La strada più impervia. Boccaccio fra Dante e Petrarca 9788884556868, 8884556864

Senza nulla togliere alla grandezza di Petrarca, dovremmo forse dubitare delle sue prospettive di giudizio sull'ami

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La strada più impervia. Boccaccio fra Dante e Petrarca
 9788884556868, 8884556864

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Senza nulla togliere alla grandezza di Pe­ trarca, dovremmo forse dubitare delle sue prospettive di giudizio sull'amico Boccac­ cio, che, s'intende, scelse la strada letteraria che piu gli era congeniale. Per farlo, gli abbi­ sognavano non soltanto le qualità che pos­ sedeva copiose, ma le av vedutezze che do­ veva acquisire con la maturità e l' espe­ rienza. Per conciliare Dante e Petrarca egli non poteva che assumere il ruolo del disce­ polo chiosatore e del cultore di reliquie let­ terarie. Con una umiltà, talvolta cosi esi­ bita da essere non meno goffa della pretesa petrarchesca di non conoscere la Comme­ dia, con la maschera dello scrittore-com­

mentatore che si dichiarava terzo fra co­ tanto senno, Boccaccio riusci a essere fede­ le a se stesso e, nel contempo, ad affermare la propria «differenza», a salvaguardarla e a nutrirla. La sua «terza strada», tanto fati­ cosa e impervia quanto originale,

è per ciò

stesso quella di una letteratura concilian­ te e inclusiva, che non poté e non volle rinunciare a innestare Petrarca sul tronco di Dante, né a mostrare il volto grifagno di Dante tra le ombre e le verzure di Valchiusa.

Marco Veglia insegna Letteratura italiana all'Università di Bologna. Studioso di Dante e di Boccaccio, cui ha dedicato due volumi

(fl corvo e la sirena, 1998; La vita lieta, 2000 ), si

è dedicato a lungo anche alla letteratura del

tardo Ottocento, in particolare a Carducci (da ultimo, con un'edizione di testi della

2010, 2011), a

giovinezza, Carducci e San Miniato, e col commento a Rime e Ritmi, Lorenzo Viani (Racconti, Pascoli

(2012),

2008), a Giovanni

non senza aperture alla sto­

ria della cultura, per gli intrecci fra lette­ ratura e medicina nelle figure di Augusto Murri e di Bartolo Nigrisoli, del quale ha ap­

pena curato Parva. Scritti autobiografici (2014).

AR EZZ O E C E RTA L D O Francisco Rico Ritratti allo specchio (Boccaccio, Petrarca)

Paola Vecchi Galli Padri. Petrarca e Boccaccio nella poesia del Trecento

Marco Veglia La strada piu impervia. Boccaccio fra Dante e Petrarca

Natascia Tonelli Piaceri e veleni dell'amicizia. Petrarca lettore di Boccaccio

(in preparazione)

AR EZZ O E C E RTA L D O Collana diretta da GIAN MARIO A NSELMI, LOREDANA CHINES, PAOLA VECCHI GALLI (Alma Mater Studiorum, Università di Bologna, Dipartimento di Filologia Classica e Italianistica)

In copertina: Filippo Balducci (Iv Introd.), disegno del Boccaccio dal codice autografo del Decameron: Berlino, Staatsbibliothek, Preussischer Kulturbesitz, ms. Hamil­ ton 90, c. 47V·

Marco Veglia

LA STRADA PIÙ IMPERVIA BOCCACCIO FRA DANTE E PETRARCA

EDITRICE ANTENORE ROMA-PADOVA ·MMXIV

Volume pubblicato con il contributo de ll'ALMA MATER STUDIORUM- UNIVERSITÀ DI BOLOGNA ­ DIPARTIMENTO DI FILOLOGIA CLASSICA E ITALIANISTICA

ISBN 978-88-8455-686-8 Tutti i diritti riservati - All rights reserved C6pypght © 2014 by Editrice Antenore S.r.l., Roma-Padova. Sono rigo­ rosamente vietati la riproduzione, la traduzione, l'adattamento, anche pa*iale o per estratti, per qualsiasi uso e con qualsiasi mezzo effettuati, senza là oreventiva autorizzazione scritta della Editrice Antenore S.r.L Ogni abuso sarà perseguito a norma di legge.

The power to guess the unseen from the seen, to trace the implications of things, to judge the whole piece by the pattern, the condition offeeling life, in general, so comple­ tely that you are well on your way to knowing any par­ ticular corner of it - this cluster of gifts may almost be said to consti tute experience, and they occur in country and in town, and in the most differing stages of educa­ tion. If experience consists of impressions, it may be sa id that impressions are experience, just as (have we no t seen it?) they are the very air we breathe. Therefore, if I should certainly sa id to a novice, (( Write from expe­ rience, and from experience only I should feel that this was a rather tantalizing monition if I were not careful immediately to add, (( Try to be on of the people on whom nothing is lost! >>,

>).

Hen ry James, The Art of Fiction (1884)

Prologo� Una strana amicizia L a vicenda umana e letteraria

che strinse in amicizia Petrarca e Boccaccio è stata di rilievo tale da assurgere a modello e tema della presente collana, a cominciare dai due volumi che ne hanno segnato l'avvio. Francisco Rico, nei suoi Ritratti allo specchio (Boccaccio, Petrarca), ha colto e restituito con vivezza un tratto ricorrente delle ricostruzioni critiche delf amicizia fra i due scrittori, of­ frendo la giusta evidenza al modo col quale Petrarca giudicava Boccaccio (esemplare è anche, in questa dire­ zione , il volume di Paola Vecchi Galli, secondo della col­ lana, Padri. Petrarca e Boccaccio nella poesia del Trecento): « a volte come un servitore e a volte come un fratello ». Boc­ caccio, del resto, aveva ben chiaro che, se avesse accetta­ to l'invito del Petrarca a vivere insieme, ne sarebbe stato maggiordomo e servitore: « non ut amicum et socium, se d domui sue et substantiis ceteris prepositum » (Epi ­

stulae, XVIII). 1

Colpisce, innanzi tutto, la natura squilibrata e, in so­ stanza, diciamolo pure, ipocrita, di questa amicizia, con­ siderata dalla parte del Petrarca: Rico, insomma, ne ha rivelato anomalie e crudezze, che finora non erano mai state esplicitate con tanta evidenza argomentativa. Nel dono stesso di una veste invernale « ad studium lucubra­ tionesque nocturnas » , destinata a Boccaccio col proprio testamento, Petrarca non aveva forse voluto insinuare con « bonaria malizia », aggiunge Rico, che all, amico Gio1 FRA NCISCO Rico, Ritratti allo specchio (Boccaccio, Petrarca), Roma­ Padova, Antenore, 2012, pp. 9-13.

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vanni convenisse « studiare molto »? Considerata dalla parte del Boccaccio, questa amicizia infastidisce, e cosi facendo suscita la necessità storiografica di ulteriori indagini. Povero Giovanni: grosso come un otre , ignorante , tutto preso da smanie di grandezza erudita e da ten­ denze affabulatrici, addirittura in prosa volgare, cosi invise alr amico Francesco o da lui mal digeste E, dav­ vero, povero Giovanni, avrà pensato ancora Francesco, con quel suo ostinato e imbarazzante culto di Dante, quel titano dal barbaro ingegno che proprio Petrarca aveva dovuto rimuovere da sé, come il Messo celeste fece in Inferno con l' « aere grasso », per poter procedere spedito lungo il proprio cammino. Gli episodi che di quest' amicizia si potrebbero consi­ derare sono numerosi, dall'incontro padovano del 135 1 al monito del Petroni - cui segui l'untuosa disponibilità di Francesco a ereditare la biblioteca dell'amico, spaventato dall' ammonizione, trasmessa dal Ciani, a non seguire le humanae litterae col rischio di perdere, su questa via, la propria anima - ,2 fino alla Griselda, passando per gli anni del Decameron, per il nodo del rapporto con Dante, con la tradizione mediolatina e con l' averroismo, piu ampia­ mente con la phylosophia naturalis: tutti questi momenti, problemi ed episodi, considerati singolarmente o nell'in­ sieme della loro storica correlazione, profilano una com­ munis opinio che prevede, quasi impone quale unspoken assumption, una priorità e superiorità di Petrarca e una . . .

2

Sulr episodio, e sul comportamento del Petrarca in quell' occa­ sione , MA RCO VEGLIA , (( La vita lieta ». Una lettura del (( Decameron », Ravenna, Longa, 2ooo, pp. 15-56.

Prologo

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« minorità », piu o meno velata o dichiarata da Petrarca e dai suoi studiosi, di Boccaccio, ritenuto una sorta di improvvisatore dall'amico e, in fondo, dagli stessi cri­ tici, petrarcologi o boccaccisti che siano, che hanno con­ fermato e approfondito, il piu delle volte , la linea trac­ ciata dal Petrarca. Il quale , per esempio, presentandosi come primo degli umanisti, ci ha fatto declassare a pre­ umanista Albertino Mussato e , soprattutto, ci ha fatto dimenticare la soverchiante bellezza delle egloghe dan­ tesche, cui certo nulla, in Petrarca e in Boccaccio buco­ lici, né in loro soltanto, può agguagliarsi, come spiegò da par suo Vrncenzo Fera.3 Le strategie retoriche adibite da Petrarca sono state nondimeno cosi autorevoli e su gge­ stive da indurre gli studiosi a confermarle piuttosto che a sottoporle a un critico esame. Sulla questione dei rap­ porti col Mussato, poi, osservati dalla spècola del Boc­ caccio, si è fermato di recente Michael Papio in un'im­ portante relazione su Boccaccio e i preumanisti padovani, tenuta al convegno internazionale Boccaccio veneto orga­ nizzato da Roberta Morosini (Wake Forest University, Venezia, 20-22 giugno 2013) . Questa vulgata è stata ora posta per la prima volta in crisi, specie nello stile oleografico della sua manife­ stazione , da Francisco Rico. Che osserva, in aggiunta, come « i personaggi >> di questa vicenda, ovvero i due amici-poeti, rappresentino, nella tradizione critica che li riguarda, « troppo alla lettera i ruoli che sono stati loro 3

V INCENZO PERA , L'identità dell 'Umanesimo, nel mise . L'identità nazionale nella cultura italiana, Atti del III Congresso nazionale del­ rADI-Associazione degli Italianisti Italiani (Lecce-Otranto, 20-22 settembre 1999 ), a cura di G. Rizzo , Galatina, Congedo, pp. 15-31.

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assegnati » : insomma, essi « vanno troppo d' accordo » e, fra loro, « tutto scorre con troppa armonia, senza dis­ sonanze » . Sennonché, si può compiere in questa medesima di­ rezione un ulteriore passo e , dalle crepe che fendono il polittico, si può ipotizzare di scorgere una diversa qualità dei rapporti fra i due scrittori. Certo, su questa via, è necessario considerare alcuni particolari che, il piu delle volte , sembrano privi di significato. Dichia­ razioni, ammissioni , reticenze e omissioni assumono, nella tela dell'esperienza di quell'amicizia, come sempre accade nella vita degli uomini, un rilievo imprevisto. Per lasciarsi guidare da dettagli che parrebbero minuti e ste­ rili è bene, tuttavia, sforzarsi di appartenere alla schiera di coloro, cosi ammoniva Henry James e cosi mi ha testi­ moniato l' amicizia di John Ahern, « o n whom nothing is lost » . C o n nuovi occhiali - non migliori degli altri, m a sem­ plicemente diversi - si scorge un panorama rinnovato forse nella percezione soggettiva che se ne acquisisce , dal quale sorgono poi spontane e alcune curiosità . In altre parole, siamo davvero certi che lo squilibrio emo­ tivo-caratteriale tra Francesco e Giovanni, non stabile nel tempo ma, di fatto, posteriore agli anni del Deca­ meron e tutto giocato a favore del primo dallo stesso Francesco, rappresentasse in effigie un dislivello cultu­ rale cosi profondo fra i due scrittori? Non siamo caduti, adottando quella convinzione, nella rete tesa da Petrarca e tessuta dalla sdolcinata umiltà di Boccaccio? Soprat­ tutto, siamo certi che la versione petrarchesca dell'Uma­ nesimo sia stata, non si dice la vincente, perché questo è ovvio nella contingenza della storia letteraria italiana ed

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europea, ma la piu moderna e acuta? Includere o esclu­ dere Dante dall'Umanesimo, secondo le difformi pro­ spettive di Boccaccio e Petrarca, che cosa comportò nel­ l'idea di letteratura che i due scrittori portarono avanti con le loro opere? V'è pure, in Boccaccio, per ciò che vedremo nel primo capitolo, la episodica sottolineatura di momenti della vita intellettuale dell'amico che non rientrano, diciamo cosi, nella vulgata studiosamente allestita da quest'ul­ timo, e che , nella loro geometrica eccentricità rispetto alla legenda sancti Francisci, sono stati di norma classifi­ cati o tacitamente giudicati come deviazioni aneddoti­ che rispetto a una verità, naturalmente coincidente con l'ufficiale versione petrarchesca dei fatti. Alla meticolosa rimozione petrarchesca della tradizione « naturalistica » nelle sue attinenze con la dottrina d' amore risponde , tanto per citare un solo esempio, il Chig. L.V.176 del Boc­ caccio, che induce espressamente a porre in rapporto Dante e Petrarca con Cavalcanti e con la tradizione cul­ turale del medico-esegeta Dino del G arb o, del quale Boccaccio ha voluto conservare di suo pugno, in quel codice , la glossa latina a Donna me prega.4 Quel mano­ scritto, rispetto al ritratto che Petrarca tracciava di sé, rappresenta insomma, non diversamente dal rovescio di un dipinto, una differente realtà: date, proprietari, cir­ colazione dell'immagine . L' arazzo maestoso, il quale, ammirato di fronte, a tu per tu, risulta compatto e uni­ forme nella propria bellezza, appare, se rovesciato dal4 Per questi aspetti non si può non ricorrere al volume di MARCO SANTAGATA, Per moderne carte. La biblioteca volgare di Petrarca, Bolo­

gna, Il Mulino, 1990, pp. 273-362.

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l'osservatore curioso e impertinente , che non vorrebbe nulla trascurare nella propria indagine , un groviglio ine­ stricabile di fili e di trame sfu ggenti. Che poi Boccaccio, specie dopo il tempo del Decame­ ron, dove si misurano contrasti con la cerchia petrarche­ sca che giovano alla retta intelligenza e datazione del capolavoro narrativo (a ciò è dedicato il secondo capi­ tolo del libro) , abbia assunto con una certa costanza e quasi compiacimento il ruolo del discepolo di Petrar­ ca, non prova affatto che quel ruolo di Giovanni corri­ sponda alla verità storica del suo rapporto con Francesco. Lasciare a Petrarca la convinzione di essere del tutto con­ forme , senza contraddizioni e ambiguità, all'immagine che lui stesso promuoveva di sé, soprattutto a partire dal 1353, non era solo una strada corretta per affermare la propria stima verso l' amico, ma era altre si un modo intelligente che consentiva a Boccaccio di continuare a restare, del pari, ciò che egli intendeva essere. Del resto, quanto può essere realmente credibile la versione uffi­ ciale di un rapporto d' amicizia governato da metafore di parentela dove agiscono un maestro-padre e un disce­ polo-figlio, instaurato tra due amici-scrittori che ave­ vano solo, dall'uno all'altro, pochi anni di differenza? Ne ragionava con me , non molto tempo addietro, Teodo­ linda Barolini. E la domanda, che a mio avviso è vitale nella sua forza euristica, resta aperta. Boccaccio, s'intende , scelse la strada letteraria che piu gli era congeniale . Per farlo, gli abbisognavano non sol­ tanto le qualità che possedeva copiose, ma le avvedutezze che doveva acquisire con la maturità e l'esperienza. All o stesso modo si comportò Petrarca con Dante. Negare il peso, l'invasività del fascino e della forza della Comme-

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dia era una delle strategie che Francesco volle adottare per affermare la propria originalità. La falsità della nega­ zione, tanto palese da essere ingenua, non toglie verità alcuna alle motivazioni legittime di quella scelta. Boc­ caccio, che sentiva il culto di Dante e di Petrarca come momento identificativo del proprio volto piu intimo, non volle negare nulla che, per lui, fosse tanto prezioso e vitale. Ma, per conciliare in sé e nelle proprie opere ciò che nella realtà letteraria sembrava, per volontà stessa di Petrarca, inconciliabile , non poteva che assumere il ruolo, la funzione, del discepolo chiosatore e del cultore di reliquie letterarie. Con una assunzione di umiltà, tal­ volta cosi esibita da essere non meno goffa della pre­ tesa petrarchesca di non conoscere la Commedia, con la maschera dello scrittore-co mmentatore che si dichiarava terzo fra cotanto senno, Boccaccio riusci a essere fedele a se stesso e, nel contempo, ad affermare la propria « dif­ ferenza » , a salvaguardarla e nutrirla nelr atto stesso di sminuirne rimportanza rispetto ai percorsi di Dante Ali­ ghieri e di Francesco Petrarca. Su questa strada si muove l'epistola al Pizzinga, attorno alla quale gravita il terzo e conclusivo capitolo di questo libro. Boccaccio, dopo tutto, scelse di apparire debole , di defilarsi, perché r arroganza e la superbia avrebbero offerto un'immagine falsa della sua stessa idea di una letteratura conciliante, inclusiva, diciamo perfino demo­ cratica. Non poté e non volle rinunciare a innestare Pe­ trarca sul tronco di Dante , né a mostrare il volto sco­ modo e grifagno di Dante tra le ombre e le verzure di Valchiusa. Il rifiuto del con tuberni o con r amico resta una prova di indipendenza non solo spirituale , ma intellettuale

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e, vorrei aggiungere , civile : se Petrarca rappresenta la prima figura di intellettuale italiano che ha rapporti auto­ nomi col potere politico, la natura cortigiana di questi rapporti quanto incide o dovrebbe incidere nella valu­ tazione di alcuni caratteri della tradizione italiana desti­ nati a una lunghissima durata? Se Petrarca è , poniamo, amico di Cola di Rienzo e Boccaccio legittima il tiranni­ cidio, come accade nel De casibus virorum illustrium, che cosa possiamo e forse dobbiamo indurre da questa frat­ tura, piu radicale che superficiale? Quale diverso tipo di Umanesimo si profila, una volta di piu, nell'uno e nel­ l' altro scrittore? Le pagine che seguono, articolate in tre capitoli, indu­ giano quindi sullo snodarsi di quell' amicizia, tra guar­ data attraverso alcuni semplici punti di osservazione , ciascuno dei quali si declina senza alcuna ambizione di esaustività. Nell'ordine, essi possono cosi riassumersi in forma di promemoria: primo, le testimonianze del Boc­ caccio sulla formazione del Petrarca, non sempre coin­ cidenti con la versione offertane dal padre dell'Uma­ nesimo ; secondo, il definirsi del Decameron in opposi­ zione alla cerchia del Petrarca, con una complessa rete di ragioni culturali che innerva di sé l'Introduzione alla Quarta Giornata del Decameron e che pone al centro del libro di novelle quella medesima « teologia poetica » che avrebbe accompagnato Boccaccio sino alle sue ultime meditazioni su Dante e sulla Genealogia deorum genti­ lium, pur nutrite ampiamente dei pensieri di Francesco; infine, la testimonianza epistolare di Giovanni a Iacopo Pizzinga, dove Boccaccio appunto individua una terza strada, la sua, una sorta di « terza istruzione », per dirla con Michel Serres, che poteva essere e che non fu la strada

Prologo

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di un Umanesimo nuovo, latino e volgare, scientifico e filologico, dantesco e petrarchesco, toller ante, ironico, critico.5

Il fallimento o la marginalità di una tale mediazione consiste, dopo tutto, nel cammino secolare della lette­ ratura italiana. Ma questa, si può subito aggiungere, è un'altra storia.

5

MICHEL SERRBS, n mantello di Arlecchino. n Terzo-istrUito: l"educa­

zione dell'età fo tura, tra d. it. , Venezia, Marsilio, 1992.

Nota preliminare Il Prologo, «Una strana amicizia», è stato scritto quale vestibolo di questo libro. I primi due capitoli, varia­ mente ritoccati, vengono qui appresso indicati nella loro sede originaria: Vite parallele. Boccaccio di Petrarca, nel mise. Estravaganti, disperse e apocrifi petrarcheschi, a cura di

CLAUDIA BERRA e di PAOLA VECCHI GALLI, Milano, Cisal­

pino, 2007, pp. 613-40. ·n Petrarca, la genesi del > e la , ci t.

Vite parallele

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coglitore » di un polittico di immagini di Petrarca. Dalle testimonianze che seguono sarà forse possibile osser­ vare , da un altro punto di vista, la « versione ufficiale » che, di sé, ci ha lasciato il maestro dell'Umanesimo euro­ peo. Ciò è tanto piu significativo se accogliamo il rilievo, affidato da Francisco Rico ai suoi Ritratti allo specchio, secondo il quale Petrarca è presente nelle opere del Boc­ caccio piuttosto come amico e maestro, che come autore. S'intende che, nella boutade, Rico non vuole omettere il rilievo della presenza di riferimenti boccacciani allo scrit­ tore Petrarca, ma suggerisce che quest'ultimo affiori e dimori, nella pagina dell'amico, piuttosto come praecep­ tor, come fonte autorevole di colloqui spirituali, di sug­ gerimenti e suggestioni, insomma come guida morale, che come poeta. Perché? Quali tensioni mai del tutto sopite continuarono ad allignare tra due amici che pur sinceramente si amavano? Consideriamo alcuni indizi e cominciamo il nostro cammino dagli anni dei Libri mei peculiares e della Mavor­ tis, per poi approdare a quelli del De vita, della Posteritati e del Decameron, con l'intenzione di concludere con gli anni Settanta e con un codice (si tratta del146 B del Balliol College di Oxford) che sembra racchiudere in sé, quasi in effigie, tutto il cammino, in nessun modo uniforme e scontato, delle vite parallele di Petrarca e Boccaccio.7 La sequela dei Libri mei peculiares può essere raffron­ tata alle informazioni che, circa sei anni piu tardi, si pos­ sono ricavare da uno dei dictamina napoletani di Giovanni 2.

7 Su questo manoscritto, con profitto, si leggano le schede descrit­

tive di NICHOLAS MANN, Petrarch manuscripts in the British Isles, in « Italia

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Boccaccio, la Mavortis milex extrenue, del 1339. 8 Petrarca, lo sappiamo, nella versione ufficiale che darà di sé « post Iubileum », come hanno appunto dimostrato in via defi­ nitiva gli studi di Francisco Rico,9 batterà l'accento sulla propria immagine di filosofo cristiano, di sapiente, che verrà affidata a quella Posteritati che risente , in talune sue parti, del boccacciano De vita et moribus Francisci Petracchi de Florentia10 (il quale , secondo Renata Fabbri,

Medioevale e Umanistica », XVIII (1975), pp. 353-55 e di MoNICA BERTÉ, in F. PETRARCA, Senile v 2, a cura di MONICA BERTÉ, Firenze, Le Lettere, 1998, pp. 33-35. Sul rilievo del codice per una rilettura critica dei rapporti fra Boccaccio e Petrarca, cfr. MARCO VEGLIA, n corvo e la sirena. Cultura e poesia del (c Corbaccio >>, Pisa-Roma, Istituti Editoriali Poligrafici Inter­ nazionali, 1998, pp. 19-42. Quanto PAOLA VECCHI GALLI osserva nel suo volume Padri. Petrarca e Boccaccio nella poesia del Trecento, Padova, Antenore, 2012, p. 19 (« Le vite di Boccaccio e Petrarca non sono vite parallele, anche se in entrambe si cova la ribellione al padre »), non di necessità diverge dalla prospettiva critica qui adottata. I destini dei due amici s,intrecciano e s,incrociano nella misura paradossale del loro sforzo, a un tempo, di ribadire le loro convergenze attraverso una serie di distinzioni, di distanze, che, specie negli anni del Decame­ ron, si fanno radicali e nette. Di diverso parere EDOARDO FuMAGALLI, Boccaccio e Dante, nel catalogo Boccaccio autore e copista, pp. 25-31. 8 Si legge in GIOVANNI BoccACCIO, Epistole, a cura di GINETTA AuzZAs, con un contributo di AuGusTo CAMPANA, Milano, Mondadori, 1992, pp. 510-517 (in GIOVANNI BoccACCIO, Tutte le opere, ibid., vol. v 1). 9 Su tutti, FRANCisco Rico , Vi da u obra de Petrarca. 1. Lectura del (( Secretum , , Padova, Antenore-Chapel Hill, University of North Carolina, 1974. Dello stesso, in proposito, si ripensino almeno le pagine sul (( Secretum meum >) di Francesco Petrarca, in Letteratura ita­ liana. Le opere, Torino, Einaudi, 1992, pp. 351-78. '° FRANCisco Rico, (( Ubi puer, ibi senex >>: un libro de Hans Baron y el (( Secretum >) de 1353 , nei « Quaderni Petrarcheschi », Ix-x (1992-1993), pp. 165-238 .

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sarebbe da collocare al 1348-1349, in ogni caso fra il '47, cui ci conducono due allusioni alla n egloga del Bucoli­ cum carmen, letta di concerto con la Varia XLIX, e il '48, per un'allusione ad Azzo da Correggio che meglio s'in­ tende dopo il marzo di quell'anno).11 A questa immagine del Petrarca, phylosophus et historicus, Francesco contri­ bui efficacemente, piu di ogni altro critico dell'opera sua, stendendo un velo di silenzio su periodi e interessi culturali della propria vita, quali, ad esempio, il suo sog­ giorno a Bologna, le letture non « umanistiche » della gio­ vinezza, il rapporto con Dante . . 12 Con un curioso ri­ sultato. Poiché si tende ad accettare come condizione preliminare di verità il quadro disegnato da Petrarca, ovvero l' autoritratto che egli cominciò a definire dal 1347 al 135 3, non meraviglia che tali aspetti rimangano ancora avvolti da nebbie e incertezze. Per una sorta di tautologia, non pochi studi su Petrarca hanno voluto confermare l'immagine che il poeta ha lasciato di sé . Il che , se ha portato non pochi frutti alla comprensione del letterato, ha lasciato per molto tempo in penombra le modalità, le strategie e le stratigrafie di quell'imma­ gine, come pure ha ridimensionato il Petrarca, in largo .

11 GIOVANNI BoccACCIO, Vite di Petrarca, Pier Damiani e Livio, a cura di RENATA FABBRI, Milano, Mondadori, 1992, pp. 881-888 (Tutte le opere, vol. v 1). u Di FRANCisco Rico, oltre agli studi già ricordati, si veda Petrarca y las letras cristianas, « Silva », I (2002), pp. 157-82 (anche per la biblio­ grafia implicita). Vorrei qui richiamare l'importanza del volume Petrarch and the Origins of Interpretation, ed. by TEODOLINDA BARO­ LINI and H. WAYNE STOREY, Leiden-Boston, Brill, 2007. Per il periodo felsineo di Petrarca, ibid., joHN AHERN , Good-bye Bologna: ]ohannes Andreae and > IV 15 and 16, pp. 185-204.

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senso, « disperso ». Da Foresti a Billanovich a Wilkins,13 da Rico a Santagata,14 da Vincenzo Fera a Michele Feo,15 per arrivare all'edizione delle Lettere disperse di Pan­ cheri e alle Rime disperse del Solerti riproposte da Vittore Branca e da Paola Vecchi Galli, si è invece proceduto a uno smontaggio, e a una successiva ricostruzione, del13 Si allude, in sequela, ad alcuni capisaldi della rivisitazione bio­ grafica e testuale dell'opera petrarchesca: ARNALDO FoRESTI, Aned­ doti della vita di Francesco Petrarca, nuova ed. corretta e ampliata dal­ l' autore, a cura di ANTONIA TISSONI BENVENUTI, con una premessa di GIUSEPPE BILLANOVICH, Padova, Antenore, 1977; GIUSEPPE BILLA­ NOVICH, Petrarca letterato. 1. Lo scrittoio del Petrarca, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1947 (rist. anast. 1995); Id. , Petrarca e il primo Umanesimo, ci t.; ERNST H. WILKINS , The Making of the > and Other Petrarchan Studies, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1951; Id. , Studies on Petrarch and Boccaccio, a cura di ALDO S . BER­ NARDO, Padova, Antenore, 1978. 14 MARCO SANTAGATA, Petrarca e i Colonna. Sui destinatari di R. vf 7, 10, 28 e 40, Lucca, Pacini Pazzi, 1988; Id. , Per moderne carte. La biblio­ teca volgare di Petrarca, cit; In. , (frammenti dell 'anima. Storia e racconto nel Canzoniere di Petrarca, ibid., 1992. 15 Anche per questi studiosi, come per gli altri appena ricor­ dati, si rammentano soltanto alcuni contributi: VINCENZO FERA, La revisione petrarchesca dell ' e Id. , Antichi editori e lettori dell ' ( Petrarca e il Medioevo, p. 41, dove viene poi opportunamente osse rvato che . . .

Vite parallele

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Nella Fam. XXI 15, come piu tardi nella Sen. v 2, Petrarca, ad esempio, non mostra alcuna difficoltà a riconoscere Dante come « dux nostri eloquii vulgaris ».43 Al silenzio sull' autore, mai apertamente nominato, ed elogiato per la sola - si noti - poesia volgare, segue nella familiare al Boccaccio un silenzio piu riposto e tenace, una reticenza piu strenua e inattaccabile su quel versante della poesia dantesca che, forse, piu a fondo e piu da vicino, avrebbe minacciato la consapevolezza petrarchesca di aver inau­ gurato, riprendendo la via tralasciata dagli antichi, una poesia non indegna della Classicità .44 Perché , se pre­ stiamo fede a Boccaccio, Petrarca non solo conobbe in alto grado la cultura del Medioevo, anche quella natu­ rale e scientifica , ma approdò alla poesia in una delle città piu rappresentative della civiltà dell'epoca e negli anni (dum nihil dicis, plura dicis, quam si multa dixisses . . ) in cui vi rifulgeva altissimo, in latino e in volgare, il magi­ stero di Dante . Vogliamo dire che il silenzio di Petrarca sul tirocinio poetico compiuto nella città dello Studio è tale da attribuire una qualche verosimiglianza alle osser­ vazioni del Boccaccio. Quanto alla causa del silenzio, essa non è difficile da immaginare (ipsa certe non silet . . . ). La confessione di un apprendistato poetico bolognese .

l' « umanesimo petrarchesco incominciò a costruirsi con abbondanti materiali medievali e uno spirito fermamente classico )), in perfetta rispondenza all'indole e agli interessi del giovane Francesco, simul

ante retroque prospiciens). 43 VECCHI GALLI, Padri, pp. 52-66. 44 Sulla superiorità delle egloghe dantesche rispetto agli schemi allegorizzanti della poesia bucolica di Petrarca e della sua cerchia, vd. VINCENZO PERA, L'identità dell 'Umanesimo, pp. 15-31.

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avrebbe chiamato in causa, nel crogiuolo della forma­ zione petrarchesca, la cultura appunto che Francesco si impegnava a combattere . Non si deve dimenticare infatti che Bologna rappresentava, oltreché la città delle leggi, quella della medicina e della filosofia, e che era, con Parigi, il centro di punta dell'averroismo europeo. Vi erano bastevoli ragioni per coprirla di silenzio, o, ch'è il medesimo, per ricordarne soltanto lo studio del diritto compiuto sui testi dei suoi padri fondatori, quei « vete­ res redivivos >> che tutto sommato non stridevano affatto con l'intero progetto umanistico posteriore al 1350. Pure , se a Bologna Petrarca poetò, che cosa vi scrisse? La « tanta colluvio >> di componimenti giovanili, cui si riferisce la Fam. I 1, era di diverso genere letterario, ed era stata composta in latino e in volgare (« Quod genus, apud Siculos, ut fama est, non multis ante seculis rena­ tum, brevi per omnem italiam ac longius manavit . . . »: I 1, 6) . Una tale quantità di scritture giovanili (« mille, vel eo amplius, seu omnis generis sparsa poemata seu fami­ liares epistolas >>), sgradite ormai a Francesco non perché prive di bellezza ma perché troppo coinvolte nelle amba­ ges del mondo (« non quia nichil in eis placuisset, se d quia plus negotii quam voluptatis inerat » ) , vennero affi­ date , come s'è già ricordato, alla lima di Vulcano (I 1, 79) . Che si trattasse, in larga parte , di poemi ed epistole, di poesie e prose, nate tra la Francia e Bologna, non par­ rebbe da dubitarsi. La stessa cifra del « negotium », sotto la quale vengono raccolte le composizioni di quella « pri­ ma etade », testimonia l'inclinazione di Francesco per una letteratura non ancora segnata dalla linea cristiana e sa­ pienziale , distaccata del «mundus», che sarà caratteri­ stica, invece , della renovatio successiva al Giubileo.

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Se la lettera cui rispondeva la Fam. XXI 15 non ci è � iunta, se ne possono intuire però alcune affermazioni. E bastevole osservare in controluce , per dir cosi, l' epi­ stola di Petrarca. Fin dal principio, con un'esattezza che gli consente l'affermazione dell' autonomia della pro­ pria linea umanistica, egli definisce e circoscrive il magi­ stero di Dante - « popularis quidem quod ad stilum atti­ net, quod ad rem haudubbie nobilis poete >> (§ 1) alla sola poesia volgare . Casualità? Quando ne rievoca l'esilio, vissuto in comune con il padre Pe tracco, Francesco coglie di nuovo l'occasione per tracciare confini ben netti intorno alla grandezza del poeta fiorentino, ricordan­ done lo « stilus in suo genere optimus >> (§ 9). Quindi, piut­ tosto che negare l'innegabile, Petrarca si impegna a rim­ picciolire l'icona di Dante , a tributargli onori ascritti al solo terreno del « parlar materno )). Difficile credergli, ad esempio, quando afferma che da giovinetto non lo lesse perché si cimentava allora nella poesia volgare , e non voleva esserne influenzato. « Ea vero michi obiecte calumnie pars altera fuerat, cuius in argumentum trahi­ tur quod a prima etate, que talium cupidissima esse solet, -

ego librorum varia inquisitione delectatus, numquam librum illius habuerim, et ardentissimus semper in reliquis, quorum pene nulla spes supererat, in hoc uno sine difficultate pa­ rabili, novo quodam nec meo more tepuerim )) (§ 10) . Poiché Avignone e Montpellier non dovettero certo pul­ lulare di copie della Commedia, una simile affermazione, riferita alla « prima etas >> di Petrarca, trova forse appigli storici nella città della prima diffusione manoscritta del poema dantesco: agevole, dunque, da reperire in Bologna. Un altro fatto si può forse indurre dalle argomenta­ zioni della Fam. XXI 15 . Boccaccio, scrivendo a Petrarca,

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toccò certamente il punctum dolens della poesia latina di Dante (§ 22):45 Nam quod inter laudes dixisti, potuisse illum si voluisset alio stilo uti, credo edepol - magna enim michi de ingenio eius opinio est potuisse eum omnia quibus intendisset; nune quibus intende­ rit, palam est. Et esto iterum: intenderit, potuerit, impleverit; quid tandem ideo? Que ve inde michi invidie et non potius gaudii materia? -

Petrarca, che non invidiava nemmeno Virgilio, avrebbe dovuto invidiare Dante, che correva sulla bocca dei tintori e degli osti? (§ 22) . Per l'unica volta nella lettera, France­ sco sembra quasi irritarsi per le insinuazioni di Giovanni. È evidente che Boccaccio deve aver pizzicato un nervo scoperto dell' amico, col riferimento alla grandezza e versatilità di Dante in utroque stilo. Di Dante - confessa invece Francesco egli non fa che discorrere bene, con lode : « magna enim michi de ingenio eius opinio est ». Soltanto si permette di pronunciare un giudizio, che, a sua volta, ci suggerisce che forse egli ne conobbe le eglo­ ghe e che, se le conobbe, ciò accadde verosimilmente, come lasciava intendere del resto il passo del De vita sulla vocazione bolognese del Petrarca letterato nelle sue ner­ vature contestuali, nella città dello Studio (§ 24-25) lurato michi fidem dabis, delectari me hominis ingenio et stilo, neque de hoc unquam me nisi magnifice loqui soli­ tum. Unum est quod scrupolosius inquirentibus aliquando

45 Per questo e per il passo che segue della

ancora PETRARCA, Opere, pp. 1132-33.

Fam. XXI 15 si veda

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respondi, fuisse illum sibi imparem, quod in vulgari eloquio

quam carminibus aut prosa clarior atque altior assurgi.t; quod neque tu neges, nec rite censenti bus aliud quam laudem et gloriam viri sonat . . . . uno in genere excelluisse satis est. Que cum ita sint, sileant, queso, qui calunniam struunt; at qui forte calu­ mniantibus crediderunt, hic, si libet, iudicium meum legant. Nei carmi latini e nelle prose, Dante non raggiunse quindi l'eccellenza che consegui nella poesia della Commedia. E meglio anzi avrebbe fatto ad appagarsi di eccellere in un sol genere di poesia. Questo, secondo Francesco, nem­ meno Boccaccio e i lettori provvisti di sano giudizio pote­ vano negarlo. Nel prossimo capitolo indugeremo sul rapporto fra i due amici negli anni della composizione del Decameron, ovvero nel decennio piu spigoloso e teso che la loro ami­ cizia abbia conosciuto. Fin d'ora, tuttavia, possiamo ripor­ tare un giudizio sintetico su quella stagione, tale da deli­ neare il contesto sul quale proiettare le osservazioni che verremo compiendo. Cosi ha scritto Paola Vecchi Galli : 46 s.

In quest'arco cronologico Petrarca licenzia il Canzoniere « Cor­ reggio », e Boccaccio il Decameron. Entrambi hanno raggiunto una consapevolezza che dà loro titolo per mettere ordine al passato, anche recente, della letteratura in lingua italiana. Entrambi sanno dove vogliono parare: Boccaccio alla codifi­ cazione di una letteratura fiorentina che attraversi e moltipli­ chi in nuovi generi il modello comico di Dante , includendo Petrarca; Petrarca al profilo umanistico, selettivo e bilingue,

46 Padri, p. 47·

so

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della nuova cultura, che abbracci le proprie rime italiane e onori il debito dantesco senza farsene travolgere (è la linea, per intenderei, della canzone « delle citazioni )), RVF 70 ) Come si vede, nessuna convergenza di propositi, ma due distinti obiettivi. .

Negli anni Sessanta, invece , il rapportò fra Giovanni e Francesco mutò, ma non scomparve l'inclinazione di Boccaccio a inserire , negli elogi dell' amico, un fastidioso granellino di sabbia, una nota stridente rispetto alla ico­ nografia che Petrarca imbastiva di sé . Un'importante conferma, a titolo d'esempio, delle implicazioni storico­ culturali di certe zone d' ombra del Petrarca ci viene , poco oltre la metà degli anni Sessanta, dalla xv egloga del Buccolicum carmen di Boccaccio. Conviene rileggerne l'esposizione del tema nell'epistola a M artino da Signa (Epist. XXIII 29-30 ) : Quintadecima egloga dicitur Phylostropos, eo quod i n e a tractatur d e revocatione a d amorem celestium ab amore illece­ bri terrenorum; nam Phylostropos dicitur a « phylos )), quod est « amor )), et « tropos )), quod est « conversio )). Collocutores duo sunt, Phylostropus et Typhlus. Pro phylostropo ego intelligo gloriosum preceptorem meum Franciscum Petrarcam, cuius monitis sepissime michi persuasum est ut omissa rerum tempo­ ralium oblectatione mentem ad eterna dirigerem, et sic amores meos, etsi non piene, satis tamen vertit in melius. Typhulus pro me ipso intelligi volo et pro quocunque alio caligine rerum mor­ talium offuscato, cum « typhlus » grece, latine dicatur « arbus )).

L' amore eccessivo per le cose del mondo, aggravato da passioni disordinate , era qualificato in modo tutt'altro che generico. Si legge nell' egloga , appunto, l' afferma-

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zione capitale che entrambi i poeti avevano appartenu­ to alla scuola di Epicuro, pastor Epy, indicata con l'innesto di quell'immagine dantesca (interitum menti pariter cum corpore cunctis), che di per sé lumeggiava, nei silenzi del passato di Petrarca, un'esperienza laica e naturalis, aperta alla piu alta cultura e poesia del suo tempo (a Guglielmo di Ochkam, si può ben dire ricordando la Mavortis, come pure a Dante , se ripensiamo alla Bologna del 1320-1326 e all'ostinato silenzio della Fam. xxi 15 . . . ).47 La militanza epicurea di Giovanni e Francesco, dichia­ rata quasi trent'anni dopo l'esercizio napoletano, testi­ monia di nuovo, per un verso, la veridicità del dictamen e, per l'altro, innesta la formazione di Petrarca in territori nient'affatto scontati, sia sul versante letterario, sia su quello filosofico.48 Con siffatte premesse, d'altronde , s'in­ tende bene che perfino l'aneddoto del monito del Petroni, che profetizzava morte eterna per i due amici, acquista un rilievo del tutto speciale, non soltanto, come al solito si crede, per Boccaccio, ma per lo stesso Petrarca. In gioco vi era il significato di un'intera biblioteca, della quale Boc­ caccio, se stiamo alla Sen. I 5, si voleva liberare. La Sen. I 5, 47 VEGLIA, Il corvo e la sirena, pp. 19-42. Ripresi ed ampliai la tema­ tica delr epicureismo nel primo capitolo di « La vita lieta >>, pp. 15-56, per poi svolgerlo in relazione al Decameron nei due ca pp. successivi, pp. 57-143· 48 Di diverso parere è rautorevole saggio di ZYGMUNT G . BARAN­ SKJ, Boccaccio and Epicurus, in Caro Vitto. Essays in memory of Vittore Branca, edited by jiLL KRAYE & LAURA LEPSCHY, in collaboration with Nicola jones, « The Italianist », 27, special supplement, 2, 2007, pp. 11-27, che si sofferma dapprincipio sulle mie posizioni, ricordate nella nota precedente, ma limitando il mio concetto di epicureismo al primo capitolo del libro.

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dopo una paradossale consolazione all'amico, cui sug­ gerisce di non temere nulla, a condizione di non scri­ vere di Giove adultero, di Mercurio lenone , ma dei Santi e della Vergine e di Cristo, si offre di acquistare i volumi dei quali Boccaccio avesse voluto privarsi. . . Con una ipocrisia che al Boccaccio doveva sembrare mortificante , France­ sco gli diceva che non era affatto vero che l'esercizio let­ terario fosse causa di perdizione; era bastevole che esso si presentasse con un'orientamento cristiano. Che cosa avrà mai pensato dell' amico Francesco un Boccaccio impe­ gnato, da tempo, a riflettere sui temi della Genealogia? Di là dall' aneddotica, è chiaro che nella biblioteca del Boc­ caccio, come un tempo in quella del Petrarca, dovevano esservi volumi che testimoniavano la formazione « natu­ rale » dello scrittore del Decameron: non soltanto per il ver­ sante della letteratura sorta « apud Siculos », quindi vol­ gare, ma per quello pure della poesia latina ( « poemata seu familiares epistulas ») . Anche Francesco, secondo la Phy­ lostropos, aveva battuto sentieri che, non per nulla, alla rigidezza ascetica e cipigliosa del Petroni destavano forti preoccupazioni. Era pertanto in discussione non solo una serie di testi e di dottrine , ma, piu largamente , una concezione stessa della vita letteraria che prescindeva, o poteva prescindere (nei negotia della giovinezza), dalle verità della fede , insomma un Umanesimo laico. Dal prologo all'viii libro del De casibus, del resto, è lecito inferire che Petrarca avesse per primo superato, e se ne facesse pertanto maestro, il problema che veniva pro­ spettato a Boccaccio, tutto intrinseco agli studia humani­ tatis: la fede nell'immortalità del nome, legata alla fama conseguita con le opere letterarie, fino a che punto si con­ ciliava (Brunetto insegna) con la fede nell'immortalità

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dell'anima?49 Nelle Esposizioni al xv canto dell'Inferno, la fede umanistica nella « dolceza della fama » verrà accura­ tamente distinta dalla morte simultanea dell'anima e del corpo (caratteristica degli epicurei), ma anche dall'im­ mortalità cristiana (Esp. xv 86) :50 E per questo possiam vedere la fama essere una vita di molti secoli e quasi dalla presente , nella quale secondo il corpo poco si vive, separata, e similmente dalla eterna, nella quale mai non si muore.

Certo non dobbiamo aggravare le rivelazioni di Boc ­ caccio, questo è vero, con implicazioni che apertis verbis non vi sono dichiarate. Ma l'evidenza di queste temati­ che è tale che non è piu il caso di sottovalutarla. Se a Petrarca si deve la proposta, destinata a conquistare l' Europa, di un Umanesimo cristiano, che avrebbe rag­ giunto il suo apice in Erasmo;51 se questa proposta viene da lui presentata coi caratteri di una renovatio, allora essa 49 GIOVANNI BoccACCIO, De casibus virorum illustrium, a cura di PIER GIORGIO Ricci e VITIORIO ZACCARIA, Milano, Mondadori, 1983, pp. 650-62 (Tutte le opere, vol. Ix). A riprova che Petrarca (anche qui in funzione , ma non col nome, di Phylostropos) non patisce piu le manchevolezze di Boccaccio (ora pure Typhlus, cieco), questi ne pone in spicco i « limpidos oculos »: ibid. , p. 66o . 50 GIOVANNI BocCACCIO, Esposizioni sopra la Comedia, a cura di GIOR­ GIO PADOAN, Milano, Mondadori, 1965, pp. 683 (Tutte le opere, voi vi). Ma, per le Esposizioni, r edizione di riferimento è ora quella di MICHAEL PAPIO, Boccaccio 's Expositions on Dante's Comedy, Toronto, University of Toronto Press, 2009, con introduzione, traduzione e commento. 5 1 FRANCISCO Rico, n sogno dell 'Umanesimo. Da Petrarca a Erasmo, trad. it. , Torino, Einaudi, 1998.

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riforma e innova rispetto a un periodo e a un'operosità le t­ teraria, che avevano camminato, « per alquanto tempo », lungo altri sentieri. In altre parole , Petrarca impronta di sé l'Umanesimo perché, piu di altri, è capace di « inno­ vare conservando », e perché, per dirla con Carducci, nella « forma organica », storicamente e filologicamente conosciuta e ricreata, della poesia antica, egli innerva una « contenenza tutta moderna ». Il progresso e l'affinamento del letterato sono perciò, prima di tutto, la conseguenza di una concezione diversa della letteratura. Boccaccio, dal canto suo, riuscirà a compiere questa medesima conver­ sione, con la guida spirituale del Petrarca, solo parzial­ mente (ricordiamo la limitazione dell'epistola a Martino da Signa a proposito della conversione di Boccaccio dalla « oblectatio rerum temporalium >> con la guida di Petrarca: « etsi non p lene ») . Francesco, invece , vi era riuscito da tempo e aveva poi fatto il possibile per offrire un'imma­ gine di sé conformata su un modello ideale, cristiano, di letterato (un vir bonus dicendi peritus). Nel De casibus egli esorta infatti Boccaccio (VIII 1, 3) a fare lo stesso (il capitolo s'intitola, significativamente, Et

primo viri clarissimi Francisci Petrarce in auctorem obiurgatio). Al centro v'è il problema di una fama ottenuta attraverso una letteratura centrata sul culto e la riscoperta dell' anti­ chità (che quindi riguarda, in buona parte, epoche poste­ riori alla giovinezza):

Ex antiquorum ruinis, ex cineribus infortunatorum, novis literu­ lis extorquere conari.s famam atque protelare dies nomenque tuum desideras. O insana cupido! Adveniet hora, et iam est, que te a rebus mortalibus eximat, que corpusculum conterat tuum, que te convertat in fabulam . Quid, oro, cum nil ex momen-

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taneis rebus amplius senties, etiam si orbis totus ore pieno nil aliud preter nomen tuum cum laude cantet, absens, hono­ ris aut voluptatis assummes? Cum ea quippe perierit effigies qua

cognosceris, profecto transitoria tibi cuncta peribunt. Solo per restituire a Dio i doni ricevuti si deve quindi cercare la fama (De casibus VIII 1, 25) : Et quid potest con tingere felicius laboranti quam ab Eo a quo illi commissa talenta sunt duplicata videantur restitui?

Senza questo scopo, la fama conseguita con le opere lette­ rarie è sterile, è una sconfessione della fede nell,immorta­ lità dell, anima. Francesco, se poteva svolgere la funzione di pater et gloriosus praceptor di Giovanni, suo discipulus (auditor, filius, frater, amicus),52 poteva farlo perché , per primo, aveva superato e vinto i negotia che segnavano di sé la letteratura (De casibus, VIII 1, 6): . . . agnovi . . . Franciscum Petrarcam optimum venerandumque preceptorem meum, cuius monitis sepissime michi semper ad virtutem calcar extiterant et quem ego ab ineunte iuventute

mea pre ceteris colueram . . . La testimonianza di Boccaccio può esibire una coerenza che non gli verrebbe attribuita se traguardassimo il volto di Petrarca dalla spècola delle dichiarazioni, che quest,ul­ timo non lesinava a elogio di sé. Dagli esercizi napole­ tani, incònditi fin che si vuole, gravidi certo di una pre5, VECCHI GALLI, Padri, p. 17, C.M. MoNTI, Boccaccio e Petrarca, pp. 3435 · Per la Monti, il Petrarca del De casibus è giustamente, per Boc­ caccio, un « incubo vero e proprio » (ibid. , p. 39).

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co ce vocazione per la .fictio ma non mai volutamente tendenziosi, sino alle opere latine della tarda maturità o addirittura della vecchiezza, sembra proprio che Boccac­ cio non mostri alcuna difficoltà nel riconoscere la pro­ pria linea di progressivo svolgimento, piu lento rispetto a quello di Petrarca, ma congenere per orientamenti morali e culturali. 6. I contorni del quadro cominciano allora a chiarirsi. Dopo il 1350, il silenzio di Petrarca su Bologna , su Dante e sui caratteri della propria vocazione alla poesia, alla luce di quanto finora si è detto, risultano meglio com­ prensibili. La nuova poesia umanistica, con l'aiuto di una agguerrita e raffinata filologia che giovava al recupero autentico della Classicità, doveva recidere ogni legame con gli ibridismi, le contaminazioni, gli anacronismi del Medioevo, la sua cultura naturalistica e aristotelica. Se l' Umanesimo di Petrarca possiede, tra le proprie ori­ ginalità, quella di essere un Umanesimo cristiano, ciò accade perché le humanae litterae potevano contenere, a loro volta, il rischio di un desiderio di eccellenza cosi forte e radicato da ambire piu alla fama che all'immor­ talità dell' anima. Il Virgilio di Dante, quello della Com­ media e quello delle egloghe, comunque si possa giudi­ care , tendeva al presente , all' attualizzazione del retag­ gio classico, e aveva ben poco da spartire, nell'orizzonte della nuova filologia, con le raffinatezze e il rigore del Virgilio Ambrosiano, che si presentava come « il docu­ mento capitale di una vicenda che pesò sulla retorica italiana almeno quanto lo stil nuovo »:53 un documento 53 BILLANOVICH, L'alba del Petrarcafilologo. n Virgilio Ambrosiano, p. 6.

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proteso a condurre il presente verso il rispecchiamento nella perfezione dei tempi classici, insomma un' affer­ mazione dell' autorevolezza del passato. Appianati i contrasti, che si fecero accesi negli anni Cinquanta, in corrispondenza della composizione del Decameron e dell'approdo a Milano di Francesco,54 negli anni Sessanta il Petrarca non mancò piu volte di esortare l'amico a porsi con risolutezza sulla propria via, invitan­ dolo a tralasciare del tutto quella cultura, medica e natu­ rale, astrologica, dove ancora primeggiavano l'amore cor­ tese, la letteratura volgare e quella mediolatina.55 Boc­ caccio ringraziò, elogiò, venerò l'amico e maestro, gli si mostrò devoto discepolo, si sminui, si mortificò dinanzi all'icona sua veneranda e autorevole. Ma, alla fine , restò esattamente com'era, non volle vivere con lui, predi­ lesse la propria povertà rispetto alla sua agiatezza, la pro­ pria solitudine rispetto alle sue relazioni culturali, politi­ che, diplomatiche . Boccaccio continuò, quando e come meglio poteva, a scrivere le opere che gli stavano a cuore, a non dimenticare il proprio Decameron, a dedicarsi agli dèi antichi e alla difesa di una poesia che aveva in se stessa i caratteri della sacralità, come prima di tutti gli aveva insegnato l'esempio di Dante Alighieri.

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Vd. M . VEGLIA, Petrarca, la genesi del >, p. 130. 18 M. PAPIO, Boccaccio e i preumanisti padovani, in corso di stampa. Per r occasione di questo contributo, vd. il Prologo a questo volume.

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propedeutico ad uso intimo» t9 si induce insomma che l'Umanesimo 'bucolico" , sia pur culminato in Francesco, cominciò per Boccaccio molto prima del Petrarca umani­ sta. E cominciò, si badi, a giudizio del diretto interessato, proprio con lui, con Giovanni - esplicita è, in merito, l' epi­ stola al Pizzinga - , che fu all'origine di quel percorso. 20 E Dante? A monte della raccolta di preziose testimo­ nianze dantesche confluite nel Trattatello e, piu tardi, nelle Esposizioni, sta l' abitudine del Boccaccio, quasi egli fosse un etnologo, di chiedere, di domandare, di recarsi en plain air a seguire quelle che Bassermann avrebbe chiamato le orme del poeta della Commedia 21 Senza l'an­ tefatto venatorio di una tale curiositas, senza l' inclina­ zione sperimentale , fin quasi rabdomantica, di Giovanni a inoltrarsi nei luoghi del poeta per intenderne la poesia (non è forse questa la radice antologica del De monti­ bus?) , potremmo con difficoltà comprendere il carat­ tere delle sue letture e ri-letture dantesche . Di queste, Edoardo Fumagalli ha di recente posto in rilievo la varia tipologia, che muove innanzi tutto dalla «conoscenza di testi di stentatissima circolazione» (le Egloghe, le lettere a Cino, all'Amico fiorentino e ai cardinali italiani); una conoscenza meticolosa espressa dalle ripetute copie del poema, dalle redazioni del Trattatello, come pure della Vita nova e delle canzoni distese, una verosimile cono-

19 C. CABAILLOT,

La (( Mavortis miles >>, p. 130. Ibid. , p. 139, che rimanda opportunamente a FRANCEsco TATEO, Retorica e poetica fra Medioevo e Rinascimento, Bari, Adriatica, 1960, p. 67. 21 A. BASSERMANN, Orme di Dante in Italia, rist. anast . a cura di FRANCESCO BENOZZO, Bologna, Forni, 2006. 20

La lettera di Boccaccio al Pizzinga

scenza del De vulgari e del Convivio (ancor piu significa­ tiva se rapportata alla loro incompiutezza), nonché «una certa libertà nel trattamento dei dati, che a volte scon­ fina in allegra e disinibita appropriazione» del retaggio di Dante, perfino nel Decameron dove, a tacere del «cognome» del libro (prencipe Galeotto) ricalcato su Inf v 137, affiorano al tessuto narrativo personaggi come Ghino di Tacco e Ciacco, Giotto, Guido Cavalcanti, Filippo Argenti, che avevano dimorato fra le arcate del poema e che risultano tanto preziosi per rintelligenza stessa della Commedia, nella loro nuova veste, da essere presenti a Benvenuto da Imola, in alcuni casi, nei vivagni del suo commento. 22 Ascoltiamo ancora Fumagalli: 23 Il culto dantesco non viene meno, eppure si trasforma, sotto la pressione di una personalità innovativa di straripante potenza, di un uomo che, rispetto a Dante morto da alcuni decenni, fruiva del vantaggio di essere ben vivo e di poter discutere . . . L'ammirazione rimaneva intatta, cambiavano in qualche misura le ragioni che la alimentavano.

Con un grado di coinvolgimento che non ha confronti nel caso di altri autori, Giovanni si dedicò a Petrarca e a Dante, ma, del pari, non tralasciò, oltre a Tito Livio, Seneca, Pier Damiani, gli uomini e le donne illustri rie­ vocati nel De casibus e nel De mulieribus, senza tacere 22 Su altri aspetti che, dagli Zibaldoni, conducono al capolavoro, si è fermato con la consueta eleganza ed erudizione MARCELLO CI c­ curo, Immagini per i testi di Boccaccio. Percorsi e affinità dagli Zibaldoni al Decameron, in Gli Zibaldoni di Boccaccio, pp. 141-157. 23 E. FuMAGALLI, Boccaccio e Dante, p. 25, anche per la citazione seguente, a testo.

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della Genealogia deorum gentiulum, dove approdarono, per un, erudizione inseparabile dal genio affabulatorio del narratore di razza, le vite, le biografie vorremmo quasi aggiungere, degli dèi antichi. Volta a volta, Giovanni poté certo, in nome delr amore per Dante, criticare Petrarca o, eh, è lo stesso, sospinto dal culto delr amico, ridimensionare certi aspetti delr opera di Dante. Ma tutto questo, dal 1353 alla morte, quando venga considerato nel tempo lungo del suo percorso di scrittore, di copista e di lettore, rappresenta una sequenza di aned­ doti, di episodi, che nulla smentiscono della costanza e solidità del suo atteggiamento verso runo e r altro nume tutelare della sua vocazione letteraria . Al modo stesso in cui giova a intendere Dante , quindi, r Ep . XIX diventa essenziale per comprendere la giusta importanza attri­ buita da Giovanni alla figura e all, opera delr amico Fran­ cesco. Quando, a Pietro da Monteforte , Boccaccio con­ fesserà di aver peccato di superbia e di aver per ciò stesso meritato il rimprovero di Petrarca con la Sen. v 2, scritta «COntra appetentiam primi loci» , rumiltà di quella pali­ nodia non deve celare ai nostri occhi r ambizione, che del resto risuonava un anno prima nella lettera al Pizzinga, di aver intrapreso un sentiero nuovo, mai prima battuto («et cum eisdem quibus tu fretus es previus viam arripui»: XIX 38), inclusivo dell, eredità di Dante e Petrarca e, per ciò stesso, tanto superiore a entrambi da paterne assimilare i modelli (poiché ciò che contiene è sempre maggiore di ciò che è contenuto). A non altri che a Giovanni, dunque, era indirizzato il rimprovero di Francesco (Ep. xx 44-46):24

24

BoccACCIO, Epistole, p. 687.

La lettera di Boccaccio al Pizzinga

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in me di dictum est, non· in alios, et si quid austeritatis habet, in me iniecta est, eo quod, ut percipere potes ex litera, cum in pri­ mum locum pervenire non possem non sufficientibus inge­ nii viribus, ardens mea vulgaria et profecto iuvenilia poemata, dedignari visus sum in secundo utinam meo convenienti inge­ nio consistere . Quam oh rem videor redarguendus, cum eo devenerim quo perpaucis devenire contingit, et consistere nolue­ ri.m: et si qui sint qui eodem mecum peccent crimine, eadem mecum censura redarguendi sunt. Preterea preceptori in audi­ torem ampia licentia est . . . , et melius, nosti, quos dirigi pater filios aut auditores preceptor, hos corrigit et castigat. Questa fu la strada percorsa da Giovanni Boccaccio fino a conseguire una posizione di rilievo tale che a pochi scrittori fu concesso raggiungerla ( «cum e o devenerim quo perpaucis devenire contingit») . Orgoglio e umiltà si alternano, nel 1371-72, tra l'Ep. XIX e l'Ep. xx, come acca­ deva ai tempi del Decameron e, a ben guardare e a ben vedere, sin dalle testimonianze napoletane raccolte nello Zib. Laur. 29. 8 . Nell'epistola al Pizzinga, Giovanni defini­ sce e riscrive il suo rapporto con Dante e Petrarca, non meno che il rapporto tra Francesco e l 'exul inmeritus. Cosi facendo, egli delinea una volta per tutte l'identikit del proprio cammino di scrittore . Su quest'ultimo punto del passaggio di testimone da Dante a Petrarca, inteso e inverato appieno dallo scrit­ tore del Decameron, l'epistola al Pizzinga è particolar­ mente preziosa (xix 27-29 ): 4·

Post hunc eque florentinus civis, vir inclitus Franciscus Pe­ trarca precptor meus, neglectis quorundam principiis, ut iam dictum est, vix poeticum limen actingentibus, vetus iter arri-

La strada piu impervia pere orsus est tanta pectoris fortitudine tantoque mentis ar­ dore atque ingenii perspicacitate, ut nulla illum sistere impe­ dimenta . . . , quin imo, amotis vepribus arbustisque quibus mor­ talium negligentia obsitum comperit restauratisque aggere fir­ mo proluviis semesis rupibus, sibi et post eum ascendere volenti­ bus viam aperuit. Inde helyconico fonte limo iuncoque palustri purgato et undis in pristinam claritatem revocatis antroque castalio, silvestrium ramorum contextio iam clauso, rese­ rato ac ab senti bus laureao mundato nemore et Apolline in sede veteri restituto Pyridisque iam rusticitate sordentibus in antiquum redactis decus, in extremumos usque vertices Par­ nasi conscendit, et ex Danis frondibus serto composito et suis temporibus addito, ab annis forsan mille vel amplius invisum ostendit Quiritibus applaudente senatu, et ruggente rubigine cardines veteris Capitolii in adversam partem ire coegit, et maxima Romanorum letitia annales eorum insolito signavit triumpho. O spectabile decus, o facinus memorabile! Hoc tam grandi nisu et elucubrationis suis operibus iam undique clare­ scentibus, emissa quasi per universum volatili tuba, poeticum

diffondi nomen a se in lucem e latebra revocatum, et spem fere deper­ ditam in generosos suscitavit animos ostenditque quod minime crede­ batur a pluribus, pervium scilicet esse Paranasum et eius accessibile culmen: nec dubito quin multos animaverit ad ascensum. La continuità, che si ravvisa da Dante a Petrarca, nella piena intelligenza ed espressione della «poetica facultas», mentre ribadisce, da un lato, il debito del secondo verso il primo (si ricordi sempre la Fam. XXI.t5), sancisce dall'al­ tro la novità di Francesco rispetto a Dante. La poesia filo­ logica di Petrarca, tratteggiata come tale dalla lettera al Pizzinga (purgato, reserato, restituto), rispetto alla solitu­ dine inaccessibile di Dante aveva consentito il formarsi di una scuola, che, dopo i due poeti principali, ha per poco tempo annoverato Zanobi da Strada («tertium concivem

La lettera di Boccaccio al Pizzinga

145

meum» ), che, tuttavia, «avidulus glorie» come fu, si lasciò traviare dalla propria cupidigia e dalla propria cortigia­ neria nei confronti di Carlo IV di Boemia. Dopo costoro, quarto fra cotanto senno, Pizzinga può avviarsi a rag­ giungere la vetta del Parnaso, purché si mantenga orien­ tato a un tempo verso Dante e Petrarca: «Habes prete­ rea quos ipse sumpsisti certissimos duces . . . » (XIx 34). 25 Il merito di Petrarca, ciò che lo pone forse per Boccaccio in una posizione di quasi maggiore rilievo storico rispetto a Dante, è rimpegno profuso da Francesco per mostrare che al Parnaso si poteva giungere seguendo un certo cam­ mino, recuperando una certa cultura, con un metodo che rendesse finalmente accessibile quella vetta. La «poetica facultas» aveva trovato dimora nella genialità profetica e solitaria di Dante, e in lui piu che in altri aveva lasciato rifulgere la propria estraneità alle cupidigie terrene . Ma a Dante era mancata la possibilità, se non altro, di tra­ durre e di trasmettere il dono della «poetica facultas», di strutturarlo e di svolgerlo in una scuola, per il bene della humana civilitas. Ciò, invece, accadde per merito di Pe­ trarca. E ne discese l'Umanesimo europeo. 26 Boccaccio, che fra i due poeti aveva tenuto una via capace di armonizzare entrambi e che in questa conci­ liazione aveva tracciato il solco di una propria orgogliosa eccellenza, ragiona, nell'Ep. XIX, sulla poesia bucolica, ma è altrettanto vero che il significato della poesia - di tutta la poesia senza distinzioni - è testimoniato, nella mis­ siva al Pizzinga, dalla Commedia. Come spiegare, se pos25 BOCCACCIO,

Epistole, p. 670. Rico, n sogno dell 'Umanesimo. Da Petrarca a Erasmo, trad. it. , Torino, Einaudi, 1998. 26 FRANCISCO

146

La strada piu impervia

sibile, questa aporia? Un simile aspetto è forse dirimente per cogliere il rilievo autentico che Boccaccio conferi­ sce alla poesia latina, che, in quanto tale, in quanto fon­ data sul linguaggio della tradizione, si poteva, appunto, tradere, insegnare, trasmettere, tradurre, mentre la sin­ golarità dell'esperienza dantesca faceva si che, su quella strada, non si potesse procedere . Petrarca, prima e piu di tutti, aveva benissimo inteso tutto questo. Si poteva, è vero, proseguire nell' esercizio della letteratura in volgare , come Boccaccio e Petrarca stessi avevano fatto da par loro, ma si doveva fare questo, nondimeno, con l'adozione di strade diverse, non diret­ tamente competitive col modello dantesco (le emula­ zioni di quell'archetipo furono destinate all'incompiu­ tezza e al fallimento, come avviene coi Triumphi). Non è forse vero che la saldatura tra eccezionalità di scrittura ed eccezionalità di esperienza rappresentata nella Com­ media non ebbero, dopo Dante , nessun seguito? La lette­ ratura italiana poteva affermarsi dopo il «poema sacro» solo a condizione di darsi un assetto, di costituirsi in una traditio, di assumere quelle caratteristiche che piu di altre esprimeva la poesia bucolica, la quale, per genere, per statuto, poteva racchiudere in sé e di fatto racchiudeva l'intero corso della letteratura dell' Occidente europeo. La, diciamo cosi, latinizzazione della letteratura volgare era insomma la condizione della sua affermazione e, al tempo stesso, della sua sopravvivenza. Torniamo a volgere infine lo sguardo allo Zib. Laur. 29 .8 sulla scorta delle osservazioni di Claire Cabaillot. Poiché, come sappiamo, quel codice segna non solo un passo decisivo nel culto e nella conoscenza, figlia di quel culto, di Dante , ma traccia altresi le prime orme del-

La lettera di Boccaccio al Pizzinga

147

l' iperdulia petrarchesca che accompagnerà Boccaccio per tutta la vita, è forse bene sottolineare il rilievo della presenza, fra le carte dello Zibaldone , della corrispon­ denza fra Dante e Giovanni del Virgilio. Il manoscritto che raccoglie le prime tracce del culto di Francesco e di Dante è il medesimo che attesta il loro possibile incon­ tro, altrimenti difficile , se non improbabile , nella tradi­ zione bucolica. Se, in altre parole, Boccaccio è dantista e umanista, se è « dantesco >> e « petrarchesco >> insieme, allora quella corrispondenza spiega perché mai Boccac­ cio non avvertisse alcuno stridore nel professare la reli­ gione quotidiana dei propri numi tutelati. A questo proposito, vorrei ricordare una pagina di Vin­ cenzo Pera, che meglio ci aiuta, per il nostro discorso, a intendere la strategia argomentativa della lettera al Piz­ zinga, risoluta nel dividere , ma non meno nel saldare insieme , il cammino di Dante e quello del Petrarca, a compimento delle lontane ma sempre fervide premesse dell'apprendistato napoletano. Cosi scriveva Vincenzo Fera ,27 dopo aver sostato su una pagina del De hominibus doctis di Paolo Cortesi, mentre si interrogava su L'iden­

tità dell 'Umanesimo: . . . una lunga e tormentata chiarificazione storica ha spostato i termini della questione , separando nettamente i nomi di 27 PERA,

L'identità dell'Umanesimo, pp. 15-31 . È ora indispensabile

l'edizione del Dante bucolico a cura di GABRIELLA ALBANESE nel n volume di DANTE ALIGHIERI, Opere minori, edizione diretta da MARCO SANTAGATA, Milano, Mondadori, 2014, dove pure si trovano nuova­ mente commentati il Convivio (a cura di GIANFRANCO FIORAVANTI e CLAUDIO GIUNTA), la Monarchia (a cura di DIEGO QuAGLIONI), le Epi­ stole (a cura di CLAUDIA VILLA).

148

La strada piu impervia

Dante e Petrarca, che . . . alla piu matura stagione umani­ stica non ripugnava allineare , inserendo Petrarca all'interno del movimento, e consegnando Dante in un limbo crepusco­ lare. Ora è innegabile che l'invenzione del preumanesimo ha avuto come immediato contraccolpo di accentuare la frat­ tura col mondo di Dante . E bisogna riflettere se ciò non falsi la complessiva interpretazione del processo storico.

Boccaccio fu il primo ad avvedersi, soprattutto nella let­ tera al Pizzinga, che si falsifica sia l'intelligenza di Petrarca, sia la comprensione di Dante, quando si ignorano le fon­ damenta dantesche di Francesco e non si coglie il fervore virgiliano del fabbro della Commedia: Non si vuole qui mettere in dubbio la qualità ad es. della pro­ posta degli umanisti veneri fra Due e Trecento, quanto negare che la loro possa essere una linea preferenziale che porta direttamente a Petrarca, perché allo scrittoio del Petrarca si giunge seguendo tante strade, anche quella di Dante . Fare di questi un umanista nel senso pieno del termine sareb­ be altrettanto erroneo quanto emarginarlo dal movimento come in genere si fa. Il problema è di non giudicare una stessa realtà letteraria, quella del primo Trecento, con diversi metri . . . . Nella corrispondenza poetica con Giovanni Del Virgilio Dante reinventava l'antica bucolica. Una operazione certa­ mente straordinaria della quale da tempo si è capita l'impor­ tanza, senza tuttavia enfatizzarla in termini umanistici; non so se qualcuno abbia mai osservato che la qualità del latino e della versificazione quale emerge dalle egloghe dantesche ha pochi confronti in tutto il panorama poetico latino che ruota intorno al Petrarca. Gli amici del Petrarca scrivono in genere versi mediocri e molto piu rigidi di quelli di Dante , che rivela un gusto ed un esercizio diretto sui classici e che non ha nulla da invidiare a molti umanisti dell'età successiva.

149

La lettera di Boccaccio al Pizzinga

Senza dire poi, osservava ancora Vmcenzo Pera sulla scorta di L.D. Reynolds, che Dante dimostrava di conoscere il De finibus di Cicerone , echeggiato nel Convivio e nella Monarchia, ben prima che Petrarca ne facesse la cono­ scenza a Napoli, grazie a Barbato da Sulmona, nel 1343. Verrebbe quasi da dire che non si capisce Dante - questo Boccaccio vuole insegnarci - senza intenderne il versante umanistico, non solo mediolatino, volgare e aristotelico. Allo stesso modo, è difficile pensare che, senza la mira­ bile provocazione del Virgilio dantesco e delle egloghe scambiate da Dante con Giovanni del Virgilio, avrebbe visto la luce in Bologna il Virgilio Ambrosiano di Francesco Petrarca. La coscienza della propria originalità non poteva che riposare per Giovanni sulla personale coniugazione di quei due magisteri. Dante aveva dischiuso lo scrigno della natura arcana della poesia. Dalla Mavortis del 1339, a fianco del poeta della Commedia, Francesco era stato per Boccaccio, ancor prima di incontrarlo, magister, pre­ ceptor. Nel prologo al De montibus, pur nella inusitata dichiarazione di discepolato («non pugil se d obsequio­ sus servulus et itineris stra ton>), Boccaccio non fa che ribadire , insieme all' autorevolezza di Petrarca, la pro­ pria priorità sull'amico, il proprio essergli stato, come fu Guido Cavalcanti a Dante, una sorta di Giovanni il Batti­ sta. 28 Francesco andò lontano, è vero. Ma i passi baldan­ zosi e fieri del cantore di Laura si mossero nondimeno dove aveva lavorato, per primo, l' amico Giovanni, itine­

ris strator.

28 L, osservazione è di

C.M. MoNTI, Boccaccio e Petrarca,

p. 39.

150

La strada piu impervia

Giovanni, dal canto suo, si sentiva ormai prossimo alla fine . Senza la benevolenza della grazia celeste il suo nome sarebbe svanito nel sepolcro, con il suo corpo af­ faticato, come accadeva ai seguaci delr antico Epicuro

(Ep. XIX 39) :

et sic , ni nova desuper infundatur g ratia, in glorius nomen

una cum cadavere commendabo sepulcro . . .

L'accettazione dell'incompiutezza del proprio percor­ so nasceva dal desiderio di concepirlo come un cam­ mino diagonale , come un ponte edificato fra due uni­ versi che non si sarebbero mai intrecciati, se non nella prepotente originalità del loro piu geniale cultore .

Indice dei nomi* Acciaiuoli Giovanni 65n, 83, 94, 133 Aghinolfi, Giovanni 77 Agostino, Aurelio 21, 6m, 7211 , 94, 114 Ahern, john 12, 270, 39n Albanese, Gabriella 59n, 69n, 70 e n, 71, 72 e n, 11m, 11711, 14711 Albanzani, Donato 59, 68n, 77 Alighieri, Dante 10, 14-16, 24, 27, 34, 41 - 45, 47- 49, 56-57, 63, 67, 71n, 79 , 81-83, 8 8 , 92-93, 107, 109-111, 117, 124-126, 128 , 133, 137-143, 145-149· Anselmi, Gian Mario, 13 Antognini, Roberta 76n Antonelli, Roberto 109n Argenti, Filippo 141 Ariosto, Ludovico 4m Arnaut-Daniel (pseudo) 105 Aristotele 34 Auzzas, Ginetta 25n, 32n, 59, 76n, 770, 128 Baglio, Marco 9411 Balducci, Filippo 98, 113 Bambaglioli, Graziano de' 41 Baranski, Zygmunt G. 51n Barbaro, Ermolao 41n Barolini, Teodolinda 14, 19, 2711 Bassermann, Alfred 140n Battaglia Ricci, Lucia 65n

Battistini, Andrea 1140 Bausi, Francesco 30, 3m, 34n Bellano, Saverio 4m Bembo, Pietro 42n Benozzo, Francesco 1400 Benvenuto da Imola 141 Berger, Peter L. 100 Bernardo, Aldo S. 28n Berra, Claudia 19, 35n, 70n Bertè, Monica 2m, 26n. 58n Bertelli, Sandro 70n Billanovich, Giuseppe 24 e n, 28 e n, 30n, 38n, 40n, 4m, 56n, 6o, 6m, 6m, 66n, 68n, 73, So e n, 840, 940, 96n, 103 Bosco, Umberto 30n Bragantini, Renzo 1140 Branca, Vittore 220, 23n, 28, 32n, 65n, 69n, 74 e n Breschi , Giancarlo 69n Brossano, Francescuolo da 59 Buondelmonte, Francesco 65n Cabaillot, Claire 147, 149 e n, 140n, 146 Campana, Augusto 25n, 89 Capella, Marziano 62 Carducci, Giosue 54 Carlo IV di Boemia 78, 127, 145 Carrara, Ernesto 36n, 89n Cassiodoro, Flavio Magno Aurelio 21

* Ho escluso dall'indice Boccaccio, Petrarca, i nomi mitologici e fittizi e quelli citati nei testi letterari.

151

152

Indice dei nomi

Castellano da Bassano 8on Castiglionchio, Lapo da 77 Cavalcanti, Guido 13, 44, 93, 107, 109, 112, 141-142 Cavalcanti, Mainardo 121-122 Cazalé-Berard, Claude 125n, 137, 139 Ceccherini, Irene 94n Chiecchi, Giuseppe 134 e n Chines, Loredana 19 Ciani, Gioacchino 10 Ciacco 141 Ciccuto, Marcello 14m Cicerone, Marco Tullo 62, 72n Cino del Duca 93, 107, 140 Cino da Pistoia 109, 112 Clemente VI 83 Cola di Rienzo 16 Colonna, Stefano 90 Conversino, Giovanni 27 Coppini, Donatella 2m, 28n Correggio, Azzo da 27 Cortesi, Paolo 147 Cursi, Marco 65, 120 e n, 125n Curtius, Ernst Robert 109n Damiani, Pier 34, 141 De jong-Crane, Betsy 36n Del Bene, Sennuccio 32 Della Casa, Tebaldo 94 Della Lana, jacopo 41 Del Negro, Andalò 97n Del Virgilio, Giovanni 41, 42 e n, 71n, 139, 147-149 De Robertis, Teresa 21n, 68n, 109n De Rossi, Pino 134 e n De Sanctis, Francesco 69n Dionigi da Borgo san Sepolcro 32 Dominici, Giovanni 8tn, 84

Enenkel, Karl 36, 88n Epicuro 51, 150 Erasmo da Rotterdam 53 Fabbri, Renata 26, 2711, 36n Fenzi, Enrico 29n, 30n Feo, Michele 28n, 29n, 36n, 67, 88n Fera, Vmcenzo 11 e n, 21, 28n, 29n, 45n, 147 e n Fiano, Francesco da 84 Filosa, Elsa 1340 Fioravanti, Gianfranco 1470 Foresti, Augusto 28 e n, 78 Forni, Pier Massimo 11411 Fumagalli, Edoardo 140, 14m Garbo, Dino del 13 Ghino di Tacco 141 Ginzburg, Carlo 32n, 33 Giotto 141 Giovannino da Mantova 8on Girolamo Eusebio 114 Giunta, Claudio 1470 Gramigni, Tommaso 94 Guizzardo da Bologna 8on Ispano, Pietro 31 james, Henry 12 Jones, Nicola 5m Kraye, jill sm Latini, Brunetto 130 Lepschy, Laura 5m Liebregts, Peter 36n Lilla, Alano di 95 Livio, Tito 34, 141 Ludovico II 83 Malato, Enrico 65n Manfredini, Antonio 96 Mann, Nicholas 25n Martelli, Mario 30n Materno, Firmico 31

Castellano - Vill a

153

Mazza, Antonia 109

Ricci , Pier Giorgio 36n, 53n, 89n,

Mazzuoli , Domenico 22

94fl Rico, Francisco 9 e n, 11, 20, 2m,

Melloni, Giorgio 20 Metello Rossi, Checco di 7m

24-27, 29n, 3m, 32, 34-35. 44 e n.

Mezzani, Menghino 77

53n. 57-58, 6m , 66n, 73 -75, 8m, 85, 87fl, 88, to8n, 118n, 145n

Monteforte, Pietro Piccolo da 61 e n, 67, 8m, 84fl, 96, 126, 132n,

Rizzo, Gino 11

142

Rizzo, Silvia 29n, 5 8n

Monti, C arla Maria 2m, 32, 55n, 66n, 96n, 149n

Rossi, Checco 139 Rossi, Luca Carlo 96n, 118n

Morosini, Roberta 11

Rossi, Vittorio 30n

Mussato, Albertino 11, 42n, 7m,

Sabatini, Francesco 23n Salisbury, Giovanni da 34

So, 84, 93, 139 Nelli, Francesco 66, 77, 133

Salutati, Coluccio 84, 94

Ockham, Guglielmo da 34, 51

Santagata, Marco 13n, 27fl, 42 e

Omero 130 Ovidio, Publio Nasone 114

n, 105n, 147n Scipioni, Silvia 94fl

Pacca, Vinicio 2m, 30, 31 e n, 78 ,

Seneca, Lucio Anne o 95 , 141 Serres, Michel t?D

79n, 85n

Sette , Guido 38

Padoan, Giorgio 53n Papio, Michael 11, 53n, 139 e n

Signa, Martino da 50, 67

Pasquini, Emilio 43n, 64fl

Silvestre, Bernardo 95

Pesenti, Tiziana 21 e n

Simonetti, Manlio 94fl

Petoletti, Marco 2m, 7m

Storey, Wayne H. 19, 27fl

Petroni, Giuseppe to, 51-52

Tanturli, Giuliano 2m

Piccolo, Lucio 21

Tateo, Francesco 65, 140n Tissoni Benvenuti, Antonia 29n

Picone , Michelangelo 125n, 137 Pizzinga, Jacopo 15 , 43, 67, 81

e

n, 83, 125 , 1 27, 131, 138, 140, 143145, 148 Platone 119 Poliziano, Angelo 4m Quaglio, Enzo Antonio 23n, 78n Quaglioni, Diego 147 Raimondi, Ezio 139n Ravenna, Gugliemo da 77 Reynolds , Leighton Durham 149 Regnicoli, Laura 2m

Urbano V 128 Valla, Lorenzo 4m Varrone , Marco Terenzio 72n Vecchi Galli, Paola 9, 20, 24, 26n, 28 , 29n, 30n, 37n, 43n , 45n, 49, 55n, 64n, 67- 6 8 , 7m, 77, to4fl Veglia, Marco to , 24n, 26n, 51n, 57n, 75n, 8m , 95n, 107n, 113n, 135n Velli, Giuseppe 1.9n, 69n, 96n ' Vernani, GW,cdo So, sm Villa, .Claudia 147D

154

Indice dei nomi

Villani, Giovanni 36n, 38n

Wilkins, Ernst H. 28 e n, 75n Zaccaria, Vittorio 53n, 94n

Virgilio, Publio M arone 56, 114,

Zamponi, Stefano 2m

Villani, Filippo 22

130, 138 Visconti, Giovanni 85

Zanobi da Strada 22, 77-78, 95, 98, 127 , 129, 137 . 144

Indice Prologo Una strana amicizia

9

Nota preliminare

19

Vite parallele II. Petrarca e la genesi del Decameron III . La lettera di Boccaccio al Pizzinga e un,idea di Dante e Petrarca

21 65 125

Indice dei nomi

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1.

S TA M PATO P E R LA E D I T R I C E A N T E N O RE R O M A - PA D OVA DA B E RT O N C E L LO ART I G RA F I C H E C I TTA D E L LA ( PA D OVA) S ETT E M B RE 2 0 14 ·

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Composizione e copertina «Il vecchio tipografo»