare l’interpretazione di quest’opera come una condensazione del suo universo personale e artistico, è la presenza della targhetta sul fondo in legno nella quale compare la scritta «Mapplethorpe». Bibliografa: celant 1992, pp. 18-25, 94; Billeter et al. 1997, p. 69; hooD 1998, p. 208; celant 2005, pp. 26-28, 84; Falletti et al. 2009, p. 111, cat. 20. (sr-cr)

134-135 _ Pignatelli, Luca (Milano 1962) 134 _ Analogie, 2013 Schiavo – Firenze, Galleria dell’Accademia Fauno Barberini – Monaco, Gliptoteca Il prigione morente – Parigi, Louvre Stampa su carta oleata e pagine di libri; 49 x 77 x 7 135 _ Sculture \ 8788, 2013 Tecnica mista su carta intelata; 229 x 178 x 12 Firenze, cortesia Galleria Poggiali e Forconi L’opera è stata prodotta dall’artista per la mostra organizzata dalla Galleria dell’Accademia per il 450° della morte di Michelangelo e fa parte del lavoro di ricerca che, dal 2010, sta compiendo sulla rielaborazione contemporanea dell’iconografa della scultura classica. Il lavoro di Luca Pignatelli, artista e biblioflo, si concentra nella ricerca di un’estetica “inconscia e simbolica” presente e ripetuta nel corso della storia e che, come un archeologo delle immagini, fa riemergere dall’archivio infnito delle tracce iconografche lasciate dall’umanità. Scavando tra libri e fotografe, tra immagini storiche e oggetti quotidiani, Pignatelli

dedica la sua attenzione alla forza estetica della bellezza classica delle forme scultoree, al di là degli schemi storicistici, elaborando un percorso concettuale che si esplicita nelle sue “analogie”: una collezione immaginaria di opere che attraverso la sua rilettura vengono accostate e rielaborate fno a diventare un’inedita esperienza visiva per un nuovo modo di riconoscere i “codici” e le “forme” dell’Arte. Bibliografa: Inedito. (mm)

136 _ Colacicchi, Giovanni (Anagni 1900 - Firenze 1992) Natura morta con la testa dello Schiavo morente e le tre melagrane, 1989 Oolio su tela; 60 x 70 Collezione Francesco Colacicchi Giovanni Colacicchi ha sempre dipinto, contemporaneamente ai temi narrativi, ai paesaggi e ai ritratti, molte nature morte, molto belle, che lui concepiva come «parti o episodi di paesaggio», senza cercare «la specifca qualità dell’oggetto, o la sua particolare struttura, o l’impressone tattile della sua superfcie, quanto il suo esistere nello spazio, il mutare del suo proprio colore sotto o contro la luce». La sua tecnica, tranne rare eccezioni, è fatta di pennellate brevi e pastose, che inglobano la luce, mentre «la scelta degli oggetti può essere stata fatta nel ricordo di un certo paese, come suo simbolo, o per il loro potere di riportarlo alla memoria» (Autobiografa, in Giovanni Colacicchi 1986, p. 68): le nature morte di Colacicchi, per questo, sono evocative, invitano a immaginare liberamente, e forse anche a sognare. In questa libertà e immaginazione ha un ruolo fondamentale la luce, che le cala nel presente, nel qui e ora; luce che ha un analogo in certi dipinti macchiaoli, ed è una somiglianza signifcativa. Colacicchi stesso lo testimoniò, scrivendo che, nel sodalizio artistico con Onofrio Martinelli, il desiderio comune era di fondere «l’intellettuale spontaneità dell’impressonismo, la naturale chiarezza dei Macchiaioli, così frequente di afforamenti rinascimentali, e la ritrovata cultura fgurativa del Rinascimento» (ivi, p. 66). Sin dalle prime nature morte, Colacicchi inserisce, insieme a frutti e conchiglie, oggetti che rimandano all’antico sognato e mitico, così come rievocava i miti greci e l’amore per la classicità nei dipinti con nudi danzanti, o stanti, nel sole, come Fine d’estate (1932), gli Argonauti (1943), o Allegoria per un cinematografo (1948, già nell’atrio del cinema Gambrinus, oggi proprietà della Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze). Le memorie di Michelangelo nei dipinti di Colacicchi, d’altronde, sono presenti, persistenti, ma trasfgurate dall’immaginazione, e rese vive, come nel San Sebastiano (1943),

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concepito in gran parte nella villa di campagna dell’amico Bernard Berenson, che poi «ritorna» (raGionieri 2010) nell’Uomo legato (19781979). Quelle due fgure hanno la posa dello Schiavo morente, e nel Martire e nella Martire (1948), le corde sostituiscono la pietra da cui le fgure michelangiolesche paiono volersi affrancare: tutti moderni Prigioni. Attraverso tale traduzione di Michelangelo in fgure vive si comprende appieno ciò che Colacicchi scrisse in occasione del quinto centenario della nascita: «La sua pittura e la sua scultura sono dunque da valutare quasi esclusivamente per la potenza espressiva, per la “qualità” delle immagini umane a cui danno, in differente modo, realtà visibile e tangibile» (colacicchi 1976, p. 52). In questa Natura morta degli ultimi anni del pittore, lo Schiavo appare sotto forma di calco, della sola testa, ed è una presenza dolce e viva, che sembra sul punto di risvegliarsi da un sonno breve. Tra le melagrane, e il guscio aperto di un mitile [o di una castagna d’India?], vi è anche un piccolo vaso ansato, che nella forma ricorda i diafani alabastri volterrani presenti in un’altra composizione, la Natura morta della via Lattea (1984). In entrambe le opere c’è «respiro, libertà, avventura» (raGionieri 1993, p. 20), in anni in cui «la paura di quel che è semplicemente bello» (huxley [1930], cit. da C. Del Bravo, in Giovanni Colacicchi 1986, p. 12) era ormai dominante, e un artista come Giovanni Colacicchi era, purtroppo senza rimpianti, ostracizzato. Bibliografa: colacicchi 1976, pp. 52-62; Giovanni Colacicchi 1986; raGionieri 1986; raGionieri 1993, pp. 20-25; raGionieri 2010, pp. 104-111. (gb)

137 _ Sheeler jr., Charles Rettrew (Philadelphia 1883 - Dobbs Ferry 1965) Cast of Giuliano de’ Medici by Michelangelo, 1942 ca. Stampa alla gelatina bromuro d’argento; 24,5 x 19,4 New York, Metropolitan Museum of Art. Gift of the artist, 1943, inv. 43.83.2 Dal 1942 al 1945 Sheeler lavora presso il Department of Publications del Metropolitan Museum di New York, incaricato di fotografare sia le attività del museo sia parte delle collezioni. Il suo lavoro resta tuttavia indipendente da quella del dipartimento interno del MET guidato dal fotografo Edward J. Milla e nel corso di quei tre anni Sheeler realizza circa 300 scatti. Fotografa tra le altre, le collezioni di oggetti cinesi, egizi e classici, quella dei dipinti di grandi pittori come Bruegel, Vermeer e Homer. Ma tra le sue fotografe più affascinanti vi sono quelle delle sculture medievali e rinascimentali, spesso ritratte con un uso

della luce drammatico, caratterizzato da forti contrasti chiaroscurali. Di questa serie fa parte questo scatto, raffgurante la copia della statua di Giuliano de’ Medici, esposta nella Great Hall del Metropolitan Museum di New York. Bibliografa: keys et al. 1987, pp. 46-47, tav. 79; Billeter et al. 1997, p. 68. (sr-cr)

138 _ Knorr, Karen (Francoforte 1954) The Work of Art on the Age of Mechanical Reproduction, 1986-1988 Stampa Cibachrome/Ilfochrome montata su alluminio, in cornice con didascalia incisa su placca d’ottone; 92 x 92 [con cornice 105x105] Londra, Karen Knorr L’immagine fa parte della serie Connoisseurs, realizzata da Karen Knorr tra il 1986 e il 1988. Le 17 stampe cibachrome che la compongono sono tutte presentate in cornici nere con didascalia incisa su placca d’ottone, a richiamare, nell’intento dell’artista, l’idea della bellezza e del gusto nella cultura dell’alta società britannica. Questi scatti sono infatti tutti ambientati all’interno di ville storiche e collezioni museali inglesi, come la Chiswick House, la Osterley Park House, il Sir John Soane Museum, la The Dulwich Picture Gallery, il Victoria and Albert Museum, proprio con l’intento di contestualizzare quei riferimenti estetici. The Work of Art in the Age of Mechanical Reproduction, il cui titolo è un evidente riferimento al saggio di Walter Benjamin del 1936 e al tema della riproducibilità e della copia, è ambientata nella sala del Victoria and Albert Museum dove sono conservati i calchi in gesso del David e di uno degli Schiavi di Michelangelo insieme a una riproduzione della Scuola di Atene di Raffaello e ad altre copie di opere d’arte del passato. I pezzi, parte della collezione di gessi del museo, furono acquistati, commissionati o acquisiti nel corso del xix secolo, secondo il gusto e i fni educati e sociali dell’epoca. Questa serie si inserisce nella più ampia rifessione critica dell’artista su rappresentazione, diffusione e consumo della cultura nella società contemporanea. Sitografa: www.karenknorr.com (sr-cr)

139 _ Sarfati, Lise (Oran 1958) Musée Pouchkine Moscou. David di Michelangelo, 1993 Stampa digitale su carta cotone; 36 x 24 [45 x 32,8] Parigi, Lise Sarfati Lise Sarfati, dopo la laurea alla Sorbona con una tesi sulla fotografa russa, si trasferisce in Russia nel 1989, quando il paese vive un

momento di radicale trasformazione politica e sociale. Parla correntemente il russo e conosce molto bene la storia, l’arte e la letteratura russe. In quegli anni, da freelance, Sarfati porta avanti una ricerca fotografca molto personale, che lei stessa defnisce «in contraddizione con il lavoro degli altri fotograf che operano in Russia nello stesso periodo e che mostrano un approccio fotogiornalistico». Il suo interesse è comunque focalizzato su tematiche sociali – fotografa soprattutto siti industriali abbandonati e degradati e giovani ragazzi con problematiche – che cerca di trattare evitando, come afferma, «i codici classici» della fotografa documentaria. Questo suo primo importante progetto confuisce nel libro Acta Est pubblicato nel 2000. Bibliografa: Sarfati 2000, p. 83. Sitografa: http://deslivresetdesphotos.blog. lemonde.fr/2012/11/25/une-conversationavec-lise-sarfati/. (sr-cr)

140 _ Lê, An-my (Saigon 1960) Milani Workshop, Vicenza, Italy, 1991 Stampa alla gelatina bromuro d’argento; 71,1 x 55,8 New York, cortesia dell’artista e Murray Guy La questione di come la fotografa possa andare oltre la mera documentazione dell’oggetto scultoreo è uno stimolante campo di ricerca di molti artisti contemporanei. Nei primi anni Novanta An-my Lê ha realizzato una serie di fotografe all’interno di atelier e fonderie d’arte in Europa e negli Stati Uniti, con uno sguardo concentrato su piccoli ma rivelatori dettagli. In L’atelier Milani a Vicenza, Lê ha usato il mezzo fotografco per rifettere sulla natura stessa della produzione artistica. Come lei stessa ha dichiarato in occasione della mostra The Original Copy: Photography of Sculpture, 1839 to Today organizzata dal MoMA nel 2010 e nella quale era esposto questo scatto, «la produzione in se stessa è diventata il mio soggetto nel momento in cui ho cercato di raccontare l’oggetto nelle varie fasi della creazione artistica. La materialità, l’artigianalità, lo spazio di lavoro e i mezzi di produzione degli oggetti scultorei, da un capolavoro come La porta dell’inferno di Rodin alle anonime fgure decorative, ci danno l’opportunità per rifettere sulla capacità della fotografa di trasformare oggetti di origini e tradizioni differenti in racconti e composizioni inedite». Bibliografa: Original copy... 2010, pp. 40, 69. (sr-cr)

141 _ Arnold, Eve (Philadelphia 1912 - Londra 2012) China. Chongqing. Art class, 1979 Stampa digitale (2013); 23,6 x 36,2 [30 x 40] Parigi, Magnum Photos

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Dopo quindici lunghi anni di attesa per ottenere il visto, nel 1979, Eve Arnold è tra i primi fotograf che riescono a entrare in Cina dopo la morte di Mao Tze-tung. Vi trascorre cinque mesi, durante i quali compie due lunghi viaggi accompagnata solo da un interprete. Percorre 40.000 miglia nella Cina continentale riuscendo a fotografare quasi tutto ciò che aveva programmato di documentare. Da questi viaggi nascono la sua prima grande mostra personale allestita nel 1980 al Brooklyn Museum di New York e In China (arnolD 1980), un libro che raccoglie oltre 170 fotografe a colori e che nello stesso anno viene premiato con il National Book Award. Lo sguardo di Arnold indaga a fondo nelle tradizioni e nelle contraddizioni della società cinese. In queste fotografe Arnold racconta la vita, il lavoro e le persone della Cina di quegli anni, da Pechino alla Mongolia, dal confne birmano al Tibet. Il suo reportage documenta con sguardo intimo, ma allo stesso tempo lucido e distaccato, la vita di uno dei paesi allora meno conosciuti e più discussi del mondo. Bibliografa: arnolD 1980, p. 112. (sr-cr)

142 _ Cagnoni, Romano (Pietrasanta 1935) Pietrasanta. Artigiani del marmo, 1985 Stampa digitale Inkjet Epson; 36,6 x 55 [42 x 59,5] Pietrasanta, Romano Cagnoni Romano Cagnoni, noto fotogiornalista internazionale impegnato sui più importanti fronti di guerra dagli anni Sessanta, ha realizzato diverse documentazioni fotografche anche in Italia e soprattutto in Versilia. Qui ha documentato le cave di Carrara, il lavoro degli artigiani e degli scultori nella nativa Pietrasanta. Molte delle immagini in oggetto hanno costituito il volume e la mostra Caro Marmo: tra queste vi è la fotografa, ripresa nel laboratorio di scultura dei F.lli Galeotti a Pietrasanta, dove due artigiani lavorano a una riproduzione in marmo del David di Michelangelo e della Venere di Milo, a fanco ai calchi in gesso delle stesse opere. Bibliografa: A day... 1990, pp. 56-57. (sr-cr)

143 _ Parchikov, Tim (Mosca 1983) Tuscany, 2008 C-print su Kapa; 93,2 x 110 [99,1 x 135,8] Firmata e datata sul verso; tiratura 1/7 + 2 A.P. Mosca, Tim Parchikov Nel 2008 Tim Parchikov realizza un reportage sulla Toscana, nel quale, in diversi scatti,

si ritrova quella rifessione sul tema della copia e del falso che il giovane artista ha affrontato più volte e declinato fotografando copie di sculture classiche, più o meno note, all’interno di depositi di manifatture in zone spesso periferiche delle città. Con uno stile neutro e uno sguardo prevalentemente frontale Parchikov, ha collezionato una galleria di fgure mitologiche, atleti, ancelle e putti, a volte immediatamente riconoscibili come nel caso del David di Michelangelo che emerge tra vasi e altri oggetti in terracotta. «In ogni epoca, dal tempo della conquista della Grecia ad opera dei Romani, ogni nuova élite ha avuto bisogno di identifcarsi con la cultura classica. I Romani hanno prodotto innumerevoli copie di statue greche che all’epoca sembravano ai Greci grossolane (oggi si direbbe kitsch). Durante il Rinascimento si è ricominciato. Dell’Ercole Farnese, per esempio […], ne ho trovate tre copie al Louvre […]. È così che ho cominciato a fotografare le statue “neo-classiche” che si trovano nei depositi lungo le autostrade», dichiara il fotografo spiegando la genesi del suo lavoro e la rifessione che dal tema della copia si estende anche a quello del gusto. Sitografa: www.fotografaeuropea.it; www.timparchikov.com. (sr-cr)

144 _ Horvat, Frank (Abbazia [ora Opatija] 1928) Aurelia, 1985 Stampa digitale Archival; 50,1 x 34 [59,3 x 42] Parigi, Frank Horvat Negli anni 1980-1986 Frank Horvat realizza la serie Vraies Semblances (Very Similar), nella quale ritrae donne in una posa e con costumi che richiamano dipinti di grandi maestri del passato, dalla Fornarina di Raffaello alla Ragazza con l’orecchino di perla di Vermeer, dall’Infanta Margherita di Velásquez all’Arlecchino di Picasso, fno all’allegoria dell’Aurora scolpita da Michelangelo per la tomba di Lorenzo de’ Medici alla quale si ispira il ritratto di Aurelia. Queste fotografe sono tutte realizzate in studio e con la massima cura nella scelta di quei pochi ma rilevanti dettagli che fn da un primo sguardo richiamano alla mente i capolavori a cui sono ispirate. Come afferma l’autore, «qualsiasi ulteriore spiegazione o giustifcazione del progetto non può rivelare niente di più di quanto le immagini non dicano da sole». «Chi osserva [queste fotografe]», prosegue Horvat, «deve essere messo in guardia da false letture: le somiglianze con dipinti famosi sono solo un pretesto, qualcosa

di simile a un riparo che ho suggerito alle mie modelle perché potessero sentirsi più vicine a se stesse». Bibliografa: Frank Horvat 1999, p. 56; Labyrinthe Horvat 2006, pp. 16, 172, 182; Rendering... 2010, p. 75. (sr-cr)

145 _ Nabil, Youssef (Il Cairo 1972) You Never Left # XI, 2010 Stampa alla gelatina bromuro d’argento dipinta a mano; 50 x 75 Parigi, cortesia dell’artista & Galerie Nathalie Obadia Nel 2010 Youssef Nabil realizza il suo primo flm, You Never Left, un cortometraggio di 8 minuti con gli attori Fanny Ardant e Tahar Rahim. Ambientato in uno spazio-tempo allegorico, metafora di un Egitto perduto, il flm è una sorta di autoritratto su pellicola nel quale l’artista affronta tematiche ricorrenti nel suo lavoro, come quella dell’esilio. In You Never Left, Nabil rivela ancora una volta la sua passione per il cinema e in particolare per l’età dell’oro di quello egiziano, che aveva ispirato anche la sua prima produzione fotografca, del quale qui rivisita l’estetica, le grandi icone e l’uso del Technicolor. Da questo cortometraggio è stata realizzata una serie di staged photographs, stampate e poi, secondo la personale tecnica sempre utilizzata da Nabil, dipinte a mano. In You never left # XI è evidente l’omaggio all’iconografa della Pietà di Michelangelo. Bibliografa: Prete 2013. Sitografa: www.youssefnabil.com. (sr-cr)

146 _ Ki-duk, Kim (Bonghwa 1960) Pietà, 2012 Stampa digitale; 80 x 80 Korea, KIM Ki-duk Film Nel 2012 Kim Ki-duk realizza il flm Pietà che vince il Leone d’Oro alla 69ª Mostra internazionale d’arte cinematografca di Venezia. La pellicola racconta il rapporto tra un giovane uomo violento, coinvolto in un giro di usura, e una donna che sostiene di essere la madre che lo aveva abbandonato appena nato. In un susseguirsi di eventi, l’uomo è portato a rifettere sulla sua vita, a pentirsi e provare pietà per le vittime dei suoi soprusi. L’immagine della locandina del flm è stata eseguita dal fotografo Won-seok Chang su indicazione di Ki-duk ed è un chiaro riferimento all’iconografa della Pietà di Michelangelo. Sitografa: www.mymovies.it/flm/2012/pieta/. (sr-cr)

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147 _ Struth, Thomas (Geldern 1954) Audience 1, Florence 2004 Chromogenic print; 179,5 x 234,5 [183,5 x 292] Firenze, Galleria dell’Accademia A partire dal 1989 Thomas Struth comincia a lavorare al progetto Museum Photographs [Belting 2001], una delle sue serie fotografche più note. In queste immagini, realizzate all’interno delle sale dei più importanti musei del mondo, come il Louvre e il Musée d’Orsay a Parigi, l’Art Institute di Chicago e il Rijskmuseum di Amsterdam, l’occhio di Struth ha catturato i visitatori intenti a contemplare le opere d’arte. Nel 2004 Struth realizza la serie Audience, Florence, su invito della Galleria dell’Accademia di Firenze che, per celebrare il cinquecentenario del David di Michelangelo, ha esposto nello spazio intorno alla Tribuna le opere appositamente concepite per l’occasione da cinque artisti contemporanei di fama internazionale. «Qualche volta ho desiderato di poter essere il dipinto che osserva i volti dei visitatori», ha affermato Struth che, in questa come nella serie realizzata all’Hermitage di San Pietroburgo nel 2005, fotografa i visitatori dalla prospettiva dell’opera d’arte. Struth lavora nella Tribuna del David dell’Accademia per un’intera settimana e, analizzando le dinamiche spaziali della stanza, posiziona la macchina fotografca accanto alla scultura, riuscendo così a catturare lo sguardo dei visitatori che contemplano il capolavoro di Michelangelo. Bibliografa: Corà et al. 2004, pp. 256-257. Sitografa: www.thomasstruth32.com. (sr-cr)

148 _ Höfer, Candida (Eberswalde 1944) Accademia Firenze V, 2008 Chromogenic print; 200 x 250 [205,5 x 278] Firenze, Galleria dell’Accademia Sin dagli esordi, Candida Höfer documenta interni di edifci pubblici, come uffci, banche, sale d’attesa, ma anche musei, archivi, teatri, biblioteche, fotografandoli sempre privi di presenze umane. Le sue immagini, nonostante l’assenza di persone, indagano il modo in cui l’architettura infuenza la creazione di uno spazio sociale. Nel 2009 realizza venti scatti all’interno dei maggiori monumenti di Firenze, dal Museo di San Marco agli Uffzi e la loro Biblioteca, dal Teatro della Pergola a Palazzo Pitti, sino all’Accademia con uno scorcio del David. Le fotografe, tutte di grande formato, offrono un’insolita rappresentazione di questi luoghi, svuotati del grande affusso di visitatori che di solito li caratterizza, e sono state esposte lo stesso anno nella mostra Candida Höfer a Firenze, ospitata alla Ben Brown Fine Arts di Londra e poi a Palazzo Medici Riccardi a Firenze. Bibliografa: ACidini et al. 2009, pp. 54-55, tav. XX. (sr-cr)

A P P A R A T I

BIOGRAFIE

FRATellI AlINARI Leopoldo Alinari (1832-1865) inizia giovanissimo il suo apprendistato presso il calcografo Luigi Bardi, che lo esorta ad approfondire lo studio della fotografa e apre per lui un laboratorio in via Cornina nel 1852. Qui, nel 1854 si costituisce la società tra i fratelli Leopoldo, Romualdo (1830-1890) e Giuseppe (1836-1890) e già l’anno successivo gli Alinari partecipano all’Esposizione Universale di Parigi. Nell’aprile e nel settembre del 1856 vengono pubblicati due cataloghi in lingua francese che propongono una scelta delle più importanti architetture e opere d’arte delle città del Granducato di Toscana, dello Stato Romano, di Perugia, Assisi, Todi e Viterbo. È del 1857 il nuovo catalogo con l’aggiunta di un elenco di 50 soggetti della Galleria degli Uffzi che sancisce la specializzazione della ditta nelle riproduzioni di opere d’arte. Nel 1861, all’Esposizione Italiana di Firenze gli Alinari presentano anche alcuni ritratti e un grande panorama di Firenze in tre parti. Nel 1863 si trasferiscono nel palazzo edifcato in via Nazionale, 8. Lo stesso anno Leopoldo realizza un’importante campagna fotografca nella tenuta reale di San Rossore a Pisa. In occasione di Firenze capitale, nel 1865 viene pubblicato il Catalogo Generale. Nel novembre dello stesso anno Leopoldo muore inaspettatamente giovanissimo e l’azienda prosegue sotto la direzione fotografca di Giuseppe. Il Catalogo Generale del 1873 comprende campagne fotografche compiute per la prima volta a Milano e Napoli. Le successive appendici del 1876, 1881 e 1887 comprendono rispettivamente campagne effettuate a Roma; Arezzo, Bologna e Ferrara; Ancona, Genova, Padova, Torino e Venezia. Nel 1876 realizzano su commissione di John Ruskin la prima campagna fotografca all’interno della Cappella Sistina. Nel 1888 iniziano la produzione di stampe in collotipia e nel 1889 sono premiati con la medaglia d’oro all’Esposizione di Parigi dove presentano riproduzioni a grandezza naturale di quadri delle Gallerie Fiorentine. A seguito della morte degli zii Giuseppe e Romualdo nel 1890, il fglio di Leopoldo, Vittorio (1859-1932) assume la direzione dello stabilimento.Nel 1893 gli Alinari avviano una propria attività editoriale che, alla fne del 1907, conterà su un catalogo di 40 titoli. Nel 1900 ricevono, a Parigi, il Grand Prix per le grandi fotografe da loro presentate. In quello stesso anno vengono indetti i concorsi per un dipinto che raffgurasse una Madonna col Bambino e quello per l’illustrazione della Divina Commedia che, due anni dopo, in occasione del cinquantesimo anniversario dello stabilimento, verrà pubblicata con illustrazioni di grandi maestri contem-

poranei tra i quali Fattori, Spadini e De Carolis. Nel 1915 la Fratelli Alinari pubblica In Sardegna di Vittorio Alinari, con le illustrazioni di Spadolini e campagne fotografche da lui personalmente realizzate. Nel 1920 Vittorio, cui era premorto di spagnola il primogenito Carlo, cede l’azienda a un gruppo di novantadue nobili intellettuali e imprenditori forentini e nazionali che, sotto l’egida di Vittorio Emanuele III, costituiscono la Fratelli Alinari I.D.E.A. S.p.A. Nessuno avendo la maggioranza delle quote si crea così la prima public company europea operante nel settore della cultura. Dal 1940 al 1961 vengono acquisiti dall’azienda i fondi fotografci Mannelli, Brogi, Anderson, Chauffourier, Fiorentini grazie al senatore Vittorio Cini che dal 1934 diventa proprietario della Fratelli Alinari Idea. Si costituisce così la più importante raccolta al mondo di negativi su lastra relativa alla storia e all’arte italiane. Contemporaneamente vengono eseguite nuove campagne fotografche su tutto il territorio nazionale e viene implementata la produzione di collotipie sull’arte italiana e internazionale della stamperia d’arte e le fotografe dell’archivio vengono diffuse per illustrare libri d’arte di tutto il mondo. Dopo la morte di Cini nel 1977 e con la nuova proprietà, che fonda il Museo di Storia della Fotografa, negli anni Ottanta vengono acquisiti numerosi altri archivi, tra gli altri quelli di Michetti, von Gloeden, Balocchi, Wulz, Villani, Team, Quilici fno a raggiungere un patrimonio di grande rilevanza che conta oltre 5.015.000 fotografe in cui sono rappresentate tutte le tecniche dai dagherrotipi alle albumine, dai bromuri d’argento agli autochrome. Bibliografa: Gli Alinari... 1977; Falzone Del BarBarò et al. 1989, p. 209; MalanDrini et al. 1996; Alinari Editori 2002; Quintavalle 2002; SiSi 2002; Quintavalle et al. 2003; Cartier-BreSSon et al. 2006, p. 237. (sr-cr) _ AMeNDOlA, AuRelIO (Pistoia, 1938) Nell’arco della sua carriera, Aurelio Amendola si è occupato molto di fotografa di scultura, documentando le opere dei grandi maestri italiani, da Jacopo della Quercia, a Michelangelo e a Donatello. Ha illustrato i capolavori toscani come il pulpito di Giovanni Pisano e il fregio robbiano dell’Ospedale del Ceppo a Pistoia, o Santa Maria della Spina e il Battistero a Pisa. A Roma ha realizzato un lavoro sulla Basilica di San Pietro in Vaticano. Nel 1994 è stato insignito del Premio Oscar Goldoni per il volume foto-

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grafco dedicato alle Cappelle Medicee in San Lorenzo a Firenze, Un occhio su Michelangelo (PaoluCCi 1993). L’anno seguente una mostra sullo stesso tema è stata ospitata a Milano a Palazzo Reale. Nel 1997 gli è stato conferito il premio alla carriera Cino da Pistoia e dieci anni più tardi è stato il primo fotografo a essere invitato dal Museo dell’Hermitage di San Pietroburgo per un’esposizione fotografca dedicata alle sculture di Michelangelo. Nel 2008 la Fondazione Gam di Torino ha acquistato alcune sue fotografe per poi esporle in una mostra collettiva al Castello di Rivoli. Le sue immagini hanno illustrato molti volumi sull’opera dei grandi scultori del passato, in particolar modo Michelangelo, come in: Le Pietà, Michelangelo (PaoluCCi 1998), Il David di Michelangelo (PaoluCCi 2002), Michelangelo Scultore (aCiDini 2006), Michelangelo, opere complete (2007), Wonderful Michelangelo. La dotta Mano (2008). Amendola si è dedicato a lungo anche all’arte contemporanea e nell’arco della sua carriera, grazie alla lunga frequentazione con gli artisti, ha collezionato un’ampia galleria di ritratti dei più noti autori del secolo scorso come, tra gli altri, quelli di De Chirico, Lichtenstein, Pomodoro, Schifano, Kosuth, Warhol. Ha realizzato molte monografe dedicate ai maggiori scultori e pittori contemporanei, tra cui quelle su Marino Marini, Burri e Kounellis. In Italia le sue fotografe sono state esposte, tra le varie sedi, all’Accademia di Francia a Roma nel 1990, alla Fondazione Arnaldo Pomodoro a Milano nel 2005, al Castello di Rivoli nel 2008 e al Padiglione Italia a Villa Bardini a Firenze, in occasione della 54a Biennale di Venezia nel 2011. Ha esposto anche in Repubblica Ceca, Ungheria, Cuba, Spagna, Russia, Francia e Brasile. Bibliografa: Occhio Su Michelangelo 1993; PaoluCCi 1993; PaoluCCi 1998; PaoluCCi 2002; aCiDini 2006; Corà 2008 Sitografa: www.aurelioamendola.it (sr) _ ANDeRSON, JAMeS (Blencarn, 11 marzo 1813 Roma, 27 novembre 1877) Isaac Atkinson, noto come James Anderson, nasce in Inghilterra e manifesta fn da piccolo un interesse per la pittura e per il disegno. Giovanissimo lascia l’Inghilterra e la famiglia per trasferirsi a Parigi dove compie gli studi artistici e cambia una prima volta il suo nome in William Nugent Dunbar. Nel 1838 si trasferisce a Roma dove, l’anno seguente, partecipa con successo all’esposizione annuale della Società degli Amatori e Cultori

delle Belle Arti, in Piazza del Popolo, presentando tre dipinti. A Roma inizia a frequentare la comunità artistica e a vendere le sue opere alla numerosa colonia inglese presente in città. A partire dal 1845 è annotato sul registro dei frequentatori del Caffè Greco sia come fotografo, sia come pittore: al primo rigo della lettera D è segnato «W. Nugent Dunbar, pittore, via del Muro Nuovo, n. 89», mentre al quarto rigo della lettera A, con la medesima calligrafa, compare “Anderson James, fotografo, fuori Porta del Popolo, n. 19”. Fin dal 1845-1846, quindi, si interessa di fotografa e in quegli stessi anni adotta il nome di James Anderson, pur continuando ad usare il vecchio per la sua attività di pittore. Sposa Maria De Mutis, con cui ha quattro fgli, il primogenito Domenico (1854-1938), dopo la sua morte, proseguirà l’attività fotografca con grande successo. Proprio grazie a una nota postuma del fglio Domenico, si è a conoscenza del fatto che nel 1851 Anderson fonda la ditta fotografca e inizia a dare le sue fotografe in vendita presso la Libreria Spithöver. Nel 1859 pubblica il suo primo catalogo fotografco Catalogue del photographies de Rome de James Anderson, un volumetto del formato 9 x 13 di 28 pagine in cui sono sommariamente descritte 667 fotografe raggruppate in: vedute di Roma e dintorni (misure 31 x 47); statue antiche di Roma (31 x 47); vedute della città e dei dintorni di Roma (23 x 35); Statue antiche dei Musei di Roma (25 x 35); statue moderne e quadri moderni (25 x 35). Nel 1857 Anderson partecipa all’Esposizione della Società Scozzese di Fotografa e nel 1860 alla terza esposizione annuale indetta dalla Architectural Photographic Association. Nel 1862 fgura, per conto del Governo Pontifcio, all’Esposizione Universale di Londra e nel 1871 alcune incisioni ricavate da sue fotografe vengono pubblicate all’interno dell’opera di Burn, Rome and the Campagna. La sua attività fotografca viene riconosciuta anche all’estero e, nel 1875, la Guida Murray lo riporta come il maggiore tra i fotograf attivi a Roma, descrivendolo «il facile princeps della sua arte». Silvio Negro, invece, lo identifca come il primo a utilizzare la tecnica del collodio secco che, pare, avesse appreso in occasione dell’Esposizione Universale di Parigi del 1861. Negro ricorda anche complicati giochi di specchi che Anderson, all’interno della sua dimora in Palazzo Barberini in via della Mercede, metteva in atto per far convogliare la giusta luce sugli oggetti da fotografare. Alla sua morte, Domenico prosegue l’attività della ditta in un villino in piazza Fiume a Roma, dopo di lui continueranno i fgli Guglielmo, Alessandro e Giorgio. Nel 1960 le 40.000 lastre fotografche, accumulate da tre generazioni di fotograf, vengono riunite nelle collezioni degli Archivi Alinari dove tuttora si trovano.

Bibliografa: Fotografa Italiana 1979, p. 140; BeCChetti 1983, p. 272; BeCChetti 1989, pp. 5665; ritter 2005. (sr) _ ARNOlD, eve (Philadelphia, 21 aprile 1912 Londra, 4 gennaio 2012) Figlia del rabbino William Cohen e di sua moglie Bessie, ebrei russi emigrati negli Stati Uniti, Eve Arnold abbandona gli studi in medicina e si avvicina alla fotografa nel 1946, mentre lavora in un laboratorio fotografco di New York, immortalando la città già allora con un personale e originale punto di vista.Nel 1948 studia fotografa con Alexey Brodovich, fotografo e art director di “Harper’s Bazaar”, alla New School for Social Research. Con la scuola prende parte a un progetto fotografco che vuole documentare una sflata di moda nel quartiere nero di Harlem, al termine del quale Brodovich la incoraggia a proseguire il lavoro nel quartiere. Durante il successivo anno e mezzo, Arnold realizza quindi una straordinaria documentazione di Malcolm X e del movimento del Black Power. Grazie all’iniziativa del marito Arnold Arnold, che spedisce una selezione di stampe di quel lavoro al “Picture Post” di Londra, nel 1951 la carriera di Eve Arnold decolla, con la pubblicazione del suo reportage da parte della rivista inglese. Nel 1951 è la prima donna a collaborare con l’agenzia Magnum Photos, della quale diventa associata nel 1955 e membro nel 1957. Nel 1961 è sul set del flm di John Huston Gli Spostati con l’intero organico della Magnum, e sono proprio i suoi ritratti di Marilyn Monroe, intensi e intimi, a emergere e restare negli anni a venire tra i più famosi di quella campagna fotografca. Nel 1962 si trasferisce in Inghilterra dove trascorrerà tutto il resto della propria vita, con l’eccezione dei lunghi viaggi nei paesi oggetto dei suoi reportages: al 1965 risale il primo di una serie di cinque viaggi in Russia; tra gli anni Sessanta e Settanta torna più volte negli Stati Uniti per documentare i movimenti civili; nel 1979, dopo 15 anni di attesa per ottenere il visto, è la prima fotografa a documentare la Cina dopo la morte di Mao.Nel corso della sua lunga carriera ha ricevuto numerosi premi, tra i quali il National Book Award e il Lifetime Achievement Award dall’American Society of Magazine Photographers nel 1980. Nel 1995 viene eletta Master Photographer dell’International Center of Photography di New York e diventa membro della Royal Photographic Society. Nel 2003 riceve l’Order of the British Empire.

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Bibliografa: arnolD 1995; Magna Brava 1999; Arnold 2012. Sitografa: www.magnumphotos.com. (cr) _ FeRDINANDO ARTARIA e FIglIO / JOhANN JAkOb FAlkeISeN Capostipite del ramo italiano della casata Artaria, i cui membri si sono tramandati per circa tre secoli l’attività di commercianti di stampe e di editori di musica, è Ferdinando (Blevio, 1781-1843). Gli inizi della sua attività sono incerti, ma probabilmente l’anno di fondazione della ditta Artaria risale al 1805, quando gli viene rilasciata la licenza di esercitare il commercio di stampe, carte geografche e musica. Inizialmente l’attività di Ferdinando è associata a quella del trentino Giuseppe de Werz – tra i primi a importare in Italia il sistema grafco della litografa – con il quale gestisce, dal 1813, un’offcina litografca presso il Ministero della Guerra del Regno italico, poi assorbita dalla I. R. Stamperia. Nel 1817 Ferdinando apre una sua attività indipendente, trasferendosi nella contrada di Santa Margherita, dove si concentrava buona parte del commercio editoriale e librario di Milano.Nel 1828 l’azienda passa ai due fgli maggiori, diventando “Epimaco e Pasquale Artaria”. Dopo pochi anni, a seguito di una crisi fnanziaria, Ferdinando torna però a capo della ditta che nel 1837 assume la ragione sociale “Ferdinando Artaria e Figlio”. Già nel dicembre del 1839 gli Artaria pubblicizzano la presenza nel loro negozio della «macchina per fare le vedute col sistema del signor Daguerre e conosciuta col nome di Daguerreotipe» e realizzano presto le prime acquetinte. La pubblicazione delle vedute prende avvio nell’aprile del 1840 in seguito all’intesa tra Artaria editore e Louis Cherbuin che, un anno dopo, viene formalizzata in un contratto relativo a venticinque vedute di Milano e dintorni. L’immediato apprezzamento del pubblico e l’aumento delle richieste anche da altre parti d’Italia, e in special modo dalla Toscana, lo inducono ad ampliare l’iniziativa editoriale, nota da questo momento in poi come Vues d’Italie d’après le Daguerreotype. Nel 1842 Louis Cherbuin sottoscrive un nuovo contratto per trenta vedute di città italiane e a lui viene affancato Johann Jacob Falkeisen, un altro abile incisore all’acquatinta. Il progetto prosegue negli anni, sino al 1847, con un costante allargamento delle aree illustrate e un ottimo riscontro commerciale dovuto a una ben studiata strategia editoriale e un effciente sistema di comunicazione e diffusione. La scelta delle immagini non era determinata sin dall’inizio ma, mano a mano

che si procedeva con la pubblicazione, si assecondavano i gusti e le richiesta della clientela. Alla morte di Ferdinando, rimane unico titolare il fglio Pasquale che nel 1852 cede l’azienda al cognato Ferdinando Sacchi. La casa conserva tuttavia la vecchia denominazione di “Ferdinando Artaria e Figlio”, che mantiene fno al 1872, anno in cui adotta la ragione sociale “Ditta Artaria di Ferdinando Sacchi e fgli”. Nel 1900, morto Ferdinando Sacchi, i fgli Edoardo e Alberto proseguono l’attività, fno al 1921. Bibliografa: tentori 1962; FalChetti 2003, pp. 185-187. (sr-cr) _ bAlDuS, ÉDuARD-DeNIS (Grünebach, 5 giugno 1813 Arcueil-Cachan, 1889) Dopo la carriera militare nell’esercito prussiano, si dedica alla pittura lavorando ed esponendo ad Anversa i suoi quadri, prevalentemente di soggetti religiosi e scene di genere. Nel 1937 lavora negli Stati Uniti come pittore itinerante e l’anno successivo per approfondire gli studi di pittura si trasferisce a Parigi, dove partecipa, senza grande successo, ad alcune edizioni dell’annuale Salone di pittura e scultura. Si avvicina alla fotografa alla fne degli anni Quaranta e nel 1851 ha già sperimentato un suo personale procedimento di negativo su carta descritto nel breve trattato Concours de photographie, pubblicato nel maggio del 1852. Sempre nel 1851 Baldus è tra i quaranta fotograf, artisti, amatori e scienziati che fondano la Société Héliographique, la prima associazione fotografca del mondo; insieme a Gustave Le Gray, Henri Le Secq, Hyppolite Bayard e Auguste Mestral, è selezionato dalla Commission des Monuments Historiques per documentare il patrimonio architettonico nazionale francese nella Mission héliographique. Nel corso della sua campagna fotografca Baldus fa spesso ricorso a più negativi che riprendono il monumento da punti di vista differenti e che, assemblati insieme in fase di stampa, gli permettono di avere un positivo di grande formato, ritoccato all’acquerello per camuffare il montaggio, per ottenere la visione di una porzione del monumento altrimenti non ottenibile con le ottiche allora a disposizione. Nel maggio del 1852 Baldus inizia a lavorare al progetto Ville de France photographiées, per il quale prevede venti sezioni, ciascuna composta da almeno tre fotografe. Comincia il lavoro dalla città di Parigi e il 24 settembre del 1853 su “La Lumiére”, Jacques Lacan elogia la «rara perfezione», la «bellezza tonale»

e «l’incredibile fnezza dei dettagli» delle sue vedute parigine. Risale al 1853 la collaborazione di Baldus al volume Histoire des artistes vivants di Théophile Silvestre, per il quale realizza venti fotografe, tra ritratti e riproduzioni di opere d’arte. Nel 1854 inizia poi a lavorare autonomamente a due serie di fotografe, una dedicata alle opere degli artisti contemporanea e una ai capolavori della scultura antica e rinascimentale. Nel 1855 Baldus è tra gli incaricati di documentare fotografcamente le stazioni, le città e i paesaggi che la regina Vittoria, in visita uffciale in Francia, attraversa nel corso del suo viaggio sulla nuova linea ferroviaria da Boulognesur-Mer a Parigi: cinquanta sue preziose carte salate illustrano l’album donato dal barone di Rothschild alla regina. Dal 1855 al 1857 documenta le trasformazioni architettoniche del nuovo Louvre, inaugurato nell’agosto del 1857, sperimentando per la prima volta il panorama, che gli permette di ottenere una singola immagine dalla giustapposizione di diversi negativi. Nel 1856 è incaricato di documentare l’alluvione delle regioni del Rodano e negli anni successivi continua a viaggiare e fotografare le città e i monumenti più importanti della Francia e i progressi delle linee ferroviarie francesi, in particolare quelli della linea Paris-Lyon-Méditerranée (1861). Negli ultimi anni, Baldus si dedica principalmente alla commercializzazione (con stampe di piccolo formato) e alla diffusione editoriale (con photogravure) delle sue fotografe. Bibliografa: Baldus 1994; MonDenarD 2002, pp. 84-91. (cr) _ bASIlICO, gAbRIele (Milano, 12 agosto 1944 Milano, 13 febbraio 2013) Dopo il Liceo artistico, Gabriele Basilico si laurea in architettura al Politecnico di Milano. Inizia a fotografare quando è ancora studente e, negli anni delle contestazioni studentesche e delle lotte operaie, la fotografa sociale è il suo primo interesse. Ma ben presto si dedica completamente alla fotografa di città e di paesaggio e già nel 1983 realizza Milano ritratti di fabbriche, la sua prima importante mostra personale al PAC (Padiglione d’Arte Contemporanea) di Milano. Nel 1984 viene invitato a partecipare alla Mission Photographique de la D.A.T.A.R., un grande progetto del governo francese affdato a un gruppo di fotograf internazionali, per documentare la trasformazione del paesaggio francese contemporaneo. Una sintesi della campagna fotografca condotta da

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Basilico sulle coste del Nord della Francia sarà poi raccolta nel volume Bord de mer (1990). Per la mostra e il volume Porti di Mare riceve, nel 1990, il Prix Mois de la Photo a Parigi. Nel 1991 partecipa alla Mission Photographique nella città di Beirut, devastata dalla guerra civile. Prende poi parte alla VI Biennale di Architettura di Venezia del 1996 con Sezioni del paesaggio italiano, un progetto che è il risultato della campagna fotografca progettata e condotta con Stefano Boeri e per la quale riceve il premio Osella d’oro per la fotografa di architettura contemporanea. Nel 1999 pubblica il volume Cityscapes e l’anno successivo una mostra con lo stesso titolo è ospitata allo Stedelijk Museum di Amsterdam, al Centro Portugues de Fotografa di Porto, al MART di Rovereto e al MAMBA di Buenos Aires. Nell’arco della sua lunga carriera sono moltissimi i lavori che esegue su commissione per diversi enti, anche internazionali. Si ricordano, tra gli altri, i due lavori di ricerca sulle aree metropolitane di Berlino e Valencia svolti nel 2000 su invito rispettivamente del DAAD (Deutscher Akadamischer Austausch Dienst) e dell’IVAM (Instituto Valenciano de Arte Moderna); la campagna fotografca L.R. 19/98 realizzata nel 2001 per conto della Regione Emilia Romagna sulle aree dismesse di cento comuni della regione; la documentazione sulla provincia di Trento su incarico della provincia stessa nel 2002; il ritorno nel Nord della Francia, su invito della città di Cherbourg, per realizzare nuove immagini delle coste già fotografate negli anni Ottanta e quello a Beirut dove fotografa il ricostruito centro della città, dagli stessi punti di ripresa della campagna del 1991; il lavoro su Napoli per conto della Soprintendenza per i Beni Architettoni del 2004; la campagna fotografca su Lisbona per la Fondação Calouste Gulbenkian e il lavoro sul tessuto urbano del Principato di Monaco per il futuro Nouveau Musée National de Monaco nel 2006. Nel 2002, durante PhotoEspaña, ha ricevuto il premio per il miglior libro fotografco dell’anno, per il volume Berlin. Tra le sue personali più importanti, oltre a quelle già citate, si ricordano le retrospettive alla Galleria d’Arte Moderna (GAM) di Torino nel 2002 e alla Maison Européenne de la Photographie di Parigi nel 2009; l’antologica Omaggio a Gabriele Basilico che, a pochi mesi dalla sua scomparsa, gli ha dedicato il MuFoCo di Cinisello Balsamo nel maggio del 2013 e la mostra Gabriele Basilico: fotografe dalla collezione del MAXXI al MAXXI di Roma nel novembre dello stesso anno. Bibliografa: valtorta 1994; Basilico 2002; Fagone 2007. (cr)

_ beReNgO gARDIN, gIANNI (Santa Maria Ligure, 10 ottobre 1930) Gianni Berengo Gardin inizia a occuparsi di fotografa a metà degli anni Cinquanta. Al 1954 risale la sua prima pubblicazione su “Il Mondo”, diretto da Mario Pannunzio, con il quale lavora a lungo, fno al 1965, anno in cui si trasferisce a Milano dove inizia la carriera professionale, dedicandosi alla fotografa di reportages, di indagine sociale e di architettura. Negli anni successivi le collaborazioni aumentano e le sue immagini vengono pubblicate sulle più importanti testate di stampa illustrata sia italiana sia estera tra cui “Domus”, “Epoca”, “Le Figaro”, “L’Espresso”, “Time”, “Stern”. Tra le sue tante collaborazioni professionali si ricordano quelle con il Touring Club Italiano per cui realizza, tra il 1966 e il 1983, numerosi volumi sull’Italia e sull’Europa, l’Istituto Geografco De Agostini per cui documenta gran parte dell’Italia e i più importanti architetti italiani come Carlo Scarpa e, in seguito, Renzo Piano per il quale dal 1979 documenta le fasi di realizzazione di molti progetti architettonici. Firma molte campagne fotografche tra cui quelle per Olivetti, Alfa Romeo, Fiat, IBM e Italsider. Nell’arco della sua carriera ha ricevuto numerosi riconoscimenti: nel 1963 viene premiato con il World Press Photo, nel 1981 vince il Premio Scanno per il miglior fotolibro dell’anno con India dei villaggi, nel 1990 quello Brassai al Mois de la Photo, nel 1994 l’Oscar Barnack Award per Disperata Allegria – vivere da Zingari a Firenze, nel 1995 il Leica Oskard Barnack Award ai Rencontres Internationale de la photographie ad Arles, nel 1998, ex aequo, il Premio Oscar Goldoni e nel 2008 il Lucie Award alla carriera, quale massimo riconoscimento per i suoi meriti fotografci. Nel 1972, inoltre, la rivista “Modern Photography” lo inserisce tra i 32 World’s Top Photographers. Berengo Gardin ha esposto nelle più importanti istituzioni internazionali come il Museum of Modern Art e il Guggenheim Museum di New York, il Victoria and Albert Museum di Londra, la George Eastman House di Rochester, la Biblioteca Nazionale e il Mois de la Photo di Parigi, gli Incontri Internazionali di Arles, le gallerie FNAC, la Biennale di Venezia, Photokina a Colonia e l’Expo di Montreal. Nel 1991 una sua grande retrospettiva è stata ospitata dal Museo dell’Elysée a Losanna, del 2005 è quella alla Maison Européenne de la photographie di Parigi e del 2013 quella di Palazzo Reale a Milano. Ha pubblicato oltre duecento volumi fotografci tra monografe e opere collettive. Nel maggio del 2009 l’Università Statale di Milano gli ha conferito la laurea

honoris causa in Storia e Critica dell’Arte e lo stesso anno, ha pubblicato con Allemandi Reportrait. Incursioni di un reporter nel mondo della cultura, dove presenta oltre duecento ritratti inediti di artisti, intellettuali, scrittori, architetti, incontrati nella sua lunga carriera di reporter. Dal 1990 è rappresentato dall’agenzia Contrasto ed è membro del circolo “La gondola” di Venezia. Bibliografa: zannier 1990; Berengo Gardin 2005; turzio 2009; Storie 2013. (sr) _ beRThIeR, PAul MARCellIN (1822-1912) Paul Berthier, pittore e disegnatore, partecipa per la prima vola al Salon de peinture et sculpture del 1848. Continua a praticare la pittura e il disegno anche quando inizia la sua attività di fotografo, che è atipica e poco conosciuta anche se le sue opere sono spesso di grandissima qualità. Lavora principalmente su commissione e realizza vedute per gli artisti (nel bosco del castello di Fontainebleau), riproduzioni di opere d’arte (sue sono le riproduzioni delle maggior parte degli oggetti che illustrano il volume di Auguste Mariette, Sérapéum de Memphis), ritratti, fotografe di architettura e di reportage (al 1865 risalgono le sue fotografe più famose realizzate nelle località siciliane danneggiate e distrutte dall’eruzione dell’Etna). Per la maggior parte del suo lavoro Berthier utilizza negativi su lastra di vetro al collodio, ma per le fotografe d’architettura e dei paesaggi italiani fa uso anche del negativo calotipo. In alcuni casi ritocca le lastre in modo tale che le stampe sembrino ottenute da un negativo di carta e in altri ne oscura alcune zone per focalizzare lo sguardo dell’osservatore su alcuni importanti elementi dell’immagine. Membro della Societé française de la Photographie, era legato ai fotograf Théodule Devéria e Paul Sauvanaud: quest’ultimo ha donato alla Bibliothéque nationale de France, nel 1921, un importante insieme, comprendente alcuni acquerelli della Svizzera attribuiti a Berthier, alcune fotografe dell’Egitto di Devéria e dell’Italia di Le Dien. Bibliografa: Gegossenes Licht 2008; auBenaS et al. 2010, p. 263. (cr) _ STAbIlIMeNTO bRAuN & CIe Adolphe Braun nasce a Besançon nel 1812, il più grande dei fgli del poliziotto Samuel Braun e di Antoinette Regard. All’età di die-

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ci anni si trasferisce, con la famiglia, a Mulhouse, un centro manifatturiero tessile dell’Alsazia, vicino al confne tedesco. Nel 1828 si reca a Parigi per studiare arti decorative e dopo una serie di insuccessi, nel 1842 realizza e pubblica la sua prima collezione di disegni foreali. L’anno successivo vende il proprio studio di Parigi e fa ritorno a Mulhouse, dove viene assunto a capo del settore disegnatori nell’azienda di DolfusAussett, specializzata nella produzione di decorazioni per tessili. Nel 1847 si mette in proprio e apre uno studio a Dornach, nella periferia di Mulhouse. All’inizio degli anni Cinquanta, Braun inizia a fotografare fori per aiutarsi nel disegno di nuovi motivi foreali per i tessuti. Nel 1855 pubblica Fleurs photographiées, un album con oltre 300 delle sue fotografe ottenute da lastre al collodio. Lo stesso anno presenta una seconda serie di fotografe di fori all’Esposizione Universale di Parigi. Nel 1857 fonda l’atelier fotografco Braun & Cie e, con l’aiuto dei fgli Henri e Gaston e di alcuni impiegati, realizza diverse campagne fotografche nella campagna alsaziana. Queste fotografe sono poi raccolte nel 1859 in Alsace photographiée. Ad esse fanno seguito molte vedute stereoscopiche delle regioni alpine di Francia, Germania, Svizzera e Italia. Gli anni Sessanta segnano la trasformazione dell’atelier fotografco in vero e proprio stabilimento industriale. Innanzitutto, Braun investe nel nuovo metodo di stampa al carbone approntato dal chimico inglese Joseph Wilson Swan, che gli assicura l’inalterabilità delle stampe positive. E, intuita la potenzialità commerciale della divulgazione delle opere d’arte attraverso la fotografa, con la tecnica della stampa al carbone, che contraddistingue la sua produzione, Braun avvia la riproduzione sistematica dei capolavori dell’arte conservati nelle collezioni pubbliche francesi e in altri paesi europei. Tra i lunghi e frequenti viaggi di lavoro che effettua in Italia, vanno ricordati quelli che lo portano a Milano, Firenze, Venezia e soprattutto a Roma, dove fotografa in Vaticano le Logge e le Stanze di Raffaello, la Galleria delle Statue dei Musei Vaticani e soprattutto dove effettua la prima e più completa campagna di documentazione della Cappella Sistina, tra il 1868 e il 1870. Il comprovato successo di questo genere di fotografe lo convince a focalizzare il lavoro del suo stabilimento sulla riproduzione di opere d’arte fno alla fne della sua carriera. Alla sua morte, nel 1877, lo stabilimento resta in mano al fglio Gaston. Bibliografa: Braun 1948; Miraglia 1991; KeMPF 1994; o’Brien et al. 2000; le Men 2003. (cr)

_ STAbIlIMeNTO bROgI Giacomo Brogi nasce a Firenze nel 1922 e, come gli Alinari, muove i primi passi nell’incisione: una breve frequentazione nella scuola del Perfetti, poi dall’editore Batelli, dal calcografo Achille Paris e infne da Luigi Bardi. In seguito Giacomo apre un’attività indipendente di stampa di etichette, stemmi, indirizzi fnché non si associa al fotografo ritrattista Sollazzi. Tra il 1856 e il 1859 si dedica esclusivamente al commercio di fotografe, quindi acquista dal socio 300-400 negativi e il materiale necessario per la stampa dei positivi e fonda la ditta “Giacomo Brogi Fotografo”. Nel 1861 partecipa all’Esposizione Italiana di Firenze; nel 1863 fa stampare il primo catalogo dei suoi soggetti artistici e nel 1864 trasferisce lo stabilimento in Corso Tintori. Si specializza nel ritratto ma si dedica anche al repertorio classico, dal vedutismo alle riproduzioni d’arte e architettura. Si distingue per le campagne fotografche realizzate all’estero: le più famose sono quelle in Siria, Egitto e Palestina. Negli anni Settanta lo stabilimento è in piena espansione e possiede negozi a Firenze, Roma e Napoli. Nel 1878 Giacomo viene nominato fotografo del re Umberto I e nel 1881 muore lasciando la direzione dello stabilimento al fglio Carlo, affancato nell’amministrazione dal fratello Alfredo. Carlo si dedica in prima persona alla lotta politica per la tutela legale dei diritti fotografci e pubblica molti interventi sul tema, tra i quali il più famoso è l’opuscolo In proposito della protezione legale sulle fotografe (Firenze, 1885). È promotore della prestigiosa Società Fotografca Italiana fondata a Firenze nel 1889, di cui è stato il primo vice-presidente. All’interno dell’azienda delega tecnicamente i suoi operatori, supervisionando e pianifcando le campagne fotografche. L’unico suo intervento in tema strettamente fotografco è il manuale Il ritratto in fotografa. Appunti per chi posa, dato alle stampe nel 1895. Alla morte di Carlo, nel 1925, lo stabilimento riduce la propria attività, proseguita dal nipote Giorgio Laurati, fno alla completa cessazione nel 1950. Lo stabilimento subisce notevoli danni durante i bombardamenti del 1944 e l’alluvione del 1966, tuttavia i discendenti riescono a salvare circa 50.000 lastre, acquisite nel 1958 dal conte Vittorio Cini, allora presidente della Fratelli Alinari I.D.E.A, alle quali nel 1988 si è aggiunta la donazione di Giorgio Laurati, oggi conservata nelle Raccolte Museali Fratelli Alinari. Bibliografa: Fotografa Italiana 1979, p. 147; Falzone Del BarBarò et al. 1989, p. 212; SilveStri 1994, pp. 9-10; Cartier-BreSSon et al. 2006, p. 242. (sr-cr)

_ bRuSSelMANS, JeAN (Bruxelles, 1884-1953) Jean Brusselmans è un artista unico nel panorama del periodo dell’espressionismo belga. Il suo stile allo stesso tempo duro e raffnato, la predilezione per la geometria e per la sezione aurea in un contesto tuttavia mai astratto, il numero ridotto di soggetti da lui raffgurati, il suo carattere diffcile e alieno da compromessi, la vita solitaria e modesta che condusse, gli scarsi riconoscimenti ottenuti in vita, ne fanno una fgura singolare. Originario del Brabante, dopo inizi da litografo studia all’Accademia di Bruxelles e frequenta lo studio di I. Verheyden, dove incontra Edouard Tytgat e Rik Wouters, con il quale nel 1907 apre uno studio. Inizialmente risente dell’impressionismo (Au jardin) e, negli anni della prima guera mondiale, del fauvisme (Le pont, Bruxelles, Musées Royaux). Entra in vari sodalizi: L’effort, La Libre ésthetique, Le Centaure, L’art vivant (1930), Les compagnons de l’art (1931), rimanendo tuttavia sempre un isolato. Le sue opere degli anni Venti hanno spesso temi legati al lavoro: la Lavandaia (1930, Bruges, Musée Groeninge); i Contadini (1928, Gand, Musée des BeauxArts), dei quali intendeva esaltare non tanto il ruolo di proletari, ma la dedizione loro alla terra (Brusselmans 2011, p. 3), che rende nell’assimilarli ad essa, come forme colorate nell’armonia della composizione cromatica. L’arte popolare fu un riferimento per lui importante, talvolta con risvolti quasi naïf (Le patineurs, Bruxelles, Musée Royaux). Dal 1924 si stabilisce a Dilbeek, e inizia una nuova stagione creativa molto prolifca. Nel 1932 gli viene data un’onorifcenza, ma è in tali diffcoltà economiche che il ménage familiare è retto dal lavoro di ricamo della moglie. Nel 1935 fa, per l’Exposition Universelle et Internationale di Bruxelles un dipinto murale di gusto déco (perduto), e nello stesso giro di anni lavora alle scenografe per l’Erwartung di Schoenberg e per il Lucifer di Van den Vondel. Nel 1937 ha una mostra personale al Palais des Beaux-Arts di Bruxelles, ma i successivi anni della guerra sono molto diffcili, e la moglie Marie muore di stenti nel 1943. Modella di tanti suoi quadri, nei tardi anni Trenta la rappresenta sovente in un abito a quadri bianchi e neri, di cui esalta la geometria in una fermezza che può ricordare il Picasso blu o gli aspetti più monumentali del dèco (Dame au canapé de 1937, La Mansarde I e II, 1938, La dame à la rose, Grand intérieur del 1939, Le Portrait de Marie). Degli anni Trenta sono anche molte Nature morte e Paesaggi contemplati dalla fnestra di casa. Talvolta si può ricostruire il processo di semplifcazione

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da lui seguito, grazie a foto da lui scattate per preparare i dipinti, sulle quali è intervenuto con la matita per creare partizioni geometriche (p. 26). Nel 1947 fa la prima mostra personale all’estero, a Parigi. Nel 1952 il Palais des Beaux-Arts di Bruxelles gli dedica una mostra retrospettiva. L’anno dopo, Brusselmans muore per una crisi cardiaca. Lo Stedelijk Museum di Amsterdam nel 1979, e il Mu.zee di Ostenda nel 2011 hanno organizzato mostre monografche su Brusselmans. Bibliografa: Brusselmans 2011. Sitografa: http://www.muzee.be/mediastorage/ FSDocument/359/nl/003482_publieksbr_ jBrusselmans_FR.pdf (gb) _ bullOZ, JACqueS-eRNeST (Parigi, 1858-1942) Formatosi presso il celebre atelier fotografco dello zio Pierre-Louis Pierson e dei fratelli Mayer, Bulloz lavora insieme all’editore Braun prima di fondare, nel 1898, una propria casa editrice, specializzata principalmente in cartoline postali, con sede al n. 28 di rue Bonaparte nel quartiere di BeauxArts, nel VI arrondissement di Parigi. È noto soprattutto per la sua stretta collaborazione con Auguste Rodin: ben conosciuto nell’ambiente artistico parigino come editore, nel 1903 Bulloz frma infatti con lo scultore un contratto che gli riconosce l’esclusiva della riproduzione fotografca delle sue opere. Ci è nota la corrispondenza tra i due, nella quale si confrontano sulle problematiche tecniche ed estetiche che riguardano la riproduzione fotografca delle sculture, dalla scelta della luce a quella dei fondali da scegliere di volta in volta in relazione al soggetto fotografato. Appassionato divulgatore, oltre agli artisti del suo tempo e alle loro opere, ha fotografato e pubblicato i più famosi monumenti e le più importanti collezioni museali francesi, contribuendo alla conoscenza dell’arte nel mondo. Nel 1913 ha preso parte alla realizzazione del Musée d’Art Français di San Paolo in Brasile e nel 1922 a quella del Musée francais di Montréal in Canada. Nel 1917 è assistente dell’amministratore del VI Arrondissement, del quale dal 1936 è egli stesso amministratore. Nel 1931 è nominato uffciale della Legione d’Onore. Bibliografa: Pinet 1986. (cr)

_ CAgNONI, ROMANO (Pietrasanta, 1935 ) Fotogiornalista di rilievo internazionale, Romano Cagnoni ha collaborato, nell’arco della sua carriera, con “The Observer”, “ParisMatch”, “Stern”, “The Times”, “L’Espresso”, “Newsweek” e “Life”. Autodidatta, inizia a lavorare giovanissimo, nel secondo dopoguerra, come assistente fotografo. Nel 1958 si trasferisce a Londra dove incontra Simon Guttmann, che aveva introdotto Robert Capa alla fotografa, e Stefan Lorant, editor del “Picture Post”, e inizia a collaborare con i principali giornali della capitale. All’inizio degli anni Sessanta documenta la campagna di Harold Wilson con il Partito laburista e nel 1965 è il primo fotografo, non impegnato politicamente, a cui viene concesso di entrare nel Vietnam del Nord, insieme al giornalista James Cameron: il suo ritratto del presidente Ho Chi Minh fa il giro del mondo e viene pubblicato sulla copertina di “Life”. Tra il 1968 e il 1970 documenta, in vari viaggi, la guerra del Biafra e riceve, per questo lavoro, lo “USA Overseas Press Award”. Sempre nel 1970 è in Egitto durante la war attrition e fotografa i guerriglieri di Al-Fatah. Nel 1971 viene invitato a lavorare per l’agenzia Magnum, che lascia però dopo soli sei mesi. Negli anni successivi è testimone dei più importanti eventi politici dell’America Latina, documentando il Cile di Allende, il ritorno di Peron in Argentina e l’ascesa di Fidel Castro a Cuba. Nel 1973 fotografa la guerra in Israele e nel 1975 quella in Cambogia. Nel 1978 arriva un importante riconoscimento: Harold Evans, ex direttore del “Sunday Times”, lo inserisce nel volume Pictures on a Page tra i sette fotograf più famosi al mondo, assieme a Henri Cartier-Bresson, Bill Brandt, Don Mc Cullin ed Eugene Smith. Lo stesso anno, porta avanti alcuni progetti in Italia, fotografando il Meridione e realizzando alcune campagne per Olivetti. All’inizio degli anni Ottanta è nuovamente all’estero, in Afgha-nista-n e in Polonia, a documentare clandestinamente l’occupazione da parte delle truppe dell’Unione Sovietica, va poi in Oriente per un reportage sul Triangolo d’Oro per “The Observer”. Nel 1987 realizza il volume e la mostra Caro marmo (1987) sulle cave di Carrara, presentati più volte in Italia e all’estero. In quegli anni inizia anche a lavorare a un progetto sul lavoro degli scultori nella nativa Pietrasanta. Negli anni Novanta ritorna nelle zone di confitto, prima in Jugoslavia e poi in Cecenia. Tra i suoi lavori più recenti vi è Memorie sovvertite, una raccolta fotografca che comprende paesaggi della sua Versilia. Negli anni Cagnoni ha ricevuto diversi premi internazionali tra cui la German bronze medal Art Directors’ Club e molti ri-

conoscimenti in Italia. Ha pubblicato oltre 16 volumi fotografci e ha esposto in istituzioni di tutto il mondo. Bibliiografa: Cagnoni 1983; Segre 1985; Cagnoni 1987; zorzi 2000; viganò 2003; Memorie sovvertite 2012. Sitografa: www.romanocagnoni.com/ (sr) _ CANevA, gIACOMO (Padova, 1813 - Roma, 1865) Di formazione pittore, Giacomo Caneva si trasferisce nel 1838 a Roma per specializzarsi in pittura dopo aver studiato all’Accademia di Belle Arti di Venezia. Qui, tra il 1839 e il 1840, lavora al cantiere di Villa Torlonia e come vedutista, ma dopo poco intraprende anche l’attività fotografca. La sua prima calotipia datata e frmata risale al 1847 e rappresenta il Tempio di Vesta ma da alcune fonti dell’epoca si conosce che lavora anche come dagherrotipista. Intorno al 1850 fa parte del circolo romano di fotografa animato dal pittore conte e fotografo francese Frédéric Flachéron, e compare tra gli artisti del Circolo fotografco del Caffè Greco dove, dal 1845, viene registrato come “pittore-fotografo” agli indirizzi di via Sistina 100 e, successivamente, di via del Corso presso San Carlo 446. Dal 1855 è segnalato anche nelle guide di Roma, come «pittore prospettico e fotografo» in Via del Babuino 68 e, nell’Almanacco del 1858, anche sotto la voce “oggetti di galvano plastica”. Nel 1855 pubblica un manuale di pratica fotografca nel quale appare esperto e aggiornato sulle diverse tecniche, dalla dagherrotipia al collodio, alle varianti numerose del procedimento calotipico. Partecipa ad alcune delle prime esposizioni fotografche internazionali, a Londra (Society of Arts, 1852; Photographic Institution, 1853) e a Edimburgo (Photographic Society of Scotland 1856). Tra le sue fotografe compaiono oltre che i principali monumenti di Roma e i luoghi più visitati della campagna, anche i costumi e gli studi di natura, realizzati soprattutto come modelli per gli artisti. Di particolare rilievo è inoltre la sua precoce campagna fotografca sulle sculture dei Musei Vaticani e Capitolini (1848-1852 circa). Nel 1859 partecipa alla spedizione organizzata da Giovanni Battista Castellani e dal conte Gherardo Freschi in India e in Cina, della quale resta traccia solo in alcune immagini conservate in collezione privata. In seguito alla sua morte avvenuta nel 1865, alcuni suoi negativi continuano a essere stampati e distribuiti negli anni nel ventennio successivo da Lodovico Tuminello e, per il tramite di questi, sono poi stati acquisiti nel 1906 dall’Istituto Centrale per il Catalogo e la

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Documentazione di Roma. Importanti serie di stampe di Caneva, spesso provenienti da raccolte di artisti coevi o di viaggiatori del tempo, sono oggi conservate in collezioni pubbliche e private, tra le quali la Bibliothèque Nationale de France, la Fondazione Torino Musei, le Raccolte Museali Fratelli Alinari, le collezioni di Marco Antonetto (Torino), di Orsola e Filippo Maggia, e di Dietmar Siegert. Bibliografa: negro 1944, pp. 155-157; BeCChetti 1989; BeCChetti 1994; Cartier-BreSSon et al. 2003; Cartier-BreSSon et al. 2006 p. 242; lunDBerg et al. 2007; Bonetti et al. 2008, p. 198; Éloge 2010, p. 220. (sr) _ CIPRIANI, NICOlò (Ravenna, 1o°dicembre 1892 Firenze, 28 luglio 1968) Trasferitosi a Firenze nel 1911, inizia a lavorare per il Gabinetto Fotografco della Soprintendenza nel 1920 con la mansione di fotografo di opere d’arte ma il suo ruolo, nei lunghi anni di servizio (va in pensione verso la metà degli anni Cinquanta), non si ferma a quello di semplice operatore. È già capo fotografo dalla metà degli anni Venti. Come si evince dalla lettera del Soprintendente prof. Giovanni Poggi al comando alleato e datata 6 marzo 1945, in cui si forniscono i nomi dell’organico del Gabinetto in relazione alla ripresa di opere d’arte per i danneggiamenti causati dalla guerra, Cipriani viene menzionato con la funzione di direttore in ruolo, coadiuvato dagli operatori Vinicio Barletti e Nadir Tronci. Molto attento alla fotografa non solo come mezzo di documentazione, ma come espressione artistica, partecipa nel 1925 e nel 1927 rispettivamente alla I e alla II Mostra Fotografca del Paesaggio Toscano, presentando due autocromie nel 1925 e quindici vedute della spiaggia di Viareggio nel 1927. Molto sensibile ai destini del patrimonio culturale, si interessa alla costituzione di un Archivio fotografco attraverso cui avviare l’immagine non solo a fnalità commerciali, ma per una testimonianza visiva dei luoghi meno conosciuti del territorio, e dell’arte in ogni suo aspetto. Per questo motivo caldeggia la rinascita del “Bullettino della Società Fotografca Italiana” come possibile portavoce di questa auspicata e attenta documentazione, sistematico raccoglitore dei beni artistici italiani attraverso il quale ritiene possibile registrare la scientifca elencazione. Nel laboratorio personale situato nel centro storico forentino, esegue per proprio conto immagini di opere d’arte che sviluppa e stampa personalmente, autentica fototeca che nel 1950 confuisce nell’Archi-

vio del Gabinetto Fotografco delle Soprintendenze di cui, sempre nello stesso anno, lamenta le diffcoltà e lo stato di disagio economico. Bibliografa: taMaSSia 2007. (dc) __ COlACICChI, gIOvANNI (Anagni, 1900 - Firenze, 1992) Dopo i primi studi ad Anagni e a Roma, e in seguito alla morte della madre, si trasferì a Firenze nel 1916, per «imparare il buon italiano» e, come scrisse in un’autobiografa, «imparai invece l’esistenza di meravigliose sculture e pitture». Decide di diventare pittore e prende lezioni da Garibaldo Cepparelli, che gli fa copiare le teste della Cappella Brancacci, e tramite il quale conosce Raffaele De Grada, ma deve partire per il servizio militare. Al suo ritorno, inizia a frequentare le “Giubbe rosse” ed entra in consuetudine con Palazzeschi, Sensani, Franchi, Bramanti, Carocci e con il mondo che ruota intorno a quel cenacolo. Per un periodo si impegna nella tecnica della xilografa, poi, nel 1920, incontra quello che considera il suo vero maestro, Francesco Franchetti, di cui in seguito farà anche un ritratto. Franchetti «aveva un modo di scoraggiarmi così effcace da mettermi subito addosso un’insopprimibile volontà di essere pittore. Le diffcoltà di cui mi parlava, accompagnate da alcune molto sobrie lodi furono per me decisive». Nel 1921 conosce Onofrio Martinelli, con il quale condividerà molte ricerche artistiche, soprattutto al rientro di questi da Parigi nel 1931. Nel 1923 Giorgio Castelfranco lo porta in studio da De Chirico, allora a Firenze, mentre sta dipingendo l’Autoritratto con Mercurio. Nel 1924 dipinge Malinconia, che risente della metafsica dechirichiana, ma nel ricordo di Albrecht Dürer e di Giovanni Bellini, come una fantasia nata in uno studio pieno di luce, allusivo alla bellezza quieta e intellettuale di Firenze più che a misteri inquietanti. Nel 1926 fonda, con Guido Carocci, Raffaello Franchi, Leo Ferrero, Bruno Bramanti e Bonaventura Tecchi, la rivista “Solaria”. Nel 1926 è presente alla XV Biennale di Venezia e vi sarà invitato anche in altre cinque edizioni. Nel 1930 fa la prima mostra personale a Firenze, alla Saletta. Nel 1935 visita l’Africa, con l’intenzione di non fare più ritorno in Italia, ma nel 1936 è costretto a tornare. Nel 1938 fa una mostra alla Galleria della Cometa di Roma e fa amicizia con Emanuele Cavalli. Nel 1940, a una sua personale a Firenze, Arturo Loria porta Bernard Berenson e ha così inizio un’amicizia fondamentale. Nello stesso anno conosce Carlo Levi, un’altra amicizia importante. Nel

1948 partecipa per l’ultima volta alla Biennale, in un clima ormai ostico a un’arte come la sua. Dal 1953 al 1963 circa collabora come critico d’arte al quotidiano “La Nazione”. Verso il 1970, nell’ambiente dei “Tatti”, conosce Carlo Del Bravo, che darà giusto rilievo all’opera di Colacicchi attraverso gli scritti e l’insegnamento di Storia dell’arte all’università di Firenze. L’archivio di Giovanni Colacicchi e della moglie, Flavia Arlotta, è stato di recente depositato presso il Gabinetto scientifco letterario G. P. Vieusseux, Archivio contemporaneo Alessandro Bonsanti. Bibliografa: Giovanni Colacicchi 1986; ragio1986. (gb) _ CORNIeNTI, CheRubINO (Pavia, 25 marzo 1816 - Milano, 1860) nieri

Fratello minore dell’incisore Giuseppe, iniziò presto il suo tirocinio a Milano, allievo di Luigi Sabatelli, ma seguendo soprattutto l’esempio di Hayez, e riscuotendo successo nelle prime esposizioni milanesi con quadri di soggetto storico, fra i quali va ricordato l’Addio di Paolo Erizzo alla fglia (1842). Alcune sue opere, tra le quali quest’ultima, si possono far rientrare nella categoria critica dell’orientalismo. Nel 1844 ottenne il pensionato artistico a Roma, dove iniziò a dipingere soggetti biblici e respirò il clima di fducia in un nuovo corso storico, instaurato dall’elezione di Pio IX. Nel 1848 partecipa alle Cinque Giornate di Milano, ma, dopo il fallimento, torna a Roma, pur continuando a lavorare sia a Milano che nel Lazio con opere storiche e sacre, anche ad affresco (lunetta con la Cena in Emmaus per i Capuccini di Tivoli). A Roma frequenta alcuni pittori russi, tra cui Karl Brjulov, legato a patrioti italiani e molto introdotto anche a Milano; lo stile di questi ha conseguenze sulla sua opera successiva. Nel 1952, Cornienti lo ritrasse sul letto di morte (Roma, Galleria d’Arte Moderna). Nei primi anni Cinquanta abbandona defnitivamente le composizioni storiche accademiche per dedicarsi soprattutto a quadri di minori dimensioni, e dipinge temi della vita di artisti del Rinascimento con stesure immediate, colori liquidi, e accensioni luminose che derivano dall’esempio di Brjulov. Amico di Vincenzo Vela e dello scrittore Giuseppe Rovani, con la fattura sprezzata rende vive e vicine le vicende delle sue scene storiche, testimoniando il passaggio dal romanticismo al realismo in pittura. Contrastato a Milano per la sua indipendenza stilistica, stava per trasferirsi a Bologna per insegnare all’Accademia Clementina quando la morte lo assalì a soli 44 anni. (gb)

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_ De CAROlIS, ADOlFO (Montefore dell’Aso, 1874 - Roma, 1928) Studia all’Accademia di Bologna con Domenico Ferri e dal 1892 frequenta, grazie a una borsa di studio del Collegio dei Piceni, la Scuola di Decorazione pittorica del Museo artistico industriale di Roma e collabora con Antonio Morani in varie decorazioni murali. A Roma entra nel circolo di “In Arte libertas” e di Nino Costa. Nel 1897 espone per la prima volta alla Biennale di Venezia, con il gruppo di Costa. Continua la sua opera a Roma e nelle Marche (salone del Consiglio Provinciale di Ascoli Piceno, 1907-1908). Nel 1899 vince il concorso Alinari per la Sacra Maternità, nel 1900 ottiene la cattedra di Ornato all’Accademia di Firenze. Collabora all’Edizione Alinari della Divina Commedia in seguito al concorso del 1900. Allo stesso tempo illustra con xilografe le opere di Gabriele d’Annunzio e di Giovanni Pascoli, e collabora con scritti e incisioni al “Leonardo” (in seguito a “Hermes”) di Papini e Prezzolini, dimostrando, soprattutto negli articoli del 1903 Nel cammino della giovinezza (gennaio) e Cattolicesimo e Paganesimo (10 maggio), le sue simpatie nietschiane, che però abbandonerà per altre suggestioni, in particolare da opere come I grandi iniziati di Edouard Schuré, tuttavia sempre interpretati alla luce di una cultura sfaccettata e di una profonda ricerca interiore, che più tardi sfocerà in un’intima conversione cristiana, anche a seguito di vari lutti familiari. Da Schuré egli mutua lo storicismo e il concetto di iniziazione al mistero della divinità e del mondo, che declina in modo personale, e anche divergente, in particolare nei grandi cicli ad affresco della Sala del Podestà di Bologna (1911-1928) , dell’Aula Magna dell’Univeristà di Pisa (1916-1920) e della Sala del Consiglio provinciale di Arezzo (1922-1924). Il faro di De Carolis dal punto di vista formale, insieme ad altre componenti, rimane sempre Michelangelo. Per tutta la vita esercitò anche la xilografa, di cui si può considerare il riscopritore, sulla scorta della valorizzazione dell’artigianato sostenuta dai preraffaelliti, tenuti a modello dalle cerchie da lui frequentate negli anni della sua giovinezza a Roma. Per questo, una rivista come “L’Eroica” di Ettore Cozzani, illustrata principalmente da xilografe, lo tenne come nume tutelare, anche se non sempre in armonia con le sue posizioni, e fornisce un panorama della sua scuola xilografca. Dal 1922, l’artista insegnò decorazione all’Accademia di Belle Arti di Roma. (gb)

_ DelACROIx, eugèNe (Charenton-Saint-Maurice 1798 Parigi 1863) Il vero padre di Delacroix è ritenuto essere il principe di Talleyrand. Eugène, allievo di Guérin, a vent’anni posa come modello per la Zattera della Medusa di Théodore Géricault, e pochi anni dopo, nel 1822, espone al Salon La barca di Dante, che recuperava drammaticamente il movimento delle opere rubensiane. Seguono le opere ispirate alla lotta d’indipendenza greca: Il massacro di Scio (1824), e La caduta di Missolungi (1826, quest’ultima è anche un omaggio a Lord Byron) lo contrappongono decisamente a Ingres. Nel 1825 va in Inghilterra e vi soggiorna qualche mese e, quando torna, la sua tecnica si è rinnovata a contatto di Reynolds e Bonington; ha contratto una passione per il teatro shakespeariano, e ha l’ispirazione per una serie di litografe sul Faust goethiano. Nel 1827 dipinge la Morte di Sardanapalo, ispirata a un dramma di Byron. Entra nella cerchia di Stendhal, Dumas e George Sand. Fa un doppio ritratto della Sand e di Chopin. George Sand in seguito lo ospiterà a Nohant. Nel 1831 la Libertà che guida il popolo lo consacra successore di Gros e Géricault. Nel 1832 ha l’opportunità di unirsi a una spedizione diplomatica e visita il Marocco, l’Algeria e la Spagna. È una tappa fondamentale della sua vita, che in seguito gli offrirà innumerevoli spunti per le sue opere, e farà di lui un caposcuola dell’orientalismo ottocentesco. Al ritorno in patria, inizia per lui l’epoca delle grande decorazioni murali, che durerà fn quasi alla fne dei suoi giorni: il salone del re (1837-1842) e la biblioteca (1838) del Palais de Bourbon, la biblioteca del Palais du Luxembourg (1840-1847), il sofftto della Galleria di Apollo al Louvre (1850), il salone della Pace all’Hotel de Ville (18511854), la Cappella degli Angeli in St. Sulpice (1849-1860). Nel 1834 espone Donne di Algeri e altri dipinti nati dagli appunti presi durante il viaggio. Del 1841 è l’Entrata dei crociati a Costantinopoli. Nel 1845 entra in contatto con Baudelaire. Dal 1851 al 1861 ricopre la carica di consigliere municipale a Parigi. Nel 1855, all’Esposizione Internazionale di Parigi ha il suo trionfo, esponendo 42 tele. Nel 1859 espone per l’ultima volta al Salon (Ovidio in esilio, Londra, National Gallery). È sepolto nel Cimitero del Père Lachaise, nella tomba disegnata dall’architetto Denis Darcy. Sitografa: http://www.musee-delacroix.fr/ fr/l-artiste-et-son-oeuvre/biographie (gb)

_ FANFANI, eNRICO (Firenze, 1824 - notizie fno al 1885) Allievo di Giuseppe Bezzuoli all’Accademia di Belle Arti di Firenze, Fanfani esordisce all’inizio degli anni Cinquanta riscuotendo il favore della critica che giudica il suo modo di dipingere «corretto in rapporto alla composizione, al disegno e allo stile» (C. Bordiga, Esposizione di Belle Arti, “Il Buon Gusto”, n. 6, 27 settembre 1851), tanto che nel 1853 un suo quadro, L’obolo della vedova, viene acquistato da Leopoldo II di Lorena per la costituenda Galleria di quadri moderni della città. Dipinge soggetti in linea con i dettami del Romanticismo storico, fra cui Ultima confessione di Beatrice Cenci (1856) e Bice del Balzo nel castello di Rosate (1856). Al 1857 risale Milton cieco detta il suo poema alle fglie, nel quale l’intonazione chiarissima dell’atmosfera si coniuga ai trapassi d’ombre profonde dando netto risalto alle fgure, a testimonianza dei tentativi dell’artista di rinnovare i temi storico-letterari tramite gli effetti luministici e cromatici, in sintonia con le sperimentazioni condotte allora a Firenze dai giovani impegnati nel rinnovamento dei linguaggi pittorici per via formale. Ricerca che nel 1860 ha come esito La mattina del 27 aprile del 1859 in Firenze, senz’altro l’opera più nota di Fanfani, presentata con successo all’Esposizione Nazionale del 1861. Di quel soggetto di storia moderna il pittore esegue più d’una versione, tuttavia non tralascia i temi in costume; è infatti soprattutto con simili soggetti che egli partecipa, seppur sporadicamente, alle mostre forentine, dove nel 1863 e nel 1864, presenta un numero considerevole di episodi tratti dalla vita di Cimabue, Dante, Donatello, Tasso, Cellini, Milton, Michelangelo. Sul tema di Michelangelo Fanfani sarebbe tornato nel 1878, quando espone a Firenze un quadro di tal soggetto. Dopo quella data le notizie sull’artista si fanno sempre più rade ed è nel 1885 che il suo nome appare un’ultima volta nel catalogo della Promotrice forentina, dove presenta Franciabigio irritato contro i frati dell’Annunziata. (sbi) _ FeRRARI, CARlO (Verona, 1813 - 1871) Avviato a una carriera di restauratore al fanco di Lorenzo Muttoni e Pietro Nanin, comincia a interessarsi da conoscitore del mercato d’arte grazie a Cesare Bernasconi suo protettore. Frequenta in maniera discontinua l’Accademia di Verona, e quindi quella di Venezia. Dalla fne degli anni Trenta, si dedica

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prevalentemente alla veduta animata e al paesaggio, generi che sente congeniali più della pittura devozionale o di storia, di cui tuttavia realizza più esemplari fra i quali San Dionigi battezza re Clodoveo (Verona, Sant’Anastasia). La sua vena narrativa coniuga alla chiarezza della rappresentazione, da vedutista nordico memore degli esempi di Giuseppe Canella, la conversevole affabilità della pittura di genere. Le vedute di Verona, di Piazza delle Erbe in particolare, di Vicenza, o di Venezia, ammirate dalla critica, conquistano un pubblico internazionale. Il successo gli arride alla metà degli anni Quaranta, quando il giovane imperatore Francesco Giuseppe visita il suo studio. Fra i suoi committenti illustri vi sono il maresciallo Radetzky, per cui eseguirà più vedute, il principe Troubetzkoj cui dipinge un Canal Grande e Ca’ d’Oro, e Anatolij Demidov, acquirente di una Piazza delle Erbe a Verona (1851), e che gli richiede una serie di vedute romane, motivo di un suo viaggio compiuto entro il 1854, durante il quale probabilmente sosta a Firenze. Nel 1861 un “modellino” di Piazza delle Erbe è acquistato da Vittorio Emanuele II, forse proprio quello per il dipinto di proprietà Radetzky. Nell’ultimo decennio della vita, l’impegno di conoscitore e mercante lo assorbe sempre più, e di pari passo la sua pittura perde la freschezza e la vivacità che lo aveva reso celebre. (sbi) _ FeSTA, TANO (gAeTANO) (Roma, 1938-1988) Nell’infanzia trascorre un periodo di malattia, e nella stanza con le persiane chiuse fantastica di viaggiare guardando le pareti e viaggiando con il pensiero. Questo periodo sembra rievocato nella sua poesia Il vascello fantasma («Un tempo / come un gagliardo veliero / la prora fendendo / marosi schiumanti di rabbia marina / solcai tutti i mari», vv. 1-5, cit. in Frangi 2011). Scomparso prematuramente come gli amici Mario Schifano e Franco Angeli, una triade forse schiacciata dall’incapacità di tener dietro al proprio prorompente talento, Tano Festa iniziò a dipingere nel 1956 e si fece notare altrettanto presto, anche con poesie che distribuiva ai passanti nel centro di Roma. Si diploma in fotografa all’Istituto d’arte, e nel 1959 espone alla Galleria “L’Appunto” con il gruppo che poi prenderà il nome di Scuola di Piazza del Popolo (Lo Savio, Festa, Angeli, Schifani e Uncini, cui poi si aggiungeranno altri), ma è ancora l’informale che domina nelle loro creazioni. Nella prima personale alla Galleria “La salita” nel 1961, espone porte e fnestre, temi che rimarranno costanti nella sua opera.

Inizia le sue partecipazioni alla Biennale di Venezia già in quella del 1964, che fu la Biennale dell’arte pop americana. Giorgio De Chirico, visitando un giorno una mostra di Tano Festa, abbassò gli occhi e disse di non voler entrare nel caos modernista (cfr. www.youtube.com/ watch?v=HJHJdngOZ_0): è un aneddoto molto simbolico della frattura tra generazioni di artisti. Nel 1963, il fratello di Festa, Francesco Lo Savio, artista anch’egli, si suicida a Marsiglia, lasciando un vuoto incolmabile nella vita di Tano non solo affettiva, ma anche artistica. Subito dopo, l’artista comincia a inserire le immagini di opere di Michelangelo nelle proprie composizioni, di solito trasferendo fotografe su tela emulsionata, cioè resa fotosensibile. Tano Festa fu sostenuto particolarmente dal collezionista Giorgio Franchetti, che lo defniva «il poeta della morte», per la sua capacità di rinchiudersi in una stanza – come morto – per “vedere” il mondo e restituirlo trasfgurato nella propria arte, e da Plinio De Martiis. Nel 1973 iniziò l’abuso di droghe e di farmaci e si ritirò sempre più in studio, per uscirne solo una decina d’anni dopo. L’impatto con il mondo rimane, tuttavia, sempre diffcile per lui, che sembra riuscire a reagire, negli ultimi anni, soltanto vivendo per strada, ai margini, seppure non abbandonato da tutti; d’inverno a Roma e d’estate a Fregene. Il proprio destino Festa lo aveva, d’altronde, visionariamente descritto nel suo Veliero fantasma: «fno a quando una marea più insidiosa delle altre, / buia e densa / frantumerà il vascello / che con uno scoppio lento e stupito / calerà lentamente sul fondo / spargendo / i suoi frammenti / fra le alghe e gli ossi di seppia / e gli altri detriti marini / che la corrente del mattino / porterà lentamente a riva / per depositarsi sulla ghiaia / scintillante al sole del bagnasciuga» (T. FeSta, Il vascello fantasma, in Frangi 2011, vv. 35-48). Bibliografa: Bonito oliva 1988b; Fagiolo Dell’arCo - alFano Miglietti 1993, pp. 619725; CaraMel 1994; Soligo 1997. Sitografa: http://www.youtube.com/ watch?v =HJHJdngOZ_0; T. FeSta, Il vascello fantasma, in Frangi 2011, risorsa web: www.robadachiodi.associazionetestori.it (gb) _ FINN, DAvID (New York, 30 agosto 1921) Cofondatore e presidente della Ruder.Finn, Inc., una delle più grandi agenzie al mondo di comunicazione e pubbliche relazioni, David Finn è pittore, scultore e tra i più prolifci fotograf contemporanei di scultura. Nell’arco della sua carriera ha pubblicato oltre cento volumi fotografci, molti dei quali interamente

dedicati alla scultura, che ripercorrono l’arte dagli Egizi alla statuaria classica, dai grandi maestri del Rinascimento ai più noti artisti contemporanei, europei e americani. Finn si è dedicato molto anche alla saggistica d’arte, pubblicando con la Harry N. Abrams, Inc. libri come How to Visit a Museum, How to Look at Sculpture, How to Look at Photographs e How to Look at Everything. Le sue opere, prevalentemente dipinti e fotografe, sono state esposte in numerose istituzioni internazionali come il Metropolitan Museum of Art a New York, l’Orangerie a Parigi, l’American Cultural Center di Madrid, l’Art Gallery di Toronto, la Columbia University, il Municipal Art Society di New York e numerose gallerie. Suoi articoli sono stati pubblicati da “Roll Call”, “Forbes”, “Fortune”, “Harper’s”, “Saturday Review”, “Harvard Business Review”, “California Business Review”, “Across the Board”, “Management Review” e “Reader’s Digest”. David Finn, membro dell’American Academy of Arts and Sciences, è stato Advisory Council for the National Endowment for the Humanities durante il Governo di Bill Clinton. Presidente del consiglio del Cedar Crest College e direttore emerito del Business Committee for the Arts, ha fatto parte del consiglio dell’Academy of American Poets, dell’American Forum for Global Education, del New Hope Foundation e del MUSE Film and Television. Bibliografa: Finn 1975; hartt 1987; Finn 1989; Finn 2000; Cutler 2005. (sr) _ FuMAgAllI, PAOlO (Milano, 1797 - Firenze, 1873) Comincia a lavorare giovanissimo, ottenendo da subito una discreta fama come incisore all’acquatinta, tecnica che rimarrà la sua preferita per sempre. Non ancora ventenne comincia a collaborare con il forentino Vincenzo Batelli; nel frattempo lavora per altri editori milanesi fra cui Artaria per il quale esegue la Raccolta di XXX vedute da Milano a Ginevra pel Sempione (1822). Nel 1825 si stabilisce a Firenze, dopo un viaggio a Napoli e a Pompei necessario alla esecuzione di un suo libro, Voyage pittoresque, historique et géographique de Rome à Naples e Pompeja (18231825). In Toscana lavora principalmente per Luigi Bardi, ma dal 1830 ha una propria calcografa nei Fondacci di Santo Spirito. Per Bardi incide soprattutto vedute di Firenze, fra le quali la più rinomata è la Veduta generale della città di Firenze presa dalla parte di San Miniato al Monte. Fra le opere da lui realizzate come calcografo ci sono un Atlante storico del cacciatore (1832) e l’Atlante monumentale del

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basso e dell’alto Egitto… etc. di Girolamo Segato (1837). Nel 1846 vende la tipografa – traslocata nel frattempo in via Sant’Apollonia – a Giuseppe La Farina, ma di fatto è lui che continua a dirigerla; vi pubblica il giornale “L’Alba” di chiare tendenze risorgimentali. Dal 1849 al 1854 è in Oriente: a Costantinopoli e in Egitto. Dopo l’unità d’Italia rallenta l’attività di editore, e si dedica con poca fortuna all’edilizia e al mercato immobiliare. (sbi) _ guIllOT SAgueZ, AMÉlIe (?, 1810 - Koléah, 1864) Pittrice e moglie, dal 15 gennaio 1835, del medico Jacques-Michel Guillot, insieme al marito si dedica alla fotografa dal 1844. Menzionati in “La Lumière” come «M. Guillot-Saguez» o «Mr. Le Docteur Guillot-Saguez», dei due, Jacques-Michel era probabilmente quello che si occupava della parte tecnica e delle sperimentazioni e Amélie era invece l’autrice materiale delle immagini, che sono frmate infatti «A. Guillot Saguez». I Guillot-Saguez sono presenti negli annuari professionali dal 1844 come dagherrotipisti, con un indirizzo in “rue Vivienne”. Nel 1847 pubblicano a Parigi il Méthode théorique et pratique de photographie sur papier, con lo scopo di semplifcare il metodo di Talbot e ottenere risultati più costanti. L’obiettivo è lo stesso perseguito in quegli anni da Blanquart-Evrard, il cui procedimento su carta umida è oggetto di un primo comunicato da parte dell’Accademia delle Scienze di Parigi nel gennaio del 1847. È assai probabile che Blanquart-Evrard e i GuillotSaguez siano in contatto, poiché questi ultimi si riforniscono, a partire dal 1846, dall’ottico Charles Chevalier, il primo a diffondere l’insieme delle procedure di preparazione di carte negative proposte da Blanquart-Evrard. Altro punto di contatto tra i due sperimentatori è Victor Regnault, membro dell’Accademia dal 1840 e perciò iniziato nell’aprile del 1847 a tutti i dettagli del nuovo procedimento di Blanquart-Evrard, al quale era sicuramente noto anche il lavoro dei Guillot-Saguez, come testimoniano alcune loro fotografe presenti nell’album personale di Regnault conservato alla Societé française de photographie. La presenza di Amélie Guillot-Saguez in Italia tra il 1845 e il 1847 è attestata anche da alcune delle sue stampe da negativo calotipo presenti nell’album di Regnault: il ritratto di pifferaro scattato nel Regno di Napoli è datato 1846, il Mosè di San Pietro in Vincoli al 24 febbraio 1847, una veduta di un acquedotto è datata 1847 e allo stesso anno può essere attribuito uno scatto della chiesa di Santa Maria in Cosmedin. Rientrata a Parigi, nella primavera

del 1847, Amélie viene ricevuta dalla regina Maria Amelia che le consegna una decorazione. Nel 1849 i Guillot-Saguez ricevono una medaglia di bronzo per le loro fotografe presentate all’Esposizione dei Prodotti dell’Industria di Parigi: in particolare, nel rapporto della giuria stilato da Léon Laborde, la fotografa del Mosè di Michelangelo, realizzata in condizioni di luce insuffcienti, è elogiata e considerata una vera prodezza tecnica. Dalle recenti ricerche del pronipote della coppia, Pierre-Yves Guillot, si è appreso che Amélie si rifugiò in Italia per poi raggiungere, nel 1860, il marito in esilio in Algeria, dove entrambi sono stati poi sepolti. Bibliografa: Cartier-BreSSon et al. 2003, pp. 24, 26; auBenaS 2010, pp. 281-282; Éloge 2010, p. 25. (cr) _ hÖFeR, CANDIDA (Eberswalde, 1944) Figlia di Werner Höfer, giornalista tedesco, Candida Höfer inizia a occuparsi di fotografa nel 1968 quando lavora come ritrattista per alcuni giornali. Dal 1970 al 1972 è assistente del fotografo Werner Bokelberg ad Amburgo e studia la tecnica della dagherrotipia e nel 1973 viene ammessa alla Kunstakademie Düsseldorf per studiare regia. Qui, dopo tre anni, cambia corso di studi e passa alla classe di fotografa condotta da Bernd Becher. Insieme a Thomas Ruff – con lei a Düsserdolf negli stessi anni – Höfer è tra i primi studenti di Becher ad utilizzare il colore e le diapositive e già agli anni universitari risalgono le sue immagini di interni di edifci pubblici, come uffci, banche e sale d’attesa. I primi riconoscimenti arrivano con una serie fotografca sui lavoratori stranieri in Germania e, nel 1975, Höfer ottiene la sua prima mostra personale alla Konrad Fischer Galerie di Düsseldorf. A partire dagli anni Ottanta, si concentra su quelli che saranno i soggetti principali della sua indagine fotografca: spazi pubblici come musei, librerie, archivi nazionali o teatri sempre ripresi privi di presenze umane. Da quel momento il suo lavoro si organizza prevalentemente in serie fotografche, spesso, intitolate con il luogo dove sono state realizzate e caratterizzate dal grande formato e da una forte somiglianza nell’organizzazione formale. Nell’arco della sua carriera Candida Höfer ha esposto in istituzioni di tutto il mondo come, tra le altre, il Museum Folkwang di Essen, il Rheinisches Landesmuseum di Bonn, la Galerie de l’École des Beaux-Arts di Valenciennes, il Centro de Fotografía dell’Universidad de Salamanca, il Museum of Contemporary Photography di

Chicago, la Kunsthalle Nürnberg, la Kunsthalle Bremen, il Guggenheim Museum di Bilbao, il Musée du Louvre, l’Irish Museum of Modern Art di Dublino, il Norton Museum of Art, la Kunsthaus Hamburg, il Power Plant in Toronto, la Kunsthalle Basel e il Portikus di Frankfurt am Main. Ha realizzato molte serie fotografche anche in Italia, come a Roma, Bologna, Firenze e Napoli. Dal 1997 al 2000 ha insegnato alla Hochschule für Gestaltung di Karlsruhe e ha rappresentato la Germania alla 50.Biennale di Venezia insieme all’artista Martin Kippenberger. Oggi vive a Cologne. Bibliografa: hoFMann et al. 1999; glenn et 2004; Kruger 2004; eCo 2006; aCiDini et al. 2009; heinzelMann et al. 2009; höFer 2013. (sr) al.

_ hORST, P. hORST [PAul AlbeRT bOhRMANN] (Weissenfels-an-der-Saale, 14 agosto 1906 - Palm Beach Garden Florida, 18 novembre 1999) Nato in una ricca famiglia della medio borghesia tedesca, in una piccola città nel centro della Germania, Horst trascorre l’adolescenza frequentando gli studenti del Bauhaus e si trasferisce a Parigi nel 1930. Dopo gli studi architettura alla Kunstgewerbeschule di Amburgo si reca in Francia per un tirocinio con Le Corbusier, nel cui studio lavora per diversi mesi. Inizia a frequentare gallerie e artisti e lo stesso anno incontra George HoyningenHuene e comincia a lavorare come suo assistente, talvolta come modello. Del 1931 è il suo primo lavoro per “Vogue”, queste prime immagini, per lo più nature morte, fotografe di gioielli e di accessori vari, sono molto vicine al classicismo stilistico di Heune. Nel 1932 ottiene la sua prima mostra personale alla galleria La Plume d’Or di Parigi e nel 1938 una selezione di suoi ritratti e di studi sulla moda viene esposta a New York dalla galleria Germain Seligman. Allo scoppio della guerra, Horst decide di trasferirsi negli Stati Uniti, nel 1940 fa richiesta della nuova cittadinanza e nel 1943 si arruola nell’esercito americano e cambia il suo nome in Horst P. Horst. Nel 1944 pubblica il suo primo libro Photographs of a Decade in cui sono raccolti gli studi sulla moda e i ritratti e nel 1946 Pattern of Nature, un libro di 90 fotografe in bianco e nero di fori e piante. Nel corso degli anni Cinquanta, viaggia intensamente, si reca in Siria, Iran e Israele ed è più volte in Italia, a Roma e Venezia. Negli anni Sessanta, incoraggiato dal nuovo capo redattore di “Vogue” Diana Vreeland, fotografa gli interni delle case di lus-

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so dell’alta società internazionale e nel 1968 esce la pubblicazione Vogue’s Book of Houses, Gardens, People. Con Vreeland lo stile di Horst acquista nuova vitalità e negli anni Settanta il fotografo raggiunge i massimi livelli della sua carriera. Molti musei ed istituzioni internazionali gli dedicano delle esposizioni, pubblica il volume Salute to the Thirties con ritratti suoi e di Heune e nel 1972 viene invitato da Luchino Visconti sul set di “Morte a Venezia” per realizzare qualche scatto. Nel 1989 l’International Center of Photography di New York gli dedica una grande retrospettiva e nel 1991 espone al Palais du Louvres, Musée des Arts de la Mode. Tra le varie pubblicazioni: Horst, His Work and His World (1984); Horst: Interiors (1993), Horst P Horst: Magician of Lights (1997). Bibliografa: FuSo et al. 1985; KazMaier 1991. Sitografa: www.horstphorst.com (sr) _ hORvAT, FRANk (Abbazia [ora Opatija], 28 aprile 1928) Nato ad Abbazia, in Istria, quando ancora era territorio italiano, nel 1928, da padre medico e madre psicoanalista, Frank Horvat si trasferisce nel 1939 a Lugano. In Svizzera, dove frequenta il liceo, si avvicina alla fotografa, barattando la propria collezione di francobolli con una Kodak Retina 35mm. Finita la guerra, nel 1947, si trasferisce a Milano dove studia arte all’Accademia di Brera e lavora in uno studio pubblicitario prima di comprare una Rolleicord e iniziare a lavorare come freelance per diverse riviste italiane, tra le quali “Bellezze d’Italia”. Al 1950 risale il suo primo viaggio a Parigi, durante il quale incontra Henri CartierBresson e Robert Capa. Negli anni successivi realizza una serie di reportage, per alcune tra le più note riviste internazionali, da “Life” a “Picture Post” a “Paris Match”: tra i più noti quelli in Pakistan e India. Nel 1955 si trasferisce defnitivamente a Parigi, dove ancora vive. Dal 1957 al 1989 si dedica principalmente alla fotografa di moda, lavorando tra gli altri per “Jardin des Modes”, “Elle”, “Vogue” e “Harper’s Bazar”. Dal 1958 al 1961 milita come associato nell’agenzia Magnum Photos. All’inizio degli anni Sessanta pubblica i due libri fotografci J’aime le Streeptease (1962) e J’aime la Television (1962), i primi dei molti progetti editoriali, spesso tematici, che vedranno la luce negli anni successivi e tra i quali si ricordano Le bestiaire d’Horvat (1994), 1999, a daily report, Very Similar (1999). Dagli anni Novanta utilizza anche il digitale e nel 2010 ha iniziato a lavorare alla prima appli-

cazione per iPad sulla fotografa interamente ideata dallo stesso autore delle fotografe. Nel corso della sua lunga carriera ha esposto nei più importanti musei e gallerie internazionali; tra le sue personali si ricordano: Muslim wedding, in The Family of Man (New York, MoMA, 1955); Trees (New York, ICP, 1979); Le Bestiaire d’Horvat (Parigi, Centre National de la Photographie, 1994); Retrospective exhibition (Boulogne Billancourt, Espace Landowski, 2006); Retrospettiva (Lugano, Galleria BSI, in occasione del suo Premio del Centenario); No repeat (Udine, Galleria Tina Modotti, 2010). Bibliografa: A Daily Report 1999; horvat 1999; Labyrinthe Horvat 2006; Frank Horvat 2010; Housewith 15 Keys 2013. Sitografa: www.horvatland.com; Applicazione iPad: horvatlanD (I-tube). (cr) _ kI-Duk, kIM (Bonghwa, 20 dicembre 1960) Originario della regione del Kyonshang in Corea del Sud, a soli undici anni, fnita la scuola dell’obbligo, è costretto a lavorare come operaio in fabbrica fno all’età di vent’anni, quando si arruola nella marina militare. Durante i cinque anni di servizio militare si avvicina molto alla religione. Nel 1990 si trasferisce a Parigi dove coltiva la passione per la pittura, si mantiene vendendo i propri quadri e si avvicina gradualmente al cinema. Dopo alcune esperienze da sceneggiatore – il testo di A painter and a criminal condemned to death gli vale il premio dell’Educational Institute of Screenwriting – nel 1996 debutta alla regia con Crocodile, ma il successo internazionale arriva nel 2000, con la sua opera quinta, L’Isola, presentata alla Mostra internazionale d’arte cinematografca di Venezia. Negli anni successivi, Primavera, estate, autunno, inverno… e ancora primavera (2003) riscuote un buon successo di pubblico; La samaritana (2004) riceve l’Orso d’Argento al Festival di Berlino come miglior regista; Ferro 3 – La casa vuota (2004) riceve il Leone d’Argento-Premio speciale per la regia alla 61a Mostra internazionale d’arte cinematografca di Venezia. Con Pietà (2012), ha vinto il Leone d’Oro alla 69aºMostra internazionale d’arte cinematografca di Venezia. Nel 2013 ha presentato, fuori concorso, alla 70a Mostra internazionale d’arte cinematografca di Venezia il suo ultimo flm Moebius. Bibliografa: Bellavita 2006; Morello 2006. (cr)

_ kNORR, kAReN (Francoforte, 1954) Nata in Germania, Karen Knorr cresce a San Juan, Porto Rico e studia prima a Parigi e poi a Londra. Ha insegnato, tenuto conferenze ed esposto in istituzioni di tutto il mondo tra le quali la Tate Britain, la Tate Modern, l’University of Westminster, il Goldsmiths, Harvard e l’Art Institute di Chicago; attualmente insegna fotografa alla University for the Creative Arts a Farnham nel Surrey. Il suo lavoro trae origine dal dibattito sulla politica della rappresentazione emerso alla fne degli anni Settanta e rifette i suoi interessi nell’arte concettuale, gli studi sul femminismo e la cultura visiva contemporanea. Nelle sue opere Knorr utilizza varie strategie narrative e visive, dalla fotografa documentaria al collage, al video, all’uso di testi a quello di didascalie per affrontare soggetti a lei cari come la famiglia, il costume, le convenzioni sociali e l’istituzione museale. Tra le sue serie fotografche vi sono: Belgravia (1971-1981) nella quale indaga la società inglese nell’epoca del neo liberalismo di Margaret Thatcher; Connoisseur (1986-1988) sul tema dell’autenticità artistica; Academies (1994-2001), realizzata all’interno di alcune accademie e musei di tutta Europa; Fables (2004-2008), dove tre racconti classici vengono intrecciati con la cultura pop contemporanea e ambientati all’interno di alcuni musei e siti di interesse. Il suo lavoro più noto Gentlemen (1981-1983), realizzato al Saint James club di Londra, indaga i valori conservativi e patriarcali durante la guerra delle isole Falkland. Negli ultimi anni, in seguito a un viaggio in India, Knorr sta portando avanti diversi progetti sul continente indiano. Le sue fotografe sono presenti nelle maggiori collezioni internazionali e in molti musei tra cui il Centre Georges Pompidou, il Moderna Museet, il Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris, il National Museum of Modern Art di Kyoto, il San Francisco Museum of Art, l’Uppsala Museum of Modern Art e il Victoria & Albert Museum. Bibliografa: noBle 1984; Knorr 2008. Sitografa: www.karenknorr.com (sr) _ lÊ, AN-My (Saigon, 1960) Nata in Vietnam, An-my Lê si trasferisce negli Stati Uniti all’età di quindici anni insieme alla sua famiglia, come rifugiata politica. Studia prima biologia alla Stanford University e poi fotografa alla Yale University. Alla

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fne degli anni Ottanta lavora come fotografa in un’associazione di artisti di base a Parigi, i Compagnons du Devoir, e viaggia molto attraverso la Francia dedicandosi alla fotografa di architettura e alla documentazione del restauro di alcune chiese e cattedrali. Qualche anno dopo il suo lavoro inizia a essere più autobiografco e, una volta ristabilite le relazioni tra Vietnam e Stati Uniti, riceve una borsa di studio per fare ritorno nel suo paese d’origine. È il 1994 e dal quel momento in poi, per quasi dieci anni, Lê si dedica a documentare prima il paese e la cultura e, poi, la memoria e la rappresentazione della guerra, attraverso la fotografa e il flm. A partire da queste ricerche realizza, tra il 1994 e il 1998, Viêt Nam, un progetto fotografco all’interno del quale la sua memoria infantile del paesaggio vietnamita viene messa a confronto con il presente; tra il 1999 e il 2002 Small Wars dove mette in scena e partecipa in prima persona a un reenactment della guerra; tra il 2003 e il 2004, 29 Palms nel quale ritrae, all’interno di una base militare nel Sud della California, un gruppo di marines impegnato in un’esercitazione per la guerra in Iraq. Lê ha presentato il suo lavoro nelle più importanti istituzioni internazionali come il Metropolitan Museum of Art (2001), il P.S.1. Contemporary Art Center (2002), l’International Center of Photography di New York (2004), il Museum of Contemporary Photography di Chicago (2006), il San Francisco Museum of Modern Art (2006), la DIA: Beacon (2007-2008) e il MoMa (2010). Nell’arco della sua carriera è stata premiata numerosa volte, tra le altre, dalla New York Foundation for the Arts nel 1996, la John Simon Guggenheim Memorial Foundation nel 1997 e la Louis Comfort Tiffany Foundation nel 2010. Nel 2007 è stata protagonista della serie Art 21 della PBS Television. Attualmente è assistente professore di fotografa al Bard College e vive a New York City. Bibliografa: Small Wars 2005. (sr) _ lIST, heRbeRT (Amburgo, 7 ottobre 1903 Monaco, 4 aprile 1975) List nasce in una famiglia di commercianti. Negli anni Venti frequenta l’Università di Heidelberg, dove studia storia dell’arte e letteratura e inizia ad appassionarsi di poesia lirica, antica e romantica. Legge Novalis, Omero e Platone ed è affascinato dalla Grecia classica. Terminati gli studi, inizia a lavorare nella ditta di famiglia, la List & Heineken, grazie alla quale viaggia molto, soprattutto negli Stati Uniti e in America Centrale. All’inizio

degli anni Trenta, dopo l’incontro a Dessau con Andreas Feininger, inizia a fotografare. I soggetti prediletti sono le strade di Amburgo, lo sport, il gioco, le nature morte e soprattutto i ritratti. Incoraggiato dall’amico inizia a dedicare sempre più tempo alla fotografa e ispirandosi alla pittura surrealista e metafsica, le sue composizioni si fanno più complesse, inizia a padroneggiare l’uso della luce e amare i contrasti forti. Tra il 1933 e il 1934 viaggia in Italia, Francia meridionale e Tunisia, nel 1935 pubblica la sua prima fotografa Amor I, Hammamet 1934 su “Photographie (Arts et Metiers Graphiques, Paris)”. Lo scoppio del nazismo lo costringe ad abbandonare la Germania e l’azienda di famiglia per trasferirsi a Londra e Parigi dove comincia a guadagnarsi da vivere come fotografo e incontra, tra gli altri, Jean Cocteau e George Hoyningen-Heune. Nel 1937 compie il suo primo lungo viaggio in Grecia, che si rivela essere l’inizio di un intenso lavoro sulle sculture, il paesaggio e l’architettura dell’Ellade classica. Le prime fotografe della Grecia insieme con quelle scattate in Germania, a Londra e a Parigi vengono esposte alla Galérie du Chausseur d’Images di Parigi, con lo pseudonimo di Gil. La mostra ha successo e List inizia a collaborare con “Harper’s Bazaar”, “Verve”, “Photographie” e “Life”. Pubblica un piccolo volume dal titolo Le voyage en Grèce e prende accordi con l’editore per pubblicare Licht uber Hellas che uscirà solo nel 1953. Nel 1941, poco dopo l’entrata delle truppe tedesche nel paese, lascia Atene per fare ritorno in Germania. Tra il 1941 e il 1945 vive a Monaco, dove subisce molte restrizioni alla sua attività di fotografo e viene assunto come fotoreporter dal governo militare americano e diventa redattore d’arte della rivista americana di lingua tedesca “Heute”. Nel dopoguerra ritorna più volte in Francia, dove continua a ritrarre gli artisti e in Italia, dove nell’estate del 1949, per il secondo centenario della nascita di Goethe, ricostruisce fotografcamente il suo viaggio in Italia. Dal 1950 al 1956, su invito di Robert Capa, collabora con l’agenzia Magnum Photos. Sempre all’inizio degli anni Cinquanta, è più volte in Italia dove collabora la rivista “Epoca” e scatta fotografe per una serie su Roma che verrà pubblicata a Monaco nel 1955. Pubblica Rom (1955), Caribia (1958), Nigeria (sculture) (1961). Nel 1964 viene insignito della medaglia David Octavius Hill della Gesellschaft Deutscher Lichtbildner del museo Folkwang a Essen, proprio in quegli anni però, il suo interesse nei confronti della fotografa diminuisce e si dedica principalmente al collezionismo. Rinuncia a richieste per retrospettive e per mostre. La rivista “Du” gli dedica un numero speciale in occasione del suo settantesimo compleanno. Muore a Monaco nel 1975.

Bibliografa: List 1983; liSt 1995; SCheler 1995; List 2000; harDer et al. 2002. (sr) _ lISTRI, MASSIMO (Firenze, 1954) Massimo Listri nasce nel 1954 a Firenze, dove tuttora vive e lavora. Tra i massimi fotograf d’interni contemporanei, collabora con le più importanti riviste del settore “AD” e “FMR”, della quale nel 1981 è stato uno dei fondatori insieme a Vittorio Sgarbi, e con frequenza a molti periodici stranieri, tra gli altri “Connaissance des Arts”, “Beaux Arts” e “L’Œil”. Dai primi anni Ottanta a oggi Listri ha pubblicato oltre 50 volumi fotografci, tra i quali vanno ricordati: L’India dei Rajah (1984), Ville toscane (1993), Le dimore del genio (1996), Ville e Palazzi di Roma (1998), Il Fascino del Museo (1999), Napoli segreta (2002), Le case dell’anima (2005), Versailles (2006) e, tra le ultime edizioni, Grand Interiors (2012) e Insula Sapientes (2012). Ha esposto in numerose istituzioni pubbliche e private, in Italia e all’estero. Tra le sue personali si ricordano: Massimo Listri. Fotografe (Milano, Palazzo Reale, 2008); Le Bellezze di Firenze. Spazi e Musei d’arte nelle fotografe di Massimo Listri (Firenze, Palazzo Pitti, Sala Bianca, 2009); Massimo Listri. En perspectiva: el vacío interior (Buenos Aires, Museo de Arte Moderno, 2012); Massimo Listri. Perspectivas & Interiores (Santo Domingo, Galeria National de Bellas Artes, 2013); Massimo Listri. Prospettive (Mosca, Schusev State Museum of Architecture, 2013); Massimo Listri. Brasile (Roma, Auditorium della Musica, 2013). Sitografa: www.massimolistri.com. (cr) _ MACPheRSON, RObeRT (Edimburgo, 1811 - Roma, 1872) Considerato da Helmut Gernsheim uno dei più illustri fotograf d’architettura e di scultura nella storia della fotografa, MacPherson è stato dapprima chirurgo a Edimburgo, ma anche pittore e antiquario. Per un lungo periodo rifornisce di antichità le gallerie e i musei inglesi e il suo ritrovamento più noto e importante è quello del dipinto incompiuto di Michelangelo, la Sepoltura di Cristo, oggi conservato alla National Gallery di Londra, casualmente rinvenuto sulla bancarella di un ambulante a Londra. Nel 1840 MacPherson si trasferisce per motivi di salute a Roma, dove esercita come pittore aprendo un primo studio “in Via Gregoriana n. 38, secondo piano”,

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dal quale si trasferisce poi svariate volte negli anni successivi. Nel 1851 comincia a interessarsi di fotografa trascinato dall’entusiasmo di un amico, medico e dilettante fotografo, in visita a Roma. In breve tempo, dedicatosi interamente alla professione, MacPherson riesce a superare anche l’affermatissimo connazionale James Anderson e nel 1856 arriva per lui un importante riconoscimento: il professor Paolo Volpicelli invia all’Accademia delle Scienze di Parigi, per conto del governo pontifcio, una prova riproducente il gruppo del Laocoonte per dimostrare i livelli di perfezione e qualità raggiunti dalla fotografa a Roma. Nel 1957 MacPherson partecipa con successo all’esposizione della Società Fotografca di Scozia e l’anno successivo dà alle stampe il suo primo catalogo con 163 fotografe. Ormai affermato, si sposta anche fuori Roma dove realizza vedute, tra le altre località italiane, di Nepi, Perugia, Frascati, Orvieto, Tivoli, Capri. Porta inoltre avanti il progetto di fotografare i principali capolavori di scultura dei Musei Vaticani, adottando una tecnica mista di collodio e albumina a essiccamento molto lento, necessaria data la scarsa luminosità di certi ambienti e che gli permette pose lunghe. Nel 1863 pubblica un nuovo catalogo a stampa che raccoglie 305 fotografe e, contemporaneamente, in Inghilterra fa stampare il catalogo dal titolo Vatican sculptures, selected, and arranged in the order in which they are found in the galleries, briefy explained by Robert MacPherson dove le 300 fotografe delle più famose sculture conservate ai Musei Vaticani sono corredate da piccole incisioni ricavate dai disegni eseguiti dalla moglie Geraldine a partire dalle stesse fotografe e da descrizioni desunte dalla più autorevole letteratura artistica dell’epoca, da Winckelmann a Visconti, a Flaxman. Muore a Roma nel 1872. Bibliografa: gernSheiM 1962, pp. 44, 241; Fotografa Italiana 1979, pp. 162-163; BeCChetti 1983, pp. 319-320; CrawForD 1999; CartierBreSSon et al. 2006, p. 249. (cr) _ MANNellI, ANChISe (Firenze, 11 gennaio 1858 29 settembre 1925) Figlio di un fornaio di origini contadine e rimasto orfano molto giovane, Anchise Mannelli inizia a lavorare presso lo Stabilimento Brogi dove, sotto la guida dell’operatore capo Nardini, apprende i segreti del mestiere e nel giro di pochi anni diventa uno degli operatori più apprezzati. Quando nel 1878 si presenta al Distretto

Militare di Firenze per la leva, viene riconosciuto come “fotografo” e per questo assegnato all’Istituto Geografco Militare. Negli atti costitutivi della Società Fotografca Italiana del 1889 Mannelli risulta essere “Socio effettivo” e nel 1893 risulta anche iscritto negli Annali Generali della Fotografa e inserito negli elenchi dell’Annuaire général et International de la Photographie pubblicato nello stesso anno a Parigi. Nell’ottobre del 1894, dopo l’ultima campagna fotografca eseguita al Museo Nazionale del Bargello per conto dello Stabilimento Brogi, Mannelli decide di mettersi in proprio associandosi con il cognato Carlo Reggioli: il primo documento che testimonia la sua nuova attività autonoma è una lettera nella quale il direttore degli Uffzi richiede al Ministro dell’Istruzione Pubblica il permesso di autorizzazione per il «fotografo Anchise Mannelli, già operatore dello Stabilimento Brogi» a fotografare centosette quadri della Galleria. L’attività della ditta “Mannelli e Reggioli” non si limita soltanto a Firenze e nel 1896 abbiamo notizia di una loro campagna fotografca a Venezia. Dal 1902 la ragione sociale della ditta cambia in “Anchise Mannelli e Co.” e nel 1903 al fotografo forentino viene commissionato un servizio nel museo di Dresda, primo di alcuni musei stranieri dove Mannelli avrà occasione di lavorare. Nel 1908 Giuseppe Poggi dà incarico a Mannelli di fotografare le statue che avevano fatto parte della facciata del Duomo di Firenze, allora conservate al Museo dell’Opera del Duomo, alla Galleria degli Uffzi, ma anche a Poggio Imperiale e in alcune ville private: le riproduzioni fotografche avrebbero dovuto illustrare i tre volumi di un’importante pubblicazione commissionata all’architetto dal Kunsthoistorische Institut in Florenz e le lastre originali sono oggi conservate nell’archivio dello stesso istituto. Agli anni 19101917 risale la campagna fotografca, commissionatagli dal direttore degli Uffzi, per riprodurre i disegni conservati nel Gabinetto dei Disegni e delle Stampe. Dal 1914 si ha notizia dell’estensione dell’attività della ditta anche all’editoria specializzata e a quell’anno sembra databile anche il «Catalogo delle fotografe artistiche pubblicate da Anchise Mannelli e Co. – Fotograf Editori». Dopo la sua morte, nel 1925, la ditta gli sopravvive, non senza diffcoltà, cessando poi defnitivamente l’attività commerciale nel 1940, anno in cui la Società Anonima Fratelli Alinari I.D.E.A. ne acquista l’archivio, i macchinari, le attrezzature, il mobilio e quanto altro contenuto nel laboratorio di via San Niccolò. Bibliografa: DaDDi 1991. (cr)

_ MAPPleThORPe, RObeRT (Floral Park, New York, 4 novembre 1946 - Boston, 9 marzo 1989) Giovanissimo, a sedici anni, Mapplethorpe si trasferisce a Brooklyn per studiare arti grafche, pittura e scultura al Pratt Institute. I suoi primi disegni rifettono l’interesse per William Blake e il Surrealismo mentre al periodo tra il 1969 e il 1972 risalgono i primi collages in cui ricorre all’iconologia cattolica e alla magia nera e assembla fotografe ritagliate prevalentemente dalle riviste pornografche. Progetta anche istallazioni di grandi e piccole dimensioni che si ispirano a Duchamp e Cornell. Agli anni del Pratt Institute risale l’amicizia con Patti Smith, con la quale si trasferisce al Chelsea Hotel, frequentandola per molti anni e frmando alcune copertine dei suoi album e un suo libro di poesie Mapplethorpe inizia a fotografare a partire dagli anni Settanta con una macchina Polaroid. Nel 1971, grazie all’incontro con John McKendry, allora curatore del Metropolitan Museum, si appassiona alla storia della fotografa e comincia a collezionare. Il suo primo acquisto è un libro di originali del barone von Gloeden che scopre su indicazione di Sam Wahstaff, ex conservatore di pittura e scultura contemporanea al Detroit Institute of Arts, e suo compagno. McKendry gli regala anche una nuova Polaroid, invitandolo a concentrarsi sui ritratti, e Mapplethorpe ottiene una piccola borsa di studio dalla Polaroid Corporation. Sempre nel 1971 viene allestita al Chelsea Hotel una sua mostra di collages e istallazioni, mentre nel 1973 espone per la prima volta le sue Polaroid, in una collettiva a cui partecipano anche Brigid Polk e Andy Warhol e nel 1976 ottiene la sua prima personale alla Light Gallery. I soggetti principali di quegli anni sono scene erotiche, fori e ritratti. Ben presto decide di perfezionare la sua tecnica fotografca, inizia a lavorare con una Hasselblad e realizza le sue prime decalcomanie colorate: l’arcivescovo di Canterbury, Patti Smith, John McKendry e Allen Ginsberg. Del 1978 è la sua prima personale alla Robert Miller Gallery, futura sede di molte sue mostre, tra cui, nel 1981, Black Males. A partire da quel momento i suoi lavori, dai fori alle fgurazioni sadomasochiste, iniziano a essere esposti dalle più importanti istituzioni internazionali, come l’Institute for Contemporary Photography di New York nel 1977. Nel 1980 incontra per la prima volta Lisa Lyon, prima campionessa mondiale di bodybuilding femminile, con la quale inizia una lunga collaborazione, che culminerà con la pubblicazione di Lady (Vilking Press, 1983) e con una mostra da Leo Castelli. Nell’ottobre del 1980 espone a Venezia, a Palazzo Fortuny,

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con una mostra che desta molte polemiche e viene vietata ai minori di diciotto anni. Nel 1982 Sotheby Park Bernet batte all’asta la sua collezione privata, Mapplethorpe continua, però, a collezionare fotografa contemporanea, design degli anni Cinquanta, ceramica, bicchieri e mobili italiani. Realizza progetti artistici per “Artforum”, “Art in America” e collabora con “Vanity Fair”, “House and Garden”, “Stern”, “Interview”, “Elle”. Nel 1985 inizia la sua produzione di stampe al platino e pubblica Certain People: A Book of Portraits. Nel 1986 Richard Marshall gli commissiona i ritratti per il libro 50 New York Artists. Due anni dopo il Whitney Museum gli dedica una retrospettiva e l’Institute of Contemporary Art di Philadelphia organizza The Perfect Moment, una mostra itinerante che desterà furibonde polemiche e questioni legali. Prima della sua morte per AIDS nel 1989, Mapplethorpe istituisce la Robert Mapplethorpe Foundation che elargisce fondi per la ricerca medica sull’AIDS e per progetti istituzionali di fotografa. Bibliografa: MarShall 1988; Celant 1992; Mapplethorpe 1992; Celant 2005. Sitografa: www.mapplethorpe.org (sr) _ MATISSe, heNRI (Le Cateau, 1869 - Cimiez, Nizza, 1954) Dopo una malattia, nel 1889 decise di lasciare lo studio di avvocato in cui lavorava per dedicarsi alla pittura. Il suo apprendistato si svolse all’Académie Julian con Bouguereau, alle Beaux-Arts e nello studio di Gustave Moureau, nel continuo desiderio di perfezionarsi e di sperimentare. Nel 1896 entra nella Société Nationale e comincia a esporre regolarmente: lo Stato francese acquista due suoi dipinti, che rimarranno le uniche acquisizioni statali durante la vita di Matisse. Nel 1897-1898 visita il pittore John Peter Russell che lo introduce all’Impressionismo e alla pittura di Van Gogh, allora sconosciuto. In seguito Matisse affermò di aver appreso la teoria del colore proprio da Russell. Dopo quel soggiorno, la sua tavolozza si schiarisce. Nell’inverno 1897 espone al Salon senza alcun successo. In questi anni la sua tecnica risente del pointillisme di Signac, ma l’intento di Matisse è diretto soprattutto all’essenzialità del colore. Nel 1894 nasce la fglia Marguerite, che vivrà sempre con lui. Nel gennaio 1898, dopo soli tre mesi dalla conoscenza, sposa Amélie Noaille, che per quattro anni potrà mantenerlo con il suo lavoro di modista, ma nel 1902 uno scandalo fnanziario travolge la famiglia di lei, e Matisse con moglie e fgli (Jean, nato nel 1899, e Pierre

nel 1900) deve tornare a vivere nella città dei genitori. Nel 1899, inizia a praticare anche la scultura. Nello stesso anno acquista un busto in gesso di Rodin, il Ritratto di Henri Rochefort, e fa visita allo scultore che, tuttavia, lo scoraggia. In pittura si applica allo studio delle opere di Cézanne, in particolare alle nature morte, e considererà sempre di dover molto agli insegnamenti tratti da tali esempi. All’inizio del secolo, tuttavia, è sul punto di lasciare l’arte. Fu forse l’incarico di dipingere un fregio per l’Esposizione Universale al Grand Palais a ridargli fducia. Nell’estate 1905 soggiorna con Dérain a Colliure nel Sud della Francia, e al Salon d’Automne, quello stesso anno, in una sala sono raccolti Matisse, Derain, Vlaminck, Marquet, Rouault e altri, che da quel momento saranno chiamati fauves. L’anno dopo Léon Stein acquista il suo Joie de vivre. Incontra Picasso e Gertrude Stein, e si interessa all’arte africana. Il suo Nu bleu (1906), è tra le fonti delle Demoiselles d’Avignon. Nell’estate 1907 viaggia in Italia con gli Stein, e visita Firenze; l’anno successivo Stieglitz e Steichen organizzano la prima mostra di Matisse a New York, alla Photo Secession (Galleria 291). Nel primo dopoguerra si trasferisce a Cimiez, nei pressi di Nizza. Nel 1924 fa un viaggio in Italia meridionale. Nel 1930 va per la prima volta negli Stati Uniti e ne rimane affascinato, tanto che in breve tempo vi soggiorna a più riprese. Visita anche Tahiti, e ne trae spunti per le opere successive. Nel 1937 fa scenografe per i Balletti Russi. Nel 1941-1942, mentre infuria la guerra, cade gravemente ammalato, ma si riprende. Nel secondo dopoguerra sperimenta la guache decoupée e l’arazzo. (gb) _ MIlI, gJON (Korçë, 28 novembre 1904 Stamford, 14 febbraio 1984) Mili, «l’albanese geniale», come l’ha defnito Sean O’Casey, arriva negli Stati Uniti nel 1923. Quindici anni dopo inizia a collaborare con la rivista “Life”, avviando un connubio professionale che durerà sino alla sua morte. Gli incarichi per la rivista lo portano in Francia dove fotografa Picasso in Costa Azzurra e Pablo Casals durante il suo esilio a Prades; in Israele per documentare il processo e l’esecuzione di Adolf Eichmann; a Firenze, Atene, Dublino, Berlino, Venezia, Roma e Hollywood dove fotografa celebrità, artisti, concerti, eventi sportivi e culturali. Negli anni Quaranta collabora con Edward Weston come suo assistente. Insieme a Harold Eugene Edgerton del Massachusetts Institute of Technology (MIT), Mili è stato uno dei pionieri nell’uso dello stroboscopio, attraver-

so il quale riusciva a immortalare sequenze di azioni in un unico fotogramma. Nel 1944 ha utilizzato le immagini multiple ottenute con lo stroboscopio per il cortometraggio Jammin’ the Blues, nel quale ha immortalato le performances di alcuni tra i musicisti contemporanei più famosi, da Lester Young a Jo Jones. È stato anche uno dei primi a utilizzare il fash elettronico e le luci stroboscopiche per la realizzazione delle sue fotografe. Nell’arco della sua lunga carriera, Mili ha realizzato numerosi reportages e documentato alcuni tra gli eventi più signifcativi del Novecento, ma la sua notorietà si deve soprattutto ai ritratti di artisti, divi, politici e musicisti, molti dei quali realizzati per conto di “Life”. Bibliografa: Mili 1980. (cr) _ MOllINO, CARlO (Torino, 6 maggio 1905b 27 agosto 1973) Laureatosi alla Regia Scuola Superiore d’Architettura dell’Accademia Albertina di Torino nel 1931, nello stesso anno Mollino inizia a lavorare come architetto presso lo studio del padre Eugenio, ingegnere. Oltre che architetto e designer, è stato anche fotografo, pilota di aeroplani e auto da corsa, nonché scrittore. Negli anni Trenta progetta la Società Ippica Torinese, riconosciuto capolavoro dell’architettura internazionale, demolita negli anni Sessanta per iniziativa del Comune di Torino. Di quegli stessi anni sono alcuni interni di sapore surrealista nei quali realizza i suoi celebri ritratti femminili in bianco e nero che pubblica parzialmente nella sua opera di critica fotografca (Mollino 1949). Tra questi, uno dei più famosi è quello di Casa Miller (1938), presentato su “Domus” (levi 1938). Tra le sue passioni, quella per lo sci lo porta a diventare maestro nel 1942 e a pubblicare il volume (1950) dove unisce fotografe e disegni sul tema. Nel 1946 realizza per Dusio, il patron della Cisitalia, la Slittovia del Lago Nero. A questo progetto segue la costruzione del complesso “Casa del Sole” di Cervinia (1947-1954), che egli stesso defnisce un «villaggio verticale». Con gli amici Mario Damonte ed Enrico Nardi, a metà degli anni Cinquanta, realizza l’auto da corsa “Bisiluro”, con la quale partecipa alla “24 ore” di Le Mans. Inizia a dedicarsi all'acrobazia aerea, realizza decorazioni e progetti di velivoli e incorre in due incidenti aerei senza conseguenze. Realizza la sala da ballo Lutrario (1959-1960) con C.A. Bordogna e contemporaneamente ricostruisce per sé un appartamento all’interno di una villa antica, oggi sede del Museo Casa Mollino. Tra il 1962 e il 1973 realizza la villetta Zaira, una nuova

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garçonnière in collina con un grande studio di posa per le riprese fotografche con Polaroid degli ultimi ritratti ambientati femminili. Per la sua attività di architetto viene nominato Accademico di San Luca nel 1970. Nel 1973 viene inaugurato il Teatro Regio di Torino, suo ultimo capolavoro architettonico. Lo stesso anno muore nel suo studio.Tra le principali mostre dedicate al lavoro fotografco di Mollino: Torino, Fondazione Italiana per la Fotografa, 2003; Torino, Castello di Rivoli, 2006; Firenze, MNAF, 2009. Bibliografa: SCoPiniCh 1945; Ferrari 1994; Ferrari et al. 2006; Ferrari et al. 2009. (sr-cr) _ MONTI, NICCOlA (Pistoia, 29 agosto 1780 o 1783 Cortona, 28 gennaio 1864) La carriera di Niccola Monti ha fn dall’inizio un’impronta internazionale, dovuta al suo primo apprendistato presso il pittore francese Jean Baptiste Desmarais, a Pistoia per decorare Palazzo Tolomei con temi dell’Iliade. All’Accademia forentina è allievo di Sabatelli e Benvenuti. Nel 1810 dipinse Francesca da Rimini nell’Inferno e viene premiato a un concorso per un acquerello con Lorenzo Ghiberti mentre riceve la commissione per le porte del Battistero, e nel 1811 con l’Educazione di Giove. Negli stessi anni dipinge temi epici e un grande Ritratto di Napoleone, perduto, e affresca l’atrio della chiesa della Madonna dell’Umiltà a Pistoia con la Maledizione di Caino (1810), in cui la fgura di Dio è ripresa dal creatore nella volta della Cappella Sistina. Nel 1814 soggiorna a Roma, dove conosce Camuccini, Thorvaldsen e Canova, che gli dona due suoi bozzetti in terracotta, e in seguito a Ferrara e Bologna. All’indomani della Restaurazione lorenese, nel 1816, viene incaricato di dipingere il sofftto di una sala di Palazzo Pitti (attuale sala 13 della Galleria d’arte moderna) con il Trionfo della Croce e quattro Profeti, in cui si rifà alla monumentalità michelangiolesca. Ritrae anche Ferdinando III (Pistoia, Museo Civico). Nel 1817 è chiamato a sostituire Bezzuoli all’Accademia, ma poco dopo parte per il viaggio in Polonia e Russia, e vi resta tre anni, dipingendo, soprattutto ad affresco, temi sacri, mitologici e ritratti. A San Pietroburgo, in particolare, incontra diversi connazionali, fra i quali il conte Serristori. Pubblicherà nel 1829 il diario di quel viaggio, che documenta anche i suoi lavori in quei luoghi. Nel 1822 è nuovamente a Firenze, e decora alcune sale del Palazzo Borghese in via Ghibellina. Nel 1823 è eletto insegnante dell’Accademia di Firenze. Nel 1835 dipinge

La consegna a Mosè delle tavole della Legge nel quartiere della Meridiana a Palazzo Pitti; nel 1837 compie la Resurrezione di Lazzaro della Cappella Galli alla SS. Annunziata; nel 1838 espone all’Accademia la Madonna del Buon Consiglio e Michelangelo Buonarroti che sospende di scolpire la statua del Mosé per rifettere sul proprio lavoro e nel 1839 Raffaello nell’atto di contemplare il bozzetto della Trasfgurazione. Insieme alla pittura, esercitò anche le lettere, scrivendo memorie varie. Dal 1841 vive e opera tra Cortona e Firenze. Bibliografa: C. MoranDi, in Storia dell’arte in Italia... 1990, ad vocem; giovannelli 19881989 (1989), pp. 397-432; giovannelli 1990, pp. 143-197. (gb) _ MONTI, PAOlO (Novara, 11 agosto 1908 Milano, 29 novembre 1982) Originario di Anzola d’Ossola, Paolo Monti nasce a Novara e trascorre l’infanzia e la giovinezza in piccole città di provincia dove la famiglia si sposta per seguire il lavoro di funzionario di banca del padre che, da buon dilettante e pioniere della fotografa, è il primo a introdurre il fglio alla passione per le immagini e i libri. Nel 1930 Monti si laurea in economia politica all’Università Bocconi di Milano. La carriera di dirigente industriale lo porta a Venezia, città che segna il suo defnitivo incontro con la fotografa. In quegli anni, il gruppo fotografco più attivo in Italia è “La Bussola” di Giuseppe Cavalli, che aveva pubblicato sulla rivista “Ferrania” un famoso manifesto della fotografa. Nel 1947 Monti fonda con alcuni amici il gruppo “La Gondola”, che nel 1951 riesce tuttavia a imporsi a livello internazionale per i valori d’avanguardia di cui si fa portatore e che contribuiscono in maniera decisiva al rinnovamento della fotografa italiana del dopoguerra. L’esperienza veneziana favorisce a Monti la collaborazione con le principali case editrici e le più importanti riviste di architettura, da “Domus” a “Casabella”, da “Zodiac” a “Stile e Industria”. Quando nel 1952 interrompe la carriera di dirigente e si trasferisce a Milano per dedicarsi interamente alla fotografa, Monti è già un punto di riferimento nel panorama della fotografa italiana. Nel 1954 è scelto come fotografo uffciale della X Triennale di Milano. In quegli stessi anni insegna Tecnica della fotografa alla scuola Umanitaria diurna e serale di Milano e intraprende una vasta campagna di rilevamento delle emergenze storiche e artistiche di tutte le regioni italiane per l’illustrazione della Storia della Letteratura italiana

di Garzanti. Negli anni successivi si interessa anche di fotografa d’arte e d’ambiente e le sue fotografe vengono utilizzate per illustrare oltre 200 volumi, tra i quali si ricordano quelli sulle regioni italiane del TCI (19691975), le monografe su Leon Battista Alberti, Brunelleschi e Borromini per Electa (1975-1977), la Pietà Rondanini per Battaglini (1977) e molti altri dedicati a città, artisti e architetti. Dalla metà degli anni Sessanta si dedica al censimento sistematico dei centri storici delle città emiliane e romagnole e di altre città italiane, sviluppando il primo progetto italiano di questo tipo. Dal 1970 al 1974 insegna Tecnica ed Estetica dell’immagine alla Facoltà di Lettere e Filosofa dell’Università di Bologna. Nel 1980 riceve dal Presidente della Repubblica il Premio Nazionale Zanotti Bianco per il suo «contributo decisivo ad affnare le coscienze e a diffondere le responsabilità per il restauro conservativo delle nostre città storiche». Tra i suoi ultimi lavori, va ricordato il censimento dell’architettura e dell’ambiente del lago d’Orta e dell’Ossola. Dal 2008 l’Archivio fotografco Paolo Monti è di proprietà della Biblioteca Europea di Informazione e Cultura (BEIC) ed è conservato presso il Civico Archivio Fotografco del Comune di Milano al Castello Sforzesco. Tra le sue mostre personali si ricordano: Paolo Monti, trent’anni di fotografa, 1948-1978 (Reggio Emilia, Sala Comunale delle esposizioni, 1979); L’insistenza dello sguardo (Venezia, Palazzo Fortuny, 1989). Bibliografa: Bonilauri-SQuarza 1979; Carli 1990; valtorta 2008; zanzi 2010; zanzi 2012. (cr) _ MulAS, ANTONIA (Barbianello, Pavia, 1939) Terminati gli studi in campo artistico, Antonia Mulas si avvicina alla fotografa in seguito all’incontro con Ugo Mulas, che conosce al Bar Jamaica, ritrovo milanese di giovani artisti e intellettuali, e che sposa nel 1959. Comincia come sua assistente, ma parallelamente sviluppa un lavoro fotografco autonomo sia di ricerca, sia professionale. A metà degli anni Settanta realizza un reportage sul muro di Berlino e, nel 1979, pubblica il volume San Pietro, interamente dedicato alle sculture della Basilica romana, edito da Einaudi con una prefazione di Federico Zeri. L’anno successivo il Palazzo Delle Albere di Trento espone la serie di ritratti realizzati a partire dal 1977 e intitolati Autoritratti, in omaggio all’opera dell’amica Carla Lonzi. Negli stessi anni si dedica a una ricerca sull’eros nell’antichità classica e pubblica i volumi Eros a Pompei (1974), Eros in Grecia (1975), Eros in Antiquity (1978). Nel corso

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degli anni Ottanta prosegue con la fotografa d’architettura, realizzando diversi lavori sulle principali capitali e città europee e nordamericane. Cura l’immagine di numerose campagne pubblicitarie, tra cui quelle per FIAT, Olivetti, Rank Xerox, Pininfarina e Poltrona Frau. Dirige e conduce per Rai Tre In prima persona, una rubrica che presenta ritratti parlati di personalità della cultura e dell’arte internazionali. Dal 1973, dopo la morte del marito, si occupa di tutelarne il lascito attraverso l’Archivio Ugo Mulas, da lei costituito. Tra le sue principali mostre fotografche vi sono: La Scala a Mosca (Milano, Teatro della Scala, 1974); Il Muro di Berlino (Milano, Salone Annunciata, 1977; Bolzano, Galleria d’Arte Il Sole, 1977); San Pietro (Milano, Studio Carlo Grossetti, 1978); Palestina (Milano, Pinacoteca di Brera, 1979). Bibliografa: MulaS 1979. (sr) _ NAbIl, yOuSSeF (Il Cairo, 6 novembre 1972) Nabil inizia a occuparsi di fotografa nel 1992, allestendo set nei quali i suoi amici mettono in scena melodrammi che ricordano alcune scene di flm dell’età d’oro del cinema egiziano. Nel corso degli anni Novanta, mentre lavora come assistente fotografo in importanti studi a Parigi e a New York, fotografa artisti e amici, realizzando ritratti formali ma anche scatti dove i soggetti sono immersi nel mondo dei sogni e del sonno, ai confni della coscienza e lontani dalla loro condizione di personaggi pubblici. Al suo rientro in Egitto, nel 1999, sviluppa ulteriormente la sua personalissima tecnica di fotografa dipinta a mano fotografando scrittori, cantanti e attori del mondo arabo. Negli ultimi anni, soprattutto da quando vive tra Parigi e New York, ha iniziato a lavorare a una serie di autoritratti nei quali la messinscena, metafora della sua vita vissuta lontano dall’Egitto, oscilla tra la realtà e il sogno, tra la solitudine e la fama. Nel 2010 ha prodotto e diretto il suo primo cortometraggio di 8 minuti, You never left, con gli attori Fanny Ardant e Tahar Rahim. Il lavoro fotografco di Nabil è stato presentato in numerose mostre nei più importanti musei e gallerie del mondo; tra le sue personali si ricordano: Youssef Nabil (Il Cairo, Townhouse Gallery of Contemporary Art, 2001); Obsesiones (Città del Messico, Centro de la Imagen, 2001); Pour un Moment d’Éternité (Arles, Rencontres Internationales de la Photographie, 2003); I want let you die (Roma, Villa Medici, 2009); Youssef Nabil (New York, Yossi Milo Gallery, 2010); Youssef Nabil (Parigi, Maison Européenne de la Photographie, 2012).

Bibliografa: MeliS 2005; weiSS 2012; naBil et al. 2013. Sitografa: www.youssefnabil.com. (cr) _ NewTON, helMuT (Berlino, 31 ottobre 1920 Los Angeles, 23 giugno 2004) Helmut Neustädter, conosciuto come Helmut Newton, cresce nella ricca borghesia berlinese degli anni Venti e inizia a fotografare fn da piccolo. A dodici anni acquista la sua prima macchina fotografca e a sedici è apprendista nello studio di Else Simon, fotografa di moda, nota come Yva. Con lo scoppio della guerra, lascia la Germania e si imbarca su una nave diretta in Cina, ma si ferma a Singapore, dove, per appena due settimane, lavora per il quotidiano “Straits Times”. Dal 1940 al 1945 si arruola nell’esercito australiano e nel 1946 diventa cittadino australiano. Nel 1948 sposa l’attrice e modella June Brunnell, che resta al suo fanco sia nella vita che nel lavoro. A partire dalla fne degli anni Cinquanta, Newton si concentra sulla fotografa di moda e apre a Melbourne un piccolo negozio di fotografa. In quegli anni viaggia molto in Europa, si trasferisce per un anno a Londra dove lavora per “British Vogue” e a Parigi comincia a collaborare con “Jardin de Modes”, “Elle”, “Queen”, “Playboy”,”Marie Claire”,“Stern” e “Vogue Francia”, poi anche “Vogue Italia” e “Vogue Inghilterra”. Le sue fotografe iniziano a essere esposte in mostre internazionali a New York, Parigi, Londra, Houston, Mosca, Tokio, Praga e Venezia. Nel 1975 la Nikon Gallery di Parigi ospita la sua prima mostra personale e nel 1976 viene pubblicato il suo primo volume fotografco White Women. Saltuariamente ritorna anche nella sua natale Berlino dove, tra gli altri, ritrae Rainer Werner Fassbinder e il regista Wim Wenders, e trova ispirazione per la famosa serie Big Nudes, che nel 1980 decreta l’apice della sua carriera e il riconoscimento internazionale. Fotografa molti personaggi dello spettacolo, della cultura, della politica e del cinema e collabora con i più grandi stilisti internazionali da Chanel, a Versace, Yves Saint Laurent e Dolce e Gabbana. Nel 1990 viene premiato con il French Grand prix national de la photographie e nel 1992 a Monaco viene nominato Offcier des Arts, Lettres et Sciences e gli viene consegnata la Das Grosse Verdienstkreuz della Repubblica Federale di Germania. Pochi anni dopo, riceve anche il titolo di Gran Commendatore delle arti e delle lettere, concesso dal Ministro della Cultura francese. Nel 2000, in occasione del suo ottantesimo compleanno, la Neue Nationalgalerie di Berlino gli dedica una grande

retrospettiva che viene, poi, ospitata, tra le altre, anche a Londra, New York, Tokyo, Mosca, Praga. Nell’ottobre 2003 dona una collezione di sue fotografe alla Fondazione Preußischer Kulturbesitz di Berlino che l’anno seguente fa nascere la Helmut Newton Foundation. Muore all’età di 83 anni a seguito di un incidente stradale con la sua Cadillac. Tra le sue pubblicazioni più note vi sono: White Women / Femmes secretes (1976) (newton 1976); Big Nudes – 47 Nudes (1981); World Without Men (1984) e Helmut Newton - Mode et Portraits (1984). Bibliografa: newton 1976; newton 1978; newton 1989; newton 1992. Sitografa: www.helmutnewton.com (sr) _ PAgANO, gIuSePPe (Parenzo, 20 agosto 1896 Mauthausen, 22 aprile 1945) Pagano nasce sulla costa istriana, e cresce in un clima di acceso irridentismo. Nel 1945, allo scoppio della guerra, si trasferisce a Trieste e si arruola nell’esercito italiano, cambiando il suo cognome da Pogatsching in Pagano. Terminato il confitto, fonda nella città natale il fascio di Parenzo e prende parte all’impresa di Fiume. Nel 1924 si laurea in architettura al Regio Politecnico di Torino e inizia la sua attività professionale. Nel 1927 viene chiamato a dirigere l’uffcio tecnico dell’Esposizione Internazionale che si tiene a Torino l’anno seguente e inizia anche la sua attività di pubblicista. In quegli anni collabora spesso con Levi Montalcini e Aloisio, Sottsass ed altri, ed è tra i sostenitori di un rinnovamento dell’architettura italiana in senso funzionalista e razionalista. Alla fne del 1931 si trasferisce a Milano per dirigere “Casabella”, allora “La Casa Bella” e vi rimane per circa dieci anni prima di essere richiamato alle armi. Dal 1934, per tre anni, insegna critica artistica all’Istituto Superiore delle Industrie Artistiche di Monza e nel 1940 viene nominato direttore di “Domus”, al fanco di Bontempelli e Bega. Nel 1941, richiamato alle armi, viene trasferito in Albania. Lo congedano dopo un anno e torna a Milano dove riprende parte delle sue attività. L’anno seguente viene richiamato dall’esercito ed è a quel punto che matura la decisione di dimettersi dal partito fascista e dai suoi incarichi e stringe i primi contatti con le organizzazioni antifasciste clandestine. Nel 1943 viene arrestato una prima volta e portato alle carceri giudiziarie di Brescia, da dove evade nel luglio del 1944, raggiunge Milano e si rimette in contatto con le organizzazioni della Resistenza. Dopo alcuni mesi viene nuovamente arrestato e trasferito

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nel campo di concentramento di Bolzano, da cui parte per Mauthausen, dove muore nell’aprile del 1945. L’interesse di Pagano nei confronti della fotografa matura gradualmente a partire da un’occasione preferenziale, quella di produrre materiale di documentazione per la Mostra sull’Architettura Rurale, organizzata insieme a Guarniero Daniel per la VI Triennale di Milano del 1936. Pagano realizza un reportage foto-giornalistico sulla realtà rurale dell’Italia di quegli anni, un’indagine di carattere socio-urbanistico e architettonico. L’occasione si rivela l’inaspettato inizio di una grande passione e di una vera e propria attività parallela, quella di Pagano fotografo. Nel corso degli anni l’interesse fotografco dell’architetto si rivelerà costante e si concentrerà prevalentemente sull’Italia, tanto che nel suo corpus di fotografe pochissime sono le immagini che rappresentano realtà differenti da quella italiana: un ciclo di fotograzfe racconta il suo viaggio nei paesi nordici e un descrive gli anni di guerra in Grecia e Albania. Quella di Pagano è un’indagine psicologica condotta sugli uomini, sull’architettura, sul mondo naturale e artifciale dell’Italia di quegli anni. Bibliografa: FranCo 1950; veroneSi 1950; De Seta 1979. (sr) _ PARChIkOv, TIM (Mosca, 1983) Tim Parchikov ha frequentato l’Università Statale Russa di Cinematografa a Mosca, dove si è laureato in fotografa, e poi ha studiato regia. Oggi vive tra Mosca e Parigi e lavora con il video e la fotografa. Nel 2010 il Museum of Modern Art di Mosca gli ha dedicato una personale dal titolo Suspence che poi è stata ospitata anche in Almeria, in Spagna e in Italia. Tra i festival internazionali ha partecipato al “The Pingyao International Photography Festival”, in Cina nel 2008, a “Fotografa-Festival Internazionale” di Roma nel 2012 e al “Latitudes Festival Internacional de Fotografa” di Huelva e a “Fotografa Europea Reggio Emilia” nel 2013. Ha esposto in numerose gallerie internazionali e in mostre collettive tra cui la “Moscow Biennale of Contemporary Art” e la “54a Biennale di Venezia”. Ha pubblicato due libri fotografci, La valigia (2006) e Suspense (2010), e compare in diversi cataloghi tra cui Earth edito da te Neus e Real Venice edito da Ivorypress. Alcuni suoi lavori sono stati acquisiti dalla European House of Photography e dal Moscow Museum of Modern art. Sitografa: www.timparchikov.com (sr)

_ PARISI, NICOlA (Foggia, 8 maggio 1827 Castelnuovo di Napoli, 1887) Dalla natia Foggia, per gli studi universitari in Ingegneria si reca a Napoli, ma la vicinanza del cugino Francesco Saverio Altamura, di cinque anni più anziano, lo fa decidere per gli studi d’arte e per la la passione risorgimentale, che Altamura aveva contratto soprattutto frequentando Carlo Poerio, cui Parisi nel 1867 dedicherà un dipinto che vinse la medaglia dell’Esposizione di Vienna del 1873. La prima esposizione importante cui partecipa è la Mostra Borbonica di Napoli del 1851, in seguito fu assiduo alle Promotrici napoletane. Il carattere di Nicola è assai diverso da quello dell’impetuoso cugino e, per la sua modestia e riservatezza, non coglie l’occasione di ottenere offerti vantaggi e privilegi (il suo biografo racconta che gli fu offerto di trasferirsi alla corte papale). Dopo l’Unità d’Italia, fu tra i fondatori dell’Istituto di Belle Arti di Napoli dove insegnò, continuando a dipingere soggetti storici e di ispirazione sociale. Ebbe anche commissioni dal re Vittorio Emanuele II per Capodimonte (La breccia di Porta Pia). Tra le sue opere, molte delle quali al Museo Civico di Foggia e a Capodimonte: Cerere, 1851; Ritratto di Luigi Sorge, 1851; San Pietro in carcere, 1854; ritratti di Garibaldi e di Vittorio Emanuele II, 1862; Ingresso di Diomede in Arpi (modello per il sipario del Teatro Giordano), 1862; I Veneti all’annunzio della pace di Villafranca; L’arresto di Carlo Poerio (Napoli, Museo di San Martino), 1867; Giovanni da Procida; Mezzodì dell’operaia; Lavoro e miseria; Occhi pieni e mani vuote, 1873; La breccia di Porta Pia, 1879. A lui è dedicata una scuola primaria di Foggia, i cui allievi e insegnanti hanno elaborato nel 2010 un delizioso video-sceneggiato sul pittore, ispirato alla biografa pubblicata dal concittadino Leonardo Picucci nello stesso anno della scomparsa di Parisi, che si può vedere su You Tube. (gb) _ PASSIgNANO, DOMeNICO CReSTI, DeTTO Il (Passignano, Tavernelle Val di Pesa 1559 Firenze, 1638) Originario di Passignano, antico borgo in provincia di Firenze dal quale gli derivò il soprannome, Domenico Cresti, nato nel 1559, fu indirizzato in giovane età agli studi pittorici a Firenze, inizialmente nello studio di Girolamo Macchietti e poi sotto la guida di Giovan Battista Naldini. Fondamentale ai fni della educazione artistica fu l’incontro con Federico Zuccari, rinomato pittore marchigiano

convocato nel 1575 nel capoluogo toscano per ultimare gli affreschi nella cupola del Duomo lasciati interrotti alla morte di Giorgio Vasari, con il quale si trasferì a Roma nel 1580. Dopo alcuni anni trascorsi nell’Urbe il Passignano, ancora sotto l’egida dello Zuccari, giunse a Venezia, dove ebbe modo di studiare la pittura dei più importanti maestri lagunari del tempo, indirizzando i suoi interessi soprattutto verso il tardo Tiziano, Tintoretto e Palma il Giovane. Artista ormai maturo, il Cresti, alcuni anni più tardi, fece ritorno a Firenze, dove dette inizio a una forente attività autonoma, conciliante la tradizione disegnativa forentina e le sperimentazioni coloristiche improntate sul cromatismo veneto. In perfetta sintonia con le tendenze riformistiche introdotte allo scadere del secolo nella Città del Giglio dal Cigoli, il Passignano si segnalò gradualmente per interessanti opere sacre e profane, destinate, in prevalenza, alle residenze medicee e ad alcuni dei più importanti edifci ecclesiali toscani. Il successo ottenuto a Firenze favorì il trasferimento del Passignano nel 1609 a Roma, città nella quale lo attesero ambite commissioni pubbliche e private, legate in gran parte alla corte pontifcia. Originale interprete del tema sacro in età controriformata, il Cresti si distinse per composizioni degne del massimo interesse artistico, caratterizzate, sovente, da fgure defnite con impeccabile perizia anatomica, da cromie brillanti e da analitici impaginati scenografci. L’artista, grazie alla notorietà raggiunta nella Città Eterna, fece ritorno carico di onori in Toscana, dove proseguì alacremente la sua attività fno al momento della morte, avvenuta nel 1638. Ricordato dal biografo Filippo Baldinucci «in prima fla fra’ più gran maestri», il Passignano fondò a Firenze un’importante scuola artistica, nella quale presero le mosse alcuni dei più apprezzati pittori locali della prima metà del Seicento, tra i quali ricordiamo, per notorietà, i fratelli Cesare e Vincenzo Dandini, Ottavio Vannini e Mario Balassi. Bibliografa: BelleSi 2009, I, pp. 114-116 (con bibliografa precedente); Berti 2013. (sbe) _ PhIlPOT, JOhN bRAMPTON (Maidstone, 1812 - Firenze, 1878) Nato a Maidstone (città a sud di Londra) nel 1812, è presente a Firenze, come fotografo, sin dal 1850, e a Firenze muore nel 1878. Philpot è tra i primi, assieme a Vero Veraci, a usare il procedimento della calotipia, reso noto a Firenze nel 1842 da Giovan Battista Amici, che era in contatto con Fox Talbot. Si può supporre che anche Philpot conoscesse Talbot,

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in quanto entrambi erano soci di un prestigioso ed esclusivo circolo culturale letterario londinese, l’“Athaeneum”. Forse Philpot non aveva avuto grande esperienza come fotografo prima di stabilirsi a Firenze. In Toscana arrivò quasi sicuramente nei primi anni dopo il 1850 e i suoi iniziali lavori, le due prove positive da negativi su carta, conservate al Gabinetto dei Disegni e delle Stampe degli Uffzi sono di piccolo formato. In questa fase si può considerare la sua opera come quella di un fotografo principiante, che incomincia a lavorare con un processo, quello del negativo su carta, che permetteva, all’epoca, anche a un debuttante di rendere un’idea ben studiata. Brampton Philpot è fotografo di architetture e nelle sue vedute si dimostra colto nella scelta dei tagli e delle architetture da fotografare, e aggiornato, aperto alle novità, ricettivo, dinamico.Unica traccia documentaria fnora rintracciata del suo soggiorno a Firenze è presente in un’annotazione del Repertorio degli Affari Generali – Uffcio del Sindaco dell’anno 1868 (conservato presso l’Archivio Storico del Comune di Firenze), in cui si dichiara «n. 846. Direzione delle Imposte Dirette. Prestito rateale – Philpot Gio. Batta: esenzione dal pagamento dell’onere contrattuale dei dì contro prestiti esteri. Imposte della II Divisione, 3 marzo». Purtroppo la flza relativa all’affare è mancante. Le sue foto sono databili a partire dal 1850 e appartengono al primo periodo pionieristico della fotografa stereoscopica e calotipica istantanea di spazi urbani. Le sedi dello studio di Brampton Philpot risultano dai timbri a secco: «Lungo l’Arno», «Lungo l’Arno 1187», «Palazzo Ostini Fondaccio S. Niccolò 1518» e «Borgo Ognissanti 17», «Borgo Ognissanti, 26». In alcuni di questi timbri a secco risulta associato all’inglese Jackson. In seguito esegue numerose fotografe di disegni conservati presso il Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffzi, per conto della direzione. Presso l’Archivio di Stato di Firenze (fondo Acquisti e Doni) è conservato l’album Le XXVIII statue di illustri toscani scolpite da XXIV toscani artisti e inaugurate nel portico degli Uffzi dalla deputazione forentina negli anni 1842-56. Fotografe di M.J.B. Philpot, in cui sono riunite le fotografe delle statue del Piazzale degli Uffzi in una edizione molto elegante, di cui purtroppo non è riportata la data; probabilmente è successiva al 1856, anno in cui viene completata la decorazione del portico, e sicuramente successiva al 1855, poiché nel testo, tra le notizie dalle quali possiamo desumere l’anno di pubblicazione, troviamo il riferimento all’alluvione della città, avvenuta in quell’anno. Presso il Museo di Storia della Fotografa dei Fratelli Alinari di Firenze sono conservati calotipi, carte salate, foto stereoscopiche e album di Philpot che ritraggono panorami e monumenti di Firen-

ze (principalmente), ma anche di Pisa, Siena, Lucca e Bagni di Lucca. Philpot partecipa all’Esposizione Italiana Agraria, Industriale e Artistica del 1861, istituita per festeggiare l’avvenuta unità nazionale, che ebbe nella classe X la V sezione dedicata alla fotografa. In questa sezione, al n. 2722 il catalogo cita «BramptonPhilpot Giovanni, Firenze - Fotografe». (mt) _ PIgNATellI, luCA (Milano, 1962) Luca Pignatelli nasce a Milano, città nella quale ancora oggi vive e lavora. Dal padre Ercole, pittore e scultore, eredita la passione per l’arte. Studia architettura presso il Politecnico di Milano e ben presto si afferma nell’ambiente artistico milanese con le prime mostre alla Galleria Antonia Jannone Disegni di Architettura nel 1987 e nel 1989. Nel 1991 si tiene la sua personale londinese al Leighton House Museum. Il tempo e la memoria permettono a Pignatelli di arrestare il contemporaneo e ricondurlo alla categoria della Storia attraverso anche la ricerca di materiali inconsueti che conservano una memoria personale e allo stesso tempo universale, come le vissute anomalie di teloni ferroviari – utilizzati a partire dal 1998 – canape e tele di juta che consentono all’artista la rappresentazione di un mondo poeticamente minacciato. Il supporto per Pignatelli acquista, infatti, valore tanto quanto il contenuto, con rimandi che si muovono nella direzione del poverismo italiano degli anni Sessanta, anticipati dai Sacchi di Alberto Burri. La tecnica si arricchisce di elementi prelevati direttamente dal reale e connessi a esso in un gioco di rimandi tra signifcati e signifcanti. Il lavoro di Pignatelli è stato esposto in musei e gallerie di tutto il mondo. Tra le sue più recenti mostre personali si ricordano: Luca Pignatelli (Parigi, Galerie Daniel Templon, 2005); New Paintings (Berlino, Galerie Di Maggio, 2006); Duetto. Luca Pignatelli / Giovanni Rizzoli (New York, Ethan Cohen Fine Arts, 2006); Luca Pignatelli. Recent work (New York, White Box – Annex Plus, 2006); Luca Pignatelli. Paintings (Roma, Teatro India, 2007); Luca Pignatelli (Napoli, MANN, 2007); Art italienne contemporaine (Monaco, Marlborough Galerie, 2009); Luca Pignatelli. BM07 (Milano, Santa Maria delle Grazie, 2009); Luca Pignatelli - Atlantis (Nizza, MAMAC, 2009); 53a Esposizione Internazionale d’Arte Biennale di Venezia (Padiglione Italia, 2009); Coexistence (Roma, MAXXI, 2010); Luca Pignatelli – Sculture/Analogie (Firenze, Galleria Poggiali e Forconi, 2010); Luca Pignatelli – Icons Unplugged (Roma, Palazzo Poli, Istituto Nazionale per la Grafca, 2011).

Bibliografa: Bonito oliva 1999; KuSPit 2000; eCCher 2003; Bonito oliva 2007; Bonito oliva2007a; BeatriCe et al. 2009; FoKiDiS 2010; Icons 2011. (cr) _ PIOT, eugèNe (Parigi, 1812 - 1890) Nato da una famiglia borghese, all’età di diciannove anni Piot eredita la fortuna del padre. Archeologo e appassionato d’antichità, erudito e collezionista, si interessa molto presto alla fotografa. Dal 1840, quando si reca in Spagna insieme a Théophile Gautier, pratica il dagherrotipo; in seguito Gustave Le Gray lo inizia all’uso del negativo calotipo, tecnica che Piot utilizzerà poi nel corso dei suoi numerosi viaggi. Si dedica principalmente alla fotografa di architettura e di scultura e inizia a pubblicare l’Italie Monumentale, un grandioso progetto del quale è dato annuncio della prima edizione da Francis Wey in “La Lumière” il 15 giugno 1851, ma che per ragioni economiche nel 1854 viene interrotto prima di arrivare a completamento. Queste stesse fotografe vengono presentate all’Esposizione Universale del 1855, dove Piot riceve una medaglia di prima classe. È anche il primo archeologo a documentare attraverso il nuovo mezzo fotografco gli scavi ai quali egli stesso lavora. Nel 1842 fonda “Le Cabinet de l’amateur et de l’antiquaire”, una rivista mensile, illustrata con fotografe, destinata a formare il gusto degli amatori d’arte e sulle cui pagine invita a intervenire intellettuali famosi come Théophile Gautier e Gérard de Nerval. Qui pubblica articoli sull’orefceria, l’arte islamica, le stampe e le maioliche, a testimonianza della sua eclettica erudizione. La pubblicazione della rivista viene poi sospesa dal 1846 al 1861. Assiduo frequentatore di musei, si interessa anche di museologia, arrivando perfno a dibattere di metodi di lavoro e scelta delle opere. Parallelamente porta avanti anche altre attività professionali in campi completamente diversi, prima fra tutte l’impegno come capo della segreteria del presidente del Consiglio dei ministri Cavagnac. Senza eredi diretti, alla sua morte, lascia una parte della sua collezione al Museo del Louvre e alla Bibliothèque nationale di Parigi e una somma destinata a creare un premio all’École des Beaux-Arts. Nomina suo erede universale l’Académie des inscriptions et belles-lettres, che in suo onore ha poi creato la Fondation Piot, per iniziativa della quale dal 1894 viene pubblicato il periodico “Monuments et Mémoires”, dedicato allo studio della storia dell’arte e dell’archeologia. Bibliografa: Éloge 2010, p. 231; Serena 2014. (cr)

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_ PuCCINellI, ANTONIO (Castelfranco di Sotto 1822 Firenze 1897) Grazie a una borsa di studio, nel 1889 può iscriversi all’Accademia a Firenze, come allievo di Giuseppe Bezzuoli. Qui è tra i giovani più attivi nel chiedere il rinnovamento di regole costrittive – una battaglia che sarà sostenuta anche dallo stesso Bezzuoli e da Lorenzo Bartolini –, e nel 1847 porta un modella in Accademia, infrangendo i divieti che imponevano modelli solo maschili. Frequenta, con i suoi amici pittori e letterati, il “Caffè Michelangiolo”. Nel 1846 vince il concorso triennale con Mosé fanciullo che calpesta la corona del Faraone, e nel 1848 espone un ritratto, forse il Curio Nuti (Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti), e il Colombo che riceve commendatizie per il re di Spagna dal guardiano di Santa Maria della Rabida (collocazione sconosciuta). Poco dopo ritrae più volte anche Emilio Donnini, un altro dei pittori che, come Nuti, davano vita in quegli anni alla cosiddetta “Scuola di Staggia”, insieme al pittore ungherese Carlo Markò e ai suoi fgli. In questi ritratti, come in quello di Salvino Salvini (1849, Roma, Accademia di San Luca), Puccinelli dimostra la sua volontà di innovare, con l’inquadratura ravvicinata e l’approccio veristico alle particolarità del soggetto. Nel 1849 si trasferisce a Roma per il pensionato artistico, e risente del «clima romano di classicismo internazionale» (SPalletti 1985, p. 59). Di questi anni sono La schiavitù degli Ebrei in Babilonia (1851; Firenze, Galleria dell’Accademia) e Un episodio della strage degli innocenti. Nel 1852 dipinge la Passeggiata al Muro Torto (collezione privata), da considerarsi un’anticipazione della pittura macchiaiola, per la fattura abbreviata e il valore della luce all’aria aperta. Si reca anche a Venezia, dove copia il San Giovanni Battista di Tiziano. Tornato a Firenze, l’inglese Sloane, committente anche dello scultore Pio Fedi, gli fa fare due dipinti per la Villa medicea di Careggi di sua proprietà: L’Accademia platonica (1854) e Leone X a Careggi (1858). Del 1858 è anche la Lucrezia Borgia (San Miniato, Fondazione Cassa di Risparmio di San Miniato), che presenterà nel 1861 all’Esposizione Italiana, cui ne seguiranno altri. Nel 1859, durante il governo provvisorio, vince due premi del concorso Ricasoli, in una sezione il primo con il Ritratto di Vincenzo Gioberti, e in un’altra il secondo con Federico Barbarossa vinto dalla lega lombarda, entrambi temi patriottici. Poco dopo è tra i pittori che affrescano la Palazzina della Meridiana di Palazzo Pitti (Storia del Ferrucci), e fa il Ritratto della signora Morrocchi (Firenze, Palazzo Pitti, Galleria d’arte

moderna). Esegue anche diverse pitture religiose per le chiese di Pistoia. Viene nominato all’Accademia di Bologna nel 1861. Nel 1865 dipinge il Dante sull’Appennino che va in esilio e Carlo Alberto a Oporto. Lavora ancora per lo Sloane, con il Dino Compagni e Cosimo il Vecchio padre della patria. Dei primi anni Settanta sono il Machiavelli nel suo studio (Pistoia, Accademia degli Armonici) e il Chiostro dell’Ospedale del Ceppo, 1873 (Città del Vaticano, Pinacoteca Vaticana). Bibliografa: SPalletti 1985, pp. 31-32; L. BaSSignana, in Storia dell’arte in Italia... 1990, ad vocem; DurBè 1997; Bietoletti 1999, pp. 131161. (gb) _ RODIN, AuguSTe (Parigi, 1840 - Meudon, 1917) A quattordici anni si iscrive alla scuola di disegno e ha come maestro il pittore Horace Lecoq de Boisbaudran; in seguito cerca di entrare alla sezione di scultura dell’Académie des Beaux-Arts, viene rifutato tre volte, ma fnalmente vi può accedere nel 1854. Allievo di Carpeaux, dopo un anno passato in seminario, nel 1864 segue i corsi di anatomia animale tenuti da Alfred-Louis Barye ed entra nello studio di Carriere-Belleuse come collaboratore, dove rimane otto anni. Di questi anni è il busto della Ragazza con il cappello forito, che ricorda Carpeaux ma con forme più sintetiche. Nel 1876 fa un viaggio in Italia per conoscere direttamente le opere di Michelangelo e rimane folgorato dalla visione diretta di esse. Michelangelo rimarrà la radice fondamentale della sua scultura, nutrita modernamente di suggestioni diverse, artistiche, letterarie ed esistenziali. Al ritorno a Parigi, fnisce l’Età del Bronzo (L’âge d’airain, 1877), che riprende il gesto dello Schiavo morente. Rodin fu accusato di aver formato la statua su un modello vivo, ma dopo tre anni essa fu acquistata dallo Stato francese. Nello stesso 1880 gli viene commessa la porta bronzea per il Musée des Art Décoratifs, con soggetti tratti dalla Divina Commedia: lui stesso la chiamò La porte de l’enfer, con un richiamo inevitabile al nome che Michelangelo diede alla porta ghibertiana del Paradiso. L’opera lo occupò fno alla morte, tuttavia il progetto del museo fu abbandonato, ma Rodin sviluppò le idee di molte delle sculture che dovevano farne parte, e ne fece dei capolavori: Il Pensatore (Dante stesso), 1882, il Bacio e il Figliol prodigo sono tra questi. Anche qui le suggestioni michelangiolesche sono dominanti. Nel 1883 conosce Camille Claudel: la loro appassionata relazione è alla base anche

di uno scambio di mutua ispirazione. Nel 1902 conosce il poeta Rainer Maria von Rilke, allora ventisettenne, che più tardi fu suo segretario per circa un anno: fu grazie a lui che scoprì il settecentesco Palazzo Biron, che stava per essere abbattutto, e riesce ad affttarlo e poi ad acquistarlo. Ancor oggi questo è l’edifcio che ospita il Museo Rodin, aperto al pubblico nel 1919. Nel 1912 gli viene dedicata una sala del Metropolitan Museum, nel 1914, per sfuggire alla guerra, va in Inghilterra e poi a Roma, dove ritrae il papa Benedetto XV. (gb) _ RONDeAu, gÉRARD (Chalons-sur-Marne, 1953) Fotografo francese rappresentato dall’Agence VU, Rondeau è conosciuto soprattutto per il suo lungo lavoro all’interno dei musei di tutto il mondo, dove ha fotografato impiegati a lavoro, visitatori e opere d’arte e dal quale è nato il volume Hors Cadre (ronDeau 2005). Tra i suoi progetti fotografci più importanti si ricordano il reportage realizzato durante l’assedio di Sarajevo negli anni 1993-1994 (Le silence et rien alentour, 1994); il ritratto del Marocco moderno, costruito attraverso il dialogo dei suoi scatti con i dipinti e i disegni che, nel 1832, Delacroix aveva realizzato durante il suo viaggio nel paese nordafricano (Le Maroc. Hommage à Delacroix, 1999); la documentazione del lavoro del pittore Paul Rebeyrolle (Rebeyrolle ou le journal d’un peintre, 2000) e quella del Tour de France (L’Echappée libre, 2001). Dal 1989 e per quindici anni, ha anche documentato la vita dei volontari di Médicins du Monde seguendoli nelle loro missioni in tutto il mondo, dalla Romania dopo la caduta di Ceaucescu all’Indonesia devastata dallo tsunami, dal Niger al Kurdistan. Il suo lavoro fotografco è confuito nel volume realizzato per il 25o anniversario della fondazione dell’associazione umanitaria, Missions, Médicins (jusqu’au bout) du monde (2005). Negli anni, grazie soprattutto alla collaborazione con “Le Monde”, Rondeau ha avuto anche la possibilità di realizzare molti ritratti fotografci di pittori e scrittori contemporanei, raccolti poi nel volume Chroniques d’un portraitiste (2006). Nell’arco della sua carriera, Rondeau ha ricevuto nel 1997 l’Atlas Award e nel 2007 il Globes de Cristal Award. Ha esposto i suoi lavori nei principali musei e gallerie del mondo; tra le sue personali: Our History (Sarajevo, Centre André Malraux, 2009); Chronicles of a portraitist (Washington DC, La Maison Française, 2012); Republic (Parigi, Galleria FNAC, 2012); The Geography of Apparences, Parigi, Mois de la photo,

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2012); Hors Cadre (Parigi, Grand Palais, 2005; Berlino, Martin Gropius Bau, 2007; Marsiglia, Bibliothèque départementale des Bouches-du-Rhône, 2013). Sitografa: www.gerardrondeau.com. (cr) _ ROSSO, MeDARDO (Torino, 20 giugno 1858 Milano, 31 marzo 1928) Figlio di un funzionario delle ferrovie piemontesi, vive a Torino fno al 1870 quando si trasferisce a Milano a seguito della nomina del padre a ispettore delle ferrovie del nuovo Regno d’Italia. Dal 1875, rifutando la carriera nelle ferrovie, segue dei corsi di disegno alla scuola di Belle Arti e dopo qualche anno inizia a frequentare l’ambiente dell’Accademia di Brera e ha i primi contatti con la Famiglia Artistica. Nei primissimi anni Ottanta frequenta gli studi degli scultori formati da Manni, Villa e Calvi a Milano, concentrandosi sulla scultura. Nel 1882 è ammesso all’Accademia di Belle Arti di Brera, dove risulta iscritto alla scuola di nudo e di plastica e dalla quale viene espulso l’anno successivo per episodi dovuti alla sua insofferenza per l’arcaismo dei metodi di insegnamento. In quegli stessi anni inizia a frequentare gli ambienti legati alla Scapigliatura e a sperimentare la fotografa come nuovo mezzo espressivo. Del 1883 sono due fotografe, inviate da Rosso all’amico Surdi, direttore di “Roma, giornale illustrato della Esposizione di Belle Arti”: una rappresenta il modello in gesso del monumento funerario La riconoscenza al quale l’artista sta lavorando; l’altra una messa in scena nella quale appare nel suo studio in una sorta di foto-performance tra alcune sue opere, una copia della Madonna Medici di Michelangelo e le marionette che sta usando per un nuovo progetto. Di questi stessi anni sono alcune delle sue opere più note, come Carne altrui (1884) e La portinaia (1884), nelle quali risulta già ben delineata la sua originale personalità artistica. Dal 1885, grazie all’iniziativa dell’amico Gastone Pesce, espone più volte a Parigi, dove si reca per la prima volta nell’estate del 1886 per poi stabilirvisi dal 1889, anno della partecipazione alla Esposizione Universale, durante la quale viene premiato con la “medaglia d’onore”. Nel 1893 Rodin visita il Salon de Peinture, Sculpture, Dessin, Pastel, Gravure e in quell’occasione Rosso gli dona una versione in bronzo della Petite rieuse, ricevendo dal maestro francese un Torse in bronzo. Nel 1901 espone ad Amsterdam in una mostra di opere impressioniste, comprendente le sue

sculture e alcuni dipinti di Sisley, Pissarro, Renoir e Monet. L’anno successivo a Berlino presenta sedici sculture e numerose fotografe di grande formato al Keller und Reiner Kunstsalon. Nel 1902 lo Stato francese gli accorda la naturalizzazione. Al 1904 risale la sua retrospettiva al II Salon d’Automne, nella quale presenta un’installazione di 17 sculture e disegni e un gruppo di fotografe, ritoccate e commentate, delle sue sculture e di alcune opere di Rodin, tra le quali il Balzac. Nel 1905 realizza una delle sue opere più famose, Ecce puer. Nel 1906 partecipa con enorme successo alla VI Esposizione dell’International Society of Sculptors, Painters and Gravers Art Congress di Londra e nel 1910 a Firenze, su iniziativa di Soffci e Prezzolini, viene realizzata la Prima Mostra Italiana dell’Impressionismo e di Medardo Rosso. Negli anni Dieci e Venti fa più volte ritorno in Italia, le sue condizioni di salute si aggravano e la sua produzione artistica rallenta. Nel 1928 a Milano, Rosso si ferisce gravemente a un piede e in breve tempo muore di setticemia. Il fglio Francesco, nominato erede universale, si impegna da quel momento nella conservazione dell’opera del padre e raccoglie a Barzio, sul lago di Como, le sculture, i disegni, le fotografe e ogni materiale ritrovato nei due studi di Parigi e Milano, fondando il Museo Medardo Rosso. Bibliografa: Borghi 1950; LiSta 2003; BerteLLi 2004; MoLa 2006. (sr-cr) _ SaNSaINI, RENato (?, 1897 - ?, 1958) L’attività fotografca di Renato Sansaini a Roma è legata a quella dello Stabilimento Sansaini fondato in città, in Via Corsi 45, dal padre Pompeo nel 1895 con «specialità in lavori fotografci – quadri antichi e moderni – codici miniati – gruppi – disegni – vedute – e sotterranei con luce artifciale». Da quanto accertato nei documenti e nelle carte intestate dell’epoca, il nome di Renato Sansaini inizia a essere associato a quello della ditta a partire dalla seconda metà degli anni Venti quando, oltretutto, lo Stabilimento si trasforma in Editore esperto in “Arti Grafche” oltre che Fotomeccaniche e viene trasferito prima in Via Scialoia, 3-5 e poi in Via Cesare Beccaria, 16. Di qui in avanti, la frma sui documenti è, generalmente, quella di Renato che, in continuità con l’attività del padre, presta per molto tempo servizio come fotografo ai Musei Vaticani, contribuendo alla realizzazione degli apparati illustrativi di numerose pubblicazioni scientifche dedica-

te alle raccolte dei musei. Nel 1936 e nel 1947 due carte intestate registrano alcune modifche nella ragione sociale della ditta: «Le arti grafche e fotomeccaniche di Roma Pompeo Sansaini editore» tornano a essere un’impresa di fotografa artistica con sede in Via Monte Santo, 10, questa volta intitolata unicamente a Renato. Nel 1958 alla morte di quest’ultimo, lo stabilimento passa al fglio Salvatore che a sua volta lavora come fotografo nei Musei Vaticani. Bibliografa: Di Pinto 2009, p. 418. (sr) _ SaRFatI, LISE (Oran, 12 aprile 1958) Nata ad Oran in Algeria, Lise Sarfati cresce a Nizza, in Francia. Nel 1979 si laurea alla Sorbona con una tesi sulla fotografa russa e nel 1986 diventa la fotografa uffciale dell’Académie des Beaux-Arts di Parigi. Dal 1989 al 1999 si trasferisce in Russia dove fotografa siti industriali abbandonati e degradati e giovani ragazzi con problematiche sociali: questo suo primo importante progetto confuisce nel libro Acta Est (Sarfati 2000). Nel 1997 entra a far parte dell’agenzia Magnum Photos e dal 2001 ne è membro effettivo. Dal 2003 vive e lavora negli Stati Uniti, dove ha realizzato sei importanti serie di fotografe, tutte presentate in altrettante mostre e pubblicazioni: The New Life (Twin Palms Publishers, 2003); Immaculate (20062007); Austin, Texas (Magnum, 2008); She (Twin Palms Publishers, 2005-2009); Sloane (2009); On Hollywood (2009-2011). Nel corso della sua carriera ha ricevuto numerosi premi, tra gli altri il Prix Niepce nel 1996 e, lo stesso anno, l’Infnity Award dell’International Center of Photography di New York. Tra le sue più importanti mostre personali: Lise Sarfati (Parigi, Prix Niepce, Centre National de la Photographie, 1996); Lise Sarfati. Russian Series (Parigi, Maison Européenne de la Photographie, 2002); Lisa Sarfati Retrospective, Russian Series, The New Life (Salamanca, Domus Artium, 2004); La Vie Nouvelle (Arles, Rencontres Internationales, 2006); Lise Sarfati. The New Life (Amsterdam, FOAM, 2007); Lise Sarfati (Milano, Galleria Carla Sozzani, 2008); Austin, Texas (Roma, Galleria Brancolini Grimaldi, 2009). Sitografa: www.lisesarfati.com; www.magnumphotos.com. (cr)

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_ SHEELER JR., CHaRLES REttREw (Philadelphia, 6 luglio 1883 Dobbs Ferry, 7 maggio 1965) Sheeler si forma come pittore alla Pennsylvania Academy of the Fine Arts, e inizia a fotografare intorno al 1910. Tra il 1904 e il 1908 si reca più volte in Europa per viaggi di studio. Visita l’Olanda, la Spagna e Londra con il suo professore, il pittore impressionista William Merritt Chase, poi anche l’Italia e la Francia con la sua famiglia e l’amico, anche lui artista, Morton Schamberg. Si appassiona allo studio del Medioevo italiano e, a Parigi, si avvicina al Cubismo. Nel 1908 ottiene la sua prima mostra personale di dipinti alla McClees Gallery di New York. In quegli anni frequenta molti artisti, tra cui Alfred Stieglitz e l’artista e gallerista Marius de Zayas e inizia a lavorare come fotografo per alcuni studi di architettura, poi anche per i collezionisti e le gallerie d’arte. Partecipa a molte esposizioni, anche di rilievo, come l’Armory Show nel 1913 e la sua prima mostra fotografca alla Modern Gallery, con Schamberg e Paul Strand. Lavora sia con la pittura, sia con la fotografa e inizia anche a utilizzare le sue fotografe come modelli per alcuni dipinti. Nel 1920 collabora con Paul Strand a Manhatta. Manhatta, un flm su New York City che enfatizza il rapido cambiamento urbanistico e paesaggistico che la città stava subendo, soggetti che, in quegli anni, Sheeler investiga anche nelle sue fotografe, nei dipinti e nelle grafche, con uno stile nitido e defnito che lo avvicinano al movimento del Precisionismo americano. Nel 1927 inizia a lavorare per Condè Nast e, un anno dopo, realizza una campagna promozionale per la Ford Motor Company. In quegli anni colleziona oggetti di arredamento e arte minore, molti dei quali saranno anche elementi delle sue composizioni successive. Dal 1926 al 1931, Sheeler lavora come fotografo freelance, ritraendo celebrità e collaborando per “Vogue” e “Vanity Fair”, abbandona la fotografa commerciale solo quando Edith Halpert organizza una personale nella sua galleria, la Downtown Gallery di New York. A partire dagli anni Trenta riceve molti riconoscimenti e le commissioni aumentano: tra il 1935-1936, Abby Aldrich Rockefeller lo invita a fotografare l’architettura del Colonial Williamsburg in Virginia e tra il 1939-1940, viaggia attraverso il paese per una serie commissionata da “Fortune magazine” dal tema Power sulle icone dell’America industriale. Nel 1938, il critico d’arte Constance Rourke dà alla luce una sua biografa e, nei due anni successivi, il Museum of Modern Art e il Golden Gate International Exhibition di San Francisco

gli dedicano delle retrospettive. Dal 1942 al 1945 lavora per il Metropolitan Museum’s Department of Publications, fotografando alcuni pezzi delle collezioni del museo, tra cui sculture romane e della Grecia classica, oggetti assiri e orientali. Nel 1948 la Kodak gli commissiona una serie a colori di alcuni edifci di New York. Tra gli anni Cinquanta e Sessanta vengono organizzate molte retrospettive tra cui quella all’UCLA, Los Angeles nel 1954 e all’University of Iowa Art Galleries nel 1963. Bibliografa: Sheeler 1939; KeyeS et al. 1987. (sr) _ SoUGEZ, EmmaNUEL (Bordeaux, 16 luglio 1889 Parigi, 24 agosto 1972) Formatosi all’École des Beaux-Arts di Bordeaux, dove studia pittura dal 1904 al 1911, decide successivamente di dedicarsi alla fotografa e viaggia in Europa da Parigi alla Germania (Monaco e Berlino), all’Austria (Vienna) e alla Svizzera, affnando la sua conoscenza tecnica del mezzo fotografco. Alla fne della Prima Guerra Mondiale, nel 1919, si stabilisce a Parigi, dove apre uno studio e realizza delle pubblicità per Printemps. Nel 1925 incontra René Baschet che lo assume alla rivista “L’Illustration” dove, nel 1926, dà vita al dipartimento fotografco. Nel 1928 introduce in Francia il moderno procedimento C.L. Finlay a colori. Negli anni Trenta si impone come uno dei maggiori esponenti francesi della fotografa diretta ed è riconosciuto come lo specialista francese della natura morta. Utilizza un apparecchio Rolleifex 30 x 40 che gli permette di ottenere fotografe di grande precisione e nitidezza. Grande sostenitore della fotografa francese, fonda nel 1936 il gruppo “Le Rectangle” e nel 1945 è cofondatore del gruppo “Les XV”. Collabora con diverse riviste del tempo, tra le altre, dal 1930 al 1936 pubblica su “Photographie”, supplemento annuale di “Arts et Métiers graphiques” le migliori immagini francesi e straniere. Famoso per le campagne fotografche per la riproduzione di opere d’arte, dalle sculture di Rodin (1933) alle sculture e terrecotte del Louvre (1934-36), ai grandi monumenti di Parigi (1931-1941), nel corso della sua carriera le sue immagini hanno contribuito all’illustrazione di molti volumi per le più note case editrici francesi, tra le altre Chêne (L’Art de l’Afrique noire, 1947; L’Art de l’Océanie e L’Art de l’Amérique, 1948) e Tel (Les Châteaux de France disparus, 1947). Si dedica anche allo studio della storia della fotografa, collaborando con R. Lecuyer all’Histoire de la Photographie (Baschet, 1945) e adattando l’Hi-

stoire Mondiale de la Photographie di P. Pollack (Hachette, 1961). Negli ultimi anni della sua vita pubblica due suoi personali contributi alla storia e all’estetica della fotografa: La Photographie, son histoire (Les Editions de l’Illustration, 1968) e La Photographie, son universe (Les Editions de l’Illustration, 1969). Nel 1971 ha donato alla Bibliothèque nationale di Parigi 169 tra negativi e positivi del suo archivio, oggi conservati al Musée française de la Photographie. Nel 1993 il Centre National de la photographie ha organizzato al Palais de Tokyo una grande retrospettiva dell’artista: Emmanuel Sougez: l’éminence grise. Bibliografa: De thezy 1992, p. 233; Dictionnaire 1996, pp. 596-597; houLette et al. 2009, p. 190. (cr) _ StRUtH, tHomaS (Geldern, 1954) Figlio di una ceramista e di un direttore di banca, Struth ha frequentato la Kunstakademie di Düsseldorf dal 1973 al 1980, dove ha inizialmente seguito i corsi di pittura di Peter Kleeman e Gerard Richter, per iniziare poi nel 1976 a seguire, su incoraggiamento dello stesso Richter, il nuovo corso di fotografa tenuto dai Bernd e Hilla Becher. Nel 1978 è il primo artista in residenza al P.S.1 di New York. In questi anni inizia a lavorare sul paesaggio urbano, alla ricerca di immagini che possano «sintetizzare una città», prima esclusivamente in bianco e nero, poi avvalendosi anche del colore, in un progetto fotografco che ancora oggi porta avanti. Tra le sue serie più famose si ricordano Parigi (1979) e, dopo due anni di interruzione forzata per svolgere il servizio civile (1980-1982), Roma (1984), Edimburgo (1985), Tokyo (1986) e Lima (2003). Una selezione di queste fotografe è stata recentemente esposta alla 13a Biennale di Architettura di Venezia (2012) in un’installazione dal titolo Unconscious places. Alla metà degli anni Ottanta risalgono l’incontro con lo psicoanalista Ingo Hartmann e i primi ritratti di famiglia che danno avvio a un altro dei più importanti progetti di Struth, confuito nel 2008 nel volume Familienleben/ Family Life, uscito in occasione di una mostra alla SK Stiftung Kultur di Colonia. Nel 1989 Struth inizia a lavorare a quello che è probabilmente il suo progetto più noto, Museum Photographs (BeLting 2001), nel quale fotografa i visitatori dei più importanti musei del mondo, dal Louvre e il Musée d’Orsay a Parigi all’Art Institute di Chicago, dal Rijskmuseum di Amsterdam alla Galleria dell’Accademia di Firenze, al Pantheon di Roma. Dal 1993 al 1996 insegna fotografa

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alla Staatliche Hochschule für Gestaltung di Karlsruhe e nell’anno accademico 2010/2011 è Humanitas Visiting Professor di arte contemporanea a Oxford. Nel 1997 ha ricevuto lo “Spectrum” International Photography Prize della Bassa Sassonia. Tra le sue personali più recenti, Thomas Struth: Photographs 19782010 (Porto, Museo Serralves, 2012; Londra, Whitechapel Gallery, 2011; Zurigo, Kunsthaus, 2010); Thomas Struth (Napoli, Madre, 2008). Bibliografa: Corà et al. 2004; CoDognato 2008; BezzoLa et al. 2010. (cr) _ VERaCI, VERo (? - Firenze, 1855) Attivo a Firenze a partire dalla metà degli anni Cinquanta dell’Ottocento, Veraci fonda nel 1853 la Società Fotografca Toscana insieme a Pietro Semplicini e Francesco Bensa. Pittore di formazione, con Pietro Semplicini e J. B. Philpot, fa parte di quel ristretto gruppo di calotipisti attivi a Firenze in quegli anni dei quali si ha notizia e che, compresa l’importanza del nuovo mezzo fotografco, si sono dedicati al genere allora più richiesto, la riproduzione del patrimonio artistico e monumentale della città. Della sua produzione fotografca ci sono noti 74 negativi su carta di vario formato conservati oggi nelle Raccolte Museali Fratelli Alinari di Firenze, che hanno come soggetti i principali monumenti della città. La loro attribuzione a Veraci è stata possibile grazie a un negativo di cui si conserva nella Collezione Becchetti la stampa positiva, frmata dall’autore. La serie, generalmente datata verso la metà degli anni Cinquanta, risulta omogenea per qualità, caratteristiche tecniche dei negativi e tipologia delle immagini. Nel 1855 la rivista “La Lumière” menziona le fotografe che Veraci presenta all’Esposizione Universale e parla di lui come «il solo che si distingue a Firenze tra i molti fotograf e che può divenire emulo degli Alinari” e la rivista “L’Arte”, dopo la sua precoce scomparsa, lo ricorda come uno dei migliori fotograf di Firenze il cui lavoro, «primeggiando con gli Alinari», è stato notevolissimo soprattutto nella riproduzione dei monumenti. Bibliografa: La Lumière 1851-1860, II, 1855, p. 79; BeCChetti 1978, p. 68; faLzone DeL BarBarò et al. 1989, p. 216; Cartier-BreSSon et al. 2004, p. 248; ragazzini 2004; CartierBreSSon et al. 2006, p. 257; Éloge... 2010, p. 237. (cr)

BIBLIOGRAFIA GENERALE

FONTI

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Brogi 1886 Elenco delle fotografe artistiche pubblicate dallo Stabilimento Giacomo Brogi. Estratto del Catalogo 1886, Firenze, 1886. alinari 1887 Terza appendice al Catalogo generale delle riproduzioni fotografche pubblicate per cura dei Fratelli Alinari, Firenze, G. Barbèra, gennaio 1887. Brogi 1889 Catalogo delle fotografe artistiche pubblicate dallo Stabilimento Giacomo Brogi. Seguito al Catalogo del 1878, Firenze, 1889. alinari 1891 Firenze e contorni. Catalogo n. 1. Riproduzioni fotografche pubblicate per cura dei Fratelli Alinari fotograf – editori, Firenze, G. Barbèra, 1891. alinari 1896 Firenze e contorni. vedute, bassorilievi, statue, quadri, affreschi, quadri moderni P. A., botanica, zoologia. Catalogo n. 1. Riproduzioni fotografche pubblicate per cura dei Fratelli Alinari fotograf-editori, Firenze, G. Barbèra, 1896. Braun 1900 Architecture et sculpture, Maison AD. Braun & Cie, Dornach, 1900. anDerSon... 1901 D. Anderson - Fotografo, Facsimili di alcune fotografe di quadri esistenti nelle Gallerie d’Italia, Roma, Offcina Poligrafca Romana, 1901. Fondo Ricci... 1901a Ravenna, Biblioteca Classense, Fondo Ricci, Carteggio - Corrispondenti Perazzo, vol. 147, n. 27525, Taranto, 22 novembre 1901. Fondo Ricci... 1901b Ravenna, Biblioteca Classense, Fondo Ricci, Carteggio - Corrispondenti Vellani, vol. 198, n. 56871, Taranto, 5 ottobre 1901. Fondo Ricci... 1905 Ravenna, Biblioteca Classense, Fondo Ricci, Carteggio - Corrispondenti Perazzo, vol. 147, n. 27536, Taranto, 20 agosto 1905. anDerSon 1907 Catalogue général des reproductions photographiques publiées par D. Anderson éditeur photographe, Roma, 1907. Brogi 1907 Catalogue spécial des photographies de Florence et de la Toscane publiées par la Maison Giacomo Brogi. Vues monuments sculptures, etc., Firenze, 1907. alinari 1908 Paris Versailles, photographies de la Maison Alinari Frères, Florence, Firenze, G. Barbèra, 1908. Fondo Ricci... 1909 Ravenna, Biblioteca Classense, Fondo Ricci, Carteggio - Corrispondenti Pasquale Nerino Ferri, vol. 66, n. 12675, 4 aprile 1909. Fondo Ricci... 1910 Ravenna, Biblioteca Classense, Fondo Ricci, Carteggio - Corrispondenti Perazzo, vol. 148, n. 27575, Firenze 26 novembre 1910. Papers of Arthur Kingsley Porter... 1910-1925 Boston M. A., Harvard University Archives, Papers of Arthur Kingsley Porter 1883-1925, Correspondance, 1910-1925.

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Braun 1912 Reproductions inaltérables au charbon d’après les chefs-d’oeuvre de la Peinture, Architecture, Sculture dans les Musées, les Galeries et Collections Particulières les plus remarquables publiées en Formats Extra, Exceptionnel et Tout-Grand, Maison Ad. Braun & C.ie, Succ.rs, 1900. Mannelli [1914] Catalogo generale delle riproduzioni fotografche pubblicate da Mannelli & Co. fotograf editori, Firenze, s.d. [1914?]. alinari 1916 Firenze e dintorni. Riproduzioni fotografche pubblicate per cura di Vittorio Alinari proprietario dello Stabilimento Fotografco Fratelli Alinari fotograf – editori, Firenze, Barbèra, Alfani e Venturi proprietari, 1916. Fondo Ricci... 1916 Ravenna, Biblioteca Classense, Fondo Ricci, Carteggio – Corrispondenti Perazzo, vol. 148, n. 27625, 5 febbraio 1916 anDerSon 1927 Fotografe di D. Anderson, Catalogo I. Roma e dintorni, Roma, 1927. alinari 1930 Firenze I. Le chiese. Catalogo delle fotografe di opere d’arte e vedute, Fratelli Alinari soc. an. I.D.E.A., Firenze (7), via Nazionale 8, Firenze, Giannini e Giovannelli, 1930. Brogi 1932 Catalogo delle fotografe pubblicate dalla Ditta Giacomo Brogi Fotografo Editore, Firenze e Toscana. Pitture, vedute, sculture, etc., Firenze, 1932. alinari 1936 3o°supplemento al Catalogo, Gennaio 1936 - Aggiunte al Catalogo “Firenze I (Chiese), Firenze, 1936. Brogi 1936 Brogi, supplemento ai cataloghi stampati, 1936 circa, registro manoscritto, Firenze, Archivi Alinari 1936. alinari 1951 Aggiunte ai Cataloghi: Liguria, Piemonte, Lombardia, Venezia, Veneto, Emilia I, II, Firenze I, II, III, IV, Siena, Toscana, Roma, I, II, II, IV, Marche, Umbria, Lazio, Napoli, Sicilia e Sardegna, Estero. Cataloghi delle fotografe di opere d’arte e vedute, Firenze, Fratelli Alinari soc. an. I.D.E.A., 1951. alinari 1960 Aggiunte ai cataloghi delle fotografe Alinari, 1960, registro dattiloscritto, Firenze, Archivi Alinari, 1960. Braun s.d. Maison AD. Braun & Cie, Braun & Co successors, Fine Art Publishers, s.d. Registro dei negativi, s.d. Registro dei negativi, registro manoscritto con Indice dei negativi acquistati da altre Collezioni, dal 48000 in poi, dattiloscritto, Firenze Archivi Alinari, s.d. Nota Sono state qui considerate “Fonti’” anche le pubblicazioni a stampa dei cataloghi di vendita editi dai fotograf poiché in molti casi si tratta delle uniche documentazioni reperibili che consentono la ricostruzione storico-fotografca e la datazione della loro produzione, spesso postillate manoscritte per gli aggiornamenti.

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DerreK 2009 DerreK, Allan, Art and the Human Adventure. André Malraux’s Theory of Art, Amsterdam-New York, Editions Rodopi, 2009. Di Pinto 2009 Di Pinto, Rossana, Attorno ai Patti Lateranensi. Indagine sulla formazione dell’Archivio Fotografco dei Musei Vaticani, in PaoluCCi et al. 2009, pp. 401-425. Falletti et al. 2009 [v. Mapplethorpe... 2009] Federico Zeri... 2009 Federico Zeri. Dietro l’immagine. Opere d’arte e fotografa, catalogo della mostra (Bologna, Museo Ebraico), a cura di Anna ottani Cavina, Torino, Allemandi, 2009. Ferrari et al. 2009 [v. Carlo Mollino... 2009] geiMer 2009 geiMer, Peter, The Art of Resurrection. Malraux’s Musée imaginaire, in CaraFFa, Costanza (a cura di), Fotografe als Instrument und Medium der Kunstgeschichte, Berlin - München, Deutscher Kunstverlag, 2009, pp. 77-89. heinzelMann et al. 2009 heinzelMann, Markus - MenDe, Doreen (a cura di), Candida Höfer Projects: Done, Köln, Walther Konig, 2009. houlette et al. 2009 [v. Paris... 2009] Mapplethorpe... 2009 Robert Mapplethorpe. Perfection in Form. La Perfezione della Forma, catalogo della mostra, (Firenze, Galleria dell’Accademia), a cura di Franca Falletti e Jonathan K. nelSon, Kempen, teNeues, 2009. Mozzo 2009 Mozzo Marco, La raccolta di fotografe d’arte di Henry Thode e Gabriele d’Annunzio: un progetto di riordino e schedatura informatica, in “Quaderni del Vittoriale”, n.s., 5, 2009, pp. 91-103. ottani Cavina 2009 [v. Federico Zeri... 2009] PaoluCCi et al. 2009 PaoluCCi, Antonio - Pantanella, Cristina (a cura di), I Musei Vaticani nell’80o anniversario della frma dei Patti Lateranensi 1929-2009, Città del Vaticano, Edizioni Musei Vaticani-Giunti-Sillabe, 2009. Paris... 2009 Paris capitale photographique 1920-1940. Collection Christian Bouqueret, catalogo della mostra (Parigi, Jeu de Paume; Firenze, MNAF), a cura di Michaël houlette e Marta PonSa, Paris, Jeu de Paume-Éditions de La Martinière, 2009. PeterS 2009 PeterS, Dorothea, “Das Schwierigste ist eben... das, was uns das Leichteste zu sein dünkt - nämlich das Sehen”. Kunstgeschicthe und Fotografe am Beispiel Giovanni Morellis (1816-1891), in CaraFFa, Costanza (a cura di), Fotografe als Instrument und Medium der Kunstgeschichte, Berlin-München, Deutscher Kunstverlag, 2009, pp. 45-75. PohlMann et al. 2009 [v. Voir l’Italie... 2009] ritter 2009 ritter, Dotothea, …Allez! Arrêtez! Vite! Impressions d’Italie dans la literature et la photographie de voyage au xixe Siècle, in PohlMann et al., 2009, pp. 49-55. tagg 2009 tagg, John, The Disciplinary Frame: Photographic Truths and the Capture of Meaning, Minneapolis (MN), University of Minnesota Press, 2009. taMaSSia 2009 taMaSSia, Marilena (a cura di), Soprintendenza

Speciale per il Polo Museale forentino, Paesaggi toscani nelle immagini della Fototeca, Livorno, Sillabe, 2009. tazzi 2009 tazzi, Pier Luigi, Youssef Nabil, Firenze, Galleria Poggiali e Forconi, 2009. turzio 2009 turzio, Silvana, Gianni Berengo Gardin, Milano, Bruno Mondadori, 2009. Voir l’Italie... 2009 Voir l’Italie et mourir, catalogo della mostra (Paris, Musée d’Orsay), a cura di Ulrich PohlMann e Guy Cogeval, Musée d’Orsay-Skira Flammarion, 2009. And There was Light... 2010 And There was Light. Michelangelo, Leonardo, Raphael. The Masters of Renaissance seen in a New Light, catalogo della mostra (Göteborg, Eriksbergshallen), a cura di Francesco Buranelli e Alessandro vezzoSi, Roma, “L’Erma di Bretschneider”, 2010. auBenaS et al. 2010 auBenaS, Sylvie - rouBert, Paul-Louis (a cura di), Primitifs de la photographie. Le calotype en France 1843-1860, Paris, Gallimard-Bibliothèque Nationale de France, 2010. BergStein 2010 BergStein, Mary, Mirrors of Memory. Freud, Photography, and the History of Art, Ithaca (U.A.), Cornell University Press, 2010. Bezzola 2010 Bezzola, Tobia, From Sculpture in Photography to Photography as Plastic Art, in MarCoCi 2010, pp. 28-35. Bezzola et al. 2010 Bezzola, Tobias - lingwooD, James - KruSzynSKi, Anette, Thomas Struth: Photographs 1978-2010, München, Schirmer-Mosel, 2010. Bonetti 2010 Bonetti, Maria Francesca, Omaggio a Niépce. La fotografa come simulacro, tra riproduzione e appropriazione, in Rendering... 2010, pp. 19-26. ColoMBo 2010 [v. Frank Horvat... 2010] De FioreS 2010 De FioreS, Stefano, La Madonna in Michelangelo: una nuova interpretazione teologico-culturale, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2010. Di Bello 2010 Di Bello, Patrizia, Photography and sculpture a light touch, in “Art, history and the senses”, 2010, pp. 19-34. Éloge... 2010 Éloge du négatif. Les débuts de la photographie sur papier en Italie [1846-1862], catalogo della mostra (Paris, Petit Palais; Firenze, MNAF), Paris, Musées - Firenze, Fratelli Alinari Fondazione per la Storia della Fotografa, 2010. enarD 2010 enarD, Mathias, Parle-leur de batailles, de rois et d’éléphants, Arles, Actes Sud 2010. FoKiDiS 2010 [v. Sculture/Analogie... 2010] Frank Horvat... 2010 Frank Horvat. No repeat 1945-2010, catalogo della mostra (Udine, Galleria Tina Modotti), a cura di Cesare ColoMBo, Spilimbergo, CRAF, 2010. levi 2010 levi, Donata, Da Cavalcaselle a Venturi. La documentazione fotografca della pittura tra connoisseurship e tutela, in SPiazzi, Anna Maria - Majoli, Luca - giuDiCi, Corinna, Gli archivi fotografci

delle soprintendenze. Tutela e storia. Territori veneti e limitrof, Atti della conferenza (Venezia, 29 ottobre 2008), Crocetta del Montello, Terraferma edizioni, 2010, pp. 23-33. lévi-StrauSS 2010 lévi StrauSS, Claude, Il pensiero selvaggio, Milano, Il Saggiatore, 2010. MarCoCi 2010 [v. Original Copy... 2010] MolteDo MaPelli 2010 [v. Rendering... 2010] Original Copy... 2010 The Original Copy: photography of sculpture, 1839 to today, catalogo della mostra (New York, MoMa), a cura di Roxana MarCoCi, New York, MoMa, 2010. Paoli 2010 Paoli, Silvia, Culture artistique et photographie: les académies des beaux-arts et la diffusion du calotype, in Éloge... 2010, pp. 46-55. ragionieri 2010 ragionieri, Susanna, Ritorni, in “Artista. Critica dell’arte in Toscana”, 2010, pp. 104-111. Rendering... 2010 Rendering. Traduzione, citazione, contaminazione. Rapporti tra i linguaggi dell’arte visiva, catalogo della mostra (Roma, Istituto Nazionale per la Grafca), a cura di Alida MolteDo MaPelli, Roma, Palombi Editori, 2010. SaBato - vezzoSi 2010 SaBato, A. - vezzoSi Alessandro, in And There was Light... 2010, p. 157, n. 5. Sculture/Analogie... 2010 Luca Pignatelli - Sculture/Analogie, catalogo della mostra (Firenze, Galleria Poggiali e Forconi), a cura di Marina FoKiDiS, Milano, Arnoldo Mosca Mondadori ed., 2010. Serena 2010 Serena, Tiziana, L’archivio fotografco possibilità derive potere, in SPiazzi et. al. 2010, pp. 102-125. SPiazzi et. al. 2010 SPiazzi, Anna Maria - Majoli, Luca - giuDiCi, Corinna, Gli archivi fotografci delle soprintendenze. Tutela e storia. Territori veneti e limitrof, Atti della conferenza (Venezia, 2008), Crocetta del Montello, Terraferma Edizioni, 2010. zanzi 2010 zanzi, Paolo (a cura di), Paolo Monti fotografa. Nei segreti della luce tra le cose, Milano, Biblioteca Europea di informazione e cultura / Fondazione Enrico Monti, 2010. Bann 2011a Bann, Stephen (a cura di), Art and the Early Photographic Album, Atti del convegno (Washington, 2007), Washington (D.C.), National Gallery of Art, 2011. Bann 2011b Bann, Stephen, The Photographic Album as a Cultural Accumulator, in Bann 2011a, pp. 8-29. BeltraMo CePPi zevi 2011 [v. Matisse... 2011] Brusselmans... 2011 Jean Brusselmans (1884-1953) al Mu.Zee di Ostenda, opuscolo illustrativo della mostra (Ostenda, Mu.zee), a cura di A. CliSSen, i. gheeraert ed e. Milh, Ostenda, 2011; on-line: http://www. muzee.be/mediastorage/FSDocument/359/ nl/003482_publieksbr_jBrusselmans_FR.pdf CaPretti 2011 CaPretti, Elena, Firenze, 1907, in Matisse... 2011, pp. 357-367. CaraFFa 2011 CaraFFa, Costanza (a cura di), Photo Archives and

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Il simbolismo in Italia... 2011 Il simbolismo in Italia, catalogo della mostra (Padova, Palazzo Zabarella), a cura di Maria Vittoria Marini Clarelli, Fernando MazzoCCa e Carlo SiSi, Venezia, Marsilio, 2011. SMith 2011 SMith, Graham, From Album to Archive. The Alinari Catalogues of 1856 and 1857, in CaraFFa 2011, pp. 117-128. Arnold... 2012 All about Eve. The photography of Eve Arnold, Kempen, TeNeues Verlag, 2012. BattiSti 2012 BattiSti, Eugenio, Michelangelo, fortuna di un mito: cinquecento anni di critica letteraria e artistica, Firenze, Olschki, 2012. CaraFFa 2012 CaraFFa, Costanza, Pensavo fosse una fototeca invece è un archivio fotografco, in CaraFFa - Serena 2012, pp. 37-50. CaraFFa - Serena 2012 CaraFFa, Costanza - Serena, Tiziana (a cura di), Archivi fotografci. Spazi del sapere, luoghi della ricerca, num. mon., in “Ricerche di Storia dell’Arte”, 106, 2012. FranCeSConi 2012 FranCeSConi, Elisa, Tano Festa e Michelangelo: un episodio di fortuna visiva a Roma negli anni Sessanta, in “Studi di Memofonte”, 9, 2012, pp. 91-120. Light... 2012 Light from the Middle East: New Photography, catalogo della mostra (Londra, Victoria & Albert Museum), a cura di Maria weiSS, Gottinga, Steidl, 2012. MazzuCCo 2012 MazzuCCo, Katia, L’iconoteca Warburg di Amburgo. Documenti per una storia della photographic collection del Warburg Institute, in “Quaderni storici”, n.s. 47, 2012, pp. 857-888. Memorie sovvertite... 2012 Memorie sovvertite - Upside Down Memories, catalogo della mostra (Serravezza Fotografa 2012, Palazzo Mediceo), Pontedera/Pisa, Bandecchi&Vivaldi, 2012. Miraglia 2012 Miraglia, Marina, Fotograf e pittori alla prova della modernità, Milano-Torino, Bruno Mondadori, 2012. Modernisme... 2012 Modernisme ou modernité. Les photographes du cercle de Gustave Le Gray, catalogo della mostra (Paris, Petit Palais), a cura di Anne De MonDenarD e Marc Pagneux, Arles, Actes Sud, 2012. MonDenarD - Pagneux 2012 [v. Modernisme... 2012] oCChiPinti 2012 oCChiPinti, Carmelo, L’“offcina” e il “padiglione forito”. Appunti sulla pratica ferrarese nel Quattrocento, in Donato, Maria Monica - Ferretti, Massimo (a cura di), Conosco un ottimo storico dell’arte... Per Enrico Castelnuovo, Pisa. Edizioni della Normale, 2012, pp. 189-195. La patria, l’arte, la donna... 2012 La patria, l’arte, la donna. Francesco Saverio Altamura e la pittura dell’Ottocento in Italia, catalogo della mostra, Foggia, Palazzo Dogana e Museo Civico), a cura di Silvestra Bietoletti, Luisa Martorelli e Francesco Picca, Foggia, Claudio Grenzi Ed., 2012. Primi anni di attività... 2012 Primi anni di attività del Gabinetto Fotografco 1904-1922, Quaderni del Gabinetto Fotografco della Soprintendenza Speciale per il Polo Museale Fiorentino, n. 2, Livorno, Sillabe, 2012.

SaChS 2012 SaChS, D. E., Rodin and Michelangelo: a new perspective, “Notes in the History of Art”, vol. 31, 2 (Winter 2012), pp. 33-38. weiSS 2012 [v. Light... 2012] zanzi 2012 zanzi, Paolo, Paolo Monti. Fotografe. Il furore del nero, Milano, Skira, 2012. auF Der heyDe 2013 auF Der heyDe, Alexander, Per l’“avvenire dell’arte in Italia”: Pietro Selvatico e l’estetica applicata alle arti del disegno nel secolo xix, Pisa, Pacini, 2013. BelleSi 2013 BelleSi, Sandro, Studi sulla pittura e sulla scultura a Firenze nel ’600-’700, Firenze, Polistampa, 2013. Berti 2013a Berti, Federico, Domenico Cresti, il Passignano, «fra la natione forentina e veneziana». Viatico per il periodo giovanile con una inedita Sacra Famiglia, Firenze, Frascione Arte, 2013. Berti 2013b Berti, Federico, Studi sulla pittura e sulla scultura a Firenze nel ’600-’700, Firenze, Polistampa, 2013. CaSSeSe 2013 CaSSeSe, Giovanna (a cura di), Accademie/Patrimoni di Belle Arti, Roma, Gangemi Editore, 2013 . DerCKS 2013 [v. Florenz 2013] DiDi-huBerMan 2013 DiDi-huBerMan, Georges, L’Album de l’art à l’époque du “Musée imaginaire”, Paris, HazanLouvre éditions, 2013. Florenz... 2013 Florenz, catalogo della mostra (Bonn, Bundeskunsthälle), a cura di Annamaria giuSti, Bernard roeCK e Gerhard wolF, Bonn, Hirmer, 2013. Fotografare... 2013 Fotografare le Belle Arti. Appunti per una motra. Un percorso all’interno dell’archivio fotografco della Direzione generale delle antichità e belle arti, Fondo MPI Ministero della pubblica istruzione 1860-1970, catalogo della mostra (Roma, Istituto centrale per il catalogo e la documentazione, Ministero per i beni e le attività culturali), Roma, ICCD, 2013. Ferretti 2013 [v. Michelangelo... 2013] Fotografare... 2013 Fotografare le Belle Arti. Appunti per una motra. Un percorso all’interno dell’archivio fotografco della Direzione Generale delle antichità e belle arti, Fondo MPI Ministero della pubblica istruzione 1860-1970, catalogo della mostra (Roma, Istituto centrale per il catalogo e la documentazione, Ministero per i beni e le attività culturali), Roma, ICCD, 2013. Gusto Romantico… 2013 Gusto Romantico. Opere del xix secolo dalla Collezione di Alessandro Marabottini, catalogo della mostra, Roma, Museo Praz, a cura di Patrizia Rosazza-Ferraris, Roma, De Luca Editori d’arte, 2013. Höfer... 2013 Candida Höfer a return to Italy, London, Ben Brown Fine Arts, London, 2013. Housewith 15 Keys 2013 House with 15 Keys, photographs Frank Horvat, Paris, Terre Bleue, 2013.

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Michelangelo... 2013 Michelangelo. Sensualità e passione, catalogo della mostra (Abbazia di Rosazzo), a cura di Veronica Ferretti, Siena, 3Arte Editore, 2013. Prete 2013 Prete, Maria Luisa, Il cacciatore di istanti eterni, in “Inside Art”, a. 10, n. 93, 2013, pp. 17-19. naBil et al. 2013 naBil, Youssef - ulriCh, Hans - aBraMoviCh, Marina, Youssef Nabil, Paris, Flammarion, 2013. Perspectivas... 2013 Perspectivas & Interiores Espacios y Museos de Arte en la Fotografa de Massimo Listri, catalogo della mostra (Santo Domingo, Galeria National de Bellas Artes), a cura di Giancarlo riCCo e Mauro torriani, Firenze, 2013 riCCo et al. 2013 [v. Perspectivas... 2013] Rodin. La lumière... 2013 Rodin. La lumière de l’Antique, catalogo della mostra (Arles, Musée départemental Arles antique), a cura di Pascal PiCarD, Paris, Gallimard, 2013. The Sculptural Photograph... 2013 The Sculptural Photograph in the Nineteenth Century, a cura di Patrizia Di Bella, in “History of Photography”, 37, n. 4, 2013. Storie... 2013 Gianni Berengo Gardin. Storie di un fotografo, Venezia, Marsilio, 2013. Mola 2014 Mola, Paola, Vergini fauni e senatori. Sui modelli per le copie dall’antico al Museo Rosso di Barzio, in Abitare il Museo – Le case degli scultori, Atti del III convegno internazionale sulle Gipsoteche, a cura di Mario guDerzo (Possagno, Fondazione Canova, 4-5 maggio 2012), Treviso, Edizioni Terraferma, 2014, pp. 259-286. Il potere... 2014 Il potere dello sguardo. Fotografe di aurelio Amendola, catalogo della mostra (Firenze, Museo delle Cappelle Medicee), Torino, Grandi Opere FMR, 2014. Serena 2014 Serena, Tiziana, L’Italie monumentale di Eugène Piot. La fotografa fra documento ed Égotisme, in heilBrun, Françoise, L’invention d’un regard, Paris, Musée d’Orsay-Flammarion, in corso di stampa. Sitografa www.karenknorr.com www./rgi.revues.org www.vam.ac.uk/content/articles/t/the-castcourts www.youtube.com/watch?v=e-l2BMStRcg www.aurelioamendola.it www.helmutnewton.com www.horstphorst.com www.horvatland.com www.lisesarfati.com www.magnumphotos.com www.massimolistri.com www.fotografaeuropea.it www.gerardrondeau.com www.karenknorr.com www.mapplethorpe.org www.romanocagnoni.com www.thomasstruth32.com www.timparchikov.com www.whereisthedavid.com www.youssefnabil.com

INDICE DEI NOMI

Acciai, Fedele, 23 Alberti, Leon Battista, 103, 343 Alberto d’Inghilterra, principe, 46, 58, 67 Aleardi, Aleardo, 298 Alessandri, Cosimo degli, 59 Alferi, Vittorio, 12, 297 Alighieri, Dante, 20, 298, 303, 307, 336, 347 Alinari, Carlo, 329 Alinari, Fratelli, 11, 15, 40, 42, 43, 45-47, 50, 51, 55-61, 64, 66, 76, 80, 110, 113, 117, 140, 141, 156, 157, 162, 163, 170, 171, 173, 177, 208, 209, 300-302, 305-310, 312-314, 316, 317, 329, 330, 333-335, 341, 345, 349 Alinari, Giuseppe, 300, 329 Alinari, Leopoldo, 42, 45, 138, 300, 329 Alinari, Romualdo, 300, 329 Alinari, Vittorio, 89, 329 Allende, Salvador, 334 Allori, Cristofano, 296 Aloisio, Ottorino, 344 Altamura, Francesco Saverio, 303, 308, 309, 345 Amendola, Aurelio, 51, 53, 114, 248, 249, 320, 321, 329 Amici, Giovan Battista, 55, 345 Ammannati, Bartolomeo, 12, 109 Anderson, Alessandro, 330 Anderson, Domenico, 46, 330 Anderson, Giorgio, 330 Anderson, Guglielmo, 330 Anderson, James (Isaac Atkinson, detto), 40, 41, 150, 304, 329, 330, 340, 3 Anderson, Stabilimento, 44, 47, 51, 54, 55, 113, 181, 304, 310, 329 Angeli, Franco, 319, 336 Anglani, Marcella, 302 Antinori, Niccolò, 25 Antonetto, Marco, 334 Antonioni, Michelangelo, 94, 95, 99, 120 Ardant, Fanny, 98, 325, 343 Aretino, Pietro, 316 Arnheim, Rudolf, 34 Arnold, Arnold, 330 Arnold, Eve, 279, 324, 330 Arnolfo di Lapo (Arnolfo di Cambio), 299 Artaria, Epimaco, 330 Artaria, Ferdinando, 42, 133, 300, 330, 331, 337 Artaria, Pasquale, 330, 331 Asburgo Lorena, Francesco Giuseppe, 336 Aubert, Marcel 77, 318 Audra, Paul, 33 Avigdor, Giorgio, 51 Baccani, Gaetano, 25 Bacci, Raffaele, 89

Baciocchi, Elisa, 297 Bajazet, sultano, 99 Baldinotti, Andrea, 307 Balducci, Giovanni, 316 Baldus, Édouard Denis, 14, 144, 145, 302, 331 Balocchi, Vincenzo, 329 Balzac, Honoré de, 29, 348 Bandinelli, Baccio, 299 Banf, Gian Luigi, 319 Bann, Stephen, 66 Barbarossa, Federico (Federico I Hohenstaufen, detto), 346 Barbieri, Olivo, 321 Bardi, Luigi, 46, 59, 299, 301, 305, 329, 333, 337 Barletti, Vinicio, 334 Bartolini, Lorenzo, 25, 28, 35, 346 Barye, Alfred-Louis, 347 Baschet, René, 349 Basilico, Gabriele, 15, 54, 98, 255, 321, 331 Batelli, Vincenzo, 298, 299, 333, 337 Battaglini, Sergio, 319, 343 Battisti, Eugenio, 76, 77 Baudelaire, Charles, 37, 336 Bayard, Hyppolite, 331 Beato Angelico (Guido di Pietro, detto), 23 Becchetti, Piero, 349 Becher, Bernd, 338, 349 Becher, Hilla, 349 Bega, Melchiorre, 344 Belgiojoso, Ludovico Barbiano di, 319 Bellini, Giovanni, 71, 335 Bellini, Jacopo, 71 Benedetto XV (Prospero Lambertini), 347 Benjamin, Walter, 47, 55, 67, 75, 312, 324 Bensa, Francesca, 349 Benvenuti, Pietro, 316, 342 Berengo Gardin, Gianni, 250, 321, 332 Berenson, Bernard, 30, 48, 64, 110, 113, 319, 323, 335 Bergestein, Mary, 77 Bernardini, Fausto, 119 Bernasconi, Cesare, 336 Bernoud, Alphonse, 42 Berthier, Paul Marcellin, 45, 158, 305, 332 Beuret, Rose, 35 Bezzuoli, Giuseppe, 303, 307, 336, 342, 346 Bingham, Robert, 76 Bisson, Frères, 76 Blanc, Charles, 67, 69, 70, 76, 77 Blanquart-Évrard, Louis Desiré, 67, 302, 337 Bode, Wilhelm, 311

Boine, Giovanni, 30, 35 Boissevain, Estrella, 261, 322 Bonaparte, Napoleone. 23, 299, 342 Bonetti, Maria Francesca. 55 Bonington, Richard Parkes. 336 Bontempelli, Massimo. 344 Borbone, Maria Amelia di, 338 Borbone, Maria Luisa di, 297 Borghini, don Vincenzio, 109 Borgia, Lucrezia, 346 Borrani, Odoardo, 23 Borromini, Francesco, 343 Boscoli, Fabrizio, 109 Bourbon Del Monte, Luca, 59 Bracciolini, Poggio, 316 Brancusi, Constantin, 311 Brandi, Cesare, 33 Brandt, Bill, 334 Brassaï (Gyula Halász, detto), 332 Braun, Adolphe, 45, 68, 70, 153, 166, 167, 304, 306, 332 Braun, Clement, 309 Braun, Gaston, 332 Braun, Henri, 57, 332 Braun, Samuel, 332 Braun, Stabilimento, 45, 57, 58, 64, 70, 76, 77, 178, 309, 332, 333 Brecht, Bertold, 74 Briganti, Giuliano, 75, 110 Brjulov, Karl, 335 Brodovich, Alexey, 330 Brogi, Alfredo, 333 Brogi, Carlo, 333 Brogi, Giacomo, 46, 310, 333 Brogi, Stabilimento, 46, 47, 50, 51, 58, 64, 113, 159-161, 182-185, 190, 191, 193-196, 305, 310, 312-314, 329, 333, 340, 341 Bruegel, Pieter il Vecchio, 323 Brunelleschi, Filippo, 343 Bruni, Leonardo, 316 Brunnell, June, 344 Brusselmans, Jean, 33, 259, 321, 322, 333 Bruyas, Alfred, 304 Bulloz, Jacques-Ernest, 48, 50, 218, 318, 333 Buontalenti, Bernardo, 35, 83, 302 Burckhardt, Jacob, 68, 69, 76 Burn, Robert, 330 Burne Jones, Edward Coley, 29 Burri, Alberto, 329, 346 Byron, George Gordon lord, 336 Caccini, Giulio, 12 Caccini, Pompeo, 12, 296 Cagnola, Guido, 75 Cagnoni, Romano, 281, 324, 334 Calvi, Pietro, 347 Cambi, Ulisse, 316 Cameron, James, 334 Cammilli, Daniela, 113 Camoin, Charles, 33, 35 Canella, Giuseppe, 299, 336

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Caneva, Giacomo, 41, 149, 304, 334 Canova, Antonio, 23, 297, 342 Cantalamessa, Giulio, 71 Capa, Robert, 52, 334, 338, 340 Caraffa, Costanza, 71, 75 Carpaccio, Vittore, 71, 77 Carpeaux, Jean-Baptiste, 347 Carrier-Belleuse, Albert-Ernest, 347 Cartei, Luigi, 316 Cartier-Bresson, Henri, 334, 338 Casals, Pablo, 342 Casati, Alessandro, 35 Cassioli, Amos, 303 Castellani, Giovanni Battista, 334 Castelli, Leo, 341 Castro Ruz, Fidel, 334 Cavagnac, Gustave, 346 Cavalli, Emanuele, 335 Cavalli, Giuseppe 343 Ceaucescu, Nicolae, 347 Cecchi, Emilio, 30 Cecioni, Adriano, 309 Celant, Germano, 323 Cellini, Benvenuto, 299, 303, 336 Cerbara, Nicola, 297 Cesalpino, Andrea, 316 Cestelli Guidi, Benedetta, 54 Cézanne, Paul, 312, 342 Chang, Won-seok, 325 Chauffourier, Gustave Emile, 121, 329 Cherbuin, Louis, 330 Christophe, Ernest,27 Cicognara, Leopoldo, 23, 68 Cigoli (Lodovico Cardi, detto il), 109, 296, 345 Cimabue (Cenni di Pepo, detto), 303, 336, Cimarosa, Domenico, 20 Cini, Vittorio, 329, 333 Cipriani, Nicolò, 80, 85, 86, 87, 89, 197-201, 210-213, 314, 315, 317, 334 Chevalier, Charles, 337 Chopin, Fryderyk F., 336 Clark, Kenneth, 75 Claudel, Camille, 347 Clemente VII (Giulio de’ Medici), 306 Clinton, Bill, 337 Cocteau, Jean, 340 Cohen, Bessie, 330 Cohen, William, 330 Colacicchi, Giovanni, 33, 269, 323, 335 Cole, Henry, 58 Cole, Thomas, 68 Coles, Henry, 48 Colonna, Vittoria, 59, 147, 303 Compagni, Dino, 347 Condivi, Ascanio, 121, 307 Consani, Vincenzo, 297 Conti, Giuseppe, 299

Cornell, Joseph, 341 Cornienti, Cherubino, 165, 306, 335 Cornienti, Giuseppe, 335 Cort, Cornelis, 109 Costa, Nino, 335 Costantini, Paolo, 75 Costoli, Aristodemo, 25, 296 Cozzani, Ettore, 335 Crookes, William, 56 Curradi, Francesco, 296 Daguerre, Jacques, 38, 330 Dal Borro, Alessandro, 316 Damonte, Mario, 342 Dandini, Cesare, 296, 345 Dandini, Vincenzo, 296, 345 Daniel, Guarniero 344 Daniele da Volterra (Daniele Ricciarelli, detto), 19, 109, 297, 316 D’Annunzio, Gabriele, 29, 33, 70, 77, 335 Danti, Vincenzo, 109 Darcy, Denis, 336 De Carolis, Adolfo, 29, 205, 316, 329, 335 De Chirico, Giorgio, 329, 335, 337 De Fabris, Emilio, 25, 298, 309 Degli Alessandri, Giovanni, 23 Delaborde, Henri, 67, 76 Delacroix, Eugène, 14, 20, 22, 23, 27, 155, 303, 304, 320, 336, 347 Delamotte, Philip M., 39, 45, 57 Delaroche, Paul, 67 Delatre, Louis, 56 Del Bravo, Carlo, 335 Delessert, Benjamin, 67 Dell’Acqua, ingegnere, 88 Della Quercia, Jacopo (Jacopo di Pietro d’Agnolo di Guarnieri detto), 308, 329 Della Robbia, Luca 23 Del Monte, Pompeo, B. 57 Del Vita, Alessandro, 89 De Martiis, Plinio, 337 Demidoff, Anatolij, 55 De Mutis, Maria, 330 Denis, Maurice, 30 Derain, André, 321, 342 Derek, Allan, 77 Derrida, Jacques, 72 De Saint-Victor, Paul, 76 De Tolnay, Charles, 77, 304, 315-317 Devéria, Théodule, 332 Didi-Huberman, Georges, 72, 74 Dilly, Heinrich, 64 Dinocrate, architetto greco, 104 Doisneau, Robert, 51 Donatello (Donato di Niccolò di Betto Bardi, detto), 14, 23, 46, 57, 114, 303, 311, 317, 329, 336 Donnini, Emilio, 346 Dovizi, Bernardo, 316 Druet, Eugène, 48

Drury-Lowe, William, 296 Dubois, Paul, 27 Dubois, Philippe, 55 Duchamp, Marcel, 341 Dumas, Alexandre 336 Duncan, Isabella, 70 Dupré, Giovanni, 316 Dürer, Albrecht, 68, 304, 335 Duse, Eleonora, 29, 70 Dusio, Piero, 342 Edgerton, Harold Eugene, 342 Eichmann, Adolf, 342 Eissler, Gottfried von, 312 Eissler, Herrmann von, 312 Enard, Mathias, 99 Erizzo, Paolo, 306, 335 Evans, Arold, 334 Falchetti, Donatella, 300 Falguière, Jean-Alexandre-Joseph, 27 Falkeisen, Johann Jakob, 133, 300, 330 Falletti, Franca, 10, 14, 302 Fanfani, Enrico, 147, 303, 336 Fantin-Latour, Henri, 33, 56 Faraglia, Cesare, 113 Farnesi, Nicola, 128, 297, 298 Faruffni, Federico, 306, Fassbinder, Rainer Werner, 344 Fattori, Giovanni, 27, 329 Fedi, Pio, 346 Feininger, Andreas, 340 Feldmann, Hans-Peter, 108, 110 Ferrari, Carlo, 130, 299, 336 Ferrari, Marilena, 321 Ferrarin (Carlo Ferrari, detto), 299 Ferretti, Massimo, 54, 75 Ferri, Domenico, 335 Ferri, Pasquale Nerino, 301 Festa, Tano (Gaetano), 15, 34, 237, 319, 320, 336, 337 Ficino, Marsilio, 103 Fidia (Phidias), 93 Fierens, Hyppolite, 322 Filippi, Tomaso, 71 Finlay, C. L., inventore, 349 Finn, David, 51, 53, 61, 114, 117, 244-247, 320, 337 Fiocco, Giuseppe, 75 Fiorentini, Luigi, 329 Fizeau, Hippolyte, 55 Flachéron, Frédéric, 334 Flaxman, John, 340 Focillon, Henri, 73 Foggini, Giovan Battista, 296 Fossombroni, Vittorio, 316 Fox-Talbot, William Henry, 38, 55, 301, 337, 345 Fourquet, Léon, 297 Fra’ Bartolomeo (Baccio della Porta, detto), 15 Francesco d’Assisi, 316 Franchetti, Francesco, 335

Franchetti, Giorgio, 337 Frediani, Carlo, 307 Freschi, Gherardo, 334 Freud, Sigmund, 71, 77, 113 Frizzoni, Gustavo, 69 Fumagalli, Paolo, 131, 299, 337 Funi, Achille, 30, 31, 33 Galeotti, Fratelli, 324 Galilei, Galileo, 23, 296 Gargiolli, Giovanni, 80 Garibaldi, Giuseppe, 345 Garnier, Charles, 76 Garoglio, Diego, 89 Gatti, Annibale, 23, 303 Gautier, Théophile, 346 Géricault, Théodore, 336 Gernsheim, Helmut, 340, Gherardesca, Ugolino della, 55 Ghirlandaio, Domenico (Domenico Bigordi, detto il), 23, 316 Giambologna (Jean de Boulogne, detto il), 14, 299 Gillet, François, 75 Ginsberg, Allen, 341 Gioberti, Vincenzo, 346 Giotto (Agnolo di Bondone detto), 74 Giulio II (Giuliano Della Rovere), 22, 27, 40, 45, 58, 59, 96, 98, 104, 106, 120, 153, 302, 304, 306-308, 310, 313, 316, 318, 321 Giulio III (Giovanni Maria de’ Ciocchi del Monte), 316 Gloeden, Wilhelm von, 329, 341 Godart, Louis, 321 Gombrich, Ernst, 74 Gori, Lorenzo 128, 297, 298 Gotti, Aurelio, 28, 298 Goupil, maison, 67, 76 Gozzoli, Benozzo, 23 Granacci, Francesco, 15 Graul, Richard, 312 Gregori, Mina, 110 Gronau, Georg, 75 Gros, Antoine-Jean, 336 Grossi, Tommaso, 303 Guastalla, Marco, 68, 76 Guasti, Cesare, 28, 298, 303, Guérin, Pierre-Narcisse, 336 Guerrazzi, Francesco Domenico, 23, 303, 309 Guerresi, Maïmouna, 97, 98, 99 Guidoni, Enrico, 298 Guilbert, Yvette, 311 Guillaume, Eugène, 28 Guillot, Jacques-Michel, 337 Guillot, Pierre-Yves, 338 Guillot-Saguez, Amélie, 40, 55, 148, 303, 337, 338 Guittone d’Arezzo, 316 Guttman, Simon, 334

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Hadeln, Moritz de, 75 Halpert, Edith, 348 Hartmann, Ingo, 349 Hartt, Frederick, 53, 61, 114, 318, 320 Hayez, Francesco, 69, 335 Haweis, Stephen, 48 Heikamp, Detlef, 321 Hildebrand, Adolf, 30 Hill, David Octavius, 340 Ho Chi Minh, 334 Höfer, Candida, 15, 115, 117, 293, 325, 338 Höfer, Werner, 338 Holbein, Hans, 70 Homer, Winslow, 323 Horst, P. Horst, 15, 53, 261, 322, 338 Horvat, Frank, 285, 325, 338, 339 Hoyningen-Huene, George, 338, 340 Hupka, Robert, 54, 61 Huston, John, 330 Ingres, Jean-Auguste-Dominique 35, 336 Innocenzo da Imola (Innocenzo Francucci), 88 Jammes, Isabelle, 302 Jarnoux, Maurice, 63, 65, 72, 74 Jodice, Mimmo, 98 Jones, Jo, 342 Jouin, Henry, 76 Ki-duk, Kim, 54, 61, 289, 325, 339 Kippenberger, Martin, 338 Kleeman, Peter, 349 Klein, Yves, 320, 331 Klinger, Max, 30 Klossowski, Pierre, 75 Knorr, Karen, 53, 273, 324, 339 Kosuth, Joseph, 329 Kounellis, Jannis, 329 Laborde, Léon-EmmanuelSimon-Joseph de, 55, 303, 338 Lacan, Jacques, 331 Lamoricière, Christophe Louis Léon Juchault de, 27 Landino, Cristoforo, 316 La Rocca, Ketty, 32, 34 Lasinio, Giovan Paolo, 299 Laurati, Giorgio, 333 Lê, An-My, 277, 324, 339 Lecoq de Boisbaudran, Horace, 347 Le Corbusier (Charles-Edouard Jeanneret-Gris, detto), 319, 338 Lecuyer, Raymont, 349 Le Dien, Fermin-Eugène, 332 Le Gray, Gustave, 331, 346 Le Moiturier, Antoine, 73 Leonardo da Vinci, 23, 99, 298, 306, 335 Leone, Francesco, 35 Leone X (Giovanni de’ Medici), 346 Leoni, Pompeo, 297

Leopoldo II di Lorena, 23, 25, 35, 303, 336 Leroi, Paul, 28 Le Secq, Henri, 331 Levi, Carlo, 318, 335 Levi Montalcini, Gino, 344 Lévi-Strauss, Claude, 71, 77 Lichtenstein, Roy Fox, 329 Lieberman, Ralf, 75 Lippi, Filippo, 23, 74 Lippi, Filippino, 23 Lise, Giorgio, 319 List, Herbert, 15, 53, 114, 262, 322, 339, 340 Listri, Massimo, 117, 257, 321, 340 Lombardi, Paolo, 51, 58 Longhi, Roberto, 48, 66, 75, 110 Lonzi, Carla, 343 Lorant, Stefan, 334 Lo Savio, Francesco, 34, 319, 336, 337 Ludovico il Moro (Ludovico Maria Sforza, detto) 306 Ludwig, Gustav, 71 Lundberg, W. Bruce, 300 Lundberg, Delaney H., 300 Lyon, Lisa, 341 Macchietti, Girolamo, 296, 345, Machiavelli, Niccolò, 104, 298, 347, MacPherson, Geraldine, 340 MacPherson, Robert, 41, 58, 151, 304, 340 Madej, Hans, 92, 98 Maffoli, Monica, 76, 77, 91, 121 Maggia, Filippo, 334 Maggia, Orsola, 334 Magno, Alessandro, 104 Malcolm X (Malcom Little), 330 Malraux, André, 50, 51, 61, 63, 65, 71-75, 77 Manieri Elia, Giulio, 71 Mannelli, Anchise, 179, 309, 310, 329, 340, 341 Mao Tse-tung, 324, 330, Mapplethorpe, Robert, 53, 61, 117, 265, 322, 323, 341 Margaritone d’Arezzo, 316 Mariani, Vittorio, 317 Mariette, Auguste, 332 Marinelli, Ferdinando, 49, Marini, Marino ,329 Markò, Carlo, 346 Marmand, Jean-Claude, 57 Marquet, Albert, 342 Marshall, Richard, 341 Martinelli, Onofrio, 323, 335 Martucci, famiglia, 88 Masaccio (Tommaso di ser Giovanni Cassai, detto), 23, 316 Matisse, Henri, 15, 33, 35, 109, 215, 317, 321, 322, 341, 342 Matisse, Jean, 341 Matisse, Marguerite, 341 Matisse, Pierre, 341 Mayer, Enrico, 22 Mayer, fratelli, 333 Mc Cullin, Don, 334

McKendry, John, 341 Mecenate, Gaio, 316 Medici, Alessandro de’, 23, 24 Medici, Bernardetto de’, 109 Medici, Cosimo I de’, 12, 299 Medici, Cosimo il Vecchio de’, 347 Medici, Giuliano de’, 33, 42, 43, 45, 58, 86, 106, 157, 184, 193-195, 199, 201, 248, 257, 271, 305, 310, 313315, 320, 321, 323, 324 Medici, Lorenzo de’, 39, 45, 57, 106, 156, 158, 159, 185, 198, 200, 201, 305, 307, 310, 313, 314, 315, 320, 325 Meier-Graefe, Julius, 311, 312 Mérimée, Prospére, 76 Merritt Chase, William, 348 Messina, Maria Grazia, 54 Mestral, Auguste, 331 Michetti, Francesco Paolo, 329 Milanesi, Gaetano, 28, 298 Milani, Umberto, 55 Mili, Gjon, 263, 322, 342 Milla, Edward J., 323 Miller, Robert, 341 Miller zu Aichholtz, Eugen von, 312 Milton, John, 303, 336 Mino da Fiesole, 316 Miraglia, Marina, 60, 75 Missirini, Melchiorre, 299 Mola, Paola, 35, 60 Mollino, Carlo, 15, 217, 318, 342 Molmenti, Pompeo, 77 Monaco, Guido, 316 Monet, Claude, 348 Mongeri, Giuseppe, 69 Monroe, Marilyn, 330 Montauti, Antonio, 296 Monti, Niccola, 146, 302, 303, 342 Monti, Paolo, 15, 51, 55, 61, 232235, 238, 239, 319, 320, 343 Morani, Antonio, 335 Moreau, Gustave, 29, 33 Morelli, Domenico, 23, 24, 77, 308 Morghen, Raffaello, 297 Moricci, Beppe, 23 Moritz, Friedrich Wilhelm, 131, 299 Moscioni, Romualdo, 46, 64 Mouscron, famigli,a 316 Mozart, Wolfgang Amadeus, 20 Mulas, Antonia, 15, 51, 61, 240243, 320, 343 Mulas, Ugo, 60, 343 Muttoni, Lorenzo, 336 Muzzi, Antonio, 308, 309 Nabil, Youssef, 54, 98, 99, 287, 325, 343 Naldini, Giovan Battista, 109, 296, 345 Nanin, Pietro, 336 Nardi, Enrico, 342 Nardini, fotografo, 340 Nasi, Nunzio, 80 Naya, Carlo, 64, 71 Negro, Silvio, 330 Nerli Ballati Pecci, Girolamo Pieri, 25

Nerval, Gérard de, 346 Newton, Helmut (Helmut Neustädter, detto), 15, 53, 252, 253, 321, 344, Niccolai, venditore di medicamenti, 299 Niccolini, Giovan Battista, 23 Nicholson, Benedict, 75 Nietszche, Friedrich, 312 Noaille, Amélie, 341 Novalis (G. F. P. Freiherr von Hardenberg, detto), 339 Nugent Dumbar, William (Isaac Atkinson, detto), 329, 330 O’Casey, Sean, 342 Offner, Richard, 75 Ojetti, Ugo, 29 Omero, 339 Özkaya, Serkan, 109 Pagano, Giuseppe (Giuseppe Pogatsching, detto), 50, 60, 68, 113, 226-231, 318, 319, 344 Paganucci, Giovanni, 316 Palma il Giovane (Jacopo Negretti, detto), 296, 345 Pampaloni, Luigi, 299 Pannunzio, Mario, 332 Paolo III (Alessandro Farnese), 306 Paolucci, Antonio, 53, 114 Papi, Clemente, 25, 28, 109 Papini, Venusto, 30, 335 Parchikov, Tim, 98, 283, 324, 325, 344 Paris, Achille, 333 Parisi, Nicola, 175, 308, 309, 345 Parmeggiani, Claudio, 109 Parr, Martin, 98 Pascoli, Giovanni, 335 Passarotti, Bartolomeo, 109 Passavant, Johann David, 67 Passignano (Domenico Cresti, detto il), 14, 125, 296, 345 Perazzo, Vincenzo, 82, 83, 84, 85, 88, 89, 301 Perkins, Charles, 46, 68, 75 Peressutti, Enrico, 319 Perfetti, Antonio, 333 Peron, Juan Domingo, 334 Perugi, Liberto, 51 Peruzzi, Ubaldino, 298 Pesce, Gastone, 347 Pesci, famiglia, 88 Petrarca, Francesco, 316 Philpot, John Brampton, 15, 42, 81, 139, 301, 345, 346, 349 Piano, Renzo, 332 Picasso, Pablo, 52, 263, 322, 325, 333, 342 Picucci, Leonardo, 345 Pieraccini, Eugenio, 57, 302 Pieraccini, Francesco, 299 Pierino da Vinci, 307 Pieroni, Adolfo, 298 Piero della Francesca (Piero di Benedetto de’ Franceschi, detto), 85, 316 Pierson, Pierre-Louis, 333

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Pietro da Cortona, 316 Pignatelli, Ercole, 346 Pignatelli, Luca, 266, 267, 323, 346 Pignon-Ernest, Ernest, 98 Piot, Eugène, 14, 25, 42, 56, 57, 67, 76, 134, 135, 300, 301, 346 Pio IV (Giovanni Angelo Medici), 296 Pio IX (Giovanni Mastai Ferretti), 56, 335 Pisano, Giovanni, 329 Pissarro, Camille, 348 Planiscig, Leo, 66, 75 Platone, 303, 307, 339 Poccianti, Pasquale, 25 Poerio, Carlo, 345 Poggi, Giovanni, 60, 61, 85, 89, 316, 317, 334 Poggi, Giuseppe, 298, 341 Pogliaghi, Ludovico, 306 Pollack, Peter, 349 Pollaiolo, Antonio del (Antonio Benci, detto), 23 Pollastrini, Enrico, 23 Polk, Brigid, 341 Pomodoro, Giò, 329 Porter, Kingsley Arthur, 68, 76 Porter, Lucy, 68 Portoghesi, Paolo, 34 Poussin, Nicolas, 297 Poy, Philippe, 73 Preziosi, Donald, 64 Prezzolini, Giuseppe, 30, 35, 335, 348 Puccinelli, Antonio, 14, 169, 307, 346 Puricelli, Giuseppe, 306 Queneau, Raymond, 311 Quilici, Folco, 329 Quincy, Quatremère de, 22 Racine, Jean, 20 Radetzky, Josef, 299, 336 Raffaello Sanzio, 19, 21, 22, 46, 57, 59, 67, 76, 306, 324, 325, 332, 343 Ragghianti, Carlo Ludovico, 34, 66, 75, 120 Rahim, Tahar, 99, 325, 343 Raimondi, Marc-Antoine, 67, 68 Rathenau, Walter, 312 Rebeyrolle, Paul, 347 Redi, Francesco, 316 Regard, Antoniette, 332 Reggioli, Carlo, 341 Regnault, Henri Victor, 303, 337 Rembrandt, Harmenszoon Van Rijn, 67, 76 Renoir, Pierre-Auguste, 348 Reynolds, Joshua, 19, 28, 34, 336 Ricci, Corrado, 51, 80, 83, 85, 8789, 106, 301 Ricci, Stefano, 25 Richelieu, Armand-Jean du Plessis de, 308 Richter, Gerard, 349 Ridolf, Enrico, 310 Rilke, Rainer Maria von, 297, 347 Rivalta, Augusto, 316

Rizzoli, Giovanni, 346 Roberts, Helene E., 75 Robinson, John C., 59, 68, 76 Rockefeller, Abby Aldrich, 348 Rodin, Auguste, 14, 29, 30, 35, 48, 60, 91, 93, 96, 99, 109, 126, 297, 311, 312, 317, 318, 324, 333, 342, 347, 348, 349 Rogers, Ernesto Nathan, 319 Rogers, Samuel, 45, 57 Romanelli, Pasquale, 316 Rondeau, Gérard, 96, 251, 321, 347 Roque, Jacqueline, 322 Rosini, Giovanni, 307 Rossetti, Dante Gabriel, 29 Rosso, Francesco 311, 348 Rosso, Medardo, 15, 29, 30, 35, 48, 55, 60, 188, 189, 310-312, 312, 347, 348 Rothschild, Salomon de, 304, 331 Rouault, Georges, 342 Rourke, Costance 348 Rovani, Giuseppe, 306, 335 Rubens, Pieter Paul, 109, 304 Ruff, Thomas, 338 Ruland, Carl, 76 Rusconi, Arturo, 51 Ruskin, John, 67, 75, 329 Russell, John Peter, 341 Sabatelli, Luigi, 335, 342 Sacchi, Alberto, 331 Sacchi, Edoardo, 331 Sacchi, Ferdinando, 331 Sacchi, Luigi, 69, 77 Salmi, Mario, 66, 75 Salviati, Francesco, 109 Salvini, Salvino, 346 Sand, George, 336 Sanguinelli, famiglia, 88 Sansaini, Pompeo, 348 Sansaini, Renato, 225, 318, 348 Sansaini, Salvatore, 348 Sansaini, Stabilimento, 348 Sansovino, Andrea, 316 Santarelli, Emilio, 23, 129, 296, 296, 298 Santarelli, Giovanni Antonio, 127, 128, 297, 298 Santoni, Simona, 61 Saracino, Antonio Pio, 110, 111 Sarfati, Lise, 53, 275, 324, 348 Sarfatti, Margherita 30 Sartorio, Giulio Aristide, 29, 35 Sauvanaud, Paul, 332 Savoia, Carlo Alberto di, 347 Savoia, Umberto I di, 333 Savoia, Vittorio Emanuele II di, 336, 345 Savoia, Vittorio Emanuele III di, 35, 83, 329 Scarpa, Carlo, 332 Schaeffer, Jean-Marie, 55 Schamberg, Morton, 348 Schardt, J. Gregor van der, 310, 311 Schifano, Mario, 319, 329, 336 Schmidt, Karl, 312 Schlosser, Julius von, 66 Schoenberg, Arnold, 333

Schuré, Edouard, 335 Seligman, Germain, 338 Selvatico, Pietro, 68, 76 Semplicini, Pietro, 349 Serena, Tiziana, 61, 57 Sestieri, Ettore, 51 Sgarbi, Vittorio, 340 Sheeler, Charles Rettrew jr., 271, 323, 348 Siegert, Dietmar, 334 Sigalon, Xavier, 22 Signac, Paul, 341 Signorelli, Luca, 23, 74, 316 Silvestre, Théophile, 331 Sisley, Alfred, 348 Sloane, Francis Joseph, 307, 346348 Smith, William Eugene, 334 Smith, Graham, 45, 57, 76 Smith, Patty, 341 Socrate, 303 Soffci, Ardengo, 30, 348 Sollazzi, fotografo ritrattista, 333 Somaré, Enrico, 30 Sommer, Giorgio, 46 Sontag, Susan, 55 Sorge, Luigi, 345 Sottsass, Ettore, 344 Sougez, Emmanuel, 15, 50, 77, 117, 222, 223, 318, 349 Spadini, Armando, 329 Spadolini, Guido, 329 Spalletti, Ettore, 54, 75 Spinello Aretino (Spinello di Luca Spinelli, detto), 316 Steichen, Edward, 48, 72, 342 Stein, Gertrude, 317, 342 Stein, Léon, 317, 342 Stendhal (Marie-Henri Beyle, detto), 19, 20, 22, 27, 34, 121, 336 Stieglitz, Alfred, 61, 342, 348 Strand, Paul, 348 Strozzi, Roberto, 308 Struth, Thomas, 15, 54, 61, 117, 291, 325, 349 Supino, Igino, 64 Surdi, B., giornalista, 347 Tartuferi, Angelo, 79 Tasso, Torquato, 303, 336 Thatcher, Margaret, 339 Thiers, Marie Joseph Louis Adolphe, 22, 35 Thode, Heinrich, 70, 71 Thorwaldsen, Bertel, 297 Tintoretto (Jacopo Robusti, detto), 109, 296, 345 Tiziano Vecellio, 296, 304, 345, 346 Toesca, Piero, 48, 50, 60, 75, 113, 318, 319 Torrigiano, Pietro, 297 Treu, Georg, 311 Tribolo, Niccolò (Niccolò di Raffaello de’ Pericoli, detto), 109 Tronci, Nadir, 334 Troubetzkoj, Paolo, 336 Tuminello, Lodovico, 334

Tytgat, Edouard, 333 Ubertini, Guglielmino degli, 316 Uncini, Giuseppe, 336 Ussi, Stefano, 303 Vagnetti, Giovanni, 298 Valéry, Paul, 63 Van den Vondel, Joost, 333 Van Gogh, Vincent, 321, 341 Van Marle, Raimond, 75 Vannini, Ottavio, 296, 345 Vannucci, Atto, 298 Varchi, Benedetto, 14, 103, 309, 316 Vasari, Giorgio, 12, 27, 51, 103, 109, 297, 299, 302, 307, 316, 345 Vela, Vincenzo, 335 Velásquez, Diego, 325 Vellani, Federico, 88 Venturi, Adolfo, 44, 48, 51, 64, 67, 74-76, 83, 113 Venusti, Marcello, 306 Veraci, Vero, 42, 136, 137, 300, 301, 345, 349 Verheyden, Isidore, 333 Vermeer, Johannes, 323, 325 Vernet, Horace, 14, 22 Verzaschi, Enrico, 46, 58 Vigenère, Blaise de, 101 Vigneau, André, 73 Villa, Federico Gaetano, 347 Villani, studio, 113, 329 Viollet-le-Duc, Eugène Emmanuel, 67 Visconti, Ennio Quirino, 340 Visconti, Luchino, 338 Vittoria (Alexandrina Victoria), regina del Regno Unito, 25, 331 Vitruvio, 104 Vlaminck, Maurice de, 342 Vo, Dahn, 98 Volpicelli, Paolo, 340 Vreeland, Diana, 338 Wahstaff, Sam, 341 Warburg, Aby, 64, 75, 312 Warhol, Andy, 311, 329, 341 Wenders, Wim, 344 Werz, Giuseppe de, 330 Weston, Edward, 342 Wey, Francis, 346 Wilson, Harold, 334 Wilson Swan, Joseph, 332 Winckelmann, Johan Joachim, 340 Wittelsbach, famiglia reale della Baviera, 322 Wölffin, Heinrich, 47, 48, 54, 69, 73, 77 Wouters, Rik, 333 Wulz, atelier, 329 Yashiro, Yukio, 75 Yva (Else Simon, detta), 344 Young, Lester, 342 Zayas, Marius de, 348 Zeri, Federico, 343 Zerner, Henri, 51 Zevi, Bruno, 34 Zobi, Antonio, 25 Zocchi, Emilio, 316 Zuccari, Federico, 296, 345

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