Lo spazio letterario di Roma antica. La ricezione del testo [Vol. 3] 8884020484, 9788884020482

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Lo spazio letterario di Roma antica. La ricezione del testo [Vol. 3]
 8884020484, 9788884020482

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LO SPAZIO LETTERARIO DI ROMA ANTICA Direttori: Guglielmo Cavallo, Paolo Fedeli, Andrea Giardina

Volume III LA RICEZIONE DEL TESTO

. SALERNO EDITRICE

LO SPAZIO LETTERARIO DI ROMA ANTICA Nello Spazio letterario di Roma antica al centro dell'interesse è il testo, nei suoi momenti e percorsi: dalla produ­ zione alla circolazione, dalla ricezione all'attualizzazione. Del testo si seguo­ no le vicende lungo la parabola del mondo romano, quindi, oltre il Me­ dioevo c il Rinascimento, fino alle ri­ prese piu o meno consapevoli o occa­ sionali nell'età contemporanea e nella civiltà dei mass-media. Per testo, inol­ tre, non s'intende soltanto ciò che a noi moderni è giunto in seguito al processo di selezione verificatosi nel­ l'antichità (e quando sia sopravvissuto alle insidie della lunga tradizione me­ dievale) ma anche quella vasta lettera­ tura·sommersa, giudicata «minore » e solitamente trascurata perché affidata a forme di tradizione orale o non lega­ ta a forme letterarie nobili. Dei testi considerati però non tanto nell'ottica limitata dei singoli autori, quanto piut­ tosto nella totalità dei generi - vengo­ no ricostruiti gli itinerari culturali, i modelli che agiscono e interagiscono, i caratteri originali e le successive strati­ ficazioni. In questa compiuta rivisita­ zione, ricevono piena luce anche i meccanismi complessi della tecnica al­ lusiva e i fenomeni d'intersezione dei generi stessi e dei modelli. I fattori unificanti della cultura romana si ac­ compagnano, lungo l'arco di una sto­ ria millenaria, a elementi di diversifi­ cazione, e lo spazio letterario di Roma antica può essere anche inteso come un insieme di spazi che interagiscono. Lo

Spazio letterario di Roma antica

è

dunque una proposta originale di ri­ pensamento della cultura rom . ana: in essa, il progetto, la scelta degli autori, l'elaborazione della materia, il coordi­ namento editoriale, sono il frutto di un grande impegno al fine di offrire un'opera di cui sia possibile una frui­ zione al tempo stesso continua e pluri­ dimensionale. Scritta da studiosi tra i migliori di cui oggi l'Italia possa di­ sporre, quest'opera si propone anche come laboratorio di metodologie, di sperimentazioni, di prospettive.

LO SPAZIO LETTERARIO DI ROMA ANTICA

Volume III LA R I C E Z I O N E DEL TE STO

LO SPAZIO LETTERARIO DI ROMA ANTICA

Volume I LA PRODUZIONE DEL TESTO Volume I I LA CIRCOLAZIONE DEL TESTO Volume III LA RICEZIONE DEL TESTO Volume IV L'ATTUALIZZAZIONE DEL TESTO Volume V CRONOLOGIA E BIBLIOGRAFIA DELLA LETTERATURA LATINA

Con il patrocinio della

U BANCA DI ROMA

cr::.

GRUPPO CASSA DI RISPARMIO DI ROMA

L O SPAZIO LETTERARIO DI ROMA ANTICA Direttori: GUGLIELMO CAVALLO, PAOLO FEDELI, ANDREA GIARDINA

Volume III LA RICEZIONE DEL TESTO

SALERNO EDITRICE ROMA

In redazione: MARILENA MANIACI

1'

2'

edizione: luglio 1990 edizione: giugno 1993

Tutti i diritti riservati - Ali rights reserved Copyright © 1990 by Salerno Editrice S.r.l., Roma. Sono rigorosamente vietati la ri­ produzione, la traduzione, l'adattamento, anche parziale o per estratti, per qualsiasi uso e con qualsiasi mezzo effettuati, compresi la copia fotostatica, il microfìlm, la me­ morizzazione elettronica, ecc., senza la preventiva autorizzazione scritta della Salerno Editrice S.r.l. Ogni abuso sarà perseguito a norma di legge.

I LA C U LTURA DAVA NTI A S E STE S SA

LUC IANO CAN F O RA

L'AUTOBIO G RAF IA I NTE L LETTUALE

I. IL MODELLO DEL > ecc.): uno scritto che potrebbe essere la praefatio ai Libri

ad Marcum filium.

Che l'autoritratto di Catone esercitasse una influenza sul «mo­

dello>> del possidente romano e costituisse in certo senso un arche­

tipo, lo si ricava, tra l'altro, dall'intervento di Tremellio Scrofa nel

(n 1) . Qui, il ricco possidente e uo­ è saldamente ancorata all'allevamen­

dialogo varroniano De re rustica

mo politico, la cui ricchezza

to dei suini, non solo si compiace di spiegare l'origine del sopran­ nome «Scrofa>> attribuito dapprima a suo nonno (questi, in servi-

r. Catonis qua e exstant, p. 43]ordan� Festo, verb. sign., p. 350 Lindsay: « Io sin dal prin­ cipio mi mantenni, per tutta la mia giovinezza, nella severità, nella laboriosità, colti­ vando i campi, zappando e piantando nella sassosa terra sabina ».

II

LUC IANO CAN F O RA

zio in Macedonia nel 167 a.C. aveva minacciato di disperdere in battaglia i nemici « come una scrofa disperde i porcellini »!), ma si lascia andare ad una sorta di proclamazione di « scelta di vita » ri­ calcata, parrebbe, sulla frase catoniana, conforme al modulo iam ab adulescentia: « lo sin dalla prima età sono stato amante dell' agricol­ tura, né l'allevamento dei suini è cosa estranea a me e a voi, grandi allevatori ». E seguita ricordando l'insegnamento trasmesso a lui, in questo campo, per via orale: « Chi non ha sentito dire dai nostri padri che è ignavo e spendaccione (ignavum et sumptuosum) colui che appende nella dispensa carne di maiale acquistata dal macel­ laio anziché tratta dal proprio fondo? ». Proprio perché modello dell'autoritratto del signore di campa­ gna, cioè di un possidente romano legato ad una determinata scala di valori, la prosa di Catone diventa punto di riferimento polemico di un'altra celebre praefatio, dovuta ad uno storico, Sallustio, che, pure, guardò a Catone come ad un modello. Nella introduzione al De Catilinae coniuratione, Sallustio prende infatti le distanze dal « modello Catone » adoperando però le stesse parole del modello. Spiega il proprio itinerario: dall'iniziale immersione nella politica, al ritiro dopo tante delusioni (mihi reliquam aetatem a republica procul habendam decrevi), alla decisione di ritornare agli studi come attività dominante. E precisa: Non fuit consilium socordia atque desidia bonum otium conterere, neque vero agrum colundo aut venando, servilibus officiis, intentam aetatem agere ( Cat. 4 1) .2 Qui addirittura il lavoro agricolo e la caccia sono posti sullo stesso piano che socordia atque desidia, co­ me forme di spreco del tempo esistenziale a fronte della ben piu lodevole attività letteraria, mentre al contrario, come sappiamo, era « ignavia » per Tremellio Scrofa non produrre in proprio carne di maiale. Assai drastica la definizione di servilia offida riferita sia al lavoro agricolo che alla caccia. E si sarebbe tentati di pensare che quest'ultimo sia un riferimento a Senofonte, autore del piu celebre trattato sulla caccia, che in una famosa pagina dell'Anabasi (v 3 7-10) 2. • Decisi di trascorrere il resto della vita lontano dalla vita pubblica »; « non volli sprecare il bonum otium nell'inerzia che ottunde, e tanto meno passare la vita dedican­ domi all'agricoltura o alla caccia, mestieri adatti agli schiavi ».

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L'AUTO B I O G RAFIA I NTELLETTUALE

si descriveva come un gentiluomo di campagna dedito, con gli amici e coi figli, ad appassionanti partite di caccia.

2. LA

SCELTA DI

SALLUSTIO

Con la sua dichiarazione programmatica, Sallustio si colloca sul versante, mai del tutto accettato dalla mentalità romana, della pre­ feribilità dell' otium, del bonum otium s'intende: rinuncia alla politi­ ca, disgustato dalla politica, e si dedica allo studio e alla scrittura storiografica. Infrange, cosi, un equilibrio che anche un letterato in gara coi modelli greci, quale Cicerone, non ha mai osato di infran­ gere (ha anzi sempre riaffermato di riuscire a bilanciare le due atti­ vità, presentando, per lo piu, la seconda come minore, comple­ mentare o di ripiego rispetto alla prima: la politica). Sallustio allu­ de ad una degenerazione del costume politico che lo avrebbe in­ dotto a tale scelta (3 3: pro pudore, pro abstinentia, pro virtute, audacia largitio avaritia vigebant).3 E si esprime in modo volutamente vago e ricalcato su archetipi letterari, tale da rendere vano lo sforzo di identificare gli eventi e i personaggi che avevano determinato la sua scelta (la guerra civile? la dittatura di Cesare? il tentato colpo di Stato dei « liberatori »? le proscrizioni? o addirittura il costume po­ litico corrotto degli anni precedenti la guerra civile?). Sta di fatto però che la delusione non sembra, a ben guardare, la causa deter­ minante del traumatico e alquanto anti-tradizionale rifiuto della politica: affiora, nelle parole di Sallustio, una condanna della poli­ tica in quanto tale; la propria spinta a far politica viene da lui, ora, giudicata ambitio ma la (4 2) , da giudicarsi non meno negativamente che l'ambizione politica degli altri (3 s : nihilo minus honoris cupido eadem quae ceterosfama atque invidia vexabat).4 È, a rigore, un punto d'arrivo su di un binario morto: se infatti la politica in quanto tale gli appare ambitio ma la, non è chiaro come Sallustio veda il dispiegarsi - inevitabile - del mondo della politica. A questo proposito si pos3· � I valori dominanti erano, in luogo del pudore, della capacità di rinuncia, della virru, la sfacciataggine, la corruzione, l'avidità sfrenata ». 4· « Ero preso dalle stesse passioni che agitavano gli altri: brama di onori, invidia ».

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LUCIANO CANFORA

sono fare soltanto congetture: forse la piu plausibile è che, al di là dell'elemento caricatamente letterario, quelle parole denotino il fallimento dell' opzione sallustiana in pro di un potere assoluto « il­ luminato » (una « monarchia » cesariana), naufragato appunto con la liquidazione fisica di Cesare. Ma Sallustio preferisce parlare di sé, della sua scelta di vita, non già delle sue idee politiche (il che in uno storico di fatti contemporanei, quale egli è, risulta molto stra­ no): è quindi una decisione esistenziale - di tenersi lontano dalla res publica e di tornare agli studi - quella che ci pone dinanzi, sulla soglia della sua opera di storico. Peraltro, il nesso molto stretto che istituisce tra ritorno agli studi ed attività storiografica lo colloca, a prima vista, sul versante degli « storici libreschi ». Degli storici cioè che- come notava con spre­ gio Polibio (xn 27)- hanno bisogno soltanto « di una biblioteca ». In questa categoria Polibio collocava storici da lui disistimati per­ ché digiuni, secondo lui, di politica e di arte militare: primo fra tut­ ti Timeo. In realtà però in Sallustio perdura, al di là della dichiara­ zione programmatica di avere « l'animo sgombro dalle passioni politiche » (a spe metu partibus rei publicae animus liber erat) , lo storico p o l i ti c o: non già (o non essenzialmente) come storico partigia­ no, ma come storico che si è fatto le ossa nella lotta politica (anche se ora ne rifugge), che scrive storia esclusivamente politica, forte di una diretta esperienza di quella infernale macchina dalla quale ri­ teneva di essere stato, alla fine, schiacciato. Nella sostanza dunque, e al di là delle proclamazioni, egli invera l'ideale polibiano dello storico-uomo d'azione; anche quando proclama il proprio rifiuto, ormai, dell'azione politica, in nome di una condanna che si am­ manta di concetti e giudizi morali (ma un tale armamentario « eti­ co », in quanto ideologia e anche in quanto propaganda, fa parte integrante dei modi della lotta politica a Roma). La sua storia è essenzialmente storia della lotta tra le fazioni po­ litiche e tra i grandi capoparte (o aspiranti tali, come Catilina; o che sarebbero divenuti tali, come Cesare): ed è quello appunto il suo mondo, il mondo di cui è stato compartecipe e dei cui mecca­ nismi ritiene di essere ormai conoscitore approfondito. Conosci­ tore, in particolare, dell'ingombrante parte che spetta all'ambizio14

L'AUTOBIOGRAFIA INTELLETTUALE ne personale dentro l'agire politico (qualunque parola o eufemi­ smo la esprima), e dell'intreccio inestricabile tra ambizione e inte­ resse generale, che si manifesta in ogni vicenda, in ogni crisi, in ogni decisione politica. In questo senso egli è dunque storico « po­ libiano )), in quanto nutrito a lungo di quella esperienza, e nono­ stante la presentazione libresca e distaccata e impolitica che ha volu­ to dare della propria scelta. 3· PRECISAZIONE: L' ITINERARIO INIZIALE DI SALLUSTIO

La ricostruzione ora proposta dall'autoritratto di Sallustio (iniziale im­ pegno nella politica l delusione l ritiro dalla politica l decisione di im­ piegare il bonum otium nello studio e nella scrittura di opere storiche) si fonda sull'interpretazione, peraltro controversa, di alcune frasi dei capi­ toli 3 e 4 della Catilinaria. Essa richiede qualche giustificazione.Si sarà no­ tato, tra l'altro, che, nella ricostruzione ora proposta, si oscilla tra la no­ zione di « ritorno» agli studi- al termine della parabola- e quella, invece, di esordiale impegno, già subito, nella politica. La contraddizione nasce dall'oscurità con cui Sallustio si esprime su questo punto. Si tratta innanzi tutto della parola studium, che ricorre due volte: al principio e alla fine dell'autoritratto. Partiamo dalla fine, dalla celebre frase che descrive la conversione alla storiografia (4 2): sed a quo incepto stu­ dioque me ambitio mala detinuerat etc. Qui gli interpreti non sono concordi. ].L. Burnouf (1821): 5 « Regressus sum ad id idem litterarum studium a quo, quum iam inceptum esset, me ambitio mala revocaverat»; F. Kritz (1828): 6 « inceptum generale verbum est, cui auctor explicationis causa sta­ tim subiungit studioque, ut intelligatur quale illud inceptum fuerit; studium vero contextus docet esse quum litterarum tum historiae studium»; lo stesso Kritz nell'edizione minore del suo importante commento (1856) 7 sembra propendere per una spiegazione un po' diversa, dove studium im­ pegno: « intelligitur incepta olim, antequam ad rem publicam accederet, ac studiose agitata litterarum et historiae occupatio».Molti commenta­ tori, peraltro, tralasciano di spiegare la frase.Malcovati (1956) 8 sembra vi­ cina alla seconda interpretazione di Kritz: « inceptum disegno, studium =

J.L. Burnouf, Sallustius, Paris, Lemaire, 1821, p. 13. 6. F. Kritz, Lipsiae, Hartmann, 1828, p. 25. 7· Id., Leipzig, Hahn, 1856, p. 40. 8. E. Malcovati, Torino, Paravia, 1956\ p. 40. s.

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LUCIANO CANFORA

amore inclinazione�- K. Vretska (1976) 9 nel suo torrenziale commento definisce dapprima«binomio sinonimico�l'espressione incepto studioque, quindi propone come «senso complessivo» della frase il seguente: «ei­ frig und gern betriebenes Beginnen� {«impresa affrontata con zelo e buona volontà»). Si intravedono dunque due linee interpretative: «stu­ dium historiae et litterarum» da una parte, «studiose agitata occupatio» dall'altra. Certo, studium significherà «impegno» al principio dell'autoritratto (3 3): studio ad rem publicam latus sum («mi sono dedicato alla politica con passione»). Va però osservato che in una parte della tradizione mano­ scritta, anziché studio, si legge a studio. Lo segnalava già Kritz nell'edizio­ ne del 1828 e Dietsch nella grande edizione critica fornita del maggior ap­ parato disponibile tuttora (1858) 10 dava la lista dei numerosi manoscritti parigini e guelferbitani nei quali si legge appunto a studio. Spinti da questa variante, alcuni interpreti erano portati a mettere in relazione queste pa­ role con quelle -di cui s'è detto prima-di 4 2 (a quo incepto studioque, spe­ cie se si intenda qui studium studium litterarum), ed erano indotti a pensa­ re che Sallustio alludesse dunque ad un suo iniziale periodo dì studi stori­ ci già precedente la fase dell'impegno politico. Fu C. H. Frotscher 11 a to­ gliere credito alla variante a studio (che dopo Dietsch è scomparsa dagli apparati) sulla base di numerosi rinvii a luoghi in cui ricorre l'espressione studioferri (o q[erri) nel senso di«ardenti animo ad aliquam rem rapi». È evidente che la variante è nata per opera dì qualcuno che ha voluto met­ tere in relazione studio ad rem publicam latus sum col seguente a quo incepto studioque, si da far dire ai due passi la stessa cosa. Ma davvero a quo incepto studioque etc. (4 2) indica che c'era stata una ini­ ziale fase di studi, trascurati poi in favore della politica? Certo, questo vol­ le far dire a Sallustio quella parte della tradizione (anche questa è una va­ riante poi dimenticata negli apparati correnti) che in 4 2 mutò a quo incep­ to studioque in a quo incepto studio. Probabilmente però, se si respingono entrambe queste varianti, si può osservare che forse il significato del passo preso nel suo insieme è altro: Sallustio si è subito impegnato nella politica. Lo dice in modo netto: studio ad rem publicam latus sum; e lo ribadisce quando precisa, subito dopo, sicuti plerique, «come quasi tutti� (s'intende i giovani del suo ceto e delle sue capacità intellettuali); è escluso che si postuli per tutti questi giovani una =

9· K. Vretska, C. Sallustius Crispus, De Catilinae coniuratione, kommentiert von K:V., Heidelberg, Winter, 1976, p. no. IO. R. Dietsch, Sallusti quae supersunt, I, Lipsìae, Teubner, 1858, p. 139. II. C.H. Frotscher, Observationes in varios locos veterum latinorum, I, Leipzig, Hahn, 1820, p. 19.

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L' AUTOBIOGRAFIA INTELLETTUALE sottintesa iniziale fase di dedizione agli studi storici prima dell'ingresso nella politica. Forse vuol solo dire di non aver inizialmente dato corso ad una sua personale potenzialità, quella appunto dello «studium historiae et litterarum� (come si esprimeva Kritz): questo probabilmente significa «a quo incepto studioque me ambitio mala detinuerat�. Solo al termine della fase politica Sallustio ha dato esito a quella potenzialità non svilup­ pata. L'incertezza comunque perdura tra i moderni. Joseph Vogt e A.D. Leeman 12 ritengono che, compiendo la sua scelta storiografica, Sallustio abbia finalmente realizzato «aspirazioni� della sua giovinezza, mentre Karl Biichner 13 esclude che una aspirazione del genere possa aver trova­ to posto nella giovinezza di Sallustio. Incerto tra le possibili interpreta­ zioni era anche il falsario autore della cosiddetta Seconda Epistola a Cesare, attribuita da una parte dei moderni a Sallustio. Egli fa dire a Sallustio che, sin da giovane (adulescentulus è lo stesso epiteto che ricorre in Cat. 3 3), avrebbe desiderato non solo far politica ma studiare la politica (n 1 3): sed mihi studium Juit adulescentulo rem publicam capessere atque in ea cognoscenda multam magnamque curam habui: non ita ut magistratum modo caperem, quem multi malis artibus adepti erant sed etiam ut rem publicam domi militiaeque quan­ tumque armis viris opulentia posset cognitum habuerimY Insomma Sallustio avrebbe concepito, giovanissimo, il disegno di far carriera politica e con­ temporaneamente di approfittarne per uno studio storico-antiquario sul funzionamento dello Stato romano che non trascurasse nemmeno la sto­ ria militare e i problemi dell'economia. Questa è, com'è chiaro, l'arbitra­ ria rielaborazione, da parte di un falsario tardo-antico, dell'autentico au­ toritratto di Sallustio: di un falsario che ha evidentemente riflettuto con attenzione su quell'autoritratto e ne ha voluto sanare, con una moderniz­ zante soluzione combinatoria, la latente contraddizione che anche a lui (come poi a tanti lettori successivi) pareva di cogliervi. 12. J. Vogt, Cicero und Sallust uber die Catilinarische Verschworung, Frankfurt, Diester­ weg, 1938, p. 40; A.D. Leeman, Sallusts Prologe und seine Auffassung von der Historiographie, in « Mnemosyne », a. vn 1954, pp. 323-39 ( Das Staatsdenken derRiimer, Darmstadt, Wis­ senschaftliche Buchgesellschaft, 1966 [= Wege der Forschung, 46]), p. 482. 13. K. Biichner, Sallust, Heidelberg, Winter, 1960, pp. 92; 102. 14. « Io, ancora giovanissimo, sentii il desiderio di preoccuparmi della cosa pubbli­ ca e nel rendermene esperto posi assidua e intensa cura, non già in modo da prendere soltanto qualche carica, che molti avevano conquistato con male arti, ma si da avere conoscenza sicura dello Stato, in pace e in guerra, e precisamente di quanto potesse d'armi, di uomini e di mezzi » (trad. di V. Paladini, Epp. ad Caes., Roma, Gismondi, 1952, p. 35). =

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LUC IANO CAN FORA

4· Gu

AUTORITRATTI DI CicERONE

Il carattere traumatico della scelta sallustiana consiste nel rifiuto della politica: rifiuto che, per un senatore romano, è un gesto estremo. Si può interrompere l'attività politica per una forza maggio­ re, come è accaduto piu d'una volta a Cicerone (durante l'esilio, in alcuni momenti della guerra civile, sotto la dittatura di Cesare), non già decidere di tenersi procul a re publica sulla base di un giudi­ zio definitivamente e totalmente negativo sulla politica in quanto tale. Siamo dunque, nel caso di Sallustio, di fronte ad una scelta esi­ stenziale: forse anche ad una generalizzazione, ad un giudizio che si estende a tutta la politica come tale ma parte in realtà da una si­ tuazione data. Vi è però anche, e non meno, l'adeguamento a modelli letterari, ai grandi archetipi ateniesi: Isocrate, che si tiene fuori della politica ma ammaestra con l'opera scritta i politici; e Platone soprattutto, il Platone della lettera vn, che dopo lungo e deludente itinerario po­ litico approda alla rottura definitiva con il mondo della prassi. Del resto reminiscenze isocratee e platoniche (il dualismo corpo/ani­ ma ecc.) sono ben trasparenti nel proemio della Catilinaria. Sia Platone (lettera vn) che Isocrate (Sullo scambio) costituivano in realtà gli archetipi greci dell'au t o b i o gr afi a i n t e l l e t t u a l e. E ve n'era un terzo, Demostene, il quale aveva tracciato, nella par­ te meno effimera del discorso Sulla Corona, un profilo di sé, una reinterpretazione a posteriori, dell'intera sua carriera e condotta politica: non soltanto della vicenda esterna ma dei fondamenti ideali che avevano guidato quella condotta, cosi testardamente li­ neare. Orbene una coniugazione di Demostene e Platone è stata l'ambiziosa idea-guida che ha sorretto la carriera pubblica e la pra­ tica intellettuale di Cicerone. È una felice notazione di Wilamo­ witz: 1s Cicerone ha vissuto un vero e proprio processo di auto­ identificazione con Demostene e Platone. Basti pensare, tra l'altro, a dati esteriori, ma significativi: i libri De republica e i libri De legibus 15.

Griechisches Lesebuch, I, 2, Berlin, Weidmann, 19022, p. 377· Cfr. anche le « vite pa­ rallele » di Cicerone e Platone in G. Rensi, Platone e Cicerone, Napoli, Guida, 1934.

!8

L'AUTOBIOGRAFIA INTELLETTUALE si richiamano - com'è noto - alla Politeia e ai Nomoi (e deus ille noster viene definito Platone in una lettera ad Attico, IV I6 3), mentre la raccolta dei discorsi consolari ha di mira, nell'intento di Cicerone, il modello delle Filippiche demosteniche (Cicerone, Att. n I 3).!6 La conciliazione di Platone con Demostene, di politica e « filo­ sofia » (o pili in generale di politica e «ozio letterario ») costituisce la cornice dell'intera carriera e della rappresentazione di sé che Cicerone ha costantemente perseguito. Vi sono però, nell'ambito di questa cornice generale, piu specifiche opzioni ch'egli ha dovu­ to compiere e giustificare. Innanzi tutto la filosofia. E cosi lo vedia­ mo pili d'una volta alle prese con la giustificazione della propria scelta di studioso di filosofia greca in un mondo che disistima la fi­ losofia e i Greci. Alla difesa della filosofia aveva dedicato uno scritto (non conser­ vato) destinato ad un notevole successo nell'età antica, l' Hortensius (anche Agostino ne trasse alimento e serbò gratitudine a quel li­ bro) . Ma - come scrisse l'anno dopo nella prefazione al Definibus (I I 2) - l' Hortensius non poteva considerarsi una vera e propria opera di filosofia, bensi soprattutto un'opera « parenetica )), volta a movere hominum studia. La discussione si fa piu serrata nelle opere successi­ ve: nel primo libro degli Academica posteriora, che si apre con una di­ scussione tra Cicerone e Varrone intorno all'opportunità di divul­ gare in lingua latina il pensiero greco, e soprattutto nella prefazio­ ne al Definibus (databile al maggio-giugno 45) , dove addirittura Ci­ cerone classifica per categorie i suoi critici. I primi antagonisti - os­ serva - sono coloro cui è sgradito a sunt, cioè copie dai modelli greci, e aggiunge: minore la bore fiunt; verba tantum affero, quibus abundoP Tutt'altra strategia difensiva nel proemio delle Tusculane, di po­ chi mesi successivo. Esso fa perno sul concetto seguente: i Romani sono notoriamente superiori ai Greci in ogni campo, non lo sono stati (finora) nella filosofia, perciò è giustificato lo sforzo di Cice­ rone di creare a Roma tale branca della letteratura. Vi è qui dun­ que una giustificazione patriottica, che dovrebbe smussare le mag­ giori ostilità verso la filosofia. Questa volta la linea di difesa è in­ centrata sul tema del primato. Cicerone descrive il tardivo emer­ gere della letteratura a Roma, il rapido affermarsi dell'oratoria, constata che, invece, philosophia iacuit usque ad ha ne aetatem (I s) e ri­ badisce la ne c e s s i tà di intervenire (nobis est elaborandum) con l'argomento che è già in circolazione una produzione filosofica scadente cui è necessario porre riparo. (Sembra dunque avere di mira un pubblico di cui non possiamo valutare l'ampiezza - che non legge, non avendone la capacità, i filosofi greci in lingua origi­ nale, come fanno abitualmente Varrone, Attico e tanti altri suoi amici, ma legge le divulgazioni epicuree in lingua latina compilate ad esempio da Amafinio. In un noto passo delle Tusculane [IV 3 6-7] Cicerone sostiene che le opere di Amafinio e di altri divulgatori la­ tini del pensiero epicureo Italia m totam occupavere: l'espressione non va presa alla lettera, ma certo denota l'esistenza di gente che legge opere di argomento filosofico scritte in latino. Mi sembra le­ cito arguire che Cicerone avesse di mira proprio questa fascia di pubblico: ben sapeva infatti che la sua divulgazione filosofica non poteva essere particolarmente attraente per i suoi raffinati amici. E anche la polarizzazione contro Epicuro presente in tutti i suoi trat­ tati filosofici sembra confermare l'intento, del resto dichiarato in modo esplicito, di scalzare dalle simpatie di quei lettori « italici » la cattiva letteratura filosofica circolante). -

17. « Non ci vuole un grande sforzo; io ci metto essenzialmente le parole, che certo non m1 mancano �. 21

LUC IANO CANFORA

Vi è poi, nella prefazione delle Tusculane, ancora un altro ordine di giustificazioni: il nesso cioè che lega la filosofia alla retorica. Già la precedente produzione retorica di Cicerone si fondava - viene ora rilevato -su premesse filosofiche (I 6: philosophiaeJontes aperie­ mus, e quibus etiam illa manabant),18 e a riprova di tale nesso viene addotto, tra l'altro, il rilievo che ha la retorica nell'ambito della produzione dei peripatetici, ed anche la rivalità di Aristotele nei confronti di Isocrate (I 7). Nella prefazione al n libro De divinatione (che è di poco successiva)- una prefazione notevole perché forni­ sce un prospetto bibliografico delle opere filosofiche sino ad allo­ ra pubblicate e di quelle imminenti- dirà addirittura (n 4) , sem­ pre sulla base del richiamo ad Aristotele: «le mie opere retori­ che debbono rientrare anch'esse nella schiera dei miei libri filoso­ fici». Peraltro in quest'ultima prefazione affiora con ampiezza una motivazione che era già presente negli Academica posteriora (I 3): la divulgazione filosofica come surrogato della politica.« Finché l'ambi­ zione [ambitio, qualificata come mala, è, come s'è visto, la parola­ chiave anche nell'autoritratto di Sallustio], finché le cariche pub­ bliche, le cause da difendere ... mi hanno tenuto come incatenato ai miei doveri pubblici, io tutto questo ce l'avevo come chiuso dentro (haec inclusa habebam animo) e per evitare che si deteriorasse, lo tenevo desto, quando possibile, con la lettura» [anche qui dun­ que -come in Sallustio- il motivo di una potenzialità richiamata in vita a seguito delle circostanze esterne della vita politica]. Ora che un dolore tremendo lo ha colpito (la morte della figlia) ed è «libero dall'impegno politico)), medicinam a philosophia peto et otii oblectationem hanc honestissimam puto.19 Nella prefazione program­ matica al l. n De divinatione si spinge oltre, e tralascia il motivo della filosofia come medicina dell'anima. Il motivo si fa tutto politico: non potendo giovare direttamente, con l'azione, ai concittadini, ri­ corre alla filosofia per prodesse quam plurimis (n 1); cosi la filosofia 18. « Renderemo chiare le fonti filosofiche da cui anche quel genere di opere pro­ manava ». I9· « Chiedo alla filosofia un rimedio e la reputo occupazione degnissima». 22

L' AUTOBIOGRAFIA INTELLETTUALE diventa un modo per continuare comunque ad «agire a vantaggio dello Stato>>. In questa nuova e diversa impostazione, il punto di riferimento è pur sempre la politeia, ma in una forma minore, di ripiego; del re­ sto, per altro verso, la teoria del «primato» da conquistare anche in ambito filosofico serbava anch'essa pur sempre una sua valenza politica. Per Cicerone rimane necessario serbare l'armonia tra i due archetipi (Platone e Demostene) anche quando quell'armonia si è di fatto infranta ed egli è ridotto a divulgare filosofia perché escluso dalla politica. Divulgazione filosofica, dunque, perché utile alla formazione delle nuove leve del ceto dirigente, perché biso­ gna rendere possibile ai Romani di non aver bisogno di ricorrere agli originali greci: ma soprattutto perché ripiego coatto in assenza di una piena esplicazione dell'attività politica.«A dir vero - dichia­ ra con nettezza (div. n 6)- l'impulso a dedicarmi alla divulgazione della filosofia (explicandae philosophiae) mi venne da un doloroso evento della patria: nella guerra civile non potevo né difendere lo Stato secondo il mio solito né stare senza far nulla; e nemmeno trovavo qualcosa di meglio da fare che fosse degno di me». Qui a Cicerone si offre il destro per una rapida e stilizzata de­ scrizione delle proprie scelte: «Non mi sono tenuto nascosto ... non mi sono lasciato abbattere ...non mi sono comportato come se fossi preso da ira verso l'uomo [Cesare] o verso i tempi ... non ho adulato>>. E si pone sotto il segno di Platone, dal quale aveva im­ parato naturales esse quasdam conversiones rei publicae: 20 che dunque alla compiuta degenerazione in senso autocratico rappresentata dalla dittatura di Cesare non si poteva porre rimedio, si doveva ac­ cettarla come il punto d'arrivo di una naturalis conversio, se solo si considerava la teoria ciclica delle costituzioni, adombrata chiara­ mente (ben prima di Polibio o Panezio) nell'viii libro della Repub­ blica platonica (545 E). > pur sempre all'interno di un'unica attività spi­ rituale: «Nei miei libri era come se facessi le mie dichiarazioni di voto (sententiam dicebamus), come se pronunciassi i miei discorsi pubblici (contionabamur), consideravo la filosofia come un surroga­ to (philosophiam nobis pro rei publicae procuratione substitutam putaba­ mus) >> . Ora però che Cesare è stato eliminato, l'equilibrio tra Platone e Demostene cambia nuovamente: «bisogna rivolgere ogni pensie­ ro e ogni attività alla politica, riservando alla filosofia solo il tempo che rimarrà libero dai doveri pubblici (tantum huic studio reliquen­ dum quantum vacabit a publico officio) ».Ma in realtà Cicerone non smetterà affatto. Nella già citata prefazione al L n De divina tione preannuncia il De Jato, e nel novembre del 44 porterà a termine l'ultimo e impegnativo trattato, il De officiis. È dunque una troppo schematica autodescrizione quella cui indulge ( > ) : è, al solito, una concessione alla ve­ duta dominante nel mondo romano, anche nell'élite colta, che si attiene ad una scala di valori opposta a quella «greca>> e che ostenta di deprimere l'attività letteraria {ed in particolare filosofica) ri­ spetto ai prioritari doveri del cittadino. Ma non è soltanto la filosofia, è l'intero studium litterarum che viene messo in discussione dalla corrente scala di valori. Cicerone lo sa bene, e anche su questo terreno si sente chiamato in causa. Cosi, nell'orazione in difesa del poeta antiocheno Licinio Archia (62 a.C.) affronta direttamente la questione piu generale, e con molta nettezza: Ego vero Jateor me his studiis esse deditum (p ar. 12) .21 Non si tratta infatti degli studi di filosofia o di retorica, bensi pro­ prio della dottrina poetica, della letteratura. Quaeres a nobis, Gratti21. « confesso di essere dedito

a questi studi�.

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L'AUTOBIOGRAFIA INTELLETTUALE chiede Cicerone al suo antagonista e accusatore di Archia - cur tan­ topere hoc homine delectemur: 22 domanda che, com'è chiaro dal con­ testo, va intesa nel senso piu ampio: «cosa ci trovate di interessante nella poesia». La risposta che Cicerone elabora prospetta una ulte­ riore e piu vasta e disinteressata giustificazione dell'attività lettera­ ria: la poesia contribuisce a «ricreare l'animo» ex hocforensi strepitu, la dottrina n u t r e l'animo dell'oratore e del politico. Rispetto alla consueta giustificazione «utilitaria>> abbiamo qui la rivendicazio­ ne del valore in sé della poesia e della letteratura come a l t e r n a t i v a alle asprezze della quotidianità politica. Non a caso l'orazione Pro Archia fu profondamente apprezzata dal Petrarca e si suole assu­ mere come una sorta di «manifesto>> ante litteram dell'Umanesimo. 5·

«

0

FORTUNATAM NATAM ME CONSULE ROMAM »

Questo orribile verso {che peraltro incomincia allo stesso modo che Aen. I 437) figurava, com'è noto, nel poema ciceroniano De con­ sulatu suo (fr. 17 Traglia). Tale poema autobiografico era il punto d'arrivo di un intenso sforzo profuso da Cicerone, mirante ad otte­ nere che altri si occupassero delle gravi vicende politiche e dell'o­ pera sua nell'anno della congiura di Catilina.La ricerca in tal senso era incominciata subito. Dapprima Cicerone aveva sperato che il poeta Archia, per il quale si era dato da fare quando ne era stato contestato il diritto di cittadinanza, fosse disposto a comporre un poema sulla memorabile vicenda {come già ne aveva composto uno sulla vittoria di Mario contro i Cimbri), ma la speranza andò delusa (Att. I 16 15) . Il secondo fallimento venne addirittura da par­ te di un grande storico e filosofo contemporaneo, Posidonio di Apamea. Per incitarlo e agevolarlo nell'impresa, Cicerone provvi­ de a comporre in greco un commentarlus che desse conto appunto della materia da trattare (Att. n I 1-2) ; ma si attenne cosi poco alla norma stilistica dei commentarli - i quali dovrebbero costituire la semplice «materia» {UÀTl) per narrazioni altrui (lo teorizza lui stes­ so in Brutus 262 a proposito dei commentarli di Cesare)-, li farci tal­ mente di elementi rettoricamente elaborati e tratti, come dice, 22. «chiederai, Grattio, perché mi piaccia quest'uomo».

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dall'armamentario di Isoerate e della scuola di Aristotele, che Posi­ donio ebbe buon gioco nel dichiararsi non modo non excitatum ad scri bendum sed etiam piane deterritum.23 Che è, poi, l'osservazione che Cicerone fa, nel passo ora citato del Brutus, a proposito di Cesare: il quale aveva forse pensato di offrire materia a futuri storici, ma ineptis gratumJortasseJecit24 ché solo degli sciocchi avrebbero potuto aspirare a « imbellettare » un corpo già cosi perfetto. Alla fine- siamo nel giugno del 6o - Cicerone si decide a pro­ muovere la diffusione, tramite l'aiuto dei copisti di Attico, del suo Hypomnema greco, presso un pubblico greco: Tu, si tibi placuerit liber, cura bis ut etAthenis sit et in ceteris oppidis Graeciae (Att. n 1 2).2s Nel di­ cembre dello stesso anno prende corpo, in tre libri, il poema De consulatu suo. Ma non era soltanto il consolato l'evento degno di un'opera sto­ rica tra quelli che avevano segnato la sua vita. C'erano, strettamen­ te legati, ed anzi conseguenti al consolato, l'esilio ed il trionfale ri­ torno. Queste vicende sono, com'è noto, oggetto da parte di Cice­ rone di appassionate rievocazioni > {v 12 1) . Certo, soggiunge, piu volte tu mi hai detto che avresti parlato anche di me, ma immagino che avrai comprensione per questa miaJestinatio. Mi sono accorto -seguita -che ormai ave­ vi quasi finito il racconto della guerra sociale e della guerra civile sillana e allora non ho voluto venir meno a me stesso e rinunciare a prospettarti l'ipotesi di dar corpo ad una monografia tutta su di me; e istituisce un paragone con Callistene, Timeo, Polibio, i quali inserirono nelle loro storie generali delle narrazioni difatto autono­ me di importanti episodi degni appunto di un'autonomia narrativa pur nel quadro complessivo delle loro grandi opere {v 12 2: qui om­ nes a perpetuis suis historiis ea qua e dixi bella separaverunt) : parti di sto­ rie continue che di fatto venivano sentite dai lettori come morro­ grafie a sé. Dunque- è questo il suggerimento -anche la sua vi­ cenda potrebbe essere trattata cosi, giacché, prosegue, a principio co­ niurationis usque ad reditum nostrum videtur mihi modicum quoddam cor­ pus confici posse {v 12 4).26 Ovviamente si dichiara pronto a fargli avere i suoi commentarii, la «materia» su cui costruire {m: conficiam commentarios rerum omnium)P Ma è anche pronto all'insuccesso: «Se non mi darai retta, forse sarò costretto a fare ciò che taluni spesso criticano: scriverò io stesso di me», sorretto, s'intende, da molti illustri precedenti. Inizialmente Lucceio si disse disponibile (Att . IV 6 4, maggio s6: se itafacturum rescripsit); Cicerone si affrettò a mandargli dei materiali da prendere come base (Att. IV n 2: tu Luc­ ceio nostrum librum da bis).28 Il che vuol dire che confezionò ancora una volta uno scritto autobiografico, piu ampio di quello offerto a Posidonio, che riguardava unicamente il consolato; ma Lucceio non solo non ne fece nulla ma neanche prosegui nella sua storia, che rima­ se ferma {e inedita) all'anno della vittoria di Silla a Porta Collina. 26. � dal principio della congiura sino al mio rientro mi sembra possa darsi un non troppo ampio, compatto, racconto a sé stante ». 27. «preparerò dei commentari sull'intera vicenda ». 28. «consegna il mio libro a Lucceio ». 27

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Del carattere inutilmente esaltatorio, o meglio auto-esaltatorio, di questa produzione epico-politica di Cicerone è sufficiente testi­ monianza quel poco che ne resta, e che in buona parte conosciamo perché se lo cita lui stesso. È il caso della lunga tirata che la Musa Urania pronunciava nel II libro del De consulatu, giunta a noi per­ ché Cicerone la fa recitare « a memoria » dal proprio fratello Quin­ to, nel I libro del De divinatione {I 17-22: cuius - dice Quinto - edidici etiam versus et lu benter quidem) .29 E i piu {involontariamente) comici li conosciamo perché li cita il pamphlet anti-ciceroniano corrente­ mente noto come Sallusti invectiva in Ciceronem. Assai maggiore ri­ levanza, davvero autobiografica, avranno avuto i commentarii, i pro­ memoria che Cicerone allestiva inutilmente per gli storici che, volta a volta, prendeva di mira. Specchio meno deformante dei suoi pensieri, intendimenti, disegni, del periodo consolare sarà sta­ to poi uno scritto, anch'esso perduto, cui una volta Cicerone fa ri­ ferimento con un'espressione invogliante e allusiva, àvéx(>o-m: e sembra alludervi come al resoconto di quanto non aveva potuto inserire nelle altre opere pubblicate sullo stesso soggetto (A tt. II 6 2). Questa lettera ad Attico è dell'aprile del 59; ma ancora in una lette­ ra di quindici anni dopo (A tt. XVI n 3 del novembre del 44) Cicero­ ne parla con tutta probabilità di quest'opera dandone per ancora non avvenuta, ma imminente, la diffusione.3 0 Si tratta certamente di quello scritto pungente e rivelatore che Plutarco { Crasso 13) e Dione Cassio {xxxix 10) mostrano di aver letto. Dione, che lo chiama PtPÀiov à1t6pprrrov crede di poterlo datare nell'anno 57 a.C., forse tratto in inganno da un {apparente) « indizio interno>> (i fatti evocati non andavano al di là del 59, si fermavano all'esilio di Cicerone). Plutarco invece, piu esattamente, mostra di sapere che il libro, dove tra l'altro erano indicate le responsabilità di Crasso e Cesare nella congiura di Catilina, era stato pubblicato dopo la morte di entrambi. Ma a Dione dobbiamo forse il titolo esatto del­ l' opuscolo m:pì 't'WV Èau'toù pouÀeu1.uhwv. È dunque evidente che 29. « ne ho imparato a memoria i versi, e anche volentieri». 30. Librum quem rogas perpoliam et mittam (= «rifmirò e ti invierò il libro che mi chie­ di»). Che queste parole si riferiscano ai cosiddetti Anecdota osservò E. Schwartz, Die Berichte uber die Catilinarische Verschworung, in (( Hermes », a. XXXII 1897, p. SS'J.

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deve trattarsi del piu volte citato (presso Ascanio, Boezio, Carisio, Agostino) De consiliis suis. Ma la piu autentica fonte dell'autobiografia ciceroniana è in realtà costituita, com'è ovvio, dall'imponente corpus delle lettere. Cornelio Nepote, che ne aveva visto nascere l'edizione in casa di Attico, osserva che chi le legga non multum desideret historiam contex­ tam (Att. 16 3). Non è qui il caso di ripercorrere l'intera questione riguardante l'originaria consistenza della raccolta {se per esempio siano da prendersi sul serio gli almeno n o v e libri di lettere a Mar­ co Bruto che si ricaverebbero da una citazione di Nonio [p. 421 M.]). Qualunque opinione ci si faccia intorno a questo punto, e senza tener dietro all'intera e non sempre solida ricostruzione pro­ spettata dal Carcopino in un celebre libro,31 sembra del tutto plau­ sibile l'ipotesi {sorta del resto prima del Carcopino) che l'edizione postuma rechi i segni di una selezione {e quindi di una censura), che non può non ricollegarsi alla figura e all'ingombrante inter­ ventismo culturale di Augusto. Eloquenti in tal senso i «vuoti» della superstite raccolta: soprattutto il43 a.C., l'anno piu torbido e meno difendibile della carriera di Ottaviano.Ciò che su di lui, fe­ difrago verso il senato e di conseguenza efferato triumviro, dovet­ te scrivere Cicerone nelle lettere che certo gli accadde di inviare tra l'agosto e il dicembre del43 non dovette apparire tollerabile, e tanto meno pubblicabile, agli editori postumi, certo attenti alle reazioni dell'ormai rispettabile princeps e forse addirittura da lui piu o meno direttamente influenzati. Già questo filtro deve aver falsato in certa misura il valore im­ mediatamente documentario della raccolta.32 Ma vi è poi un altro aspetto di questo epistolario che va messo in luce, proprio a propo­ sito della sua importanza come fonte autobiografica: il fatto cioè che in esso convivano due tipi di lettere: quelle chiaramente desti31. ]. Carcopino,

1947·

Les secrets de la correspondance de Cicéron, Paris, L'Artisan du livre,

32. Un altro « silenzio • sospetto, un altro singolare vuoto della raccolta riguarda gli anni della congiura: che cosa Cicerone potesse dire, scrivendo ad amici fidati (per es.

Attico) a proposito, mettiamo il caso, del coinvolgimento di Cesare, possiamo arguir­ lo da quel frammento del De consiliis suis citato da Plutarco (Crasso 13) di cui si è prima detto.

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nate da Cicerone alla posterità, che suscitano il suo autocompiaci­ mento di letterato {come quando prega Attico [Iv 6 4] di procurarsi una copia della lettera a Lucceio dal momento che essa valde bella est) e quelle scritte invece in pieno abbandono all'amico fidato, in molti casi senza alcun recondito intento di eternità, o addirittura i biglietti occasionalì e rivelatori. Esplosioni istantanee come i pochi righi scritti ad un congiurato {Lucio Minucio Basilo) poche ore dopo l'uccisione di Cesare, il 15 marzo del 44: Tibi gratulor, mihigau­ deo. Te amo. Te tueor. A te amari et quid agas quidque agatur certiorfieri volo {fom. VI 15).33 Ha osservato Carcopino: > (noctes vigilare serenas) per dare corpo - spregia­ tore anche lui dell'insensato tumulto della politica - al grande pro­ getto didattico di investigazione della natura. 8. IL DOMINIO DEI MODELLI Editore delle proprie lettere, Plinio il Giovane vi premette una epistola dedicatoria, significativa, all'amico Septicio Claro. E ci fa sapere, cosi, che Septicio l'aveva incitato a raccogliere e pubblicare le lettere « meglio curate », di aver costituito la raccolta senza un piano definito e a prescindere dalla successione cronologica, di averle anzi messe insieme a caso, come gli venivano tra mano. E infatti abrogò tutte le date, nella pubblicazione, e solo in un caso, quello del decimo libro, concentrò tutte insieme le lettere relative ad un solo corrispondente (certo di spicco, l'imperatore Traiano). Una raccolta del genere, diffusa dall'autore in vita, non può che avere un fine autobiografico sapientemente perseguito. Quando scrive (1 I I) « le ho raccolte senza tener conto della successione cronologica, infatti non componevo un}opera di storia », evoca - proprio nel negarla - quell'opera di « storia >> della quale la raccolta di lette­ re vuoi essere un surrogato. E nel far questo, nell'accostare le lette­ re, cosi come le ha radunate, a quell'eventuale « opera di storia » che ne avrebbe potuto costituire la rielaborazione narrativa, si ri­ corda forse del celebre giudizio di Cornelio Nepote sulle lettere di Cicerone ad Attico: chi legga tali lettere non multum desideret histo­ riam contextam eorum temporum (Att. I6 3).47 46. « La notte si aggiunga al giorno, si riducano gli impegni ». 47- « finirebbe col non sentir necessità di un compiuto racconto storiografìco di quelle vicende � -

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È infatti il grande modello ciceroniano che domina la sua men­ te: in questa impresa editoriale e piu in generale in tutta la sua esi­ stenza pubblica (politica e letteraria). In una importante lettera a Voconio Romano (1 s) ricorda le parole di un suo avversario, Aqui­ lio Regolo, pronunciate alquanto tempo addietro, quando Domi­ ziano era ancora vivo e Regolo, satellite del tiranno, era tutt'altro che timidior: parole che avevano voluto essere di attacco a Plinio là dove dichiaravano superata dall' eloquentia saeculi nostri la assunzio­ ne di Cicerone come punto di riferimento (epist. 1 5 n-12). Plinio precisa di aver avuto conferma dell'intento polemico di quelle pa­ role dallo stesso Regolo e soggiunge: est enim mihi cum Cicerone ae­ mulatio nec sum contentus eloquentia saeculi nostri.4B L'imitazione­ emulazione si tinge di aspetti comici, come quando, scrivendo a Maturo Arriano, Plinio osserva di aver conseguito il consolato in età ben piu giovane che lo stesso Cicerone e perciò si augura di raggiungere, almeno da vecchio, ingenium eius aliqua exparte (1v 8 s). Ed esulta quando può citare (epist. m 21 4) una poesia di Marziale (x 20 12-18) che lo equiparava all'Arpinate ed auspicava che i secoli futuri continuassero ad istituire il lusinghiero paragone. Peraltro l'identificazione si estende anche ad aspetti sostanziali: l'idealizzata figura del princeps quale emerge dall'asfissiante Panegi­ rico a Traiano ricalca certi tratti della nozione ciceroniana di princeps. E certo ci sarebbe da chiedersi se Plinio - il quale in un passo del Panegirico (58 3-4) riesce ad assimilare il principato sotto Traiano al­ la Repubblica romana subito dopo l'espulsione dei Tarquinii - ab­ bia in mente il rapporto tra Cicerone ed Ottaviano (o rispecchi il recupero operato in epoca giulio-claudia della figura di Cicero­ ne),49 o non piuttosto immagini di rivivere letterariamente, nel suo ruolo di ideologo e panegirista di Traiano, il rapporto (per esempio dell'anno 66 a.C.) tra Cicerone e Pompeo. E persino i grandi processi giudiziari di rilevanza politica (ad esempio il pro­ cesso di Giulio Basso: epist. IV 9) li riconduce al grande modello 48. � lo infatti mi sento in gara con Cicerone e non sono affatto soddisfatto dell'e­ loquenza del nostro secolo �. 49· Un sintomo di tale recupero è l'elogio di Cicerone come profeta del nuovo tempo in Velleio Patercolo, n 66.

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{Verrine). Non a caso rivendica come determinante l'insegnamen­ to di Quintiliano (epist. n I4 9) : è da quell'insegnamento che di­ scendono le sue scelte culturali: in particolare quel continuo ri­ chiamarsi oltre che a Cicerone, a Demostene. Il che lo porta ad ec­ cessi. Come quando una volta, ricordata con enfasi una sua orazio­ ne, soggiunge che i contubernales la giudicarono la sua « orazione per la corona » (v1 33 n)! Questo riferimento ai contubernales rinvia al milieu, al « circolo » (come lo ha chiamato Eugen Cizek) 50 della cui vita e delle cui abi­ tudini la corrispondenza pliniana è, in certo senso, la cronaca. È il racconto epistolare della vita e dei problemi del circolo letterario nel cui ambito Plinio rappresenta la figura centrale: molti dei cor­ rispondenti ne fanno parte, o ricevono lettere che aggiornano sul­ l' attività del cenacolo. Scambi di critiche nel merito dei lavori cui questi letterati attendono, letture e discussioni tra « intenditori » : queste sono, come in ogni cenacolo letterario, le principali occu­ pazioni che la cronaca pliniana lascia intravedere. Lo storico Tacito, quasi coetaneo di Plinio, campeggia come personaggio di grande riguardo, rispetto al quale lo stesso Plinio manifesta deferenza e la esprime classificandosi come suo scolaro: « da maestro a discepolo (ché tu sei maestro, io no) mi hai mandato il libro » (vm 8 I) . Le lettere di Plinio a Tacito assolvono, nell'ambi­ to della raccolta, ad una precisa funzione: indicano ai posteri il gra­ do di intrinsechezza che Plinio ha avuto verso Tacito, rivelano la sua diretta partecipazione alla composizione delle Historiae. Plinio ha infatti trascelto e inserito nella raccolta lettere da cui risulta il proprio lavoro di lettore critico del testo delle Historiae: « Ho letto il tuo libro e ho provveduto ad annotare quel che mi parrebbe op­ portuno modificare o eliminare. Sai bene che è mia abitudine, da te bene accolta, la chiarezza » (vn 20 I) . E subito soggiunge che sta aspettando, da parte dell'amico, l'analogo servizio (librum meum cum adnotationibus tuis) . E per rendere ancora piu chiaro al futuro biografo la reciprocità del rapporto di collaborazione esclama: O so. E. Cizek, L'époque de Trajan. Circonstances politiques etproblèmes idéologiques, Bucu­ resti-Paris, Les Belles Lettres, 1983, pp. 151-65.

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iucundas, o pulchras vices! Ma non basta. « Un domani - prosegue sarà considerata cosa rara e rilevante il fatto che due personaggi so­ stanzialmente pari come età e come dignitas, non certo ignoti come autori (scusami se parlo in tono cosi smorzato di te, ma sto parlan­ do contemporaneamente anche di me) abbiano aiutato l'uno gli studi dell'altro. Sai bene che io, sin dalla giovinezza (adulescentulus), quando la tua fama e la tua gloria erano già fiorenti, ebbi il deside­ rio di seguire te, e di essere, e di venir considerato, quello che viene subito dopo di te sia pure a molta distanza [Aen. v 320]. Certo, c'erano in giro fior di ingegni, ma eri tu che mi sembravi sommamente de­ gno di imitazione: a tal punto mi sospingeva la somiglianza delle nostre due nature ecc. » (vn 20 4) . C'è già qui, com'è chiaro, un abbozzo di autobiografia. È il capi­ tolo, sempre rilevante (come vedemmo nei casi di Catone, Sallu­ stio, ecc.), relativo agli initia, quegli initia da cui si fanno discendere, di solito, tutte le principali scelte successive (non senza un eccesso di teleologismo). Non meno significativo è che Plinio abbia voluto inserire nella raccolta, in punti non contigui forse per accentuarne il carattere di casualità, ben due lettere-hypomnemata, inviate - co­ me precisa - a Tacito (su richiesta di lui) quali materiali di informa­ zione per il racconto delle Historiae. Si tratta delle lettere VI 16 e VI 20: la prima riguarda la morte di Plinio il Vecchio nel corso dell'e­ ruzione del Vesuvio del 79 d.C. (« mi chiedi che io ti narri come mori, si che tu possa piu veritieramente tramandare quell'evento ai posteri »); l'altra riguarda l'esperienza che Plinio stesso ha vissu­ to al capo Miseno dopo la scomparsa dello zio (ed anche qui Plinio tiene a precisare, in apertura, che la richiesta di un supplemento di informazione era venuta ancora una volta da Tacito). È una situa­ zione dunque solo in parte analoga a quella di Cicerone che appre­ sta wmmentarii per Posidonio e Lucceio. Plinio ha voluto che quei commentarii in forma epistolare rimanessero dentro la raccolta, che restasse cioè traccia di quanto egli aveva fornito a Tacito (e intanto circolavano le Historiae contenenti la rielaborazione storiografica del promemoria allestito dall'amico). Non è superfluo aggiungere che anche il « modello » del vec­ chio scienziato morto sul lavoro e infaticabile sia come studioso 43

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che come uomo pubblico ha importanza nella galleria ideale di ri­ tratti sotto la cui egida Plinio intende collocarsi. E cosi, oltre alla lettera indirizzata a Tacito, di cui si è ora detto, Plinio ne inserisce nella raccolta un'altra (a Bebio Macro: m 5) in cui accoglie di buon grado l'invito dell'amico a tratteggiare un profilo dell'opera scien­ tifica dell'illustre congiunto. Qui, dopo aver fornito una lista, per noi preziosa, delle opere di Plinio il Vecchio, va oltre, e passa a deli­ nearne anche lo stile di vita e il metodo di lavoro. E tocca, cosi, il problema che coinvolge tutta l'intellettualità romana (prima e do­ po la cesura rappresentata dalla fine della res publica): e cioè la con­ ciliazione tra impegno pubblico e lavoro > . Il nipote ci dà altri dettagli; ci fa sapere che lo zio aveva l' abitu­ dine di andare a conferire da Vespasiano prima dell'alba, dato che anche l'imperatore aveva gli stessi ritmi di lavoro (m 5 9: nam ille quoque noctibus utebatur).51 E anche di se stesso il giovane Plinio ama mettere in luce questo impiego prezioso di ore o momenti della giornata che altri, gli altri, destinano a piu umili cure. Descrive per esempio la propria creatività letteraria al risveglio (circa horam pri­ mam, cioè verso le sei del mattino), la pratica di comporre mental­ mente finché il pensiero non è del tutto formato (non oculos animo sed animum oculis sequor),s2 di invocare quindi lo schiavo amanuense per la dettatura (Ix 36 1-3). Anche qui abbiamo un pezzo autobio­ grafico sotto forma di lettera. L'amico Fusco gli ha chiesto come 51. « anch'egli infatti sfruttava le notti». 52. «non seguo gli occhi con l'animo, ma l' animo con gli occhi ». 44

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distribuisce il proprio tempo aestate in Tusds, ed eccolo servito con un resoconto a futura memoria, ricco di ogni dettaglio. Natural­ mente non si colloca sullo stesso piano del piu illustre congiunto, ma certo sulla sua scia; ed è perciò con un certo compiacimento che narra (aBebio Macro) del rimprovero rivoltogli dallo zio quel­ la volta che l'aveva incontrato deambulantem e l'aveva bruscamente apostrofato con un poteras has horas non perdere. 53 È ammirevole il quadro che risulta da questo intreccio di me­ morie pliniane. Ne viene fuori l'immagine di un ceto dirigente di grande competenza, serietà, addestramento al lavoro come fatica quotidiana, come imperativo che non può trascurarsi in nessun momento della giornata; un ceto che ha appreso l'uso razionale del tempo e lo ha spinto all'estremo. Il giovane Plinio è ben consa­ pevole di queste virtU della sua classe, e dichiara con malcelata fie­ rezza di averne dato cosi ampiamente conto per susdtare emulazione (m 5 20) . 9·

LA

' CONFE S S I ONE E L AUTOCRITICA

Un percorso che si era aperto con parole di pieno autocompiaci­ mento da parte del vecchio contadino dai capelli rossi, Marco Por­ cio Catone, si chiude invece con la piu radicale dichiarazione di in­ sufficienza soggettiva. È il piano su cui si muove la duplice auto­ biografia di Agostino: quella esterna, affidata alle Corifessioni, e quella ideologica affidata alle Retractationes. I tre pilastri delle Cotifessioni sono, com'è noto, a) il racconto di come e tra quali difficoltà e con quali tappe si è sviluppata, nella vi­ ta del protagonista, la ricerca della « verità »; h) la confessione dei peccati (uno squadernamento della propria esistenza che si pone come antecedente di un'altra celebre « confessione », quella di Rousseau); c) la conquista della vera fede {la conversione) per ope­ ra della grazia divina. Non sono elementi del tutto nuovi. A ben vedere, il cammino esistenziale visto come indirizzato tutto alla ricerca della « verità » ha delle ascendenze remote. Già il 53· 111 5

16: « avresti potuto evitare di sprecare queste ore! ». 45

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cammino di Platone, il suo errare tra esperienze fallimentari fino alla scelta finale puramente contemplativa costituisce un archeti­ po; e pur nella sua modestia anche l'itinerario sallustiano si pre­ senta come un cammino che muove dall'errore verso la verità. Certo i precedenti piu significativi si incontrano piu tardi: nel cli­ ma di tensioni spirituali e religiose dei secoli II e III. E già nell' epi­ stola 108 di Seneca a Lucilio. Non è senza significato che Agostino abbia rivolto molta attenzione ad Apuleio, sia all'opera filosofica che al romanzo, che defini una volta nella Città di Dio « finzione autobiografica » (xvm 18). Con quelle parole Agostino mostra di coglierne, con tutta probabilità, il valore ed il significato di viaggio iniziatico. Tale è, in forma parodica, quello del Menippo lucianeo. Il proprio cammino quale lo descrive Menippo nell'omonimo opu­ scolo consiste in una fitta serie di incontri e delusioni: fino alla ri­ solutiva esperienza dell'incontro col mago di Babilonia. Dappri­ ma si tratta della religione tradizionale, mediata dalle fonti ovvie (Omero ed Esiodo); è una grande delusione, uno spettacolo per nulla edificante: adulterii, violenze, ratti, soperchierie verso i geni­ tori, matrimoni tra fratelli (Menippo 3). È il medesimo genere di critica alla religione « olimpica » che Agostino leggeva e apprezza­ va in un'opera perduta di Seneca, il De superstitione, e trascrive am­ piamente nel De civitate Dei (vi 10). Quindi subentra il contatto con le filosofie dominanti, e la scoperta del loro reciproco contraddirsi, soprattutto sul tema della « vera » felicità. Di qui la crisi, il sentirsi unico folle, unico ignaro della verità, in un mondo popolato da tanti saggi rinomati (e tra loro contrastanti). E alla fine l'incontro rivelatore: il santone caldeo Mitrobarzanes, che sottopone Menip­ po ad un lungo e complicato rito di iniziazione che si conclude agli inferi. Qui Menippo apprenderà che la vita davvero saggia è quella condannati, a causa dei loro continui misfatti, ad una metamorfosi in asini, da patirsi agli inferi per un periodo di tempo lunghissimo e sotto la ferula incalzante dei poveri (Menippo 20). Un percorso per molti versi analogo è quello delineato da Giu­ stino nel Dialogo con Trifone: una sorta di Menippo cristiano, ma da-

L' AUTO B I O G RAFIA I NTELLETTUALE

gli intendimenti seri. Anche Giustino compie il sofferto itinerario tra le varie filosofie (peripatetica, pitagorica, platonica), finché non si imbatte in un vecchio che, dopo aver demolito alcune vedute di Platone, inizia il protagonista alle profezie giudeo-cristiane e lo porta a scoprire che la sola filosofia sicura è quella di Gesu. Anche Clemente descrive un itinerario del genere, e lo descrive attraver­ so un monologo interiore (Recognitiones, PC I, pp. 1207-IO) : dappri­ ma rievoca le sue esitazioni tra le opposte vedute di Epicuro e di Platone intorno al destino ultraterreno dell'anima; sorge in lui il proposito di rivolgersi ad un mago egizio perché, grazie alle sue arti, faccia dichiarare ad un'anima se davvero è mortale o immor­ tale; giusto in tempo però lo raggiunge la notizia della diffusione del messaggio di Cristo; Clemente si imbarca per la Giudea e in­ terrompe ogni legame terreno. Quanto in siffatte storie, tra loro alquanto affini, sia dovuto alla suggestione letteraria e quanto corrisponda alla realtà biografica è difficile stabilire con certezza. Colpisce ad esempio il fatto, messo in luce da Pierre Courcelle, che determinati ingredienti, determi­ nati richiami testuali, passino immutati dall'una all'altra di queste autobiografie.54 Courcelle illustra in particolare il caso del prologo di Ilario al De Trinitate. Anche Ilario, in quella praefatio, racconta il proprio itinerario spirituale, partito anch'esso da una insoddisfatta meditazione sui precetti contraddittori dei filosofi greci e appro­ dato, alfine, alle certezze della fede cristiana. Questo approdo è stato propiziato, tra l'altro, da alcune letture nelle quali lo scrittore si è imbattuto per caso: innanzi tutto il versetto dell'Esodo che dice: « Io sono colui che sono »; quindi il salmo cxxxvm sulla ubiquità divina, infine le parole della seconda Epistola ai Colossesi (8) : > delle opere di Cicerone o di altri autori s ed è stata ricondotta giusta­ mente la sua attività in tal senso solo a quella di un appoggio e di un aiuto, peraltro fondamentale, dato a Cicerone nel compito del­ la riproduzione domestica delle copie delle sue opere (compito che solitamente assolveva l'autore stesso con propri scribi e che anche Cicerone curava in parte con propri scribi personali), e a quella di un appoggio e di un aiuto nell'opera di diffusione privata dei suoi scritti, avvalendosi della vasta rete di rapporti personali che egli aveva instaurato per altre ragioni a Roma e lontano da Ro­ ma. Ma appunto dalle lettere di Cicerone risulta che questa ripro­ duzione domestica, e questa diffusione privata, potevano propa­ garsi anche molto considerevolmente e coincidevano con la «pubbli­ cazione» delle sue opere. Cicerone, come per lo piu gli autori anti­ chi, inviava agli amici (e spessissimo proprio allo stesso Attico) co­ pie non definitive dei propri scritti per avere suggerimenti e corre5· Dopo il fondamentale studio di R. Sommer, T Pomponius Atticus und die Verbrei­ tung von Ciceros Werken, in « Hermes �. a. LXI 1926, pp. 389-422, ai cui risultati qui mi at­ tengo. Cfr. anche R. Feger, in RE, Suppl. vm (1956), coli. 517-20, e G. Cavallo, Testo, libro, lettura, nel vol. 11 di quest'opera, pp. 316 sg.

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zioni. Ad un certo punto egli stabiliva che una certa forma del te­ sto era da considerarsi definitiva e che la sua trascrizione poteva quindi essere fatta, e propagata ad altri, anche senza la sua autoriz­ zazione: questo e non altro era per lui la decisione di « pubblicare » un'opera. N on la consegna dell'opera a un « editore » che ne ripro­ ducesse un largo numero di copie, ma semplicemente l'autorizza­ zione a che quell'opera, in una certa forma considerata definitiva, venisse letta e trascritta da chiunque, essendone interessato, riusci­ va a procurarsela. Il che sarebbe poi avvenuto sempre, o quasi sem­ pre, per vie private (doni, prestiti, ecc.), solo raramente e in modo non rilevante attraverso l'impersonalità di un mercato librario. Si è ritenuto da parte di vari studiosi che questo modello di produzio­ ne e circolazione, chiaramente testimoniato in Cicerone, debba essere esteso alla generalità della produzione letteraria del periodo ciceroniano, e, afortiori, anche alle età precedenti, nelle quali natu­ ralmente l'ambito di circolazione deve essere considerato assai piu ridotto. Ed anzi, poiché il modello che si riconosce valido per Ci­ cerone coincide sostanzialmente col modello che si ricava dalle te­ stimonianze di prosatori greci (soprattutto dalla trattatistica scien­ tifica e filosofica) 6 e con le modalità di diffusione della letteratura patristica,7 esso viene considerato come il modello principale della pubblicazione e diffusione dei testi nell'antichità, che sarebbero circolati essenzialmente per via « privata », in primo luogo attra­ verso trascrizioni eseguite dagli scribi personali dell'autore e dif­ fuse nella sua cerchia di conoscenza, e quindi attraverso una pro­ pagazione delle trascrizioni, curate da amici dell'autore e da quan­ ti erano interessati a procurarsi, sempre per via di contatti persona­ li privati, copie di quell'opera da trascrivere per proprio uso perso­ nale. Il mercato librario avrebbe costituito solo una integrazione molto secondaria a questo sistema di diffusione per via essenzial­ mente privata, un'integrazione divenuta significativa, ma comun­ que non predominante, solo nel corso del I secolo d.C. È stato re6. Cfr. B.A. van Groningen, "Exòoo1ç, in « Mnemosyne », ser. IV, a. XVI 1963, pp. 1-17. H.I. Marrou, La technique de l'édition à l'époque patristique, in « VChr », a. m 208-24.

7- Cfr. 1949, pp.

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MARIO C I TRO N I

centemente affermato che solo al tempo di Plinio il Giovane, e an­ che allo ra solo parzialmente, la letteratura sarebbe uscita dai confi­ ni della relazione di amicizia.s Effettivamente l'élite colta, destinataria prevalente o esclusiva dei testi letterari, potrebbe essere considerata, con una certa ap­ prossimazione, come un unico vasto tessuto costituito da una tra­ ma di rapporti personali di amicizia e di clientela, una trama che attraverso passaggi variamente mediati lega non solo le diverse componenti dell'élite della capitale tra loro, ma lega ad esse le di­ verse élites locali, italiche e provinciali, e a queste élites lega, a sua volta, gli scrittori e quegli intellettuali « professionali » di rango so­ ciale inferiore, per lo pili di condizione libertina o serviie e di ori­ gine provinciale, « straniera », che con la loro attività di insegnanti, di critici, di consiglieri culturali, e anche di produttori di testi lette­ rari, sostengono e in parte elaborano l'attività culturale « per con­ to » dell'élite colta o comunque in stretto rapporto con essa. Il mo­ dello di diffusione « privata » dei testi che abbiamo sopra descritto può essere dunque in realtà considerato conforme a un carattere 8. R.J. Starr, The Circulation ofLiterary Texts in the Roman World, in « CQ •, a. xxxvii 1987. pp. 213-23, il quale riduce drasticamente il ruolo del mercato librario e sostiene

che il testo letterario non oratorio o teatrale veniva solìtamente diffuso, in forma scritta o orale, solo tra persone note all'autore e ai suoi amici. Piu moderata, ma simi­ le, la posizione assunta da EJ. Kenney, Books and Readers in the Roma n World, in The Cambridge History of Classica! Literature, 11. Latin Literature, ed. by EJ. Kenney e WY. Clausen, Cambridge, Unìv. Press, 1982, pp. 10 sgg., secondo il quale la letteratura lati­ na « ttom the first . . . was an affair of groups and coteries » anche in ragione del modo « privato » in cui i libri venivano pubblicati e circolavano: la situazione non sarebbe sostanzialmente cambiata neanche in età imperiale, anche se Kenney ammette (pp. zo e 22) una larga circolazione libraria nel I sec. d.C. Auerbach, Lingua letteraria e pub­ blico, cit., p. 218, ritiene invece giustamente che un pubblico « anonimo » (e cioè un pubblico la grande maggioranza dei cui membri restava sconosciuta agli scrittori) sia ben riconoscibile già nella generazione di Cicerone. Cavallo, Libro e cultura scritta, cit., considera il pubblico « anonimo » assai ristretto e limitato all'Italia, ma certo non ine­ sistente, fino all'età augustea e sostiene efficacemente che nel l sec. d.C. vi è un pub­ blico « medio • alquanto largo, e molto variegato, un pubblico medio che in parte è capace dì recepire letteratura anche complessa (pp. 712 sgg.). Una concreta immagine della varietà e complessità della conformazione dell' ambiente intellettuale e del pub­ blico in età tardo-repubblicana è offerto dal ricco e documentato volume di E. Raw­ son, Intellectual Life in the f.,ate Roman Republic, London, Duckworth, 1985 (cfr. special­ mente le pp. 38 sgg.) : se ne ricava che un numero molto considerevole di persone ave­ va accesso, a vario livello, ai diversi settori dell'attività intellettuale.

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strutturale fondamentale di quell'aggregato sociale che costituisce l'ambito di destinazione (ed anche di produzione) dei testi stessi. Ed è quindi probabile che, per questa via di diffusione « privata >> , testi di particolare interesse ed attualità, specialmente testi di at­ tualità politica (come ad esempio certe orazioni di Cicerone), si diffondessero in realtà assai largamente, ben al di là dell'ambito di quei destinatari che avevano un diretto rapporto personale di ami­ citia con l'autore e con la sua cerchia: anche per questa via si poteva insomma certamente determinare un accostamento del lettore al testo come a un prodotto « esterno » . Ma il tramite personale, l' ac­ cesso al testo per via di amicizia, doveva pur sempre comportare, da parte del lettore che fosse riuscito a procurarsi la possibilità di tale accesso, una sensazione di compartecipazione a una rete di re­ lazioni « private )) di cui il testo si faceva in qualche modo espres­ sione e testimonianza. Una maggiore capacità di diffusione dei testi a un pubblico « esterno )) viene a volte attribuita alla comunicazione orale: una forma di comunicazione la cui importanza anche per i testi non teatrali o oratorii è ampiamente riconosciuta negli studi recenti. Dall'età augustea in poi si fanno sempre piu frequenti le testimo­ nianze relative a recitazioni di opere di poeti contemporanei da­ vanti a un pubblico interessato e partecipe (o anche annoiato e in­ fastidito), ma anche per periodi precedenti abbiamo notizia di let­ ture e spiegazioni pubbliche di testi eseguite da specialisti, da gram­ matici, davanti a un pubblico non ristretto.9 A queste esecuzioni di poesia recitata il pubblico andava natu­ ralmente con uno spirito diverso da quello con cui un lettore af­ fronta un testo scritto: le sale di recitazione sono luoghi di incon­ tro, occasioni di rapporto sociale, di esibizione di interesse cultu­ rale. Il confronto con il testo può essere un movente secondario per molti di coloro che assistono a una recitazione. Ma non c'è 9 · Il carattere in qualche modo pubblico o addirittura spettacolare che potevano assumere le letture critiche di testi eseguite da grammatici è stato evidenziato, forse con qualche eccesso, da K. Quinn, The Poet and hisAudience in the Augustan Age, in Au} stieg und Niedergang der romischen Welt, II 30, I, Berlin-New York, de Gruyter, I982, pp. 99-ros; rsr, cui rinvio per la raccolta delle testimonianze.

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dubbio che per tanti spettatori si trattava di occasioni di effettivo approccio alla letteratura. Non è però ben chiaro quanto larga fos­ se la capacità di diffusione di un testo contemporaneo attraverso questa forma di comunicazione e fino a che punto si trattasse di un approccio al testo veramente « pubblico ». Di norma si tratta di re­ citazioni tenute dal poeta stesso, che non avrà esteso questa sua at­ tività di esecutore al di fuori dei circoli colti della capitale. Se ab­ biamo qualche riferimento a recitazioni tenute in teatri, presumi­ bilmente davanti a un pubblico del tutto aperto e vario, 10 se Ora­ zio disdegna la recitazione pubblica come una esibizione davanti a un uditorio non qualificato, 1 1 e che dunque sembra configurarsi come un uditorio largo e vario, per lo piu sentiamo invece parlare di recitazioni davanti a un pubblico scelto di invitati.12 E dunque proprio la recitazione di un poeta contemporaneo era spesso l' oc­ casione in cui soprattutto veniva sottolineato il carattere privato 10. Alla pratica di eseguire recitazioni poetiche nei teatri fa riferimento Petronio, 90 5 (a proposito di Eumolpo}; abbiamo notizia che Nerone recitava le sue poesie a teatro davanti a largo pubblico (Svetonio, Nero IO s; Tacito, ann. XIV 4; Cassio Dione, LXII 12). Orazio, sat. 1 10 39, potrebbe, a rigore, anche riferirsi a testi teatrali, ma epist. 1 19 41 allude abbastanza chiaramente a recitazioni poetiche dell'autore in teatri affol­ lati. Notizie di esecuzioni a teatro delle Bucoliche di Virgilio (Tacito, dia/. 13 2; Donato, vita Verg. 26; Servio, ad bue. 6 n}, di carmi ovidiani (trist. v 7 25 e cfr. n 519: probabilmen­ te si tratta delle Heroides}, del VII libro degli Anna/es di Ennio ( Gellio, xvm 5 3), si riferi­ scono non a recitazioni da parte del poeta stesso, ma a forme piu propriamente spetta­ colari di esecuzione, affidate a professionisti. Cfr. G. Funaioli, s.v. Recitationes, in RE, 1 A (1914), col. 442, e Quinn, The Poet and his Audience, cit., pp. 140 sgg., che analizza siste­ maticamente le diverse forme di recitazione, da quelle a carattere privato a quelle di tipo spettacolare per un largo pubblico. n. Cfr. sat. 1 4 23 e 73 sgg.; epist. 1 19 37 sgg. 12. Il carattere ristretto,privato, del pubblico cui si rivolge il poeta nelle recitazioni è sottolineato con decisione da Starr, The Circulation ofLiterary Texts, cit., pp. 213 sg., ed è probabilmente da ammettere per gran parte delle recitazioni tenute in persona dal poeta stesso (a differenza degli « spettacoli poetici » con esecutori professionisti di cui si è detto sopra, n. 10, e che dovevano essere limitati a testi di particolare notorietà e successo}. In verità le caricature tracciate da Orazio e dai poeti satirici del I sec. d.C. parlano di recitazioni in sale molto affollate, e di recitazioni per la strada, nelle piazze, nelle terme, ovunque si trovasse qualcuno disposto ad ascoltare: dunque recitazioni a un pubblico « estraneo », ma nell'ambito di una comunicazione poetica degradata. In Tacito, dial. 10 2, leggiamo, sia pur nell'ambito di un discorso che tende a svalutare la poesia, che anche in casi singolarmente fortunati la notorietà relativa a una recitazio­ ne poetica non riesce a raggiungere l'intera città di Roma e che non c'è speranza che arrivi nelle province.

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della comunicazione del testo letterario ai suoi destinatari. Tutta l'aneddotica di Marziale e tutte le recriminazioni di Giovenale sui tormenti inflitti agli ascoltatori nelle recitazioni, e soprattutto la testimonianza non sospetta di Plinio, che si vede costretto ad ester­ nare una indignazione un po' patetica per l'atteggiamento disat­ tento, infastidito o impertinente di certi uditorii, 13 ci mostrano be­ ne che alle recitazioni una buona parte del pubblico si recava solo per obbligo sociale, solo in ragione appunto dei rapporti personali che lo legavano, direttamente o indirettamente, all'autore, e che gli impone­ vano la partecipazione alla recitazione come un dovere di cortesia. Non c'è dubbio, ad ogni modo, che per mezzo delle recitazioni molte persone prendevano conoscenza di testi che altrimenti non avrebbero mai letto, e non c'è dubbio, altresi, che gli autori se ne rendevano conto e scrivevano le loro opere anche in funzione del­ l' effetto che avrebbero prodotto davanti agli uditorii delle sale di recitazione. Ma io non credo che autori e destinatari di composi­ zioni non teatrali o oratorie considerassero l'esecuzione orale co­ me il momento in cui l'opera realizzava la sua forma piena e ap­ propriata di comunicazione al pubblico. Le recitazioni sono solita­ mente intese come saggi provvisori o come presentazioni in ante­ prima di testi che troveranno la loro forma definitiva e la loro pie­ na realizzazione nel libro. I casi, molto piu rari, in cui sono testi­ moniate recitazioni di testi che già circolano in forma libraria di­ mostrano che la recitazione poteva offrire una forma di accesso al testo piu agevole, o piu gradevole, o comunque diversamente at­ traente rispetto a quella fornita parallelamente dal testo scritto,1 4 ma non ci consentono certo di attribuire alla generalità dei testi scritti delle opere poetiche latine un ruolo meramente strumenta­ le rispetto alla esecuzione, paragonabile alla partitura di un brano musicale.15 Solo particolari tipi di testi poetici occasionali, comPlinio il Giovane, epist. I I3; VI IS; I7. Cfr. anche Tacito, dial. 9 3 e Svetonio, Claud. Tra i luoghi piu noti sul fastidio per le recitazioni, vari epigrammi di Marziale (spec. m 44}; Giovenale, I; 3 I sgg.; la figura di Eumolpo in Petronio. I4. Cfr. le testimonianze sulle esecuzioni spettacolari delle Bucoliche e delle Heroi­ des riportate sopra in n. IO. 15. Cosi, con evidente forzatura, Quinn, The Poet and his Audience, cit., p. 90, e cfr. pp.

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missionari per essere recitati in determinate cerimonie pubbliche o private, o composti per partecipare ad agoni poetici, avevano co­ me fine primario l'esecuzione orale: mi riferisco a carmi come quelli raccolti da Stazio nelle Silvae, che costituiscono però un caso alquanto anomalo nel panorama della poesia latina classica.16 Car­ mi occasionali di poeti come Catullo e Orazio, anche se talvolta potevano essere stati recitati in anteprima al dedicatario o a una cerchia di amici in rapporto con una occasione particolare, erano evidentemente destinati fin dall'inizio a trovare il loro posto in una raccolta in forma libraria e ad assicurare come scritti « piu du­ raturi del bronzo >> la celebrazione dell'occasione da cui erano nati (e credo che ciò valga in certa misura per lo stesso Stazio delle Silvae). La recitazione è una importante forma di trasmissione dei testi, ma non rappresenta, a Roma, la forma in cui si realizza compiuta­ mente e privilegiatamente la comunicazione letteraria (se non nei testi destinati al teatro e nell'oratoria). Né è una forma che consen­ ta una diffusione particolarmente larga, legata come è, di norma, 83 sgg. e 145. Quinn sostiene con decisione che le opere letterarie (non tecniche) lati­ ne si realizzano nella performance e non nella pubblicazione almeno fino all'età augu­ stea. Ma Quinn stesso ha qualche oscillazione: a pp. 86 e 142 sg. riconosce che il poeta si pensa come produttore di testi scritti; a p. 88 vede già in Catullo una produzione che si realizza nella comunicazione scritta e a p. 143 considera anche l'Eneide incom­ patibile con la performance. Nell'età augustea il presupposto della peiformance sarebbe già anacronistico: i poeti non saprebbero distaccarsi da un modello che non corri­ sponde piu alle modalità di comunicazione dei testi. Sembra di capire che il momen­ to della piena realizzazione della performance pubblica come forma di comunicazione dei testi sarebbe quello della letteratura arcaica, proprio il periodo per il quale scar­ seggiano o mancano del tutto notizie di recitazioni. Nello stesso Cicerone non si par­ la mai di recitazioni pubbliche, come sottolinea anche la Rawson, Intellectual Life, cit., p. 52. La priorità del momento performativo nella letteratura latina, già sostenuta ad es. da Auerbach, Lingua letteraria e pubblico, ci t., pp. 222 sg., è oggi spesso affermata. Cfr. ad es. T.P. Wiseman, Catuli and his World. A Reappraisal, Cambridge, Univ. Press, 1985, pp. 124 sgg., che riprende da Quinn l'analogia con la partitura musicale. 16. Su questo tipo di letteratura è fondamentale A. Hardie, Statius and the Silvae. Poets, Patrons and Epideixis in the Graeco-Roman World, Liverpool, Francis Cairns, 1983, che sottolinea come questa produzione � professionale » rientrasse in una tradizione greca e greco-ellenistica piuttosto che nella tradizione letteraria romana. In questo ambito si possono far rientrare componimenti quali il Carmen saeculare di Orazio, che fu pubblicato, ma anche carmi come quelli che Ovidio scrisse per la morte di Messalla (Pont. I 7 29 sg.) o per il matrimonio di Paolo Fabio Massimo (Pont. I z 131 sg.), che fu­ rono eseguiti ma, a quanto pare, non pubblicati.

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alla presenza fisica dell'autore davanti a un uditorio di invitati, an­ che se si può ammettere che probabilmente a Roma e in qualche altra città di maggior vivacità culturale vi possono essere state let­ ture di opere seguite da un pubblico qualitativamente piu vario di quello dei lettori di testi scritti. Del resto da questa forma di diffu­ sione resterebbero comunque escluse le grandi opere in prosa, e non si hanno testimonianze chiare che consentano di affermare che venissero letti integralmente in pubblico vasti poemiP Né si può certo dire che la letteratura latina, fino al II secolo d.C., pre­ senti un progressivo venir meno della comunicazione orale dei te­ sti letterari in rapporto con la crescita del ruolo della comunicazio­ ne scritta: anzi, le testimonianze indicano chiaramente una cresci­ ta continua di entrambe le forme di diffusione dei testi in rapporto con la crescita dell'interesse del pubblico per la letteratura: il mag­ gior numero di testimonianze della presenza delle recitazioni di testi letterari nella vita culturale di Roma si ha tra I e II secolo d.C., proprio quando piu solide diventano le attestazioni di un ruolo si­ gnificativo del mercato librario nell'assicurare la disponibilità dei testi. In vari studi recenti l'esistenza di un pubblico del tutto « ester­ no » al mondo delle relazioni private dell'autore viene considerata acquisita soltanto verso la fine del I sec. d.C., 18 quando molte fonti ci danno testimonianza dell'esistenza di un mercato librario suffi­ cientemente sviluppato.19 Io credo in realtà che si possa far risalire l'inizio di questo rapporto > del lettore con il testo letterario a un'età considerevolmente anteriore. Il modello di dif­ fusione per via privata, come si è detto, è stato ricostruito soprat­ tutto sulla base di testimonianze relative alla diffusione delle opere di Cicerone, di trattati scientifici e filosofici greci, di testi patristici. 17. Quinn, The Poet and his Audience, cit., pp. 143 sg. 18. Cfr. sopra, n. 8. 19. Le testimonianze principali brevemente in Cavallo, Libro e cultura scritta, cit., pp. 715 sg. Un quadro dettagliato, ma non sempre affidabile, in T. Kleberg, Commercio li­ brario ed editoria nel mondo antico, in AAYV., Libri, editori e pubblico nel mondo antico. Gui­ da storica e critica, a cura di G. Cavallo, Roma-Bari, Laterza, 1975, pp. 40 sgg. Ricca docu­ mentazione in K. Dziatzko, s.v. Buchhandel, in RE m (1897), coll. 974-85. Cfr. anche P. Fedeli, I sistemi di produzione e diffusione, nel vol. II di quest'opera, pp. 355 sgg.

MARIO C ITRONI

Si tratta di testi che {salvo le orazioni di Cicerone di piu bruciante attualità politica) non erano comunque destinati ad un pubblico molto differenziato, bensi a un ambito limitato e relativamente omogeneo di competenti: non è detto che il modello di diffusione valido per questo tipo di opere debba essere esteso a tutte le diver­ se forme di produzione letteraria. E d'altra parte, se le testimo­ nianze sul mercato librario si fanno piu frequenti nel I sec. d.C., ciò è dovuto essenzialmente al fatto che conserviamo l'opera di Mar­ ziale, di un autore, cioè, che si rivolge a un tipo di pubblico ben di­ verso da quello per cui sono scritti i trattati di Cicerone, o di Gale­ no, o dei padri della Chiesa. Il fatto che anteriormente a Marziale si senta parlare poco di librerie negli autori latini, non significa di per sé che esse avessero un ruolo trascurabile nella diffusione del libro. Solo nei generi poetici « minori » sarebbe stato ammissibile che un poeta parlasse dei modi in cui venivano messi in circolazio­ ne i libri suoi o di altri poeti: e di librerie si parla in effetti nella poesia « minore » latina fin da Catullo, e poi nelle satire e epistole di Orazio e, con piu dettagli, in Marziale che è, in generale, poeta particolarmente propenso a far entrare i dettagli della vita quoti­ diana nella sua poesia. Molti aspetti concreti della vita quotidiana e della sua organizzazione entrano nella letteratura latina solo con l'opera di Marziale senza che per questo si debba credere che pri­ ma di Marziale non siano esistiti. Dei modi in cui vengono messi in circolazione i libri si poteva parlare naturalmente in opere in prosa: ma queste, come si è detto, spesso avevano un carattere spe­ cialistico che le rendeva comunque inadatte al mercato librario. Del resto non è del tutto vero che il mercato librario sia assente dalle opere di Cicerone: egli non sembra volerlo utilizzare nella diffusione delle proprie opere e non vi attinge volentieri per pro­ curarsi libri per la sua biblioteca: ma ciò non perché le librerie non esistano, bensi perché egli non vi trova i testi di cui ha bisogno e in particolare perché offrono esemplari scadenti, non corrispondenti alle sue esigenze.2o Cicerone, grazie alle sue relazioni e soprattutto 20. Cicerone, Q.fr. I I I 4 s; 5 6. L'esistenza di tabernae librariae è attestata anche in Phil. n 21. Strabone, xm I 54 parla di librai che avrebbero prodotto copie poco accura-

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a quelle di Attico, è in grado di procurarsi, attraverso canali « priva­ ti », esemplari di qualità superiore a quelli che si possono trovare in commercio, cosi come, grazie ai propri scribi e soprattutto grazie agli scribi di Attico, è in grado di produrre delle proprie opere esemplari ben p ili accurati di quanto non potrebbe fare l'artigiana­ to librario corrente. Ma un artigianato librario esiste al tempo di Cicerone, e se Cicerone motiva le ragioni per cui è indotto a non servirsene è perché, evidentemente, poteva sembrare per altri ver­ si naturale ai suoi interlocutori che egli se ne servisse. La testimo­ nianza offerta dal carme 14 di Catullo sull'esistenza di un mercato librario al suo tempo, non è dunque isolata: ed è, per di piu, una te­ stimonianza di particolare significatività, una testimonianza che va ben al di là della semplice notizia dell'esistenza di librerie. Dal car­ me di Catullo infatti si deduce che al suo tempo era già un fatto del tutto naturale, un uso comune, inviare un libro come oggetto di dono in occasione dei Saturnali, e che per procurarsi libri destinati a questo scopo era del tutto normale ricorrere al mercato librario. Certo, il carme di Catullo fa riferimento a doni di libri tra intellet­ tuali, tra « specialisti » della cultura (un maestro di scuola, un avvo­ cato-poeta, un poeta) e dunque non dimostra, a rigore, l'esistenza di una figura di « lettore comune », ma dimostra comunque che il libro di autore contemporaneo, la « novità editoriale » circolava co­ me oggetto di pregio nei rapporti sociali correnti, almeno entro certe categorie di persone, e che questa circolazione si fondava normalmente su un mercato librario; il quale poi, a quanto pare, non era troppo misero, ma offriva anzi parecchie opportunità ai suoi clienti: Catullo può contare di procurarsi alla svelta, con un giro tra le librerie da fare al mattino, appena esse apriranno, tutto il peggio della produzione poetica contemporanea per ricambiare il dispetto dell'amico. In Orazio la contrapposizione tra la sua riser­ vatezza di poeta d'élite e il goffo esibizionismo dei tanti poetucoli e poetastri dilettanti si esprime a volte come contrapposizione tra il te di libri della biblioteca di Apellicone, dopo che questa venne in possesso di Silla: vi era dunque produzione e commercio di libri greci a Roma tra età sillana e prima età augustea.

MARIO CITRONI

recitare i propri versi solo in una cerchia intima e il recitarli in pub­ blico, con riferimento dunque alla comunicazione orale;21 ma altre volte la contrapposizione è senz'altro tra il testo che resta nell'inti­ mità della casa del poeta e il testo che si mette in mostra a tutti nei negozi dei librai.22 Già per Orazio, come per noi, il concetto di > e, forse, « medio-bassi », che imitano sempre piu lo sti­ le di vita dei ceti alti. In Marziale il caso piu eloquente è probabil­ mente quello di un centurione che aspira a conseguire la carica di primipilo che gli darà accesso al ceto equestre: costui celebra con un rito domestico la deposizione dei capelli del suo amasio, e si fa scrivere da un amico personale, poeta alla moda, degli epigrammi che celebrino l'evento; 64 usanze e gusti dell'aristocrazia sono or­ mai adottati da chi si sforza di arrivare appena ad accostarvisi. È ov­ vio il richiamo a Trimalchione e alla sua ansia di esibire cultura, an­ che citando e componendo poesie e vantando il possesso di biblio­ teche: si tratta di una caricatura, ma è evidentemente la caricatura di un atteggiamento tipico dei ceti emergenti nella società del tempo. E Marziale, piu in generale, ci testimonia una presenza dif­ fusa della poesia nella vita quotidiana a Roma: poesie si leggono, si recitano nei ritrovi, negli intervalli a teatro, nelle cene, alle terme, nei salotti. Le recitazioni poetiche costituiscono una parte impor­ tante nella vita quotidiana della Roma del I secolo, a giudicare dal­ la quantità di riferimenti presenti nella letteratura del tempo. Il li­ bro è comune oggetto di dono,65 ha un ruolo significativo nei rap­ porti sociali. Non si tratta di comportamenti propri solo di un'élite (il permanere di questi comportamenti nell'élite è ben testimonia­ to da Marziale stesso, da Plinio il Giovane e dallo Stazio delle Sil­ vae), ma di comportamenti estesi a un largo coacervo di persone che assumono atteggiamenti ricalcati su quelli dell'élite. Solo una parte limitata di coloro che partecipano a questo « uso » della poe­ sia minore saranno lettori sistematici della grande letteratura con­ temporanea e degli stessi classici del passato. Non so se personaggi come il centurione amico di Marziale avranno di solito letto inte­ ramente Lucano, o lo stesso Virgilio; probabilmente no, ma proba­ bilmente conoscono almeno in parte questi autori, sono in grado di partecipare a discussioni sulla letteratura classica o contempora­ nea, hanno un'idea non troppo imprecisa delle principali correnti 64. M. Citroni, La carriera del centurione A. Pudens e il rango sociale dei primipilari. Inter­ pretazione di Marziale V 84 e VI 58, 7-10, in « Maia », a. xxxiv 1982, pp. 247-5765. Cfr. M. Citroni, Letteratura per i Satumali e poetica dell'intrattenimento, in corso di stampa in « SIFC � (Atti del rx Congresso della F.I.E.C., Pisa 24-30 agosto 1989).

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della cultura contemporanea. A un pubblico che cerca nella lette­ ratura un intrattenimento facile rispondono poeti come gli autori dei Priapea e di altri scritti simili, gli autori della « poesia per i Satur­ nali » , e in parte anche Marziale, che per il pubblico dei Saturnali scrive Xenia e Apophoreta, e che in occasione dei Saturnali pubblica a volte le sue raccolte: 66 ma abbiamo già rilevato che le raccolte di Marziale non offrono sempre un intrattenimento del tutto agile e piacevole, comprendono anche testi raffinati e alquanto ardui e hanno comunque tra il loro pubblico anche l'élite piu alta del tem­ po, fino all'imperatore stesso: nel pubblico capacità di compren­ sione, cultura, interessi sono molto vari, ma non sono distribuiti nettamente tra varie categorie cui siano destinati particolari tipi di testi: la realtà è sfumata, il pubblico è composito, e il singolo letto­ re può avere diverse spinte: l'austero senatore, che ha fatto il corso completo della formazione grammaticale e retorica, non disdegna di leggere Marziale ed anzi forse in molti casi non trova il tempo e la voglia di leggere letteratura piu impegnativa; ma persone meno colte, che forse hanno difficoltà ad apprezzare gli epigrammi piu impegnativi compresi in un libro di Marziale, possono ben avere l'ambizione di arrivare alla lettura di qualche parte delle grandi opere di Virgilio e di Ovidio. La presenza dei versi di questi due autori, magari malamente storpiati, sui muri di Pompei, conferme­ rebbe questo quadro.67 L'oratoria aveva avuto sempre a Roma un pubblico largo. Le notizie sulla popolarità raggiunta dai grandi avvocati e sulla parte­ cipazione del pubblico ad alcuni grandi processi nella prima età imperiale sono molto significative della continuità della presa che l'oratoria ha nella vita pubblica di Roma. E la moda delle declama­ zioni dei retori, le cui esibizioni sono seguite con entusiasmo da un largo pubblico, mostra la diffusa presenza di un gusto per l'esi­ bizione dell'arte della parola in quanto tale, indipendentemente dall'interesse suscitato dai casi politici e giuridici che erano il conCitroni, Marziale e la letteratura per i Satumali, cit. Cfr. M. Gigante, Civiltà delleforme letterarie nell'antica Pompei, Napoli, Bibliopolis, 1979. pp. 163-94· 66.

67.

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tenuto proprio del discorso oratorio. Una folla di uditori si lasciava sedurre dalla brillantezza dei giochi verbali, dall'ingegnosità delle situazioni, dall'imprevedibilità delle audaci argomentazioni giuri­ diche e morali: le declamazioni, costruite spesso su vicende fanta­ stiche e romanzesche, assumevano cosi il carattere di un'occasione di intrattenimento artistico-letterario che in certa misura sostitui­ va altre forme di intrattenimento quali il teatro e la narrativa d'e­ vasione.68 Nella letteratura imperiale, dunque, il pubblico capace di rece­ pire, almeno in parte, il messaggio della letteratura si è allargato e l'immagine che la realtà sociale del pubblico ci offre è piu varia e sfumata che nelle età precedenti. La letteratura continua ad offrire risposte differenziate alle diverse domande che il lettore, anche uno stesso lettore, le rivolge. Si continua a scrivere poesia raffinata e ardua, per lettori d'élite o che tali vogliano sentirsi (abbiamo noti­ zia, ad esempio, del rifiorire di una moda per Euforione, Riano, Partenio al tempo di Tiberio, moda promossa dall'imperatore stes­ so),69 e poesia di intrattenimento di diverso impegno. Ma si ritor­ na anche, con Lucano, e poi nell'età flavia, al grande poema epico. Sappiamo che l'audace proposta poetica di Lucano suscitò molte polemiche, e Marziale ci dice che, al di là delle polemiche se la sua opera rientrasse nei termini della vera poesia o fosse storia versifì­ cata, i lettori hanno decretato il valore di quel poeta, come ben san­ no i librai:70 sembra dunque che ormai vi sia un pubblico abba­ stanza diffuso, una base abbastanza solida di lettori « generici », e un sistema di distribuzione che ne soddisfa la domanda, anche per opere poetiche molto impegnative per mole e per linguaggio. Si deve tener conto della piu salda organizzazione del sistema di for­ mazione scolastica ai diversi livelli: gli elenchi di letture letterarie, e poetiche in particolare, che Quintiliano propone al futuro orato68. Cfr. A.M. Guillemin, Le public et la vie littéraire à Rome, Paris, Les Belles Lettres, I937. pp. 55 sgg. 69 . Svetonio, Tib. 70 4· 70. Marziale, XIV I94· Delle polemiche suscitate dal poema di Lucano abbiamo, co­ me si sa, viva testimonianza anche in Petronio, n8 6; cfr. inoltre Quintiliano, imt. x I 90; Servio, ad Aen. 1 382; Isidoro, orig. vm 7 IO. II2

I DESTI NATARI CONTE M P O RANEI

re rappresentano naturalmente un canone ideale, non un effettivo programma di letture che ogni « studente » dovesse portare a ter­ mine,71 ma ci dicono comunque che non solo al livello della scuo­ la del rhetor, ma anche al livello della scuola del grammaticus, fre­ quentata da un numero assai piu alto di allievi, la lettura dei testi poetici era considerata una parte importante della formazione. Il successo della Pharsalia era certamente dovuto in parte alla sua novità e all'attualità e all'interesse della scottante tematica politica. L'epica di età flavia secondo Marziale non interessava al lettore comune, che era stufo di risentire sempre le solite storie mitologi­ che (e che non si sarà divertito molto di piu al poema storico di Si­ lio Italico, che Marziale però loda per dovere verso l'autore, suo autorevole protettore). Secondo Marziale il lettore voleva trovare riflesse nella letteratura le sue esperienze comuni di vita, sentiva un bisogno di concretezza, di realismo. 72 È un'esigenza viva, che la letteratura latina aveva in effetti alquanto trascurato in passato (pur con l'importante eccezione rappresentata dalla satira di Lucilio e Orazio): ed è significativo che questa esigenza sia avvertita cosi fortemente ora che la base del pubblico letterario si è allargata e ha raggiunto nuovi settori della società. La stessa stanchezza, o il di­ sgusto, che Marziale attribuisce al pubblico per la letteratura con­ venzionale che domina lo scenario culturale del suo tempo, si esprime nell'atteggiamento verso la letteratura corrente, e nelle scelte di poetica, di Persia e di Giovenale. Marziale, da parte sua, si propone di offrire al pubblico generico ciò che ritiene che esso desideri: un intrattenimento piacevole, ma non banale, di qualità letteraria ineccepibile, ma di accesso per lo piu abbastanza agevole, e soprattutto, gli offre un quadro vivace, divertente, ma anche problematico e non conformistico, della vita reale. Il successo larghissimo induce Marziale, come a suo tempo Ovidio, a riproporre continuamente nuovi libri ai suoi affezionati lettori, e a tenere con essi un dialogo vivace e amichevole. Marzia71. 71..

Cfr. Kenney, Books and Readers, cit., p. 7Cfr. M. Citroni, Motivi di polemica letteraria negli epigrammi di Marziale, « DArch �. a. n 1968, pp. 259-301.

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le ha l'orgoglio di esser riuscito a conquistarsi un pubblico larghis­ simo, che comprende i ceti piu diversi e che raggiunge le province piu lontane. Un pubblico che trova regolarmente le opere del suo autore sul mercato che ormai, almeno a Roma, e probabilmente in Italia, ha una sua discreta organizzazione. Persio e Giovenale, al contrario, si rifiutano di venir incontro a esigenze di intratteni­ mento dei lettori, ed anzi rappresentano il pubblico come parte solidale di una pratica ormai irrimediabilmente degradata della letteratura. Da essi veniamo dunque a sapere che la letteratura di temi convenzionali e di fattura raffinata e musicale, che andava di moda esibire nelle recitazioni, trovava in realtà non solo uditorii infastiditi e insofferenti, ma anche uditorii partecipi e entusiasti, e che le recitazioni della Tebaide di Stazio erano considerate da un largo pubblico come delle occasioni da non perdere.73 Quanto agli stessi poeti satirici, sia Persio che Giovenale si chiudono in uno sdegnoso isolamento, rifiutano di cercare il favore di un pubblico che non considerano recuperabile a una letteratura sana: ma pro­ prio Persio, che sceglie la via di una espressione sempre ardua e chiusa anche nei modi stessi in cui esprime questo rifiuto, ebbe in realtà subito un lusinghiero successo tra i lettori.74 La realtà del pubblico è dunque a questo punto assai complessa e varia: i piu di­ versi orientamenti della letteratura hanno ormai una base in un pubblico fortemente differenziato, nel quale si sente il bisogno di letteratura piacevole, ma anche di serietà realistica, si sente la stan­ chezza per la letteratura convenzionale, ma si sa apprezzare la sa­ piente e ammaliante musicalità e le suggestioni evocative e pateti­ che della migliore epica contemporanea, si vive partecipi della cul­ tura del tempo, ma si ama anche sentirla criticare e condannare con durezza. E non manca un pubblico che anche a Persio e Gio­ venale doveva apparire « sano »: il pubblico che si appassiona alla lettura di un Lucano e che tributa il successo alle recitazioni di te­ sti impegnativi e coraggiosi per l'indipendenza che mostrano da-

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73· Cfr. V. Tandoi, Il ricordo di Stazio "dolce poeta"nella sat. VII di Giovenale, in « Maia » , 1969, pp. 103 sgg. 74· Marziale, IV 29 7·

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I DESTI NATARI C O N TE M P O RANEI

vanti al potere imperiale, come il Catone di Curiazio Materno.75 Oltre a questa maggiore diffusione, complessità e varietà del pubblico generico, vi è, nella letteratura imperiale, un'altra condi­ zione caratteristica, che va in direzione diversa e che segna forte­ mente la produzione e la ricezione letteraria. Si ricostituisce su ba­ si diverse una nuova realtà di pubblico di cerchia: il pubblico rap­ presentato dall'imperatore regnante, dalla sua famiglia, dalla sua corte. E i dedicatari privati, protettori, mecenati sono, nella nuova realtà monarchica, per lo piu come attratti in questa struttura a pi­ ramide, che sotto il saldo vertice rappresentato dall'imperatore, tende a raccogliere tutta l'aristocrazia, tutta l'alta società. Se Ovi­ dio nelle opere anteriori all'esilio aveva potuto offrire la sua poesia di intrattenimento al lettore generico senza introdurvi l'elemento estraneo rappresentato dal suo rapporto personale con amici e protettori, ciò non è piu possibile a Marziale, che vive in una nuo­ va realtà, in cui il poeta non può esimersi dall'intrattenere rapporti con la corte e con l'alta società ad essa collegata se non al prezzo di chiudersi nell'isolamento scelto dai satirici. E molta letteratura na­ sce e viene recepita solo entro la corte, o entro i rapporti di omag­ gio all'alta società: letteratura di occasione (come le Silvae di Sta­ zio), ma anche di intrattenimento: persino un'opera geniale e po­ tentemente realistica come il Satyricon potrebbe, secondo vari in­ terpreti, essere nata come testo di intrattenimento per un pubblico di cortigiani. E, piu caratteristicamente, ci si cimenta, anche da par­ te degli imperatori stessi, in composizioni eleganti, intese come esibizioni di raffinatezza di gusto letterario. Ma anche questa let­ teratura di cerchia, di cerchia chiusa ed esclusiva, questa letteratura che vive molta della propria vita nella recitazione, nell'esecuzione nei palazzi imperiali, nelle case dell'alta società, negli agoni orga­ nizzati dagli imperatori, e che è scritta da dilettanti, membri di questo ambiente, o da professionisti, artigiani della letteratura che mettono a disposizione dell'alta società la loro tecnica, anche que­ sta letteratura tende a rifluire verso il pubblico esterno, fissandosi nella forma libraria, che assicura la possibilità di durare nel tempo 75. Tacito, dial. 2



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MARIO C ITRO NI

e di essere conosciuti da un pubblico ormai capace di assorbire una varietà considerevole di messaggi letterari. Cosi tanto Stazio quan­ to Marziale pubblicano, e destinano quindi a « tutti » i lettori, le poe­ sie nate dai rapporti personali entro la corte e l'alta società. Il pub­ blico generico, da parte sua, trova in questi testi « di cerchia » la te­ stimonianza di un aspetto centrale della vita del proprio tempo: nel quadro della realtà che vuole offrire l'opera di Marziale, la poesia nata dai rapporti privati con la corte e i protettori è essa stes­ sa il ritratto di una parte fondamentale della realtà, è la rappresen­ tazione « in atto » della vita della corte e dell'alta società e dei rap­ porti che la corte e l'alta società intrattengono con una cultura che è, contemporaneamente, fruita, almeno in forme parziali e in dif­ ferenti gradi, da settori vari e variamente intrecciati della società.

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I C RITIC I I.

I NTERESSI ROMA

ERUDITI E FONDAZIONE DELLA NUOVA D I S CIPLINA

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« Satura . . . tota nostra est» sosteneva orgogliosamente Quintiliano del genere letterario che gli sembrava piu specificatamente roma­ no ( inst. x r 93). Può ben dirsi il contrario degli studi di critica, che si affermarono in Italia solo per diretta influenza greca e che verso quella cultura mantennero sempre un evidente complesso di su­ balternità. I grammatici di Roma impostarono esplicitamente il lo­ ro lavoro sull'esempio degli alessandrini, non ebbero dubbi a uti­ lizzarne i concetti e la lingua per spiegare opere scritte in lingua la­ tina, si astennero sempre però da un serio lavoro di critica sui testi letterari greci.l « A Roma un tempo non ci si occupava degli studi letterari e tan­ to meno li si stimava; e lo si comprende poiché i cittadini erano an­ cora rozzi e tutti intenti alle opere di guerra e poco dediti alle arti e alle scienze »: cosi Svetonio inizia la brillante operetta Degrammatir. Per una informazione di carattere generale sulla critica filologica e letteraria la­ tina si vedano i volumi di R. Marache, La critique littéraire de langue latine et le développe­ ment du gout archaisant au Jie siècle de no tre ère, Rennes, Plihon, 1952; F. Della Corte, La fi­ lologia latina dalle origini a Varrone, Firenze, La Nuova Italia, 19812;].E.G. Zetzel, Latin textual Critidsm in Antiquity, New York, Arno Press, 1981; S. Timpanaro, Per la storia della filologia virgiliana antica, Roma, Salerno Ed., 1986; Robert A. Kaster, Guardians ofLan­ guage. The Grammarian and Society in Late Antiquity, Berkeley, Univ. Press, 1988. Sulla critica e la filologia greca è assai importante il volume di R. Pfeiffer, Storia dellafilologia classica dalle origini alla fine dell'età ellenistica, Napoli, Macchiaroli, 1973. Notizie partico­ lari e una bibliografia aggiornata si possono trovare anche nei capitoli dedicati ai Cri­ tici letterari da G. Arrighetti, ai Grammatici latini da V. Lomanto, ai Lessicografi da E. De­ gani e a Varrone da E. Zaffagno nel Dizionario degli scrittorigreci e latini diretto da F. Della Corte, Milano, Marzorati, 1987, e nelle voci sui singoli grammatici e critici nei cinque volumi della Enciclopedia Virgiliana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 19841990. Molto utili ma di angolatura diversa sono i saggi di E.J. Kenney, Books and Rea­ ders in the Roman World, e di M. Winterbottom, Literary Criticism all'inizio di AAYV., The Cambridge History ofClassica/ Literature, n, Latin Literature, pp. 3-32; 33-50: sono temi che abbiamo ripreso qui in parte nel capitolo su Le mediazioni. I I7

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cis et rhetoribus; 2 ma nel periodo delle guerre annibaliche, quando Roma cominciava ad imporsi come grande potenza mediterranea, non potevano piu mancare nel Lazio quelle che si erano affermate come discipline chiave della cultura ellenistica piu raffinata, la grammatica, la critica e la filologia. È lo stesso Svetonio a raccon­ tarne l'esordio avventuroso: « il primo, a parer nostro, che intro­ dusse in Roma l'interesse per gli studi letterari fu un contempora­ neo di Aristarco, Cratete di Mallo, il quale, mandato dal re Attalo al senato come ambasciatore, fra la seconda e la terza guerra puni­ ca, poco prima che Ennio venisse a morire, cadde in una botola della cloaca massima nei pressi del Palatino, e vi si ruppe una gam­ ba. Allora, per tutto il tempo della ambasceria e della infermità, tenne una lunga, ininterrotta serie di conferenze, e spesso spiegava i testi, si che ai nostri apparve come esempio da imitare ».3 È ben noto il gusto ammiccante di Svetonio per i particolari aneddotici, e troppo ricche di coincidenze e di curiosità sono an­ che le biografie che a lui risalgono di Terenzio, di Orazio, di Virgi­ lio e di Lucano. Tuttavia non è privo di significato il fatto che Atta­ lo II, in una ambasceria databile al 168 a.C., scegliesse di inviare a Roma una prestigiosa personalità culturale come Cratete di Mallo, editore di Omero e bibliotecario della reggia di Pergamo, allievo di Diogene di Babilonia e maestro di Panezio. L'incidente nella cloaca massima non fece che favorire quello che era certo uno de­ gli scopi del viaggio: stabilire confidenza e amicizia con i Romani che piu si sentivano affascinati dalla cultura greca, con quelli che desideravano accostarne anche le forme di autocoscienza piu complessa e raffinata. 2. Grammatica Romae ne in usu quidem olim, nedum in honore ullo erat, rudi scilicet ac belli­ cosa etiam tum civitate, necdum magnopere liberali bus discip/inis vacante (r r, ed. G. Brugnoli, Leipzig, Teubner, 19632). Qui e altrove la versione di F. Della Corte è tratta dal volu­ me Svetonio, Grammatici e retori, testo con traduzione e note italiane, Torino, Loescher, 19683• 3. 2 r-2: Primus igitur, quantum opinamur, studium grammaticae in urbem intulit Crates Mallotes, Aristarchi aequalis, qui missus ad senatum ab Atta lo rege inter secundum ac tertium Punicum bellum sub ipsam Ennii mortem, cum regione Palatii prolapsus in cloacaeJoramen crus fregisset, per omne legationis simul et valitudinis tempus plurimas acroasis subindeJedt adsidue­ que disseruit ac nostris exemplo fuit ad imitandum.

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CRITICI

Bastarono pochi anni perché anche a Roma si affermasse un po­ tere dei critici. Nel 165 furono uno spettacolo di acrobati e poi un falso annuncio di gladiatori a trascinar via la folla e a danneggiare le prime rappresentazioni dell' Hecyra di Terenzio, ma già nel 160 ciò che piu il poeta doveva temere mettendo in scena gli Adelphoe erano le osservazioni di chi, esperto di greco e latino, sapeva con malizia indicare tutte le pecche vere e presunte della commedia. Contro i suoi critici dotti, Luscio Lanuvino in testa, Terenzio non esitava ad esporre le proprie ragioni e a chiedere apertamente il so­ stegno del pubblico: Postquam poeta sensit scripturam suam ab iniquis obsewari, et adversarios rapere in peiorem partem quam acturi sumus, indicio de se ipse erit: vos eritis iudices laudin an vitio duci factum oporteat.4

Su questi problemi il dibattito continuò a lungo: alla fine del se­ colo Porcio Licino farà ancora pesante ironia sui rapporti di Teren­ zio con Lelio e Scipione (fr. 3 Buchner) e Volcacio Sedigito nel suo De poetis lo porrà solo sesto fra i commediografi in lingua latina (fr. I Buchner). Ma piu tardi prevarrà il successo, e secoli dopo saranno proprio i grammatici a consegnare al medioevo il poeta come il massimo autore di teatro, il piu adatto all'educazione dei giovani, l'unico degno di grandi commenti.s 2.

L' APERTURA DELLA SOCIETÀ AI « GRAMMATICI »

Nel periodo di maggiore splendore la cultura letteraria e la criti­ ca a Roma furono incentivi vivaci al contatto coi Greci, e non di 4· È l'inizio del famoso prologo: « Poiché il poeta ha notato che le sue opere sono bersaglio di critici malevoli e che i suoi avversari mettono in cattiva luce la commedia che stiamo per rappresentare, esporrà lui stesso l'accusa che gli tocca: sarete voi a giu­ dicare se il suo procedimento debba essere considerato un merito o un difetto » (trad. di D. Del Corno, Milano, Rizzoli, 1987). 5· I commenti a Terenzio sono raccolti in gran parte nell'edizione di P. Wessner, Adi Donati Commentum Terenti, accedunt Eugraphi Commentum et Scholia Bembina, 3 voll., Leipzig, Teubner, 1902-1908, rist. Stuttgart, Teubner, 1966. L'edizione di riferimento degli antichi Scholia del codice Bembino di Terenzio (Vat. lat. 3226) è quella curata da J.E. Mountford, Liverpool, Univ. Press, 1934. II9

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rado stabilirono un solido ponte tra diverse classi sociali, persino tra liberi e schiavi. Non gli schiavi che avevano un prezzo maggio­ re solo perché forniti di un po' di istruzione,6 ma quelli che, dotati di grande dottrina, stimolavano interessi e letture dei loro padroni, discorrevano liberamente con loro, non di rado ne diventavano ca­ rissimi amici. Se ne vedano almeno due esempi nei circoli intellet­ tuali di Cicerone e di Mecenate. Uno schiavo di guerra, Marco Tullio Tirone, fu apprezzato se­ gretario di Cicerone, che gli indirizzò numerose lettere (quasi tut­ te quelle del XVI libro Adfamiliares) e lo presentò affabilmente al fratello Quinto, al figlio Marco, ad Attico e ad altri dei suoi intimi. Affrancato nel 53 a.C., forse nell'occasione del suo cinquantesimo compleanno, Tirone curò fiduciariamente gli interessi della fami­ glia del suo protettore a Roma anche nel periodo difficile che se­ gui alle idi di marzo del 44 e poi ancora dopo la tragica fine dello stesso Cicerone. Vivamente interessato alla produzione letteraria (fra le sue opere sono citate le Pandette, il De usu atque ratione linguae Latinae, le Epistulae de rebusgrammaticis rhetoricisque),7 Tirone si dedi­ cò soprattutto a raccogliere e a riordinare gli scritti dell'antico pa­ drone, a cominciare dall'epistolario (fam. xvi I7 r; ad Att. xvi 5 s) e forse dalle Graziani (se a un testo corretto effettivamente da lui si riferisce la sottoscrizione conservata in una famiglia dei codici del secondo discorso De lege agraria).B Di Cicerone egli compilò pure 6. Apud maiores cumJamilia alicuius venalis produceretur, non temere quem litteratum in ti­ tulo sed litteratorem inscribi solitum esse, quasi non perfectum litteris sed imbutum (L. Orbillus Pupillus, fr. 2 Funaioli): « I nostri avi, quando vendevano all'asta gli schiavi di qualcu­ no, erano senz' altro soliti scrivere sul cartello non già "letterato" ma "istruito", quasi per dire che lo schiavo non era un perfetto conoscitore della letteratura, ma soltanto uno che sapeva leggere e scrivere ». È un passo di Svetonio (gramm. 4 5) che ci conserva un frammento di Lucio Orbillo Pupillo, il severo maestro che usava picchiare gli al­ lievi e che Orazio chiamava plagosum (epist. u 1 70) . I frammenti dei grammatici latini del periodo repubblicano ed augusteo sono stati raccolti da Gino Funaioli nel prezio­ so volume Grammaticae Romanae Jragmenta, Leipzig, Teubner, 1907 (rist. Stuttgart, Teubner, 1969), quelli della prima età imperiale si leggono invece nella raccolta curata da Antonio Mazzarino, Grammaticae Romanae Jragmenta aetatis Caesareae, 1, Torino, Loescher, 1955. 7. I frammenti sono raccolti alle pp. 393-403 dell'opera appena citata di Funaioli. 8. Su questa sottoscrizione in particolare si veda l'articolo diJ.E. G. Zetzel, « Emen­ davi ad Tironem » : Some Notes on Scholarship in the Second Century a.D., in « HSPh », 120

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una attenta biografia, nota a Gellio, a Plutarco, a Tacito. Lo schiavo era cosi diventato un membro ascoltato della classe intellettuale romana, e gli si attribuirono persino meriti non interamente suoi, come quello di avere inventato un sistema di scrittura abbreviata, le notae Tironianae, che invece risalgono con tutta probabilità ad un piu antico manuale tachigrafico greco. Assai singolare fu pure l'esperienza di vita di Gaio Mecenate Melisso. Abbandonato alla nascita per contrasti fra i genitori che pure erano liberi, fu indirizzato agli studi da chi ebbe cura di lui e ne apprezzò l'intelligenza, e fu quindi donato a Mecenate come segretario alle lettere (grammaticus) . A quel punto la madre, fatte le dovute ricerche, riusci a rintracciarlo nel palazzo romano del po­ tente uomo politico e lo scongiurò di tornare libero con lei nella casa natale: Melisso oppose però un fermo rifiuto, e dichiarò aper­ tamente che preferiva rimanere schiavo dov'era. Mecenate co­ munque lo affrancò e lo presentò ad Augusto, il quale affidò al dot­ to liberto il delicato incarico di ordinare la biblioteca pubblica del portico di Ottavia a Roma. Il rapporto assai stretto dell'antico schiavo con la società letteraria, in cui occupò col tempo un ruolo centrale, trovò brillante espressione nelle Ineptiae, 150 opuscoli cri­ tici traboccanti di ironia, di giochi di parole, di motti di spirito. Ap­ prezzate dai contemporanei, le Ineptiae di Melisso ebbero un gran­ de successo e furono ancora fra le fonti di Plinio: a noi ne sono ar­ rivati però solo pochi frammenti, di cui non riusciamo ad intende­ re appieno i riferimenti un po' criptici a fatti e a persone della corte di Augusto. Sorte comune anche ad altri testi allusivi: ci sono aneddoti di Cicerone o Quintiliano di cui non solo fatichiamo ad apprezzare, ma talora persino a cogliere la comicità. Una società pragmatica come quella romana tendeva a misurare anche economicamente il successo di chi deteneva potere, quindi Lxxvii

1973, pp. 225-43; sulle sottoscrizioni in generale le pp. 2n-31 del volume di Zet­ zel, Latin Textual Criticism, cit. (The Subscriptions in the Manuscripts ofLatin Literature), il suo articolo The Subscriptions in the Manuscripts ofLivy and Pronto and the Meaning of "emendatio'� in « CP •, Lxxv 1980, pp. 38-59, e il lavoro di O. Pecere, La « subscriptio » di Statilio Massimo e la tradizione delle « Agrario> di Cicerone, in « IMU », xxv 1982, pp. 73-123.

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anche del critico di professione. Possediamo qualche preziosa no­ tizia sull'entità degli emolumenti versati ai dotti grammatici in età cesariana e ciceroniana: « ogni giorno di piu s'accrebbero il fascino e l'interesse per la filologia, tanto che persino alcuni senatori non si trattennero dall'affrontare anch'essi qualche argomento filolo­ gico: e per di piu si narra che in certi periodi piu di venti scuole, tutte affollate, si contassero a Roma. I prezzi che si pagavano per l'acquisto di un maestro erano tanto alti e gli stipendi con cui lo si retribuiva tanto favolosi che - come risulta - Lutazio Dafnide . . . fu per 700.000 nummi comprato da Quinto Catulo e dopo poco emancipato, mentre Lucio Apuleio fu ingaggiato dal ricchissimo cavaliere romano Eficio Calvino con una somma di 400.000 num­ mi all'anno per insegnare nella città spagnola di Huesca. Difatti anche nelle province era penetrata la cultura letteraria, e taluni dei piu famosi maestri insegnarono fuori Roma ».9 Lo stato sociale dei grammatici subi cospicui mutamenti nel tempo: è interessante leggere in questa ottica le iscrizioni funera­ rie che li riguardano o le opere che si occupano specificamente di loro, come la Commemoratio professorum Burdigalensium ( Commemo­ razione dei professori della scuola di Bordeaux) di Ausonio, della fine del secolo IV. Nell'Apocoloryntosis l'ironia senecana si esercita su Claudio ingenuamente felice di trovare filologi anche nel cielo, lO ma fra gli imperatori egli non fu il solo ad avere autentici interessi eruditi. Nel periodo tardo antico poi, nel momento in cui agli uo­ mini di lettere spettava il compito di difendere almeno la lingua di un Impero i cui confini politici erano sempre piu dubbi, non furo­ no rari i casi in cui a svolgere la funzione di dotti grammatici fosse9· Svetonio gramm, 3 4 6 : Magis ac magis etgratia et cura artis increvit ut ne clarissimi qui­ dem viri abstinuerint quo minus et ipsi aliquid de ea scriberent utque temporibus quibusdam su­ per viginti celebres scholaeJuisse in urbe tradantur. Pretia vero grammaticorum tanta mercedesque tam magnae ut constet Lutatium Daphnidem . . . DCC mi/ibus nummum a Q. Catulo emptum ac brevi manumissum, L. Apuleium ab Aeficio Calvino equite Romano praedivite quadringenis annuis conductum ut Oscae doceret. Nam in provincias quoque grammatica penetraverat ac non­ nulli de notissimis doctoribusperegre docuerunt. Non tutti però anche in quel periodo erano cosi fortunati, e il grande Publio Valerio Catone, già colpito dalle proscrizioni sillane, nella tarda vecchiaia cadde addirittura in miseria (gramm. n 1-4). IO. apocol. 5 4: Claudius gaudet esse illic philologos homines. I frammenti grammaticali dell'imperatore Claudio sono raccolti alle pp. 57-68 del volume di Mazzarino citato in n. 6. ,

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I CRITICI ro alti funzionari imperiali, vescovi di grandi città o addirittura se­ natori e consoli.11 È molto significativo in questo senso che nella sottoscrizione autografa inserita alla fine delle Bucoliche nel Virgi­ lio Mediceo il nobile Turcio Rufio Aproniano Asterio, « vir clarissi­ mus [cioè senatore di alto rango], già capo della guardia del corpo dell'imperatore, già direttore delle elargizioni private del ministe­ ro del tesoro del principe, già prefetto di Roma, patrizio e console ordinario », 12 possa vantarsi di avere « letto e punteggiato questo codice >> (legi et distincxi codicem) il 21 aprile del 494, nell'anniversario del natale di Roma e nel momento stesso in cui rovinava il suo pa­ trimonio offrendo nel circo una splendida festa al popolo della città. 3· L'ETÀ D'oRo DELLA CRITICA LETTERARIA A RoMA: DA VARRONE A GELLIO Il piu fecondo erudito e poligrafo del I secolo a.C. e dell'intera antichità latina fu Marco Terenzio Varrone: ricco aristocratico, buon conoscitore del greco, allievo del tragediografo Accio e del filologo Elio Stilone (del quale le testimonianze antiche parlano sempre con il massimo rispetto), trascorse una vita lunga e laborio­ sa producendo piu di settanta opere diverse.13 Ben a ragione Cesa­ re, perdonandolo di essersi schierato con il partito pompeiano, pensò di affidargli nel 47 la direzione della grande biblioteca greca e latina che aveva progettato per Roma,14 e il suo busto poté figun. Si veda il capitolo espressamente dedicato a questa problematica (The Social Sta­ tus of the Grammarians) nel volume di Kaster, Guardians ofLanguage, cit., pp. 99-134. . 12. Vir clarissimus et inlustris ex comite domesticorum protectorum ex comite privatarum lar­ gitionum ex praefecto urbi patricius et consul ordinarius. Per l'interpretazione di tutta quella importante sottoscrizione autografa si veda l'articolo di A. Pratesi, Sulla datazione del Virgilio Mediceo, in « RAL », classe di se. morali, storiche e filologiche, ser. vm, 1 1946, pp. 396-4n. 13. Solo due di esse ci sono giunte in tradizione diretta, il De re rustica e una cospi­ cua sezione del De lingua latina (libri v-x). I molti frammenti grammaticali che si pos­ sono estrarre anche da opere non esplicitamente di questo argomento occupano qua­ si duecento pagine della raccolta del Funaioli: 179-371 (l'indice delle opere di Varrone tramandatoci da san Girolamo è a p. 182). 14. Bibliothecas Graecas Latinasque quas maximaspossetpublicare, data Marco Vàrroni cura comparandarum ac dirigendarum (« progettò di aprire al pubblico biblioteche greche e 12 3

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rare, unico dei viventi, in quella che venne effettivamente aperta nel 3 9 a.C. da Asinio Pollione.1 s Nelle opere di Varrone, guardate con ammirato stupore dai con­ temporanei, lette e citate fino alla tarda antichità, ha grandissimo spazio il gusto per l'etimologia e la storia delle singole parole. Non mancavano anche studi critici monografici, limitati però alla lette­ ratura latina, come il De poetis, il De poematis e soprattutto le Quae­ stiones Plautinae e il De comoediis Plautinis. In questi due ultimi lavori, seguendo i severi precetti della filologia alessandrina, lo studioso cercava di dimostrare quali fossero sicuramente autentiche fra le troppe commedie che portavano il nome di Plauto (e « varro­ niane » sono le ventuno commedie giunte effettivamente fino a noi) . Cospicua influenza sul gusto letterario del primo secolo ebbe pure Cicerone: si pensi alle sue opere retoriche, e per vastità di prospettiva in particolare al Brutus, o alla fortuna critica degli ap­ pellativi che egli coniò di ne6teroi (Att. vn 2 r) e di poetae novi (ora t. 46 r6r). Un ruolo non minore esercitarono anche uomini di cultura che, senza impegnarsi personalmente nello scrivere, si occuparono di far copiare e di diffondere le opere di letteratura in tutto il mon­ do latino. Il primo a noi noto che impiegò a Roma un cospicuo ca­ pitale nell'editoria fu Tito Pomponio Attico, nella cui casa sul Qui­ rinale lavoravano pueri litteratissimi, anagnostae optimi et plurimi libra­ rii (« giovani schiavi di grande cultura, lettori di ottimo livello e co­ pisti in gran numero ») .16 Il ricco cavaliere romano non si limitò latine le piu ricche che fosse possibile, avendo dato a Marco Varrone l'incarico di rac­ coglierle e ordinarie �) , Svetonio, lui. 44- Sulle biblioteche antiche a Roma si veda la raccolta di studi Le biblioteche nel mondo antico e medievale, a cura di G. Cavallo, Roma­ Bari, Laterza, 19892, e in particolare l'articolo di P. Fedeli, Biblioteche private e pubbliche a Roma e nel mondo romano, ibid., pp. 31-53. 15. M. varronis in bibliotheca, quae prima in orbe ab Asinio Pollione ex manubiis publicata Romae est, unius viventis posita imago est { « la statua di Marco Varrone, unico fra i viven­ ti, fu posta nella prima biblioteca pubblica del mondo, che fu aperta a Roma da Asi­ nio Pollione con i proventi del suo bottino di guerra », Plinio il Vecchio, nat. VII

ns) .

r6. La notizia si conserva nella biografia che di Pomponio Attico scrisse il suo con­ temporaneo Cornelio Nepote {xxv 13 3). Diversi schiavi di Attico, tutti di origine gre­ ca, sono nominati nell'epistolario di Cicerone. Sull'industria del libro nell'antichi-

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tuttavia all'investimento finanziario, ed esercitò una moderna azione promozionale pure discutendo direttamente alcuni passi con gli autori (lo sappiamo ad esempio per Cicerone), suggerendo titoli, tenendo in anteprima letture private, inviando copie in omaggto. Ancora piu professionali, se cosi si può dire, furono i critici del tempo di Augusto; Verrio Fiacco ad esempio, pagato dal principe roo.ooo se sterzi come insegnante dei propri nipoti, 17 autore di un lessico che fu fonte primaria per i dotti delle generazioni successi­ ve, il De verborum significa tu. Questo testo ci è giunto solo attraverso ulteriori mediazioni: una epitome del secolo II ad opera di Pom­ peo Festo, un riassunto ulteriore del secolo VIII di Paolo Diacono. Interessi antiquari ebbe pure Giulio Igino, forse il maggiore stu­ dioso di quell'epoca: liberto di Augusto, allievo di un grammatico greco che aveva avuto cittadinanza romana da Silla (Alessandro Polistore), amicissimo fra gli altri di Ovidio, 18 egli non si limitò a leggere e a spiegare i testi arcaici, ma mostrò un vivace interesse anche per i poeti piu innovatori delle ultime generazioni, Cinna e Virgilio. Del suo lavoro sul mantovano (forse piu una raccolta di quaestiones che un vero commento) ci sono pervenuti solo pochi brevi frammenti:19 con cautela e in atteggiamento di « pedante aftà si veda in generale il volume di T. K.leberg, Buchhandel und Verlagswesen in derAntike, Darmstadt, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, 196717. Abbandonando il metodo antico delle punizioni corporali, Verrio stimolava con premi il desiderio degli allievi di essere ritenuti i piu bravi: vedi quanto ne dice Svetonio, gramm. 17 1-3. 18. Svetonio, gramm. 20 1-2: C. lulius Hyginus Augusti libertus, natione Hispanus - non­ nulli Alexandrinum putant et a Caesarepuerum Romam adductum Alexandria capta -studiose et audiit et imitatus est Comelium Alexandrum grammaticum Graecum quem propter antiqui­ tatis notitiam Polyhistorem multi, quidam Historiam vocabant. Praefuit Palatinae bibliothecae nec eo secius plurimos docuitJuitqueJamiliarissimus Ovidio poetae et Ciodio Licino consulari hi­ storico, qui eum admodum pauperem decessisse tradit ( « Gaio Giulio Igino, liberto di Augu­ sto, nativo di Spagna - alcuni invece lo credono alessandrino e portato a Roma ancora fanciullo da Cesare dopo la presa di Alessandria -, segui le lezioni e imitò con tutto il suo ardore il grammatico greco Cornelio Alessandro, che molti per la sua grande co­ noscenza dell'antico chiamavano "Polistore" e taluni "la Storia". Fu bibliotecario capo alla Palatina; ciò non di meno insegnò a parecchi e fu intimissimo del poeta Ovidio e dello storico e consolare Clodio Licino, il quale narra che mori poverissimo »). 19. Cfr. pp. 528-33 Funaioli. 125

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fettuoso » egli segnala anacronismi e contraddizioni, o spiega e di­ fende lezioni che apparivano già corrotte nel testo. È il caso ad esempio di velati limo ad Aen. xn 120, una espressione che non si conserva in nessuno dei nostri codici ma che, dopo essere stata og­ getto di vivaci polemiche anche in anni recenti, ha trovato da ulti­ mo conferma in un'importante epigrafe dell'età dei Flavi.20 Un esplicito intento censorio ebbe invece il commento a Bucoli­ che, Georgiche ed Eneide di Anneo Cornuto.21 Liberto africano vis­ suto a Roma nella stessa casa di Seneca, Cornuto fu il promotore piu autorevole del gusto letterario dei decenni neroniani (ma ebbe il coraggio di opporsi anche al principe, ne criticò le velleità poeti­ che e fu perciò bandito da Roma).22 Senza riprendere direttamen­ te le invidiose polemiche degli obtrectatores contemporanei a Virgi­ lio, Cornuto deprecava nel poeta augusteo una mancanza di arte retorica, di stile alto, di parole forti, qualità dell'eloquio che egli in­ vece poteva lodare nei suoi allievi Persio e Lucano. La critica razio­ nalista del grammatico stoico non risparmiava alcune favole mito­ logiche del poeta latino, come il taglio del capello di Didone da parte di Iride o il ramo d'oro (fr. 29 Mazzarino), e censurava senza mezzi termini il realismo eccessivo dell'amplesso di Venere (fr. 36 Mazzarino). Persino alcune discussioni ortografiche nascondono convinzioni teologiche piu che strettamente linguistiche: a georg. I 277 ad esempio Cornuto sosteneva la lezione senza aspirazione Orcus forse per evitare che il pallido dio dei morti andasse confuso con H6rkos, la divinità greca dei giuramenti (Probus 'Horcus' legit, Cornutus vetat aspirationem addendam, fr. 23 Mazzarino). Ogni generazione è messa in dubbio da quella che le succede, e cosi al gusto dell'età neroniana reagiscono prima Quintiliano e an20. Nella Lex Irnitana, in « JRS », a. LXXVI 1986, p. 153, r. 17: cfr. H.Jocelyn, ree. al vo­ lume del Timpanaro, Per la storia, cit., in « Gnomon », a. LX 1988, p. 202. 21. I frammenti delle opere grammaticali di Cornuto, note ancora nel VI secolo a Cassiodoro, sono raccolti alle pp. 167-209 del volume citato di Mazzarino. 22. L'episodio è raccontato diffusamente in un capitolo di Cassio Dione (LXII 29 24). Di Cornuto ci è pervenuta in greco un'opera intera, il Sommario delle tradizioni mito­ logichegreche: su di essa in particolare si veda il recente articolo di G. Most, Cornutus and StoicAllegoresis: a Preliminary Report, in Aufstieg und Niedergang derRomischen Welt, u, 36, 3, 1989, pp. 2014-65.

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cora un secolo dopo Frontone, il grande avvocato, che potrà scri­ vere con disprezzo dell'eloquenza di Seneca mollibus etJebriculosis prunuleis insitam (« innestata con prugnette molli e malaticce >>, A 382, p. 149, 13-14 VdH). Torna invece definitivamente in auge Virgi­ lio, sul quale la stessa prospettiva critica subisce una sorta di capo­ volgimento: non sono piu le sue espressioni a doversi adattare ai precetti grammaticali, ma sono le norme della grammatica a cerca­ re conf�'rma nei versi del poeta. A questo rinnovato interesse critico per Lucrezio, Orazio, Virgi­ lio contribuisce in particolare un grammatico giunto a Roma da Beirut, Marco Valerio Probo. Nato durante il regno dell'imperato­ re Tiberio, egli aveva studiato nella sua terra i poeti arcaici latini che era ormai possibile trovare soltanto in provincia (durante adhuc ibi antiquorum memoria necdum omnino abolita sicut Roma e) ; 23 trasferì­ tosi nella capitale, sembra abbia direttamente applicato anche ai testi latini i criteri filologici rigorosi che i grammatici alessandrini applicavano ai testi della letteratura greca: multa exemplaria contrae­ fa emendare ac distinguere et adnotare curavit1 soli huic nec ulli praeterea grammaticae parti deditus.24 La discussione critica sul carattere della filologia di Probo è strettamente legata alla valutazione del cosid­ detto Anecdoton Parisinum, un breve testo che illustra i simboli usati nelle edizioni dei testi latini e li mette in relazione con i grammati­ ci della tradizione alessandrina ed esplicitamente con Probo: Pro­ bus . . . illas [adnotationes] in Vergilio et Horatio et Lucretio apposuit1 ut Homero Aristarchus.25 È probabile che il lavoro di Probo non sia con23. Svetonio, gramm. 24 2: « Poiché laggiu si conservava ancora il ricordo degli ar­ caici, che non era, come a Roma, del tutto scomparso ». 24. Svetonio, gramm. 24 3: « raccolti molti esemplari, si mise a correggerli degli er­ rori, ad apporvi i segni critici, a chiosarli, tutto dedito a quest'unica parte della gram­ matica e a nessun'altra » (cosi F. Della Corte, ma molto si è discusso e si discute sulla esatta accezione di quei verbi). Su Probo si vedano in particolare le pp. 77-127 del libro di Timpanaro, Per la storia, cit.; l'articolo di H.Jocelyn, The Annotations ofM. valerius Probus, in « CQ », n.s. xxxiv 1984, pp. 464-72, e ibid., xxxv 1985, pp. 149-61; 466-74, e la voce a lui dedicata da L. Lehnus nel IV volume dell'Enciclopedia Virgiliana, Roma, Isti­ tuto dell'Enciclopedia Italiana, 1988, pp. 284-86. 2.5. Funaioli p. 55, 2.1, 10-n: « Probo . . . appose quelle note nei suoi esemplari di Vir­ gilio, di Orazio, di Lucrezio, come Aristarco aveva fatto nel testo di Omero ». Si veda una almeno di queste « notae probianae » : - asteriscus cum obelo propria nota est *

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sistito in vere e proprie edizioni critiche dei poeti augustei, con un impiego costante delle notae e un grande apparato di commenti continui, ma piuttosto nell'allestimento di copie di uso privato, ricche di varianti, di osservazioni problematiche sparse, di polemi­ che con altri grammatici. Certo la fama di Probo durò molto a lungo, e non è un caso che egli venga citato come molto autorevole da scoli piu tardi, e che si siano conservate attraverso tutto il medioevo alcune opere gram­ maticali a lui falsamente attribuite: un Commento alle Bucoliche e alle Georgiche e la cosiddetta Appendix Probi. Con i primi anni del secolo II, quando Probo mori, gli studi di critica e di filologia sembrano entrare in una nuova fase, contrasse­ gnata dalla moda antiquaria e dall'ostentazione erudita pili che dal desiderio di leggere e comprendere a fondo i testi letterari del pre­ sente e del passato. Un punto di incontro importante fra mondo letterario e classe dirigente romana fu in quel torno di tempo Sve­ tonio,26 un alto funzionario imperiale che aveva accesso agli archi­ vi di corte e si dilettava di forme raffinate di pettegolezzo monda­ no: scrive vite dei Cesari, dei grammatici, dei poeti, ma non possie­ de certo la tensione morale di chi si impegna alla valutazione cul­ turale del passato per elaborare modelli nuovi di pensiero critico e di letteratura. Nei confronti di Virgilio in particolare Svetonio si fa portatore di un vero e proprio culto del poeta che nell'esegesi vede da un lato la possibilità di sfruttarne il testo a fini esornativi di scuola, dall'altro lato lo stimolo ad interpretazioni allegoriche e ad Aristarchi. Utebatur autem ea in his versibus, qui non suo loco posi ti erant. Item antiqui nostri et Probus ( � • - l'asterisco con o belo è una nota introdotta da Aristarco, che la apponeva ai versi che erano interpolati da un altto passo. Cosi pure i nostri antichi e Probo », p. 55, 28-30 Funaioli). Il testo dell'Anecdoton Parisinum è conservato da un. unico codice copiato a Montecassino negli ultimi anni del secolo VIII (cfr. L. Holtz, Le Parisinus La­ tinus 7530, synthèse Cassinienne des arts libéraux, in « Stud Med », ser. m, a. xvi 1975, pp. 97152); esso fu stampato la prima volta da C. Reifferscheid solo nel 186o e ristampato dal Keil nel vn volume dei suoi Grammatici Latini, Leipzig, Teubner, 1880, pp. 533-37): l'e­ dizione migliore è quella data alle pp. 54-56 del volume di Funaioli, dove l'Anecdoton Parisinum è posto fra le testimonianze del grammatico Elio Stilone. Alcuni dei 5egni diacritici e delle loro spiegazioni sono ripetuti ancora nel VII secolo da Isidoro (nel XXI capitolo del 1 libro delle Etymologiae, intitolato appunto De notis sententiarum) . 26. Dell'amplia bibliografia su di lui si legga in particolare il libro affa5cinante di F. Della Corte, Svetonio eques Romanus, Firenze, La Nuova Italia, 19672• 128

I CRITICI adattamenti a quegli stessi scopi politici e sociali che saranno poi sviluppati e codificati, a fini morali e religiosi, per tutto il medioe­ vo fino a Dante. Di mezzo secolo posteriore a Svetonio è Gellio, un esteta intel­ ligente [= Accia, trag. 233 R3 (dall'Atreus)]. Num aut egisse um­ quam iratum Aesopum aut scripsisse existimas iratum Accium? Aguntur ista praeclare et ab ora­ tore quidem melius, si modo est orator, qua m ab ullo histrione, sed aguntur leniter et mente tran­ quilla ( « all'oratore poi non s'addice affatto adirarsi, però non è sconveniente che lo finga. O forse ti sembra che ci adiriamo quando nei processi parliamo con particolare energia e irruenza ? Ma come! Quando mettiamo per iscritto i discorsi dopo che la causa è stata decisa e ormai passata in giudicato credi che scriviamo animati dall'ira? "Chi mai punisce ciò? legatelo!" Pensi che erano adirati Esopo quando declamava questo verso o Accia quando lo scrisse? Questi sono pezzi di grande effetto e certo un oratore, se è un vero oratore, li declama meglio di qualsiasi attore, ma si declamano senza perder la calma, a mente fredda » [trad. di N. Marinone]). Esopo sembra fosse specializzato in parti di tiranno (vd. de orat. m 2I7 e Plutarco, Cic. 5 s) e il pubblico do­ veva amarlo molto se egli accumulò una fortuna, puntualmente dissipata da un figlio scialacquatore (già dava preoccupazioni a Cicerone: Att. XI IS 3) : questi, per es., si di­ vertiva a sciogliere nell'aceto, e a bere, perle preziose, come Cleopatra (Orazio, sat II 3 239-42; Plinio il Vecchio, nat. IX I22) e al figlio sono da attribuire, con Valeria Massi­ mo, IX I I2, altre stravaganze culinarie 'divistiche', da Plinio (nat. x I4I-42 e xxxv I63) assai criticate e attribuite invece al padre. Ma il pubblico nei confronti di Esopo era anche molto esigente: non esitava a fischiarlo se un po' rauco ( de orat I 259) e gli con­ cesse un tiepido successo nel 55 a.C. perché gli mancò la voce in un passo, evidente-

CESARE QUESTA- RENATO RAFFAELLI

cio,51 alcuni versi del quale, declamati dall'attore con accento par­ ticolare, che ne metteva in risalto contenuti capaci di essere riferiti ai fatti politici del momento, mossero la folla ad applausi in favore di Cicerone in quel momento esiliato. 52 E aggiunge l'oratore (par. 121) : tum illa quanto cum gemitu populi Romani ab eodem paulo post in eademfabula sunt acta: « O pater . . . )>. Me, me ille absentem ut patrem deplorandum putabat, quem Q. Catulus, quem multi alii saepe in senatu patrem patriae nominarant! Quanto cum jletu de illis nostris incendiis ac ruinis, cum patrem pulsum, patria m adjlictam deploraret, domum incensa m euersamque! sic egit ut, demonstrata pristina fortuna, cum se conuortisset « haec omnia uidi itiflammari )>,jletum etiam inimicis atque inuidis excitaret.53 mente famoso e atteso, dell'Equus Troianus di Nevio (cfr. Cicerone,fam. vn I 2 discusso sopra, n. 46) . Della cura che Esopo dedicava allo studio dei personaggi testimoniano, piii che un aneddoto riportato da Plutarco ( Cic. 5 s) e probabilmente falso, ancora Ci­ cerone, div. Bo (il passo non prova affatto che Esopo recitasse talvolta senza maschera) e soprattutto un singolare scolio a Frontone, p. 143 13-15 vdH2: Esopo, prima di indos­ sare la maschera, a lungo si poneva davanti ad essa e la riguardava per impossessarsi di mimica e voce conformi al volto raffigurato dalla maschera stessa. 51. Eurisace è, nel mito, il figlio di Aiace e della schiava Tecmessa, che l'eroe, prima del suicidio, affida al proprio fratello Teucro. In seguito entrò in rapporto con il non­ no Telamone e saghe attiche lo riconnettevano con Salamina e anche con l'Attica stes­ sa, quale antenato di nobili famiglie. Della tragedia di Accio (forse dipendente da una di Sofocle) non riusciamo a farci un'idea adeguata (ai frammenti, è noto, si può far di­ re tutto e il contrario di tutto) : secondo alcuni aveva un intreccio romanzesco con agnizioni a sorpresa. Che i versi tragici citati da Cicerone in pro Sext. 120-22 vengano dall' Eurysaces è attestato dagli Scholia Bobiensia, pp. 136 28-33, 1371-13 Stangl (ma vd. an­ che piii oltre, pp. 169-70) . 52. Quanto Cicerone dice in pro Sext. 121 fa pensare che il verso ivi ricordato come da Esopo detto con particolare intensità fosse un'interpolazione dell' attore stesso, fatta apposta per rievocare alla mente degli spettatori i benefici avuti da Cicerone (al­ tre ipotesi sono tuttavia possibili): interpolazioni d' attore, per le ragioni piii varie, ci sono note nella tragedia greca e ne abbiamo già vedute in Plauto e Terenzio (sopra, pp. 146-49) . 53· « E poi con che grande emozione del popolo romano poco dopo furono recitati, nella medesima tragedia, quei versi "O padre . . . !" Io, io ero che, pur costretto ad esser lontano, venivo ritenuto degno d' essere compianto come un padre: io che da Quinto Catulo e da molti altri fui spesso chiamato, in senato, padre della p atria. Con che grande pianto per quella mia rovina, per quel mio incendio [Cicerone sembra allude­ re alla distruzione della sua casa] quando commiserava il padre scacciato, la patria de­ vastata, la dimora incendiata e distrutta! Recitò in modo tale che, dopo aver raffigura­ to la felicità del tempo passato, quando si volse a "tutta questa magnificenza l'ho ve­ duta poi preda delle fiamme" suscitò il pianto anche ai miei nemici e a chi mi detestava �.

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DALLA RAPPRESENTAZIONE ALLA LETTURA

Cicerone cita l'inizio di un brano famoso della tragedia latina, da lui molto amato, 54 parafrasandolo poi da vicino fino a citarne un verso intero. Eccone il testo: 92

O pater, o patria, o Priami domus, saeptum altisono cardine templum! uidi ego te adstante ope barbarica, tectis caelatis laqueatis, auro ebore instructam regifice! haec omnia uidi inflammari, Priamo ui uitam euitari, Iouis aram sanguine turpari.ss

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Ma questo brano è parte di un canticum famoso dell'Andromacha di Ennio, 56 che dunque Esopo inseriva nell' Eurysaces di Accio, tro­ vando evidentemente in questa tragedia un personaggio e una si­ tuazione cui potevano adattarsi gli 'affetti' (nel senso usato dall'o­ pera almeno fino a Rossini) 57 del canticum enniano: Esopo, in altre parole, doveva avere le sue 'Arie di baule', da utilizzare anche con spregiudicatezza. A questa ipotesi, tuttavia, si oppongono alcune 54· Cfr. infatti le piu ampie citazioni che ne fa in Tusc. I 85, m 44 e 53, de ora t. m 101, 183, 217. Il canticum divenne subito celebre se Plauto ne fa la parodia già in Bacch. 933 sgg. e taluni hanno anche pensato che a questo brano pensasse Tacito, ann. xm 15: di certo viene riecheggiato in un'orazione di C. Gracco (fr. 23 Male.), di Cicerone (pro Mur. 88) e in un brano di Sallustio (Iug. 14 23) . Anche Roscio ne aveva fatto un suo ca­ vallo di battaglia (sopra, n. 47) . 55· « O padre, o patria, o reggia di Priamo, dimora poggiante sugli altisonanti cardi­ ni! Ti vidi quando fulgeva la potenza troiana, ti vidi regalmente contesta d'oro e d'a­ vorio negli intarsi e nelle nicchie degli splendidi soffitti! E tutta questa magnificenza l'ho veduta poi preda delle fiamme, ho veduto strappar la vita a Priamo con selvaggia violenza, ho veduto insozzare di sangue l'altare di Giove! » (trad. di E. Paratore, Storia, cit., p. 144) . 56. Sono i vv se. 92-99 V2 e allo stesso canticum appartengono i vv 86-91, di altro me­ tro (i vv. 92-99 sono quaternari anapestici). 57· Nella terminologia retorica e musicale dei Sei e Settecento 'affetti' è ricalco del latino affectus (sentimenti, passioni), cioè del gr. 1tciftT], che proprio Cicerone cercò per primo di rendere adeguatamente con parola latina (morbi e perturbationes: cfr. Tusc. 111 5 e 7, IV n; prevalgono e si impongono successivamente affectus l affectiones, che com­ prendono anche il gr. ilftTJ): cenni orientativi molto importanti, con aggancio alle fon­ ti classiche, dà C. Dalhaus, Drammaturgia dell'opera italiana, in AAYV., Storia dell'opera italiana, cit., VI, pp. 79-162 (e pp. 136 sgg. in particolare); molto suggestivo Id., Euripide, il teatro dell'assurdo e l'opera in musica, in AAYV., La drammaturgia musicale, a cura di L. Bianconi, Bologna, Il Mulino, 1986, pp. 291-308. .

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CESARE QUESTA - RENATO RAFFAELLI difficoltà, onde si è pensato di recente ss che Cicerone si riferisca non solo ad una rappresentazione dell' Eurysaces (e, nel par. 123 , ad una del Brutus, qui con citazione del titolo della praetexta ), ma an­ che ad una dell'Andromacha enniana. L'oratore, infatti, non men­ ziona titoli e dal canto loro gli scholia Bobiensia attribuirebbero er­ roneamente ad Accia versi che, in realtà, apparterrebbero a l m e ­ n o in p arte ad Ennio, fra i quali il celebre canticum : in tal caso questo brano non sarebbe piu da supporsi trasportato da Esopo dalla tragedia di un autore in quella di un altro. Per di piu nell'An­ dromacha Claudio Esopo avrebbe recitato una parte maschile ed una femminile perché, stando ai medesimi studiosi, alcuni versi da attribuire ad Ennio sarebbero sicuramente pronunciati da un uo­ mo, mentre il canticum anapestico presupporrebbe un personaggio femminile. Quest'ultima ipotesi potrebbe essere accettata anche tenendo ferma l'opinione tradizionale che assegna tutte le citazio­ ni di Cicerone all' Eurysaces acciano: niente di strano se un attore sosteneva due parti nel medesimo dramma, di cui una femminile (in età piu antica, forse, una parte poteva persino essere divisa fra due attori, riservando la sezione piu difficile ai virtuosi). Ma sem­ brano essere sfuggiti due fatti. Innanzi tutto, in se stesso considera­ to, il brano di Ennio citato nel testo non sembra necessariamente detto da una donna: è sufficiente un personaggio che, in qualche modo, sia connesso con Priamo e le vicende della distruzione di Troia (tra l'altro, pater può riferirsi, ma anche può n o n riferirsi al re . . . ) In secondo luogo, nel riassunto-parafrasi di Cicerone, se le espressioni patriam adjlictam e domum incensam euersamque possono riferirsi entrambe, con una certa amplificazione, al v. 97. lo stesso non può dirsi di patrem pulsum (« il padre scacciato »), di cui in En­ nio non c'è menzione, almeno nel testo che si ricostruisce grazie alle altre piu ampie citazioni di Cicerone stesso; e del resto non si vede come si potesse parlare di un padre « esiliato » in una tragedia riguardante Andromaca. Ma un padre « in esilio » può invece tro­ var posto nella saga della famiglia di Aiace e d'altra parte è a s s o .

58. Cfr. per es. H.D.Jocelyn, The Tragedies ofEnnius, Cambridge, University Press, 1967, pp. 238-52.

DALLA RAPPRESENTAZIONE ALLA LETTURA

l uta m e n t e c e rto che di un paterpulsus Esopo doveva parlare: è proprio l'ambiguità dell'espressione che consente il riferimento a Cicerone, pater patriae o aspirante tale, in quel momento pulsus, cioè in esilio. Se inoltre consideriamo che il riassunto-parafrasi di Cicerone si conclude con il v. 97. che l'oratore cita anche diretta­ mente, potremo anche pensare che Esopo tagliasse i vv. 98-99, nei quali è menzione dell'assassinio di Priamo, evento non piu funzio­ nale alla nuova situazione scenica e, soprattutto, all'indiretto rife­ rimento a Cicerone, che - ricordiamolo sempre - è in esilio, non già perito di morte violenta. Ma Esopo avrà anche interpolato nuovi versi comunque menzionanti un pater pulsus? Se ciò avven­ ne, questi dovettero per forza collocarsi dopo il v. 96, in modo che, rispetto ad essi, il v. 97 fungesse da patetico epifonema. Ma l'ipotesi (fa osservare Roberto Danese) non è necessaria se consideriamo che Cicerone, da quanto cumjletu . . . in poi, riprende i tre sostantivi che caratterizzano il v. 92 (patrem . . . , patria m . . . , domum ) , il cui inizio ha prima citato testualmente (O pater. . . ), per passare poi ad una rapida parafrasi del contenuto dei vv. 93-96 e concludere con la citazione diretta del v. 97 ( haec omnia uidi itiflammari). n resoconto ciceroniano, insomma, difficilmente lascia spazio a un testo che dopo il v. 96 recasse qualcosa in piu di quanto conosciamo {non di­ mentichiamo peraltro che nel par. 121 Cicerone sembra riferirsi ad un verso comunque aggiunto da Esopo: vedi n. s o). Allora si dovrà pensare che la menzione del pater nel passo enniano ricontestua­ lizzato venisse riferita ad un pater pulsus grazie a quanto era detto p ri m a dell'inizio del brano stesso, cioè, si può credere, nella parte scritta da Accio: in questa, insomma, era menzione, forse anche con una certa lunghezza, di un esilio di un padre, e a questo padre e a questo esilio veniva ora a riferirsi il canticum enniano, al quale peraltro - e questo pare certo - erano state tagliate le parti non piu congrue alla nuova situazione. Accetteremo dunque l'ipotesi tra­ dizionale dell' 'Aria di baule' adattata all' Eurysaces con 'accomodi' che facevano leva sull'ambiguità dei versi enniani e la conseguente possibilità di ricontestualizzarli, cambiando persino il sesso, ove necessario, del personaggio cui venivano attribuiti nel pastiche. In­ fatti ci si può divertire a osservare che, a rigore, i vv. 87-88 di Ennio 171

CESARE QUESTA - RENATO RAFFAELLI

(dei quali però Cicerone non fa menzione nella pro Sextio) potreb­ bero essere detti anch'essi da una donna solo mutando Jreta sim ed orba su m infretu' sim ed orbu' sum, come doveva essere ancora lecito recitando testi di oltre un secolo prima. Ancora una volta l'uso del­ l' opera suggerisce accostamenti. N el secondo Atto del Barbiere di Siviglia una grande virtuosa dei giorni nostri, Marilyn Horne, rin­ novando un uso ottocentesco talora sostituisce il Rondò chiamato 'Dell'inutil precauzione' (Contro un cor. . . ) con la piu nota Cavati­ na d'entrata del Tancredi (Tu che aaendi . . . ), di cui è celebre il Mo­ derato (Di tanti palpiti . . . ). In tutta la Cavatina, e segnatamente nel Moderato, niente individua il s e s s o del locutore, restandone solo indicato l'affe tto amoroso verso persona che può essere assente (Tancredi) o presente (Barbiere): Di tanti palpiti, di tante pene da te, mio bene, spero mercè. Mi rivedrai, ti rivedrò, ne' tuoi bei rai mi pascerò. Deliri, sospiri, accenti, contenti . . . : sarà felice, il cor mel dice, il mio destino vicino a te.

Ma non è tutto, perché Tancredi è personaggio maschile, interpre­ tato da donna con voce di contralto travestita da uomo, e Rosina ha identico registro vocale ma è interpretata da donna nelle sue pro­ prie vesti femminili: una situazione specularmente identica a quella che, in ogni caso, dobbiamo ipotizzare per il teatro latino ar­ caico {anche Roscio, del resto, si cimentava con l'Andromacha : cfr. n. 47). Altri esempi può dare il melodramma settecentesco. Se le cose stavano piu o meno cosi, risulta piu chiaro un passo di Cicerone (Lucull. zo), dal quale si può desumere che il pubblico ro172

DALLA RAPPRESENTAZIONE ALLA LETTURA

mano riconosceva 'Arie celebri' delle tragedie preferite al solo at­ tacco del flautista che le accompagnava: qua m multa qua e nosJugiunt in cantu exaudiunt in eo genere exercitati, qui primo injlatu tibicinis Antio­ pam esse aiunt aut Andromacham, cum id nos ne suspicemur quidem! 59 Abbiamo già visto che ai funerali di Cesare potrebbe essere stato eseguito solo un canticum dell'Armorum iudicium, e non tutta la tra­ gedia, e proprio in pro Sext. 126 Cicerone ci dà una notizia significa­ tiva. Egli ci dice che un pretore del 57 a.C., Appio Claudio Pulcro, fratello del famoso nemico politico di Cicerone P. Clodio, ben sa­ pendo di essere inviso alla folla perché ostile a Cicerone, andava ad assistere ai ludi gladiatorii cercando di farsi notare il meno possibile: sgattaiolava dunque fra le impalcature e sotto l'impiantito del luo­ go di spettacolo - Cicerone dice che la gente la battezzò via Ap­ pia . . . - apparendo improvvisamente dal basso in mezzo al pubbli­ co come stesse per declamare Mater; te appello. Sicuro di essere compreso da tutti, Cicerone si riferisce ad una scena celebre dell' 1liona di Pacuvio (vv. 197 ss. R3), quella in cui l'Ombra di Polidoro era impersonata da un attore che, apparso da sotto il palcoscenico, attaccava il brano che, guarda caso, era un canticum caratterizzato da modi tali da suscitare sentimenti di tristezza in tutto il teatro (Tusc. 1 106).60 Anche nel teatro tragico, dunque, le singole scene 59· « Quante cose sfuggono a noi nel canto, che invece colgono coloro che ne sono esperti! Questi, al primo attacco del flautista, dicono "è l'Antiopa", "è l'Andromaca", mentre a noi non viene neppure l'idea ». Si è pensato che le rappresentazioni venisse­ ro introdotte da monodie di flauto, ma è piu facile pensare che la monodia introdu­ cesse questo o quel canticum (che di un accompagnamento necessitavano senza dub­ bio): esso, diventato un"Aria celebre', veniva subito riconosciuto. E in ogni caso si de­ duce da Cicerone che quest'accompagnamento di flauto era s e mp r e l o s t e s s o per quella determinata tragedia o parte di tragedia (e di commedia?): cfr. anche n. 6o. 60. Come quella enniana, cosi quest"Aria' è ricordata piu volte da Cicerone, cui doveva essere cara non meno dell'altra: Tusc. II 44, Lucull. 88, Att. xrv 14 r. Il passo di Tusc. 1 ro6 e quello esaminato a n. 59 pongono il problema della musica quale si confi­ gurava nel teatro latino, ma esso non può riguardare questa trattazione: si può solo aggiungere che Cicerone (leg. II 39) giudicava quella dei tempi di Livio Andronico e Nevio una iucunda seueritas (« piacevole austerità »), ma che diretta conoscenza ne ave­ va? Attori e musici dovevano collaborare strettamente, se Ambivio Turpione recitò in tutte le commedie di Terenzio e in esse i modi furono sempre di C. Fannio (cosi le di­ dascaliae). Altro problema, per noi finora irresolvibile, è se l'antichissimo editore ave­ va disponibili anche testi con notazioni musicali che potessero aiutarlo, per es., nel decidere se identificare strutture xa:rà a•ixov oppure xa•à o6onJIJ.(X (i vv. 82o-842a del

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CESARE QUE STA - RENATO RAFFAELLI

avevano importanza maggiore del tutto, o la assunsero con il tem­ po e la prassi scenica: conferma, se necessaria, di un' organizzazio­ ne dello spettacolo di tipo 'operistico'. Questo carattere, inoltre, è confermato dal gusto per le sontuose messe in scena, con predile­ zione per la sfilata di lunghi cortei trionfali (questo, come tutti san­ no, è un -c61toç operistico che, iniziato nel Seicento, arriva all'Aida ed oltre): il pubblico andava in visibilio, anche se uomini come Ci­ cerone (fam. VII I 2) e Orazio (epist. II I I92-93) lo censuravano, co­ me naturale, quale segno di cattivo gusto (i vv. 629-32 dell'Amphi­ truo, se non sono di Plauto, sono stati aggiunti da qualcuno che vo­ leva un pretesto per inscenare la commedia arricchendola di un corteo trionfale siffatto); d'altra parte la scena romana, in questo ed altro, si allineava ad usi e gusti da tempo prevalenti in quella greca 61• Nell'insieme, riterremo dunque una fortuna per noi po­ steri che Plauto e Terenzio, non diversamente dai Tragici greci, Aristofane e Menandro,62 ci siano giunti grazie a edizioni che, co­ munque, presuppongono ormai un lettore, destinatario in origine ben poco previsto dall'autore, ma in seguito, e per secoli, fruitore principale del testo.63 Trinummus plautino possono offrire una casistica interessante: cfr. R. Danese, La gran­ de monodia di Carmide (Trin.' 820-842a): stereotipia tematica e originalità stilistica, pross. in � QUCC », n.s., a. xxxv 1990) . 61. Basti qui rinviare alla classica ricerca di B. Gentili, Lo spettacolo nel mondo antico, Bari, Laterza, 1977, pp. 3-59, tanto ricca di fermenti. 62. Per un primo orientamento si veda almeno E. Pohlmann, Sulla preistoria della tradizione di testi e musica per il teatro, in AAYV., La musica in Grecia, a cura di B. Gentili e R. Pretagostini,Bari, Laterza, 1988, pp. 132-44; e inoltre la comunicazione (ancora inedita) di ThJ. Fleming ed E.Ch. Kopff al IX Congresso della FIEC (Pisa, 25 agosto 1989). 63. Da quanto detto piu sopra si comprende bene che, secondo noi, la nascita delle edizioni filologiche del teatro arcaico dovette produrre una divaricazione nella storia del testo: da un lato gli esemplari di lettura, discendenti commerciali ma sostanzial­ mente corretti, delle bcò6oetç dei grammatici; dall'altro quelli destinati alla recitazio­ ne, usati nelle compagnie: se queste ultime utilizzassero anche esemplari di origine dotta, non è dato sapere, ma in ogni caso li avranno assai manipolati nelle forme che piu sopra abbiamo cercato di ricostruire. Certo è che n o n da questi esemplari discen­ de la nostra tradizione (lo abbiamo già osservato) e che le ampie tracce di vita teatrale del Plauto e del Terenzio a noi giunti risalgono al periodo p re c e d e n t e l'attività del­ la filologia latina (i Tragici greci offrono, in questo, un preciso, ben noto riscontro). Singolare è la posizione di Cicerone. Da un lato egli dovette far ricorso ad esemplari di lettura (e dunque di origine dotta), dall'altro egli vive in un momento in cui piu 174

DALLA RAPPRESENTAZIONE ALLA LETTURA 2. fUORI

DEL TEATRO: UN TERENZIO PER LA LETTURA

Nati per l'occasione teatrale, e per un'occasione specifica com'è mostrato con assoluta evidenza dai prologhi terenziani, i testi del teatro latino tradizionale erano destinati fatalmente ad uscire dal repertorio, soppiantati oltretutto da altri generi piu spettacolari e di impatto piu immediato. Le riprese, di cui abbiamo visto sopra alcune testimonianze di età repubblicana, sembrano tuttavia atte­ state anche in età imperiale, com'è indicato per es. da Seneca, epist. 8o 7-8:

saepius hoc exemplo mihi utendum est, nec enim ullo elficacius exprimitur hic hu­ manae vitae mimus, qui no bis partes quas male agamus adsignat. Ille qui in scaena latus incedit et haec resupinus dicit, en impero Argis; regna mihi liquit Pelops, qua ponto ab Helles atque ab Ionio mari urguetur Isthmos, servus est, quinque modios accipit et quinque denarios. Ille qui superbus atque impo­ tens et fiducia virium tumidus ait, quod nisi quieris, Menelae, hac dextra occides, diurnum accipit, in centunculo dormit.64 d'uno di questi stessi testi è anche oggetto di rappresentazione: una situazione molto simile a quella d'oggi, in cui noi possiamo leggere Pirandello o Shakespeare in buone edizioni anche commentate e, contemporaneamente, vederli in teatro rappresentati con interventi, a volte molto arbitrari, di grandi attori o registi superbiosi. A integra­ zione di alcune osservazioni fatte sopra, va detto che tra la storia dei testi del teatro la­ tino arcaico e quella del melodramma italiano, o di stile italiano, dal 1650 al 1850 circa, sono possibili singolari raffronti: circolazione dei testi in forma 'aperta' presso com­ pagnie e teatri, con possibilità di tagli e interpolazioni (gli 'accomodi') legati, anche, ai capricci dei virtuosi; assenza di edizioni veramente conformi agli intendimenti origi­ nali dell'autore; presenza di brani alternativi risalenti invece all'autore stesso, in par­ ticolare nei Finali (e presenza di Finali non autentici, ma codificati dalla prassi teatra­ le: esempio illustre, quello dell Incoronazione di Poppea di Monteverdi, che per stupen­ do che sia - il famoso Pur ti miro . . - sembrerebbe da attribuirsi a Sacrati). 64. « Dovrei servirmi piu spesso di questo esempio, perché esprime, piu efficace­ mente di qualsiasi altro, questa farsa della vita umana, dove ci viene assegnata una par­ te che recitiamo male. L'attore che avanza impettito sulla scena e a testa alta recita queste battute: "Ecco comando su Argo; Pelope mi lasciò in eredità quei luoghi dove l'Istmo è battuto dall'Ellesponto e dal mare Ionio", è uno schiavo, la sua paga è di cin­ que moggi di farina e cinque denari. Quell'altro che superbo e tracotante, fiduciosa­ mente orgoglioso della sua potenza, dice: "Se non stai quieto, Menelao, perirai per '

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CESARE QUESTA - RENATO RAFFAELLI

Se questo passo indica la persistenza di una prassi teatrale (in sce­ na non si presta ad equivoci) riguardo alla tragedia, un'altra testi­ monianza, che pure si riferisce a qualità e caratteristiche degli atto­ ri, la mostra per la commedia: si tratta di Quintiliano, inst. XI 3 178: maximos actores comoediarum, Demetrium et Stratoclea, placere diversis virtutibus vidimus. Sed illud minus mirum, quod alterdeos et iuvenes et bonos patres servosque et matronas etgraves anus optime, alter acres senes, callidos servos, parasitos, lenones et omnia agitatiora melius. Fuit enim natura diversa: nam vox quoque Demetri iu­ cundior, illius acrior erat.65

È esplicito, e confermato dalla minuziosa indicazione dei ruoli fissi caratteristici di questa forma teatrale, il riferimento ad attori di commedia, e ad attori visti sulla scena, com'è mostrato anche dal prosieguo del passo quintilianeo.66 Nonostante le riprese, di cui furono sempre piu sporadicamente oggetto, le vecchie tragedie e le vecchie commedie furono costret­ te a mutare abitudini, trasmigrando dalla scena agli scaffali delle biblioteche e passando dalla rappresentazione alla lettura. Divenu­ te essenzialmente libri, queste opere dovettero dunque assuefarsi a mia mano", è pagato a giornata e dorme su un pagliericcio » (trad. di C. Barone). Il pri­ mo dei due frammenti citati qui da Seneca (Trag. inc. 104-6 R 3) è in trimetri e anche di recente è stata ribadita la proposta di una sua attribuzione al Tieste di Vario Q. Soubi­ ran, Les débuts du trimètre tragique à Rome. II. Vtlrius et Gracchus, in Filologia eforme letterarie. Studi offerti a Francesco Della Corte, m, Urbino, Università degli Studi, 1987, pp. 109 sgg.); il secondo (Trag. inc. 28 R 3) è invece un senario, e dunque di età piu antica. 65. « Noi abbiamo visto grandissimi attori comici, quali Demetrio e Stratocle, ri­ scuotere successo per le qualità che avevano, diverse l'uno dall'altro. Ma c'è meno da meravigliarsi perii fatto che l'uno abbia magnificamente impersonato divinità, giova­ ni, padri e servi buoni, matrone e vecchie piene di saggezza, l'altro meglio vecchi dif­ fidenti, servi astuti, parassiti, ruffiani e tutte le parti piu animate: diverse erano le loro doti naturali: infatti anche la voce di Demetrio era piu dolce, mentre quella di Strato­ de era piu aspra » (trad. di R. Faranda). 66. xi 3 179-80: «Vanno, piuttosto, rilevate alcune loro peculiarità, che non si sareb­ bero potute trasferire ad altri attori, come agitare le mani e uscire in dolci teatrali esclamazioni e gonfiare camminando l'abito e talvolta fare gesti col fianco destro: co­ sa che a nessuno si sarebbe potuto permettere, se non a Demetrio (in tutto ciò egli era aiutato dalla statura alta e da una splendida figura}: Stratocle, invece, era agile nel muoversi e aveva una maniera di ridere non sempre adatta al personaggio. Ma egli, non ignaro di tale sua capacità, offriva queste risate al popolo, anche accorciando il collo. Chiunque di loro due si fosse comportato sulla scena come l'altro, avrebbe otte­ nuto pessimi effetti » (trad. di R. Faranda}.

DALLA RAPPRESENTAZIONE ALLA LETTURA una vita piuttosto umbratile, trascorrendo nelle mani di eruditi e di lettori colti, sopravvivendo nella lettura, nelle recitazioni di bra­ ni come intrattenimento conviviale e, nel caso particolare di Te­ renzio, anche nelle lezioni e nei commenti di maestri talvolta ec­ cellenti.67 Il mutamento nei modi della ricezione, questa trasformazione da copione per una messa in scena complessa e multiforme a sem­ plice testo per la lettura e lo studio, produsse degli effetti anche nell'organizzazione e nella presentazione dei testi nei libri che li hanno ospitati e, nel caso di Plauto e di Terenzio, conservati per noi. Se infatti della tragedia arcaica non ci sono rimasti che fram­ menti, della commedia c'è invece arrivato molto: tutte e sei le commedie di Terenzio e le ventuno cosiddette 'varroniane' di Plauto.68 Di piu, sia di Plauto, sia di Terenzio, oltre ai numerosi manoscritti medievali (particolarmente numerosi quelli terenzia­ ni),69 ci è giunto direttamente un esemplare ancora appartenente 67- Sulle letture conviviali di comoedi cfr. Plinio il Giovane, episL 1 IS 2, m I 9; quanto all'attività esegetica su Terenzio, essa culmina nel IV sec. con il grande commento di Elio Donato; inoltre, sempre nel IV sec., con Arusiano Messio, Terenzio rientra nella cosiddetta quadriga {con Virgilio, Sallustio e Cicerone) degli autori esemplari per l'in­ segnamento e la formazione letteraria. 68. Sul corpus delle ventuno Varronianae cfr. sopra, pp. IS0-53· 69. Sulla tradizione manoscritta di Plauto e sui codici medievali del ramo Palatino, cfr. oltre, pp. 205-8. Circa Terenzio, la sua tradizione, come quella di Pianto, è biparti­ ta: da un lato abbiamo il Bembino {A: su di esso cfr. ampiamente oltre), dall'altro i co­ dices Calliopiani {l::) , tutti medievali. Essi sono chiamati cosi perché sembrano risalire alla 'recensione' {o edizione) fatta da un certo Calliopius scholasticus {in vario modo ri­ cordato alla fine di questi manoscritti) per rendere il testo piu leggibile, forse pensan­ do ad un uso di scuola. Calliopius non è altrimenti noto, ma un manoscritto, che ap­ parteneva a questa recensio e di certo conservava attentamente la colometria, fu adope­ rato per allestire, forse a Costantinopoli nei primi anni del VI sec. {cfr. oltre, n. 70 circa gli interessi terenziani di Prisciano, là attivo in quello stesso periodo), un'edizione sontuosamente illustrata del commediografo. Questa ci è nota attraverso un certo nu­ mero di mss. medievali {che formano, con altri, il cosiddetto ramo y) , tra i quali ricor­ diamo: Vat. laq868 {C), sec. IX 2 {abolisce la distinzione in versi); Paris, Bibl. Nat., lat. 7899, sec. IX 3 {P: è invece prezioso testimone della colometria antica; cfr. oltre pp. I96-200 e 2II-I3) ; Milano, Bibl. Ambros., H 75 inf. = S.P. 4bis, sec. X 1 {F). Un altro gruppo di manoscritti, non illustrati, forma il ramo 13: fra essi il ms. Firenze, Bibl. Me­ dicea Lauren., Plut. 38.24, sec. X (D) e il m s. Vat. lat. I640, sec. X {G). Infine vengono definiti mixti quei Calliopiani che presentano un testo contaminato fra i due rami so­ pra indicati. Su due notevoli frammenti papiracei cfr. sopra pp. 146-49, e oltre, 203-5 e 2II-IJ.

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CESARE QUESTA - RENATO RAFFAELLI

all'età antica: il Palinsesto Ambrosiano di Plauto (Milano, Bibl. Ambros., G 82 sup. [nunc. S.P. 9/13-20]: CLA m 345, V sec.) e il co­ dice Bembino di Terenzio (Città del Vaticano, Bibl. Apost., Vat. lat. 3226: CLA I 12; alla datazione data da Lowe nei CLA [IVIV sec.] sembra preferibile quella proposta a piu riprese da A. Pratesi: fine V l inizio VI sec.). Di questi due manoscritti, è il Terenzio Bembi­ no quello che ci è giunto in condizioni migliori e piu integro, e dunque lo utilizzeremo qui come esemplare. In una lettera scritta da Clermont attorno al 470 Sidonio Apolli­ nare, tracciando un quadretto piuttosto di maniera, racconta di una lettura terenziana che egli stava facendo assieme al figlio (epist. IV 12 1-2): nuperegoflliusque communis Terentianae Hecyrae sales ruminabamus; studenti as­ sidebam naturae meminens et professionis oblitus quoque absolutius rhytmos comi­ cos indtata dodlitate sequeretur, ipse etiamfabula m similis argumenti, id est Epitre­ pontem Menandri, in manibus habebam. Legebamus pariter, laudabamus iocaba­ murque et, quae vota communia sunt, illum lectio, me ille capiebat . . .70 70. « Poco fa, io e mio figlio assaporavamo insieme le lepidezze dell'Hecyra di Te­ renzio: io stavo seduto vicino all'allievo, memore piu dei legami di natura che della mia funzione e, perché egli seguisse ancor piu attentamente, con stimolata docilità, i ritmi comici, anch'io tenevo in mano una commedia di argomento simile, gli Epitre­ pontes di Menandro. Leggevamo insieme, approvavamo e celiavamo, e, quello che è desiderio comune, lui era tutto preso dalla lettura ed io da lui . . . ». L'accenno di Sido­ nio ai rhytmi comici non è di interpretazione facilissima, ma comporta in ogni caso un riferimento alla natura metrica del testo terenziano. Proprio su questo argomento si era aperto un dibattito, dal IV al VI sec., di cui sono per noi testimoni il trattatello di Rufmo ( Commentarium in metra Terentiana, in GLKVI pp. 554-65) del IV sec. e quello di Prisciano (De metris Terentii, in Prisciani Caesariensis Opuscula, ed. M. Passalacqua, I, Ro­ ma, Ediz. di storia e letteratura, 1987, pp. 19-32 = GLK m pp. 418-29) del V ex.: c'era in­ fatti chi negava la natura metrica del teatro di Plauto e di Terenzio, e Rufino si fa pre­ mura di fornire l'elenco di coloro i quali invece la rivendicavano, come fa egli stesso e come farà Prisciano (sui tentativi di quest'ultimo di scandire Terenzio anche nelle In­ stitutiones, cfr. M. De Nonno, Ruolo efunzione della metrica nei grammatici latini, tra breve in Metrica classica e Linguistica, Atti del Colloquio di Urbino, 3-6 ottobre 1988, Urbino, QuattroVenti). L'interesse per la metrica, d'altra parte, sembra caratterizzare il pub­ blico colto non meno dei grammatici: un ramo della tradizione di Seneca tragico (cfr. oltre, pp. 213-15) presenta, alla fine del IV sec., annotazioni metriche riconducibili, in qualche modo, al De centum metris di Servio ( GLK IV pp. 456-67), e alla tradizione rap­ presentata da questo opuscolo sembrano ricollegarsi quelle apposte di propria mano da un 'grand seigneur' della morente Antichità, Vettio Agorio Basilio Mavorzio, al cor­ pus prudenziano quale da lui stesso fatto sistemare nel celebre m s. Paris, Bibl. Nat., lat.

DALLA RAPPRESENTAZIONE ALLA LETTURA

Che tipo di libro terenziano era quello in cui Sidonio e il figlio andavano leggendo l' Hecyra? Sicuramente un codice e, verosimil­ mente, molto simile al Bembino: un manoscritto in capitale, di formato piuttosto piccolo e maneggevole, con margini abbastanza ampi da poter ospitare annotazioni (scholia ), facile per la consulta­ zione grazie a un'organica e funzionale presentazione del testo. Analizzando alcuni degli aspetti piu caratteristici del Terenzio Bembino, potremo forse illuderci di sedere anche noi per un atti­ mo nello studiolo di Sidonio e di poter gettare l'occhio su uno dei suoi libri. Innanzitutto, come probabilmente accadeva anche al giovane figlio di Sidonio, non abbiamo difficoltà a ritrovare, nel codice, la commedia che c'interessa: i titoli correnti, che, nella facciata di de­ stra (un recto), recano sempre abbreviato il nome dell'autore (TER) , nella facciata di sinistra (un verso) recano infatti il titolo, quasi sempre abbreviato, delle varie commedie: ANDR, EVNVC, HEAVI'ON, PHORM, appunto HECYRA, e ADELP.71 Individuata cosi la commedia che cercavamo grazie al titolo corrente, è molto facile, risalendo all'indietro sempre con l'aiuto dei titoli, arrivare al suo inizio. Per una ragione oggettiva, la malaugurata perdita dell' inte­ ro f. 77 del Bembino, che conteneva la massima parte proprio del prologo dell' Hecyra, d'ora in poi rivolgeremo tuttavia la nostra at­ tenzione non piu a questa commedia, come Sidonio e suo figlio, ma al Phormio.n 8084 ( CLA v 571a: sec. VI in.): di estremo interesse nel ms. il f. 29 v, ove Mavorzio stes­ so divide in piedi, con degli apici, per aiutarsi nella scansione, i versi iniziali di Cath. 9 (cfr. Questa, Il metro, [cit. a n. 72], pp. 355 sg.). 71. Sui titoli correnti vd. R. Raffaelli, I titoli correnti del Palinsesto Ambrosiano e l'ordine delle commedie nei due rami della tradizione Plautina, in « Pubbl. Fac. Magistero Univ. Fer­ rara », a. v I 1979, pp. 1-9. Circa l'Andria, che per la mutilazione iniziale del Bembino è andata quasi completamente perduta in questo ms., il titolo corrente ANDR si legge so­ lo una volta nel f. 4 v (che è poi il primo foglio quasi integro e il penultimo dedicato al­ l'Andria: essa infatti termina nel seguente f. 5 r, che contiene i vv. 972-81 e il colofone). 72. Per la trattazione che segue faremo liberamente uso delle osservazioni e dei ri­ sultati di nostre ricerche precedenti: in particolare di Raffaelli, Prologhi, cit., pp. 41 sgg.; Questa-Raffaelli, Maschere, cit., pp. 109 sgg.; Raffaelli, Ricerche, cit., pp. 159 sgg.; Questa, Numeri, cit., pp. 23 sgg., 399 sgg.; C. Questa, Il Metro e il Libro. Per una semiologia della pagina scritta di Flauto, Terenzio, Prudenzio, Orazio, in Il libro e il testo, a cura di C. 179

CESARE QUESTA - RENATO RAFFAELLI

Nella tav. 2 {f. 52 v) vediamo la fine dell' Hautontimorumenos, che nel nostro ms. precede appunto il Phormio : la rigatura orizzontale del Bembino è costantemente di venticinque linee per facciata e, in questo f. 52 v, dopo gli ultimi sedici versi dell' Hautontimorumenos (1052-67) che occupano le prime sedici righe della facciata, lo spa­ zio restante {nove righe) è stato utilizzato soltanto per collocarvi il colofone TERENTI / HEAVTONTIMORVMENOS FINITVSJ3 Il copista infatti, giunto alla fine di una commedia, non ha mai utilizzato le righe che potevano rimanere libere verso il fondo per iniziarvi a scrivere qualcosa che appartenesse alla commedia seguente: tutto ciò che pertiene alla nuova commedia è invece sempre scritto a partire dalla pagina successiva, su una facciata nuova. Cosi, nel caso del Phormio, troviamo nel f. 53 r (tav. 3) la didascalia e la perioca di Sulpicio Apollinare e poi, ancora su nuova facciata {f. 53 v: tav. 4), la prima parte del prologo, che prosegue e finisce nella facciata se­ guente (f. 54r: tav. 5); infine, ancora su nuova facciata {f. 54 v : tav. 6), comincia la commedia vera e propria, con un breve monologo di Davo e poi con il dialogo tra questi e Geta, e per essa, diversamente che per i testi ospitati nelle tre pagine precedenti, sono finalmente utilizzate tutte le venticinque linee della rigatura orizzontale.74 Riassumendo, possiamo dire che nel ms. c'è sempre 75 stacco Questa e R. Raffaelli, Atti del Convegno internazionale di Urbino, 20-23 settembre 1982, Urbino, Università degli Studi, 1984, pp. 337 sgg.; R. Raffaelli, La pagina e il testo. Sullefunzioni della doppia rigatura verticale nei codici latini 'antiquiores', ibid., pp. I sgg.; una riproduzione (quasi) completa del Bembino è in S. Prete, Il codice di Terenzio Vaticano latino 3226. Saggio critico e riproduzione del manoscritto, Città del Vaticano, Biblioteca Apo­ stolica Vaticana, 1970; per la datazione piu bassa (fine V/inizio VI sec.) rispetto a quel­ la tradizionale, cfr. soprattutto A. Pratesi, Appunti per la datazione del Terenzio Bembino, in Palaeographica, Diplomatica et Archivistica. Studi in onore di Giulio Battelli, 1, Roma, Ediz. di storia e letteratura, 1979, pp. 71 sgg. 73· Sulle caratteristiche e, soprattutto, sul modo in cui sono impaginati i colofoni, cfr. Raffaelli, Prologhi, cit., pp. 42 sg. n. 2. 74· In questo f. 54 v stanno in realtà solo ventun versi (Phor. 35-55), ma le altre quat­ tro righe sono occupate dai due titoli di scena (su cui cfr. oltre, pp. 194-96). Quanto al titolo corrente (PHORM, in rosso), esso, come sempre, è collocato fuori dello spazio in­ quadrato dalla rigatura. 75. Diamo qui, per ragioni di spazio, un unico esempio delle caratteristiche di pre­ sentazione e di impaginazione di questi testi nel Bembino: va da sé che, salvo diverso avviso, queste stesse caratteristiche si riscontrano anche in tutto il resto del ms. (per un'analisi completa cfr. Raffaelli, Prologhi, cit., passim). 180

DALLA RAPPRESENTAZIONE ALLA LETTURA (mutamento di facciata) tra: r) fine di commedia e inizio di com­ media successiva; 2) didascalia e perioca (disposte sempre assieme in un'unica facciata) ed inizio del prologo; 3) fine del prologo e inizio della commedia vera e propria. Inoltre, come abbiamo ap­ pena accennato, ma come può notarsi già solo dando uno sguardo alle tavv.4-5 e 3, le facciate contenenti i prologhi, e anche, di solito, quelle contenenti didascalie e perioche, presentano spazi vuoti sia in alto, sia in basso: in esse, infatti, le venticinque linee della rigatu­ ra non sono completamente utilizzate per la scrittura. Nella tav.3 (f.53 r) si può vedere secondo quali accorgimenti sot­ tili siano impaginate le didascalie e le perioche. Prima, però, sarà opportuno sottolineare come la stessa presenza di questi testi 'se­ condari' e 'aggiunti' sia legata alla trasformazione del testo teatrale in testo di lettura. Le didascalie, qualunque sia stata la loro origine (c'è consenso sul fatto che esse non possano essere piu recenti del I sec. a.C.), dànno infatti notizie sulle occasioni, sui magistrati, sulla cronolo­ gia delle rappresentazioni, sull'autore della musica e dell'originale greco, sugli strumenti, sulla compagnia degli attori, sull'ordine della composizione da parte di Terenzio.Se anche tutte le altre no­ tizie erudite sono evidentemente destinate a un pubblico di lettori, particolarmente significativa è per noi quella riguardante l'ordine della composizione: è infatti ragionevole pensare che l'interesse per la collocazione cronologica e seriale di ciascuna commedia presupponesse un corpus che le raccogliesse tutte: FACTA EST 1111, l'indicazione che dà la nostra didascalia del Phormio, ha evidente­ mente senso se nello stesso corpus troviamo FACTAST TERTIA (dida­ scalia dell'Hautontimorumenos, f. 29v) e FACTA EST v (didascalia del­ l'Hecyra, f. 76v). E non c'è quasi bisogno di aggiungere che un corpus completo significa, in sostanza, un'edizione accurata, di tipo 'ales­ sandrino', fatta dunque da eruditi per altri lettori eruditi, e non per l' uso teatrale. Quanto poi alle perioche di Sulpicio Apollinare (II sec. d.C.), es­ se sono addirittura inconcepibili se non come sussidi per la lettura: l'utilità di questi riassunti è infatti nell'orientare un lettore sulle lir8r

CESARE QUESTA - RENATO RAFFAELLI nee essenziali dell'intreccio e sulle azioni principali dei personag­ gi. E proprio di recente è stato mostrato che la puntigliosa presen­ za dei nomi dei personaggi nelle perioche terenziane, negli argu­ menta plautini e in altri riassunti dello stesso genere è strettamente dipendente dalla loro destinazione appunto ad un pubblico di let­ tori; al contrario, i riassunti degli antefatti che si fanno nei prologhi escludono di norma la menzione dei nomi dei personaggi: quegli stessi nomi che possono aiutare un l e t t o r e a identificare meglio i singoli personaggi {potendo tra l'altro liberamente trascorrere dal riassunto al testo e viceversa), pronunziati invece sulla scena, nel contesto sfuggente di una stringata narratio, avrebbero di sicuro ot­ tenuto l'effetto opposto, quello di disorientare e di confondere ir­ rimediabilmente un pubblico di s p e t t a t o r i , cui quella serie di nomi non avrebbe detto quasi nulla.76 Didascalie e perioche, sussidi introduttivi alla lettura delle sin­ gole commedie, sono dunque disposte assieme in quest'ordine nel Bembino: vediamo ora piu in particolare come vi sono impaginate (f. 53 r: tav. 3) . Delle venticinque linee della rigatura orizzontale, nel f.53 r le li­ nee 1-3 sono state lasciate vuote; le linee 4-7 sono occupate dalla didascalia (le cui quattro righe sono scritte alternativamente in rosso e in nero); le linee 8 -9 sono state pure lasciate vuote; nella li­ nea 10 è scritta l'intestazione della perioca (in rosso); nelle linee n22 sono scritti i dodici senari della perioca di Sulpicio Apollinare; infine le linee 23-25, le tre ultime, sono state lasciate vuote, esatta­ mente come le prime tre. Fra le caratteristiche salienti della presentazione di didascalie e perioche possiamo dunque rilevare, per prima, questa della loro c e n t r a t u r a nella pagina: esse, prese assieme e non considerando, per ora, lo spazio di due linee vuote che, di norrna,77 viene lasciato tra loro, sono infatti sistemate nella facciata in modo che, nei limiti Al riguardo, cfr. Questa, in Maschere, cit., pp. 9 sgg. (spcc. 43 sgg.). 777·6. Per l'eccezione della didascalia e della perioca dell'Hecyra cfr. Raffaelli, Prologhi,

cit., pp. 58 sg.

1 82

DALLA RAPPRESENTAZIONE ALLA LETTURA del possibile e salvo eventuali errori,78 rimanga un ugual numero di linee vuote nelle parti superiore ed inferiore della pagina. Un'altra caratteristica comune di didascalie e perioche, forse ancor piu rilevante, è che per esse è stato usato un modulo di scrit­ tura notevolmente p i u p i c c o l o di quello sempre usato altrove per il testo terenziano, come si può agevolmente constatare, per es., dal confronto con le tavv. 2 e 4· Le facciate contenenti didasca­ lie e perioche, infine, sono sempre prive di titoli correnti. Ma se ci sono alcune caratteristiche che uniscono didascalie e perioche, ve ne sono anche altre che invece le distinguono: prima fra tutte lo stacco di due linee vuote cui abbiamo già fatto cenno, e poi l'essere le didascalie, ed esse sole, scritte con alternanza di ri­ ghe in rosso e di righe in nero,79 secondo un modulo AB AB per cui, quando per es. le righe occupate dalla didascalia sono otto invece di quattro (come avviene in quella degli Adelphoe: f. 96v), troviamo le prime due scritte in rosso, la terza e la quarta in nero, la quinta e la sesta ancora in rosso e le due ultime, di nuovo, in nero. Un'altra caratteristica delle didascalie, anch'essa molto evidente, è nella lo­ ro impaginazione di tipo epigrafico: sono scritte infatti distanzian­ do notevolmente una parola dall'altra e sistemando le verticalmen­ te in modo che ciascuna sia il piu possibile incolonnata alla corri­ spondente parola della riga che precede e di quella che segue. L'e­ sempio del f. 53 r (tav. 3) non è forse tra i piu illuminanti circa que­ sto aspetto della presentazione delle didascalie, ma anche da esso si può comunque vedere ciò che risalta ancor meglio in altre pagine, e cioè la tendenza a disporle su cinque (o sei) colonne, allineate piuttosto regolarmente. 80 78. L'unico e peraltro non grave errore nella centratura di didascalie e perioche è in quelle dell'Hautontimommenos (cfr. Raffaelli, Prologhi, cit., p. 56). 79· Nelle perioche è in rosso soltanto l'intestazione, come s'è detto, e lo è in quan­ to ti t o l o : cosi pure in rosso, come vedremo, è il titolo PROLOGVS. Rossi e neri si alter­ nano, peraltro, anche nei titoli di scena: cfr. oltre, pp. 194-96. 8o. Circa i precedenti epigrafici di questa presentazione delle didascalie nel Bem­ bino cfr. Raffaelli, Prologhi, cit., p. 84. Anche le didascalie del Palinsesto Ambrosiano di Plauto hanno una presentazione di tipo epigrafico, benché diversa da quella del Bem­ bino, e , soprattutto, mostrano anch'esse i segni di una centratura nella pagina ed era­ no scritte (il rosso nel Palinsesto è quasi del tutto svanito) parte in rosso e parte in ne­ ro (per piu precisi dettagli, cfr. ibid., pp. 8o-88).

CESARE QUESTA - RENATO RAFFAELLI Il prologo del

Phormio,

cosi com' è nel Bembino,8 1 consta di

trentaquattro versi che, essendo il codice costantemente rigato a venticinque linee, non potevano ovviamente stare in una sola fac­ ciata. Dovendo distribuire questi versi in due facciate, il librarius (o, meglio, chi sovraintendeva al suo lavoro) non ha seguito la via piu semplice, quella cioè di scrivere nella prima facciata il titolo

PRO­

LOGVS e i primi ventiquattro versi, e poi, nella facciata seguente, gli ultimi dieci versi (25-34) del prologo. Egli, come si può vedere nel­ le tavv. 4 e s, ha invece diviso i n p a r t i u g u a l i il totale dei versi di prologo per le facciate destinate a contenerli, scrivendo i primi di­ ciassette

(1-17)

nel f. 53 v, e gli altri diciassette

(18-34)

nel f.

54r. Di

piu, anche nelle pagine contenenti i prologhi il testo è perfetta­

53 v, in cui, oltre ai vv. 1-17, un' altra riga PROLOGVS, sono state infatti lasciate vuote

mente c e n t r a t o : nel f. è occupata dal titolo

le prime tre linee in alto e le ultime quattro in basso; 82 nel f.

54 v, in cui le righe scritte sono solo diciassette (vv. 18-34), si pote­

va centrare ancor meglio, e cosi è stato fatto : il copista vi ha la­ sciato vuote le prime quattro linee in alto e le ultime quattro in basso. Come per le didascalie e perioche, questa caratteristica impagi­ nazione, che abbiamo analizzato nel prologo del

Phormio,

è nel

8I. Il v. na, presente nei Calliopiani e originariamente assente nel Bembino, vi fu in seguito aggiunto nel margine inferiore da una mano piu tarda (con opportuno se­ gno di richiamo a margine del v. n: sui segni di omissione nei piu antichi mss. latini è esemplare il saggio di E.A. Lowe, The Oldest Omission Signs in Latin Manuscripts, ora in Id., Palaeographical Papers, 1907-1965, ed. by L. Bieler, n, Oxford, University Press, I972, pp. 349 sgg.}; l'aggiunta è poi stata erasa (cfr. tav. 4), ma il segno di richiamo accanto al v. n è rimasto. 82. Come mostrato in Raffaelli, Prologhi, cit., pp. SI, 85 n. I4'i\ 90, quando, nel centra­ re, il numero di righe da lasciar vuote risultava dispari, la prassi era di !asciarne un nu­ mero minore in alto e un numero maggiore in basso: una pratica del tutto conforme, del resto, all'uso generalizzato di lasciare, con la rigatura, margini piu ampi nella parte inferiore dei fogli. L'uso riscontrato nel Bembino è confermato dal ms. di Plinio il Giovane New York, Pierpont Morgan Libr., M 462 ( CLAx1 I66o, sec. V ex.), in cui l'u­ nico indice delle Epistulae che ci rimane, quello del libro m (ff. I v e 2 r) , è appunto im­ paginato con ripartizione delle righe scritte in parti uguali nelle due facciate e centra­ tura: ed essendo il ms. rigato a ventisette linee e contenendo ciascuna di queste due facciate venti righe scritte, in entrambe sono state lasciate vuote tre righe in alto e quattro in basso (per altri particolari cfr. Raffaelli, Prologhi, cit., pp. 88 sgg.).

DALLA RAPPRESENTAZIONE ALLA LETTURA Bembino applicata anche a tutti gli altri prologhi conservati,83 che cosi, anche a un primo sguardo, risultano nettamente distinti dal resto delle commedie. Questo accorgimento di una eguale riparti­ zione di versi (o comunque di righe scritte) per il numero delle pa­ gine destinate ad ospitarli non è un unicum : come s'è già accenna­ to,84 esso si ritrova, per es., nel frammento di Plinio il Giovane del­ la Morgan Library, in cui l' index delle epistulae del 1 1 1 libro è appun­ to suddiviso in parti uguali {venti righe scritte nell'una e altrettan­ te nell'altra) nelle due facciate che lo contengono. Inoltre, come pure abbiamo accennato, anche nell' index del Plinio Morgan è ap­ plicata la tecnica della centratura {sopra, n. 82), che - da sola - ab­ biamo già visto non essere ignota anche al Plauto Ambrosiano (di­ dascalie). Diversamente da quelle in cui sono sistemate assieme didascalie e perioche, tuttavia, le facciate del Bembino riservate ai prologhi hanno di norma i titoli correnti e, soprattutto, sono scritte nello stesso modulo di scrittura usato per il testo delle commedie. È chiaro che la tecnica della centratura di certi testi nella faccia­ ta 85 trae origine, in primo luogo, da esigenze di ordine estetico, ma a queste è intimamente connessa anche un'esigenza funzionale: la particolare presentazione di certi testi, infatti, non può scindersi dalla loro particolare natura, quella di essere d i v e r s i dal testo 'principale', donde l'opportunità di 'segnarli' per il lettore, distin­ guendoli anche esteriormente da questo. Lasciando da parte per un attimo i prologhi del Terenzio Bem­ bino, 86 possiamo constatare come la tecnica della centratura sia applicata a didascalie (da sole, come nel Plauto Ambrosiano, oppu­ re assieme alle perioche, come nel Bembino ), a perioche 87 e ad in83. Per la grave mutilazione iniziale di cui s'è detto, non vi possiamo piu leggere didascalia, perioca e prologo dell'Andria, assieme alla piu gran parte di questa comme­ dia. 84. Sopra, n. 82 e, piu ampiamente, Raffaelli, Prologhi, cit., pp. 88-93. 85. O in piu facciate, ciò che comporta, come s'è visto, l'equilibrata ripartizione dd testo per il numero delle facciate stesse. 86. Su cui oltre, pp. 186-89. 87. Poste da sole in una facciata senza essere centrate soltanto nell'Ambrosiano di Plauto (ff. 56IBv e 68z r) , ciò che per noi ha scarso rilievo, ttattandosi di aggiunte.

r8s

CESARE QUE STA- RENATO RAFFAELLI dici, come quello del Plinio Morgan: tutti testi, cioè, ben distinti e a u t o n o m i rispetto al testo vero e proprio, che sono le commedie di Plauto, quelle di Terenzio e le epistole pliniane, e che dunque da esso devono opportunamente distinguersi, già ad apertura di li­ bro.88 Questo della centratura, insomma, è un accorgimento riservato ad enunciati che definirei 'extratestuali' {in quanto non facenti parte del testo vero e proprio, e di fatto funzionalmente accessori rispetto ad esso), i quali, per le loro stesse caratteristiche 'esteriori' {la brevità, soprattutto), ben si prestano, certo, ad una impaginazio­ ne eccezionale; ma questa impaginazione, a sua volta, si risolve in un vero e proprio segnale, assumendo, con piena consapevolezza dei librarii e dei lettori dei loro manufatti, appunto la funzione di distinguere l' extratestualità, il carattere accessorio, e perciò ecce­ zionale rispetto al testo, degli enunciati presentati in tal modo. Un altro e ben pili noto accorgimento per marcare l' extratestua­ lità è l'uso dell'inchiostro rosso: nei mss. che abbiamo citato qui, per es., sono scritti in rosso {o con alternanza di rossi e di neri) : 1) i colofoni del Bembino e del Plinio Morgan; 2) il titolo PROLOGVS {nel Bembino e, quasi certamente, anche nell'Ambrosiano), quello delle perioche di Sulpicio Apollinare {nel Bembino ); 3) i titoli cor­ renti {nel Bembino); 4) i titoli di scena {nel Bembino e nell'Am­ brosiano); 5) le sigle greche dei personaggi {ancora nel Bembino e nell'Ambrosiano); 6) le didascalie {Bembino e Ambrosiano) ; 7) gli indici {Plinio Morgan). A parte dunque alcuni casi particolari in cui l'uso del minio sembra soprattutto ornamentale {per es. quello, non infrequente in certi mss. antichi, e presente anche nel Plinio Morgan, di scrivere in rosso le prime tre righe di ogni nuovo libro di un'opera), nella maggioranza degli altri esso appare come un fortissimo segno caratterizzante, una marca specifica dell' extrate­ stualità. In questo quadro, ma solo ad un esame superficiale, sembrereb88. Pensiamo, prima di tutto, agli indici pliniani, ma anche agli altri testi accessori (circa i prologhi, cfr. oltre, pp. 186-89 e spec. n. 91).

!86

DALLA RAPPRESENTAZIONE ALLA LETTURA bero non inserirsi troppo bene i prologhi terenziani, che per l' ap­ punto sono scrittura di Terenzio e tuttavia, come abbiamo visto, sono nel Bembino sempre ripartiti in parti il piu possibile equili­ brate e istituzionalmente centrati, proprio come gli altri enuncia­ ti che abbiamo definito extratestuali. D'altro canto non sono mai centrati i prologhi plautini nell'Ambrosiano,89 un codice che pure, per certe sue parti (le didascalie), conosce ed applica questa tec­ mca. Le ragioni di questa differenza sono senz' altro complesse e fra loro intrecciate. È chiaro che il prologo terenziano, ben diversamente da quello plaurino, per la sua regolarità e per la sua tipologia uniforme 90 si presta assai bene ad una impaginazione speciale che lo isoli da quanto lo precede e lo segue. Ma questa è solo una condizione preli­ minare, probabilmente necessaria, ma non sufficiente. Diversamente da quello plaurino, infatti, il prologo terenziano non è per sua intrin­ seca natura connesso al testo vero e proprio: prologo di polemica let­ teraria, avulso dalla commedia, è in sostanza esso stesso una specie di 'testo minore', autonomo ed isolato. In questo senso, pur essendo an­ ch' esso scrittura di Terenzio, può o deve essere considerato 'extra­ testuale' (in quanto di fatto estraneo al testo vero e proprio: e cfr. oltre, pp. 188-89) e alla sua natura autonoma ed isolata può o deve corrispondere un i s o l a m e nto anche nella sua presentazione, che immediatamente lo segnali al lettore nella sua specificità e magari ne possa favorire anche una lettura antologica.91 89. Cfr. Raffaelli, Prologhi, cit., pp. 68-78. 90. Ci riferiamo alle sue caratteristiche esteriori, e cioè alla sua costante presenza ad inizio di commedia e alla sua lunghezza, essa pure abbastanza uniforme. 91. Antologie di prologhi, del resto, non erano ignote agli antichi: cfr. Gentili, Lo spettacolo, cit., p. 9, che segnala « un'antologia di prologhi euripidei dall'Archelao, da11'Alcmena e forse dall' Ipsipile » in PHamb n8 a-b e II9. Per modi simili a quelli usati nel Bembino per evidenziare parti speciali di testo (quelle in versi) nell'edizione tar­ doantica della Consolatio di Boezio, cfr. F. Troncarelli, Boethiana aetas. Modelli grafici e fortuna manoscritta della "Consolatio Philosophiae" tra IX e Xli secolo, Alessandria, Ediz. dell'Orso, 1987, pp. 38 sgg.: particolarmente interessante è l'osservazione (p. 45) che « in tutto il medioevo, le liriche boeziane hanno goduto di una fortuna autonoma ri­ spetto alle prose, circolando separatamente in raccolte di inni, salmi, metri varii, mu­ sicate perfino, come se si trattasse di ritmi liturgici . . . » (circa Terenzio, al riguardo, cfr. oltre, n. 132.).

CESARE QUESTA - RENATO RAFFAELLI In conclusione, possiamo ravvisare nel Bembino un insieme di segni, un piccolo ma coerente sistema, grazie al quale alcune carat­ teristiche tecnico-librarie del ms. e i testi in esso presentati risulta­ no correlati in modo organico: tale sistema si fonda sull'uso di par­ ticolari accorgimenti grafici che assurgono a veri e propri tratti di­ stintivi, con la funzione di contrassegnare, 'graduandole', le diverse specie di testi cui sono applicati. Le extratestualità di didascalie e perioche appare marcata da al­ meno tre di questi tratti: 1) il modulo della scrittura, che è ridotto rispetto a quello del te­ sto 'vero' ; 2) l'assenza dei titoli correnti; 3) lo stacco {mutamento di facciata) da quanto precede e segue, e la centratura nella pagina. Tra didascalie e peri oche, poi, la distinzione, oltre che dallo stac­ co di due linee vuote e dal titolo {in rosso) della peri oca, è creata dal fatto che le prime, come l'indice pliniano e come in genere i colofoni,92 sono scritte con alternanza di righe in rosso e di righe in nero e, ancor piu, dalla loro immediatamente evidente impagi­ nazione 'epigrafica' : pur se collocate sempre assieme nella stessa facciata, anche didascalia e perioca si distinguono dunque fra loro di primo acchito. Quanto ai prologhi, si può parlare per essi di 'testualità relati­ va' : 93 nei prologhi, infatti, sono presenti tratti in comune con il te­ sto 'vero' {che dunque li oppongono a didascalie e perioche) e trat92. Il cui livello di extratestualità è totale, tanto che per essi è frequente l'uso di un tipo di scrittura d i v e r s o da quello del testo (che è il segno piu forte di extratestuali­ tà: si pensi solo, per es., alle speciali scritture riservate agli scolii, presenti del resto nel­ lo stesso Bembino ), come avviene per es. nel Plinio della Morgan Library (colofoni in capitale - e di modulo molto grande - e testo in onciale); lo stesso accade spesso an­ che per i titoli correnti (ancora nel Plinio Morgan, per es., i titoli correnti sono in capi­ tale, di modulo assai ridotto). Aggiungo qui, riguardo al Bembino, che, circa il modulo ridotto della scrittura di didascalie e perioche, lo scarto rispetto alla norma risulta par­ ticolarmente significativo se si tien conto del fatto che colofoni e titoli correnti, che pure molto spesso nei codici tardoantichi sono scritti rispettivamente in modulo maggiore e minore rispetto a quello del testo (lo abbiamo appena visto nel Plinio Morgan), sono invece nel Bembino dello stesso modulo del testo. 93· Ovvero, da opposto punto di vista, ma forse con minor precisione (il modulo di scrittura è quello del testo), di 'extratestualità relativa'.

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DALLA RAPPRESENTAZIONE ALLA LETTURA ti in comune con didascalie e perioche (che invece li oppongono al testo vero): 1) identità del modulo di scrittura con il testo; 94 2) presenza dei titoli correnti (come sempre avviene nel testo); 3) stacco (muta­ mento di facciata) da quanto precede (didascalia e perioca) e da quanto segue (il testo delle commedie), e, soprattutto, ripartizione equilibrata e c e ntratura nelle pagine, che nettamente li con­ trappone al testo 'vero'.95 Questo sistema di presentazione differenziata di testi diversi, che può apparire abbastanza sofisticato, risponde tuttavia a precise esigenze comunicative. Si tratta, però, di un tipo di comunicazione non verbale e rivolta, ormai, non piu al pubblico naturale del testo di teatro, ma soltanto ad un pubblico di lettori avvertiti ed esigenti: capaci appunto di richiedere, o comunque di apprezzare, modi di presentazione del testo di sofisticata funzionalità. Seguire il flusso dei rhytmi comici, nell' età di Sidonio, non doveva essere sempre facilissimo: è molto nota una testimonianza di Pri­ sciano, di poco successiva, sull'esistenza di manoscritti la cui colo­ metria era stata sconvolta dall'imperizia dei copisti ( GLK m p. 426 10: e cfr. piu ampiamente sopra, n. 70). Ma se avevano davvero sotto gli occhi un libro simile al Bembino, la lettura del pupillo e di Si­ donio era sicuramente agevolata dalla bontà della tradizione colo­ metrica ereditata da questo ms. e dalla complessivamente buona presentazione che esso ne reca. Nella tav. 7 (f. sBr) se ne può avere una prova. In questa pagina sono scritti i vv. 202-23 del Phormio e il lettore avverte subito che il 94· E non poteva essere che cosi, essendo anche i prologhi, dobbiamo sottolinearlo ancora, scrittura di Terenzio. 95. Il Bembino, e per il suo alto livello qualitativo e per la facilità con cui le varie parti del corpus terenziano si prestavano ad essere sistemate organicamente nel libro, è certo un pezzo con caratteristiche peculiari, ma è anche un prodotto esemplare del momento della tecnica e della civiltà libraria cui appartiene. Molti dei tratti che ab­ biamo in esso individuati, in gran parte certo risalenti ad usi anteriori, li abbiamo in­ fatti riscontrati anche negli altri mss. qui presi in esame: cosi l'assenza di titoli corren­ ti, che distingue anche le pagine con le didascalie del Plauto Ambrosiano e quelle con l' index del Plinio Morgan, e la centratura nelle facciate, che marca nei due mss. questi medesimi testi.

CESARE QUESTA - RENATO RAFFAELLI loro incolonnamento non è uniforme: i vv 202-15 sono scritti in­ fatti a partire dalla p rima delle due linee verticali di contenimen­ to del margine di sinistra,96 mentre i vv 216-23 (gli ultimi otto) so­ no incolonnati un po' piu a destra, a partire dalla s e c o n d a delle li­ nee verticali del margine di sinistra. Questa diversità di impagina­ zione non è senza motivo: i vv 202-15, quelli scritti a partire dalla prima linea verticale, sono settenari trocaici; gli ultimi otto versi (216-23) , quelli scritti iniziando un po' piu a destra, dalla seconda li­ nea, sono invece senari giambici. Questa opposizione fra i senari giambici, da una parte, e i settenari trocaici e gli altri 'versi lun­ ghi' 97 dall'altra, è la prima e fondamentale del sistema che gover­ na la presentazione metrica del testo terenziano e, talvolta anche meglio delle nostre moderne edizioni, permette al lettore di di­ stinguere tali versi a prima vista, sia che in una medesima pagina stiano insieme versi lunghi e senari, come appunto nel f. 58 r, sia che in una pagina ci siano solo versi lunghi, oppure soltanto senari.98 Un altro esempio di questa presentazione del testo possiamo ve­ dere nel f. 88r (tav. 8). Anche qui abbiamo alcuni senari giambici (i primi sedici versi: Hecyra soo-rs) seguiti, dopo l'intestazione di nuova scena,99 da alcuni versi lunghi (s r6, 517. 519, 521, 522: ottonari .

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96. La rigatura, fatta a secco, è - come abbiamo accennato - a venticinque linee orizzontali delimitate, sia nel margine di sinistra che in quello di destra, da una dop­ pia rigatura verticale, il cui uso, nei piu antichi codici latini, è funzionale all'impagina­ zione dei testi ospitati: la doppia rigatura si trova infatti in codici che contengono testi polimetri, come appunto il Palinsesto Ambrosiano di Plauto {e ifolia Ambrosiana delle tragedie di Seneca: cfr. oltre, pp. 214-15) e il Bembino di Terenzio, oppure {ed è il caso piu frequente} testi biblici scritti per cola et commata o altri testi che recano frequenti ci­ tazioni segnalate con la rientranza (eisthesis) : su questi problemi cfr. Raffaelli, La pagi­ na, cit., passim. 97- Sulla legittimità di raggruppare sotto questa definizione settenari e ottonari giambici, trocaici e anapestici, in opposizione ai senari, un elemento decisivo mi pare rappresentato proprio dalla sistemazione istituzionalizzata che di questi gruppi di versi dànno l'Ambrosiano di Plauto e il Bembino di Terenzio {sulla questione cfr. an­ che H.D. Jocelyn, in « CR », a. xxxiv 1984, pp. 239 sg. e n. 1). 98. Questo è reso possibile dalla distanza considerevole che separa le due linee della rigatura verticale: cosi è nettamente diverso il colpo d'occhio offerto da una pa­ gina tutta di senari {per es. il f. 54 r, tav. 5: si dovrà in questo caso prescindere dagli scolii che circondano il testo} e quello di una pagina tutta (o quasi} di versi lunghi (cfr. per es. il f. 104 r, tav. 12} . 99. Sui titoli di scena, e su questo in particolare, cfr. oltre, pp. 194-96.

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DALLA RAPPRESENTAZIONE ALLA LETTURA e settenari trocaici): e anche qui i senari sono scritti piu all'interno, a partire dalla seconda linea verticale, mentre i versi lunghi inizia­ no piu a sinistra, dalla prima linea. Non tutti, però: Hec. 518, pur es­ sendo un settenario trocaico (fta corrfpuit dérepénte tacitus sése ad flliam ), non è incolonnato come gli altri versi lunghi che lo attor­ niano, ma è scritto dalla seconda linea, come se fosse un senario. Si tratta chiaramente di un errore, ma non di un lapsus involontario: questo verso è stato scritto piu a destra perché è materialmente piu corto degli altri: chi per primo lo ha sistemato cosi non era in gra­ do o comunque, evidentemente, non giudicava questi versi (o al­ meno alcuni di essi) sulla base della loro scansione, ma si lasciava condizionare (e sviare) dal loro aspetto, dalla loro materiale brevi­ tà. Errori di questo tipo si trovano nel Bembino in numero abba­ stanza consistente: essi sono sufficienti a mostrare che, nell' oppo­ sizione fra senari e versi lunghi, si era già formata qualche crepa: minime cose, tuttavia, rispetto alla sostanziale fedeltà con la quale nelBembino è conservata questa opposizione, che nel sistema del­ la presentazione metrica del testo è, come s'è detto, quella fonda­ mentale, ma non l'unica. Nel medesimo f. 88r {tav. 8), in mezzo ai versi lunghi, è presente anche un versetto molto piu breve, Hec. 520 (dfcam non edepol scio: quaternario trocaico catalettico), che è collocato molto piu a de­ stra, anche rispetto alla linea dei senari, iniziando quasi verso il centro della pagina. Non si tratta di un caso isolato. Oltre all' oppo­ sizione principale, quella tra senari e versi lunghi, nel Terenzio Bembino ne è presente un'altra, secondo cui ai versi lunghi e ai se­ nari sono opposti i versetti piu brevi, le clausulae.1 oo Siamo dunque di fronte a un sistema ternario {versi lunghi l senari l clausulae), di origine assai antica, che ha la funzione di agevolare primo obtutu il lettore, dandogli immediatamente le coordinate principali per mo. Il termine clausula è qui usato nella vasta accezione che ne davano gli antichi:

cfr. Questa, Numeri, cit., pp. 131 sgg. Segnalo che, anche per agevolarne la distinzione,

mentre le clausulae sono qui riportate in normali caratteri minuscoli corsivi, dividen­ do le parole e fornendole di apici per la scansione, le code dei versi bipartiti saranno invece trascritte i caratteri maiuscoli, senza divisione di parole.

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CESARE QUESTA - RENATO RAFFAELLI orientarsi in un testo che, dal punto di vista metrico, è abbastanza complesso e cangiante. Questo delicato sistema di presentazione metrica del testo, come si sa, ha un perfetto parallello nel Palinse­ sto Ambrosiano di Plauto, in cui, come è stato indicato,101 è ravvi­ sabile - almeno in certe sezioni - un originario sistema quaterna­ rio, che deriva dalla maggiore varietà metrica del testo plautino, i cui numeri innumeri non trovano che un pallido riscontro in Teren­ zto. A questo sistema originario, sia nell'Ambrosiano, sia nel Bembi­ no, si venne ad aggiungere anche un altro elemento, fonte di non poche confusioni e perturbazioni: la bipartizione dei versi lunghi. Torniamo al f. s8r (tav. 7) : come si vede, parecchi settenari trocaici arrivano molto in là, nel margine esterno, tanto che per alcuni di essi è stato necessario andare a capo: INMVTARIER (v. 206), B ETQVI DEMEGO r OPSECRO (v. 209), r QVIDSIC A SATEST (v. 21I) sono infatti le 'code' spezzate di versi che sarebbe stato troppo faticoso o impos­ sibile sistemare su una sola riga. Nel nostro f. s8r la sistemazione di queste code di versi bipartiti, tutte spostate verso il margine estremo della pagina, è tale da non ingenerare confusioni. Purtroppo, però, le cose non sono andate sempre cosi: nel ms. troviamo infatti che, tra la collocazione che dovrebbe essere propria delle clausulae (un' eisthesis abbastanza marcata, ma che n o n va oltre la metà della pagina: cfr. Hec. 520 nel f. 88r: tav. 8) e quella che dovrebbe essere invece propria delle code (un' eisthesis molto piu marcata, che va ben oltre la metà della p agi­ gina: cfr. Phor. 206, 209 e 2n nel f. 58 r: tav. 7), la confusione c' è stata, ed è andata anche parecchio avanti. Nel Bembino non mancano infatti casi in cui le clausulae sono disposte nell' eisthesis che dovreb­ be invece essere tipica delle code: cfr. per es. nel f. 92 v (tav. 9) Hec. 73 1, un quaternario giambi co catalettico (adgrédiar Bdahis salve) che è collocato tutto nella seconda metà della pagina, e dunque n o n nella posizione che avrebbe dovuto esser sua, ma in quella delle code. E neppure mancano i casi opposti, cioè code di versi lunghi bipartiti disposte come se si trattasse di clausulae, con un' eisthesis 101.

Questa, Numeri, cit., pp. 154 sgg.

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DALLA RAPPRESENTAZIONE ALLA LETTURA meno rilevata: cfr. per es. nel f. 69 r (tav. 10) Phor. 737 (ottonario tro­ caico bipartito: MAGISCOGNosco) , 739 (settenario trocaico biparti­ to: 8 ETMEVMNOMENNOMINAT) , 744 {ottonario giambico bipartito: ISTVCDENOMINE) . Particolarmente significativi sono poi i casi in cui troviamo assieme, nella medesima pagina, bipartizioni e clausu­ lae collocate nello stesso modo, senza che tra esse, dunque, sia fatta alcuna distinzione: per es. nel ( 95r (tav. n) la coda di Hec. 846 {sette­ nano trocaico bipartito: r EVMQVEMOLIMEIDEm) e il versetto Hec. Bso (:: at ego scfo :: quid? :: nihilo enim: quaternario trocaico cataletti­ co) sono disposti entrambi a partire dallo stesso punto, con un' eist­ hesis di un tipo che avrebbe dovuto invece essere usato solo per il secondo. A favorire la diffusione di questi errori e di questi scambi è stata senz' altro una serie di cause concomitanti: il numero abbastanza ridotto delle clausulae rispetto a quello degli altri due gruppi del si­ stema, i senari giambici e i versi lunghi; e, in parte dipendente da questo, l'assenza di un supporto concreto e sicuro di una specifica rigatura cui appoggiarsi, che viceversa è stato senz' altro un ele­ mento importante nel favorire la buona conservazione dell' oppo­ sizione tra versi lunghi e senari; infine, nel Bembino, un elemento decisivo nell'agevolare la confusione tra clausulae e bipartizioni è stata la evidente tendenza del copista a u n i fo rmar e nella singola pagina la collocazione di queste che, per lui, erano solo porzioni ri­ dotte di testo, sia che si trattasse di versetti piu corti, sia di code di versi lunghi spezzati. Sfogliando il ms., pagina dopo pagina, trovia­ mo infatti che in ciascuna di esse le eistheseis sono sempre del me­ desimo tipo (l'incolonnamento, cioè, è fatto secondo la medesima normale) sia che si tratti solo di bipartizioni (cfr. per es. il f. 58 r: tav. 7) , sia che si tratti, invece, di bipartizioni e di clausulae assieme (cfr. per es. il f. 95r: tav. n) : come abbiamo accennato, per il copista del Bembino, in questo, sembra ormai solo valere la composta e artifi­ ciosa eleganza della si n g o l a pagina. 102 Due volte soltanto travia102. Un altro aspetto che mostra la cura del copista per l'eleganza della pagina è nella scrittura piu larga che egli usa spesso nel vergare i primi tronconi di versi bipar­ titi (cfr. per es. Hec. 846, ancora nel f. 95 r, tav. n; cfr. anche Phor. 737 e, soprattutto, 739 e

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CESARE QUESTA - RENATO RAFFAELLI mo in una stessa facciata eistheseis non allineate secondo la medesi­ ma normale, e sorge allora il sospetto che in questi casi il copista possa aver riprodotto passivamente il modello: uno di essi (f. 51 v) è però poco significativo; 103 molto significativo può invece essere l'altro. Si tratta del f. 104r (tav. 12) , in cui la coda di un ottonario giambico bipartito (Ad. 3II: MIHIOBVIAM) è nell' eisthesis meno rile­ vata che dovrebbe marcare le clausulae, mentre, sette righe piu sot­ to, la clausula Ad. 317 ( ut cérebro dfspergat viam : quaternario giambico) è nell' eisthesis profondissima che dovrebbe marcare le code: il con­ trario esatto di ciò che avrebbe dovuto essere. Segno, forse, che la confusione tra queste eistheseis era già progredita p ri m a del Bem­ bino. Un accorgimento indispensabile alla lettura dei testi scenici è l'indicazione della ripartizione delle battute tra i vari personaggi. Nel Bembino, come pure negli antichi codici plautini, 104 il sistema adottato per questo scopo è quello delle sigle greche abbinate ai ti­ toli di scena: si veda per es. nel f. 54 v (tav. 6) l'inizio della prima sce­ na del Phormio. Sotto il titolo corrente (PHORM) , abbiamo il titolo di scena disposto su due righe: sulla prima, la sigla greca B, in rosso, seguita dal nome DAVVS, in nero: sotto, in rosso, il ruolo scenico: SERVVS. A capo del primo verso (Phor. 35) , fuori della seconda linea verticale da cui cominciano i versi del monologo di Davo (sono se744 nel f. 69r, tav. w) : un particolare, oltretutto, che sembra indicare che le bipartizio­ ni erano già nel modello del Bembino (cfr., con maggiore approfondimento, Raffaelli, Ricerche, cit., pp. 172 sgg.). 103. In questa pagina la coda di Haut. 1010 (ottonario giambico) è in eisthesis molto profonda e, nove righe piu sotto, il quaternario giambico Haut. 1019 è in un' eisthesis piuttosto profonda, ma non quanto quella della coda di Haut. 1010: il quaternario, tuttavia, già cosi com'è collocato, arriva molto in là verso il margine di destra e, se fosse stato posto nella stessa eisthesis di Haut. 1010, non sarebbe piu entrato tutto su una linea. 104. Il sistema delle sigle greche, o 'algebriche', era certamente usato nel prearche­ tipo dei codici Palatini di Plauto e ne restano abbondanti tracce almeno in certe zone del ms.B {su essi cfr. oltre,pp. 205-8 e n. 122). Presenza di sigle algebriche quasi del tut­ to evanide, perché in rosso, ha notato Studemund nel Palinsesto Ambrosiano, in cui saranno state istituzionali. Anche nei Calliopiani di Terenzio non mancano prove del­ la presenza di sigle nel loro progenitore comune (cfr. soprattutto la dissertazione di Wahl, cit. a n. 105). 19 4

DALLA RAPPRESENTAZIONE ALLA LETTURA nari giambici), compare di nuovo il siglum greco B, che, come ab­ biamo visto indicato dal titolo di scena, qui designa appunto il ser­ vo Davo. Piti sotto, finito il monologo di Davo (Phor. 35-50) , trovia­ mo il titolo della nuova scena, in cui, assieme a Davo, compare an­ che l'altro servo Geta. L' intitolazione segue sempre lo stesso sche­ ma, con le sigle greche (r per Geta, di nuovo B per Davo) in rosso seguite dai nomi, in nero, sulla prima riga, e, sulla riga seguente, i moli in rosso (in questo caso, visto che il molo è il medesimo, si evita di ripetere: SERVI n ) . Nel primo verso di questa nuova scena (Phor. 51) il testo è ripartito in tre battute, e le sigle greche r (a capo), B e di nuovo r (interne), spiccanti perché in rosso, informano chiara­ mente il lettore che è Geta (r) a dire SIQVISMEQVAERETRVFVS, che è Davo (B) a interromperlo e a replicare subito PRAESTOSTDESINE, e che, di nuovo, è Geta (r) ad esclamare OH e a proseguire per una buona parte del verso seguente, prima che la battuta passi di nuovo a Davo (fine del v. 52: B ACCIPEEM) . Come accennavamo, le sigle so­ no strettamente collegate con i titoli delle singole scene. Per es. nel f. 88r (tav. 8: Hec. 500-522) abbiamo, dopo Hec. 515, il consueto titolo SU due righe: MYRRHINA B PHIDIPPVS e, SOttO, rispettivamente MVLIER e SENEX. I successivi versi 516-521 appartengono a Mirrina e il primo di essi è infatti preceduto dal siglum , fuori della rigatura. L'ultimo verso della pagina (Ree. 522) appartiene invece a Fidippo, ed è giustamente preceduto dal siglum B. Se ora risaliamo all'indie­ tro nella prima metà della pagina, alla parte di testo in senari che precede il nostro titolo di scena, troviamo usato anche qui il siglum B (per es. a capo dei vv. 503, 505 ecc.): ebbene, ciò non ci auto­ rizza a credere che anche qui le battute cosi contrassegnate appar­ tengano a Fidippo. Dobbiamo invece risalire piti indietro, fino ai titoli che sono all'inizio di questa scena, nei ff. 86 v e 87r, ove trovia­ mo l'intestazione pertinente:

B LACHES SENES

A PHIDIPPVS II

r PAMPHILVS ADVLESCENS

Dunque la sigla B, che nella scena 516 sgg. designa Fidippo, nella scena precedente (451 sgg.) designa invece Lachete. Di piti, il me­ desimo Fidippo, che è presente anche nella scena 451 sgg., in que-

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CESARE QUESTA - RENATO RAFFAELLI

sta è indicato con la lettera A. La conseguenza, in apparenza para­ dossale, è che nel nostro f. 88r (tav. 8), e dunque nella medesima pa­ gina, la stessa sigla (B) designa due diversi personaggi e, inoltre, il medesimo personaggio, Fidippo, è indicato in due modi diversi: prima con la sigla A e poi con la sigla B. Ma il paradosso in fondo è solo apparente: il testo è predisposto per un lettore che, com'è ov­ vio, ne faccia una lettura progressiva ma che, nello stesso tempo, può sempre tornare indietro: e cosi questo sistema 'algebrico' di si­ gla, che può anche apparire macchinoso, si rivela in realtà abba­ stanza pratico alla prova della lettura. tos Nei manoscritti terenziani della famiglia cosiddetta Calliopiana, a monte della quale c'è stato sicuramente un codice per vari aspetti simile al Bembino, che cosa è rimasto di queste caratteristiche ma­ niere di presentare i testi scenici? Abbastanza poco, dobbiamo dire. Circa la presentazione metrica del testo, per es., anche i manoscrit­ ti che conservano meglio la colometria hanno di norma abolito il sistema di ektheseis ed eistheseis che - salvo errori - permetteva di di­ stinguere subito le principali specie di versi, ed hanno tutto unifor­ mato collocando i vari versi secondo un unico incolonnamento. E tuttavia, a ben guardare, non mancano dei riscontri, a volte assai in­ quietanti, altre volte davvero sorprendenti: l06 e, almeno finora, questi riscontri sono apparsi piu frequenti con mss. del gruppo dei Calliopiani cosiddetti 'figurati', e in particolare con uno di essi, il Paris. lat. 7899. Ne daremo qui due esempi, uno riguardante la pre­ sentazione metrica del testo e l'altro l'impaginazione dei prologhi. Come abbiamo già indicato, nel Bembino non mancano casi in cui dei versi lunghi sono stati sistemati per errore come se fossero senari. Cosi Hec. 518 nel f. 88r (tav. 8), ed anche Hec. 736 nel f. 92v (tav. 9): pure in questo caso il verso, un settenario giambico in 105. Su tutta la questione dei sigla e dei titoli di scena cfr.J.Andrieu, Le dialogue anti­ que. Structure et présentation, Paris, Les Belles Lettres, 1954; B. Bader, Szenentitel und Sze­ neneinteilung bei Plautus, Diss. Tiibingen, 1970; K.-U. Wahl, Sprecherbezeichnungen mit griechischen Buchstaben in den Handschriften des Plautus und Terenz, Diss. Tiibingen, 1974; Questa, Numeri, cit., pp. 161 sgg. 106. Vd. Questa, Numeri, cit., pp. 402 sgg., circa la fedeltà di alcuni fra i Calliopi:mi nella conservazione dell'antica presentazione del canticum di tipo plaurino di Ad. 610-17-

DALLA RAPPRESENTAZIONE ALLA LETTURA mezzo ad altri settenari giambici, è stato collocato come se fosse un senario non per pura svista, ma perché materialmente piu corto degli altri. C'è inoltre un numero piu ridotto di casi {sono quattro in tutto) in cui un verso lungo, sempre per la sua materiale brevi­ tà, è stato erroneamente collocato non già come un senario, cioè a partire dalla seconda linea verticale, ma addirittura piu in là, in eisthesis, nella posizione istituzionalmente riservata alle clausulae. Se ne può vedere un esempio nel f. ro3 v (tav. 13) in cui Ad. 303 (vfs egéstas fniustftia solitudo infamia ) , un settenario trocaico in mezzo ad altri versi lunghi, è appunto sistemato in eisthesis, come se fosse una clausola. Soffermiamoci ora sul Paris. lat. 7899 (P) che, come abbiamo ac­ cennato, appare il piu importante dei Calliopiani in fatto di colo­ metria e di conservazione di antiche caratteristiche della medesi­ ma. In esso Ad. 302-303 sono scritti cosi (f. 205r: diamo il testo divi­ dendo le parole) : Tot res repente circumuallant unde emergi non potest uis egestas iniustitia solitudo infamia

I due versi lunghi 107 sono dunque sistemati come se si trattasse di un unico verso, 108 e come un solo verso, pur se in modo un poco differente, i due versi sono sistemati anche in F: 109 Tot res repente circumuallant unde emergi uis egestas iniustitia solitudo infamia I07- Ad. 302 (Tot-potest) è un ottonario giambico e Ad. 303 (uis-infamia) è, come s'è detto, un settenario trocaico. ro8. Come è mostrato dalla mancanza della maiuscola iniziale e dall' eisthesis molto pronunciata della seconda riga, nonché dalla stessa posizione di uis in fondo alla pri­ ma riga: essa infatti si spiega non tanto supponendo lo slittamento di una parola breve dal v. 303 al v. 302, ma appunto col fatto che il copista ha preso per un tutto unico il te­ sto da Tot a infamia e lo ha distribuito su due righe come gli è parso piu opportuno: ul­ teriore conferma è la situazione di F, su cui cfr. oltre. 109. Milano, Bibl. Ambros., H 75 inf. Diamo sempre il testo dividendo le parole e sciogliendo comunissime abbreviazioni (f. 62 v); va inoltre segnalato che non potest, in un primo momento omesso, è stato aggiunto a margine con un segno di richiamo dal copista o comunque da mano coeva. Anche qui la seconda riga, pur non coincidendo né col Bembino, né col Parisino, è scritta senza maiuscola iniziale e in lieve eisthesis: è stata dunque considerata continuazione del verso precedente.

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CESARE QUESTA - RENATO RAFFAELLI Nes suno di questi manoscritti ha tendenza ad accoppiare versi lunghi: molto spesso, invece, e in modo particolare P, essi accop­ piano le sequenze verso lungo + quaternario perché le clausulae, anche negli antichi esemplari da cui discendono i Calliopiani, era­ no originariamente in eisthesis, come nel Bambino, e i copisti me­ dievali le scambiarono quasi fatalmente per code di versi bipartiti. Si comprende bene, quindi, come la situazione di P e di F possa rappresentare il vestigio di una presentazione del testo perfetta­ mente coincidente con quella del Bembino, in cui, come s'è visto (f. 103 v: tav. 13), il settenario trocaico Ad. 303 è appunto collocato erroneamente in eisthesis, come se si trattasse di una clausula. Passiamo ora all'altro esempio, che riguarda i prologhi. Nel Bembino, mutilo dell'inizio, non possiamo piu leggere, come s'è detto, il prologo dell'Andria. Ricostruire come esso potesse esservi impaginato, grazie a quanto sappiamo sulla tecnica della centratu­ ra, può sembrare una cosa quasi oziosa ma, come subito vedremo, forse non è cosi. Se il Bembino, come tutto autorizza a pensare, aveva lo stesso numero di versi che recano i Calliopiani,tto e cioè ventisette, cui è da aggiungere come sempre il titolo PROLOGVS su una linea a sé, queste ventotto righe scritte dovevano essere distri­ buite su due pagine. Piu precisamente, la prima pagina doveva pre­ sentare: righe 1-5: vuote; riga 6: PROLOGvs; righe 7-19: An. 1-13; ri­ ghe 20- 25: vuote. E la seconda pagina doveva avere: righe 1-5: vuo­ te; righe 6-19: An. 14-27; righe 20-25: vuote. Basterà, per ora, fissare bene tre punti: a) l'ultimo verso contenuto nella prima pagina doveva essere il V. 13; b) dopo questo verso, nella prima pagina, dovevano restare sei righe vuote; c) nella pagina successiva il primo verso, naturalmente, doveva essere il v. 14. no. Quello dell'Andria è tra i pochi prologhi terenziani in cui non vi sia certezza o fondato sospetto della presenza di versi interpolati o di gravi lacune o comunque di guasti di rilievo: nulla dunque ci induce a pensare che il testo del Bembino (salvo na­ turalmente varianti di circoscritta entità) dovesse differire da quello dei Calliopi:mi quanto al nume r o dei versi.

DALLA RAPPRESENTAZIONE ALLA LETTURA Descrivendo il Paris. lat. 7899, il nostro P, Franz Umpfenbach segnalava puntualmente che in questo ms. (rigato, come il Bembi­ no, a venticinque linee per pagina) al f. 3 v c'è upa strana lacuna: vi sono scritti, infatti, i primi 19 versi del prologo dell'Andria, ma con uno spazio di sei righe lasciato vuoto tra il v. 13 e il v. 14. 111 Il ( 3 v di P è riprodotto nella nostra tav. 14 e da essa si può vedere, oltre quanto affermato da Umpfenbach, come sia il v. I, sia il v. 14 inizino con una lettera di modulo molto pili grande di quelle, anch'esse maiuscole, che sono usate normalmente nel codice ad inizio di verso. È da notare, inoltre, che tra il v. 13 e il v. 14 non c'è alcuna pausa sintattica, ma anzi l'interruzione tronca bruscamente il di­ scorso, 1 12 e che le sei righe vuote non possono in alcun modo giu­ stifìcarsi con la presenza delle illustrazioni, perché queste non si trovano mai in mezzo ai prologhi o all'interno di scena, ma s e m p r e prima dei prologhi e ad inizio di scena; per di piu, lo spa­ zio di sei linee è assolutamente insufficiente ad accogliere un'illu­ strazione, poiché queste occupano sempre n�l manoscritto uno spazio notevolmente piu esteso. 11 3 Questo vuoto apparentemente inspiegabile può tuttavia trovare una fulminea spiegazione se gli si accosta ciò che abbiamo prece­ dentemente osservato circa la ricostruzione dell'impaginazione del prologo dell'Andria nel Terenzio Bembino. Secondo tale rico­ struzione, abbiamo appena visto che l'ultimo verso contenuto nella prima facciata doveva essere il v. 13, dopo il quale dovevano restare s e i righe vuote, e che il p rimo verso della facciata succes­ siva doveva essere, naturalmente, il v. 14. 1 1 4 Non si può negare, a III. « Prologi (sdl. Andriae) uersus I9 priores scripti sunt, spatio sex uersuum inter u. I3 et I4 uacuo relicto •: P. Terenti Comoediae, ed. F. Umpfenbach, Berolini, Weid­ mann, 1870, p. xxv. 112. Nessuno dei due versi cosi separati (quae conuenere in Andria m ex Perinthia lJate­ tur transtulisse atque usum pro suis) ha autonomamente senso compiuto. 113. Nel codice, come capita, non mancano parti di pagina lasciate vuote per le illu­ strazioni e rimaste tali: alcuni esempi sono discussi in Raffaelli, Prologhi, cit., p. IOO n. I94 (particolarmente interessante, per noi, il caso dei ff. 39 v e 40 r, in cui le ultime otto righe del primo sono rimaste vuote perché insufficienti a contenere l'illustrazione della scena seguente, che infatti è contenuta nelle prime ttedici righe del secondo). II4. Come s'è accennato, in P anche il v. I4, come il v. I, ha una lettera maiuscola

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CESARE QUESTA - RENATO RAFFAELLI questo punto, che la serie delle coincidenze risulti davvero molto inquietante. Ritorniamo, per concludere questo capitolo, al Bembino. Ab­ biamo insistito sul fatto che alcune delle caratteristiche salienti di questo manoscritto sono connesse con la sua destinazione di libro di lettura: un libro che effettivamente dové essere letto ed usato da una non piccola cerchia di persone, due delle quali ancora nel VI sec. lo ricoprirono di annotazioni di vario genere, fatte sempre per accompagnare e rendere piu agevole la lettura. 11 s Questa circola­ zione e quest'uso confermano quanto le caratteristiche testuali e 'editoriali' del ms. ci hanno già insegnato: esso è erede di una tradi­ zione che affonda le sue radici molto lontano, fino all'antichissima edizione di Terenzio. Come per Plauto, tutto infatti lascia credere che anche per Terenzio un tipo di presentazione del testo quale, per es., è possibile ricostruire circa il canticum di Ad. 6ro- I7 sia dal Bembino, sia da alcuni dei Calliopiani, 1 1 6 debba risalire alla fervi­ da attività grammaticale che attorno a questi testi andò dispiegan­ dosi nello scorcio del II e nel I sec. a.C. A questa edizione dovrà ri­ salire, con ogni verisimiglianza, la stessa origine del sistema tema­ rio di presentazione metrica del testo su cui ci siamo soffermati so­ pra, pp. r89-94. Circa poi l'impaginazione dei prologhi, delle pe­ rioche e delle didascalie, dobbiamo constatare che anch'essa pre­ suppone una vigile coscienza grammaticale, pienamente consape­ vole delle speciali caratteristiche e dunque dell'importanza del iniziale di modulo molto grande: ciò può far pensare alla consuetudine di molti dei piu antichi codici latini (fra i quali il Bembino stesso) di far iniziare ogni pagina con una lettera di modulo piu grande: cfr. al riguardo R. Raffaelli, Le lettere di modulo mag­ giore ad inizio di pagina nel Terenzio Bembino {Vat. lat. 3226), in « StudUrb l B3 », a. LVIII 1985, pp. 103 sgg. (va precisato, tuttavia, che le lettere piu grandi, nel Bembino, sono evitate proprio nelle pagine che contengono i prologhi}. ns. Ci riferiamo ai ben noti scholia Bembina, apposti per l'appunto da due mani di­ verse nei margini del ms. (edizione: The Scholia Bembina, ed. byJ.F. Mounrford, Liver­ pool, University Press, 1934). Ci sono inoltte varie correzioni e segni diacritici dovuti a un Ioviales, altrimenti ignoto, che nel VI sec. ha lasciato il suo nome in vari fogli: molte questioni riguardanti le mani correttrici non sono state fìnora affrontate in mo­ do convincente e andrebbero riprese dalle fondamenta: vd., in proposito, le osserva­ zioni di Pratesi, Appunti, cit., p. 84 n. 24. n6. Cfr. ancora Questa, Numeri, cit., pp. 399 sgg. 200

DALLA RAPPRESENTAZIONE ALLA LETTURA prologo terenziano: tuttavia, pur rinviandoci senz' altro all'indie­ tro quanto alla sua origine, nulla in essa ci autorizza a risalire a tempi cosi remoti come quelli cui siamo rinviati dalle caratteristi­ che della presentazione metrica del testo. Quali che siano stati i momenti in cui si sono formati per la pri­ ma volta, resta il fatto che questi modi (o sistemi) di presentazione del corpus terenziano si sono conservati per secoli, perché conside­ rati utili e funzionali alla lettura e alla comprensione del testo. Col tempo, certo, alcuni elementi del sistema hanno subito danni (l'opposizione clausulae l code, soprattutto); altri, forse, hanno go­ duto invece di ritocchi che li hanno ancor piu affinati (ciò è pensa­ bile, per es., circa gli attentissimi dosaggi dei rossi e dei neri). In ogni caso, come già abbiamo accennato, questi sistemi ci si rivela­ no come forme di comunicazione non verbale che si fondano su segni e regole consolidati e tradizionali, e come tali riconoscibili e - a certi livelli - a t t e s i . Forme di comunicazione visiva che, oltre ad accrescere il decoro del libro, nell'insieme e nella singola pagi­ na, con il dono di una ricorrente e ben regolata varietà, permette­ vano al lettore avvertito di percepire, prima ancora di cominciare a leggerli, le specificità dei testi cosi contrassegnati. Sono qualità che dovevano essere assai ricercate e apprezzate: di piu, esse dovevano essere giudicate indispensabili da personaggi come Sidonio Apollinare. Oltretutto, sono un esempio molto si­ gnificativo del rapporto, ancora vitale in età tardoantica, che lega in modo stretto ed organico il libro e il testo. 3.

PER LA STORIA DELLA TRADIZIONE DEI TESTI TEATRALI

Abbiamo visto la formazione di corpora di commedie e tragedie nell'età repubblicana e il funzionamento di uno strumento di let­ tura quale il Bembino, redatto alla fine dell'Antichità quando stava per venir meno quell'aristocrazia ricca e colta - Sidonio Apollinare e Vettio Agorio Basilio Mavorzio sono emblematici - che di siffat­ ta produzione libraria, tanto elegante quanto rigorosa, era la com­ mittente fin dall' età costantiniana. Ma è da dirsi che un manufatto quale il Bembino e quelli che devono essergli avvicinati sono il 201

CESARE QUESTA- RENATO RAFFAELLI punto di arrivo di un itinerario piuttosto complesso e ricostruibile con difficoltà: la piu antica testimonianza manoscritta di un testo teatrale latino (Terenzio) è infatti il poco che resta di un codice pa­ piraceo del IV sec. (cfr. oltre). Che aspetto avranno avuto, per es., gli esemplari da lettura delle commedie di Plauto cui ricorrevano Gellio, Sulpicio Apollinare, Frontone con i suoi regali amici? Si trattava certo di rotoli papiracei, volumina, che recavano il testo, in ciò che riguarda il metro, disposto secondo la griglia di segni vedu­ ta piu sopra: essi la ereditavano dalle èxò6aetç filologiche della tar­ da repubblica, loro progenitrici, perché è certo che grammatici e letterati del II sec. d.C. non erano piu in grado di orientarsi nelle peculiarità della prosodia arcaica e si limitavano a conservare, ma­ gari riordinandolo e 'ripulendolo', il risultato dei lavori dei loro colleghi dell'età di Accio ed Elio Stilone (quanto alla costituzione del testo, resta ancora molto discussa la parte che, nella tradizione dei Comici, poté avere Valeria Probo). Ma i volumina del II sec. d.C. quale altra segnaletica recavano in funzione precipua della lettura? In difetto di documentazione latina coeva, si è pensato che i volu­ mina di autori teatrali greci (i Tragici, Menandro, Aristofane ed al­ tri), anch'essi destinati alla lettura, potessero dare un'idea degli esemplari perduti di Plauto, di Terenzio e, magari, di Ennio tragico. Accettando questa ipotesi, doveva trattarsi di manufatti piuttosto semplici: niente titoli di scena, ma solo sporadiche annotazioni marginali indicanti, senza una regola precisa, il nome del nuovo interlocutore; niente sigla 'algebrici' o a iniziale di nome per indi­ care la divisione in battute, ma solo dicola e paragraphoi; niente uso di rosso e di nero e degli altri accorgimenti 'tipografici' noti al Bembino e ai manufatti apparentati per indicare 'extratestualità' o 'testualità relativa'. Un modo, dunque, di presentare il testo teatra­ le molto scomodo per un lettore e tuttavia attestato per i testi greci già dai frammenti del volumen che conteneva il Sicyonios di Menan­ dro (PSorb 72, 2272, 2273: III sec. a.C., un manoscritto che possia­ mo ritenere contemporaneo alla nascita del teatro regolare latino) fino ai manoscritti di Aristofane di piena età bizantina.1 17 Dev'es117. Cfr. per es. il famoso codice Ravenna, Bibl. Classense 429 (olim 137-4A), non di-

202

DALLA RAPPRE SENTAZIONE ALLA LETTURA sere chiaro, infatti, che nell'ambito degli strumenti di lettura desti­ nati agli autori greci non sono mai esistiti manufatti come quelli a noi noti, o ricostruibili, destinati a Plauto e Terenzio; o, se ci furo­ no, non hanno lasciato traccia. Sorge allora il dubbio che servirsi di libri greci per ricostruire in via analogica l'aspetto e le caratteristiche di quelli latini sia lecito sino ad un certo punto soltanto. Le parti liriche, come già sappia­ mo, erano presentate negli uni e negli altri secondo la tecnica elio­ dorea; le singole commedie potevano essere precedute da didasca­ lie e/o peri oche e magari da un elenco dei personaggi accompa­ gnati dai loro ruoli scenici (ma questo elenco non è attestato, né ri­ costruibile per i nostri manoscritti plautini e terenziani: i Terenzi illustrati sono, anche in questo, un fenomeno a sé). Ma accanto a questi tratti unificanti potevano, e forse dovevano, essercene altri che differenziavano, per es., un volumen della Casina da uno degli Uccelli, nel senso che il volumen dell'autore latino poteva già recare, piu organica e precisa, la segnaletica, poniamo, relativa ai cambi di interlocutore, vuoi usando sigla 'algebrici', vuoi comodi sigla ad ini­ ziale di nome; parimenti, poteva esserci un'indicazione piu accu­ rata dell'inizio delle scene e della presenza, in queste, dei perso­ naggi. Per certo non c'era la divisione in atti (o meglio IJ.ÉP'Il) as­ sicurata, in Menandro e negli autori della véa, dalla annotazione xopou (« del coro ))): essa attesta che, nella rappresentazione, li si aveva l'intermezzo corale che, scaduto d'ogni vera importanza, gli autori non scrivevano piu, restando di volta in volta affidato all' ini­ ziativa (diremmo noi) del regista. Si deve infatti giungere a qual­ che codice italiano di pieno Umanesimo (intorno al 1450) e poi al­ le edizioni a stampa del primo Cinquecento per trovare Plauto e Terenzio divisi in atti, una tecnica drammatica sconosciuta agli auversarnente dai mss. dei Tragici. Naturalmente anche in ambito greco il sistema di se­ gnalare i personaggi con sigle ad iniziale di nome si estese sempre piu, ma esso non mostra di essere mai stato istituzionale (e tanto meno la presenza dei titoli di scena}. Va peraltro notato che già nel papiro del Sicyonios è presente l'bdh:otç dei tetrametri trocaici catalettici, cosi come l'Aristofane ravennate conserva ampia traccia, in certe zone , della presentazione metrica del testo del poeta in base a criteri eliodorei: cfr. so­ pra, pp. 153-56, e Questa, Numeri, cit., pp. 70 sgg. 203

CESARE QUESTA - RENATO RAFFAELLI tori latini 11 8 (libro greco e libro latino, del resto, sembrano diffe­ renziarsi anche circa altri autori: ricerche recenti hanno mostrato che l'uso di scrivere 'rientrato', o tv da�éaet, il pentametro dei di­ stici elegiaci, se non è ignoto ai manufatti greci, sembra tuttavia ca­ ratteristico di quelli latini)_ 11 9 L'ipotesi, insomma, della presenza già in epoca piuttosto alta di una segnaletica piu articolata, pur nel­ la fondamentale unità della tipologia libraria greco-latina, a sua volta espressione esterna di unità culturale e letteraria, è suggerita da due manoscritti che recano Terenzio, residui entrambi di codici papiracei. Il primo (PO:xy xxiv 2401 del IV sec. = CLA Suppl. 1717) non ha particolari pregi testuali (circa l'alter exitus dell'Andria cfr. peraltro sopra, pp. 146-49) ed è piuttosto trascurato circa la colo­ metria. Esso però reca titoli di scena con nomi e ruoli, su due righe, come il Bembino e gli altri mss. dello stesso genere; i cambi di in­ terlocutore, poi, se non sono segnalati dai sigla 'algebrici', mostrano l'impiego dei praticissimi sigla ad iniziale di nome, che nella parte a noi conservata del manoscritto (due fogli) sembra istituzionale (manca tuttavia ogni uso del rosso e del nero) _120 L'altro ms. (PVindob L 103 del IV sec. ex. /Vin. = CLA x 1537), un bifolio, con­ serva ben piu attentamente la divisione in versi (oltre, p. 213), ma anch'esso indica i personaggi con sigla a iniziale di nome e recava titoli di scena: questi però, almeno per quanto è lecito ricostruire, occupavano nel ms. una sola linea scritta e dunque comprendeva­ no o solo ruoli o solo nomi degli interlocutori, a differenza dell'al­ tro reperto papiraceo. I due pezzi sono inoltre accomunati dalla destinazione scolastica: si tratta di libri che circolavano in quelle n8. Cfr. Questa, Parerga, cit., pp. 40-46; 245-69 (e, per piu ampi riferimenti a testi greci, anche tragici, E. Pohlmann, Die Oberliiferungswert der xopoiJ-Vermerke in Papyri und Handschrifien, in « Wiirzb.Jahrbb. », a. m 1977, pp. 69-80); R. Cappelletto, La '/ectura Flauti' del Pontano, Urbino, QuattroVenti, 1988, pp. 229-36. 119. Cfr. Raffaelli, La pagina, cit., pp. 21-24 in partic.; Questa, Il Metro, cit., pp. 38696; A.M. Morelli, Sulla genuinità delpapiro di Gallo, in Disiecti membra poetae, m, Foggia, Atlantica, 1988, pp. 104-19. 120. Nei testi papiracei (volumina o codices) l'uso del rosso sembra del tutto eccezio­ nale: lo si riscontra, per es., nel PAntinoop 29 CLA Suppl. 1708, un codice di Virgilio (un autore latino, dunque) del V sec. (forse della seconda metà), che altre importanti caratteristiche pongono fuori della norma: cfr. Questa-Raffaelli, Maschere, cit., p. 145 con bibliografia. =

204

DALLA RAPPRESENTAZIONE ALLA LETTURA scuole egiziane in cui si imparava il latino e ciò spiega la noncuran­ za per la metrica del POxy 2401. Ma se libri destinati al mercato corrente, insomma economici come si conviene a libri d'uso scola­ stico, mostrano alcuni punti di contatto con le caratteristiche del Bembino (titoli di scena in particolare), ciò può significare che i due papiri terenziani rappresentano in versione corrente ed eco­ nomica, 'scaduta', una tipologia di nobile caratura culturale ad essi preesistente e dunque da collocare piuttosto in alto nel tempo. Ta­ le tipologia, peraltro, non doveva essersi ancora canonizzata appie­ no: potremmo cosi spiegare le differenze, per es., tra le titolature di scena nell'uno e nell'altro codice, mentre l'assenza di sigla 'algebri­ ci' potrebbe essere imputata, piu generalmente, alla destinazione scolastica. La prudenza in ogni caso si impone, ma, in attesa di qualche altro fortunato reperto papiraceo, possiamo ritenere che il passaggio dal volumen al codex e la restaurazione culturale del IV sec. debbano essere stati molto importanti per giungere a quel ca­ none librario che il Bembino ci attesta in modo perentorio, con la conseguente diversificazione tra libro teatrale greco e libro teatra­ le latino. L'aspetto esterno di questo, ereditato mutatis mutandis an­ che dalle copie medievali, informa ancora le nostre edizioni a stampa, si che, per es., basta aprire le edizioni oxoniensi di Plauto e di Terenzio per accorgersi che in esse versi lunghi, senari e clausulae so­ no impaginati - e si oppongono - come nel Bembino, senza dire della necessità di bipartire i versi eccedenti, sulla destra, la 'giustez­ za' della pagina. La tradizione manoscritta di Plauto, come noto, si divide in due rami, dei quali l'uno è rappresentato dal Palinsesto Ambrosiano piii volte citato (A); 121 l'altro da mss. medievali raggruppati sotto 121. Il Palinsesto Ambrosiano reca, naturalmente, le sole commedie varroniane in ordine alfabetico, ma con una singolare variante cui si accenna nel testo (e cfr. anche n. 123). Scritto in capitale al principio del V secolo (vd. anche sopra, pp. 175-78), è copia di un codice piu antico contenente già questa stessa recensione. Secondo l'opinione piu diffusa (Beeson e Lowe), al principio del VII secolo quanto restava del manoscritto sarebbe venuto in possesso dei monaci di Bobbio, i quali ne avrebbero riutilizzato i fogli per scrivervi testi biblici; i dubbi (già di Lowe, poi, però, convinto da Beeson) su questa datazione della scriptura superior e, quindi, sulla 'palinsestizzazione' bobbiese

205

CESARE QUESTA - RENATO RAFFAELLI la dizione di codices Pala tini (P) perché due di essi, un tempo, erano conservati nella biblioteca dell'Elettore Palatino (Heidelberg, oggi Universitatsbibliothek). 122 Ciò premesso, cerchiamo di delineare (l'abbazia, com'è noto, fu fondata nel 614) sono stati però ribaditi da Bischoff, Paliio­ graphie des riimischen Altertums und des abendliindischen Mittelalters, Berlin, Schmidt, 19862, p. II3 n. s: ed effettivamente par difficile considerare questa scrittura piu recente del VI sec. A Bobbio, in ogni caso, il codice rimase per secoli e nel 1603, con altri mano­ scritti già appartenenti alla medesima abbazia, entrò nella Biblioteca Ambrosiana, da poco fondata dal cardinale Federico Borromeo. Angelo Mai si accorse che sotto il te­ sto biblico affiorava un'altra scrittura, che cercò di decifrare rendendola piu perspicua con reagenti chimici (i quali hanno contribuito a rovinare il manoscritto), senza pe­ raltro possedere sufficienti qualità di paleografo e filologo: uno studio completo si ebbe soltanto con il geniale ed eroico W. Studemund (cfr. n. 124). 122. Verso la fine del IV secolo o nella prima metà del V venne redatto un mano­ scritto, esso stesso già copia di un codice ed oggi perduto, che si suole indicare con II. Esso conteneva una recensione del testo diversa da quella dell'Ambrosiano (pur deri­ vando in ultima istanza dalla medesima fonte), con caratteristiche sue proprie sia estrinseche sia intrinseche (ordine delle commedie pur nella sequenza alfabetica, pre­ senza o assenza di certi gruppi di versi, assenza completa di didascalie, ecc.), ma ap­ parteneva alla medesima tipologia libraria di A e del Bembino. Diversamente dal­ l'Ambrosiano, II, pur avendo subito danni durante i secoli bui (perse completamente la Vidularia, ultima commedia, alcuni fogli con parti di Aulularia, Bacchides e Cistellaria; tracce di ampi guasti recano settori della Casina e della Mostellaria) , non fu utilizzato per altri scopi e, ritrovato forse in Francia all'inizio del sec. IX, venne copiato in grafia carolina, andando poi perduto come ormai inutile e difficile a leggersi. Anche il codi­ ce redatto al principio del sec. IX viene indicato con P ed è parimenti perduto, ma ne sussistono i discendenti, di cui ricordiamo i principali: Palat. lat. 1615 (B), il solo codice plautino d'età medievale che conservi le venti commedie (della Vidularia perduta ser­ ba traccia alla fine del Truculentus con la soscrizione PLAVTI TRVCVLENTVs EXPLICIT IN CIPIT VIDVLARIA / VIDVLARIA) ; Varie. lat. 3870 (D) reca Amphitruo Asinaria Au/u/aria, parte dei Captiui e poi Bacchides Mostellaria Menaechmi Miles gloriosus Mercator Pseudolus Poenulus Persa Rudens Stichus Trinummus Truculentus (le cosiddette 'xn commedie'); Pa­ lat. Heidelbergensis lat. 1613 (c), che reca solo le 'xn commedie' (dipende forse diret­ tamente da II un ms. in possesso, nel Cinquecento, di Adriano Turnebo, le cui lezioni ci sono note soltanto indirettamente : T; si noti altresi che fra II e P sembra si debba ipotizzare un intermediario 1t) . Per ragioni complesse, dal sec. XII in poi furono co­ nosciute e sempre piu lette solo le prime 'vm commedie' (Amphitruo Asinaria Aulula­ ria Captiui Curculio Casina Cistellaria Epidicus) , restando ignote le 'xn commedie', ti­ scoperte, fra l'entusiasmo degli umanisti, nel 1428-1429 (cfr. Questa, Parerga, cit., pp. 171-242; Cappelletto, La 'lectura', cit., pp. 187-223). I mss. Palat. lat. 1615 e 1613 furono ri­ trovati in pieno Cinquecento e portati ad Heidelberg (cfr. nel testo), ma durante h guerra dei Trent'anni il duca di Baviera Massimiliano II, conquistata la città, inviò i codici dell'Elettore in omaggio al papa ed essi formano oggi il Fondo Pahtino del­ la Biblioteca Vaticana (dopo la Restaurazione, papa Pio VII restitui alla Biblioteca Universitaria di Heidelberg qualche manoscritto, fra cui il Paht. Heidelbergemis 1613).

206

DALLA RAPPRESENTAZIONE ALLA LETTURA

per sommi capi la storia del testo del poeta dall'età costantiniana a quella di Ottone il Grande. A nostro parere, nella prima metà del IV sec. d.C. fu redatto un codex recante le 21 commedie varroniane, le quali allora per la prima volta passarono istituzionalmente dal vecchio strumento di lettura (volumen) a quello nuovo (codex), di­ sponendosi inoltre in generico ma significativo ordine alfabetico. In questo codice noi identifichiamo il piu antico archetipo (inteso come 'le plus proche commun ancetre') della tradizione mano­ scritta plautina cui si possa risalire; e da quanto diremo speriamo sia chiaro come per archetipo non si intenda una generica formula di concordanza, un ente mentale insomma, ma un ben concreto manufatto, di cui è lecito intravvedere, seppure solo in parte, carat­ teristiche testuali e tecnico-librarie (talora piu le seconde delle pri­ me, né comunque è sempre possibile od opportuna una distinzio­ ne rigorosa). A questo archetipo diamo la sigla Q (cfr. anche oltre, p.

2II) .

Prima e vistosa caratteristica di Q era quella di recare una recen­ sione del testo che, lungi dall'identificarsi con quella ambrosiana o con quella palatina, sta invece all'origine dell'una e dell'altra; inol­ tre Q, come naturale, recava già errori che passeranno in A e in P, vuoi che questi errori fossero nati al momento stesso della scrittu­ razione, vuoi che il codice li ereditasse dai volumina sue fonti. E a questo proposito sarà bene ricordare che Q potrebbe aver avuto un'origine composita: l'ordine delle commedie nella recensione ambrosiana e in quella palatina presenta tratti congiuntivi cosi forti che di necessità siamo rinviati ad un fans communis, cioè al­ l' archetipo Q (lo videro bene Leo e Pasquali); ma è anche vero che, accanto a questi tratti congiuntivi, altri ve ne sono, nello stesso am­ bito, che oppongono A e P in modo tale da lasciar ancora scorgere qualcosa circa la formazione di Q. Infatti la singolare correlazione fra le due tipologie di titoli correnti del Palinsesto Ambrosiano e il mutato susseguirsi, nei Palatini rispetto ad A, di talune commedie potrebbero rinviare al momento in cui Q nacque dall' assemblag­ gio di rotoli appartenenti a capsae diverse e dunque dalle caratteri­ stiche in parte differenti sia sotto il profilo estrinseco sia, in ipotesi, 207

CESARE QUE STA - RENATO RAFFAELLI sotto il profilo intrinseco. 123 Ragioni storico-culturali a tutti note possono aver fatto si che non si disponesse, nel IV sec. ineunte, di una serie completa e univoca delle 21 commedie, ma che fosse ne­ cessario ricostruire il corpus plautino attingendo a fonti costrette a integrarsi a vicenda. Un archetipo, dunque, che potrebbe essere stato variegato e com­ posito nella genesi {si pensi ad osservazioni non troppo dissimili fatte da Cavallo e da Irigoin) e per di piu destinato a sua volta a rifrangersi, di li a poco, nelle due recensioni {A e P) a noi note direttamente: ep­ pure un archetipo concretamente afferrabile, talvolta, con evidenza sconcertante. Sia lecito rinviare al confronto tra Sti. 6os sgg. come ap­ paiono nel Palinsesto Ambrosiano (ff. 699v-7oov) 124 e gli stessi versi come appaiono nel Palat. lat. I6IS, f. 188 r-v. 125 In quello studio si è richiamata l'attenzione sulle singolari, a volte perfette coinci­ denze tra i due manufatti nella scritturazione di versi e parti di ver­ si e nel rapporto che fra essi viene a istituirsi nell'ambito della pa­ gina scritta (cfr. in particolare Sti. 6os, 622, 624, 63s, 637/40). Le ra­ gioni che stanno dietro questi fenomeni ci sono ormai abbastanza note nelle linee generali. Il passaggio dal volumen al codex compor­ tò, come abbamo in parte visto, una serie di 'arrangiamenti' tecni­ co-librari, in particolare nei manoscritti di piu alto livello destinati ad ospitare il testo di Plauto e di Terenzio per la committenza colta. Circa il Bembino abbiamo già detto con larghezza delle difficoltà e dei problemi che agli scriptoria poneva la lunghezza di parecchi stichoi eccedenti la canonica misura esametrica delle 40/4s lettere. Come oramai sappiamo, il problema fu risolto suddividendo gli stichoi longiores in due parti e collocandone il secondo minor tron­ cone (la' coda', come usiamo dire), da solo, nella parte finale della I2J. Cfr. Raffaelli, I titoli, cit., pp. I-IO. Una differenza notevole tra Ambrosiano e Palatini sta nel nome del poeta: il primo usa i tria nomina (T. Maccius Plautus), gli altri soltanto Plautus: cosa avesse Q non è piu precisabile, ma sta di fatto che i tria nomina so­ no senz' altro una sorta di lectio dljfìdlior. I24. Ci riferiamo, naturalmente, all'Apographum di Studemund: T. Macd FlautiJabu­ larum reliquiae Ambrosianae. Codids rescripti Apographum confedt ed edidit G.S., Berolini I889. 125. Cfr. Questa, Numeri, cit., pp. II2-17.

208

DALLA RAPPRESENTAZIONE ALLA LETTURA riga immediatamente successiva a quella ospitante la parte mag­ giore, cosi che esso non avesse a confondersi, in via di principio, con altre breviores porzioni di testo diversamente caratterizzate (quasi sempre versicoli di corta estensione: vd. infatti, sopra, pp. 189-94, certi errori del Bembino). Tale impaginazione è presente in modo vistoso anche nel Palinsesto Ambrosiano e ha lasciato tracce davvero notevoli persino nei gradi piu bassi della tradizione. 126 Stando cosi le cose, mette conto ritenere con attenzione che un manoscritto del V secolo (il Palinsesto Ambrosiano) e uno del X (B, il piu antico e completo dei Palatini), scritti in ambienti e tempi fra loro tanto lontani, testimoni di due diverse recensioni del testo plautino, coincidono in una precisa tipologia di impaginazione; e va ritenuto, inoltre, che la coincidenza si ripete in modo cosi speci­ fico da farci escludere ogni sospetto di mera casualità. La coinci­ denza di A e di B in fenomeni di impaginazione siffatti ci obbliga dunque a risalire ad un comune modello, da identificarsi necessa­ riamente con Q. Si constata allora che questo manufatto - qui e in parecchi altri casi - è ricostruibile non tanto (e comunque non so­ lo) grazie ad errori testuali comuni - talora non databili e semmai meglio idonei a caratterizzare archetipi nel senso di 'formule di concordanza' - quanto grazie a fenomeni implicati dall'allesti­ mento della pagina intesa anche come visualizzazione del testo ai fini di piu perspicua lettura (in questo caso si tratta di 'segnalare' al lettore, anche nei dettagli, nientemeno che la metricità del testo). Possiamo allora proporre due considerazioni:

(a) un determinato tipo di impaginazione, una volta stabilito,

tende a conservarsi non solo nelle linee fondamentali, ma, talora, anche in particolari molto minuti, arrivando, come nel passo dello Stichus richiamato piu sopra, alla vera e propria riproduzione iconi­ ca; fenomeni di questo genere permettono quindi di risalire nei gradi stemmatici e di ricostruire, quanto meno, certe caratteristi126. Cfr. A. Tontini, Bipartizioni di versi plautini nel codice Pal. lat. 1615, in � StudUrb/ B3 •. a. LX 1987, pp. 101-50; Ead., Note sulla presentazione del testo di Plauto nellafamiglia Fa­ latina, in « StudUrb/B �. a. LXI 1988, pp. 229-96. 20 9

CESARE QUESTA - RENATO RAFFAELLI che esterne, tecnico-librarie, del manufatto in cui quel determina­ to tipo di impaginazione è stato introdotto, si deve credere, per la prima volta: ma va da sé che, ricostruite le caratteristiche esterne, si ha un forte aiuto per arrivare a quelle interne, o sia piu specifica­ mente testuali-filologiche. (b) una determinata impaginazione si mantiene, immutata o quasi, anche là dove intervengono rilevanti variae lectiones: proprio lo Stichus abbonda in divergenze tra A e P ed esempi davvero istruttivi sono offerti da certi cantica dello Pseudolus, dove piu d'una volta ci imbattiamo in quelle varianti che Ettore Paratore ha chia­ mato 'da libretto d'opera' : isometriche, talvolta persino isoproso­ diche, sta comunque di fatto che esse si inseriscono sempre entro estremi colometrici che - per nostra fortuna . . . - la concordanza AP ci consente di riportare almeno ad Q. 127 L'editore di Plauto do­ vrà essere pronto a cogliere questa importante possibilità di rico­ struire l'archetipo Q. Inoltre, ricorrendo agli stessi criteri, egli po­ trà ricostruire quel manufatto di epoca piu recente {lo diremmo coevo di A) che è II, il prearchetipo dei Palatini {sopra, n. 122) : dove manca la testimonianza del Palinsesto Ambrosiano non si può giungere, metodicamente, ad Q, la configurazione del quale, in ca­ si siffatti, è per forza congetturale. Sembra inutile avvertire che, na­ turalmente, neanche II è un ente mentale o una formula di con­ cordanza: esso infatti ci si configura come un ben determinato manufatto, la disposizione del testo nel quale è piu volte attingibi­ le in modo concreto. Ciò, sia chiaro, ancora una volta diversamen­ te dai suoi errori o varianti, circa i quali può restare incerto se attri­ buirli, talora, ad Q {'le plus proche commun ancetre' di tutto Plauto) oppure a P {codice del sec. IX, 'le plus proche commun an­ cetre' dei s o li Palatini). La ricostruzione di Q e di II, sempre utile e istruttiva a livello codicologico e di storia del testo, diviene né 127- Cfr. Questa, Numeri, cit., pp. 24-33 e passim. È dunque evidente che, in linea di principio, i redattori delle recensioni {o edizioni) Ambrosiana e Palatina si sono ben guardati dal turbare la colomettia originaria, a loro tramandata, semmai disponendola talora nella pagina in modo differente soltanto dal punto di vista 'tipografico'. Lo stes­ so fenomeno ci documenta la tradizione di Terenzio: cfr. pp. 196-zm e 2II-I3.

210

DALLA RAPPRESENTAZIONE ALLA LETTURA pili né meno che necessaria nell'ambito dei cantica. Sembra accer­ tato che A e II, e quindi il loro archetipo n, ci hanno conservato una buona, talora eccellente immagine dell'antichissima edizione delle commedie di Plauto, contraddistinta, come si è detto piu vol­ te, da un'analisi metrica dei cantica da ritenersi l'unico punto di partenza valido per lo studio di questi (sopra, pp. 158-60). Attingere dunque l'impaginazione delle parti liriche delle commedie equi­ vale ad attingerne l'interpretazione metrica datane nel II sec. a.C. exeunte. Neli' insieme, l'itinerario sopra tracciato può essere riassunto nel seguente stemma codicum : sec. IV

A

II

sec. V

sec. IX

p

/�

B

T]

/� C

sec. X

D

Le commedie di Plauto sono sempre state un testo 'difficile', dalla circolazione ristretta ed elitaria: sembrerebbe dunque ovvio pensare che la perduranza di impaginazioni caratteristiche sia me­ rito in realtà soltanto dei pochi anelli che congiungono n con gli esemplari a noi conservati. Il caso di Terenzio è però del tutto di­ verso se ne consideriamo l'enorme fortuna, anche come autore scolastico. Nell'ambito di una tradizione ricca e complessa, nell'e2II

CESARE QUESTA - RENATO RAFFAELLI splorazione della quale è guida piu che preziosa l'inventario di Claudia Villa, l 2 8 il Bembino da un lato e dall'altro i Calliopiani, fi­ gurati o meno, ci riconducono ad un archetipo . Et ego quae me sciebamJabulari eum Domino, cuius beneficia tanta experta eram,fidenter repromi­ si ei dicens: « Crastina die tibi renuntiabo J>. Et postulavi, et ostensum est mihi hoc: video . . . 34 30. Cfr. bibliografia, ibid., pp. 109-n; e in Saxer, Biblie, cit. Oltre agli autori citati nelle nn. sgg., W.Berschin, Biographie und Epochenstil im lateinischen Mittelalter, r, Von der 'Passio Perpetuae' zu den 'Dialogi' Gregors des Grossen, Stuttgart, A. Hiersemann, 1986, pp. 46 sgg. 31. Auerbach, Lingua letteraria, cit., pp. 62-67. 32. J. Fontaine, Tendances et difficultés d'uneprose latine naissante: l'esthétique composite de la 'Passio Perpetuae', in Id., Aspects et problèmes de la prose d'art latine au JI[e siècle. La genèse des styles latins chrétiens, Torino, La Bottega d'Erasmo, 1968, pp. 69-97. 33· E. Corsini, Proposte per una lettura della 'Passio Perpetuae', in Forma Futuri. Studi in onore del Cardinale Michele Pellegrino, Torino, Bottega d'Erasmo, 1975, pp. 481-541. 34· Passio Perpetuae et Felicitatis, cit., p. 120 (trad. p. 121: « Un giorno mio fratello mi disse: "Sorella venerata, sono ormai cosi grandi i tuoi meriti, che puoi chiedere la gra­ zia di una visione, per sapere se sei destinata al martirio o avrai salva la vita". lo, sapen­ domi capace di conversare con il Signore, del quale già avevo sperimentato cosi gran-

228

LE METAMORFOSI DEL RACCONTO Piu che « interferenza costante di due piani o, meglio, un rinvio continuo dal piano storico a quello metastorico »,35 esperienza narrativa capace di saldare eventi reali e eventi immaginati, descri­ zione fattuale e valenza simbolica, componente fisica e dimensio­ ne spirituale. Familiarità con la visione, disinvoltura interpretativa dei singoli segni e dell'insieme, forte corporeità - uno dei nessi piu evidenti tra « reale » e « immaginario » - sono solo alcuni esempi di campi di lettura - su cui insistere oltre quelli molto ben arati delle valenze scritturali e simboliche - per la piu famosa delle visioni di Perpetua, quella dell'anfiteatro. La folla, l'attesa delle fiere, l'arrivo dell'Egizio, i suoi aiutanti, la svestizione, la transessualizzazione (et expoliata sum etJacta sum masculus), il duro combattimento corpo a corpo, l'uccisione feroce del nemico (calcavi illi caput), l'acclama­ zione delle folla, il premio, un ramo dalle mele d'oro, promesso e consegnato da un uomo di straordinaria grandezza, discinctatus1 pur­ puram inter duos clavosper medium pectus habens1 etgalliculas multiformes ex auro et argento Jactas. 36 La visione aiuta a recuperare nella Passio Perpetuae le tracce di una esperienza femminile e i segni da questa lasciati sulla scrittura: con prudenza - imposta dai modi stessi della tradizione relativa a scritti di donne attestata già dalla redazione complessiva di questo testo -,37 ma anche senza forme di censura religiosa o culturale. La di favori, fiduciosa promisi: "Domani te lo saprò dire". Chiesi la grazia ed ebbi questa visione. Vedo . . . »). 35· Corsini, Proposte, cit., p. 521. 36. Passio Perpetuae et Felicitatis, cit., pp. 128-30: « S'avanzò infine un uomo di mirabi­ le statura, piu alto ancora del tetto dell'anfiteatro, con veste di porpora senza cintura e, ai lati del petto, due bande verticali; calzava meravigliosi sandali d'oro e argento, e portava una bacchetta da allenatore dei gladiatori e un ramo verde con pomi d'oro ». Tra le analisi recenti, oltre quelle già citate, cfr.J. Amat, L'authenticité des songes de la Pas­ sion de Perpétue et de Félicité, in « Augustinianum », a. xxix 1989 (= xn Incontro di studiosi dell'antichità cristiana, Sogni, visioni e profezie nell'Antico Cristianesimo), pp. 177-91. Per l' im­ portanza del sogno nella società e nella cultura tardoantica, e medioevale, oltre al vol. ora cit., cfr. Isogni nel Medioevo, a cura di T. Gregory, Roma, Ed. dell'Ateneo, 1985 (Lessi­ co Intellettuale Europeo, xxxv), e in particolare G. Guidorizzi, L'interpretazione dei sogni nel mondo tardoantico, pp. 149-70;]. Le Goff, Le christianisme et /es réves (Il'-Vll' siècle), pp. 171-218; C. Mertens, Lespremiers martyrs et leurs reves dans quelques 'Passions' latines de l'A­ frique du Nord, in « RHE », a. LXXXI 1986, pp. 5-46. 37- Per la scrittura femminile cfr. P. Dronke, Women Writers ofthe Middle Ages, Cam­ bridge University Press, 1984, trad. it. Donne e cultura nel Medioevo, Milano, Il Saggiato-

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SOFIA BOESCH GAJANO valenza femminile si esprime nella connotazione sessuale - donna, figlia, madre - affermata e negata proprio nella sua rappresenta­ zione corporea e nelle sue funzioni biologiche e sociali: traumati­ co il rapporto con il padre, piu carnale che affettivo quello con il fi­ glio, assente quello con il marito. Un testo, e non certo il solo, che può offrirsi come luogo privilegiato per l'identificazione delle modalità di passaggio, ideologiche e antropologiche, tra culture di­ verse - società pagana, società cristiana - attraversate dalla diversità sessuale nella sua incidenza sugli spazi, i riti, le immagini, i segni scritti e quelli orali.3 8 Un esempio non facilmente gestibile dalla letteratura successiva. 39 3·

AGIOGRAFIA E BIOGRAFIA

Nel 258 anche il vescovo della città di Cartagine Cipriano mori­ va martire, dopo avere subito persecuzioni e esilio. Anche di que­ sto evento la comunità volle raccogliere e tramandare la memoria. Ma in questo caso, agli Atti relativi alla passione 40 un autore, iden­ tificato nel diacono Ponzio, volle aggiungere una piu completa ri­ costruzione della vita del vescovo, cui non dovette essere estranea la preoccupazione di difenderne il comportamento nel corso della persecuzione valorizzando il suo operato di pastore d'anime, nonre, 1986, per Perpetua pp. n-29; Scritture religiosefemminili, a cura di M. Modica, Torino, Rosenberg e Sellier, 1990 (di imminente pubblicazione) . 38. A. Rousselle, Pomeia: de la maitrise du corps à la privation sensorielle, Paris, P.V.F., 1983, trad. it. Sesso e società alle origini dell'età cristiana, Bari, Laterza, 1985, P. Brown, The Body and Society. Men Women and Sexual Renunciation in Early Christianity, New York, Colum­ bia Univ. Press, 1988, pp. 73-77 per Perpetua. 39· Per la tipologia femminile cfr. E. Giannarelli, La tipologiafemminile nella biografia e autobiografia cristiana del IV secolo, Roma, Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, 1980 (Studi Storici, 127); cfr. anche C. Mazzucco, 'Efuifatta maschio'. La donna nel cristia­ nesimo primitivo, Firenze, Le Lettere, 1986. Da vedere ora la panoramica complessiva, con amplia bibliografia, di K.E. B0rresen, Women's studies ofthe Christian Tradition, in La philosophie du V• au XV• siècle, a cura di R. Klibanski, G. Floista, vi, Dordrecht, M. Nij­ hoff, 1989, pp. 1-100. Efficace riproposizione del problema storiografìco relativo alla storia delle donne in G. Pomata, Storia particolare e storia universale. Aproposito di manuali recenti di storia delle donne, in « QS », a. LXXIV 1990, 2, in corso di stampa. 40. Delehaye, Les Passions, cit., pp. 62-69; Acta Cypriani, a cura di A.A. Bastiaensen, in Atti e passioni, cit., pp. 195-231.

230

LE METAMORFOSI DEL RACCONTO ché la polemica nei confronti di una memoria martiriale tutta cen­ trata su figure di laici.41 L'intento e l'intonazione apologetica han­ no fatto pensare a un influsso del panegirico classico; forse non a torto si è parlato per la Vita Cypriani di « prima biografia cristiana », che assai precocemente, cioè ancora in piena età delle persecuzio­ ni, valorizza accanto al martire il confessore, e narrativamente lega l'itinerario della vita con il momento martiriale della morte.42 Il confronto è ora con una produzione agiografica legata all'e­ volversi della situazione politica e sociale e delle forme della vita religiosa, e insieme segnata dalla consapevolezza culturale degli autori e del debito da loro largamente riconosciuto agli autori pa­ gani. Al centro di ogni valutazione e interpretazione anche in que­ sto caso il problema dei modelli: i segni dell'adeguamento al « grande codice » biblico, con l'individuazione di linee di forte sti­ lizzazione letteraria; 43 le tracce della biografia antica attraverso Svetonio, certamente evidente nel contemperamento tra organiz­ zazione cronologica e tematica del materiale.44 Ma forse proprio la evidenza dei modelli aiuta a cogliere l'originalità del risultato. È quanto risulta ad esempio dall'analisi che il Luck dedica al con41. Pontii Vita Cypriani, a cura di Bastiaensen, in Vite dei santi, m, cit., cap. I, p. 4; pp. 278-79 per la bibliografia. 42· Delehaye, Les passions, cit., pp. 69-77; M. Pellegrino, Introduzione a Ponzio. Vita e martirio di S. Cipriano, Alba 1955 (Verba Seniorum, m) ; Mohrmann, Introduzione a Vite dei santi, m, cit., pp. Ix-xxvi; Berschin, Biographie, cit., pp. 57 sgg. Per i panegirici cfr. A. Giardina-M. Silvestrini, Il principe e il testo, nel vol. n di quest'opera, pp. 579613. 43· Riprendo il termine da N. Frye, The Great Code. The Bible and Literature, 1981, (trad. it. Il grande codice. La Bibbia e la letteratura, Torino, Einaudi, 1986). Ricordo l'im­ portanza metodologica delle considerazioni di J. Fontaine, Introduction, in Sulpice Sé­ vère, Vie de Saint Martin, Paris, Les Editions du Cerf, I, 1967, pp. 25 sgg. Cfr. anche M. van Uytfanghe, Stylisation biblique et condition humaine dans l'hagiographie mérovingienne (6oo- 750), Brussel, Paleis der Akademien, 1987 (Verhandelingen van de Koninkluge Aakademie voor Wetenshappen, Letteren en Schone Kunsten van Belgie, Klasse der Letteren, a. xux, n. 120), bibl. pp. 263-70. Per la presenza culturale della Bibbia cfr. Le monde latin antique et la Bible, a cura diJ. Fontaine et Ch. Pietri, Paris, Beauchesne, 1985; Le Moyen Age et la Bible, a cura di P. Riché-G. Lobrichon, ibid., 1984, oltre a B. Smalley, The Study ofthe Bible in the Midd/e Ages, Oxford, Univ. Press, 1941 (tra d. it. La Bibbia nel Medioevo, Bologna, Il Mulino, 1970). 44· Cfr. Berschin, Biographie, cit., pp. 47 sgg., che parla di « rethorische Re­ zeph.

23!

SOFIA BOESCH GAJANO fronto tra la struttura delle vite svetoniane e alcune delle prime biografie cristiane.45 La agiografia piu caratterizzata in senso biografico ripropone, come già la produzione martirologica, la connessione tra aree lin­ guistiche e culturali, una sorta di gioco di sponda tra Oriente e Oc­ cidente, esemplarmente individuabile qui 46 nella composizione della Vita Antonii di Atanasio, scritta poco dopo la morte del santo (356), subito tradotta e ritradotta (da Evagrio nel 375) in latino e de­ stinata a esercitare uno straordinario influsso sulla agiografia del­ l' Occidente; 47 e nel lunghissimo e variatissimo percorso geografi­ co, religioso, culturale di Girolamo, conclusosi con la morte nel 419.48 La rilevanza culturale di questo autore rende la sua produzione agiografica particolarmente preziosa: nel senso che costringe a fa­ re i conti con interpretazioni di grande peso storiografico sui con­ notati del passaggio dal mondo antico al Medioevo, sulle trasfor­ mazioni della società e della cultura, sulla fine di un pubblico col­ to, sulla nascita di una richiesta religioso-culturale dal basso, cui anche i grandi intellettuali si sarebbero adeguati.49 Non ultimo motivo di interesse la dimensione autobiografica, da considerare una proficua chiave interpretativa di molta parte della letteratra agiografica successiva.so La Vita di Ilarione, scritta nel 391, non gode, tra le vite geronimia45· G. Luck, Die Form derjrUhesten lateinischen Heiligenviten, in Mullus. Festschrift Theo­ dor Klauser, Miinster, Aschendorff, 1964 ( « JbAC �. Erganzungsband, 1), pp. 230-41. 46. Ricco panorama delle esperienze religiose e della produzione letteraria a que­ ste legata in S. Pricoco, Aspetti culturali delprimo monachesimo d'Occidente, in AAYV., So­ detà romana e Impero tardoantico, IV, Tradizione dei classid, traiformazioni della cultura, a cura di A. Giardina, Bari, Laterza, 19 86, pp. 1 89-204. 47- La 'Vita Antonii' di Sant'Atanasio, a cura di Ch. Mohrrnann, Vite dei santi, I, cit., Introduzione, pp. LXXI-LXXXIII. 48. Cfr. bibliografia in D'Elia, Letteratura, cit., pp. 186-88. 49· Per la critica del modello « a due piani � cfr. Brown, Il culto, cit., pp. 20 sgg. so. È qui possibile solo accennare al problema rinviando a G. Misch, Geschichte der Autobiographie, Frankfurt aro Main, G. Schulte-Bulmke, Il, Das Mittelalter, 2, in part. pp. 310-1']. Cfr. inoltre il bel saggio diJ.-Cl. Schmitt, 'L'autobiografia sognata', in Id., Religione, folk/ore e sodetà nell'Ocddente Medievale, Roma-Bari, Laterza, 1988, pp. 269-307- Per os­ servazioni generali cfr. Ph. Lejeune, Le pacte autobiographique, Paris, Seuil, 1975. 232

LE METAMO RF O S I D E L RACCONTO

ne, di buona stampa: dubbi sulla attendibilità delle fonti, imbaraz­ zo per la fantasiosità di molti episodi, difesa faticosa mediante il suo inserimento nell'ambito della letteratura edificante, che può permettersi di non essere né completamente romanzo né comple­ tamente storia.51 Proprio le > nella eccezionalità di una vita santa. L'esempio di Girolamo conduce al centro del rapporto tra bio­ grafia e agiografia, che la storiografia ci ha tendenzialmente abi­ tuati a vedere in termini di contrapposizione: tra storicità e inven­ zione, tra veridicità e costruzione fantastica. Il miracolo, conside­ rato il segno piu evidente della diversità tra i due generi, potrebbe aiutare a rovesciare l'interpretazione, pensando alla carica di preoccupazione per la sua verità - spia della presenza di un pubbli­ co di scettici e increduli - 54 e alla cura nella descrizione del conte­ sto sociale e spaziale che caratterizzano la narrazione. Il legame di tanta parte della scrittura agiografica con dati storici - personaggi o luoghi - impedisce di discriminarla rispetto alla biografia sulla ba­ se di un giudizio di attendibilità. La Vita Martini di Sulpicio Severo è li per provarlo. Scritta ancor prima della morte del santo (397), saldamente strutturata su modu­ li biblici e classici, come ha dimostrato Jacques Fontaine,ss non ri53· Ibid., capp. II, 12, 29, pp. 96-98; 98-102; 132-136. Cfr. Berschin, Biographie, cit., pp. 133 sgg. 54· Qualche osservazione in S. Boesch Gajano, La proposta agiografica dei 'Dialogi' di Gregorio Magno, in « Stud Med », ser. III, a. XXI 1980, pp. 623-44, ma 641 sgg. Sulla distin­ zione di generi e il criterio di « verità » cfr. le osservazioni di C. Ampolo, Inventare una biografia. Note sulla biografia greca ed i suoi precedenti alla luce di un nuovo documento epigrafi­ co, in « QS », n. LXXIII 1990, I pp. 213-24. 55· Sulpice Sèvère, Vie de Saint Martin, a cura di J. Fontaine, Paris, Les Editions du Cerf, I, 1967; n, 1968; III, 1969 (Sources Chrétiennes, 133-35) , 1, Introduction, pp. 59-96. Cfr. anche Berschin, Biographie, cit., pp. 195-2u.

234

LE METAMORFOSI DEL RACCONTO nuncia, nella precisione delle singole notizie e nel disegno com­ plessivo, a una ben netta individualità storico-letteraria. La narra­ zione appare centrata sull'impatto tra personaggio e contesto: azioni - ognuna segnata nella sua specificità da un « attacco » indi­ vidualizzante - destinate a risolvere una situazione di crisi - giudi­ cata tale dal santo -, tramite un potere capace di sconfiggere il ma­ le fisico, rappresentato dalle malattie o dalla morte, e il male spiri­ tuale, rappresentato dalla assenza o dalla devianza dalla vera reli­ gione. Ma lo schema - semplicissimo e in qualche misura identifi­ cabile in ogni récit agiografico 56 - può essere applicato anche « con ironia ». Come nell'episodio del funerale, che il santo scambia da lontano per un rito pagano, quia rusticam manum cerneret et, agente vento, lintea corpori subiecta volitarent, profanos sacrificiorum ritus agi credi­ dit, quia esset haec Gallorum rusticis consuetudo, simulacra daemonum can­ dido tacta vela mine misera per agros suos circumferre dementia ; con il se­ gno della croce li immobilizza, fino a che, capito l'errore, ridà loro la libertà di muoversi.57 Sembra di potere dire con Girolamo che sono proprio le virtutes, nella ambivalenza di significato della paro­ la caratterizzante la scrittura agiografica, a segnare l'individualità del personaggio e, noi possiamo aggiungere, a segnare la storicità della narrazione. Questa mi sembra possa essere considerata la specificità dell'agiografia: non il ricorso al meraviglioso - presente non solo nella tradizione propriamente letteraria, ma anche nella storiografia tardoantica con specifiche funzioni ben individuate da Lellia Cracco Ruggini - 58 ma uno sconfinamento costante tra na56. Un esempio in P. Golinelli, Struttura narrativa efruizione popolare nella Leggenda di Sant'Alessio, in « Ricerche di storia sociale e religiosa », a. xxi-XXII 1982, pp. 107-24. Una interpretazione e discussione metodologica e storiografìca in A. Boureau, Pour une théorie élargie de la légende religieuse médiévale, in La légende, Madrid, Casa Vélazquez-Edi­ toria! Universidad Complutense, 1989, pp. 29-54. 57. Vita Martini, 12, I, cit., p. 278: « poiché distingueva un gruppo di contadini e al soffio del vento volteggiavano teli di lino gettati sui corpi, credette che si compissero cerimonie sacre di carattere pagano, poiché i contadini Galli avevano questa consuetu­ dine, nella loro Iniserevole follia, portare d'attorno in processione pei loro campi sta­ tue di dei pagani coperte di candidi veli » (trad. di L. Canali in Vite dei santi, m, cit., p. 33). sB. L. Cracco Ruggini, Il miracolo nella cultura del tardo impero: concetto efunzione, in Hagiographie, cultures et sodétés, IVf, a. xxx, n. II3, janvier-mars 1990, pp. 53-71. 6o. Cfr. Fontaine, Introduction, cit., pp. 59 sgg. 61. Eugippius, Das Leben des Heiligen Severin, Berlin, Akademie Verlag, 1963, pp. 4143; 6o-62.

LE METAMORFOSI DEL RACCONTO 4·

LABILITÀ DI CONFINI

Connotazione specificamente agiografica, nel senso di una pra­ tica sostanzialmente costante, può essere individuata nell'amplia­ mento dei confini della vita stessa: la morte da evento conclusivo e luogo di osservazione retrospettiva a fini celebrativi - diviene momento, non solo religioso - come dies natalis, nascita alla vera vi­ ta -, ma storico-narrativo. Un mutamento operato non tanto, co­ me ha ben visto Peter Brown, dalla nuova credenza nell'aldilà, quanto da una « dialettica dell'immaginazione che condusse gli uomini tardoantichi a dar corpo a tali credenze nell'aldilà e a ren­ derle direttamente operanti tra i viventi, facendole convergere sul­ la figura privilegiata del santo defunto ».62 Il corpo del santo è ben vivo del suo potere taumaturgico e i miracoli delle reliquie sono la narrazione di quella vita, momento interno del complessivo itine­ rario biografico. Sconfinamento nella cronologia, sconfinamento nei generi. La narrazione dei miracoli post mortem può trovarsi, oltre che all' inter­ no della biografia agiografica, in forme autonome, divenendo di fatto un genere a sé,63 dotato di una lunga continuità e di una gran­ de dignità letteraria, se pensiamo all'impegno posto da Gregorio di Tours nella scrittura dei suoi Libelli miraculorum di Martino e di Giuliano.64 Possono, pur mantenendo una propria autonomia, tro­ vare posto in opere del tutto non agiografiche, come il De civitate Dei di Agostino, espressione della sua capacità di « reagire » a un fe­ nomeno presente alla sua attività pastorale, 65 e di costruire, è stato 62. Brown, Il culto, cit., p. 103. 63. H. Delehaye, Les premiers 'Libelli Miraculorum', in « AB », a. xxix 1910, pp. 427-34 {e in Id., Les Origines, cit., cap. Iv), e Id., Les recueils antiques des miracles des saints, in « AB », a. XLIII 1925, pp. 5-85; 305-25. 64. Gregorii Episcopi Turonensis Miracula et Opera Minora, a cura di B. Krusch, in MGH, Scriptores Rerum Merovingicarum, I, 2, Hannoverae, Hahn, 1885 {ripr. anast. 1969) . Cfr. M. Heinzelmann, Une source de base de la littérature hagiographique latine: le recueil de miracle, in Hagiographie, cit., pp. 235-59. 65. De civitate Dei, xxii 8-9, a cura di B. Dombart e A. Kalb, Corpus Christianorum, XLVII I , Turnholti, Brepols, 1955, pp. 815-28. Cfr. S. Boesch Gajano, Il miracolo nella visione storiografica di Gregorio di Tours, in Gregorio di Tours, Todi, Accademia Tudertina, 1975, pp. 44-46; M. van Uytfanghe, La controverse, cit., pp. 211-12.

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SOFIA BOESCH GAJANO affermato, su quel solido fondamento Ù1t6fiEOtv. 26. Ireneo, adv. haer. 1 94 = Epifanio, pana rion 31 29 10, cit. nella nota prec.; cfr. la bi­ bliografia citata sopra alla n. 24.

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G I OVAN N I POLARA

oltre che per la notevole ampiezza {conta ben 461 versi) si distin­ gue per la trasposizione dei versi virgiliani dal genere epico a quel­ lo tragico, e per l'invenzione di un metro adatto ai cori, l'enoplio risultante dall'esametro privato dell' hemiepes, che si alterna agli esametri del parlato. Le particolarità che la tragedia presenta sul piano della tecnica centonaria, con un sia pur ridotto numero di accomodamenti del testo virgiliano alle esigenze del nuovo di­ scorso; le anomalie metriche che investono molti dei suoi versi; le questioni filologiche sul preciso nome dell'autore e sulle possibili fonti da lui seguite sul piano dellafabula hanno fatto si che la Medea sia uno dei centoni oggi piu studiati, con una cospicua serie di con­ tributi che affrontano i piu svariati problemiP Alla fioritura del IV-V secolo appartengono invece il Christus pa­ tiens e i centoni di Eudocia, in ambito greco, e quelli di Proba ed Ausonio in ambito latino. La datazione del Christus patiens28 è or­ mai definitivamente fissata con solidissimi argomenti paleografici che non consentono di scendere al di là del IV-V secolo,2 9 anche se non è possibile individuarne l'autore, e la vecchia attribuzione a Gregorio di Nazianzo non è sorretta da alcuna valida prova; ri­ mangono però in piedi ancora molti problemi. Anche questo cen­ tone, come la Medea latina, è una tragedia, ma qui il gioco è facilita27- Ampia bibliografia nelle edizioni di Lamacchia e Salanitro citt. nelle nn. 4 e 8; si possono fra gli altri ricordare N. Dane, The Medea ofHosidius Geta, in « CJ », a. XLVI 1950, pp. 75-78 {sull'effetto teatrale del centenario e i suoi possibili rapporti con la Me­ dea di Ovidio}; i cinque lavori della Lamacchia apparsi nel 1958, e soprattutto Metro e ritmo nella 'Medea' di Osidio Geta, in « SIFC », a. xxx 1958, pp. 175-206; Tecnica centonaria e critica del testo, in « RAL », a. xm 1958, pp. 258-8o; Osservazioni sulle sigle dei personaggi e le rubriche nella 'Medea' di Osidio Geta, in « PP », a. LXII 1958, pp. 312-21; la recente serie di contributi di autori vari intitolata La 'Medea' di Osidio Geta (Anth. Lat. 17) e la poesia cen­ tonaria latina, in « Sileno », a. x 1984, pp. 309-41, con premessa della Lamacchia {signifi­ cative in particolare le note di Salanitro e S. Mariotti}. Prendono spunto dalla Medea, ma si allargano a fondamentali ed acutissime considerazioni generali di teoria della letteratura le pp. 83-108 del citato volume della Desbordes. 28. Edizioni a cura di A. Tuilier, Paris, Les Editions du Cerf, 1969, e F. Trisoglio, Ro­ ma, Città nuova, 1979. 29. A. Garzya, Per la cronologia del 'Christus patiens', in « Sileno », a. x 1984, pp. 237- 40; per la datazione al IV secolo era anche A. Tuilier, La datation et l'attribution du Xpzaròç rctiaxwv et l'art du centon, in Actes du 6• congrès d'études byzantines, 1, Paris, Klincksieck, 1950, pp. 403-9; ampia rassegna bibliografica in F. Trisoglio, Il 'Christuspatiens': rassegna delle attribuzioni, in « RSC », a. XXII 1974, pp. 351-423. 252

I CENTONI

to dall'omogeneità di genere letterario, o almeno di metro, dei te­ sti centonati: soprattutto Euripide, ma anche Eschilo e Licofrone; nonostante questa maggiore facilità di composizione, soltanto un terzo dei ben 2602 versi che lo compongono risultano desunti da testi piu antichi, mentre gli altri due terzi non hanno, almeno per noi, precedenti di sorta. Anche a voler credere che una parte di questi mancati confronti possa dipendere dalla perdita di tragedie antiche ancora disponibili per l'autore di Christus patiens,30 rimane comunque difficile che fra tanti versi non ve ne sia una cospicua quantità da considerare « originale >> a tutti gli effetti; per di piu, in quei casi in cui la derivazione è accertata, le modifìcazioni intro­ dotte nel nuovo testo sono numerose e notevoli,31 tanto che il Christus patiens, se pure può essere considerato un centone, va cer­ tamente collocato ai margini inferiori del genere, e testimonia piu la forza della tradizione letteraria che il desiderio di sperimentare il gioco tecnico e di cimentarsi con le difficoltà del riuso di seg­ menti lunghi tratti da opere preesistenti. Centoni omerici in piena regola sono invece quelli che vanno sotto il nome di Eudocia, l'imperatrice d' Oriente morta nel 460. Sono una cinquantina di componimenti per poco meno di 2000 versi, anch'essi di argomento cristiano, e piu precisamente neote­ stamentario, tra i quali forse alcuni non vanno attribuiti alla poe­ tessa, almeno nella loro stesura originale, se bisogna prestare fede alle notizie tarde che parlano di suoi rifacimenti su una produzio­ ne precedente.32 Si tratta in questo caso, come si diceva, di opere È la tesi di K. Krumbacher, Geschichte der byzantinischen Literatur, Miinchen, 18972, p. 746. 31. Cfr. I. Giudice Rizzo, Sul 'Christus patiens' e le 'Baccanti' di Euripide, in « SicGymn », a. xxx 1977, pp. 1-63. 32. Zonara, epitom. hist., xm 23 38-39 ricorda le opere lasciate incompiute da un poe­ ta di nome Patrizio e completate da Eudocia; a questi centoni cristiani fa riferimen­ to la ùn6fieo1ç -rwv 'Of.LT]poxév-rpwv di AP 1 II9 1-4: BiPÀoç Ila-rp1xi0\o fieouc'ìéoç 30.

Beck,

àpT]-rfipoç, l oç f.LÉYIX epyov epel;ev, 'Of.LT]pt:iT]ç ànò PiPÀou l xuvc'ìaÀif.LWV Énéwv nul;aç f:phlf.LOV à01c'ìf]v, l npf]l;1aç àyyéUouoav àv\xf]-rO\o fieoio ( « Ecco il libro del pio sacer­

dote Patrizio, che compi una grande opera, costruendo con le nobili parole tratte dal libro di Omero un canto prezioso che annuncia le imprese del dio invincibile ») . Sul­ l' identificazione di Patrizio, oltre le osservazioni di A. Ludwich nell' edizione di Eu­ docia ( Lipsiae, Teubner, 1897, pp. 79 sgg.) , cfr., per lo status quaestionis, Salanitro nell'e-

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G I OVANNI PO LARA

assolutamente rispondenti alle norme del genere, e la passione di una donna della rilevanza sociale di Eudocia per la tecnica cento­ nana conferma i gusti già manifestati dall'imperatore Valentiniano e ribadisce il prestigio che essa doveva avere presso i ceti piu eleva­ ti nella tarda antichità greca e latina. Nulla da invidiare ai centoni greci hanno quelli latini di Proba e di Ausonio; anzi essi vengono comunemente indicati come i capo­ lavori assoluti nel campo della poesia centenaria per il rigore con cui vengono per lo piu applicate le regole di trasposizione dei frammenti e per l'abilità con cui si riempiono di nuovi contenuti i versi virgiliani.33 Matrona cristiana del IV secolo, moglie del pre­ fetto urbano del 351 Adelfìo, Proba compose intorno al 360 un bre­ ve poema epico sull'Antico e sul Nuovo Testamento in poco meno di 700 esametri, a cui premise una prefazione non centonaria di una trentina di versi, con il ricordo della sua precedente produzio­ ne poetica, con la a> , come quello riprodotto nei Codices Latini Antiquiores ( CLA) 166-167: un foglio dove sono sovrapposte opere di storici e di grammatici latini e in seguito testi in lingue di­ verse. Alcuni di questi documenti-monumenti hanno acquistato nei secoli il valore di simbolo dell'intenso rapporto fra le diverse generazioni ed il mondo passato. Questa funzione ha avuto ad esempio l'Evangeliario di Cividale del Friuli ( CLA 285), una reli­ quia su cui anche in tempi recenti si sono andate accumulando le firme dei personaggi autorevoli che erano ammessi a vederlo, da Maria Teresa fino a Radetzky. L'esempio forse piu significativo so­ no le Pandette del cosiddetto Codex Pisanus ( CLA 295), un mano­ scritto di pochi anni posteriore all' editto del 16 dicembre 533 con il quale Giustiniano aveva ordinato la compilazione dell'opera: fini­ to forse per una rapina in mano agli amalfitani, passato verso il se­ colo XII a Pisa, divenne preda di guerra dei fiorentini quando con­ quistarono la città nel 1406 e fu poi gelosamente custodito dentro un tabernacolo in Palazzo Vecchio, fino a quando nel 1736 passò al­ la Biblioteca Medicea Laurenziana. Al Poliziano, primo fra gli

MARIO GEYMONAT umanisti, fu consentito di accostarsi al prezioso cimelio per diretta volontà e intercessione di Lorenzo de' Medici e farne cosi una si­ stematica collazione. Egli stesso sottolinea la cura ed il rispetto con cui i fiorentini ne tutelavano la conservazione e ricorda come quo­ ties profertur (quod ipsum non sine gravi causafieri solet) aaensisJunalibus (ita enim mos traditus) monachi illi . . . summusque magistratus capite oper­ to venerabundi drcumsistunt.s 2.

LA CULTURA LATINA FRA I GRECI E IL MONDO MODERNO

Fra le due accezioni estreme e antitetiche del termine >: culti della città e culti della casa del principe in epoca augustea, in « Stud Stor », a. IV I988, pp. 94I-65 (citazione da p. 964). -

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ORONZO PE CERE

le vicende relative alla casa di Augusto, la biblioteca fondata nel portico del tempio di Apollo occupa pertanto una posizione di pri­ mo piano nel programma politico del principato. I due locali che la componevano, destinati rispettivamente ad accogliere i libri greci e latini,66 sanciscono la pari dignità delle due tradizioni te­ stuali elette a rappresentare, in una prospettiva di lunga durata, la cultura letteraria di Roma imperiale. Questa divisione fisica del repertorio testuale non era intesa a facilitare la distribuzione, giacché a fruirne, per qualche esigenza particolare, era la stessa élite che possedeva privatamente libri e, d'altra parte, le caratteristiche della lettura antica ad alta voce 67 non permettevano una consultazione sincronica di molti utenti. Essa invece semplificava la sistemazione di due blocchi distinti di materiali librari nell'istituzione che doveva servire a conservarli. Un regime che per una lunghissima fase della storia di Roma (la città già « posta da Romolo sotto il segno delle mura »)68 continue­ rà a tracciare un limes o a ergere un vallum all'estremità dei territo­ ri raggiunti dalle sue legioni, per fissare l' intangibilità dei confini, esordisce innalzando un edificio ove racchiudere il patrimonio te­ stuale di un popolo sottomesso che forniva i modelli alla letteratu­ ra nazionale, marcando cosi la perennità anche di questa conquista. Insomma, con la perfetta simmetria delle due aule la biblioteca au­ gustea deve legittimare, all'interno, la sovranità assoluta del prin­ ceps in ogni campo della vita civile e, all'esterno, il primato politico e culturale di Roma nel mondo; in questo clima anche il conserva­ tore Orazio riesce a trovare il tono e le parole giuste per esprimere il definitivo (ancorché sofferto) riconoscimento che la cultura del­ la Grecia vinta - tradizionalmente appresa da pedagoghi greci e perciò sentita come « Sklavenkultur >> - 69 aveva conquistato il 66. C. Callmer, Antike Bibliotheken, in Opuscula archaeologica, m, Lund (Gleerup) Leipzig (Harrassowitz), 1944, p. 157; C. Wendel, Kleine Schriften zum antiken Buch- und Bibliothekswesen, hrsg. v. W. Krieg, Koln, Greven, 1974, pp. 146-58; V.M. Strocka, Romi­ sche Bibliotheken, in « Gymnasium », a. Lxxxviii 1981, pp. 307-9. 67- G. Cavallo, Testo, libro, lettura, nel vol. n di quest'opera, p. 332-35. 68. J. Le Goff, La civiltà dell'Oaidente medievale, trad. it., Torino, Einaudi, 1981, p. 15. 69. Fehrle, Das Bibliothekswesen, cit., p. 12. ­

3 20

I MECCANI S M I DELLA TRADI Z I ONE TE STUALE

vincitore romano (epist. n I 156) : Graecia capta ferum victorem ce­ pit.70 Con la fondazione della biblioteca di Augusto diventa dunque letteratura latina 'ufficiale' sia la tradizione scritta su cui i Romani si erano formati per generazioni sia la produzione piu recente di cui si servono i nuovi ceti egemoni che sostengono la politica di restaurazione augustea. Nella biblioteca di Apollo, scrive Ovidio, quaeque viri docto veteres cepere novique pectore lecturis inspicienda patent.71

(trist. III I 63-64)

In essa, dunque, venne anzitutto recuperato quanto aveva resi­ stito ai fattori esterni ed accidentali che causano il naufragio indi­ scriminato dei testi e quanto era sopravvissuto alla selezione natu­ rale che salva le opere migliori e gli autori piu rappresentativi nel­ l'àmbito dei generi letterari nobili; un patrimonio, nel complesso, quantitativamente modesto ove si consideri la legittimazione in tempi relativamente recenti degli studi filosofici 72 e la condizione marginale nel sistema culturale romano delle discipline tecnico­ scientifiche: nel rivendicare l'autonomia dell'architettura come scienza tra le altre téchnai, Vitruvio per esempio può indicare solo tre autori che avevano pubblicato trattati sull' argomento.73 Le modalità di tale operazione si possono sintetizzare con i termini tecnici comparare, digerere, ordinare74 - forse introdotti da Varrone nel De bibliothecis, dove probabilmente si dettavano i fondamenti teorici dell'istituzione bibliotecaria - 75 che definiscono nelle fonti l'attività dei dotti ed eruditi {lo stesso Varrone, e poi Pompeo Ma­ ero, Gaio Melisso, Gaio Giulio Igino) ai quali in età augustea viene 70. « la Grecia vinta conquistò il rozzo vincitore �. 71. « sono a disposizione di chi voglia leggerle le opere concepite dalle dotti menti di antichi e di moderni ». 72. Cicerone, Tusc. 1 I-6. 73. Vitruvio, vn praif. 14; cfr. E. Romano, La capanna e il tempio. Vitruvio o dell'architet­ tura, Palermo, Palumbo, 1988, pp. 81-87. 74· Svetonio, Iul. 44 2; 56 7; gramm. 21 3. 75 · Sulla controversa ricostruzione dell'opera vatroniana cfr. tuttavia Fehrle, Das Bibliothekswesen, cit., pp. 73 sg. 321

O RO N Z O PE CERE

affidata la responsabilità scientifico-organizzativa della biblioteca pubblica, dal reperimento e dalla raccolta dei materiali librari alla loro catalogazione e sistemazione.76 Per Augusto - e prima, per Cesare - l'esigenza prioritaria era quella di riordinare e raccogliere in una sede altamente simbolica, attigua al centro del potere politi­ co, l'insieme dei testi che costituivano il fondamento dello Stato e della cultura romana, allo scopo, pure, di assicurarne l'ulteriore trasmissione. Se il corpus di leggi fatto comporre da Cesare era for­ se destinato ad essere collocato nella biblioteca pubblica da lui progettata,77 dopo la nomina di Augusto a pontefice massimo (12 a.C.) toccò ai libri Sibyllini essere selezionati e trasferiti in due cel­ lette ricavate nel basamento della statua di Apollo che adornava la biblioteca del Palatino; 78 ma qui, secondo la testimonianza di una fonte piu tarda (Schol. Iuv. I 128: bibliothecam iuris civilis et liberalium artium in tempio Apollinis dedicavit Augustus),79 insieme ai testi giuri­ dici furono custoditi anche i libri di letteratura, sulla falsariga del modello che abbiamo ipotizzato per i tablina privati, custodi dap­ prima di documenti e cronache domestiche e poi anche di opere letterarie. Nel farsi pubblica, quindi, la biblioteca del princeps, pur restando la sede degli scritti personali e dei suoi familiari (si pensi alle inedite opere giovanili di Cesare), appare come una sorta di ar­ chivio storico-sacrale e di biblioteca 'umanistica' ; ma in realtà la sua testualità 'pubblica' aveva per i Romani un carattere coerente ed unitario, in quanto costituiva la base comune della loro forma­ zione culturale. Questo particolare statuto della biblioteca del principe si con76. La direzione della biblioteca pubblica, che all'inizio non aveva carattere ammi­ nistrativo, a partire da Igino viene affidata solitamente a liberti, nell'ambito di una progressiva burocratizzazione della carica di procura tar bibliothecae: cfr. Fehrle, Das Bi­ bliothekswesen, cit., pp. 74-77; sull'estrazione sociale di queste figure di bibliotecari cfr. J. Christes, Sklaven und Freigelassene als Grammatiker und Philologen im antiken Rome, Wiesbaden, Steiner, 1979, pp. 72-82. I criteri di catalogazione adottati sono quelli della biblioteca alessandrina: cfr. Fedeli, Biblioteche, cit., pp. 44 sg.; 54· 77· Può essere indicativo l'accenno contestuale al riordinamento dei testi giuridici e al progetto della biblioteca pubblica in Svetonio, Iul. 44 r-2. 78. Svetonio, Aug. 31 r. 79· « Augusto inaugurò nel tempio di Apollo una biblioteca di testi giuridici e let­ terari ». 3 22

I MECCANI S M I DE LLA TRAD I Z IONE TE STUALE

serverà anche in età imperiale. Ogni ripristino del suo modello sa­ rà infatti inscindibile da una riorganizzazione del patrimonio scritto nazionale, perché la politica di intervento culturale dei Ce­ sari tornerà ad ispirarsi al progetto che aveva consentito ad Augu­ sto di diventare il custode delle tradizioni religiose e giuridiche e il patronus delle lettere, grazie all'abile mediazione svolta da Mece­ nate nel rapporto con gli ambienti intellettuali. Le tracce di antichi fondi librari e documentari presenti nella biblioteca del tempio della Pace, della domus Tiberiana e in quella Ulpia confermano la funzione di santuario delle memorie della biblioteca imperiale; non a caso è qui che eruditi, antiquari e storici piu tardi troveranno rari esemplari di opere arcaiche, antiche raccolte di atti ufficiali e gli scritti degli imperatori, vergati su lino come i vetusti libri sacer­ dotali e dei magistrati annuali.BO La scelta degli autori contemporanei da parte della biblioteca palatina si determina invece entro un sistema di committenze, fa­ vori, protezioni che mette il mondo delle lettere sotto la tutela del principe, attivando una rete di coinvolgimenti ideologici e di rap­ porti clientelari che estendono il suo patronato dai letterati ai libri e alle biblioteche.8 1 L'adesione al programma culturale augusteo, proclamata con sorprendente identità di accenti da autori diversi come Vitruvio e Orazio,82 si traduce in proposte che interpretano gli orientamenti ideologici del regime. Per Orazio l'incremento del patrimonio librario di una biblioteca che vuol essere « degna di Apollo » si può realizzare soltanto se il principe saprà attentamente scegliere « i guardiani del tempio » (aeditui) della sua virtus, che non bisognava affidare ad un indignus poeta. 83 La terminologia sulla 8o. Notizie su libri di Sinnio Capitone e di Elio Stilone nella biblioteca del tempio della Pace e su una raccolta di editti di antichi pretori si trovano in Gellio, v 2I 9; XI I7 2; xvi 8 2. A un libro d'avorio con il testo di un senatoconsulto, ai libri lintei degli im­ peratori e ad altre fonti storiche conservate nella biblioteca Ulpia e in quella della do­ mus Tiberiana accenna Vopisco, Tac. 8 I; Aur. I 7 e w; 8 I; 24 7; Prob. 2 I. 81. Sull'argomento cfr. G. Williams, Phases in Political Patronage oJLiterature in Rome, in Literary and Artistic Patronage in Andent Rome, ed. by B.K. Gold, Austin, Univ. ofTexas Press, I982, pp. 3-27; T.P. Wiseman, Pete nobiles amicos: Poets and Patrons in Late Republi­ can Rome, ibid., pp. 28-49. Sz.. Vitruvio, I praef. I; Orazio, epist. II I I. 83. Orazio, epist. II I 2I4-3I.

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ORONZO PECERE quale Orazio insiste indica che le qualità del poeta devono fondar­ si su un valore intellettuale non privo di connotazioni etiche e i contenuti della sua opera essere in sintonia con l'ideologia ufficia­ le. Si comprende perciò come le porte delle biblioteche pubbliche romane si chiudano alle opere di Ovidio, un poeta che con le te­ matiche frivole e gli argomenti erotici della sua tenue musa turba­ va l'atmosfera di impegno civile e di austera moralità del tempo.84 Né sorprende la damnatio di Cornelio Gallo, precorritrice dei ro­ ghi di libri degli oppositori politici degli imperatori.85 Il controllo diretto del principe invocato da Orazio, che apre la strada al diritto di veto esercitato dagli imperatori successivi,86 definisce il ruolo preminente della biblioteca pubblica nella selezione degli autori 'moderni'. Chi non vi accede non può sperare in una fama sicura e immediata, giacché non entra nel ristretto novero degli autori « in­ signi >> {praecipui), che insieme agli « antichi >> (veteres), formano il re­ pertorio latino di queste sedi della cultura uffìciale.87 4·

LE MODALITÀ DELLA TRASMISSIONE TRA REPUBBLICA E PRINCIPATO

Libro e biblioteca ci hanno guidato nell'esplorazione del com­ plesso sistema per cui il testo scritto viene letto, si riproduce, circo­ la, sopravvive all'autore e all'epoca che l'hanno generato. Ora, senza rinunciare al ruolo centrale di questi fattori della trasmissio­ ne testuale, il discorso deve farsi piu mirato e aderente ai processi reali del fenomeno. Si tratta in primo luogo di versare nell'analisi i dati esplicitamente connessi con la tradizione di alcuni autori non­ ché le prime testimonianze librarie, con l'intento di far emergere come e in quale misura abbiano inciso sul destino dei testi, da un lato, le modalità della composizione, l'evoluzione del ciclo ripro84. Ovidio, trist. m r 65-72. 85. Svetonio, Aug. 66 r-2. Alla condanna dei libri di Labieno, sempre sotto Augusto (Seneca il Vecchio, contr. x praef. 5 sgg.; Svetonio, Cal. r6 r), segui quella di Cremuzio Cordo (Tacito, ann. IV 34-35) sotto Tiberio e poi i casi di Trasea Peto, Aruleno Rustico, Erennio Senecione {Tacito, Agr. 2 1). Cfr. Fedeli, Autore, committente, cit., p. 84. 86. Marziale, xn 2(3) 7 sg. 87- Svetonio, Tib. 70 2.

I M E C CANI S M I DELLA TRAD I Z I O N E TE STUALE

duttivo del libro e l'estensione di una rete bibliotecaria, e dall'altro l'attività della nascente filologia e poi della scuola. In questa indagine è importante assumere come criterio-guida la distinzione tra la produzione scritta del passato e quella del pre­ sente, per rilevare i presupposti particolari e le diverse prospettive di trasmissione che si aprono alle opere degli autori che la cultura augustea classifica sotto le etichette di veteres e di novi. La prima ca­ tegoria comprende i testi base della formazione e dell'educazione letteraria nel periodo repubblicano: testi di varia natura che la bat­ taglia per purificare il gusto dai residui della rozzezza arcaica, con­ dotta in nome di un'arte piu colta e raffinata, finisce coll'escludere dalle dinamiche di lettura e di riproduzione, nell'àmbito di uno svecchiamento dei canoni estetici che porta in età augustea alla so­ stituzione del sistema letterario precedente con uno integralmen­ te nuovo. La seconda categoria include invece i testi che, nella pra­ tica corrente della produzione e del consumo letterario, rispec­ chiano questo ricambio di modelli culturali, sancito, nella stessa epoca, da un rinnovamento radicale dei programmi scolastici che mette gli strumenti e i contenuti dell'insegnamento in sintonia con gli orizzonti della cultura 'moderna'. In questa suddivisione dei testi letterari s'avverte l'eco delle po­ lemiche tra gli appassionati cultori della tradizione, che ebbero in Varrone la figura piu autorevole, e i suoi tenaci oppositori, come Orazio. Ma essa trovava fondamento anche nelle storie intricate che avevano alle spalle i testi arcaici. A parte gli errori, v'erano fe­ nomeni degenerativi connessi col passaggio del testo attraverso usanze librarie fortemente disomogenee e meccanismi di ripro­ duzione discontinui che avevano ora modificato la fisionomia ori­ ginaria di certe opere, ora reso incerta la loro paternità. La prima filologia romana si cimenta appunto con quest'ordine di problemi, mettendo a frutto la metodologia critica e le esperienze ecdotiche apprese dai maestri greci o sperimentate nel contatto con i libri greci. Ad Ottavio Lampadione la tradizione attribuisce la divisione in sette libri del Bellum Poenicum di Nevi o. Secondo Svetonio, il gram­ matico intervenne su un testo contenuto « in un solo volume, 325

ORONZO PE CERE

scritto senza soluzione di continuità » (uno volumine et continenti scriptura); 88 eppure l'uso del rotolo, che comportava l' articolazio­ ne dell'opera in una serie di libri separati, non sembra conciliarsi con la struttura di un poema « che Nevio aveva concepito . . . come una sola, lunga ballata epica ».89 Sappiamo che il rotolo fu sicura­ mente adottato da Ennio, e difatti « il primo poema epico latino di­ viso in libri dovettero essere gli Annali di Ennio, il quale fu perciò innovatore anche sotto questo punto di vista, per influsso dell' ope­ ra dei grammatici alessandrini »; 90 è anzi evidente che proprio la scelta del rotolo di tradizione ellenistica motiva e spiega la compo­ sizione e la pubblicazione progressiva dei libri degli Annali e, piu tardi, quella delle satire di Lucilio. Bisogna dedurne che Nevio usava il rotolo senza tuttavia applicare, come Ennio, le tecniche editoriali sperimentate dai grammatici alessandrini sui poemi omerici. Sembra insomma che agli esordi dell'epica romana le convenzioni della civiltà libraria ellenistico-alessandrina non fos­ sero ancora state assimilate. Non a caso il problema affrontato da Lampadione nel Bellum Poenicum si presentava anche per l'altro poema arcaico in saturni, l' Odyssea di Livio Andronico; all'origina­ le, privo di divisione in libri, si affiancò infatti un rifacimento in esa­ metri diviso in libri cui sono da riferire alcuni frammenti supersti­ ti, uno dei quali è tramandato con l'indicazione del libro di apparte­ nenza.9 1 Alcuni libri antichi mancavano dunque di dispositivi che ripar­ tissero il testo all'interno; ma per introdurli accorrevano compe­ tenze specifiche. Ora Lampadione conosceva la programmazione editoriale del poema enniano, cui è pure legata la sua futura fama di 'editore' di autori arcaici.92 La sua suddivisione in libri del Bel88. Svetonio, gramm. 2 4; cfr. S. Mariotti, n Bellum Poenicum e l'arte di Nevio. Saggio con edizione dei frammenti del Bellum Poenicum, Roma, Signorelli, 1955, p. 13· 89. Barchiesi, Nevio, cit., p. 12. 90. S. Mariotti, Lezioni su Ennio, Pesaro, Federici, 1951, pp. 21 sg. 91. Ibid., pp. 19-21 e, dello stesso Mariotti, Livio Andronico e la traduzione artistica. Saggio critico ed edizione dei frammenti dell' Odyssea, Milano, De Silvestri, 1952 (=Urbino, Università, 19862}, pp. 55-59· 92. Cfr. il passo di Gellio citato piu avanti, n. 1373 26

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lum Poenicum e il contributo ad Ennio si inquadrano infatti nel con­ testo storico-culturale in cui agiscono quanti cominciarono ad imitare, almeno in parte, l'attività di Cratete di Malio, « nel senso che riguardavano con piu attenzione le opere poetiche, ancora po­ co conosciute, scritte da amici scomparsi o da qualcun'altro che es­ si apprezzavano e, con la lettura e il commento, le rendevano note anche ad altri; cosi fece Gaio Ottavio Lampadione con la Guerra punica di Nevi o, scritta senza soluzione di continuità in un solo vo­ lume, che egli divise in sette libri; cosi, piu tardi, Quinto Vargun­ teio con gli Annali di Ennio, che egli leggeva ad alta voce in deter­ minati giorni davanti ad una grande folla; cosi Lelio Archelao e Vettio Filocomo con le satire del loro amico Lucilio, che Pompeo Leneo dice di aver letto frequentando Archelao, Valeria Catone frequentando Filocomo ».93 Il passo svetoniano offre una descri­ zione chiara ed essenziale del primo vero movimento dei testi let­ terari latini; questi abbandonano le case degli autori già defunti o ancora viventi per iniziativa dei loro amici e irrompono nel nuovo ambiente scolastico cittadino che si raccoglie intorno ai seguaci di Cratete, i quali li predispongono per la divulgazione tra i frequen­ tatori delle loro 'lezioni'. Si chiude cosi l'epoca in cui la notorietà del testo non superava l' àmbito estremamente limitato degli auto­ ri e degli aristocratici ascoltatori ai quali poeti come Livio Andro­ nico ed Ennio leggevano le loro composizioni latine,94 e si apre la fase dinamica in cui l'esposizione orale vien fatta da conoscenti e da persone dotte della cerchia dell'autore, e poi dai loro allievi. Neli' impatto con una magna Jrequentia di ascoltatori scattano i meccanismi che segnano il passaggio dalla preistoria alla storia del testo. Non è sicuro che questi grammatici riscrivessero i testi che leg­ gevano e commentavano. Tuttavia è indubbio che la divulgazione, trasformando il libro da mero contenitore a veicolo di trasfusione della cultura aristocratica in settori piu ampi della comunità urba­ na, dovette dare impulso alla produzione di libri piu pratici e tecni93· 94·

Svetonio, gramm. Ibid., I-2.

2 3-4.

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camente concepiti per una piu facile comprensione del contenuto. Emerge qui il nesso tra l'adeguamento del supporto librario al te­ sto, la riforma dell'ortografia cui posero mano, nello stesso arco di tempo, Accio e Lucilio,95 e una parallela evoluzione delle forme grafiche della scrittura libraria che portò nel secolo successivo alla formazione di una capitale fluida ed elegante.96 La riconversione dei poemi di Livio Andronico e di Nevio, in forme aggiornate nel­ la metrica e nell'impianto editoriale, è dunque la spia di un piu ge­ nerale ammodernamento librario che nell'età degli Scipioni rice­ ve un nuovo impulso ed entra in gioco anche nel complesso pro­ blema della sistemazione del lascito di Plauto. Elio Stilone, mae­ stro di Cicerone e di Varrone, è il capofila di una serie di eruditi che stilarono liste delle commedie attribuite a Plauto sulla base di un'analisi che presuppone l'intelligenza prosodica e la compren­ sione metrica del testo; infatti la colometria tràdita, risultata sicu­ ramente prevarroniana, vien fatta risalire al corpus delle commedie (circa centotrenta) studiato da Stilone.97 Ma questioni di autentici­ tà aveva pure affrontato Accio, alle cui conclusioni faceva riferi­ mento nel De comoediis Plautinis Varrone, che ridusse da venticin­ que a ventuno il numero delle commedie riconosciute come plau­ tine da Stilone.98 Quest'opera di revisione filologico-esegetica, attenta alla natura e ai problemi dei singoli testi, ebbe una decisiva influenza diretta sulla fortuna e la trasmissione della poesia arcaica. Da un lato ne aumentò la fruibilità, creando le premesse di quel successo dell'e­ pos e del teatro arcaico presso vasti strati sociali alfabetizzati che mantenne vivo il culto del passato fin in età augustea: 99 ciò spiega 95· Accio, carm.frg. 30-34 (cfr. Quintiliano, inst. 1 7 14) ; Lucilio, 351-82; cfr. Della Cor­ te, La filologia, cit., pp. 72-78. 96. R. Marichal, L'écriture latine et la civilitation occidentale du I" au XVI' siècle, in L'é­ criture et la psycologie des peuples, Paris, Librairie Colin, 1963, p. 204. 97- C. Questa, Numeri innumeri. Ricerche sui 'cantica' e la tradizione manoscritta di P/auto, Roma, Ed. dell'Ateneo, 1984, pp. 59-76. 98. Gellio, m 3 1-15; sull'attività filologica di Stilone basti Della Corte, La filologia, cit., n2-14; a proposito degli scritti plautini di Varrone cfr. dello stesso autore, Varrone, Firenze, La Nuova Italia, 19702, pp. 247; 257. 99. Cfr. sopra, p. 306 ed inoltre E. Paratore, Storia del teatro latino, Milano, Vallardi, 1957, pp. 213 sgg.; 221 sg.

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perché, intorno alla metà del I secolo a.C., il Bellum Poenicum in « un volume unico » circolasse accanto a quello « diviso in sette par­ ti » lOO e il rifacimento esametrico del poema di Livio Andronico non scalzasse l' Odyssea vetus nell' homdus numerus Satumius, cui sembra legato il ricordo delle prime letture liviane di Orazio alla scuola del tradizionalista Orbilio.lOl D'altra parte, nell'àmbito di quella operazione erudita furono elaborati i criteri scientifici e tec­ nici di un riassetto editoriale dei testi funzionale all'esposizione orale, alla lettura dotta e alla loro conservazione bibliotecaria. La letteratura in prosa si caratterizza invece per una maggiore, quasi 'genetica' resistenza ad ampliare il suo spazio di diffusione. Oratoria e storiografia rimasero una riserva della classe dominan­ te. La storiografia, che aveva adottato il latino come lingua istitu­ zionale solo dopo la presa di posizione di Catone contro l'uso del greco dei primi annalisti , fu una creazione dell'élite politica, che se ne servi principalmente per sostenere e propagandare la sua inter­ pretazione dei fatti della storia contemporanea.1 02 L'oratoria era il frutto delle esperienze di singole personalità pubbliche; legata a fattori contingenti, in quanto mezzo di lotta politica e di governo, essa stentò a legittimarsi come fenomeno letterario: è significativo che Cicerone, nella ricostruzione degli esordi dell'eloquenza ro­ mana, accosti l' oratio contro Pirro di Appio Claudio cieco alle mor­ tuorum laudationes e lamenti a pili riprese nel Brutus la penuria di li­ bri e di lettori di cui soffre una produzione oratoria purvasta ed ar­ ticolata_ 103 Ci furono naturalmente studiosi che si occuparono de­ gli scritti di Catone e di Gaio Gracco, di Scipione e di Cecilio Me­ tello Numidico, al pari della poesia di Ennio e di Tizio. Ma i pre­ ziosi libri in cui Frontone, secoli dopo, trovava ancora associati 100. Santra, in Nonio, p. 170, 18-19: quod volumen unum nos lectitavimus, et postea inve­ nimus septifariam divisum; sul grammatico cfr. M. Schanz-C. Hosius, Geschichte der riimi­ schen Literatur, 1, Miinchen, Beck, 1927\ p. 584. IOI. Orazio, epist. II I 69-71; 157-58. 102. A. La Penna, Aspetti delpensiero storico latino, Torino, Einaudi, 1978, pp. 43-49; B. Gentili-G. Cerri, Le teorie del diswrso storico nel pensiero greco e la storiografia romana arcaica, Roma, Ed. dell'Ateneo, 1975, pp. 59 sgg.; 66. 103. Cfr. Brut. 6r; 65; nz; II3 e passim. 32 9

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questi autori ai nomi di Lampadione e Staberio, Plauzio e Aurelio, Autricone e Elio Stilone 104 dimostrano che in questo caso l'attivi­ tà dei grammatici di età repubblicana, piu che allargare la fascia d'utenza, favori la conservazione a distanza dei testi. Quanto agli scritti tecnico-scientifici, s'è detto che essi, prima di accedere a pie­ no titolo nel mondo delle lettere, non ebbero (o quasi) una tradi­ zione. L'unica opera ad essersi trasmessa direttamente è il De agri cultura di Catone; ma il trattato, che pure aveva scopi pratici, ri­ spondeva ad interessi vitali di un'economia di tipo rurale, peraltro già emersi nella decisione eccezionale di far tradurre gli scritti sul­ l' agricoltura del punico Magone, dopo la conquista di Cartagi­ ne) 05 A prescindere comunque dal carattere dei singoli testi, una considerazione generale s'impone: la circolazione e trasmissione della letteratura in prosa era condizionata dalle modalità della sua composizione, che avveniva mediante dettatura a uno o piu scribi; con la conseguenza che tale stesura indiretta, raccolta sul tradizio­ nale tipo di libro romano in forma di codice, conservava un carat­ tere di provvisorietà che complicava le procedure di riproduzione del testo. Quando si passi a considerare gli autori 'moderni', il travaglio di scrittura diretta che impegna incessantemente il poeta novus nella lunga fase di elaborazione del testo divarica con piu nettezza i mo­ di di diffusione e di trasmissione della produzione poetica rispetto a quella prosastica. Il 'lancio' del libellus poetico avviene infatti al termine di un processo compositivo interamente controllato dal­ l' autore, la cui conclusione viene annunciata nel proemio, e talvol­ ta celebrata da altro poeta dello stesso cenacolo; si pensi all' epi­ gramma iniziale di Catullo e al carme 95 composto dallo stesso poeta per salutare l'apparizione, dopo nove anni di fatica, della Zmyrna di Cinna. Dopo Catullo, la consuetudine del carme in fun­ zione di proemio e/o di clausola del libro o dell'intera opera, co104. Frontone, p. 15, 13-18 vdH; il passo fu restituito quasi integralmente, dopo ac­ curato riesame del palinsesto di Frontone, da E. Hauler, Pronto iiber die klassische Ausga­ ben lateinischer Schrijtsteller, in Mélanges offerts à Émile Chatelain, Paris, Librairie Ch:liTl­ pion, 1910 (rist. Genève, Slatkine Reprints, 1976), pp. 622-27. 105. Plinio il Vecchio, nat xvm 22. 33 0

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me suggello del lavoro finito, si consolida. Il primo e l'ultimo car­ me sono la sede in cui il poeta augusteo suole manifestare la spe­ ranza di diventare celebre per l'opera compiuta e argomentare tale aspettativa con una riflessione sui modelli del genere letterario o sulla tradizione poetica in cui ambisce essere collocato dalla Fa­ ma) 06 Il carattere aggiuntivo della composizione finale rispetto al libro portato a termine emerge con chiarezza dalla fittizia situa­ zione dell'ultimo distico della satira 1 10 di Orazio (vv. 90-91). Ed Ovidio, in un epigramma premesso alla riedizione degli Amores, addirittura informa sull' iter dell'opera anteriore all'assetto in tre li­ bri, che egli considera definitivo rispetto a una redazione in cinque libri già nota al pubblico. Al contrario, i diversi meccanismi compositivi della produzione in prosa non consentono all'autore di marcare un discrimine pre­ ciso tra le prime tappe della circolazione del testo e la sua divulga­ zione nella stesura veramente autentica; già il contatto precoce con i pochi lettori della sua cerchia, infatti, può condurre ad esiti imprevedibili ed avere effetti incontrollabili sullo stato del testo che si trasmette. Sulla fase di gestazione di alcuni scritti di Cicero­ ne vi sono notizie di suggerimenti richiesti e ricevuti, di rimaneg­ giamenti e cambiamenti voluti dall'autore ed effettuati, di corre­ zioni introdotte nella redazione definitiva e di errori che, vicever­ sa, egli non riesce ad eliminare dalle copie del testo da cui fluisce la tradizione. Testimonianze ben note di questa varietà di fenomeni sono i segni di cerula apposti da Attico sui margini del brogliac­ cio; 107 l'aggiunta dei nuovi proemi ai due libri degli Academica priora 108 e, quindi, la requisizione (non riuscita!) di tutti gli esem­ plari dell'opera già in possesso di « persone nobilissime » e il suo rifacimento in quattro libri; 109 la riscrittura del proemio del De gloria (nella copia inviata ad Attico l'opera recava erroneamente il proemio del terzo libro degli Academica) ; 1 1 o la sostituzione del noIo6. Orazio, carm. II 2o; m I 30; Properzio, II 34 6r sgg.; Ovidio, am. 1 I5; m I5; met. xv 871 sgg. IO]. Cfr. Att. xv I4 4; XVI n r. 108. Ibid., XIII 32 2. 109. Ibid., xm 13 (14) I. no. Ibid., xvi 6 4; 3 I. 33 1

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me di Aristofane a quello di Eupoli in un passo dell' Orator 1 1 1 e, per contro, il vano tentativo di rimediare ad un'analoga confusione di nomi nell'orazione Pro Ligario) 12 Ma c'è di piu: disporre di un depositario ufficiale dei propri scritti 1 13 non garantisce l'autore contro la divulgazione non auto­ rizzata o dolosa del testo. Quando Attico permise di far ricavare una copia del quinto libro del Defini bus dalla redazione provviso­ ria in suo possesso, Cicerone tentò, non sappiamo con quanto suc­ cesso, di farvi almeno introdurre le modifìcazioni che egli nel frat­ tempo aveva apportato al testo dell'opera nell'esemplare perso­ nale.114 Altrove l'oratore lamenta che sia in circolazione un'edi­ zione pirata dell'In Curionem, un discorso che aveva lasciato in sta­ to di abbozzo e mai rielaborato per la pubblicazione.115 Nono­ stante Cicerone possa intervenire nell'iniziale processo di ripro­ duzione dei suoi scritti, agendo direttamente sulla manodopera al suo servizio o sul team editoriale di Attico, le vicende ricordate mettono in luce la difficoltà - e talvolta l'impossibilità - di immet­ tere nei meccanismi di trasmissione il testo effettivamente 'licen­ ziato' dall'autore a causa della coesistenza di piu edizioni, « tutte parimenti autentiche », con varianti testuali che riflettono « esita­ zioni e oscillazioni nell'originale, negli originali >> : partendo pro­ prio dai casi inerenti alle opere ciceroniane, Giorgio Pasquali co­ glieva la connessione di questo fenomeno peculiare dei testi latini con le consuetudini editoriali e le modalità di riproduzione-distri­ buzione libraria dell'ultimo periodo repubblicano e ne seguiva le tracce nella testualità di epoca imperiale_ 1 1 6 Insomma, la distinzione tra edere e publicare 1 17 - cioè tra l' ediziom. Ibid., xn 6a 1 (cfr. orat. 29). 112. Ibid., XIII 44 3· 1 13. Su questo ruolo di Attico, cfr. Cicerone, AtL xiii 22 2; 48 2; xvi 3 1. 114. Cfr. Att. x m 21a 1. ns. Ibid., m 12 2. n6. G. Pasquali, Storia della tradizione e critica del testo, Firenze, Le Monnier, 19622, pp. 397-465 (citazione da p. 397); una riconsiderazione generale del problema si deve a S. Mariotti, Varianti d'autore e varianti di trasmissione, in La critica del testo. Problemi di metodo ed esperienze di lavoro, Atti del Convegno di Lecce, 22-26 ottobre 1984, Roma, Salerno Ed., 1985, pp. 91-III. n7. Fehrle, Das Bibliothekswesen, cit., p. 30. 332

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ne senza alcun intento di diffusione oltre l'ambiente di amici lette­ rati che ruota intorno all'autore e la vera e propria pubblicazione risulta nella pratica molto labile. Un testo che arbitrariamente o per un'imprudenza dell'autore venga « nelle mani della gente », come il De ratione dicendi di Marco Antonio, può riprodursi e circo­ lare liberamente. 1 1 8 In una lettera ad Attico, Cicerone stesso trova conveniente invitare il suo 'editore' a moltiplicare le copie dell'An­ ticato di Irzio_ 1 1 9 C'erano poi opere vaste e complesse, lasciate in­ complete dagli autori, che favorivano iniziative editoriali postume consistenti nella ricomposizione dell'intero progamma testuale in una pubblicazione che inglobava l'edizione diacronica di singole parti. L'Eneide di Virgilio è un esempio di composizione progressi­ va e diffusione parziale (attraverso le recitationes e l'edizione di sin­ goli libri) di un poema che la morte aveva impedito all'autore di ultimare e preparare per l'edizione definitiva: compito arduo che, per disposizione di Augusto contraria alla volontà del poeta, impe­ gnò Vario in un attento lavoro. 12 o Un processo similare si può im­ maginare per il De rerum natura di Lucrezio. Il poema tramandato presenta infatti i difetti formali e strutturali dell'opera che l'autore non fece in tempo a preparare per la pubblicazione; varie imperfe­ zioni ed incongruenze sia esterne (dediche a Memmio soltanto in alcuni libri, progetti alternativi dell'opera nell'introduzione del primo libro) sia interne (parentesi e digressioni, richiami interni non sistematici tra i diversi libri, frequenti ripetizioni, prefazioni 'doppie') postulano una stesura in fasi diverse e forse una circola­ zione indipendente dei sei libri, che dovettero trovare sbocco in una pubblicazione complessiva inevitabilmente imperfetta dopo la morte di Lucrezio. 121 La tendenza all'appropriazione indebita di un testo già pubbli­ cato è destinata a crescere man mano che la figura dell'imprendin8. Cicerone, de ora t. I 94: in libello qui me imprudente et invito exddit et pervenit in manus hominum. n9. Cicerone, Att. xn 40 L 120. Donato, vita Verg. l. 155 sgg. 121. Sulla questione cfr. C. Bailey, Titi Lucreti Cari De rerum natura libri sex, I, Oxford, Clarendon Press, 1947, pp. 31-37- Sull'emendatio ciceroniana del poema cfr. Girolamo, chron. a. Abr. 1923 (Helm, p. 249).

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tore-libraio si interpone tra l'autore e la sua opera_ 122 Infatti l'atti­ vità della bottega libraria aggrava l'anarchia del sistema di circola­ zione dei testi, allorché potenzia il ritmo di riproduzione e dilata il raggio di distribuzione del libro; per di piu, la degradazione a livel­ lo di merce del libro commerciale abbassa il tasso di correttezza di quest'ultimo rispetto alle copie trascritte privatamente, le quali ve­ nivano abitualmente controllate da un revisore.1 23 A questi aspetti e consuetudini della realtà libraria propria del­ l' età augustea può essere utilmente agganciato il papiro di Corne­ lio Gallo, recentemente scoperto in una località della Nubia. Il frammento, riferito dagli editori al terzo venticinquennio del I se­ colo a.C, fornisce una serie di dati grafici, ortografici e tecnico-edi­ toriali che completano l'immagine del libro letterario diffusa dalla colta poesia di matrice alessandrina. t24 La sua elegante e scorrevo­ le scrittura non raggiunge il livello calligrafico presente in alcuni lussuosi esemplari di testi di oratoria politica e giudiziaria contem­ poranea, provenienti dalla «Villa dei papiri » di Ercolano: fram­ menti come il P. Herc. 1067 e il P. Herc. 1475, databili al tardo I secolo a.C., attestano infatti una capitale di modulo piu grande, con mar­ cato e morbido chiaroscuro. t2 5 Ma, a parte la diversa qualità for­ male della scrittura, sia nell'uno sia negli altri manufatti le righe e le colonne di scrittura, sensibilmente piu larghe di quelle dei rotoli greci, 126 « danno l'impressione che si pongano in uno spazio aper­ to ai lati e quasi attraversato da un moto orizzontale procedente da 122. Sul fenomeno sì diffonde P. Fedeli, I sistemi di produzione e diffusione, nel vol. n di quest'opera, pp. 357 sgg. 123. Strabone, xm 1 54; cfr. Fehrle, Das Bibliothekswesen, cìt., p. so. 124. CLAAdd. 1817; cfr. R.D.Anderson-PJ. Parsons-R.G.M. Nìsbet, Elegiacs by Gal­ lus from Qasr Ibrim, in « JRS », a. LXIX 1979, pp. 125-55. Sulla discussa autenticità del frammento si veda, da ultimo, Cavallo, Libro e cultura, cìt., p. 696 con bibliografia. 125. CLA 111 386; 387 (PLPp. 34) ; sulla scrittura rinvio a G. Petronio Nicolaj, Osser­ vazioni sul canone della capitale libraria romana fra I e II secolo, in Miscellanea in memoria di Giorgio Cencetti, Torino, Bottega d'Erasmo, 1973, pp. n-14. Sul contenuto e la datazione dei due frammenti cfr. F. Costabile, Opere di oratoria politica e giudiziaria nella biblioteca della Villa dei papiri: i PHerc. latini 1067 e 1475, in Atti del XVII Congresso internazionale di papirologia, 11, Napoli, Centro ìntern. per lo studio dei papiri ercolanesi, 1984, pp. 591606. 126. G. Cavallo, I rotoli di Ercolano come prodotti scritti. Quattro riflessioni, in « S & C », a. VIli 1984, p. 27.

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sinistra a destra che . . . ben risponde alle possibilità di presentazio­ ne offerte e dal materiale scrittorio d'uso, il papiro, e dalla for­ ma . . . dello stesso, il rotolo >>•127 In effetti, di interesse eccezionale è nel papiro di Gallo l'organizzazione visuale della pagina; 128 la separazione tra componimenti successivi affidata allo spazio bian­ co, rafforzato da semplici segni paragrafali; la marcata rientranza del pentametro rispetto all'esametro, che indica il mutare del me­ tro all'interno del carme; la maggiore dimensione della lettera ini­ ziale dell'esametro rispetto a quella, pur di modulo grande, del pentametro, quasi a sottolineare una gerarchia tra i due versi del distico elegiaco; il lieve stacco, in entrambi i casi, tra l'iniziale e la lettera che segue; la punteggiatura regolare; infine, la larghezza della colonna sono elementi che, nel complesso, indicano il livello di originalità raggiunto dal libro latino nella sua emancipazione dai modelli greci. Sia gli accorgimenti di carattere estetico sia quel­ li volti a facilitare la leggibilità e l'intelligenza del testo, attraverso l'individuazione visiva delle singole parole e dei diversi metri, mo­ strano già fissati i tratti connotanti del modello di presentazione delle opere poetiche che, pur tra le discontinuità che scandiscono lo sviluppo delle tecniche di impaginazione nel passaggio dal roto­ lo al codice, si conserva per l'intero arco della cultura libraria occi­ dentale. È difficile pensare che sotto il regno di Augusto vi fossero in Nubia maestranze locali in grado di produrre un libro latino di qualità per lettori colti come il rotolo di Gallo. Questo sembra piuttosto la tipica copia di un testo poetico in voga, emigrata dal centro in provincia. In questa prospettiva il reperto conferma quanto la condanna imperiale dell'autore fosse ininfluente ai fini della circolazione della sua opera, la quale continua ad obbedire al­ la logica del mercato. Che il rotolo sia un esemplare per il com127- Petronio Nicolaj, Osseroazioni, cit., p. 13. 128. Sulla peculiare presentazione del testo metrico cfr. C. Questa, Il metro e il libro, in Il libro e il testo, a cura di C. Questa e R. Raffaelli, Atti del Convegno internazionale di Urbino, 20-23 settembre 1982, Urbino, Università, 1984, p. 396; R. Raffaelli, La pagi­ na e il testo. Sulla funzione della doppia rigatura verticale nei codici latini 'antiquiores', i bid., pp. 21-23.

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mercio inducono a credere alcuni indizi quali la mancata correzio­ ne di un errore evidente, l'alternarsi di forme arcaiche (quom) e nuove (maxima) ed altre incoerenze ortografiche, l'assenza di ac­ centi sulle vocali lunghe. Accenti regolari invece non mancano in un altro avanzo di rotolo papiraceo di Ercolano, il P. Herc. 817, da as­ segnare ad una data tra il I secolo a. e d.C.; ma questo frammento, scritto in una maiuscola d'uso piu generale, nella quale si mescola­ no forme corsive, è un prodotto allestito nella stessa Villa allo sco­ po di accrescerne il patrimonio bibliotecario; 129 e al parziale recu­ pero di questa biblioteca patrizia distrutta nel 79 d.C. è legata la so­ pravvivenza del testo che contiene, il cosiddetto Carmen de bello Ac­ tiaco: un poema che dovette avere scarsa diffusione e non ha lascia­ to quindi altre tracce di sé. In questo sintetico panorama dell'uso sincronico e diacronico della produzione letteraria antica e recente, una svolta profonda fu provocata da un'iniziativa di Quinto Cecilia Epirota, il quale sotto Augusto apri una scuola e cominciò a leggervi Virgilio ed altri poe­ ti novi.BO Cosi una generazione di maestri di scuola sensibile ai tempi nuovi e alle nuove correnti poetiche (Cecilia, liberto di At­ tico, era stato intimo amico di Cornelio Gallo) , rifiuta metodi di insegnamento e preferenze letterarie tradizionali e promuove al rango di classico Virgilio, sull'onda della grande emozione suscita­ ta dalle letture alla corte imperiale dell'Eneide, che venne allora sa­ lutata come « un qualcosa di piu grande dell'Iliade stessa ».l31 In se­ guito a questo evento, destinato a ripercuotersi sull'intera storia della scuola e della cultura latina,132 gli autori arcaici uscirono ben presto dal circuito degli usi individuali correnti per rientrare defi­ nitivamente nell'alveo esclusivo degli studi letterari o essere rele­ gati tra le memorie patrie nelle biblioteche. La scuola, infatti, con129. CLA m 385 (PLPp. 35 sg.) ; cfr. Cavallo, I rotoli di Ercolano, cit., pp. 20 sg.; 26-28. 130. Svetonio, gramm. 16 1-3. 131. Properzio, n 34 66. Sulle recitationes a corte e in pubblico dell'Eneide informa Donato, vita Verg. lL 109 sgg. 132. Marrou, Histoire, cit., pp. 334 sg.; gli orientamenti dell'insegnamento dopo l'età augustea sono dettagliatamente analizzati da G.F. Gianotti,l testi nella scuola, nel vol. n di quest'opera, pp. 446 sgg.

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tinuerà fino alla tarda antichità a leggere e a commentare gli arcai­ ci, usandoli ora in forma di citazioni riprese da fonti grammaticali ora come selezione di materiali attinti direttamente ai 'libri di te­ sto' prodotti per le esigenze dei suoi operatori ed utenti. Gli individui in possesso degli strumenti dell'educazione gram­ maticale e retorica sono altresi i naturali custodi o i destinatari del­ le rarità bibliografiche provenienti da collezioni private: modelli dell'eloquenza arcaica quali Tiberio e Gaio Gracco, ancora usati insieme a Catone da un maestro di vecchio stampo del tempo di Quintiliano, 133 ritrovava per esempio Plinio il Vecchio in esempla­ ri di due secoli prima posseduti dal poeta Pomponio Secondo.134 Questi esempi di longevità libraria dimostrano la vitalità di quegli autori arcaici che tra i secoli II e I a.C. avevano ricevuto le cure dei grammatici; i veteres continuavano a circolare soprattutto in pro­ vincia t 35 e a godere di una fruizione in àmbito scolastico e in pub­ bliche recitationes: è noto che al tempo di Gellio gli Annali di Ennio erano ancora letti nel teatro di Pozzuoli. 1 36 Questa speciale cate­ goria di libri viene perciò a determinare, involontariamente, una gerarchia dei testi letterari arcaici e, quindi, una selezione insistita 133. Quintiliano, inst. II 5 21; su Catone e i Gracchi come paradigmi della prosa ar­ caica cfr. Frontone, p. 105, 14 vdH. 134. Plinio il Vecchio, nat. XIII 83; che la testimonianza si riferisca a libri antichi non falsificati, piuttosto che ad autografi, ha sostenuto ragionevolmente S. Timpanaro, Per la storia della filologia virgiliana antica, Roma, Salerno Ed., 1986, p. 41. 135. Ciò trova conferma nella testimonianza di Svetonio (gramm. 24 I sgg.) relativa alle letture di M. Valerio Probo nella nativa Berito. Sull'insegnamento di questo grammatico mi limito a rinviare a A. Grisart, Valerius Probus de Beyrouth, in « Helikon », a. II 1962, pp. 406 sgg.; G. Pascucci, Scritti scelti, I, Firenze, Università, 1983, pp. 399 sgg.; in particolare, sul suo metodo filologico cfr. K. Btichner, Oberlieferungsgeschichte der la­ teinischen Literatur des Altertums, in Geschichte der Textiiberlieferung derantiken und mittelal­ terlichen Literatur, I, Ztirich, Atlantis Verlag, 1961 (rist. in Die Textiiberlieferung der antiken Literatur und der Bibel, Mtinchen, Deutscher Taschenbuch Verlag, 1975), pp. 335-39· Ai contributi testuali ed esegetici di Probo sono dedicate alcune pagine del lavoro di Zetzel, Latin Textual Criticism, cit., pp. 41-54, da utilizzare insieme all'illuminante ri­ trattazione di Timpanaro, Per la storia, cit., pp. 18 sgg.; 77 sgg. Sul ruolo innovatore di Probo sul versante della trasmissione dei testi cfr. O. Pecere, La tradizione dei testi latini tra IV e Vsecolo attraverso i libri sottoscritti, in AAYV., Società romana e impero tardoantico, a cura di A. Giardina, Iv; Tradizione dei classici, traiformazioni della cultura, Roma-Bari, La­ terza, 1986, p. 29 e nota 54 di p. 223, con ulteriore bibliografia. 136. Gellio, XVIII 5 I sgg., su cui si veda L. Gamberale, Gli Annali di Ennio alla scuola del grammaticus, in « RFIC », a. cxvu 1989, pp. 49-56. 337

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sull'affidabilità e la qualità delle loro 'edizioni'. Gli abbinamenti autore-grammatico, presenti nel citato passo di Frontone (pp. 32930), testimoniano che nel clima arcaizzante del secolo II il presti­ gio e l'autorità di queste vecchie 'edizioni' era pari al loro elevato valore commerciale sul mercato dell'antiquariato librario, dove alimentavano una produzione di falsi: di qui la cautela di Gellio nei confronti di un esemplare che si riteneva 'emendato' da Lam­ padione.B7 A parte Virgilio, tra i poeti e i prosatori che, grazie alla 'riforma' di Cecilia Epirota, soppiantarono nei programmi il vecchio cano­ ne degli auctores letti e commentati a scuola, una posizione domi­ nante dovettero assumere Cicerone e Orazio. A distanza di circa un secolo, i libri di Virgilio, maximus vates, 1 38 e di Orazio, che tra i poeti lirici « è quasi l'unico degno di essere letto », 1 39 risultano i piu consunti dall'uso degli studenti, mentre la gloria data a Cicero­ ne dalla toga, cioè dalla sua eloquenza, uguaglia quella conquistata da Augusto con le armi ad Azio e in altre imprese belliche.140 La fama di Cicerone era ovviamente sostenuta da una larga circola­ zione delle sue orazioni, in particolare di quei gruppi omogenei di discorsi legati agli episodi piu importanti della sua attività giudi­ ziaria e politica ( Verrine, orazioni consolari, Filippiche) che l'oratore stesso aveva ordinato in corpora per la pubblicazione_141 Non a caso un frammento della seconda Verrina è emerso in uno dei piu anti­ chi libri latini ritrovati in Egitto, anch'esso databile tra i secoli I avanti e I dopo Cristo; il P. Iand. 90, scritto in una capitale con ele­ menti corsivi e provvisto di accenti, di punteggiatura e di segni di­ versi per marcare le pause, è un altro esempio di rotolo papiraceo 137. Gellio, xvm 5 n. Sui libri antichi utilizzati dagli eruditi del secolo II e il pro­ blema dei falsi cfr. O. Pecere, La « subscriptio » di Statilio Massimo e la tradizione delle «Agrarie » di Cicerone, in � IMU », a. xxv 1982, pp. 101-3; Timpanaro, Per la storia, cit., pp. 40-42. 138. Seneca, dial. x 9 2; cfr. anche Quintiliano, inst. I 8 5· 139. Quintiliano, inst. x I 96. 140. Giovenale, 7 225-27; 8 240-43; si veda inoltre Quintiliano, inst. I 8 n; 11 5 18. 141. Schanz-Hosius, Geschichte, cit., p. 405; Pecere, La « subscriptio », cit., pp. n6-2o; R. H. Rouse-M.D. Reeve, Cicero, Speeches, in Texts and Transmission. A Survey ofthe Latin Classics, ed. by L.D. Reynolds, Oxford, Clarendon Press, 1983, p. 55·

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di buon livello artigianale rispondente alle caratteristiche di un te­ sto che aveva una diffusione abbastanza ampia, 1 42 Modello controverso di stile oratorio divenne subito anche Sal­ lustio, 1 43 prima di conquistare il primato tra gli storici romani (pri­ mus Romana Crispus in historia) 144 e di affermarsi, in questa duplice funzione, come classico. Testimonianze della diffusione e della posizione di prestigio assegnata all'autore nell'età di Gellio e di Frontone 1 45 sono i frammenti di due rotoli papiracei, contenenti il Bellum Iugurthinum e le Historiae, restituiti dall'Egitto: P. RJl. 42 e P. Ryl. 473 · L'alta qualità di entrambi i manufatti, databili tra i secoli II-III d.C., fa ritenere che si trattava di esemplari d'importazio­ ne,l46 In particolare il rotolo delle Historiae, scritto in una capitale accuratissima, privo di punteggiatura ma sottoposto a una revisio­ ne che elimina gli errori del testo, rivela nelle studiate simmetrie dell'impaginazione (altezza della colonna di scrittura pari al dop­ pio della larghezza, ampiezza dei margini superiori ed inferiori uguale alla distanza tra le singole colonne) la fattura elegante del libro di alta qualità. Anche alle biblioteche pubbliche si può riconoscere un ruolo importante nella trasmissione dei vecchi e nuovi autori 'canonici'. Per la conservazione dei classici della letteratura arcaica, in istitu­ zioni che non pare disponessero di un apparato di riproduzione li­ braria interno, si dovette infatti ricorrere ad esemplari in cui fosse organizzata secondo piani editoriali unitari la tradizione delle di­ verse opere o dei singoli libri dell'opera di un autore, e nei quali il rapporto tra testo e libro fosse filologicamente curato e garantito dai grammatici anteriori a Varrone; si preferirono, cioè, edizioni in cui, per quanto concerne in particolare Plauto e Terenzio, la pre­ sentazione del testo metrico fosse governata da quel sistema di I,P. CLA VIII I20I (PLP pp. 32 sg.). I43· Si pensi al giudizio stroncatorio di Asinio Pollione (in Svetonio, gramm. IO 3) e alle opposte valutazioni di Seneca il Vecchio, contr. III praef. 8; IX I I3-14 ; Quintiliano, inst. IV 2 45; IX I 102. I44· Marziale, XIV I9I; cfr. anche Quintiliano, inst. II 5 I9. 145· Gellio, IV IS I; Frontone, p. 105, I4; 148, n vdH. I46. CLA II 223 (PLP pp. 63 sg.); CLA Suppl. I72I (PLP pp. 64 sgg.). 339

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precisi segnali di orientamento per il lettore, che ha lasciato cospi­ cue tracce nei codici tardoantichi dei due autori.147 Tanto piu che Varrone, alfiere degli eruditi cui fu affidata la scelta dei materiali li­ brari delle biblioteche pubbliche, si dedicò personalmente al rior­ dinamento delle Jabulae plautine: è noto che il corpus varroniano strutturato in gruppi di sette rotoli/commedie, ciascuno probabil­ mente contenuto in una capsa, assecondò la rivalutazione di Plauto nel secolo II d.C. e il suo recupero nella tarda antichità_l48 La vi­ cenda del testo plautino (e terenziano) è esemplare. La sistemazio­ ne in corpora è infatti la condizione stessa della ulteriore sopravvi­ venza degli autori arcaici. Quando però cessano la fruizione scola­ stica e la conservazione bibliotecaria, si interrompe anche la tradi­ zione diretta ed essi scompaiono in blocco, salvandosi soltanto co­ me testi referenziali; solo le citazioni dei grammatici hanno di fat­ to impedito che svanisse del tutto la memoria di gran parte della poesia e della prosa primitiva. Ma non sono soltanto le emergenze dei testi arcaici nei secoli dell'impero che presuppongono spesso il riuso di antiche 'éditions savantes'. La tradizione medievale di Orazio ha conservato tracce di una disposizione del testo (pur degradata e banalizzata) funzio­ nale alla immediata perspicuità del fatto metrico, che è stata con­ vincentemente ricondotta ad un'edizione critica su rotolo, ante­ riore quindi alla tarda antichità. 1 49 L'assenza di riscontri nei piu antichi reperti papiracei dei lirici greci di questo tipo di impagina­ zione, attestata invece nel papiro di Cornelio Gallo, induce a colle­ gare questo peculiare fenomeno librario latino a pratiche di frui­ zione elitaria e di conservazione selettiva, cui appunto soggiaccio­ no i testi recenti accolti nelle biblioteche pubbliche di Roma. La 147. Per Plauto basti il lavoro di Cesare Questa, citato nella nota 97; per Terenzio cfr. R. Raffaelli, La presentazione metrica del testo nel Terenzio Bembino: bipartizioni e 'clausu­ lae', in La critica testuale greco-latina, oggi. Metodi e problemi, a cura di E. Flores, Atti del Convegno intern. Napoli 29-31 ottobre 1979, Roma, Ed. dell'Ateneo, 1981, pp. 187-89; 200 (saggio ristampato nel volume Ricerche sui versi lunghi di P/auto e di Terenzio, Pisa, Giardini, 1982, pp. 161 sgg.). 148. Cfr. il passo di Gellio citato sopra nella nota 98, e Cavallo, Testo, libro, cit., p. 328. 149. Questa, Il metro, cit., pp. 379 sgg., in particolare p. 394·

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testimonianza relativa al liber dei Tristia ovidiani, che cerca ospitali­ tà nelle biblioteche di Roma, 1 50 prova che in esse erano depositati gli originali, forse gli autografi degli auctores novi. Né manca un in­ dizio che nella biblioteca del Palatino fossero conservati abbozzi e stesure avanzate dell'Eneide (oltre, naturalmente, all'edizione uffi­ ciale del poema virgiliano preparata da Vario); qui infatti Igino, quando dirigeva la biblioteca augustea, avrà trovato il manoscritto « proveniente dalla casa e dai liberti di Virgilio », di cui si serve per rivendicare al poeta una lezione non penetrata negli esemplari correnti. 1 5 1 Tuttavia, in una prospettiva di trasmissione a lungo termine dei testi latini, l'efficacia della biblioteca imperiale, per le ricorrenti catastrofi che ne impoveriscono il patrimonio librario, resta piut­ tosto scarsa. La lettura e la conservazione della piu recente lettera­ tura colta, alimentate dal commercio librario, erano infatti correla­ te, anche e soprattutto, all'esistenza di un pubblico sempre piu di­ versificato e dislocato. Certo chi, come Orazio, temeva di affronta­ re le incognite del mercato, vedeva nella biblioteca posta sotto la protezione di Apollo un rifugio ove la sua opera, in mancanza di norme di tutela dei diritti dell'autore, 1 52 era al riparo da subdoli tentativi di plagio_ 1 53 Ma l'intellettualità piu spregiudicata e ag­ giornata riconosceva ormai il peso decisivo della funzione edito­ riale. La musa tenue di Ovidio si rivolge a pueri, puellae, e alla grata iuventus, 1 54 sicché, nello sconforto dell'esilio il poeta può confi­ dare che i suoi libri, cacciati dalle biblioteche pubbliche, trovino accoglienza e attenzione presso un anonimo pubblico medio: 1 55 c'è qui la consapevolezza che l'accesso alla biblioteca pubblica non può garantire la sopravvivenza di un testo letterario se non I50. Cfr. sopra, p. 324 n. 84. I51. Gellio, I 2I 2: cfr. Timpanaro, Per la storia, cit., pp. 36 sg.; 52-56. I52. Fedeli, Autore, committente, cit., p. 99· I53· Orazio (epist. I 3 I5-17) , ammonendo il poeta Celso a non toccare gli scritti ac­ colti nella biblioteca di Apollo, vuole estendere anche alle opere letterarie il divieto che riguardava propriamente i libri sibillini: cosi pareva all'antico scoliaste ( Schol. Hor. cpist. I 3 17) . I54· Ovidio, am. II I 5-6; ars am. II 733; 745; III 8n. I55· Ovidio, trist. I I 17; 88; III I 82. 34 1

ORONZO PECERE si accompagna alla conquista di nuove e piu ampie fasce di let­ tori. 5·

LA TARDA ANTICHITÀ: SISTEMA LETTERARIO E TRADIZIONE DEGLI AUTORI

In età imperiale i meccanismi della trasmissione testuale ricevo­ no impulsi e condizionamenti dagli stessi convergenti fattori, cul­ turali e tecnico-editoriali, che avevano impresso una svolta alla tradizione della letteratura latina tra tarda repubblica e principa­ to_15 6 Il pubblico letterario riflette la mutata morfologia della clas­ se egemone e ingloba man mano figure e strati medio-bassi per i quali la partecipazione al circuito della formazione e del consumo librario è essenziale, giacché soddisfa, a diversi livelli, una comune aspirazione al cambiamento di condizione sociale. Tuttavia, sebbene un'attività editoriale non piu modellata su un mercato ristretto semplifichi l'accesso al libro, nell'area della lettu­ ra non si assiste ad un'adeguata espansione del nucleo storico dei fruitori del testo letterario di qualità, che resta sostanzialmente eli­ tario. Infatti, sollecitata dal dinamismo sociale, la tendenza che spinge i nuovi ceti urbani verso attività di sicuro successo e posi­ zioni di potere o di prestigio raggiungibili facilmente ed in tempi rapidi, introduce segnali di involuzione culturale già nel corso del I secolo d.C. Elementi di crisi vengono individuati nella corruzio­ ne della lingua (un dibattito che appassiona il mondo intellettuale del tempo si svolge intorno allo scadimento dell'eloquenza) 1 57 e nel prevalere di un sapere superficiale, fatto di vuota retorica; ma non va ignorato il fatto che il processo di apprendimento spesso si arrestava - volutamente ed in polemica con la cultura dominante ad un livello di conoscenza elementare, funzionale a scopi mera­ mente utilitaristici.158 Due aspetti tipici di questa società in rapido 156. Sui principali fattori di conservazione e perdita, e sui momenti che scandisco­ no la tradizione dei testi letterari, ha scritto pagine essenziali Norden, La letteratura ro­ mana, cit., pp. 223-33· 157· Seneca, epist. 19 5; Tacito, dia/. 20; Giovenale, IO II4 sgg. 158. Significativo l'atteggiamento dei liberti del Satyricon: cfr. Petronio, 4 6 7; 58 7· 342

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sviluppo sono il frequente rifiuto di seguire percorsi scolastici troppo impegnativi, che vede alleati genitori e figli nella contesta­ zione di quei maestri che impongono un severo tirocinio di studi grammaticali e retorici, t 59 e la diffusa presenza di biblioteche ben fornite nelle case di personaggi - si pensi al parvenu di Petronio o ai collezionisti ignoranti di Seneca e di Luciano _ t 6o desiderosi sol­ tanto di fare sfoggio di ricchezze, ma privi di interesse reale, se non addirittura della capacità di leggere i testi letterari posseduti, e quindi senza alcuna sensibilità per la loro salvaguardia. Nel decli­ no dell'ideale di paideia greco-latina, implicito nell'abbandono dei curricula tradizionali da parte dei nuovi soggetti sociali alfabetizzati e acculturati, si intravede un primo sintomo dell'affievolirsi dell'ege­ monia culturale dell'élite aristocratica, con la quale era nata la coscien­ za di un patrimonio letterario romano da conservare e trasmettere. La duttilità delle letture, corrispondente alla diversità dei livelli di studi, degli strumenti e delle competenze culturali, stimola una vasta produzione libraria comprendente opere di diversa indole e provenienza. Sotto il profilo editoriale tutta questa testualità, an­ che quella 'moderna', dovette circolare in forme varie e disorgani­ che, ave solo si consideri che gli epigrammi di Marziale furono pubblicati in successive edizioni, diverse per contenuto e forma li­ braria, e che Quintiliano attesta l'esistenza di una redazione del­ l' Institutio oratoria allestita da suoi scolari sulla base di appunti delle lezioni. t 6 t Ora, se questo disordine editoriale/distributivo non 159. Petronio, 1-4; Quintiliano, inst. I 2 6-8; cfr. S.F. Bonner, Education in Ancient Ro­ me, London, Methuen, 1977, pp. 98; 103. 160. Seneca, dial. IX 9 4-7; Petronio, 48, 4; Luciano, ind. 1-2; 4-5 e passim. Si pensi an­ che all'ex schiavo arricchito Calvisio Sabino, che si faceva suggerire i testi da recitare da una squadra di servi, ciascuno dei quali sapeva a memoria determinati autori (Se­ neca, epist. 27 4-6). 161. Le vicende editoriali di Marziale sono messe a punto da M. Citroni, M. Valerii Martialis epigrammaton liberI, Firenze, La Nuova Italia, 1975, pp. XIX; s; 12-14; 1']-18; Id., Pubblicazione e dediche di libri in Marziale, in « Maia », n.s., a. XL 1988, pp. 9-17. Sull' edi­ zione provvisoria dell' Institutio oratoria informa Quintiliano nel proemio (par. 7).Am­ pia documentazione del fenomeno nel saggio di T. Kleberg, Commercio librario ed edito­ ria nel mondo antico, trad. it. in Libri, editori e pubblico nel mondo antico. Guida storica e critica, a cura di G. Cavallo, Roma-Bari, Laterza, 19893, pp. 56 sg.; cfr. anche Fedeli, I sistemi di produzione, cit., pp. 357 sg.

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impedi ad autori di particolare rilevanza di fruire - a differenza di certa letteratura di consumo, pure abbondante - di canali di tra­ smissione regolari, la quasi totalità dei libri dell'epoca era destinata a perdersi perché funzionalmente inscritta in un'economia di let­ tura privata, non mirata ad una conservazione consapevole e pro­ grammata dei testi. Di qui la difficoltà di identificare il contenuto degli scarsi avanzi di rotoli letterari, di diversa qualità grafica e li­ braria, riferibili ad un arco cronologico compreso tra i secoli I e II d.C.: dal frammento di mimo (Afranio?) o di declamazione in for­ ma dialogica, agli ipotetici estratti di un trattato sull'agricoltura o di un libro di cucina, al presunto frammento delle Origines di Cato­ ne, ai frustuli di scritti filosofici; 162 ed anche quando il testo si la­ scia inquadrare con sicurezza in un genere letterario, come il frammento del cosiddetto De bello Macedonico su codice pergame­ naceo (il piu antico superstite, se veramente databile al I-II secolo d.C.), t 63 si tratta di opera non attestata ulteriormente. Insomma, piu che per la storia della tradizione dei testi, questi reperti rivesto­ no piuttosto valore in quanto testimonianze tra le piu antiche del libro e della scrittura latina.t64 Non migliore sorte tocca ai libri degli autori piu letti o conte­ nenti opere note del repertorio scolastico, a parte casi sporadici di parziale sopravvivenza di esemplari esportati in Egitto quali i già citati frammenti di Cicerone e di Sallustio, o di prodotti librari lo­ cali ad uso di individui di lingua greca, come il minuscolo lembo di rotolo papiraceo contenente versi delle Bucoliche di Virgilio: un frammento scritto in una capitale frammista di forme onciali, che viene assegnato al II secolo d.C. sulla base di nomi in corsiva greca vergati sul retro del papiro_165 Eppure, nell'àmbito del rinnova­ mento delle pratiche di riscrittura dei testi, e nelle trame di un commercio librario sempre piu intenso si collocano mutamenti 162. CLA VIII 1214 (PLPpp. 39 sg.); vm 1220 (PLP p. 45) ; Suppl. 1714 (PLP pp. 49 sg.); n 207 (PLP pp. 52 sg.); XI 1644 e 1666 (PLP pp. 47 sg.; 34 sg.). 163. CLA n 207 (PLP pp. 52 sg.); sulla datazione del frammento cfr. Cavallo, Testo, libro, cit., p. 325, n. 74· 164. Petronio Nicolaj, Osservazioni, cit., pp. 18-20. 165. CLA Add. 1816. 344

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destinati ad incidere sui meccanismi di trasmissione; basti pensare alla riabilitazione come libro letterario del codice, di cui Marziale predica la comodità e l'attualità a proposito delle opere di Virgilio, Cicerone, Livio e Ovidio, 166 o all'organizzazione in corpora degli scritti degli autori già considerati classici. Un esempio significativo, e certamente non isolato, è la raccolta contenente ventiquattro di­ scorsi ciceroniani posseduta da Statilio Massimo, uno studioso di Cicerone attivo probabilmente nel secolo II. A quanto attesta una subscriptio conservatasi nei testimoni medievali alla fine della prima orazione de lege agraria, Statilio emendò il testo appoggiandosi ad un esemplare di Tirone, lo scriba liberto di Cicerone, e ad altri au­ torevoli modelli, i quali scandivano le tappe precedenti del cam­ mino del testo delle Agrarie e, forse, della loro aggregazione in pro­ grammi editoriali vasti e coerenti, anche se non necessariamente simili a quello dell"edizione' statiliana_l 67 A fronte di questi fenomeni di modernità e di razionalizzazione, che cominciano a manifestarsi nei processi di produzione e tra­ smissione del libro/testo, bisogna però considerare che la crescita del pubblico dei leggenti, e la sua presenza ramificata dentro la mappa delle località periferiche ove si estende la fitta rete delle strutture amministrative e burocratiche dell'impero, venivano spesso ad imporre una riconversione dei testi nella forma degrada­ ta del manuale scolastico e dell'epitome. Coloro che si esercitava­ no a scrivere versi, o spezzoni di versi di Virgilio sulle pareti di lo­ cali adibiti a scuola di Roma e di Pompei, o su fogli sciolti di papiro e di pergamena, t 6B leggevano (o avevano memorizzato leggendo) 166. Marziale, XIV 186; 188; 190; 192. Che, nel caso di Virgilio e di Livio, Ma�ziale si riferisca a una serie di codici, ciascuno contenente un gruppo di libri e non antologie o epitomi dell'opera, ha sostenuto a ragione G. Cavallo, Codice e storia dei testi greci anti­ chi. Qualche riflessione sulla fase primitiva del fenomeno, in Les débuts du codex, éd. par A. Blanchard, Actes de lajournée d' étude organisée à Paris les 3e et 4e juillet 1985, Turn­ hout, Brepols, 1989, p. 172 n. 15. 16']. Pecere, La « subscriptio >>, cit., pp. 73 sgg., specialmente pp. 97-123. 168. CLA Suppl. 1695; 1718 (PLP pp. 42 sgg.); Add. 1833; VI 833; xi 1646 (PLPpp. 48 sg.). Cfr. A. Petrucci, Virgilio nella cultura scritta romana, in Virgilio e noi, Atti delle « None giornate filologiche genovesi », 23-24 febbraio 1981, Genova, Istituto di filol. class. e medievale, 1982, pp. 51-58.

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esemplari virgiliani scomparsi come gran parte della produzione scolastica, in quanto quasi interamente risolta nel suo consumo immediato. E Livio, il classico venduto su codice verso la fine del secolo I d.C., emerge per la prima volta in forma svilita e in un ro­ tolo di origine provinciale (Egitto, forse Africa), databile al III se­ colo, che contiene un'epitome degli Ab urbe condita: un esemplare di tipo commerciale non curato 'tipograficamente' di cui restano frammenti di nove colonne, le quali presentano una mise en page molto approssimativa, a causa del sensibile scarto nella lunghezza delle righe. La scrittura è la scorrevole minuscola antica che da quest'epoca connota il libro di tipo economico; essa viene usata anche per la titolatura, semplice e priva di ornamentazione, che di­ vide il riassunto dell'opera liviana secondo l'originale articolazio­ ne in libri; anche il testo, infarcito di sviste ed errori grossolani, è coerente con la qualità scadente del libro_l 69 L'epitome di Livio è una testimonianza preziosa della realtà del libro d'uso corrente diffuso nei territori dell'impero, vergato da amanuensi che spesso non erano educati a scrivere in capitale, la scrittura adoperata nelle officine librarie di Roma e degli altri grandi centri urbani, né erano in grado di comprendere il senso del testo trascritto. In questo spazio letterario enormemente dilatato la figura di Probo, il grammatico di Berito che in età flavia, trasferì­ tosi a Roma, cominciò a raccogliere un gran numero di esemplari di testi letterari, per leggerli e emendarli secondo i metodi e le convenzioni della filologia alessandrina, 170 rappresenta bene l'esi­ genza di mettere ordine in un'anarchia libraria che nuoceva grave­ mente alla correttezza testuale ed esponeva il patrimonio lettera­ rio a spinte disgregatrici. È vero che periodiche (ri)costruzioni di biblioteche pubbliche a Roma rilanciarono, almeno fino a Traiano, il progetto augusteo di raccolta e di tutela delle testimonianze bi­ lingui di una cultura 'supernazionale' come quella dell'impero: dove peraltro una rete di biblioteche cittadine, sorte per iniziativa di signori con legami o interessi locali, assicurava una diffusa pre169. CLA n 208 + Suppl. 208 170. Cfr. sopra, n. 135.

p.

8 (PLP pp. 88 sgg.).

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senza di libri latini. 171 Ma, ai fini della trasmissione dei testi, il fatto destinato a risultare pili efficace fu il potenziamento, al centro e in periferia, delle strutture del sistema educazionale. Grazie alla vi­ schiosità di un modello formativo insistito sulla selezione di testi adottati nei programmi della scuola, questa istituzione fisiologica­ mente conservatrice poté infatti svolgere un'essenziale funzione di stabilizzazione e garantire una salda continuità, in un panorama mutevole e fluttuante di gusti e di mode, di livelli e di forme di fruizione letteraria. Il II secolo rappresenta, in questo processo, una scansione deci­ siva. Alla vivacità degli apporti e degli stimoli intellettuali di matri­ ce ellenistica fa da contrappunto l'inaridirsi dei filoni culturali ro­ mano-italici, sicché mentre cresce il prestigio della cultura greca, quella latina appare in netto declino. La reazione stilistica che in età flavia aveva promosso un « ritorno al classicismo » si evolve in un gusto che predilige la lingua arcaica; ma occorre tener presente che l'interesse arcaizzante (molto forte ma non totalizzante) di questo secolo si afferma nel contesto di una cultura latina preva­ lentemente libresca, la quale, man mano che si fossilizza, sviluppa un'attitudine al recupero, al restauro, alla sistemazione editoriale e all'esegesi dell'eredità letteraria, anche di quella piu remota. t 72 Queste attività si configurano come una risposta, in termini di 're­ sistenza' magari inconsapevole, al progressivo smarrimento di un'identità culturale unitaria per il venir meno della centralità po­ litica dell'impero, che innesca un processo di 'provincializzazione' della penisola e di articolazione in contesti non italici di nuove egemonie economiche e culturali: basti pensare al ruolo che, su questo duplice versante, svolge nel II secolo l'Africa, parallela171. Fedeli, Biblioteche, cit., pp. 50-52. 172. La definizione usata nel testo è tratta da Pasquali, Storia della tradizione, cit., p. 346. Un panorama della cultura del II secolo traccia La Penna, Aspetti, cit., pp. 27-41; sull'arcaismo di questo secolo cfr. R. Marache, La critique littéraire de la langue latine et le développement dugoUt archaisant au II< siècle de notre ère, Rennes, Plihon, 1952, p. III, con le puntualizzazioni di A. Cameron, The Latin Revival ofthe Fourth Century, in Renaissances before the Renaissance. Cultura/ Revivals of Late Antiquity and the Middle Ages, ed. by W. Treadgold, Stanford Calif., Univ. Press., 1984, pp. 43 sg., e di Timpanaro, Per la storia, cit., pp. 48 sgg.

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mente al revival culturale greco-orientale che investe Roma, ac­ centuando il suo carattere di capitale intellettualmente cosmopo­ lita,l73 In questo orizzonte erudito-grammaticale sono racchiuse tutte le potenzialità del II secolo come tramite e filtro per il recupero e la conoscenza della tradizione letteraria, che si dispiegheranno do­ po la crisi del III secolo. Non a caso un'inversione di tendenza è segnalata da un risveglio degli studi di retorica, particolarmente evidente in Gallia nei decenni tra III e IV secolo; 174 il fenomeno è parallelo alla riforma burocratico-amministrativa di Diocleziano, in seguito alla quale si riaggrega un ceto dirigente composito, in parte reclutato tra i nuovi soggetti sociali, ma in parte formato da frange della vecchia aristocrazia latifondista legata per mentalità e formazione al passato.175 Per la nuova classe senatoria che si assesta sotto Costantino l'età di Adriano e degli Antonini è un referente obbligato per ristabilire un contatto, oltre la cesura del III secolo, con la cultura dell'antica Roma. A voler assumere un libro/testo come spia del ruolo di cer­ niera svolto da quest'epoca, si impone la scelta del Gellio Vaticano, un codice di piccolo formato in scrittura capitale che appare il frut173. Sull'emergere di un 'caso africano' cfr. A. Giardina, Le due Italie nellaforma tarda dell'impero, in AAYV., Società romana e impero tardoantico, a cura di A. Giardina, I. Istitu­ zioni ceti economie, Roma-Bari, Laterza, 1986, p. 4; per gli aspetti culturali del fenomeno rinvio a l. Gualandri, Per una geografia della letteratura latina, nel vol. n di quest'opera, pp. 485 sgg. 174. Marrou, Histoire, cit., pp. 429; 6o8. Sulle scuole e i retori gallici si vedano R. Etienne, Bordeaux antique, Bordeaux, Delmas, 1962, pp. 235-64; J. Matthews, Western Aristocracies and Imperia/ Court A.D. 364-425, Oxford, Clarendon Press, 1975, pp. 85 sg.; I49 sg. 175. R. Mac Mullen, Roman Government's Response to Crisis (A.D. 235-337), New Ha­ ven-London, Yale Univ. Press, 1976, pp. 49 sgg. Sulle riforme dioclezianee cfr. A.H. M. Jones, Lo ifondo sociale della lotta tra paganesimo e cristianesimo, in Il conflitto tra paganesimo e cristianesimo nel IVsecolo, trad. it. a cura di A. Momigliano, Torino, Einaudi, 1968, pp. 41 sgg. Sulla formazione dell'aristocrazia tardoromana, mi limito a rinviare, nell'ambito di una bibliografia vastissima, a M:T. W. Arnheim, The Senatorial Aristocracy in the Later Roman Empire, Oxford, Clarendon Press, 1972, pp. 103 sgg. e passim; J. Matthews, We­ stern Aristocracies, cit., pp. I sgg.; C. Lepelley, Fine dell'ordine equestre: le tappe dell'unifica­ zione della classe dirigente romana nel IVsecolo, in AAYV., Società romana e impero tardoanti­ co, a cura di A. Giardina, I. Istituzioni, cit., pp. 227 sgg.

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to di una sapiente progettazione; 176 la pagina ha una grazia raffi­ nata per effetto sia del sinuoso chiaroscuro delle lettere, a forte contrasto tra pieni e filetti, ottenuto mediante l'uso di uno stru­ mento scrittorio a punta flessibile, sia del numero ridotto delle ri­ ghe di scrittura (13 per colonna), con bassa densità di lettere (9-12 per linea); anche la facciata bianca all'inizio e alla fine di ogni fasci­ colo è una rarità editoriale che il manoscritto condivide soltanto con un esemplare del secolo V delle Verrine di Cicerone.177 Ma a parte queste peculiarità, il codice di Gellio ricalca, per tipo di scrit­ tura e formato, il modello librario adottato per la produzione tar­ doantica destinata all'uso e alla conservazione privata di una com­ mittenza di prestigio; il suo allestimento implica dunque la rivita­ lizzazione delle officine librarie che nell'alto impero avevano co­ struito libri eleganti per utenti colti e/o facoltosi.178 A Roma, dove le antiche esperienze editoriali erano certamente sopravvissute, vengono infatti localizzati due dei codici tardoantichi di Virgilio, accomunati da un formato medio-piccolo, il Vaticano e il Medi­ ceo: 179 il primo caratterizzato dalla successione di testo e illustra­ zioni di varie dimensioni distribuite in relazione al testo di riferi­ mento e perciò in funzione della lettura; 180 la stilizzazione grafica induce ad includere in questo raggruppamento anche il frammen­ to di codice membranaceo dell'Eneide ritrovato ad Antinoe.181 A Ravenna sembrano invece ricondurre le caratteristiche grafiche e lo stile dell' ornamentazione del Virgilio Romano.182 E sempre a laboratori di copia di importanti centri peninsulari sono da attri­ buire altri celebri manoscritti virgiliani dei secoli V-VI quali il Pala176. CLA I 74· 1TJ. CLA I ns. 178. Le caratteristiche librarie, i modi di produzione e gli ambienti di fruizione dei manoscritti letterari tardoantichi sono analizzati da A. Petrucci, Scrittura e libro nell'Ita­ lia altomedievale. Il sesto secolo, in « StudMed », ser. III, a. x 1969, pp. 15J'-213, e da G. Caval­ lo, Libro e pubblico allafine del mondo antico, in Libri, editori e pubblico nel mondo antico, cit., pp. 81-162. 179. CLA I n; I p. 5 + III 296. 180. J. Ruysschaert, Lignes d'un examen codicologique du 'Virgile Vàtican' et du 'Virgile Ro­ main', in Il libro e il testo, cit., pp. 29-31. 181. CLA Suppl. 1709 (PLP pp. 62) . 182. CLA I 19.

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tino e il palinsesto di Verona, che presentano una tipizzazione del­ la capitale affine, rispettivamente, a quella del Romano e del Me­ diceo.t83 Altri codici di Virgilio vergati nella cosiddetta capitale 'quadrata' come l'Augusteo, quello di San Gallo e un piccolo resto membranaceo emerso in Egitto, 184 hanno l'eleganza artificiosa dei libri d'apparato, allestiti cioè non per la lettura e la consultazione ma per fungere da simbolo del potere di committenti probabilmente estranei alla tradizione del pubblico romano colto. Ed in verità tutti questi splendidi libri, pur destinati a funzioni diverse, si presentano come oggetti di lusso, da gustare nella loro materialità_ 185 Dopo Virgilio è Cicerone l'autore pili rappresentato su codici in capitale, accomunati al citato esemplare delle Verrine da elementi che postulano un'origine italica: materia scrittoria di alta qualità, raffinata esecuzione grafica, accurata impaginazione a due colon­ ne che lascia ampi spazi liberi intorno al testo; brani di varie ora­ zioni ed ancora un passo delle Verrine si conservavano infatti in due manoscritti di Torino andati distrutti nell'incendio della biblioteca nazionale del 1 904, mentre le parti superstiti di un codice Ambro­ siano tramandano un altro gruppo di discorsi.186 Segue Terenzio, di cui resta quasi integro un importantissimo testimone, il codice Bembino, e il frustulo di un altro manoscritto; 187 quindi Sallustio, che è attestato in un esemplare delle Historiae ridotto a pochi fogli parzialmente riutilizzati e nei resti di un bifolio restituito dai kiman egiziani, recante un frammento del Bellum Iugurthinum)88 Questi quattro manoscritti hanno (o permettono di ricostruire) il formato tendenzialmente quadrato tipico dei libri latini piu anti183. CLA I 99; IV 498. 184. CLA I 13 + vm 13; vn 977; x 1569 (PLP pp. 79 sg.). 185. Su questi manufatti cfr. A. Pratesi, Osservazioni paleografiche (e non) sui « Codices Vergiliani antiquiores »,Atti del Convegno mondiale scientifico di studi su Virgilio (Man­ tova, Roma, Napoli 19-24 settembre 1981), a cura dell'Accademia nazionale Virgiliana, n, Milano, Mondadori, 1984, pp. 220-232; cfr. anche Petrucci, Virgilio, cit., pp. 63-70, e G. Cavallo, Libri e continuità della cultura antica in età barbarica, in G. Pugliese-Carratelli (a cura di), Magistra barbaritas. I barbari in Italia, Milano, Scheiwiller, 1984, p. 625. 186. CLA IV 442; 445; III 363. 187. CLA I 12; VII 974· 188. CLA I p. 34 + VI 809 + vm 809; vm 1054 (PLP pp. 69 sg.). 35 0

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chi e provengono da ateliers italici di grande tradizione calligrafica e editoriale. Virgilio, Sallustio, Cicerone, Terenzio: è noto come, nella prati­ ca dell'insegnamento, a fondamento della costruzione retorico­ letteraria vi fosse la quadriga Messii, vale a dire gli exempla elocutio­ num che verso la fine del secolo IV il grammatico Arusiano Messio aveva appunto tratto da questi quattro autori_1 89 Ciò conferma che i materiali per ristrutturare l'edificio dell'istituzione letteraria, so­ vrastato dalla distruzione e dall'abbandono allorché la crisi del se­ colo III aveva investito e spazzato via quasi ogni forma di patrona­ to sulle lettere, affluiscono principalmente attraverso i canali della scuola, i quali immettono nuovamente nel circuito della lettura il ricco lascito librario/ testuale del secolo II. Naturalmente questo ritorno al passato non va inteso come ripresa della tendenza ar­ caizzante prevalente al tempo di Gellio e di Frontone. Al centro del sistema letterario vengono infatti ricollocati il poeta vate augu­ steo e i modelli indiscussi della prosa latina tardorepubblicana; mentre tra gli arcaici, accanto a Terenzio che godeva di una solida fortuna, t 9o solo l'opera di Plauto, attentamente inquisita ed inda­ gata dagli eruditi del II secolo, è fatta oggetto di un recupero inte­ grale. Proiezione visiva di questa operazione è la particolare fenome­ nologia grafica che accompagna questo passaggio cruciale nella storia della fortuna dei testi antichi; anzi, per gli autori della quadri­ ga sembra esserci un rapporto di stretta continuità tra modelli al­ toimperiali e codici tardoantichi in capitale, come mostrano i citati reperti di entrambe le epoche delle Vèrrine di Cicerone e delle Hi­ storiae di Sallustio. La capitale rustica tardoantica è infatti una scrit­ tura d'imitazione, che viene riesumata in funzione dei testi piu il­ lustri della tradizione letteraria. n suo reimpiego, se da un lato pre­ suppone un atteggiamento di cosciente recupero del patrimonio letterario, diventa nel contempo un elemento connotante delle in189. Cassiodoro, inst. I 15 7; cfr. A. Della Casa, Arusianus Messius. Exempla elocutionum, Milano, Marzorati, 1977. pp. 8 sgg. 190. Gianetti, I testi nella scuola, cit., p. 447 n. Br. 35 1

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novazioni indotte nel canone tradizionale degli auctores dagli orientamenti ideali e spirituali, diversi e contrastanti, dei lettori contemporanei, che trasformano i gusti, le preferenze e gli stessi parametri di lettura. In quest'ottica gli esemplari di Gellio e di Frontone in capitale sono il riconoscimento dell'acquisita auctori­ tas di questa diade della cultura erudita del II secolo. Ma il proces­ so di assimilazione ai 'classici' coinvolge anche Seneca tragico e Lucano, Persio e Giovenale, attestati in manufatti coevi dalle stesse caratteristiche strutturali ed estetiche,191 ed implica un progressi­ vo apprezzamento della letteratura altoimperiale, testimoniato peraltro dalle citazioni, reminiscenze, allusioni alle opere di poeti e prosatori di quel periodo nelle fonti letterarie e grammaticali del IV-VI secolo. 1 92 Tuttavia, a defluire compiutamente la rete testuale che sostiene il mutato sistema letterario in cui si scompongono e ricompongo­ no le gerarchie degli autori è l'ampio spazio di diffusione che con­ quista nella produzione libraria laica l' onciale, la scrittura usata in origine per i testi cristiani. In queste forme grafiche 'moderne' cir­ colano sia autori canonici, che sanno riproporsi come modelli in virtli di una ritrovata attualità, sia altri testi che rispondono ad esi­ genze e interessi precipui della cultura contemporanea. Cosi, tra i manoscritti in onciale di Cicerone, merita di essere anzitutto ri­ cordato quello vaticano del De republica,193 testo raro che dunque torna a stimolare una riflessione sui problemi dello Stato; gli altri sono tutti frustuli di codici contenenti le orazioni,194 tranne un frammento di Torino, anch'esso andato perduto, che apparteneva ad un esemplare delle Epistulae adfamiliares: 195 scritti che, insieme all'epistolario di Plinio il Giovane, tramandato in un codice di raf191. CLA III 346; I 70; III 392; I 30. 192. P. Wessner, Lucan, Statius und ]uvenal bei den romischen Grammatikern, in « PhW», a. XLIX 1929, pp. 286-303; 328-35; A.D. E. Cameron, Literary Allusions in the Bi­ storia Augusta, in « Hermes », a. xcii 1964, pp. 363-77; M.A. Vinchesi, Servio e la riscoperta di Lucano nel IV-Vsecolo, in « A & R », n.s., a. XXIV 1979, pp. 9-20. Per ulteriore bibliogra­ fia sul fenomeno cfr. Pecere, La tradizione, cit., pp. 77-79. 193· CLA I 35· 194. CLA I 76; 77; VIII 1043 (PLP pp. 136 sg.); Add. r839. 195· CLA IV 443· 35 2

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finata fattura ,196 ispirano i cultori tardoantichi del genere. Del re­ sto, i discorsi di Cicerone e l'opera di Plinio rappresentano un mo­ dello stilistico-retorico molto fecondo nella prosa tarda; la veste grafica del Panegirico pliniano, tramandato in un codice frammen­ tario in semionciale del secolo VI, è la stessa usata per le orazioni di Quinto Aurelio Simmaco, a quanto mostrano i resti di un testimo­ ne della stessa epoca_197 Ed ancora: i numerosi codici in onciale di Livio provano la for­ tuna dello storico antico che meglio corrispondeva agli ideali del­ l' aristocrazia nostalgica, impegnata a rinverdire i valori piu genui­ ni della romanitas.198 Nella stessa scrittura è anche l'unico testimo­ ne tardoantico di Ovidio,199 un poeta che si era subito imposto sotto il segno della modernità sottraendosi al rischio di diventare uno stereotipo culturale. Né mancano un esemplare delle favole di Igino, il quale reca una « versione deviante » di quest'opera, molto diffusa perché facilmente fruibile; 200 un testimone di due trattati di Seneca altrimenti perduti (De vita patris, De amicitia) ; 201 due co­ dici contenenti le Epistole di Frontone e gli Annali di Granio Lici­ niano,202 a conferma del successo tardoantico degli autori del se­ colo II d.C. Particolarmente significativa è infine la presenza di te­ sti tecnico-scientifici che « un tempo disdegnati dalle classi elevate, . . . nella tarda antichità salgono alla dignità delle arti liberali e delle voghe letterarie »; 203 oltre a testimoni di scritti piu recenti come 196. CLA xi 166o. CLA I 29 + III 29. 198. CLA 1 57; IV 499; vm 1028; x 1472. Sulla fortuna di Livio cfr. S. Mazzarino, Il pensiero storico classico, n, 2, Roma-Bari, Laterza, 1966, p. 328; Id., Antico, tardoantico ed èra costantiniana, I, Bari, Dedalo, 1974, p. 455; G. Billanovich, La tradizione del testo di Livio e le origini dell'umanesimo, I. Tradizione efortuna di Livio tra medioevo e umanesimo, parte 1, Padova, Antenore, 1981, p. 241; R.A. Markus, Paganism, Christianity and the Latin Classics in the Fourth Century, in Latin Literature ofthe Fourth Century, ed. by JW. Binns, London­ Boston, Routledge & Kegan Paul, 1974, p. n. In generale, sull'atteggiamento degli stu­ diosi pagani verso la tradizione storiografìca cfr. A. Momigliano, Terzo contributo alla storia degli studi classici e del mondo antico, Roma, Ed. di storia e letteratura, 1966, pp. 106 sgg., specialmente pp. 108 sg. (trad. it. in Il conflitto, cit., pp. 105 sgg.). 199. CLA IX 1377200. CLA 1 71; cfr. M.D. Reeve, Hyginus, in Texts and Transmission, cit., p. 190. 201. CLA I 69. 202. CLA l 27 + III 27; Il 16720]. G. Cavallo, Frammenti di un discorso grafico-testuale, in Il libro e il testo, cit., p. 420 19'7-

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l'Ars veterinaria di Pelagonio e i Mulomedicinae libri di Vegezio,204 si conservano ben cinque manoscritti frammentari della Naturalis hi­ storia di Plinio il Vecchio: 20S un autore presente nella biblioteca di Simmaco, che lo fece trascrivere, insieme a Livio, per far fronte alle richieste dei suoi dotti amici.206 Il risultato piu importante di quest'analisi formale delle testi­ monianze librarie tardoantiche, allargata all'intera produzione di sicura o probabile origine occidentale, consiste nell'individuare con certezza il fattore tecnico-librario che trasformava le condi­ zioni stesse della tradizione dei testi. Tutti i manoscritti superstiti sono infatti codici di pergamena. Si tratta dunque di fonti che han­ no a monte quella cesura fondamentale della civiltà libraria che si verifica contestualmente all'abbandono del rotolo di papiro come veicolo dell'opera letteraria. La sostituzione di un supporto di li­ mitata capacità con un modello librario formato da una serie di fa­ scicoli cuciti insieme, che poteva contenere opere intere o tutti gli scritti di un autore, favorisce la formazione del corpus: sicché i ma­ nufatti di questo tipo, ove lo stato di conservazione consente di ri­ costruirne l'originario contenuto, si rivelano raccolte organiche di testi del medesimo autore ovvero riuniscono opere di piu autori ma appartenenti allo stesso genere letterario, come le satire di Per­ sio e Giovenale. Lo sfruttamento delle potenzialità del codex per unità testuali che in precedenza si erano trasmesse su una pluralità di volumina richiedeva l'elaborazione di programmi editoriali coe­ renti, entro i quali bisognava che una varietà di filoni e di tipologie testuali si adeguasse ad una nuova struttura libraria, che trasforma­ va radicalmente la circolazione e diffusione delle opere letterarie. Il passaggio dal rotolo al codice rendeva inoltre possibile un nuovo uso del testo, nel senso che modificava a fondo le pratiche di lettu­ ra e le tecniche intellettuali imposte e consentite dalla forma cor(qui e nelle pagine precedenti è illustrato il significato dell'alternanza di scrittura ca­ pitale e scrittura onciale nei manoscritti tardoantichi di letteratura profana). 204. CLA I I I 393; vn 963. S'aggiungano CLA I I I 404 (Gargilio Marziale); IX 1374a + b (Agrimensori); x 1582 (Ps. Apuleio, herb.). 205. CLA IV 421; v 575; VI 725; x 1455; 1470. 206. Simmaco, epist. I 24; Ix 13.

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rente del libro letterario dei secoli precedenti. È da chiedersi, quin­ di, quale impatto ebbero sul contenuto del libro letterario le inno­ vazioni che investono la sua struttura materiale e ne condizionano le procedure di fruizione e di conservazione.207 Purtroppo la perdita dei modelli di copia dei codici conservati rende impossibile cogliere in tutta la sua portata gli effetti di que­ sta rivoluzione libraria sui testi. Qualche traccia dell'evento è ri­ masta in singoli percorsi testuali. Per esempio, nel sistema di inti­ tolazione di alcune copie medievali di codici/corpora tardoantichi talora coesistono vecchi titoli, risalenti alla fase della trasmissione del testo su rotoli, con nuove titolature escogitate in funzione della diversa tipologia del libro: è il caso dei titoli delle Storie e degli An­ nali di Tacito, che nei codici Laurenziani 68.1 e 68.2 si sono traman­ dati insieme ad una numerazione progressiva derivante da un cor­ pus in trenta libri simile a quello citato da Girolamo (in Zach. 3 14).208 Piu spesso un titolo collettivo come quello usato per le Bu­ coliche negli esemplari tardoantichi di Virgilio ha decretato la scomparsa dei titoli dei singoli componimenti, probabilmente ori­ ginali, ancora noti a Donato e a Servio.209 Con la strutturazione in cinque libri dell'opera di Giovenale su codice, anche le antiche in­ scriptiones delle singole satire tendono a perdersi o si adeguano al giudizio e al gusto dei lettori posteriori.2 to Titoli individui delle 207. Sul passaggio dal rotolo al codice si veda il classico lavoro di C.H. Roberts­ T.C. Skeat, The Birth ojthe Codex, O:xford, Univ. Press, 1983, specialmente le pp. n-61 e, da ultimo, Cavallo, Codice e storia, cit., pp. 169 sgg. e Testo, libro, cit., pp. 325 sgg. La con­ nessione tra il cambiamento strutturale del libro e la formazione dei corpora è messa in luce da A. Dain, Les manuscrits, Paris, Les Belles-Lettres, 19642, pp. II5 sg.; le con­ seguenze di questo fenomeno nelle tradizioni testuali sono ampiamente documen­ tate e discusse da L. Canfora, Conservazione e perdita dei classici, Padova, Antenore 1974208. R. P. Oliver, The First Medicean MS ofTacitus, in « TAPhA », a. LXXXII 1951, pp.252 sgg.; B. Baldwin, Herodotus and Tacitus: Two Notes on Ancient Book Titles, in « QUCC », a. XLV 1984, pp. 33 sg. 209. Donato, vita Verg. ll. 304 sgg.; Servio, Verg. ecl. 6 n: cfr. M. Geymonat, Ancora sul titolo delle Bucoliche, in « BICS », a. XXIX 1982, pp. 17 sg. 210. Y.F. Riou, in Y.F. Riou-C.Jeudy, Tradition textuelle et commentaire des auteurs clas­ siques latins conservés dans les manuscrits de la Bibliothèque vaticane, in La cultura antica nel­ l'Occidente latino dall'VII all'XI secolo, Spoleto, Centro ital. di studi sull'alto medioevo, (= Settimane di studio del Centro, xxu) 1975, p. 189. 355

ORONZO PE CERE

Epistulae ex Ponto, assenti nei codici medievali, si trovano nell'e­ semplare tardoantico di Ovidio, che li eredita da un'antica edizio­ ne 2tt (di solito, invece, i residui di antiche titolature restano nella tradizione medievale degli autori).212 Infine, connessa con l'in­ quadramento globale del contenuto di gruppi di rotoli nel libro di nuovo formato è anche l'impaginazione del testo di Plauto nel co­ dice Ambrosiano 21 3 e di quello di Terenzio nel Bembino; essa comporta l'elaborazione di un complesso sistema di bipartizione dei versi (ottonari e settenari giambici, trocaici e anapestici), la cui misura eccedeva la larghezza della pagina del codice, nonché di differenziati allineamenti verticali delle loro appendici e delle clausulae per distinguerle dai versi piu brevi: accorgimenti che, co­ me sappiamo, preservano la memoria di una > .85 In questa pro­ spettiva Ovidio, un autore certo assai letto nel medioevo, anche se in misura piu ridotta di quanto la definizione di aetas Ovidiana rife­ rita al secolo XII 86 abbia fatto credere finora,87 poteva anche appa82. Si veda Boezio, In Porph. comm. pr., I 6, p. 15, 13-21. 83. De institutione clericorum, m 18 (PL, cvii, p. 396B). 84. RJ. Hexter, Ovid and Medieval Schooling. Studies in Medieval School Commentaries on Ovid's Ars Amatoria, Epistulae ex Ponto, and Epistulae Heroidum, Miinchen, Arbeo Ge­ sellschaft, 1986, p. 16 con bibliografia. Poche sono le eccezioni a quella che è una rego­ la pressoché generale: ad esempio, i Fasti di Ovidio sono assegnati alla fisica, oltre che all'etica, e Cicerone alla logica (Huygens, Aaessus ad Auctores, cit., pp. 38, 45). 85. Leclercq, Cultura umanistica, cit., pp. 150-56, parole citate p. 156; cfr. anche F. Ghisalberti, Mediaeval Biographies of Ovid, in « JWI », a. IX 1946, pp. 14-16. 86. Traube, Vorlesungen und Abhandlungen, II, cit., p. II3. 87. B. Munk Olsen, Ovid au Moyen Age (du IX• au XII• siècle), in AAYV., Le strade del testo, a cura di G. Cavallo, Bari, Adriatica, 1987, pp. 65-96.

MADDALENA S PALLONE

rire bonorum morum . . . instructor, malorum vero exstirpator, e tra gli ac­ cessus ad auctores della omonima raccolta quello piu esteso (ro para­ grafi sui 29 dell'intera collezione) è dedicato al poeta, considerato un maestro di vita.ss Ma proprio partendo dalla connotazione piu tipica dell' aaessus cosiddetto > non si può fare a meno di constatare come l'esigenza di individuare in un testo profano contenuti eticamente formativi rievochi la preoccupazione dei Padri di adattare il sapere antico alla scala di valori cristiani per renderlo fruibile senza peri­ colo. Alla « modernità » della formula dell'aaessus non sembra corri­ spondere pertanto un modo nuovo di leggere i classici: una con­ clusione, questa, che appare conforme a talune indicazioni emerse da recenti indagini, le quali orientano verso una interpretazione diversa da quella finora corrente del ruolo svolto dai classici nella cosiddetta « rinascita del XII secolo ». All'interno di un generale incremento della produzione scritta, che in effetti si registra in quest'epoca, solo una piccola parte di tale balzo quantitativo spetta, infatti, ai « libri/testi classici » : un settore della produzione libraria che, peraltro, al di là di qualche sporadico, significativo indizio di rinnovamento collegato all'attività di singoli personaggi cultural­ mente autorevoli o di isolati centri o aree di studio, continua ad es­ sere sostanzialmente prerogativa delle fondazioni monastiche. L'atteggiamento verso le opere classiche manca, perciò, di segnali innovativi, anzi l'esclusione dello studio dei classici dal nuovo or­ dinamento dell'insegnamento superiore ne determina una battuta d'arresto; d'altra parte « anche testi e tipi testuali non rivelano, nel­ la grande massa dei casi, che il protrarsi o l'estenuarsi di "letture" monastiche e di esperienze carolinge ».89 88. Huygens, Accessus ad Auctores, cit., pp. 29-38. Il giudizio su Ovidio è a p. 30. 89. Su tutto questo cfr. G. Cavallo, Forme materiali e testuali della produzione scritta. Scandagli sparsi, in L'Europa dei secoli XI e XIIfra novità e tradizione: sviluppi di una cultura, Atti del convegno di studio di Mendola, 25-29 agosto 1986, Milano, Vita e Pensiero, 1989, pp. 251-70, parole citate p. 270. In particolare sui dati quantitativi relativi alla let­ tura dei classici nel medioevo cfr. B. Munk Olsen, La popularité des textes classiques entre le JXe et le Xli' siècle, in « RHT», aa. xiv-xv 1984-85, pp. 169-81. 410

I PE RCO R S I MEDIEVALI DEL TESTO

Alla luce di questo rapporto della cultura del tempo con la te­ stualità classica, fortemente conservativo anche sotto il profilo del­ la tipologia libraria, sono da valutare e la raccolta di accessus conte­ nuta nel Dialogus super auctores di Corrado d'Hirsau e la collezione degli Accessus ad auctores, le quali, sebbene riverberino un program­ ma scolare ben definito e articolato,90 riflettono anch'esse atteg­ giamenti mentali sostanzialmente immutati, di stampo monastico, nei confronti del sapere profano, e metodi di lettura non difformi da quelli applicati nei secoli precedenti. Una rinnovata utilizzazione dell' accessus si verifica allorché que­ sta pratica è adottata all'interno di quelle discipline non letterarie, ma scientifiche e filosofiche, che nel secolo XII marcano una vera svolta nella cultura medievale. Gli schemi di accessus ripresi in que­ sti àmbiti disciplinari sono quelli elaborati da Boezio, un autore as­ siduamente presente nei curricula scolastici del secolo XII; essi, in forme variamente commiste, trovano largo impiego presso i mae­ stri di diritto e di medicina e presso i teologi, entrando in seguito anche negli scritti di astronomia, considerata la prima tra le disci­ pline naturali, in quanto all'origine di tutte le altre. In particolare, lo schema del De d!fferentiis topids è usato soprattutto per introdurre un' ars {ad esempio la grammatica) e, in combinazione con altri schemi boeziani, è usato per introdurre un testo che si occupi di quell' ars (ad esempio, Prisciano) da esponenti della scuola di Char­ tres, centro di studi scientifici, che privilegia le arti del quadrivium, ma conosce anche una consistente circolazione di classici affidata ad intellettuali di grande levatura.9 t A Chartres il maestro Bernar­ do commenta l'Eneide alla stregua di un testo scientifico, mentre un nuovo ideale di sapere si afferma sotto la spinta della scienza greca e araba.92 In tale contesto i didascalica di Boezio sono utiliz90. Glauche, Aaessus ad auctores, cit., p. 72. 91. Cavallo, Forme materiali e testuali, cit., p. 265. 92. Sul rinnovamento della cultura medievale in quest'epoca cfr. S.C. Ferruolo, The Twe!fth Century Renaissance, in AAYV., Renaissances before the Renaissance. Cultura/ Revivals ofLate Antiquity and the Midd/e Ages, ed. by W. Treadgold, Stanford, University Press, 1984, pp. n4-43; T. Stiefel, The Intellectual Revolution in Twe!fth Century Europe, London-Sidney, Croom Helm, 1985, pp. 34-95; T. Gregory, Forme di conoscenza e ideali di 41 1

MADDALENA SPALLONE zati da Guglielmo di Conches nella Glosa super Priscianum e da Teo­ derico di Chartres nella Su mma super rhetoricam. In tutti questi casi è significativa la differente soluzione data al quesito relativo alla pars philosophiae, di solito risolto con l'assegnazione dell'opera alla logi­ ca; ma ancor piu colpisce il disinteresse per questo problema, evi­ dente nell'assenza del quesito stesso dallo schema di accessus.93 Il simbolismo medievale di fronte all'irruzione del nuovo sapere fi­ losofico e scientifico cede il passo ad una > allesti Isidoro di Siviglia nel secolo VII: i suoi Sententiarum libri tres affrontano questioni dogmatiche e della vita cristiana, attraverso citazioni tratte soprattutto da Agostino e Gregorio Magno.zzs Fonti per lo piu anonime confluiscono nel De virginitate di Aldelmo {secolo VII-VIII), un florilegio particolare, simile piuttosto ad una raccolta di exempla agiografici.22 6 Ad Alcui­ no {secolo VIII-IX) si deve un De virtutibus et vitiis liber, una serie di esortazioni e consigli, in forma di sentenze, rivolti al conte Guy di Bretagna, che ne aveva sollecitato la compilazione.227 Interamente tratta dalle opere dei Padri è la collezione di massime, attribuita ad un certo Emmo (forse secolo IX), De varietate librorum sive de amore coelestis patriae.228 L'abate Smaragdo di Saint Mihiel compose dopo l' 817 un Diadema monachorum, raccolta di sentenze moraleggianti una breve trattazione lessicografica sulle denominazioni dei florilegi e delle funzioni ad essi connesse). 223. « Ama Dio. Impara ad essere saggio. Fa' ogni cosa con misura ». La Doctrina è in PL, LXXIV, pp. 845-48. 224. PL, Lxxiii, pp. 739-814; 855-1062; Lxxiv, pp. 381-94. 225. PL, LXXXIII, pp. 537-738. 226. MGH, Auctores Antiquissimi, xv, ed. R. Ehwald, Berolini, apud Weidmannos, 1919, pp. 226-323 (PL, LXXXIX, pp. 103-162) . 22'J. PL, CI, pp. 613-38. 228. PL, cxviii, pp. 875-958. Qui il florilegio è erroneamente attribuito ad Aimone di Halberstadt.

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ricavate dai Padri e rivolte ai suoi monaci.229 Il Floretus o Liber Flore­ tus, di controversa attribuzione, è sicuramente anteriore allo Specu­ lum historiale di Vincenzo di Beauvais, che lo utilizza nelle due re­ dazioni dell'opera (r2II-I244, 1244- 1247).230 Questo florilegio, contenente estratti sulla fede, sulla morale e la disciplina ecclesia­ stica, per la sua estensione è quasi una enciclopedia teologica che anticipa le Summae sententiarum, sistematiche raccolte di aforismi patristici che si diffonderanno dal secolo XII, prendendo a model­ lo i Libri quattuor sententiarum di Pier Lombardo. In questa produzione apoftegmatica di impronta essenzialmen­ te patristica non mancano, tuttavia, florilegi che attingono anche alla saggezza degli antichi auctores. I Proverbia Senecae, la versione medievale delle sentenze di Publilio Siro interpolata con sentenze del De moribus, ispirano nel sec. XI il Liberproverbiorum di Otlone di Sant'Emmeram, che raccoglie citazioni « tam ex saecularibus quam ex sacris litteris ».231 Circa due secoli dopo Giovanni di Gal­ les nel suo Ordinarium vitae religiosae, allestito per i giovani religiosi destinati a discutere problemi morali e teologici, inseriva escerti da Cicerone, Virgilio, Ovidio, Seneca, Lucano e Giovenale.232 Due sono gli elementi che ci consentono di accomunare le cate­ gorie di florilegi fin qui brevemente esaminate: la sostanziale omogeneità delle fonti, gravitanti tutte, tranne poche eccezioni, nell'orbita della tradizione scritturale e patristica, e l'intento co­ mune di promuovere la conoscenza dottrinale e la crescita spiri­ tuale di utenti tipologicamente assimilabili. Passando ad esamina­ re i cosiddetti florilegi « etici », la linea di demarcazione tra questi e gli altri florilegi appare assai incerta se si considera la circostanza 229- PL, CII, pp. 593-690. 230. Attribuito a Giovanni di Garlandia, maestro di grammatica, retorica e poetica a Parigi, dove mori dopo il 1272 {Rochais, Florilèges, cit., col. 445, che ne colloca la mor­ te dopo il 1081) , il Floretus non offre in realtà elementi per l'identificazione dell'autore, volutamente rimasto nell'anonimato: A. Orbin, Liber Floretus hrsg. nach der Hs. Utrecht, U.B. 283, Kastellaun-Hunsriick, Henn, 1979, pp. VII-IX {edizione del testo alle p. 1-58) . 231. PL, CXLVI, p. 299: « Sia dalle lettere profane sia dalle lettere sacre •· 232. Rochais, Florilèges, cit., coll. 445-46. Altti florilegi biblici e patristici contenen­ ti isolate citazioni di classici in Munk Olsen, Les classiques latins,cit., II, cit., pp. 13943-

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che i loro obiettivi rientrano in uno stesso àmbito didattico-pare­ netico proiettato verso il conseguimento del bene spirituale e mo­ rale, proprio e altrui.233 Quello che invece contraddistingue i flori­ legi > è il tipo di testualità che rivela una grande apertura nei confronti della letteratura pagana. Nell'affrontare le questioni morali, l'etica, che, distinguendosi dalla logica e dalla fisica, nel­ l' organizzazione scolare medievale occupa un posto accanto alla teologia morale, privilegia infatti gli insegnamenti dei filosofi e dei classici, laddove i teologi preferiscono l'ausilio dei Sacri Testi. Di conseguenza anche i princìpi dell'etica potevano essere impartiti convogliando la saggezza antica nella struttura composita, ma sommamente ricettiva, di un florilegio. Pur senza escludere le fon­ ti cristiane, queste compilazioni si basano su una documentazione tratta in larga misura dai moralisti antichi. Gli scritti di etica nel medioevo potevano assolvere ad una du­ plice funzione, didattica ed edifìcatoria.23 4 Nel primo caso i com­ pilatori miravano alla formazione di giovani nobili oppure si rivol­ gevano al piu vasto pubblico di discenti delle scuole cattedrali e monastiche. Nell'istruzione delle classi privilegiate le sentenze morali fornite dagli auctores si rivelavano particolarmente idonee alle esigenze 'secolari' poste dall'istruzione di coloro che erano de­ stinati a ricoprire cariche istituzionali. Questi scritti riservati ai prìncipi, i cosiddetti « Miroirs des princes », piu che florilegi sono veri e propri trattati di politica morale nei quali autori e filosofi, la­ tini e greci, accanto ad escerti scritturali e patristici, fanno da sup­ porto all'esposizione dei precetti: cosi nel Liber exhortationis ad Henricum Forojuliensem di Paolina d'Aquileia (secolo VIII-IX),z3s nel De rectoribus christianis di Sedulio Scoto 236 e nel Dialogus de rheto233· Per fare un solo esempio, il Liber exhortationis di Paolino d'Aquileia è conside­ rato florilegio « spirituale * da Rochais, Florilèges, cit., col. 441 e florilegio « etico » da Ph. Delhaye, Florilèges spirituels, IL Florilèges médiévaux d'éthique, in Dictionnaire de spiri­ tualité, v, cit., col. 462. 234. Sui florilegi « etici » cfr. Delhaye, Florilèges, cit., coli. 460-75. 235· PL, XCIX, pp. 197-282. 236. PL, cm, pp. 291-332; cfr. anche Manitius, Geschichte der lateinischen Literatur, cit., I, cit., pp. 319-20.

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rica et virtutibus, un dialogo fittizio tra Carlo Magno e l'autore, nel quale Alcuino utilizza ampiamente il De inventione di Cicerone.237 Il maggior esponente di questo eclettismo nell'uso delle fonti è Giovanni di Salisbury che, sebbene nel Policraticus ricorra abbon­ dantemente alle Scritture, ai Padri e agli scrittori cristiani, dimostra una particolare predilezione per le auctoritates profane. Le citazioni piu frequenti riguardano Cicerone, Virgilio, Lucano, Frontino, Va­ leria Massimo, Orazio, Seneca, Marziale, Svetonio, Gellio, Macro­ bio.23 8 Per Gellio in particolare, bisognerà osservare che la sua pre­ senza nel Policraticus come nei florilegi della stessa epoca (Florile­ gium Gallicum, Florilegium Angelicum) si inserisce nella ricomparsa delle Noctes Atticae dopo l'assoluta mancanza di testimonianze di­ rette e indirette relative al secolo XI.239 Tra XI e XII secolo inizia anche la riscoperta di Marziale, del quale a Giovanni dovette esse­ re nota l'edizione facente capo ad area franca (tra Auxerre e Cor­ bie), essendo l'altra di origine italiana.240 Con l'avvento dell'ari­ stotelismo gli auctores in questo genere di trattato cederanno il po­ sto all'Aristotele etico e politico. Una forte presenza classica va segnalata in opere di ispirazione religiosa, che non hanno forma di florilegi: trattati di teologia, rac­ colte di sermoni, lessici e commentari biblici, compilati per l' edifì237- PL, CI, pp. 919-50. 238. Ioannis Saresberiensis . . . Policratici sive de nugis curialium et vestigiis philosophorum li­ bri VIII, ree. C.C.I. Webb, I, Oxonii, e typographeo Clarendoniano, 1909, proleg., pp. xxiX-XLVII sull'uso degli autori latini, soprattutto profani; II, ibid., pp. 439-503 (index auctorum). Sulla massiccia presenza degli auctores nel pensiero politico, pedagogico ed etico di Giovanni di Salisbury cfr. anche H. Liebeschiitz, Mediaeval Humanism in the Li­ Je and Writings ofjohn oJSalisbury, London, Warburg Institute, 1950, pp. 44-94 e, da ulti­ mo, P. von Moos, Geschichte als Topik. Das rhetorische Exemplum von derAntike zurNeuzeit und die 'historiae' im « Policraticus »]ohanns von Salisbury, Hildesheim-Ziirich- New York, Olms, 1988, pp. 144-502 (e la tavola sinottica a p. 603). 239. Cavallo, Forme materiali e testuali, cit., pp. 258-60. Sulla conoscenza di Gellio in Giovanni di Salisbury cfr. R.M. Thomson, William ofMalmesbury,]ohn ofSalisbury and the Noctes Atticarum [sic], in Hommages à A. Boutemy, cit., pp. 367-89;]. Martin,John ofSa­ lisbury's Manuscripts ofFrontinus and oJGellius, in «JWI », a. XL 1977, pp. 1-26; Id., Uses of Tradition: Gellius, Petronius and fohn ofSalisbury, in « Viator », a. x 1979, pp. 57-76; P.K. Marshall-J. Martin-R.H. Rouse, Clare College MS. z6 and the Circulation ofAulus Gellius 1-7 in Medieval England and France, in « MS », a. XLII 1980, pp. 372-73. 240. Cavallo, Forme materiali e testuali, cit., pp. 257-58.

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cazione dei credenti. Il processo di allegorizzazione cui venivano sottoposte le citazioni pagane calmava le coscienze inquiete con la certezza del valore etico di quelle testimonianze. L' Elementarium doctrinae erudimentum, lessico biblico di Papia (secolo XI), ricorre di frequente a Cicerone, Virgilio, Orazio, Giovenale, Macrobio, Ser­ vio, Marziano Capella; 241 i sermoni e i commentari di Giovanni di Galles attingono abbondantemente a fonti pagane.242 Prima di affrontare estesamente i florilegi di ispirazione etica, meritano un cenno i cosiddetti florilegi prosodici, assai diffusi nel medioevo, i quali, per essere animati dall'intento comune di forni­ re materiale per l'apprendimento della prosodia, possono rientra­ re in una comune categoria, senza tuttavia dimenticare i limiti di ogni tentativo di classificazione all'interno di questo genere lette­ rario. La difficoltà di enucleare un criterio informatore che faccia da elemento guida nell'effettuare i raggruppamenti, l'estrema li­ bertà nelle associazioni degli escerti, spesso presenti in raccolte di­ verse per ispirazione e finalità, la pluralità di valutazioni possibili talora per uno stesso florilegio, sono alcune delle ragioni per cui la distinzione tipologica può apparire in qualche caso non convin­ cente.243 L' Opus prosodiacum di Micone di Saint Riquier, una rac­ colta di versi, soprattutto di autori classici, destinata all'insegna­ mento delle leggi prosodiche, ad esempio, è considerato da alcuni florilegio didattico di ispirazione morale.244 I testimoni piu antichi di questa compilazione sono due manoscritti di Bruxelles, Biblio­ thèque Royale, 10470-10473, prodotto nella Francia del Nord o in Belgio nella seconda metà del secolo IX, e IOo66-won-VI, il cui nucleo piu antico (nel quale rientra la sesta parte del codice, conte­ nente anche il nostro florilegio) fu scritto nel secolo X, probabil241. Delhaye, Florilèges, cit., col. 472. 242. Ibid., col. 473· 243. Sui limiti delle classificazioni dei florilegi si vedano anche le considerazioni di Delhaye, Florilèges, cit., col. 460 e Munk Olsen, Les classiques latins, cit., 1, cit., pp. 49-50. Alcuni parallelismi con i problemi posti dai florilegi latini affiorano nelle osservazio­ ni, relative ai florilegi bizantini, di P. Odorico, Il prato e l'ape. Il sapere sentenzioso del mo­ naco Giovanni, Wien, Osterreichische Akademie der Wissenschaften, 1986, pp. 3-6. 244. Delhaye, Florilèges, cit., col. 465. 452

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mente a Reims o a Laon.245 Una prefazione in prosa precede in al­ cuni testimoni questo florilegio.246 Le parole delle quali si vuole indicare la prosodia sono disposte alfabeticamente, sotto forma di lemmi, a sinistra dei versi in cui esse ricorrono, mentre a destra so­ no indicati i nomi dei poeti ai quali gli escerti appartengono. Un altro florilegio prosodico, gli Exempla diversorum auctorum, approssi­ mativo nell'organizzazione della materia e assai inesatto nell' attri­ buzione delle citazioni, presenta punti di contatto con la raccolta di Micone i quali consentono di giungere ad una datazione di en­ trambe le compilazioni entro termini abbastanza sicuri. Dalla pre­ senza nei due florilegi di elementi comuni, quali versi e false attri­ buzioni di versi, è sorta l'ipotesi che essi disponessero di uno stes­ so modello, una raccolta poetica formatasi da un nucleo primitivo progressivamente arricchitosi di materiali nuovi. La piu recente di queste aggiunte, identificata con un verso (citato sia nell' Opus pro­ sodiacum sia tra gli Exempla) tratto dal Define et vitae Mamma e mona­ chi composto da Walafrido Strabone nell' 825, permette di colloca­ re in un momento posteriore a questa data l'utilizzazione dell'ori­ ginaria raccolta prosodica; in particolare Micone dovette allestire la sua collezione poetica non prima degli anni 842-853, se, come sembra, egli svolse la sua attività letteraria in questo periodo.247 Il piu antico manoscritto degli Exempla, il Vaticano Reginense latino 215, scritto verso 1'877 probabilmente a Tours,248 contiene anche

245. H. Silvestre, A propos du Bruxellensis 10066-77 et de son noyau primitif, in Miscella­ nea codicologica F. Masai dicata MCMLXXIX, edd. P. Cockshaw, M.-C. Garand et P.Jo­ dogne, I, Gand, Story-Scientia, 1979, pp. 131-56. 246. MCH, Poetae latini aevi carolini, m, ree. L. Traube, Berolini, apud Weidmannos, 1896, p. 279 (edizione del prologo; pp. 280-94 edizione dell Opus). Sui florilegi con prefazione cfr. Munk Olsen, Les classiques latins, cit., I, cit., p. 52 n. r. 247. A. Van de Vyver, Dicuil et Micon de Saint-Riquier, in « RBPh », a. XIV 1935, pp. 2527- Tutta la questione è riassunta in M. Spallone, Ricerche sulla tradizione manoscritta del­ l"!IJ.nthologia Latina" (AL 181, 186-188, 379 Riese}: itinerari testuali nell'età carolingia, in • StudMed », ser. m, a. XXIX 1988, pp. 621-23. 248. Sul manoscritto E. Pellegrin,Les manuscrits classiques latins de la Bibliothèque Vilti­ cane, 11, I, Paris, CNRS, 1978, pp. 44-48; Munk Olsen, L'étude des auteurs classiques, cit., u, cit., p. 873'

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miniflorilegi, il piu breve dei quali si compone di tre versi ricavati da Giovenale, Ovidio, Orazio.249 L'ordinamento alfabetico degli escerti che si osserva nell'opera di Micone riprende una tradizione di antica ascendenza, come at­ testano le sentenze di Publilio Siro e antichi glossari.2 so Se in que­ sta compilazione prosodica esso rappresenta solo un sistema per rendere piu agevole l'apprendimento e la memorizzazione della materia, in altri florilegi, nei quali è impossibile individuare una qualsivoglia unità tematica, la successione alfabetica delle citazioni è l'unico criterio che ne regola l'accorpamento. In queste raccolte ad essere ordinati alfabeticamente sono per lo piu gli incipit degli estratti: nel Parigino latino 2702-V (seconda metà del secolo XII) e nel manoscritto di Saint Omer, Bibliothèque municipale ns (fine del secolo XII), entrambi di origine francese, un breve florilegio contiene loci da Virgilio, Orazio, Lucano, Giovenale, Ovidio, di­ sposti alfabeticamente secondo la prima parola di ogni verso. Di­ verse sono le compilazioni nelle quali si riesce a intravedere una fi­ nalità etica, essendo elencati in successione alfabetica, sotto forma di lemmi, i temi, per lo piu di ordine morale, illustrati dagli apof­ tegmi. È significativo, perciò, che questa tipologia si riscontri, co­ me s'è visto, in alcuni florilegi « spirituali », ai quali si può aggiun­ gere, ad esempio, quello del manoscritto di Troyes, Bibliothèque municipale 854 (seconda metà del secolo XII, Francia), contenente anche un florilegio alfabetico classico, e che essa incontri un favore crescente dal secolo XII in poi tra le raccolte finalizzate alla lettura e alla consultazione, come si dirà oltre. Il manoscritto di Monte­ cassino, Biblioteca dell'Abbazia 384-l, scritto all'inizio del secolo X in area beneventana,251 tramanda un florilegio, essenzialmente pa249· Sui due florilegi prosodici Munk Olsen, Les classiques latins, cit., 1, cit., pp. 57-64 e sui miniflorilegi ibid., n, cit., pp. 119-22. 250. Su questi ultimi cfr.J. Kramer, Glossaria bilinguia in papyris et membranis reperta, Bonn, Habelt, 1983, pp. 29-59. Per i glossari greci cfr. Pfeiffer, Storia dellafilologia classica, cit., p. 195· 251. E.A. Lowe, The Beneventan Script. A History ofthe South Italian Minuscule, sec. ed. prepar. and enlarg. by V. Brown, n, Hand List oJBeneventan Mss., Roma, Ed. di Storia e Letteratura, 1980, pp. 84-85. La descrizione del manoscritto è in Codicum Casinensium manuscriptorum catalogus, n, 2, ree. D.M. Inguanez, Montis Casini, 1934, pp. 245-47.

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tristico, in cui compaiono in successione alfabetica ora gli incipit dei loci citati ora i temi trattati.252 I florilegi « etici » sono compilazioni unitarie costruite con cita­ zioni classiche in vista della ben precisa finalità di fornire un inse­ gnamento attraverso la moralità degli antichi, ricorrendo, se ne­ cessario, ad adattamenti del testo o alla sua interpretazione allego­ rica, quando il senso ovvio sia in disaccordo con la morale cristiana. Anche in questi florilegi il predominio degli auctores cesserà allor­ ché, tra XII e XIII secolo, il pesante dottrinalismo dei tempi nuovi si coniugherà con l'aristotelismo imperante. Il Collectaneum Hadoardi (secondo terzo del secolo IX) ci è per­ venuto in un'unica copia, il Vaticano Reginense latino 1762, scritto a Corbie dallo stesso Adoardo, custos della biblioteca del monastero benedettino di Saint Pierre. Il Collectaneum contiene una introdu­ zione in versi in cui l'autore informa il lettore sul metodo di rac­ colta delle citazioni e di composizione dell'opera, e sulla revisione degli escerti allo scopo di epurarli da quanto contraddiceva all'i­ spirazione morale della sua opera. Segue il florilegio in 19 capitoli, dedicato ciascuno ad un tema (Dio, l'uomo, la provvidenza, la vir­ ru, la felicità ecc.) illustrato con citazioni per la maggior parte rica­ vate dal De oratore e da opere filosofiche di Cicerone (solo un escerto riproduce il Bellum Catilinae di Sallustio ed un altro il com­ mento di Macrobio al Somnium Scipionis) . A questo punto sono rac­ colti ancora estratti da Macrobio, Marziano Capella e dalle Senten­ tiae di Publilio Siro: Adoardo utilizzava evidentemente testi dispo­ nibili nello scriptorium di Corbie, al quale egli, in qualità di bibliote­ cario, poteva attingere.253 Il Collectaneum Sedulii Scotti si conserva nel manoscritto di Cusa, Nikolaus Hospitalbibliothek 52-XIII, copiato probabilmente a Treviri nel monastero benedettino di S. Eucheria nella seconda 252. Sui florilegi alfabetici Munk Olsen, Les classiques latins, cit., n, cit., pp. 147-51. 253. Sul Collectaneum Hadoardi cfr. Talbot, Florilegium morale Oxoniense, cit., pp. 10- n; Delhaye, Florilèges, cit., col. 465; B. Bischoff, Hadoard und die Klassikerhandschriften aus Gorbie, in Id., Mittelalterliche Studien, 1, cit ., pp. 49-63; Munk Olsen, Les classiques latins, cit., II, cit., pp. 143-44. 455

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metà del secolo XII. All'interno di un florilegio piu ampio che rac­ coglie gruppi di estratti appartenenti ad autori diversi si inserisce un florilegio « sistematico » diviso in 27 capitoli dedicati a vari ar­ gomenti {la filosofia, la stoltezza, l'amicizia, la fedeltà, l'avarizia ecc.). Si tratta, è evidente, di una collezione di testi assai ricca, nella quale colpisce la vastità di letture del compilatore, interessato an­ che allo stile degli autori prescelti: pseudo-Seneca (Proverbia e De moribus) , orazioni e opere fùosofìche di Cicerone, Valeria Massi­ mo, i rari Strategemata di Frontino, Orazio, Lucano, Persia, Plauto, Plinio il Vecchio, Sallustio, Stazio, Terenzio. Di grande rilievo è in questo florilegio la presenza degli escerti delle orazioni ciceronia­ ne In Pisonem, Pro Fiacco, Pro Fonteio, Filippiche, a causa delle molte affinità esistenti tra questi e il testo delle orazioni in un loro auto­ revole testimone, il codice Vaticano, Arch. S. Pietro H 25.254 È pro­ babile che questo esemplare, trascritto forse nell'Italia settentrio­ nale nel secondo quarto del secolo IX verosimilmente da un mo­ dello tardoantico, sia stato, quanto alle orazioni ciceroniane, la fon­ te utilizzata da Sedulio nell'allestire il suo Collectaneum. Circostan­ za quanto mai fortunata se si pensa che attualmente il manoscritto vaticano risulta mutilo di alcuni fascicoli che contenevano parti ci­ ceroniane trascritte dal maestro irlandese.255 Nei cosiddetti Collectanea Heirici Autissiodorensis confluiscono tre collezioni di escerti nelle quali l'autore raccoglie i passi citati nelle lezioni dai suoi maestri, come egli stesso informa nella breve pre­ fazione in versi premessa alla compilazione. Il primo florilegio, che si ricollega all'insegnamento di Lupo di Ferrières, contiene estratti da Svetonio (De vita Caesarum) e Valeria Massimo, mentre la seconda parte dei Collectanea riprende il corso di Aimone di Au­ xerre, fondato su testi teologici e raccolte di sentenze. Non è certa, invece, l'attribuzione ad Eirico del terzo florilegio, comprendente, CLA ' 3 · Sul Collectaneum Sedulii Scotti cfr. Talbot, Florilegium morale Oxoniense, cit., p. 13; Munk Olsen, Les classiques latins, cit., 1 , cit., pp. 97-99; n, cit., pp. 144-45. Per il rappor­ to tra il florilegio e il codice Vaticano cfr. R.H. Rouse-M.D. Reeve, Cicero. Speeches, in AAYV., Texts and Transmission, cit., pp. 73-74; Villa, La "Lectura Terentii'; 1, cit., pp. 254. 255·

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tra l'altro, estratti da Salino, il quale rifletterebbe l'insegnamento dell'irlandese Elia. Assai complessa è la tradizione manoscritta dei Collectanea soprattutto per la difformità esibita dai testimoni nella successione e nella conservazione delle singole unità strutturali dell'opera, la quale è tramandata integralmente nel suo ordine ori­ ginario solo dal Parigino latino 8818 (secolo IX-X, Francia) e dal manoscritto di Nizza, Bibliothèque municipale 92 (prima metà del secolo XII, Francia). È di rilievo nel collectaneum facente capo a Lupo la presenza del De vita Caesarum, la cui tradizione in età caro­ lingia è rappresentata dal solo Parigino latino 6n5, scritto a Tours intorno all' 820. Per un testo che sembra essere stato tenuto in con­ siderazione dallo stesso Carlo Magno,256 gli escerti del maestro di Auxerre non solo forniscono una ulteriore testimonianza dell'in­ teresse nutrito nel sec. IX per le biografie svetoniane, ma si rivela­ no anche preziosi sotto il profilo testuale. Essi si collocano, infatti, tra i discendenti di un manoscritto di Fulda, il quale è da identifica­ re verosimilmente con l'apografo dell'esemplare posseduto da Lupo: se questi manoscritti entrambi perduti erano, come sembra, assai vicini per tipi testuali all'autorevole e solitario manoscritto di Parigi, il testo che Eirico recepi dalle lezioni di Lupo appare collo­ cato su questa stessa linea recensionale, fornendone pertanto una ulteriore testimonianza. È degna di nota,infine, la circostanza che del florilegio di Eirico si servi Giovanni di Salisbury, utilizzandone la parte relativa a Svetonio e ad un passo di Grosio che conclude le citazioni svetoniane.257 256. E.K. Rand, On the History ojthe 'De Vita Caesarum' oJSuetonius in the Early Middle Ages, in « HSPh �. a. xxxvn 1926, pp. 40-48. 257. RW. Hunt, The Deposit of Latin Classics in the Twelfih-Century Renaissance, in Classica/ Injluences, cit., p. 55. Il problema della conoscenza dei classici, se sia stata diret­ ta o mediata, in Giovanni di Salisbury è stato sollevato, ma non risolto. Per Cicerone esclude l'uso di florilegi o altre fonti indirette B. Munk Olsen, L'humanisme deJean de Salisbury. Un cicéronien au 12' siècle, in Entretiens sur la Renaissance du 12' siècle, sous la di­ rection de M. de Gandillac et È.Jeauneau, Paris, Mouton, 1985, pp. 54-55. Sui Collecta­ nea di Eirico cfr. Talbot, F/orilegium morale Oxoniense, ci t., p. 12; Delhaye, Florilèges, cit., col. 465; R. Quadri, I Collectanea di Eirico di Auxerre, Friburgo (Svizzera), Edizioni Uni­ versitarie, 1966; Munk Olsen, Les classiques latins, cit., 1, cit., pp. 99-103; M. Winterbot­ tom, Suetonius, in AAYV., Texts and Transmission, cit., pp. 400-2.

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Flores decerpere, « cogliere fiori », scegliere solo poche tra le molte letture, le migliori e le piu utili, e poi raccoglierle insieme per il be­ ne proprio e altrui: fu questo il compito faticoso, ma gratificante, di chi allesti il florilegio noto come Duacense. Esso intende rivol­ gersi ad un pubblico assai vasto e differenziato: è utile sia all'uomo di studio sia a chi è privo di cultura; può sanare l'animo malato e mantenere sano quello che gode di buona salute; può aiutare a scrollarsi di dosso la stanchezza; può confortare il debole; è fatto per essere custodito non in un armadio, ma nel petto di chi lo leg­ ge. Ma questi e altri benefici promessi nella prefazione dal compi­ latore258 sono certo interdetti a quanti affrontano oggi la lettura e lo studio del florilegio Duacense: una raccolta ricchissima di escerti, ma problematica per le molte questioni che pone, non ultime quelle riguardanti la sua paternità e la sua unitarietà.259 I suoi piu autorevoli testimoni, tutti di origine francese, presentano, infatti, notevoli differenze nella realizzazione del piano dell'opera elabo­ rato dall'autore in una forma assai articolata. Nel manoscritto piu antico {seconda metà del secolo XII), conservato a Douai, Biblio­ thèque municipale 285 (di qui il nome della collezione), al prologo segue un piano quadripartito che prevede ben quattro florilegi: Flores . . . librorum sancti Augustini . . . ,jlores veteris et novi Testamenti . . . , jlores librorum sancti Ambrosii . . . , jlores auctorum et philosophorum . . ; 260 ma delle parti preannunciate il codice contiene soltan­ to la prima e l'ultima, composta di estratti da autori classici e me­ dievali. Il manoscritto piu recente {secolo XII-XIII), anch' esso di Douai, Bibliothèque municipale 533, è il piu completo, in quanto raccoglie le quattro parti, con l'inversione delle prime due, prece­ dute dal prologo. Il codice di Troyes, Bibliothèque municipale 215 .

258. Si è tenuto presente il prologo del florilegio nel manoscritto di Troyes, Bi­ bliothèque municipale 215, c. Ir, edito da Rochais, Florilèges, cit., coll. 455-56. 259. J. Leclercq, Textes et manuscrits cisterciens dans diverses bibliothèques, in « Analecta Sacri Ordinis Cisterciensis �. a. xn 1956, pp. 296-304; B. Munk Olsen, Note sur quelques préfaces de jlorilèges latins du XII• siècle, in « Revue Romane », a. vm 1973, pp. 191-93. 260. Cosi nel prologo del florilegio nel manoscritto di Douai, Bibliothèque mu­ nicipale 285, c. I V, edito da Ph. Delhaye, "Grammatica" et "Ethica" au XII• siècle, in « RTAM », a. xxv 1958, pp. 89-90.

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I PERC O R S I M E D I EVALI D E L TE STO

(fine del secolo XII), si compone di due unità codicologiche coeve ed omogenee, contenenti rispettivamente il florilegio patristico (Ambrogio, Gregorio, Girolamo, Cipriano ecc.) e quello classico e filosofico, preceduto ciascuno da un prologo che riproduce con varianti quello del codice di Douai, Bibl. mun. 285. In questa se­ conda parte del manoscritto si inserisce la Dtjloratio auctorum (pre­ sente anche nel manoscritto di Douai, Bibl. mun. 533), un florilegio organizzato in 46 paragrafi dedicati ad altrettanti temi morali illu­ strati con citazioni da Orazio, Giovenale, Ovidio, Lucano, Stazio, Virgilio.261 Assai ricco di citazioni (circa 1.400, per lo piu di autori classici) si presenta il Florilegium morale Oxoniense, conservatosi nel manoscrit­ to di Oxford, Bodleian Library, Bodley 633-II, scritto alla fine del secolo XII molto probabilmente in Inghilterra. Composto per orientare un giovane canonico alla lettura proficua dei testi morali, esso consta di due parti, i Flores philosophorum262 e i Flores aucto­ rum.263 La prima raccolta contiene escerti da autori cristiani e clas­ sici (Apuleio, Cicerone, Orazio, Giovenale, Macrobio, Persio, Se­ neca retore, Valeria Massimo, ecc.), questi ultimi spesso rimaneg­ giati. Molto piu scrupoloso e attento è il compilatore nei Flores auc­ torum, dove mancano le interpolazioni e sono puntualmente indi­ cati gli autori, i titoli delle opere, il libro e il capitolo da cui proven­ gono le citazioni. Accanto ad autori presenti anche nella prima parte del florilegio, sono utilizzati qui i Disticha Catonis, Giovenale, Lucano, Seneca filosofo, pseudo-Seneca, Quintiliano, Gellio. I Flo­ res philosophorum affrontano problemi morali soprattutto sulla base del De Platone et eius dogmate di Apuleio, mentre i Flores auctorum servono ad illustrare le virtU cardinali. Vari indizi inerenti alla sto­ ria dei testi contenuti nel Florilegium Oxoniense concorrono a raf­ forzare l'ipotesi che la compilazione sia stata allestita in Inghil­ terra. 261. Sul florilegio Duacense cfr. Munk Olsen, Les classiques latins, cit., 1, cit., pp. 8489; n, cit., pp. 145-46. 262. Editi da Ph. Delhaye, Florilegium morale Oxoniense. Ms. Bodl. 633. Prima pars: Flo­ res Philosophorum, Louvain-Lille, Nauwelaerts-Librairie Giard, 1955, pp. 70-106. 263. Editi da Talbot, Florilegium morale Oxoniense, cit., pp. 32-166.

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Che qui circolassero le opere filosofiche di Apuleio sembra, in­ fatti, attestato da taluni manoscritti connessi con centri di produ­ zione inglesi,264 mentre la presenza di Valeria Massimo in questa area è documentata dal manoscritto di Cambridge, University Li­ brary, Kk. 3.23, della fine del secolo XII, non solo testimone di grande importanza dei Facta et dieta memorabilia, ma probabilmente copia personale di Giovanni di Salisbury.265 Non è da escludere perciò che il compilatore attingesse ad un testo completo di Vale­ rio Massimo piuttosto che a suoi escerti, come, invece, si è pensa­ to.266 Analogamente è da ipotizzare che la conoscenza delle Noctes Atticae derivi da una lettura diretta del testo gelliano, la cui circola­ zione in Inghilterra è ormai un dato acquisito, anche sulla base della familiarità che sicuramente ebbero con esso personaggi di ri­ lievo come Guglielmo di Malmesbury e Giovanni di Salisbury.267 La collezione di escerti che, per essere tramandata da un codice appartenuto alla cattedrale di Frisinga nel XII secolo, Clm 6292-II della Bayerische Staatsbibliothek di Monaco {secolo XI), è gene­ ralmente conosciuto come > dell'età postclassica, quella umanistica compresa, per mettere a tiro il pro­ blema nei confronti della posizione che il XII secolo ebbe verso gli auctores dell'antichità si sta ancora al punto di dover richiamare il rapporto gerarchico fra ricerca e definizione e, pertanto, di dover prospettare l'urgenza di analisi che avviino a settoriali - e fondati giudizi sugli specifici culturali entro la geografia dell'Europa del XII secolo. Persino sul piano delle conoscenze propedeutiche resta molto da indagare, se si rammenta l'approssimazione - o addirittura l'in­ certezza - che sovente ancora affligge la collocazione geografica dei codici esemplari nel XII secolo e, per restare nel terreno nostro, se si avverte che, al di là di felicissime eccezioni,7 quasi non è stata messa mano all'esame dello spessore e delle modalità di ricezione degli auctores nel XII secolo: da verificarsi, in primo luogo attraver­ so la geografia e la storia della tradizione manoscritta dei classici che al secolo pertiene, poi attraverso i nuovi commenti che ne fu­ rono fatti, dopo secoli di uso pressoché esclusivo dell'esegesi tar­ doantica, infine attraverso le variegature di lettura e di uso affio­ ranti dalle opere composte nel secolo, dove occorrerà svincolarsi dalla coazione a ripetere sempre gli stessi nomi. Pietra miliare per future indagini, è giunto da poco, con il censi­ mento dei manoscritti degli autori classici dal tardoantico al XII secolo e di quanto - glosse e commenti - alla lettura dei classici è collegato, lo strumento di base, indispensabile guida per uno stu­ dio non avventato sul classicismo del XII secolo.s Di li si trae, con semplice processo additivo, lo shock di una cifra

7 · G. Billanovich, La tradizione del testo di Livio e le origini dell'umanesimo, Padova, An­ tenore, 1981; C. Villa, La 'lectura Terentii', I, Da Ildemaro a Francesco Petrarca, Padova, Ante­ nore, 1983. 8. B. Munk Olsen, L'étude des auteurs classiques latins aux XI• et XII• siècles, I, Paris, C.N.R.S., 1982, e 11, ibid., 1985.

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riassuntiva, che squaderna subito l'ampiezza del fenomeno e la va­ stità delle analisi conducibili. Dei secoli precedenti il XII sopravvi­ vono, escludendo i florilegi, 1028 codici di autori classici; del XII, includendo le zone di confine col secolo precedente, l'Xl, e il suc­ cessivo, il XIII, e con analoga esclusione, rimangono 1406 mano­ scritti. Anche fatto conto della possibile incidenza di modificazioni nel gusto dei committenti che, mentre facevano sentire obsoleto il manufatto proveniente dalle età precedenti, motivavano richieste di esemplari nuovi - e il rifacimento, come avvenne nel passaggio dalla riproduzione manoscritta a quella a stampa, provoca talora la cancellazione dei segmenti di storia rappresentati dai modelli - e quindi auspicando che i dati evincibili dai manoscritti superstiti non siano immagini terminali squilibrate di una situazione che, al momento del suo esistere, era di fatto diversa, la profondità dello scarto fra i due dati sembra conferire subito supporto saldamente documentario a quanto si dice sul « fascino » - vedremo in qual mi­ sura nuovo - della classicità nel XII secolo. Ipotesi davvero inattese sembrano invece autorizzate dall'esa­ me della distribuzione dei manoscritti dei classici all'interno del XII secolo; che si presenta non omogenea ma con oscillazioni che ricevono significatività dalla presenza e sviluppo, sul medesimo asse cronologico, di orientamenti culturali tradizionalmente giu­ dicati concorrenti - e quindi oppositivi - alla frequentazione solle­ cita del patrimonio letterario dell'Antichità. È infatti nella seconda metà del XII secolo che viene censito un numero di codici piu che doppio a fronte di quello registrabile nei suoi primi cinquant' an­ ni: 9 proprio quando sembra farsi piu netta, soprattutto in Francia ed in Italia (ma anche nella stessa Germania), l'adesione del pub­ blico a programmi di formazione culturale e professionale che sembrano porre in secondo piano l'ideale classicistico del secolo; programmi che diverranno egemoni (non dico esclusivi), e non 9· Senza prendere ovviamente in considerazione i manoscritti con generica collo­ cazione nel XII secolo, 813 manoscritti sono databili alla seconda metà del secolo; so­ lo 379 rientrano nella sua prima metà.

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solo in Italia, lO nella prima metà del secolo successivo, per poi prendere a decadere, a loro volta, nell'arco di una sessantina d'anni (e le scansioni cinquantennali - dopo secoli di relativa uniformità ­ inducono a pensare ad una decisa accelerazione impressa dal XII secolo al tempo della cultura), a cavallo fra gli ultimi decenni del XIII secolo ed i primi del Trecento, quando, nella scuola e nella creazione letteraria, andrà delineandosi il graduale ricupero degli auctores che troverà sanzione piena ed irrevocata nella seconda me­ tà del secolo, quando il mondo classico, debitamente idealizzato, riceverà funzione e valore di unità di misura per ogni attività dello spirito. Non sfuggirà tuttavia che i valori assoluti evidenziano solo la presenza di una domanda piu fitta, non il peso specifico assunto dai classici all'interno dell'insieme delle letture praticate dal XII secolo: che andrebbe accertato sul rapporto fra il numero dei codi­ ci, riferito al numero dei testi degli autori classici circolanti, e quel­ lo dei codici di altri autori, riferito ai rispettivi testi. Utilizzando i dati che possediamo, il confronto può farsi soltanto molto rozza­ mente e, di conseguenza, non va esente da dubbi sostanziosi sul suo significato: ma, accogliendo per buono quello che forse buono non è, non prende molto verificare che, nel caso di distribuzione proporzionale, le vere età della « Renaissance » dei classici sono il X secolo e, in particolare, l'XJ . l l Preparato dall'XI secolo, il fascino, non piu o non ancora nuovo, dei classici potrebbe dunque precisarsi, per questa via, solo come una tessera, sia pur veneranda e deaurata, del composito mosaico culturale del XII secolo, dove, accanto agli > incardi­ nata nelle università, entrambe, almeno nei loro inizi, « municipa­ li )), legate all'ambiente delle cancellerie urbane. La prima delle due linee sembra svolgersi, piu che dall'ancora acerbo volgarizzamento della Rhetorica ad Herennium di Bono Giamboni, dal volgarizzamento e commento del ciceroniano De inventione che Brunetto Latini fece durante il periodo dell'esilio in Francia 19 ed articolarsi in una successione di episodi che vanno dal definitivo ricupero della letteratura classica « tecnica », attraverso l'introduzione, con Giacomo di Dinant e, poco dopo, con Giovan­ ni di Bonandrea, della lettura ordinaria dei testi canonici della re­ torica classica nella Università di Bologna nel penultimo decennio del Duecento, sino alla sanzione piena della modulazione dell'in­ segnamento in artibus, che attribuisce alla figura del professargram­ matica e la duplice funzione, dell'insegnamento normativa· dei principi grammaticali e del commento degli autori, che alla gram­ matica è attribuita dalla pedagogia quintilianea. Sullo spessore e sulle modalità del classicismo entro le Universi­ tà del Trecento si sa, se possibile, ancor meno di quanto si riesce a raccogliere per il XII secolo. Tuttavia, la sensazione che si ricava da uno sguardo d'assieme è quella che il modello di insegnamento inaugurato dall'Università di Bologna con Giovanni del Virgilio, corrispondente di Dante, maestro di grammatica e retorica e com18. J. De Ghellinck, L'essor de la littérature latine au Xli' siècle, Bruxelles-Bruges-Paris, Desclée De Brouwer, 19552, pp. 536-45. 19. Cfr. G.C. Alessio, Brunetto Latini e Cicerone {e i dettatori}, in « IMU �. a. xxii 1979, pp . 123-69-

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mentatore di Virgilio, Ovidio, Stazio, Lucano20 non evolva lungo tutto il Trecento, cosi come non sembrano evolvere e le scelte dei testi su cui esercitare la lectura, che, con qualche giunta o sot­ trazione, si inserivano sempre nel canone degli auctores octo- di collaudata ,memoria, e i modelli dell'esegesi stessa, che, piu di quanto si rifacciano ai tardoantichi, replicano gli esempi del XII secolo. A sincerarsene basterà prelevare dall'esegesi virgiliana, che resta la piu imponente e la meglio circoscritta, se non studiata nei detta­ gli.21 In Zona de' Magnalis, in Giovanni da Firenze, e persino in Benvenuto da Imola, per tralasciare i minimi Astolfino Marinoni e Stamonio « de Regno », si ripresentano i vezzi attualizzanti dell'e­ segesi dell'età romanica che di questa finiva di costituire il model­ lo. Qui, semmai, segno dell'incipiente umanesimo sarà il gusto per la retorica dei certami coronarii (chi sia piu grande fra Virgilio ed Omero) o la discussione sulla accoglibilità della legenda Vergilii, cui anche Petrarca darà un contributo (sebbene intorno al 1433 essa sa­ rà largamente accolta nella biografia virgiliana nota come Donatus auctus), o la polemica contro le interpretazioni messianiche del te­ sto virgiliano . Al di fuori dell'esegesi virgiliana, potrà essere segno della penetrazione dei nuovi orientamenti del pensiero nell'am­ biente conservativo della scuola la lettura sul « principe dei mora­ listi » Valeria Massimo, un testo storico rimasto estraneo alla sensi­ bilità del XII secolo, costruita da Benvenuto da Imola, il cui altro impegno storico, il Romuleon, è invece summa ancora legata ad una concezione storiografica tipicamente medievale. La seconda delle due linee, che sarà vincente nel Quattrocento, è senz'altro quella, anch'essa « municipale », del notaio padovano 20. Sulle coordinate biografiche e la multiforme attività di Giovanni del Virgilio basterà il rinvio alla voce nella Enciclopedia Dantesca, m, Roma, Istituto dell' Enciclope­ dia Italiana, 1971, pp. 193-94, da integrarsi con G.C. Alessio, Quattro trattatigrammaticali di Giovanni del Virgilio, in « IMU �. a. xxiv 1981, pp. 159-212; V. de Angelis, Magna questio preposita coram Dante et domino Francisco Petrarca et Virgiliano, in « Studi Petrarcheschi », n.s., a. I 1984, pp. 103-209. 21. V. Zabughin, Vergilio nel Rinascimento italiano da Dante a Torquato Tasso, Bologna, Zanichelli, 1921, pp. 3-106.

IL NUOVO FAS C I N O DEGLI AUTO RI ANT I C H I TRA I S E COLI X I I E XIV

Lovato Lovati {morto nel 1309) 22 e poi del suo discepolo Alberti­ no Mussato (1261-1339) 23 che ricuperano, non casu sed arte, nell'ab­ bazia di Pomposa testi classici quali la quarta Deca di Livio e le Tra­ gedie di Seneca e si impegnano nella restituzione testuale e metrica del testo senecano (un'attività filologica che, prima nel IX secolo con Floro di Lione e poi, con piu aguzzi strumenti, nel XII secolo ad opera del romano Niccolò Maniacutia, monaco cistercense, era stata riservata al testo sacro, in cui la veritas della lettera assumeva importanza basilare, perché sorreggeva i successivi livelli di inter­ pretazione ).24 Essi avviano « un movimento umanistico, che con entusiasmo andava accendendo i fasti degli scavi antiquari e le ri­ cerche erudite intorno ai miti dell'eroe fondatore Antenore e ai la­ certi epigrafici, archeologici e filologici relativi all'antichità roma­ na, nel contempo sforzandosi di rivivere gli spiriti classici attraver­ so una partecipe replica delle squisite tecniche compositive appre­ se sui codici appena riesumati degli auctores latini ».25 Nella bella sintesi di Corrado Bologna stanno raccolti tutti gli elementi che segnalano le differenze specifiche della rinascita umanistica nei confronti dell'altra, romanica, e, al tempo stesso, misurano la distanza dal ricupero dei classici come inteso e prati­ cato nelle Università. Se su questo ricupero, almeno su quello che piu direttamente concerne la lettura degli autori « morali », con maggior peso, certo, sull'ispirazione che poi sulle modalità di rea­ lizzazione nella prassi scolastica, possa avere avuto parte il cenaco­ lo classicheggiante dei preumanisti padovani e dei loro immediati seguaci, attraverso legami culturali con gli intellettuali bolognesi, non è facile da stabilire. Giovanni del Virgilio tenta, fra il 1324 e il 22. Per Lovato si veda almeno R. Weiss, Lovato Lovati, in « Italian Studies », a. VI 1951, pp. 3-28. 23. Per Mussato, in ottima sintesi, la voce, curata da G. Martelletti in Enciclopedia dantesca, III, cit., pp. 1066-68. Per la fortuna di Seneca nel circolo padovano, Guido Bil­ lanovich, Il preumanesimo padovano, in AAYV., Storia della cultura veneta, n, Vicenza, Neri Pozza, 1976, pp. 56-66. 24. V. Peri, « Correctores immo corruptores ». Un saggio di critica testuale nella Roma delXII secolo, in « IMU », a. xx 1977, pp. 19-125. 25. C. Bologna, La letteratura dell'Italia settentrionale nel Trecento, in AAYV., Letteratu­ ra italiana. Storia e geografia, I, Torino, Einaudi, 1987, p. 595·

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1325, di dialogare poeticamente con Mussato, i cui umori contrari all'uso del volgare nella poesia aveva dimostrato di partecipare ap­ pieno nella precedente corrispondenza poetica con Dante, in cui invitava il poeta della Commedia a dedicarsi solo alla poesia latina; il nipote di Mussato, Rolando da Piazzola, che conosce Giovanni del Virgilio ed è da lui ricordato nell'egloga diretta a Mussato, è vicario di Niccolò da Carrara, podestà di Bologna nei primi mesi del 1322.26 Ai tratti caratterizzanti il modello umanistico (culto per la storia, amore per i classici e la filologia, ricerca appassionata dei testi anti­ chi e degli antichi codici) che appaiono nei pionieri padovani an­ cora chiusi entro le mura cittadine sarà dato respiro interregionale ed internazionale dall'opera di Petrarca (che coi testi dei padovani venne in contatto attraverso Simone della Tenca, notaio del cardi­ nale Niccolò da Prato), e dei prelati, soprattutto romani, che ope­ ravano nella curia pontificia di Avignone; e accanto e dopo Petrar­ ca, da Boccaccio e da Coluccio Salutati. Con essi tutti s'apre, con programma deliberato e tenacemente perseguito, l'età degli sco­ pritori dei testi antichi; 27 e da loro, attraverso un fitto tessuto di « minori » che, soprattutto nel Trecento settentrionale e veneto si adopereranno, nell' otium centrato sulla letteratura e nella ricerca e collezione filologica e antiquaria, a replicare il verbum petrarchesco (dico di Paolo de Bernardo e della sua ricca biblioteca di classici, di Giovanni Conversini, di Benzo d'Alessandria, che primo arrivò al­ la Historia Augusta e a Catullo, di Bartolomeo Squarceti da Cavajon, del notaio trevisano Francesco da Lancenigo e, soprattutto, del trevi­ sano Oliviero Forzetta « la cui passione peri codici antichi e gli ogget­ ti artistici trova riscontro fra i contemporanei nel solo Petrarca ») ,28 l'umanesimo procederà verso la piena maturità del Quattrocento.

26. Per Rolando da Piazzola, Guido Billanovich, Il preumanesimo, cit., pp. 40-43. 27. Sulle scoperte dei testi classici fra Tre e Quattrocento e sul nuovo spirito uma­ nistico cfr. almeno G. Voigi, Il risorgimento dell'antichità classica ovvero il primo secolo del­ l'Umanismo, 1, Firenze, G.C. Sansoni, 1888, e II, ibid., 1890, e R. Sabbadini, Le scoperte dei codici latini e greci ne' secoli XIV e XV, Firenze, Le Monnier, 1905. 28. Per turti gli umanisti qui citati, basterà il rinvio, anche bibliografico, all'ottima sintesi di L. Gargan, Il preumanesimo a Vicenza, Treviso e Venezia, in AAYV., Storia della cultura veneta, II, cit., pp. 142-70.

I L NUOVO FAS C I NO DEGLI AUTORI ANTI C H I TRA I S E COLI X I I E XIV

2.

IL DuECENTo :

MANOS C RITTI E BIBLIOTECHE

Le ormai numerose iniziative di inventari e di cataloghi di ma­ noscritti che - pur variamente distribuite e diverse nei metodi e nei propositi - negli ultimi decenni hanno sollecitato gli interessi di quanti si occupano della produzione di libri nell'età che precede la stampa, hanno silenziosamente - e per lo piu senza denunciate intenzioni - eroso dall'interno, svuotandolo di contenuto, un sog­ getto in evidenza nelle ricerche di studiosi appartenenti alla gene­ razione attiva fra le due guerre che si confrontavano sul tema dei classici nel Duecento - poi metonimicamente risolto (ed elimina­ to) dal Toffanin con la formula del « secolo senza RomH.29 Allora il problema continuità/frattura era insieme di oggetti e di idee; e, per quel che riguarda gli oggetti, cioè i libri dei classici, oggi i repertori di uso piu frequente subito permettono un con­ trollo sulla presenza - senza ulteriori distinzioni - di autori classici copiati o letti nel sec. XIII. Per iniziare può essere istruttiva una pur rapida incursione in una raccolta di manoscritti che è il fondo Reginense della Bibliote­ ca Vaticana, scelto perché ha il duplice vantaggio di essere stato de­ scritto in tempi recenti dalla équipe che per statuto e per consuetu­ dine ha maggiore dimestichezza con gli autori classici; e insieme di essere stato costituito in buona parte con collezioni formate in zone ben determinate. La regina Cristina ebbe infatti gran parte della biblioteca che Pietro Petau e poi suo figlio Alessandro aveva­ no radunato ad Orléans attingendo ampiamente a biblioteche e collezioni della valle della Loira, dell'Ile de France e della Cham­ pagne, cioè delle regioni tradizionalmente collegate alla disputa 29. G. Toffanin, Il secolo senza Roma, in Storia dell'Umanesimo, I, Bologna, Zanichelli, 1964; in questa polemica ha proposto di sottolineare gli elementi di classicità E.K. Rand, The Classics in the Thirteenth Century, in « Speculum », a. IV 1929, pp. 249-69, e Id., A Friend ojthe Classics in the Time oJSaint Thomas Aquinas, in Mélanges Mandonnet, 11, Pa­ ris, Vrin, 1930, pp. 261-75; per un quadro storiografìco generale è necessario rinviare a F. Bruni, Boncompagno da Signa, Guido delle Colonne,Jean de Meung: metamoifosi dei classici nel Duecento, in Retorica e poetica tra i secoli XII e XIV: Atti del secondo Convegno internazio­ nale di studi dell'Associazione per il Medioevo e l'Umanesimo latini . . . , a cura di C. Leonardi e E. Menestò, Firenze, La Nuova Italia, 1988, pp. 99-108.

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sulle arti nel corso del sec. XIIPO Nel fondo Reginense i mano­ scritti di autori classici esemplari nel sec. XIII sono cosi numerosi da non poterli ricordare singolarmente e su alcuni varrebbe la pe­ na di riflettere: per esempio sul Prisciano/Donato ora Reg. lat. 1538, dove un uditore dei corsi ha lasciato (f. 9 v) il ricordo e la data della lezione su inst. xvn 54, ascoltata nel gennaio 1240, forse in quella stessa Orléans dove piu tardi il codice fu conservato.31 Nel fondo Reginense si trova qualche residuo di biblioteche del sec. XIII i cui inventari costituiscono documenti degni di attenzione: la piu importante è quella di Richart de Fournival, letterato in lati­ no e in volgare, canonico della cattedrale di Amiens, che ancora vi­ vo mise a disposizione dei chierici i suoi libri anticipando cosi l'i­ dea della biblioteca pubblica. 32 Richart possedeva i classici piu no­ ti, Stazio, Lucano, Virgilio, Ovidio, Orazio, Seneca, i testi ermeti­ co-platonici {pseudo-Apuleio, Calcidio e Apuleio) del Reg. lat. 1572 e anche opere piu rare, acquisti della vecchia cultura carolin­ gia come Properzio, le Tragedie di Seneca e Tibullo.33 I suoi codici, e limitatamente, per quel che arriviamo a capire, ai testi filosofici e scientifici e non ai classici, passarono, per il tramite di un altro canoni­ co di Amiens, Gérard d'Abbeville, alla biblioteca della Sorbona, cioè alla roccaforte dei logici; ma lo stesso Gérard (t 1272), maestro di teo­ logia nell'università parigina, ebbe autori classici, il Marziano Capella Ottob. lat. 1840 e il Macrobio-Cicerone De officiis Reg. lat. 1623; 34 e 30. E. Pellegrin, Les manuscrits classiques latins de la Bibliothèque Vtlticane, II, 1, Paris, C.N.R.S., 1978; li anche le vicende che portarono alla costituzione del fondo Regi­ nense (pp. 23-26) . 31. Pellegrin, Les manuscrits, cit., II, I, p. 257- Per le ampie conoscenze di classici di­ spiegate dall'annotatore del Bernense 276 che lavora a Orléans verso la metà del sec. XIII cfr. Rouse, Florilegia, cit. 32. Per la cultura volgare di Richart e una nota bio-bibliografica basti il rinvio a Li bestiaires d'amours di maistre Richart de Foumival e li response du Bestiaire, a cura di C. Segre, Milano-Napoli, Ricciardi, 195733· E. Pellegrin, Les manuscrits classiques latins de la bibliothèque Vtlticane, 1, Paris, C.N.R.S., 1975, 1, p. 686 e II, I, cit., pp. 94, 296; e soprattutto R.H. Rouse, Manuscripts belonging to Richard de Foumival, in « RHT», a. m I973, p. 255, e Id., Florilegia, p. 138 e n. 31. 34· Pellegrin, Les manuscrits classiques latins, n, 1, cit., pp. 324-25; P. Grand, Le Quodlibet XIV de Gérard d'Ab bevi/le. La vie de Gérard d'Abbevi/le, in « AHDL », a. xxxi 1964, p. 213.

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ancora altri auctores scorgiamo per esempio nella biblioteca di Etienne d'Abbeville.3 S In una cursoria indagine sul sec. XIII è inoltre opportuno consi­ derare, nel tempo, le vicende della tradizione di qualche classico; ormai soccorsi in questa ricerca dall'ampia sintesi offerta dal volu­ me collettivo Texts and Transmission dove subito risulta, se guardia­ mo esclusivamente alla distribuzione per secoli, che sono stati co­ piati, nel XIII, molti piu classici che nel XIV; e che alcune tradi­ zioni hanno, nel Duecento, una peculiare diffusione in confronto al passato: come Seneca De benifìciis e Apocolocyntosis (Inghilterra), Ps. Quintiliano, Declamationes maiores ed estratti dalle EpistolaeJami­ liares di Cicerone.3 6 Questo secolo sembra adottare con un certo entusiasmo, alme­ no a livello di insegnamento ordinario, il cosidetto Liber Catania­ nus, un tipo di antologia che fu certo ben considerata se è ancora viva nelle scuole alla fine del Trecento; venivano cosi studiati, fra i classici, lo Stazio dell'Achilleide, Claudiano De raptu Proserpinae, ta­ lora l'Ovidio dei Remedia e poi i Disticha Catonis e le Elegie di Massi­ mimo; per la storia di quest'ultimo sarà perciò utile sottolineare la connessione, non ancora fissata nell'esegesi dantesca, stabilita da un fine lettore, B. Berenson, e persa in un suo diario di letture: do­ ve Inf v 121-23: nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice nella miseria

è collegato a Massimiano, elegia 1 291: Dura satis miseris memoratio pri­ sca bonorum.3 7 35· Per Etienne d'Abbeville: M. Mabille, Les manuscrits d'Etienne d'Abbeville conservés à la Bibliothèque Nationale de Paris, in « BECh �, a. cxxxm 1974, pp. 245-66: un Ovidio, un Platone (Timeo) e due Seneca (uno è ora il Vaticano, Reg. lat. 1440). 36. Texts and Transmission, ed. L.D. Reynolds, Oxford, Clarendon Press, 1983, pp. 361-62 e 367 (per Seneca), 336 (per Ps. Quintiliano) e 142 (per Cicerone). 37· B. Berenson, One Year's readingforfun {1942), London, Weidenfeld & Nicolson, 1960, p. 13; secondo i curatori del volume Berenson leggeva il testo di Massimiano in Poetae Latini Minores, ed. N.E. Lemaire, 7, Paris, F. Didot, 1826. La complessa formazio­ ne del Liber Catonianus, che nel sec. XIII affianca a Massimiano anche il Claudiano del

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Poiché la scuola è un luogo privilegiato di trasmissione, lo stru­ mento forse piu utile per constatare la continuità dell'insegna­ mento scolastico ci è offerto dall'impresa del Catalogus translatio­ num voluta e ordinata dal Kristeller, uno degli studiosi piu attirati dai precedenti umanisti - e in certa misura erede della vecchia tra­ dizione storiografica del nostro Settecento che all'età Comunale aveva guardato anche per i primi movimenti dell'Umanesimo - e ben attento quindi alle vicende delle arti e della enarratio auctorum nel Duecento.3 8 È interessante verificare come nelle mani degli umanisti fra ultimo Tre e primo Quattrocento riappaiano i com­ menti prodotti e poi usati dalle generazioni anteriori; può valere l'esempio del commento a Persio di quel Ventura da Foro che nel­ la seconda metà del Duecento spiega Persio utilizzando e rima­ neggiando materiali precedenti e che noi conosciamo perché il suo manoscritto appartenne a Gasparino Barzizza_39 Altri casi de­ gni di attenzione sono offerti dal commento a Terenzio prodotto, credo, in area toscana nel sec. XII e riimpiegato da Francesco da Buti e dal circolo fiorentino del Salutati; o dal commento a Orazio, inc. « Materia» preparato nel sec. XII ed « editus » da un coetaneo di Dante, Paolo da Perugia, nato nella seconda metà del Duecento.40 De raptu Proserpinae e talora Ovidio in M. Boas, De librorum Catonianorum historia at­ que Compositione, in « Mnemosyne », a. XLII 1914, pp. 17-46; per la grande fortuna di Ovidio nei manuali dr. E. Pellegrin, Les 'Remedia amoris' d'Ovide, texte sco/aire médiéval, in « BECh », a. cxv 1957, pp. 173-78; una statistica delle presenze ovidiane nei libri ma­ nuales è compilata da J.H. Mc Gregor, Ovid a t School:Jrom the Ninth to the Fifteenth Cen­ tury, in « CF », a. xxxn 1978, pp. 29-51; per le aggregazioni del cosiddetto Liber Catania­ nus e la presenza di altri classici nei curricula bolognesi della seconda metà del Due­ cento dr. R. Avesani, Ilprimo ritmo delgrammatico Ambrogio, in « SM », ser. III, a. VI 1965, p. 4 75· 38. Catalogus translationum et commentariorum: Mediaeval and Renaissance Latin Tran­ slations and Commentaries, ed. P.O. Kristeller, I-VI, Washington, The Catholic Universi­ ty of America Press, 1960-1986. 39. Catalogus, cit., III, pp. 243-44; per Ventura da Foro da ultimo C. Ciociola, Attesta­ zioni antiche del bergamasco letterario. Disegno bibliografico, in « Rivista di letteratura italia­ na », a. IV 1986, pp. 154-56, e Alessio, Le istituzioni scolastiche, cit., pp. 24-26. 40. Per la storia del commento a Terenzio usato nelle scuole toscane e tutta la bi­ bliografia precedente Villa, La "lectura Terentii'; cit., pp. 1 48-51; per il commento usato da Paolo, Ead., Due schede per editus, in « IMU », a. XXXI 1988, pp. 399-402; ancora P.O. Kristeller, Umanesimo e scolastica a Padovafino al Petrarca, in « Medioevo », a. XI 1985, p. 3 n. 9, ha osservato che il commento di Giovanni del Virgilio a Ovidio presuppone 492

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Cioè, sembra di poter concludere che i modi collaudati di leggere e commentare i classici, gli aspetti stessi della loro ricezione non ebbero vistose variazioni fra Due e primo Quattrocento e che lun­ go il corso del Trecento la scuola continuò silenziosamente a pro­ porre autori e testi secondo le stesse tipologie di lettura; e bisogna entrare ben dentro il Quattrocento per trovare mutamenti signifì­ cativi.41 Queste letture furono soprattutto normative: e lo può confermare, nei commenti, l'ampio spazio accordato alla discus­ sione sul problema degli stili e dei generi letterari ad essi collegati, secondo una visione della letteratura articolata in classificazioni stilistiche, che si mantenne inalterata per tutta l'età gotica. Un con­ vincente esempio ci è fornito dalla vita di Ovidio conservata nel Liber Catonianus ora Vat. lat. 1479 (sec. XIV) che espressamente con­ templa, fra gli aspetti della utilitas, la regola del comporre: Utilitas duplex est: . . . alia est quod libro lecto et cognitione illius habita, constructio­ nem componere sciamus et rerum proportionem plurium cognoscere valeamus.42

La compositio verborum, come categoria di lettura, è per esempio sot­ tolineata in un commento alle Heroides di Ovidio: . . . in hoc libro . . . intendit delectare . . . scilicet per Jabulas et pulchras verborum compositiones . . .43

La continuità della scuola, la trasmissione dei metodi - già cosi sentita nel sec. X da Gautberto, quando alle genealogie bibliche quello di Giovanni di Garlandia, mentre quello di Bartolino da Benincasa dipende dall' « Alanus � che, aggiungo, è ancora usato da Sozomeno da Pistoia nel codice Bri­ tish Lib. Harl. 6324. 41. Interessanti osservazioni sulla persistenza della letteratura del Duecento, so­ prattutto di Orfìno da Lodi, Brunetto, Guido Faba e le influenze sulla concezione dello Stato nel Trecento sono in Q. Skinner, Ambrogio Lorenzetti: the Artist as Politica/ Philosopher, in « PBA », a. LXXII 1 986, pp. 1-56. 42· B. Nogara, Di alcune vite e commenti medievali di Ovidio, in Miscellanea Ceriani, Mi­ lano, U. Hoepli, 1910, p. 428: « Il vantaggio è doppio . . . poiché, letto e analizzato il li­ bro, sappiamo comporre la struttura del periodo e siamo capaci di conoscere la pro­ porzione di piu cose ». 43· E. Jeauneau, Berkeley, University ofCalifornia, Bancrojt Library ms. 2 (Notes de Lectu­ re), in « MS », a. L 1988, p. 426. « In questo libro si propone di divertire . . . appunto con le favole e con l'elegante disposizione dei vocaboli ».

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sostituisce le generazioni accademiche, che a noi soprattutto pia­ cerebbe arrivare a ricostituire - dovrebbe spingere a indagare in questa direzione cosi da poter fissare il momento e i luoghi in cui l' innovazione, premendo dove il sistema è piu debole, obbliga a escludere certi autori, ne impone altri e, con successivi aggiusta­ menti, determina modifiche nel canone dei modelli e nella siste­ mazione dei programmi.44

3 · TRA GRAMMATICA E

RETORICA

La presenza degli oggetti nulla dice sul valore della loro fruizio­ ne, cioè su quel piu complesso momento che importa il loro utiliz­ zo creativo, e dunque non definisce il ruolo che hanno avuto nella elaborazione delle opere letterarie e nemmeno, in senso piu lato, nelle singole esperienze culturali. Sulla produzione del sec.

XIII,

pur limitatamente alla Francia, pesa l' impressionante giudizio di P. Zumthor, che fondamentalmente concorda con il congedo del De Ghellinck alla fine del suo

Essor: 45

e che nel sistema scolastico

francese si sia prodotta una certa atonia sembra di poter ammette­ re, almeno allo stato attuale delle nostre conoscenze. Peraltro, quando lo studio è applicato alla ricezione dei classici, si possono raccogliere elementi di un certo peso: come nello studio di S.

Viarre che ha indagato in che misura l' Ovidio delle Metamorfosi in­ fluenzi alcune dottrine cosmologiche e non tanto i grandi maestri, re­

lativamente autonomi e originali, quanto i trattatisti di media cultura, che citano con passiva deferenza e piu facilmente sono portati a ripe­ tere e ricuperare dottrine già garantite

da una autorità illustre.46

44. Per importanti osservazioni sui modelli e soprattutto sul canone degli auctores concepito « come una acquisizione graduale aperta a incrementi e contraddizioni » : F. Bruni, Modelli in contrasto e modelli settoriali nella cultura medievale, in « Strumenti critici », a. XLI 1980, pp. I-59· La Diadochè di Gautberto in W. Berschin, Griechisch-Lateinisches Mittelalter, Bem-Mtinchen, Francke Verlag, 1980, p. r6o (ed. it. Napoli, Liguori, 1989). 45. P. Zumthor, Histoire littéraire de la France médiévale, Paris, P.U.F., 1954, p. 230: « Tout ce que produit le XIIIe s., dans l' ordre litteraire camme dans celui de la pensée vient du XIIe »; De Ghellinck, L'éssor de la littérature latine, cit., pp. 544-45. 46. S. Viarre, La survie d'Ovide dans la littérature scientiflque des XIJe et XIJJe siècles, Poi­ tiers, Université de Poitiers, 1966.

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Ma soprattutto all' Italia bisogna guardare perché qui - all'inter­ no di una stessa classe sociale - il formidabile sviluppo del notaria­ to ci costringe a disegnare la mappa delle ripulse e delle scelte pro­ poste da questa categoria di nuovi ricchi intellettuali: ed è stato sottolineato che questi intellettuali non solo sono attivi nella for­ mazione di biblioteche ma perfino nella produzione letteraria si sostituiscono ai giullari e ai poeti di mestiere, pur subendone le in­ fluenze.47 In Italia, in quel secolo, sembra gonfiarsi una tradizione di studi di retorica, alla quale ha guardato con particolare attenzione il Kri­ steller: 48 e la frattura - che, sospetto, non si colloca, cronologica­ mente, fra un prima e un dopo, in un punto che sempre può essere spostato, ma piuttosto, verticalmente, fra gruppi politici - bisogna forse andarla a cercare ben dentro il sec. XIII nei decenni cruciali fra 1230 e 1250, quando - aprendosi partite decisive mentre si impo­ ne la prima esperienza in volgare - i notai e i giuristi, costretti in politica a scelte radicali, sembrano aver trasferito le loro ripulse an­ che sul piano letterario: dovremo cioè parlare di un tentativo di ri47· Alessio, Le istituzioni scolastiche, cit., p. 18; R.Antonelli-S. Bianchini, Classi e collo­ cazione sociale dei letterati, in AAYV., Letteratura italiana, dir. da A. Asor Rosa, n, Produ­ zione e consumo, Torino, Einaudi, 1983, pp. 182-83. 48. P.O. Kristeller, La tradizione classica nel pensiero del Rinascimento, trad. it., Firenze, La Nuova Italia, 1965, p. 128, e J. Seigel, Rhetoric and Philosophy in Renaissance Humanism, Princeton, Univ. Press, 1968, p. 212: l'osservazione ripetuta che l'epistolario di Pier della Vigna circola con quello del Salutati e di Pellegrino Zambeccari, che ne imitano lo stile, induce a meditare sulle funzioni politiche e letterarie del modello proposto dalla Magna Curia e riconosciuto dagli umanisti; e vorrei aggiungere che il desiderio di risalire alle origini di un genere letterario e di costituire serie storicamente indivi­ duate, sembra confermato dall'osservazione che testi di provenienza federiciana si trovano affiancati alle lettere di Dante in un celebre Zibaldone del Boccaccio, il Lau­ renziano xxrx 8 dove la Satira di Pier della Vigna segue una epistola di Federico II e la lettera di Dante ai Cardinali italiani; per la composizione di questo codice, che tra­ manda anche gli incunaboli della poesia bucolica, cioè la corrispondenza fra Dante e Giovanni del Virgilio: Lo Zibaldone boccaccesco Mediceo Laurenziano plut. XXIX. 8 ri­ prodotto in facsimile a cura della Bibl. Mediceo Laurenziana, con prefaz. di G. Biagi, Fi­ renze, L.S. Olschki, 1915. Per l'ulteriore fortuna di Piero cfr. S.K. Wertis, The Com­ mentary ojBartolinus de Benincasa de Canulo ojthe 'Rhetorica ad Herennium', in « Viator �. a. x 1979, pp. 283-310; la fortuna inglese di Pier della Vigna è illustrata da E. Kantoro­ wicz, Prologus to Fleta and the School ofPetrus de Vinea, in « Speculum �. a. xxu 1957, pp. 241-48.

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sposta guelfa alla grandezza culturale ghibellina impersonata dai funzionari della Magna Curia. Nella prima metà del Duecento - piu precisamente, nel quarto e nel quinto decennio -, autori famosissimi, non tanto nelle nostre storie letterarie quanto nel gusto dei pubblici che ne decretarono il successo fino all'età della stampa, sono infatti il ghibellino Pier della Vigna e il guelfo settentrionale Albertano da Brescia: e sui progetti culturali di questi due coetanei, forse educati nella stessa scuola bolognese e in ogni caso attivi proprio in quel decisivo ven­ tennio, possiamo tentare qualche considerazione. Imponendosi come il piu raffinato dettatore della sua genera­ zione, Pier della Vigna sembra aver praticato fino ai limiti estremi quelle virrn stilistiche che in lui sembrano veramente - per usare una locuzione del mauvais maitre, ormai ricuperata alla nostra at­ tenzione - voglie vitali: 49 e la sua grandezza ci appare appena sfio­ rata dalla durissima valutazione di Toffanin che si espose in giudizi totali « frugando nel borboglio » per quel secolo. 50 Piero gioca con estrema sottigliezza, esibendosi nella strenua sperimentazione di ogni forma di tropo - che è poi volontà di per­ correre e di usare tutto il catalogo delle figure di parola - e per il tramite del latino anche il volgare si impadronisce di questo gusto esasperato: 5 1 e si tratta naturalmente di una esperienza complessa per quanto di sperimentale c'è nel tentativo di trasferire in un ser­ mo che è volgare sia linguisticamente che stilisticamente - mentre 49· Quella forma tumida che offrirà a Pier della Vigna il mezzo di segnalarsi fra tutti i dettatori, non dispiacque a Dante, come nota F. Torraca, Maestro Terrisio d'Atina, in « Archivio storico per le provincie napoletane », a. xxxvi 1911, pp. 231-s3 (=Aneddoti di storia letteraria napoletana, Città di Castello, Il solco ed., 192S, pp. 3S-S9); aspetti del ghibellinismo di Dante sono sottolineati in V. Cian, Una satira dantesca prima di Dante, nei suoi Scritti minori, n, Torino, G. Gambino, 1936, pp. 4 7-71. Il rapporto di Dante con il testo di Pier della Vigna o, piii realisticamente, con un codice miscellaneo contenente scritti della Magna Curia, già oggetto di ricerca, è ora riproposto da G. Gorni, Notizie su Dante, Andrea Lancia e l'Ovidio volgare, in « SM », ser. m, a. xxix 1988, pp. 768-69. so. Toffanin, Il secolo senza Roma, cit., pp. 16s e 169. SI. P. Dronke, La lirica d'amore in latino nel secolo XIII, in Aspetti della letteratura, cit., pp. S2-SS; P. Zumthor, L"'inventio"dans la poésiefrançaise archaique, Groningue,J.B. Wol­ ters, 19S2, p. 7, ha invece osservato che nei testi piii arcaici (come l'Eulalia) si manife­ sta ancora uno scarto significativo rispetto all'alto numero di figure retoriche in la­ tino.

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la dottrina scolastica riconosce che l'esperienza amorosa pertiene al comico - 52 il linguaggio tragico e alto della prosa latina. In un ambiente che occulta abilmente e mai denuncia le riprese classi­ che (valga per esempio l' antiqua materdi Aen. m 96 applicata in ma­ niera pertinente a Napoli, centro di studi) Pier della Vigna percor­ re una linea non classica, perché aperta alle piu molteplici solleci­ tazioni, condivisa da tutta la Magna Curia; koinè spesso indefinibi­ le di prosatori e poeti in latino e in volgare dove altri praticano le stesse esperienze, in una ripetuta circolazione di varianti sullo stes­ so modello di metafore e figure, lucidamente isolato e ricomposto da Dante nel canto famoso di Pier della Vigna: che impiega come mittente ciò che aveva udito come destinatario; infatti - secondo quanto ci ha avviato a intendere il Parodi - il punto della coinci­ denza nel nome con l'apostolo che tiene le chiavi, è in Nicola della Rocca. 53 La linea ghibellina di questa società letteraria - poi detta scuola per la sua capacità di imporsi a sua volta come modello - e di cui Piero sembra essere il supremo rappresentante, è ben me­ more di tutta l'esperienza francese del secolo precedente, sia latina che volgare: Piero stesso riecheggia, nel tema anticlericale, la satira di Ugo Primate: « Iniuriis

contumeliisque concitatus iam diu concepi dolore nimium »,

anche formalmente ripresa nel suo attacco contro gli ordini men­ dicanti: Vehementi nimium commotus dolore, Sermonem aggrediorfuribondi more,

e adotta le sentenze del popolare Pamphilus; mentre la corte tradu­ ce e accetta, sia pur entro significativi limiti, i poeti provenzali.54 52. Per il passo di Servio, che isola il libro IV dell'Eneide come liber comicus in quan­ to tratta di amori cfr. Villa, La 'lectura Terentii', cit., p. 41. 53· E.G. Parodi, Lingua e letteratura. Studi di teoria linguistica e di storia dell'italiano anti­ co, a cura di G. Folena, n, Venezia, Neri Pozza, 1957, pp. 349-50; per Nicola della Rocca: K. Pivec, Der Diktator Nicolaus de Rocca: zur Geschichte der Sprachscule von Capua, in « lnnsbrucker Beitrage zur Kulturwissenscha:fi: �. a. I 1953, pp. 135-52. 54· La satira di Ugo Primate è pubblicata da W. Meyer, Die OxjorderGedichte des Pri-

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Meglio potremmo operare se arrivassimo a costituire serie ben definite; e quindi, confrontando le opere letterarie con parametri esterni, riconoscessimo i libri di cui questi letterati, in una corte sempre in movimento, si nutrivano. Purtroppo poco sappiamo della loro attività di lettori e i testi copiati in beneventana nel sec. XIII non aiutano a ricostruire i caratteri dei depositi librari del sud e dell'area scrittoria di Montecassino; fra i codici perduti scritti alla corte è stata riconosciuta, per il colofone riprodotto da un gruppo di manoscritti, soltanto una traduzione di Avicenna; insieme può essere ricordato il codice Madrid, Bibl. Nacional 19 - forse di area cassine se - con gli Aratea di Cicerone, per l'influenza sull'opera dell'astrologo Michele Scoto; e finalmente potrebbe essere stata adoperata in un ambiente di cultura cortese la collezione di testi dialettici del Vaticano Ottob. lat. 1406: dove, a f. 44r, una curiosa il­ lustrazione presenta un personaggio con falcone vicino all' affre­ sco di Atri e alle illustrazioni del De arte venandi eum avibus di Fede­ rico n. ss mas, in « Nachrichten der K. Gesellschaft der Wissenschaften zu Gottingen », phil. hist. Klasse, 1907, p. 29 n. 16. La satira di Pier della Vigna, già pubblicata dallo Huillard­ Breholles, Paris 1865 (=Aalen, Scientia Verlag, 1966) è stata poi ristampata con le inte­ grazioni che ne restituiscono tutte le quartine da L. Castets, Prose latine attribuée à Pierre de la Vigne, in « RLRom »,a. xxxm 1888 (ho visto l'estratto, Montpellien889); un testo latino dove ogni periodo si chiude con un verso tratto da Ovidio o dal Pamphilus o da altri poemi latini è commentato da G. Bertoni, Una lettera amatoria di Pier della Vigna, in Poesie, leggende e costumanze del Medio Evo, Modena, V. Orlandini, 1927, pp. 63-76 su cui anche Dronke, La lirica d'amore, cit., p. 55; per la cultura in generale: A. Destefano, La cultura alla corte di Federico II imperatore, Bologna, Zanichelli, 19502. Per il rapporto con la cultura provenzale e un'ipotesi sulla linea lungo la quale è corso un canzoniere: A. Roncaglia, Le corti medievali, in AAYV., Letteratura italiana, cit., 1, Il letterato e le istituzio­ ni, Torino, Einaudi, 1982, pp. 142-43; rapporti e dipendenze della scultura federiciana da modelli francesi sono evidenziati da F. Bologna, Ipittori alla corte angioina di Napoli. 1266-1414 e un riesame dell'artefedericiana, Roma, U. Bozzi, 1969, p. 32. Importanti osser­ vazioni sulla selezione operata nella magna Curia, dove vengono proposti soltanto al­ cuni temi dei provenzali mentre la scuola siciliana non pratica il genere della poesia politica, si trovano nella relazione di F. Bruni, Provocazioni sulla politica culturale di Fede­ rico II, in Nel segno di Federico II. Atti del IV Convegno internazionale di Studi della fondazio­ ne Napoli Novantanove, Napoli 1989, pp. 93-109. 55. A. Petrucci, Le biblioteche antiche, in AAYV., Letteratura italiana, cit., n, pp. 532-33, ricorda le testimonianze dei contemporanei sulla grande biblioteca di Federico II; per l'Avicenna M.T. D'Alverny, Avicenna latinus, in « AHDLMA », a. XLII 1967, p. 343; per il codice di Madrid studiato da M. Reeve, Texts and Transmission, cit., p. 21. L'illu-

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La cultura ghibellina pratica la retorica ad oltranza: e una retori­ ca entro la quale le parole, scollate dalla realtà, sono pronte alle coincidenze estreme e piu spericolate; scelte perché capaci di rin­ viare ad altre parole con la sola forza dei parallelismi fonici, si cari­ cano di un loro valore antologico, e appaiono perfette in quei raffi­ nati esercizi, in quelle geniali applicazioni sul nulla che sono, an­ che dal punto di vista del contenuto, gli epistolari artificiali offerti come modelli. 56 La retorica, che già la scuola bolognese, con Bon­ compagno da Signa aveva giudicato la regina delle scienze, è mas­ simamente esaltata: Pier della Vigna ne risponde a Nicola della Rocca trasferendo una immagine famosa - l'allattamento - che da Boezio, Consol. I 2 2: Tune ille es, ait, qui nostro quondam lacte nutritus nostris educatus alimentis in viri­ lis animi robor evaseras?

sembra arrivare proprio per suo tramite: Inter tot excelsa virorum ingenia quos in aula Cesarea Jecunda rhetoricae diutius ubera lactaverunt 57

fino a Dante, Purg. xxn 102: che le Muse

lattar piu

ch' altri mai

e con una serie di significativi spostamenti: perché, mantenuta la scelta paradigmatica, la filosofia nutrice di Boezio è sostituita dalla strazione del Vat. Ottob. lat. 1406 in C. Villa, Iprogrammi scolastici, in AAYV., Dall'ere­ mo al cenobio, Milano, Scheiwiller, 1987, tav. 128 e, per un confronto di immagini, Bolo­ gna, Ipittori alla corte angioina di Napoli, cit., tavv. r, 28, 34, 36, 41. Piu tardi, sul finire del Duecento, un interessante caso di letterati meridionali che in Pisa lasciano in eredità grosse biblioteche è quello illustrato da N. Caturegli, Due biblioteche private in Pisa alla fine del sec. XIII, in « BSPis », ser. III, a. xxiv-xxv 1955-56, pp. 22-90. s6. C.H. Haskins, Latin Literature underFrederick Il, in « Speculum », a. III 1928, P· 142, fornisce un elenco di argomenti di queste lettere fittizie. 57· « Non sei tu - disse - quello che nutrito del nostro latte e cresciuto con il nostro cibo era approdato alla forza d'animo virile? » ; « Fra i tanti eccelsi ingegni che alla corte di Cesare le feconde mammelle della retorica a lungo allattarono ». La responsi­ va di Piero inJ.L.A. Huillard-Breholles, Vie et correspondance de Pierre de la Vigne, Paris r86S, p. 372; per la collezione di lettere di Pietro: H.M. Schaller, Zur Entsstehung der so­ gennannten Briifsammlung des Petrus de Vinea, in « DA », a. xn 1956, pp. II4-S9·

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retorica di Piero e poi dalle Muse di Dante, operando soltanto un avvicendamento di soggetto. Della retorica parlerà ancora con en­ tusiasmo Mino da Colle: Sedet regina diademate coronata virtutum, licteralis dico scientia, inter mechanicas et cuiusque alterius condictionis scientias.58

Di retorica e storia - dunque di una intenzione di lettura che va pure considerata - parla Pietro da Prezza - che fu notaio della cor­ te, prigioniero a Parma, nel 1248, dopo la sconfitta di Vittoria -; e nelle sue lettere dal carcere - stilisticamente assai interessanti per il pregio di una forma che, nei lamenti struggenti, conferisce loro una biblica grandezza - disegna uno splendido esempio del rap­ porto con i classici. In particolare si impongono due epistole (n! 13 e 14), che non mi arrischierei a credere inviate alla stessa persona perché solo nella n? 14 il destinatario è detto Dominus; Pietro dun­ que potrebbe scrivere a due persone diverse di cui una è certo l'abate di un monastero (dell'Italia settentrionale?) chiedendo espressamente alcuni testi che ricorda li conservati (epist. 13) : Ut igitur ab inundacionibus instancium erumpnarum queam distrahere commodius intellectum et mentem meam, curis incurrentibus obicem interponere presertim ali­ cuius recreabilis leccionis vestram discrecionem, cui me totum precordialiter offero in anima, carne, ossibus et medullis ad omne vestrum servicium et honorem, rogo pro­ pensius, quoad possum, quod librum Titi Livii siJorsan habetis eum vel alias histo­ rias Romanorum, quas pro certo comperi vos ha bere, mihi per dies aliquot hilariter commodetis, quod, si posset esse, proptereafiam de vestro vestrior et devocior de devo­ to, dum ex hoc et delectacionis jlosculos colligam et utilitatis aliquos in scienciam Jructus sumam . . . (epist. 14) . . . verum quia nequeo sine gracie vestre subsidio ducere cena m istam, pa­ ternitatem vestram rogo precordialiter, quoad possum, immo precordialius plus quam possim, quatenus Isidorum de synonimis et ethymologiis, Tullium, Senecam quos in vetro monasterio pro certo comperi reperiri vel aliquos eciam libros alios ex illis precipue, qui suis in tractatibus per agros amenos et prata jlorencia delectantis 58. � Siede la regina incoronata con diadema di virtii, la scienza delle lettere, inten­ do, fra le meccaniche e le scienze di ciascun altra sorte »: Politics and culture in medieval Spain and Italy, Roma, Ed. di storia e letteratura, 1971, p. 356; per Mino cfr. ora F. Luzza­ ti Laganà, Un maestro di scuola toscano del Duecento: Mino da Colle di Valdesa, in � BSPis », a. LVIII 1989, pp. 53-82. soo

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rhetorice spaciantur, mihi benigne dignemini commodare pro certo scituri, si essent aurei vel inestimabiliter preciosi iuxta vestrum beneplacitum, salvi fient.59

Questa vicenda è esemplare: perché proprio Boezio prigioniero aveva già imposto un modello letterario famoso, accogliendo pres­ so il suo letto la filosofia, che ne aveva immediatamente cacciato con violenza le sceniche meretricule, cioè le Muse; mentre Pietro vuole accanto a sé la sola retorica e con lei gli storici consolatori al­ la cui opera egli sa applicare quel binomio di delectatio e utilitas che alla scuola medioevale era suggerito da Orazio, Ars poetica ; egli sente che questi autori possono strappare, con il fascino della com­ positio verborum, dalle angustie del carcere - drammaticamente ed efficacemente descritto nella epistola n� 4 inviata a Federico II - e trasportare in quei regni ampi della parola che per un prigioniero sono nondimeno i territori perduti della libertà: per agros amenos et pratajlorentia. Potrebbe essere importante sapere dove mai fossero Livio, le Historie Romanorum, Cicerone, Seneca, Isidoro e gli altri classici; e se accettassimo che i prestiti - in quei tempi di odi feroci -potevano essere chiesti solo a uno che fosse, anche politicamente, amico e che probabilmente i libri dovevano trovarsi in grosse bi­ blioteche che Pietro aveva visto personalmente: pro certo comperi vos ha bere - non cosi lontani da Parma da rendere difficile o disagiata la spedizione: per dies aliquot commodetis - saremmo inevitabilmente 59 · « Per poter piu opportunamente strappare mente e intelletto dallo straripare delle incombenti preoccupazioni e soprattutto per porre l'argine di qualche diverten­ te lettura agli affanni che mi assalgono, prego di cuore, finché posso, la vostra discre­ zione a cui fin dal profondo mi offro in anima carne ossa e midolla, per ogni vostro servizio e onore, perché di buon grado mi imprestiate per alcuni giorni il libro di Tito Livio, se per avventura lo avete, o le altte storie romane che, come so con certezza, voi avete; e se è possibile, diventerò da vostro piu vostro e da devoto piu devoto, mentre da questo raccoglierò i fiori del godimento e radunerò i frutti dell'utilità . . . »; « . e poiché non posso senza il vostro aiuto imbandire questa cena, prego di cuore la pater­ nità vostra, fin dove posso, e perfino piu di cuore di quanto posso, di voler liberalmen­ te imprestarmi Sinonimi e Etimologie di Isidoro, Tullio, Seneca, che so per certo si trovano nel vostro monastero, o anche qualche altro libro, soprattutto di quegli autori che nelle loro opere spaziano nei campi ameni e nei fioriti prati della dilettosa retori­ ca; e sappiate che resteranno intatti, secondo il vostro consenso, come fossero d'oro o di inestimabile valore » : E. Muller, Petervon Prezza, ein Pub/izist derZeit des Interregnums, Heidelberg, Heidelb. Abhand. 37, 1913, p. 134. . . .

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costretti a pensare a un grande centro filo-imperiale dell'Italia set­ tentrionale; in questi limiti, riesco a vedere soltanto la sede dei da Romano, la ghibellina Verona: dove, dieci anni prima, a Pentecoste del 1238, la corte aveva soggiornato a lungo per il matrimonio della figlia dell'imperatore, Selvaggia; e l'anno dopo, il 13 giugno 1239, Pier della Vigna ne aveva bandito i nemici di Ezzelino.60 Qui sa­ rebbe facile indicare che fra la Capitolare e il monastero vallom­ brosano della SS. Trinità - centri, a quanto pare, produttori e perfi­ no esportatori di codici - si trovava proprio ciò che Pietro da Prez­ za voleva nel suo carcere: Livio (Laurenziano 63, 19), la collezione di storici (in un codice, oggi perduto, collegato alla capitolare e in un affine, il Vaticano Palat. lat. 927 della SS. Trinità, con Eutropio, Paolo Diacono, Giustino, Pompeo Trogo e l'Anonimo Valesiano ), Isidoro, Cicerone, Seneca.6 1 In ogni caso, dobbiamo ormai final6o. I documenti che attestano i movimenti della corte a Verona in Historia diploma­ tica Friderid secundi . . ., ed.J.L.A. Huillard-Breholles, v, 1, Parisiis, H. Plon, I8S7, p. 203; v, 2, ibid., p. 1247. È appena il caso di ricordare che Pietro condivide i gusti di quel Gio­ vanni, causidico di Legnano il cui lascito, nel 1247, a S. Giorgio in Braida, comprende­ va le Differentiae di Isidoro e quattro opere di storia: cfr. R. Avesani, Il preumanesimo veronese, in AAYV., Storia della cultura veneta, II, Il Trecento, Vicenza, Neri Pozza, 1976, p. ns. 61. Per il Livio Laurenziano 63, 19: Billanovich, La tradizione del testo di Livio, cit., pp. 241-66 e, per il Pal. lat. 927, un codice ancora usato nel 1223, Id., Tradizione classica e cul­ tura letteraria. I testi storici, in AAYV, Dall'eremo al cenobio, cit., p. 284; descritto in Pelle­ grin, Catalogue, cit. II, 2, pp. 90-91: è opportuno ricordare, fra le addizioni finali - forse indotte dagli interessi suscitati da una Crociata? -, una breve guida dei luoghi santi e il Carm. Buran. s o - di cui è nota solo un'altra copia - collegati dallo stesso argomento. Wieruszowski, Politics, cit., p. 609, suppone che con l'ambiguo « historie Romano­ rum � Pietro da Prezza potesse alludere al poema di Lucano che altrove dimostra di conoscere; poiché non risulta che la Farsaglia sia stata mai indicata in questo modo, sa­ rei piu propensa a pensare a una collezione in prosa in cui non era esattamente indica­ to il nome dell'autore; nel lascito di Giovanni da Legnano una formula coincidente, « ystoria romana �. registra l'opera di Giordane, conservata anche nel Pal. lat. 927: C. Cipolla, La biblioteca di un causidico veronese del sec. XIII, in « AV», a. xxvi 1883,pp. 169-71. Nel tentativo di capire che cosa si potesse indicare con « Historie romane » è rischioso ma non assurdo ricordare che la Capitolare possedeva anche le Vitae diversorum princi­ pum et tyrannorum a divo Hadriano usque ad Numerianum, cioè l' Historia Augusta ora Palat. lat. 899: Pellegrin, Catalogue, cit., II, 2, pp. 7S-76; per sapere quali opere di Cicerone o di Seneca fossero reperibili a Verona è sufficiente ricorrere al Florilegista del 1329: R. Sabbadini, Le scoperte dei codici latini e greci nei secoli XIV e XV. Nuove ricerche, Firenze, Sansoni, 1914, pp. 94-9s; per la tradizione veronese di Isidoro: J. Fontaine, La diffusion de l'oeuvre d'Isidore de Séville dans /es scriptoria helvétiques du haut Moyen Age, in « Revue 502

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mente accettare che gli alti funzionari della Magna Curia visitava­ no i vecchi depositi di libri e soprattutto li leggevano: per diletto e specialmente per utilità, se ora si dimostra quanta importanza ab­ bia avuto, nella riflessione di Pietro da Prezza, l'idea del principe che acquista il dominio con la propria forza e non con l'autorità. Il concetto, espresso nella lettera scritta dopo la morte di Federico II e poi nel manifesto di Manfredi ai Romani, del 1265, è sostenuto con l'appropriato richiamo a Giulio Cesare, esempio di rivendica­ zione del potere, tratto evidentemente da una delle fonti storiche classiche che Pietro da Prezza aveva ricercato.62 Il protonotario continuò poi a ricordare gli storici dell'Impero romano - che lo avevano consolato in carcere - e citò dalla I Deca­ de di Livio in una circostanza ancora piu drammatica e perciò alta­ mente significativa, quando ormai era esule e la tragedia della casa di Svevia (e dell'Impero in cui lui stesso aveva creduto) si era total­ mente compiuta con la morte di Corradino. La massima esaltazio­ ne della retorica e della sua funzione nella storia si trova infatti nel­ la Adhortatio, ancora tutta piena di furori ghibellini e del rimpianto cocentissimo per il ragazzo - al quale aveva dedicato uno Speculum, stendendo poi il manifesto del 1267 -: Accipiatis gratanter igitur, o modernorum universitas hominum! o posteritas succes­ sura!praesens opusculum, quod Petrus de Pretio, quamvisJacundis verbis non condi­ tum etJoecundis sententiis non conditum, quamvis nervis et annis debile, quamvis aridum et exangue compegi, qui meam insu.fficentiam recognoscens non reor operae pretium peregisse, quod haec pagina rudis altis auctorum tractatibus temere com­ paretur qui grandiloque Rhetorica diva partes in eius agone solemnibus exercitiis militantes, sublimia gesta principum et praesignes historia veterum aureis schemati-

suisse d'histoire », a. xn 1962, p. 315. Anche se il catalogo di Pomposa {sec. XI) esibisce al n. 35 « Orosio, Eutropio, Paolo Diacono » e al n. 6o « Livio », pare poi piu difficile pensare a questo monastero già in decadenza come a un possibile destinatario della lettera. Finalmente è interessante registrare il tecnicismo del verbo commodare in do­ cumenti bolognesi del sec. XIII: L. Gargan, Libri, librerie e biblioteche nelle Università ita­ liane del Due e Trecento, in Luoghi e metodi di insegnamento nell'Italia medioevale, a cura di L. Gargan-O. Limone, Galatina, Congedo editore, 1989, pp. 233-34. 62. Per l'importanza del tema nella pubblicistica sveva: Kloos, Alessandro Magno e Federico II di Svevia, in Atti del convegno di studi su Federico II,jesi, 28-29 maggio 1966,]esi, Biblioteca Comunale, 1976, pp. 83-106. 5 03

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bus texuerunt ornatibus et colorum purpureisfioribus depinxere, quibus revera sol­ vere calciamentorum corrigiam non est digna non ut impetret acus modica magnos intervomeres etfragmenta cetera numerari dignitatum, sed quod eis maioribus devo­ ta pedissequa subiectione qualibet ancilletur . . .

dove l'allusivo richiamo agli alti auctores è chiarito da una locuzio­ ne predicativa che fornisce un riferimento cogente nel farci ricu­ perare l' auctor a cui Pietro sta implicitamente pensando; li riaffìora certamente la memoria incipitaria del famoso: Facturusne operae pretium sim si a primordio urbis res populi Romani perscripserim (Livio, I 1) , forse anche scelto perché caricato, secondo un gusto che è tipico della Magna Curia, con un peso « prezioso », nel nome dell'auto­ re; 63 costretto dalla sua professione di umiltà il vecchio notaio ap­ plica addirittura al suo stile due categorie che definiscono i vitia dello stile basso: aridum et exangue (Rhet. ad Her. IV 16 20). Persino nella linea istituita da Enrico d'Isernia, lungo la quale Pier della Vigna si colloca dopo Virgilio, Orazio e gli uomini di Cassiodoro, è evidente il primato riconosciuto all'eloquenza: 63. M. Petri de Pretio Vice Cancellarii Conradi IVRegis Romanorum et Sici/iae Adhortatio ad Henricum illustrem Landgravium Thuringiae . . . , ed. J.H. Schminckius, Lugduni Bata­ vorum, 1745, p. 4; il testo è ristampato e tradotto in G. Del Re, Cronisti e scrittori sincroni napoletani editi e inediti, ordinati per serie, II, Napoli 1866, p. 689: « Accogliete dunque con lieto annuncio, o uomini presenti, e voi che siete a venire, questa operetta che io Pie­ tro de Pretio ho composta quantunque non adorna di eloquenti parole né condita di feconde sentenze, quantunque per la mia grave età priva di nervi e arida e esangue. Il quale conoscendo la mia insufficienza non pensomi di aver fatto cosa di tal pregio che queste incolte pagine possano arditamente venir in paragone colle scritture di grandi autori, i quali sperimentati nell'agone de' solenni esercizi della divina retorica, hanno narrato con gran magniloquenza le sublimi geste de' Principi e dipinto stupende isto­ rie di antichi fatti con aurei ornamenti e con colori di purpurei fiori a cui questa non è veramente degna che si sciolga le corregge delle scarpe né che un picciolo aculeo venga annoverato tra grandi vomeri e i resti delle altre piii degne opere, ma siccome devota ancella, venga dietro devotamente a que' piii grandi »; per le vicende tarde di Pietro da Prezza, notaio a Praga degli ultimi Staufer: H.M. Schaller, ZurEntsstehung der sogenannten Briqsammlung des Petrus de Vinea, in « DA », a. XII 1956, 149; importante lo studio di R.M. Kloos, Petrus de Prece und Konradin, in « QFIAB », a. xxiv 1954, pp. 88-108 e, per una analisi retorica della Adhortatio in confronto con il manifesto di Corradino: P.K. Hampe, Geschichte Konradins von Hohenstaufer, Leipzig, K.F. Koehler Verlag, 1942, pp. 346-50; per l'uso della locuzione « opere pretium » nelle arenghe: F. Hausmann-A. Gawlik, Arengenverzeichnis zu den Konigs und Kaiserurkunden von den Merowingern bis Hei­ richs VI, Miinchen, MGH Hilfsmittel 9, 1987, s.v.

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Si enim antique resolvantur historie, si reverenda canicies in testimonium adducatur, invenietur utique quod ille Mecenas egregius regalisprosapie stemate derivatus apud julium Cesarem orbis orbite domitorem, qui suis deiectus erat possessionibus et hu­ militate plebeie condicionis obiectus,favorabiliterpromovit Virgilium, Mevio recla­ mante, et Oracio quem servilis vilitas demittebat ut in imperialem veniret noticiam auxiliaris suffragium dextere porrexit. Invenitur eciam, quod Cassiodorus, eloquen­ cie purpuratus scematibus et alte renitensfascibus dignitatis, Theodorici regis in tem­ pore, cum iam translatum esset in Greciam imperium Romanum, multos ad ipso­ rum preces exemit de pulvere et insignivit presignibus dignitatum. Si autem ad etatis moderne tempora nostre mentis aciem convertemus, inveniemus equidem, quod ma­ gistrum Petrum de Vinea exilibus parentibus editum etfama reconditum suboscura ad ipsius Petri postulacionem Panormitanus archiepiscopus aput imperatorem pro­ moverit Fridericum eumque splendore dari nominis titularit.64

Se la cultura ghibellina, nella sua estrema attenzione per i valori formali, compone - addirittura in carcere, nell'esilio e nella morte - modelli di parole - e Dante ne resterà tanto affascinato da voler gareggiare con essa -, altra è l'esperienza suggerita e silenziosa­ mente praticata nell'Italia settentrionale del causidico Albertano, uno dei piu famosi autori europei del sec. XIII. Il progetto che presenta, lui guelfo e ai ghibellini violentemente ostile, prigionie­ ro in quella Cremona dove nello stesso decennio si sarebbe esauri­ ta la vicenda di Pier della Vigna, e probabilmente educato sugli 64. « Se infatti si aprono le antiche storie, se sono chiamate a testimoni le reveren­ de canizie, si apprende soprattutto che quel celebre Mecenate, nato da un tronco di stirpe reale, innalzò con successo presso Giulio Cesare, trionfatore dell' orbe, Virgilio, cacciato dai suoi terreni e esposto all'avvilimento di una condizione plebea, nono­ stante le proteste di Mevio; e porse ad Orazio, depresso dalla condizione servile, l'aiuto della destra soccorrevole, perché fosse conosciuto dall'imperatore. Appren­ diamo anche che Cassiodoro, porporato dalle figure dell'eloquenza e risplendente per le cariche onorifiche, al tempo del re Teodorico, quando già l'impero romano era stato trasferito in Grecia, sottrasse molti, per loro preghiera, alla polvere e li insigni di dignità. Se invece volgiamo lo sguardo della nostra mente al tempo della nostra età, troviamo che l'arcivescovo di Palermo presentò all'imperatore Federico, Pier della Vigna, "magister", nato da povera famiglia e per nulla noto, su sua richiesta, e lo deno­ minò con lo splendore di un nome illustre . . . •: K. Hampe, Beitriige zur Geschichte der letzten Staufer. Ungedruckte Briefe aus der Sammlung des Magister Heinrich v. Isernia, Lipsia, Quelle und Meyer, 1910, p. 124; Enrico d'Isernia usa Cicerone, Virgilio, Ovidio e Se­ neca: cfr. H.M. Schaller, Die Kanzlei Kaiser Friedrichs II: Ihr Personal und ihr Sprachstil, in « AD •, a. IV 1958, p. 288; un rapido profilo biografico nella voce di M. Polìvka, in Lexi­ kon des Mittelalters, Miinchen-Ziirich, Artemis Verlag, IV, 1989, p. 2138. 5 05

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stessi libri,65 è quello di una parola ricuperata nel suo valore etico, quello di una via di grammatica che nei classici trova il suo piu si­ curo fondamento. Non a caso, Albertano inizia la sua carriera let­ teraria in prigione e proprio nel suo libro del carcere val subito la pena di raccogliere una definizione delle arti liberali: Artes serviunt nature: sapientia imperat. Licet enim liberales artes non dent virtutes: sed preparant animum ad recipiendam virtutem, costruita sommando due passi di Seneca, epist. 85 312 e 88 20, che subito possiamo collaziona­ re con una referenza esterna, cogliendo l'autore nel momento stesso della sua elaborazione: infatti nel Seneca Queriniano B n 6, ( 98raveva posto in forte rilievo il primo passo direttamente ricor­ rendo a un disegno mnemonico (una nave); mentre il secondo (f. ms v) : Liberales artes non perducunt animum ad virtutem sed expediunt cominciava ad apparire nella forma assunta poi dal trattato perché su expediunt si trova la glossa trivializzante preparant.66 La sua posizione antiretorica è anche confermata dalla diminu­ zione di registro e dalla scelta di uno stile basso, o, meglio, di un non stile - tanto è privo di oltranze espressive -, che sembra inten­ zionalmente contrapporsi allo splendido manierismo ghibellino; questa sua scrittura senza virru (retoriche) non offre distrazioni e non si adatta a letture stilistiche, inibendosi qualsiasi scarto: il let­ tore è costretto a badare solo alle auctoritates, legate fra di loro in pa­ ratassi, da quella monotona serie di et, nam, tam, sicut ait; qui la scel65. Importanti osservazioni sugli autori latini del sec. XII, noti contemporanea­ mente a Pier della Vigna e ad Albertano da Brescia in H. Niese, Zur Geschichte desgeisti­ gen Lebens am Hofe Kaiser Friedrichs II, in « HZ », a. cvm 1912, pp. 519-20. 66. « le arti servono la natura; domina la sapienza. Sebbene le arti liberali non dia­ no le virru, preparano l'anima ad accogliere la virru »: Liber de amore et dilectione Dei, Cuneis 1507, f. 54 v. Ho presentato gli autografi di Albertano in C. Villa, La tradizione delle !4d Lucilium' e la cultura di Brescia dall'età carolingia ad Albertano, in « IMU », a. xn 1969, pp. 9-51. L'interesse per Albertano si è fatto maggiore in questi ultimi anni; alle voci di M. Pastore Stocchi in Dizionario critico della letteratura italiana, 1, Torino, UTET, 19862, pp. 6-9; G. Silagi, in Lexikon, cit., 1, pp. 290-91, si può aggiungere G.G. Meersse­ man, Ordofraternitatis. Confraternite e pietà dei laici nel Medioevo, Roma, Herder editrice e libreria, 1977, pp. 1278-89, con importanti osservazioni sul metodo di lavoro del causi­ dico; G. Petti, L'insegnamento nella Liguria medioevale, Genova, Tilgher, 1979, p. 55; E. Ar­ tifoni, Ipodestà professionali e lafondazione retorica della politica comunale, in « Stud stor », a. xxi 1986, pp. 702-4; e soprattutto C. Casagrande-S. Vecchio, Ipeccati della lingua, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1987. 506

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ta della grammatica ci appare veramente un valore diverso, in op­ posizione ad una retorica in cui la parola, disgiunta dal reale, era oltraggiosamente aperta alle avventure piu arrischiate.67 Nel con­ fronto con il senno humilis di Albertano, il latino della Magna Curia sorprende prima di tutto per la mancanza di citazioni bibliche o classiche, in una lingua orgogliosamente autonoma e cosi perfetta­ mente dominata da non aver bisogno di sostegni; neppure quelli di modelli operanti implicitamente, come già aveva espressamente av­ vertito lo Haskins, sottolineando quanto Piero non sia ciceroniano.68 I trattati di Albertano richiamano il testo fortunatissimo di In­ nocenza III: quel De miseria humane condicionis che conosce un suc­ cesso strepitoso per due secoli; ma la ricerca del bresciano si arric­ chisce di piu sottili implicazioni con il mondo antico. Misurando la sua opera con un riscontro esterno cosi preciso da poter formare una serie, cogliendolo nel momento del suo lavoro e durante una elaborazione che non è né spregevole né casuale, possiamo verifi­ care quanto i trattati - dove l'autore si annulla nelle sue citazioni siano stati costruiti con un minuto lavoro di rilettura di testi, so­ prattutto delle Ad Lucilium di Seneca: e il senso dell'operazione è duplice perché Albertano scegliendo, in un'epoca di trionfante ars dictandi e di nuovi modelli - come l'epistolario di Pier della Vi­ gna -, un epistolario classico, non suggerito dalla scuola, privo di commento e dunque di non facile lettura, sembra indicare una via di grammatica dichiaratamente selciata di tessere classiciste; le po­ stille al Seneca sono gli appunti privati di uno studioso che preoccupato dalla responsabilità della parola - ne legge il valore etico senza concessioni alla compositio verborum.69 Sembra di poter dare questo senso alle incursioni di Albertano 67- I migliori rilievi sullo stile di Albertano sono nella recensione di G. Folena, a Albertanus, Sermones quattuor, ed. M. Ferrari, Lonato 1955, in « Rassegna critica della letteratura italiana », a. ux 1955, pp. 544-45· 68. Haskins, Latin literature, cit., p. 510; e per lo stile anche H.M. Schaller, Die Kanz­ lei Kaiser Friedrichs II, cit., p. 28769. Una osservazione sulla necessità di distinguere grammatica e retorica nella se­ conda metà del Duecento in R. Witt, Medieval ''llrs Dictaminis" and the Beginnings ojHu­ manisme: a New Constrnction of the Problem, in « RenQ », a. xxxv 1982, pp. 1-36. 507

G IAN CARLO ALE S S I O - C LAUDIA VILLA

nella biblioteca della sua città: e l'udienza che gli venne accordata, la ripercussione dei suoi sermoni nell'ambiente dei Francescani, ripetono quanto il pubblico guelfo, che non voleva riconoscersi nella retorica ghibellina, sapesse esattamente apprezzare questa sua soluzione. È in questo mondo politicamente definito che in qualche modo si ridisegna la tavola dei rapporti con i classici, lungo una linea di rigorosa adesione ai testi, che implicitamente nega le ermeneuti­ che negli esercizi di governo e le sfrenate escursioni nei regni della parola, predilette dalla Magna Curia ghibellina. Perciò poco dopo, nella Padova guelfa, un gruppo di giuristi e notai - Lavato Lavati e i piu giovani Albertino Mussato e Rolando da Piazzola - pur non conoscendo il successo di pubblico decretato ad Albertano, prati­ cheranno piu singolari esercizi: nei quali misuriamo ormai la de­ viazione verso la filologia e l'antiquaria. Li Seneca tragico divenne oggetto di una proposta di lettura attenta ai valori della collazione e del restauro metrico del testo: li la pratica testuale si educò e si perfezionò in maniera cosi evidente da imporsi nel giudizio di un fùologo difficile come Petrarca; li si radunarono informazioni sto­ riche per costruire aaessus, che ruppero completamente con quel modello gotico in cui le notizie furono piegate alla casistica aristo­ telica, secondo una tipologia alla quale non riuscirono a sottrarsi neppure alcuni maestri del pieno QuattrocentoJO Oltre ai padovani, nella seconda metà del Duecento -, quando l'essere ghibellino o guelfo non ha forse piu, letterariamente, lo stesso significato che poteva avere nella prima metà del secolo è necessario considerare uno scrittore fortunatissimo come Guido delle Colonne: su di lui, autore di una Historia destructionis Troiae, ri-

70. Lo studio dei pre-umanisti padovani è cifra dell'attività di Giuseppe Billano­ vich, La tradizione del testo di Livio, cit., e Guido Billanovich, Il preumanesimo padovano, cit.; per molti documenti sui padovani dr. il numero dedicato a questo argomento di « IM U »,a. xxvm 1985 e, per un inquadramento del problema P.O. Kristeller, in « Me­ dioevo », a. XI 1985, pp. 1-18; per Seneca tragico nel '200 val la pena di citare l'articolo, anche metodologicamente importante, di P.L. Schmidt, Rezeption und Uberliiferung der Tragodien Senecas bis zum Ausgang des Mittelalters, in DerEinjluss Senecas aufdas europiiische Drama, cur. E. Lefevre, Darmstadt, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, 1978, pp. 12-73-

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facimento in prosa latina del poema francese di Beno1t de Saint Maure, possiamo, in mancanza di nuovi documenti, accettare i ra­ gionamenti di Carlo Dionisotti, che lo identifica con il Guido poe­ ta negli anni '40. 71 A noi interessa rilevare che nel prologo si defi­ nisce un attacco alla poesia epica, che mescola insieme verità stori­ che e miti: Guido cita Omero e Ovidio perché: Ystorie pura m et simplicem veritatem in versuta vestigia variavit,Jingens multa que non Juerunt et que Juerunt aliter transformando

e, in particolare, scrive di Virgilio: Virgilius etiam in opere suo Eneydos, si pro maiori partegesta Troum, cum de eis te­ tigit, sub veritatis luce narravit, at Homeri tamenJictionibus no luit in aliquibus ab­ stinere.72

Guido contribuisce a divulgare presso il vasto pubblico, entro il quale la sua opera trova udienza, una questione che si era originata proprio dal confronto con alcuni classici, cioè la polemica sul gra­ do di realtà storica della narrazione poetica. 71. C. Dionisotti, Proposta per Guido Giudice, in « RCCM », a. vn 1965, p. 453. Per la traduzione italiana di Guido delle Colonne eseguita da Filippo Ceffi nel 1324 e altri manoscritti illustrati di Guido è utile il repertorio di M.R. Scherer, The Legends ofTroy in Art and Literature, New York-London, Phaidon Press, 1963, pp. 221 e 240; altri mano­ scritti miniati in H. Bucktal, Historia Troiana. Studies in the History ofMedieval SecularIllu­ stration, London-Leiden 1971; i volgarizzamenti italiani sono studiati da G. Carlesso, Lafortuna della 'Historia destructionis Troiae' di Guido delle Colonne e un volgarizzamentofi­ nora ignoto, in « GSLI », a. CLVII 1980, pp. 230-51; e inoltre N. Di Blasi, Il rifacimento napo­ letano trecentesco della 'Historia destructionis Troiae'. I. Rapporti con la tradizione latina e con i volgarizzamenti conosciuti, in « Medioevo romanzo », a. VI 1979, pp. 98-134. Per la diversa tecnica narrativa in Guido e Benoit cfr. RM. Lumianski, The Story ofTroilus and Briseida aaording to Benoit and Guido, in « Speculum », a. XXIX 1954, pp. 727-33; C.D. Benson, The History oJTroy in Middle English Literature, Woodbridge, D.S. Brewer-Rowman & Litdefìeld, 1980. 72. « Modificò la pura e semplice verità della storia in piste ingannevoli, raffigu­ rando molti fatti che non avvennero e trasformando diversamente quelli che avven­ nero; . . . Anche Virgilio, nella sua Eneide, se, nella maggior parte dei casi, narrò con evidenza di verità le gesta dei Troiani, quando trattò di loro, tuttavia non volle tratte­ nersi da qualche finzione di Omero ». Il testo in Guido de Columnis, Historia destruc­ tionis Troiae, ed. N.E. Griffin, Cambridge (Mass.} 1936, p. 4· Bruni, Boncompagno da Si­ gna, cit., pp. 87-92, prende in esame per la prima volta e discute l'attitudine di Guido nei confronti dei classici.

GIAN CARLO ALE S S I O - C LAUDIA VI LLA

Infatti il tema dei poeti, della storia e delle fabule, suggerito per l'opera di Lucano - da Quintiliano ma soprattutto imposto alla scuola medioevale da un passo di Servio, in Aen. I 382 e ripetuta da Isidoro, orig. vm 7 IO, sembra diventare generale argomento di di­ scussione letteraria - coinvolgendo Virgilio - fin dal sec. XI, nella scuola di un maestro che sono propensa a identificare con Mane­ goldo di Lautenbach: . . . vocatur tantum artificialis ordo quia potius pertinet ad poetas, idestfigmenta se­ quentes; alius ad historiographos qui non sunt poete, quia tantum que sunt vera exercentur; Virgilius enim licet dicatur scripsisse historiam, tamen poeta est quia in­ termiscuit quedam ficticia, sicut de Enea qui ivit in infernum et de equo !igneo. !sta supradicta sententia est magistri Mainegaudi.

Bisogna ricordare che Manegoldo commentò anche il De inventio­ ne, dove sono le radici della distinzione fra fabula : in qua nec vera e nec verisimiles res continuntur, e historia : gesta res, sed ab aetatis nostra e memoria remota (1 19 27)J3 Guido inoltre rifiuta la poesia e, riproponendo l'esempio di Dit­ ti e Darete - già proposto dalle sue fonti francesi - preferisce espri­ mersi in prosa latina, secondo una problematica di cui si era già mostrato ben cosciente Rolandino da Padova quando dichiarava: Seribo quoque prosayce hac de causa, quia scio que dixero,posse dici a me perprosam plenius qua m per versus, et cum sit his temporibus dictamen prosaicum intelligibi­ lius quam metricum apud omnes. Sed utinam viveret Virgilius et Lucanus, quo­ niam, imposito michi digne silencio, copiosam haberent materiam.74 73· « Questo soltanto è detto ordine artificiale perché conviene piuttosto ai poeti cioè a coloro che inseguono le cose non vere; l'altro [cioè l'ordine naturale] agli stori­ ci che non sono poeti, poiché si occupano soltanto di materia vera: Virgilio, nonostan­ te si dica abbia scritto di storia, è poeta poiché mescolò cose fantastiche, come la storia di Enea che andò all'Inferno o la storia del cavallo di legno. Questo parere è di mae­ stro Manegoldo ». Ricavo la notizia da una glossa del codice ora Bern. Burgerbibl. 327. f. 8ra {sec. XII); per Manegoldo {di cui Mainegaudus è forma variante), commentato­ re del De inventione, cfr. M. Dickey, Some Commentaries on the 'De inventione' and 5-l.d He­ rennium' ofthe eleventh and early twelfth Centuries, in « Medieval and Renaissance Stu­ dies », a. VI 1968, pp. 2-12; Munk Olsen, Ovide au Moyen Age, in AAYV. Le strade del testo, a cura di G. Cavallo, Bari, Adriatica, 1987. p. 83. 74. « Scrivo in prosa anche perché so di poter dire in prosa meglio che in versi ciò che ho da dire, e perché oggigiorno la scrittura in prosa è piu comprensibile a tutti di

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Rolandino peraltro non arrivò a negare la verità dei racconti di Lu­ cano e di Virgilio: e d'altra parte un secolo prima, commentando proprio lo ,2o base della moderna filologia. Non è stato ancora posto il problema delle radici, delle cause e del contesto maso Parentucelli, in Le chiavi della memoria. Miscellanea in oaasione del l centenario della Scuola Vaticana dipaleografia, diplomatica e archivistica, Città del Vaticano, Scuola Vaticana di paleografia, diplomatica e archivistica, 1984, pp. 125-65, e L. Gargan, Gli umanisti e la biblioteca pubblica, in AAYV., Le biblioteche nel mondo antico e medievale, a cura di G. Ca­ vallo, Roma-Bari, Laterza, 1988, pp. 174-75. 18. « Avrei voluto che la morte mi risparmiasse almeno fin a quel giorno in cui avrei potuto completare la vostra biblioteca »: A. Politiani Opera, Lugduni, apud S. Gryphium, 1533, p. 106; « nel ricercare ed acquistare in tutto il mondo libri greci e lati­ ni » : ibid., p. 108. 19. V. Branca, Poliziano e l'umanesimo della parola, Torino, Einaudi, 1983, pp. 108-10. 20. S. Timpanaro, La genesi del metodo del Lachmann, Padova, Liviana, 1985 2, p. 6. 522

PROBLE M I E PE RC O R S I DELLA RIC E Z I O NE UMAN I S TICA

storico in cui prende forma questa fondamentale acquisizione. La statura solare del personaggio ha impedito che si potessero ricono­ scere i suoi debiti o gli anelli della catena che attraverso Merula e Calderini lo ricollegavano alla grande tradizione della filologia umanistica del primo Quattrocento. Sembra probabile che Poli­ ziano abbia colto la dimensione diacronica nella valutazione dei manoscritti, partendo dallo studio di quei testi dei quali ben cono­ sceva la historia recens, in quanto affidata, almeno nelle linee portan­ ti, alle tradizioni domestiche fiorentine, una historia che si consu­ mava tutta, sia pure nella fase terminale di un plurisecolare proces­ so, nell'ambito del Quattrocento: per le Silvae di Stazio, ad esem­ pio, per Valeria Fiacco, ma anche in parte per Quintiliano. Il gran­ de filologo elaborò un modello di traditio textus, partendo, in prima istanza, da un'adeguata conoscenza della storia degli studi classici nella Firenze del suo tempo, delle scoperte di Poggio, della forma­ zione delle raccolte librarie fiorentine, da quella di S. Spirito al grande serbatoio di San Marco (dove prende corpo la riflessione sulla traditio delle Familiares ciceroniane). A farlo reagire, ad esem­ pio, sulla tradizione delle Argonautiche di Valerio Fiacco, fu, come si vedrà, la scoperta sui margini di un codice antico di annotazioni del Niccoli. Non abbiamo, purtroppo, molte notizie sui vari aspetti della for­ mazione del Poliziano negli anni ' 70. Ma è certo che quando nel 148081 egli entrava nello Studio fiorentino per esporre le Silvae di Stazio e le Institutiones di Quintiliano, con metodo già saldo, anche se anco­ ra non perfezionato, correggeva il testo non col ricorso ad anonimi manoscritti, ma ancorandolo direttamente alle copie di chi aveva scoperto quei due autori, agli esemplari di Poggio Bracciolini.z t Il passaggio successivo nella strutturazione della metodologia 21. Sull'utilizzazione del Poggianus per Stazio: L. Cesarini Martinelli, Le 'Selve' di Stazio nella critica testuale del Poliziano, in « SIFC », a. XLVII 1975, pp. 130-74; l'uso del co­ dice di Poggio anche per le Institutiones (cfr. J. Cousin, Recherches sur Quintilien, Paris, Les Belles Lettres, 1975, pp. 50-69) è documentabile con pienezza sulla scorta delle note di collazione vergate di mano dell'umanista sui margini dell'incunabulo B.R. 379 della Biblioteca Nazionale di Firenze, come pure sulla base di una testimonianza accolta nella recollecta virgiliana del ms. 237 della Biblioteca Classense di Ravenna, 76 v: notandum etiam Quintiliani codices esse corruptos, quoniam impressi non habent « aquai » [in

VINCENZO PERA

del Poliziano fu quasi obbligato: per quei testi la cui tradizione non era in alcun modo circoscrivibile, si dimostrò necessario esa­ minare piu codici che fosse possibile per il restauro della vera lectio ; a lezione l'umanista sospendeva il giudizio su una scelta testuale svetoniana, sollecitando i discepoli a controllare su tutti i mano­ scritti che fossero alla loro portata: quapropter in medio relinquatur ut quisque quos potuerit codices investiget.22 Ma il controllo sui codici per Poliziano non era un approccio indistinto ad un territorio inerte e neutro: il loro apporto testimoniale, infatti, era accuratamente e ordinatamente annotato. Il codice cessava di essere un prodotto anonimo, acquisiva una ben precisa identità. Fu la generalizzazio­ ne di un principio sporadicamente e per singoli manoscritti utiliz­ zato anche dalle anteriori generazioni umanistiche, cui però Poli­ ziano conferi un'impronta storica senza precedenti. È, in pratica, l'avvio della recensio, di una ricerca febbrile, senza soste, di sempre nuove testimonianze manoscritte, nella speranza di ritrovare se non l'anello piu alto della catena, come gli era possibile fare con le tradizioni poggiane, la testimonianza piu antica che rivelasse il piu antico vestigium erroneo, su cui operare per un corretto intervento ecdotico. In pratica, quando nel I494 Poliziano mori, era in atto sul suo scrittoio la formazione di un ampio schedario, dove erano inventa­ nate le presenze dei codici che gli era stato possibile rilevare, per notizie dirette o indirette, in molte biblioteche pubbliche e private della penisola (una prova in tal senso è fornita dai suoi diari di viag­ gio, dove è accuratamente regestata ogni notizia di codici imporinsL 1 7 18 è citato Aen. vn 464: aquaiJ, sed in ilio antiquo exemplari, quod ego domi ha beo et quod transcribendum curavit Pogius, sic esse scriptum et sic inveniri in aliis vetustissimis; Pogius fuit primus qui ad has regiones reduceret Quintiliani codicem ( « si deve anche osservare che i codici quinrilianei sono corrotti, in quanto le stampe non hanno aquai, ma in quell'an­ tico esemplare che ho a casa e che Poggio si preoccupò di far trascrivere, c' è scritto ap­ punto aquai, ed ugualmente in altri antichissimi codici. Poggio fu il primo a riportare in questo paese un codice di Quintiliano ») ; a quanto sembra Poliziano indicava col termine « anriquus • l'apografo poggiano, con ovvio riferimento al testo ivi recepito: su questo e su altri aspetti degli studi quintilianei del Poliziano conto di ritornare al­ trove. 22. Fera, Una ignota, cit., pp. 37; 46; 105.

PROBLE M I E PE RCO R S I DELLA RI C E Z I O NE UMAN I STICA

tanti che riusciva a rintracciare).23 Uno schedario manchevole e la­ cunoso, ovviamente, in un certo senso costruito per stratificazio­ ne spontanea, ma che mirava all'accertamento della tradizione. In questa biblioteca-laboratorio ogni codice era identificato e sche­ dato nelle sue coordinate topiche e croniche: il luogo attuale di conservazione, l'ultimo proprietario (ma anche ove possibile la menzione di quelli precedenti), la precisazione del tipo di scrittura (littera antiqua, langobardicis litteris, ecc.), la valutazione, ovviamente empirica, del grado di antichità (vetus, vetustissimus, ecc.) erano per il Poliziano gli elementi costitutivi della carta d'identità del mano­ scritto.24 Chiaramente è questo il modello delle prime rudimenta­ li descrizioni dei codici. Ma, quel che piu conta, di ogni manoscrit­ to erano state effettuate, o erano in corso di allestimento, collazio­ ni piu o meno capillari a seconda della riconosciuta importanza del testimone antico: di alcuni codici, ad esempio, era stata annota­ ta solo qualche lezione per particolari loci critici, come quando a Bo­ logna, da un codice posseduto da Girolamo Ranuccio, Poliziano annotò subito che in Orazio, epod. xvn 5 6 si leggeva Cotittia e se­ gnalò la lettura all'attenzione del grande protettore ed amico del Beroaldo, Mino de' Rossi 25 (particolare non gratuito, perché que­ sti avrebbe potuto essere chiamato come testimone in eventuali discussioni filologiche); per altri manoscritti, soprattutto per esemplari unici di veneranda antichità come il Terenzio Bembino, egli possedeva collazioni complete.2 6 Tutti gli autori della latinità destavano il suo interesse. Nel giro di pochi anni riusci a radunare intorno a sé una équipe di Jamiliares, 23. G. Pesenti, Diario odeporico-bibliografico inedito del Poliziano, in « MIL », a. XIV 1916, pp. 229-39· 24. Si vedano, ad es., le sottoscrizioni a Stazio (Venezia 1472) , Plinio (Roma 1473) , Scriptores rei rusticae (Venezia 1472) , Pelagonio (ms. Ricc. II79), Terenzio (Milano 1475) , edite in Mostra del Poliziano nella Biblioteca Medicea Laurenziana . . . Catalogo, a cura di A. Perosa, Firenze, Sansoni, 1955, pp. 15-16; 22; 25-26; 38-39; 66-67; cfr. pure l. Maier, Les manuscrits d'Ange Politien, Genève, Droz, 1965, pp. 362; 352; 354-55; 347; 344· 25. Pesenti, Diario, cit., p. 235 (la lezione testimoniata dal codice bolognese sollecitò subito il Poliziano, perché proprio Cotyttia aveva difeso nel luogo dell'epodo contro Cocytia in Mise. I ro: Politiani Opera, cit., p. 532) . 26. R. Ribuoli, La collazionepolizianea del codice Bembino di Terenzio, Roma, Ed. di sto­ ria e letteratura, 1981.

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VI NCENZO FERA

ai quali insegnò il metodo di collazionare i manoscritti antichi; dettagliate sottoscrizioni servivano da promemoria per le circo­ stanze esterne e per l'indicazione delle tecniche impiegate. Anche l'arte della collazione era stata per lui una conquista graduale. C'è una grande differenza, ad es., tra le collazioni effettuate sullo Sve­ tonio (Milano 1475) B.R. 91 della Biblioteca Nazionale di Firenze, ai primordi della sua attività nello Studio, e quelle vergate sul Pli­ nio di Schweynheym e Pannartz del 1473 ed ora documentate solo dall'apografo di Oxford, Bodleian Library, Auct. Q I. 2. Le prime si presentano in uno stato di confusione tale che a lui stesso a distan­ za di anni non dovettero risultare perspicue; 27 le seconde sono or­ dinate accuratamente e siglate con un sistema convenzionale di se­ gni, quasi si trattasse di un apparato critico. Non importa se la col­ lazione riusciva talvolta imperfetta: ciò si spiega agevolmente con le condizioni spesso poco favorevoli nelle quali si svolgeva il lavo­ ro, ma anche forse col fatto che nel testo, in qualunque testo, egli privilegiava il confronto per i luoghi guasti e non il rilevamento si­ stematico degli errori dei copisti. Nonostante tutto, pure sulla scorta di linee di ricerca istintive e geniali, egli riusciva talvolta a capire i rapporti tra i manoscritti, ad eliminare i descripti, a tracciare in definitiva la storia della tradizio­ ne di un testo. È emblematico l'episodio di Valerio Fiacco, un poe­ ta ben noto negli ambienti fiorentini. Aveva contribuito a diffon­ derlo negli anni '70 l' expositio di Andronico Callisto di quelle Argo­ nautiche di Apollonia Radio che ancora nel 1488 Pomponio Leto non conosceva.28 Firenze poteva vantare la presenza di codici di prim'ordine: l'esemplare dimidiato (11. I-Iv 317) scoperto da Pog­ gio Bracciolini a San Gallo nel 1416 29 e la trascrizione effettuata dal Niccoli di un antico Valeria completo, confluita nel porto sicu27- Sulla qualità e sulle tecniche delle collazioni svetoniane: L. Cesarini Martinelli, Il Poliziano e Svetonio: osservazioni su un recente contributo alla storia dellafilologia umanistica, in « Rinascimento », a. xvi 1976, pp. n1-31. 28. G. Resta, Andronico Callisto, Bartolomeo Fonzio e la prima traduzione umanistica di Apollonia Rodio, in Studi in onore di Anthos Ardi=oni, a cura di E. Livrea e G.A. Privitera, n, Roma, Ed. dell'Ateneo, 1978, pp. 1057-131. 29. WW. Ehlers, Untersuchungen zur handschrifilichen Ueberlieferung des C. Valerius Flaaus, Miinchen, Beck, 1970, pp . 22-31 e passim.

PRO B LE M I E PERC O R S I DELLA RIC E Z I O NE UMAN I S T I CA

ro della biblioteca di San Marco.3 0 Bartolomeo Ponzio fu il mag­ giore studioso di Placco del Quattrocento fiorentino: quanto resta delle sue fatiche filologiche ed esegetiche sul testo delle Argonauti­ che è uno dei piu cospicui esempi di studio dei classici che sia possi­ bile rintracciare in tutto l'umanesimo.31 Intorno al 1487-88 Taddeo Ugoleto, un interessante personaggio tra l'umanista e il mercante, portava nella città toscana un antico manoscritto di Valeria Placco. Amico sia del Poliziano sia di Ponzio, l'Ugoleto lo mise a disposi­ zione dei due ormai irriducibili antagonisti, i quali lo studiarono e lo collazionarono con risultati profondamente diversi.32 Dopo averlo accuratamente esaminato, Ponzio interruppe la collazione alla fine del secondo libro, e restitui il codice all'Ugoleto, non rite­ nendolo portatore di novità rispetto agli esemplari in circolazione che gli erano noti (in particolare dovette registrare che l'antico manoscritto tramandava le stesse lezioni da lui in precedenza ri­ scontrate sul codex Nicolai).33 Poliziano da parte sua studiò il volu­ me anche nella compagine codicologica, e, messo quasi certamen­ te sulla giusta strada dall'osservazione che in eius marginibus Nicola i Nicoli fiorentini ma nus agnoscitur, constatando nell'antico codice un 30. Identificato da G. Cambier, Attribution du manuscrit de Florence, Laur. J9.J8 à Nic­ colò Niccoli, in « Scriptorium », a. XIX 1965, pp. 236-43; Ehlers, Untersuchungen, cit., p. n. 31. Un primo saggio in V. Fera, Il primo testo critico di Valeria Fiacco, in « G IF », a. xxxi 1979. pp. 230-54· 32. V. Branca, Mercanti e libraifra Italia e Ungheria, in Venezia e Ungheria nel Rinasci­ mento, a cura di V. B., Firenze, Olschki, 1973, pp. 347-52; Fera, Ii primo, cit., p. 237. 33· È quanto ora si sa dopo il recupero dell'esemplare della prima centuria dei Mi­ scellanea postillato da Fonzio (Inc. 6149 B della Houghton Library di Harvard), dove, in rapporto alla correzione polizianea di dorica in durica in Mise. 1 5 per Valerio Fiacco, 11 572, effettuata proprio sulla scorta dell'antico manoscritto dell'Ugoleto, Fonzio obiettava: dorica scriptum est in isto codice, quem Thadeus de Parma ad me diferri curavit, saepe­ que ac multum a me relectum et per animum usque quaque pensitatum neque meliorem ceteris in­ spectum ei postquam reddidi. Tu dies paucos habuisti, super hac dictione mentitus ( « in codesto codice messo a mia disposizione da Taddeo da Parma c'è scritto proprio dorica; io glie­ lo restituii dopo averlo letto e riletto e meditato, senza averlo trovato migliore degli altri manoscritti; tu lo avesti solo per pochi giorni e, quanto a questa lezione, hai men­ tito »: L.A. Ciapponi, Bartolomeo Fonzio e la prima centuria dei « Miscellanea » del Poliziano, in « IMU », a. XXIII 1980, p. 166) . Fondate ragioni lasciano sospettare che Fonzio, con­ siderando esatta la lezione dorica della stampa su cui operava (ora E.R. 431 della Biblio­ teca Riccardiana), abbia omesso di registrare la lezione durica dell' antiquus (comune peraltro a quasi tutti i manoscritti di Valeria Fiacco).

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VINCENZO FERA

errore materiale nella successione dei fogli, collegava l' osservazio­ ne all'errata successione dei versi che aveva avuto modo di rilevare in tutti i manoscritti integrali di Valerio Fiacco a lui noti, a comin­ ciare appunto dallo stesso codice autografo del Niccoli in San Marco: e concludeva che proprio da quell' antiquus, insieme col co­ dice del Niccoli, dovevano essere derivati tutti gli esemplari di Va­ lerio « qui sunt in manibus ».34 Ciò non solo è emblematico della statura del Poliziano, fatto certamente fuori discussione, quanto è chiarificatore di quella peculiarità della sua metodologia indicata nella consapevolezza della storia della tradizione. L'apporto di Fonzio alla costituzione del testo delle Argonautiche è di gran lunga piu rilevante del corrispettivo del Poliziano, ma, pur essendo egli un autentico specialista di quel testo, non dimostrò sollecitazioni specifiche per la sua traditio, né, tanto meno, pur avendoli collazio­ nati, ebbe mai dei manoscritti di Valerio che circolavano a Firenze una visione storicamente unitaria. Non è poi cosi importante dire che le conclusioni del Poliziano sono state indipendentemente confermate dalla moderna filologia, quanto constatare la reattività del metodo dell'umanista davanti ad un fatto nuovo: il rilevamen­ to da un particolare punto di vista di dati apparentemente slegati l'uno dall'altro incardinava per la prima volta la tradizione di un te­ sto in una logica stemmatica.

4· DA VALLA A BARBARO :

I L MODELLO LINGUISTICO E D ERUDITO

Sarebbe, comunque, metodologicamente errato considerare l'opposizione Fonzio/Poliziano in certo modo assolutamente, quasi che a contrapporsi fossero le due anime della filologia urna­ rustica quattrocentesca. La metodologia di Fonzio in campo filolo­ gico operava nell'ambito della tradizione. Per costituire il testo si serviva, si, dei manoscritti che gli era possibile rintracciare, ma ri­ correva soprattutto alla trama della sua molteplice erudizione, sul­ la scorta di un'agguerrita conoscenza delle lingue antiche. Era 34· A. Poliziano, Miscellaneorum centuria secunda, a cura di V. Branca e M. Pastore Stocchi, Firenze, Olschki, 1978, 1, pp. 22-23; IV, pp. 6-7; Politiani Opera, cit., pp. 519-20.

PROBLEMI E PERC O R S I DELLA RICEZ I O NE UMAN I S TICA

questa la prassi filologica quotidiana nell' umanesimo, perché quella di Poliziano fu e rimase una esperienza isolata, per quanto destinata a strutturare la linea vincente degli studi classici in Euro­ pa. Ma prima di arrivare a Poliziano si dovette passare attraverso una morta gora di macerazioni e di faticose discussioni, che acuirono gli interessi e sollecitarono la sperimentazione di tecniche nuove. Quando si giudica una povera cosa la filologia degli umanisti, soprattutto quella della prima metà del secolo, si guarda da una specola anacronistica, condizionata dalle odierne acquisizioni me­ todologiche e critiche. Nel primo Quattrocento fare filologia si­ gnificò voler capire i testi, ma capirli a tutti i costi e metterli subito in circolazione, non contemplarli come cimeli da vetrina o aspet­ tare improbabili eventi risolutori di infinite cruces desperationis. Era urgente per quella cultura decodificare il messaggio dei libri degli antichi e per questo, non certo per mancanza di consapevolezza dei problemi, le operazioni editoriali furono talvolta disinvolte, so­ prattutto con l'innesto di rilevanti processi contaminatori. L'uma­ nesimo seppe comunque trovare la sua strada per impostare in modo nuovo e « rivoluzionario » il problema editoriale: in un pri­ mo tempo si guardò soprattutto al testo, poi gradualmente desta­ rono l'interesse degli umanisti anche il contenitore del testo e la sua storia, ed entrò in scena il codice. Lo stesso Valla, senza alcun dubbio il filologo piu prestigioso della prima metà del Quattrocento, non dimostrò una spiccata propensione verso la teoresi ecdotica, tanto meno verso una meto­ dologia editoriale di stampo polizianeo. Egli non prescindeva ov­ viamente dalla tradizione manoscritta, che sembra dispiegarsi da­ vanti ai suoi occhi in una prospettiva sincronica: tres codices latinos et totidem grecos ha beo, cum hec compono, et nonnunquam alias codices consu­ lo, scriveva nella Collatio novi testamenti, a proposito di Matteo, 27 22.3 s Ma i codici, anche quelli antichi, costituirono per lui solo un punto di riferimento e di verifica; la risposta giusta per la costituzione del testo, 35· « Mentre vado elaborando queste correzioni, utilizzo tre codici latini ed altret­ tanti greci, e talvolta controllo anche su altri manoscritti »: L. Valla, Opera omnia, con una premessa di E. Garin, 1, Torino, Bottega d'Erasmo, 1962, p. 822.

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di qualunque testo, gli proveniva dalla sua conoscenza della storia della lingua latina, da un'assimilazione dei processi stilistici raffi­ nata ai limiti del possibile. Ed egli riusciva ad utilizzare questo for­ te senso di diacronia della lingua anche in funzione di aspetti piu propriamente filologici, quali la datazione e la paternità dei testi: cosi per la Donazione di Costantino, cosi - è legittimo ipotizzarlo per l'autenticità del carteggio tra Seneca e San Paolo.3 6 Ma la sua peculiarità fu la critica del testo; la stessa storia della filologia uma­ nistica stricto sensu era in fondo da lui ravvisata nell'attività emenda­ tona dei suoi grandi predecessori ed anche dei suoi grandi e meno grandi contemporanei, nella manus Petrarce dell'Agennensis, nella manus Guarini emendatrice del testo della Naturalis historia, nella manus Leonardi Arretini per Livio e Cicerone, e nelle manus Caroli, Cineii, Pogii, Flavii per le decadi di Livi o, sulle quali avevano perfino operato le manus dei suoi avversari Facio, Panormita e Curlo: ma­ nus enim omnium censenda est, quod omnium consensu scribitur.37 Una necessità d'inventariare e di misurarsi: quasi una palestra di correc­ tores l'umanesimo qui effigiato da Valla. Il riferimento andava a singoli manoscritti, che ai suoi occhi si configuravano come edi­ zioni, ed in questa prospettiva il lavoro editoriale prevedeva di massima due protagonisti: il filologo con i suoi strumenti (primo fra tutti la sensibilità linguistica) ed il testo corrotto. Il metodo di Valla si concentrò da un lato sull'analisi dell' usus scribendi di un au­ tore, dall'altro sull' elaborazione di un accurato studio della feno­ menologia della « copia >>. Attraverso questo significativo spiraglio, Valla riusciva a cogliere, se non la dinamica, almeno una linea di sviluppo di una tradizione in movimento. Le tipologie di errori ef­ fetto dei meccanismi di copia individuate nelle Emendationes liviane costituiscono uno dei piu cospicui precedenti della moderna criti­ ca del testo: sono numerosi, ad esempio, i restauri o le congetture 36. Almeno A. Momigliano, Note sulla leggenda del cristianesimo di Seneca, in « RSI », a. 1950, pp . 325 sgg., ora in Id., Contributo alla storia degli studi classici, Roma, Ed. di sto­ ria e letteratura, 1955 (rist. anast. 1979 ), pp. 28-29 (cfr. anche Momigliano, Secondo contri­ buto, cit., pp. 106-7). 37· « È necessario infatti censire l'intervento di ogni correttore, perché si scrive col consenso di tutti »: L. Valle Antidotum in Facium, a cura di M. Regoliosi, Padova, Ante­ nore, 1981, pp. 324-25. LXII

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calibrati in ragione di riconosciute aplografie, dittografie, indivi­ duazione di costanti in scambi tra lettere o gruppi di lettere, di ca­ dute per omoteleuto, di semplici errori nella divisione delle parole, ecc.3 8 Il principale presupposto della congettura era la somiglianza paleografica; ma è da rilevare che alla congettura Valla non attribui un valore assoluto, la considerò solo uno strumento per vivificare un testo altrimenti amorfo. Si spiega cosi se spesso egli allineava varie possibilità correttorie, giustificate una volta con un'impor­ tante chiarificazione di metodo: nequis tamen miretur quod multis modis eundem locum emendamus, eum verus nisi unus esse non possit: namJacimus more illius apud Plautum senis, qui complures ex praeda servos coemit, unius certi postea in iis reperiendi gratia.39

La relatività e la provvisorietà della congettura erano chiarite da Valla anche col ricorso all'esempio del senex plautino, il vecchio Egione dei Captivi, che comprava tutti i prigionieri elei che gli era possibile trovare sul mercato, nella speranza di rintracciare il figlio venduto come schiavo in Elide. È dunque a questo ambito di perizia linguistica e tecnica che ri­ conduce senza equivoci la fisionomia culturale del filologo ope­ rante nel Quattrocento. Per tutti, tranne che per Poliziano, i codici furono solo contenitori di varianti, la cui validità doveva in defini­ tiva essere decisa dalla cultura dell'editore. Tanto pili ampio lo spettro di conoscenze e di letture in tutti i campi del sapere degli antichi, tanto piu grande era la possibilità di correggere un testo corrotto. E proprio dai labirinti di questa erudizione, divenuta or­ mai alla fine del Quattrocento scienza integrale dell'antichità, pili che da un sistematico approccio alle fonti manoscritte, scaturirono le Castigationes Plinianae et in Pomponium Melam di Ermolao Barba­ ro: un capolavoro, che si pone alla confluenza delle linee piu vitali della filologia umanistica. Ermolao non assegnava alla lezione del38. Valle Antidotum, cit., pp. 327-70. 39· « Nessuno si meravigli del fatto che noi emendiamo uno stesso luogo in molti modi, mentre solo una correzione può essere quella vera; ci comportiamo infatti co­ me quel vecchio in Plauto che comprò molti schiavi di guerra, nella speranza di trova­ re tra essi il solo che lui cercava »: Valle Antidotum, cit., p. 364. 53 1

VINCENZO FERA l' antiquus codex un valore assoluto, come faceva il Poliziano; l' au­ tenticità di un testo doveva per lui essere garantita dalla conver­ genza di testimonianze di altri auctores greci e latini. Si strutturava cosi una sorta di filologia che metteva a confronto e sottoponeva ad analisi fili, talvolta spezzati, di tradizioni diverse e lontane tra loro, e il confronto consentiva di trovare il bandolo risolutivo, qua­ si sempre su basi linguistiche o antiquario-erudite. Si ha spesso l'impressione che per Barbaro il ricorso al manoscritto servisse tutto sommato da verifica a soluzioni individuate col suo dominio assoluto della cultura antica. Le Castigationes sono state definite una « antimiscellanea, che dai Miscellanea trae il proprio nutrimen­ to »,40 ma al di là dell' aemulatio certamente presente tra i due som­ mi filologi di fine Quattrocento, quella del Barbaro è un' operazio­ ne perfettamente inserita nella cultura del secolo; semmai l' oppo­ sizione si dovrebbe riscontrare proprio tra questa cultura e i Miscel­ lanea : la nuova prospettiva di metodologia filologica del Poliziano, che ai contemporanei dovette talvolta apparire come una iperva­ lutazione delle fonti manoscritte (non mancò chi facesse dell'iro­ nia sulla « mania >> del filologo fiorentino di idolatrare i codici anti­ chi) era, all'altezza degli anni '90, solo una proposta sperimentale, che Barbaro nella sua roccaforte enciclopedica non recepiva, ma i cui risultati egli considerava con ammirazione e cautela. 5· L'APPRODO DEI CLASSICI ALLA STAMPA La strada della ricezione dei testi classici s'ingiganti d'improvvi­ so con la scoperta della stampa. Gli umanisti ne avvertirono tutta l'importanza e il fascino, ne sfruttarono subito le infinite possibili­ tà. Se si guarda alla produzione italiana d' incunabuli tra il 1465 e il 1500, è il trionfo della letteratura latina e del latino, di un latino che non conosce soluzione di continuità tra l'antichità e il medioevo. E anche nella produzione degli incunabuli in volgare, una parte ri40. H. Barbari Castigationes Plinianae et in Pomponium Melam, a cura di G. Pozzi, Padova, Antenore, 1973, p. cxux.

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1,

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guarda sempre i classici latini consegnati a volgarizzamenti.41 Sa­ rebbe importante studiare a fondo la distribuzione (e le connesse ragioni) degli incunabuli dei classici nel territorio della penisola: dietro ogni singola edizione ci sono storie infinite di uomini, di problemi, di idee, ancora per grandissima parte ignote; ci sono in­ finite viae librorum da individuare ed esplorare; soprattutto urge il molteplice ed articolato lavoro critico-filologico degli umanisti. Attraverso lo studio della cronologia degli incunabuli dei classici, si potrebbe approdare anche alla delineazione di una mappa delle gerarchie e delle esigenze culturali dei vari ambienti italiani e del­ le relative risposte del mercato editoriale. E si chiarirebbero altresi le ragioni delle assenze, o il perché dei ritardi nelle decisioni di pubblicare alcuni testi. I centri poziori della stampa furono in pra­ tica i principali centri del potere politico, Venezia, Roma, Firenze, Milano, Bologna, Brescia, Napoli, Ferrara, ma su tutti dominò la tipografia veneziana con una produzione sterminata tra Quattro e Cinquecento. È a Venezia che la ricezione umanistica segna il pun­ to piu alto sul piano della diffusione della cultura degli antichi.42 I pockets classici di Aldo Manuzio coronavano un sogno che ricon­ duceva alle origini del movimento umanistico; e nel libro pugillaris probabilmente lo stesso Petrarca vedeva meglio soddisfatte le esi­ genze primarie del lettore. Con l'approdo alla stampa del testo si concludeva la prima fase della ricezione. E cominciava un altro paragrafo della storia degli studi classici, ancora dopo cinque secoli di macerazioni e dibattiti non concluso. È stato di recente affermato che le edizioni quattro­ centesche dei classici sono dei prodotti filologici mediocri e che proprio da esse ha avuto origine il « false problem » della filologia classica tra Cinque e Settecento, il rifarsi cioè alle edizioni prece­ denti e non direttamente alle fonti per correggere, ope codicum e ope ingenii, il textus receptus.43 Ma questa prospettiva non considera che furono proprio gli incunabuli a consentire da un lato la struttura41. L. Febvre-HJ. Martin, La nascita de/ libro, a cura di A. Petrucci, Roma-Bari, La­ terza, 19882 pp. 317 sgg. 42· A. Quondam, La letteratura in tipografia, in AAYV., Letteratura italiana, 11, Produ­ zione e consumo, cit., pp. 573-87. 43· Kenney, The Classica/ Text, cit., pp. 1-19.

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zione graduale di una vulgata, dall'altro la formazione di un crite­ rio oggettivo per misurare i progressi editoriali. Le generazioni umanistiche anteriori a Poliziano operavano su manoscritti casual­ mente reperiti, l'uno ovviamente diverso dall'altro. Mancava un punto di riferimento comune, una base di lavoro univoca che con­ sentisse una valutazione oggettiva, verificabile dovunque, di ogni singolo progresso ecdotico. Anche in questo il lavoro del Poliziano risultò agevolato: è rispetto agli incunabuli, ai « novi codices », che egli in genere reagiva piu produttivamente. La cristallizzazione del testo negli incunabuli, sia pure talvolta ad un livello avanzato di corruzione, fu una delle tappe piu importanti degli accidentati iti­ nerari della filologia classica. 6.

LA

RICEZIONE NELLA SCUOLA

L'area privilegiata dei classici fu comunque la scuola: in essa si alimentò il dibattito storico-culturale e critico-filologico, da essa dilagarono come dal cavallo di Troia (immagine, questa, assai cara agli umanisti) i nuovi guerrieri delle humanae litterae; dalla scuola, e non solo dai piu alti livelli degli studi universitari. Da Vittorino da Feltre a Merula, a Poliziano, a Beroaldo si assiste nella scuola urna­ rustica ad una progressiva e sempre piu radicale specializzazione. Quando Filelfo indirizzava un giovane alla scuola di Guarino o di Vittorino (o invogliava a frequentare le proprie lezioni),44 aveva di mira una formazione complessiva, ancora tutto sommato da enci­ clopedia medievale, seppure sorretta dal decisivo apporto del gre­ co; nel 1493 Poliziano cercava invece di invogliare il giovane stu­ dente in arti Girolamo Amaseo a frequentare la sua scuola a Firen­ ze, illustrandogli i corsi che avrebbe trattato col nuovo anno (qui [se. Politianus] eum assera tfutura hyeme lecturum Isagogas Porphirii et Po­ steriora Aristotelis et Euclidem domi, me monet ut saltem tota hyeme Fio44· In una lettera ad Antonio Capannorense del 1433, conservata a Milano, Bibl. Trivulziana, ms. 873, c. 25 r (cfr. V. Fera, Itinerarifilologici di Francesco Filelfo, in Francesco Filelfo nel quinto centenario della morte, Padova, Antenore, 1986, p. 89). Sulla scuola di Guarino cfr. AT. Grafton-L. ]ardine, Humanism and the School ofGuarino: a Problem of Evaluation, in « P&P » , a. xcvi 1982, pp. 51-80.

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PROBLE M I E PERC O R S I DELLA RIC E Z I O NE UMAN I ST ICA

rentiae commorer) .45 Negli anni ' 30 Filelfo indicava gli unici fari della nuova cultura; alla fine del secolo il discorso era chiaramente di qualità e tipologia degli studi: le scuole erano ormai laboratori specializzati. La lectura dei classici nella scuola costitui sempre, come già nelle epoche precedenti, il punto di forza di tutti i programmi proposti: una minuta, paziente, articolata expositio dei testi, illustrati in tutti gli aspetti, organizzata per strati, da quello primario del lessico a quello grammaticale, stilistico, retorico, storico, ecc., una expositio che rispetto al commentarium assumeva i tratti di una explanatio me­ no ufficiale e piu attenta ai particolari, anche i piu insignificanti, che per ovvie ragioni non potevano trovare spazio in trattazioni scientifiche piu rigorose. Le expositiones dei professori piu famosi circolavano in dispense per universam Italiam: uno dei tramiti piu rapidi e meno controllabili non solo della diffusione dei testi, ma anche delle connesse interpretazioni e discussioni. Le recollectae esercitarono un notevole influsso nella storia della filologia. Anco­ ra a distanza di decenni, ad esempio, a Lisbona, nel 1529 Martin Fi­ guereido pubblicava una expositio dell'epistola di dedica della Na­ turalis historia,46 in cui si richiamava alla lezione del suo praeceptor, il Poliziano (il cui nome era addirittura apposto sul frontespizio del volume): 45· « Asserendo che nel prossimo inverno leggerà a casa l' Isagoge di Porfìrio, i Poste­ nora di Aristotele ed Euclide, Poliziano mi esorta a rimanere a Firenze almeno per tutto l'inverno �= G. Pozzi, Da Padova a Firenze ne/ 1493, in « IMU », a. IX 1966, p. 195. 46. Commentum in Plinii Naturalis historie prologum a iuris utriusque doctore Martino Fi­ guereto editum, serenissimi Portugalie regis senatore; sul verso, xilographia di un doctor e di un auditor, con questa didascalia: Epistola Plinii secundum veram lectionem ex exquisitissimis et antiquissimis exemplaribus ab Angelo Politiano magnis sumptibus et summa diligentia undi­ que perquesitis; a f. XLV v il colophon: Expliciunt commentaria Martini Figuereti lusitani, iuris utriusque doctoris, super epistola m Naturalis historie Plinii. Impressa Ulyxbone per Germanum Sa/hard anno domini millesimo quingentesimo vigesimo nono, Idibus !unii. La presenza del Figuereido, studens iuri, allievo di Bartolomeo Sozzini, nello Studio fiorentino è atte­ stata nel 1489-90 (A. Verde, Lo Studio fiorentino 1473-1503. Ricerche e documenti, m, 2, Pi­ stoia, Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento, 1977, p. 635). Egli dovette essere un auditordel corso pliniano espletato privatim dal Poliziano nel 1490 Britannis quibusdam et Lusitanis (L Del Lungo, Florentia. Uomini e cose del Quattrocento, Firenze, Barbera, 1897. p. 180}. Ricostruirò nei dettagli questa vicenda in un lavoro sulla fortuna di Plinio tra Quattro e Cinquecento. 535

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ecce viri aliquot doctissimi magnis a me precibus non modo petere sed etiam ef/lagi­ tare ceperunt, ut Plinium ipsum interpretaTi atque explanare atque publice profiteri non recusarem, scientes scilicet eu m me universum audivisse a summo illo viro Ange­ lo Politiano.47

E dalle pagine di questo tardo commento, che si avvaleva anche della lezione di Ermolao, venivano rimesse in circolazione antiche explanationes e scelte testuali del professore fiorentino, in una testi­ monianza articolata e corposa, che, con l'opportuna discretio critica, concorre ora alla ricostruzione degli studi pliniani del Poliziano. Esempio emblematico, questo, non solo dell'indiscusso valore del­ le recollectae, ma piu ancora della dimensione europea cui assursero le lezioni universitarie degli umanisti. Nell' expositio la lezione de­ gli auctores si sedimentò in una lenta consustanziazione con l'uni­ verso culturale volgare, attraverso una continua appropriazione di tutti i valori storici e culturali di cui i classici erano portatori. Nella scuola, infatti, è da vedere il piu significativo terreno di osmosi tra le due culture: non solo si volgarizzava, ma si studiavano la com­ posizione del lessico, l'etimologia, le dffferentiae e le sfumature tra i sinonimi; dalla scuola dovette venire il maggior impulso per la ri­ flessione e il dibattito sull'origine del volgare. L' expositio era preceduta dalla praelectio, un momento solenne, in genere quello dell'inaugurazione dell'anno accademico; in essa il professore chiariva le ragioni della lectura, ne dimostrava l'attualità, tracciava talvolta anche le linee principali del programma. La prae­ lectio nel corso del Quattrocento ha subito una significativa evolu­ zione, soprattutto a livello dei contenuti: la nota predominante nelle orazioni inaugurali di Guarino, Barzizza, Filelfo è certamen­ te quella della laus dell' auctor oggetto del corso, una laus spesso ge­ nerica e topica (per la retorica era frequente, ad esempio, un richia­ mo ad Orfeo ed ai versi di Orazio, ars 391 sgg.), talvolta esplicitata sul piano dell' utilitas che poteva derivarne agli auditores. Circola in 47- « Ecco, alcuni uomini dottissimi con grandi preghiere cominciarono non solo a chiedere ma addirittura a supplicare perché non rifiutassi di interpretare, chiarire ed esporre pubblicamente lo stesso Plinio, in quanto sapevano che io avevo ascoltato l'intera expositio dal sommo Angelo Poliziano » : Commentum in Plinii, cit., f. xuv v.

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queste praelectiones48 una gioia festosa, che celebra come rituale l'approccio all' auctor, visto come modello da imitare anche sul pia­ no privato e personale; un ciceronianesimo integrale era, ad esem­ pio, prospettato dal Barzizza nei primi decenni del secolo, che cosi si rivolgeva ai suoi allievi padovani: vultis enim, quantum intelligo, non solum preceptis ac disciplina eius [se. Ciceronis] institui, sed politiores etiam perspecta vita eiusfieri. Ego vero cum vestra causa ma­ gnopere id cupiam, tum multo magis quod nunquam Cicero a me nominandus est, quin incredibili quadam voluptate animi affici me sentiam, sive quod plus ei qua m parenti deberefateor, sive quod ea vita, ii mores, illa doctrina in eo fuit ut is mihi inhumanus ac crudelis esse videatur qui non hunc summe amet omnibusque illis clarissimis viris quos tulit antiquitas in his humanitatis studiis longe antepo­ nat.49

Dietro il lavoro di Barzizza c'era ovviamente il Cicero novus del Bruni, ma questa prospettiva si scarnifìcherà gradualmente nel corso del secolo, a tutto favore di una peculiare predilezione per lo stile e l'eloquenza ciceroniana. Nella praelectio umanistica sarà spesso operante lo schema dell' accessus medievale, che individuava e schedava, secondo un modello sperimentato e diffuso, i funda­ menta del testo preso in esame. Una consuetudine viva ancora col Poliziano e anche oltre, ma che dal Poliziano sarà talvolta rinnova­ ta alla luce di un ritorno agli antichi modelli scolastici dell'istituto dell' accessus.so Piuttosto, in p articolar modo nel secondo Quattro­ cento, è da rilevare che sempre piu spesso alla praelectio è affidato il ruolo di definizione e delimitazione del genere letterario cui affe­ riva il testo oggetto dell'expositio. Cosi nella praelectio a Persio del 48. Una scelta significativa in K. Miillner, Reden und Briife italienischer Humanisten, Wien, A. Holder, 1899. 49· « Voi desiderate, infatti, a quanto vedo, non solo essere educati dalla lezione di Cicerone, ma anche diventare piii. raffinati dopo aver esaminato la sua vita. Ed io pure lo desidero, sia per il vostro bene, sia soprattutto perché mai Cicerone potrebbe essere nominato da me, senza un incredibile piacere spirituale, vuoi perché io dichiaro di dovergli piii. che ad un padre, vuoi perché fu di tale vita, di tali costumi, di tale dottrina che mi sembra inumano e crudele chi non lo ami sommamente e chi non lo antepon­ ga negli studi letterari di gran lunga a tutti gli uomini illustri dell'antichità � : V. Pera, Un proemio al 'De Officiis' tra Filelfo e Barzi=a, in « GIF �. a. xxxv 1983, p. 130. 50. S. Rizzo, Una prolusione del Poliziano e i commentatori greci di Aristotele, in Studi in onore di Anthos Ardi=oni, cit., n, pp. 759-68.

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1482-83 Poliziano spezzava lo schema dell' accessus per interrogarsi sul codice e sui limiti del genere satira: ma c'erano a monte le trat­ tazioni specifiche di Perotti, Calderini e Merula.51 Su tutto il territorio scolastico della penisola certe presenze di auctores, ad esempio Cicerone e Virgilio, costituivano un punto di riferimento obbligato, fornivano una trama culturale comune, ma è purvero che, come già accennato, non in tutti gli ambienti si stu­ diavano nella stessa misura e con la stessa intensità tutti i classici. Le ragioni delle scelte e delle preferenze, il problema del perché, ad esempio, lo studio di Silio Italico attecchisse meglio a Roma, o quello di alcuni duriusculi dell'età argentea fosse appannaggio per certi aspetti peculiare della scuola bolognese, restano ancora da chiarire. È questo, in sostanza, il problema della reattività degli am­ bienti umanistici rispetto alla nuova cultura, nonché dei diversi approcci al testo dei classici: per decifrare eziologia e dinamica di questi processi occorre guardare non solo agli uomini, ma anche a situazioni obiettive, quali il rapporto degli umanisti col potere po­ litico locale, la circolazione dei libri e piu ancora la loro produzio­ ne, le esigenze e le pressioni del mercato librario. Anche la strumentazione di base è un tratto unificatore della scuola quattrocentesca: se è vero che continuano ad essere utiliz­ zati i libri guida del vecchio sapere (e ne fa fede la loro vasta tradi­ zione umanistica) , Uguccione, il Catholicon, il Grecismus, il Doctrina­ le, è anche vero che l'elaborazione dei nuovi manuali e vocabolari guadagnava comunque sempre piu terreno. Il diverso rapporto con i classici, la loro ricezione ormai senza piu filtri, agevolarono la formazione, e molto spesso anche in funzione della scuola, dei grandi schedari degli umanisti, degli zibaldoni, dei lessici. La pri­ ma metà del Quattrocento sembra privilegiare il piu immediato grado di rapporto con la scrittura: ciò emerge con chiarezza sia dalle due diffuse enciclopedie, che recano lo stesso titolo, Ortho­ graphia, l'una dell'ancor acerbo Gasparino Barzizza (1417-21) , l'al­ tra di Giovanni Tortelli (1448-49) , sia dalle ricerche grammaticali li

51. A. Poliziano, Commento inedito alle'Satire' di Persio, a cura di L. Cesarini Martinel­ e R. Ricciardi, Firenze, Sansoni, 1985, pp. xxxv-Lvi.

PROB LEM I E PE RC O R S I DE LLA RI C E Z I ONE UMAN I S T I CA

di Guarino e di Perotti, che tanta fortuna ebbero per tutto il seco­ lo.52 Dopo la centrale esperienza delle Elegantie, che in certo qual modo consentirono di approdare ad una sorta di « rifondazione » della lingua latina, le strade di penetrazione dei classici nel tessuto culturale dell'umanesimo si chiarificarono e si irrobustirono. Valla resterà per tutto il Quattrocento (e oltre) il piu significativo sup­ porto per un corretto approccio alla latinità: sarà ripreso tacita­ mente o discusso apertamente anche nelle lezioni del Poliziano, per il quale sembra di poter indicare pure una linea evolutiva sul piano dell'utilizzazione di strumenti bibliografici nella scuola: nei corsi piu antichi, infatti, è frequente la menzione del vocabolario di Giuniano Maio, mentre in quelli piu recenti acquista particolare rilievo il ricorso alla Cornucopia di Niccolò Perotti. Questo immen­ sum opus altro non era se non un commento a Marziale, rimasto in­ terrotto dopo la morte dell'autore, ma dal Poliziano era trattato al­ la stregua di un vero e proprio dizionario di antichità classica. 7· fORME DELL' E S E G E S I UMAN I S TICA

Un'altra linea della ricezione dei testi classici nell'umanesimo è quella dell'esegesi, 53 la linea forse meglio marcata, il percorso tra i tanti piu facilmente caratterizzabile. La Cornucopia del Perotti (a stampa dal 1489) si poneva alla confluenza di un processo esegetico che mirava ad un accertamento globale di tutti i dati forniti dal te­ sto. Non era privilegiata la ragione primaria del segmento o della singola parola, ma, in una continua dilatazione semantica, lingui­ stica, storica, il testo era « forzato » in direzione di un apparato eru­ dito praticamente inesauribile. È questa l'istanza che a diversi li­ velli caratterizza l'opera di molti commentatori, da Calderini, il gran nemico del Perotti, allo stesso Beroaldo, a Giovan Battista Pio; in questa prospettiva capire il testo, recepirlo correttamente 52. Per gli strumenti della scuola umanistica: S. Rizzo, Il latino nell'umanesimo, in AAYV., Letteratura italiana, v, Le Questioni, cit., pp. 394-401. 53· Solo pochissimi punti dell'attività esegetica dell' umanesimo italiano sono evi­ denziati in Der Kommentar in der Renaissance, hrsg. von A. Buck und O. Herding, Bop­ pard, Kommission fiir Humanismusforschung, 1975.

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voleva dire leggerlo attraverso le lenti di un contesto preordinato e precostituito, nonché circondarlo di una siepe di dati e di elementi, che apparentemente dovevano provvedere ad una explanatio delle difficoltà ermeneutiche, mentre in sostanza finivano con lo strut­ turare un nuovo testo, un testo con sue regole e schemi, con un suo autonomo codice di costruzione e di consultazione. Testo e com­ mento al testo (esaurite in poche battute le spiegazioni tout court) finirono in ultima istanza per correre parallelamente: la digressio­ ne diventò uno dei principali strumenti esegetici adottati. Non mancava comunque una linea esegetica piu severa, meno proclive ad indulgere all'oziosa ecphrasis e piu incline ad assecon­ dare le ragioni reali del testo: è il filone di certe enarrationes, piu ra­ pide, incisive e maggiormente fruibili da parte di un pubblico con interessi finalizzati. L'esempio piu famoso è quello delle Enarratio­ nes Iuvenalis del Merula (Venezia 1478). Al di là dei singoli partico­ lari risultati, la lezione del filologo alessandrino consisteva in un richiamo all'essenzialità del commento. Anche i suoi rapidi pron­ tuari di lessico agricolo, premessi all'edizione veneziana degli Scriptores rei rusticae del 1472, non si sottraevano a questa esigenza; anzi uno dei punti di forza delle sue polemiche filologiche col Po­ liziano e con il Beroaldo all'inizio degli anni ' 90 è da individuare nel riproposto modello di un'esegesi meno greve e soffocante, e piu funzionale.s4 Ma già negli anni '70 aveva cominciato a conquistare terreno un diverso approccio ai testi classici, un approccio questa volta seletti­ vo, non globale: le Observationes del Calderini,55 se non sono il pri­ mo esempio di questa svolta nella storia degli studi classici, certa­ mente contribuirono a modificare, per quanto concerne gli aucto­ res, il rapporto libro/lettura, circolazione/fruizione. Intanto si andava lentamente consolidando una nuova temperie metodolo­ gica. Si faceva strada la consapevolezza che per approdare ad un commento storicamente e criticamente avvertito occorreva sgom54· V. Fera, Tra Poliziano e Beroaldo: l'ultimo scrittofilologico di Giorgio Merula, in « Studi umanistici », a. II 1989, pp. 2-30 e passim. 55· A. Perosa, Calderini, Domizio, in Dizionario biografico degli italiani, xvi, Roma, Isti­ tuto dell'Enciclopedia italiana, 1973, p. 602. 540

PROBLE M I E PE RC O R S I DELLA RI C E Z I O NE U MAN I S T I CA

brare il campo da tutte le aporie testuali ed esegetiche che inficia­ vano la lettura dei classici: sotto il riflettore cadeva dunque non piu l' auctornel suo complesso, bensi una determinata griglia di loci obscuriores, di nodi testuali irrisolti, che intersecava orizzontalmen­ te tutta la latinità. Era la strada che portava alle Annotationes centum (Bologna 1488) ed ai Miscellanea (Firenze 1489) e voleva soddisfare due esigenze primarie: da un lato l'accurata analisi di singoli pro­ blemi consentiva una maggiore concentrazione di impegno ese­ getico, cosicché la singola quaestio poteva essere sviscerata in modo quasi interdisciplinare in tutti i suoi risvolti, dall'altro, isolando e chiarendo i problemi piu ardui dei vari testi, si mirava ad agevolare l'elaborazione di commenti normativi. Il modello proposto dai Miscellanea conobbe una singolare fortuna nell'ultimo decennio del secolo e soprattutto nel Cinquecento, anche se rimase una vet­ ta non piu raggiunta sul piano dell'acutezza e dell'esemplarità del metodo; un magnifico esempio, peraltro, di Altertumswissenschaft globale: nessuna linea dell'antichità era trascurata, dalla letteratura all'epigrafia, alla numismatica, ai problemi della sfera religiosa, giuridica, etc. Questo tipo d'indagine privilegiava comunque la so­ luzione brillante, la trouvaille, ma con l'alta qualità delle varie pro­ poste metodologiche incise sul progresso della filologia classica in modo decisivo. Di pari passo, e lungo le stesse coordinate culturali, s'infittiva anche l'elaborazione di ricerche specifiche su singoli autori; ricer­ che riguardanti essenzialmente il testo (tra i loro possibili archetipi le Emendationes liviane del Valla), con una prospettiva in genere emer­ gente anche dal titolo, Castigationes. Pure questo un settore assai for­ tunato, come s'è visto a proposito delle Castigationes plinianae, e in genere piu direttamente collegato al lavoro editoriale successivo. Il segno piu vistoso del faticoso cammino della filologia dell'u­ manesimo è costituito, però, dalle polemiche filologiche, per lo piu sottovalutate o valorizzate sul piano storico-documentario, in­ quadrate nelle ragioni e nelle consuetudini del secolo, ridotte spesso a livello di beghe o di litigi personali. Esse sono, invece, por­ tatrici di una metodologia di sofferta discussione, di acuto dibatti­ to, che traspare sempre sotto il pesante velo degli insulti. Le pole541

VINCENZO FERA miche sono tra le cause che hanno impresso una maggiore spinta di accelerazione al processo di diffusione e di revisione degli studi classici in atto nel Quattrocento. Ricostruirle oggi, anche nei parti­ colari, significa da un lato individuare le maglie di trasmissione del sapere umanistico, dall'altro accertare, con le ragioni del dibattito, pure il graduale processo di formazione della metodologia della ricerca. Perché è ottica certamente distorta privilegiare degli studi classici del Quattrocento solo la linea per cosi dire produttiva, sfo­ ciata o confluita nell'alveo della moderna filologia, o comunque confermata dalla successiva e piu consapevole ricerca. Studiare la ricezione degli auctores in periodo umanistico significa anche, se non proprio soprattutto, chiarire i punti morti, gli itinerari inutili, le pause stanche di una ricerca in progress, le innumerevoli cadute: significa, in sostanza, concedere spazio alle voci meno forti, e met­ tere a nudo il sotterraneo, frastagliato tessuto connettivo di tutti gli elementi di un mondo culturale, che solo in apparenza è disgrega­ to e caotico. Di quelle polemiche e di quei fitti e durissimi pam­ phlets ben poco è oggi ancora valido per i nostri studi, ma, ad esem­ pio, senza la revisione critica di Merula al Marziale di Domizio Calderini non si spiegherebbero atteggiamenti e scelte metodolo­ giche del Poliziano. In pratica le polemiche filologiche vanno in­ quadrate nella categoria di recensioni negative di edizioni o di commenti di testi classici: una pietra miliare, dunque, della storia della tradizione. 8. LA CRISI Sono questi, in sostanza, i principali percorsi della ricezione umanistica dei classici; ma da essi si dirama un groviglio di deriva­ zioni, delle quali finora ben poche sono state esplorate. Fu un tra­ vaglio culturale di proporzioni straordinarie, lo stesso motore di tutta la rinascita. Ma quando alla fine del secolo l'umanista roma­ no Paolo Cortesi scriveva una storia della cultura tre-quattrocen­ tesca sub specie Ciceronis,56 i grandi protagonisti del movimento di 56. P. Corte sii De hominibus doctis, a cura di G. Ferraii, Palermo, Il Vespro, 1979, pas­ sim.

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PROBLEMI E PERC O R S I DELLA RI C E Z I ONE UMAN I STICA

recupero dei classici non sono che pallide larve dietro le quinte: la stagione editoriale di Giovanni Andrea Bussi era rievocata inci­ dentalmente e con critiche di riporto, mentre le polemiche filolo­ giche erano schedate come intemperanze caratteriali, i veri filolo­ gi non erano neppure nominati, oppure erano chiamati in causa per altre ragioni; piu ancora si avverte circolare nel dialogo una certa aria di sufficienza nei confronti della filologia: ad essere pri­ vilegiati in modo esclusivo erano i valori linguistici e stilistici. Il De hominibus doctis rivela, dunque, all'altezza degli anni ' 90, vivi ancora il Poliziano ed il Barbaro, i prodromi di una crisi della filologia che di li a qualche lustro sarà evidente in tutti gli ambienti italiani. Le ragioni di questa crisi non sono state ancora pienamente chiarite: certo avrà inciso il sempre piu urgente incalzare del volgare e di processi culturali nuovi. Ma, prima di pronunciarsi, occorrerà chiarire i punti nodali delle eredità delle scuole umanistiche, dal­ l'ingloriosa gestione dell'immenso patrimonio filologico accumu­ lato dal Poliziano, alla dispersione delle carte del Merula dopo il 1494 (solo per citare alcuni episodi emblematici del naufragio), in definitiva alle cause che hanno ridotto al rango di bibliotheca latens l'assoluta maggior parte dell'opera degli umanisti, affidata ai ma­ noscritti o ai grandi margini degli stampati, solo talvolta e per vie tortuose confluita nella linea maestra dell' editoria. Col Cinquecento la filologia classica diventerà « europea » ed imboccherà gradualmente la strada normativa di un processo scientifico moderno, una strada sempre piu ricca di professionalità e di ecletticità metodologica: ma essa non avrà piu lo smalto e l'in­ cisività culturale che aveva conosciuto nel Quattrocento.

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IV I RE C U P E R I

LE O P O LD O GAMBE RALE

LA R I S CO PE RTA DELL'ARCAI C O

I.

DAL CLASSICISMO ALL'ARCAISMO

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E opinione diffusa che alla fine del I sec. d.C. la conoscenza della

letteratura romana arcaica fosse piuttosto ridotta, limitata a un cer­ to numero di « amatori ». Una delle ragioni di questa eclissi risie­ derebbe nei cumcula scolastici che, alquanto « svecchiati » a partire dall'età augustea, avevano sostituito gli arcaici con i classici. l In ef­ fetti, a chi legge ad esempio l' Institutio oratoria di Quintiliano, si presenta un quadro davvero modesto della piu antica letteratura latina, e della poesia in particolare: basti dire che di Nevio non ri­ corre neanche il nome, di Livio Andronico, di Cecilio Stazio e per­ fino di Plauto non è citato neanche un verso; 2 poco meglio stanno le cose riguardo a Ennio, che però, sorprendentemente, il retore sembra citare in genere di seconda mano 3 e che loda non senza una vena di polemica (inst. x I 88) : Ennium sicut sacros vetustate lucos adoremus, in quibus grandia et antiqua robo­ ra iam non tantam habent speciem quantam religionem.4

1. A cominciare forse da Q. Cecilio Epirota, liberto di Attico, di cui Svetonio, gramm. 16 3 dice: Primus dicitur . . . Vergilium et alios poetas novos praelegere coepisse ( « si dice che fu il primo che cominciò a leggere ai discepoli Virgilio e gli altri poeti recenti » ) . Cfr. in generale S.F. Bonner, Education in Ancient Rome, London, Methuen, 1977, pp. 213 sgg.; H.D.Jocelyn, Studies in the Indirect Tradition ofPlautus' Pseudolus. m. The Archaising Movement, Republican Comedy and Aulus Gellius' Noctes Atticae, in « BICS », Suppl. 51 (= Studies in honour of O. Skutsch), London I988, pp. s8-6o. 2. Livio Andronico è ricordato in inst. x 2 7; Cecilio Stazio in 1 8 n; x I 99; XI I 39; Plauto solo in x I 99 (come esempio della debolezza della commedia latina rispetto alla greca; cfr. quanto ho scritto in Gli annali di Ennio alla scuola del grammaticus, in « RFIC », a. cxvn I989, pp. 55 sgg. 3· Cfr. da ultimo O. Skutsch, The Annals ojQ. Ennius, ed. with introd. and comm., Oxford, Clarendon Press, I985, p. 29. Diversamente J. Vahlen, Ennianae poesis reliquiae, Lipsiae, Teubner, I9032, pp. LXXVIII sg. 4· « Veneriamo Ennio come quegli antichi boschi sacri, nei quali le grandi e vetuste querce hanno piu valore religioso che bellezza ».

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LEOPOLDO GAMBERALE

Solo Terenzio e Lucilio sembrano in certa misura incontrare i gu­ sti di Quintiliano. s È significativo, relativamente alla prosa, il fatto che Catone il Vecchio, benché considerato un modello di tradizionale virtli, sia fra gli autori di cui Quintiliano sconsiglia la lettura agli aspiranti oratori: l'eccessiva durezza in cui si rischia di incorrere scegliendo come modello Catone è vitium opposto, ma altrettanto grave, di quello che capita a chi si lascia rammollire dall'eloquenza piu re­ cente ( inst. n 5 21-22).6 Piu radicalmente Svetonio, descrivendo gli inizi dell'attività di Probo (gramm. 24 2; sul noto passo ritorneremo), dice che in pro­ vincia durava, all'epoca, la antiquorum memoria, « non ancora del tutto bandita come a Roma » (necdum omnino abolita sicut Romae) . Dopo l'inizio del secondo secolo il quadro sembra sostanzial­ mente cambiato; 7 di nuovo, largo interesse appaiono godere i poeti arcaici, in speciale misura i comici e particolarmente Plauto, ma anche Ennio epico e satirico, e addirittura Livio Andronico. Si leggono e si commentano gli storici di età repubblicana anteriori a Sallustio,s da Catone fino a Sisenna e Claudio Quadrigario; si stu­ diano con rinnovato fervore gli oratori arcaici, a cominciare da Ca­ tone fmo ai Gracchi e a Cecilia Metello Numidico. s. Di Terenzio Quintiliano non cita molto, soprattutto l'Eunuchus (una volta anche l'Andria e il Phormio); ma, nella generale svalutazione della commedia latina, di lui so­ lo dà un giudizio stilistico almeno in parte positivo (inst. x 1 99): « gli scritti di Terenzio . . . sono i piu eleganti in questo genere - cioè la commedia -, e avrebbero avuto un fa­ scino ancora maggiore se fossero stati composti in trimetri » (anziché in senari). Per quanto riguarda Lucilio, basti ricordare il giudizio assai personale di Quintiliano in inst. x 1 94: « Io dissento tanto da quelli - i fanatici di Lucilio - quanto da Orazio, che pensa che Lucilio "scorra fangoso" e che "c'è qualcosa che si potrebbe togliere". Per­ ché in Lucilio c'è straordinaria cultura e franchezza e anche asprezza e abbondanza di spirito ». 6. Duo autem genera maxime cavenda pueris puto: unum, ne quis eos antiquitatis nimius ad­ miratorin Gracchorum Catonisque et aliorum similium lectione durescere velit;fient enim horridi atque ieiuni . . . alterum, quod huic diversum est, ne recentis huius lasciviaeJlosculis capti volupta­ te prava deleniantur. 7. Naturalmente schematizzo: si veda quanto dico piu avanti nel testo a proposito della seconda metà del secolo, e in particolare delle testimonianze di Seneca e Plinio il Giovane. 8. La fortuna di Sallustio è ininterrotta almeno fino all'epoca di Frontone e Gellio: cfr. R. Syme, Sallustio, trad. it. di S. Galli, Brescia, Paideia, 1968, pp. 300 sgg.; A. La Pen-

LA R I S C O PE RTA DELL' ARCAICO

Gli inizi di questa rinascita arcaizzante sarebbero da porre in connessione con l'impero di Adriano (nr-38), le cui predilezioni per gli antichi scrittori sono definite nellà biografia dell' Historia Augusta (16 6): Ciceroni Catonem, Vergilio Ennium, Sallustio Coelium praetulit.9 Ma al di là dell'influenza, piuttosto discussa, 10 dell'imperatore sugli orientamenti letterari contemporanei, il leader di questo mo­ vimento sarebbe il massimo oratore dell'epoca, il maestro di Mar­ co Aurelio, Marco Cornelio Frontone. Definite le linee essenziali del quadro in modo estremamente sommario e per ciò stesso impreciso, è necessario scendere nei particolari. 2.

FRA

PRIMO E SECONDO SECOLO

Innanzi tutto di una tendenza arcaizzante abbiamo notizie, per quanto sporadiche e non sempre coerenti, per tutto il corso del primo secolo. Secondo Svetonio (Aug. 86) Augusto rimproverava il gusto arcaistico a Tiberio, et exoletas interdum et reconditas voces aucu­ panti; 1 1 peraltro lo stesso Svetonio, nella vita di Tiberio, sembra considerare l'imperatore piuttosto un purista.12 È interessante rias­ sumere un aneddoto raccontato ancora da Svetonio (gramm. 22 23) e, con piu particolari, da Cassio Dione (Lvn 17 2) , anche perché è na, Congetture sullafortuna di Sallustio nell'antichità, in Studia Fiorentina A. Ronconi sexage­ nario oblata, Roma, Ed. dell'Ateneo, I970, pp. I95 sgg. 9· « Antepose Catone a Cicerone, Ennio a Virgilio, Celio Antipatro a Sallustio ». IO. H. Bardon, Les empereurs et les lettres latines d'Auguste à Hadrien, Paris, Les Belles Lettres, I9682, p. 394, sostiene che l'arcaismo, con Adriano, rientra nell' « obbedienza al potere »; piu giustamente R. Marache, La critique littéraire de langue latine et le dévelop­ pement du gout archa'isant au II• siècle de notre ère, Rennes, Phlion, 1952, p. n6, afferma che il ruolo dell'imperatore nella diffusione del movimento arcaizzante non fu decisivo. n. « [Tiberio] » che andava a volte a caccia di parole in disuso e antiquate ». Cfr. J.F. D'Alton, Roman Literary Theory and Criticism. A Study in Tendencies, London-New York­ Toronto, Longmans, Green & Co., I93I, p. 327. I2. Svetonio, Tib. 70 I: in oratione Latina secutus est Coroinum Messalam, quem senem adulescens obseroarat. Sed adfectatione et morositate nimia obscurabat stilum (« il suo modello oratorio fu Messalla Corvino, che aveva ascoltato da ragazzo quando l'oratore era già vecchio. Ma rendeva oscuro il suo stile con un'eccessiva ricercatezza e tendenza al purismo »).

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di un tipo che vedremo ricomparire proprio in contesto e in am­ bienti arcaizzanti. Tiberio aveva usato in un editto una parola che si diceva non latina, e aveva chiesto a molti grammatici una specie di approvazione. Per adulare l'imperatore uno dei piu importanti giuristi, Ateio Capitone, aveva sostenuto che, se anche nessuno prima di Tiberio avesse usato la parola, essa proprio per l'uso da parte dell'imperatore sarebbe diventata « classica ».U Ma il gram­ matico M. Pomponio Marcello replicò: Mentitur . . . Capito. Tu enim, Caesar, civitatem dare potes hominibus, verbo non potes.14 Anche alla lu­ ce di testimonianze simili, di cui si parlerà piu avanti, si può dire che l'aneddoto si riferisce al tentativo, da parte di un imperatore dai gusti oratori arcaizzanti, di imporre la propria autorità in ambi­ to linguistico. Per economia di trattazione non mi soffermo su personalità an­ che interessanti, come Asinio Pollione 15 o Quinto Aterio, di cui Seneca il Vecchio dice che usava parole antiche impiegate da Cice­ rone, ma poi abbandonate dagli altri oratori.1 6 Ma in una scorsa, per quanto desultoria, delle testimonianze relative al primo secolo, è necessario spendere qualche parola sull'epistola II4 di Seneca. Qui il filosofo, osservando che i vitia dello stile sono la manifesta­ zione dei vitia dell'uomo, esemplifica con grande finezza e lucidi13. Tiberio fece un editto, Ptli-La·ti nv� fl1Ì Aa·riv(jl XPTJOcXflEVoç. év�UflTJ�EÌc; oùv VUX't"Òç ltEpÌ aÙ't"OÙ ltcXV'taç 't"OÙç 'tà 't"OlaÙ'ta axpl�OUV'taç 1-LE't"EltÉf.L\jla't"O' ltcXVU yàp Oft ÉflEÀev aù>; attonitusque legis « terrai frugifera i », Accius et quidquid Pacuviusque vomunt. Vis imiter veteres, Chrestille, tuosque poetas? dispeream ni scis mentula quid sapiat.24

Qui è interessante almeno notare che, nonostante le differenze di « genere », la poesia dei vari arcaici è considerata tutta difficile {per salebras altaque saxa), e che Lucilio è posto, a quanto pare, al di sopra di tutti gli altri arcaici, e addirittura al di sopra di Omero. La spie­ gazione si trova, piu ancora che nel noto passo del Dialogus de orato­ ribus 23 2,2 s in Quintiliano, inst. x I 93: « Lucilio ha ancora oggi dei molte caratteristiche che nessuno ha prima di lui. E come può apprezzare Cicerone chi ritiene che non si debba cambiare nulla rispetto a Catone e ai Gracchi? Non solo; prima di loro ci fu uno stile oratorio ancora piu semplice •· Cfr. anche II 5 21; vm 3 2430; D'Alton, Criticism, cit., p. 282. Per la polemica di Quintiliano contro gli ammiratori degli arcaici una raccolta di passi con discussione, a volte un po' superficiale, è in F. Kiihnert, Quintilians Stellung zu derBeredsamkeit seiner Zeit, in « LF •, a. LXXXVII 1964, pp. 44-4723. Per la data cfr. N.M. Kay, Martial, Book XI. A Commentary, London, Duckworth, 1985, p. I. 24. « Non ti piace alcun verso che corra per un sentiero molle, ma solo quelli che cadono per scarpate e alte rupi, e secondo te è superiore anche ai versi di Omero "qui giace Metrofane, piccolo pilastro della casa di Lucilio" [= Lucilio, 580 Marx], e ti in­ canti quando leggi "terraifrugiferai'" e ogni parola vomitata da Accio e Pacuvio. Crestil­ lo, vuoi che io imiti i poeti antichi che ti sono cari? Che io possa morire se non cono­ sci il sapore del cazzo •· Sull'oscenità dell'ultimo verso cfr. il commento di Kay ad loc., pp. 252 sg. C'è forse un gioco ambiguo fra la perversione sessuale di Crestillo e la « vi­ rilità • dei versi arcaici. Per altri epigrammi riferiti al gusto arcaizzante cfr. v 10; vm 69. 25. « Vi si presenta davanti agli occhi questa gente che legge Lucilio piuttosto che Orazio e Lucrezio piuttosto che Virgilio, per cui l'eloquenza di Aufìdio Basso o Ser-

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LA RI S COPERTA DELL' ARCAICO

cultori cosi appassionati, che non esitano ad anteporlo non solo agli altri satirici, ma a tutti i poeti ».26 Tuttavia, come è stato ben vi­ sto, Lucilio sembra essere un caso particolare, un autore che ha go­ duto ininterrotta fortuna nei primi due secoli dell'impero, anche presso i classicisti, come dimostra lo stesso Quintiliano appena piu avanti (inst. x I 94) .2 7 Meriterebbe comunque uno studio approfondito, che esula dai limiti di questo lavoro, il problema della selezione dei modelli ar­ caici nel I sec. d.C. Mi limito solo a un paio di questioni. Come Marziale nell'epigramma sopra riportato, già Persia (I 76-78) no­ mina Accio e Pacuvio e di quest'ultimo ricorda addirittura una tra­ gedia specifica, 1'Antiopa.2B Ma anche per Quintiliano (inst. x I 97) la tragedia arcaica sembra rappresentata solo da Accio e Pacuvio. Si tratta di una selezione reale nelle preferenze dei lettori, o piuttosto di una specie di cliché risalente almeno a Orazio (epist. I I I ss-s 6), au­ fert l Pacuvius doctifama m senis, Accius alti,29 per designare attraverso rappresentanti emblematici tutta la produzione tragica arcaica? 30 In quest'ultima direzione sembrerebbe orientare l'analogo, relatilio Noniano non vale niente in confronto a quella di Sisenna o Varrone ». Questo è un passo famoso del discorso di Apro, nel quale compare per cosi dire una sintesi delle preferenze generali degli arcaizzanti, ma è riferito in particolare agli avvocati amanti dell'antico; cfr. il classico commento di A. Gudeman, P. Comeli Taciti Dialogus de orato­ ribus, Leipzig-Berlin, Teubner, 19142, p. 371. 26. . . . Lucilius quosdam ita deditos sibi adhuc habet amatores, ut eum non eiusdem modo operis auctoribus, sed omnibus poetis praiferre non dubitent (per il testo di Quintiliano che segue immediatamente questo passo cfr. sopra, n. s) . 27- Nel testo cit. sopra, n. s . Per la fortuna di Lucilio cfr. la classica edizione di Fr. Marx, C. LuciIii Carminum reliquiae, Lipsiae, Teubner, 1904, 1, pp. ux sgg.; D'Alton, Cri­ ticism, cit., pp. 292; 307; 357 sg.; 365 sg. 28. Est nune Brisaei quem venosus liberAcci, l sunt quos Pacuvius et verrucosa moretur l An­ tiopa, aerumnis cor luctificabileJulta ( « c'è qualcuno a cui piace il libro venoso del Dioni­ siaco Accio, o anche Pacuvio e la bitorzoluta Antiopa, forte nel cuore addolorato per le sventure »). I commenti richiamano in genere i testi che ho citato sopra, Seneca, Mar­ ziale, il Dialogus de oratoribus: cfr. ad es. A. Persii Flacci Satirae, ed. . . . G. Némethy, Buda­ pestini, Acad. Lit. Hungarica, 1903, pp. 89-92; Auli Persi Flacci Saturae, testo crit. e comm. a cura di N. Scivoletto, Firenze, La Nuova Italia, 1956, pp. 20 sg. 29. « Pacuvio ha fama di vecchio erudito, Accio di uno stile "sublime" ». Per il com­ mento al passo cfr. C.O. Brink, Horace on Poetry. Epistles Book II. The Letters to Augustus and Florus, Cambridge, Univ. Press, 1982, pp. I04-6. 30. Sul fatto che Pacuvio e Accia sono tradizionalmente i rappresentanti della tra­ gedia arcaica cfr. Brink, Horace, cit., p. 104. Sulla posizione preminente dei due trage-

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vamente frequente accostamento, in ambito oratorio, di Catone e dei Gracchi. Oltre al passo già citato sopra (Quintiliano, inst. n 5 21) , cfr. anche Quintiliano, inst. vm 5 33; Tacito, dial. r8 2; Plinio il Gio­ vane, epist. I 20 4 (bis); Frontone,31 p. 49, 20 vdH2; Apuleio, apol. 95; e ancora Servio, ad Aen. XI 301. In questo caso, tuttavia, almeno da parte degli arcaizzanti di età antonina, sembra di cogliere, come si dirà, piu di un indizio di una effettiva predilezione per l'oratoria soprattutto del Censore e di Gaio Gracco. Per tornare sinteticamente alla fine del I secolo: l'emergere, at­ traverso numerose testimonianze, delle tendenze arcaizzanti sia nell'oratoria che nella poesia è stato variamente interpretato come una ricerca di originalità,32 come una corrente anticlassica33 o vi­ ceversa come una sostanziale prosecuzione del classicismo,34 o co­ me un movimento minoritario e poco appariscente fino alla « esplosione » del II secolo; 35 esso è comunque indiscutibile e, co­ me è stato notato, si struttura a diversi livelli per quanto concerne gli autori preferiti, letti o anche imitati. C'è, da parte di alcuni, la tendenza a scegliere i piu antichi; come è stato detto già molti anni fa da A. Klotz, « al posto di "antico è bello" subentra il motto "piu antico è meglio" ».3 6 Si comprende a questo punto come la radicale affermazione di diografì è indicativo l'aneddoto narrato da Gellio, xm 2, sull'incontro a Taranto di Pa­ cuvio vecchio con Accio giovane. 31. Tutte le citazioni frontoniane sono fatte da M. Come/ii Frontonis Epistulae, sche­ dis taro editis quam ineditis E. Hauleri usus iterum edidit M.PJ. van den Hout, Leip­ zig, Teubner, 1988, abbreviato vdH2• 32. Sostanzialmente parallela ma opposta alla tendenza « moderna » di Seneca e poi di Tacito. 33· Di due tendenze opposte parla ad esempio P. Steinmetz, Untersuchungen zur la­ teinischen Literatur des zweitens]ahrhunderts nach Christi Geburt, Wiesbaden, Steiner, 1982, pp. 28-29, che nota anche a piu riprese, secondo me giustamente, che un ruolo non piccolo deve averlo avuto la scuola, sia dal punto di vista della conservazione dell'an­ tico, sia nell'attività di commento ad autori arcaici e classici, da parte di numerosi grammatici. 34· Cfr. ad es. A. Klotz, Klassizismus und Archaismus. Stilistisches zu Statius, in « ALL », a. xv 1908, p. 416. 35· Cfr. ad es. M. D. Brock, Studies in Pronto and His Age, Cambridge, Univ. Press, 19II, pp. 31 sgg. Nettamente piu sfumata la posizione di Marache, Critique, cit., pp. 2966; ma anche lui tende a sottovalutare, secondo me, le testimonianze del I sec. d.C. 36. Klotz, Klassizismus, cit. sopra a n. 34.

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Svetonio relativa alla antiquorum memoria non possa essere presa al­ la lettera.37 Ma è comunque verosimile che alla conoscenza di non pochi testi e autori arcaici abbiano portato grave danno gli incendi che devastarono le biblioteche pubbliche di Roma nella seconda metà del I secolo. La biblioteca Palatina, fondata da Augusto, do­ vette essere ricostruita dopo l'incendio del 64)8 Da Cassio Dione (Lxvi 24 2) apprendiamo che anche la biblioteca del Portico di Ot­ tavia fu distrutta nell' 8o da un altro incendio.39 Sappiamo da Sve­ tonio (Dom. 20 1) che Domiziano si adoperò molto per la ricostru­ zione delle biblioteche distrutte dagli incendi (o dall'incendio?), e cercò di rimpiazzare con ogni mezzo i fondi perduti, facendo ve­ nire manoscritti da ogni parte dell'Impero e inviando copisti ad Alessandria per trascrivere e correggere testi,40 ma ignoriamo pur­ troppo a quali biblioteche precisamente Svetonio si riferisca (si pensa per lo piu a quella del Portico di Ottavia) 4 1 e soprattutto non sappiamo a quante e quali perdite non si sia potuto rimediare. In complesso dunque dobbiamo affidarci alle informazioni, piuttosto selettive, delle fonti letterarie, e possiamo ritenere co­ munque che la scuola a Roma avesse nel I secolo d.C. molto ridot­ to l'interesse per gli arcaici, mentre rimaneva decisamente piu conservatrice in provincia.42 Ma anche questa non era, probabil37- Si veda quanto aveva autorevolmente sostenuto Fr. Leo, Plautinische Forschungen, Berlin, Weidmann, 19122, pp. 23 sgg. Che Probo non dovesse essere considerato in senso stretto l'iniziatore del movimento arcaizzante lo aveva affermato, per quanto sulla base di argomenti discutibili, già A. Koette, Probus, in « PhW», a. xLIII 1923, p. 261. Per la bibliografia piu recente sul grammatico di Berlto cfr. sotto, n. 143. Per la scarsa influenza di Probo sul grande pubblico cfr. Marache, Critique, cit., p. 65. 38. Cfr. da ultimo S. Timpanaro, Per la storia dellafilologia virgiliana antica, Roma, Sa­ lerno Ed., 1986, pp. 36-38 (in assoluto uno dei piu bei libri sulla filologia e la critica let­ teraria - non solo virgiliana - nei primi due secoli dell'Impero); Ch. Callmer, Antike Bibliotheken, in « Opuscula Archaeol. », 3, Inst. Rom. regni Sueciae, Lund-Leipzig 1944, pp. 156 sgg. 39. Timpanaro, Per la storia, cit., p. 36; Callmer, Bibliotheken, cit., p. 160. 40. Liberalia studia imperli initio neglexit, quamquam bibliothecas incendio absumptas im­ pensissime reparare curasset, exemplaribus undique petitis missisque Alexandream qui describe­ rent emendarentque. 41. K.M. Coleman, The EmperorDomitian and Literature, in Aufstieg und Niedergang der riimischen Welt, (= ANRW) n 32, 5, Berlin-New York, de Gruyter, 1986, pp. 3095 sgg. 42. Cfr.J ocelyn, Studies in the Indirect Tradition, cit., p. 6o sgg., per un sintetico quadro delle preferenze letterarie e delle letture scolastiche fra fine I e II sec. d.C. 555

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mente, una situazione generalizzata, se Frontone, verso il 143, scri­ ve a Marco Aurelio che fino a ventidue anni (cioè poco dopo il ns) lui stesso non aveva praticamente letto nulla degli arcaici (pp. 19, 15 sgg. vdH2).43 Un certo affettato gusto per l'arcaico, che si rileva da alcune epi­ stole di Plinio, appare ispirato da un atteggiamento intellettualisti­ co, ma aiuta anche a capire di che genere fosse, in ambienti di cul­ tura, l'ammirazione e l'imitazione per l'antico. In epist. I 16 viene lodata l'attività letteraria di Pompeo Saturnino, oratore, storico, poeta, che nelle orazioni usa parole « sonore e an­ tiche » (sonantia verba et antiqua), ed è « paragonabile a chiunque dei veteres, che si propone come modello » (quorum est aemulus). Che queste espressioni non si riferiscano tanto, o solo, ai « classici »,44 mostra la valutazione delle poesie, giudicate simili a quelle di Ca­ tullo o di Calvo anche perché l'autore inserisce deliberatamente fra i versi molles e leggeri qualche verso « un po' duretto ».45 Ora, che la « durezza » di Catullo consistesse in alcuni aspetti della tec­ nica versificatoria, considerata ancora legata agli arcaici, aveva det­ to Plinio il Vecchio, nat. I praef. 1.46 Ma, ancora nella stessa epistola, 43· la m enim non ita tecum ago ut te duos et viginti annos natum cogitem; qua aetate ego vix­ dum quicquam veterum lectionum adegeram. Cfr. E Champlin, Pronto and Antonine Rome, Cambridge Mass., Harvard Univ. Press, I980, pp. I37 sg. per la data di nascita di Fron­ tone, e p. 52 per l'interpretazione di questo passo; lo stesso Champlin, p. 2I, ritiene che l'educazione di Frontone sia avvenuta, almeno nell'ultima parte, a Roma. A p. I3I data l'epistola da cui cito sopra fra il I luglio e il 13 agosto I43· 44· Sembra crederlo H. Bardon, La littérature Latine inconnue, 2, Paris, Klincksieck, I956, p. I98. 45· epist. 1 I6 5: Praetereafacit versus, quales Catullus aut Calvus. Quantum illis leporis dul­ cedinis amaritudinis amoris! inserit sane, sed data opera, mollibus levibusque duriusculos quos­ dam; et hoc quasi Catullus aut Calvus. 46. " Namque tu solebas nugas esse aliquid meas putare », ut obiter emolliam Catullum con­ terraneum meum . . . ; ille enim, ut scis, permutatis priori bus syllabis duriusculum sefecit quam vo­ lebat aesti mari a Veraniolis suis et Fabullis ( « "infatti tu solevi ritenere che le mie nugae va­ lessero qualcosa"; mi esprimo cosi per ammorbidire, incidentalmente, il mio conter­ raneo Catullo . . . ; egli infatti, come sai, cambiata la quantità delle prime due sillabe si rese un po' piu duretto di quanto voleva farsi ritenere dai suoi amici Veranio e Fabul­ lo »). Plinio, rivolgendosi nell'epistola prefatoria a Tito, normalizza il falecio di Catul­ lo I 4 solo cambiando l'ordine delle parole, cosicché, al posto di un giambo iniziale (meas) viene a trovarsi uno spondeo (nugas). Sul passo cfr. G. Pascucci,La lettera prefato­ ria di Plinio alla 'Naturalis historia', ora in Id., Scritti scelti, n, Firenze, Università, 1983, p. 934-36. 55 6

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di alcune lettere della moglie di Pompeo Saturnino si dice che sembrava di leggere Plautum vel Terentium metro solutum ( « Plauto o Terenzio in prosa >)) , e che era merito di Pompeo Saturnino aver re­ so la moglie « cosi colta >) (tam doctam tamque politam)Y Di notevole interesse è anche un altro amico di Plinio il Giovane, Virgilio Ro­ mano, ricordato in epist. VI 21, probabilmente del 107.48 È infatti scrittore di commedie e di mimiambi: per le prime Plinio dice con chiarezza che si tratta di palliatae, regolarmente modellate sulla Commedia nuova, che potrebbero essere annoverate fra quelle di Plauto o di Terenzio.49 Per i secondi è legittimo supporre che il modello, latino, sia stato Cn. Mazio, scrittore degli inizi (?) del I se­ colo a.C. e, ciò che piu ci interessa, ammirato da Gellio per la sua abilità nel coniare neologismi (xv 25; xx 9). Ma piu di tutto è singo­ lare il fatto che Virgilio Romano abbia composto addirittura una commedia ad imitazione della Commedia antica, scritta a quanto pa­ re in latino, il che è assolutamente un unicum; so ciò mostra che c'e­ ra chi, anche nella ricerca dei modelli greci, si spingeva piu indie­ tro possibile. Non importa qui tanto il fatto che con tutta probabi­ lità questa specie di divertissement letterario era destinato solo alla lettura, e forse solo per gli amici (o al massimo alla recitazione per un numero ristretto di persone) ,51 quanto la manifestazione di una tendenza letteraria. Che gli scrittori di teatro arcaici fossero letti in età imperiale lo abbiamo visto. Si è invece molto discusso se fossero rappresentati a teatro, e addirittura se palliate e tragedie avessero comunque una destinazione teatrale. L'opinione oggi prevalente è negativa, an47· Cfr. il commento di P. Cugusi, Ricerche sulla letteratura latina dell'età traianea, Ca­ gliari, Università, 1974, pp. 31 sgg. 48. L'epistola non è databile con precisione, ma una buona parte delle lettere del VI libro può datarsi fra il 106 e il 107, cfr. A.N. Sherwin-White, The Letters ofPlinius. A Historical and Social Commentary, Oxford, Clarendon Press, 1966, pp. 36 sg. 49. Scripsit comoedias Menandrum aliosque aetatis eiusdem aemulatus; licet has interPlauti­ nas Terentianasque numeres. so. Nune primum se in vetere comoedia, sed non tamquam inciperet, ostendit. Poco piu che un cenno al problema in M. Schuster, s.v. Vergilius Romanus, in RE vm A, coll. 1056 sg. 51. Cfr. Bardon, La littérature, 2, cit., p. 218.

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che se qualche dubbio rimane; 52 ma è certo che fino all'età adria­ nea si sono continuate a scrivere pièces del genere di quelle di Plau­ to e Terenzio. La testimonianza piu interessante (e forse, cronolo­ gicamente, l'ultima) è quella di Marco Pomponio Bassulo, di cui conserviamo l'epitaffio, scritto verosimilmente dal poeta stesso, in buoni senari giambici ( CIL IX 1164 = CLE 97: Eclano): Ne more pecoris otio tran.ifungere[r,] Menandri paucas vorti scitas Jabulas et ipsus etiam sedulo finxi novas. Id quale qualest chartis ma[n]datum diu. Verum vexatus animi cu[r]is [a]nxiis, non nullis etiam cotpo[ris doijoribus, utrumque ut esset taed[iosum ultr]a modum, optatam mortem sum pot[itus. Ba] mihi suo de more cuncta [dat lev]amina. Vos in sepulchro [h]oc elo�ium inc]idite, quod sit docimento post Jo[ . ]q[ . . . . . . ]ibus immodice ne quis vitae sco[pulis hae]reat, cum sit paratus portus eiac[ulant]ibus, qui nos excipiat ad quiet[em petpet]em. Sed iam valete, donec vi[vere exped]it.53

52. Per una informazione sul problema cfr. L. Di Gregorio, Cellio e il teatro, in « Ae­ vum Antiquum », a. 1 1988, pp. 103 sgg. (lavoro ricco per quanto riguarda l' informazio­ ne, non sempre da condividere nella sostanza); per il periodo precedente (nonostante il titolo) H.A. Kelly, Tragedy and the Performance ofTragedy in Late Roman Antiquity, in «Traditio », a. xxxv 1979, in partic. pp. 27 sgg.;J.-M. André, Les "ludi scenid"et la politique des spectacles au début de l'ère antonine, in Actes du IX• Congrès de l'assoc. G. Budé (Rome 1973), Paris, Les Belles Lettres, 1975, in partic. le pp. 470 sgg. Nel classico libro sul teatro romano di W. Beare, The Roman Stage, London, Methuen, 19552, pp. 228 sgg., l'autore sostiene che all'inizio del II sec. d.C. le rappresentazioni di testi drammatici doveva­ no ancora aver luogo, seppure occasionalmente. Interessante per il numero dei teatri e dei posti a teatro Steinrnetz, Untersuchungen, cit., pp. 344 sgg. 53. « Per non trascorrere la vita nell'ozio come le bestie, ho tradotto alcune fini commedie di Menandro, e mi sono impegnato a comporne io stesso di nuove. Quale che ne sia il valore, è da tempo affidato ai libri. Ma io, tormentato da preoccupazioni angosciose, e anche da molti dolori del corpo, cosi che le une e gli altri mi disgustava­ no oltre misura, ho conquistato la morte desiderata che, come è suo costume, mi dà ogni sollievo. Voi incidete sul mio sepolcro questo elogio, che sia di insegnamento (?), perché nessuno stia attaccato eccessivamente agli scogli della vita, mentre è pronto per coloro che se ne liberano (?) un porto, per accoglierci per il riposo eterno. 55 8

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Di questo testo si è sottolineata da tempo l'eccezionalità; 54 qui non importa tanto rilevare la singolare esortazione al suicidio, quanto il tono terenziano dei primi versi, 55 la presenza di specifici arcaismi come ipsus per ipse, che, non raro nei comici arcaici, ri­ compare probabilmente in Frontone (p. 77, 4 vdH2),56 la ripresa di Sallustio nel primo verso 57 (è noto quanto Sallustio fosse amato dagli arcaizzanti); e ancora: Pomponio Bassulo non si è limitato, come i comici arcaici, a tradurre testi menandrei, ma ha anche composto commedie « nuove ». Questa caratteristica, che è stata interpretata come un ricorso alla cosiddetta contaminatio 58 o come un altro segno di vicinanza con Terenzio,59 potrebbe anche indica­ re, pur nel solco della tradizione, un distacco dai modelli greci e rappresentare dunque un segno di novità. Infine, si è visto nel v. 4 uno dei tanti indizi dell'allontanamento dei componimenti teatra­ li della scena, e della loro destinazione prevalentemente libresca (chartis mandatum). Sembra comunque che dopo Pomponio Bassu­ lo nel Il secolo d.C. non ci siano piu notizie di autori di palliate: 60 Ed ora salute a voi, finché vi giova (o "vi piace"?) vivere •· Accolgo, non senza qualche esitazione, il testo di Buecheler, incerto in piu di un punto (ciò che determina anche talune incertezze della traduzione), segnalando solo, per esigenza di brevità, la buona proposta di Ritschl al v. 7, taed[io mi ultr)a o quella di Quicherat al v. 9, [da t soijamina. Cfr. per il resto, oltre le note di apparato di Buecheler, gli studi citati sotto, alle nn. 54, 55 e 57· 54· Già p. es. da Fr. Ritschl, De Pomponii Bassu/i epigrammate, in « Ind. schol. Bonn. », I847-48, pp. m sgg. (ora in Id., Opuscula philologica, IV, Lipsiae, Teubner, I878, pp. I6 sgg.); L. Quicherat, Sur la restitution d'une inscription tumulaire en vers iambiques, in « Rev. archéol. •. a. XI I854, partic. pp. 747 sgg. (anche se, pur notando che l'arcaismo è tipico dell'età antonina. Q. datava il testo al III sec.). 55- Cfr. L. Alfonsi, Un "protrettico" epigrafico di età imperiale, in « Epigraphica •, a. xxvi I964, pp. 59 sgg. 56. Van den Hout2 legge ipsius, con la seconda mano del codice; ma penso che vada mantenuta la forma arcaica, come testimonia la prima mano del ms., e come era a p. 78, 24 della prima ediz. di van den Hout, Lugduni Batavorum, Brill, I954· 57· Catil. I I: homines . . . ne vitam si/entio transeant sicuti pecora. Commento e discussio­ ne della bibliografia precedente in P. Cugusi, Aspetti letterari dei carmina Latina epigra­ phica, Bologna, Pàtron, I985, p. I03. 5 8. André, Les "ludi scenici'; cit., p. 472, credo a torto, perché anche le commedie « contaminate » erano traduzioni di modelli greci. 59· Alfonsi, Un protrettico, cit., pp. 62-64. 6o. Bardon, La littérature, 2, cit., p. 2I8; Steinmetz, Untersuchungen, cit., p. 348.

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LEOPOLDO GAMBERALE questo genere di arcaismo non sarebbe piu un'attività letteraria, ma soltanto un recupero di testi e di autori « antichi ». 3·

ADRIANO

Un impulso decisivo e autorevole all'affermazione del gusto ar­ caizzante lo avrebbe dato, secondo alcuni, personalmente l'impe­ ratore Adriano; ma questa è probabilmente una sopravvalutazione del suo attivo partecipare a ogni campo culturale. Certo, oltre a una cospicua attività di scrittore in greco e in latino, l'imperatore sembra mostrare in certa misura un interesse al controllo dell'atti­ vità letteraria. Il biografo dell' Historia Augusta ci parla a due riprese dei suoi difficili rapporti con grammatici retori filosofi: quamvis es­ set oratione et versu promptissimus et in omnibus artibus peritissimus, tamen professores omnium artium semper ut doctior risit, contempsit, obtrivit. Cum his ipsis professoribus et philosophis libris vel carminibus invicem editis sae­ pe certavit,61 rapporti che arrivavano fino al punto di esonerarli da­ gli incarichi pubblici quando gli sembravano incapaci.62 In quanto si riteneva piu competente { ut doctior), Adriano pretendeva di affer­ mare la sua autorità anche in campo linguistico. Un aneddoto del­ l' Historia Augusta {15 12-13) racconta di una disputa con Favorino, filosofo neosofista la cui grande conoscenza e il cui profondo stu­ dio delle parole antiche sono spesso lodati da Gellio,63 in cui il filo­ sofo aveva ceduto ad Adriano a proposito di una parola che pure era usata da idonei auctores,64 con la motivazione che bisognava am­ mettere che fosse « piu dotto di tutti, quello che aveva trenta legio61. HA 15 10-11: « benché componesse in prosa e in versi con grande facilità e rapi­ dità e fosse espertissimo in tutte le arti liberali, derise, disprezzò, umiliò, in quanto si riteneva piu competente, i docenti di tutte le discipline. Con questi docenti ed anche con i filosofi gareggiò spesso pubblicando in contrasto con loro libelli e carmi *· Cfr. anche 16 8. 62. HA 16 u: Doctores, qui professioni suae inhabiles videbantur, ditatis honoratisque a pro­ fessione dimisit. Cfr. il commento, da questo punto di vista un po' scarno, di H .W. Berra­ rio, A Commentary on the Vita Hadriani in the Ristoria Augusta, Ann Arbor, Scholars Press, 1980, pp. 107 sg. 63. Cfr. ad es. Gellio, I 21 4; m 3 6; m 19; IV 1; xm 25. 64. Si tratta di autori che possono essere « esemplari » per l'uso linguistico; non a caso l'espressione si ritrova in Gellio, v 20 4; x 26 5; cfr. anche Servio, ad Aen. v 823. s6o

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ni ».65 Nello stesso modo si può interpretare una testimonianza di Carisio {271, 10 sgg. B.) che sembra implicare un contrasto con Te­ renzio Scauro, uno dei massimi grammatici dell'epoca, a proposito dell'avverbio oh iter, ritenuto non latino nonostante l'uso da parte di Laberio,66 e che contiene, sullo stesso argomento, una critica ad Augusto « uomo non troppo colto » (tametsi . . . Augustus non pereru­ ditus homoJuerit). Le preferenze letterarie di Adriano sono, in verità, marcatamente arcaizzanti: Amavit genus vetustum dicendi. Controver­ sias declamavit. Ciceroni Catonem, Vergilio Ennium, Sallustio Coelium praetulit {Elio Sparziano, Hadr. 16 s-6). Se non stupisce, alla luce di quanto si è già detto, la preferenza per Catone ed Ennio, desta in­ vece una qualche sorpresa la passione per Celio Antipatro a scapito di Sallustio.67 Ma la generazione successiva, quella di Frontone e di Gellio, riafferma solidamente il predominio sallustiano e mette in complesso da parte Celio Antipatro. Ciò vuol dire probabil­ mente che le scelte letterarie di Adriano o si adeguarono a un gu­ sto già diffuso, o restarono sul piano personale, senza esercitare una influenza sensibile.68 Quanto resta dei suoi scritti latini ci offre un'immagine piutto­ sto contraddittoria, come del resto sembra fosse il carattere della persona. 69 Quel poco che abbiamo dei suoi versi è stato avvicinato 65. Ait enim [se. Favorinus) : « non recte suadetis,familiares, qui non patimini me illum doc­ tiorem omnibus credere, qui habet triginta legione n. 66. Sul passo cfr. G. Pascucci, Lexicalia: obiter, ora in Id., Scritti Scelti, cit., pp. 216 sgg. È tra l'atto singolare il fatto che l'uso dell' avverbio da parte di Laberio viene dato co­ me tutt'altro che sicuro: « quamquam • inquit [sc. Hadrianus) « apud Laberium haec vox es­ se dicatur »; singolare in quanto Laberio è autore piuttosto familiare agli arcaizzanti, al­ meno a quelli della generazione successiva, cfr. sotto, p. 573 e n. 120. Ci si aspetterebbe piuttosto una condanna di obiter p rop r i o per l'uso di Laberio, dato che ad es. Gellio in XVI 7 I osserva che Laberio oppido quam verbaJinxitpraelicenter( « ha creato parole con troppa libertà! »), e in xix 13 3 fa dire a Sulpicio Apollinare che le parole che sono state « introdotte nell'uso della lingua latina » dal mimografo sono « spregevoli e volgari » (quae [se. verba] a Laberio ignobilia nimis et sordentia in usum linguae Latinae intromissa sunt). 67. R. Syme, Hadrian the Intellectual, in Les Empereurs Romains d'Espagne, Paris, C.N.R.S., 1965, p. 249, afferma che, « se la notizia è genuina e accettabile, è sufficiente per condannare Adriano ». 68. Jocelyn, Studies in the Indirect Tradition, cit., p. 64; Marache, Critique, cit., p. n6 (cit. sopra, n. 10). 69. SHA, Hadr. 14 n: severus laetus, comis gravis, lascivus cunctator, tenax liberalis, uim-

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alla poesia preaugustea, per esempio per l'uso frequente dei dimi­ nutivi, nei dimetri giambici della famosa apostrofe alla propria ani­ ma (animula vagula blandula l eqs.),70 ma appare decisamente mo­ derno un certo sperimentalismo, che troverà conferma, tra gli altri, in qualche poeta della generazione successiva, ad es. Settimio Se­ reno: si pensi, nello stesso componimento, a dimetri con ben sei o addirittura sette sillabe brevi consecutive (v. 1: animula vagula blan­ dula; v. 4: pallidula rigida nudula) ; oppure all' epitafio per il cavallo Boristene ( CLE 1522),71 scritto in distici di dimetri giambici cata­ lettici e dimetri coriambici catalettici (vv. 1-2: Boristhenes Alanus l Caesareus veredus) .72 Per quanto riguarda la prosa, si sono cercati ar­ caismi in alcuni frammenti epigrafici di orazioni; 73 oltre a quanto afferma il passo della biografia già citato (Elio Sparziano, Hadr. 16 s), anche Frontone fa riferimento al color arcaico delle orazioni di Adriano, secondo alcuni con una punta polemica: Veteris eloquentiae colorem adumbratum ostendit Hadriana or simulator, saevus clemens et semper in omnibus varius ( « serio e allegro, affabile e sco­ stante, sfrenato e controllato, avaro e generoso, sincero e simulatore, crudele e cle­ mente e sempre mutevole in tutto ». Accolgo l'integrazione di E. Orth, al posto di di Hohl, perché è necessaria una parola che sia in opposizione con simu­ lator). I frammenti degli scritti latini di Adriano si leggono nella raccolta, utile anche se piuttosto invecchiata, di L. Cantarelli, Gli scritti latini di Adriano imperatore, in « Stud. doc. di stor. e dir. », a. XIX 1898, pp. n3-70. 70. Adriano, fr. 3 Mor. Cfr. ad es. B. Baldwin, Hadrian's Farewell to Life: Some Argu­ mentsfor Authenticity, in « CQ », n. s. xx 1970, p. 373. Questo breve componimento ha una ricchissima bibliografia, nell'ambito della quale mi limito a segnalare tre contri­ buti italiani: I. Mariotti, Animula vagula blandula, in Studia Fiorentina A. Ronconi (cit. so­ pra, n. 8), pp. 233 sgg. (assai fine per l'interpretazione, mi lascia qualche perplessità per le proposte testuali); S. Mattiacci, Iframmenti dei 'poetae novelli', introd., testo crit. e comm., Roma, Ed. dell'Ateneo, 1982, pp. 66 sgg.; Ead., Per l'esegesi della poesia novella:po­ stille e nuovi contributi, in Disiecti membra poetae, a cura di V. Tandoi, I, Foggia, Atlantica, 1984, pp. 166 sg. 71. Autentico, come giustamente credeva Buecheler: cfr. apparato al carme; che sia spurio ritiene invece A. Cameron, Poetae Novelli, in « HSPh », a. LXXXIV 1980, p. 172 n. 3· Ampia discussione ora in M.A. Vinchesi, L'epitafio di Adriano perii cavallo Boristene {CE 1522 Bucheler), in, Disiecti membra poetae, m, Foggia, Atlantica, 1988, pp. 180-93. La stu­ diosa è incline a credere che il componimento sia autentico. 72. Per i presunti errori metrici cfr. le osservazioni di Buecheler in apparato al carme. 73· Bardon, Les empereurs, cit., pp. 404-9; Id., La littérature, 2, cit., p. 196. 74· « Lo stile oratorio [oppure "L'orazione"?] di Adriano mostra l'imitazione dei caratteri dell'antica eloquenza ». Per la connotazione negativa di questa frase cfr. da

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piu naturale che l'imperatore, per esigenze di comunicazione, ab­ bia tenuto conto del fatto che i soldati a cui si rivolgeva (in Britan­ nia [CIL vm 498] o in Numidia [ILS 2487 + 9134 Dessau]) non era­ no certo il senato di Roma, e si sia espresso in uno stile lineare, orientato alla paratassi piu che all'ipotassi, e non privo di termini popolari o castrensi piuttosto che arcaici.75 Certo, Adriano deve aver favorito l'ascesa di Frontone 76 e, a quanto sembra, aver preteso un rapporto culturalmente almeno paritetico con i maggiori letterati del suo tempo (e i professionisti della letteratura: grammatici, retori); tuttavia nell'attività e nei gu­ sti letterari si può ritenere che abbia assecondato piuttosto che promosso le tendenze arcaizzantiJ7 4· FRONTONE Va in complesso riconosciuta una linea di continuità fra I e II se­ colo. Ma è anche indubbio che nell'età antonina l'arcaismo è pre­ valente. Si potrebbe sospettare che la perdita, o la condizione e­ stremamente frammentaria, di buona parte della letteratura del­ l' epoca abbia condizionato le opinioni degli studiosi moderni. Pe­ rò le fonti conservate, in primo luogo l'epistolario di Frontone e le noctes Atticae, sono significativamente mute per quanto riguarda la letteratura postaugustea e buona parte di quella augustea, con l'ecultimo B. Baldwin, Aulus Gellius and His Circle, in « AClass », a. xvi I973, p. 104 {ora in Studies in Greek and Roman History and Literature, Amsterdam, Biegen, I985, p. 288) ; F. Della Corte, Un precettore di Marco Aurelio: Frontone, in « C&S », a. xcv I985, p. 69 (ora in Id., Opuscula IO, Genova, Università, I987, p. I92) : ma l'interpretazione era già nella traduzione di C.R. Haines, The Correspondence of Marcus Comelius Pronto, London­ Cambridge Mass., Loeb, I9292, 11, p. I39: « a spurious pretence of ancient eloquence ». Frontone comunque mostra anche altrove scarsa simpatia per Adriano {p. 25, 3 sgg. vdH2). 75· Cosi giustamente, secondo me, Steinmetz, Untersuchungen, cit., pp. 209-n. 76. Bardon, Les empereurs, cit., p. 432; piu analiticamente distingue varie fasi {non tutte di accordo tta Frontone e Adriano) Champlin, Pronto, cit., pp. 79-8I; 94-96. 77- Cfr. sopra, p. 549 e n. IO. Si aggiunga quanto afferma Champlin, Pronto, cit., p. 94, sull'influsso che i gusti arcaizzanti di Adriano potrebbero aver esercitato sul giovane Frontone. Andrebbe forse riesaminato, da questo punto di vista, anche il rapporto con Floro.

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cezione parziale di Virgilio 78 e, in misura minima, di OrazioJ9 Inesistenti gli elegiaci e Ovidio, i satirici e Marziale, gli epici di età flavia; del tutto assenti gli storici, compreso Tacito. Restano, in so­ stanza, Seneca e Lucano, ma in quanto bersaglio di polemica sia letteraria che morale,80 e gli autori in varia misura « tecnici » come Plinio il Vecchio, Svetonio (non come biografo), i giuristi, i gram­ matici. Di contro, leggiamo una selva di citazioni da autori di età repubblicana, certo spesso di seconda mano; ma per gli scrittori di età imperiale mancano anche quelle. Le cause di questo apparen­ temente massiccio ritorno all'antico sono state individuate in mol­ teplici fattori. Da un lato, si è detto, la perdita di reale originalità da parte di una letteratura senza particolari impulsi creativi ha fatto affermare la ricerca dell'imitazione che, per non essere ovvia, si rivolgeva a modelli lontani nel tempo; 81 non sarebbe estraneo a questa ten­ denza il filellenismo che domina la cultura romana dell'età di Adriano.82 D'altro canto, la retorica « moderna » si sarebbe spinta sempre piu verso la ricerca dell' omatus verbale e avrebbe favorito il gusto per la parola rara e perciò arcaica.83 Ancora: la grande espan­ sione delle scuole avrebbe determinato una polarizzazione verso particolari forme di produzione letteraria, come ad esempio i commenti (naturalmente anche ad autori arcaici) o una serie di « scritti di occasione » a volte in forma epistolare, su argomenti o 78. Apprezzato molto da Gellio, assai meno, come si dirà, da Frontone. 79· Una sola citazione sicura in Frontone: serm. II 3 254-57 a p. 20, I4-I7vdH2 (e for­ se epist. 1 759 a p. 2IO, I7vdH2) ; una anche in Gellio (serm. 1 5 78 in I I 22 25. Per una remi­ niscenza di carm. I I I I I, odi profanum vulgus, in noct. praif. 20 cfr. quanto ho scritto in Re­ miniscenze poetiche e grammaticali in un passo di Cellio, in « RFIC », a. xcviii I970, pp. I94 sgg.) . So. L'aspra polemica di Frontone contro Seneca e Lucano occupa buona parte di un'epistola, p. I53 sgg. vdH2; la critica di Gellio a Seneca, in XII 2, non è meno severa. Cfr. Marache, Critique, cit., pp. I25 sgg.; 2I4 sgg. 81. Cfr. ad es. Brock, Studies in Pronto, cit., p. 33· 82. Cfr. Marache, Critique, cit., pp. 95 sgg.; D'Alton, Criticism, pp. 3IO sgg; G. Wil­ liams, Change and Decline {Roman Literature in the Early Empire), Berkeley-Los Angeles­ London, Univ. of California Press, I978, p. 312. 83. Cfr. ad es. Williams, Change and Decline, cit., pp. 307 sg.; Marache, Critique, cit., pp. 67 sgg.

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temi originati dall' attività della scuola.84 Questo tuttavia, a mio av­ viso, non basta a spiegare l'eclissi pressoché totale che sembra oscurare gli scrittori del primo secolo; entro certi limiti dobbiamo !imitarci a constatare i fatti e a definire alcuni aspetti della nuova situazione. In una società letterata che si presenta spesso come bilingue (ma la scelta del greco, da parte di Favorino e ancor piu di Marco Aure­ lio, si identifica con la scelta della filosofia), il piu illustre rappre­ sentante della cultura e della lingua latina è Frontone. Su di lui ha pesato fino a tempi molto recenti la svalutazione fat­ tane dagli stessi editori e studiosi,ss delusi dopo la scoperta e la pubblicazione dell'epistolario da parte di Angelo Mai nel I8I5,86 perché dalle lettere emerge una personalità ben piu modesta del maestro di lingua e stile presentato da Gellio, e definito in un pa­ negirico del 29 7 Romanae eloquentiae non secundum, sed alterum de­ cus. 87 Quel che è certo è che un epistolario privato, del quale a 84. Steinmetz, Untersuchungen, cit., pp. n6 sg., individua cinque tipi di opere carat­ teristiche dell'epoca: 1) le introduzioni a singole parti di una disciplina (come le Insti­ tutiones di Gaio); 2) le esposizioni generali dei risultati di un'intera area scientifica (come il De Platone et eius dogmate di Apuleio); 3) i commenti (come quello dei giuristi all' edictum perpetuum); 4) le opere di insegnamento linguistico; s) gli scritti di occasio­ ne originati dall'attività della scuola (come quelli di Terenziano Mauro sulla metrica). La reale consistenza di alcuni di questi gruppi andrebbe riesaminata in modo appro­ fondito. 85. Si veda l'intelligente rassegna di P.V. Cova, Problematicafrontoniana, in « BSL », a. I 19 71, pp. 466 sgg. 86. M. Cornelii Frontonis l Opera inedita l cum epistulis item ineditis l Antonini Pii M. Aure/ii L. Veri l et Appiani l nec non aliorum veterum fragmentis l invenit l et commentario praevio notisque illustravi! lAngelus Maius lBibliothecae Ambrosianae a linguis orientalibus. l Pars prior-Pars altera l cui addunturseu edita seu cognita l eiusdem Frontonis opera l Medio/a­ ni l Regiis Typis l MDCCCXV. Su Angelo Mai cfr. S. Timpanaro, Angelo Mai, in « A&R », n. s., I 1956, pp. 3 sgg. 87- Pan. lat. vm 14 2: « una delle due glorie, non la seconda, dell'eloquenza latina ». Non è facile trovare studi equilibrati su Frontone. Un giudizio eccessivamente positi­ vo è nei lavori di F. Portalupi, Marco Cornelio Frontone, Torino, Giappichelli, 1961, e Opere di Marco Cornelio Frontone, a cura di F. P., Torino, UTET, 1974 (edizione comun­ que utilissima per essere completa, con traduzione italiana, note di commento e ric­ chi indici). Sulle tendenze della critica frontoniana, oltre la rassegna di Cova cit. sopra, n. 85, le valutazioni piu acute, per quanto sintetiche, sono in S. Timpanaro, Frontoniana, in Contributi difilologia e di storia della lingua latina, Roma, Ed. dell'Ateneo, 1978, in par­ tic. le pp. 364-69. Equilibrato è anche il libro di Champlin, Pronto, ci t., che però non ap­ profondisce particolarmente i problemi letterari e linguistici della corrispondenza

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quanto sembra l'autore non aveva previsto la pubblicazione, forni­ sce solo frammenti, per quanto significativi, di un magistero lette­ rario esercitato, a quel che si desume dalle testimonianze di Gellio, con grande autorevolezza. Si dice in genere che il primo grande fallimento di Frontone fu col discepolo imperiale, Marco Aurelio, che ne abbandonò gli in­ segnamenti linguistici e retorici per dedicarsi alla filosofia greca. È tuttavia molto probabile che l'imperatore abbia subito in modo duraturo l'influenza del maestro, se Erodiano {storico del III seco­ lo) sostiene che gli scritti di Marco Aurelio e le testimonianze dei suoi discorsi provano che « era cosi amante della letteratura antica da non essere secondo a nessuno né dei Greci né dei Romani ».ss Ma è pure certo che, al di là dell'attività professionale di mae­ stro dei principi e di avvocato (che già di per sé ne faceva un uomo culturalmente molto in vista), Frontone costituiva un punto di ri­ chiamo per la società letterata dell'epoca, come è stato di recente ribadito da E. Champlin.89 Ricaviamo da Gellio che in casa di Frontone, o comunque con lui, si riunivano giovani o personalità già affermate, a discutere problemi linguistici o letterari; può esse­ re interessante osservare a quali autori è prestata attenzione, presu­ mendo che gli episodi raccontati da Gellio siano, se non veri, nella sostanza comunque verosimili. In Gellio, n 26 una discussione tra Frontone e Favorino, sui termini di colore, vede il retore africano difendere la ricchezza della lingua di Roma citando Virgilio, ma con l'appoggio di Ennio (Annali), Nigidio Figulo e Pacuvio (Nip­ tra); in Gellio, xm 29 Frontone spiega un passo dello storico Clau­ dio Quadrigario {contemporaneo di Sisenna),90 nel quale compafrontoniana. Cfr. anche A. Pennacini, L'arte della parola, nel vol. n di quest'opera, pp. sgg., con punti di vista un po' diversi da quelli esposti qui di seguito. 88. I 23: 'Aperijç M 1tliOT]ç ej.LeÀev airtiì>, Mywv 'te apxatO'tl]'tOç Tjv epaa'tf]ç, wç

242

IJ.T]l]ÀOi l>è ocra xaì eç TJj.Liiç TjÀfiev ii Àexl}év•a 1tpòç aÒ'toii ii ypaq>Év'ta.

89. Champlin, Pronto, cit., in partic. le pp. 29 sgg. (Literary Society at Rome) e 45 sgg. (The Man ofLetters). Sull'importanza del contubemium non solo nelle relazioni sociali ma anche in quelle didattiche cfr. pp. 45-48. go. Per la considerazione in cui è tenuto Quadrigario dagli arcaizzanti cfr. A. Ron-

s66

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re l'espressione multi mortales (nel senso di multi homines).91 Un' af­ fermazione del De analogia di Cesare a proposito di parole pluralia o singularia tantum (fr. 3 Fun.) è commentata e corretta da Frontone in Gellio, XIX 8, in base a Plauto (Poen. 365) ed Ennio (Aiax 12 sg. V.2). In Gellio, XIX 10 il significato dell'avverbio praeterpropter ( « ap­ prossimativamente ») è spiegato con l'uso che ne hanno fatto Ca­ tone e soprattutto Ennio nel famoso coro di soldati dell' Iphigenia (scen. 234 sgg. V.2). Oltre alla scelta degli autori, è interessante osser­ vare che la posizione di Frontone è quella di un'autorità in fatto di problemi linguistici e lessicali, ed è a questa autorità che si inchina Favorino, sostenitore del greco (si ricordi che nell'aneddoto citato sopra, p. 560, il filosofo aveva ceduto all'autorità m ili t are e i m­ p eri a l e di Adriano) : « Se non fosse per te, e forse per te solo, la lingua greca sarebbe senz' altro prevalsa; ma tu, mio Frontone, ren­ di vero ciò che dice Omero: "e ora o saresti passato avanti o avresti reso la vittoria dubbia" ».92 Non solo: al di fuori della sua attività istituzionale Frontone può assegnare un « compito » ai suoi giova­ ni ospiti, quello cioè di verificare, mediante la ricerca negli autori « antichi >>, il corretto impiego di certi vocaboli.93 Ma c'è di piu. Si ricordi l'opposizione di Pomponio Marcello a Tiberio (sopra, p. sso): ebbene, in modo esattamente opposto uno dei massimi gramconi, Cellio e la lingua di Claudio Quadrigario, ora in Da Omero a Dante, Urbino, Argalia, 1981, pp. 257 sgg. 91. Si tratta in realtà di un arcaismo di matrice neviana e, per quanto riguarda Qua­ drigario, forse catoniana, cfr. Cato, or. fr. 58 Male.: decemviri Bruttianos verberavere, videre multi mortales): cfr. Ronconi, Cellio e la lingua. cit., pp. 263-6792. Gellio, II 26 20: Absque te . . . uno Jorsitan lingua profecto Craeca longe anteisset; sed tu, mi Pronto, quod in versu Homerico est, id facis: Kai vv xcv r, napO.aaaaç r, aJJ.rp'fjpza-rov éflr,Kaç.

93· Gellio, xrx 8 15-16: « Ite ergo nunc et, quandoforte erit otium, quaerite, an "quadrigam" et "harenas" dixerit e cohorte dumtaxat illa antiquiore ve! oratorum aliquis ve! poetarum, id est classicus adsiduusque aliquis scriptor, non proletarius ». Haec quidem Pronto requirere nos iussit non ea re, opinor, quod scripta esse in ullis veterum libris existumaret, sed ut nobis studium lecti­ tandi in quaerendis rarioribus verbis exerceret. ( « Ora dunque andate e, quando avrete tem­ po libero, cercate se abbia detto quadriga [al singolare] o harenae [al plurale] qualche oratore o poeta, ma solo di quella coorte piu antica, cioè qualche scrittore "classico" e "cittadino", non "proletario" ». Frontone ci fece fare questa ricerca, io credo, non per­ ché pensasse che quelle parole potessero essere scritte in qualche opera degli antichi, ma per mettere alla prova le nostre capacità di lettura nella ricerca delle parole rare).

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matici di età antonina, Sulpicio Apollinare, sostiene {su richiesta di Frontone) che la parola nani, di origine greca e di uso non classico in latino, « avrebbe potuto ricevere il diritto di cittadinanza o esse­ re dedotta nella colonia delle parole latine, se Frontone la avesse usata ».94 Un simile prestigio si esercita in un ambiente che, per condivi­ dere determinate scelte letterarie, seleziona da un lato autori e te­ sti che debbono (o meritano di) essere letti e ricordati, dall'altro uomini colti e maestri che si dedicano allo studio dell'antico. Non è un caso che i frammenti piu lunghi delle orazioni di Ca­ tone il Vecchio siano tramandati da Frontone e da Gellio; come ha scritto R. Marache, Catone torna ad essere il modello supremo dell'oratoria e in genere della prosa latina,95 anche al di sopra di Sallustio, se non nella valutazione di Frontone stesso, almeno nelle preferenze del giovane Marco Aurelio, che scrive: Ego tibi de patro­ no meo M. Porcia gratias ago, quod eum crebro lectitas; tu mihi de C. Crispo timeo ut numquam gratias agere possis, nam uni M. Porcio me dedicavi at­ que despondi atque delegavi; 96 anche al di sopra di Cicerone: Mitte mi­ hi aliquid quod tibi disertissimum videatur, quod legam, vel tuum aut Cato­ nis aut Ciceronis aut Sallustii aut Gracchi aut poetae alicuius . . . etiam si qua Lucretii aut Enni excerpta habes.97 È stato detto che in questa ri­ chiesta di Marco Aurelio al maestro c'è un ordine di preferenza (almeno nelle posizioni di Catone e Cicerone).98 Non ne sarei del tutto sicuro; ma è certo che il retore di Cirta individua il principale difetto di Cicerone oratore nella insufficiente ricerca delle parole: verum is (scil. Cicero) mihi videtur a quaerendis scrupulosius verbis procul afuisse.99 Non è qui il caso di tornare su quella che è stata definita 94· Gellio, XIX 13 3: Fuisset autem verbum hoc a te civitate donatum aut in Latinam colo­ niam deductum, si tu eo uti dignatus fores. 95. Marache, Critique, cit., pp. 163 sgg. (per Gellio pp. 281 sgg.). 96. P. 34, 18-21 vdH2: « Io ti ringrazio riguardo al mio patrono Catone, perché lo leggi assai spesso; riguardo a Sallustio temo che mai tu mi possa ringraziare, perché mi sono dedicato e votato e affidato al solo Catone ». 97· P. 105, 12 sgg. vdH2: « Mandami qualcosa da leggere che ti sembri eloquente al massimo grado: un brano tuo o di Catone o di Cicerone o di Sallustio o di Gaio Grac­ co o di qualche poeta . . . anche qualche brano di Lucrezio o Ennio, se ne hai ». 98. Marache, Critique, cit., p. 163. 99. P. 57, 8 sg. vdH2: « tuttavia mi pare che Cicerone si sia tenuto lontano da una ris6s

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> e che comunque possono esse­ re estremamente indicative di un gusto. Riporto solo due esempi da lettere di Marco Aurelio: a p. 28, 9 sgg. vdH2 in circa dieci righe il futuro imperatore mette in fila una citazione di Ennio (scen. 378 V.2), una di Plauto ( Colax, fr. 2 Lindsay) e una di Nevio (com. III R.3); 121 a p. 30, 20 sgg. vdH2 in venti righe compaiono una citazio­ ne di Laberio {I32 sg. R.3), una di Cecilio Stazio (2 88 R.3) e una di Catone (inc. lib., p. 86 Jordan). Infine, ed è differenza macroscopica rispetto ad altri, contempo­ ranei, arcaizzanti, la lettura frontoniana dei testi arcaici sembra prescindere da qualunque preoccupazione o interesse filologico. Diversamente che in Gellio, non si discute mai la lezione di testi arcaici, non si va mai alla ricerca di antichi manoscritti; nel caso de­ gli excerpta da autori antichi, non si parla mai di correzioni, o alme­ no dubbi, di fronte a testi mal tramandati. In un passo famoso, e as­ sai discusso (p. I5, I2-I6, I vdH2), Frontone paragona addirittura la copia di una propria orazione, fatta di sua mano da Marco Aurelio, alle antiche edizioni di autori di età repubblicana curate da illustri 120. Frontone mostra una certa predilezione per Laberio, di cui inserisce anche, non di rado, citazioni « ornamentali ». Interesse per il mimografo si desume anche da Gellio (cfr. per il problema Di Gregorio, Cellio e il teatro, cit.,pp. 123-30).Al di là dell'a­ spetto linguistico, come la presenza nei mimografi di neoformazioni, di parole rare, di volgarismi che potevano avere l'aspetto di arcaismi, non è impossibile che la fortu­ na del genere letterario del mimo nel Il sec. d.C. abbia avuto un suo ruolo, per il quale cfr. Steinmetz, Untersuchungen, cit., pp. 361 sgg. 121. Si aggiunga che poco piu avanti, nella stessa lettera (p. 29, 4-5 vdH2), sono ri­ cordati excerpta da Atellane di Novio e da orazioni di Scipione.

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LEOPOLDO GAMBERALE grammatici e filologi, dimostrando, sia pure con l'attenuante del­ l' adulazione, completa mancanza di senso filologico.122 Si noti la differenza nell'esame del medesimo passo di Sallustio ( Catil. 5 4), da parte rispettivamente di Frontone e di Gellio. Il pri­ mo cita per l'impiego dell'antitesi: Sallustium antithetis honeste com­ positis usum « alieni adpetens, sui profusus; satis eloquentiae, sapientiae pa­ rum >>; 123 il secondo si ferma su un contributo critico-testuale: Vale­ rium Probum,grammaticum inlustrem, exfamiliari eius, docto viro, comperi Sallustianum illud: satis eloquentiae, sapientiae parum », brevi antequam vita decederet, sic legere coepisse et sic a Sallustio relictum affirmavisse: « satis loquentiae, sapientiae parum >>, quod « loquentia » nova tori verborum Sallu­ stio maxime congrueret, « eloquentia >> eum insipientia minime conveniret. Per quanto la lezione proposta da Probo sia errata, 124 è significati­ vo il fatto che Gellio, pur interessandosi della proprietà e conve­ nienza di una parola, metta in evidenza il momento filologico (se a ragione o a torto è qui secondario). > obleve-

138. Che il manoscritto fosse perciò un falso pensa Zetzel, Emendavi ad Tironem, cit., pp. 240 sg.; Id., Latin Textual Criticism in Antiquity, New York, Arno Press, 1981, p. 61; e, in questo caso specifico, non lo esclude Timpanaro, Per la storia, cit., p. 39. Ma il proble­ ma è reso piii complesso dal fatto che, dietro il rivestimento aneddotico del capitolo, forse si nasconde una fonte erudita, che potrebbe essere un commento alle Georgiche; non siamo però in grado di dire se, oltre la lezione del testo enniano e il parallelo di Virgilio, appunto georg. m n6, anche la notizia relativa a Ottavio Lampadione dipenda da questa presumibile fonte erudita. 139. Si è ritenuto in passato, senza dubbio a torto, che tutti i capitoli gelliani dove si parla di manoscritti antichi avessero come fonte, diretta o indiretta, Probo (H. Nettle­ ship, The Noctes Atticae ofAulus Gellius, in « AJPh » a. IV 1883, p. 413); e di recente Zetzel, Emendavi ad Tironem, cit., pp. 230 sgg., ha sostenuto che gli « antichi manoscritti » non sarebbero altro che falsificazioni a scopo di lucro, prodotte nel II secolo. Anche questa tesi è senz'altro in buona parte da respingere: cfr. O. Pecere, La "subscriptio" di Statilio Massimo e la tradizione delle "agrarie" di Cicerone, in « IMU », a. xxv 1982, pp. 100 sgg.; Timpanaro, Per la storia, cit., pp. 33 sgg.; 200 sgg. Un elenco dei passi gelliani è nel mio libro La traduzione in Cellio, cit., p. 19 n. 26. Ma sulla questione ho attualmente opinio­ ni alquanto diverse da vent'anni fa, e sono convinto che in certa misura si debba dar credito a Gellio, nel senso che l'autore delle noctes e alcuni grammatici suoi contem­ poranei collazionavano davvero libri antichi, autentici o presunti tali, per verificare il testo di autori arcaici e classici. 140. Per la valutazione del passo dr. il mio Autografi virgiliani, cit., p. 362 e, ora, so­ prattutto Timpanaro, Per la storia, cit., p. 41.

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runt et « vestri » superscripserunt. Ex quo in plures libros mendae istius indoles ma­ navit.141

Gellio, dal canto suo, afferma di aver personalmente visto nella bi­ blioteca di Patrasso un manoscritto verae vetustatis dell' Odissea di Livio Andronico (xvn 9 s). Anche se la notizia, in sé non assurda dato che si tratta di una biblioteca di provincia, 142 fa parte del rive­ stimento aneddotico del capitolo delle noctes, e l'esame del libro antico non va probabilmente attribuito in prima persona a Gellio, essa conferma, lo ripeto, un atteggiamento culturale, alla cui origi­ ne non sarà estranea la consuetudine dell'autore delle noctes (e dei suoi Jamiliares) con amici e discepoli di Probo_143 Il rapporto fra il grammatico di Berito e l'autore delle noctes ap­ pare in effetti abbastanza stretto, non solo perché Gellio afferma piu volte di aver letto opere probiane,144 ma anche perché della éli­ te culturale intorno a lui, a Favorino e Frontone fanno parte non pochi sectatores di Probo. In qualche caso Gellio non ne fa i nomi, 141. xx 6 14: « E perciò hanno fatto malissimo - disse - coloro che in numerosi ma­ noscritti di Sallustio hanno corrotto questa lezione giustissima. Infatti mentte nel Ca­ tilina era scritto: "Spesso i vostri (vestrum, gen. plur.) antenati, mossi a compassione della plebe romana", hanno cancellato vestrum e hanno scritto sopra vestri. Da qui nella maggior parte dei manoscritti si è diffuso questo tipo di errore ». Nei nostri mss. di Sallustio è scritto per l'appunto vestri, che gli editori moderni ritengono una banaliz­ zazione e correggono in vestrum proprio in base a questo passo gelliano. 142. Un cenno in Callmer, Bibliotheken, cit., p. 184. 143. È noto che, dopo la sopravvalutazione di Probo fino a qualche decennio fa, è subentrata una tendenza opposta, che ha progressivamente ridotto l'importanza del grammatico, in particolare come « editore » di testi (Plauto, Virgilio, Orazio, ecc.) : in questo senso cfr. N. Scivoletto, La "filologia"di Valeria Probo di Berito, ora in Studi di Lette­ ratura latina imperiale, Napoli, Armanni, 1963, pp. 155 sgg. Per una revisione dell' arcai­ smo di Probo cfr. G. Pascucci, Valeria Probo e i veteres, in Grammatici latini d'età imperiale, Genova, Università, 1976, pp. 17 sgg. (ora in Id., Scritti scelti, cit., I, pp. 399 sgg.). Una complessiva, ed eccessiva, sfiducia verso la presentazione di Probo fatta da Gellio nu­ tre H.D.Jocelyn, The Annotations ofM. Valerius Probus, I, in « CQ », n. s. xxxiv 1984, in partic. p. 465 (ma questo e i successivi articoli diJocelyn sono molto utili per una valu­ tazione dell'attività filologica probiana). Per il contributo di Probo al testo e all' esege­ si di Virgilio, studiato anche attraverso le testimonianze di Gellio, cfr. anche Timpana­ ro, Per la storia, cit., passim, e M. L. Delvigo, Testo virgiliano e tradizione indiretta (le varianti probiane}, Pisa, Giardini, 1987144· Gellio, IV 7: epistula ad Marcellum (a proposito di questioni di accento, con cita­ zioni da Ennio e Plauto); xv 30: multi « Commentationum » libri; xvn 9: libro « Sulla crit­ tografia nelle epistole di Cesare ». P. Wessner, s.v. Sulpicius Apollinaris in RE IV A (1931), 579

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ma dal suo testo deduciamo l'interesse del grammatico per Sallu­ stio (noct. I I I r), per lo storico Valeria Anziate (noct. VI 9 ), e soprattut­ to per Virgilio (Ix 9 ; XIII 2r)_145 « Scolaro » di Probo è però un amico di Gellio, Anniano, poeta arcaizzante di buona reputazione 146 e ammiratore anche lui di Virgilio (vi 7; IX ro; 147 xx 8). Si sarebbe tentati di dire che l'arcaismo di età antonina ha un'a­ nima retorica, > libera, come se ne leggono ancora in Catullo, ad esempio 34 2, Puellae et pueri integri. 189 Il fr. 7 Mor.: pusioni meo septuenni cadens (« cadendo al mio fanciullo di sette anni . . . >>) l90 è un tetrametro eretico, verso che si trova, prima di Sereno, nelle Menippee di Varro­ ne (ad es. frr. 386; 390; 5 77 Buecheler), cioè in un'opera cara a Gel­ lio, in un autore metricamente preclassico. Ancora in Varrone Me­ nippeo, oltre che in Plauto, 1 9l Sereno poteva trovare esempi (cfr. frr. 25 ; 45; 47 Buecheler, ed altri) per il settenario anapestico usato nel fr. 20 Mor.: qui navigium navicula aufers Picenae marginis acta)92 Piu complesso è il caso, che tratto per ultimo, del fr. 6 Mor.: Inferis manu sinistra immolamus pocula: laeva quae vides Lavernae, Palladi sunt dextera.l93

Nonostante che diversi editori (Morel, Biichner) e interpreti (Ca­ meran) ritengano che si tratti di quattro versi, ossia di due « stra­ fette >> composte da un dimetro trocaico acataletto piu un dimetro trocaico catalettico, credo, in parziale accordo con la Mattiacci, 1 94 che Sereno abbia scritto due tetrametri trocaici catalettici. I verun alto grado di raffinatezza espressiva, anche nella morfologia latina del nome gre­ co (Panopae gen., invece di Panopes). Cfr. Mattiacci, Iframmenti dei poeti novelli, cit., pp. 136-43 · 189. In Catullo si trovano anche gliconei con il trocheo iniziale, ad es. 34 9: montium domina ut Jores. 190. Si parla forse della caduta di un dente di latte. Peri' arcaismo septuennis e per la metrica cfr. Mattiacci, Ifra mmenti dei poeti novelli, cit., pp. 133 sgg.; Ead., Per l'esegesi della poesia novella, cit., pp. 170-72. 191. Naturalmente sarebbe del tutto immetodico ricercare, per i metri di questi poeti, precedenti nei versi lirici di Plauto. Basti pensare che già il senario doveva offri­ re non poche difficoltà. 192. «Tu che allontani con una navicella la nave dall'insenatura della costa picena ». È la traduzione della Mattiacci, Iframmenti dei poeti novelli, cit., p. 188 (per l'interpreta­ zione cfr. anche pp. 186 sg.). 193. « Con la mano sinistra offriamo in sacrificio coppe agli dei inferi: ciò che vedi a sinistra è per (oppure: "è sacro a") Laverna, ciò che vedi a destra per Pallade ».Accol­ go, con qualche dubbio, l'interpretazione della Mattiacci, Iframmenti dei poeti novelli, cit., p. 130. 194. Ibid., p. 128. La studiosa parla qui però di « settenari trocaici ». Per un'analisi

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LEOPOLDO GAMBERALE si sono di tipo grecanico, con un solo spondeo al sesto piede [(im­ mo)lamus; (Palla)di sunt]; il primo però presenta iato in dieresi (sini­ stra l immolamus), fenomeno per il quale la Mattiacci trova paralleli solo posteriori a Sereno; ma questa può essere una particolarità da ricondurre all'antico settenario trocaico, nel quale compare non di rado.195 In complesso la metrica, cosf come la lingua e anche la scelta delle tematiche, appaiono in Sereno alquanto elaborate, con una profonda commistione di forme arcaiche, forme rare, forme nuo­ ve; e ciò sta forse a indicare un superamento del gusto puramente arcaizzante, che non è piu la base portante della cultura letteraria, per quanto rimanga fra le componenti di rilievo.

8. APULEIO Si sarà notata, nelle pagine che precedono, l'assenza di Apuleio. Ma in primo luogo Apuleio è autore troppo complesso per lasciar­ si inquadrare in qualunque schema; e, soprattutto, può condurci ad una giusta conclusione. La sua cultura deve essere considerata tipi­ ca dell'età in cui vive, della quale enfatizza anzi alcune caratteristi­ che, prima fra le quali la curiosità per ogni branca del sapere, come egli stesso ricorda fra l'altro in un passo famoso dei Florida : Ego et alias creterras Athenis bibi, poetica e comptam,geometriae limpidam, musicae dulcem, dialecticae austerulam, iam vero universae philosophiae inexplebilem sdli­ cet nectaream . . . Apuleius vester . . . novem . . . Musas pari studio colit_196

complessiva del tetrametro trocaico da Floro in poi cfr. l'accuratissimo studio di CY. Di Giovine, Fiori Carmina, Bologna, Pàtron, 1988, pp. 34 sgg. 195. Questa, Introduzione alla metrica di Plauto, cit., pp. 181 sg. Ce n'è forse un caso in Varrone, Men. 237 Buech. Veramente Buecheler e altri stampano il testo come prosa, ma l'ultimo editore delle Menippee, R. Astbury, Leipzig, Teubner, 1985, riprendendo una vecchia proposta di Quicherat, considera il fr. 237 in settenari trocaici: exercebam ambulando ut siti capacior l ad cenam veniretguttur. Gli iati in realtà qui sarebbero ben due (exercebam l ambulando l ut) ; ma forse si può accettare la congettura exercebardello stes­ so Quicherat, e intendere « facevo esercizio passeggiando, perché la gola arrivasse a cena in grado di bere piu abbondantemente ». 196. 20 4 6: « lo ho bevuto ad Atene anche altre coppe: il calice elegante della poe-

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LA R I S COPERTA DELL' ARCAICO

Ma, a quel che è dato rilevare, alla sua formazione, almeno in ambito latino, rimangono estranei gli autori del I secolo d.C., e fra gli augustei campeggia quasi soltanto Virgilio, 197 Dalle sue citazioni si ricava non solo la testimonianza di una let­ tura degli scrittori arcaici e preclassici, ma anche la ricerca, in que­ gli scrittori, dell'insolito e del raro. Si pensi al lungo e difficile frammento dagli Hedyphagetica di Ennio riportato in apol. 39 2-4, che è anche l'unica notizia che ci resta di quest'opera enniana; 198 oppure si rilegga il fr. 27 Mor. di Levio, citato in apol. 30 13 a propo­ sito dei filtri, dove i termini rari, le figure di suono, i diminutivi, sembrano in perfetta sintonia con la prosa del madaurense: philtra omnia undique eruunt: antiphates illud quaeritur, trochiscili, unges, taeniae, radiculae, herbae, surculi, saurae inlices bicodulae, hinnientium dulcedines.t99

Ancora l'Apologia ci offre la piu cospicua testimonianza dell'atti­ vità poetica di Apuleio; ai capp. 6 e 9 infatti riproduce tre suoi epi­ grammi tratti dai Ludicra.2oo I due di argomento erotico, in distici elegiaci, sono stati avvicinati non solo a Catullo ma, giustamente, ai preneoterici, per numerosi aspetti, a cominciare dalla tematica sia, quello limpido della geometria, quello dolce della musica, quello un po' aspretto della dialettica, infine quello inesauribile e soavemente profumato dell'intera filoso­ fia . . . Il vostro Apuleio . . . venera con uguale passione le nove Muse ». Per gli interessi scientifici, religiosi, letterari di Apuleio, proclamati solennemente dall'autore stesso, cfr. anche l'Apologia, passim. 197. Cfr. da ultimo S. Mattiacci, Apuleio e i poeti latini arcaid, in Munus amidtiae (Scritti in memoria di A. Ronconi), 1, Firenze, Le Monnier, 1986, pp. 162 sgg. 198. Mattiacci, Apuleio e i poeti arcaid, cit., pp. 182 sg. Ma non è pensabile che « alcu­ ne irregolarità » siano imputabili a errori di memoria di Apuleio (ibid., p. 183) , dato che si tratta di esametri, per i quali anche eventuali citazioni a memoria (ma l'Apologia è rielaborata a tavolino) potevano tutt'al p ili provocare modifiche, non certo irregola­ rità prosodiche o metriche. 199. « Dappertutto traggono fuori ogni genere di filtro: si ricercano la pietra con­ tro il fascino, rotelle, unghie, bende, piccole radici, erbe, ramicelli, lucertole bicaudate incantatrici, dolci umori delle cavalle annitrenti • (trad. di B. Mosca). 200. È evidente che questa fase dell'attività letteraria di Apuleio deve essere ante­ riore al 158, data del processo per magia.

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LEOPOLDO GAMBERALE

{l'eros paidikos).201 Il terzo, l' epistolium a Calpurniano sul dentifricio, per il quale è lo stesso autore a richiamare Catullo, 39 5 (dentem at­ que russa m pumicare gingivam; si tratta, come è noto, di Egnazio), è in senari giambici: la scelta del metro è già di per sé arcaizzante. Se poi, come è quasi certo, è autentico anche il carme in ventiquattro senari giambici conservato nell'Anthologia Latina, 712 Riese2, dove è descritto l'amplesso in termini realistici anche se ricchi di meta­ fore,zoz bisogna dire che i senari di Apuleio sono, tecnicamente e stilisticamente, i migliori che si leggono in quest'epoca, senz' altro superiori a quelli delle periochae terenziane,203 e sono anche una prova della cura con la quale il madaurense aveva letto i comici ar­ caiCi. Ma non è nella poesia l'aspetto piu significativo dell'arcaismo di Apuleio. Dopo il classico libro di Bernhardt sullo stile apuleia­ no,204 le ricerche hanno portato notevoli approfondimenti da que­ sto punto di vista, non poco anche per merito di studiosi italiani, concentrandosi soprattutto sul reimpiego di parole ed espressioni antiche nelle varie opere di Apuleio.zos Non è piu possibile condi­ videre quanto sosteneva Marache, che « l'arcaismo per Apuleio è una moda, una necessità convenzionale; senza quello non c'è stile né letteratura ».2 06 È vero che esso rappresenta, nell'Apologia, uno dei mezzi per affermare una netta superiorità culturale sui propri 201. Cfr. da ultimo Mattiacci, Apuleio "poeta novello': in Disiecti membra poetae, 11, pp. 244 sgg. 202. Fr. pp. 169-70 Beaujeu; cfr. ora Mattiacci, Apuleio "poeta novello': cit., pp. 262 sgg. 203. Nonostante i due anapesti « strappati » ai 4 [(rose)a label(/a)] e 7 [(fe)citAmo­ ris)], che non andranno corretti, cfr. S. Mariotti, Congetture all'Anthologia latina, in « PP » a. 11 1947, pp. 347 sg. Del resto, un anapesto strappato è anche nella periocha dell' Hecyra, v. 5 [(profec)tus in Im(brum)]: cfr. Questa, Numeri innumeri, p. 215, cit. sopra, n. 153. 204. M. Bernhardt, Der Stil des Apuleius von Madaura, Stuttgart, Kohlkammer, 1927 (Tubinger Beitriige), in partic. le pp. 130 sgg. 205. Cfr. ad es. M.G. Ferrari, Aspetti di letterarietà nei Florida di Apuleio, in « SIFC », n. s. XL 1968, in partic. le pp. 85-104 (che peraltro tende a considerare Apuleio quasi un vv.

seguace dei principi frontoniani) ; C. Roncaioli, L'arcaismo nelle operefilosofiche di Apu­ leio, in « GIF », a. XIX 1966, pp. 322-56 (che tuttavia ritiene giovanili le opere filosofi­ che, e vede quindi un'evoluzione verso le Metamorfosi). Cfr. inoltre gli studi della Mat­ tiacci, nonché L. Callebat, La prose d'Apulée dans le De Magia, in « WS », a. xcvu 1984, pp. 143-67 (in complesso meno significativo dei lavori cit. sotto, n. 209) . 206. Critique, cit., p. 333.

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LA RI S C O PE RTA DELL' ARCAICO

avversari (si ricordi quanto si è detto sopra a proposito di Gellio e delle dispute con i grammatici ignoranti) ; è vero anche che, ad esempio, una ripresa sallustiana può essere intenzionalmente pa­ rodica, come in met. I 16 2, dove l'invocazione al letto (iam iam gra­ battule . . . animo meo carissime, qui mecum tot aerumnas exanclasti)207 imita, con leggera modifica, Sallustio, Iug. 14 22 (l'apostrofe di Aderbale al fratello: iam iam Jrater animo meo carissume).zos Ma, so­ prattutto nelle Metamoifosi, gli studi di Callebat hanno mostrato, sia pure con qualche eccesso di sottigliezza, che la stilizzazione del sermo cotidianus si attua anche attraverso una « imitazione profonda e precisa » della lingua dei comici, e piu che degli altri di Plauto,209 nell'impiego di parole, espressioni, costrutti sintattici. L'arcaismo non è piu scoperta, curiosità, moda, ma, profondamente rielabora­ to, entra di nuovo nella lingua e nella vita della grande letteratura.

207. « Su, lettuccio, carissimo al mio cuore, che con me tanti affanni hai sofferto ».È difficile rendere la commistione di elementi colloquiali, affettivi (il diminutivo gra­ battule) e arcaici (exanclare= « vuotare » è indicato già da Quintiliano, inst. I 6 40, come una parola eccessivamente antica, perciò da evitare: è invece usata non di rado da Apuleio). 208. L'imitazione sallustiana è stata rilevata per la prima volta, a quanto mi risulta, da F. Gatscha, Quaestionum Apuleianarum capita tria, in « Dissertat. Vindobonenses », a. VI 1889, pp 154 sg. (insieme ad altri esempi del genere); recentemente è stata ripropo­ sta da A. Scobie, Apuleius Metamorphoses (Asinus Aureus) I. A Commentary, Meisenheim am Glan, Hain, 1975, p. 114 (peraltro Scobie non sembra conoscere il lavoro di Gat­ scha). 209. L. Callebat, Sermo cotidianus dans /es Métamorphoses d'Apulée, Caen, Université, 1968, pp. 474 sgg. (L'imitation de la langue des comiques) . Dello stesso cfr. anche L'archai� sme dans /es Métamorphoses d'Apulée, in « REL », a. XLII 1964, pp. 346-61 (molto ampliato nel libro). 595

MARI O DE N O N N O

LE I.

C ITAZ I O N I

DEI

G RAMMAT I C I

l GRAMMATICI E LA TRADIZIONE DEI TESTI PERDUTI

Q

uando ci volgiamo a considerare retrospettivamente, da un punto di vista sostanzialmente quantitativo, il complesso della produzione letteraria romana a noi pervenuta, non possiamo che sottoscrivere la calzante immagine - del resto ampiamente topica ­ con cui Eduard Norden inaugurò, al principio di questo secolo, la sua ben nota sintesi (ancor oggi modello di lucidità e informazio­ ne) su Conservazione e tradizione nella letteratura romana : Ciò che ci resta della letteratura romana, come della greca, è soltanto un

cumulo di rovine, tanto ridotto, in confronto alla sua originaria estensio­

ne, quanto i ruderi del Foro romano attuale in confronto a quello dell' età

imperiale.!

Il formidabile sommarsi di potenti fattori d'ordine politico, eco­ nomico, storico-culturale e materiale, ed al tempo stesso il gioco beffardo del caso (che ci ha donato le Puniche di Silio e ci ha negato gli Annali di Ennio, che ha concesso all'ultima copia antica delle Historiae di Tacito, pur gravemente mutila, il porto sicuro della Montecassino di Desiderio, mentre ha abbandonato al trincetto di un rilegatore alto-medievale l'ultima copia antica delle Historiae complete di Sallustio), hanno fatto si che, per riprendere ancora la metafora del Norden, « al primo Medioevo la letteratura latina si presentasse come un vasto campo di rovine, da cui emergevano in­ tatte relativamente poche colonne ».2 Dell'entità materiale della perdita può essere documento eloquente, a puro titolo d'esempio, la scomparsa dell'intera tragedia romana anteriore a Seneca, o l'iI. E. Norden, La letteratura romana, Bari, Laterza, 1958 (trad. it. di Die romische Litera­ tur, Leipzig, Teubner, 19544), p. 279; la prima edizione dell'originale tedesco di questo passo, nella Einleitung in die Altertumswissenschaft diretta dal Norden con A. Gercke, 1, Leipzig-Berlin, Teubner, è del 1910). 2. Ibid., p. 285.

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MARIO DE NONNO

nabissarsi integrale dell'annalistica preliviana, e anzi - con l'ecce­ zione delle sole monografie di Sallustio - di tutta la storiografia dell'età repubblicana.3 Conclusasi la stagione umanistica delle grandi riscoperte dei classici (piu spesso, comunque, già in copie medievali, solo di rado in preziosi cimeli ancora tardoantichi), la filologia cinquecentesca - ancora in Italia, ma con piu deciso impulso nei Paesi Bassi dello scorcio del XVI secolo - 4 reagi con vigore ammirevole alla consta­ tazione dell'ineluttabilità di una lettura di Virgilio senza Ennio, di Orazio senza Lucilio, dedicandosi con frutti non transitori al recu­ pero, all'edizione e al commento dei frammenti superstiti dei grandi autori perduti. Furono gli anni fecondi, annunziati dalla prematura, ma stimolante silloge collettiva dei Fragmenta poetarum veterum Latinorum di Robert ed Henri Estienne (r564),s dell'Ennio 3· Sulle modalità della conservazione (o della perdita) dei testi latini ricordo - ac­ canto alla fondamentale Storia della tradizione e critica del testo di G. Pasquali, Firenze, Le Monnier, 19522 - il bel libro di L.D. Reynolds-N.G. Wilson, Copisti efilologi. La tradi­ zione dei classici dall'antichità ai tempi moderni, Padova, Antenore, 19742, ed inoltre le sin­ tesi di K. Biichner, Ueberlieferungsgeschichte der lateinischen Literatur des Altertums, in AAYV., Die Textueberlieferung der antiken Literatur und der Bibel, Miinchen, DTVVerlag, 1975, pp. 309-74 (ristampa di un testo del 1961) e del Reynolds, Introduction ad AAYV., Texts and Transmission. A Suroey ofthe Latin Classics, ed. by L.D.R., Oxford, Clarendon Press, 1983, pp. XIII-XLIII (prezioso strumento d'orientamento sulle tradizioni dei principali classici latini). Importanti aspetti particolari sono affrontati da L. Canfora, Conseroazione e perdita dei classici, Padova, Antenore, 1974, e da O. Pecere, La tradizione dei testi latini tra IVe Vsecolo attraverso i libri sottoscritti, in AAYV., Società romana e impero tardoantico, IV, Tradizione dei classici, trasformazioni della cultura, a cura di A. Giardina, Ro­ ma-Bari, Laterza, 1986, pp. 19-81 (e pp. 210-46 per le note). 4· Cfr. almeno L. Miiller, Geschichte derklassischen Philologie in den Niederlanden, Leip­ zig, Teubner, 1869, in particolare pp. 23-69;].E. Sandys, A History ofClassica! Scholarship, n, Cambridge, Univ. Press, 1908 (rist. New York-London, Hafner, 19673), pp. 300-13; R. Pfeiffer, History ofClassica! Scholarshipfrom 1300 to 1850, Oxford, Clarendon Press, 1976, pp. 124-29. 5· Fragmenta poetarum veterum Latinorum quorum opera non extant: Ennii, Pacuvii, Aedi, Afranii, Luci !ii, Naevii, Laberii, Caecilii aliorumque multorum undique a R. Stephano . . . o­ lim congesta, nunc autem ab H. Stephano . . . digesta . . . Propediem . . . et amatoribus orationis solutae in simili labore (Deo favente) gratifìcabimur, s.I., excudebat H. Ste­ phanus, 1564. La promessa del frontespizio non fu mantenuta. Interessante dal nostro punto di vista è nell'avviso al lettore di pp. 426 sg. - accanto alla notizia dell'intenzio­ ne, rientrata, di aggiungere testi poetici epigrafici - la formulazione della speranza di imbattersi in migliori codici per il testo delle fonti dei frammenti (Festo, Nonio, Pri­ sciano). Sull'impresa degli Stefani cfr. M. Barchiesi, Nevio epico. Storia interpretazione

LE C I TAZ I O N I D E I G RAMMAT I C I

napoletano di Girolamo Colonna (r585-1590) e di quello leidense ­ limitato agli Annales - di Paul van Merle (1595),6 affiancato due an­ ni dopo, nella stessa Leida dominata dal magistero filologico di Giuseppe Scaligero e dal suo spiccato interesse per gli autori arcai­ ci tramandati in frammenti, 7 dal Lucilio di Jan e Frans van der edizione critica deiframmenti del primo epos latino, Padova, C.E.D.A.M., 1962, pp. I sg. e I7I-75· Manoscritta restò invece - ad eccezione dei frammenti degli storiografì, cfr. in­ fra, n. IO - l'imponente raccolta di frammenti in verso e in prosa elaborata, col contri­ buto anche di altri studiosi, da A. Agustin intorno alla metà del secolo: cfr. il saggio postumo del Barchiesi, La Tarentilla rivisitata. Studi su Nevio comico, Pisa, Giardini, I978, pp. 69-94, e soprattutto A. Lunelli, I Fragmenta Latinorum poetarum inediti di Antonius Augustinus con appendici di altra mano ora per la prima volta identificata: progetto di edizione, in « RCCM », a. xx I978 (=Miscellanea di studi in memoria di M. Barchiesi, m), pp. I00'7-I9. 6. Q. Ennii poetae vetustissimi quae supersuntJragmenta ab H. Columna conquisita, di­ sposita et explicata ad Ioannem fìlium, Neapoli, ex typographia H. Salviani, I590; un esemplare d'una tiratura delle sole due prime parti dell'opera, datato I585 (quando il Colonna era ancora in vita - cfr. del resto la nota sulla quarta pagina n.n. dopo 304 del­ l'edizione del '90), è segnalato da O. Skutsch, Studia Enniana, London, The Athlone Press, I968, P·59 n.2 (= « CQ », a. LIV I96o,p. I88 n.2). - Q. Enni,poetae cum primis censen­ di, Annalium libb. XliX quae apud varios auctores superantJragmenta conlecta, composita, inlustrata ab P.G.f.P.n.Merula . . . , Lugduni Batavorum, ex officina l. Paetsii et L. Elze­ virii, I595· 7· Sullo Scaligero vedi ancora lo splendido J. Bernays, ]osephJustus Scaliger, Berlin, W. Hertz, I855, ed oggi anche Pfeiffer, History, cit., pp. 113-I9, e A. Grafton,Joseph Scali­ ger. A Study in the History ofClassical Scholarship, I, Textual Criticism and Exegesis, Oxford, Clarendon Press, I983; sintomatico il suo famoso giudizio su Ennio: « Ennius poeta antiquus magnifico ingenio. Utinam hunc haberemus integrum et amisissemus Lu­ canum, Statium, Silium Italicum et tous ces garçons-là » (Scaligerana, Thuana, Perronia­ na, Pithoeana ecc., II, ÀAmsterdam, chez Còvens et Mortier, 1740, p. 84). L'interesse per gli arcaici tramandati in frammenti non può essere disgiunto, nello Scaligero, dal­ le geniali cure prestate ai testi - cosi ricchi di citazioni - di Varrone ( Coniectanea in M. Terentium Varronem de lingua Latina, Parisiis, ex officina R. Stephani, 1565) e di Festo (le Castigationes in Festum uscirono in rapida successione - sempre in appendice a ristam­ pe del testo dell'Agustin - prima apud P. Santandreanum [s.I.] nel 1575, poi - recognitae et auctae Lutetiae, apud M. Patissonium, 1576). Frammenti di tradizione indiretta (per lo piu non grammaticale) ed epigrammi e testi poetici brevi conservati da codici compaiono mescolati nei Veterum poetarum catalecta allegati dallo Scaligero stesso alla sua Publii Virgilii Maronis Appendix . . , Lugduni, apud G. Rovillium, I573, pp. 189-260; lo stesso dicasi degli epigrammata che costituiscono la prima parte (pp. I-191) della rac­ colta di Pierre Pithou, Epigrammata et poematia vetera . . . , Parisiis, excudebat D. Duval­ lius, 1590. Solo nel secolo scorso la piu rigorosa distinzione fra testi di tradizione diret­ ta e indiretta diede vita da un canto ad opere come l'Anthologia Latina (=AL) di A. Rie­ se, I-II, Lipsiae, Teubner, 1894-19062 (il primo volume rifatto da R.D. Shackleton Bai­ ley, Stutgardiae, Teubner, 1982) o i Poetae Latini minores di Ae. Baehrens, I-V, Lipsiae, Teubner, 1879-1883, e dall'altro ai Fragmenta poetarum Romanorum dello stesso Baehrens -

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Does e - a distanza di due decenni - dai Collectanea veterum tragico­ rum di Pieter Schrijver, con le preziose Castigationes del Vossius (162o).s Del resto, tale fervida attività di recupero non si può limi­ tare, in quel torno di tempo, alla cerchia piu direttamente legata al­ lo Scaligero, dal momento che vanno ancora ricordati almeno il pur mediocre Syntagma tragoediae Latinae del gesuita Martino An­ tonio Delrio (1593) 9 e soprattutto la pubblicazione, ad opera di Fulvio Orsini, dei Fragmenta historicorum raccolti da Antonio Agustin (1595) e il Varrone di Ausonio van Popmen (16012). 10 Tra le (Lipsiae, Teubner, 1886) e quindi ai Fragmenta poetarum Latinorum (=FPL) di W. Morel (Lipsiae, Teubner, 1927) , recentemente rifatti dal Biichner (Leipzig, Teubner, 1982) . 8. C. Lucili . . . satyrographorum prindpis . . . Satyrarum quae supersunt reliquiae. F. Iani f. Dousa collegit, disposuit et notas addidit, Lugduni Batavorum, ex officina Plantiniana F. Raphelengii, 1597; notevole, in quest'edizione, la scelta di pubblicare i frammenti entro i contesti delle fonti che li citano (soluzione ripresa in tempi recenti da H.D. Jocelyn, The Tragedies ofEnnius, Cambridge, Univ. Press, 1969) . - P. Scriverii Collectanea veterum tragicorum: L. Livii Andronid, Q. Ennii, Cn. Naevii, M. Pacuvii, L. Attii aliorumque fragmenta et circa ipsa notae breves. Quibus accedunt Castigationes et notae uberiores G.I. Vossii, Lugduni Batavorum, apud I. Maire, 1620. Rivendica il suo stretto rapporto con lo Scaligero il Merula a p. tft ' della prefazione all'Ennio (a p. j.Lt ' un carme lauda­ torio dello Scaligero stesso); il Dousa lo definisce suo hortatora p. *2 del Lucilio (anche se il giudizio in privato dello Scaligero su di lui non era lusinghiero: « Fr. Douza est tousjours fou », cfr. Secunda Scaligerana [nel vol. cit. a n. 7] , p. 299) , e Merula e Scriverio fanno parte della pleias Dousica i cui carmi laudatori inaugurano l'edizione. 9· M.A. Delrii . . Syntagma tragoediae Latinae in tres partes distinctum . . . , Antver­ piae, ex officina Plantiniana apud viduam et I. Moretum, 1593, 1, pp. 93-160 (Fragmenta veterum tragicorum) e 161-188 ( Opinationes in tragicorumfragmenta); la praifatio al Torren­ zio è datata Lovanio 24 maggio 1589. Sul Delrio - suo fazioso oppositore nella lite sul­ l' autenticità dello ps. Dionigi l'Areopagita - cosi si esprimeva, quando non trascende­ va nella scatologia, lo Scaligero: « Delrio au prix de moy ne sçait rien . . . il est ignorant, ne fait qu'amasser », cfr. Secunda Scaligerana, cit., p. 290. 10. Fragmenta historicorum collecta ab A. Augustino emendata a F. Ursino . . . , Ant­ verpiae, ex officina Plantiniana apud viduam et I. Moretum, 1595: su quest'edizione ­ parzialmente preceduta dalla silloge di Antonio Riccoboni, De historia commentarius cum Jragmentis . . . M. Pordi Catonis censorii, Q. Claudii Quadrigarii, L. Sisennae ecc., Vene­ tiis, apud I. Barilettum, 1568 - cfr. P. de Nolhac, La bibliothèque de Fulvio Orsini, Paris, Vieweg, 1887, pp. 53-55, e Lunelli, I Fragmenta Latinorum poetarum, cit., p. 1008 -. M. Te­ rentii Varronis Operum quae extant nova editio edente et recens. A. Popma . . . , Lugduni Batavorum, ex officina Plantiniana apud Chr. Raphelengium, 1601 (la prima, parziale edizione del 1589 è indicata nella Bibliografia varroniana di B. Riposati - A. Marastoni e altri, Milano, CELUC, 1974, p. 45) . Significativa la mancanza, fino all'Ottocento, di una silloge complessiva dei frammenti comici; per tentativi di raccolta dei soli fram­ menti plautini è da vedere R. Calderan, Tito Maccio Flauto: Vidularia, Palermo, Vitto­ netti, 1982, pp. 43-47· .

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LE CITAZIONI DEI GRAMMATICI

fonti piu ricche per il recupero di preziose citazioni e testimonian­ ze gli studiosi or ora ricordati si indirizzarono immediatamente, tra l'altro, all'ampio materiale esemplificatorio esibito da taluni grammatici tardoantichi. Sfruttando sistematicamente autori solo di recente riscoperti,1 1 e soprattutto considerando con occhi nuovi testi ben noti, ma fino ad allora pubblicati prevalentemente a fini didattici, essi volsero la nostalgica sensibilità già del Petrarca difa m. m 18 7 (longa nimis recordatio, Prisciani grammatici iuvenilis olim lectio quot michi librorum peregrina nomina congesserit, quot postmodum Plinius Secundus, quot novissime Nonius Marcellus, quotiensque salivam excitave­ rint) 12 in risoluto piano di lavoro {cfr. ad esempio Giusto Lipsio: Nonium cum intueor, veterum scriptorum triste naufragium videre videor, e quo quasi tabulas aliquot colligere conabor)P e in vista del loro scopo non arretrarono neanche di fronte all'indagine di scritti grammatin. Mi riferisco in particolare ai grammatici e metricologi scoperti a Bobbio alla fi­ ne del Quattrocento (cfr. oggi G. Morelli, Le liste degli autori scoperti a Bobbio nel 1493, in « RFIC •, a. cxvn I989, pp. s-33, con ampia bibliografia), tra i quali il piu ricco in cita­ zioni, Carisio, non fu edito che nel IS32 (Fl. Sosipatri Charisii, natione Campani, gramma­ tici vetustissimi Institutionum grammaticarum libri V, ab I. Parrhasio olim inventi ac nunc a I. Pierio Cyminio . . . editi, Neapoli, ex officina I. Sulsbacchij ); ma l'edizione che real­ mente lo diffuse oltralpe fu quella frobeniana a cura di Georg Fabricius (Basileae ISSI). I2. « Sarebbe troppo lungo ricordare quanti titoli di libri mai visti io abbia raccolto dalla lettura giovanile del grammatico Prisciano, quanti me ne abbia ammassati Plinio (il Vecchio), quanti da ultimo Nonio Marcello, e quante volte mi abbiano fatto venire l'acquolina • : lettera a Giovanni dell'Incisa (F. Petrarca, Lefamiliari, ed. crit. per cura di V. Rossi, 1, Firenze, Sansoni, I933, p. I4o; l'epistola è di data incerta, dubbiosamente attribuita al I346 da E.H. Wilkins, Vita del Petrarca eformazione del Canzoniere, rist. Mila­ no, Feltrinelli, I970, pp. 84 sg.; cfr. però V. Rossi, Scritti di critica letteraria, n, Firenze, Sansoni, I930, pp. I44 sg.). I3. « Quando guardo a Nonio, mi sembra di vedere il triste naufragio degli scrittori antichi, dal quale mi sforzerò di recuperare qualche rottame • : Iusti Lip si Opera omnia quae ad criticam proprie spectant . . . , Antverpiae, apud Chr. Plantinum, IS8S, p. 2 della ri­ stampa dell'A ntiquarum lectionum commentarius; la metafora del naufragio - che è anche nella prefazione al Lucilio del Dousa, p. *3 - ricorre ancora a p. I02; altre immagini a p. I8 (i frammenti varroniani sono ita lacera, amfracta, divulsa, ut quod poetae Pentheum diri­ puisse aiunt Bacchas nugas maximas Juisse credam praeut quo pacto Varro distractus Juit: cfr. Plauto, merc. 469 sg.) e 30 (paragone tra i frammenti conservati da Nonio, homo alias nugator et ad risum saepe ineptus, ed i frammenti di statue pure religiosamente raccolti dai cultori d'antichità). Esemplari sulla rinascita d'interesse peri testi di tradizione in­ diretta le pp. 136-83 del cit. Nevio epico di Barchiesi {dopo un importante excursus nei poco esplorati territori del medioevo: pp. n8-36). 60I

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cali ancora inediti, o addirittura, nell'accanita ricerca di frammenti nuovi, di fronte all'accoglimento (o alla confezione) di veri e pro­ pri falsi. 1 4 Non è dunque casuale, in questa prospettiva, che pro­ prio nell'anno 1600 si concludesse la lunga gestazione del Servius auctus di Pierre Daniel, con il suo eccezionale contributo di cita­ zioni da testi perduti,t S né altrimenti si spiega la pubblicazione nello stesso torno di tempo (16os) , ad opera del venticinquenne Helias van Putschen, di quei Grammaticae Latinae auctores antiqui, patrocinati dallo Scaligero e a lui dedicati, destinati a tenere il cam­ po per due secoli e mezzo.1 6 Del resto, riedizione dei testi gram­ maticali e rifacimento delle raccolte di autori tramandati in fram­ menti saranno di nuovo due facce della stessa medaglia alla metà 14. Quanto all'esplorazione di inediti, mi limito a ricordare l'uso del Charisius ple­ nior posseduto dal Cauchius (Jan van Cuyck, t 1566) da parte di vari eruditi olandesi e fiamminghi dei secoli XVI e XVII (per cui mi permetto di rimandare alla mia ap­ pendice In margine al capitolo carisiano de interiectione {311, 4 -315, 27 B.) a La grammatica dell'Anonymus Bobiensis (GLI533-565 Keil), ed. crit. a c. di M.D.N., Roma, Ed. di Storia e Letteratura, 1982, in particolare pp. 62 sg. e 79-82) ; l'utilizzazione del Servius auctus di P. Daniel da parte di Lipsio, Scaligero e M erula prima dell'edizione del 16oo (cfr. Bar­ chiesi, Nevio epico, cit., p. 179) ; l'ispezione da patte del Colonna, per il suo Ennio, dei codici grammaticali di S. Giovanni a Carbonara (cfr. S. Mariotti, Falsi enniani di Girola­ mo Colonna?, in Studi . . . in onore di Vittorio De Falco, Napoli, Libreria Scientifica Editrice, 1971, p. 270 n. 7, e il mio libro appena cit., p. xxvn) . Per i falsi, soprattutto enniani, cfr. Mariotti, Falsi enniani, cit., pp. 267-83, e J. Lawicki, DeJraude P. Merulae Ennianorum An­ nalium editoris, diss. Bonnae 1852; inoltre, in generale, S. Timpanaro, Per una nuova edi­ zione critica di Ennio, in « SIFC », a. xxii 1947, pp. 179-90, e The Annals ofQ. Ennius, ed. comm. O. Skutsch, Oxford, Clarendon Press, 1985, pp. 785-95. 15. Pub. Virgilii Maronis Bucolicorum eclogae X, Georgicorum libri !III, Aeneidos libri XII, et in ea Mauri Servii Honoratigrammatici commentarli ex antiquiss. exemplaribus longe meliores et auctiores, ex bibliotheca P. Danielis . . . , Parisiis, apud S. Nivellium, 16oo. Sul Servio « Danielino » ed il Servio vulgata, le rispettive fisionomie e i rapporti reciproci, resta fondamentale E. Thomas, Essai sur Servius et son commentaire sur Virgile . . . , Paris, Thorin, 188o. n quadro delle attuali conoscenze in G.P. Goold, Servius and the Helen Episode, in « HSCPh », a. LXXIV 1970, pp. 101-17. e Ch. E. Murgia, Prolegomena to Servius 5 - The Ma­ nuscripts, Berkeley-Las Angeles-London, Univ. of California Press, 1975; sulle citazio­ ni del Servius auctus cfr. R.B. Lloyd, Republican Authors in Servius and the Scholia Danielis, in « HSCPh », lxv 1961, pp. 291-341. Ricca bibliografia nella sintesi di G. Brugnoli, s.v. Servio, in Enciclopedia Virgiliana, IV, Roma, Istituto dell'Enciclopedia italiana, 1988, pp. 805-13. 16. Grammaticae Latinae auctores antiqui . . opera et studio H. Putschii, Hanoviae, ty­ pis Wechelianis apud Cl. Marnium et haeredes I. Aubrii, 1605. Su quest'edizione cfr. gli interessanti cenni di H. Hagen,Jacobus Bongarsius. Ein Beitrag zur Geschichte der ge­ lehrten Studien des 16.-17. ]ahrhunderts, Bern, Fischer, 1874, pp. 39-41. .

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LE CITAZIONI DEI GRAMMATICI

del secolo scorso, quando la grande impresa dei Grammatid Latini di Heinrich Keil muoverà i suo primi passi (r8ss-s6) in significati­ va coincidenza col primo Ennio diJohannes Vahlen (1854) ed i pri­ mi Scaenicae Romanorum poesisJragmenta di Otto Ribbeck (r852-55); alle spalle, di nuovo, l'ispirazione e la guida di un grande: Frie­ drich RitschlP 2. l

CAMPI DELLA GRAMMATICA

Il ruolo essenziale dei grammatici antichi nel recupero fram­ mentario di tanta parte della letteratura latina è dunque, dal nostro punto di vista filologico e storico-letterario, fuori discussione; e in questa prospettiva strumentale non si può certo dire che il valore della loro testimonianza non sia stato ripetutamente - anche se non sempre soddisfacentemente - considerato in studi particolari, dedicati alla tradizione indiretta non solo di testi noti unicamente in questa forma, 1 8 ma anche, com'è naturale, di autori conservatici I7. « Era grandioso, e ricordava lo Scaligero, il suo modo di provvedere alla sua scienza attribuendo i campi di ricerca e assegnando i temi.J. Vahlen raccolse i fram­ menti di Ennio, O. Ribbeck i poeti scenici latini, R. Scholl le Dodici Tavole, A. Wil­ manns i frammenti grammaticali di Varrone, A. Reifferscheid quelli di Svetonio » (U. von Wilamowitz-Moellendorff, Storia della filologia classica, trad. it. Torino, Einaudi, I97I2, pp. n8-2o). L'esatta successione cronologica dei fascicoli dei Grammatici Latini (= GL) dello scolaro del Ritschl H. Keil (I822-I894) - quale si ricava dai frontespizi originali - è la seguente: 11 I-2 (a c. di M. Hertz, Lipsiae, Teubner, I855), I I (pp. I-296; 1856), I 2 (con la praifatio, pp. vii-LVIII; I857), III I (a c. di M. Hertz, pp. I-384; I859), III 2 (I86o), IV I (pp. I-352; I862), IV 2 (con la praifatio, pp. VII-LVI; I864), v I (pp. I-328; I867), v 2 (I868), Supplementum (a c. di H. Hagen; I87o), VI I (pp. I-3I2; I87I), VI 2 (I874), vii I (pp. I-3I2; I878), VII 2 (I88o). Le Ennianae poesis reliquiae del giovane Vahlen (I830-I9II) fu­ rono completamente rifatte nella seconda edizione (Lipsiae, Teubner, I903; cfr. inol­ tre A. Lunelli, Postille inedite di Vahlen alla seconda edizione di Ennio, in « RFIC », a. cviii I98o, pp. 55-84 e I74-2I7). Diversissimo dal Vahlen per temperamento ed inclinazioni, il condiscepolo Ribbeck (I827-I898) ripubblicò successivamente per due volte la sua ancora insostituita silloge (Lipsiae, Teubner, I87I-732 e I897-983). I8. Cfr. per esempio per Livio Andronico J. tanowski, Histoire desJragments des tragé­ dies de Livius Andronicus, in « Eos », a. LI I96I, pp. 65-77; per Nevio Barchiesi, Nevio epico, cit., pp. 88-no; per i frammenti di Plauto G. Goetz, Epilegomena in deperditarumfabula­ rumfragmenta, in T. Macd Flauti Cistellaria, ree. F. Schoell. Accedunt DeperditarumJabu­ larumfragmenta a G. Goetz recens., Lipsiae, Teubner, I894, pp. I88-204, e Calderan, Tito Macdo P/auto, cit., pp. I5-39; per Ennio Vahlen, Ennianae poesis reliquiae2, cit., pp. Lxxxvm-cxxvi, e Skutsch, The Annals, cit., 34-44; per Lucilio C. Luci/ii Carminum refi-

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direttamente dai manoscritti.19 Piu organicamente legato al tema generale del presente volume (rivolto allo studio della r i c e z i o n e dei testi latini a partire dall'antichità stessa) è tuttavia il problema preliminare, su cui in questa sede mi vorrei concentrare, del ruolo delle citazioni a 1 1 ' i n t e r n o della varia tradizione grammaticale latina a noi pervenuta, della funzione che esse di volta in volta as­ solvono (sia in teoria che in pratica), delle modalità significativa­ mente diverse con le quali sono introdotte e presentate; in partico­ lare, potrà essere interessante cercar d'individuare (e di interpreta­ re) l'eventuale manifestarsi di atteggiamenti di cosciente recupero di testimonianze linguistiche meno usuali, e comunque di rottura o di integrazione rispetto alle tendenze normali. quiae, ree. enarr. F. Marx, I, Lipsiae, Teubner, I904, pp. LXI-CXII. Per un autore non arcaico cfr. H. Dahlmann, Comelius Severus, Wiesbaden, Steiner, I97S ( « AAWM », geistes- u. sozialwiss. Kl., I97S, Nr. 6), pp. S-IO. I9. Mi limito a ricordare a puro titolo d'esempio per Plauto lavori come A. Klotz, Die Plautuscitate Varros, in « Philologus », a. xcvi I944, pp. I8-27, o W. Schultze, De Pri­ sciani locis Plautinis, diss. Ienae I9IO, o ancora il recente H.D.Jocelyn, Studies in the Indi­ rect Tradition ofPlautus's Pseudolus, I, in Filologia eforme letterarie. Studi offertia F. Della Cor­ te, Urbino, I987, II, pp. S'J-72; e m, in « BICS », Suppl. SI, I988, pp. S'J-72. Per Terenzio PJ.H. Mueller, De veterum grammaticorum in Terentio studiis criticis, diss. Monasterii, Aquisgrani I926;J.D. Craig, Priscian's QuotationsJrom Terence, in « CQ », a. XXIV I930, pp. 6s-73; Terence Quotations in Servius, ibid., pp. I83-87; Terence Quotations in Servius auctus, ibid., a. xxv I93I, pp. ISI-SS· Per Sallustio A. Nitzschner, De locis Sallustianis, qui apud scriptores et grammaticos veteres leguntur, diss. Gottingae, Hannoverae I884; R. Zimmer­ mann, Der Sallusttext im Altertum, Miinchen, Urania, I929. Per Cicerone H. Karbaum, De auctoritate acfidegrammaticorum Latinorum in constituenda lectione Ciceronis orationum in Verrem, in « Diss. philol. Halens. », VI I I88s, pp. 73-no; Id., De origine exemplorum quae ex Ciceronis scriptis a Charisio, Diomede, Arusiano Messio, Prisciano Caesariensi, aliisgrammaticis Latinis allata sunt, progr. Wernigerode I889. Per Virgilio O. Ribbeck, Prolegomena critica ad P. Vergili Maronis Opera maiora, Lipsiae, Teubner, I866, pp. 200-I'J, e L. Gamberale, s.v. Eneide IO. La documentazione extra-codici, in Enciclopedia Virgiliana, cit., II, I98S, pp. 29630S (oltre alle voci sui singoli grammatici) . Per Tito Livio P. Wessner, Zu den Liviuszi­ taten bei Priscian, in Hundertjahre A.Marcus u. E. Webers Verlag, 1818-1918,Bonn, Marcus & Weber, I9I9, pp. no-I4. Inoltre P. Dierschke, Defide Prisciani in versibus Vergilii, Lucani, Statii, Iuvenalis examinata, diss. Gryphiae I9I3; P. Wessner, Luca n, Statius und Iuvenal bei den riimischen Grammatikern, in « Philol. Woch. », a. XLIX 1929, pp. 296-303 e 328-3s. Sul complesso delle citazioni del piu importante fra i grammatici cfr. L. Jeep, Priscianus. Beitriige zur Ueberliiferungsgeschichte derriimischen Literatur, in « Philologus », a. LXVII Igo8, pp. 12-SI; a. LXVII I 1909, pp. I-SI; a. LXXI 1912, pp. 49I-SI7, col correttivo di Wessner, Zu Priscian, in « Philol. Woch. », a. XLIV 1924, pp. 187-90; statistiche in E. Reychmann-Lee, Institutiones grammaticae Prisrjana jako zrodlo badali poeta mi lacinskimi, in « Meander », a. IX 1978, p. 443-S6.

LE CITAZIONI DEI GRAMMATICI

In riferimento ai testi grammaticali latini in nostro possesso ho parlato poc' anzi di v ari e t à, ed in effetti, anche in questo campo, preliminare ad ogni tentativo di presentazione e valutazione dei fatti è la necessità di distinguere, tanto sull'asse diacronico (per non confondere, ad esempio, la grammatica di Varrone con quella di Donato),20 quanto soprattutto sul piano tipologico, dal momen­ to che proprio la presenza, la natura e la funzione delle citazioni contribuiscono decisamente a distinguere, entro l'amplissimo ter­ ritorio di competenza del grammatico antico, generi letterari assai diversi tra di loro. La grammatica antica, come è noto, si definisce in ambito ales­ sandrino come l'insieme delle competenze necessarie per la per­ fetta lettura, comprensione ed interpretazione dei testi letterari, soprattutto poetici,21 e tale fondamentale funzione esegetica - ben rappresentata a Roma dai grandi commenti conservati (a Virgilio di Servio, a Terenzio di Donato, ad Orazio di Porfìrione, e cosi via), nonché dai tanti perduti - è ancora ben presente nella classica defi­ nizione quintilianea, di probabile ascendenza varroniana, haec pro­ Jessio (scil. grammaticae) . . . brevissime in duas partes dividitur, recte lo­ quendi scientiam et poetarum enarrationem, infinite volte ripresa e va­ riata dai grammatici piu tardi.22 Originariamente funzionali all'in20. Preziose, da questo punto di vista, le osservazioni di L. Jeep, Zur Geschichte der Lehre von den Redetheilen bei den romischen Grammatikern, Leipzig, Teubner, I893, pp. III-XIII. 21. Il testo capitale è qui la celebre definizione di Dionisio Trace, in Grammatici Graeci (= GG) I I (ed. G. Uhlig), Lipsiae, Teubner, I883, pp. 5, 2-6, 3 (la cui autenticità è confermata dalla tradizione indiretta di Sesto Empirico, adv. gramm. 57 e 250) : « La grammatica è lo studio pratico dell'uso linguistico normale di poeti e prosatori. Essa si compone di sei parti: I) lettura esperta in rapporto alla prosodia; 2) spiegazione in rapporto ai tropi poetici presenti nel testo; 3) piana esposizione delle glosse e dei con­ tenuti; 4) ritrovamento dell'etimologia; s) presentazione dei paradigmi; 6) giudizio critico sui poemi, che è poi il piu bello tra gli elementi rientranti nella disciplina grammaticale » (cfr. anche A. Kemp, The Tekhne grammatike ofDionysius Thrax Transla­ ted into English, in The History oJLinguistics in the Classica l Period, ed. D.J. Taylor, Amster­ dam-Philadelphia,J.Benjamins Publ. Comp., I987, p. I72) : su questa e altre definizioni antiche della grammatica cfr. K. Barwick, Remmius Palaemon und die romische Ars gram­ matica, Leipzig, Dieterich, I922, pp. 2I5-23. 22. Quintiliano, inst. I 4 2: « Questo insegnamento . . . si divide in ultima istanza in due parti: scienza del corretto parlare e spiegazione dei poeti »; cfr. Barwick, Remmius Palaemon, cit., pp. 2I9-23. 6os

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terpretazione dei testi letterari, anche se con sviluppi ben presto sostanzialmente autonomi rispetto ad essa, sono i vari « strumen­ ti », i diversi tipi di trattati, manuali, monografie, sussidi, alla cui compilazione i grammatici, piu o meno di professione, si dedicano. Illuminante, pur nella sua schematicità, è la partizione trasmessaci da un tardo commentatore di Dionisio Trace, ma certo escogitata secoli prima di lui:

(

)

La grammatica è costituita da quattro parti, correzione dei testi , lettura, esegesi e critica, e si serve di quattro strumenti, glossografia, indagine contenutistica, metrica e grammatica in senso tecnico.23

Lasciandoci guidare, come già il Barwick,24 da tale ripartizione possiamo passare in rapida rassegna le opere d'argomento generi­ camente grammaticale in lingua latina,zs concentrandoci nell' am­ bito di ciascuna categoria sul ruolo e la funzione delle citazioni presenti. 23. Schol. Dion. Thr. GG I 3 (ed. A. Hilgard), Lipsiae, Teubner, 1901, p. IO, 8-IO:

auvéa'rT]XE yàp (se. ,; YPUill·uxnxf] ) éx llEPWV 'I:Eaacipwv, tìtopftwnxoii, avayvwanxoii, éi;T]yT]nxoii xaì xptnxoii, xaì él; òpycivwv Twacipwv, yÀwaaT]Ilanxoii, ia1:optxoii, llE'tptxoii xaì TEXVtxoii (con numerosi paralleli, tra cui GG I 3, p. 164, 9-II e p. 170,

18-20). 24. Barwick, Remmius Palaemon, cit., pp. 223-29. 25. Resteranno necessariamente fuori dalla nostra specifica considerazione - an­ che per motivi di spazio - opere di compilazione erudita particolarmente ricche di ci­ tazioni, nelle quali pure l'elemento grammaticale-linguistico ha gran peso, come le Noctes Atticae di Gellio (su di esse, da questo punto di vista, cfr. da ultimo F. Cavazza, Gel/io grammatico e i suoi rapporti con l'Ars grammatica romana, in The History ofLinguistics, ci t., pp. 85-103) o i Saturnali di Macrobio (per i quali vedi ora la pregevole rassegna di P. De Paolis, Macrobio 1934-1984, in « Lustrum », a. xxviii-XXIX 1986-87, in particolare pp. 182-223). Lo stesso si dica di generi pure di competenza della grammatica antica nel suo significato piu vasto, ma per i quali siamo spesso ridotti a raccogliere scarsi fram­ menti indiretti o ad accontentarci di tarde rielaborazioni: penso ad esempio alla vasta letteratura pinacografica plautina su cui ci ragguaglia il prezioso capitolo III 3 di Cel­ lio, o alla trattatistica biografico-letteraria de poetis (Varrone, Svetonio; cfr. H. Dahl­ mann, Studien zu Vtzrro 'De poetis', Wiesbaden, Steiner, 1963 [« AAWM », geistes- u. so­ zialwiss. Kl., 1962, Nr. 10], e E. Paratore, Una nuova ricostruzione del De poetis di Svetonio, Bari, Adriatica, 19502) o ancora a quella de poema tibus (che a noi traluce dal famoso ca­ pitolo omonimo di Diomede, CL I, pp. 482,13 - 492,14; cfr. Dahlmann, Vtzrros Schrift 'de poematibus' und die hellenistisch-romische Poetik, Wiesbaden, Steiner, 1953 [« AAWM », Geistes- u. sozialwiss. Kl., 1953, Nr. 3]). 6o6

LE CITAZIONI DEI GRAMMATICI 3·

l

GLOSSOGRAFI

La glossografia erudita 26 nasce a Roma in età prevarroniana dal confluire di un vivace interesse esegetico ed antiquario per le testi­ monianze piu antiche della letteratura e della legislazione nazio­ nale (l'epica in saturni, Plauto, Catone, le XII Tavole) con lo spicca­ to gusto etimologico testimoniatoci, prima ancora che dalla siste­ matica trattazione dei libri v-VII del De lingua Latina di Varrone, da tanti versi di Nevio, Ennio, Accio; 27 ed in tale contesto, del resto, non va neanche trascurato il ricorrente indugiare, già nell'oratoria di un Catone, sulla individuazione di precise distinzioni semanti­ che fra termini quasi sinonimici (il germe dal quale si svilupperà il diffusissimo genere letterario delle dljferentiae verborum) .28 Si tratta di una produzione ampia e cronologicamente uniforme, distinta in vari sottogeneri, tra i quali sono da menzionare glossari speciali per autore {si pensi ad esempio al De obscuris Catonis attestatoci per Verrio Fiacco o alla raccolta di hapax legomena ciceroniani redatta da Statilio Massimo),29 glossari nomenclatori per argomento (del 26. Cfr. G. Goetz, s.v. Glossographie, in RE VII I, I9IO, coll. I433-66, in particolare I433-37 (e dello stesso - col Wessner - Deglossariorum Latinorum origine etfatis, Lipsiae et Berolini, Teubner, I923) ; inoltre ]. Tolkiehn, s.v. Lexikographie, in RE XII 2, I925, coll. 2479-82. Per quel che riguarda i glossari medievali orienta succintamente W.M. Lind­ say, in Lindsay-H.J. Thomson, Ancient Lore in Medieval Latin Glossaries, London etc., H. Milford (Oxford Univ. Press) I92I, pp. v-xii; utile - anche se non esauriente - J.F. Mountford, Quotations Jrom Classica! Authors in Medieval Latin Glossaries, New York­ London, Longmans, Green & Co., I925. 27- Cfr. il materiale raccolto dal Funaioli, Grammaticae Romanaefragmenta, coli. ree. H.F., 1, Lipsiae, Teubner, I907. nella sezione « verborum enodationes » del capitolo de­ dicato ai Grammaticae primordia: pp. 6 sg. (Nevio) e 7-9 (Ennio); inoltre, per il poeta­ grammatico Accio, cfr. praetex. v. 39 R.3 (= p. 29 Funaioli). 28. Cfr. Funaioli, Grammaticae Romanae fragmenta, cit., 9-I5, in particolare i fram­ menti da orazioni IO (properareljestinare), n (amor/cupido), I4 (falsarius/mendax). Per Ac­ cio cfr. trag. v. 4 sgg. R.3 (pertinacia/pervicacia) e 296 (animus/anima) (=p.28 sg. Funaioli). Sui d!lferentiarum scriptores, accanto al classico G. Brugnoli, Studi sulle d!lferentiae verbo­ rum, Roma, Signorelli, I955, si veda oggi il bel lavoro di G. Moretti, Introduzione al De d!fferentia similium signifìcationum di Nonio, in AAYV., Studi noniani IX, Genova, Istituto di filol. class. e med., I984, pp. I79-203. 29. Cfr.J.E.G.Zetzel, Statilius Maximus and Ciceronian Studies in the Antonine Age, in « BICS », a. xxi I974, pp. IO'J-23, e O. Pecere, La 'subscriptio' di Stati/io Massimo e la tradi­ zione delle Agrarie di Cicerone, in « IMU », a. xxv I982, pp. 73-I23, in particolare pp. 97 sgg. ,

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genere degli 'OvotJ.aonxa greci; si pensi ad opere come il m:pì �Àao> di Nonio ed alla dubbia dottrina esibita nell' Expositio sermonum antiquorum di Fulgenzio) 44 che non la manifestazione di un piu o meno polemico (termine post quem è la divulga­ zione dei primi libri del poema di Lucano, il cui incipit è citato in CL VI, p. 616, 13) .78 Minimo è del resto il ruolo dei poeti previrgilia­ ni, forse piu sorprendentemente, anche per quel che riguarda la produzione esametrica,79 dal momento che, se si escludono alcune sporadiche citazioni introdotte non a fini d'esemplificazione me­ trica,80 al dubbio esametro partipes di Diomede, CL I, p. 499, 14, per il quale si è pensato senza vera probabilità ad Ennio,81 non è possi­ bile accostare che un esiguo gruppetto di esametri olospondaici 77- Cfr. G. Schultz, Ueber das Kapitel de versuum generibus bei Diomedes p. 506ff.Keil, in « Hermes », a. xxii 1887, p. 265. 78. Sullo ps. Censorino cfr. in generale Schanz-Hosius, Ceschichte, cit., m, Miin­ chen, Beck, 19223, p. 221 sg. I capitoli dedicati alla metrica sono in Keil, CL VI, pp. 607I'J. Mediocre la recente edizione censoriniana di K. Sallmann (Leipzig, Teubner, 1983; utile la bibliografia: pp. xxii-xxxv). Sull'autenticità dei versi tragici anonimi dello p s. Censorino si accese una delle tante dispute fra L. Miiller, Sammelsurien, in « Neue Jahrbiicher, a. xcvii 1868, pp. 432-34, ed il Ribbeck (cfr. il corollarium alla seconda edi­ zione dei tragici del 1871, pp. LXVI sg.). Va comunque anche qui osservato (supra n. 76) che quattro su cinque, fra i versi giambico-trocaici citati, sono « grecanici » (612, 21: Accio, trag. 540 R.3; 613, 7: trag. inc. 138; Io: inc. 29; IJ: inc. 42; lo scazonte di 613, 4 ha ad­ dirittura cinque giambi); non cosi solo 612,23 (Accio, trag. 567). Grecanico è anche trag. inc. 91 R.\ «confictus a Iuba metrico » in Fragm. Bob. CL VI, p. 622, II. Unici tragedia­ grafi citati per nome dai metricologi sono, se non erro, Accio e Pacuvio in Aftonio, CL VI, p. n 3-13 (con citazione rispettivamente di trag. 520 sgg. e 350-2 R.3 - ex Caesio Basso?). Il Livio Andronico di Aftonio, CL VI, p. 67, 31 sgg. (copiato da Terenziano Mauro, CL VI, p. 383, 1931 sgg.) è Levio: cfr. S. Mariotti, Livio Andronico e la traduzione artistica, Urbino, QuattroVenti, 19862, p. 50 n. 81. 79· Per quel che concerne il saturnio le fonti metricologiche, peraltro piuttosto po­ vere di citazioni per l'imbarazzo a trovarne di esemplari (caratteristico Cesio Basso, CL VI, p. 265, 13 sg. alios breviores, alios longiores inseruerunt [se. nostri antiqui], ut vix invene­ rim apud Naevium, quos pro exemplo ponerem, che alla fine fa spazio piuttosto a testi non « letterari », come le tabulae Regilli e Adlii Clabrionis, 265, 25 e 29), sono raccolte e di­ scusse da B. Luiselli, Il verso saturnio, Roma, Ed. dell'Ateneo 1967. pp. I3-II4; preziose restano le pagine di Barchiesi, Nevio epico, cit., pp. 72-81 e !07-9· Sta un po' a sé, per la curiosa esemplificazione, Carisio, CL I, pp. 288, 1-289 ( 375, 12-376 B.). Bo. Penso ad esempio a casi aftoniani come CL VI, p. 66,22 e 147. 29 (Varrone Ataci­ no, frg. IO M. e Bii.; esempio classico di sineresi fin da Quintiliano, inst. I 5 17) e 56, II {Lucilio, v. 578 M., citato per l'apocope insieme a triti esempi lucreziani ed enniani), o ancora 6o, 21-25 {Varrone Atacino, frg. II M. e Bii., citato per il contenuto come del re­ sto il frammento tragico di Vario - p. 265 R.3 - immediatamente precedente). 81. Breve riassunto della questione in A. Traina, Diomede I 499, 14 Keil, in « RFIC », a. cxm 1985, pp. 303 sg., che propone l'ottima congettura Joedant per il tradito fida. =

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questi si certamente o probabilmente enniani, citati da Atilio For­ tunaziano, CL VI, p. 284, 21 (ann. 33 V.2 = 31 Sk., con attribuzione esplicita), e, per due volte, ancora dallo ps. Censorino, CL VI, p. 612, 6 (ripetuto in 616, 9) e 615, 18 (ann. 169 V.2 157 Sk. e 624 V.2 621 Sk., sempre anonimamente).82 Ma una ben definita tendenza ver­ so l'eliminazione degli esempi arcaici è visibile anche in quest'area limitatissima, se si considera come Sacerdote preferisca, piuttosto che citare qualcuno dei ben noti olospondaici enniani, modificare versi di Virgilio (che di olospondaici non ne ha) sia in CL VI, p. 500, 17-20 (si ha un olospondaico togliendo la -e-alla parola ocreas in Aen. VII 634: aut levis ocreas lento ducunt argento) che in 503, 3, dove Aen. m 517: armatumque auro circumspicit Oriona è direttamente citato sosti­ tuendo a circumspicit un suspexit (misurato come molosso) che con­ ferma ancora un volta la sovrana noncuranza di questo grammati­ co per il rispetto della corretta prosodia; 83 la riprova della tenden­ za ce la offre Diomede, che come esametro olospondaico, in CL I, p. 496, 16, cita anch'egli il già ricordato Aen. VII 634, ma sostituendo direttamente all' anapestico ocreas lo spondaico lamnas. Alla chiara avversione per le citazioni da autori la cui prassi me­ trica era evidentemente sentita come desueta e rozza fa da contral­ tare una diffusa propensione, da parte dei metricologi di maggiori pretese, a citare autori contemporanei o comunque recenti, so­ prattutto come rappresentanti di una metrica ricercata e in sostan­ za artificialmente ricollegata nella sua genesi - tramite la procreatio metrorum appunto alla speculazione metricologica.84 L'esempio piu evidente ci è offerto dai cosiddetti poetae novelli (Anniano e so­ prattutto il polimetrico Sereno), per i frammenti dei quali grande è =

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82. Cfr. ancora il v. 623 V.2, che lo Skutsch colloca a ragione fra i dubia (frg. vn; cfr. anche il commento, pp. 772 sg.). 83. Cfr. Keil, GL VI, p. 423 n. (e De Nonno, Ruolo e funzione cit., n. 2); pasticciata prosodicamente è anche la citazione lucreziana immediatamente successiva (503, 5 sg.), insolitamente introdotta col numero del libro (cfr. Keil ad loc.). 84. Ben note sono le ricerche sul rapporto fra teoria e prassi metrica in Orazio (cfr. soprattutto R. Heinze, Die lyrischen Verse des Horaz, Leipzig, Teubner 1918 [ « Berichte der Leipz. Ges. d. Wiss. », philol.-hist. Kl. 70, 4]) o in Seneca (cfr. ad esempio W. Strze­ lecki, De polymetris Senecae canticis quaestiones, in « Eos », a. XLV 1951, pp. 93-107).

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il nostro debito nei confronti degli scriptores de re metrica a partire da Giuba.ss Ma già Cesio Basso, in età neroniana, citava nel paragrafo sul galliambo (CL VI, pp. 261, 28-263, n), accanto ad un verso del carme 63 di Catullo, ben tre frammenti di Mecenate (262, 7 sg.; 12; 263, 1) , oltre ad un verso anonimo alterius auctoris (262, 16; FPL p. 1 74 M. = p. 205 Bii.), ed a nessuno meglio che a lui mi pare si possano far risalire le citazioni di suoi contemporanei, come i tragediografì Seneca e Pomponio Secondo ed il « menippeo » Petronio, che qua e là ricorrono nelle pagine del suo stretto seguace Terenziano Mauro.86 Notevole è infine la singolare citazione, presso Diome­ de, CL I, pp. 499, 30-500, 4, come esempio di versus vocales, di quat­ tro esametri di un tal Paconio (FPL p. 123 M.= 155 Bii.), che oggi si è propensi ad attribuire, sulla scorta di un vecchio suggerimento di Moritz Haupt,B7 al Sesto Paconiano fatto giustiziare da Tiberio nel 35: anche qui la fonte ultima è possibile che sia il quasi contempo­ raneo Cesio Basso, tanto piu che poche righe prima (499, 23) com85. Fondamentale sui cosiddetti novelli è A. Cameron, Poetae novelli, in « HSCPh », a. LXXXIV 1980, pp. 127-75 (pp. 154 sg. sulla procreatio metrorum in Sereno). Testo com­ mentato: !frammenti dei Poetae novelli, a cura di S. Mattiacci, Roma, Ed. dell'Ateneo, 1982 (e della stessa A., Per l'esegesi della poesia novella: postille e nuovi contributi, in AAYV., Disiecti membra poetae. Studi di poesia latina in frammenti, a cura di V. Tandoi, I, Foggia, Atlantica, 1984, pp. 156-74). Cfr. inoltre Gamberale, La riscoperta, cit., pp. 588-92. I quat­ tro frammenti tradizionalmente attribuiti ad Anniano sono tutti di fonte metricologi­ ca, e cosi ben 13 dei 26 di Settimio Sereno. Quanto a Giuba (su cui resta fondamentale O. Hense, De Iuba artigrapho, in « Acta soc. philol. Lips. », IV, 1875, pp. 1-322; cfr. in gene­ rale Schanz-Hosius, Ceschichte, cit., m\ 172 sg.), egli cita versi certamente collegati ad Annian. frg. 3 M. e Bii. presso Prisciano, CL m, p. 421, 5-7; inoltre il primo verso dello stesso frammento è anche in Fragm. Bob. CL VI, p. 623, 31. 86. Per Seneca CL VI, p. 404, 2673-75 (un'altra citazione in Diomede, CL I, p. 511, 24; sulla esigua tradizione grammaticale e metricologica di Seneca cfr. quanto osservo in L'Auctor ad Caelestinum, cit., nn. 63-65 e testo corrispondente); per Pomponio 384, 1965-68 (plagiato nel corrotto Aftonio, CL VI, p. 121, 22-26) e 389, 2135-41, dove si noti la menzione accoppiata di Seneca e Pomponio come in Quintiliano, inst. vm 3 31 (il passo è ricalcato da Aftonio, p. 115, 13-17); per Petronio 399, 2489-96 ( Aftonio, p. 138, 23-29) e 409, 2852-65 ( Aftonio, p. 153, 32-37); un'altra citazione petroniana ricorre di nuovo, non a caso, in Diomede, CL I, p. 518,21-24. Che Cesio citasse Seneca era già da­ to per scontato dal Leo, L. Annaei Senecae Tragoediae, I, Observationes criticae, Berolini, Weidmann, 1878, 133. 87- M. Haupt, Opuscula, m, Lipsiae, Hirzel, 1876, pp. 336 sg. (con qualche ritocco ri­ spetto ad « Hermes », a. I 1866, pp. 42 sg.). Su Paconiano cfr. ora Dahlmann, Comelius Severus, cit. (sopra a n. 18), pp. 144-48. -

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pare sempre in Diomede - ancora come unicum il verso toroa Mi­ malloniis injlatur tibia bombis, variante o modello del toroa Mimallo­ neis implerunt cornua bombis di Persio I 99, un poeta le cui satire, co­ me è noto, furono edite proprio per cura di Basso.88 Solo un cenno, infine, merita in questa sede la vasta trattatistica prosodica a noi pervenuta, nel cui ambito spicca come esemplare il Definalibus serviano (CL IV, pp. 449-55) , con il suo plagiario + parti del di­ scorso (definizione + accidenti) - nella quale è incastonata una trattazione del « regulae-type >> circoscritta essenzialmente a nome e verbo _l 58 Ma la presenza della lezione di Capro va piu in là, in un autore che non rinunciava a priori a pensare con la propria testa, 1 59 l'importante beneventano Z (Vat. lat. 3313: cfr. De Nonno, in « RFIC », a. cv 1977, pp. 385 sgg.); di ars parla ripetutamente Flavio Teodoro, discepolo di Prisciano, nelle sot­ toscrizioni di cui aveva costellato l'archetipo del trattato (O.Jahn, Ueber die Subscriptio­ nen in den Handschriflen romischer Classiker, in « Ber. d. k. sachs. Gesellsch. d. Wiss. zu Leipzig », philol. - hist. Kl., m 1851, pp. 355-59) . Ho cercato di raccogliere i dati essen­ ziali sul grammatico di Cesarea s.v. Prisciano, in Enciclopedia Virgiliana, cit., IV, pp. 279-81 (con bibliografia). 155. Cfr. le dichiarazioni di Foca (un autore non ignoto a Prisciano) riportate sopra a n. 122. 156. Cfr. soprattutto G. Keil, De Flavio Capro, cit., pp. 278-306; informata la sintesi di Schanz-Hosius, Ceschichte, cit., IV 2, Miinchen, Beck, 1920, pp. 225-27157. Cfr. Prisciano, inst. CL II, p. 85, 6; 96,2; 97, 7; 163,22; 204, 6; 212,5 e 15; 260, 17; 264, 16; 322, 2; 354, 9; ecc. 158. Cfr. del resto la prefazione particolare al libro VI (CL II, p. 194) : Breviter regu1 a s tibi me iussisti, Iuliane . . . , nominum colligere ecc., sulla quale poggia l'ipotesi non pe­ regrina delloJeep, Zur Ceschichte, cit., pp. 90-93, di una composizione preliminare dei soli 11. VI-VII e IX-x, successivamente integrati nel corpo del trattato. 159. Cfr. ad esempio CL II, pp. 534, 25 - 535, 6 (luogo non sfuggito al Marx, cit., p. Lxv), dove a proposito di un passo di Lucilio (v. 478 sg. M.) trasmessogli da Capro ac­ compagnato da una polemica contro l'interpretazione di Probo Prisciano non esita a prendere argomentata posizione contro la sua fonte diretta.

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rispetto alla semplice fornitura di materiale esemplificativo. Dal forte influsso della tipologia de Latinitate, ed un influsso recepito non passivamente, derivano in Prisciano l'uso quasi universale, nelle citazioni, dell'indicazione dell'autore e, spessissimo, del tito­ lo dell'opera e del numero del libro, uso che egli estende sistema­ ticamente a tutti i testi di cui si serve, anche quelli da lui personal­ mente addotti, 1 60 raggiungendo nel caso di Virgilio raffinati livelli di significativa differenziazione tra le citazioni dalle Georgiche e quelle dall'Eneide, ed all'interno di queste ultime tra quelle tratte dai libri I-IV e v-xn; 1 6 1 assai frequenti sono poi in lui le citazioni che ho sopra definito « lessicali )), caratteristiche in particolare dei libri n-IV, con le loro lunghe liste di patronimici, possessivi, dimi­ nutivi e denominativi ordinati secondo i diversi suffissi; 1 62 all'in­ fluenza della prassi pliniana, che egli recepiva mediata da Capro, va ricondotta la singolare iniziativa - saggiamente perseguita per piccoli assaggi - di citare per usi linguistici autori anche assai re­ centi, comunque fuori da qualsiasi canone scolastico e talora addi­ rittura appartenenti alla « Fachliteratur )) (ad esempio Terenziano Mauro, Aulo Gellio, Ammiano, Ulpiano, Solino, Vegezio, perfino Donato); 1 63 ripresa probabilmente da pratica probiana (di nuovo trasmessa da Capro) è ancora l'abitudine, tipica di Prisciano, di ofI6o. Questo scrupolo documentario nelle citazioni sarà da Prisciano trasmesso al discepolo Eutiche, autore di un De verbo in due libri ( GL v, pp. 447-88) il secondo dei quali (467 sgg. Definalitatibus, strutturalmente affine ad opere del« regulae-type » come Sacerdote n-Catholica Probi: cfr. del resto 447, I3 sg.: alter indidofinalitatis spedales exse­ quitur regulas) è, a differenza del primo, ricco di citazioni (Virgilio, Orazio, Lucano, Terenzio, Ovidio, Cicerone, Persio, Stazio, Giovenale, Sallustio, Lucrezio -ma l'unica citazione da Accio dipende da Prisciano). Giova, a contestualizzare lo scrupolo docu­ mentario di Prisciano, riportare la dichiarazione di principio espressa, in capo al con­ temporaneo Digesto, nella costituzione de confirm. Dig. IO: tanta autem nobis antiquitati habita est reverentia, ut nomina prudentium tadturnitati tradere nullo patiamur modo: sed unus­ quisque eorum, qui auctor legis fuit, nostris digestis inscriptus est. I6I. De Nonno, Prisdano, cit., p. 280. I62. Cfr. GL n,p. 62, IO medioximus (Plauto); 70, 7 mulionicus (Cicerone); 76, 3 popul­ nus (Plauto); 79, I9 Jormidnus (Plauto); So, 2I hirundininus (Plauto); 102, I2 nepotulus (Plauto); I8 corculum (Plauto); ecc. I63. La prassi è stata del tutto fraintesa da Jeep, Prisdanus, cit. (I9o8), pp. I2-22 (fon­ damentale, ma antistoricamente denigratorio nei confronti dell'oggetto stesso della sua ricerca!); cfr. inoltre De Nonno, Ruolo efunzione, cit. (testo corrispondente alle nn. 96-98).

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frire un breve commento metrico alle citazioni non esametriche addotte per motivi linguistico-grammaticali; 164 da Capro {cfr. ad es. Carisio, GL I, p. 145, 23-26 = 184, 19-24 B.) egli accoglie infine la tendenza a contrapporre l' auctoritas dei veteres o dei vetustissimi (co­ munque importante come documentazione) a quella degli iuniores, l'unica davvero normativa_165 Ma l'importanza di Prisciano nell'ambito del discorso sui .. c tt l �u n a s

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