«La tigre e la neve» di Roberto Benigni. Parole poetiche e immagini d'autore 8880636731, 9788880636731

Può un film essere anche una fittissima antologia di testi poetici e letterari? È il caso del film "La tigre e la n

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«La tigre e la neve» di Roberto Benigni. Parole poetiche e immagini d'autore
 8880636731, 9788880636731

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IL PORTICO. BIBLIOTECA DI LETTERE E ARTI 156.

Sezione: MATERIALI LETTERARI

Maria Chiara Cugusi

“La tigre e la neve” di Roberto Benigni Parole poetiche e immagini d’autore

LONGO EDITORE RAVENNA

ISBN 978-88-8063-673-1

© Copyright 2011 A. Longo Editore snc Via P. Costa, 33-48121 Ravenna Tel. 0544.217026 - Fax 0544.217554 e-mail: [email protected] www.longo-editore.it All rights reserved Printed in Italy

PRESENTAZIONE

di Lia Fava Gazzetta

È per me un vero piacere che l’ottima dissertazione di laurea magistrale di Maria Chiara Cugusi abbia trovato l’accoglienza editoriale caratterizzata dalla nota aper­ tura, intelligenza e lungimiranza dell’editore Longo, nella collana II portico, di in­ discussa e collaudata qualità. 11 lavoro di rilevante livello scientifico e metodologico della Dott. Cugusi si in­ serisce con originalità in un campo di studi molto interessante e sempre più attuale, che riguarda la traduzione, la quale, per dirla con George Steiner, si trova dentro «al cuore della comunicazione umana» (G. Steiner, Dopo Babele, Milano, Garzanti. 2004, p. 10). In tal senso l'idea stessa di traduzione e il processo che la incarna e la realizza sempre più affronterà una problematica che sconfina da un orizzonte stret­ tamente linguistico. La dott. Cugusi affronta un settore molto specifico di tale problematica che mette a confronto letteratura e cinema, cogliendo il delicato percorso di traduzione dalla parola all'immagine filmica ed evidenziando l’importanza di un momento di me­ diazione assolutamente fondamentale come quello della sceneggiatura. Solitamente, com’è noto, il pubblico che assiste ad una proiezione cinemato­ grafica non conosce o non prende in considerazione la sceneggiatura del film, men­ tre essa rappresenta un passaggio ineliminabile ed insostituibile verso il film. Nel caso in cui si tratti per di più di un film tratto da un’opera letteraria o che comun­ que si serva di fonti letterarie per esprimere il proprio stesso messaggio, la sceneg­ giatura rappresenta una tappa, quasi un delicatissimo filtro, per la trasformazione in oggetto visivo / film, di ciò che in letteratura è affidato alla parola. Nel caso singolare del film di Roberto Benigni, il testo letterario si è presentato quasi nella forma di un caleidoscopio, in quanto molte sono le fonti poetiche alle quali il regista ha attinto, come a volere dare simbolicamente forza all'idea che la poesia in quanto tale, da dovunque essa provenga e a chiunque appartenga, dà bel­ lezza alla vita e, nella fattispecie, aggiunge vita al film stesso. Il poeta Mario Luzi, recentemente scomparso, in un suo pregevole e finissimo saggio dal titolo Leopardi, Dante o della Modernità (Roma. Editori Riuniti. 1992), a proposito della parola poetica dantesca così si esprimeva: «Dall’interno del­ l’esperienza. dalle contraddizioni, dalla dura prova integrale vissuta senza riparo o riserva mentale Dante faceva nascere insieme alla rappresentazione il grande sup­ plemento di significato che la parola può svelare e conferire al mondo» (ivi p. 15).

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Presentazione

L’opera filmica di Benigni ci dice proprio questo, perché sembra nascere da questa stessa consapevolezza, dalla ricerca cioè di quel “supplemento di significato’’ che la poesia conferisce alla realtà e dalla coscienza che esso, una volta che sia stato messo in circolazione dal poeta, possa appartenere a tutti. Da tale angolatura risulta fortemente simbolica l'operazione di “appropriazione” delle parole dei poeti, che il regista ha inteso condurre e che la sceneggiatura ha pre­ disposto. Viene infatti offerta allo spettatore/lettore l’occasione di scoprire, o se si vuole di intravvedere, di assaporare, quel "di più” di significato che - nel fluire della vita, con tutti i suoi inquieti andirivieni, gli sfasati obbiettivi, gli snervanti puntigli, o la sua perpetua erranza nel mistero della storia - la poesia continua a dare all'uomo come occasione di felicità. Ciò intende proporre Benigni col suo film attraverso quell'impegno di tradu­ zione che ne è la fondamentale modalità di espressione e che si produce, quasi come una sorta di mise en abìme, nella stessa trama del film. E merito di Maria Chiara Cugusi avere enucleato e penetrato, dentro l'ampio orizzonte del tradurre, il punto ciuciale e l'intimo valore della sceneggiatura rispetto al film, con finezza di analisi, competenza e possesso di strumenti ermeneutici. Tale analisi si è posta come occasione di partenza per un'indagine che alla resa dei conti è andata oltre la sceneggiatura stessa, dando conto della complessità costruttiva del film ed ancor più del fascino di una poetica dell’opera d’arte ad essa sottesa, che con­ tribuisce ad illuminare il lettore sull’intero orizzonte creativo di Roberto Benigni, il quale sempre più con le sue opere è venuto affermando il valore simbolico e vitale della poesia. Il titolo di un recente film, Lost in translation, ha in qualche modo messo sul­ l'avviso lo spettatore rispetto a ciò che nel percorso di traduzione fra due o più lin­ guaggi può rischiare di essere perduto, qui invece Benigni ci dimostra in concreto, con la sua stessa operazione filmica, che la traduzione in sé possa costituire, per tor­ nare di nuovo a Steiner, l'atto stesso della «percezione dell'intenzione di signifi­ care» e che il passaggio attraverso testi molteplici o la loro stessa metamorfosi in immagini, nell’incontro tra parola e visione, possa rappresentare un arricchimento della prospettiva di ricezione ed allargare i confini, sempre per qualche verso polisemici, misteriosi ed imprevedibili, del messaggio, specie del messaggio poetico. A questo libro dunque, che non fa certamente parte di quei moderni “libri im­ provvisati” cui faceva mesto e sconsolato riferimento il Tristano leopardiano defi­ nendoli libri che «per lo più si scrivono in minor tempo che non ne bisogna a leggerli», ma che invece è il frutto valido dell'impegno serio ed entusiasta di una gio­ vane studiosa, auguro di tutto cuore di essere letto ed apprezzato da molti lettori, ap­ passionati tanto di cinema quanto di poesia.

PREMESSA

Le reazioni della critica di fronte alla pellicola La tigre e la neve di R. Benigni (2005) non furono univoche: apprezzamento e freddezza (quando non stroncatura) procedettero di pari passo, sia dopo E anteprima che dopo la diffusione nelle sale cinematografiche. Ciò, perché si colse una forma di debolezza registica contrappo­ sta a una grande performance personale di Benigni-attore, due elementi considerati difficilmente conciliabili. Il giudizio, di qualunque segno fosse, si basò sulla visione del film, non sulla lettura della Sceneggiatura, che invece è secondo me assoluta­ mente indispensabile per una corretta valutazione. Si identificarono essenzialmente due ragioni della debolezza strutturale del film: da un lato, l'irreale rappresentazione di ciò che costituisce il sottofondo stesso del­ l'azione, la seconda Guerra del Golfo, rappresentazione che sarebbe fortemente con­ dizionata dal desiderio di non urtare la sensibilità di un pubblico potenzialmente molto importante quale quello statunitense; dall’altro, l’eccessiva presenza del­ l'elemento ‘letteratura’, che non risulterebbe sufficientemente amalgamato e inte­ grato nell’azione filmica. Inoltre, passò quasi inosservato l’elemento del ‘simbolismo’, pur molto presente e importante. Il fatto è che il film introduceva delle novità nel modo di procedere di Benigni in quanto regista1. Nella parabola dell’attività dell'artista toscano, considerata nel

1 Per comodità, fornisco in nota i dati biografici essenziali di Roberto Benigni. Nato nel 1952 a Misericordia, in provincia di Arezzo, debutta in teatro nel 1970 nello spettacolo II re nudo di Schwarz; lavora a Roma nel teatro sperimentale con la compagnia Beat 72, in collaborazione con Lucia Poli; nel 1975 G. Bertolucci scrive per lui il monologo Cioni Mariofit Gaspare di Giulia, un pezzo di grande suc­ cesso teatrale. Ancora per il teatro seguiranno numerose interpretazioni, per esempio varie ‘puntate’ di Tuttobenigni (1981, 1983, 1995-1996), varie letture dantesche (1990. 2007) e così via. .Altrettanto numerose le sue interpretazioni come attore cinematografico: basterà ricordare qui il suo esordio in Berlinguer ti voglio bene, 1977, con la regia di G. Bertolucci (riprende il personaggio di ‘Cioni Mario’); poi La luna, 1979, Tuttobenigni, 1986, entrambi con regia dello stesso Bertolucci; La voce della luna, 1989, con regia di Fellini; Il figlio della pantera rosa, 1993; Asterix e Obelix contro Ce­ sare, 2000; per non parlare delle interpretazioni fomite nelle pellicole da lui stesso dirette. Queste ultime possono essere così sintetizzate: esordio in regia nel 1983, con Tu mi turbi; poi, in collaborazione con M. Troisi, Non ci resta che piangere, 1984; ancora, Piccolo diavolo. 1988; Johnny Stecchino, 1991 ; Il mostro, 1994; La vita è bella. 1997; Pinocchio, 2002 (dal 1988 in poi. Benigni collabora con V. Cerami nell’allestimento delle sceneggiature); infine, nel 2005, ancora in collaborazione

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Premessa

suo complesso, possiamo identificare un ’prima’ e un ’poi’. Nella prima fase Beni­ gni si basa essenzialmente su un’interpretazione fondata sulla gag, sulla mimica, sul­ l'atteggiamento del volto, sulla ‘corporeità’ e, contemporaneamente, fornisce le prime prove di regia, che si situano sulla stessa lunghezza d’onda2. La fase successiva si apre con La vita è bella, del 1997, e Pinocchio, del 2002. Nel primo di questi film. Beni­ gni decide di affrontare un tema di grande portata socio-politica e civile, la persecu­ zione degli ebrei da parte del nazismo. Qui gli aspetti oggettivamente drammatici dei fatti convivono con aspetti ironici che sono tipici dell’autore: non perché egli voglia sminuire la gravità delle cose, ma perché vuol rendere nella pellicola quella commi­ stione di toni che è quasi inevitabilmente sempre presente nel vissuto quotidiano del­ l'individuo. Comunque, per la prima volta Benigni si confronta con un tema di grande impegno e si stacca dai suoi ’modi' precedenti. Qualche anno dopo, nella pellicola dedicata a Pinocchio. Benigni cambia ulteriormente registro: questa volta manifesta la volontà di trasporre e adattare in film un testo letterario classico, in un momento storico-culturale in cui la tendenza alla trasposizione/adattamento di letteratura in pellicola si manifesta, in Italia, in non pochi autori3. Per la prima volta Benigni si è voluto misurare, sul set, con il fatto letterario. Con La tigre e la neve, del 2005, il regista ha tentato un'operazione ancora di­ versa e, forse, culturalmente più complessa: rifacendosi alle due esperienze prece­ denti, ha cercato di conciliare l’attenzione verso un tema di grande impatto (come in La vita è bella) - addirittura questa volta relativo a eventi contemporanei - con l'interesse per il fatto letterario (come in Pinocchio). Ma nel caso specifico l'istanza letteraria non si traduce nella classica trasposizione di un unico testo (di solito, ro­ manzo o dramma), concepito in origine come testo letterario, a film4, ma nella crea­ zione di un ‘centone’ di frammenti di opere letterarie organizzati in una nuova unità. Inoltre, in numerose circostanze gli spezzoni poetici e, in senso più lato, letterari sono inseriti in un contesto connotato in modo diverso rispetto a quello originario: per esempio, nel caso macroscopico della scena iniziale tutta una serie di citazioni poetiche d'amore sono inserite in un contesto ‘straniarne’5 che ne attenua la forza ’patetica’: ci troviamo dunque di fronte a una forma di ’riduzione’/’interpretazione’ più che di ‘adattamento’ di un testo letterario di partenza. In sostanza, l’aspetto ‘letterario’ delia pellicola è costituito fondamentalmente da un gran numero di vere e proprie ‘citazioni' d’autore; esso fu colto dai recensori, ma non adeguatamente indagato. Si può giungere ad affermare che la sceneggiatura.

con Cerami per quanto riguarda la sceneggiatura, La tigre e la neve, che costituisce l’oggetto preciso della mia ricerca. 2 Rinvio ai lavori di Celli (2001) e della Borsatti (2001), citati in bibliografia. Qui si troverà anche la ricostruzione dell’itinerario che ha portato Benigni dall’attività teatrale a quella filmica, dal pal­ coscenico (teatrale, filmico, televisivo) alla macchina da presa come regista. 3 Si veda il quadro d’assieme tracciato, in breve, da A. Fumagalli, / vestiti nuovi del narratore. L’a­ dattamento da letteratura a cinema, Milano, Il Castoro, 2004, p. 49. 4 Come invece si verifica in Pinocchio. Per i vari tipi di ‘adattamento’ classico - borrowing o ‘presa a prestito’; intersection o ‘intersezione’ .fidelity of transformation o ‘fedeltà della trasformazione’ — rinvio alle osservazioni d’assieme di Fumagalli, op. cit., pp. 85 sgg. (con bibliografia). 5 Cfr. più avanti, pp. 24, 92, 102.

Premessa

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curata da R. Benigni e V. Cerami, in certe sezioni è addirittura intessuta di citazioni degli autori più disparati, fornendo un esempio inequivocabile di transcodifica del testo letterario in quello filmico. Lo stesso Benigni ne\V Introduzione premessa alla Sceneggiatura sottolinea questo aspetto, sollecitando la curiosità intellettuale del lettore e dello spettatore, che è chiamato così (se vuole) al doppio impegno di seguire i fili della trama e, contemporaneamente, decodificare i modi letterari che sotto­ stanno a essa. E mio intendimento cercare di chiarire i meccanismi letterari cui hanno fatto ri­ corso gli estensori della Sceneggiatura nell'allestire il loro lavoro, fermo restando che, anche se mi sono soffermata essenzialmente sulla Sceneggiatura stessa, non ho trascurato, come è ovvio, l’aspetto filmico cui essa sottosta; tanto più non potevo trascurarlo, in quanto esiste qualche discrepanza tra la Sceneggiatura e il parlato del film. Per raggiungere il mio scopo, ho fornito prima una breve sinossi del film; poi ho raccolto ordinatamente gli originali cui hanno attinto gli sceneggiatori6, allo scopo di presentare in modo organico e con l’ampiezza necessaria i contesti letterari di partenza e di identificare nel contempo il tipo di transcodifica effettuato ai fini del­ l’impiego delle fonti letterarie nel nuovo contesto filmico. Successivamente, ho cer­ cato di capire quali scelte letterarie abbiano operato i due coautori e quale tipo di impostazione abbiano adottato per finalizzare tali scelte, sia in funzione dell’even­ tuale caratterizzazione dei personaggi, cui volta per volta le ‘citazioni’ vengono at­ tribuite, sia in relazione al contesto delle azioni filmiche. Nell'Appendice ho raccolto, per comodità del lettore, una serie di recensioni, susseguitesi nel corso del tempo. Spero che il risultato cui approda la mia ricerca possa portare a una valutazione più equilibrata della ‘letterarietà’ del lavoro di Benigni e Cerami e, con ciò stesso, alla formulazione di un più equo giudizio su esso. Non posso chiudere queste pagine introduttive senza un sentito ringraziamento alla Prefissa Lia Fava Gazzetta; a Lei devo sia il suggerimento del tema stesso sia una serie di consigli, che hanno contribuito a rendere meno imperfetto il mio la­ voro, fermo restando che soltanto a me va imputata qualunque pecca.

Cagliari, dicembre 2010

6 Basandomi naturalmente in primo luogo sul materiale che essi stessi hanno fornito in Sceneg­ giatura, pp. 163 sgg., che peraltro è possibile integrare o rettificare su alcuni punti, come dirò più avanti, al momento opportuno.

BREVE NOTA BIBLIOGRAFICA

Preliminamente, avverto che nel corso del lavoro convenzionalmente, per brevità, indico con Sceneggiatura il volumetto di R. Benigni - V. Cerami, La tigre e la neve, Torino, Einaudi, 2006; a integrazione, ho utilizzato le interviste rilasciate dai pro­ tagonisti del fdm. inserite nel DVD prodotto da Melampo Cinematografica 2005. Per il resto, mi limito qui a ricordare (a) qualche saggio relativo alla figura di Be­ nigni e (b) alcuni testi relativi alla 'teoria e tecnica' della sceneggiatura, utili ai fini della 'dissezione’ e all’interpretazione 'filmica' della pellicola da me presa in esame.

a) Benigni Cristina Borsatti, Roberto Benigni, Milano, Il Castoro cinema, 2001.

C. Celli. The Divine Comic. The Cinema of Roberto Benigni, Lanham, Mary­ land, and London, The Scarecrow Press, 2001. S. Masi. Roberto Benigni. Roma, Gremese, 1999. Stefania Parigi, Benigni, Napoli. Edizioni Scientifiche Italiane, 1988. G. Simonelli - G. Tramontana, Datemi un Nobel! L’opera comica di R. Benigni, Alessandria, Falsopiano, 1998.

b) Saggi sulla sceneggiatura J. Campbell, L'eroe dai mille volti, trad, ital., Milano, Feltrinelli, 1984 (ed. ori­ ginale New York. Pantheon Books, 1949). A. Fumagalli, I vestiti nuovi del narratore. L’adattamento da letteratura a ci­ nema. Milano, Il Castoro, 2004.

R. McKee, Story - Contenuti, struttura, stile, principi della Sceneggiatura, trad, ital., Roma, International Forum Edizioni, 2000. G. Pescatore, L’ombra dell'autore. Teoria e storia dell’autore cinematografico, Roma, Carocci, 2006.

Linda Seger. Come scrivere una grande Sceneggiatura, trad, ital., Roma, D. An­ dino ed., 2004 (ed. originale Hollywood, Samuel French Trade, 199411).

I.

ANALISI DEL FILM LA TIGRE ELA NEVE

Il protagonista del film La tigre e la neve, Attilio de Giovanni, è un professorepoeta maniaco di letteratura e, in particolare, di poesia, invischiato suo malgrado in una guerra che lo trascende, di fronte al cui dramma le sue reazioni rasenterebbero il ridicolo se a un certo punto egli non mostrasse, inaspettatamente, capacità di adat­ tamento e risorse di spirito tali da assurgere a dimensioni ’eroiche’. Per usare una distinzione che si è ormai imposta nei lavori relativi alla sceneggiatura1, potremmo dire che in Attilio si realizzano sia il ’desire’ che il 'need': egli mira nel concreto a salvare la moglie che versa in gravi condizioni di salute (è questo il ’desire’) e rie­ sce a farlo grazie alla profonda convinzione che la poesia è la chiave per dominare la realtà (questo è il ’need’). Sinossi del film2: La vicenda si svolge a Roma. Attilio De Giovanni è un poeta e insegna all’Uni­ versità (scena 7 A). Separato dalla moglie, ha due figlie, cui è legato da un ottimo rapporto ed è innamorato di una donna che ogni notte sogna di sposare (scene 1.7, 19); la donna sognata. Vittoria, nella realtà è la sua stessa moglie che, profonda­ mente delusa e ferita a causa di una relazione extra-coniugale del marito (come ap­ prenderemo nel corso del film, scena 77), ha interrotto il rapporto matrimoniale. Attilio è poeta e inguaribile sognatore: nella scena 6 rievoca, con le figlie, il mo­ mento in cui. tredicenne, ebbe coscienza della sua vocazione poetica, grazie ai sen­ timenti nati in lui quando un uccellino gli si posò su una spalla; nella scena 7 A sostiene entusiasticamente che fonte della poesia è il sentimento d'amore, che tra­ smette felicità in ogni circostanza della vita. Anche Vittoria si occupa di letteratura ed è impegnata nella stesura della bio­ grafia del più grande poeta iracheno contemporaneo, Fuad. a sua volta amico di At­ tilio (scena 9). Attilio e Vittoria si incontrano per caso in occasione di un recital di Fuad (scena

1 Per opera di John Truby, cfr. Fumagalli, op. cit., pp. 18-19: ‘desire’ è l’obiettivo esterno, cosciente, dichiarato, esplicito; ‘need’ è invece il bisogno profondo, che sta alla base dell’azione. 2 Per le pagine che seguono mi baso fondamentalmente sui lavori di Campbell, della Seger, di McKee e di Fumagalli citati in bibliografia. Il ragionamento e la terminologia si basano sulla traspo­ sizione del mito del ‘viaggio dell’eroe’ dalla letteratura al cinema.

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Capitolo primo

9); in questa circostanza la donna sembra cedere al corteggiamento deH’ex-marito (scene 10. 10A-D, 11-14, 14A-L, 15, 15 A)3, ma poi sul più bello decide di allon­ tanarsi da lui e pronuncia una frase che si rivelerà ricca di sottintesi nel seguito della trama filmica: infatti, con riferimento a La tigre e la neve (titolo della raccolta delle poesie di Attilio), dice: “quando la [cioè: una tigre sotto la neve] vedrò, staremo in­ sieme tutta la vita!” (scena 14 K). Siamo nel 2003, alla vigilia dello scoppio del secondo conflitto iracheno. Fuad, da molti anni residente a Parigi, decide di tornare a Baghdad, per stare vicino al suo popolo in un momento così difficile; Vittoria lo segue per poter continuare il proprio lavoro di biografa. Colpita alla testa nel corso di un bombardamento, ricoverata in ospedale, entra in un coma apparentemente irreversibile (scene 23-25). Finisce qui il primo ‘atto' del film. In esso l’eroe ha avuto come antagonista, pa­ radossalmente, proprio la donna che egli ama. Nel secondo atto si alza la posta in gioco con il coma di Vittoria, che segna il primo punto di svolta: da questo momento Attilio, grazie alla ‘chiamata’ (nel nostro caso, in senso stretto la chiamata telefonica di Fuad!), si batterà non solo per l’amore di Vittoria, ma per salvare la vita alla donna amata. Contemporaneamente cambia lo scenario: non più Roma, ma Baghdàd in­ vestita dalla guerra. Attilio non sarà più lo ‘sbadato’ di prima, o meglio, continuerà a esserlo, ma riscatterà continuamente questo suo difetto con una insospettata ca­ pacità d'azione che lo porterà a superare le difficoltà. Assisteremo dunque all'ini­ zio della ‘maturazione dell'eroe’, propiziata anche da Fuad in veste di ‘mentore’4.

Informato dall'amico Fuad della sciagura capitata a Vittoria, Attilio fa l'impos­ sibile per raggiungere la città in guerra. Si finge chirurgo per partire con la Croce Rossa, dato che i voli per Baghdàd sono tutti cancellati, e giunge effettivamente in Irak (scene 26-27-28, 28 A-C, 29); ma a un centinaio di chilometri dalla capitale il suo convoglio sanitario viene bloccato fino a nuovo ordine. Attilio non si perde d'animo, si fa lasciare in mezzo al deserto, rimette in funzione un autobus in panne e infine, esaurita la benzina, alle porte di Baghdàd riesce a raggiungere comunque l’ospedale grazie all’amico Fuad (scene 30, 30 A-C, 31, 31 A. 32, 33, 33 A-G). Vittoria è in fin di vita, non è più cosciente, benché Attilio, in modo surreale, si comporti come se la donna fosse in sé e lo sentisse e capisse (scene 33bis-34); la me­ dicina che potrebbe salvarla non è disponibile. Senza lasciarsi scoraggiare dalla pro­ gnosi infausta dei sanitari locali, Attilio si prodiga in ogni modo per sottrarre alla morte la donna amata: dopo aver constatato che tutte le farmacie sono vuote e sbar­ rate (scene 35 A-36), si fa condurre da Fuad a casa di un vecchio farmacista, Al-Giumeili, nella speranza di ottenere i suggerimenti del caso (scene 37, 37 A, 38, 39). La speranza si avvera, Attilio ottiene la ricetta per un preparato artigianale, che costi­ tuisce il pendant dello ‘strumento magico’ di proppiana memoria. Per preparare il

3 Queste scene nel loro complesso costituiscono una scena-sequenza. Per la definizione e l’esem­ plificazione in merito si può rinviare a Linda Seger, Come scrivere una grande Sceneggiatura, trad, ital., Roma, D. Audino ed., 2004 (ed. originale Hollywood, Samuel French Trade, 199411 ), pp. 64-66 4 II termine e il concetto correlato risalgono a Campbell.

Breve analisi del film “La tigre e la neve”

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farmaco sono necessari ingredienti di difficile reperimento, ma, muovendosi tra campi minati e posti di blocco, alla fine, dopo mille peripezie, Attilio riesce a met­ tere a punto, con metodi e prodotti di fortuna (una glicerina fatta in casa da lui stesso e da Fuad), il medicinale necessario, corroborato dall'impiego di bombole d’ossi­ geno fortunosamente trovate; soprattutto, sta costantemente vicino all’inferma in modo da farle sentire la propria presenza affettuosa (scene 40, 41,42, 43). Vedendo che la salute di Vittoria non fa progressi (scene 45, 47, 49, 50), Attilio confessa la sua impressione che Vittoria sia morta: registriamo dunque il meat point (‘evento drammatico centrale’)5 con rincontro simbolico con la morte, che pare se­ gnare la sconfitta dell’eroe. Tuttavia Attilio reagisce alla malasorte, prende in prestito la motocicletta del me­ dico curante e decide di raggiungere, fuori da Baghdad, il campo della spedizione umanitaria italiana per procurarsi altri e più adeguati medicinali per Vittoria e per l’ospedale (scene 51, 52, 52 A-E, 53, 54. 55). Affrontate varie tragicomiche peripe­ zie (al posto di blocco americano viene scambiato per un terrorista suicida imbot­ tito di esplosivo anziché di medicine, scena 56), porta a termine l'impresa e procura quanto è necessario per salvare Vittoria, ma non è presente al risveglio dal coma della donna (scena 59). Avvertito del ‘miracolo’ della guarigione da parte del medico (scene 62, 63. 64. 65), corre da Fuad, che però nel frattempo si è impiccato nel suo stesso giardino, per il dolore della situazione in cui versa la patria (scene 60-61,67). Simbolicamente. At­ tilio ha vinto le avversità, mentre le avversità (concretizzatesi nella triste situazione dell'Irak) hanno ucciso Fuad. La breve scena 67 si svolge in un ambiente violente­ mente battuto dal vento - anche questo, un simbolo: l’eterno fluire delle cose -, con porte e finestre che da un colpo di vento, appunto, vengono chiuse bruscamente, con il buio che di conseguenza piomba sulla scena - ancora un simbolo, per cui tramite il ‘rito’ della porta che si chiude viene raffigurata una scelta irreversibile (nel nostro caso, l’abbandono della vita terrena). Catturato e imprigionato per un equivoco dai soldati americani (scene 68, 69. 70, 71 )6, Attilio dovrà aspettare ancora qualche tempo prima di poter rientrare in Italia e viene fatto prigioniero proprio quando Vittoria, ormai fuori pericolo, torna a Roma, senza sapere chi sia stato il suo salvatore. La guarigione di Vittoria segna il secondo e definitivo punto di svolta e, unita­ mente alla morte di Fuad (= sparizione del ‘mentore’, che ha portato a termine il compito di aiutare il protagonista) e al rilascio di Attilio, che superando le difficoltà ha compiuto la missione che si era prefisso, chiude il secondo ‘atto’ del film, la parte ‘bellica’, che ha favorito la ‘maturazione’ di Attilio-eroe. In esso il protagonista ha avuto come antagonista non un individuo, ma ‘la guerra’ in quanto situazione di crisi; e a tale situazione è riuscito a sottrarsi, salvando la donna del cuore. L’azione si sposta nuovamente a Roma, donde era partita, e si apre il terzo e ultimo ‘atto’, in

5 Definizione di Campbell. 6 Non escluderei che si possa cogliere nella prigionia del poeta Attilio un’allusione a quella del poeta americano Pound, sospettato dai suoi connazionali di essere antiamericano e perciò internato.

Capitolo primo

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cui il protagonista completa la sua maturazione grazie anche all'attuazione dell'arco di trasformazione della co-protagonista: ci troviamo dunque di fronte a un finale chiuso7, che prevede il ritorno dell’eroe al mondo ordinario con il possesso di una nuova auto-consapevolezza. Una volta tornato a Roma, Attilio viene posto in carcere per insolvenza (scene 72, 73), il giorno dopo viene rimesso in libertà. Vittoria, in via di guarigione, rien­ tra a sua volta in Italia in momento imprecisabile; mentre è al volante della sua auto, vede in un pulviscolo biancheggiante di pollini, simile a neve, una tigre fuggita dal vicino zoo (scena 76) e ritorna con la memoria alla condizione posta in precedenza al marito per un’eventuale riappacificazione. Attilio fa visita alle figlie e alla loro madre, nella scena 77 che segna lo scioglimento dell'azione: Vittoria, convalescente, non sa che a salvarla è stato Attilio, e lui. rivedendola, non glielo dice; come lei non dice a lui di aver appena avuto la strana e impensabile visione di una tigre sotto la neve. Due fatti del tutto imprevisti si verificano durante la visita di Attilio: un uc­ cellino si posa sulla spalla di Vittoria, come tanti anni prima uno se ne era posato sulla spalla di Attilio bambino, accendendo l'istinto poetico del piccolo; inoltre, la catenella recata al collo da Attilio sfiora il volto di Vittoria e riporta alla memoria della donna l'identica circostanza verificatasi nell'ospedale di Baghdàd. Il primo dei due fatti accende la fantasia poetica della donna, il secondo svela a Vittoria l'identità del suo salvatore. Questi fatti hanno una precisa conseguenza, non aper­ tamente ’dichiarata" ma adombrata in modo non equivoco: Vittoria recupererà il sen­ timento d’amore nei confronti di Attilio e riprenderà la vita in comune con lui. La scena finale si configura come un concentrato di temi precedenti, organiz­ zato in modo da convogliare azioni e sentimenti verso un'unica direzione, il ripri­ stino del rapporto tra Vittoria e Attilio: confessione, reale questa volta (non ‘sognata’, come nelle scene 1/7/19), d’amore di Vittoria per Attilio; rinuncia, da parte di At­ tilio. a quella relazione extra-matrimoniale che aveva minato i rapporti con la mo­ glie; assunzione di Vittoria nel mondo poetico ideale di Attilio (simboleggiato dall’uccellino, segno appunto di mondo poetico); identificazione, da parte di Vitto­ ria. di Attilio come suo salvatore. Nel complesso la scena, a lieto fine, segna il trionfo dell'eroe e lo scioglimento dell’azione, cioè ’il gran finale’ del linguaggio tecnico.

Quello che ho indicato sopra è il plot fondamentale; parallelamente a esso si svi­ luppano due sub-plot8. Il primo sub-plot riguarda la relazione extra-coniugale tra Attilio e Nancy Brow­ ning, giovane docente sua collega. Tale relazione viene presentata (nella scena 7 A) come qualcosa che non può più continuare, perché interferisce con il mai sopito amore di Attilio per Vittoria (scena 14); Nancy lo capisce, e discretamente sparisce dalla vita di Attilio, nella scena 18. Dobbiamo considerare che in un momento pre­ cedente, non raffigurato espressamente ma dato implicitamente per noto, la rela­

7 Terminologia di McKee. 8 Terminologia della Seger.

Breve analisi del film “La tigre e la neve”

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zione, fortemente osteggiata da Vittoria, aveva determinato la rottura tra moglie e marito (scena 77, Sceneggiatura, pp. 158-159), dunque aveva raggiunto il momento culminante. Tenendo conto di ciò, emerge che il sub-plot costituito dal rapporto At­ tilio-Nancy segna nell’azione filmica una parabola discendente, in opposizione alla parabola ascendente del plot principale, rapporto Attilio-Vittoria (una parabola che prevede l'evoluzione dalla freddezza delia donna al ricongiungimento dei due sposi). Il secondo sub-plot riguarda la lunga sequenza di telefonate, effettuate nei mo­ menti meno opportuni, dell’avvocato ad Attilio (scene 4, 16, 22, 46,48. 69): in esso è contemplato un finale ben preciso, negativo per Attilio (a causa delle sue inadem­ pienze, sottolineate dall’avvocato, Attilio appena rientrato dallTrak viene arrestato, scena 72); questo finale negativo ha lo scopo di sottolineare che di fronte alla salute di Vittoria tutto per Attilio è secondario. Le telefonate cadono in momenti in cui At­ tilio è 'distratto’ da circostanze più urgenti (e drammatiche): hanno dunque funzione ‘stremante’, ‘ironica’ in senso aristotelico, per suscitare la temporanea ilarità dello spettatore e distoglierlo dalla gravità della situazione. Attraverso la sequenza delle telefonate, si è portati a porre in rapporto due realtà parallele eppur reciprocamente lontanissime e inconciliabili, una quotidiana e ‘normale’ (una causa giudiziaria pen­ dente sul capo di Attilio), l’altra eroica (l'azione di Attilio volta a salvare Vittoria). La vicenda dell’amore di Attilio per Vittoria è una storia ‘romantica’, anzi addi­ rittura una specie di storia ‘stilnovistica’; e Attilio è una specie di inguaribile so­ gnatore, calato in una realtà che lo trascende e lo schiaccia, ma di cui egli riesce a avere ragione grazie alla convinzione profonda che ‘la vita è, comunque, bella e degna di essere vissuta’. Ma l’ambiente, a differenza dell’indole di Attilio, è tutt’altro che romantico. Le contraddizioni che si verificano talvolta nei comporta­ menti di Attilio sono determinate proprio dalla profonda differenza di condizione del protagonista e dell’ambiente: in questo senso possiamo parlare di aspetti ‘tragico­ mici’ del personaggio e della vicenda. Basteranno pochi esempi: Vittoria è ricove­ rata in ospedale in coma, ma Attilio le si rivolge come se ella fosse in condizioni di assoluta normalità; Attilio con grande concentrazione recita la preghiera del Padre Nostro, ma durante la recita si dimena per uccidere una mosca fastidiosa nel ma­ landato ospedale di Baghdàd; Attilio è carico di innocui medicinali, ma la situa­ zione in cui versa fa sospettare che egli sia imbottito di micidiali esplosivi, e così via.

IL LE CITAZIONI LETTERARIE PRESENTI NEL FILM LA TIGRE E LA NEVE. FONTI E CONTESTI

NelV Introduzione alla sceneggiatura del film La tigre e la neve Benigni in modo brillante anticipa su un piano ’teorico’ la prassi che applica nella sceneggiatura stessa (e dunque nel film). Per ‘giustificare’ il fatto che nel film siano sparse a piene mani citazioni più o meno ‘coperte’ di tanti autori, moderni e meno moderni, l'autore formula il con­ cetto paradossale, ma del resto riconducibile al pensiero post-moderno, che l’origi­ nalità è impossibile (tutto è stato già detto) e che pertanto è meglio saccheggiare le opere altrui; anche perché comunque - e ciò è un po’ meno paradossale - citare un passo vuol dire appropriarsene anche mentalmente, implicitamente adattandolo a se stessi e quindi modificandolo, creando così qualcosa di nuovo. Ma ciò che preme qui sottolineare, è che per esprimere questi concetti Benigni fa ricorso proprio a una serie di citazioni a cascata, ciascuna delle quali ne attira altre, anticipando in tal modo le procedure applicate concretamente nel testo delia sceneggiatura e fornendo una specie di ‘lezione per mezzo dell'esempio concreto’. Un segno di questo filo anticipatore può essere identificato nel fatto che alcuni degli autori ‘saccheggiati’ nell’introduzione sono gli stessi che vengono ripresi anche nella sceneggiatura: Qoélet, Cervantes, Valéry, Prévert. Tutto ciò giustifica pienamente la ricerca delle fonti letterarie, da cui le citazioni sono tratte. Io qui indicherò1, autore per autore, le citazioni inserite nella Sceneggiatura, avendo di mira due scopi: da un lato, identificare la funzione originaria del testo di partenza, attraverso un inquadramento di esso nell’opera da cui è stato estrapolato per essere sfruttato nella Sceneggiatura; dall’altro, verificare con quali modalità e intenti il testo così estrapolato sia stato successivamente inserito nel contesto di ar­ rivo, evidenziando se nell'azione filmica ci sia o no una modificazione dell'origi­ naria contestualizzazione, e per quale motivo.

1 In ordine alfabetico, per mera comodità di ricerca.

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Capitolo secondo

1. Le citazioni letterarie vere e proprie

La quantità più cospicua delle citazioni è attinta alla tradizione letteraria in senso stretto. Adonis (Ali Ahmad Sa’id Esber)2 Damasco, in Un riparo nel fulmine in Me­ moria del vento, pref. di G. Conte, trad, di Valentina Colombo. Parma. Guanda 20052, p. 64

Sceneggiatura, p. 134. battuta di Fuad

Damasco carovana di stelle su una stuoia verde due mammelle di braci e arance. Damasco il corpo appassionato sul suo giaciglio come l’arco e la mezzaluna apre in nome dell’acqua la bottiglia dei giorni, ogni giorno volteggia nella tua orbita notturna cade nel tuo vulcano affamato vittima sacrificale. E gli alberi dormono intorno alla mia stanza il mio viso è una mela il mio amore un cuscino, un’isola...

Se solo tu arrivassi. Se solo tu arrivassi.

Damasco frutto e guanciale della notte.

il cielo di Baghdad è il guanciale della notte.

La fonte è citata in Sceneggiatura, p. 183.

In Sceneggiatura, p. 134, all’ammirata contemplazione del cielo notturno di Baghdàd da parte di Attilio, Fuad definisce quel cielo come il “guanciale della notte”, facendo ricorso a un passo di una lirica del poeta siriano Adonis. La lirica è Damasco, lirica tipica del modo di poetare di Adonis: pubblicata nel 1968, nella raccolta Un riparo nel fulmine (sezione di II teatro e gli specchi), costi­ 2 Nato in Siria, presso Latakia, nel 1930; considerato uno dei maggiori poeti arabi contemporanei. Opere più importanti: / canti di Mihyàr il damasceno (1961), // teatro e gli specchi (1968), Tomba per New York (1971), Le analogie e le origini (1980), Prologo alla storia dei Re di Taifa, Questo è il mio nome, Siggil.

Le citazioni letterarie nel film “La tigre e la neve’’

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tuisce un esempio di quei componimenti in cui il poeta identifica un determinato luogo con il proprio stato d'animo/sentimento. Se Beirut è la città in cima ai pensieri di Adonis, come massimo esempio del luogo di difficilissima pluralistica convivenza di civiltà e culture diverse. Damasco, luogo degli studi del poeta in gioventù, pre­ sente nel titolo stesso della raccolta di liriche del 1961 / canti di Mihyàr il dama­ sceno, è città a sua volta vagheggiata dal poeta, ricordata poeticamente, oltre che nella nostra lirica, anche in altra poesia dallo stesso titolo (Damasco, appunto) e ap­ partenente alla medesima raccolta Un riparo nel fulmine, inserita a p. 89 dell'edi­ zione da me utilizzata3. In entrambe le liriche la città di Damasco è poeticamente definita per via di ardite metafore (come è proprio dei modi poetici di Adonis): “Da­ masco / frutto e guanciale della notte” nel testo che qui interessa, “Damasco è l’om­ belico di un gelsomino / gravido / che diffonde la sua fragranza” nei testo omonimo Damasco. Ma v’è di più: nel testo utilizzato da Benigni la città di Damasco è legata al sentimento d’amore: “due mammelle di braci e d’aranci”, “il corpo appassionato sul suo giaciglio”, “il mio amore [sottinteso è] un cuscino...”, “se solo tu arrivassi. / se solo tu arrivassi”: dunque Adonis identifica Damasco con l’amore e pertanto in­ direttamente manifesta il suo affetto per la città. Nella Sceneggiatura non si parla di Damasco, bensì di Baghdàd; ma facendo ri­ corso a un ipotesto in cui si esprime il sentimento d’amore per la città di Damasco, Fuad allusivamente manifesta per la propria città, Baghdàd. il medesimo sentimento d’amore (non si dimentichi che. in seguito, egli si uccide per la disperazione, quando vede la sua città distrutta!): dunque coerentemente la definizione di “guanciale della notte” può essere trasposta dalla Damasco di Adonis alla Baghdàd di Fuad. Naturalmente non sfugge la poeticità della definizione, del resto anticipata dal poetico e ‘montaliano’ “baluginare” usato, fuori battuta, alla p. 133 della Sceneggia­ tura per descrivere proprio il cielo di Baghdàd. e confermata poco dopo, ancora in bocca a Fuad, dalla citazione di un passo metaforico di Azzàwi. Un ulteriore motivo di interesse è costituito dal fatto che Adonis è poeta che cerca di costruire un "ponte’ di comprensione tra Occidente e Oriente, per superare la dif­ fidenza degli integralismi: orbene, non è sicuramente casuale che una sua lirica sia riecheggiata in un momento in cui il cielo di Baghdàd è percorso dalla sinistra tra­ iettoria di missili e bombe e in un contesto in cui, subito dopo, si fa riferimento alla confusione delle lingue e delle civiltà nel simbolo della Torre di Babele: quasi che la realtà voglia smentire la speranza (che può venire anche dalla poesia). Dante Alighieri4 Convivio in Opere minori di Dante Ali­ Sceneggiatura, p. 25, battuta di Attilio ghieri, II, Convivio a cura di F. Chiappelli e E. Fenzi, Torino, UTET, 1986; il passo che interessa, II, cap. I, 3, è a p. 104

3 Memoria del vento, pref. di G. Conte, trad, di Valentina Colombo, Parma, Guanda 20052. 4 È superfluo soffermarsi su Dante, il massimo poeta, in assoluto, della letteratura italiana. Basterà accennare, in funzione di quanto è detto poco sotto, nel testo, che // Convivio è opera dottrinale in 4 trat­ tati, composta nel periodo 1304-1307.

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Capitolo secondo

... dico che, sì come nel primo capitolo è narrato, questa sposizione conviene essere litterale e alle­ gorica. E a ciò dare a intendere, si vuol sapere che le scritture si possono intendere e deonsi esponere massimamente per quattro sensi. L’uno si chiama letterale [e questo è quello che non va a ciò che suona la parola fittizia, sì come ne’ le favole dei poeti. L’altro si chiama allegorico] e questo è quello che si nasconde sotto ’1 manto di queste favole, ed e poi dite la verità con delle belle è una veritade ascosa sotto bella menzogna; sì menzogne, falsi! come quando dice Ovidio che Orfeo facea con la cetera mansuete le fiere, e li arbori e le pietre a sé muovere; che vuol dire c[om]e lo savio uomo con lo strumento de la sua voce faccia mansuescere e umiliare li crudeli cuori, e faccia muovere a la sua volontade coloro che non hanno vita di scienza e d’arte: e coloro che non hanno vita ragionevole al­ cuna sono quasi come pietre. La fonte è citata in Sceneggiatura, p. 174.

Di Dante è ripresa nella Sceneggiatura, p. 25 la celebre e importante trattazione relativa ai livelli dell’interpretazione dei testi. Si sa che Dante nel secondo trattato del Convivio, prima di proporre l'interpre­ tazione della sua canzone Voi che 'ntendendo il terzo del movete, affronta una di­ scussione teorica sui quattro sensi delle scritture, cioè sui quattro livelli esegetici delle scritture stesse: ‘senso letterale’, ‘senso allegorico’, ‘senso morale’ e ‘senso anagogico’. Questa quadripartizione è onnipresente negli autori medievali, con una funzione ben precisa: spiegare i testi sacri. Ciò che più preme a Dante è la distinzione tra senso ‘letterale’ e senso ‘allego­ rico’. Senso letterale è quello che non supera il valore del testo ‘inventato’ in sé; senso allegorico è il senso dottrinale che si nasconde sotto il senso letterale. Tutta­ via, a sua volta l’interpretazione allegorica nella visione di Dante poteva essere di due tipi, a seconda che fosse la ‘allegoria dei teologi’ o la ‘allegoria dei poeti’5: l'al­ legoria dei teologi presuppone la realtà storica dei fatti testamentari e coglie in essi l’anticipazione figurale di quanto si verificherà in seguito; invece la ‘allegoria dei poeti’ non presuppone la verità storica dei fatti narrati - infatti ai poeti è concessa la libertà di inventare - , ma consiste nel cogliere la verità nascosta sotto le favole poetiche (“una veritade ascosa sotto bella menzogna” dice testualmente Dante).

5 Sulla distinzione cfr. A. D’Andrea, L' ‘allegoria dei poeti’. Nota a Convivio //, 1, in Dante e le forme dell'allegoresi a cura di M. Picone, Ravenna, Longo Editore, 1987, pp. 71-78. Ma sui vari livelli esegetici esiste ricca bibliografia: basterà citare B. Nardi, Nel mondo di Dante, Roma 1944, pp. 55-61; F. Tateo, Questioni di poetica dantesca, Roma 1972, pp. 107-113, etc.

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Dante sostiene apertamente, nel passo che ho citato per esteso, di essere inte­ ressato ad applicare proprio l’allegoria dei poeti: non per mero caso adduce, come esempio di verità nascosta, quella che si cela sotto la celeberrima favola mitologica di Orfeo che con il suo canto ammalia e trascina il creato. Ora, nella Sceneggiatura è proprio a questo secondo tipo di allegoria che fa ri­ ferimento Attilio nella sua lezione di poesia agli studenti: “dite la verità con delle belle menzogne, falsi!”: solo che, scherzosamente, Attilio invita gli studenti a men­ tire, a essere falsi, purché sotto queste menzogne si celi una verità nascosta, come è caratteristico della poesia: in altre parole, ironicamente Attilio rovescia l'angolo visuale: anziché dire che i poeti raccontano cose non vere, alla cui base tuttavia sta la verità nascosta, egli paradossalmente invita i suoi uditori a dire la verità men­ tendo. perché così facendo diventeranno poeti, dato che è caratteristica dei poeti raccontare cose non vere da interpretare in modo da ricavarne il vero. Wystan Hugh Auden6 Funeral Blues, in Collected Poems, ed. ital. Blues in Sceneggiatura, p. 96, battuta di At­ memoria, in La verità, vi prego, sull ’amore [titolo ori­ tilio ginale Tell Me the Truth About Love}, con introduz. di I. Brodskij, Milano, Adelphi, 1994 ( 15a ed. 2004), pp. 62-64

(E se muore lei, per me tutta que­ sta messa in scena del mondo che gira,...) possono pure smontare e portare via... Possono schiodare tutto, arrotolare tutto il cielo, cari­ Incrocino aeroplani lamentosi lassù carlo su un camion con rimorchio, E scrivano sul cielo il messaggio “Lui è Morto”, possono spengere questa luce bel­ allacciate nastri di crespo al collo bianco dei piccioni, lissima del sole che mi piace tanto i vigili si mettano guanti di tela nera. tanto... E lo sai perché mi piace tanto? Perché mi piace lei illumi­ Lui era il mio Nord, il mio Sud. il mio Est ed Ovest, nata dalla luce del sole... tanto. Si la mia settimana di lavoro e il mio riposo la dome­ possono portar via tutto: questi nica, tappeti, queste colonne, questi pa­ il mio mezzodì, la mezzanotte, la mia lingua, il mio lazzi, la sabbia, il vento, le rane, i cocomeri maturi, la grandine, 7 canto; pensavo che l’amore fosse eterno: e avevo torto. del pomeriggio, maggio giugno luglio, il basilico, le aquile, il Non servon più le stelle: spegnetele anche tutte; mare, le zucchine... Le zuc­ imballate la luna, smontate pure il sole; chine... Fermate tutti gli orologi, isolate il telefono, fate tacere il cane con un osso succulento, chiudete i pianoforti, e tra un rullio smorzato portate fuori il feretro, si accostino i dolenti.

6 Nato a York nel 1907. morto a Vienna nel 1973. Opere significative sono Poems ( 1930). The Ora­ tors Another Time ( 1940). The Age ofAnxiety (1948), The Shield ofAchilles (1955); inoltre una serie di saggi, soprattutto negli anni ’60 e ’70. Esponente di spicco del movimento letterario dei ‘Trentisti’, ideologicamente impegnato sul versante di sinistra in politica, sul versante anti-repressivo in ri­ ferimento a fatti di costume e sociali (Auden fu omosessuale in un periodo in cui tale condizione era passibile di condanna da tutti i punti di vista).

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Capitolo secondo

svuotatemi l’oceano e sradicate il bosco; perché ormai più nulla può giovare.7 La fonte è citata in Sceneggiatura, p. 180.

Il testo di Auden ripreso non in citazione diretta, ma in parafrasi da Attilio nella battuta a p. 96 della Sceneggiatura risale agli anni '30 (tra 1932 e 1939), dunque alla prima fase della produzione del poeta, allora aderente al movimento dei ‘Trentisti’, e fa parte di una serie di testi poetici che in qualche modo pre-sentono il disastro della guerra8. 1 blues sono testi poetici tristi per natura; Funeral blues non fa eccezione, è in­ fatti testo che lamenta una morte, la morte di una persona amata; e presenta ritmi di ‘ballata popolare’ tipicamente americana (Auden visse per lunghissimo tempo negli USA, prendendone anche la cittadinanza), quasi che fosse stata scritta per essere musicata, ma insieme presenta anche un tono incisivo e tagliente, il tono drastico di quella tragica conclusione che è la morte. Nella lirica il poeta invita tutti a sospen­ dere qualunque attività per rendere omaggio alla persona defunta, la cui morte com­ porta l’annullamento del mondo circostante per coloro che l’hanno amata; l’annullamento del singolo comporta l'annullamento dell’essere. Il tutto espresso da un lato con linguaggio dimesso (“isolate il telefono, / fate tacere il cane con un osso succulento ...”). dall’altro con ardite metafore (“spegnete le stelle, / imballate la luna, smontate pure il sole”), due elementi il cui accostamento stridente rende l'incertezza della condizione umana. La contestualizzazione di Sceneggiatura, p. 96 presenta qualche modifica ri­ spetto all’originale: oltre all'ovvio mutamento di referente (Attilio parla della fi­ gura della moglie, e dunque di un rapporto d'amore eterosessuale, mentre Funeral Blues è canto di amore omosessuale), è diversa la situazione: infatti Funeral Blues è lirica d’amore in morte di qualcuno, lirica che si ripiega sui passato partendo dalla registrazione di un fatto appena accaduto; invece le parole di Attilio sono in forma di deprecazione (“se muore lei...”), nella speranza che un certo fatto luttuoso non si verifichi, perché il suo verificarsi porterebbe Attilio alla totale indifferenza nei confronti del mondo intero; proprio in ossequio a tale intento deprecatorio la Sce­ neggiatura inclina verso un tono prosaico, non esente da spunti comico-paradossali (“si possono portar via ... 7 del pomeriggio, maggio ..., il basilico..., il mare, le zuc­ chine...”), che abbassa volutamente il livello del pathos.

7 Stop all the clocks, cut off the telephone, / Prevent the dog from barking with a juicy bone, / Si­ lence the pianos and with muffled drum /Bring out the coffin, let the mourners come. //Let aeroplanes circle moaning overhead/Scribbling on the sky the message “He Is Dead", /Put crèpe bows round the white necks of the public doves,/Let the traffic policemen wear black cotton gloves. // He was my North, my South, my East and West, /My working week and my Sunday rest, /My noon, my midnight, my talk, my song; /1 thought that love would last for ever: I was wrong. //The stars are not wanted now: put out every one; / Pack up the moon and dismantle the sun; / Pour away the ocean and sweep up the wood; / For nothing now can ever come to any good. 8 L’osservazione è di I. Brodskij in W.H. Auden, Collected Poems, nell’ed. ital. La verità, vi prego, sull’amore, con introduzione di I. Brodskij. Milano, Adelphi, 1994, pp. 12 sgg.

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Va comunque rilevato un particolare ‘strutturale’ non secondario: la parafrasi di Auden nella Sceneggiatura è inquadrata, prima dell'inizio e dopo la fine, dalla du­ plice menzione della “glicerina” come rimedio per la malattia di Vittoria: il testo di ispirazione audeniana acquista dunque nella Sceneggiatura la funzione di inter­ mezzo, che ‘sospende’ temporaneamente l’azione, per cui viene totalmente recupe­ rata strutturalmente la funzione (già presente in Auden) di canto-preghiera funebre anche nella battuta di Attilio. Ma vi è un secondo elemento di interesse. Funeral Blues fu inserito da Mike Newell in una scena del suo film Quattro matrimoni e un funerale (1994): durante il rito funebre per la morte di un personaggio maschile, omosessuale, uno dei suoi amici, per ricordarlo, cita i versi del nostro testo, attribuendoli a un poeta omoses­ suale (tale fu infatti, per tutta la vita. Auden). Dunque, gli autori della nostra Sce­ neggiatura trovano il passo di Auden citato nella sceneggiatura di un altro film: pertanto oltre alla reminiscenza letteraria gioca nella nostra Sceneggiatura anche una forma di citazione-omaggio al regista Newell, in riferimento a un’opera appar­ tenente alla medesima forma d’arte (un film che implicitamente allude a un altro film). E’ un ragionamento che vale anche, sia pur a livello meno ‘impegnato’, a pro­ posito della ripresa metafilmica della sceneggiatura di Les enfants du Paradis (Sce­ neggiatura, p. 25) e di quella di // buono, il brutto e il cattivo (Sceneggiatura, p. 52).

Fadel Azzàwi9 L’ultimo Irak, in Intifada. Antologia della poesia Sceneggiatura, p. 134, battuta di araba contemporanea, a cura di M. Lamsuni, Ci­ Fuad vitavecchia, Prospettiva, 2004, p. 30 Ogni notte metto l’Irak sul mio tavolo pizzico le sue orecchie finché i suoi occhi lacrimano di gioia. Un altro inverno freddo invaso dagli aerei e soldati seduti sul bordo di una collina che aspettano una Storia che si alzi dall’oscurità del lago, un fucile alla mano che spara angeli che si esercitano alla rivoluzione. Ogni notte metto la mia mano sull’Irak, che sfugge tra le mie dita come un soldato che scappa dal fronte.

Sembra che sparino angeli!

La fonte è citata in Sceneggiatura, p. 183.

9 Nato in Irak, esule a Berlino; ha ispirato la figura del poeta Fuad, uno dei protagonisti di La tigre e la neve.

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Capitolo secondo

Pubblicata nel 2004 in un’antologia della poesia araba contemporanea, portata alla ribalta dalla attenzione dei media e dell’opinione pubblica per la situazione di contrapposizione di ‘civiltà’ che caratterizza oggi il mondo, la poesia L'ultimo Irak di Azzàwi reca in sé proprio i tratti di tale situazione, con particolare riferimento alla guerra irachena. Pertanto la scelta di essa nel contesto filmico, in una scena relativa appunto a tale guerra, pare del tutto coerente; si possono porre a fronte, a conferma, il passo “Un altro inverno freddo invaso dagli aerei” della lirica e la didascalia della scena corrispettiva nel film, “quella bellezza del creato è percorsa da missili e bombe”. Tuttavia nella citazione il passo del poeta è modificato: Azzàwi scrive "un fucile alla mano / che spara angeli / che si esercitano alla rivoluzione”, mentre Fuad poe­ ticamente dice “sembra che sparino angeli”; ma il referente profondo è comune, la guerra (che porta da una lato alla moltiplicazione degli ‘angeli della rivoluzione’, dall’altro agli angeli che sparano), anzi in particolare la guerra irachena - L’ultimo Irak è il titolo della poesia di Azzàwi, Baghdàd è il luogo in cui parla Fuad e a cui si riferisce la Sceneggiatura.

Samuel Beckett10 Serena III in Ossa d’eco, in Le poesie, trad, ital., con Sceneggiatura, p. 9, battuta di introduzione di G. Frasca, Torino, Einaudi. 1999 [ed. Vittoria originale Echo’s Bones in Collected Poems, London. Calder, 1986], p. 52 Imprimi questo schizzo di bellezza su questa tavolozza Oh! manciata di bellezza... potrebbe chi può dirlo essere l’ultimo O lascia lei che è il paradiso e poi felpa imeni sui tuoi bulbi oculari

oppure sul Butt Bridge arrossa di vergogna il diverso declinare di queste mammelle drizza in su la tua luna tua e soltanto tua su su fino alla stella della sera vieni meno sopra l’arcigasometro lì sull’incarnato nuovo fiammante di Misery Hill vieni meno sulla piccola porpora casa delle preghiere qualcosa come il cuore di Maria sul Bull e Pool Beg che mai s’incontreranno almeno in questo mondo da poi che sfrecci via fra l’impennarsi degli steli

10 Nato a Dublino nel 1906, rifugiato durante la Seconda Guerra Mondiale negli anni 1942-1945, morto a Parigi nel 1989; uno dei massimi drammaturghi del XX secolo, autore di drammi scritti indif­ ferentemente in inglese e in francese. Opere più importanti: Oroscopata (1930), Ossa d’eco (1935), Aspettando Godot (1949), L’innominabile (1950). Malone muore (1951), Finale di partita ( 1955), L’ul­ timo nastro di Krapp (1960), Giorni felici (1961), Non io (1971), Improvviso deU’Ohio (1982), Che dove (1983).

Le citazioni letterarie nel film “La tigre e la neve’’

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sbriglia sul Victoria Bridge ecco una buona idea rallenta sguscia giù per Ringsend Road Irishtown Sandymount esita incerto trova il Fuoco d’inferno gli appartamenti Merrion siglati da un trilione di sigma il Dito di Gesù Cristo Redentore Figlio di Dio ragazze riprese a spogliarsi ecco una buona idea sul frangivento e flutti di Bootersgrad la marea che monta i grigi gabbiani nel panico accelerano i granelli di sabbia nel rovente tuo cuore nasconditi ma non nella Rocca e resta in azione resta in azione11.

La fonte è citata in Sceneggiatura, p. 166.

La lirica beckettiana ripresa allusivamente in una battuta di Vittoria (Sceneggia­ tura, p. 9), dal titolo Serena III, è inserita nella raccolta Echo’s Bones, pubblicata nel 1935 a Londra in 327 copie; un'opera tardo-simbolista della prima fase di Beckett, in cui l’autore stesso denunciava, con un po’ di civetteria, qualcosa di ’costruito’ (in una lettera del ’32)12. La lirica condivide con altre della stessa raccolta sia temi che soluzioni formali: da un lato, infatti, presenta il poeta in qualità di “instancabile fre­ quentatore di fondali cittadini (Dublino. Parigi, Londra) come luoghi precipui della propria esclusione”13; dall’altro, è intessuta di “soluzioni formali vertiginose”, di “costruzioni sintattiche soggette a improvvise diversioni”, su un “ritmo sfacciata­ mente capitombolante” e soprattutto si sviluppa con il “consueto sfoggio di pen­ sieri fecondi e volizioni remote”14. Tuttavia nel caso specifico nella Sceneggiatura si perde questa ricchezza se­ mantica perché manca una qualsiasi forma di voluto riadattamento alla situazione filmica: viene ripresa la metaforica battuta iniziale - forse per via di ’memoria in­ cipitaria’ - senza nessun aggancio situazionale al nuovo contesto: infatti mentre la lirica beckettiana costituisce la descrizione di un paesaggio. Vittoria la cita in una dichiarazione d’amore.

11 Fix this pothook of beauty on this palette / you never know it might be final // or leave her she is paradise and then /plush hymens oil your eyeballs // or on Butt Bridge blush for shame/the mixed de­ clension of those mammae / cock up thy moon thine and thine only / up up up to the star of evening / swoon upon the arch-gasometer / on Misery Hill brand-new carnation/swoon upon the little purple / house ofprayer/ something heart ofMary / the Bull and Pool Beg that will never meet/not in this world // whereas dart away through the cavorting scapes / bucket o ’er Victoria Bridge that’s the idea /slow down slink down the Ringsend Road / Irishtown Sandymount puzzle find the Hell Fire // the Merrion Flats scored with a thrillion sigmas / Jesus Christ Son of God Saviour His Finger/ girls taken strippin that’s the idea / on the Bootersgrad breakwind and water/the tide making the dun gulls in a panic / the sands quicken in your hot heart/hide yourself not in the Rock keep on the move/keep on the move. 12 Citata nell’introduzione di G. Frasca in S. Beckett, Le poesie, trad, ital., con introduzione di G. Frasca,Torino, Einaudi, 1999 (ed. originale Echo’s Bones), p. XIX. 13 Cito direttamente parole di Frasca, op. cit., p. XVIII. 14 Anche in questo caso cito da Frasca, op. cit., p. XIX.

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Capitolo secondo

Gustavo Adolfo Bécquer15 Qué es poesia? In Rimas, edición de José Luis Cano, Madrid. Letras Hispanicas, 1986, p. 61. num. XXI

Sceneggiatura, p. 24, battuta di Attilio

“Che cos’è la poesia?” mi dici mentre fissi nei miei occhi i tuoi occhi azzurri. “Che cos’è la poesia?” E tu me lo chiedi? La poesia... sei tu!15 16

Cos’è la poesia non chieder­ melo più, guardati nello spec­ chio, la poesia sei tu!

La fonte è citata in Sceneggiatura, p. 171.

Poeta romantico di seconda generazione e tipicamente intimista, di ispirazione umbratile per sua stessa confessione17, amante della poesia breve, morto a 34 anni (nacque nel 1836), bohémien durante un certo periodo della sua esistenza18, Bécquer fonde nelle sue Rimas, risalenti al periodo 1858-1860, due filoni fondamentali, la poesia romantica tedesca e il canto popolare andaluso. Egli stesso nelle Cartas Li­ terarias a una mujer sostiene che poesia è l’insieme delle sensazioni, anche le più minute e meno definibili, e dei suoni, con anticipazione di posizioni che verranno formulate da altri qualche tempo dopo. La brevissima lirica Qtté es poesia pone in modo fulminante (una maniera poe­ tica che è tipica di tutte le Rimas) il rapporto tra poesia e sentimento provato per la persona amata: l'amata è l'incarnazione stessa dell'amore19. Che si tratti di convin­ zione profonda del poeta è provato dal fatto che Bécquer non solo in altra lirica, la num. XXXIX, riprende con qualche variazione il concetto (“finché esiste una bella donna / la poesia vivrà”), ma che, soprattutto, ripete se stesso nell'incipit delle Car­ tas literarias, dove rivolgendosi a una donna afferma “la poesia sei tu, ti dico, per­ ché la poesia è sentimento e il sentimento si identifica con la donna”). La citazione becqueriana è adeguatamente contestualizzata: Attilio tiene la sua le­ zione universitaria e disquisisce sull'essenza stessa della poesia: in questo quadro de­ finitorio cita il passo di Bécquer perché in esso trova suggerita l’identificazione della poesia con l'amore, che Attilio stesso fa propria poco dopo, ancora nel medesimo con­ testo della lezione (“se non vi innamorate è tutto morto...”, dirà subito dopo Attilio); e nel citare il passo Attilio lo modifica leggermente in modo da inserirvi una rima “cos’è la poesia non chiedermelo p i ù, guardati nello specchio, la poesia sei t u”, 15 Nato a Sevilla nel 1836, morto a Madrid nel 1870. Opere: Rimas (1858-1860), Leyendas, Car­ tas Literarias a una mujer. 16 cQué es poesia? dices mientras / clavas en mi pupila tu pupila azul. / cQué es poesia? j Y tu me lopreguntas?/Poesia... eres tu! 17 Nella prefazione al volume di cantares La soledad di A. Ferràn: il testo di Bécquer, una specie di ‘manifesto’ letterario della sua poetica, è citato alle pp. 24 e 31 dell’ed. delle Rimas da me utilizzata, curata da J. L. Cano (cit.). 18 Per una sintesi della figura di Bécquer basterà il rinvio a G. Mancini, Storia della letteratura spagnola. Milano, Feltrinelli, 19674, pp. 585-589. 19 Bécquer nel periodo di composizione delle Rimas era innamorato (non corrisposto) di Julia Espin.

Le citazioni letterarie nel film “La tigre e la neve’’

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quasi per fornire una specie di ‘lezione per mezzo dell’esempio concreto’, a illu­ strazione del fatto che si legge proprio in una poesia la definizione della poesia (con atteggiamento tipicamente autoreferenziale).

Karin Boye20 Il ricordo in Almanacco dello specchio n. 11, Milano, Mondadori, 1983, poi in Nuvole in Poesie, a cura di Daniela Marcheschi, Firenze, Le Lettere, 1994, p. 35

Sceneggiatura, p. 9, battuta di Vittoria

Quieta voglio ringraziare il mio destino: mai ti perdo del tutto. Come una perla cresce nella conchiglia, così dentro di me germoglia dolcemente il tuo essere bagnato di rugiada. Se infine un giorno ti dimenticassi allora sarai tu sangue del mio sangue allora sarai tu una cosa sola con me lo vogliano gli dei.

L’attimo in Almanacco dello specchio n. 11, Milano, Mondadori, 1983, poi in Per l’albero in Poesie cit., p. 93

... lo vogliano gli dei.

Sceneggiatura, p. 9, battuta di Vittoria

Nessun cielo di una notte d’estate senza respiro giunge così profondo nell’eternità, nessun lago, quando le nebbie si diradano, riflette una calma simile come l’attimo quando i confini della solitudine si cancellano e gli occhi diventano trasparenti e le voci diventano semplici come venti e niente c’è più da nascondere. Come posso aver paura? Io non ti perderò mai.

Io non ti perderò mai...

Entrambi i passi sono citati come fonti in Sceneggiatura, p. 166.

20 Nata a Goteborg nel 1900; esponente del movimento pacifista ‘Clarté’; ossessionata dalla sua con­ dizione di bisessuale, spesso in preda a crisi depressive, muore suicida nel 1941. Opere: Nuvole (1922), Terre nascoste (1924), Ifocolari (1927), Per l’albero (1935), Kallokain (1940), / sette peccati capitali (1941, in edizione postuma).

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Capitolo secondo

Come posso dire, ini sette peccati capitali in Poesie, a Sceneggiatura, p. 8, battuta di cura di Daniela Marcheschi, Firenze, Le Lettere, 1994, Vittoria p. 131 (poi in L’altro sguardo. Antologia delle poetesse del Novecento, a cura di G. Davico Bonino e Paola Mastracola, Milano, Mondadori, 1996. p. 206)

Come posso dire se la tua voce è bella. So soltanto che mi penetra e mi fa tremare come una foglia e mi lacera e mi dirompe.

... e mi lacera e mi dirompe.

Cosa so della tua pelle e delle tue membra. Mi scuote soltanto che sono tue, così che per me non c’è sonno né riposo, finché non saranno mie. La fonte è citata in Sceneggiatura, p. 165.

La presenza di Karin Boye è una delle più cospicue nella Sceneggiatura, dato che questa poetessa è citata per tre volte, con riferimento a tre sue liriche - una presenza paragonabile (sul piano numerico) a quella di Montale. Va detto subito che la scelta, nella Sceneggiatura, delle poesie della Boye è per­ fettamente funzionale, dato che esse sono sempre poste in bocca a Vittoria, in oc­ casione della sua dichiarazione d'amore rivolta a Attilio: infatti, sono tre liriche in cui il tema d’amore - anche colposamente fisico - è del tutto dominante. Il ricordo, pubblicata nella raccolta poetica Nuvole del 1922, è la lirica più ‘par­ lante’ nel senso indicato or ora: infatti la poetessa immagina di rivolgere parole d'amore all'uomo con cui si sta congiungendo, ma attenua il realismo del fatto con una lunga poetica metafora, “come una perla cresce nella conchiglia, / così dentro di me / germoglia dolcemente il tuo essere bagnato di rugiada”, per concludere con l'augurio “lo vogliano gli dei” ripreso appunto da Vittoria. L'augurio finale segna il momento del ricordo d’amore, un ricordo che è presente anche in altra lirica. L’at­ tinto (nella raccolta Per l’albero, del 1935), una lirica in cui il tema d’amore è col­ locato su uno sfondo naturale di grande apertura e di immobile calma - la quiete è una componente tipica della Boye; ricorre anche nella poesia ricordata poco sopra, Il ricordo, “quieta voglio ringraziare il mio destino” e come in II ricordo, anche in L’attimo il momento del ricordo si colloca in chiusura, “io non ti perderò mai” (perché mi ricorderò di te), e anche in questo caso Vittoria nella Sceneggiatura ri­ prende proprio la chiusura, poeticamente sfumata. Come posso dire (pubblicata postuma nella raccolta / sette peccati capitali nel 1941 ) è lirica in cui è affacciato il tema delle pene d’amore descritte nei loro effetti sul fisico dell'innamorato, una formulazione della cosiddetta ‘sindrome saffica’21. 21 Facilmente ipotizzabile nella Boye in considerazione della sua dimestichezza con le letterature classiche.

Le citazioni letterarie nel film “La tigre e la neve’’

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L’ 'io’ poetico si rivolge direttamente al suo innamorato (o innamorata?)22 descri­ vendo il profondo turbamento che le caratteristiche fisiche di lui (o di lei) suscitano sul suo animo (parla della “tua voce”, della “tua pelle”, delle “tue membra”), ag­ giungendo in conclusione di lirica il tema del ’possesso’ erotico (“per me non c’è sonno né riposo, / finché non saranno mie”). Uno degli effetti del turbamento, “mi di­ lacera e mi dirompe”, è ripreso da Vittoria nella sua dichiarazione d’amore a Attilio. Parole di una poetessa ’innamorata’, dunque, poste in bocca a Vittoria che Atti­ lio dipinge proprio come donna innamorata, quale egli la vorrebbe, almeno, e quale la ricorda (appunto II ricordo è titolo di una delle liriche riecheggiate !) e quale in­ vece al presente lei non è più.

Hermann Broch23 Quando ci abbracciavamo, in L’epoca d’oro della poe­ Sceneggiatura, p. 9, battuta di sia austriaca, a cura di E. Pocar con una introduzione di Vittoria C. Magris. Milano, Guanda, 1978, pp. 188-191

Quando ci abbracciavamo, trottavano, fuori, i cavalli dell’Apocalisse. Non li abbiamo sentiti? Oh, sì, li sentimmo, ma lo strepito era tanto lontano che a noi parve solo un disagio, un grosso titolo di giornale, una voce alla radio.

Quando mi baci trottano fuori i cavalli dell’Apocalisse.

Alle calcagna li avevo già avuti una volta, per miracolo gli ero sfuggito incolume, incolume, sì, e perciò non conta nulla la morte che allora avevo ormai alla gola. Io sono uno fra tanti.

Grossi titoli di giornali e notizie radio formavano le pareti della caverna dove stavamo, e il soffitto era rosso per le fiammate delle città che bruciavano intorno. Non ci piaceva vederle, ma quando alzavamo lo sguardo le vedevamo per forza. Non per viltà chiudevamo gli occhi e non per indifferenza del dolore altrui non volevamo ascoltare; non per poter fuggire volevamo star soli,

22 Ho ricordato poco sopra che la Boye era bisessuale, come risulta largamente dalla sua biografia. 23 Nato a Vienna nel 1886; arrestato perché ebreo nel 1938, liberato si rifugiò negli USA, ove morì nel 1951; dedicò la sua opera letteraria all’indagine sul declino dei valori portanti della società. Opere principali: trilogia di romanzi Isonnambuli (1888 Pasenow, ossia il romanticismo; 1903 Esch, ossia l’a­ narchia; 1918 Huguenau, ossia il realismo), 1931-1932; La morte di Virgilio, 1945, etc.

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Capitolo secondo

ma forse perché ognuno deve cercare colui cui vada un estremo pensiero quando importa che la morte non sia del tutto insensata.

Oh, non dover morire di morte assurda! molti son già guariti da grave malore o sfuggiti altrimenti alla morte, ma soltanto chi è stato davanti alla porta, dietro alla quale uomini vengono bestialmente torturati, sicché senza io debbano andare a morire. solo costui sa cosa sia l’assurdità. Così toccò a me, e forse tu lo hai sospettato quando mi stavi cercando.

Altrimenti non sarebbe stato possibile che ci abbracciassimo, benché di fuori trottassero i cavalli dell’Apocalisse. e sapessimo che i loro zoccoli spaccano crani come fossero noci.

La fonte è citata in Sceneggiatura, p. 166.

Quando ci abbracciavamo, testo che io cito dall’antologia della poesia austriaca curata da E. Pocar24, è lirica di Broch a sfondo autobiografico. Infatti il poeta, se­ gnalatosi in precedenza, nel 1931-1932, con la trilogia di romanzi intitolata I son­ nambuli (Pasenow, ossia il romanticismo; Esch, ossia l'anarchia; Huguenau, ossia l’oggettività), in cui aveva dipinto il decadimento di valori delle diverse classi sociali della Germania, nel 1938 fu arrestato perché ebreo dalie SS tedesche nella Stiria, ove si era ritirato, e fu liberato solo grazie all'intervento di alcuni amici influenti (in se­ guito alla liberazione fuggì negli USA e non rientrò più in patria). Proprio a questo pericolo corso e a successivi momenti bellici egli allude nella nostra lirica, là dove dice di essere sfuggito a chi voleva prenderlo e dove presenta un quadro della di­ struzione del mondo e dell’assurdità del morire in guerra senza una ragione, nel mo­ mento in cui uomini torturano uomini e si perde la propria identità personale. Nel quadro angosciato della distruzione disumana l’amore è visto come il solo modo di superare la mancanza d'identità: senza questa funzione salvatrice l’amore non sarebbe altrimenti concepibile quando l'assurdità della guerra cancella ogni va­ lore con l'irruzione dei ‘cavalli dell’Apocalisse’ che tutto abbattono. Dunque, poe­ sia d’amore calata in un inquietante contesto bellico. Nella Sceneggiatura la frase incipitaria della lirica è riportata molto da vicino a p. 9, in bocca a Vittoria, "quando mi baci trottano fuori i cavalli dell'Apocalisse”; ma il significato dell’originale viene modificato. Infatti nel testo di Broch l’espressione 24 L’epoca d’oro della poesia austriaca a cura di E. Pocar, con una introduzione di C. Magris, Mi­ lano, Guanda, 1978. pp. 188-191.

Le citazioni letterarie nel film “La tigre e la neve’’

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ha valore meramente temporale, ’il nostro amore cadde in periodo di guerra, quando i cavalli dell'Apocalisse minacciavano morte e distruzione’ (nell'ultima strofe, “spaccano crani come fossero noci'’), dunque ’il nostro amore coincise con un pe­ riodo in cui la guerra, apparentemente lontana, in realtà coinvolgeva tutto e tutti’; in­ vece nel testo della Sceneggiatura la medesima espressione designa, analogamente alla parte precedente dell'intervento di Vittoria (ove si legge "la vertigine mi si porta via’’, con riferimento a Attilio), lo sconvolgimento dei sensi che i baci di Attilio ar­ recano a Vittoria, 'quando mi baci, il mondo fuori per me è come se fosse sottoso­ pra’. L'immagine dello sconvolgimento passa dunque, in bocca a Vittoria, dal mondo esterno a quello interiore.

George Biichner25 Woyzeck in Teatro. La morte di Danton - Leonce e Sceneggiatura, p. 92, battuta di Lena - Woyzeck a cura di G. Dolfini. Introduzione di G. Fuad Guerrieri, Milano, Adelphi. 2000. p. 147 ( Camera di Maria)

MARIA. Prova a toccarmi, Franz! Preferirei avere un coltello nel corpo che la tua mano addosso. Mio padre non ha osato darmele, quando avevo dieci anni, per­ ché lo guardavo. WOYZECK. Puttana! Ma no, dovresti avere qualcosa ad­ dosso! Ogni uomo è un abisso, a uno gira la testa se Ogni persona è un abisso, ven­ ci guarda dentro... Se fosse vero! E lì che sembra gono le vertigini a guardarci l’innocenza. Ma allora, innocenza, devi averci un dentro! segno addosso. Lo so io? Lo so? Chi lo sa? La fonte è citata in Sceneggiatura, p. 180.

Di questo autore tedesco, scienziato, drammaturgo, rivoluzionario e come tale perseguitato politico, anti-idealista e materialista, morto giovanissimo nel 1837, al­ l’età di 24 anni, nella Sceneggiatura, p. 92, in bocca a Fuad, è ripresa una battuta tratta dal dramma Woyzeck, composto nel periodo tra il 1835 e il 1 837 e pervenu­ toci frammentario e allo stato di semplice abbozzo. Si tratta di un dramma allucinato, in cui trova spazio lo scontro, tipico di Buch­ ner, tra diurno e notturno, tra operare e fantasticare, tra coscienza e subcosciente25 26.

25 Nato nel 1813 presso Darmstadt, morto a Zurigo nel 1837; drammaturgo e studioso di scienze naturali, rivoluzionario, perseguitato politico; opere: La morte di Danto/? (1835), Leonce e Lena (1835), Lenz ( 1835), Woyzeck ( 1835-1837). 26 Così si esprime G. Guerrieri in G. Biichner, Teatro. La morte di Danton - Leonce e Lena - Woyzeck a cura di G. Dolfini. Introduzione di G. Guerrieri, Milano, Adelphi, 2000, p. XV. - Per il testo del Woyzeck uso anche l’edizione, corredata di introduzione, traduzione e note, di G. Schiavoni, Milano, BÙR. 1995.

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Capitolo secondo

Lo spunto per l'opera venne allo scrittore da un fatto di cronaca del tempo, l’ese­ cuzione di tal J.C. Woyzeck. processato e condannato per l’omicidio passionale della sua amante; il processo fu seguito dalle cronache criminali e scientifiche e colpì la fantasia dello scienziato Biichner. Woyzeck è un soldato nullatenente, con un figlio illegittimo a carico; oggetto di vilipendio del suo superiore, del dottore, di tutti; sofferente di allucinazioni; tor­ mentato dai tradimenti continui della sua convivente; con tutto ciò, gran ‘pensa­ tore’. Scoperto un fresco tradimento dell'amante, la apostrofa con le farneticanti parole "Puttana! Ma no. dovresti avere qualcosa addosso! Ogni uomo è un abisso, a uno gira la testa se ci guarda dentro... Se fosse vero! E lì che sembra l'innocenza. Ma allora, innocenza, devi averci un segno addosso. Lo so io? Lo so? Chi lo sa?”, tali da esprimere efficacemente lo sconvolgimento dell'uomo, uno sconvolgimento che lo porta di lì a poco a pugnalare a morte la donna. Proprio queste parole, nella forma "Ogni persona è un abisso, vengono le vertigini a guardarci dentro”, vengono riprese da Fuad. nella Sceneggiatura. Il contesto del Woyzeck è aggressivo nella sua drammaticità, quello della Sceneggiatura è più narrativo e mira a creare stupore, non dramma; ma lo scopo della battuta è identico nei due testi, definire la natura in­ decifrabile dell'animo umano, un abisso in cui è impossibile penetrare tanto è psi­ cologicamente complesso; tanto complesso, da rasentare continuamente la stranezza o addirittura la follia. Giorgio Caproni27 Pensatina dell’antimetafisicante in Ciarlette nel ri­ Sceneggiatura, p. 135, battuta di dotto in II conte di Kevenhiiller in L'opera in versi, Fuad edizione critica a cura di L. Zuliani. Introduzione di P. V. Mengaldo. Cronologia e bibliografia a cura di Adele Dei. Milano. Mondadori, 20003 ( 19981). p. 675

Un’idea mi frulla, scema come una rosa. Dopo di noi non c’è nulla. Nemmeno il nulla,

che già sarebbe qualcosa.

Dopo di noi, Attilio, non c’è nulla. Nemmeno il nulla, che già sarebbe qualcosa!

La fonte è citata in Sceneggiatura, p. 184.

La Pensatina dell’antimetafisicante è una brevissima poesia inserita nella rac­ colta Ciarlette nel ridotto, a sua volta facente parte de II conte di Kevenhiiller, che raccoglie liriche composte tra 1979 e 1986, quando Caproni era intorno alla settan­ tina.

27 Nato a Livorno nel 1912, morto a Roma nel 1990. Opere principali: Finzioni (1943), Il seme del piangere (1959), // passaggio d’Enea (1965), Congedo del viaggiatore cerimonioso (1965), // muro della terra (1975), Il franco cacciatore (1982), Il conte di Kevenhiiller (1986), etc.

Le citazioni letterarie nel film “La tigre e la neve’’

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La raccolta è dunque opera dell’età avanzata, in cui il poeta mostra alcuni tratti formali nuovi rispetto alla produzione precedente: si è sottolineata28 in essa una con­ traddizione, carica di forza e energia, tra “l’estrema riduzione del discorso [...] e in­ vece l'invenzione di una vera e propria ‘storia’ [...] messa in scena in modi tra teatrali e narrativi”. In questa raccolta hanno spazio forme di ‘antirealismo’ e di nichilismo che, già presenti in momenti anteriori - per esempio nella raccolta II muro della terra, precedente di una dozzina d’anni ( 1964-1975) - ora si espandono. Del resto, la critica ha evidenziato la coesistenza di “trancianti dichiarazioni d'inesistenza e di appercezioni esattissime di frammenti della realtà”29 come uno dei momenti unifi­ canti dell'intero arco poetico caproniano, da una raccolta all'altra. La lirica che ci interessa, costituita da soli cinque versiceli, “Un’idea mi frulla, / scema come una rosa. / Dopo di noi non c’è nulla. / Nemmeno il nulla, / che già sarebbe qualcosa”, tipicamente nichilista, esprime il concetto del nulla totale: un concetto formulato in modi drastici ma “con versi affabili”, secondo il giudizio di Calvino30, perché Caproni “il nulla non lo scopre improvvisamente per strada con un terrore d’ubriaco” ma lo scopre perché “con lui convive giornalmente e lo dà per scontato”31. Nella ancor più breve lirica immediatamente successiva alla nostra, in­ titolata Pronta replica, o ripetizione (e conferma). Caproni afferma: “E allora sai che ti dico io ? / Che proprio dove non c’è nulla / - nemmeno il dove - c’è Dio”32, ne­ gando dunque il concetto espresso nella nostra, secondo la sua tipica “logica bina­ ria”33. Se passiamo alla Sceneggiatura, troviamo a p. 135, in bocca a Fuad, la battuta “Dopo di noi, Attilio, non c’è nulla. Nemmeno il nulla, che già sarebbe qualcosa!” la cui stretta dipendenza dal passo di Caproni non ha bisogno di essere dimostrata, tanto è evidente. La battuta di Fuad è un segno di rassegnazione disperata di fronte al nulla; Attilio risponde con una battuta scherzosa (“Ma guarda ... a me mi piace esserci”) che si oppone alla battuta dell’amico o comunque la corregge; orbene pro­ prio questa ‘correzione’ costituisce il corrispettivo della ‘correzione’ apportata da Caproni stesso alla sua lirica. Dunque la ripresa del contesto caproniano è anche più profonda di quanto non appaia al primo colpo d’occhio. Non è secondario rilevare che la citazione caproniana fornisce ad Attilio lo spunto per riaffermare la propria incrollabile fede nella vita, che è bella e degna di essere vissuta anche nelle condizioni più avverse (affermazione che costituisce, in ultima analisi, l'essenza stessa del messaggio di La tigre e la neve).

28 Da parte di P.V. Mengaldo in G. Caproni, L'opera in versi, edizione critica a cura di L. Zuliani. Introduzione di P.V. Mengaldo. Cronologia e bibliografia a cura di Adele Dei, Milano, Mondadori, 20003 (19981), p. XXXIV. 29 Cito da Mengaldo, op. cit., p. XL. 30 Riportato in Mengaldo, op. cit., pp. XLII-XLIII. 31 Anche queste sono parole di Mengaldo, op. cit., pp. XLII-XLIII. 32 II testo nell’ed. di L. Zuliani da me usata (cfr. sopra, la n. 28) è a p. 676. 33 Ancora una definizione di Mengaldo, op. cit., p. XLIII.

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Capitolo secondo

Vincenzo Cardarelli34 Adolescente, in Opere a cura di Clelia Martignoni, Mi­ lano, Mondadori, 1981, pp. 9-1035

Su te, vergine adolescente, sta come un’ombra sacra. Nulla è più misterioso e adorabile e proprio della tua carne spogliata. Ma ti reciudi nell’attenta veste e abiti lontano con la tua grazia dove non sai chi ti raggiungerà. Certo non io. Se ti veggo passare a tanta regale distanza, con la chioma sciolta e tutta la persona astata, la vertigine mi si porta via. Sei l’imporosa e liscia creatura cui preme nel suo respiro l’oscuro gaudio della carne che appena sopporta la sua pienezza. Nel sangue che ha diffusioni di fiamma sulla tua faccia, il cosmo fa le sue risa come nell’occhio nero della rondine. La tua pupilla è bruciata del sole che dentro vi sta. La tua bocca è serrata. Non sanno le mani tue bianche il sudore umiliante dei contatti. E penso come il tuo corpo difficoltoso e vago fa disperare l’amore nel cuore dell’uomo! Pure qualcuno ti disfiorerà, bocca di sorgiva. Qualcuno che non lo saprà, un pescatore di spugne,

Sceneggiatura, p. 8, battuta di Vittoria

E se penso al tuo corpo, difficol­ toso e vago, la vertigine mi si porta via.

E se penso al tuo corpo, diffi­ coltoso e vago, la vertigine mi si porta via.

34 Pseudonimo di Nazareno Caldarelli, nato nel Maremmano nel 1887, morto a Roma nel 1959; nel 1919 fondò (e dal 1920 diresse) la rivista La Ronda. Opere principali: Prologhi (1916), Giorni in piena (1934), Cielo sulle città (1939), Poesie (1936, 19422), Sole a picco (1952). 35 Per l’aspetto delle varianti testuali in Cardarelli cfr. Clelia Martignoni in V. Cardarelli, Opere, a cura di Clelia Martignoni, Milano, Mondadori, 1981, pp. 1109-1110; in particolare, in relazione alla no­ stra lirica, “Tu ti darai, tu ti perderai” si legge nell’edizione in Prologhi, del 1916; nell’edizione prece­ dente, del 1913, Cardarelli aveva scritto “tu la [cioè la gioia] darai, tu la perderai”. Cfr. Martignoni, op. cit.,pp. XXVI e XXXVII n. 1.

Le citazioni letterarie nel film “La tigre e la neve’’

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avrà questa perla rara. Gli sarà grazia e fortuna il non averti cercata e non sapere chi sei e non poterti godere con la sottile coscienza che offende il geloso Iddio. Oh sì, l’animale sarà abbastanza ignaro per non morir prima di toccarti.

E tutto è così. Tu anche non sai chi sei. E prendere ti lascerai, ma per vedere come il gioco è fatto, per ridere un poco insieme. Come fiamma si perde nella luce, al tocco della realtà i misteri che tu prometti si disciolgono in nulla. Inconsumata passerà tanta gioia! Tu ti darai, tu ti perderai, per il capriccio che non indovina mai. col primo che ti piacerà. Ama il tempo lo scherzo che lo seconda, non il cauto volere che indugia. Così la fanciullezza fa ruzzolare il mondo e il saggio non è che un fanciullo che si duole di essere cresciuto. La fonte è citata in Sceneggiatura, p. 165.

Rimorso, in Opere citt., p. 57

Sceneggiatura, p. 62, battuta di Nancy

Ti porto in me come il mare un tesoro affondato. Sei il lievito, il segreto d’ogni mio male, o amore a cui non credo. Amore che mi segui oltre ogni limite, ovunque, come un cane fedele segue un padrone ingrato. Ti fuggo invano. Poi che meno ti penso più mi opprimi, rimorso, celato affanno.

Sarai sempre con me, dentro di me, come nel mare un tesoro af­ fondato!

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Capitolo secondo

Tu certo un giorno mi raggiungerai nella morte. Là, riposato e cheto, il tuo buon Genio mi assisterà. Voglio dormire all’ombra del suo tremendo sorriso.

La fonte è citata in Sceneggiatura, p. 179.

La lirica Adolescente fu pubblicata per la prima volta nel 1913 da Cardarelli gio­ vane poeta, ventiseienne, poi nel 1916 e infine, nell’edizione definitiva delle Poesie, fu posta dall'autore in posizione liminare36, quasi simbolo anticipatore dell'intera raccolta37. Ed effettivamente come simbolo può essere presa, essendo considerata dalla critica un grande prodotto dell’ispirazione cardarelliana38. Nella lirica l’autore propone il problematico rapporto tra uomo e donna, denun­ ciando l'atteggiamento delia donna che prima suscita il desiderio dell’uomo, poi lo tiene nell'incertezza continua: dunque la donna presentata come un essere miste­ rioso, imprevedibile, insondabile - un tema, questo, che ricorre anche altrove nelle opere di Cardarelli39. Contemporaneamente la lirica celebra il fascino della bellezza adolescenziale, tema, anche esso, variamente trattato dal poeta. I due temi sono for­ mulati in Adolescente con un linguaggio aulico e controllato, che prevede termini quali “vergine adolescente”, “ti reciudi nell'attenta veste”, “se ti veggo passare / a tanta regale distanza”, “con la chioma sciolta”, “l’oscuro gaudio della carne”, “il corpo difficoltoso [= irraggiungibile] e vago”, etc., tutti rientranti nella più pura tra­ dizione poetica italiana (Cardarelli, non si dimentichi, fondò la "Ronda”). Nella Sceneggiatura, p. 8 vengono poste in bocca a Vittoria due brevi espres­ sioni tratte dalla lirica, “la vertigine mi si porta via” e “e penso come il tuo corpo / difficoltoso e vago / fa disperare l’amore”, in ordine inverso rispetto al modello e fuse in frase unica e coerente, “e se penso al tuo corpo, difficoltoso e vago, la ver­ tigine mi si porta via”: la fusione prova che nel caso specifico il testo cardareiliano è stato oggetto non di citazione ‘meccanica’, ma di attenta cura e rielaborazione. Nel riuso da parte della Sceneggiatura si rileva anzitutto una ‘inversione delle parti’, nel senso che mentre in Cardarelli l’uomo si rivolge alla donna, nel film si re­ gistra esattamente il contrario; inoltre in Cardarelli il referente è visto come qual­ cosa di sfuggente (la donna inarrivabile per chi le si rivolge), nella Sceneggiatura il referente è già ben disposto alla piena accettazione della ‘dichiarazione’ di Vittoria; ma ciò che determina l’ironia presente nel contesto d’arrivo - in opposizione alla di­

36 Da Giorni in piena (1934) in poi. 37 La lirica era molto cara a Cardarelli stesso: dopo la prima pubblicazione del 1913, l’autore la ripubblicò nella raccolta Prologhi, nel 1916: cfr. Martignoni, op. cit., pp. XXVI e 1007-1008. Il testo cardarelliano presenta affinità con vari passi di Bacchelli, come rileva ancora la Martignoni, op. cit., p. XXVI cit 38 Basterà il cenno della Martignoni, op. cit., p. LII. 39 Parzialmente accostabile alla nostra è, per esempio, // sonno della vergine, del 1931.

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sincantata amarezza di quello di partenza - è la tipologia stessa del referente, un in­ dividuo di aspetto fisico non pari a quello descritto nella lirica cardarelliana (non si dimentichi che nella scena fìlmica Attilio è rappresentato in abbigliamento intimo e in atteggiamento stremante rispetto alla situazione ‘solenne’ in cui versa). Se dun­ que è del tutto funzionale l'uso delle parole cardarelliane, la situazione del “con­ torno’ ne determina una deviazione ironica. La seconda lirica utilizzata nella Sceneggiatura (p. 62, battuta di Nancy), Ri­ morso, risale al 1933 (poi riedita nella raccolta Giorni in piena del 1934) ed è molto più breve e lineare della precedente. Anche essa poesia d'amore, esprime il con­ cetto che l'amore può essere tormento che accompagna fino alla morte, un tormento intimo da cui non ci si può liberare: particolarmente efficaci in tal senso sono pro­ prio quelle parole iniziali, “Ti porto in me come il mare / un tesoro affondato”, che vengono riprese da Nancy in battuta rivolta a Attilio, “sarai sempre con me, dentro di me, come nel mare un tesoro affondato!”. Anzi, nella battuta della Sceneggiatura il senso del passo cardarelliano è enfa­ tizzato lungo la direzione dell’amore inteso anche in senso fisico (con me, dentro di me): oltre al cambiamento del referente (in Cardarelli un uomo si rivolge a una donna che è l'incarnazione dell’amore stesso, non corrisposto; nella Sceneggiatura una donna si rivolge a un uomo che ella ama), assistiamo anche a un cambiamento di angolo visuale, perché Nancy dice ad Attilio che lei non lo dimenticherà mai. lo terrà sempre dentro di sé, non con un sentimento di rimorso (come si legge nel testo di partenza), ma con un sentimento d'amore40. Gabriele d'Annunzio41 La pioggia nel pineta in Alcyone in Versi d’Amore e non in Sceneggiatura, p. 57, ma di Gloria, edizione diretta da L. Anceschi. con intro­ solo nella scena filmica corri­ duzione di L. Anceschi; interessa qui il vol. II. a cura spondente, in bocca a Attilio di Annamaria Andreoli. Milano. Mondadori. 1984, pp. 465 sgg., vv. 1-15, 29-32, 125-128 Taci. Su le soglie del bosco non odo parole che dici umane; ma odo parole più nuove che parlano gocciole e foglie lontane. Ascolta. Piove

Piove!...

40 Sulla stessa linea sta la battuta shakespeariana che Nancy pronuncia contestualmente a quella cardarelliana nel momento di congedarsi definitivamente da Attilio (Sceneggiatura, p. 61). 41 È quasi inutile soffermarsi sulla figura di d’Annunzio (1863-1938), data la sua notorietà. Basterà ricordare, in funzione del discorso svolto nel testo, che le Laudi (donde è tratta la poesia in esame) furono composte tra il 1899 e il 1903; previste originariamente in sette libri (ciascuno intitolato dal nome di una delle mitiche Pleiadi), furono pubblicate in realtà in soli tre libri, Maia nel 1903, Elettra e Alcyone nel 1904.

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dalle nuvole sparse. Piove su le tamerici salmastre ed arse, piove su i pini scagliosi ed irti, piove su i mirti divini

Piove sulle tamerici...

su la favola bella che ieri t'illuse, che oggi m’illude, o Ermione. // ...// ...// su la favola bella che ieri m'illuse, che oggi t'illude,

sulla favola bella che ieri mi il­ luse, che oggi ti illude, o Er­ mione!

o Ermione. Questa citazione manca nella Sceneggiatura, cfr. poco sotto.

Di d’Annunzio, il film (non la Sceneggiatura, come ho ricordato or ora) riprende la celebre poesia alcionia La pioggia nel Pineta che è, come si sa, una delle più riu­ scite e notevoli liriche del poeta. La stesura risale all'estate del 1902, un momento di felicissima vena creativa di d'Annunzio: tremila versi composti per il libro III delle Laudi, V Alcyone appunto, contemporaneamente alla stesura di versi per altre sezioni delle Laudi e all’elabo­ razione di opere di altro genere; come descrisse d'Annunzio stesso in un'intervista comparsa sulla “Tribuna” del 11 dicembre del 190242, le Laudi prevedevano sette libri, dedicati ciascuno a una delle Pleiadi, ciascuno costituito da tremila versi, per un totale di ventunmila versi; di questi libri, erano pronti, alla data, i primi tre. inti­ tolati. rispettivamente, Maia, Elettra e Alcyone', il terzo libro, cioè appunto il nostro, in particolare veniva definito da d'Annunzio “idillico e ditirambico”43. Esso venne consegnato alle stampe verso la fine del 1903 e pubblicato, unitamente a Elettra, nel 1904; riedito da solo nel 1908, poi nel 1927 nell’Edizione Nazionale degli Opera Omnia dannunziani e varie volte in seguito. Se le caratteristiche fondamentali della poesia dell'A/cyone sono l’elencazione, l’iterazione, la similitudine e la metamorfosi44, si può dire senza rischio di esser smentiti che La pioggia nel pineto, recando in sé tutte queste caratteristiche, costi­

42 Traggo la notizia dell’intervista da Annamaria Andreoli in G. d’Annunzio, Alcyone, ed. cit., II, p. 1168. 43 Così d’Annunzio nella citata intervista (sopra, nota n. 42). 44 Sintesi in Andreoli, op. cit., p. 1161.

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tuisce uno splendido concentrato della poesia alcionia; e l’osservazione vale anche quando si ricordi che il poeta in questo libro tende a presentarsi “come organo che registra la nascosta armonia della natura e propone quindi la propria poesia anche, e non solo paradossalmente, alla stregua di un evento naturale”45: se la pioggia nel pineto reale è un fatto di natura, altrettanto lo è la lirica che ha immortalato quel fatto. Una studiosa46 ha sottolineato di recente le cadenze iterative tipiche del lin­ guaggio innografico-ieratico47; per non parlare del celeberrimo ‘ritornello’ dei vv. 29-32 “piove [...]/ su la favola bella / che ieri / t'illuse, che oggi m’illude, / o Er­ mione” e vv. 125-128 "piove [...]/ su la favola bella / che ieri / m" illuse, che oggi t’illude, / o Ermione” (questo secondo caso in chiusura di lirica, dunque in posi­ zione ‘forte’), in cui sottilmente il poeta rovescia, in contrappunto, i referenti (“ieri / m'illuse, che oggi t’illude” di fronte a “ieri / t'illuse, che oggi m'illude”). E gli esegeti hanno concordemente sottolineato la musicalità che percorre l'intera lirica48. Il ‘ritornello’, che ho citato sopra, è la breve sezione della lirica che viene ripresa da Attilio non nella Sceneggiatura, ma direttamente nell’azione filmica; anzi non solo è ripresa, ma è proprio citata ad verbum, non in un contesto discorsivo più ampio, ma da sola, dunque in qualche modo enfatizzata. Il contesto ‘atmosferico’ d’arrivo è del tutto coerente rispetto a quello di partenza, perché d‘Annunzio parla della piog­ gia e Attilio constata che piove; tuttavia esiste una profonda differenza tra il conte­ sto poetico dannunziano, che prevede che il poeta si rivolga serenamente e quasi ‘panicamente’ a una donna, Ermione, che l'accompagna (sia pur fittiziamente) in un bosco, e quello del film, che vede Attilio rivolgersi, deluso e arrabbiato, a una Er­ mione donna per lui inesistente, o meglio solo letterariamente esistente. Proprio la ci­ tazione del nome della donna irreale costituisce la spia della letterarietà del procedimento: si ponga a confronto contrastivo il modo completamente diverso adot­ tato in Sceneggiatura, p. 8, ove Vittoria nel riuso di un passo di Schwitters persona­ lizza la citazione e l’adegua perfettamente al nuovo contesto (cfr. sotto, p. 72). La citazione dannunziana nell’azione filmica ha preso il posto di un'altra cita­ zione inserita nella Sceneggiatura. Nel testo scritto, infatti. Sceneggiatura, p. 57. la battuta di Attilio suona "Piove! ... Il pleut! ... Il pleure dans mon coeur come il pleut sur la ville”49 e racchiude in sé la citazione abbreviata e leggermente modifi­ cata. in lingua originale, di una lirica di Paul Verlaine dal titolo Romances sans pa­ roles, che suona: "Il pleure dans mon coeur, / comme il pleut sur la ville. / Quelle est cette langueur / qui pénètre mon coeur?”50, citazione del tutto adeguata a espri­ 45 Parole della Andreoli, op. cit., p. 1165. 46 Andreoli. op. cit.. pp. 1209 e 1211. 47 “Taci... non odo ... ma odo ... Ascolta. Piove ... Piove su ... piove su ... piove su ... su ... su... piove su ... piove su ... su ... su ... su... Odi... Ascolta ... Ascolta, ascolta. ... Non s’ode ... Or s’ode ... Ascolta... E piove ... Piove su ... E piove su ... piove su ... su ... su ... su”. 48 Cfr. per esempio le osservazioni di Anceschi in op. cit., p. LXXXII e quelle di Andreoli, op. cit., p. 1211 (con bibliografia precedente). 49 “Piove! ... Piange nel mio cuore come piove sulla città”. 50 La lirica costituisce il num. Ili di Romances sans paroles, comprese nella raccolta Ariettes oubliées, e risale al 1874 (Sens 1874, poi Paris 1887); la si può leggere per esempio in P. Verlaine, Romanze senza parole, trad, a cura di C. Viani, Milano, Feltrinelli, 2007, pp. 22-23. In traduzione: “Piange nel mio cuore / come piove sulla città. / Cos’è questo languore / che s’insinua nel mio cuore?”.

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mere lo sconforto di Attilio. Nel film vero e proprio non c’è traccia di questo passo francese. Possiamo cercare di ipotizzare perché il testo verlainiano sia stato sosti­ tuito con quello dannunziano: fermo restando che entrambe le liriche di riferimento sono appropriate grazie al rinvio alla 'pioggia’, si può osservare che nel testo dan­ nunziano al tema della pioggia s’aggiunge la presenza della donna, Ermione, esat­ tamente come nella implicita situazione filmica di Attilio (presenza di Vittoria); forse proprio questa ‘compresenza’ può aver orientato la scelta operata a livello sce­ nico. Ma non va taciuto che la citazione verlainiana pare più appropriata al conte­ sto delia Sceneggiatura / film, proprio per il tono - tra elegia e ‘spleen’ - che corrisponde a quello di Verlaine. Paul Éluard51 La tua bocca dalle labbra d'oro, in Poesie, Introdu­ zione e traduzione di E Fortini. Torino, Einaudi. 1981 (= 1955), pp. 118-119

Sceneggiatura, p. 55, battuta di Attilio

Bocca di labbra d’oro tu non sei in me per ridere così perfetto è il senso dei tuoi detti di aureola che le mie notti d’anni, di gioventù e di morte odon vibrar la voce tua nel brusio del mondo.

In quest’ alba di seta dove vegeta il freddo la lussuria in pericolo va rimpiangendo il sonno, nelle mani del sole i corpi che si destano han brividi se pensano di ritrovare i cuori. Ricordi di foreste verdi, nebbia ove affondo, gli occhi ho su me richiusi, sono tuo, tutta la vita mia ti ascolta né distruggere

Ti vedo dappertutto, tutta la mia vita ti ascolta...

so i terribili ozi che il tuo amore mi crea.52 La fonte è citata in Sceneggiatura, p. 177.

La lirica La tua bocca dalle labbra d'oro fu aggiunta da Éluard alla raccolta Mourir de ne pas mourir (“Morire dell’impossibilità di morire”) nel momento in cui tale raccolta, già edita nel 1924, fu ripubblicata con una serie di ampliamenti nel 51 Pseudonimo di Eugène Grindel; nato a Parigi nel 1895, morto nel 1952. Esponente del Surreali­ smo. Opere: Morire dell’impossibilità di morire (1924), Capitale del Dolore (1926), Gli occhi fertili (1936), La rosa pubblica (1934), Il poema ininterrotto (1946), Poesie politiche (1948), etc. 52 Ta bouche aux lèvres d’or n’est pas en moi pour rire / et tes mots d’aurèole ont un sens si par­ fait / que dans mes nuits d’années, de jeunesse et de mart/j’entends vibrer ta voix dans tous les bruits du monde. //Dans cette aube de soie où vegete le froid/la luxure en perii regrette le sommeil, /dans les mains du soleil tous les corps qui s’éveillent/grelottent à l’idée de retrouver leur coeur. //Souve­ nirs de bois vert, brouillard où je m ’enfonce, /j’ai refermé les yeux sur moi, je suis à toi, / toute ma vie t’écoute et je ne peux détruire / les terribles loisirs que ton amour me crée.

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1926, quando il poeta era trentenne, sotto il titolo significativo di Capitale del Do­ lore. E una raccolta che cade nel momento surrealista del poeta; raccolta in cui. come qualcuno ha evidenziato53, convivono due tendenze apparentemente contrastanti: im­ magini di felicità e immagini di desolazione dell'io personale del poeta. Immagini di felicità che si traducono in sole, luce, giorno, identificazione del poeta con la donna di cui è innamorato; immagini di desolazione che si concretizzano invece nell'amore notturno: una fusione di elementi opposti che prelude alla maturità del poeta54. E la fase surrealista di Eluard, ho ricordato sopra; ma il poeta non rifugge dall'innestare la "novità’ sulla "tradizione’: uno studioso55 cita proprio vari versi della no­ stra lirica (i versi “odo vibrar la voce tua nel brusio del mondo”, “la lussuria in pericolo va rimpiangendo il sonno”, “né distruggere / so i terribili ozi che il tuo amore mi crea”) per documentare la volontà e la capacità del poeta di attenersi non solo alla metrica tradizionale, ma anche alla tradizionale concezione della donna come tra­ mite verso il mondo (una concezione, quest’ultima, destinata a svilupparsi in seguito nella produzione éluardiana56). In questa concezione della donna s’inserisce a pieno titolo il verso “sono tuo, / tutta la vita mia ti ascolta”, che sintetizza appunto la fusione dell’ "amata’ con 1’ ‘io’ poetico, quasi un verso programmatico; appropriatamente nella Sceneggiatura, p. 55, il verso è posto in bocca a Attilio nel momento di trasporto in cui egli confessa a Vit­ toria di averla seguita nascostamente dappertutto nei suoi movimenti per le città ita­ liane (anche se subito dopo il momento della confessione quasi ‘intimista’ viene il momento della disillusione e della rabbia di Attilio per il brusco allontanamento di Vittoria). Nàzym Hikmet57 L’addio in Fuori dal carcere in Poesie d’amore, Mi­ lano, Mondadori, 2002, pp. 36-37

Sceneggiatura, pp. 9 e 22, battuta di Vittoria

L’uomo dice alla donna t’amo e come: come se stringessi tra le palme il mio cuore, simile a scheggia di vetro che m'insanguina i diti quando lo spezzo follemente. 53 Fortini in op. cit., p. 28. 54 Ancora Fortini, op. cit., p. 30. 55 Fortini, op. cit., p. 30. 56 Cfr. ancora Fortini, op. cit., pp. 32 sgg. 57 Nato a Salonicco nel 1902 da famiglia aristocratica turca, nel 1921 si recò a studiare a Mosca, ove aderì al comuniSmo; rientrato clandestinamente in Turchia nel 1928, nel 1938 fu condannato a 28 anni di reclusione, ma dopo 12 anni fu liberato, nel 1950, e espatriò in URSS, dove morì (a Mosca) nel 1963. Opere: 835 righe (1929), L’epopea dello sceicco B. figlio del Kadì di Simavna (1936), In que­ st’anno 1941, Ma è mai esistito Ivan Ivanovic? (1956), La spada di Damocle (1960), Poesie d'amore (poesie del periodo 1933-1963: divise nelle sezioni Lettere dal carcere, Fuori dal carcere, In esilio).

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44 L’uomo dice alla donna t’amo e come: con la profondità dei chilometri con l’immensità dei chilometri cento per cento mille per cento cento volte l’infinitamente cento. La donna dice all’uomo ho guardato con le mie labbra con la mia testa col mio cuore con amore con terrore, curvandomi sulle tue labbra sul tuo cuore sulla tua testa. E quel che dico adesso l’ho imparato da te come un mormorio nelle tenebre e oggi so che la terra come una madre dal viso di sole allatta la sua creatura più bella. Ma che fare? I miei capelli sono impigliati ai diti di ciò che muore non posso strapparne la testa devi partire guardando gli occhi del nuovo nato devi abbandonarmi.

Amici, ecco qui che la terra, come una madre, allatta la sua creatura più bella.

La donna ha taciuto si sono baciati un libro è caduto sul pavimento una finestra si è chiusa.

E così che si sono lasciati.

La fonte è citata in Sceneggiatura, pp. 168, 170.

La poesia L’addio è inserita in Fuori dal carcere, sezione della raccolta completa Poesie d’amore del poeta turco Hikmet. Il titolo stesso Fuori dal carcere è auto­ biografico. dato che nel 1938 il poeta, che aveva aderito alle idee del partito comu­ nista dell'URSS, fu condannato in Turchia a lunga pena detentiva, che scontò fino al 1950; uscito dal carcere, dopo qualche mese decise di espatriare in Unione So­ vietica e fu pertanto costretto a lasciare a Istanbul la moglie Munevvér, cui dedicò

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appunto le poesie scritte ‘fuori dal carcere’ (come suona il titolo della raccolta). Nella lirica ripresa nella sceneggiatura il poeta immagina un colloquio d'amore tra un uomo e una donna - cioè, nella realtà, tra il poeta e sua moglie un collo­ quio che è una reciproca dichiarazione d’amore, ma che si conclude tristemente con la forzata separazione dei due (“la donna dice all'uomo /[...] devi partire / guar­ dando gli occhi del nuovo nato / devi abbandonarmi. // La donna ha taciuto / si sono baciati / un libro è caduto sul pavimento / una finestra si è chiusa. // E così che si sono lasciati), esattamente come capitò a Hikmet nella vita vissuta. Nella professione d'amore della donna per l'uomo si legge, tra l’altro, “e oggi so / che la terra /come una madre / dal viso di sole / allatta la sua creatura più bella”, ripreso quasi alla let­ tera nella battuta di Vittoria, Sceneggiatura, p. 9 (poi ripetuta ivi, a p. 22), con con­ testualizzazione linguistica e tematica del tutto coerente, dato che sia nel testo di partenza che in quello d'arrivo una donna-moglie dichiara il proprio amore per l’uomo-marito. Tuttavia il ‘contorno’ in cui è inserita la battuta (nella scena filmica Attilio è rappresentato in abbigliamento intimo e in atteggiamento stramante rispetto alla situazione ‘solenne’ in cui versa) conferisce un'involontaria sfumatura ironica alle parole di Vittoria. Va tenuto presente che nella lirica le parole della donna sono rivolte all’uomo nel momento dell'addio/separazione, mentre nella Sceneggiatura preannunciano l'ini­ zio di un rapporto matrimoniale: dunque la funzione delle parole è identica nei due contesti (esaltazione della persona amata, che non ha pari nel creato), mentre il con­ testo complessivo è diverso (separazione vs unione). Raffaele La Capria58 La neve del Vesuvio, cap. V Le pa­ Sceneggiatura, pp. 20-21, racconto di Attilio alle figlie role, Milano, Mondadori, 1997, pp. 43 ss., soprattutto pp. 44-45 C’erano aiuole verdi lì intorno, e alberi, e statue con personaggi mitologici ed eroi. Notò che il verde delle aiuole era diventato in un solo giorno più verde e anche gli alberi non sembravano così sparuti. All’ improvviso su quel verde si posò una macchia gialla, un canarino, e stette fermo a due passi da lui. Tonino lo guardò trattenendo il fiato, era vicinissimo, e lui non osava fare il minimo gesto. Inaspetta­ tamente il canarino volò sulla sua spalla e rimase lì per un

Era una cosa straordinaria! C’era un boschetto... Loro si misero lì a parlare, e io andai in questo boschetto. A un certo punto lo sapete che successe?... Un uccellino, all’improvviso, mi vola vicino e ... Tah! Si ferma qui, sulla spalla!... Aveva scelto me in tutto il mondo... e continuava a cantare. Io facevo finta d’es­ sere un albero, non mi muovevo... ero così, guardate... non mi muovevo. Ho cominciato a sentire il cuore che mi batteva, anzi, mi sbatteva dentro il petto. Ma l’emo­ zione... l’emozione di quell’uccellino che stava in cielo... che non si possono toccare... era venuto lui da me, ce l’avevo lì... ma era bello, ma bello... cantava tranquillo sulla mia spalla! Ero così emozionato che c’avevo paura!... Poi è volato via. Sarà stato qualche secondo, ma a me

58 Nato a Napoli nel 1922, scrittore, saggista e sceneggiatore. Opere principali: Ferito a morte, 1961; Amore e Psiche, 1973; La neve del Vesuvio (1977, 1988), e altre.

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lungo momento. Come mi batte il cuore!, pensò Tonino sopraffatto dal­ l’emozione - lo sentirà battere anche lui e scapperà. Il canarino volò via. Beh, in fondo cos’era?, pensò poi per calmare quel batticuore, era un cana­ rino. un semplice canarino fuggito da una gabbia e ancora incapace di li­ bertà. non hai mai visto un canarino? Ma quello s’era posato sulla sua spalla, c’era rimasto per un po'.

sembrava un’eternità dall’emozione che avevo. Son corso, ho fatto una corsa per raccontarlo alla mamma. Dicevo: «Ora quando le racconterò questa cosa chi sa che farà, non ci crederà di sicuro!». E una cosa che nel mondo... «Mamma, mamma!». Sono arrivato lì a diecimila... ero tutto sudato, pol­ veroso. La mamma era bella, c’aveva un vestito rosso: «Attilio, che è successo, bambino mio?». Le dissi: «Mamma, mamma! [...] Non te lo riesco ne­ anche a dire, un uccellino mi si è posato qui sulla spalla... c’è stato un’ora... un uccellino!».

La fonte è citata in Sceneggiatura, p. 169.

Da un breve romanzo di La Capria, La neve del Vesuvio, pubblicato nel 1977 (poi nel 1988), viene l'idea del racconto di Attilio, riportato in Sceneggiatura, pp. 20-21. Attilio, interrogato dalle figlie su come si diventi poeta, racconta un episodio della sua infanzia, identico a quello ideato nel cap. V del romanzo di La Capria, in­ titolato Le parole. Nel romanzo un bimbo è protagonista di un "prodigio’ (tale è ai suoi occhi): un uccellino che si posa sulla sua spalla; cerca poi di razionalizzare tra sé l'episodio come può fare un adulto (“Beh, in fondo cos’era?, pensò”), senza pe­ raltro riuscirvi: ai suoi occhi l’episodio resta comunque eccezionale. Nella Sceneggiatura Attilio racconta alle figlie un episodio identico, capitato a lui stesso quando era piccino, per esemplificare concretamente come da un fatto mi­ nuto vissuto intensamente, in modo da far battere il cuore, possa nascere l'atteg­ giamento che porta alla poesia. A conclusione del racconto, dopo aver evidenziato l’entusiasmo da lui provato da bimbo, sottolinea per contrasto come sua madre, sen­ tito il fatto, lo minimizzò sul piano razionale, cancellando inavvertitamente l’entu­ siasmo del bimbo - con contrapposizione tra fantasia poetica del bimbo vs fredda considerazione della realtà da parte dell'adulto. Dunque, nonostante l’assoluta identità del fatto raccontato, diverso è il risultato ottenuto: se le differenze sul piano formale sono imputabili alle esigenze filmiche (diversamente da quanto si verifica nel romanzo, nella Sceneggiatura Attilio-bimbo parla con la madre in discorso diretto, perché il discorso diretto "drammatizza’ l'azione), altra e più profonda è la differenza di finalità del racconto, che nella Sce­ neggiatura si carica di precisa valenza letteraria: solo il bimbo (il pensiero va al ‘fanciullino’ pascoliano, naturalmente) ha la capacità di aderire pienamente alla realtà nascosta e di dare spazio ed espressione al sentimento che ne consegue, dun­ que riesce a sentire poeticamente, mentre l'adulto è ormai sordo ai messaggi della natura: pertanto - è questa la risposta di Attilio alle figlie - per essere poeti bisogna essere bambini o ritornare bambini. Questa dichiarazione di poetica ne precede un’altra, che Attilio formulerà durante la lezione universitaria posta in scena poco dopo: la poesia non nasce dall’esterno, ma dall'interiorità e per essere poeti è indispensabile nutrire sentimenti d’amore.

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Vivian Lamarque59 Questa quieta polvere, VI, in Una quieta polvere in Poesie 1972-2000, con introduzione di Rossana De­ dola, Milano, Mondadori, 2002, pp. 169-170

Sceneggiatura, p. 135, battuta di Attilio

Poiché non potevo fermarmi per la Morte lei gentilmente si fermò per me

quando muoriamo noi non è come quando muoiono gli altri si vede l’ultimo oggetto della nostra vita e nient’altro Questa Quieta Polvere fu Signori e Signore io non sono morta io sono nata, il 19 aprile 1946

sono viva credo i rami sulla mia mano sono pieni di convolvolo io non vorrei essere così affezionata un poco meno

Hai il coraggio di seguirmi? — chiese — sono la Morte la prima volta egli mi chiese posso togliermi la giacca? io gli dissi naturalmente prendeva uno per la manina gliela staccava, prendeva un altro per la manina gliela spezzava

che l’amore mio essendo bellissimo l’abbiano rapito degli Dèi invidiosi?

attento se hanno gli occhi aperti i draghi dormono se li hanno chiusi sono svegli

se un giorno l’amore mio ritornerà io sarò felice oh i sagrati — disse il vento — è quasi sempre da lì che rapisco i miei prediletti

io li ho visti i morti è impossibile guardarli tanto per questo li mettono sotto terra 59 Pseudonimo di Comba Proverà Pellegrinelli, nata presso Trento nel 1946 come figlia illegittima. Opere: Teresino (1981), // signore d’oro (1986), Il signore degli spaventati, Poesie dando del Lei, Questa quieta polvere ( 1996).

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io non voglio essere messa sotto terra là manca l’aria anche se si è morti oh i sagrati — disse il vento — è quasi sempre da lì che rapisco i miei prediletti

quando muoriamo noi non è come quando muoiono gli altri si vede l’ultimo oggetto della nostra vita poi si viene messi sotto terra e nienf altro, nemmeno un movimento impercettibile il mattino dopo che si è morti non ci si può svegliare la vita è finita è incominciata la morte poiché non potevo fermarmi per la Morte lei gentilmente si fermò per me

anche da morta mi ricorderò i ricordi mi ricorderò sempre di quando ero viva

Io son sicuro che anche da morto mi ricorderò sempre di quand’ero vivo!

Tamore mio quando lo toccavo ero felice.

La fonte è citata in Sceneggiatura, p. 184.

Il poemetto di Vivian Lamarque Questa quieta polvere, della cui sezione VI in Sceneggiatura, p. 135 (in bocca a Attilio) sono citati due degli ultimi versi (“anche da morta mi ricorderò i ricordi / mi ricorderò sempre di quando ero viva”), risale al 1996. E poemetto intessuto di citazioni, in larga misura attinte alla tradizione fia­ besca, sia italiana che straniera (soprattutto Afanasjev, Andersen, etc.). Citazione è il titolo stesso dell’operetta: infatti This quiet Dust / was Gentlemen and Ladies suona l'inizio del componimento 813 di Emily Dickinson, ripreso appunto con Que­ sta quieta polvere e successivamente ripreso, ancora più da vicino, nella sezione VI. strofe III, del poemetto, ‘'Questa Quieta Polvere /fu Signori e Signore". Come giu­ stamente è stato rilevato60, le numerose citazioni (53 in tutto, distribuite nelle 9 se­ zioni del poemetto) sottolineano la tendenza alla dispersione e alla perdita di centro d’equilibrio vitale che costituisce la caratteristica (nata da ragioni biografiche e esi­ stenziali) della Lamarque. La battuta di Attilio di Sceneggiatura, p. 135, “io son sicuro che anche da morto mi ricorderò sempre di quand’ero vivo!”, costituisce la trascrizione, molto vicina al­ l’originale, di due versi della Lamarque; una ripresa la cui ‘fedeltà’ può essere spie­ gata anche sulla base della considerazione che dal punto di vista ‘tecnico’, per usare questo termine un po’ riduttivo, la fittissima presenza di citazioni consuona con

60 Da parte di Rossana Dedola, op. cit., p. X.

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l’analogo procedimento onnipresente nella Sceneggiatura di Benigni-Cerami che a noi interessa. Tuttavia la contestualizzazione dell’uno e dell'altro testo non è del tutto simile: mentre infatti nel poemetto di partenza i versi si inseriscono in un contesto marcatamente funerario. Attilio piega la citazione a esprimere una forte carica vitale. Le Mille e una notte Le mille e una notte a cura di E Gabrieli, Torino, Ei­ naudi. 1948, vol. II. p. 324 (notte 35 la)61

Sceneggiatura, p. 133, battuta di Fuad

Si racconta che un uomo di Baghdad possedeva molti beni e abbondanza di danari; perdette il suo patrimo­ nio, cambiò condizione e si ridusse a non possedere più niente: riusciva a mangiare soltanto faticando du­ ramente. Una notte mentre dormiva, afflitto e amareg­ giato, vide in sogno uno che diceva: - La tua fortuna si trova al Cairo, parti e valla a cercare! Andò al Cairo, vi giunse di sera e andò a dormire in una moschea. Vicino alla moschea c’era una casa, e Iddio decretò che una banda di ladroni entrasse nella moschea per penetrare da quella nella casa. Sentendo muovere i ladri, la gente della casa si svegliò e co­ minciò a gridare, e il capo della polizia accorse con i suoi uomini. I ladri fuggirono, e la polizia entrò nella moschea; trovarono l’uomo di Baghdad che dormiva, lo presero, e gliene diedero tante coi randelli da ridurlo quasi in fin di vita. Lo misero in prigione e ce lo ten­ nero tre giorni, poi il capo della polizia lo fece com­ parire e gli domandò: - Di che paese sei? - Di Baghdad - E per che motivo sei venuto al Cairo? - Rispose: Ho visto in sogno uno che mi diceva: “la tua fortuna è al Cairo: parti !” e arrivato al Cairo ho trovato la for­ tuna promessa in quelle bastonate che mi hai fatto dare... - Il capo della polizia scoppiò in tale una ri­ sata che gli si vedevano i molari e gli disse: - Imbe­ cille! Io in sogno ho visto tre volte uno che mi diceva: “A Baghdàd c’è una casa nella tale via, fatta così e così; nel suo cortile c’è un giardinetto, in fondo al giar­ dino c’è una vasca e sotto la vasca danari, una somma enorme. Valla a prendere!”. Io non mi sono mosso, e tu invece, stupido come sei, per un sogno confuso che hai avuto, ti sei messo a viaggiare da un paese all’al­ tro! - Gli diede poi dei soldi, dicendo: - Servitene per tornare a casa. Prese quei soldi e tornò a Baghdàd. Ora la casa di

Mohammed el-Magrebi abitava al Cairo in una casetta dove c’era un giardino, un fico e una fon­ tana. Era povero. S’addormentò e sognò un uomo bagnato zuppo che si tolse una moneta d’oro di bocca e gli disse: “La tua fortuna è in Persia, a Isfa­ han... troverai un tesoro ... vai!”. Mohammed si svegliò e partì di corsa. Dopo mille pericoli arrivò a Isfahan! Qui, cercando di man­ giare, stanco morto, venne scam­ biato per un ladro. Lo picchiarono con canne di bambù e quasi l’ammazzarono. Fino a quando il capitano gli domandò: “Chi sei, da dove vieni, perché sei qua?”. Quello disse la verità: “Ho sognato un uomo zuppo che mi ha ordinato di venire qua perché avrei trovato un tesoro. Bel te­ soro, le bastonate!” Il capitano fece una risata e gli disse: “Scemo, e tu credi ai sogni? Eh ... Io ho sognato tre volte una po­ vera casa del Cairo dove c’è un giardino e oltre il giardino un fico e oltre il fico una fontana e sotto la fontana un tesoro enorme! Ma io non mi sono mai mosso da qui, scemo! Vattene, credulone!”. L’uomo tornò a casa, e sotto la fontana del suo giardino dissot­ terrò il tesoro!

61 Da notare che per una svista in Sceneggiatura, p. 182 il racconto è indicato come n. 451 anziché 351.

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Capitolo secondo

Baghdàd che il capo della polizia gli aveva descritto era proprio la casa di quell’uomo. Appena tornato scavò sotto la fontana trovò molti danari. Così Dio gli diede la ricchezza, e questo è un caso meraviglioso. La fonte è citata in Sceneggiatura, p. 182.

Non è possibile qui soffermarsi sulla problematica di un’opera quale Le mille e una notte62. Basterà un breve cenno alla novella della notte 351, cui fa preciso rife­ rimento Fuad nella Sceneggiatura, p. 13363. Nella raccolta araba il racconto ha funzione piuttosto chiara, appena mascherata dal gusto del romanzesco (come si verifica innumerevoli volte nella raccolta): sot­ tolineare da un lato come la fiducia ingenua venga premiata (nella figura dell' ’uomo di Baghdàd'), dall'altra come Tuomo sia talvolta cieco nel non vedere dove sia il suo bene (è il caso del capo della polizia). Essa è simbolo della condizione umana: Tuomo cerca di realizzare le sue aspirazioni nei modi più disparati e poi, invece, ne trova dentro di sé la realizzazione. Nella Sceneggiatura vengono apportate alcune modifiche nelle indicazioni locali dell'originale, ma il nucleo del racconto non viene minimamente intaccato. Rispetto all’originale, nella Sceneggiatura la funzione della citazione-adatta­ mento pare quella di evidenziare la forza captante della propria ‘casa’ (nel senso più ampio del termine): Fuad. il narratore, spiega tramite la favola il motivo per cui egli abbia deciso di tornare in patria in un momento di grave pericolo, in cui sa­ rebbe stato forse più ‘saggio’ starne lontano. Se è così, si deve concludere che la contestualizzazione di arrivo è diversa da quella di partenza. Si potrebbe interpretare in altro modo: sia l'ignoto ‘uomo’ iracheno dell'origi­ nale, sia Fuad hanno il loro percorso di vita segnato dal destino che li chiama a tor­ nare al punto di partenza: l'iracheno, per trovarvi il benessere, Fuad per trovarvi la morte (anche se ancora egli non lo sa). Anche in questo caso, tuttavia, le due con­ testualizzazioni non sono sovrapponibili. Del tutto appropriato risulta, comunque, Faver posto il racconto delle Mille e una notte in bocca a un arabo, per di più poeta.

Antonio Machado64 Proverbios y cantares in Poesias completas Sceneggiatura, p. 100, battuta di Fuad ed. M. Alvar, Madrid, Espasa-Calpe, 1997, n. XLVI

62 Mi limito a rinviare all’introduzione di F. Gabrieli alla traduzione de Le mille e una notte, Torino, Einaudi, 1948, vol. I. pp. XV-XXXIX e alla sintesi proposta dallo stesso F. Gabrieli, La Letteratura araba, Firenze, Sansoni-Accademia. 1967. pp. 247 sgg. 63 La fiaba nella Sceneggiatura è narrata minutamente da Fuad, mentre nel film è solo citata, non narrata. 64 Nato a Sevilla nel 1875, morto profugo in Francia nel 1939. Opere: Soledades (1903), Campos de Castilla (1912), Nuevas Condones (1925), Sonetos.

Le citazioni letterarie nel film “La tigre e la neve’’ Stanotte ho sognato di sentire Dio che mi gridava: “All’erta! Poi era Dio che dormiva e io gli gridavo. “Sveglia”.65

51

Un po’ [sott. ho dormito stanotte], su que­ sta poltrona. Ho sognato che entravo in una stanza e c’era Dio che dormiva e io gli dicevo: “Sveglia! Sveglia!”.

La fonte è citata in Sceneggiatura, p. 181.

Il brevissimo testo di Machado n. XLVI di Proverbios y cantares, sezione della più ampia raccolta Campos de Castilla, presenta tutte le caratteristiche della poesia machadiana66: sul piano formale, staticità della situazione, condizione di solitudine, tendenza a ripetere sempre le stesse parole per creare una tematica fondamentale che attraversa costantemente tutta la lirica; sui piano contenutistico, una forma di scetti­ cismo religioso che trova anche altre espressioni nei Proverbios. Il testo che ci interessa, pubblicato nel 1912, inserisce il divino nel momento oni­ rico, come si verifica anche nei testi XXI, XXVIII. XXXIII della raccolta (anche con identità di formulazione verbale)67; esprime il concetto che Tuomo e Dio sono in con­ tradditorio, senza che Dio abbia dominio totale sull'uomo; è un Dio ‘sfuggente’ quello che è posto in scena, anzi non è nemmeno ‘posto in scena’ perché è solo sognato. Buona parte di questo testo è riprodotta da Fuad. Sceneggiatura, p. 100. Alla do­ manda di Attilio, se abbia riposato, Fuad risponde - citando appunto il testo machadiano - “Un po' [sott. ho dormito stanotte], su questa poltrona. Ho sognato che entravo in una stanza e c’era Dio che dormiva e io gli dicevo: Sveglia! Sveglia!”, per eviden­ ziare la propria attività e impegno nelTassolvere un determinato compito (preparare la pozione curativa per Vittoria), un impegno che deve surrogare o sostituire la spe­ ranza nell'intervento divino, visto che Dio ha gli stessi limiti che ha anche l'uomo. Vladimir Vladimirovic Majakovskij68 Marina da guerra in amore in A piena Sceneggiatura, p. 55, battuta di Attilio voce. Poesie e poemi, a cura di Gio­ vanna Spendei, Milano, Mondadori, 1996 (= 1989), p. 53

65 Anoche soné que ola /a Dios, gritandome: jAierta!’/Luego era Dios quieti domila /y yo gritaba: jDespierta!’. 66 Rinvio direttamente alle sintetiche osservazioni di Mancini, op. cit., pp. 650-654. 67 Nel nostro testo: Anoche soné que ola...-, in n. XXI l’inizio suona Ayer sofie que vela ...; in n. XXXI11, parallelamente Soné a Dios... . 68 Nato in Georgia nel 1893; teorico del futurismo russo (il ‘manifesto’ risale al 1912); aderisce alla Rivoluzione d’Ottobre nel 1917; poeta ‘ufficiale’ e propagandista della Rivoluzione, progressivamente si staccò dai compagni per aderire, nel 1930, alla Associazione Russa degli Scrittori Proletari; morto sui­ cida a Pietroburgo nel 1930. Opere: Io (1913), La nuvola in calzoni (1915), Il flauto di vertebre (1916), Semplice come un muggito (1916), L’uomo (1917), Lenin (1925), Bene! (1927), A piena voce (1930).

Capitolo secondo

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Van sui mari scherzando in crociera il torpediniere e la torpediniera. E come la vespa s’attacca col miele, così la torpediniera fedele.

In questo momento, Vittoria... se tu potessi ve­ dere il cuore che c’è qui, ora... c’ho una flotta di cacciatorpediniere sottomarine... che bombar­ dano tutti i ventricoli di profondità e mi circum­ navigano il cuore.

E per il torpediniero, infinita è la felicità della vita.

Ma li scoprì con gli occhiali sul naso un riflettore pedante, per caso.

Una sirena fece la spia, denunziandone a tutti la scia.

Fuggì via la torpediniera, come al vento della bufera. Ma il torpediniero ormai stanco, poverino, fu colto nel fianco. Sull'oceano ora va la preghiera della vedova torpediniera.

Dava forse agli uomini noia quella loro semplice gioia?

La fonte è citata in Sceneggiatura, p. 177.

Lettera al compagno Kostròv da Parigi sulla Sceneggiatura, pp. 9,22 e 63, battuta di Vit­ sostanza dell ’amore, in A piena voce. Poesie toria e poemi, cit., pp. 137 sgg. Scusatemi dunque,

compagno Kostròv, con larghezza di spirito a voi propria, se parte delle strofe assegnatemi per Parigi io sciuperò per la lirica.

Le citazioni letterarie nel film “La tigre e la neve’’ Immaginate: entra

una bella nella sala, adorna

di pellicce e di collane. Io

la prendo per mano e le dico (in modo giusto

o sbagliato?):

Compagna, io sono di Russia, ben noto nel mio paese, ho veduto ragazze più leggiadre, ho veduto ragazze più snelle. Alle ragazze piacciono i poeti. Io sono arguto, ho una voce squillante e le abbaglio con belle parole, per poco che prestino orecchio. Non mi lascio acchiappare su un’inezia, su un’effimera coppia di sentimenti. Io sono infatti per l’eternità ferito dall’amore e mi trascino a malapena. Per me l'amore non si misura con le nozze. Ha cessato d’amarmi? E svanita. Compagna, in sommo grado me ne in fischio delle cupole. Ma perché scendere a particolari? Smettete gli scherzi, mia bella, non ho vent’anni, ma trenta... con una codina. L’amore

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Capitolo secondo

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non è nel bollire più sodo,

non è nell’essere bruciati come carboni, ma in ciò che sorge dalle montagne dei petti sopra le giungle dei capelli. Amare significa correre in fondo al cortile e sino alla notte corvina con l’ascia lucente tagliare la legna, giocando con la propria forza. Amare è sciogliersi dalle lenzuola strappate dall'insonnia, gelosi di Copernico lui, e non il marito d’una Maria Ivànovna considerando proprio rivale, Per noi l’amore non è paradiso terrestre a noi l’amore annunzia ronzando che di nuovo è stato messo in marcia il motore raffreddato dal cuore. voi con Mosca avete rotto il filo gli anni sono distanza. Come potrei spiegarvi questa situazione? Sulla terra luci sino al cielo.

Le citazioni letterarie nel film “La tigre e la neve’’

55

Nel cielo azzurro stelle

sino al diavolo S’io

non fossi poeta, sarei diventato un astrologo La piazza leva frastuono, le vetture si muovono, io cammino, scrivendo versi nel mio taccuino. Sfrecciano le auto per la via, ma non mi gettano a terra. Gli intelligenti capiscono quell’uomo è in estasi. Uno stuolo di sogni e di pensieri mi riempie sino all’orlo. Qui anche agli orsi crescerebbero le alette. Ed ecco da una mensa dozzinale, quando ogni cosa è al colmo del fervore, dalla gola alle stelle si alza la parola come su una cometa d’oro. La sua coda è distesa brilla e splende il suo piumaggio, perché due innamorati scorgano le stelle della loro pergola di lilla Per sollevare e condurre e trascinare coloro la cui vista è indebolita.

Oh. amore... uno stuolo di sogni e di pen­ sieri mi riempie fino all'orlo.

Ogni cosa è al colmo del fervore. Dalla mia gola alle stelle si alza la parola, come una cometa d’oro.

Capitolo secondo

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le teste dei nemici come una caudata sciabola sfavillante. Trattenendo me stesso, come a un convegno, sino all’ultimo battito del petto, tendo l’orecchio: l’amore riprende a ronzare, umano, semplice. Fuoco, uragano ed acqua s’avanzano con un sordo brontolio. Chi saprebbe dominarsi? Potete? Provateci.

La fonte è citata in Sceneggiatura, pp. 169, 170, 179.

Poeta rivoluzionario nella vita come nell'arte - fu infatti esponente di spicco delle avanguardie russe, con particolare riferimento al Futurismo -, Majakovskij compose la breve poesia Marina da guerra in amore nel 1915, cioè nel periodo del maggior impegno futurista (come prova l'insistente riferimento a oggetti tipici della 'modernità' delle macchine; il manifesto del Futurismo russo risale al 1912) e del­ l’amore per Lilja Brik. Citata solo allusivamente in Sceneggiatura, p. 55 in una bat­ tuta di Attilio (“c’ho una flotta di cacciatorpediniere sottomarine...”, con adattamento volutamente distorto deH'originale sul piano linguistico)69, è lirica che costituisce un misto di Futurismo (dal punto di vista del codice linguistico-stilistico: due navi da guerra che procedono in formazione quasi che fossero reciprocamente innamorate, a simboleggiare l’amore) e di antimilitarismo (l’affondamento della nave nemica come atto gratuito, che comporta perdite di vite umane); testo basato su tutta un’unica metafora per esprimere il concetto dell'amore, tormentato quando viene ostacolato. In bocca a Attilio, il testo assume la funzione di metafora che esprime, per via di scherzosa esagerazione, di tipo espressivo, lo stato d’animo gioioso dell’uomo che incontra la sua donna (l'intera battuta significa infatti sem­ plicemente “il cuore mi batte forte”). Diverso il discorso a proposito della lirica Lettera al compagno Kostròv da Pa­

69 Le cacciatorpediniere sono antisommergibili, non sottomarine di per sé. ovviamente.

Le citazioni letterarie nel film “La tigre e la neve’’

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rigi sulla sostanza dell’amore. Majakovskij elaborò il testo in periodo compietamente diverso rispetto al testo precedente, dopo la sua adesione alla Rivoluzione Russa. Tra i molti versi commissionatigli dal partito in funzione di propaganda nel 1927-1928 (nel 1927 cadde il primo decennale della Rivoluzione d’Ottobre), egli concepì anche la nostra lirica, in forma di lettera da Parigi (ove effettivamente il poeta si fermò nel 1927), in un momento in cui era innamorato di un’emigrata russa a Parigi, Tat’jana Jakovleva. E’ un testo che, eccezionalmente e in deroga alla pro­ duzione tipica in questo periodo di vita, secondo la sua stessa ammissione70, l'au­ tore dedica al tema amoroso-poetico, raggiungendo anche punte di genuina ispirazione71 formulate con espressioni arditamente metaforiche. Proprio questi spunti poetici sono inseriti nella Sceneggiatura per tre volte, pp. 9, 22, 63, sempre in bocca a Vittoria, che li utilizza in sequenza per manifestare reiteratamente il suo amore ad Attilio, dunque con perfetta coerenza tra i contesti di partenza e di arrivo; la ripetizione stessa della battuta conferisce alla reminiscenza una ‘presenza’ parti­ colare (più avanti, pp. 92. 108), che costituisce testimonianza dell'efficacia del passo di Majakovskij agli occhi di chi lo cita. Osip Èmil’evic Mandcl’stam72 0. Mandel’stam, Tristia in Cinquanta poesie a cura Sceneggiatura, p. 9, battuta di Vit­ di R. Faccani, Torino, Einaudi, 1998, pp. 49 e 51 toria Io so la scienza dei commiati, appresa fra lamenti notturni a chiome sciolte. Stan ruminando i buoi, dura l’attesa: ultim’ora di veglia delle scolte cittadine. E mi piego al rito della notte del gallo, quando - in spalla il carico di strazio del viaggio - guardavano lontano umidi occhi, e piangere di donne al canto si univa delle muse.

Chi. alla parola “commiato”, sa quale distacco giungerà per noi fra poco, che cosa presagisce lo strepito del gallo mentre la fiamma arde sull’acropoli, e perché all’alba di una vita nuova, mentre il bue rumina pigro nell’andito, il gallo, araldo della vita nuova, sulla cinta muraria le ali sbatte?

70 “Scusatemi / dunque, / compagno Kostròv, / con larghezza di spirito / a voi propria, / se parte / delle strofe assegnatemi per Parigi / io / sciuperò / per la lirica”. 71 “Uno stuolo di sogni / e di pensieri / mi riempie / sino all’orlo”; “ogni cosa è al colmo del fer­ vore, / dalla gola / alle stelle / si alza la parola / come su una cometa d’oro”. 72 Nato a Varsavia nel 1891; oppositore di Stalin, arrestato nel 1938, deportato a Vladivostok, dove morì nel 1938. Opere: Pietra (1913. 1916, 1923), Tristia (1922), Il secondo libro (1923), 1921-1925 (1928), inoltre i postumi Quaderni moscoviti (poesie del 1930-1934), Quaderni di Voronez (poesie del 1934-1937).

58 E amo il filato, amo la tessitura: il fuso ronza, va su e giù la spola. Guarda: scalza, leggera come fosse peluria di cigno, Delia già incontro mi vola! 0 gramo ordito del vivere nostro, che povera è la lingua della gioia! Tutto fu in altri tempi. Tutto sarà di nuovo. Solo ci è dolce l’attimo del riconoscimento.

Capitolo secondo

Oh, com'è scarna la lingua della gioia!

Ma così sia: giace in un terso piatto d’argilla una translucida figura, come una pelle stesa di scoiattolo, e a scrutare la cera una ragazza è curva. Non sta a noi trarre auspici sul greco Èrebo: la cera è per le donne ciò che è il bronzo per l’uomo. Noi sfidiamo la sorte da guerrieri; destino è ch’esse traendo auspici muoiano.

La fonte è citata in Sceneggiatura, p. 167.

Tristia è lirica del 1918, successivamente inserita neH’omonima raccolta pub­ blicata nel 1922. E lirica che pare quasi un simbolo degli spostamenti continui ef­ fettuati in vita dal poeta73: essa infatti programmaticamente si apre con “io so la scienza dei commiati’’, per proseguire poi con l’elenco di tutti i disagi, fisici e psi­ chici, che comporta il mutamento di sede: il viaggio reca soprattutto il dolore del di­ stacco (“fra lamenti notturni”; “in spalla il carico di strazio/del viaggio”; “o gramo ordito del vivere nostro”) e l’incertezza della novità (“all’alba di una vita nuova”; “tutto sarà di nuovo”). Il tono della lirica è dunque permeato di tristezza, 'nobilitato' per dir così dalle reminiscenze classiche74, ma non per ciò attenuato. Di fronte al cumulo delle tristezze, la gioia non riesce a esprimersi, “che povera è la lingua della gioia!”: questa esclamazione è fatta propria da Vittoria, Sceneg­ giatura, p. 9 “Oh, com'è scarna la lingua della gioia!”, in riferimento alla piena del sentimento d’amore che ella non riesce a esprimere adeguatamente nei confronti di Attilio. I contesti sono nettamente diversi: in bocca a Mandel’stam. l’esclamazione indica una forma di sconforto, mentre in bocca a Vittoria esprime il senso di felicità.

73 La frequenza di questi viaggi emerge chiaramente dalle brevi note biografiche tracciate da Bac­ cani, op. cit., pp. XIX sgg. 74 “Ultim’ora di veglia delle scolte / cittadine”; “che cosa presagisce lo strepito del gallo / mentre la fiamma arde sull’acropoli”; “Delia già incontro mi vola”; “non sta a noi trarre auspici sul greco Èrebo”. Il titolo stesso Tristia è attinto alla raccolta ovidiana di poesie dall’esilio intitolata appunto Tris­ tia (“Tristezze”).

Le citazioni letterarie nel film “La tigre e la neve’’

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Eugenio Montale73 Portami il girasole ch’io lo trapianti in Ossi di sep­ pia in Tutte le poesie a cura di G. Zampa, Milano, Mondadori, 19913 (= 1984), p. 34

Sceneggiatura, p. 9, battuta di Vit­ toria

Portami il girasole ch’io lo trapianti nel mio terreno bruciato dal salino, e mostri tutto il giorno agli azzurri specchianti del cielo l’ansietà del suo volto giallino. Tendono alla chiarità le cose oscure, si esauriscono i corpi in un fluire di tinte: queste in musiche. Svanire è dunque la ventura delle venture. Portami tu la pianta che conduce dove sorgono bionde trasparenze e vapora la vita quale essenza;

portami il girasole impazzito di luce.

tu, girasole impazzito di luce...

La fonte è citata in Sceneggiatura, p. 167. Dora Markus in Occasioni in Tutte le poesie cit., p.

130 Sceneggiatura, p. 9, battuta di Vit-

toria

Fu dove il ponte di legno mette a Porto Corsini sul mare alto e rari uomini, quasi immoti, affondano o salpano le reti. Con un segno della mano additavi all’altra sponda invisibile la tua patria vera. Poi seguimmo il canale fino alla darsena della città, lucida di fuliggine, nella bassura dove s’affondava una primavera inerte, senza memoria. E qui dove un’antica vita si screzia in una dolce ansietà d’Oriente,

75 Uno dei massimi esponenti del Novecento italiano, su cui è inutile soffermarsi a lungo. Nato a Genova nel 1896, morto a Milano nel 1981; dopo la guerra, nel 1945, aderì al Partito d’Azione. Opere principali: Ossi di seppia (1927); Occasioni (1939); La bufera e altro (1956); Satura (1971); Quaderno di quattro anni (1977).

Capitolo secondo

60 le tue parole iridavano come le scaglie della triglia moribonda. La tua irrequietudine mi fa pensare agli uccelli di passo che urtano ai fari nelle sere tempestose: è una tempesta anche la tua dolcezza, turbina e non appare, e i suoi riposi sono anche più rari. Non so come stremata tu resisti in questo lago d’indifferenza ch’è il tuo cuore; forse ti salva un amuleto che tu tieni vicino alla matita delle labbra,

al piumino, alla lima: un topo bianco. d’avorio; e così esisti!

è una tempesta anche la tua dol­ cezza.

La fonte è citata in Sceneggiatura, p. 168.

Xenia II, 5 in Satura in Tutte le poesie cit., p. 309

Sceneggiatura, p. 48, battuta di Attilio

Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino. Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio. Il mio dura tuttora, né più mi occorrono le coincidenze, le prenotazioni, le trappole, gli scomi di chi crede che la realtà sia quella che si vede.

ho sceso milioni di scale dandoti il braccio e ora che non ci sei è il vuoto a ogni gradino...

Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio non già perché con quattr’occhi forse si vede di più. Con te le ho scese perché sapevo che di noi due le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate, erano le tue.

La fonte è citata in Sceneggiatura, p. 175.

Nella Sceneggiatura è ripreso per tre volte Montale, di cui vengono citate tre li­ riche diverse, appartenenti a momenti successivi della produzione montaliana: Por­ tami il girasole eh 'io lo trapianti che risale al 1923, pubblicata in Ossi di seppia nel 1927; Dora Markus da Occasioni, datata al 1926 e 1939. pubblicata in Occasioni nel 1939; Xenia II, 5 (Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale), del 1967. pubblicata in Satura nel 1971. Portami il girasole ch'io lo trapianti è il sesto componimento degli Ossi e risale al 192376; è uno dei più noti componimenti di Montale. Consta di tre brevi strofe: 76 Per l’esegesi si può rinviare alle pagine di S. Ramat, Montale, Firenze, Vallecchi, 19682, pp. 42­ 43 e M. Forti, Eugenio Montale: la poesia, la prosa di fantasia e d’invenzione, Milano, Mursia, 1973, pp. 75-76.

Le citazioni letterarie nel film “La tigre e la neve’’

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nella prima il poeta chiede un girasole per trarne forza consolatoria, visto che que­ sto fiore, data la sua caratteristica di volgersi per cercare instancabilmente il sole, è un simbolo di speranza; nella seconda strofe il poeta ‘teorizza’ sul perché il girasole segua sempre il sole: esso, come tutti i corpi privi di luce propria, ‘tende alla luce’ come a fonte di vita. La terza strofe si ricollega alla prima, dopo il “cuneo teoretico” (Ramat) della seconda: viene ribadita, anaforicamente, la richiesta del fiore, simbolo stesso della vita con la sua sete di luce, richiesta enfatizzata dalla definizione del fiore in quanto “impazzito di luce”, punto nodale della lirica e “indimenticabile acuto” (Ramat), “una delle massime invenzioni emblematiche” dell'intero poetare montaliano. Nella Sceneggiatura, p. 9, Vittoria si rivolge a Attilio con le parole “tu, girasole impazzito di luce, ogni volta che i tuoi occhi si sollevano, si accende il firmamento”. Dunque, come per Montale la sua ispiratrice è paragonabile al girasole, così anche per Vittoria Attilio ricopre in apparenza la funzione usuale del fiore-girasole, che è, montalianamente, portatore di speranza; ma, a ben guardare, la forza di Attilio è di­ versa, e superiore, nei confronti di quella del girasole: mentre, infatti, il girasole orienta la sua corolla verso la luce del sole, per Vittoria è il girasole-Attilio che, lungi da attingere luce dal sole, dà egli stesso luce al firmamento. Doppio rovescia­ mento, dunque: la donna che si rivolge all’uomo (il contrario di ciò che si verifica in Montale) e, soprattutto, l’iperbolica enfatizzazione della forza d’amore grazie a cui Attilio non segue gli elementi della natura, ma li domina. Come il precedente, anche Dora Markus è uno dei testi più noti di Montale77. La lirica, che fa parte della raccolta delle Occasioni (pubblicata nel 1939). fu compo­ sta in due momenti diversi e lontani l’uno dall’altro; le prime tre strofe nel 1926, le ultime nel 1939, quasi a cornice del complessivo periodo di composizione dell'in­ tera raccolta delle Occasioni. Occasionata in modo del tutto accidentale dalla ri­ chiesta di Bobi Bazlen, che accompagnò la richiesta stessa con la fotografia delle gambe di una donna non specificata (in realtà, appunto Dora Markus), la lirica fu av­ viata da Montale nel 1926, poi interrotta e ripresa, molti anni dopo, in omaggio però non più alla medesima donna, ma a Gerii, donna conosciuta personalmente dal poeta a Lucca; nella fantasia montaliana le due donne ‘ispiratrici’ si fondono come un unico ‘fantasma’. Tra la prima e la seconda parte della lirica intercorrono differenze e scarti, rilevati da Montale stesso nella nota alla lirica78. A noi interessa qui solo la prima parte del componimento, nella cui terza strofe si legge “è una tempesta anche la tua dolcezza”, ripresa in Sceneggiatura, p. 9 (bat­ tuta di Vittoria). Questa prima parte del testo ha un avvio ‘fiabesco’, per poi passare progressivamente a forme di simbolismo che culminano nel ricorso tipicamente montaliano agli oggetti simbolici / amuleti, “forse / ti salva un amuleto che tu tieni / vicino alla matita delle labbra, / al piumino, alla lima: un topo bianco, / d'avorio; e così esisti!”79, e che inquadrano l’irrequietudine di Dora: proprio tale atteggia­

77 Si vedano, per esempio, Forti, op. cit., pp. 148 sgg.; Ramat, op. cit., pp. 95-96. 78 Cfr. Forti, op. cit.. pp. 148-149 e p. 204 nota 42; Ramat. op. cit.. p. 95. 79 Coralli, ventaglio, giade, gemme sono alcuni degli ‘amuleti’ montaliani, riferiti soprattutto a Clizia: cfr. S. D’Arco Avalle, Tre saggi su Montale, Torino, Einaudi, 19703 (19651), pp. 45 sgg.; O. Macn, Re-

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Capitolo secondo

mento di irrequietudine costituisce il modello di quello di Attilio, evidenziato da Vittoria. Nella battuta riportata in Sceneggiatura, p. 9 le parole di Vittoria, rivolte a Atti­ lio, “è una tempesta anche la tua dolcezza" evidenziano come l’irrequietezza di At­ tilio sia vista affettuosamente da Vittoria: dunque il contesto montaliano (l'irrequietezza di Dora è vista come un atteggiamento da considerare con affetto) è rispettato, pur con il rovesciamento determinato dal fatto che l'irrequietezza del­ l’uomo è evidenziata dalla donna mentre in Montale è l'uomo (il poeta) che evi­ denzia l'irrequietezza della donna. Dunque l'irrequietudine di Dora costituisce il ’modello’ poetico di quella di Attilio. Xenia II, 5, quinto componimento della raccolta Xenia II, sezione di Satura, ri­ sale al 1967 e costituisce a sua volta un ‘pezzo’ antologico. Xenia sono ‘doni ospi­ tali" (tale è il significato del termine come titolo di una delle raccolte di epigrammi di Marziale) che Montale dedica poeticamente alla moglie morta. ‘Mosca’; il n. 5 di Xenia II rievoca la condizione particolare del poeta e della moglie: quando essi scendevano insieme le scale, la moglie, quasi cieca, aveva bisogno della guida ‘ma­ teriale’ del marito, ma in realtà nella sua cecità era lei che vedeva meglio le cose della vita e quindi orientava, regolava la vita del poeta. Il milione di scale indica il lungo periodo passato in vita coniugale, periodo che tuttavia nel ricordo post mor­ tem pare brevissimo80. La ripresa dei versi iniziali montaliani, "Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale / e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino", riecheggiati più avanti, nella seconda strofe della lirica, "ho sceso milioni di scale dandoti il brac­ cio”, da parte di Attilio, Sceneggiatura, p. 48, è perfettamente adattata al nuovo con­ testo. dato che Attilio si rivolge a Vittoria; anzi, la battuta è ancora più pertinente perché è inserita in un discorso tutto affettuoso che il marito rivolge alla moglie nel momento in cui entrambi salgono le scale. Naturalmente non sfugge la differenza che Montale si rivolge alla moglie morta, mentre Attilio si rivolge a Vittoria non solo viva, ma con cui addirittura spera di poter nuovamente avviare il rapporto matrimo­ niale attualmente interrotto; probabilmente proprio per ‘esorcizzare’ questo diverso riferimento nel film la battuta è accompagnata da uno scivolone di Attilio, che quasi cade e dunque suscita il sorriso del lettore/spettatore, in modo da stemperare la ten­ sione del momento. Comune al poeta e ad Attilio il senso smarrito di vuoto in una vita non più condivisa con la compagna. Da un certo punto di vista, la funzione della ci­ tazione montaliana è analoga a quella di Auden, di cui ho detto sopra, p. 24. Ma il debito di Benigni-Cerami nei confronti di Montale va oltre queste cita­ zioni evidenziate dagli autori stessi. Infatti in Sceneggiatura, p. 133, in una dida­ scalica per la scena (dunque fuori battuta), si legge “è il cielo notturno, inzeppato di stelle, vicine e lontanissime, alcune delle quali baluginano dolcemente”, a pro-

altà del simbolo. Poeti e critici del Novecento italiano, Firenze, Vallecchi, 1968, pp. 89 sgg.; Ramat, op. cit., pp. 272-274; D. Isella in E. Montale, Finisterre (versi del 1940-1942) a cura di D. Isella, Torino, Einaudi, 2003, pp. 18 sgg. e 32 sgg. 80 Per Tatteggiamento chiaramente allegorico assunto da Montale in questo xenion cfr. per esem­ pio le pagine di Forti, op. cit.. pp. 371-372.

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posito del cielo che subito dopo, per bocca di Fuad, viene definito poeticamente con parole di Adonis (Sceneggiatura, p. 134); orbene ’baluginare’ è verbo poetico, usato proprio da Montale in Vecchi versi (1926), “... faro che baluginava sulla / roccia del Tino”81. Che Montale sia ben presente nella Sceneggiatura non stupisce, in considerazione dell'importanza del poeta nel panorama italiano del Novecento. A conferma di ciò, si può citare anche un altro fattore, che emerge da una considerazione di più ampia por­ tata. Nella scena 7 A, relativa alla ‘lezione di poesia’ impartita da Attilio ai suoi alunni, il docente a un certo punto (Sceneggiatura, p. 24) ammonisce che “non esiste una cosa più poetica di un'altra” (e aggiunge, subito dopo, due citazioni contigue, una da Coc­ teau. l'altra da Bécquer); e esemplifica con una serie di termini del tutto prosaici, ‘ter­ mosifone’, ‘tram in ritardo’, etc., quali possibili oggetti di trattazione poetica. Ora. come non ricordare che proprio Montale impiega nelle sue liriche termini in sé banali, cui egli riesce a infondere insospettata poeticità nel contesto in cui li inserisce?

Elsa Morante82 Lettera, in Alibi, Milano. Garzanti, 1988 (= Milano, Lon­ ganesi, 1958), p. 31

Sceneggiatura, p. 9 + p. 8, entrambe battute di Vittoria

Tutto quel che t’appartiene, o che da te proviene, è ricco d'una grazia favolosa: perfino i tuoi amanti, perfino le mie lagrime. L’invidia mia riveste d’incanti straordinari i miei rivali: essi vanno per vie negate ai mortali, hanno cuore sapiente, cortesia d’angeli. E le lagrime che mi fai piangere sono il mio bel diadema, se l’amara mia stagione s’adoma del tuo sorriso.

Tutto quello che ti appar­ tiene è ricco di grazia, per­ fino le tue amanti, perfino le mie lagrime [...].

Stupisco se ripenso che avevo tanti desideri e tanti voti da non sapere quale scegliere. Ormai se cade una stella a mezzo agosto, se nel tramonto marino balena il raggio verde, se a cena ho una primizia nella stagione nuova, o m’inchino alla santa campana dell’Elevazione, non ho che un voto solo: il tuo nome, il tuo nome, o parola che mi apri le porte del paradiso.

Sgocciolo il tuo nome ..., parola che mi apre le porte del paradiso.

Nel mio cuore vanesio, da che vi regni tu,

81 Passo ripreso da Ungaretti in Ultimi cori, n. 27 “balugina da un faro / verso cui va tranquillo / il vecchio capitano” (1952-1960). Naturalmente il verbo ‘baluginare’ non è solo in Montale, come prova la documentazione raccolta in S. Battaglia, Grande dizionario della lingua italiana, II, Torino, UTET, 1962 (1980), p. 24; tuttavia l'uso montaliano agli occhi degli sceneggiatori è indicativo, perché si in­ serisce nella conoscenza dell’opera di Montale che traspare dalla Sceneggiatura. 82 Nata a Roma nel 1912, morta nel 1985. Nel 1941 sposò Alberto Moravia, da cui si separò nel 1962. Scrittrice soprattutto di romanzi. Opere: Menzogna e sortilegio (1948), L’isola di Arturo (1957), Lo scialle andaluso (1963), La storia (1974), Aracoeli (1982); in poesia, Alibi (1958).

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le antiche leggi del mondo sono tutte rovesciate: l’orgoglio si compiace di umiliarsi a te, la vanità si nasconde davanti alla tua gloria, la voglia si tramuta in timido pudore, la mia sconfitta esulta della tua vittoria, la ricchezza è beata di farsi, per te, povera, e peccato e perdono, ansia e riposo, sbocciano in un fiore unico, una grande rosa doppia.

Ma la frase celeste, che la mia mente ascolta, io ridirti non so, non c’è nota o parola. Ti dirò: tu sei tutto il mio bene, ad ogni ora questa grazia di amarti m’è dolce compagnia. Potesse il mio affetto consolarti come mi consola,

o tu che sei la sola confidenza mia! La fonte è citata in Sceneggiatura, p. 167, limitatamente alla prima parte (“tutto quello che ti appartiene è ricco di grazia, perfino le tue amanti, perfino le mie lagrime”); per quanto ri­ guarda la seconda parte (“sgocciolo il tuo nome .... parola che mi apre le porte del para­ diso”), in Sceneggiatura, p. 165 gli Autori giurano che questa è una citazione, ma non riescono a ricordare da dove sia stata tratta; io ho identificato la fonte appunto nel testo della Morante.

La poesia Lettera, composta dalla Morante nel 1946, fu successivamente inse­ rita nella raccolta lirica Alibi, pubblicata nel 1958; una delle poche poesie compo­ ste dalla scrittrice, molto più incline, per sua stessa ammissione, alla prosa. E un testo redatto come se fosse una lettera poetica. La forma epistolare, anche se immaginaria, consente un effetto di distanziazione che sarebbe invece escluso dalla presenza (anche se immaginaria) dell’interlocutore; rende più libera la mani­ festazione dei sentimenti (“le antiche leggi del mondo sono tutte rovesciate: ... ”). Per tale ragione la lirica costituisce una specie di confessione aperta dello stravol­ gimento dell'essere causato da un amore esclusivo che si concentra su un unico og­ getto (“non ho che un voto solo: il tuo nome, il tuo nome”). Il discorso della Morante si fa pregnante là dove elemento umano e elemento di­ vino paiono accavallarsi83: se, per esempio, espressioni come "perfino i tuoi amanti, perfino le mie lagrime” o "potesse il mio affetto consolarti come mi consola” ri­ portano nettamente alla sfera umana, altre, come “m'inchino alla santa campana dell'Elevazione” o “parola che mi apri la porta del paradiso” sono più ambigue. Grazie a tale atteggiamento, la lirica riesce a esprimere un senso di amore travol­ gente che trascina e modifica in profondità la natura stessa dell'essere. Proprio tale atteggiamento è evidenziato nelle parole della lirica che Vittoria fa sue nelle battute di Sceneggiatura, p. 9 (“tutto quello che ti appartiene è ricco di grazia, perfino le tue amanti, perfino le mie lagrime”: l’inizio della poesia moran83 II pensiero va, con le dovute differenze, alla ripresa del tagoriano Gitànjali nella Sceneggiatura (per cui cfr. p. 75).

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tiana) e p. 8 (“il tuo nome..., parola che mi apre le porte del paradiso”), battute for­ mulate in due momenti diversi, pur ravvicinati, e in ordine inverso rispetto all'originale. Il fatto che nella Sceneggiatura la lirica sia ripresa per due volte, e la seconda in una misura che abbraccia più di un concetto, dimostra quanto il testo morantiano sia stato apprezzato dagli estensori della Sceneggiatura stessa. Comunque sia, la ricontestua­ lizzazione nel testo di arrivo è coerente rispetto al testo di partenza da tutti i punti di vista, sia per quanto riguarda i contenuti (appassionata dichiarazione d’amore di uno dei due partner per l’altro), sia per quanto riguarda le parti del mittente e destinatario (nella Sceneggiatura è una donna che parla, come in Alibi è una donna che scrive).

Pablo Neruda84 Giochi ogni giorno, in Poesie d'amore e di vita a cura di G. Conte, Sceneggiatura, p. Parma. Guanda. 2001 (= 2006), pp. 24-27 53, battuta di Attilio Giochi tutti i giorni con la luce dell’universo. Esile visitatrice, tu giungi nel fiore e nell’acqua. Sei più di questa testolina bianca che stringo come un grappolo tra le mie mani ogni giorno.

Non assomigli più a nessuna da quando ti amo. Lasciati distendere tra ghirlande gialle. Chi scrive il tuo nome con lettere di fumo tra le stelle del sud? Ah, lasciati ricordare com’eri allora, quando ancora non esistevi.

D’un tratto il vento ulula e colpisce la mia finestra chiusa. Il cielo è una rete stracolma di pesci d’ombra. Qui convergono tutti i venti, tutti. La pioggia si spoglia. Passano uccelli in fuga. Il vento. Il vento. Io posso contrastare solo la forza degli uomini. Il temporale travolge in mulinelli foglie scure e scioglie tutte le barche ormeggiate ieri sera nel cielo. Tu sei qui. Ah tu non fuggi. Tu mi risponderai fino all’ultimo grido. Raggomitolati accanto a me come se avessi paura. Eppure, talora, un’ombra strana ti è passata negli occhi. E ora, anche ora, piccola, mi porti rami di caprifoglio, e persino i tuoi seni profumano.

84 Nato a Parrai (in Cile) nel 1904; esiliato nel 1948, poi rientrato in patria e morto a Santiago nel 1973. Poeta, diplomatico e politico. Opere: Venti poesie d'amore e una canzone disperata (1924), Re­ sidenze sulla terra (1931, 1933, 1935), Canto generale (1950), I versi del Capitano (1952), Odi ele­ mentari (1954), Cento sonetti d'amore (1959), Memorial de Isla Negra (1964), La fine del mondo, etc.

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Mentre galoppa il vento triste uccidendo farfalle io ti amo e la mia felicità morde la tua bocca di prugna.

Quanto ti sarà costato abituarti a me, alla mia anima solitaria e selvaggia, al mio nome che tutti evitano. Tante volte abbiamo visto splendere l’astro baciandoci gli occhi e piegarsi sul nostro capo i crepuscoli in ventagli giranti. Le mie parole ti sono piovute addosso come carezze. Amo da tempo ormai il tuo corpo di madreperla assolata. Ti credo persino signora dell’universo. Ti porterò dai monti fiori allegri, copihues, nocciole scure e ceste silvestri di baci. Voglio fare con te Quello che la primavera fa con i ciliegi.85

Voglio fare con te ciò che fa la prima­ vera coi ciliegi.

La fonte è citata in Sceneggiatura, p. 176. Nella lirica Giochi ogni giorno, pubblicata nel 1924 nella raccolta Venti poesie d’amore e una canzone disperata86, Neruda presenta tutte le caratteristiche tipiche del suo mondo poetico: l’impiego della metafora87, il contatto tra sensualità indivi­ duale e anima delle cose, l’eros visto come comunione panica88. E poesia d’amore sensuale: vi è ricordato l’atto d'amore, simboleggiato dalla primavera che, portatrice di fertilità e capacità fecondante, fa fiorire i ciliegi: dunque rapporto stretto tra uomo e natura, una forma di panismo marcatissima, in particolare, proprio nei due versi 85 Juegas todos los dias con la luz del universo. / Sutil visitadora, llegas en la fior y en el agua. / Eres mas que està bianca cabecita que aprieto/ corno un racimo entre mis manos cada dia. //A nadie te pareces desde que yo te amo. /Déjame tenderle entre guirnaldas amarillas. / Quién escribe tu nombre con letras de humo entre las estrellas del sur? /Ah déjame recordarte corno eras entonces, cuando aun no existias. //De pronto el viento aulìa y golpea mi ventano cerrada. / El cielo es una red cujada de peces sombrios. /Aqui vienen a dar todos los vientos, todos. / Se desviste la lluvia. // Pasan huyendo los pajaros. / El viento. El viento. /Yo sólo puedo luchar contra lafuerza de los hombres. / El tempo­ ral arremolina hojas oscuras / y suelta todas las barcas que anoche amarraron al cielo. // Tu estas aqui. Ah tu no huyes. / Tu me responderas hasta el ultimo grito. / Ovillate a mi lodo corno si tuvieras miedo. / Sin embargo alguna vez corrió una sombra extrafia por tus ojos. //Ahora, ahora también, pequena, me traes madreselvas, y tienes hasta los senos perfumados. /Mientras el viento triste galopa ma­ landò mariposas / yo te amo,y mi alegria muerde tu boca de cintela. // Caduto te habra dolido acostumbrarte a mi, / a mi alma sola y salvaje, a mi nombre que todos ahuyentan. / Hemos visto arder tantas veces el lucerò besdndonos los ojos/y sobre nuestras cabezas desto rcerse los crepuscolos en abanicos girantes. /Mis palabras llovieron sobre ti acariciandote. / Amé desde hace tempo tu cuerpo de nacar soleado. /Hasta te creo duena del universo. /Te traeré de las montanasflores alegres, copihues, /avellanas oscuras, y cestas silvestres de besos. // Quiero hacer contigo/lo que la primavera hace con los cerezos. 86 Poi in P. Neruda, Poesie d’amore e di vita a cura di G. Conte, Parma, Guanda, 2001 (= 2006), pp. 24-27. 87 Per esempio “chi scrive il tuo nome con lettere di fumo tra le stelle del sud?’’; “abbiamo visto [...] / piegarsi sul nostro capo i crepuscoli in ventagli giranti”; “amo [...] il tuo corpo di madreperla assolata”. 88 Cfr. Conte, op. cit., pp. VI-VII (e pp. VII-Vili).

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conclusivi, “voglio fare con te / quello che la primavera fa con i ciliegi”, che sono ripresi nella Sceneggiatura, p. 53, posti in bocca a Attilio. Nel nuovo contesto la citazione (effettuata ad verbum) ha funzione sdrammatiz­ zante nei confronti della situazione in cui versa Attilio: Attilio, all’oscuro della pre­ senza di Nancy in casa sua, porta a casa anche Vittoria; resosi conto del 'pasticcio’, cerca di rimediare, piegando la citazione - che in sé costituisce una offerta d’amore - a funzione ironica e scherzosa, mirante a 'distrarre’ Vittoria e a convincerla di es­ sere l'unica referente delle sue attenzioni. Dunque il sentimento panico della na­ tura, possente nel modello, diventa lieve e ironico nella Sceneggiatura: come altre volte nella Sceneggiatura, le parole sono le stesse, ma il loro valore è diverso.

Abu I-Fath 'Omar ibn Ibrahim al-Khayyan89 Quartine (Robd'iyyat)

Sceneggiatura, p. 24, citazione in didasca­ lia; Sceneggiatura, p. 26, lettura da parte di Attilio

Nulla io so del mare, della luna, ma sol del vivere, del vivere son certo e salvare una vita, solo una, vai più che popolare tutto un deserto.

Nulla io so del mare, della luna, ma sol del vivere, del vivere son certo e salvare una vita, solo una, vai più che popolare tutto un deserto.

Non ho avuto la possibilità di accedere al testo originale. La citazione non è registrata come tale nella sezione della Sceneggiatura dedicata alle fonti (pp. 165 sgg.).

La quartina di 'Omar al-Khayyàn, che ho riportato sopra ad verbum, viene scritta alla lavagna in traduzione da una studentessa e letta da Attilio durante la sua lezione sulla poesia. Sceneggiatura, pp. 24 e 26. Il testo non si presta a una contestualizza­ zione, per le modalità stesse con cui viene menzionato; si può solo osservare che, come nel caso della lirica di Pound letta da Fuad in Sceneggiatura, p. 30, anche que­ sta volta Attilio formula un giudizio di alto apprezzamento sulla validità poetica della breve lirica.

Sandro Penna90 Il vegetale in Poesie, a cura di C. Garboli, Milano, Garzanti, 1989. pp. 57-59

Sceneggiatura, p. 162, didascalia conclu­ siva

Lasciato ho gli animali con le loro

89 Poeta, filosofo, matematico persiano, nativo del Khoràsàn ( 1048-1132), autore, per ciò che qui in­ teressa, di Quartine di vario argomento e di grande varietà di impostazione; le Quartine furono divulgate in Occidente grazie alla traduzione inglese di E. Fitzgerald (1895); oggi ne abbiamo una traduzione in spa­ gnolo per opera di A. Calleja, Buenos Aires 1989, e in portoghese (digitale) per opera di A. Braga, 2003. 90 Nato a Perugia nel 1906, morto a Roma nel 1977. Omosessuale, trasferì questa condizione di vita nella propria produzione poetica. Opere: Poesie ( 1939 e 1956), Una strana gioia di vivere (1956), Croce e delizia ( 1958), Stranezze (1976), Il viaggiatore insonne (1977).

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mille mutevoli inutili forme. Respiro accanto a te, ora che annotta, purpureo fiore sconosciuto: assai meglio mi parli che le loro voci. Dormi fra le sue verdi immense foglie, purpureo fiore sconosciuto, vivo come il lieve fanciullo che ho lasciato dormire, un giorno, abbandonato all’erbe. La veneta piazzetta, antica e mesta, accoglie odor di mare. E voli di colombi. Ma resta nella memoria - e incanta di sé la luce - il volo del giovane ciclista volto all'amico: un soffio melodico: “Vai solo?”

lo vivere vorrei addormentato entro il dolce rumore della vita.

Qualche momento dopo. Attilio ripassa da­ vanti al cancello senza voltare lo sguardo, sempre con la gabbietta vuota e aperta in mano. Va a passo veloce e a testa bassa, come se si vergognasse. Poi più niente. Oltre quel cancello aperto, nel silenzio, si sente appena il dolce rumore della vita.

La fonte è citata in Sceneggiatura, p. 184.

Il testo poetico di Penna ripreso in Sceneggiatura, p. 162, costituito da vari fram­ menti raccolti sotto il titolo complessivo II vegetale, è inserito nella raccolta di Poe­ sie risalenti al periodo 1927-1938 (è lo stesso periodo di composizione delle Occasioni montatane). Si tratta di un testo in cui, come nella lirica di Neruda ripresa altrove nella Sce­ neggiatura, è presente un forte senso panico della natura: un “fiore purpureo” che ricorda al poeta (omosessuale, non si dimentichi) un "lieve fanciullo” e. in modo più sfumato per il passar del tempo, "il volo / del giovane ciclista”. Il poeta si sente tutt’uno con i suoi ricordi e inserito, insieme con essi, nel mondo che lo circonda; la conclusione è dichiaratamente ispirata dal senso panico della natura, “io vivere vor­ rei addormentato / entro il dolce rumore della vita”, quasi una meraviglia di vivere; il rumore della vita è “dolce” forse perché, come si potrebbe evincere dalla sezione precedente del testo, viene dopo la soddisfazione erotica91. Dunque è una lirica in cui trionfa uno dei due poli fondamentali della sensibilità penniana, quello del­ l'espressione “panica, solare, luminosa dell'io”92; e, in modo tipicamente penniano, è una “poesia del ricordo” (Mengaldo)93, come prova l’espressione “resta / nella me­ moria [...] il volo / del giovane ciclista”. 91 Dico ‘forse’ perché la cosa non è affatto sicura: infatti Penna tratta una “tematica totalmente trasgressiva” (come l’omosessualità) con un “linguaggio non trasgressivo”, per usare le parole di P. V. Mengaldo, Poeti italiani del Novecento, Milano, Mondadori, 1986 (= 1978), p. 737. 92 Così Garboli, op. cit., p. Vili. 93 Mengaldo, op. cit. in nota 91, p. 737.

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La sezione conclusiva della lirica è ripresa ad verbum nella didascalia finale della Sceneggiatura (dunque al di fuori della parte dialogata), “oltre quel cancello aperto, nel silenzio, si sente appena il dolce rumore della vita”; in entrambi i contesti la frase è conclusiva di testo; in entrambi i contesti è segno di conclusione positiva di una vicenda (per Penna, lo si è già detto; per la Sceneggiatura, le scene precedenti, a cominciare da quella in cui inaspettatamente la tigre compare di fronte a Vittoria, risolvendo positivamente la condizione 'impossibile’ posta altrove94, prefigurano il felice scioglimento di tutti i nodi).

Ezra Pound95 Song in A lume spento in Personae, in Opere scelte Sceneggiatura, p. 30, il testo viene a cura di Mary de Rachelwitz, introduzione di A. Ta­ letto nell’originale da parte di Fuad gliaferri, Milano, Mondadori, 1970, p. 13 Love thou thy dream All base love scorning, Love thou the wind And here take warning That dreams alone can truly be, For ’tis in dream I come to thee.96

Love thou thy dream All base love scorning, Love thou the wind And here take warning That dreams alone can truly be, For ’tis in dream I come to thee.

La fonte è citata in Sceneggiatura, p. 175.

La poesia Song, citata nella stesura originale in Sceneggiatura, p. 30 nel recital di Fuad. fu composta da Pound nel 1908 ed entrò a far parte di A lume spento, a sua volta inserita come sezione a sé nella più ampia raccolta Personae (1908-1920), pubblicata in edizione definitiva a New York nel 1926. Al momento della stesura della lirica, Pound aveva 23 anni, un periodo di vita

94 Nella scena 14 K, Sceneggiatura, p. 51, Vittoria dice a Attilio che tornerà a stare con lui quando vedrà una tigre sotto la neve a Roma, cioè quando si verificherà qualcosa di impossibile. Alla conclu­ sione del film, scena 76, p. 153 della Sceneggiatura, quella condizione ‘impossibile’ si attua concreta­ mente (benché in modo metaforico) e ciò prefigura il lieto fine della vicenda d’amore tra Attilio e Vittoria. 95 Nato nell’Idaho nel 1885; accusato di tradimento negli USA, in occasione della Seconda Guerra Mondiale, come simpatizzante del fascismo, e chiuso in carcere-ospedale per lungo tempo; morto a Ve­ nezia nel 1972. Poeta e critico d’avanguardia, aderente all’‘Imagismo’, poi al ‘Verticismo’, personalità di grandissimo rilievo nel panorama del modernismo intemazionale. Opere principali: A lume spento (1908). Personae (1910), The Spirit of Romance (1910), Canzoni (1911), Sonetti e ballate di Guido Cavalcanti (1912). Hugh Selwyn Mauberley (1920). Poems (1921). Cantos (1917-1970: in vari periodi. Malatesta Cantos, A Draft of the Cantos 17-27. Pisan Cantos, Section Rock-Drill...), etc., inoltre nu­ merosissimi importanti saggi relativi a tutti i settori della produzione artistica (tra l’altro, alla lettera­ tura e cultura cinesi). 96 “Ama il tuo sogno / ogni inferiore amore disprezzando, / il vento ama / ed accorgiti qui / che sogni solo possono veramente essere, / perciò in sogno a raggiungerti m’avvio”: è questa la traduzione fornita da G. Ungaretti, oggi stampata in E. Pound, Song, canzone, traduzione di G. Ungaretti, con una xilografia di L Passerini, Milano, Ed. del Buontempo, 1991.

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in cui egli stava avviando la sua rivoluzione ‘imagista’, in attesa di sviluppare poi quella rivoluzione ‘modernista’ che avrebbe contribuito a renderlo uno degli im­ prescindibili punti di riferimento della cultura internazionale. La raccolta in cui Song è inserita, A lume spento, al momento della pubblicazione, nel 1908 a Venezia, a spese dell’autore, ebbe una tiratura di 100 esemplari - un destino iniziale che ri­ corda Il porto sepolto ungarettiano -, dunque venne considerata dal poeta come un’opera altamente sperimentale. Coerentemente con la poetica imagista, la lirica è caratterizzata da grande brevità e essenzialità e da una fortissima ricerca di musi­ calità, come nel caso del testo coevo Motif; e il tema del song è affrontato altre volte da Pound in questi anni, come prova il confronto con Vana (sia Motif che. Vana sono liriche inserite, come la nostra Song, nella raccolta A lume spento). Nella Sceneggiatura il testo viene presentato, come citazione ‘secca’, a una cer­ chia ristretta di spettatori in occasione di una ‘lettura pubblica’ svolta da parte di un poeta, dunque testo di un poeta letto da un altro poeta; tuttavia, per quale motivo sia stato scelto proprio questo testo, non un altro, non risulta del tutto chiaro, anche a causa della mancanza (voluta, per esigenze di copione) di un contesto più ampio, dato che all’arrivo di Attilio e dell’amico il recital sta per concludersi, con il con­ gedo dal pubblico da parte di Fuad in partenza per l’Irak. Va tuttavia ricordato che At­ tilio manifesta il massimo apprezzamento per la lirica oggetto della lettura, per cui possiamo pensare che il testo sia stato inserito come pezzo ‘antologico’ (il commento di Attilio, in Sceneggiatura, p. 25, è indicativo: “hai sentito che bellezza quella poe­ sia? ... da spaccare”): una conferma di ciò potrebbe venire dal fatto che il testo poundiano attirò l’attenzione di Ungaretti, che ne fornì una splendida traduzione97. Kurt Schwitters98 An Anna Blume in Anna Blume Dichtungen, in Anna Blume und Sceneggiatura, p. 8, ich. Die Gesanimelten “Anna Blume '’-Texte, herausgegeben von E. battuta di Vittoria Schwitters, Ziirich, Die Arche, 1965, p. 46

O tu amata dei miei ventisette sensi, io ti amo! Tu di te te a te, io te, tu me. Noi? Ma questo (detto tra parentesi) non c’entra. Chi sei tu. donna dai mille aspetti? Tu sei... sei tu? - la gente dice, che saresti, - lasciala dire, non sa come sta in piedi un campanile. Porti il cappello sui tuoi piedi e cammini sulle mani, sulle mani tu cammini. Ehi, i tuoi vestiti rossi, segati in pieghe bianche. Rossa io amo Anna Blume, rossa, io amo te! Tu di te te a te, io te, tu me. Noi?

97 Io ho trascritto tale traduzione sopra, nella nota precedente, in calce alla citazione dell’originale poundiano. 98 Nato a Hannover nel 1887, nel 1937 emigrò in Norvegia, nel 1940 in Inghilterra, ove morì nel 1948. Scrittore e pittore, esponente dei movimenti espressionista e dadaista; fondatore del movimento artistico ‘Merz’. La sua produzione letteraria è costituita da Anna Blume Dichtungen ( 1919).

Le citazioni letterarie nel film “La tigre e la neve’’ Questo (detto tra parentesi) sta meglio nella fredda brace. Rosso fiore, rossa Anna Rossa, come dice la gente? Indovinello: 1. Anna Rossa ha un uccello 2. Anna Rossa è rossa. 3. Che colore ha l’uccello? Blu è il colore dei suoi capelli gialli. Rosso è il tubare del tuo verde grillo. Tu ragazza nel vestito di casa, tu cara verde bestiola, io amo te! - Tu di te a te, io te, tu me; - Noi? Ma questo sta meglio (detto tra parentesi) nella cassetta della brace. Anna Rossa !, A-n-n-a, io sgocciolo il tuo nome. Il tuo nome gocciola come morbido sego di bue. Lo sai, Anna, lo sai già già? Ti si può leggere anche da dietro, e tu, tu la più splendida fra tutte sei da dietro come davanti A-n-n-a. Sego di bue gocciola sulla mia schiena,

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Attilio de Giovanni ... oh, At-ti-lio - de - Gio-van-ni, io sgocciolo il tuo nome.

Anna Fiore, bestiola gocciolata, io amo te."

La fonte è citata in Sceneggiatura, p. 165.

Il testo di riferimento di Schwitters, cui accenna la Sceneggiatura p. 165, è An Anna Blume 1, inserito nella raccolta Anna Blunte Dichtungen, del 1919. In quel periodo Schwitters, trentaduenne, svolgeva fondamentalmente attività di pittore ed era entrato nell'orbita dell"Espressionismo e del Dadaismo; successiva­ mente fondò il movimento ‘Merz’ (che ebbe anche un organo ufficiale nella rivista omonima, pubblicata dal 1923 al 1932). La ‘poetica’ prevista dal Dadaismo nei testi scritti si manifesta tramite l’accostamento di frammenti di parole e frasi del più ba­ nale linguaggio quotidiano, spesso non reciprocamente collegate (il corrispettivo poetico dei collages pittorici creati con pezzetti di legno naturale, pettini, biglietti del

99 O du, Geliebte meiner siebenundzwanzig Sinne, ich liebe / dir! — Du deiner dich dir, idi dir, dii min - Wir?/Das gehòrt (beilaufig) nicht hierher /Wer bist du, ungezahltes Frauenzimmer? Du bist - bist /du? — Die Leute sagen, du wàrest, — lafi sie sagen, sie wissen /nicht, wie der Kirchturm steht. /Du trdgst den Hut aufdeinen Fiifien und wanderst auf die / Bande, aufden Handen wanderst du. / Hallo deine rotea KIeider, in weifie Fallen zersagt. Rot / liebe ich Anna Blume, rot liebe ich dir! — Du deiner dich dir, / ich dir, du min — Wir?/ Das gehòrt (beilaufig) in die kalte Glut. / Rote Blume, rote Anna Blume, wie sagen die Leute? /Preisfrage: 1. Anna Blume hat einen Vogel. /2. Anna Blume ist rot. /3. Welche Farbe hat der Vogel?/Blau ist die Farbe deines gelben Haares. /Rot ist das Girren deines griinen Vogels. / Du schlichtes Madchen im Alltagskleid, du liebes griines / Tier, ich liebe dir! — Du deiner dich dir, ich dir, du mir, -/Wir?/ Das gehòrt (beilaufig) in die Glutenkiste./Anna Blume! Anna, a-n-na, ich trdufle deinen Namen. / Dein Name tropft wie weiches Rindertalg. / Weifit du es, Anna, weifit du es schon?/Man kann dich auch von hinten lesen und du, du Herr-/lichste voti alien, du bist von hinten wie von vorne: / “a-n-n-a”. / Rindertalg traufeltstreicheln iiber meinen Riicken. /Anna Blume, du tropfes Tier, ich liebe dir!

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tram e simili). Proprio di tali tendenze risente la nostra lirica - che del resto Schwit­ ters stesso definisce ‘dadaista’100 —; forse la lirica più significativa e famosa di Schwitters dal punto di vista indicato or ora101, tanto famosa da diventare, appena pubblicata, una specie di ‘ritornello’ ripetuto a ogni angolo di strada102. Colpiva so­ prattutto l’enfatica ‘sillabazione’ dell'idionimo della donna (“A-n-n-a [...] A-n-na”), idionimo di cui il poeta scherzosamente sottolineava la caratteristica di poter essere pronunciato indifferentemente da sinistra a destra o alla rovescia, da destra a sinistra, caratteristica questa che si ritrovava anche nell'aspetto fisico della donna, bellissima sia vista davanti che vista da dietro103: e proprio questa sillabazione re­ stava impressa nell"immaginario collettivo104. Non stupisce che appunto questo tipo di enfatizzazione della pronuncia del nome volutamente scandito tramite sillabazione, quasi per consentire la più sicura identi­ ficazione del destinatario del messaggio d'amore, si incontri nella battuta di Vitto­ ria rivolta a Attilio, in Sceneggiatura, p. 8; si noti che la nuova contestualizzazione è del tutto adeguata: 1"idionimo del contesto di partenza, coerente al proprio posto, viene sostituito con altrettanta coerenza con 1"idionimo adeguato al contesto di ar­ rivo: dall'invocazione nei confronti di ‘A-n-n-a Blume’ si passa a quella indirizzata a ‘At-ti-li-o de Gio-van-ni'. Inversione delle parti nei protagonisti del duetto: in Schwitters è il poeta che si rivolge alla donna vagheggiata, nella Sceneggiatura è la donna (p. 8, battuta di Vit­ toria) che si rivolge all'amato.

William Shakespeare105 When, in disgrace with fortune in Sonetti trad. ital. Sceneggiatura, p. 61, battuta di a cura di A. Serpieri, Milano. Rizzoli, 1998 (= 1991, Nancy 1995), p. 124, sonetto 29

When, in disgrace with Fortune and men’s eyes, I all alone beweep my outcast state, And trouble deaf heaven with my bootless cries, And look upon myself and curse my fate, Wishing me like to one more rich in hope, Featured like him, like him with friends possessed, Desiring this man’s art. and that man’s scope, With what I most enjoy contented least,

100 Nel numero 20 di “Merz”. Cfr. E. Schwitters in K. Schwitters, Anna Blume und ich. Die Gesammelten “Anna Blume”-Texte, herausgegeben von E. Schwitters, Ziirich, Die Arche, 1965, p. 42. 101 ‘Famosa’, appunto, la definì (sia pur polemicamente) R. Hiilsenbeck, nella rivista “Dada” del 1920, subito dopo la pubblicazione della poesia. 102 Cfr. ancora E. Schwitters, op. cit., pp. 42 e 162. 103 In realtà, si tratta di una donna immaginaria. 104 E. Schwitters cit. 105 E superfluo fornire dati su Shakespeare (1564-1616), data la notorietà dell’artista. Basterà ri­ cordare, in funzione del discorso svolto nel testo, che i Sonetti subirono una lunga gestazione e che, nel loro complesso, segnano un fondamentale momento di rottura della tradizione della lirica d’amore di stampo petrarchesco.

Le citazioni letterarie nel film “La tigre e la neve’’

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Yet, in these thoughts myself almost despising, Haply I think on thee, and then my state. Like to the lark at break of day arising From sullen earth sings hymns at heaven’s gate; For thy sweet love remembered such wealth brings For thy sweet love rememb’red That then I scorn to change my state with kings106. such wealth brings...

La fonte è citata in Sceneggiatura, p. 178.

I Sonetti di Shakespeare presentano molti e gravi problemi di interpretazione complessiva, come è noto, a causa dell'incertezza del momento di composizione, dell’intenzione dell'autore nel comporli, dell'incertezza dell’iter editoriale, della talvolta difficile esegesi delle singole poesie107. Furono pubblicati, non per cura del­ l'autore, nel 1609; ma è ben possibile che risalgano almeno in parte a un periodo an­ teriore al 1598, che la loro composizione vada scaglionata in un certo numero di anni, che vadano interpretati come una specie di diario intimo. Rispetto alla tradi­ zione precedente, spezzano radicalmente gli schemi d'amore che erano usuali da Petrarca in poi, perché sono indirizzati per la maggior parte a individuo maschile e perché non presentano una realtà statica, ma dinamica nella sua drammaticità: in essi “l'idealità appartiene alì'essere, cui si oppone il sembrare, la categoria di una precaria realtà”108. Il sonetto 29 fa parte di una ‘serie’ di componimenti in cui emergono in modo particolarmente evidente i “turbamenti nell'identificazione di sé e soprattutto nel rapporto amicale”109, in cui cioè l’aspetto della ‘drammaticità’ è assai marcato; in esso, in particolare, la prima quartina espone il sentimento di alienazione ed estra­ neità del soggetto, la seconda il desiderio dello scrivente di trasformarsi in altre per­ sone più felici, la terza il recupero di sé grazie al ricordo della persona amata, il distico finale segna circolarmente il ritorno a sé, a un sé potenziato che supera com­ pletamente le difficoltà poste in apertura di riflessione110: gli ultimi due versi suo­ nano infatti “For thy sweet love remembered such wealth brings / that then I scorn to change my state with kings”111.

106 “Quando in disgrazia con la Fortuna e con gli occhi degli uomini, / io tutto solo mi lamento della mia condizione di reietto, / e disturbo il cielo sordo con i miei vani gridi, / e guardo a me stesso e maledico il mio destino, / desiderandomi come uno più ricco di speranza, / come quello d’aspetto, come quello circondato di amici, / desiderando il talento di queU’uomo. di quell’altro i vasti orizzonti, / di ciò di cui più godo meno contento, / eppure in questi pensieri quasi disprezzando me stesso, / per avven­ tura io penso a te, e allora il mio stato, / come l’allodola al rompere del giorno in volo / dalla cupa terra canta inni alle porte del paradiso; / poiché il tuo dolce amore ricordato reca tale ricchezza / che allora disdegno di cambiare il mio stato con i re” (traduzione di Serpieri, op. cit ). 107 La problematica complessiva è sintetizzata nell’introduzione di Serpieri, op. cit., pp. 7-54. 108 Cito direttamente da Serpieri, op. cit., p. 46. 109 Uso ancora parole di Serpieri, op. cit., p. 37. 110 Ho seguito l’analisi svolta da Serpieri, op. cit., pp. 44-45. 111 In traduzione: “poiché il tuo dolce amore ricordato reca tale ricchezza / che allora disdegno di cambiare il mio stato con i re”.

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Proprio la parte conclusiva, gioiosa, del sonetto è posta in bocca a Nancy, in Sce­ neggiatura, p. 61. nel momento dell'addio definitivo ad Attilio prima del viaggio di ritorno in patria: “For thy sweet love rememb'red such wealth brings...”112: Nancy per bocca del poeta dice a Attilio che ogniqualvolta lo ricorderà, alla luce del pas­ sato non rimpiangerà mai il proprio stato. La contestualizzazione è tematicamente del tutto coerente: il ricordo dell'essere amato arricchisce, platonicamente, chi ama e lo situa in una condizione di assoluta felicità, al di sopra di qualunque status so­ ciale, per quanto elevato. E del tutto coerente anche dal punto della formulazione lin­ guistica, dato che il testo nell'originale inglese è posto in bocca a una parlante di origine nordamericana. Una differenza è costituita dal fatto che il referente del sonetto shakespeariano è probabilmente un uomo ‘amato" da un altro uomo, in modo diverso rispetto al con­ testo di arrivo113.

Rabindranath Tagore (Thakur)114 Il giardiniere, trad. ital. a cura di Brunilde Neroni, Parma. Guanda, 1986, p. 93 num. 50

Sceneggiatura, p. 9, battuta di Vit­ toria

Amore, il cuore mio desidera giorno e notte in­ contrarsi con te, in un incontro simile alla morte che tutto consuma. Abbattimi, come fa la tempesta; prendi tutto [...] abbattimi come fa la tempe­ quello che possiedo; invadi il mio sonno e ruba i sta prendi tutto quello che pos­ miei sogni. siedo, invadi il mio sonno e E in quella desolazione, nella nullità dello spirito, rubami i sogni. uniamoci nella bellezza. Ahimè, che vano desiderio! Che speranza c’è d’esser uniti se non in te, mio Dio?

La fonte è citata in Sceneggiatura, p. 168.

Il giardiniere (Gitànjali) del poeta Tagore è un canto d'amore per la divinità in­ tesa panteisticamente, espresso con accenti del tutto applicabili all'amore umano, come ben vide W.B. Yeats nel 1912 scrivendo l'Introduzione alla traduzione inglese

112 II resto è sottinteso, data la notorietà del testo: nella Sceneggiatura la battuta di Nancy è in­ trodotta con un significativo “Nancy [... ] gli recita dei versi famosi” (ho evidenziato il con­ cetto con lo spazieggiato). 113 Se poi nel sonetto si parli di amore omosessuale o di semplice, seppur molto affettuosa, amicizia, è problema che qui non è possibile affrontare: basterà rinviare alla messa a punto di Serpieri, op. cit., PP- 18 sgg. 114 Nato a Calcutta nel 1861, morto nel 1941. Poeta, drammaturgo, romanziere, musicista e pittore di nobile famiglia del Bengala, scrisse le sue opere quasi esclusivamente in bengalese, ma le tradusse egli stesso in inglese. Testi principali: Gitànjali (Canti d’offerta, 1912; nella traduzione inglese, reso con // giardiniere, 1913), Sàdhanà (1913), Balaka (1916), Oleandri rossi (1924), Lipik , etc.

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dell'opera (effettuata dallo stesso Tagore dall’originale redatto in lingua bengali), pubblicata nel 1913115. Attraverso una serie di immagini, che hanno fondamental­ mente per referente un individuo che attende l'arrivo della persona amata, Tagore esprime il concetto superiore dell’epifania divina, attesa come momento di unione con [’Essere supremo: e l'amore nei confronti della divinità è espresso con immagini del tutto colpose, talvolta Tisiche’, che equiparano umano e divino, portando l'umano all’altezza del divino, e spiegano la capacità di presa della poesia tagoriana116. Ogni canto del poeta è dunque giocato su un doppio livello, connotativo e deno­ tativo: e il canto num. 50. ripreso nella Sceneggiatura, p. 9, in bocca a Vittoria, non fa eccezione. Infatti esso si apre con l'invocazione alla persona amata, nell'attesa della sua venuta, nella convinzione che questa venuta porti l'innamorato allo scon­ volgimento dell'essere, nella speranza di una fusione totale con l'innamorato stesso (“formiamo un'unica bellezza”): linguaggio perfettamente applicabile a un referente umano; ma la strofe finale chiarisce l’essenza della lirica, svelando che l’atteso è l'Essere supremo e deprecando che il desiderio dell'attesa-epifania non si possa av­ verare. Si coglie allora immediatamente lo spostamento semantico operato nella Sce­ neggiatura (cit.): mentre il desiderio di essere travolto nel proprio essere117 nell'originale investe lo stravolgente contatto con la divinità, nella battuta di Vittoria lo stesso desiderio, espresso con le stesse parole, manifesta una forma di passione esclusivamente umana, come del resto l’originale stesso consente di interpretare alla prima lettura118. S’aggiunga che muta anche il referente, l'io poetico (apparentemente nei confronti della persona amata) in Tagore, una donna (nei confronti dell'innamo­ rato) nella Sceneggiatura. Tuttavia, al di là di queste differenze, è del tutto simile nei due testi la ’passione’ riversata nell’attesa d’amore. E forse nella Sceneggiatura si è voluto giocare sull'ambiguità e si è fatto ricorso a poesia d'amore divino per ‘subli­ mare’ l’amore umano. Dylan Thomas119 Amore in manicomio in Poesie, a cura di R. S. Cri­ velli. Traduzione e note di A. Marianni, Torino, Ei­ naudi, 2002, p. 116

Sceneggiatura, p. 9, battuta di Vit­ toria

Un’estranea è venuta a spartire con me la mia stanza nella casa lunatica, una ragazza folle come gli uccelli 115 In R. Tagore, Gitànjali il giardiniere, trad. ital. di A. Del Re - M. Sesti Strampfer, Roma, Carabba, 1966, p. 16. 116 Cfr. l’introduzione di Brunilde Neroni, op. cit., pp. 7 sgg. 117 “Abbattimi, come fa la tempesta; prendi tutto quello che possiedo; invadi il mio sonno e ruba i miei sogni”. 118 II medesimo concetto dello stravolgimento dell’essere causato dall’amore totale si ha nel testo della Morante ripreso nella Sceneggiatura (cfr. p. 64). 119 Nato a Swansea, nel 1914, morto tragicamente di delirium tremens negli Stati Uniti nel 1953. Poeta visionario, surrealista, fortemente emotivo. Opere: Eighteen Poems (1934), Twenty-Five Poems (1936), The Map of Love (1939), Deaths and Entrances (1946), In Country Sleep (1952), Collected Poems 1934-1952 (1952).

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che spranga la notte della porta col suo braccio di piuma. Stretta nel letto delirante elude la casa a prova di cielo con nubi invadenti e la stanza da incubi elude col suo passeggiare su e giù come morti, o cavalca gli oceani immaginati dalle corsie maschili.

Venne invasata, chi fa entrare dal muro rimbalzante l’ingannevole luce, invasata dal cielo

Dorme nel truogolo stretto e tuttavia cammina sulla polvere e a piacer suo vaneggia sopra l’assito del manicomio consumato dalle mie lacrime ambulanti. E rapito alla fine (cara fine) nelle sue braccia dalla luce io posso senza venir meno sopportare la prima visione che diede fuoco alle stelle.120

guardarti è guardare la prima visione che dette fuoco alle stelle.

La fonte è citata in Sceneggiatura, p. 166.

La lirica Love in the Asylum fu composta da D. Thomas nel 1941, all’età di 27 anni, e inserita nella raccolta Deaths and Entrances ("Morti e ingressi”) del 1946. Il titolo stesso della raccolta è indicativo, perché esprime efficacemente uno dei temi di fondo della poesia thomasiana, lo scontro continuo di opposti e la corposità ‘fi­ sica’ delle immagini. Ispirandosi alla metafisica del Seicento inglese. Thomas (gal­ lese di nascita) sfrutta la concezione dell’equivalenza metaforica ‘ventre materno tomba’ per impostare il suo discorso sull'affinità di vivere e morire come concetti integralmente correlati in un’unità inscindibile. E un aspetto della identificazione continua, in Thomas, di amore e morte, per cui l’onnipresente aspetto sessuale della vita richiama continuamente il concetto del disfacimento della vita stessa: nel mo­ mento stesso in cui si compie l'atto sessuale, il cui sbocco è la creazione della vita, in quell’atto si insinua il senso del disfacimento121.

120 Love in the Asylum. A stranger has come / To share my room in the hose not right in the head, / A girl mad as birds // Bolting the night of the door with her arm her plume. / Strait in the mazed bed / She deludes the heaven-proof house with entering clouds // Yet she deludes with walking the night­ marish room, /At large as the dead, / Or rides the imagined oceans of the male wards. // She has come possessed / Who admits the delusive light through the bouncing wall, / Possessed by the skies // She sleeps in the narrow through yet she walks the dust/Yet raves at her will/On the madhouse boards worn thin by my walking tears. //And taken by light in her arms at long and dear last /1 may without fail / Suffer the first vision that set fire to the stars. 121 Sugli aspetti quaEficanti della poesia di Thomas basterà il rinvio alla sintesi proposta da R.S. Cri­ velli in D. Thomas, Poesie a cura di R. S. CrivelH. Traduzione e note di A. Marianni, Torino, Einaudi, 2002, pp. V-LX, con ricca bibliografia e discussione; inoltre N. D’Ugo, Tra modernismo e post-

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Quanto a codice linguistico, quello di Thomas è qualificato in modo ossessivo dall'impiego di forme espressionistiche, che alcuni esegeti hanno riportato alla ma­ trice del ‘visionario’ Blake, e della metafora, nelle forme più spinte: prova esplicita di ciò diede il poeta stesso, affermando "una mia poesia ha bisogno di una schiera di immagini perché il suo fulcro è una schiera di immagini”122. La lirica utilizzata nella Sceneggiatura è specchio fedele sia del tipo di messag­ gio che dell’espressionismo formale che ho evidenziato or ora. Infatti in essa sulla metafora di fondo del asylum - che significa sì ‘manicomio’, ma significa anche ‘rifugio / asilo’ - se ne innestano altre: la donna "spranga la notte della porta col suo braccio di piuma”, “stretta nel letto delirante / elude la casa a prova di cielo con nubi invadenti” “cavalca gli oceani immaginati delle corsie ma­ schili” (come metafora sessuale): il "letto delirante” diventa successivamente “truo­ golo stretto”; per giungere alla metafora conclusiva “e rapito alla fine (cara fine) nelle sue braccia dalla luce / io posso senza venir meno / sopportare la prima visione che diede fuoco alle stelle” che fa ricorso a simbolismo religioso: “tra le sue brac­ cia provo una gioia ineffabile, capace di prepararmi alla visione divina” - un'affer­ mazione tra Medioevo e Blake -, un simbolismo che non cancella l’affettuosità della battuta finale della poesia123. Il lessema “stelle”, con cui si conclude la lirica di Thomas, richiama il concetto di ‘luce’, naturalmente; e luce e gioia sono legati al concetto di amore. Proprio in questa accezione le parole del poeta in Sceneggiatura, p. 9 sono poste in bocca a Vit­ toria, nella sua dichiarazione d'amore per Attilio; con la sola inversione, già altre volte registrata nel corso delle mie pagine, delle parti maschile e femminile nel con­ testo di partenza rispetto a quello d’arrivo. Così interpretato, il reimpiego del passo di Thomas è affine a quello del montaliano “girasole impazzito di luce”, inserito (e forse non sarà un caso) nella medesima battuta di Vittoria.

2. Citazioni da opere teoriche in senso lato Un secondo gruppo di citazioni è tratto da opere teoriche in senso lato (discus­ sioni filosofiche, discussioni critiche, interventi in occasione di convegni, interviste). Possiamo passarle brevemente in rassegna.

Harold Bloom124 H. Bloom: intervista pubblica del 1992 (Televisione versus let­ tura, New York, 15-06-1992)

Sceneggiatura, p. 24, battuta di Attilio

Domanda 1. Prof. Bloom, Lei crede che l’apprendimento attraverso i media possa integrare l’apprendimento tradizionale attraverso la letmodernismo. Riflessioni sulla lirica di Dylan Thomas, “Praz!” 1994 (lavoro consultabile anche per via informatica nel sito http://www.mondo3.it/enciclopedia/letteratura/antologia/poeti/dylanthomas ). 122 Traggo la citazione da Crivelli, op. cit., p. Vili. 123 Si veda il commento di Marianni in op. cit. nella nota 121. p. 323. 124 Critico letterario statunitense (nato a New York, 1930) che ha sviluppato una teoria della lette-

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tura dei libri di testo? 0 queste due forme, da un punto di vista cognitivo, sono destinate a entrare in conflitto? Risposta: [•••] Domanda 2. Anche parlando ai giovani, invitandoli a leggere, per esempio? Risposta: Invitandoli a leggere, ma dicendo loro che o leggeranno oppure moriranno. Vale a dire, che altrimenti sperimenteranno una spe­ cie di morte nella vita. Questo, in fin dei conti, è ciò di cui trat­ tano Dante e Shakespeare, e ciò che Dante e Shakespeare combattono - è l’onere schiacciante di ogni grandissimo scrit­ tore occidentale - e sono sicuro anche degli scrittori orientali, sebbene, ovviamente, non li conosca altrettanto bene; ma tutti, da scrittori come Montale fino a Wallace Stevens, hanno a che fare con quel che uno scrittore orientale considerava una bene­ dizione, e cioè più vita, più vitalità. Non vi vitalizzate se non leggete, perché è molto difficile distinguere tra l’esperienza della lettura e l’esperienza del pensare. Esse sono essenzial­ mente, così credo, la stessa esperienza, di fatto. Così come non si possono separare pensare e ricordare, così come la memoria è, credo, l’elemento più importante nel processo cognitivo, così il ricordare, la memoria, è l’elemento più importante nel pro­ cesso della lettura. C’è alla fine una specie di straordinaria unità, una identità, una identità virtuale, tra la memoria attiva, la let­ tura e la cognizione, e penso che ogni individuo dipenda proprio da questa densità virtuale, da questa unità, o quasi identità. E, se non leggerete, se non leggerete in modo profondo, e se non Se non vi innamorate è lo farete per l’intera vita, allora vi farete del male, insomnia tutto morto, morto tutto è! Vi dovete innamorare vi distruggerete. e diventa tutto vivo. Domanda 3. Nell’era della televisione. Dante o Shakespeare possono rima­ nere dei punti di riferimento condivisi? Risposta: Nulla oscurerà il valore preminente di Dante o di Sha­ kespeare o di Milton. Nulla li terrà fuori da ogni nuova genera­ zione che viene su, in America o in Italia o in qualsiasi altro paese. I giovani lettori, a dispetto di tutti gli impedimenti, a di­ spetto dello schermo televisivo gigante che li fissa dall’alto e da ogni lato, a dispetto di tutti i tipi di politiche che vengono scari­ cati loro addosso, o di tutti i tipi di sensi di colpa sociali irrile­ vanti. leggeranno; nulla di tutto ciò terrà i giovani uomini e le giovani donne lontani o lontane dal commercio appassionato con i grandi testi. E alla fine, nello stesso modo in cui devi fare una scelta tra amici e tra conoscenti - nessuno di noi può avere una ratura, soprattutto nel campo della poesia, per cui sono fondamentali da un lato la tensione all’originalità (L’angoscia dell’influenza, 1973), dall’altro la selezione di quegli autori che hanno assommato in sé e, nel contempo, via via superato e approfondito la tradizione occidentale (Il canone occidentale, 1995).

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relazione stretta con qualunque persona incontriamo nel corso della nostra vita quotidiana-eviti la folla e continui a funzionare scegliendo; e si tratta di un processo sia implicito che esplicito, come l’innamorarsi che, ovviamente, è un processo in gran parte implicito, sebbene con conseguenze esplicite. Questa questione, come l’intera questione dell’ innamorarsi, è legata strettamente al perché in fin dei conti uno scelga di im­ piegare il proprio tempo a leggere Shakespeare e Dante invece che scrittori di livello minore. Scegliete quello che vi sfida di più. “Scegliete”, come disse magnificamente Coleridge, “quel che vi trova”. E. in fin dei conti, saranno Dante e Shakespeare a trovarvi.

E vestitele bene le poesie, cercate bene le parole. Do­ vete sceglierle, a volte ci vo­ gliono otto mesi per trovare una parola. Sceglietele, che la bellezza è cominciata quando qualcuno ha co­ minciato a scegliere.

La fonte è citata in Sceneggiatura, pp. 171-172.

L’intervista concessa da Bloom lascia una traccia notevole nella Sceneggiatura. Il critico americano sosteneva, in quell'occasione, la necessità della scelta accurata di ciò che bisogna leggere, con un’opera di selezione tanto importante nella lette­ ratura quanto lo è nel campo dell'amore; Attilio nella sua lezione (Sceneggiatura, p. 24) invita gli studenti a innamorarsi (ed essere felici) per poter diventare poeti e a scegliere (le parole, dice lui; ma la necessità irrinunciabile della scelta è comun­ que fermamente ribadita), allineandosi del tutto sulle posizioni teoriche bloomiane. Jorge Luis Borges125 Sopra il “Vathek” di William Beckford, in Tutte le opere, trad, ital., con introduzione di D. Porzio, I-II. Milano, Mondadori, 199813 (19841) [ed. originale Buenos Aires 1974= 1981], I,p. 1037125 126

L’originale è infedele alla traduzione.127

Sceneggiatura, p. 26, battuta di Attilio

chissà che roba è, però è bellis­ sima, è talmente bella che l’origi­ nale è infedele alla traduzione.

La fonte è citata in Sceneggiatura, p. 174. ma con qualche imprecisione: infatti il passo di Borges è riferito erroneamente al saggio Las versione! homéricas [opera che nell’edizione completa delle opere di Borges, op. cit., si legge in I, pp. 372-378], mentre in realtà Borges fa riferimento alla traduzione inglese del Vathek di Beckford effettuata da W.E. Henley nel 1785. Inoltre nella Sceneggiatura, p. 174 si afferma che anche un’altra battuta di Attilio, riportata 125 Poeta, narratore e saggista argentino (Buenos Aires 1899 - Ginevra 1986), grande riscopritore e rielaboratore di autori fondamentali della letteratura occidentale (Dante, Cervantes, Blake, etc.) e di miti classici, lirico intellettualistico, autore di racconti evocativo-fantastici, acuto studioso delle lette­ rature più disparate. Opere: Storia universale dell’infamia (1935), Finzioni (1944), L'Aleph (1949), L’artefice (1960); in poesia, Elogio dell’ombra (1969), etc. 126 II saggio di Borges risale al 1943. 127 El originai es infiel a la traducción.

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in Sceneggiatura, p. 25, che suona: “cosa guardate? I poeti non guardano. Vedono, i poeti. Non ascoltano, sentono!”, risale a Borges, senza peraltro indicazione precisa di opera. Io non sono riuscita a rintracciare la citazione.

Per quanto riguarda Borges, Attilio (Sceneggiatura, p. 26) ne riprende un giudi­ zio, icastico nella sua paradossalità tipicamente borgesiana e perciò diventato fa­ moso e, per così dire, 'da antologia'128129 , “l’originale è infedele alla traduzione”, addirittura esasperandone la paradossalità: infatti Attilio l’applica non ai due refe­ renti indispensabili per porre il confronto tra modello e traduzione, ma solo a uno di essi, mentre dell’altro mostra di non aver alcuna idea (“c hissà che roba è. però è bellissima, è talmente bella che l’originale è infedele alla traduzione”).

Ray Bradbury129 R. Bradbury: intervento ad un convegno (?)

Sceneggiatura, p. 25, battuta di Attilio

Vivere nel rischio significa saltare da uno strapiombo e costruirsi le ali mentre si precipita.

Buttatevi nel vuoto e allargate le ali mentre precipitate.

In Sceneggiatura, p. 172 gli autori affermano che la battuta di Attilio si rifa a un intervento effettuato da Bradbury durante un convegno; io non sono riuscita a identificare tale conve­ gno in modo preciso. Mi pare comunque degno di nota che nell’incontro con la stampa della fine di settembre del 2004 Benigni abbia affermato, come riportano i recensori presenti all’incontro stesso (per esempio Priscilla Del Ninno in “Il Secolo d’Italia”, 30 settembre, che io cito più avanti, a p. 120), “[ ... ] quando sentiamo che stiamo per precipitare, allarghiamo le ali”, facendo pro­ prie, questa volta nella realtà e non nella finzione scenica, le parole di Bradbury - un segno di totale ‘appropriazione’ di un concetto formulato da altri.

Di Bradbury Attilio, in Sceneggiatura, p. 25, riprende l’affermazione proposta in un intervento convegnistico, “Vivere nel rischio significa saltare da uno strapiombo e costruirsi le ali mentre si precipita”130, su cui peraltro non sono in grado di for­ mulare alcuna considerazione, in assenza del contesto in cui la battuta fu formulata.

128 II giudizio di Borges è riportato anche in Dizionario delle citazioni a cura di E. Barelli e S. Pennacchietti, Milano, Rizzoli, 20004, p. 300, n. 1742. Tale giudizio è posto - sia detto tra parentesi, a te­ stimonianza della sua incisività — nell’esergo dell’antologia di poesia araba contemporanea Intifada curata da M. Lamsuni, che io ho citato a p. 25. 129 Scrittore statunitense (nato nellTllinois nel 1920), autore di numerosi libri di fantascienza (Cronache marziane, 1951; Fahrenheit 451, 1953; Il piccolo assassino, 1964; Constance contro tutti, 2003, etc.), in cui la fantascienza costituisce spesso il punto di partenza per riflessioni sulle lezioni della Storia. 130Traggo la citazione dell’intervento direttamente dalla Sceneggiatura, p. 172.

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Gilbert Keith Chesterton131 G. K. Chesterton, 1,2: interventi in occasione di convegni (?)

Sceneggiatura, p. 25, battute di Attilio

E se non avete i mezzi, non vi preoc­ cupate, tanto per fare poesia una sola cosa è necessaria: tutto!

Rimpicciolitevi e tutto vi sembrerà grande. In Sceneggiatura, pp. 173 e 174 gli autori affermano che le due battute si rifanno a inter­ venti sviluppati da Chesterton in occasione di convegni; io non sono riuscita a trovare un ri­ scontro a tale affermazione.

In riferimento a Chesterton, mi trovo in condizioni analoghe a quelle che ho ri­ cordato a proposito di Bradbury. Infatti la fonte delle due battute di Attilio riportate in Sceneggiatura, p. 25, “E se non avete i mezzi, non vi preoccupate, tanto per fare poesia una sola cosa è necessaria: tutto!” e “Rimpicciolitevi e tutto vi sembrerà grande”, che in Sceneggiatura, pp. 173 e 174 sono fatte risalire a due interventi di Chesterton sviluppati in sede di convegno, risulta per me irreperibile. In mancanza di contesto, devo necessariamente limitarmi a osservare che la prima delle due bat­ tute, formulata in modo paradossale come quella di Borges cui alludevo sopra, pare più nettamente orientata verso il versante letterario, dato che ha come referente la poesia, mentre la seconda può avere implicazioni ideologiche (farsi piccolo per umiltà cristiana, nella 'nuova’ concezione religiosa chestertoniana).

Jean Cocteau132 J. Cocteau in J. Cocteau - J. Maritain, Dialogo sulla fede, trad, italiana a cura di M. Cristina Martinelli, pre­ fazione di C. Bo, Firenze, Passigli Editori, 1988 [ed. francese 1964, 1983], pp. 55-56

Sceneggiatura, p. 24, battuta di Attilio

C’è qualcosa di più superficiale e vago dello scetticismo del XVIII secolo? Non lo detestiamo, lo riguardiamo come un'attitudine dell’intelligenza, un’attitudine che raggiunge rapidamente il culmine della volgarità con la scienza. Le grandi scoperte umane sono dei relitti portati

131 Scrittore inglese ( 1874-1936), creatore della figura di padre Brown, un sacerdote in veste di de­ tective (L’uomo chefu giovedì, 1908; L’innocenza di Padre Brown, 1911; La saggezza di Padre Brown, 1914, etc.). Convertitosi dall’anglicanesimo al cattolicesimo nel 1922, si occupò di critica letteraria e di teologia (San Tommaso d’Aquino, 1933). Risale al 1908 l’importante lavoro Ortodossia. 132 Poeta, drammaturgo e romanziere francese (1889-1963), in un primo momento aderente alle avanguardie, successivamente rifiutate in nome del ritorno al ‘classico’. Alcune delle opere: Edipo re, 1927; / ragazzi terribili, 1929; Allegorie, 1941; si diede anche al cinema, con Les parents terribles, 1948.

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dall’onda, e l’uomo non ha mai incontrato un’America nel soprannaturale. Ed ecco allora le misere conchiglie nelle quali sente Dio senza ascoltarlo e crede di ascoltare se stesso. Questa è la letteratura delle grosse teste del XIX secolo, questa è tutta la letteratura. Allora? La letteratura è impossibile, bisogna uscirne, ed è inutile cercare di tirarsene fuori con la letteratura La poesia non è fuori, è den­ perché solo l’amore e la Fede ci consentono di uscire tro. da noi stessi. Far ricorso al sogno non vuol dire lasciare la casa; vuol dire frugare il granaio dove la nostra in­ fanzia prendeva contatto con la poesia.

La fonte è citata in Sceneggiatura, p. 170.

Nella sezione di Sceneggiatura, p. 24, Attilio si ispira a un passo del 'dialogo sulla fede’ tra Cocteau e Maritain133, risalente al 1926; il confronto tra il testo dei due intellettuali francesi e quello della Sceneggiatura è proposto nella Sceneggiatura stessa, p. 170, e, naturalmente, è indiscutibile, dato che in entrambi si esprime la ne­ gazione dell’autosufficienza della letteratura/poesia; va peraltro rilevato che il con­ cetto di Cocteau viene 'laicizzato’ nella Sceneggiatura, perché nel primo l’elemento catalizzatore della letteratura è la fede individuale, nel secondo è l'intimo dell'in­ dividuo.

Claude Lévi-Strauss134 Tristi tropici, trad, ital., introduzione di P. Caruso, Mi­ Sceneggiatura, p. 135, battuta di lano, Mondadori, 1988 [ed. originale Paris, 1955], ca­ Fuad pitolo 40, "visita al Kyong”, pp. 444-456; il passo citato è a p. 454 Lo sai perché si fanno le guerre? ...Il mondo è cominciato senza l’uomo e finirà senza Perché il mondo è cominciato di lui. Le istituzioni, gli usi e i costumi che per tutta la senza l’uomo e senza l’uomo vita ho catalogato e cercato di comprendere, sono una finirà. fioritura passeggera d’una creazione in rapporto alla quale essi non hanno alcun senso, se non forse quello di permettere all’umanità di sostenervi il suo ruolo. Seb­ bene questo ruolo sia ben lontano dall’assegnarle un

133 Filosofo francese (1882-1973), inizialmente materialista, poi convertitosi al cristianesimo (con particolare riferimento al tomismo), con notevoli implicazioni di misticismo, elaboratore di una dott­ rina sociale molto avanzata e progressista, che prevede l’enfatizzazione della dignità della persona nel quadro del bene comune e la compartecipazione dei lavoratori agli utili e alla gestione dell’azienda (in senso diverso da quello marxista). 134 Importante antropologo culturale di origine belga (Bruxelles 1908) ma di scuola francese, creatore deirindagine antropologica basata sulla metodologia della linguistica strutturale. Opere principali: Le strutture elementari della parentela, 1949; Tristi tropici, 1955; Antropologia strutturale, 1958; // pensiero selvaggio, 1962; La via delle maschere, 1975, etc.

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posto indipendente e sebbene lo sforzo dell’uomo - per quanto condannato - sia di opporsi vanamente a una de­ cadenza universale, appare anch’esso come una mac­ china, forse più perfezionata delle altre, che lavora alla disgregazione di un ordine originario e precipita una ma­ teria potentemente organizzata verso un’inerzia sempre più grande e che sarà un giorno definitiva... La fonte è citata in Sceneggiatura, p. 183.

A conclusioni del tutto diverse, rispetto a quanto ho osservato sinora in merito agli interventi di ‘teorici’, ci porta l'ultimo intervento, cui desidero accennare, quello di Lévi-Strauss, che ho trascritto sopra, nel riquadro, “Il mondo è cominciato senza l'uomo e finirà senza di lui'’, inserito ad verbum nella battuta di Fuad riportata in Sceneggiatura, p. 135. Il contesto è costituito dalla scena notturna, a Baghdàd, in cui Attilio e Fuad discorrono dei disastri irreparabili che la guerra arreca alla bellezza del creato. La frase di Lévi-Strauss è formulata, nell’ordine, dopo la menzione della proverbiale Torre di Babele come simbolo della ‘confusione delle lingue’ (Genesi 10-11), che fa offesa al cielo, e dopo la menzione di un’imprecisata leggenda isla­ mica, che sottolinea l’incomparabile bellezza del cielo stesso: in tale contesto ‘sa­ pienziale’ anche la ‘sentenza’ di Lévi-Strauss assume valore universale, assoluto.

Konstantin Sergeevic Stanislavskij135 K.S. Stanislavskij: intervento effettuato in occa­ sione di un convegno (?)

Sceneggiatura, p. 25, battuta di Attilio

Per trasmettere la felicità bisogna es­ sere felici! E per trasmettere il dolore? Bisogna essere felici! In Sceneggiatura, p. 173 si afferma che nella battuta di Attilio viene riecheggiato l’intervento di Stanislavskij a un convegno; non sono riuscita a identificare tale convegno, né d'altra parte trovo alcunché di accostabile nel lavoro K.S. Stanislavskij, Il lavoro dell ’attore su se stesso, trad. ital. di Elena Povoledo, a cura di A. Guerrieri, Laterza, Bari 1990.

Terza battuta paradossale, dopo quelle tratte da Borges e da Chesterton, pro­ nunciata, come le precedenti, da Attilio, è quella di Sceneggiatura, p. 25, "Per tra­ smettere la felicità bisogna essere felici! E per trasmettere il dolore? Bisogna essere felici!”, tratta, a quanto si legge nella Sceneggiatura, p. 173, da un intervento di Sta-

135 Attore e teorico del teatro russo (1863-1938), fondatore del Teatro d'Arte di Mosca. Elaborò l’innovativa (per il tempo) teoria secondo cui l’attore deve agire sulla scena così da ‘vivere’ il perso­ naggio che interpreta, in modo che il pubblico abbia l’impressione di trovarsi di fronte alla realtà, non a una finzione. Fondamentale il suo manuale II lavoro dell’attore su se stesso (1938).

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nislavskij sviluppato in occasione di un convegno. È evidente che Attilio fa sua la nota teoria Stanislavskiijana relativa all'immedesimazione dell'autore nel personag­ gio di volta in volta portato sulla scena: nella prima affermazione, “per trasmettere la felicità bisogna essere felici!”, la fa sua in senso stretto, nella seconda, “e per tra­ smettere il dolore? Bisogna essere felici!”, invece, nel senso che tutti i sentimenti sulla scena diventano ‘veri' se l'attore li esprime con partecipazione assoluta e in piena serenità d’animo.

3. Citazioni di natura ‘sentenziosa’ L’osservazione relativa al tono ‘sapienziale’ che ho formulato sopra, a proposito di certi contesti della Sceneggiatura, mi porta ad accennare ora a una serie di cita­ zioni di testi di natura dichiaratamente ‘sentenziosa’ e ‘sapienziale’, tratte da Qoélet, da Confucio, da Lao-tse e da Cervantes. Confucio, aforisma (?)

Sceneggiatura, p. 21, battuta di Attilio

Se le parole non sono giuste nulla può essere giusto.

Eh! Lo vedi? Se le parole non sono giuste nulla può essere giusto ... non ci si capisce. Se per esempio ora vi dico “Andate a letto che è tardi !”, ci siamo capiti, no? Sono parole giuste!

La fonte è citata in Sceneggiatura, p. 169.

Cervantes, aforisma

Sceneggiatura, p. 54, battuta di Attilio

Sul grande orologio del tempo c’è scritta una parola sola: ora!

Ecco come si risolvono i problemi. Io so soltanto una cosa, che questa notte non tornerà mai più, proprio mai... hai voglia di aspettare, non ritorna! Sul grande orologio del tempo c’è scritta una parola sola: ora!

La fonte è citata in Sceneggiatura, p. 176.

Lao-tse, aforisma

Sceneggiatura, p. 135, battuta di Fuad

Fa più rumore un albero che cade di una foresta che cresce.

Ti capisco... fa molto più rumore un albero che cade che una foresta che cresce!

La fonte è citata in Sceneggiatura, p. 185.

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Vecchio Testamento, Qoélet (L’Ecclesiaste), Sceneggiatura, p. 25, battuta di Attilio Alba-Roma. Edizioni Paoline, 1957, prologo, p. 710 Parole di Qoélet figlio di Davide, re di Gerusa­ lemme: “Vanità delle vanità - disse Qoélet - , vanità delle vanità e tutto è vanità”136.

Il resto è vanità delle vanità...

La fonte è citata in Sceneggiatura, p. 185.

Si può aggiungere lo scambio di battute, in Sceneggiatura, p. 134, tra Attilio e Fuad, relativo alla ‘confusione delle lingue’ della Torre di Babele: l’episodio, nar­ rato in Genesi 10-11, ha assunto valenza simbolico-proverbiale - e non va trascu­ rato il fatto che se ne incontra menzione in Dante, Purgatorio, XII, 34-36, autore ben amato da uno degli estensori della sceneggiatura. Benigni notoriamente

Sulla sentenziosità del biblico vanitas vanitatum, citato or ora, reso italianamente con “vanità delle vanità’’ da Attilio nella battuta di Sceneggiatura, p. 25, è inutile in­ sistere, tanto è cosa nota137. Qualcosa di più si può dire delle altre citazioni. Uno dei testi più antichi sfruttati nella Sceneggiatura è un aforisma di Confu­ cio138, “Se le parole non sono giuste nulla può essere giusto”: esso è impiegato da Attilio, in Sceneggiatura, p. 21, nel momento in cui ricorda alle figlie che è ora di andare a dormire, dunque nel momento in cui invita a ‘fare ciò che si deve fare’: con perfetta coerenza tra tipo di contenuto e scelta dello strumento con cui esprimere quel contenuto. Alla medesima temperie culturale cinese antica riporta un secondo aforisma, questa volta attribuito a Lao-tse139: “Fa più rumore un albero che cade di una fore­ sta che cresce”, inserito tra le parole di Fuad in Sceneggiatura, p. 135. L'aforisma esprime icasticamente il concetto che la compartecipazione affettiva rende partico­ larmente importanti anche le piccole cose; o meglio, che ciò che tocca personal­

136 Nel testo latino della Vulgata: Vanitas vanitatum, dixit Ecclesiastes; / vanitas vanitatum et omnia vanitas. 137 Si tratta del prologo dell’Ecclesiaste (Qoélet), testo di natura squisitamente sapienziale, assurto a valore proverbiale, registrato per esempio in R. Tosi, Dizionario delle sentenze greche e latine, Mi­ lano 1992 (= 1991), p. 241 n. 508, in Elena Spagnol, Enciclopedia delle citazioni. Milano 2004 (= 2000), p. 1008 n. 1718, l,etc. 138 Pensatore cinese (551-479 a.C.), fondatore di un sistema etico basato su regole di comporta­ mento dettate dal rigido rispetto di una gerarchia, in cui l’autorità è basata non sul censo o sul potere ma su presupposti essenzialmente morali. Fondamentale per Confucio l’etica del ‘servizio’ del singolo nei confronti della società, tanto maggiore quanto più il singolo ha in sé doti eccezionali. La dottrina di Confucio non è tramandata in forma trattatistica, ma attraverso aforismi e brevi dialoghi. Raccolta di aforismi in Confucio, Massime a cura di P. Santangelo. Roma, Newton, 1995 (= 2005). 139 Personaggio dai tratti leggendari, presunto fondatore del Taoismo; la tradizione ha conservato memoria del suo preteso incontro con Confucio.

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mente è più importante, per il singolo individuo, di fatti in sé di grande portata, ma non altrettanto coinvolgenti per il singolo stesso. Di Miguel Cervantes de Saavedra140 Attilio, in Sceneggiatura, p. 54, riprende l’aforisma “Sul grande orologio del tempo c’è scritta una parola sola: ora!”, adat­ tandolo alla sua personale situazione: egli si prepara a un incontro d'amore con Vit­ toria e attende questo momento come se fosse irripetibile, tanto importante da essere espressamente previsto nell'universale ‘orologio del tempo’: una variante, dunque, del carpe diem oraziano, espresso con la sentenziosità di cui Cervantes dà innume­ revoli prove nelle battute di Sancho Panza.

4. Citazioni problematiche per ragioni varie

Esaminiamo, infine, una serie di citazioni che per ragioni varie si presentano come problematiche. Anzitutto, di alcune citazioni gli autori della Sceneggiatura dichiarano di non ricordare la fonte. In Sceneggiatura, p. 173 gli autori affermano di non riuscire a ricordare donde sia stato tratto il passo “Dilapidate la gioia, sperperate l’allegria, siate tristi e taci­ turni con esuberanza” che in Sceneggiatura, p. 25 è attribuito ad Attilio. Purtroppo non sono riuscita a trovare niente in proposito. In Sceneggiatura, p. 174 gli autori segnalano che l'affermazione di Attilio, p. 25 della Sceneggiatura stessa, durante la ‘lezione di poesia’, “E da distesi che si vede il cielo”, è una citazione tratta da opera non più determinabile. Io credo che possa essersi verificato in questo caso qualcosa di simile a quanto si è verificato nel caso della citazione di Sceneggiatura, p. 8, che in Sceneggiatura, p. 165 è segnalata come ‘dispersa’141: come questa seconda è tratta in realtà dall’opera della Morante nota agli autori e sfruttata in Sceneggiatura, p. 9142, così sospetto che la citazione ‘di­ spersa’ segnalata in Sceneggiatura, p. 174, sia da riportare a quella stessa leggenda islamica che viene ricordata in Sceneggiatura, p. 134: infatti mi pare che le due af­ fermazioni. rispettivamente di Attilio, a p. 25, “è da distesi che si vede il cielo” (e Attilio aggiunge subito dopo: “guarda che bellezza! Perché non mi ci sono messo prima?”), e di Fuad, p. 134 “una leggenda islamica dice che ogni tanto Allah scende sulla terra perché ha nostalgia di rivedere la volta stellata da sotto!”, presentino un tema del tutto affine: il cielo visto dal basso/da distesi è così bello che attira perfino Allah. Dunque gli autori della Sceneggiatura potrebbero avere sfruttato due passi di­ versi (magari contigui o quasi) di un unico testo, cioè un’antica leggenda islamica, segnalandone uno tempestivamente (quello di p. 134), dimenticando invece la fonte dell'altro (quello di p. 25), peraltro a essi sicuramente nota perché appunto dichia­ ratamente utilizzata in altra parte della Sceneggiatura.

140 Uno dei più importanti scrittori spagnoli ed europei (1547-1616), creatore dell’immortale figura di Don Quijote (£/ ingenioso hidalgo don Quijote de la Mancha, 1605, 1615). 141 Cfr. sopra, p. 64. 142 Cfr. ancora p. 64.

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Altre citazioni sono troppo vaghe per poter essere identificate con precisione. “Cosa guardate? I poeti non guardano. Vedono, i poeti. Non ascoltano, sentono!’’, Sceneggiatura, p. 25. battuta di Attilio: citazione da opera imprecisata di J.L. Bor­ ges, come si ricorda in Sceneggiatura, p. 174. “Ogni volta che i tuoi occhi si sollevano nascono le stelle”, Sceneggiatura, p. 9, battuta di Vittoria: citazione da opera imprecisata di Abu al-Waidi Ahmad Ibn Zaidùn143, come viene ricordato in Sceneggiatura, p. 167. “Soffrire d'amore mi è gradito, non curatemi, poiché il veleno letale è nel gua­ rirmi-’, Sceneggiatura, p. 9, battuta di Vittoria: citazione da opera imprecisata di Muhammed ben Suleyman FuzùlT144. come viene ricordato in Sceneggiatura, p. 167. “Se tu potessi baciare le tue stesse labbra capiresti”, Sceneggiatura, p. 9, battuta di Vittoria: citazione tratta da L’ebrezza mistica da Abu 1-Qasim Muhammed ibn Ahmad al-Simawi al-Iraqi145, come viene ricordato in Sceneggiatura, p. 168. “La tua divinità maschia ascende al cielo”, Sceneggiatura, p. 9. battuta di Vitto­ ria: dal Rig Veda; la fonte è citata in Sceneggiatura, p. 168. “Lui sì che è un poeta...”, Sceneggiatura, p. 92, battuta di Fuad: per l’intera bat­ tuta in Sceneggiatura, p. 179 si fa il rinvio a un passo imprecisato della Storia me­ dievale di Al-Qushairi. “Nulla il tempo ha lasciato che possa affascinare i miei occhi e il mio cuore!”, Sceneggiatura, p. 101. battuta (in arabo) di Fuad: da La roccia di Al-Mutanabbi146. La fonte è citata in Sceneggiatura, p. 181. “Una leggenda islamica dice che ogni tanto Allah scende sulla terra...”. Sce­ neggiatura, p. 134, battuta di Fuad: leggenda islamica imprecisata, come viene ri­ cordato in Sceneggiatura, p. 183; si vedano anche le osservazioni sopra, p. 86. In Sceneggiatura, p. 96 Attilio afferma: “Possono spengere questa luce bellissima del sole che mi piace tanto tanto”, affermazione che in Sceneggiatura, p. 181. viene fatta risalire a un luogo imprecisato de La città del sole di Tommaso Campanella; ma un controllo da me effettuato sull’edizione curata da A. Savinio, Milano, Adel­ phi. 20013 non ha dato alcun risultato. In Sceneggiatura, p. 25 Attilio dice: “Fate soffiare in faccia alla gente la felicità” e gli autori, in Sceneggiatura, p. 173, riportano la battuta al Poema senza eroe di Anna Achmàtova; io ho effettuato un controllo sull’edizione Poema senza eroe e altre poesie, trad. ital. a cura di C. Riccio, Torino, Einaudi. 2006 (= 1966) della poe­ tessa russa, senza peraltro riuscire a rinvenire il passo.

143 Su questo poeta arabo-andaluso, vissuto tra il 1003 e il 1070. cfr. Gabrieli. La Letteratura araba cit., pp. 151 sgg. e l’introduzione di E. Terés in Ibn Zaidùn, Poesias, ed. y trad, de Mahmud Sobh, Pról. de E. Terés. Madrid 1985. pp. 11 sgg. 144 Poeta turco (1480-1555), autore di un canzoniere e di un poema (Ley la e Majnun), in cui dom­ ina il tema dell’amore, divino e umano. 145 Alchimista e poeta musulmano, vissuto nel sec. XIII. 146 Sull’importante poeta arabo Abu t-Tayyib al-Mutanabbi (Kufa 905 - Baghdàd 965) cfr. Gabrieli, La letteratura araba cit., pp. 138 sgg. (e E Gabrieli, Studi su al-Mutanabbi, Roma, IPO, 1972).

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Diverso il caso seguente. In Sceneggiatura, p. 57 è indicata la seguente battuta di Attilio: "Piove! ... Il pleut! ... Il pleure dans mon coeur come il pleut surla ville”, che in Sceneggiatura, p. 178. è segnalata come citazione abbreviata della poesia di P. Verlaine dal titolo Romances sans paroles (da Ariettes oubliées, III): “Il pleure dans mon coeur/corame il pleut sur la ville. / Quelle est cette langueur/ qui pénètre mon coeur?”147 (il resto della lirica qui non interessa). Ma nel film la battuta, pur del tutto adeguata e coerente148, è stata sostituita dalla citazione abbreviata della dannunziana Pioggia nel pineta, come ho già segnalato sopra, a pp. 41-42.

Infine, basterà un cenno essenziale alle citazioni da sceneggiature di pellicole e canzoni. In Sceneggiatura, p. 51, è posta in bocca a Attilio una citazione di P. Conte, Via con me in Si sbagliava da professionisti, a cura di V. Mollica e Valentina Pattavina, Torino, Einaudi. 2003. p. 48, “entra e fatti un bagno caldo, / c’è un accappatoio az­ zurro”, con leggera trasformazione: infatti Attilio invita Vittoria con le parole “Stai qui, ci facciamo un bagno caldo assieme... t’asciugo io, ti metto un bell'accappa­ toio azzurro...”. La fonte è citata in Sceneggiatura, p. 176. In Sceneggiatura, p. 174 viene indicata, come fonte della battuta di Attilio che leggiamo in Sceneggiatura, p. 112, la canzone “Ho scritto t'amo sulla sabbia” di Franco IV e Franco I. In Sceneggiatura, p. 52, è posta in scena la battuta “Sai di chi sei figlio tu? Di una grandissima puttanaaa..dal film II buono, il brutto e il cattivo di Leone. Vincenzoni. Incrocci e Scarpelli (per la regia di Leone). La fonte è citata in Sceneggia­ tura, p. 176. Dalla sceneggiatura di Prévert per il film Les enfants du Paradis di M. Carne, è presa la battuta di Attilio, in Sceneggiatura, p. 25. “E non cercate la novità, la no­ vità è la cosa più vecchia che ci sia”; ancora le parole di Prévert. ibidem: “Siate fe­ lici, dovete patire, star male, soffrire. Non abbiate paura di soffrire, tutto il mondo soffre”, forniscono lo spunto per la battuta di Attilio in Sceneggiatura, p. 25. En­ trambi i passi di Prévert sono indicati in Sceneggiatura, p. 173. Un cenno finale a Sceneggiatura, pp. 112 e 114, dove, in sottofondo, sono pre­ sentate scopertamente parole della canzone “Granada” cantata da Claudio Villa.

147 “Piange nel mio cuore / come piove sulla città. / Cos’è questo languore / che s’insinua nel mio cuore?”. 148 Verlaine è citato ad verbum direttamente in lingua originale, secondo modalità simili a quelle con cui viene effettuata la citazione di Shakespeare (cfr. p. 74). Attilio è stato appena lasciato da Vittoria; cerca di vendicarsi lanciando invettive contro di lei, ma in realtà è profondamente triste; per giunta comincia a piovere, quasi che la natura volesse partecipare alla tristezza di lui: dunque la pioggia as­ sume un significato metaforico, esattamente come nella poesia di Verlaine. Il passo dell’autore francese è perfettamente contestualizzato nella Sceneggiatura, dato che Verlaine indica la connessione tra la sua tristezza personale e il grigiore dell’ambiente: dunque sia nel contesto di partenza che in quello d’ar­ rivo è registrata la perfetta sintonia esistente tra il poeta e la natura nella tristezza. L’uso della lingua orig­ inale non crea nessuna discrepanza nel quadro della somiglianza di contestualizzazione.

III.

SIMBOLISMO, FILI CONDUTTORI, PERSONAGGI, TEMATICHE, LETTERATURA NELLA SCENEGGIATURA DEL FILM LA TIGRE E LA NEVE

In questa sezione del mio lavoro ho cercato di individuare in quale funzione gli autori della Sceneggiatura abbiano scelto determinate fonti; inoltre, se le abbiano uti­ lizzate nel loro complesso, transcodificate, per caratterizzare i personaggi cui volta per volta le ‘citazioni’ vengono attribuite, in eventuale compresenza con la trama simbolica sottostante allo sviluppo del racconto filmico. Mi sono proposta, conte­ stualmente, di identificare se, dove e a quale fine gli autori abbiano costruito mo­ menti di particolare ‘densità’ intertestuale, in cui cioè sia concentrato un numero particolarmente elevato di citazioni; e, infine, di ricostruire quale tipo di cultura degli autori emerga dalle citazioni letterarie sparse nella Sceneggiatura.

1. Aspetti di simbolismo 1.1. Elementi simbolici Possiamo cominciare dal titolo del film, tratto, come è stato variamente rilevato dai recensori della pellicola1, da un dipinto di Katsushika Hokusai2. Il titolo, oltre a risultare in sé criptico, è apparentemente del tutto sganciato dal contenuto del film stesso; in realtà, è del tutto pertinente sul piano simbolico, come emerge a conclu­ sione di pellicola e di azione. In una delle prime scene (scena 9, Sceneggiatura, p. 34), il poeta Fuad cita con lode la raccolta di poesie dell’amico Attilio, intitolata La tigre e la neve. La citazione si esaurisce lì per lì e non presenta ulteriori sviluppi sino alla scena dell'incontro di Attilio con Vittoria in casa di Attilio (scena 14 K, Sceneggiatura, p. 51 ). Qui Vitto­ ria menziona il titolo utilizzandolo come forma di adynatotv. dice infatti ironica­ mente ad Attilio che il loro matrimonio si potrà riallacciare solo quando lei, Vittoria, vedrà una tigre sotto la neve, non in modo generico, ma in modo circoscritto, una tigre sotto la neve all"interno della città di Roma: condizioni improponibili in si-

1 Alludo a Bolzoni {Avvenire 5 ottobre 2005), Mustara (TVSorrisi e canzoni 14 ottobre 2005), ET. (in RAI International online), Cicero (sito informatico www.ottoemezzo.com ); le recensioni sono state da me segnalate più avanti, nell’Appendice. 2 Pittore e incisore giapponese (Tokyo, 1760-1849), noto agli impressionisti europei, autore delle ‘36 vedute del Fuji', ‘100 vedute del Fuji’, ‘Le 53 stagioni del Tokaido’, etc.

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(nazione normale, come registra sconsolatamente Attilio. Di fatto, dunque. Vittoria esclude che il matrimonio si possa riallacciare. Effettivamente, nel seguito e per lungo tratto nelle scene in cui compare, Vitto­ ria mostra apertamente di non avere intenzione di recuperare il rapporto matrimo­ niale con il marito; per buona parte del film inoltre Vittoria non è in grado di formulare nessuna affermazione, perché è presentata come moribonda. Tuttavia nella parte finale si verifica qualcosa di imprevisto: un incendio fa scappare dallo zoo di Roma una serie di belve, tra cui anche una tigre. Siamo in un periodo dell'anno in cui i pollini vagano per l'aria creando una parvenza di leggera nevicata; proprio in queste condizioni Vittoria, in fase di guarigione e in atto di rientrare nella normalità di vita, passa in macchina, immersa appunto in una nuvola di pollini. Mentre guida, vede improvvisamente davanti a sé la tigre fuggitiva: una tigre sotto una (sia pur impropria) nevicata: a questo punto tra sé e sé vede realizzata e sciolta, per una serie di circostanze anomale, quella pregiudiziale, apparentemente irrisolubile, che aveva posto ad Attilio. Logica conseguenza della realizzazione delV adynaton è la caduta di ogni osta­ colo al ripristino del rapporto affettuoso col marito, un ripristino che nel film non si realizza davanti agli occhi dello spettatore, ma che traspare con evidenza assoluta nella scena finale. Allora, nei quadro complessivo del film, si capisce che il titolo La tigre e la neve indica copertamente e simbolicamente la parabola positiva di una storia d’amore. Il titolo è quindi simbolico, perché anticipa qualcosa che poi lo sviluppo del film chia­ rirà. cioè che per l'amore niente è impossibile. Così decodificato, in forza del suo valore simbolico il titolo costituisce una an­ ticipazione e una premonizione per lo spettatore: quest'ultimo viene posto in guar­ dia dal pericolo di attenersi ad una interpretazione letterale di ciò che vedrà durante la proiezione; gli si fa capire che dovrà decifrare il senso riposto di tutta una serie di particolari, che a conclusione della vicenda riveleranno la loro natura di simboli. Cercheremo, nel corso della trattazione, di identificare qualcuno di questi elementi nascosti. Nel titolo si può forse leggere anche altro. In un'intervista rilasciata durante una trasmissione televisiva3, posto davanti a una foto della moglie Benigni ha esclamato “è come quando trovi una montagna di neve. Dice il poeta: ‘se hai una montagna di neve, tienila alTombra’”, con trasparente al­ lusione alle attenzioni di cui egli fa oggetto la moglie stessa. La neve è un elemento naturale soggetto a rapido dissolvimento in assenza di determinate condizioni, dun­ que è qualcosa che va gelosamente curata e conservata. Sotto il ‘simbolo’ della neve si cela l'amore per la donna, che va preziosamente custodito. Sulla base di questa di­ chiarazione, possiamo identificare nel titolo di Benigni una velata confessione d'amore. Ma va aggiunto che nella sua dichiarazione Benigni stesso confessa di al­

3 Intervista rilasciata a Bonolis nella trasmissione ‘Il senso della vita’ ; questa intervista fu ricordata da Bonolis stesso durante una puntata di ‘Matrix’ condotta da Mentana, cui partecipava anche Sgarbi, il quale ultimo contribuì all’identificazione del titolo del libro di Balestra (cfr. poco sotto, nel testo).

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ludere al titolo di una raccolta di poesie di Tito Balestra, Se hai una montagna di neve tienila all’ombra4: dunque Benigni fa ricorso allo schermo letterario per espri­ mere il sentimento che prova. E viene così confermato il valore simbolico della ‘neve’. Ma se ‘neve’ indica, implicitamente, la donna Vittoria protagonista del film, 'tigre' indicherà probabilmente quanto a Vittoria si contrappone o si accompagna, dunque verosimilmente Attilio. Non basta. Fermo restando che il messaggio fondamentale del film è l’enfatizzazione della forza della poesia e del suo legame con l’amore, colpisce il fatto che la vicenda sia ambientata in Irak, nel contesto della seconda Guerra del Golfo. Ov­ viamente, nella scelta degli autori riveste un ruolo importante il peso della cronaca e della polemica politica mondiale; e alla base di questi fatti politici (che si tradu­ cono poi anche in fatti militari) sta la contrapposizione ideologica di messaggio mu­ sulmano - e musulmano significa anche sottosviluppo, povertà, sud del mondo contro messaggio cristiano-occidentale - che significa civiltà evoluta, ricchezza, nord del mondo —; una contrapposizione che nel momento storico attuale, che è il momento stesso in cui cade la vicenda del film, pare insuperabile. Nella Sceneg­ giatura, scena 14 K. tigre e neve sono presentati da Vittoria come elementi con­ trapposti e incompatibili l'uno con l’altro: pertanto non sarà forse azzardato identificare simbolicamente nell'opposizione ‘tigre vs neve’ la più grave inconci­ liabilità ‘sud del mondo vs nord dei mondo’, con l’equazione ‘tigre = sud del mondo / deserto’, ‘neve = nord del mondo’. E se ci atteniamo al campo più strettamente letterario, forse si potrebbe vedere nell’opposizione ‘tigre vs neve’ l’opposizione tra i due tipi di poesia che si con­ frontano nel corso del film, da un lato la poesia ‘attiva’ che riesce a prevalere sulle difficoltà della vita (la poesia di Attilio), dall’altro la poesia ‘passiva’ che si ‘scio­ glie’ di fronte alle stesse difficoltà (la poesia di Fuad). Ancora, su un altro versante5: la ‘neve’ può indicare il gelo di un cuore inaridito, ma anche implicitamente l'annuncio della primavera, che scioglie la neve6, mentre la ‘tigre' può simboleggiare, oltre alla ferocia, anche la vitalità. La varietà di tutte queste interpretazioni non è arbitraria, ma scaturisce dalla cripticità simbolistica che sta alla base del titolo (come dell'intero sviluppo) del film. Una cripticità studiata, che chiede comunque di essere decodificata. La scena d’apertura del film, scena 1, Sceneggiatura, pp. 5-10, presenta l’appas­ sionata dichiarazione d'amore di Vittoria nei confronti di Attilio. Essa è intessuta di reminiscenze di poesie d’amore di vari tempi e autori (Schwitters, Cardarelli. Boye,

4 L’opera è stata pubblicata a Milano, da Garzanti, nel 1979. Balestra (1923-1976) è autore anche di Qui pro quo (1974). Si può anche osservare che il libro di Balestra ebbe una recensione di Attilio Bertolucci, al cui nome Benigni s’è ispirato per chiamare ‘Attilio’ il protagonista del suo film, come hanno rilevato vari recensori del film La tigre e la neve (cfr. più avanti, l’Appendice). 5 Per questo punto seguo un suggerimento di Silvia Di Paola nella recensione a La tigre e la neve sul sito http.Z/www.ancci.it nel 2005 (cfr. più avanti, ['Appendice, p. 127). 6 E la primavera è presente nel nostro film: oltre che nella canzone introduttiva di Tom Waits, anche nel momento in cui Vittoria ha la ‘visione’ della tigre in mezzo alla ‘nevicata’ dei pollini, nel pre-finale.

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Beckett, Thomas, Morante, Tagore, Montale, Rig Veda, Majakovskij), con notevole presenza di poeti arabi (Ibn Zaidùn, FuzùlT, Iraqi, Hikmet): le scelte sono del tutto funzionali al tema sviluppato, ma sono accompagnate da un effetto straniatile de­ terminato dalla singolarità delle condizioni in cui le parole vengono pronunciate. Infatti il referente delle dichiarazioni d’amore di Vittoria, Attilio, è un individuo un po' particolare: egli nella circostanza specifica è rappresentato in abbigliamento intimo; e nel corso della cerimonia che lo riguarda si verificano degli ’incidenti’ non congrui con la ‘solennità’ del momento (la celebrazione ufficiale del matrimonio), come dirò più avanti (p. 102). Perciò la situazione del ‘contorno’ determina una vi­ stosa ‘deviazione’ ironica di quanto viene espresso a parole. La scena, con varianti, è ripresa in altri due momenti durante il complessivo svi­ luppo dell'azione, cioè nella scena 7, Sceneggiatura, pp. 22-23, e nella scena 19, Sceneggiatura, p. 63; nella prima, p. 22, Vittoria ripete la citazione di Hikmet e dà una nuova, prolungata citazione dalla stessa lirica di Majakovskij già riecheggiata nella scena 1; nella seconda, p. 63. ancora la donna ripete la citazione majakovskiana già proposta nella scena 7. L’iterazione e il reciproco completamento delle citazioni dello stesso autore e addirittura della stessa lirica provano che esiste un filo di continuità tra la scena 1. la scena 7 e la scena 19: è in realtà un'unica scena che viene disarticolata in tre ‘puntate’ e adattata alla situazione nuova che di volta in volta si determina durante lo sviluppo narrativo del film. Questa frammentazione ha la funzione di documentare la veridicità dell’affermazione di Attilio, p. 29 della Sceneggiatura (“io sogno sempre che c’è una specie di matrimonio ... c’è una donna che mi piace proprio da morire ...”): si tratta della messa in scena del sogno ricorrente di Attilio, che immagina che la moglie Vittoria, da cui è separato, voglia tornare con lui, sogno che nella terza e ultima ‘puntata’ si carica di significati freu­ diani nella ‘trasformazione’ di Vittoria in canguro che saltellando si dilegua. Le prime due ‘puntate’ raffigurano il momento in cui il sogno fotografa le spe­ ranze e le illusioni di Attilio; la terza simboleggia invece la disillusione di Attilio, che prende coscienza della realtà. Si potrà osservare di passaggio che la triplice ri­ petizione di una determinata azione è caratteristica delle fiabe di magia, in moltis­ sime delle quali l'eroe fallisce la prima volta, fallisce anche la seconda, mentre riesce vincitore la terza7; nel caso di Attilio, il modello della triplicazione è applicato a schema invertito, dato che la ‘terza volta’ segna non la vittoria, ma la sconfitta. Dal punto di vista del rapporto tra letteratura e rappresentazione filmica, preme sottolineare che in forza di tale iterazione della scena, alcune delle citazioni che vi si trovano si caricano di particolare valore, quasi fili conduttori di una ideale scenasequenza: è il caso di “e oggi so / che la terra / come una madre / dal viso di sole / allatta la sua creatura più bella”, citazione da Hikmet (cfr. p. 108), e di "uno stuolo di sogni / e di pensieri / mi riempie / sino all'orlo” e “ogni cosa è al colmo del fer­ vore, / dalla gola / alle stelle / si alza la parola / come su una cometa d’oro”, ampia citazione da Majakovskij (cfr. ancora p. 108).

7 II ricorrere sistematico della triplicazione dell’azione nella fiaba di magia è stato lumeggiato da V. J. Propp, Morfologia della fiaba, trad, ital., Torino, Einaudi, 1988 (= 1966), pp. 79 sgg.

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Tra le varie citazioni d'autore inserite nella scena 1, è particolarmente significa­ tiva, come ho appena detto, quella di Hikmet, relativa all'amore tra marito e moglie, dunque contestualizzata in modo del tutto appropriato (Vittoria manifesta il suo amore nei confronti del marito con le parole che in Hikmet hanno la stessa funzione nei confronti della moglie); ma accanto a tale citazione, Vittoria ne inserisce una tratta da un poema epico indiano, il Rig Veda, quasi a indicare allusivamente che At­ tilio è, ai suoi occhi di donna innamorata, un individuo super-umano. In altre parole, rivolgendosi agli astanti Vittoria per presentare la figura del suo sposo fa ricorso a citazioni da testi profani (Hikmet) e testi sacri (Rig Veda) insieme, quasi per indi­ care che Attilio è un essere più-che-umano. A conclusione della scena iniziale, gli autori stessi della Sceneggiatura pare vo­ gliano suggerire la corretta chiave di lettura: infatti a p. 10. alla provocatoria battuta di Vittoria ’‘voglio fare l'amore con te, adesso!”, Attilio risponde “questo è il più bel verso che abbia mai sentito in vita mia”, facendo implicitamente capire che tutte le parole pronunciate da Vittoria in precedenza sono appunto dei versi, o me­ glio, potremmo puntualizzare noi, delle citazioni (scoperte o coperte) di versi al­ trui. Alla stessa conclusione portano le didascalie segnalate in Sceneggiatura, p. 22, “Attilio è in brodo di giuggiole mentre ascolta i bellissimi versi d'amore che gli recita Vittoria” e “la ragazza termina la sua p o e s i a”. Dunque, come dicevo in apertura di paragrafo, si tratta di una serie di citazioni del tutto funzionali alla definizione di Vittoria come donna innamorata del suo uomo. In realtà, nel resto del film il carattere di Vittoria si mostra del tutto differente: ella è donna volitiva, piuttosto fredda nei confronti dell’ex-marito Attilio e disposta a recarsi in una Baghdàd in stato d’assedio pur di concludere l’intervista a Fuad. di cui sta scrivendo la vita, dunque una donna cui non si adattano le espressioni d'amore della scena iniziale. L’apparente incoerenza tra la raffigurazione di Vittoria nella scena iniziale (e nelle scene 7 e 19 collegate) e quella del resto del film si spiega alla luce della considerazione che la Vittoria della scena iniziale non è reale, ma è la Vit­ toria immaginaria, quale Attilio desidererebbe che fosse, perfettamente in sintonia con le parole poetiche che le vengono poste in bocca; mentre altrove Vittoria è la Vit­ toria reale, con le sue pecche e debolezze, del tutto aliena da voli poetici e, ancor più, da citazioni poetiche, fatto salvo peraltro l'arco evolutivo del suo modo di vedere le cose, di cui parlerò più avanti8. La scena 6, Sceneggiatura, pp. 17-22. presenta l’episodio deH’uccellino che si posa sulla spalla di Attilio bambino, colpendone la fantasia e la sensibilità e susci­ tando in lui il desiderio di comunicare e trasmettere adeguatamente le emozioni pro­ vate: un episodio in sé insignificante, ma significativo per chi ne sa scorgere la valenza poetica e addirittura simbolicamente allusivo nel seguito del film9, sempre nella direzione dell’ispirazione poetica. Nella nostra scena, la narrazione è preceduta dall'ironica definizione della ‘cacca intelligente’ del pipistrello10, con evidente al­

8 Si veda pp. 104-105. 9 Cfr. più avanti, p. 105. 10 Presente solo nella Sceneggiatura, non nel film.

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lusione all’impiego delle cosiddette ‘bombe intelligenti’ in occasione delle Guerre del Golfo: introduzione ironica e straniante rispetto alla successiva discussione, del tutto seria, sulla natura dell’ispirazione poetica, e contemporaneamente funzionale all’opposizione ‘guerra vs poesia’11. Va rilevato che nelle parole di Attilio la poesia (emblematicamente indicata con il ricorso alla rima)12 è lo strumento che consente di superare le situazioni diffìcili, addirittura la guerra, simboleggiata nel contesto dal pipistrello, animale di fama no­ toriamente sinistra13: dunque Attilio pronuncia indirettamente una lode della poesia come elemento non di semplice ‘contemplazione’, ma d'azione nella vita reale.

La scena 7 A, Sceneggiatura, pp. 23 sgg., presenta la lezione di Attilio poeta-do­ cente sulla natura della poesia e dell'amore. Le parole di Attilio sono compietamente intessute di reminiscenze e citazioni, soprattutto di ‘teorici’ di poesia e letteratura: Cocteau, Bloom, Bradbury. Prévert, Stanislavskij, Dante. Chesterton, Borges14. Attilio parla dell'esperienza dell'amore, come si traduce in poesia, in modo del tutto serio, quasi con entusiasmo; tuttavia, come si verifica nel caso della scena 1. la serietà delie citazioni è scenicamente contraddetta dal carattere estroso e strano di Attilio: il nostro professore-poeta nella sua disquisizione sistematicamente fa un'affermazione e poi immediatamente la smentisce: “su, su, svelti, veloci ... piano, eh, con calma, non v’affrettate”, “vi dovete innamorare! Vi deve battere il cuore forte dentro ... fino a bruciare. Dovete essere freddi, calcolare tutto, la poesia è nu­ mero, rigore, ghiaccio!”, “siate originali, imitate, copiate”, “questo deve rimanere scritto qui per sempre..., forza, cancellate tutto”: una serie di incoerenze che deter­ minano una condizione di straniamento e suscitano il sorriso negli spettatori. La se­ rietà dei contesti di partenza è dunque apparentemente smentita dal complessivo contesto di arrivo. La funzione della discrepanza pare piuttosto chiara: evidenziare quel pizzico di follia che Attilio, in quanto poeta - e ‘poeta’, appunto, si definisce egli stesso a più riprese15 -, presenta nell’azione filmica; una stranezza connaturata alla caratteristica di Attilio di avere ‘la testa tra le nuvole’ (ma anche i piedi ben piantati per terra nel momento del bisogno di agire, come risulterà nelle scene suc­ cessive). La scena 9, Sceneggiatura, p. 31. ha la duplice funzione di presentare la figura del poeta Fuad e di propiziare rincontro imprevisto tra Attilio e Vittoria. Vorrei sof­ fermarmi brevemente sul primo aspetto.

11 Su questa opposizione mi soffermo più avanti, pp. 112-114, 117. 12 “Pipistrello, oh, pipistrello, sei tanto bello, sulla tua destra c’è la finestra!”; “caro ragno, esci dal bagno!”; “topo, ci vediamo dopo”, tutte battute di Attilio. 13 L’osservazione vale per il folklore occidentale; in altre culture e civiltà il pipistrello è legato a sim­ bolismo ambivalente, può essere portatore di bene o di male: cfr. J. C. Cooper, Dizionario degli animali mitologici e simbolici, trad, ital., Vicenza, Neri Pozza, 1997 (l’originale inglese risale al 1992), pp. 266­ 268. 14 S’aggiunga una citazione da Bécquer, non ‘teorico’ di poesia, ma poeta. 15 Per l’esattezza, nella scena in cui descrive alle figlie come s’è accorto di avere la stoffa per la poe­ sia (scena 6, Sceneggiatura, p. 21) e nella scena del posto di blocco (scena 56, Sceneggiatura, p. 129).

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Fuad viene presentato in atto di leggere in lingua originale la lirica Song di Pound. Alla fine della lettura, all’entusiasmo degli spettatori fa eco quello di Atti­ lio, che aggiunge un giudizio inequivocabile, "hai sentito che bellezza quella poe­ sia? ... da spaccare” e "questo [cioè il poeta Fuad] fra quattro, cinque anni ... vince il Nobel!”. Il giudizio è mistificante, dato che la poesia di eccezionale bellezza non è opera di Fuad. ma. come ho ricordato, di Pound; il fatto è che a Attilio preme sot­ tolineare che Fuad è l'incarnazione della poesia stessa, come si vedrà nel seguito del film, e l'attribuzione a lui di un'opera di uno dei ‘padri" della letteratura novecen­ tesca va proprio in questa direzione. Scena 14 I. Sceneggiatura, p. 48: Attilio inciampa salendo le scale in compagnia di Vittoria, mentre pronuncia alcune parole della lirica di Xenia li. dedicate da Mon­ tale alla moglie; l'incidente, in sé banale, ha tuttavia una funzione precisa, quella di richiamare il ‘ruzzolone’ con cui Attilio definisce la sua relazione con Nancy in Sce­ neggiatura. p. 2716: solo così si giustifica l'ironico commento di Vittoria, "ti sta bene! Così impari!”, cioè, si può intendere, "questo scivolone è la punizione per il tuo precedente scivolone con Nancy”. La successiva citazione di Neruda, “voglio fare con te ciò che fa la primavera coi ciliegi!”, Sceneggiatura, p. 53, mira a ‘sdrammatizzare’ la situazione, perché si pro­ fila il rischio che Vittoria capisca che i preparativi, che Attilio le vuol far credere avessero lei stessa come destinataria, in realtà erano in origine destinati ad altri (ad Attilio stesso, per opera di Nancy). Nella scena 39, Sceneggiatura, p. 96, l’atteggiamento assunto da Attilio nel pa­ rafrasare il canto funebre di Auden ha una precisa funzione sdrammatizzante e de­ precatoria: esorcizzare il timore che Vittoria muoia e con la sua dipartita renda del tutto inutile la vita del suo marito-innamorato. Sia Auden che Attilio elencano l’in­ terruzione di una serie di azioni e di fatti del tutto banali e quotidiani, per indicare che la morte della persona amata rende inutile la vita in tutte le sua manifestazioni e che, alla morte dell’essere amato, niente è più come prima per chi sopravvive. Ma in questo tipo di contesto epico-tragico Attilio abbassa volutamente il tono lingui­ stico, con la menzione di tutta una serie di ‘cose’ assurde17. Inoltre dopo la parafrasi audeniana. da considerare in sé come una specie di ‘parentesi’ strutturale, un ‘in­ termezzo’ comportante una sospensione dell’azione e uno spazio alla riflessione, Attilio si richiama alla realtà concreta - cioè alla ripresa urgente dell'azione, in fun­ zione delle cure per Vittoria - con il banale (e involontariamente ironico) “le zuc­ chine... le zucchine...”, passando da un atteggiamento sconsolato (il solo presente

16 Nancy: “quando sono caduta innamorata di te, tu ...”. Attilio: “io, io sono caduto innamorato di te perché tu sei caduta innamorata di me. Abbiamo fatto un bel ruzzolone insieme”. Va notato che per impostare il gioco di parole gli estensori della Sceneggiatura volutamente fanno ricorso a un francesismo (“cadere innamorato” è calco del francese “tomber amoureux”, che è il corrispettivo del nostro “in­ namorarsi”). 17 “Si possono portar via tutto,... la sabbia, il vento, le rane, i cocomeri maturi, la grandine, 7 del pomeriggio, maggio giugno luglio, il basilico, le aquile, il mare, le zucchine... Le zucchine...”.

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nel testo audeniano, che è lirica in sé conclusa) a un atteggiamento operativo, ri­ creando un contesto che riporta alla situazione concreta del momento. La parafrasi del testo di Auden viene in qualche modo anticipata nella scena in cui Attilio, a casa sua, confessa a Vittoria di vederla in ogni cosa, Sceneggiatura, p. 55: infatti in entrambi i casi Attilio vuol sottolineare quanto Vittoria sia per lui in­ dispensabile.

Scene 58, Sceneggiatura, p. 132, e 58 B. Sceneggiatura, p. 134. Mentre Fuad e Attilio vagano per Baghdàd incuranti del coprifuoco, il poeta arabo narra all’amico la novella 351 delle Mille e una notte1*, per far capire a Attilio che il suo rientro in patria è determinato dal suo destino personale. Per evidenziare la stoltezza del­ l'uomo, che distrugge tutto, perfino se stesso, Fuad fa ricorso a due massime tratte dalla letteratura sapienziale, Tuna relativa alla proverbiale Torre di Babele (Sce­ neggiatura, p. 134), l’altra attinta da Tristi tropici di Lévi-Strauss (Sceneggiatura, p. 135); la stoltezza è tanto più colpevole, perché distrugge quella natura di cui Allah stesso si compiace (anche questo concetto è formulato con ricorso alla tradizione po­ polare)18 19. Ancora una massima sapienziale nella successiva scena 58 C. questa volta attinta dal Taoismo, “fa più rumore un albero che cade di una foresta che cresce” (Sceneggiatura, p. 135). posta a indicare quanto il coinvolgimento personale sia im­ portante nella valutazione della scala dei valori. Questo insieme di citazioni forni­ sce un'idea precisa di Fuad nella dimensione di poeta sapienziale, saggio ma avulso dalla realtà. Inoltre, nella scena 58 A, Sceneggiatura, pp. 133-134, scena che fa blocco con le scene 58, 58 B, 58 C, cui ho accennato sopra, Attilio e Fuad ammirano estasiati il cielo notturno di Baghdàd. Ho già ricordato (a pp. 21, 62) che la poeticità della situazione è evidenziata dalle formulazioni linguistiche impiegate nella Sceneggia­ tura, che prevedono l’impiego di un lessico poetico, appunto (il verbo ’baluginare’). Protagonista della scena è ancora Fuad, che per definire lo spettacolo fa ricorso, lui poeta arabo, ad alcune citazioni di poeti arabi, prima Adonis20, poi Azzàwi21. infine un testo anonimo22. La figura di Fuad in quanto poeta pienamente calato nel dramma che sta vivendo la sua terra, dopo alcuni spunti sporadici precedenti (per esempio nelle scene 9, 39, 40), trova qui la manifestazione più evidente: è un poeta che fun­ zionalmente, per esprimere le sue idee, fa ricorso alla poesia propria della sua cul­ tura. Dunque un poeta coerente nel vivere la poesia, ma per ciò stesso poco capace di adattarsi alla realtà.

Scena 77, Sceneggiatura, p. 153. Non nell’azione fìlmica, ma nella didascalia conclusiva della Sceneggiatura, p. 162, viene citata la parte finale della lirica // ve-

18 Solo nella Sceneggiatura. Nel film la fiaba è solo ricordata, con il numero progressivo che la de­ nota nella raccolta, non viene narrata diffusamente. Io ne ho riportato il testo sopra, a p. 49. 19 La tradizione popolare si incarna nella leggenda islamica citata da Fuad, Sceneggiatura, p. 134. 20 Battuta “Il cielo di Baghdàd è il guanciale della notte”, Sceneggiatura, p. 134. 21 Battuta “Sembra che sparino angeli!”, ancora Sceneggiatura, p. 134. 22 La leggenda islamica citata poco più avanti, nella scena 58 B, come ho ricordato sopra, p. 87.

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gelale di Penna, con piccolo adattamento, nella forma “Oltre quel cancello aperto, nel silenzio, si sente appena il dolce rumore della vita". La scena è importante nel­ l'economia del film, come ho già accennato sopra e come dirò più avanti23: Attilio nel baciare Vittoria ne sfiora le palpebre con la sua stessa catenina; Vittoria con un'illuminazione improvvisa ricorda ciò che le era successo mentre era in stato di coma a Baghdàd; e mentre prima pensava di essere stata salvata da un medico lo­ cale, ora nel subconscio ella realizza che è stato proprio Attilio che l’ha salvata e ri­ comincia a sorridere con indulgenza per la distrazione del marito, come ai tempi della loro unione; lo spettatore capisce che il rapporto tra Vittoria e Attilio si ricu­ cirà, come implicitamente anticipato dalla scena della tigre sotto la neve (scena 76. Sceneggiatura, p. 153)24. In questo contesto, la citazione di Penna, dal tono pacato e rassicurante, sottolinea il ritorno alla normalità e fornisce dunque la chiave di let­ tura dell'intera scena. 1.2. Ripetizioni allusive

Nella Sceneggiatura (e nel film) vari particolari vengono ripetuti durante lo svol­ gersi dell’azione. Il fatto importante è che non si tratta di ripetizioni occasionali, ma sempre funzionali alla dimostrazione di un qualche assunto. Le ripetizioni ac­ quistano poi una funzione ancora più marcata quando aprono e chiudono ‘a cornice’ determinati episodi. Possiamo prendere le mosse dalla scena iniziale del film: la presentazione del sogno d'amore di Attilio viene introdotta e accompagnata per tutta la sua durata da una canzone d'amore di Tom Waits cantata dall'autore stesso25, “You can never hold back spring”, brano che viene poi ripreso nelle successive due iterazioni del sogno stesso26. Essendo canzone d’amore è perfettamente appropriata al contesto filmico che prevede appunto una dichiarazione d’amore. La stessa canzone viene parzialmente riprodotta in sottofondo nella scena conclusiva del film. La ripetizione è evidente­ mente allusiva: insieme con altri segni (la sbadataggine di Attilio, l’uccellino che si posa sulla spalla di Vittoria) sottolinea il cambiamento della disposizione d’animo di Vittoria nei riguardi di Attilio, il totale coinvolgimento di Vittoria nel mondo di lui e il realizzarsi del “sogno” iniziale di Attilio stesso. Dunque la ripetizione della

23 Cfr. pp. 16 e 102. 24 Cfr. sopra, pp. 16 e 90. 25 Chiamato a far parte del cast. 26 Testo di Tom Waits e Kathlenn Brennan. Del testo viene proposta una traduzione da parte di P. Nussio nella recensione on line del film che ci interessa (per tale recensione cfr. più avanti, VAppendice, p. 128). La traduzione suona così: “Non puoi mai fermare la primavera. / puoi essere sicuro che io non smetterò mai di crederci, / la rosa si arrampicherà mentre arrossisce: / salta su o cade indietro. / la pri­ mavera davanti o l’autunno indietro, / e gli inverni sognano ogni volta lo stesso sogno. // Non puoi mai fermare la primavera, / anche se ti sei perso per strada / il mondo continua a sognare di balzi e di pri­ mavera, / e allora chiudi gli occhi ed apri il tuo cuore / a colui che sta sognando di te. // Non puoi mai fermare la primavera, / dolcezza, / ricordati di tutto ciò che può portarti la primavera, / non puoi mai fer­ mare la primavera”.

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canzone ha la funzione di segnare la ciclicità della storia filmica, che si apre nel segno dell'amore e nello stesso segno si chiude.

Uno dei tratti salienti del carattere di Attilio è l’innata tendenza alla distrazione e alla sbadataggine. Possiamo enucleare e seguire qualche episodio di tale distra­ zione. Il segno a cornice più evidente è quello, apparentemente banale, dell’incapacità di Attilio, per distrazione, di sistemare la propria auto in modo tale da poterla facil­ mente ritrovare e del vizio di dimenticarla sistematicamente in luoghi vietati. Nella scena 1. relativa al sogno di Attilio, irrompe il vigile minacciando il poeta di fargli rimuovere la macchina; nella replica del sogno, scena 7, il vigile fa la stessa minaccia27. Un ulteriore momento di distrazione di Attilio in merito al parcheggio della macchina si registra alla fine del colloquio con Nancy, dopo la lezione di poe­ sia (è Nancy infatti a ricordargli il luogo del parcheggio, scena 7 A. Sceneggiatura, p. 28), e persino in aeroporto quando ancora una volta, nel momento psicologica­ mente delicato del congedo definitivo da Nancy, Attilio chiede alla donna di ricor­ dargli il luogo del parcheggio, suscitandone il sorriso (scena 18, Sceneggiatura, p. 62). All’atto della conclusione del film, Attilio, appena congedatosi e scomparso, ri­ compare bruscamente sulla scena per chiedere a Vittoria di ricordargli il posto del parcheggio, scena 77. Sceneggiatura, p. 161; è significativo che in questa scena fi­ nale la sbadata richiesta di Attilio sia accompagnata non da un moto di dispetto o di compatimento da parte di Vittoria ma da una reazione di partecipata comprensione (Sceneggiatura, p. 162): la donna, ormai conquistata dal mondo della poesia, è in grado di capire perfettamente la distrazione di Attilio. Il film, dunque, si apre nel segno della distrazione di Attilio e si chiude nello stesso segno, a dimostrazione che il nostro poeta, nonostante la maturazione rag­ giunta nel suo ideale percorso di perfezionamento, è sempre coerente con se stesso e riesce alla fine a farsi accettare e addirittura a coinvolgere gli altri nel suo mondo. Vediamo un secondo segno, della medesima natura del precedente, la confusione e lo scambio delle giacche. Nella scena 9 (Sceneggiatura, p. 35), alla fine del recital di Fuad. nella foga di seguire Vittoria che si sta allontanando, Attilio inavvertitamente prende e indossa una giacca di varie misure più grande della sua. Così abbigliato raggiunge Vittoria e si siede al bar con lei. Mentre si svolge rincontro. Attilio riceve una telefonata da parte del proprietario della giacca scambiata, il quale lo raggiunge per riportare la situa­ zione alla normalità28. L’episodio, in sé circoscritto, non ha nessun ulteriore svi­ luppo. Tuttavia, nella scena finale del film, proprio all’atto del commiato da Vittoria. At­ tilio preso dall’emozione per aver rivisto la moglie in salute, dopo averla lasciata a Baghdàd in un letto di ospedale, scambia sbadatamente la giacca di Vittoria con la

27 A conferma della sbadataggine di Attilio, benché in questo caso non in relazione al parcheggio della macchina, Vittoria, sempre nella scena 7, è costretta a ricordare al marito il suo impegno nei riguardi delle figlie, che, in macchina appunto, egli deve accompagnare a scuola. 28 Scena 10 D, Sceneggiatura, p. 41, e scena 12, Sceneggiatura, pp. 42-43.

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sua, accorgendosi peraltro dell’errore subito dopo e ponendovi rimedio (Sceneg­ giatura, p. 160). Anche in questo caso l’episodio non ha seguito, come è ovvio, dato che il film immediatamente dopo si conclude. Va però rilevato che in entrambe le circostanze lo scambio di giacca non solo sottolinea l’innata distrazione di Attilio, ma evidenzia anche come essa diventi particolarmente marcata in occasione degli in­ contri di Attilio con la moglie, alla vista della quale egli perde letteralmente la testa e compie atti inconsueti o ingiustificati, in sé ridicoli, ma in realtà spia di sentimenti profondi. Lo ‘scambio di giacca’ diventa un involontario segno d'amore.

*** Altri due segni della distrazione di Attilio sono meno significativi o hanno co­ munque diversa valenza. Uno è quello relativo al fatto che durante la lezione Attilio non trova più i suoi ap­ punti, suscitando il riso degli studenti (Sceneggiatura, p. 25): l’episodio non ha alcun seguito. L'altro è quello relativo alla leggerezza di Attilio nell’affrontare un problema di tipo amministrativo e all'impossibilità, per lui, di dare seguito alla tempesta di tele­ fonate con cui l’avvocato lo perseguita nei momenti meno opportuni: in questo caso peraltro non si può parlare di distrazione di Attilio ma, semmai, di sottovalutazione della situazione iniziale da parte del nostro poeta e, comunque, di impossibilità og­ gettiva, per lui, di ottemperare alle richiesta dell’avvocato stesso, a causa della si­ tuazione drammatica in cui versa. Nella serie di telefonate dell'avvocato si può identificare una specie di sotto-trama (sub-plot)29, con un finale ben preciso (a causa delle sue inadempienze, sottolineate dall'avvocato, Attilio appena rientrato dall'Irak viene arrestato), avente lo scopo di sottolineare che di fronte alla salute di Vittoria tutto per Attilio è secondario.

* **

In una delle scene iniziali del film (scena 3, Sceneggiatura, pp. 11 sgg.), Attilio a sorpresa accompagna le figlie allo zoo. In occasione di questa visita il padre ha uno scambio di battute con la figlia mag­ giore: la ragazza si sfoga nei confronti di un giovane a lei ben noto, pronunciando nei suoi riguardi parole poco simpatiche, ma in modo tale da far capire al padre che in realtà lei ne è innamorata30: ATTILIO: “ti sta antipatico...”. Figlia: “oh antipaticissimo, proprio odioso”. ATTILIO: “in­ somma sei innamorata di lui”. Figlia: “sì”. ATTILIO: “tanto”. Figlia: “tantissimo”.

Successivamente Attilio impara da un domatore la parola-chiave (“abdhumma!”) per impartire ordini a cammelli o dromedari e sperimenta subito l’efficacia degli in­ segnamenti (Sceneggiatura, pp. 14-17). 29 Cfr. sopra, p. 17. 30 La scena nel film è ridotta rispetto alla stesura della Sceneggiatura.

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Orbene, entrambi gli episodi, in sé ‘divertenti' ma apparentemente privi di se­ guito, acquistano diversa risonanza se posti in rapporto con momenti successivi. In­ fatti da un iato le parole-chiave per impartire ordini ai cammelli si rivelano preziose per Attilio una volta in Irak, quando grazie ad esse egli riuscirà a farsi trasportare da un cammello ‘intelligente’ in grado di capire gli ordini (Sceneggiatura, p. 119); dal­ l'altro, la figlia di Attilio, grazie agli ‘insegnamenti' del padre sarà in grado di de­ codificare le parole stizzose della madre nei confronti del marito, nella scena 77, Sceneggiatura, pp. 156-157: Vittoria: “prima sparisce... poi arriva aH’improvviso quando vuole lui!”. FIGLIA: “in­ sopportabile, eh?”. VITTORIA: “sì, brava ..., proprio insopportabile!”. FIGLIA: “non ne puoi più, eh. mamma?”. VITTORIA: “sì, brava ..., non ne posso proprio più?”. FIGLIA: “in­ somma sei proprio innamoratissima di lui! Eh?”. VITTORIA: “sì!”.

Sia nel primo caso (quasi ovvio trattandosi di ordini da impartire in modo pre­ ciso) sia nel secondo caso, la ripresa a distanza è una ripresa non solo tematica, ma proprio verbale. Dunque la “autoallusività” nel film è evidente: nelle due direzioni indicate sopra la scena dello zoo si configura come allusione anticipata a fatti suc­ cessivi. Si può aggiungere un'ulteriore considerazione: lo zoo assume un’importanza notevolissima anche perché per ragioni imprevedibili - un incendio improvviso che pone in libertà gli animali rinchiusi - libera la tigre, la cui apparizione scioglierà agli occhi di Vittoria V adynaton precedentemente formulato da Vittoria stessa, uno scio­ glimento che è fondamentale per l'interpretazione di uno dei nodi centrali del film. In una scena di poco successiva a quella che abbiamo esaminato poco sopra, pre­ cisamente nella scena 10 B, che prevede l'incontro tra Attilio e Vittoria, dopo il reci­ tal di Fuad. Attilio nel tentativo di convincere Vittoria a tornare con lui si lascia andare a un vaniloquio (presente nella sceneggiatura, ma eliminato nel film), che lascia Vit­ toria interdetta; tra l'altro insiste a lungo, in modo del tutto immotivato e incoerente, sulla totale chiusura delle farmacie in tutta Roma (Sceneggiatura, pp. 38-39). Questo particolare non ha nessun aggancio nel contesto del momento, come sot­ tolinea Attilio stesso in un “a parte” (Sceneggiatura, p. 39); tuttavia più avanti, dopo che l'azione si è spostata a Baghdàd, vediamo Attilio che, con Fuad. cerca disperata­ mente una farmacia aperta in cui procurarsi le medicine indispensabili per tenere in vita Vittoria: anche in questo caso le farmacie sono tutte chiuse, come rileva sconfor­ tato Attilio (Sceneggiatura, pp. 88, 90), e questa volta con ben altre conseguenze per lo sviluppo successivo dell’azione: la chiusura delle farmacie a Baghdàd è perfetta­ mente funzionale all’azione filmica e del tutto coerente con il quadro narrativo, per­ ché crea il contesto ‘ostile’ in cui deve muoversi l'eroe della storia. Pertanto, a posteriori si può identificare nella chiusura delle farmacie romane una inconscia anticipazione da parte di Attilio di un fatto che più tardi lo coinvolgerà esi­ stenzialmente. Questa chiave di lettura è del resto implicitamente suggerita dalla Sce­ neggiatura stessa, ove, p. 101, Attilio dice a Vittoria (che peraltro è in coma) “ ... ma lo sai che erano chiuse le farmacie ... guarda la combinazione, anche a Ba­ ghdàd!”.

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Attilio, in occasione dell’incontro con Vittoria nel suo appartamento romano, scena 14 K, Sceneggiatura, p. 55, confessa appassionatamente alla moglie che egli, in tutte le circostanze e in tutti i particolari della vita, vede sempre e continuamente lei: ‘’ti vedo dappertutto ... sei questo libro, sei questa schiuma dello champagne ... in ogni cosa creata c’è dentro il tuo cuore ...”: Vittoria è dunque per Attilio il mo­ tivo stesso della vita e senza di lei la vita sarebbe vuota e insignificante31. Questa af­ fermazione si carica di ironia, immediatamente dopo, nel momento in cui Attilio si accorge che, mentre egli parlava, Vittoria si è defilata piantandolo in asso; e la scena della confessione d'amore si conclude (solo nel film, non nella sceneggiatura) in un modo imprevedibile quanto incomprensibile e immotivato: Attilio rabbioso per la de­ lusione minaccia di portare la moglie in tribunale32. Pertanto la confessione di Atti­ lio. pur sincera, si presenta agli occhi dello spettatore, come esagerata e dunque perde un po’ di credibilità. Più avanti, spostatasi l’azione a Baghdàd. Attilio viene accompagnato da Fuad in casa di un vecchio e portentoso farmacista, amico di famiglia, probabilmente in grado di suggerire un rimedio efficace per la guarigione di Vittoria, Al-Giumeili (scena 38, Sceneggiatura, pp. 93 sgg.). Questo personaggio, pur non ricoprendo un ruolo importante nel film considerato nel suo complesso, è presentato come indivi­ duo di squisita sensibilità e umanità. Parlando con lui, Attilio lo scongiura di fare il possibile per Vittoria moribonda, sottolineando che per lui. Attilio, la scomparsa della moglie renderebbe incomprensibile e insignificante tutto ciò che esiste (Sce­ neggiatura, p. 96). La richiesta di Attilio è formulata tramite parafrasi di Funeral Blues, famosa lirica funebre di Auden, dunque è una specie di epitaffio ‘anticipato’ di Vittoria, che si carica di un forte pathos. Al-Giumeili. che nella finzione scenica parla e capisce solo l’arabo, pur non comprendendo le parole di Attilio, resta colpito dalla carica emotiva che il tono di Attilio stesso trasmette, forse rivivendo indiret­ tamente il suo proprio amore per la moglie molto amata, morta parecchi anni prima (Sceneggiatura, p. 97). Dunque, nel nuovo contesto la confessione di Attilio è assolutamente seria e coinvolgente per chi lo circonda e per lo spettatore. Allora, ripercorrendo a ritroso l'azione, nella prima scena, la 14 K. si può identificare la stessa sincerità che si ri­ trova innegabilmente in questa seconda scena, la 38, tematicamente affine alla prima: Attilio è sempre seriamente e costantemente convinto del suo amore per Vit­ toria.

Tra gli episodi conseguenti alla guerra a Baghdàd. di cui parlerò più diffusamente

31 Nella scena 10 D, Sceneggiatura, pp. 40-41, Attilio parlando con Vittoria nega che la moglie sia in cima ai suoi pensieri, ma nella circostanza, in realtà, mente spudoratamente, come confessa egli stesso più avanti, nella scena 14 K. 32 Si noti che la battuta “ti farò causa” nella sceneggiatura è posta in bocca ad Attilio nella scena in cui Vittoria per liberarsi di Attilio simula l’incidente di auto (scena 21 C, Sceneggiatura, p. 67): in tale scena la minaccia ha una sua logica d’essere, in con siderazione dello svolgimento reale dei fatti. Questa scena nel film è stata soppressa e la battuta in oggetto è stata trasposta e anticipata nella scena dell’in­ contro tra Attilio e Vittoria (ove invece è ignorata nella versione scritta) in modo volutamente impro­ prio, così da suscitare l’ilarità dello spettatore.

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tra poco, Attilio ne registra uno che lo coinvolge in prima persona: mentre Vittoria giace incosciente su un lettino dell’ospedale di Baghdàd, un ladruncolo cerca di sot­ trarle una collanina; Attilio giunge appena in tempo per sventare il furto e su consi­ glio del dottore dell’ospedale decide, per ragioni di sicurezza, di indossare l’oggetto egli stesso in prima persona (Sceneggiatura, pp. 105-106). Subito dopo deve allon­ tanarsi da Vittoria per procurarsi le medicine del caso; dà un bacio alla moglie, quasi che ella fosse ancora in sé, e nell'atto la collana che egli reca al collo sfiora il viso di Vittoria; quest’ultima azione viene ripetuta da Attilio in occasione successiva, con Vittoria ancora sofferente (Sceneggiatura, p. 136), e questa volta la donna im­ percettibilmente si accorge della cosa. Come altre volte, si tratta di un particolare minuto, che non ha apparentemente un seguito. In realtà è un episodio molto significativo. Nella parte finale del film (scena 77, Sceneggiatura, pp. 153 sgg.) Attilio va a trovare Vittoria e gli viene rife­ rito che la moglie è stata in fin di vita e che è stata salvata da un misterioso medico italiano a Baghdàd. Alla fine della visita. Vittoria confessa a Attilio di avere asso­ luto bisogno di riposo; il marito l’aiuta a sdraiarsi su un divano, in giardino, e si china a baciarla al momento del congedo; nell’occasione la collanina sfiora il viso di Vittoria (Sceneggiatura, p. 160). Proprio questo particolare fa scattare nel sub­ conscio di Vittoria il meccanismo che le consente di collegare il momento attuale a un momento precedente (quello di scena 59, Sceneggiatura, p. 136) e quindi di iden­ tificare nell’attuale proprietario della collana il “medico curante” di Baghdàd: così Vittoria riconosce proprio in Attilio l'ignoto che l'ha salvata. Nella tecnica della commedia, si parlerebbe di una scena di agnizione determinata dal ‘segno di rico­ noscimento’, la collana appunto. Questo segno, inizialmente insignificante, acquista dunque un'importanza asso­ lutamente fondamentale nella felice soluzione della storia d'amore, su cui si im­ pernia tutta la vicenda, e completa nel modo più efficace la serie degli altri segni disseminati nella scena finale del film.

La scena iniziale del film pone una serie di premesse utili per la comprensione dell'intera vicenda. Attilio e Vittoria si sposano; colpisce che l'iniziativa in occasione del matrimo­ nio sia completamente in mano a Vittoria, mentre Attilio si limita ad assecondare la donna. La presentazione che Vittoria fa dell'uomo che intende sposare è altamente poe­ tica e simbolica33. Viene interrotta dall’irruzione di un vigile che pone un ultimatum ad Attilio perché sposti la macchina dal divieto di sosta. Questo particolare, ironico e banale, ha sicuramente la funzione di “sdramma­ tizzare” la solennità dell'atto posto in scena; ma, come ho ricordato a pp. 92, 98, ha anche la funzione parallela di definire la sbadataggine di Attilio, già anticipata dal fatto che Attilio stesso si è presentato in abbigliamento intimo, anziché con il decoro richiesto dalla situazione (non per niente Vittoria è in abito rigorosamente bianco), e con il telefonino in mano. 33 Cfr. sopra, pp. 91-93 e, più avanti, pp. 107-108.

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La scena del matrimonio si ripete poco dopo, nella scena 6, Sceneggiatura, p. 22, con le stesse caratteristiche e con il particolare aggiuntivo, che Attilio dimentica di avere un appuntamento e non ricorda dove ha parcheggiato la macchina. Solo suc­ cessivamente, per bocca di Attilio, veniamo a sapere che questa scena nel suo svol­ gimento non è reale, ma è sognata dal poeta innamorato (Sceneggiatura, p. 29); cominciamo allora a capire perché l’iniziativa sia sempre assunta da Vittoria: Atti­ lio sperava che Vittoria non solo acconsentisse a stare con lui, ma addirittura e ine­ quivocabilmente lo sollecitasse a ciò. La chiave definitiva dell'interpretazione è fornita poco dopo. Infatti la scena del matrimonio si ripete per la terza volta, ma con segno nettamente diverso (scena 19, Sceneggiatura, pp. 62-64) : Vittoria as­ sume le parvenze di un canguro, quasi per mettere alla prova la profondità del sen­ timento di Attilio; Attilio spaventato dall'aspetto esteriore di Vittoria è incapace di scendere in profondità, si allontana temporaneamente da lei, suscitando così l’indi­ gnazione di Vittoria, che fugge via inutilmente pregata da un resipiscente Attilio (di­ dascalia di p. 64 della Sceneggiatura: “il sogno adulto e simbolico di Attilio finisce così”, cioè ‘Attilio finalmente prende coscienza che il sogno non si può realizzare’). Comprendiamo dunque che alla base del sogno di Attilio c’è il desiderio di stare con Vittoria, frustrato e vanificato da qualche errore precedentemente commesso. Quale sia stato questo errore, ce lo chiarisce la conclusione della scena della le­ zione di poesia di Attilio agli studenti stranieri (scena 7 A). Alla fine della lezione infatti, un breve ma intenso scambio di battute tra il poeta e la sua collega Nancy ci fa capire non solo che tra i due esiste una relazione, ma che questa relazione è con­ siderata da Attilio “un ruzzolone”, una caduta, cioè un errore. E uno scivolone, que­ sta volta in senso stretto, compie successivamente Attilio, mentre sale le scale con Vittoria, che è venuta a trovarlo a casa; e lo compie proprio nel momento in cui for­ mula, tramite una citazione montaliana. una specie di dichiarazione alla moglie; uno scivolone in cui implicitamente Vittoria vede una specie di applicazione del ‘con­ trappasso’ (Sceneggiatura, p. 48, “ti sta bene! Così impari!”). S’aggiunga che. accortasi dell’arrivo di Attilio con la moglie. Nancy, presente nell'appartamento all’insaputa di Attilio stesso, scappa e, come sapremo in seguito (scena 17, Sceneggiatura, pp. 59-60), scappa definitivamente, ponendo così fine al "ruzzolone” di Attilio: assistiamo dunque ad un intreccio continuo di realtà (natu­ ralmente scenica ) e di allusione. Nella scena finale del film (scena 77, Sceneggiatura, pp. 158-159) veniamo a sapere, di passaggio, che Vittoria aveva mal sopportato l'infedeltà di Attilio: pos­ siamo dunque ricavare che lo ‘scivolone’ sentimentale di Attilio era stato, se non la sola causa, sicuramente una delle cause determinanti della rottura del matrimonio. Sotto questa luce, allora, nell’economia complessiva dell'azione scenica, si spiega perfettamente la progressiva evoluzione del sogno della cerimonia nuziale, dalla ap­ passionata dichiarazione iniziale di Vittoria alla sua fuga in veste di canguro. Fuad. alla fine di una recitazione pubblica, riceve un affettuoso saluto dall'amico Attilio, nella scena 9; durante i saluti arriva Vittoria che in quel periodo si occupava della biografia di Fuad stesso. Alla vista di Vittoria, Attilio resta quasi inebetito per l'amore che prova per la donna (Sceneggiatura, p. 34); invece Vittoria mostra la mas­ sima indifferenza (Sceneggiatura, ibid.). Tale comportamento appare in stridente con­

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trasto con quello assunto da Vittoria nella scena di apertura (scena 1 ) e nella corre­ lata scena 6, nelle quali ella si dichiarava travolta dal suo amore per Attilio. Ma il contrasto si sana, con il procedere dell’azione, alla luce della scena 19, da cui ve­ niamo a sapere che Vittoria aveva lasciato Attilio e aveva rotto i rapporti con lui. Dunque l'ordine logico dei fatti va ripristinato secondo questa direttrice: amore di Vittoria per Attilio, che ricaviamo dalle scene 1+ 6; tradimento di Attilio (relazione con Nancy), come sappiamo da scena 7; rottura dei rapporti tra marito e moglie, che ricaviamo da scena 19; atteggiamento gelido di Vittoria dopo la rottura, che cogliamo nella scena 9.

1.3. / personaggi principali come individui simbolici I personaggi principali del film, il poeta-professore Attilio, sua moglie Vittoria, il poeta arabo Fuad. sono figure in cui il simbolismo gioca un ruolo importante.

Vittoria Nelle scene 10 A. B, C, D. 11. 12, 13, Vittoria, congedatasi da Fuad, va a pren­ dere un caffè; Attilio la segue e le dichiara appassionatamente il suo amore, benché Vittoria, sempre molto distaccata, gli ripeta che il loro rapporto è finito. Le insi­ stenze di Attilio alla fine convincono Vittoria ad andare a trovarlo a casa. Con una serie di espedienti, miranti a mostrare alla moglie che egli teneva la propria casa sempre pronta ad accoglierla nonostante la separazione, Attilio convince Vittoria a fermarsi e a passare la notte con lui (scena 14 K); ma sul più bello, con un espe­ diente, la donna, prima apparentemente consenziente, scappa divertita, attirandosi le maledizioni del marito (Sceneggiatura, p. 55). Ancora, poco dopo, inseguita in macchina da Attilio, con lucida determinazione si libera del marito, fingendo un in­ cidente stradale, confermandosi donna completamente diversa da quella vista in sogno da Attilio (scena 21 A). Vittoria è talmente distaccata da Attilio che parte per l’Irak seguendo la sua aspi­ razione di essere biografa di un poeta importante come Fuad. Ma quando dopo un lungo periodo d'inattività, causata da malattia. Vittoria ricompare sulla scena in con­ dizioni normali, qualcosa cambia. Infatti ella ha la visione della tigre in mezzo alla neve (scena 76), e poco dopo (scena 77), riceve la visita di Attilio con uno stato d’animo di buona disposizione: capisce di aver avuto salva la vita proprio grazie al marito e sente riaffiorare quel sentimento d'amore probabilmente mai interrotto no­ nostante il tradimento di Attilio con la sua relazione con Nancy. Dunque, in Vittoria agiscono contemporaneamente le figure della moglie tradita, della donna culturalmente impegnata, della persona fredda e razionale, della donna capace di affetto profondo; Vittoria si configura come persona dalle caratteristiche molto diverse l’una dall’altra e totalmente differenti, nel loro complesso, da quelle di Attilio. In un'intervista34 Nicoletta Braschi, che nel film interpreta appunto il

34 Inserita nel DVD del film La Tigre e la neve della Melampo.

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ruolo di Vittoria, ha puntualizzato che “Vittoria ha tante maschere. Si fa vedere al­ legra. fredda, distaccata. La collera le impedisce di provare e manifestare una grande disperazione”. Tuttavia, alla fine, la figura di Vittoria viene omologata a quella di Attilio. Infatti, nell’ultima scena un uccellino scappato dalla gabbia, sbadatamente lasciata aperta da Attilio, si posa sulla spalla di Vittoria, attirandone l’attenzione (Sceneggiatura, p. 161): il fatto è allusivo perché lo stesso particolare, appunto un uccellino che si posa sulla spalla di un essere umano, era stato l'elemento scatenante del sorgere della poesia in Attilio bambino, come egli stesso narra alle figlie nella parte iniziale del film (scena 6, Sceneggiatura, pp. 20-21): questa ripresa è chiara, a figure invertite (Vittoria in luogo di Attilio), e costituisce spia del coinvolgimento di Vittoria, della sua assunzione nel mondo ideale di Attilio. Vittoria sensibile alla presenza dell"uc­ cellino, cioè al mondo poetico, proprio come Attilio: dunque. Vittoria dotata della stessa sensibilità del marito e perciò più vicina a lui, in grado di capirlo35. Ancora più significativo il simbolismo nelle due figure, parallele ma contrappo­ ste, dei poeti Attilio e Fuad. Va subito chiarito in premessa che le figure dei due possono essere considerate complementari, nel senso che impersonano due diversi modi di intendere la poesia. Credo si possa giungere ad affermare che l’opposizione tra Attilio, simbolo delia poesia che riesce a sopravvivere alla guerra perché riesce ad adattarsi alla realtà, e Fuad. simbolo della poesia vittima della guerra perché incapace di adeguarsi alle dif­ ficoltà contingenti, è una delle opposizioni su cui si basa la trama stessa del film in quanto testo celebratore della poesia. Attilio

I tratti caratteristici di Attilio sono concentrati nella scena della lezione sulla poesia all"Università, scena 7 A, Sceneggiatura, pp. 23-26. Qui. come una specie di fiume in piena, il professore-poeta, dà la definizione di poesia attraverso tutta una serie di citazioni di letterati: si può dire che Attilio parla non con parole sue, ma per bocca di importanti esponenti della cultura di tutti i tempi e luoghi; la scena si pre­ senta dunque come una specie di metatesto poetico, in cui si usa la poesia per defi­ nire la poesia stessa. Il concetto fondamentale è che la poesia riesce a conciliare perfettamente gli opposti, grazie all'entusiasmo vitale che la pervade, soprattutto grazie allo spirito di amore. Condizione indispensabile per la poesia è quella di es­ sere innamorati. Durante la lezione, Attilio dà segni chiari del suo modo di vivere con la ‘testa per aria’: dimentica gli appunti, cade apparentemente in contraddizione continua (cfr.

35 Proprio la capacità di capire la poesia potrebbe essere stata la dote di Nancy (la ‘rivale’ di Vitto­ ria) in grado di attirare temporaneamente l’affettuosa simpatia di Attilio verso la giovane donna, a giu­ dicare dal fatto che nel momento del malinconico commiato da Attilio Nancy, appunto, si lascia andare a più d’una citazione poetica (da Shakespeare e da Cardarelli): forse Attilio aveva colto in Nancy la stessa inclinazione per la poesia che provava egli stesso. Ma la ridottissima presenza di Nancy sulla scena non consente di rafforzare tale ipotesi con altri elementi.

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sopra, p. 94, 99), si muove incessantemente per l’aula, si sdraia a terra. Insomma, il tipico individuo poco radicato nella realtà. E in una scena che precede quella della lezione, parlando con le figlie, Attilio aveva sostenuto che la poesia consiste nel saper cogliere insegnamenti di vita anche nelle piccole cose (Sceneggiatura, pp. 20­ 21 ): infatti i più sensibili alla poesia sono i bambini, che vedono e sentono meno ra­ zionalmente degli adulti. Tuttavia questa figura di poeta distratto, apparentemente non calato nella realtà, alla notizia del pericolo di vita in cui versa la moglie dà prova di sorprendente ca­ pacità di decisione e di azione. In circostanze drammatiche, in un ambiente ignoto e ostile, supera una serie di ostacoli per altri insormontabili, dimostra una vitalità ec­ cezionale, insomma si mostra uomo di azione oltre che di pensiero, riuscendo in un'impresa apparentemente impossibile. La poesia dà ad Attilio quella carica che lo spinge a voler vivere a tutti i costi, che gli fa confessare che si ricorderà della vita anche dopo che sarà morto36. A conclusione di vicenda, nell'ultima parte della sceneggiatura torna ad essere lo sbadato di prima: finisce in prigione per futili motivi, continua a dimenticare dove ha parcheggiato la macchina, distrattamente fa scappare dalla gabbia gli uccellini ap­ pena avuti in dono dalle figlie. E tuttavia anche in questo caso finisce per trionfare; infatti riesce a riconquistare l'amore della moglie, come voleva, sin dalla scena ini­ ziale del film. Dunque Attilio simboleggia la forza della poesia, che supera ogni ostacolo ed è in grado di dominare la realtà.

Fuad Del tutto diversa la figura di Fuad. In scena 9, Sceneggiatura, p. 32, Attilio definisce Fuad "il più grande poeta arabo vivente”, degno del premio Nobel; figura tanto significativa che si pensa di scri­ verne la biografia, quando è ancora in piena attività. Come Attilio, anche Fuad parla per bocca di poeti; anzi, in modo perfettamente coerente, essendo un poeta arabo, parla per bocca di poeti arabi del passato e del pre­ sente, ma, a differenza della poesia di Attilio, quella di Fuad è una poesia ripiegata su se stessa: ne è simbolo la scena (58 A) in cui egli e Attilio, a Baghdàd, guardano il cielo notturno e commentano lo spettacolo. La dimensione più strettamente ’araba’ di Fuad va integrata con la propensione del poeta all’impiego di letteratura ‘sa­ pienziale’, come ho ricordato sopra, a pp. 84-85 e 96. Niente può illustrare la diversità tra i due poeti meglio dello scambio di battute in cui Fuad afferma che dopo la morte non c’è nemmeno il nulla e Attilio risponde che a lui piace, comunque, ‘esserci’ e che si ricorderà della vita anche dopo che sarà morto (Sceneggiatura, p. 135): sconsolata rassegnazione di Fuad di fronte all’eneigia vitalistica di Attilio. E già precedentemente, nella scena 40, all’entusiasmo di Attilio che

36 In un'intervista Benigni ha affermato che La tigre e la neve è un “film sull’esistenza, sulla gioia di esistere, sulla soddisfazione di campare” e ha parlato di “voglia di vivere prorompente e disperata di Attilio” (registrazione sul DVD de La tigre e la neve della Melampo).

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prepara la medicina per Vittoria nella speranza di salvare la donna, nonostante tutte le difficoltà, Fuad oppone la disincantata angoscia di chi vede la patria distrutta e non nutre più speranza nel futuro. Fuad è, simbolicamente, portatore di una poesia incapace di confrontarsi con i problemi della vita reale; in modo perfettamente coerente, quando vede la sua città distrutta dalla guerra decide di impiccarsi, perché la realtà ha sopraffatto la poesia. Dunque Fuad. nonostante la sua statura poetica, è un ‘vinto’. Quando Attilio si precipita a comunicargli la bella notizia della guarigione di Vittoria (scena 67), lo trova morto: simbolicamente, Attilio ha vinto le avversità, mentre le avversità hanno ucciso Fuad. Come l’attività, così anche la morte di Fuad è rappresentata in modo simbolico. Infatti, dopo che (Sceneggiatura, pp. 144-145) Attilio vede Fuad impiccato nel giar­ dino di casa, bruscamente un colpo di vento chiude porte e finestre, facendo preci­ pitare il buio sulla scena: attraverso il ‘rito’ della porta che si chiude, ben noto nella fiaba di magia, viene raffigurata una scelta irreversibile, nel nostro caso quella di Fuad di abbandonare la vita terrena37.

2. Aspetti di letteratura 2.1. Densità delle citazioni e distribuzione di esse tra i vari personaggi L’episodio del sogno di Attilio, distribuito i tre momenti differenti (scene 1, 7, 19), è il più ricco di citazioni nell'intero film; e abbondanza e finalità delle citazioni sono enfatizzate dal fatto che vengono pronunciate di fronte a una serie di esponenti di spicco della cultura occidentale ottocentesca e novecentesca, Poe, Baudelaire, Byron, Leopardi, Kafka, Nerval, d’Annunzio. Thomas, elencati, in questo ordine, nelle didascalie d’apertura della Sceneggiatura, pp. 5-6. Le citazioni sono poste tutte in bocca a Vittoria, che è la protagonista del sogno e che proprio grazie alle citazioni si configura così come la vagheggerebbe Attilio nella realtà, cioè come perdutamente innamorata del suo uomo: infatti le citazioni che Vittoria indirizza allo sposo sono tratte da liriche di poeti d’amore variamente scaglionati nel tempo: Cardarelli (1913), Mandel’stam (1918), Schwitters (1919), Boye(1922, 1935, 1941). Montale ( 1923 e 1926). Majakovskij ( 1927-1928). Broch (1938-1940), Thomas (1941). Morante (1946), sono i poeti d’amore di cultura oc­ cidentale; si aggiungono poi alcuni poeti e opere orientali antichi (Rig Veda, Ibn Zaidùn, FuzulT, Iraqi) o moderni (Tagore 1913, Hikmet 1950). Si aggiunga inoltre Beckett (1935), di cui viene citata una lirica non d’amore. Dal punto di vista del rapporto tra letteratura e rappresentazione filmica, preme sottolineare che in forza della voluta disarticolazione della scena in tre sezioni di­ stinte e distanti tra loro, alcune delle citazioni sono ripetute in più di una sezione e

37 Si noti che il ‘rito’ della porta, questa volta in relazione all’ingresso, è collocato proprio in aper­ tura di film, con la “porta d’avorio” che si apre per consentire l’entrata in scena dei protagonisti, Attilio e Vittoria.

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si caricano dunque della funzione di fili conduttori di una scena-sequenza38: è il caso di “e oggi so / che la terra / come una madre / dal viso di sole / allatta la sua creatura più bella”, citazione da Hikmet, e soprattutto di “uno stuolo di sogni / e di pensieri / mi riempie / sino all’orlo” e “ogni cosa è al colmo del fervore, / dalla gola / alle stelle / si alza la parola / come su una cometa d'oro”, ampia citazione da Ma­ jakovskij39. In particolare, la Lettera al compagno Kostròv da Parigi sulla sostanza dell’amore di Majakovskij, un passo che si configura come eccezionale per motivi cronologici nella produzione del poeta russo4041 , da Vittoria viene citata per ben tre volte nei tre diversi momenti in cui si articola il sogno: dunque costituisce una spe­ cie di testo-guida nel discorso di Vittoria, un testo che pare avere la funzione di ga­ rantire la continuità del suo discorso d’amore. La citazione di Hikmet, relativa all'amore tra marito e moglie, è contestualizzata in modo del tutto appropriato (Vittoria manifesta il suo amore nei confronti del ma­ rito con le parole che in Hikmet hanno la stessa funzione nei confronti della moglie); ma essa è accostata a una citazione del testo del Rig Veda (“la tua divinità ma­ schia...”) e l’accostamento consente di concludere che allusivamente Vittoria vuole affermare che Attilio è, ai suoi occhi, quasi un individuo superumano, come ho già ricordato a p. 93. Nel quadro complessivo delle citazioni poste in bocca a Vittoria gli autori più pre­ senti e dunque verosimilmente più condivisi sono Montale, di cui vengono citate le due poesie II girasole e Dora Markush e la Boye, di cui vengono citate II ricordo, L'attimo, Come posso dire42, ma un ruolo importante copre anche la Morante, di cui si cita sì solo La lettera, ma la si cita due volte, una delle quali in modo ampio e circostanziato, “tutto quel che t’appartiene, o che da te proviene, / è ricco d’una grazia favolosa: / perfino i tuoi amanti, perfino le mie lagrime, /... il tuo nome, il tuo nome, / o parola che mi apri le porte del paradiso”43. La densità di citazioni nella professione d’amore di Vittoria è tale che, si può dire, la donna parla non in prima persona, ma per bocca di poeti, come piace ad At­ tilio: un implicito riconoscimento che per Vittoria è impossibile esprimere l'amore meglio di come l’hanno fatto i poeti che l'hanno preceduta: quasi che Vittoria sia una poetessa d'amore che parla per bocca di altri poeti d'amore. Poiché Vittoria parla così, come Attilio vorrebbe nel sogno che ella parlasse, e poiché Attilio è un poeta, ci troviamo di fronte a una specie di metatesto poetico: il poeta Attilio desidera ri­ cevere da parte della sposa una confessione d'amore formulata con parole di poeti d'amore. Il secondo momento di alta concentrazione di citazioni testuali è la lezione di At­ tilio sulla poesia all’Università, scena 7 A. Nel definire la sostanza della poesia At­ 38 Cfr. sopra, p. 92. 39 Per Hikmet cfr. sopra, pp. 45, 92; per Majakovskij, pp. 57, 92. 40 Cfr. p. 57. 41 Cfr. sopra, pp. 60-62. 42 Cfr. sopra, pp. 30-31. 43 L’ascendenza morantiana di una delle due citazioni è stata identificata da me, come ho ricordato sopra, pp. 64-65 e 86.

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tilio fa riferimento per lo più a idee espresse da saggisti che di poesia appunto, o più latamente di letteratura, si sono occupati: Stanislavskij (anni ’30?), Borges (1943), Chesterton (anni ’30?), Cocteau (1926), Prévert (anni ’30-’40), Bradbury, Bloom (1992); in ambito più strettamente poetico sfrutta una lirica d’amore di Bécquer ( 1859-1860), e un passo famoso del Convivio dantesco, relativo alla facoltà di ’men­ tire’ concessa ai poeti. Inoltre, vengono citati due passi44 di cui gli autori dichiarano di non ricordare la paternità45, il secondo dei quali, a mio avviso, potrebbe essere at­ tribuito alla leggenda islamica ricordata in Sceneggiatura, p. 13446. Lo sfruttamento di teorie della letteratura, nel momento in cui si teorizza sulla poesia, è del tutto coerente, come ben si capisce, e contribuisce a configurare la le­ zione di Attilio come metatesto; e coerente è anche la citazione di una lirica d’amore di Bécquer nel momento stesso in cui Attilio afferma che per essere poeti bisogna essere innamorati. Al di là delle citazioni precise, è interessante rilevare l’affermazione di Attilio che non esistono argomenti più “poetici" di altri, ma che ogni tema può essere affron­ tato poeticamente (Sceneggiatura, p. 24): un’affermazione che pare risentire della poetica montaliana. Un terzo momento in cui sono presenti fitte citazioni si può identificare nel­ l’episodio dell'incontro di Vittoria e Attilio in casa di quest’ultimo. Attilio cita Majakovskij (1915), Neruda (1924), Éluard (1926), Montale (1967), oltre a un aforisma di Cervantes. Le quattro citazioni poetiche sono tutte tratte da poesie d'amore in modo per­ fettamente coerente con il contesto in cui sono inserite, dato che nelle intenzioni e nelle speranze di Attilio rincontro con Vittoria avrebbe dovuto essere un incontro d'amore. Dunque, mentre nella lezione sulla poesia Attilio aveva fatto ricorso a testi di teoria letteraria, nell’incontro con Vittoria fa ricorso a testi di poesia d'amore. Que­ sto secondo atteggiamento di Attilio è il perfetto corrispettivo dell'analogo atteg­ giamento assunto da Vittoria nella scena del sogno, quasi che idealmente Attilio volesse rispondere poeticamente alla poetica confessione d’amore di Vittoria. In realtà, poiché le parole di Vittoria nel sogno sono quelle che proprio Attilio avrebbe voluto sentire e quindi sono parole indirettamente usate da Attilio, è evidente che nel film è sempre il poeta Attilio che sistematicamente, per parlare d’amore, usa parole di poeti d'amore, in modo assolutamente coerente.

Il quarto momento di forte densità di citazioni è costituito dalla scena del collo­ quio notturno che si svolge a Baghdàd tra i due amici, entrambi poeti, Attilio e Fuad (scene 58 - 58 A, B. C).

441 passi suonano: “Dilapidate la gioia, sperperate l’allegria, siate tristi e taciturni con esuberanza”, Sceneggiatura, p. 25; “E da distesi che si vede il cielo”, Sceneggiatura, ibid. 45 Cfr. la Sceneggiatura, pp. 173-174. 46 Come è detto sopra, p. 86.

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La scena si apre (solo nella sceneggiatura, non nel film) con un’estesa parafrasi della 351“ notte delle Mille e una notte e si chiude con la battuta di Attilio che ri­ prende un passo della Lamarque (1996). E una scena di alta suggestione poetica, du­ rante la quale Fuad nel descrivere Baghdàd fa ricorso, in successione, a citazioni di Adonis (1968), Azzàwi (2004), un'antica leggenda islamica, Lévi-Strauss (1955), una massima di Lao-tse (sec. V a. C.), Caproni ( 1979-1986). Inoltre sia Fuad che At­ tilio alludono all’episodio biblico della Torre di Babele. Nel complesso, in queste nu­ merose citazioni prevalgono testi di matrice araba, perfettamente congruenti con la cultura dell'arabo Fuad; una conferma viene dal fatto che in altri momenti Fuad cita un passo di Al-Qushairi (Sceneggiatura, p. 92) e uno di Al-Mutanabbi (Sceneggia­ tura. p. 101 ).

Tuttavia non è in questi momenti di alta densità intertestuale che si incontrano le due citazioni più ampie e significative del film, quelle relative a La Capria e ad Auden. La prima (pp. 20-21 della Sceneggiatura) riprende e parafrasa in modo cir­ costanziato un fatto singolare in cui Attilio-Benigni identifica la fonte della poesia - l’immediatezza e 1’‘ingenuità’ del fanciullo in quanto sottofondo indispensabile per diventare poeti47 la seconda (p. 96 della Sceneggiatura) pone in scena, anche questa volta in parafrasi, la reazione di un individuo alla morte della persona amata48. Entrambe le volte parla Attilio. L’insistenza di Attilio-Benigni sui due passi non è occasionale: infatti, è investito il binomio poesia - amore che sta alla base stessa della concezione del film. La dimensione privilegiata della parafrasi è dunque del tutto giustificata.

2.2. Cultura degli estensori della “Sceneggiatura” Sulla base dell’esame sinora condotto e tenendo conto della cronologia delle opere degli autori citati o parafrasati, si può cercare di ricostruire il tipo di cultura che sottosta alla stesura della Sceneggiatura di La tigre e la neve. Due filoni paiono imporsi in modo piuttosto netto, il filone di produzione d’avan­ guardia o ‘modernista’ della cultura europea o europeizzata da una parte, il filone arabo e. più latamente, orientale dall'altra. I due filoni corrispondono, in linea di massima, ai due protagonisti maschili della sceneggiatura/film e in qualche modo si incarnano in essi, il filone occidentale in At­ tilio. quello orientale in Fuad; e corrispondono ai due elementi che fanno parte co­ stitutiva del titolo del film, la tigre (= cultura orientale) e la neve (cultura occidentale); anche se, va subito precisato, la corrispondenza non è totale, perché la tigre è vigorosa, mentre il suo corrispettivo culturale, Fuad, è chiuso in sé; la neve è di breve durata e delicata, mentre il suo corrispettivo culturale, Attilio, è indoma­ bile nell’avversità. Non è forse irrilevante notare che i due esponenti delle due di­

47 Si veda sopra, pp. 46, 93-94. 48 Cfr. sopra, pp. 24-25, 95-96.

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verse culture sono amici, quasi a significare la volontà di dialogo interculturale; e in apertura di Sceneggiatura in bocca a Vittoria (per mezzo della quale in realtà parla Attilio, come s’è già detto) è posto un monologo poetico che è una mescolanza di mondo occidentale e mondo arabo, quasi a simboleggiare una convivenza concreta di due culture in una stessa persona. Il filone più cospicuo è relativo a quel momento ’modernista' della cultura occi­ dentale novecentesca, in buona misura anglofona, che si rivelò molto innovativo nella direzione sperimentale. Per quanto riguarda la cultura anglosassone, i nomi sono quelli di: Pound, americano, imagista. 1908; Auden, inglese, trentista, in rife­ rimento a un testo degli anni ’30; Beckett, inglese, tardo-simbolista, 1935; Thomas, gallese, espressionista-metafisico, 1941; e, nell'ambito della critica letteraria, Che­ sterton. inglese, circa anni ’30 (?), Bloom, americano, anni ’90. e il contemporaneo Bradbury, anch'egli americano; si deve aggiungere il nome di Walt Whitman, il mas­ simo poeta statunitense, citato da Attilio nella scena 56, Sceneggiatura, p. 130, come incarnazione stessa della poesia, che non si può non conoscere. Per non parlare, na­ turalmente, di Shakespeare, pur diversamente collocato dal punto di vista cronolo­ gico. Al di fuori della cultura anglosassone, i nomi sono quelli di: Machado, spagnolo, 1912; Majakovskij, futurista russo, 1915, poi poeta della rivoluzione, 1927-1928; Mandel’stam. russo, oppositore di Stalin. 1918; Schwitters, tedesco, nel quadro dei movimenti ‘Dada’ e ’Merz’, 1919; Karin Boye, svedese, 1922, 1935, 1941; Eluard, surrealista francese, 1926; Neruda, cileno. 1924; Broch, ebreo au­ striaco. 1938; e. nell'ambito della critica letteraria, Cocteau, francese, 1926; Stanislavskij. russo, anni ’30; Borges, argentino, anni ’40; Lévi-Strauss, di scuola francese, 1955. Ma, anche in questo caso, non mancano autori precedenti, del XIX secolo, dall'anti-idealista Biichner. tedesco. 1835-1837, al romantico spagnolo di seconda generazione Bécquer, 1858-1860; per non dire di Cervantes. Inoltre, è notevole la presenza degli autori italiani esponenti della cultura nove­ centesca: d’Annunzio, significativo esponente del Decadentismo, 1902; Cardarelli, classicheggiante, 1913 e 1933; Montale, 1923, 1939, 1967; Penna, 1927-1938; Mo­ rante, 1966; La Capria, 1977; il tardo Caproni, 1979-1986; Lamarque, 1996; ma non manca il Dante teorico di letteratura. Convivio, 1304-1307. Il filone orientale è un misto di modernità e di tradizione vista nei suoi risvolti più antichi: per i moderni, gli autori presenti sono Hikmet (1950-1960), Adonis ( 1968), Azzàwi (2004); per la tradizione antica araba, Al-Mutanabbi (905-965), Ibn Zaidùn (1003-1070), ’Omar al-Khayyàn (1048-1132), Iraqi (sec. XIII), Le Mille e una notte, FuzùlT (1480-1555), Al-Qushairi; cui si possono aggiungere, fuori del mondo arabo, un passo dei Veda (Rig Veda, poema antico-indiano), Qoélet, Confu­ cio (551-479 a. C.), Lao-tse (sec. V a. C.), e, molto più vicino a noi, Tagore, poeta bengalese, 1913. Non pochi degli autori di questo filone, con particolare riferimento ai poeti orien­ tali più antichi, possono essere definiti ‘sapienziali’, come ho accennato sopra, pp. 84 sgg., 96. Dunque, nel complesso la cultura degli estensori della Sceneggiatura, quale tra­ spare dalle citazioni-rielaborazioni di testi letterari di periodi precedenti, è variegata, sì, ma con predilezione da un lato per le ‘avanguardie’ fiorite in vari momenti storici

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del ’900 della cultura europea o europeizzata49, dall’altro per la cultura araba con­ temporanea, con il suo retroterra culturale islamico di età antica. Una cultura del tutto allineata con il gusto del nostro tempo, sensibile ai testi portatori di poesia pura e, insieme, di ideali pienamente calati nel sociale, anche quello più scottante (l'intifàda, la guerra irachena).

3. Aspetti di struttura Un aspetto strutturale della “Sceneggiatura”, la guerra Ho parlato finora di tutta una serie di elementi importanti per la comprensione di La tigre e la neve come vicenda d’amore. Bisogna ora volgersi all'altra compo­ nente fondamentale, cioè quella dell’aspetto bellico. Si può osservare in via preliminare50 che il tema della guerra viene implicita­ mente e simbolicamente anticipato, proprio in apertura di pellicola, nella raffigura­ zione della statua di Marte (in opposizione a quella dell'uccello del Paradiso imbalsamato)51, durante lo scorrimento dei titoli di testa. Questo tema viene vissuto in due dimensioni: una generale e una personale. Su un piano generale, la disapprovazione della seconda guerra mossa contro Sad­ dam Husseim traspare in vari punti della Sceneggiatura. Nel modo più esplicito viene disapprovata dall’anonimo presentatore che nella scena 8 A, p. 31 della Sce­ neggiatura. salutando il poeta Fuad che si accinge a tornare a Baghdàd allo scoppio delle ostilità, definisce questa guerra come una “guerra inutile”. Ma per lo più la di­ sapprovazione viene manifestata sotto forme di ironia, che risultano ancora più ef­ ficaci. Anzitutto si possono indicare due accenni precisi contro i sostenitori dell'inter­ vento militare in Irak. Il principale e determinante motivo di guerra agitato dalla propaganda anti-Saddam a favore della guerra preventiva in territorio iracheno fu la presunta esistenza delle "armi di distruzione di massa”, approntate per l'impiego in azioni terroristiche contro i più importanti paesi europei; questo tema fondamentale ricorre nel film nella scena 45, Sceneggiatura, p. Ili, con l'ironica identificazione delle armi di di­ struzione di massa nello scacciamosche, con cui Attilio cerca di eliminare gli in­ setti che infastidiscono Vittoria sdraiata morente sul letto di un ospedale. In precedenza, nella scena 6. Sceneggiatura, p. 19, Attilio aveva ricordato alle fi­ glie che i pipistrelli hanno il radar e pertanto sono in grado di “fare la cacca intelli­ gente”52: poiché il pipistrello è simbolo sinistro53 e viene facilmente associato alla

49 Decadentismo, Imagismo, Futurismo, Dadaismo, Merz, Ermetismo (se mai Montale si può con­ siderare ermetico ... ), Surrealismo, Trentismo, Tardo-simbolismo, Espressionismo. 50 Come del resto viene sottolineato espressamente nelle didascalie di p. 5 della Sceneggiatura. 51 Possibile simbolo della poesia. 52 II particolare è indicato solo nella Sceneggiatura, mentre non figura nella pellicola. 53 Cfr. sopra, pp. 93-94.

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morte, e quindi di riflesso alla guerra, è piuttosto agevole accostare l’ironica “cacca intelligente” alle cosiddette "armi intelligenti” (missili e bombe guidate), il cui uso fu illustrato dagli strateghi della guerra del Golfo come uso di armi in grado di col­ pire solo bersagli militari sensibili, senza causare stragi indiscriminate di civili. Sia nel primo caso che nel secondo l'ironia dissacratoria è segno manifesto di di­ sapprovazione nei confronti della guerra. Ho accennato sopra a missili e bombe. Nella scena 58 A, Sceneggiatura, p. 134, il cielo di Baghdàd. definito "guanciale della notte” per la sua bellezza, viene tra­ gicamente e delittuosamente attraversato proprio dalle traiettorie dei missili che ne rompono la bellezza e l'incanto. Accanto a questi spunti antimilitaristici relativi alla ‘oggettività’, per dire così, della guerra, ne troviamo altri che illustrano ironicamente (e amaramente) la ‘psi­ cosi' della guerra stessa. Nella scena 56, Sceneggiatura, pp. 125 sgg.. Attilio, imbottito fino all'inverosi­ mile di medicine utili per la guarigione di Vittoria, viene scambiato per un attenta­ tore suicida carico di esplosivo, con le reazioni del caso da parte dei soldati di un posto di blocco americano; per lo spettatore, che sa quale è il vero tipo di ‘imbotti­ tura' di Attilio, il sorriso è inevitabile, nonostante la drammaticità della situazione agli occhi di chi non conosce la verità (i soldati americani). Nella scena 66 A, Sce­ neggiatura, pp. 141-144, Attilio capita inavvertitamente, per futili motivi, in mezzo a un campo minato; questa volta il pericolo è reale (il campo è veramente minato, come tanti ne sono stati trovati in Irak in fase post-bellica), ma la reazione al peri­ colo da parte di Attilio arriva al limite del ridicolo, esattamente come la reazione dei soldati americani nella citata scena 56. Nelle scene 68-69, Sceneggiatura, pp. 145-146, Attilio si è nascosto sul fondo di una buca per proteggersi nel pieno di uno scontro militare. E terrorizzato; ma a poco a poco intorno torna la calma e quando Attilio pensa di essere ormai riuscito a evi­ tare il pericolo, squilla il telefonino su chiamata dell’avvocato e lo squillo denuncia ai soldati americani la presenza di un potenziale ‘nemico’ che si nasconde per pre­ parare un attentato, o un cecchino che vuol colpire alle spalle, o qualcosa di simile. La ‘salvezza’ di Attilio è vanificata dall'inopportuno squillo fuori-tempo, del tutto estraneo alla drammatica situazione contestuale. Per un banale squillo di telefono At­ tilio dovrà passare parecchio tempo in un improvvisato campo di concentramento. L'ironia della situazione è evidente. Pericoli e paure oggettivamente legati alle situazioni di guerra sono pertanto en­ fatizzati non sul versante drammatico, ma su quello ironico-dissacrante, al fine di evidenziare grottescamente ciò che è purtroppo drammaticamente inerente alla guerra vera. Inoltre la pellicola pone l’accento sulla rappresentazione degli episodi di furti e sciacallaggio nelle vie di Baghdàd, sulle inevitabili distruzioni di cose materiali, sulla denuncia della carenza di medicine e della mancanza di aiuti e, comunque, sull'impossibilità di assegnarli ai malati, sull’inutilità delle parole di fronte alle armi (“I am Italian” ripete continuamente Attilio prigioniero, quasi come forma di lita­ nia, senza essere minimamente ascoltato dai militari). Non solo la rappresentazione delle cose, ma anche le parole sottolineano il

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dramma della guerra. Il medico che cura Vittoria denunzia ripetutamente l'impos­ sibilità di praticare cure efficaci per mancanza di medicinali; Fuad. a sua volta, piange sulla mutata condizione della patria che da 'guanciale della notte’ si è tra­ sformata in un cumulo di macerie. Sul piano personale la tragedia della guerra tocca direttamente Attilio con l'in­ cidente quasi mortale occorso a Vittoria. Dalla sventura, in questo caso, parados­ salmente nascerà un evento positivo, nel senso che l’episodio determinerà il ricongiungimento tra moglie e marito; ma, nei fatti, l’incidente sconvolge l’esistenza di Attilio, come egli stesso espressamente sottolinea nella battuta di p. 96 della Sce­ neggiatura (“se muore lei. per me ... ”), parafrasi di Funeral Blues di Auden. Il tema della guerra è dunque di grande rilievo nel film: non solo costituisce lo sfondo ineludibile della parte centrale del film (in cui 'la guerra’, anzi 'la Guerra’ è l’antagonista dell’eroe Attilio), ma è anticipato nella prima parte e se ne sentono i postumi nella terza parte: è dunque un tema che si intreccia con quello, parallelo e opposto, dell'amore.

OSSERVAZIONI CONCLUSIVE

Il fatto che il film La tigre e la neve sia stato valutato dai critici e dai recensori in modo diametralmente opposto, dal ‘capolavoro’ alla ’boiata fantozziana’, trova la sua giustificazione nella novità e nella complessità del progetto di Benigni, quale emerge dall’analisi da me effettuata nelle pagine precedenti. Infatti il giudizio può cambiare a seconda del grado di importanza che si attribuisca a questo o a quel­ l’aspetto del lavoro. E inoltre importante rilevare preliminarmente che i giudizi sono basati sulla vi­ sione (prima o unica) della pellicola, mentre una valutazione più circostanziata non può che trarre spunto dall’attenta considerazione della Sceneggiatura. Prima di evidenziare gli elementi positivi del film, secondo me prevalenti, passo in rassegna quelli negativi che più hanno colpito i recensori meno benevoli (che, sia detto per inciso, costituiscono la larga maggioranza di quanti si sono occupati del film, come emerge dalla rassegna che ho proposto nella Appendice). A una prima visione, il film La tigre e la neve non pare caricarsi di valenze parti­ colari, anzi dà l'impressione di urna certa oscurità strutturale. La prima parte della pellicola risulta apparentemente poco chiara, quasi indeci­ frabile nella sequenza delle tre fasi del sogno di Attilio - anzi, all’inizio non si capi­ sce nemmeno che sia un sogno la scena iniziale pare del tutto artefatta e declamatoria, a dispetto dell'inserimento di spunti comico-distensivi. Non si capta as­ solutamente che Vittoria sia la moglie (di fatto separata) di Attilio; non risulta del tutto motivato il voltafaccia di Vittoria che prima accompagna Attilio a casa e sembra ac­ condiscendente nei suoi confronti, poi invece scappa senza preavviso; allo stesso modo, non risulta chiaro perché, qualche scena più avanti, la donna si mostri irrevo­ cabilmente decisa a non aver alcun rapporto con Attilio. Non emerge con evidenza che la rottura tra Attilio e Vittoria sia stata determinata dall’avventura del primo con la giovane collega Nancy. Il passaggio dalla prima parte del film alla seconda è a dir poco inverosimile, ma sarebbe forse meglio definirlo irreale: in un primo momento Attilio compare sulla scena all’aeroporto di Roma nell’atto di cercare di procurarsi un impossibile biglietto per Baghdàd. subito dopo compare direttamente sul suolo iracheno travestito da me­ dico della Croce Rossa, senza che venga fornita alcuna giustificazione plausibile della metamorfosi.

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Osservazioni conclusive

Del resto, questo giudizio di scarsa verosimiglianza può valere anche per molte delle successive scene ambientate in Irak. La ricostruzione dell'ambiente dell’Irak non è affatto realistica; la guerra che vi si combatte ci fa intravedere pochi soldati, nessuno scontro militare, nessun morto, non si afferra appieno perché e come si stia consumando una tragedia umanitaria oltre che bellica; tale debolezza, come sotto­ lineo nella Appendice, è stata lumeggiata in modo spesso polemico dai recensori; quelli più critici hanno colto in queste scelte di Benigni regista una forma di ’buonismo’, il desiderio di edulcorare la realtà per non infastidire la sensibilità di nes­ suno1. I mezzi di locomozione usati da Attilio sono poco credibili (mezzi della Croce Rossa; pullman sgangherati; motociclette asfittiche e arrancanti). La punta massima dell'irreale è costituita dalla fantasiosa preparazione della medicina che dovrebbe salvare Vittoria, un misto di ‘stregoneria’ e di ’pozione magica’. La scena del posto di blocco, di per sé potenzialmente drammatica nel quadro dell'impiego dei terro­ risti-suicidi tragicamente frequenti nella realtà, scivola nel comico per la reazione dei protagonisti, esattamente come si verifica nel caso della scena del campo minato. La guarigione di Vittoria ha troppo del miracoloso per essere accettata. Ancora, al rientro a Roma, l’accumulo di coincidenze, che determinano la scena della tigre in mezzo alla neve al centro della città - scena importante ai fini del fe­ lice scioglimento della vicenda - è poco credibile.

Ma a una più approfondita riflessione il giudizio cambia. Tutta una serie di scene in sé ’deboli' acquistano forza quando vengano considerate come tessere della vi­ cenda vista nella sua globalità. Placata la curiosità del ‘come finirà la storia?’, si ha possibilità di soffermarsi sugli aspetti salienti e, soprattutto, sulla presenza delle ci­ tazioni di autore sparse a piene mani; si possono porre rapporti di connessione di causa-effetto tra scene anche distanti l'una dall’altra; si è in grado di ricostruire gli antefatti - mai esplicitati - della vicenda quale viene posta in scena; si riesce a co­ gliere l’allusività anticipatrice e simbolica di molti particolari a prima vista insi­ gnificanti. Sono tutte forme di approfondimento che ho cercato di sviluppare nel cap. III. Accenno anzitutto a un punto molto importante nell'economia complessiva del lavoro di Benigni. La ricca presenza delle citazioni poetiche e, più latamente, lette­ rarie nei dialoghi del film è stata rilevata da tutti i recensori - non poteva accadere altrimenti -. Ma va sottolineato che le citazioni non sono state dai critici né valutate in sé con sufficiente approfondimento, né collocate adeguatamente nel contesto fil­ mico, e ciò ha forse nuociuto all'esatta valutazione della funzione che esse rive­ stono. Queste citazioni, come ho ricordato nel cap. Ili, non solo sono numerose, ma sono tratte da opere e autori scaglionati in un lunghissimo arco temporale e appar­ tenenti a culture diverse: dalla poesia araba medievale (Al-Mutanabbi, Ibn Zaidùn,

1 Rinvio direttamente all’Appendice, ove appunto sono indicati i recensori che hanno denunciato tale forma di ‘buonismo’. Il ragionamento si potrebbe applicare a scene in cui i ‘buoni sentimenti ’ giocano un ruolo importante (per esempio alla scena relativa alla storia di Al-Giumeili e all’atteggiamento di At­ tilio nel richiedere allo stesso Al-Giumeili la pozione medicamentosa per Vittoria). Ma in vari casi l’ac­ cusa di ‘buonismo’ cade alla luce della globalità del film.

Osservazioni conclusive

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‘Omar al-Khayyàn, Iraqi), ai movimenti letterari di punta del Novecento occiden­ tale (Decadentismo, Futurismo, Imagismo, Dadaismo, Trentismo, Ermetismo, Tardo-simbolismo), alla poesia e cultura letteraria contemporanee, sia occidentale che araba (Hikmet, Adonis, Azzàwi, Morante, Lamarque. Bloom. Bradbury e altri). Il complesso delle citazioni, pur distribuite tra i personaggi in funzione parzialmente etopeica, nel quadro generale del film ha probabilmente una superiore funzione uni­ ficante: le citazioni, tratte da opere di tutti i tempi e di varie culture, vogliono far ca­ pire che la poesia in tutti i tempi, appunto, ha rivestito universalmente, in modo trasversale alle differenti culture, il ruolo di elemento di civiltà contro qualunque forma di imbarbarimento (nella fattispecie del film, la guerra); rincontro della poe­ sia di Attilio e di quella di Fuad ha la funzione di dimostrare che un iracheno e un occidentale possono condividere gli stessi ideali pur nella differenza di etnie e di re­ ligioni2. Dunque, la poesia si configura come valore assoluto, che ha propiziato nel corso del tempo e ancora può propiziare rincontro tra uomo e uomo; la poesia come fondamento di forme di umanesimo. Proprio nel quadro di questa forte rivalutazione della poesia si spiegano bene gli atteggiamenti 'fiabeschi’ assunti talvolta dal regista Benigni. Tali atteggiamenti sono stati giudicati piuttosto sfavorevolmente dai recensori; ma, in realtà, rivestono anche essi un aspetto di letterarietà. La pozione suggerita da Al-Giumeili è una vera e pro­ pria pozione 'magica’, come in ogni fiaba che si rispetti; Al-Giumeili stesso assume temporaneamente la funzione proppiana di ‘stregone’ aiutante dell’eroe e la pozione acquista il valore di ‘strumento magico’ posto a disposizione dell’eroe stesso. La citazione del poeta Whitman acquista agli occhi dei soldati americani del posto di blocco lo stesso valore della parola magica che spezza gli incantesimi (una specie di “apriti sesamo”). Da questo punto di vista, il film si configura pertanto non come film d’azione, ma come film di letteratura / parola / pensiero, che vuole lanciare un messaggio di civiltà. Il secondo elemento, che deve essere attentamente considerato, è il simbolismo che permea la pellicola, quasi del tutto sfuggito ai recensori; simbolismo non nel senso della creazione di una realtà diversa da quella in atto - come succede nella fiaba e nel sogno -. ma nel senso dell’identificazione nella realtà in atto di segnali che rinviano a qualcosa di non immediatamente percepibile; l’uso sistematico del simbolismo e la sua decifrazione richiedono un'attenta coscienza letteraria. Non per mero caso il simbolismo nel film La tigre e la neve — simbolico fin dal titolo - si co­ glie sempre più e meglio non limitandosi a una prima e unica visione, ma in suc­ cessivi momenti di approfondimento, come ho cercato di dimostrare nell'analisi svolta nel cap. III. Dunque il ricorso sistematico al simbolismo va di pari passo con l’impiego amplissimo delle citazioni letterarie; l’uno e le altre costituiscono fattori di precisa scelta culturale, cioè la scelta del messaggio pacato e addirittura nasco­

2 Nella scena 58 A Fuad e Attilio deplorano all’unisono la discordia e i contrasti tra gli uomini, che hanno avuto come effetto le incomprensioni sfociate nella proverbiale ‘Torre di Babele’.

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sto anziché dell’azione, della riflessione anziché del coinvolgimento travolgente. Da questo ultimo punto di vista - assoluta prevalenza della ‘riflessione’ - il film è acco­ stabile a La vita è bella3, rispetto a cui. peraltro, il messaggio finale, se da un lato è forse meno coerentemente motivato4, dall’altro ha richiesto al regista, e richiede allo spettatore, un maggior impegno, proprio perché, essendo messaggio nascosto, impone una lettura intertestuale in grado di consentirne la decodifica. E il messaggio, come ho detto sopra, è quello della forza universalmente umanizzante della poesia e del­ l'amore. Un ulteriore messaggio è più facilmente percepibile: quello relativo alla potenziale conflittualità nel rapporto d'amore. La storia d'amore tra Attilio e Vittoria è biunivoca, ma questa biunivocità per quasi tutta la durata dell'azione filmica è mascherata. At­ tilio è costantemente e dichiaratamente innamorato di Vittoria, la spia e la pedina na­ scostamente ovunque, urtandone così ulteriormente la suscettibilità; quando la vede, non distacca gli occhi da lei, resta come inebetito (qualche recensore ha parlato di ‘amore stilnovistico’). Viceversa Vittoria ostenta indifferenza nei confronti di Attilio, a causa del suo tradimento, ha preferito riacquistare la libertà di movimenti, si con­ figura come persona attivamente impegnata sul versante culturale e, insieme, estre­ mamente pratica e decisa. Dunque, ci troviamo di fronte a un caso non insolito di rapporto d’amore problematico. Ma nel film di Benigni anche in questo campo entra trionfalmente la poesia. In­ fatti, alla fine dell’azione scenica anche Vittoria viene simbolicamente coinvolta nel­ l’inguaribile, vitale propensione di Attilio verso la poesia, come ho cercato di dimostrare nel cap. Ili; e questo coinvolgimento la porta a condividere finalmente gli ideali del marito e a riannodare con lui il rapporto interrotto, risuscitando il sen­ timento d'amore che era restato per lungo tempo latente. Il binomio amore-poesia ri­ sulta vincente e sotto questo angolo visuale molti particolari del film, che paiono a prima vista meno credibili (per esempio, la macchinazione grazie a cui Attilio riesce a volare fino a Baghdàd; oppure, l'acquisizione delia ‘pozione magica’), riacquistano credibilità, perché ‘l’amore è inarrestabile, niente è impossibile per l’amore’.

Dunque la forza della poesia prevale su qualunque tipo di difficoltà: annulla dif­ ferenze culturali-etniche-religiose tra persone (Attilio e Fuad), è un potente ‘lascia­ passare’ che supera la diffidenza della guerra (basta il nome di un poeta per convincere i soldati al posto di blocco), crea un legame forte nell’esistenziale rapporto d’amore (Attilio e Vittoria). Il messaggio di fiducia incrollabile nel valore della poe­ sia non poteva essere più chiaro. Se poi questo messaggio sia realistico o utopico, è un'altra questione.

3 Come è stato rilevato da moltissimi recensori, che io ricordo nella Appendice. Il reciproco ac­ costamento delle pellicole è suggerito anche da parallelismi strutturali, per esempio la ripartizione netta in due parti diversamente ambientate. 4 Perché la raffigurazione della guerra irachena non ha niente in comune con quella, drammatica, dell’olocausto in La vita è bella. Anche questa valutazione è stata espressa da numerosi recensori; rin­ vio a quanto espongo nella Appendice.

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LA REAZIONE DELLA STAMPA DI FRONTE AL FILM LA TIGRE E LA NEVE

La tigre e la neve Italia 2005, Commedia, durata 118’ Regia di R. Benigni Cast: Roberto Benigni, Nicoletta Braschi, Jean Reno, Emilia Fox, Andrea Renzi, Gianfranco Varetto, Giuseppe Battiston, Lucia Poli. Con la partecipazione straordinaria di Tom Waits Sceneggiatura: R. Benigni - V. Cerami Fotografia: E Cianchetti Musiche: N. Piovani

Fin dalla prima apparizione, il film La tigre e la neve ha suscitato non poche pole­ miche. Si può anticipare subito che una tendenza largamente maggioritaria della critica è emersa chiaramente su un punto: opposizione tra un’intrinseca debolezza del film in quanto tale (con vari gradi di rilievi critici) e la correlata non eccelsa capacità di Beni­ gni in quanto regista, da un lato, e la grande performance di Benigni in quanto attore, dall'altro. Devo sottolineare, in via preliminare, che le recensioni si basano sulla visione del film, non sulla Sceneggiatura, che peraltro fornisce l’ossatura del film stesso; è un limite largamente prevedibile, che io ho cercato di superare nel mio lavoro proprio fa­ cendo ricorso sistematico alla lettura della Sceneggiatura in parallelo con la visione del film su DVD. Una seconda tendenza quasi universalmente espressa dai recensori è quella di porre un preciso rapporto strutturale e tematico tra La tigre e la neve e La vita è bella ( 1997)1. Le prime rassegne stampa furono allestite su Internet: sul sito www.mymovies.it, con raccolta di articoli dal settembre 2004 al settembre 2005; sul sito www.movieup.it, con riferimento alla stampa successiva al 5 ottobre 2005 (data dell’anteprima del film);

1 Rapporto strutturale: per esempio la divisione tra prima parte, di ambiente ‘civile’, e seconda parte, di ambiente bellico; in entrambi i casi lo sfondo bellico è relativo a fatti recenti o addirittura con­ temporanei, tali da rientrare nella coscienza collettiva; rapporto tematico: fondamentale in entrambe le pellicole la storia d’amore dei due protagonisti; del tutto simile il tipo di messaggio, “la vita è bella in ogni circostanza e degna di essere vissuta”.

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ancora su Internet, a cura di Mooffa, 14.10.2005, con riferimento alla stampa suc­ cessiva all'immissione del film nel circuito di programmazione; sempre su Internet, a cura di Luke, il 29.10.2005, anche in questo caso dopo l'im­ missione del film nelle sale. Qui presento una rassegna che, senza pretesa di completezza, è più ampia delle pre­ cedenti, sia per ragioni cronologiche sia per la più lunga sedimentazione della proble­ matica sollevata dal film. Per ragioni di comodità, suddivido la mia rassegna in tre sezioni: A) recensioni apparse sui quotidiani e sui siti web; B) recensioni apparse su riviste settimanali o mensili; C) recensioni apparse su riviste specializzate. Avverto preliminarmente che seguo l’ordine cronologico di pubblicazione delle re­ censioni.

A) Comincio dagli interventi più numerosi, quelli apparsi sui quotidiani.

In linea di massima, le recensioni più significative sono concentrate in alcuni pe­ riodi ben circoscritti. Anzitutto, nel periodo che precede l’uscita del film, quando la pellicola era ancora in fase di lavorazione: sono contributi basati su una limitata anticipazione fornita dallo stesso Benigni, nel settembre del 2004; poi. nel giugno del 2005, anche in questo caso prima dell'uscita del film, a pellicola non ancora ultimata; infine, in occasione dell’anteprima nazionale (5 ottobre 2005) e, naturalmente, su­ bito dopo l’uscita del film nelle sale ( 14 ottobre 2005). Settembre-ottobre 2004

L’Avvenire, 30 settembre Giacomo Vallati coglie due aspetti del film: il protagonista, Attilio, fa della poesia l'arma per vincere i mali del mondo; inoltre, egli ama una donna di nome Vittoria, senza esserne ricambiato. Il Secolo d’Italia, 30 settembre Secondo Priscilla Del Ninno, Benigni, ricalcando parzialmente la linea adottata in La vita è bella, colloca la vicenda in un quadro bellico di attualità; l’azione è suggerita da una storia d'amore, in cui Attilio è innamorato pazzo di Vittoria, senza esserne ricam­ biato. Il Mattino, 30 settembre Oscar Cosulich rileva che il film pone in scena la storia di Attilio, innamorato della poesia e ancora più della donna Vittoria, che però non vuol saperne di lui; il protagoni­ sta si trova in mezzo alla guerra irachena, da cui si salva proprio grazie alla forza della poesia.

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Il Tempo, 30 settembre Antonello Sarno sottolinea l’importanza dell'elemento ‘poesia’ nel film; è proprio la poesia che consente di lanciare un messaggio di speranza nella vita, al di là delle diffi­ coltà. Nella storia d’amore di Attilio, su cui si incentra la pellicola, l’innamorato, non ri­ cambiato dalla donna amata, è disposto ad affrontare addirittura i pericoli della guerra irachena pur di conquistare l’amore di lei.

L’Unità, 30 settembre Secondo Gabriella Gallozzi. per mezzo dell’arma della poesia il protagonista del film Attilio cerca di “neutralizzare” l’orrore della guerra, tentando di salvare la donna che ama, caduta vittima proprio della guerra stessa. Il tentativo di Attilio è ancor più ri­ levante perché rivolto a una donna che non ricambia il suo amore. Il Manifesto, 30 settembre Giulia Sbarigia sottolinea che il film è storicamente datato al momento della Se­ conda Guerra irachena, scelta a fungere da sfondo della storia poetica del protagonista Attilio. Costui affronta le difficoltà belliche per cercare di salvare la donna che ama. Vittoria, munito della sola arma della poesia. Il Foglio, 2 ottobre Secondo Mariarosa Mancuso, il film è ideato e attuato come film da cassetta, sulla falsariga di La vita è bella. La guerra irachena è solo strumentale, ha la funzione di in­ quadrare la storia d’amore tra Attilio e Vittoria. Il messaggio è identico a quello di La vita è bella, cioè ‘la vita è bella anche in mezzo alle peggiori difficoltà’; ma, agli occhi dell’autrice, il messaggio questa volta è troppo ripetitivo per essere credibile. Giugno 2005

La Repubblica, 23 giugno Roberto Rombi coglie nel film la storia d’amore di uno stravagante poeta che, armato solo dell'arma della poesia, va in Irak per salvare la donna che ama e riesce a superare ogni ostacolo. Il Messaggero, 23 giugno Gloria Satta sintetizza così il significato della pellicola: Attilio, poeta innamorato (non ricambiato) di Vittoria, si reca in Irak, in mezzo alla guerra, per salvare la donna; pur essendo armato solo della poesia, riesce a superare tutte le difficoltà.

La Stampa, 23 giugno Simonetta Robiony accenna alla storia d’amore di Attilio e Vittoria, all’insistenza del rifiuto della donna nei confronti dell’innamorato; accenna inoltre alle scene di Atti­ lio in mezzo alla guerra e al deserto, ove Attilio dovrà misurarsi con la sola arma della poesia; giudica favorevolmente la presenza della Braschi.

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Il Mattino, 23 giugno Raffaella Leveque si sofferma soprattutto sulla storia d'amore dei due protagonisti, Attilio e Vittoria, il primo dei quali ama la seconda, non ricambiato; per conquistarla, ri­ corre ai mezzi più impensati, fino a capitare in Irak nel bel mezzo della guerra anti-Saddam. Il Corriere della Sera, 24 giugno Giovanna Grassi scrive che Attilio (idionimo forse suggerito dal desiderio di fare un omaggio a Attilio Bertolucci), innamorato di Vittoria, la segue dappertutto, perfino nel1' Irak sconvolto dalla guerra, sconfiggendo con l’arma della poesia, la sola che egli pos­ siede, ogni bruttura della realtà; l’autrice della recensione sottolinea la bravura di Benigni come attore. Gli interventi dei recensori del settembre del 2004 e del giugno del 2005 si limitano sostanzialmente a riferire le opinioni espresse da Benigni in persona sul film ancora in lavorazione e si basano su poche anticipazioni, insufficienti per la comprensione precisa della pellicola; per tale ragione, se da un lato insistono (correttamente) sullo sfondo bel­ lico dell’azione e sull’importanza della poesia come arma per sconfiggere le brutture della vita, dall’altro non afferrano - e probabilmente non potevano afferrare - quale è il vero rapporto tra Attilio e Vittoria (marito e moglie separati, non semplicemente coppia potenziale), che costituisce il nucleo portante della storia d’amore su cui si impernia il film. Non potevano nemmeno valutare appieno la funzione della griglia delle citazioni e delle reminiscenze poetiche, né cogliere i legami più o meno marcatamente simbolici che percorrono tutto il film dalla prima scena all’ultima (in senso stretto, come ho detto sopra, a pp. 89 sgg.). Si tratta dunque di interventi che presentano, inevitabilmente, una buona percentuale di provvisorietà. Ottobre 2005

Il Corriere della Sera, 5 ottobre Tullio Kezich anzitutto sottolinea la “strepitosa” virtuosistica performance di Benigni-attore, che egli giudica degna di una “standing ovation”, dotata di caratteristiche af­ fini a talune interpretazioni di Chaplin2; non per caso proprio del finale del film chapliniano Luci della città Benigni-regista risente nella parte conclusiva di La Tigre e la neve. Inoltre il recensore fornisce un brevissimo sunto del film di Benigni, sintetiz­ zandone il messaggio fondamentale nella formula “l’amore supera ogni difficoltà”.

La Repubblica, 5 ottobre Natalia Aspesi, dopo aver criticato i recensori che si mostrano pregiudizialmente ostili a Benigni, definisce La tigre e la neve come un film in cui la guerra è vista senza

2 II tema del rapporto tra Benigni e Chaplin è stato affrontato da G. Simonelli - G. Tramontana, Datemi un Nobel! L'opera comica di R. Benigni, Alessandria, Falsopiano, 1998, pp. 141 sgg. (ove non si tiene conto del film La tigre e le neve, non ancora prodotto all’epoca).

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sangue né orrore, i soldati sono visti come bonaccioni, dunque un film parzialmente "buonista”, senza particolari puntate di polemica o di propaganda politica, un film un po’ “ir­ realista”, in cui la realtà è trattata come una favola; forse anche film “opportunista”, cioè tale da sfruttare l’esperienza di precedenti film di Benigni in modo da ’far cassetta’. Ap­ prezzabile comunque, secondo la Aspesi, il messaggio di invito a credere nell’amore e nella poesia, ideali che consentono di sperare e di non arrendersi di fronte agli aspetti tragici della vita. Giudica validissima l’interpretazione di Benigni, debole quella della Braschi. Il Giornale, 5 ottobre Maurizio Cabona ritiene che, se la prima parte del film mostra dei limiti nel rappre­ sentare Benigni come ’professore’ di teoria poetica, nella seconda l'attore è perfettamente calato in un quadro bellico, come in La vita è bella; in questa parte il regista cerca di far capire quanto l’embargo occidentale abbia logorato la popolazione irachena (per esempio raffigurando l’ospedale disastrato o le farmacie vuote); il recensore apprezza la presenza dell'attore Reno nella figura del poeta Fuad. mentre coglie un elemento di “opportuni­ smo” nella raffigurazione non negativa dei soldati americani, sensibili alla menzione del poeta Whitman. Un secondo intervento sul Giornale dello stesso giorno è firmato da Michele Anseimi. secondo cui Benigni si mostra attore consumato, ma inserisce “troppa poesia”, che finisce per annullare la poesia stessa e tradisce una qualche forma di immaturità sul piano della regia.

La Stampa, 5 ottobre Secondo Lietta Tomabuoni il film lancia il messaggio che “bisogna coltivare speranza e fiducia”, un messaggio che nel catastrofismo del mondo contemporaneo si configura come consolatorio. L'Avvenire, 5 ottobre Francesco Bolzoni, dopo aver fatto riferimento al pittore giapponese Hokusai per l’origine del titolo del film, ritiene nel complesso la pellicola accettabile sia nell’ambientazione sia nell'ideazione sia soprattutto nell’omaggio alla poesia, vista come ciò che consente di penetrare la realtà delle cose. Tuttavia a suo parere il film manca di una “necessità” poetica forte che gli consenta di giustificarsi in sé. Buona parte del successo va ascritta a merito della performance di Benigni come attore; qualche critica va invece mossa al cast, con particolare riferimento alla Braschi. Il Messaggero, 5 ottobre Fabio Ferzetti apprezza altamente la capacità dell’attore protagonista; da un altro punto di vista, sottolinea come le innumerevoli citazioni d’autore siano ben “incorpo­ rate” nei dialoghi dei vari personaggi e perfettamente fuse nella sceneggiatura del film. Il recensore esprime invece riserve sull'impianto filmico, del tutto simile a quello di La vita è bella, e sulla fragilità della sezione ’irachena’ della pellicola, non del tutto riscat­ tata dalla straripante presenza di Benigni-attore. Soprattutto, il rifarsi a fatti storici con­ temporanei di rilievo (nella fattispecie, la Guerra del Golfo) secondo Ferzetti sarebbe da evitare, Benigni dovrebbe impostare la storia contando solo sulle proprie forze, senza ri­ correre a fattori estranei alla vicenda, tali da insinuare il sospetto che il regista ricerchi “alibi o scudi protettivi” per far accettare più facilmente il messaggio lanciato dal film.

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Il Tempo, 5 ottobre Per Gian Luigi Rondi ci troviamo di fronte a un film in cui vengono sapientemente alternati e posti in reciproca dialettica dramma e commedia; il recensore loda altamente la maestria della recitazione di Benigni, che percorre abilmente tutti i toni.

La Gazzetta del Mezzogiorno, 5 ottobre Francesco Norci esprime l’opinione che, diversamente da quanto si verifica per lo scenario bellico di La vita è bella, quello di La tigre e la neve è scenario da “cartolina”, del tutto inverosimile e comunque non corrispondente alla guerra vera; ciò perché l'in­ teresse del regista è concentrato piuttosto sul mondo della poesia e del sogno, non su quello della guerra o della politica. Il recensore valuta variegata e brillante l'interpreta­ zione di Benigni nella parte del poeta stravagante. Il Riformista, 5 ottobre Luca Mastrantonio esprime un giudizio severissimo sia sul film che sull’interpreta­ zione di Benigni, parlando di “fantozziana boiata pazzesca”. Liberazione, 5 ottobre A parere di Roberta Ronconi, il messaggio generale del film è che l’amore prevale sulla distruzione-morte; tuttavia il film si traduce in un “canto di innamorato ... privo dell’oggetto d’amore”, perché sostanzialmente è basato solo sulla figura di Benigni, ‘in­ namorato’ di se stesso: ciò attenua la funzione etica del messaggio. Su questo messag­ gio morale si innesta quello politico di Benigni, relativo alla situazione bellica irachena, ma esso agli occhi della Ronconi non riesce ad arrivare fino in fondo, perché il regista assume una posizione sfumata non facilmente definibile e perciò il film nel suo com­ plesso risulta monco; mentre secondo la Ronconi è convincente la raffigurazione di At­ tilio come poeta distratto e pasticcione, ma fiducioso nell’onnipotenza della poesia.

L’Unità, 5 ottobre Secondo Furio Colombo. Benigni-regista fa di una piccola, personale vicenda d’amore il centro della Storia, sottolineando come solamente grazie all’amore per la sua donna il protagonista riesca a superare le difficoltà; l’amore è dunque una potentissima ragione di vita. Il recensore evidenzia poi l’opposizione tra il poeta Attilio e il poeta Fuad; e sottolinea come nel film non solo Attilio e Fuad. ma anche gli altri personaggi parlino non con parole proprie, ma con parole e versi di altri poeti. Ancora, il recensore rileva che lo scenario di guerra del film è presentato in modo da tradire apertamente il suo carattere di costruzione fittizia, per indicare simbolicamente che la guerra può di­ struggere tutto. Nel complesso, si esprime grande apprezzamento sia per la performance di Benigni che per il film, in cui - sottolinea il recensore - ogni cosa è esemplare e “rap­ presenta qualche altra cosa”, dunque un film in cui il simbolo gioca un ruolo impor­ tante. Il Manifesto, 5 ottobre Roberto Silvestri critica pesantemente la scelta politica di Benigni di non schierarsi da poeta “materialista” qual è e di tradire, così facendo, la causa degli intellettuali di si­

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nistra. La guerra è vista attraverso citazioni poetiche, attraverso scambi di opinioni tra i poeti Attilio e Fuad, non nella sua tragica realtà. Il film può essere visto come un lavoro incentrato sull’amor cortese. Il Corriere della Sera, 14 ottobre Tullio Kezich, riprendendo e approfondendo le proprie osservazioni sul medesimo quotidiano in data 5 ottobre3, presenta anzitutto alcune riflessioni puntuali, per esempio afferma che il nome del protagonista è forse un omaggio a Attilio Bertolucci (vi accen­ nava anche Giovanna Grassi, sul Corriere della sera del 24 giugno 2004)4. Poi esamina il film su un piano più generale, giungendo a queste conclusioni: esso tradisce qualche elemento di debolezza strutturale, soprattutto nella presentazione-ricostruzione del­ l’ambiente iracheno e in alcuni aspetti del cast (per esempio, l’interpretazione di Reno­ Fuad non rende ragione del perché il personaggio si suicidi); inoltre, si sarebbero desiderati approfondimenti lungo determinate linee: per esempio, è efficace l'opposi­ zione tra Attilio e Fuad come depositari di modi diversi di vedere la poesia e la vita stessa, ma tale opposizione non è sviluppata dal regista in tutte la sue implicazioni (il poeta Fuad è rassegnato e vinto perché la sua poesia si manifesta in un paese che è im­ merso in un dolore e una rovina senza tregua). Di fronte a queste pecche sta l’interpre­ tazione di Benigni attore, assolutamente eccezionale, con pezzi di rara efficacia (per esempio la recita del Padre Nostro). Libero, 14 ottobre Secondo Giorgio Carbone, La tigre e la neve pare un film programmato appositamente per far cassetta; delude le aspettative ideologiche dei simpatizzanti di Benigni, perché il re­ gista pare tutto intento ad attirare il pubblico non solo italiano, ma anche d’oltre Oceano: infatti non v’è alcun accenno ostile nei confronti dei soldati americani. Dunque a suo pa­ rere si può muovere a Benigni l’accusa di non essere stato coerente con se stesso. Risulta disastrosa la recitazione della Braschi. - Il recensore pare non aver capito esattamente il rapporto intercorrente tra Attilio e Vittoria, che definisce innamorata del poeta Fuad.

La Gazzetta del Mezzogiorno, 14 ottobre Oscar larussi rileva anzitutto che la struttura del film riprende quella di La vita è bella, mentre dal punto di vista ideologico Benigni, diversamente da come si era comportato nel precedente film, preferisce non assumere posizioni politiche nette, anche se forse La tigre e la neve con la sua ‘leggerezza’ potrà contribuire a far capire l’insensatezza della guerra irachena. Il protagonista Attilio, continua il recensore, è un professore-poeta, che cita continuamente versi di poeti precedenti; grazie alla poesia, egli riesce a vedere il mondo come in una fiaba, a semplificare la dura realtà, a superare qualunque difficoltà, a salvare sé e gli altri (in particolare, la moglie Vittoria, da cui è separato ma che ama sempre al di sopra di tutto). Il messaggio di Benigni, conclude larussi, è che possono variare gli sce­ nari e i contesti, ma la forza della poesia e dell’amore non mutano e non perdono mai ef­ ficacia. 3 Cfr. sopra, p. 122. 4 Cfr. ancora sopra, p. 122.

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Avvenimenti, 14 ottobre Callisto Cosulich, dopo aver evidenziato in apertura le somiglianze strutturali di La tigre e la neve con La vita è bella, passa all’esame della pellicola e esprime la seguente opinione: nel primo tempo del film l’azione scenica è perfetta, grazie all’ambientazione e alla bravura di Benigni-attore. invece nel secondo tempo si registra una caduta da tutti i punti di vista e, soprattutto, si ha l’impressione che la tragedia irachena sia stata usata come pretesto per parlare di una storia privata di nessuna importanza, con risultato ideo­ logico esattamente opposto rispetto a quello di La vita è bella (dove una storia personale consentiva di vedere la più grande tragedia del ’900. l’Olocausto, nell'intimo della sua tragicità).

La Repubblica, 15 ottobre Nella sua recensione. Paolo D’Agostini formula alcune riserve circa la mediocrità della regia di Benigni, che in modo poco credibile trasforma la guerra in favola, ma tut­ tavia esprime un giudizio complessivamente positivo sul film, alla luce dell’efficacia del messaggio che la vitalità poetica e la fede nella vita possono sconfiggere gli aspetti negativi della realtà. Di rara efficacia giudica l’interpretazione di Benigni-attore (per esempio nella scena della recita del Padre Nostro). Il Foglio, 15 ottobre Mariarosa Mancuso, riprendendo il tono della precedente segnalazione (in // Foglio 2 ottobre 2004)5, in polemica con l’opinione di alcuni critici, sottolinea la superficialità dell’espediente delle citazioni d’autore in La tigre e la neve, evidenzia la debolezza del­ l’interpretazione della Braschi e l’insoddisfacente risultato della regia (come esempio ne­ gativo cita la scena d’apertura, a proposito della quale afferma: "la prima scena uccide”). Il Mattino, 15 ottobre Valerio Capraia, facendo riferimento alle diversificate posizioni assunte dalla critica all’uscita del film, sottolinea negativamente alcuni aspetti: anzitutto la mancanza di con­ gruità tra aspettative ‘politiche’ e realizzazione del film da parte di Benigni, notoria­ mente impegnato sul versante politico; in secondo luogo, il tono melodrammatico e ‘buonista’ dei due temi della bellezza della poesia e dell’invincibilità dell'amore ‘ro­ mantico’; ancora, l’immotivata strumentalizzazione del tema bellico ai fini di propa­ ganda politica di parte; inoltre, la debolezza del cast (la poco credibile recitazione della Braschi e l’insufficiente impegno di Reno), che coinvolge in parte lo stesso Benigni, troppo ‘malinconico’ e ‘ricercato’ nel linguaggio; infine, la gratuità delle innumerevoli citazioni poetiche. Dunque, secondo il recensore, un film fallito.

L’Unità, 15 ottobre Alberto Crespi sottolinea le somiglianze di struttura con La vita è bella (nei cui con­ fronti peraltro la nuova pellicola è meno originale) e l’interesse di Benigni per la “sta­

5 Cfr. sopra, p. 121.

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bilità” familiare. Un po’ ambigua sul piano ideologico la regia (film antiamericano? op­ pure antipacifista?); ottima la “debordante energia” interpretativa del protagonista.

Il Corriere della Sera, 21 ottobre Maurizio Porro pone il nuovo film sulla linea di La vita è bella, nella struttura che prevede il passaggio dal ‘quotidiano’ al ‘cosmico’. Il giudizio del recensore è agro-dolce, con apprezzamento per la grande prova di Benigni-attore e forte critica nei confronti di Benigni-regista. Secondo il recensore, indecisioni ‘stilistiche’, determinate dal numero troppo alto delle citazioni di terzi, e importanza eccessiva attribuita alla Braschi sono punti di debolezza; una serie di scene particolarmente sentite (per esempio il sogno d’apertura, la lezione del poeta-professore Attilio, e altre), i punti di forza.

Passo ora brevemente in rassegna qualche intervento pubblicato su siti web. All’indirizzo http://centraldocinema.it si leggono le recensioni di Francesco Sapone, Sergio Gatti, Emidio Stefanoni. tutte in data 5 ottobre 2005. Il primo esprime un giudi­ zio fortemente critico nei confronti del film, definendolo "mediocre, lento, lungo e pre­ suntuoso”; e formula riserve anche sulle scelte di Benigni che, pur essendo “senza dubbio il più grande comico vivente”, s’è illuso di potere praticare con buoni risultati anche il ci­ nema, snaturando se stesso. Il film segue la falsariga di La vita è bella, per ragioni di ‘botteghino’. Il paragone con La vita è bella è abbozzato anche nelle recensione di Sergio Gatti, so­ prattutto in rapporto al messaggio che accomuna le due pellicole, cioè ‘la vita è degna di essere vissuta’; il giudizio del recensore è pacatamente critico nei confronti della regia di Benigni e nella scelta del cast (sia la Braschi che Reno) e nei confronti della posizione ideologica un po’ ambigua assunta dal regista; è invece più indulgente nei confronti di ta­ lune trovate più riuscite (per esempio la scena iniziale o la lezione di poesia di Attilio). Viene sottolineato come i toni polemici, altre volte forti in Benigni, vengano smorzati. Infine, il terzo recensore giudica il film come “il punto più basso di tutta la cinema­ tografia” di Benigni, esile nella trama, con l’eccezione della ‘sorpresa’ della scena finale, disastroso nella scelta dei personaggi, fallito nel montaggio; solo Benigni-Attilio è par­ zialmente credibile nella sua interpretazione.

A sua volta. Silvia Di Paola, in un’articolata recensione apparsa sul sito www.ancci.it nel 2005, evidenzia come la mancanza di un preciso filo conduttore, di una vera e pro­ pria storia filmica sia sostituita dalla funzione umbratile della poesia e dalla straripante onnipresenza e bravura di Benigni-attore. Secondo lei. il film segue la falsariga di La vita è bella, con toni molto più pacati, meno ‘partitici’ rispetto ai primi film di Benigni, molto meno dissacratori; inoltre, l’ambientazione è ‘occasionale’, nel senso che la storia si sa­ rebbe potuta sviluppare in qualunque altro contesto. Benigni, pensa la Di Paola, questa volta ha preferito non schierarsi ideologicamente, lasciando nello spettatore il dubbio se sia antiamericano o antipacifista; e ha deciso di insistere piuttosto sul fatto che il suo per­ sonaggio, Attilio, è poeta, che parla con i versi di numerosi poeti di tutti i tempi, è poeta che grazie alla poesia vuole superare le difficoltà della vita e suggerire come raggiun­ gere la felicità. L’autrice della recensione sottolinea inoltre come la commistione di sogno e realtà, che pervade il film (tangibile apertamente nella scena d'apertura, impli­

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citamente nella scena della visione della 'tigre sotto la neve’ di Vittoria, nel pre-finale), rinvìi alla lezione felliniana. Propone, infine, un’esegesi dell'opposizione ‘tigre vs neve’ formulata nel titolo della pellicola6.

Anche Marco Vanelli ha fornito un’accurata recensione in www.usmi.pcn.net, del­ l’ottobre 2005, in cui tocca vari punti. Anzitutto nota che Benigni sviluppa nel film il tema del senso della vita come dono ricevuto, che va difeso e salvaguardato a tutti i costi; e sottolinea che in questa difesa assume un aspetto fondamentale la speranza (forse da intendere come Speranza, con la S maiuscola), che traspare chiaramente benché sia mascherata da atteggiamenti buffoneschi di Attilio-Benigni. Il recensore rileva che il mondo di Benigni non è reale, ma evocativo e allegorico; e nota inoltre l’elemento ‘spirituale’(costituito, oltre che dalla fiducia nel senso della vita, anche dalla pratica della poesia), che talvolta sfiora il ‘religioso’ (per esempio nella scena della recita della pre­ ghiera a Allah-Dio); si tratta, secondo il recensore, di momenti spirituali che sottoli­ neano l’aspetto di “vita donata/spesa per gli altri in nome di un amore disinteressato”. Accanto a questi elementi positivi, Vanelli ne rileva alcuni negativi: la regia è in­ certa. i personaggi sono solamente delle ‘variabili’ che fanno da contorno al protagoni­ sta. la guerra è vista non nella sua cruda realtà, ma solo simbolicamente, al fine di evidenziare per contrasto la fiducia nella vita; soprattutto, il film in quanto tale è debole perché non vi si raggiunge l’amalgama tra i vari elementi costitutivi (per esempio, le ci­ tazioni poetiche restano avulse dal contesto). Sul sito informatico www.frameonline.it, in data 15 ottobre 2005, è apparsa una re­ censione di Diego Barboni. Secondo il recensore il film ricalca la falsariga di La vita è bella ma scade nel ‘buonismo’ del messaggio che l’amore è più forte della guerra. Anzi, oltre all’amore, anche la poesia è vista come l’antidoto ai mali del mondo. Il riferimento alla guerra irachena risulta a suo avviso estrinseco e gratuito e il film tradisce pochezza contenutistica, appena mascherata dalla verve di Benigni-attore, una verve peraltro meno marcata di altre volte, perché Benigni è passato da una forma di comicità spontanea (come era agli inizi della carriera) a una comicità più ambiziosa e meno incisiva.

Piero Nussio nel sito internet Cinebazar, in data 20 ottobre 2005, in occasione del­ l’uscita di La tigre e la neve, sottolinea la pericolosità, anche filmica oltre che ideolo­ gica, del parlare di una guerra in atto: Benigni supera la difficoltà concentrando la sua attenzione sul messaggio da inviare allo spettatore, “prendere le cose seriamente”, in amore come in guerra, qualunque cosa si faccia, dunque un messaggio di impegno e di speranza. Il recensore sottolinea inoltre la grande performance del cantante Tom Waits nella scena iniziale e in altri momenti della colonna sonora7. Il giorno dopo, 21 ottobre 2005, nel sito www.ottoemezzo.com, Franco Cicero sot­ tolinea la delicatezza dei toni fiabeschi del film, a cominciare dal titolo ispirato da un quadro del pittore giapponese Katsushika Hokusai, e il messaggio che ne viene circa la capacità dell’amore di essere disinteressato. Evidenzia la novità dell'introduzione, nei

6 Cfr. sopra, p. 91 e n. 5. 7 Del testo originale della canzone, composta espressamente da Waits con la moglie per il film di Benigni, viene anche fornita una traduzione italiana, a firma del recensore (cfr. sopra, p. 97 n. 26).

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dialoghi, di una fitta trama di citazioni, conseguenza dell’affinamento della sensibilità culturale di Benigni. Aggiunge che la ricostruzione dell’ambiente iracheno è voluta­ mente non realistica, in linea appunto con il tono fiabesco generale. Giudica ottima la performance di Benigni come attore, buono il cast degli attori. Erminia Passannanti recensisce il film sul sito informatico Lietocolle, in data 25 ot­ tobre 2005: dopo aver citato Dall a proposito della simbolica presenza della ‘tigre’ nel contesto dell’ossessione erotica8, l’autrice sottolinea che l’efficacia della scena d’aper­ tura. ricca di implicazioni culturali e psicologiche, è successivamente smentita da una serie di elementi di grave debolezza, cioè: la degradazione della guerra irachena a farsa, l’eccessivo incentrarsi della trama dell'intero film nell’amore personale di Attilio, la po­ chezza dell'aspetto ideologico, l’inconsistenza della Braschi come attrice, la scarsa cre­ dibilità dell'introduzione della figura del poeta e del discorso sulla poesia.

A sua volta, F. T. (sic!), nella recensione pubblicata in RAI International online, dopo aver evidenziato l’origine del titolo del film (da un quadro del pittore giapponese Ho­ kusai) e aver sottolineato il minor impatto della guerra irachena in La tigre e la neve ri­ spetto all’olocausto in La vita è bella, enfatizza la straordinaria prova di Benigni attore e l’ingegnosità di talune sue trovate sceniche (per esempio la scena iniziale). Nella recensione on line curata per FilmUP, Francesco Lomuscio sottolinea che uno degli aspetti salienti del film è il tema della poesia, quel "lirismo che scandisce tutti i mo­ menti della vita quotidiana” sino a trionfare sulle difficoltà. Pur sottolineando la capa­ cità di Benigni come attore, il recensore ne evidenzia la tendenza a ricalcare (per giunta in modo meno coerente) non pochi aspetti di La vita è bella, viziati peraltro nel nuovo film dall'immotivato ricorso all’ambientazione irachena.

La tesi, che il mondo moderno abbisogna di speranza, in opposizione al dominante cinismo, è formulata da Giancarlo Zappoli. nella recensione sul web immediatamente successiva all’uscita del film (sito www.mymovies.it): è una tesi che si ricava facilmente dall’attenta lettura della pellicola di Benigni. Nel sito www.spietati.it. compare una recensione a firma di Manuel Billi. L’autore sottolinea che il concetto d’amore elaborato da Benigni pare fermo al Trecento fioren­ tino, anche se non è tanto la poesia la protagonista della pellicola, quanto piuttosto la realtà come la vive Attilio. Secondo il recensore, la prova di Benigni come attore è con­ vincente e riesce a imporre la figura anacronistica di "ultimo dei puri”; mentre elemento di debolezza è costituito dalla quantità eccessiva di reminiscenze poetiche, imputabili al co-autore della sceneggiatura Cerami9. 8 E acclusa all’articolo la fotografia dell’olio su tavola di Dall intitolato Sogno causato da una pun­ tura d’api (1944. oggi a Lugano, collezione Thyssen), in cui due tigri balzano verso il corpo di una donna. Il dipinto è, come dice il titolo stesso, di carattere onirico e dunque anche da questo punto di vista può essere accostato al nostro film, il cui fondo ‘felliniano’ è stato variamente evidenziato dai recensori. 9 Alla recensione di M. Billi è acclusa quella di F. Zurlo, in cui sono contrapposte la capacità per­ sonale di Benigni come attore e la debolezza del film in quanto tale, un film giudicato “incompiuto” so­ prattutto a causa dell’inadeguata integrazione tra ambiente esterno e vicenda personale di Attilio (l’Irak resta sulla sfondo e la vicenda di Attilio avrebbe potuto essere ambientata in qualunque altro luogo senza che la coerenza del film ne subisse contraccolpi); viene invece giudicato apprezzabile lo sforzo con cui Benigni riesce a crearsi un suo mondo poetico, in cui tutto viene calato.

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Infine, si può ricordare che Tirza Bonifazi Tognazzi dedica un cenno particolare alla colonna sonora del film, a opera di Nicola Piovani, stretto (e a sua volta premiato) col­ laboratore di Benigni anche in altre pellicole, soprattutto nel caso di La vita è bella: nella recensione, in www.mymovies.it, viene sottolineato il perfetto reciproco adegua­ mento della musica alle situazioni filmiche, cui di volta in volta la musica funge da ac­ compagnamento e sottofondo. Oltre alle recensioni ‘ufficiali’ o ‘semi-ufficiali’, il film ha sollecitato anche una serie di interventi di semplici lettori, che hanno manifestato la loro opinione su siti informa­ tici. Citerò, a titolo esemplificativo, il sito www.ciao.it: dalla serie di interventi, in data 2005, emerge una forte divergenza di vedute, che vanno dalla valutazione “vantaggi: bellissimo; svantaggi: nessuno”, con cinque stelle di merito, alla valutazione opposta “vantaggi: alcune scene. Tom Waits; svantaggi: personaggi fermi, statici, carenze nella trama, lentezza, crisi comica e drammaticità poco fine, ferma”, con due stelle di merito. Naturalmente, per una valutazione critica si può tener conto solo delle firme degli spe­ cialisti e dei critici di mestiere. Tuttavia il numero stesso degli interventi, effettuati a vario titolo, è indicativo della vasta eco suscitata da La tigre e la neve, come del resto dai lavori di Benigni in genere.

Un'ultima considerazione critica: il già citato curatore di una delle rassegne stampa, che ho indicato in apertura, Luke, sottolinea che dal complesso delle recensioni prese in esame scaturiscono due conclusioni: da un lato, come Benigni, pur bravissimo in quanto attore, non riesca a incarnare il ‘personaggio’Attilio, ma incarni solo se stesso; dall’al­ tro, come, da un punto di vista più generale, egli in veste di regista commetta l’errore di puntare ancora una volta sulla moglie come partner artistica. B) Passiamo all’esame di qualcuno dei contributi critici, relativi a La tigre e la neve, comparsi in riviste settimanali o mensili:

Panorama, 9 settembre 2004 All’inizio della lavorazione del film, Gabriele Parpiglia fornisce una segnalazione inevitabilmente provvisoria dell’opera, con altrettanto inevitabili fraintendimenti e in­ terrogativi: per esempio, l’affermazione che Vittoria è innamorata del poeta Fuad; varie incertezze sulla sequenza e il significato delle scene, sulla cripticità del titolo. Il recen­ sore sottolinea che Attilio si configura come individuo che lotta con la sola arma della poesia. Panorama, 6 ottobre 2005 Stefania Berbenni recensisce il film La tigre e la neve immediatamente dopo la pre­ sentazione, esprimendo il seguente giudizio complessivo: benché l’azione sia per buona parte ambientata nell’Irak investito dalla Seconda Guerra del Golfo, il film è del tutto privo di scene a effetto e invece si presenta come “film di parola”, pensato per suscitare sorrisi e riflessioni. Ciò dipende, secondo l’autrice della recensione, dalla caratteristica fondamentale del protagonista Benigni-Attilio: questi è infatti individuo che pone al centro della vita quotidiana la poesia come qualcosa di indispensabile, come un'arma salvatrice in caso di difficoltà, in un mondo poetico tutto suo. avulso dalla realtà; egli parla con parole e versi di innumerevoli altri poeti; e vive in funzione del recupero del rapporto d’amore con Vittoria, la donna della sua vita. La Berbenni conclude che la fi-

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ciucia nella poesia e nell’amore, che caratterizza il protagonista Attilio, costituisce il messaggio di fondo del film nella sua interezza.

Tv Sorrisi e Canzoni, 14 ottobre 2005 Secondo Antonio Mustara, il film è una favola ambientata nell'Irak di oggi; il titolo deriva da un quadro di Hokusai e, in esso, ‘tigre’ indica la ‘ferocia’ della vita e del­ l’amore. New Settimanale, n. 21, 12 ottobre 2005

Secondo Claudio Carabba. il messaggio del film La tigre e la neve è costituito da una prova di fede nell’importanza della poesia e dell’amore e da una specie di inno alla gioia di vivere: la poesia sconfigge ogni difficoltà, la vita è bella e degna di essere vissuta in ogni circostanza, anche nel pieno di una guerra (quella irachena). Messaggio di grande spessore, che tuttavia risulta poco efficace, perché la pellicola è piuttosto lenta e reto­ rica, intrisa di ‘buonismo’. prova piuttosto infelice delle capacità di regista di Benigni. A sua volta, lo scenario bellico in cui la vicenda è calata è del tutto inefficace, perché la guerra vi è rappresentata come qualcosa di irreale. Passando dalla regia agli attori, il re­ censore sostiene che Benigni fornisce una performance non eccezionale, ma a luci e ombre, anche in veste di attore-protagonista del film: brillante nelle scene in cui allenta le briglie alla scatenata comicità da ‘burattino’ che ha caratterizzato la prima fase della sua attività (per esempio nella scena del campo minato), viceversa privo di ritmo là dove assume le vesti di “letterato missionario’’ parlando non con parole proprie, ma attra­ verso una serie lunghissima e stucchevole di citazioni di altri poeti. Ancor meno con­ vincenti, agli occhi del recensore, sono gli altri attori principali: soprattutto la recitazione della Braschi-Vittoria lascia a desiderare, ma pare inadeguata anche quella di Reno­ Fuad. Se dunque La tigre e la neve è segno ulteriore, dopo La vita è bella, dell'apprez­ zabile esigenza di Benigni di maturare una cifra filmica drammatica, il risultato, conclude il recensore, questa volta è inferiore a quello del film precedente La vita è bella10.

Film TV n. 42, 18 ottobre 2005 Secondo Aldo Pittante, il film, benché vuoto di contenuti ideologici coerenti e di trama convincente, è riscattato dalla capacità attoriale di Benigni, che si manifesta in tutta una serie di scene di comicità travolgente (lezione all’università, maschera da sub per Vittoria, etc.). A giudizio del recensore, per Attilio-Benigni, professore di poesia e poeta in prima persona, è fondamentale la volontà di dimostrare che la poesia e l’amore sono l’antidoto per i mali del mondo; mentre il resto è mero contorno, compresi gli attori, che sono o sprecati (Reno-Fuad) o inadeguati (la Braschi-Vittoria). L'Espresso, ottobre 2005 Secondo Lietta Tornabuoni, La tigre e la neve è un film che non parla espressamente né di politica né di guerra, benché lo sfondo di esso sia costituito dall’Irak della guerra di Saddam Hussein; parla invece d'amore, dell’amore di Attilio per Vittoria, e di poesia. 10 Del medesimo recensore è il più breve intervento in 11 Corriere della Sera Magazine del 13 ot­ tobre 2005, che conferma il giudizio che ho appena esposto.

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incarnata in una serie di poeti che ‘prestano’ i loro versi ai personaggi del nostro film. E poiché nella pellicola poesia e amore consentono di risolvere i problemi, anche i più drammatici, della vita e permettono di coltivare la speranza senza desistere mai di fronte ad alcuna difficoltà, a giudizio della Tornabuoni è evidente che ci troviamo di fronte a un messaggio filmico che nel catastrofismo del mondo contemporaneo si configura come consolatorio, esattamente come quello lanciato in La vita è bella11. Il Mucchio Selvaggio, novembre 2005 Secondo Claudia Mangano, anzitutto il quadro iracheno che fa da sfondo a La tigre e la neve è un semplice pretesto, perché in realtà il film ci presenta una storia d’amore narrata con evidenti velleità poetiche sia nella figura del protagonista - un poeta, ap­ punto - sia per la ricca presenza di citazioni di versi d’autore; inoltre, nello sviluppo dell’azione si fa ricorso talvolta a soluzioni narrative un po’ artificiose, talaltra a forme di schematismo ripetitivo calcolato, probabilmente anche per ragioni di ‘opportunismo’, che tolgono un po’ di credibilità al film.

Patria indipendente, 29 gennaio 2006 Serena d’Arbela nella sua articolata recensione evidenzia che il film di Benigni è il regno dell'immaginario e della metafora; e che in esso, Attilio è simbolo della "diversità del poeta”, personaggio che vive fuori dai valori usuali, armato di ‘‘un'arma di difesa as­ soluta ... il sentimento”; la d’Arbela sottolinea che la condizione personale, intima, di At­ tilio poeta si scontra continuamente ed è in costante contraddizione con la drammaticità della situazione esterna di guerra, ferma restando la forza universale del sentimento. C) Infine, esamino alcuni contributi critici pubblicati su riviste specializzate. Alessandra De Luca, Ciak, n. 10 ottobre 2005.

Secondo l’autrice, Benigni-Attilio nel film lancia il messaggio che, tra difficoltà di ogni genere, anche le più gravi (quelle imposte dalla guerra), l’arma vincente è la poe­ sia, che costituisce salvezza non solo nel mondo ‘personale’ di Attilio, ma anche in quello della realtà quotidiana12. Ermanno Comuzio, E del poeta il fin la meraviglia. ‘La tigre e la neve’ di Ro­ berto Benigni, in “Cinefonim” XLV, n. 9, novembre 2005, pp. 19-22.

A giudizio del recensore, il film suscita qualche riserva, si sviluppa senza continuità e presenta snodi narrativi incerti tra ciò che accade nella realtà (filmica, naturalmente) e ciò che viene semplicemente immaginato-sognato; tuttavia risulta piacevole, diver­ tente e, a tratti, struggente; e in esso alcuni brani sono scenicamente riusciti e del tutto accattivanti, per esempio rincontro tra Attilio e Vittoria in casa di Attilio, il rapporto di amore-odio tra Attilio e i cammelli, la mimica di Attilio nel campo minato; talvolta, os­ serva il recensore, il pensiero va a Chaplin, per esempio nel caso della scena del furto

11 Considerazioni analoghe l’autrice formula nella Stampa del 5 ottobre 2005, cfr. sopra, p. 123. 12 L’autrice curò una segnalazione della pellicola già in L'Avvenire del 23 giugno 2005.

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delle scarpe da parte di Attilio e nel caso dell’agnizione finale. Sempre secondo Comuzio, Benigni non discute la realtà, né vuole esprimere opi­ nioni o giudizi sulla guerra irachena, che costituisce il teatro del film, ma si limita a re­ gistrare la guerra come situazione di dramma; questo dramma, si può cercare di arginarlo e attenuarlo con l’amore e l’amore può essere espresso con la poesia: dunque la poesia è vista come arma contro i mali del mondo. In questa posizione secondo il re­ censore è presente il rischio di ‘buonismo’, che tuttavia Benigni riesce a evitare intro­ ducendo nella trama alcuni spunti decisamente amari, come per esempio il suicidio del poeta Fuad. Il recensore esprime poi l’opinione che l’elemento ‘poesia’ in La tigre e la neve è importantissimo: la poesia è dentro di noi e costituisce la molla che ci spinge a proiet­ tarci sulla realtà per commisurarla a noi, talvolta per “addomesticarla”; per dare un segno tangibile dell’importanza della poesia, Benigni da un lato felicemente pone in scena le immagini di alcuni grandi poeti e cita innumerevoli versi altrui, dall’altro in­ serisce - questa volta meno felicemente - il ‘poetico’ in prima persona, con immagini non proprio originali (il cielo stellato di Baghdàd. l’uccellino sulla spalla, etc.). Grazie alla poesia - conclude Comuzio - Benigni può formulare un messaggio non tanto di ot­ timismo, quanto di speranza: da poeta, vuol fare gli altri partecipi della convinzione che con la poesia e l'amore si può cercare di porre rimedio al male delle cose. P. Bassani, “Sala Arena, Cinefonim 2005-2006 - Film 8/25”.

Dopo aver proposto l’accostamento con La vita è bella, il recensore evidenzia il mes­ saggio ‘consolatorio’ lanciato in La tigre e la neve con grande passione da parte di Be­ nigni; e sostiene che Benigni stesso, se non è un bravo regista, riscatta però questa sua debolezza con una grande performance come attore (la scena del campo minato, il rap­ porto di amore-odio con i cammelli, la scena del posto di blocco militare e altri episodi). Silvia Colombo e Gianni Canova, La tigre e la neve, in “Duellanti” novembre 2005, p. 15.

L’articolo si divide in due parti: Nella prima parte. Silvia Colombo espone i punti forti del film: anzitutto. La tigre e la neve presenta un Benigni-attore che, come in altre pellicole, è onnipresente e oc­ cupa tutti gli spazi come palco in cui esibirsi; inoltre, il film fa registrare ulteriori pro­ gressi nella maturazione di Benigni, soprattutto nel senso che viene modificata la cifra comica, con la concessione di maggior peso alla ‘parola’, perdi più poetica, nei con­ fronti della mimica e del ridicolo della gag; infine, conclude la Colombo, la parola poe­ tica viene controllata in modo che non cada nel declamatorio di chi vuol parlare a tutti i costi dalla cattedra. Nella seconda parte dell'articolo, Gianni Canova evidenzia che Benigni, non avendo un messaggio preciso da inviare, si nasconde dietro grandi idee (l’idea di Amore, di Poesia, di Sogno, di Pace, etc.), che egli ritiene possano far presa sul pubblico, e si at­ teggia a vate che ha il compito di promuovere tali idee. Con queste premesse, diventa ridicola a giudizio del recensore la pretesa di Benigni di atteggiarsi a nuovo Chaplin, di cui non possiede la complessa visione di vita; in conseguenza. Benigni ha prodotto un film del tutto velleitario e presuntuoso, senza nessuna originalità. Inoltre, continua il recensore. Benigni ricorre a un linguaggio del tutto improprio: infatti l'impiego si­ stematico di citazioni di versi altrui nel linguaggio quotidiano porta a una falsa poeti­

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cità, perché il linguaggio poetico non è per sua natura adeguato alla banalità del quo­ tidiano e inserirlo nel linguaggio quotidiano porta come conseguenza il suo declassa­ mento a semplice ‘sentenza / detto memorabile’, indipendente dal contesto. Davide Turrini, Lei tigre e la neve, in “Segnocinenia ” XXV, 136, novembre-di­ cembre 2005, pp. 54-55.

L’autore sottolinea l’eccessiva tendenza di Benigni a segnalarsi a tutti i costi, a voler passare dal palcoscenico, che gli è perfettamente congeniale, alla regia cinematografica, per cui è molto meno portato; il risultato di tale tendenza è cerebrale, si configura come qualcosa di costruito a tavolino, tanto più che viene fatto sfoggio immotivato di cita­ zioni e linguaggio poetico: esempio di ciò è la lezione universitaria di Attilio, che “ri­ sulta poeticamente spompata e cinematograficamente sconcertante”, con irrimediabile danno per la comicità cui pur il regista aspira. Inoltre, aggiunge il recensore, fattoreregista scade spesso nell’autoripetizione (la giacca scambiata era già presente in suoi lavori precedenti); ancora, è debolissima la messa in scena, in cui un posto spropor­ zionato è concesso all’onnipresente Benigni-Attilio; infine, conclude il Turrini, è in­ soddisfacente f ambientazione esterna, sia per quanto riguarda quella romana del primo tempo, sia per quanto concerne la ricostruzione di Baghdàd del secondo tempo. Simone Emiliani, La tigre e la neve, “Film” n.s. XI, n. 78, novembre-dicembre 2005, pp. 15-17.

A giudizio dell’autore, come in Pinocchio, così anche in La tigre e la neve Beni­ gni si rifugia sempre più nella ‘parola’ per creare una dimensione evocativa, in cui i personaggi sono sospesi tra realtà e sogno; e tale dimensione evocativa è apertamente e quasi programmaticamente dichiarata proprio nella scena iniziale, che è un sogno di evidente memoria felliniana. A sua volta - continua il recensore - la dimensione della ‘parola’ raggiunge punte significative sia nella scena della lezione sulla poesia, sia nella scena del ‘dialogo’ con Vittoria moribonda e del tutto incosciente, dialogo-mo­ nologo in cui Attilio crea con la parola una realtà ‘alternativa’ rispetto a quella che Vit­ toria al momento non è in grado di captare. La compresenza di una doppia realtà, una ‘vera’, l’altra ‘costruita’, costituisce per il recensore un segno che con il passare degli anni Benigni regista ha perso in ‘solarità’ per guadagnare in maturità e profondità, come successe al Chaplin cinquantenne rispetto al Chaplin giovane. Infine, contrariamente ad altri critici. Emiliani valuta positivamente la presenza della Braschi come spalla di Benigni: infatti Benigni incarna in Vittoria (come in altri personaggi femminili interpretati dalla stessa attrice in altri film) la figura di donna capace di trasformare la realtà in un mondo di sogno, in cui perdersi dimenticando il peso del presente. Federico Govoni, La tigre e la neve di Roberto Benigni, in “Cinema Sessanta” 2005, num. 6, pp. 110-111.

Il recensore si sofferma inizialmente su alcuni aspetti di simbolismo: il titolo del film, anzitutto, in cui ‘tigre’ indica l'istintualità del protagonista, in lotta con la ‘neve’ che designa la fredda prosaicità della civiltà; poi, la vena ‘freudiana’, basata sugli aspetti formali della ‘poesia’ e del ‘comico’, cui viene affidata la funzione liberatoria di aggirare la ragione critica repressiva e far sì che l’uomo possa sentirsi uomo tra uo­ mini. Il recensore analizza poi la struttura del film: nella prima parte del film Benigni

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fa capire la forza e i meccanismi della poesia, attraverso la lezione di Attilio agli stu­ denti; anzi già in precedenza, nella visione onirica d’apertura, presenta la realtà di At­ tilio come la desidera Attilio stesso, una realtà distorta dai suoi desideri; nella seconda parte della pellicola. Benigni proietta Attilio in una realtà che lo trascende, una realtà di valore universale o comunque di grande impatto (la guerra irachena): questa operazione del regista a giudizio del recensore ha lo scopo di far riflettere il pubblico su avvenimenti che di per sé lo coinvolgono, operazione facilitata sul piano del metodo dal fatto che il film appartiene al genere ‘commedia’, che per sua natura porta il pubblico a contatto con qualcosa che rientra nella esperienza quotidiana e dunque coinvolge. Tuttavia, conclude Govoni. l'impostazione del discorso filmico in questa seconda parte scivola dalla ‘com­ media’ verso il ‘comico’ e ciò impedisce al regista di approfondire criticamente il tema bellico; di conseguenza gli spunti interessanti, che pur non mancano, restano isolati.

Per concludere, si può cercare di evidenziare, in uno sguardo d’assieme, i punti fon­ damentali del film La tigre e la neve posti in luce dalla critica. Anzitutto, i recensori sottolineano quasi all’unanimità la dicotomia tra il Benigni at­ tore, che conferma anche in questo caso le doti di protagonista a tutti note, e il Benigni regista, che conferma le altrettanto note debolezze in questa funzione, già emerse in pre­ cedenza. Dal punto di vista ‘attortale’, alcuni recensori sottolineano un certo cambiamento della cifra ‘stilistica’ di Benigni, il quale è passato da parti, che prevedevano l'impiego costante della gag e dell'interpretazione ‘corporea’, nelle prime pellicole, a una parte in cui la ‘parola’ gioca un ruolo sempre più significativo. Alcuni hanno colto in questa evoluzione una somiglianza con la parallela evoluzione di Chaplin. Quasi tutti i recensori sottolineano, alcuni in modo critico, altri facendo riferimento all’atteggiamento ‘fiabesco’ del regista, la scarsa attendibilità della ricostruzione del teatro bellico; teatro bellico sia in senso fisico (strade, piazze, palazzi, etc.), sia so­ prattutto in senso traslato: messa in scena di una guerra non cruenta, in cui sono assenti i morti o gli aspetti drammatici, una ‘guerra da cartolina’, suggerita da una forma di ‘buonismo’ adottata dal regista forse per opportunismo, per non dispiacere a una larga fetta di pubblico (primo fra tutti, quello americano). È una scelta che consente a Beni­ gni di evitare di assumere posizioni ideologiche nette, diversamente da quanto egli aveva fatto in pellicole precedenti. Questo tipo di osservazione è stato formulato in modo molto polemico dal punto di vista ideologico dai recensori orientati a sinistra, in modo piuttosto ironico da parte dei recensori di altra ideologia. A proposito della decisione del regista di ambientare la vicenda nellTrak in guerra, molti recensori hanno sottolineato come non esista un rapporto poeticamente vinco­ lante tra il tema trattato - la storia d’amore di Attilio e Vittoria - e il teatro della storia, che avrebbe potuto essere indifferentemente l’Irak o qualunque altro luogo: questa mancanza di ‘necessità’ poetica è una delle prove più chiare della non eccelsa sensibi­ lità di Benigni come regista. La metafora della ‘fiaba’ è usata dai recensori anche in rapporto alla scarsa credi­ bilità ‘oggettiva’ del messaggio fondamentale del film, che si può compendiare in “la poesia e l’amore sono in grado di sconfiggere i mali della realtà e di rendere bella la vita”: un messaggio di cui si apprezza la fiducia nella speranza, ma di cui si rileva nel contempo la grande dose di utopia. Proprio in forza di questo tipo di messaggio il film è stato accostato a La vita è bella, un accostamento proposto anche a causa di paralle­

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lismi strutturali tra le due pellicole; tutti i recensori hanno sottolineato che l’accosta­ mento va a scapito di La tigre e la neve, meno coerentemente motivato nel messaggio finale rispetto al film precedente. ‘Fiaba’ ricorda anche ‘sogno’: non è certo casuale che l’atteggiamento onirico sia esplicitato nel modo più aperto nella scena iniziale e, a seguire, in quelle che la com­ pletano durante il primo atto del film: il sogno che sostituisce la realtà quando la realtà è meno gradita. Tutti i recensori hanno rilevato - come avrebbero potuto non farlo? - la macrosco­ pica presenza di citazioni poetiche nei dialoghi del film: alcuni con apprezzamento, altri con rilievi critici relativi all’eccesso di citazioni. Proprio per questa larghissima pre­ senza di citazioni poetiche si è parlato di ‘film di parole’, più che di ‘film d’azione’. Ma va sottolineato che le citazioni sono state rilevate, sì, dai recensori, ma non sono state collocate adeguatamente nel contesto filmico, e ciò ha forse nuociuto all’esatta valuta­ zione della funzione che esse rivestono. Oltre alla debolezza della regia, i recensori hanno rilevato quasi all'unanimità (con rarissime eccezioni) la scarsa adeguatezza del cast: Jean Reno è stato giudicato o ina­ datto alla parte o ‘sprecato’ nel molo di Fuad, come controparte impari al molo di Atti­ lio; la Braschi, con pochissime eccezioni, è stata giudicata poco sensibile nella parte di ‘musa ispiratrice’ dell’amore di Attilio. Va ancora rilevato che, con una o due eccezioni, nessuno dei recensori ha evidenziato l’opposizione tra il poeta Attilio e il poeta Fuad come simboli di due diversi modi di in­ tendere la poesia; e, in senso più lato, nessuno (forse con una o due eccezioni, anche in questo caso) ha rilevato uno degli aspetti più macroscopici del film, il simbolismo. Si sono rilevate, è vero, come ho segnalato via via, la dimensione onirica e quella fiabesca della pellicola; ma il simbolismo è altra cosa: non ricreare una realtà diversa da quella in atto - come succede appunto nella fiaba e nel sogno -, ma identificare nella realtà in atto segnali che rinviano a qualcosa di non immediatamente percepibile; l’uso sistema­ tico del simbolismo richiede una più attenta coscienza letteraria. Questa dimensione, appunto, andava lumeggiata più a fondo.

Indice degli autori e delle cose notevoli

Achmàtova: p. 87 Adonis: pp. 20-21 adynaton: pp. 89-90, 100 aforismi: pp. 84-85 Alighieri: pp. 21-23 allegorica interpretazione: pp. 22-23 allusive ripetizioni cfr. s. v. ripetizioni allu­ sive amore: pp. 13-17 passim, 30-31, 76, 90-91, 91-92, 97-98, 101 sgg., 109, 118 arabi poeti: pp. 50, 87, 96, 106-107, 110-111 ‘arma di distruzione di massa’: p. 112 ‘arma intelligente’: pp. 93-94, 112-113 Attilio: pp. 13, 102-103, 105-106, 109, 110­ 111, 113; sua indole distratta: pp. 94, 98, 102, 105-106 Auden: pp. 23-25, 95, 101, 110 Azzàwi: pp. 25-26

Babele (torre di): p. 85 baluginare: pp. 21, 62-63 Beckett: pp. 26-27 Bécquer: pp. 28-29 Benigni attore e regista: pp. 7-8, 119 sgg. passim Bloom: pp. 77-79 Borges: pp. 79-80, 87 Boye: pp. 29-31 Bradbury: p. 80 Broch: pp. 31-33 Biichner: pp. 33-34

Cervantes: pp. 84, 86 Chaplin: pp. 119 sgg. passim, 122 n. 2 Chesterton: p. 81 cinesi testi: pp. 85-86 citazioni non verificabili: pp. 86 sg. Cocteau: pp. 81-82 collanina: pp. 16, 102 Confucio: pp. 84, 85 Conte: p. 88 cultura letteraria in La tigre e la neve: pp. 107-110 e 110-112 d’Annunzio: pp. 39-42, 88 ‘densità’ di citazioni letterarie: pp. 107 sgg. Ecclesiaste cfr. s. v. Qoélet Éluard: pp. 42-43 farmacia, valore simbolico: p. 100 Fuad: pp. 15, 83, 85, 95, 96, 106-107, 110­ 111 Futurismo: p. 56 FuzùlT: p. 87 gabbia, valore simbolico: pp. 105, 106 al-Giumeili: p. 101 guerra (irachena): pp. 112 sgg., 119 sgg. passim

Hikmet: pp. 43-45, 93, 108 Hokusai (pittore giapponese): pp. 89, 119 sgg. passim al-Iraqi: p. 87

Campanella: p. 87 Caproni: pp. 34-35 Cardarelli: pp. 36-39 caratterizzazione dei personaggi: pp. 96, 104-107, 109, 110

La Capria: pp. 45-46, 110 La tigre e la neve: titolo, pp. 89 sgg. scena iniziale, pp. 91-93, 97, 98, 102-103,

138 107 sogno, pp. 91-92, 103, 107-108 lezione di Attilio all’università, pp. 23,46, 67, 79,94, 108-109 scena finale, pp. 16, 96-97, 98-99, 103 sinossi, pp. 13 sgg. sub-plot, pp. 16-17, 99 nel giudizio della critica, pp. 119 sgg. cfr. anche s. w. al-Giumeili, Attilio, cul­ tura letteraria, Fuad, Nancy, simbolismo, Vittoria La vita è bella', pp. 8, 118, 119 sgg. passim Lamarque: pp. 47-49 Lao-tse: pp. 84, 85 Le Mille e una notte', pp. 49-50 leggenda islamica: p. 86 Lévi-Strauss: pp. 82-83

Machado: pp. 50-52 magico strumento: p. 117 Majakovskij: pp. 51-57, 92, 108 Mandel’stam: pp. 57-58 Maritain cfr. s. v. Cocteau mentore - aiutante: p. 15 ‘modernismo’ (avanguardie): pp. Ili, 116­ 117 Montale: pp. 59-63 Morante: pp. 63-65, 86 al-Mutanabbi: p. 87 Nancy: pp. 16-17, 74, 98, 103-104, 105 n. 35 Neruda: pp. 65-67 Newell: p. 25 occidentale cultura: pp. Ili, 117 orientale cultura: pp. 110, 111, 116-117 ‘Omar al-Khayyàn: p. 67

al-Qushairi: p. 87 Penna: pp. 67-69, 96-97 personaggi principali: pp. 104 sgg. Pinocchio (titolo): p. 8 pipistrello, suo valore simbolico: pp. 93-94, 112 poesia, sua importanza e funzione: pp. 91,

Indice degli autori e delle cose notevoli

94, 108-109, 116-117, 117-118 porta, suo valore simbolico: pp. 15, 107 Pound: pp. 69-70, 95 Prévert: p. 88 proverbiali espressioni cfr. s. v. sapienziale letteratura Qoélet: p. 85

recensioni relative al film La tigre e la neve: pp. 119 sgg. Rig Veda: pp. 87, 93, 108 ripetizioni allusive: pp. 97 sgg.

sapienziale letteratura: pp. 83, 84-86, 96, 106 ‘scivolone’: pp. 62, 95, 103 Schwitters: pp. 70-72 Shakespeare: pp. 72-74 simbolismo in La tigre e la neve: pp. 89 sgg., 117 sg„ 119 sgg. passim sinossi del film La tigre e la neve: pp. 13 sgg. sogno: pp. 92, 102-103, 107-108 Stanislavskij: pp. 83-84 sub-plot: pp. 16-17, 99 Tagore: pp. 74-75 telefonate: pp. 17, 99 teoriche opere, citazioni da: pp. 77 sgg. Thomas: pp. 75-77

uccellino, suo valore simbolico: pp. 16, 46, 93, 105 Ungaretti: pp. 69-70 e nn. 96-97

Vecchio Testamento: p. 85 Verlaine: pp. 41-42, 88 Vittoria: pp. 13, 62, 89-90, 103-105, 107­ 108, 118, 119 sgg. passim Tom Waits: pp. 97-98 Zaidùn: p. 87 zoo: pp. 99-100

Indice generale

Presentazione di Lia Fava Guzzetta

p.

5

Premessa

»

7

Breve nota bibliografica

»

11

I. Analisi del film La tigre e la neve

»

13

II. Le citazioni letterarie presenti nel film La tigre e la neve. Fonti e contesti

»

19

1. Citazioni letterarie vere e proprie 2. Citazioni da opere teoriche in senso lato 3. Citazioni di natura ‘sentenziosa’ 4. Citazioni problematiche per ragioni varie

» » » »

20 77 84 86

III. Simbolismo, fili conduttori, personaggi, tematiche, letteratura nella Sceneggiatura del film La tigre e la neve

» 89

1. Aspetti di simbolismo 1.2. Elementi simbolici 1.3. Ripetizioni allusive 1.3. I Personaggi principali come individui simbolici 2. Aspetti di letteratura 2.1. Densità delle citazioni e distribuzione di esse tra i vari personaggi 2.2. Cultura degli estensori della “Sceneggiatura" 3. Aspetti di struttura Un aspetto strutturale della Sceneggiatura, la guerra

» » » » » » » » »

Osservazioni conclusive

» 115

Appendice La reazione della stampa di fronte al film La tigre e la neve

» 119

Indice degli autori e delle cose notevoli

» 137

89 89 97 104 107 107 110 112 112

Ultimi volumi pubblicati nella collana

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Finito di stampare nel mese di aprile 2011 per A. Longo Editore in Ravenna da Tipografia Moderna