La Repubblica di Genova nell'Età moderna [2 ed.] 8802025398, 9788802025391

121 27 204MB

Italian Pages 552 [598] Year 1978

Report DMCA / Copyright

DOWNLOAD FILE

Polecaj historie

La Repubblica di Genova nell'Età moderna [2 ed.]
 8802025398, 9788802025391

Citation preview

CLAUDIO COSTANTINI

~

nell'età moderna



UTET



enova

..

f\ Il § 3 del capitolo II è di Carlo Bitossi. II § 4 del capitolo V e i §§ 4 e 5 del capitolo VI sono di Carola Ghiara. Il §. 3 del capitolo X e i capitoli XI e XII (e le relative note bibliografiche) sono di Diego Moreno, che ha anche redatto le note alle tavole. ©

1978 Unione Tipografico-Editrice Torinese corso Raffaello 28 - 10125 Torino

0 Ristampa

1986

È vietata la riproduzione anche parziale in qualsiasi forma e con qualsiasi mezzo (comprese fotocopie e microfilm).

Tipografia Sociale Torinese corso Monte Cucco, 108 - 10141 Torino ISBN 88-02-02539-8

\

\,

I

Indice

I. La nascita della Genova moderna Le fazioni • • • • 2. Il ruolo della plebe • 3. La rivolta delle cappette 4. Il successo dell' > 1.

















p.

I

















>>

4

















>>

8

















>>

14

















>>

19

















>>

22

















>>

















>>

25 29







>>







>>







>>

37 40 43

II. L'assetto del potere Unione e libertà • • 2. Il quadro istituzionale • 3. Uno Stato nello Stato? . 4. Le arti • • • • • 1.

III. La prima crisi del nuovo regime Il binomio Andrea Doria-Sinibaldo Fieschi 2. La congiura di Gian Luigi Fieschi . • • 3. La riforma del Garibetto • • • • • 1.

IV. La libertà genovese Libertà e neutralità . • 2. Il protettorato spagnolo 3. La guerra di Corsica • 1.

















>>

49

















>>

















>>

52 55









>>

59









>>

63









>>

65









>>

69

V. La fine dell'età doriana Il declino del > • 2. Il repubblicanesimo di Vecchi e Nuovi 3. Le forze della Repubblica . • • • 4. Cambi e > • • • I.

VI

Indice

. ' 1n . trans1z1one .. VI. Una soc1eta La miseria • • • 2. La fame • • • • 3. L'assistenza • • • 4. Gli artigiani . • • 5. La protesta dei poveri I.



















p.



















>>



















>>



















>>



















>>









75 77 79 82 84

VII. Verso una nuova crisi politica Vecchi e Nuovi . . . . . . . . . I Vecchi in difesa della propria > .

I. 2.

>> >>

VIII. Il 1575 L'urgenza di una riforma • • • • L'organizzazione delle fazioni • • • Il precipitare della crisi politica • • Insurrezione e secessione • • • • L'alleanza tra nobiltà nuova e popolo . Il terzo partito . • • • • • • La lotta politica in Genova . • • • Il ruolo dei radicali . • • • • •

I. 2.

3. 4. 5. 6. 7. 8.









































































































>> >> >> >> >> >> >> >>

121

>> >> >> >> >> >> >> >> >> >>

123 125 129 133 136 138 142 144 147 150

>> >>

1 53

IOI

103 105 109 III

115 Il8

IX. La ricomposizione del gruppo dirigente I. 2.

3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10.

La mediazione straniera • • • • • • Il trionfo dei moderati • • • • • • L'accordo di Casale • • • • • • • Selezione e partecipazione . • • • • • La congiura di Coronata . • • • • • L'autonomia della Rota Criminale • • • Un'età neghittosa • • • • • • • • Il ruolo degli eminenti • • • • • • I Nuovi, i Vecchi e i > . L'età d'oro dei cambi . • • • • • •

X. La nuova fisionomia economica I. 2.

Una preoccupante realtà urbana La manifattura serica . . .

























156

Indice

3· Decentramento industriale • • • 4. Il perdersi della tradizione marinara 5. La calata dei nordici • • • • 6. Il modello olandese . • • • •

VII

p. 160































>> >>











>>

164 167 170

Xl. Il territorio 1. Specializzazione produttiva e razionalizzazione del mercato • • • • • • • • • • • • • 2. L'espansione della proprietà cittadina . • • • • 3· Colonizzazione e dispersione • • • • • • • 4. La dissoluzione della società subfeudale • • • • 5. Una società stratificata . • • • • • • • • 6. La violenza • • • • • • • • • • • • 7. La riorganizzazione amministrativa del territorio . •

>>

173 175 179 182 184 190 195

>> >> >> >> >> >>

XII. Aristocrazia o oligarchia? Collegi e Rota Criminale • • • 2. Collegi, Supremi e Minor Consiglio 3. La nuova generazione • • • • 4. La stretta autoritaria • • • • I.











>>

1 99











>>

201











>>











>>

205 209







>>

217







>>

220







>>

222







>>







>>

226 232







>>

2 35







>>

239

>>

245 248 252 258 262

XIII. L'alleanza spagnola l.

2. 3. 4. 5.

6. 7.

Una politica remissiva • • • • • • L'alternativa del Lomellini . • • • • Attriti con la Spagna • • • • • • L'armamento pubblico • • • • • • Correttivi ai cambi . • • • • • • Andrea Spinola • • • • • • • • Verso una revisione dell'alleanza spagnola .

XIV. La fine di un'epoca 1.

2. 3. 4. 5.

La guerra del '25 • • • • • • • • • • Il rovescio del '2 7 • • • ' • • • • • • L'agitazione democratica e la congiura del Vachero . Un nuovo stile di governo . • • • • • • • La riscoperta dello Stato • • • • • • • •

>> >> >> >>

Indice

VIII

XV. Il decennio della svolta

1. 2. 3. 4.

Gli anni Trenta . • • • • • Una neutralità difficile • • • • Pericoli di una crisi istituzionale • Il dogato di Agostino Pallavicini .































>> >>











>>

267 271 274 277









































>> >> >> >>

283 286 290 2 95









































>> >> >> >>

301 305 312 315

























>> >> >>

3 23 328 33°





































>> >> >> >> >> >>

335 338 34 1 344 348 35 2

>> >> >> >>

355 360 364 368

p.

XVI. Una risposta alla crisi europea 1. > e > • • • 2. Il programma dei > • • 3. Un accenno di rinascita . • • • 4. Il repubblicanesimo dei >

XVII. La riscoperta del mare Il dominio genovese sul Mar Ligure 2. Galee di catena e galee di libertà . 3. Galee e vascelli . • • • • • 4. Gli > • • • l.

XVIII. La costruzione dell'emporio genovese Il dibattito sul portofranco • • • 2. Politica navale e politica di portofranco 3. Il modello di Livorno • • • • • I.



XIX. Tra Spagna e Francia 1. 2. 3. 4. 5. 6.

xx.

L'allontanamento dalla Spagna . • • • L'amicizia del Mazarino • • • • • L'inquietudine nobiliare • • • • • Una requisitoria contro i > . • Il presunto odio popolare per il governo . Il ritorno alla neutralità disarmata • •

Le contraddizioni della politica commerciale 1. 2. 3. 4.

La > . • Genova e Livorno • • La legge delle Riviere . Il traffico rivierasco . •

































































Indice

IX

5. La navigazione convogliata . 6. La liquidazione della politica

. . . navalista >>

>

37 1 374

XXI. Il ridimensionamento dell'apparato manifatturiero •









>>











>>











>>











>>

1656-57: una cesura? • • • • • • • • • .. • • • • • • • 2. Una doppia aggressione . • • • Privatizzazione delle riserve comuni • • 3· L'evoluzione del seminativo: l'introduzione del mais . 4·

>>

Il declino della prcxluzione . • • 2. La riduzione del costo del lavoro . 3. Le manifatture privilegiate . • • • • • • 4. L'iniziativa nobiliare I.

377 383 387 39o

XXII. Modernizzazione delle strutture agrarie 1.

399 401 40.5 410

>> >> >>

XXIII. Neutralità e immobilismo 1. Un ruolo passivo . . . . . . . . 2. Capitale e Dominio . . . . . . . . 3. L'insurrezione corsa e le pressioni straniere .

.

419





>>





>>





>>

421 428

XXIV. La necessità di una riforma dello Stato Una rivolta antinobiliare • 2. La crisi dello stato cittadino 3. L'assenteismo dei nobili • 4. Il lealismo dei riformatori . 1.

xxv.















>>

435















>>















>>















>>

438 44 2 44.5









>>









>>









>>









>>









>>

Le classi lavoratrici Evoluzione delle strutture corporative . 2. Il controllo mercantile . • • • • 3. La crisi della tessitura . • • • • 4. Le migrazioni • • • • • • • 5. L'inurbamento • • • • • • • I.

XXVI. L'iniziativa riformatrice

B) COSTANTINI.

I.

La riscoperta dell'agricoltura .













2.

Tentazioni autarchiche .













.

.

45 1 454 4.58 460 463

Indice

3. Le Società Economiche . • • • • • 4. L'opera della Deputazione del Commercio 5. Nuove aziende • • • • • • • • 6. L'azione nelle campagne • • • • • 7. L'intrcxluzione della. patata . • • • • 8. Un coagulo tardivo . • • • • • •







p.







>>







>>







>>







>>







>>





>>





>>





>>





>>

489 494 497 501





>>

5o3

473 476 479 481 484 487

XXVII. La fine della Repubblica aristocratica 1. La nobiltà genovese e la rivoluzione . • • • • 2. La neutralità: > • 3. Un regime privo di opposizione e di consensi . 4. La rivolta popolare . • • • • • • • 5. La transizione al nuovo regime . • • • •

Bibliografia .



Indice dei nomi .





























>>

5o7









>>

545



Indice delle tavole

.

p.

8

Andrea Doria arringa i nobili in piazza S. Matteo. Affresco di Lazzaro Tavarone - Frontespizio inciso dei Castigatissimi annali di Agostino Giustiniani . . . . . . . . . . . .

>>

16

La Liguria e lo > in una carta di Nicolas De Fer incisa da R. Michault - Principali interventi urbanistici in età moderna disegnati in sovrimpressione su un anonimo piano della città di Genova . . . . .= • • • ·• • • • • •

>>

48

Veduta di Genova in un dipinto allegorico di Jean Massys



>>

72

Particolare del castello antibarbaresco a difesa dell' > in una pianta prospettica del > ( r624) - Il castello di Camogli (secolo XVI-XVII) - Abitazione rurale fortificata a Celle Ligure (secolo XVII?) - Tenuta rurale fortificata (metà secolo XVII). Acquarello anonimo con tratti di penna. . . .

>>

8o

Galee e presso il molo Vecchio. Particolari di una veduta di Genova dipinta da Cristoforo Grassi - > o > da pesca in una tavoletta votiva del 1602 . . . . . .

>>

168

Veduta della villa Cambiaso-Dietsch ad Albaro (Genova) in una lunetta affrescata dell'interno attribuita ad Andrea e Ottavio Semino - Veduta di Nervi in una incisione di Cristoph Friedrich Krieger nelle Nurnbergische Hesperides di Johan Cristoph Volkamer . . . . . . . . . . . . . . . .

>>

176

La Liguria nella seconda metà del secolo xv .





/







.

Indice delle tavole

XII

Una > del secolo XVI-XVII dei

Bosco di Savo,n a >> - Una > del > - Particolare della De>

Ex-voto per il bombardamento della co·l lina di Castello nel 1684 .

>>

Particolare del > in un disegno a penna acquarellato di G. B. Zerbino - Polizza a stampa del Magistrato dei poveri ( r 678 ) . . . . . . • . . . . . •

>>

Balilla scaglia il primo sasso contro gli Austriaci (5 dicembre 1746). Litografia anonima del 1856 - L'episodio del senatore Giacomo Lomellina sul portone del Palazzo Ducale nel 1746. Altorilievo di stucco in Palazzo Gavotti a Genova ( 1840 circa) . . . .

>>

Figura di pastore per presepe di Giovan Battista Pedevilla - Figura di popolano per presepe di Anton Maria Maragliano - Figure di popolani per presepe di Giovan Battista Casanova . .

>>



92

35 2

Indice delle tavole

XIII

Particolari della veduta prospettica e planimetria delle proprietà cli Lazzaro Maria Cambiaso in Val Polcevera. Disegno a penna acquarellato di Matteo Vinzoni - Allegorie della Repubblica Ligure su carte intestate delle amministrazioni locali (1798-1799)

p.

480

Le circoscrizioni amministrative civili della Repubblica di Genova alla fine del secolo XVIII . . . . . . . . . . .

>>

4 88

Fonti iconografiche

I fotocolor e le fotografie riprodotti di contro alle pp. 16, 49, 72, 256, 337, 352, 464, 465 appartengono all'Archivio Sagep (Genova). Diego Moreno ha curato la ricerca iconografica e in questa occasione ringrazia il personale dell'Archivio di Stato di Genova, Ennio Poleggi e don Franco Pedemonte per la cortese collaborazione. I documenti conservati dall'Archivio di Stato di Genova sono stati riprodotti con l'autorizzazione del Ministero per i beni culturali e ambientali (Parere n. z.z6z del 3 febbraio z978).

Note alle tavole

Di contro alla p. 8:

xve siècle. Activité

Disegno ripreso, con modifiche, da J. HEERS, Genes au économique et problèmes sociaux, SEVPEN, Parigi 1961.

Di contro alla p. z6: Opera di celebrazione doriana di un pittore incline al genere storico, l'affresco proviene da Casa Strixioli sulle Mura di S. Chiara, demolita negli ultimi decenni dell'Ottocento. Andrea Doria ~ vestito all'eroica, mentre gli altri personaggi indossano il >. La scena sembra rievocare l'assemblea dei cittadini convocata il 12 settembre 1528 per sancire l'avvenuto cambiamento di governo; si tratterebbe insomma della nascita della moderna repubblica di Genova, con Andrea Doria nel ruolo di >.

Di contro alla p. z7: In due momenti di rifondazione dello stato moderno, si possono confrontare tra loro questa allegoria della Libertà Repubblicana (il > ricollocato nel tempio della >) con quelle della Libertà Democratica diffuse al tempo della Repubblica Ligure (cfr. tavola di contro alla p. 481 ). Non al di fuori degli interessi politici espliciti negli di Agostino Giustiniani è da collocarsi la >, testo centrale della tradizione corografica genovese, che occupa le carte I-XXII di questa edizione. La > oltre ai debiti consueti di un umanista verso i geografi. classici risulta essere per buona parte prodotto della osservazione diretta dell'autore che in un suo Dialogo nominato Corsica si riconosce > e dell'utilizzazione di fonti non letterarie (fonti ecclesiastiche per i dati sulla popolazione, fonti cartografiche?). La > ebbe un successo per molti versi inspiegabile se si considera che temi derivati dal Giustiniani, o sue pedisseque copiature, sono alla base

Note alle tavole

XVI •

delle successive corografie della Liguria sino al XVIII secolo: cosl lo stesso Matteo Vinzoni, almeno nelle sue opere , quali l'Indice delle

Città, Borghi, Luoghi che compongono il Stato della Republica di Genova ( 1769 ), e, ancora, nell'atlante manoscritto Il Dominio della Serenissima Repubblica di Genova in Terraferma ( 1773 ). (Cfr. M. QuAINI, La > della Lyguria di A. Giustiniani, in >, Bozzi, Genova 1971, pp. r43-159).

Di c'ontro alla p. 48: Originale di cm. 45 x 69; i confini degli> sono ripresi con una leggera traccia di colore (Parigi, Bibliothèque Nationale, Dep. cartes et plans, Ge DD 2987 B, 5297). La retinatura è nostra. Questa rara carta a stampa, già appartenuta alla collezione d'Ainville, costituisce un interessante documento per la storia della cartografia regionale, precedendo la prima edizione nota della famosa carta di J oseph Chaffrion (Milano, 1685). Il cartografo non utilizza evidentemente nessuna delle prece.denti edizioni dei lavori di G. Antonio Magini sulle Riviere. Lo stesso De Per > dedicherà nel 1703 una veduta di Genova al marchese Giacomo Lomellini, inviato straordinario della Repubblica presso il re; con l'attività del Borgonio negli anni 1680 e la contemporanea cartografia nautica francese (cfr. tav. di contro alla p. 336), si costituisce un interessante retroterra per l'opera chafriana. Occasione della pubblicazione della carta in oggetto dovrebbe essere stata la memoria a stampa presentata dal conte Gian Luigi Maria Fieschi a Luigi XIV - > - sulle sue> (cfr. L. T. BELGRANO, Interrogatorii ed allegazione

spettanti alla causa promossa da Scipione Fieschi per la rivendicazione dei feudi paterni, >, VIII, 2, r872, p. 308). Di contro alla p. 49: Originale a penna variamente acquarellato di cm. 188 X 129. La sovrim. pressione e' nostra.

Di contro alla p. 72: Olio su tela; originale di cm 130 x 156. Opera allegorica (Jean Massys aveva dipinto un'altra Flora nel 1559 con veduta di Anversa), i particolari realistici del dipinto forniscono > (E. PoLEGGI, Iconografia di Genova e delle Riviere, SAGEP, Genova 1977, p. 20). La veduta della città fu eseguita probabilmente su un disegno dei primi anni Cinquanta, sicché quella che fa da sfondo è ancora la città tardo-medievale descritta dal Giustiniani, la cui immagine si doveva perdere con le grandi trasformazioni

Note alle tavole

XVII

urbanistiche di quegli stessi anni. Anche dell'allegoria (i giardini di Fassolo come sede di Flora) è forse possibile una lettura realistica: le > del palazzo di Andrea Doria torneranno più volte negli scritti e nelle illustrazioni di agronomi del XVII secolo, ed è certa proprio alla metà del XVI secolo la presenza in Liguria - da questo momento meta di viaggi scientifici ed erborizzazioni - di botanici fiamminghi. Fra le pp. 80 e 8I: 1,

Originale completo di cm. 57 x 42.

Fotografia del 1973. 3, Fotografia del 1975. 4, Originale di cm. 42 x 30. 2,

Difesa a terra o difesa in mare contro le incursioni corsare? Quando la Repubblica, optando in sostanza per la prima alternativa, realizzò a partire dalla metà del Cinquecento una linea di e lungo le due Riviere, i privati non rinunciarono ad approntare difese domestiche. Secondo Paolo Foglietta era una scelta politicamente e tecnicamente sbagliata ( e il mare. Le case fortificate con guardiole (come nella :figura 3) o con torri o addirittura con merli e ponte levatoio (come nella figura 4) rimandano però anche al -problema della violenza interna, della permanente guerriglia contadina nei secoli dell'età moderna. A causa delle > si costruiscono > nella valle Sturla (Chiavari) che un editto del 1549 obbliga a smantellare. Ancora nel 1647 > Gatti in valle di Sturla si costruiscono una casa > e nel frattempo proteggono > (A.S.G., Lettere al Senato, B. 1013, 26 ottobre 1647 ). Di contro alla p. I68:

Olio su tela; originale completo di cm. 222 x 400. Il Grassi esegul per ordine della magistratura dei Padri del Comune questa copia di una più antica veduta, oggi definitivamente datata agli anni attorno il 1481. Si tratta quindi di una veduta ufficiale commissionata a questo pittore-cartografo attivo a Genova tra XVI e XVII secolo (E. PoLEGGI, B*) CoSTANTINI.

XVIII

Note alle tavole

Iconografia, cit., pp. 112 e segg.). Fu Auguste Jal a consacrare l'importanza di questo quadro per l'archeologia navale, soggiornando espressamente a Genova nel 1834 per rilevarne i disegni delle galee e nel fiorire di questi studi in Francia attorno alla rivista > diretta da Amedeo Graham; i disegni furono poi pubblicati nella monumentale Archeologie navale, Parigi 1840 (cfr. O. GRosso, Lazzaro Tavarone pittore di Colombo e il disegno del Codice dei privilegi, >, III, 1951, pp. 543~). Di contro alla p. I69:

Olio su legno; originale di on. 3 7 x 2 5. In basso la scritta a pennello: >. In entrambe le Riviere accanto ai più importanti centri cantieristici si alimentava una tradizione costruttiva, ancora poco esplorata dagli storici navali, con elementi tecnici e formali particolari che rispondevano alle esigenze di un mercato locale. Questa attività era dedicata alla costruzione di piccole imbarcazioni del tipo di quella qui rappresentata. Questo > veniva utilizzato per coprire tratti di mare abbastanza ampi: la documentazione contemporanea ce li mostra frequenti sulle coste della Sardegna, della Campania ed anche della Catalogna. Gli ex-voto marinari, che costituiscono una gran parte del patrimonio figurativo dei santuari mariani liguri, potrebbero rivelarsi una fonte iconografica di prima mano per lo studio di questa attività preindustriale. Di contro alla p. I76:

L'affresco è attribuito ai Semino nella scheda del Catalogo delle ville genovesi (Genova 1967, pp. 408-409): qui interessa per la realistica rappresentazione del paesaggio agrario della villa della prima metà del XVI secolo. Gli si accosti la « Descrittione » di Agostino Giustiniani ( 15 3 7): « Albaro

Note alle tavole

XIX

comprende 144 case delle quali vi ne sono 46 di contadini e il restante de' cittadini, che tutte hanno amene e fruttifere ville, tal che è cittadino che ha in la sua villa pere di vintidue specie, sono queste ville dottate di domestico, di salvatico, di acqua, di are per uccellare, tute murate in cerco e la struttura delle magnifiche case è superbissima >>. La veduta ci documenta appunto le forme concrete della agricoltura intensiva ed irrigua che vi si pratica: in pochi ettari si raccolgono ordinatamente colture arbustive ed arboree. La vite è allevata alta, a pergolati in legname (non sembra di poter distinguere le classiche > in muratura); ma, in basso è ben visibile, servito da un pozzo a bilanciere, un lungo appezzamento ortivo. Il fondo è suddiviso in cinque vasti terrazzi con sostegni in muratura e accesso di scale. Tra gli annessi rustici, anch'essi fedelmente rappresentati, sul terrazzo più alto che sembra anche recintato ulteriormente, è visibile un > (fienile dal tetto mobile) per la riserva di foraggio che denuncia anche la pratica dell'allevamento stabulato nel pur ridotto > della villa. di questo >.

Di contro alla p. z77: Originale di cm.

22

x 34.

Il Krieger nell'incidere questa veduta di Nervi - che abbraccia in realtà tutto il terrazzo costiero che si estende dalle colline di Albaro sino a Bogliasco - non fa che riproporre, in una forma elementare, un > ormai classico della letteratura botanica sulla agrumicoltura ligure. Una > era stata ripresa sin dal 1637 da Cornelio de Wael come illustrazione ai passi del libro del padre gesuita senese G. B. Ferrari (Hesperides sive malorum aureorum cultura et usu, P. Pieraccini, Roma 1646). La veduta rimase però inedita tra le carte di Cassiano dal Pozzo a Torino, evidentemente uno degli informatori - o in contatto co.n uno degli informatori genovesi - del Ferrari sulla agrumicoltura ligure, assieme a ed un appezzamento di domestico che aveva un circuito di I,

xx

Note alle tavole

due miglia e mezza. Nel 1723 era divenuta una delle dieci masserie acquisite dagli > ed ospitava tre-quattro famiglie di > (cfr. D. FRANCHELLO, Il Bosco di Savona, tesi di laurea, Università di Genova, a.a. 1970-1971 ). 2,

Fotografia del 1974.

Esempio delle abitazioni edificate tra il 1590 ed il 1615 nei > interessati al movimento di domesticazione del bosco misto in castagneto da frutto. Pur avendo subito addattamenti successivi, questa costruzione testimonia ancor oggi nelle sue strutture l'avvenuto trasferimento, contemporaneo alla diffusione dell'habitat sparso, delle funzioni di abitazione permanente ( che in questa area erano state espletate da un tipo di costruzione riconosciuto nei documenti contemporanei come > fino alla seconda metà del XVI secolo) alla >, nuova dimora dei >, i colonizzatori. Infatti, sotto il tetto di > (dial.) coperto di castagno, si ritrova un vano, anch'esso detto >, per il ricovero del foraggio invernale che si sovrappone al vano di abitazione vero e proprio. Al piano terreno trovano spazio le stalle. Al fienile si accede solo con una scala mobile attraverso la > che sovrasta l'ingresso all'abitazione [l' >], particolare che conferisce alla > una caratteristica locale ben distinguibile (cfr. D. MORENO, S. DE MAESTRI, Casa rurale e cultura materiale nella colonizzazione dell'Appennino genovese tra XVI e XVII secolo, in Atti del Convegno >, Deputazione di Storia patria per l'Umbria, Perugia 1975). Nel corso del XVII-XVIII secolo, l'edilizia rurale delle valli confluenti nell'Orba subirà, sotto diverse spinte, ulteriori trasformazioni. Un'indagine sulle costruzioni rurali di un vasto patrimonio feudale di questa area alla fine del XVIII secolo è stata condotta recentemente utilizzando un > disegnato da G. Brusco per le proprietà Spinola di Campo Freddo (cfr. P. FRIGERIO, A. PICCIONE, Schede sull'architettura rurale dell'Appennino Genovese nel XVIII-XIX secolo, in >, III, 1976, pp. 447-72).

3. Una> nel versante orientale della media valle Stura realisticamente rappresentata nella più importante opera di cartografia terrestre genovese del xvn secolo, l'atlante dei confini della Repubblica « Ultra Yugum ». È

visibile l'accesso al sottotetto utilizzato come fienile in questo tipo di costru• •

ZlOlll.

Di contro alla p. z92:

In dto: olio su tavola; originale di cm. 35 x 39; iscrizione: >. In basso: olio su tela; originale di cm. 25 x 31; iscrizione: >.

Note alle tavole

XXI

Mancano purtroppo per la Liguria studi complessivi su questo tipo di fonte per la storia sociale delle classi che hanno affidato la loro memoria in prevalenza all'oralità: il patrimonio degli ex-voto liguri, ricchissimo ancora alla fine del XIX secolo è oggi in gran parte disperso. Uno studio esemplare per la vicina Provenza è B. Cous1N, Devotion et societé en Provence. Les ex-voto de N.D. de Lumières, >, 7, 2, 1977, pp. 121-142. Nella prima tavoletta il pittore ha realisticamente ambientato l' > notturno nella valle del torrente di Recco, come testimonia l'inconfondibile profilo delle montagne a destra: l'episodio (vendetta o banditismo?) è avvenuto lungo una strada di transito come si può dedurre dalla > a porta pompeiana aperta al pianterreno della casa che fa da sfondo. L'invocazione alla Madonna da parte del ferito è rappresentata con la tecnica del ; la condizione > dei due personaggi è testimoniata dal loro abbigliamento. La datazione post-quem è possibile grazie al fatto che la chiesta di Megli è rappresentata già con la navata costruita nel 1615. Più certo il tema della seconda tavoletta votiva: una > notturna tra due >, realistica testimonianza della violenza che percorre la società sub-feudale della montagna ligure nel XVII secolo. La condizione contadina dei personaggi è testimoniata dall'abbigliamento che può utilmente essere confrontato con quello delle figure riprodotte fra le pp. 464-46 5, oltre che con reperti materiali (cfr. D. MORENO, Un indumento maschile in > nella raccolta di Cassego ( I850 ca.), in Studi e Notizie del Centro di studio per la Storia della tecnica in Italia, CNR, marzo 1977, pp. 24-25 ).

Di contro alla p. 256: Originale di cm. 310 x 144. Completate le nuove mura nel 1632, il Senato ne commissionò più volte vedute pittoriche, veri e propri documenti topografici, che testimoniassero la grandiosa impresa. Nel 1634 fu commissionata una veduta al pittore Sebastiano Oddone e ùn'altra, nel 1635, a G. Andrea Ansaldo destinata al papa Urbano VIII. Da quest'ultima deriverebbe la pianta prospettica ufficiale che essenzializzata nella iconografia successiva diviene emblematica (cfr. E. PoLEGGI, Iconografia, cit., p. 123).

Fra le pp. 288 e 289: 1,4. Opera dedicata all'armamento marittimo, il Genio ligure risvegliato ha trovato nel Fiasella - non nuovo a questo genere di commissioni - un illustratore assai colto, anche se il Veneroso stesso suggerisce nella sua opera gran parte dei temi iconografici. Simbolismo egizio, scienza araldica e realismo offrono numerose chiavi di lettura di questa incisione. Il riferimento realistico è ad esempio

XXII

Note alle tavole

nella flotta di galee nel porto della città, nel molo nuovo e nelle nuove mura che riprendono un tema accennato nella dedica ai Senatori: e ancora si insiste sull'> affermando che alla cui interpretazione il Veneroso dedica diverse pagine (pp. 203 sgg.: > ). 2,3.

Ad oltre vent'anni di distanza, lo Sperone riprende l'iconografia scelta dal Borghi affidandola ad un incisore madrileno che, non cogliendo alcuni dei particolari realistici del disegno del Podestà (doppia cinta di mura, il molo nuovo non terminato) che sono elementi della nuova immagine ufficiale di Genova negli anni 1630-40, la riduce a ideogramma (l'Orozco, un prete, qui ad una delle sue prime prove, è noto per un certo numero di frontespizi incisi a Madrid dal 1677 al 1697). D'altro canto, il tema del carro di trionfo comune alle due incisioni, sembra suggerito da un'altra opera celebrativa, quella del barnabita E. Ferrari (Liguria triorifante delle principali nazioni del mondo, Pier G. Calenzani, Genova 1643) dedicata particolarmente a G. Vincenzo Imperiale; a p. 206 il paragrafo che lo Sperone riprende dalle Satire di Giovenale (cfr. Titolo Nono, >, Iuv. Sat. 10) richiama i temi di celebrazione colombiana cari alla cultura locale nella prima metà del secolo.

Note alle tavole

XXIII

Di contro alla p. 336:

Originale di cm. 57 x 44. La carta fa parte di un gruppo di rilievi originali eseguiti da cartografi francesi durante le missioni preparatorie e le operazioni relative al bombardamento di Genova nel maggio 1684. Almeno quattro diverse carte di località della costa ligure tra Vado e Genova ( tra cui quelle di ~avona e Genova stessa) furono rilevate fin dall'agosto 1683 dal Pelville e certamente numerose altre, non datate né sottoscritte, conservate negli stessi Portefeuille 81 ed 81 bis del fondo > solo di recente aperto alla consultazione. Questa produzione, a base geometrica, è incomparabilmente superiore alla contemporanea produzione cartografica genovese: le informazioni che si ritrovano trascritte sulle carte ( ancoraggi al largo ed a terra, natura dei fondali, profondità, stato delle fortificazioni e consistenza delle artiglierie genovesi) testimoniano la sistematica -preparazione del Du Quesne e la relativa facilità con cui si poté ottenere simili dati. La planimetria che si pubblica è un particolare ricavato da un più ampio e completo rilievo (>, Ibid.; Pf. 8r bis-12-8) che per forn1a e dimensioni risulta irriproducibile in questa sede. Sono all'ancora dieci galeotte distinte con i relativi nomi da levante a ponente (La Terible, La Beliqueuse, L'Esclattante, La Fulminante, L' Ardante, La Foudroiante, La Menaçante, La Cruelle, La Bombarde, La Tonnante) ed altrettanti vascelli da guerra ormeggiati con le prime, a~ch'essi distinti con i nomi propri. Sulle galeotte erano montati i perfezionatissimi > che lanciarono sulla città più di tredicimila bombe esplosive, > che avevano già fatto buona prova al bombardamento di Algeri nel 1682, e che rasero al suolo intere zone della città seminando il terrore tra i genovesi (cfr. tav. di contro alla p. 352 ). Di contro alla p. 337:

Originale di cm. 26 x 38. Numerose vedute e piani vennero pubblicati dopo il b0mbardamento di Genova nel maggio 1684. B. Frescura segnalò l'esistenza di due > facenti parte probabilmente di una collezione (B. FRESCURA, Genova e la Liguria nelle Carte geografiche, nelle Piante, nelle Vedute prospettiche, in >, XIV, 190 3, pp. 208-9). E. Poleggi ha recentemente pubblicato una veduta celebrativa disegnata da Jan Van Beecq, Peintre du Roy, incisa da J. B. Fouard e conservata all'Ashmolean Museum di Oxford (E. PoLEGGI, Iconografia, cit., p. 62). Sicuramente derivata dal materiale manoscritto più sopra segnalato è la , nel XVIII secolo costeggiano la foresta che, oltre a subire una colonizzazione agricola con insediamento di masserie sparse (non rappresentate nella carta a grande scala dello Zerbino) a partire dalla fine del XVI secolo, ha fornito combustibile alle industrie del fuoco attestate nei vicini centri di Altare, Ferrania e Montenotte sin dal XIII secolo. La sulla strada tra Cadibona ed Altare è stata, per tutta la durata dell'amministrazione genovese, la residenza dei Commissari del Bosco. Residenza amministrativa, perché dal XVII secolo l'effettivo alloggio del Commissario, dei campati e soldati dell'amministrazione forestale era nel fabbricato detto > tutt'ora esistente. In basso a destra il cartografo ha rappresentato con un certo realismo i fabbricati del Santuario della Madonna della Misericordia: uno dei prototipi dei santuari mariani liguri del secolo XVI.

Di contro alla p. 4I7: Originale in folio. La stampa accompagna una relazione del Magistrato sulla carestia di quell'inverno 1678 (

  • ) che rimette in moto per quell'anno il meccanismo burocratico delle e delle ( (Pedevilla, Maragliano). A titolo di sempliçe suggestione, occorre ricordare, però, che nel corso del XVIII secolo, il > diviene una maschera che contrasta durante i carnevali cittadini col : forse semplice ripresa in chiave moderna della satira del villano, già presente nelle rime dell'Anoniino Genovese. Di questo tema letterario, il >, si potrebbero trovare diversi riscontri. Così ad esempio alcune figurine per presepe della Collezione di Palazzo Ro sso - attribuire al Muraglia (XVIII secolo) dalla fisionomia evidentemente caricaturale; cosl alcuni personaggi delle commedie dialettali di Steva de Franchi (fine XVIII secolo) ed anche di una composizione semidialettale di Giurian Rossi intitolata >, che, attraverso un diffuso modulo letterario, evidenzia uno dei possibili filtri culturali attraverso cui la classe colta urbana guardava ai suoi contadini: dei marchesi Spinola di Campofreddo nel 1782-84, Domenico Policardi le grandi carte delle proprietà di Anton Giulio Raggi a Tiglieto nel 1782 e, già nel 1751, la pianta della proprietà di Gerolamo Gnecco a Portofino, e l'elenco potrebbe prolungarsi a piacere. L'assenza di una catastazione :figurativa ufficiale - il primo catasto geometrico sarà quello napoleonico del 1811-14 - non ha permesso lo sviluppo in Liguria di una scuola autonoma di agrimensori come quelle che troviamo attive nel Piemonte, Lombardia ed Emilia del XVIII secolo. Le proprietà Cambiaso in val Polcevera-Secca sono costituite dalla grande azienda che ospita il > e pertineneze (la villa del secolo XVIII) e da un gran numero di sparse condotte ad affitto. Si riporta l'indice delle >, compilato dal Vinzoni assieme ad un > e ad una >: di breve durata. La prima intestazione riprodotta appartiene ad un ufficio dell'amministrazione centrale della nuova Repubblica e, come altre che forse sono servite a modello per quelle locali, è probabilmente prodotta nell'àmbito dell'abate Aloisio (o Luigi) Gismondi, incisore (Genova 1759-1830), già Direttore e Segretario della Accademia Ligustica ed illustratore con temi classici di una edizione genovese in sette tomi (A. Olzati, 1792-9 5 )i della Storia Antica di Charles Rollin. Seguono nell'ordine le intestazioni, tutte anonime, della Municipalità di Feggino, della Amministrazione Municipale di Pia nel Finale, della Municipalità di Cornigliano, della Municipalità di Albenga. Di contro alla p. 488: Disegno ripreso da: G. FELLONI, Le circoscrizioni civili ed ecclesiastiche nella Repubblica di Genova alla fine del secolo XVIII, in >, 4, 1972.

    CAPITOLO

    I.

    La nascita della Genova moderna

    1. Le fazioni

    Quando, nel 1502, si trattò di ricevere in Genova con la dovuta solennità il re Luigi XII, nacque tra e , le due fazioni in cui si divideva la classe di governo, una violenta disputa su chi avrebbe dovuto reggere alle porte della città le aste del baldacchino. I primi rivendicavano la precedenza che era riconosciuta in Francia al ceto nobiliare. I secondi negavano che i termini > e > avessero in Genova lo stesso significato che si dava loro altro·ve: in Genova, essi affermavano, quei termini valevano semplicemente >, s.icché la precedenza spettava semmai alla fazione popolare, che le leggi anteponevano alla nobiliare nel gover1 no della cosa pubblica • L'episodio, uno dei tanti del genere, riproponeva all'aprirsi del nuovo secolo una disputa destinata a perpetuarsi nei suoi termini fondamentali per molti decenni ancora. Come spesso accadeva in simili questioni, la posta in gioco superava di gran lunga l'oggetto occasionale del contrasto. Vi si confrontavano le opposte coscienze che > e > avevano di se stessi e della propria reciproca distinzione, e quindi le divergenti interpretazioni della natura e del ruolo dello Stato genovese. In un'epoca in cui il problema politico centrale era appunto la rifondazione dello Stato, 1

    F. CASONI, Annali della Repubblica di Genova, 7 voll., Casamara, Genova 1799-1800,

    I, p. 56. I. COSTANTINI.

    2

    Capitolo primo

    la polemica sul significato della parola > ebbe a giusto titolo un'importanza primaria, costituendo una sorta di filo rosso dell'intero dibattito politico. La questione non fu e non poteva essere risolta in via di principio o con una mera escussione di titoli e testimonianze storiche: si estinse con l'estinguersi stesso dei gruppi che le avevano dato vita e col sorgere di nuove s.t rutture e di nuovi equilibri sociali. La pubblicistica e la storiografia hanno adoperato per definire quei gruppi una terminologia incerta: , , , sono i termini indifferentemente o alternativamente usati da molti scrittori. Ma> implicava un'originaria e insormontabile eterogeneità sociale, > o > una semplice distinzione di natura politica, una contrapposizione provvisoria, che l'ideologia unitaria della riforma del r528 deprecava e invitava a superare. In relazione poi alla tradizionale partecipazione di > e > al governo, ossia in relazione alla definizione della peculiare struttura dello Stato genovese, l'uso del primo termine suggeriva l'idea di un regime misto, fondato sul riconoscimento delle rispettive individualità e prerogative di gruppo, mentre l'uso degli altri termini implicava eguaglianza civile nell'àmbito di un'unica classe di governo e comunanza di privilegi sociali e politici. Quello tra nobili e popolari non era il solo antagonismo che divideva la classe dirigente genovese. Al contrario, le antiche discordie civili, le lotte faziose a cui la rifonna del r 5 2 8 volle porre fine, avevano quasi sempre sp-accato al loro interno i due gruppi: questo intersecarsi dei contrasti, questa sovrapposizione incrociata di schieramenti sono stati spesso indicati come una caratteristica della lotta politica genovese. Il quadro che ne risultava era, naturalmente, tutt'altro che lineare, eppure è difficile non riconoscerne la coerenza complessiva: quel complicato ma non disordinato intreccio di alleanze e di rivalità, di cui erano protagonisti grandi e piccoli gruppi familiari, aveva finito per costituire il tessuto più robusto dello Stato genovese, il sostrato d'ogni successiva ideologia repubblicana.

    La pubblicistica « unitaria » del Cinquecento ci ha abituati alla sommaria e complessiva condanna delle lotte e delle organizzazioni

    La nascita della Genova moderna

    3

    faziose precedenti la riforma del '2 8. Di esse si è voluto denunciare in primo luogo l'effetto centripeto, disgregativo, debilitante, ignorando o velando la crescita e il consolidamento della classe dirigente genovese proprio attraverso le peculiari forme di aggregazione che quel gioco di antagonismi incrociati stimolava e favoriva in molti modi. Quella classe dirigen_te era forse scarsamente incline a distinguere tra pubblico e privato (e perciò - si potrebbe dire ed è stato detto - mancava d'un moderno senso dello Stato), ma, a parte il fatto che questa non era certo una sua caratteristica esclusiva, la s.u a stessa struttura organizzativa, la natura quasi privatistica dei legami interfamiliari, la dotava, se non altro, di un'energica vocazione di potere. Se ne ha una conferma, al di là delle divisioni interne, nella netta delimitazione dei gruppi ammessi a funzioni pubbliche, nella decisa emarginazione politica del >, la plebe, tutt'altro che pacifica in linea di principio e anche, come testimoniano le somm,oss.e e gli esperimenti di governo o di partecipazione al governo dei plebei, in linea •di fatto. Derivava da questa ferma volontà della classe dirigente il fatto che le alternative al governo sempre presenti al s.u o interno in forza appunto dell' organizzazione faziosa e del fuoruscitismo b,e n di rado degeneravano in alternative di regime. I gruppi di potere potevano alternarsi ai vertici dello Stato, ma i nuovi arrivati riproducevano immancabilmente i vecchi schemi: era un cambio della guardia che assicurava un'essenziale circolarità nella gestione del potere e in cui, prescindendo dalle forme violente in cui spesso si realizzava, potrebbe vedersi quasi l'estrinsecazione di un'oculata pras·si cos.t ituzionale. Il pluralismo dei gruppi di potere non costituì mai in Genova una seria minaccia per gli equilibri sociali stabiliti, o, se lo fu, trovò sempre nella classe dirigente efficaci e pronti correttivi. Questo pluralismo servì piuttosto a plasmare caratteris.t iche forme di cogestione, che affidavano ai meccanis.m i di compensazione, ai contrappesi politici, all'alternanza o alla bilanciata p artecipazione dei diversi gruppi al governo la sop·ravvivenza dello Stato e la > stessa dei cittadini. E in effetti lo Stato geno·v•e se mantenne attraverso una lunga successione di rivolgimenti politici una sua continuità, a cui, almeno finché non si alterò all'esterno il quadro 1

    Capitolo primo

    4

    delle relazioni tra le varie potenze operanti in Italia, neppure il frequente ricorso al > di principi stranieri poteva togliere alcunché. Come doveva osservare nel Seicento Raffaele Della Torre, le signorie straniere erano riuscite > alla Repubblica o, come sosteneva nella stessa età, ma dall'altra parte della barricata, Gio Antonio Ansaldi, ; le loro condizioni - os.servavano - erano sempre > • Anche per questo gli strati plebei si sarebbero dimostrati in ogni tempo refrattari alle suggestioni patriottiche dell' > e insieme scettici od ostili verso quelle signorie straniere che s'imponevano in nome della pace e dell'ordine. La lezione del Boucicault

    La paura della plebe - o per lo meno l'insofferenza per la sua persistente insubordinazione - è forse la sola significativa costante rintracciabile nel convulso gioco di potere che sottopose la Genova del Quattrocento ad un incessante avvicendarsi di governi. Per la maggior parte del secolo Genova visse sotto governi stranieri più o meno efficacemente s-olleciti della quiete interna, ma nelle frequenti crisi politiche, nei periodi di transizione e di incertezza, ricomparivano con una preoccupante regolarità magistrature d'estrazione prevalentemente o esclusivamente artigiana che, indipendentemente dalla loro breve esistenza, rinnovavano i timori e le ansie della classe 1

    O.

    FOGLIETTA,

    Dell'Istorie di Genova, cit., p. 380.

    La nascita della Genova moderna

    7

    dirigente e richiamavano i suoi capi ad una maggiore prudenza e ad un maggiore senso di responsabilità nelle competizioni faziose. Le !storie di Oberto Foglietta, che ripercorrono queste vicende in un'ottica cinquecentesca, sono ricche di annotazioni sul ruolo che l'agitazione plebea ebbe nella fonnazione di una coscienza e di un'ideologia unitaria delle classi superiori. Il governo di Boucicault, che aveva aperto il secolo xv in Genova, vi ha giustamente il rilievo di un'esperienza esemplare. La > cli Boucicault sapeva di tirannide perché, rifacendosi ad un principio di autorità superiore alle tradizioni ed alla volontà dei cittadini, risultava drasticamente antifaziosa, ma insieme offriva un modello difficilmente eguagliabile di rapida ed efficiente nom1alizzazione della vita cittadina. Giunto in Genova sul finire del 1401, quando la città sembrava nelle mani degli artigiani e della plebe minuta, disarmati preliminarmente i cittadini, Boucicault aveva tolto alla plebe . >. Tra i malvagi, naturalmente, c'era tutta la plebe, che gli J:X)rtava > e per esserle stati imJ:X>sti >. Vinta in città, la plebe organizzò contro il Boucicault una sorta di guerriglia nel contado, dove li fatte pubblica.m ente e molte schiere d'huomini convertita l'ultima disperazione in rabbia, occupate le cime dei monti o assediate le strettezze delle vie, riempievano ogni cosa di saccheggiamenti, di ladronecci e di ammazzamenti, e

    aptto o primo

    non solamente i riscotitori de dazi e quelli ... mandati attorno a riscuotere le gravezze erano ammazzati da malandrini, ... ma li Podestà ancora e Rettori delle terre erano uccisi da popoli loro soggetti, che la presente acerbezza vinceva il timore della pena >> 1• La resistenza della plebe aveva logorato alla lunga l'autorità del Boucicault e la classe dirigente genovese se ne disfece alla prima occasione, come era già successo in altre circos,tanze per i detentori pro tempore del potere fazioso. La lezione politica che si poteva trarre dalla sua vicenda era però meno effimera e riconduceva alla necessità di una rifondazione dello Stato genovese, di cui il suo governo aveva indicato gli strumenti, oltre che nella repressione antiplebea, nel riordino delle leggi, nella riforma delle istituzioni, nell'unione, magari coatta, della classe dirigente. Il suo nome doveva restare in particolare legato alla creazione della casa di San Giorgio, l'istituzione più caratteristica della Genova moderna. Si era trattato in sostanza di una cons.olidazione del debito pub,blico, di cui c'erano nella storia genovese diversi precedenti. Ancora una volta Boucicault non aveva inventato nulla, ma aveva riordinato e razionalizzato l'istituto delle , ossia delle as.sociazioni dei creditori dello stato, unificandole e attribuendo all'ufficio dei protettori, espressione dei comperisti, nuovi e più ampi poteri. Era un'indicazione importante: padrona delle finanze pubbliche, la casa di San Giorgio segnava nell'appropriazione integrale e collettiva, da parte dei « principali cittadini», delle risorse e delle prerogative dello stato la strada lungo la quale l'unione della classe dirigente si sarebbe potuta realizzare felicemente·.

    3. La rivolta delle cappette

    La paura della plebe era il terreno naturale sul quale nei momenti difficili tornavano a comporsi i dissidi tra le varie fazioni della classe dirigente: in essa aveva trovato credibilità di volta in volta - specialmente nel Quattrocento - l'appello ricorrente all'unione 1

    O.

    FOGLIETTA,

    Dell'Istorie di Genova, cit., pp. 387-388, 394, 399.

    o

    Comune di Genova

    • • •• •• • •• • • • • • •

    Comuni federati

    OJJ•

    Varzi

    fyovi'

    Feudi dei Fieschi e loro castelli

    pr,ata ·-

    .,

    •i{



    Acqu,o

    Feudi dei Grimaldi

    ~ ~

    o.

    i/vano p \

    Serrava/le J ,

    Garbagna

    , , .....

    .avi

    ~,~"' ."'p

    AD=~~ ·~ Feudi degli Spinola



    . .~ ., . -. . r9 IJ.!

    I

    a

    ~ 1/ tefano d

    CO I

    Crocefìescn, I I • v,gn·one

    Feudi dei Doria

    EZJ+

    Feudi dei Malaspina e loro castelli

    TENDA

    Altri feudi importanti

    / .. / .

    ..a:;, - -

    S. Maria di. Tar.ò

    ARA

    o Cairo

    oCeva

    CEVA

    . Borgo Val d,' Taro

    Pontremoli

    •••

    Varese

    Portofino_, ,

    '4~\, ~1,.

    3

    Cn'\..3~1,.~

    CARRETTO



    I

    iusten .

    Finale Loano

    Pornassio

    TENDA

    La Spezia

    '

    ..... i····· .. .0 , dt Tee,o "' .·.·.·.····:·~-s,Atbenga . ... , .

    Mendai.

    Pieve '

    '

    '

    Porto Venere

    '

    -

    zo

    'e

    ·te/la "

    o

    ··

    AD.O RNO r oCastelfran.co

    ceriana ... O-., · oT,aggia

    Dole

    w

    11- .. •

    ••

    •· · · -

    -

    'A FREGOS0 I

    ;.' {";f.

    ·

    ._ ,.,

    I

    ra

    "- .Cervo • ~ O,ano .;::,_ ~neglia

    ~LINGUfLt~ Maurizio

    V\/

    San Remo entimiglia

    O

    1

    1O

    I

    20

    1

    30

    1

    40

    50

    1

    Jk

    1

    La nascita della Genova moderna

    9

    dei cittadini. È solo però con i torbidi del 1506-7, culminati nel dogato di Paolo da Novi, che tra i maggiorenti di tutti i partiti s'impose o per lo meno si acul l'interesse a trasformare la formula dell'unione da slogan d'emergenza in principio di un nuovo e stabile patto di potere.

    Mercanti e artigiani La crisi del 1506-7 era stata p·rovocata dalla fazione popolare, cresciuta nell'ultimo secolo > e decisa a tradurre nelle istituzioni il maggior peso ch'era venuta acquistando nella società. All'interno del si era consolidata l'antica distinzione tra il corpo dei e quello degli >, il primo costituito dalle maggiori famiglie della fazione i Giustiniani, i Fornari, i Sauli, i Franchi, gli Adorno, ecc. - il secondo formato da quanti - come si esprimeva Oberto Foglietta - >. Come si vede, in stretta analo·gia con quel che accadeva nella contrapposizione nobili-popolari, anche la distinzione all'interno del > tra > e > incappava in difficoltà inerenti alle denominazioni stesse dei gruppi. L'ambigua terminologia usata in proposito dagli scrittori del tempo rispecchia queste difficoltà. Giovanni Salvago, ad esempio, un testimone oculare di 1

    O.

    FOGLIETTA,

    Dell'Istorie di Genova, cit., pp. 606-607.

    Capitolo primo

    IO

    tutti i più importanti rivolgimenti della Genova cinquecentesca, adoperava costantemente l'espressione>, il che getta qualche dubbio sull'estensibilità della dizione 1 > alla fazione detta degli > • >, d'altra parte, era unanimemente inteso come sinonimo di , a sua volta sempre nettamente distinta dal , che, senza altri appellativi, stava esclusivamente ad indicare la parte non nobiliare della classe dirigente. I >, poi, erano quei ricchi popolari che, insofferenti di contaminazioni plebee, si mostravano solleciti, contro eventuali rischi di sovversione, a ricercare compromessi e intese di governo con i nobili: in tale espressione dunque, la connotazione politica sembra generalmente prevalere sulla stes,s.a connotazione sociale, che pure viene immediatamente suggerita, e che, certo, era in rapporto non casuale con quella. Quanto ai , avevano pienamente ragione i nobili di dire che la fazione popolare che così si chiamava non comprendeva né aveva alcun titolo a rappresentare tutti i mercanti di Genova. La cosa valeva a maggior ragione per gli >. I popolari di questo nome, infatti, si annoveravano tra quegli iscritti alle arti che, distinguendosi dagli artigiani veri e propri, uomini >, esercitavano funzioni di controllo e di organizzazione del p·rocesso produttivo in veste di mercanti-imprenditori. Non tutti i mercanti-imprenditori appartenevano però al >: la qualifìca di popolare indicava il posses.so di un privilegio politico - la pos.sibilità di acce·d ere al governo - che non era necessariamente inerente alla p,r o·fessione. Nell'àmbito del , dunque, e erano accomunati, oltre che da un'uguale capacità politica, da una stessa dignità mercantile, anche se, quando si trovavano associati nelle stesse iniziative economiche, i primi figuravano per Io più come prestatori di capitale e i secondi, in una posizione di minor prestigio e di limitata autonomia, come responsabili dell'impresa. Contrapporre ad appariva assurdo, come 1

    G. SALVAGO, Historie di Genova, ms. in A.D.G., scat. 417, n. 1912, reg. I, cc. 7 v, 1 43 r, ecc. Una sistemazione secentesca di tali distinzioni in F. FEDERICI, Scrutinio della nobiltà ligustica in A.S.G., ms. 798.

    La nascita della Genova moderna

    II

    1

    > : eppure gli > avevano una propria peculiare collocazione e proprio nel corso del 1506-7 mostrarono in più occasioni di volersi dare una organizzazione autonoma rispetto a quella dei . Anche l'uso di designare indifferentemente con la parola > plebei e popolari, lavoratori manuali e mercanti-imprenditori, non era una semplice ambiguità terminologica: le magistrature d' estrazione artigiana compars,e a più riprese già nel Quattrocento erano effettivam,e nte magistrature miste di plebei e popolari. Lo stesso ruolo imprenditoriale, del resto, implicava un rapporto con le maestranze artigiane che, sebbene spesso di natura conflittuale, poteva e doveva esprimersi anche in colleganze e solidarietà politiche. Proprio questo rapporto, con le _ambiguità di cui era carico, offre un'importante chiave di lettura dei fatti del 1506-7. Se promotori dell'agitazione popolare erano stati i , furono gli in forza dei loro peculiari legami a diventare - volenti o nolenti - i protagonisti e i tramiti della svolt·a radicale assunta a un certo punto dagli avvenimenti; d'altra parte, la rottura che alla fine intervenne tra popolari e plebei all'interno del fronte artigiano, e che s.egnò la sconfitta del movimento antinobiliare, costituì, per la s,emplilicazione apportata negli schieramenti politici, la lezione più efficace e duratura che la classe dirigente genovese doveva trarre da quella drammatica esperienza: ci vollero s.e ttant' anni perché un'ipotesi di alleanza popolare-plebea tornasse ad animare la vicenda politica genovese.

    Il dogato di Paolo da Navi

    I ,diversi testimoni e cronisti del 1506-7 sono sostanzialmente concoridi nel ricostruire la dinamica degli avvenimenti che condusse al dogato di Paolo da Novi e alla rottura definitiva tra il e la pleb·e. Sin dall'inizio i popolari av~vano più di un dubbio circa 1

    A.S.C.G., ms. 35r, Historia del sttccesso degli anni I506 e I507 trascritta fedel-

    mente da Giulio Pallavicina, c. 23.

    Capitolo primo

    12

    l'opportunità di coinvolgere nella loro azione la plebe erano riusciti a poco e ancor meno riuscirono a fare gli Anziani eletti col nuovo sistema della tripartizion•e in nobili, e >. . Ma gli otto tribuni usciti da un'assemblea di più di duemila artigiani, >, non risultarono quel docile strumento che s'era sperato. Al fallimento dell'operazione si aggiunse l'uscita dalla città delle autorità francesi, che, mentre preannunciava un'i1nminente rappresaglia da parte del re, scopriva definitivamente il gruppo dei>, diventati, nel preoccupato silenzio degli , il bersaglio principale della rabbia plebea. La sconsiderata impresa di Monaco, diretta, in un momento di generale disorganizzazione del governo, a recuperare alla Repubblica una terra per nulla essenziale alla sua difesa, fu un tentativo di diversio,n e esterna promosso ancora una volta - a detta del Salvago - dai >. La spedizione risultò un'inco,n cludente e disordinata scorreria, che servì soltanto ad ,affrettare l'intervento militare francese, già insistentemente sollecitato dai nobili fuorusciti. Di fronte alla minaccia incombente, i > - i > li chiama il Salvago, che da nobile fazioso nutriva per loro un'avversione irriducibile - abbandonarono del tutto il governo facendo eleggere doge il tintore Paolo da Novi e insieme inviarono una delegazione a impetrare da Luigi XII il perdono - per altro non generale - dei capi del >1 • Il dogato di Paolo da Novi, in ap,p arenza un trionfo delle > - e cioè degli artigiani più poveri e vili e dei loro famuli, la cui sola ricchezza, come dice Bartolomeo S-enarega, era rappres.e ntata appunto da una capp·a lisa e dalle scarpe di lana - doveva servire ad introdurre quella repressione sanguinosa che era ormai il solo modo - ma davvero risol11tivo - di sciogliere il nodo di una coalizione popolare-plebea che, nata come espediente tattico in una contesa faziosa relativamente tradizionale, aveva rischiato di travolgere l'intera classe di governo. 1

    G.

    SALVAGO,

    op. cit., c.

    10

    r.

    Capitolo primo

    14

    4. Il successo dell'> Formalmente il primo emergere del disegno unitario realizzato nel '28 risale al governo di Ottaviano Fregoso e specialm,e nte alla sua proposta di studiare una vera e propria riforma costituzionale. Ma forse è già nei provvedimenti e negli istituti elaborati durante e dopo la r,epressione del moto plebeo del 1506-7 - per esempio in direzione di un più stretto controllo politico e poliziesco dei corpi artigiani - che vanno ricercati i precedenti più significativi della formula di governo adottata nel '28. In ogni caso, l'abbandono della plebe alla vendetta di Luigi XII aveva sanzionato nella primavera del 1507 una stupefacente riconciliazione - senza vinti né vincitori - tra nobiltà e popolo, che era la premessa d'ogni ulteriore accordo. > • Altrettanto indubitabile è però che, se avessero chiesto o ottenuto qualcosa di più della semplice restaurazione dello statu quo, i salutari ins,egnamenti che i popolari potevano trarre dal fallimento del loro incauto tentativo di us.are la plebe contro i nobili s.arebbero stati rapidamente dimenticati. E cosf, anche Luigi XII mostrò di credere che la ribellione di Genova ·no11 fosse ven11ta - come scriveva un altro Salvago, Alessandro, anch'egli cronista di quelle vicende - >. ·s .'era trattato soltanto > da una parte, > dall'altra 2 • E i buoni, i ricchi, nobili e popolari, potevano procedere all'eliminazione delle superstiti difficoltà che si opponevano ad un accordo stabile e reciproca.mente sicuro, in un dialogo che l'avvicendarsi dei governi e dei protettori stranieri, Fregoso e Adorno, spagnoli e francesi, avreb·b e rallentato, ma non interrotto. 1

    G. SALVAGO, op. cit., c. 12 r-v. A. SALVAGO, Cronaca di Genova, in XIII, 1873, II, pp. 471 , 477 . 2

    >,

    La nascita della Genova moderna

    I5

    Il disegno di Andrea Daria

    Il rivolgimento operato da Andrea Doria aveva dunque un lontano e vasto retroterra. Lo stesso Andrea Doria, a detta dei cronisti, lo volle sottolineare nella sua prima comparsa in pubblico dopo la conquista della città, quando, richiamando l'antica alleanza della sua famiglia con i Fregoso e specialmente la sua milizia al servizio cli Ottaviano, riconobbe la propria discendenza ideale da quell' >. Andrea Doria tutt·avia non era un secondo Ottaviano. Ottaviano Fregoso aveva inaugurato uno stile di governo fondato più sulla ricerca del consenso che sull'uso arbitrario del potere. Ma la moderazione mediante la quale aveva cercato un'ampia collab,orazione di forze e tentato un superamento delle tradizionali rivalità faziose era più una ~ua virtù morale che una formula politica, poggiava più sul suo prestigio che su un sistema di garanzie form·ali, av·eva insomma tutta la suggestione, ma anche tutti i limiti di un'iniziativa personale. Ottaviano aveva incarnato lo spirito di riforma, e in questo senso sarebbe stato visto dalle generazioni successive come l'annunciatore dei tempi nuovi, ma - abbastanza significativamente - la riforma a cui aveva pensato e che avrebbe dovuto tradurre in istituzioni il suo stile di governo, non uscì mai dallo stadio di progetto. Con Andrea Doria il quadro cambiava completamente. Andrea Doria era compart,ecipe, ma non autore esclusivo e neppure il primo is.p iratore del nuovo indirizzo: la maggioranza della classe dirigente genovese s'era stretta intorno all'ipotesi dell'unione prima ancora che Andrea Doria si candidas.se quale capo del m·ovimento e la riforma costituzionale non era solo un'elargizione o un'estrapolazione di buone intenzioni, ma la condizione pattuita e l'oggetto predeterminato del colpo di stato. L'operazione portata a termine da Andrea Doria nel S•e ttembre del '28 era di fatto iniziata più di un anno prima, quando Cesare Fregoso e lo stesso Doria, cacciati gli Adorno, avevano restituito Genova al dominio francese. Secondo la consueta alternanza delle due famiglie popolari sarebbe toccato a Cesare Fregoso esercitare il governo in nome del Re, ma vi si era opposto Andrea D·oria,

    16

    Capitolo primo

    adducendo l'inimicizia che divideva il Fregoso da Sinibaldo Fieschi, il figlio di Gian Luigi, che era padrone dell'Appennino e senza il cui concorso sarebbe stato difficile garantire la quiete dello Stato . Governatore di Genova era stato pertanto nominato Teodoro Trivulzio, un milanes,e estraneo ai conflitti cittadini. Il ritorno francese aveva così significato l'eliminazione contemporanea dalla scena politica degli Adorno e dei Fregoso, - i >, come venivano chiamati - simboli degli antagonismi faziosi e insieme rappresentanti indiscussi della tradizionale egemonia . L'avvicinamento su questo terreno di due delle maggiori famiglie della vecchia nobiltà, quali i Doria e i Fieschi, era di per sé avvenimento di rilievo. Ma ad esso dava una peculiare rison·anza l'adesione di quanti - nobili e popolari - da tempo s'erano andati convincendo della necessità d'una radicale trasformazione del costume politico e di una co·r rispondente riforma costituzionale. Costoro avevano formato già sotto il governo di Ant,o niotto Adorno un partito influent.e, capace di ricercare in autonomia o in alternativa alla diplomazia del doge, l'appo·ggio di Carlo V. Il nuovo governo francese dovette allinearsi di buona- o di cattiva voglia alle loro posizioni: la promessa della fu l'insegna del nuovo • regune.

    Il distacco dalla Francia Dal settembre del '2 7, mentre l'ipotesi dell'unione era offerta insistentemente all'attenzione dei cittadini più influenti in un succedersi di incontri privati, il magistrato degli Otto di Balia, che opportunamente integrato divenne poi il magistrato dei Dodici Riformatori, prese ad elaborare una nuova costituzione. Era inevitabile però che a lungo andare i progressi di un tale pro,gramma e l'allentamento delle tensioni interne agissero nel senso di indebolire agli occhi dei cittadini le ragioni del legame con la Francia. La presenza di un governatore straniero in Genova era essa stessa un'eredità delle lotte fazios·e, un irritante anacronismo. Come avrebbero proclamato gli autori della riforma, l'unione doveva essere il saldo presidio della libertà genovese. In passato il

    ~nd rea Doria arringa i nobili in piazza S . Matteo. )ucale di Genova (inizio del secolo XVII).

    4

    Affresco staccato di Lazzaro Tavarone ora nel Palazz



    1,

    "' .

    ..

    ,

    fi :

    .

    ..

    ,..



    . " ' "'

    \i'

    ,.

    \

    .

    ••

    ~-

    'f

    r:~" ...~." ;

    ~ •



    "" "\



    ~ ~

    \

    "

    ..

    •·



    ..

    ... I

    • •



    I

    -

    iciso dell'edizione originale postuma a cura di Lorenzo Lomellini Sorba dei Castigatissimi annali iustiniani (Antonio Bellono, Genova 1537).

    La nascita della Genova moderna

    17

    straniero non era mai parso contrastare formalmente con la libertà di Genova, ma ora l'appello alla libertà suonava rivendicazione di sovranità piena, con un'implicita opzione di neutralità. L'esclusione di ogni troppo vincolante coinvolgimento con la politica di questa o quella potenza era una condizione importante per la riunione di una classe dirigente cosmopolitica come quella genovese. Così, se l'unione poteva esser presentata come presidio della libertà, la libertà, intesa come neutralità e indipendenza, appariva un requisito dell'unione. Libertà del resto significava anche adesione ad un modello repubblicano di governo, gestione collegiale del potere, rotazione delle cariche, controllo sull'operato dei magistrati, e in tutti questi significati scarso conforto poteva venire alla riforma dal di un monarca esigente come Francesco I. In effetti da parte francese vi fu tra il marzo e l'aprile del '2 8 un'azione dilazionatrice e frenante che non riuscì tuttavia ad impedire la pubblicazione da parte d•ei Riformatori di q11el progetto di · ri11nione della classe dirigente in ventotto alberghi - la nobiltà nel nuovo senso - che doveva restare a fondamento della riforma. Tra genovesi e francesi cominciò a que·sto punto un gioco di doppiezze e dissimulazioni, nel quale alle ripetute dichiarazioni di reciproca fede, faceva riscontro un effettivo processo di sganciamento. Lo scoppio della peste rallentò, ma non interruppe, il lavorio dei genovesi, sia disperdendo i cittadini nelle ville fuori città, sia colpendo alcuni degli stessi Riformatori. Alle spalle del Trivulzio - al quale, ebbe a scrivere Giovanni Salvago, > - continuò il doppio gioco sino alla vigilia del colpo di mano di Andrea Doria: per i partigiani dell'unione era essenziale che il trapasso al nuovo regime riuscisse incruento e che ai francesi fosse impossibile predisporre contromisure abbas,tanza efficaci da coagulare le molte esitazioni e le molte paure ancora esistenti nell'animo dei cittadini. Nel settembre del '28, Andrea Doria, raggiunto un accordo con l'imperatore che garantiva, oltre il ruolo sui generis dello stesso Andrea Doria, la prote'Zione spagnola come alternativa al dominio 1

    G.

    SALVAGO,

    2. COSTANTINI. I

    op. cit., c. 33 r.

    Capitolo primo

    18

    francese, portava a ter1nine l'>: comparso il 9 di quel mese di fronte alla città con le sue galee, il I 2 vi sbarcava e se ne impadroniva. La città era semideserta; anzi, ricordava Giovanni Salvago, non si poteva dire città, ma >. Quando Andrea Doria giunse a Palazzo per convocare i cittadini nella sala grande del Ll>nsiglio, • La reazione francese fu solo apparente: il Saint Poi dopo una rapida azione dimostrativa si ritirò e il presidio di Savona abbandonò senza resistere la città che, con le sue pretese di autonomia, sostenute dal governo francese, era stata causa non ultima dei dissapori tra questo e i genovesi. L' r I ottobre i Dodici Riformatori potevano presentare il testo della riforma. 1 2

    G. G.

    SALVAGO, SALVAGO,

    op. cit., c. op. cit., c.

    v. 41 v. 40

    CAPITOLO

    II.

    L'assetto del potere

    1. Unione e libertà ..

    Unione e libertà: la realtà dell'operazione compiuta nel '28 fu più modesta di quanto non vorrebbero i significati dei due termini che di solito la definiscono. La fine del governo francese significò il passaggio di Genova in campo spagnolo con capacità d'autonomia decisamente limitate, mentre la vocazione repubblicana del nuovo regime ebbe non pochi correttivi nell'egemonia signorile di Andrea Doria. È vero tuttavia che, mentre il passaggio alla Spagna realizzava un allineamento internazionale, già sperimentato tra il '22 e il '2 7, più confacente di quello francese alla realtà eco·nomica e sociale di Genova, specialmente in relazione alle vicende ed alla struttura della genovese, ·l'egemonia doriana portava al disegno dell'unione il conforto delle armi e il contributo di un' autorevole mediazione personale, sulla cui imparzialità era forse giustificato avere dei dubbi, ma a cui era in ogni caso impossibile sottrarsi. Complessivamente il protettorato spagnolo e la dire'Zione del Doria conferivano al progetto di unificazione della classe dirigente genovese prospettive di successo e forza di persuasione quali non avevano avuto analoghi progetti in passato. Nel suo significato più ovvio l'unione implicava lo scioglimento delle fazioni e l'istituzione di un unico ordine, la nobiltà nella nuova accezione, comprendente tutte le famiglie che avevano tradizioni di governo anteriori alla rivolta del r506-7. In questo nuovo ass·e tto i >, che da quasi due secoli erano esclusi dalla carica dogale, recuperavano una piena capacità politica, mentre i

    20

    Capitolo secondo

    erano formalmente equiparati in termini di prestigio ai loro tradizionali antagonisti. L'operazione non era però cosl semplice. In Genova le vecchie fazloni avevano rappresentato assieme ai gruppi familiari le essenziali strutture aggregative della classe dirigente e nel loro àmbito era prevalsa una nozione eminentemente quantitativa del prestigio sociale e degli equilibri politici, sia nel senso che il numero era di per sé fattore di potenza, sia nel senso che la partecipazione al potere era regolata secondo rapporti numerici prestabiliti e sostanzialmente inalterabili: anche la crisi del 1506-7 era stata occasionata dall'incauto tentativo di mutare tali rapporti. La riforma del '2 8 recepì questa tradizione con una sola variante di rilievo: il tentativo di sos.t ituire quali canali di accesso al governo nuovi istituti, gli >, alle vecchie fazioni, ufficialmente bandite. Almeno nel nome gli alberghi non erano una novità in Genova: si trattava di alleanze familiari, frequenti soprattutto nella fazione dei >, ma presenti anche in quella dei >. Spesso giustificate dal declino numerico dei ceppi originari che in esse confluivano, tali alleanze si co11nettevano ai meccanismi di mobilitazione di uomini e risorse ai fini di particolari iniziative nel campo del commercio, della navigazione, della gu,erra, delle colonie, della banca. Le famiglie di un albergo assumevano un unico nome e si riconoscevano in un insieme di simboli e di cerimonie comuni, ma soprattutto di funzioni e relazioni che andavano dalla contiguità delle abitazioni, allo scambio matrimoniale, alla mutua assistenza, all'organizz.azione economica, politica, militare. Gli alb·erghi istituiti nel '28 furono tutt'altra cosa: costruiti intorno alle famiglie più numerose, quell,e che avevano almeno sei case aperte in Genova, delle quali ventitrè erano> e cinque>, raggruppavano _per via d'imperio e senza distinzione di parte i restanti membri della nobiltà. Tutti gli aggregati a un albergo assumevano il nome della famiglia più num·erosa, senza però acquistare i diritti dei membri originari di questa (per esempio senza partecipare all'amministrazione dei fondi comuni) e senza entrare in altro modo in relazione con loro. Caduto il principio dell'associazione volontaria, in assenza di un legame qualsiasi s~l terreno dei valori e degli

    L'assetto del potere

    21

    interessi familiari, la comunione del solo nome era assai povero surrogato del cemento che aveva in passato consentito la formazio-ne e il consolidamento degli alberghi. Gli alberghi del '2 8 erano insomma una costruzione artificiale, debole anche come indicazione per il futuro, giacché nel suo carattere inutilmente c.oercitivo non avviava alcun processo realmente irreversibile verso quella fusione di forze nobiliari che era negli intenti dei riformatori. Ma la riforma del '2 8 non va letta soltanto nelle norme scritte. Se la costituzione non poteva ammettere le fazioni senza pregiudicare il principio stesso dell'unione, i costituenti genovesi erano perfettamente consapevoli dell'impossibilità di cancellarle con un tratto di penna e della necessità di regolarne in qualche modo, e per una lunga fase di transizione, gli equilibri e i modi della partecipazione al governo. Tale compito fu affidato a nonne d'uso, non meno vincolanti di quelle scritte, tutte fond·a te sui tradizionali criteri di pariteticità o di alternanza, applicati non solo alle grandi partizioni di > e >, ma anche, all'interno di quelle, ai diversi gruppi e sottogruppi minori. Era una prassi solo apparentemente contraddittoria con la costituzione: nello s.p irito dell'unione essa offriva un' es.senziale garanzia di gradualità, era un modo di guada-gnar tempo in attesa che la fusione delle varie forze nobiliari si realizzasse nell'unica forma convincente e prevedibile, come unione di famiglie e di fortune, di culture e di tradizioni in un intreccio fitto di matrimoni e di alleanz.e private. Fu semmai proprio questa previsione, per quanto ragionevole potesse apparire, che i decenni successivi mandarono delusa: > e > con le nuove denominazioni di > e > (ed anche, rispettivamente > e >) perdurarono non tanto come fazioni, quanto come ordini diversi, compartecipi del governo, ma reciprocamente estranei sul terreno delle relazioni s,ociali. Prima del '2 8 i nobili che poi furono detti Vecchi contraevano matrimoni quasi esclusivamente all'interno del gruppo; un seçolo dopo l'unione, l'endogamia superava ancora tra loro il 70 % . Una resistenza all'assimilazione, dunque, molto superiore al previsto: la trans.izione avrebbe richiesto tempi assai più lunghi di quanto non fosse lecito immaginare nel '28.

    22

    Capitolo secondo

    2. Il quadro istituzionale

    Tra i criteri che ispirarono la ~iforma del '28 i più generali erano quelli della temporaneità e rotazione delle cariche e della collegialità di ogni atto di governo. Coerentemente a questi principi il Doge da perpetuo divenne biennale e presiedeva il collegio dei Governatori,> della Repubblica correntemente chiamato Senato, di otto membri, anch'essi di durata biennale. Al Senato, che derivava dall'antico collegio degli Anziani, si affiancava il collegio dei Procuratori, o Camera, anch' esso di otto membri, che aveva specifiche competenze finanziarie, una vasta giurisdizione penale e generiche funzioni consultive su tutte le matei:ie di governo oggetto dell'attività del Senato. Doge, Governatori e Procuratori costituivano ciò che comunemente si chiamava la Signoria, ossia il vertice dello Stato genovese. All'interno della Signoria c'era una precisa gerarchia. Al Doge spettava il primo posto, mentre rispetto alla Camera, al Senato era riconosciuta una netta preminenza. Il Doge, però, senza il concorso del Senato non aveva formalmente alcun potere e tra i senatori era semplicemente primus inter pares; con l'andare del tempo, poi, anche il dislivello tra Camera e Senato tese a scomparire e i poteri in origine puramente consultivi dei Procuratori finirono col diventare pienamente deliberativi. In ogni caso, la Signoria operava normal• mente come un corpo uruco. Sarebbe erràto attribuire alla Signoria poteri esclusivamente o prevalentemente esecutivi: accanto a questi, aveva larghissime facoltà legislative, presiedeva o interveniva nell'amministrazione della giustizia criminale (quella civile era affidata ad un'apposita Rota) e in genere le si attribuivano tutte le prerogative del Principe, come espressione suprema della volontà dello stato. In verità il termine > spettava soltanto alle delibere approvate dai consigli, maggiore e minore, mentre quelle dei Collegi erano dette : tra le une e le altre però non c'era alcuna concreta differenza. I Collegi, inoltre, avevano l'iniziativa legislativa, e persino la facoltà

    L'assetto del potere

    di riformare o integrare le leggi costituzionali del '28 era a loro espressamente affidata. I Consigli erano organi rappresentativi del corpo nobiliare, formale depositario della sovranità. A livello dei Consigli il principio rappresentativo si attuava col me·ccanismo del sorteggio, mentre nelle magistrature superiori e negli uffici esecutivi prevaleva quello dell'elezione . .I quattrocento membri del Maggior Consiglio venivano estratti a sorte tra tutti gli aventi diritto, ossia tra tutti gli ascritti nel Libro della Nobiltà, e, analogamente, i cento membri del Minor Consiglio erano estratti tra i quattrocento del Maggiore. Ai Consigli, oltre l'approvazione delle leggi, spettava l'elezione di magistrati e ufficiali, secondo procedure che diventavano particolarmente complicate quando si trattava del Doge. L'ammissione alle magistrature era soggetta a norme di rotazione e di compatibilità, tra le quali la più importante, almeno per i problemi ch'ebbe a creare, era quella che escludeva la presenza in una ste·ssa magistratura di due membri dello ste~so grup:p o familiare. Nella riforma del '28 l'equilibrio tra i vari organi dello Stato, assai più che su un'astratta distinzione ili. poteri, si fondava sulla delimitazione delle attribuzioni in ordine alle materie di governo, sull'obbligo di delibere congiunte per una serie di questioni considerate di maggiore e più generale interesse (era qui in particolare che i Consigli potevano influire sulla co,n dotta di governo), sul controllo • reciproco. Il principio del controllo era un altro pilastro del sistema. Esso si concretava tra l'altro in una antica istituzione, il magistrato dei Supremi Sindicatori, la cui giurisdizione si ·estendeva su tutti gli atti di governo in ordine alla loro conformità alle leggi, e al cui giudizio erano sottoposti tutti i magistrati, Doge incluso, al termine dei rispettivi mandati. La preoccupazione di assicurare l'equilibrio degli organi di potere mediante uno schema circolare di controlli e di condizionamenti reciproci aveva però importanti eccezioni. Proprio il magistrato dei Supremi, con la sua struttura ristretta a cinque membri e il suo rigido verticalismo, sottolineato dall'inappellabilità delle sentenze emesse a carico dei cittadini usciti di magistrato, ne era un esem-

    Capitolo secondo

    pio: il potere deterrente del sindicato assicurava ai Supremi una consistente influenza politica sulle magistrature in carica, che aveva poco a che fare con le questioni di legittimità che formalmente delimitavano l'àmbito dei suoi interventi. Non a caso, Andrea Daria, tra i molti incarichi possibili, aveva scelto di essere nominato a vita priore dei Supremi Sindicatori. Quello dei· Supremi non era il solo potere eminente. Il Doge, per esempio, era formalmente nel Senato primus inter pares, ma la sua era ben altro che un'autorità . La legge, o la prassi, gli concedeva gli strumenti (spesso fatti di piccoli poteri discrezionali, come quello di accordare udienze o quello, più rilevante, di stabilire non solo l'ordine, ma gli oggetti stessi dei lavori del Senato) sufficienti, se non per far prevalere le proprie scelte, a~eno per bloccare quelle altrui. Al di là poi delle prerogative inerenti alla carica, l'autorità del Doge si fondava sulla norma che, allo scadere del mandato, lo destinava in perpetuo (sia pure subordinatamente all'approvazione dei Supremi) al collegio dei Procuratori. Il dogato, insomma, era diventato una magistratura temporan•ea, ma chi vi arrivava restava permai:ientemente . nell'àmbito del governo. Questa prospettiva dava indubbiamente agli orientamenti e alle scelte del Doge una persuasività difficilmente contestabile da parte almeno dei membri pro tempore dei Collegi. L'istituto dei Procuratori Perpet11i, la sola eccezione alla norma della temporaneità delle cariche (la nomina di Andrea Doria a Priore Perpetuo dei Supremi Sindicatori deve esser considerata una disposizione transitoria per 1·a fase di attuazione della nuova costituzione), cercava probabilmente di rispondere al bisogno di garantire continuità e coerenza all'azione di governo, compensando gli inconvenienti di una troppo rapida rotazione delle cariche; per un altro verso era semplicemente u~ residuo della tradizione del dogato perpetuo. In ogni cas,o nelle mani dei quattro Procuratori Perpetui che in media si annoveravano finì per concentrarsi gran parte dell'autorità dei Collegi. Come doveva scrivere Gioffredo Lomellini, non basta che > • La costituzione del '28 aveva delineato un regime largamente partecipativo. Tra l'altro la classe di governo restava aperta a nuove accessioni: era infatti _prevista l'ascrizione annuale al Libro della Nobiltà di dieci elementi, sette della ·c ittà e tre delle Riviere. Lo spirito garantista - rotazione delle cariche, incompatibilità di vario genere, controlli reciproci e costanti, precise delimitazioni di competenze, complicati meccanismi di elezione e sorteggio - pe·rmeava tutto il corpo dello S-tato. Ma c'erano delle eccezioni e gli equilibri politici finirono per organizzarsi in due circuiti, dei quali il più alto e il più ristretto (il Doge, i tre o quattro Procuratori Perpetui, i cinque Supremi Sindicatori) amministrava, sia pure in modi non appariscenti, la fetta più grossa e più importante del potere.

    3. Uno Stato nello Stato?

    Lo Stato a Genova non era tutto. Accanto alle strutture amministrative e politich•e della Repubblica c'era la casa di San Giorgio, investita di una funzione finanziaria vitale - amminis.trava in pratica tutte le ris,orse :fiscali genovesi - e dotata di una larghissima autonomia giurisdizionale. 1

    B.U.G., ms. B.I. 7, Relazione della Republica di Genova di mons. Lomellino chierico

    di Camera della S. Sede Apostolica fatta l'anno IJ75, c. 28 v.

    Capitolo secondo

    San Giorgio

    La casa di San Giorgio era sorta e cresciuta durante la più profonda crisi degli ordinamenti cittadini per tutelare gli interessi dei creditori del Comune, consorziatisi senza distinzione di ordini e sulla base di una pacifica spartizione del potere tra le fazioni dei nobili, dei mercanti e degli artigiani. Lo Stato non solo aveva affidato alla Casa l'amministrazione del debito pubblico e delle gabelle ipotecate ai creditori, ma aveva solennemente rinunciato ad ogni ingerenza e controllo in materia. Più tardi le aveva ceduto l'amministrazione delle colonie orientali, che restarono sotto San Giorgio finché non caddero in mano dei turchi, quella della Corsica, quella, infine, di alcune terre e borghi sia del ponente (Ventimiglia e la valle Arroscia, sia del levante ligure (Levanto), sia della Lunigiana (Sarzana e luoghi vicini). Nel 1562 San Giorgio avrebbe retrocesso alla Repubblica l'amministrazione della Corsica (già invasa dai francesi e minacciata dai turchi ed ora percorsa dal v·e nto della rivolta di Sampiero) e dei possedimenti di terraferma. Gli acquisti dei genovesi, insomma, che erano stati privatizzati e messi al riparo dai rivolgimenti politici cittadini, sarebbero stati restituiti al pubblico in occasione di una grav·e crisi di gestione, come quella messa in evidenza, appunto, dalla rivolta corsa. Quale era la collocazione della casa di San Giorgio nello Stato genovese? Proprio nella vicenda della Corsica la casa di San Giorgio, pur manten·e ndo una posizione particolare tra le istituzioni genovesi, dotata com'era, tra l'altro, di autorità criminale sui reati commessi a suo danno, doveva precisare il proprio ruolo di polm~ ne finanziario della Repubblica. Un osservatore straniero poteva scrivere sbrigativamente nei primi anni Ottanta del Cinquecento che > • Era raro che per San Giorgio venissero trovati paralleli, perché 1

    Note sullo stato presente della Cristianità, in F. BACONE, Scritti politici, giuridici e storici, a c. di E. DE MAs, Utet, Torino 1971, p. 124. Lo scritto, steso forse nel 1582 e conservato tra le carte di Anthony Bacon prima, e del fratello Francis poi, è di autore • sconosciuto.

    '



    L'assetto del potere

    27

    generalmente si preferiva sottolinearne, in un modo o nell'altro, la singolarità. Di questo tenore era stato il giudizio di Machiavelli che aveva probabilmente rip,reso osservazioni correnti - quando aveva scritto che era >. Uno Stato nello Stato, dunque, ma uno Stato buono nel cattivo, una tradizione amministrativa sana contrapposta a una prassi politica corrotta. era una realtà operante dalla sua creazione, ed anche da prima, se si bada all'amministrazione del debito pubblico nelle compere anteriori a San Giorgio. Dal nuovo regime venne alla Cas.a soltanto un nuovo e solenne riconoscimento del suo ruolo e delle sue prerogative. Nel 1407 il d·e bito pubblico unificato dal Boucicault ammontava a circa tre milioni di lire. Formalmente si trattava di un debito redimibile e al suo graduale e automatico riassorbimento erano diretti > e >, gli uni formati essenzialmente da lasciti di privati cittadini, le altre costituite dall'accantonamento di una porzione dei gettiti alienati a San Giorgio. Ma estinguere il debito pubblico avrebbe significato estinguere la stessa casa di San Giorgio, rinunciare alle varie forme di protezione ch'essa assicurava ai capitali genovesi, rifondare il sistema fiscale genovese poggiandolo, secondo le ricorrenti richieste dei gruppi plebei, sulle imposte dirette, anziché su quelle indirette. Estinguere il debito pubblico avrebbe significato insomma ribaltare l'assetto di potere ormai consolidatosi. 1

    N.

    p. 562.

    MACHIAVELLI,

    !storie fiorentine, 8,

    29,

    a c. di F. Gaeta, Feltrinelli, Milano

    1962,

    Capitolo secondo

    Le cose si muovevano in tutt'altra direzione. Nei momenti di bisogno la Repubblica tornava a ricorrere alla Casa, accendendo nuovi debiti dietro cessione di nuove gabelle ed emissione di un conispondente numero di luoghi. In un secolo il debito pubblico crebbe di più di sei volte; negli anni Trenta del Cinquecento raggiunse i 40 milioni di lire e nel decennio successivo si stabilizzò tra i quaranta e i cinquanta milioni. Nel dicembre del 1539 una nuova operazione di consolidamento confermò ed estese i privilegi di San Giorgio, che la Signoria avrebbe richiamato ogni anno, assicurandone, con solenne giuramento, il rispetto. La rinuncia a provvedimenti di politica economica o fiscale comunque lesivi degli interessi e dei diritti della Casa sanciva l'abbandono di tale materia ali' autonoma determinazione di San Giorgio o, meglio dire, ne faceva oggetto di una obbligatoria trattativa tra il governo e i Protettori, dove però erano questi ultimi che avevano in mano tutti gli strumenti conoscitivi ed operativi atti a condurre in porto la trattativa. Ma si trattava davvero di due corpi distinti?

    per

    Un corpo solo

    Nel contrapporre San Giorgio alla Repubblica, Machiavelli aveva presente la Genova precedente alla riforma, cronicamente instabile nelle sue istituzioni politiche, dalle quali, appunto, risultavano scorporate a beneficio di San Giorgio intere parti del dominio. Col tempo quella contrapposizione si sarebbe consolidata in luogo comune: la riprese Oberto Foglietta e ancora alla fine del Cinquecento Gioffredo Lomellini la dava per ovvia, notando di passaggio che 1 San Giorgio cos.t ituiva svelava attraverso le considerazioni dei > la lo1

    Discorso di Mons. Lomellina I593; seguo il testo riportato in A.S.G., ms. 859, Dialoghi sopra la Rep.ca di Genova, suo governo, origine tanto delle famiglie vecchie come nove et altri particolari, cc. non numerate (in seguito: Discorso Lomellina).

    L'assetto del potere

    gica che aveva sovrinteso alla riforma del '2 8: >. 1

    Capitolo secondo

    tutta evidenza un problema centrale per la stabilità del nuovo regime. Il ricordo del r506-7, un punto di riferimento obbligato per i riformatori del '2 8, poneva in risalto soprattutto gli aspetti del problema attinenti all'ordine pubblico, e cioè alla prev~ione ed alla repressione del malcontento dei lavoratori manuali. Ma in gioco c'erano impor~anti interessi economici, con rifles.si anche in politica estera, che investivano gli stessi equilibri interni alla classe di governo, particolarmente per quel che riguardava la collocazione e il peso nella nuova nobiltà dei gruppi imprenditoriali, in larga misura coincidenti con la vecchia fazione po·p olare degli>.

    Lana e seta La moderna fisionomia manifatturiera di Genova s'era venuta delineando nel corso del Quattrocento, specialmente in relazione al sorgere dell'industria serica, rapidamente assurta a una posizione di assoluta preminenza tra le attività produttive della città. Tanto per dare un ordine di grandezza basterà ricordare che intorno alla metà del Cinquecento gli addetti all'inµustria della seta - per quel che può valere tale nozione in questa età - sarebbero ammontati a circa trentamila persone. Contemporaneamente all' afiermarsi di questa industria, c'era stato un sos~anziale ridimensionamento di quella più tradizionale della lana, che si era tuttavia assestata, in una posizione di tutto rispetto, al seconqo posto in ordine di importanza. Complessivame·n te l'industria della lana e quella della seta rappresentavano la parte di gran lunga prevalente nelle attività manifatturiere genovesi in ordine sia all'occupazione, sia ai capitali investiti, sia, infine, al valore della produzione e delle esportazioni. Quel che più importa, però, è che n~lla loro diversa storia - e prop rio in forza di tale diversità - è possibile co,gliere il senso dell'evoluzione complessiva dei ceti artigiani in Genova, del modificarsi dei loro reciproci rapporti di forza, della trasformazion,e delle norme e degli istituti che presiedevano l'organizzazione corporativa. L'industria della seta, s'è detto, era un'industria nuova. Ufficialmente era nata nel I 4 3 2, col riconoscimento dell' > • Nonostante le lotte intraprese, il più consistente gruppo artigiano genovese - i tessitori di seta, appunto - aveva ben poco del,l a tradizionale fisionomia dell'artigianato indipendente. Naturalmen-t e 1

    A.S.G., Arti, Sala 50, f. 161 (1501).

    1

    L'assetto del potere

    33

    c'erano delle eccezioni: individualmente non era impossibile sfuggire alla soggezione nei confronti dei mercanti-imprenditori, arricchirsi, salire nella scala sociale e ciò era diventato più facile con la liberalizzazione ottenuta sul finire del Quattrocento. Ma la condizione generale del tessitore era segnata dalla dipendenza, dalla povertà, dalla precoce espulsione dal processo produttivo (> 1). Anche le concessioni ottenute negli ultimi anni del dominio sforzesco furono revocate con l'avvento della signoria francese. In altri corpi di mestiere - i tintori, ad esempio - l'autonomia produttiva aveva più solide radici ed era meglio difendibile. Nell'arte della lana l'autonomia dei mestieri fu formalmente rispettata sino alla riforma del '28. L'offensiva degli imprenditori aveva dovuto seguire qui un itinerario meno rettilineo: i lanieri tesero ad assicurarsi un più largo controllo del processo produttivo assumendo in proprio l'esecuzione di alcune operazioni - accimatura, scuratura, tintura - e iscrivendosi, se necessario, alle arti minori cui quelle operazioni attinevano. Naturalmente il passaggio inverso, ossia l'iscrizione dell'artigiano nell'arte dei lanieri, era molto più difficile.

    L'attacco alle autonomie artigiane Nonostante le differenze riscontrabili tra settore e settore, la disgregazione delle autonomie artigiane a favore dei mercanti-imprenditori era· una tendenza generale in tutte le arti. Una sola vicenda merita di essere ricordata ancora per sottolineare l'immediata ed esplicita valenza politica che spesso as&uineva l'azione dei gruppi imprenditoriali: quella dei Conservatori delle navi, una sorta di magistratura creata nel 1490 ad istanza di alcuni grandi armatori genovesi e formata da loro stessi. I Conservatori delle navi avevano vasti poteri di controllo e di organizzazione su tutte le arti e le attività del settore marittimo - dal taglio dei boschi, alle costruzioni, alle fonùture navali, ai servizi portuali -- e assomma1

    A.S.G., Arti, Sala 50, f. 161 (1501) cit.

    3. CosTANTINI.

    Capitolo secondo

    34

    vano le competenze di un ufficio amministrativo e di una magistratura corporativa, senza per altro averne, almeno all'inizio, la veste ufficiale. La sottomissione delle arti dei maestri d'ascia, dei calafati, dei bottai, dei ferrai, ecc. e il contemporaneo svuotamento degli organi statali preposti al settore sono un'espressione tipica - se non altro per l'a.mpiezza dell'operazione - della volontà politica, rafforzata dalla crisi degli affari, dall'aumento dei prezzi, dallo scadimento dei servizi, di fare dell'imprenditore il protagonista e il responsabile unico della vicenda produttiva. La pressione esercitata dai gruppi mercantili e imprenditoriali sui corpi di mestiere finiva naturalmente per essere scaricata almeno in parte sui lavoratori dipendenti e per indurre nei maestri atteggiamenti di più attenta e rigida difesa dei privilegi corporativi. Nell'arte della seta, ad esempio, tessitori, tintori, filatori emanarono nella seconda metà del Quattrocento una serie di norn1e volte a chiudere l'arte agli stranieri, ad allungare ~ periodo di apprendistato dei famuli, a ridurre il numero dei famuli per maestro, in definitiva a eliminare i fenomeni di concorrenza. L'arte della seta era un'arte nuova anche nel senso che al suo sviluppo aveva largamente contribuito l'immigrazione di artigiani stranieri, specialmente toscani: si è calcolato che negli anni Trenta del Quattrocento almeno il 40 % dei tessitori di seta provenisse da fuori stato; quaranta anni più tardi la > della maestranza era invece completa. A Venezia il periodo di apprendistato nei tessitori di seta era di quattro anni; a Genova, sempre negli anni Trenta, era di cinque, ma negli anni Settanta e Ottanta era salito a sette, cui si aggiungevano altri due anni nei quali l'ex-famulo era obbligato a servire in qualità di lavorante presso un maestro. La rivalsa dei maestri sui lavoratori dipendenti non si fermava qui. Nel r467, ad esempio, i tessitori di seta ottennero dai Reggenti dell'arte di ridurre le retribuzioni dei lavoranti, giacché a loro volta erano costretti a >. Anche le norme riguardanti i segni di prestigio all'interno delle atti divennero più restrittive in quegli anni, a 1

    A.S.G., Arti, Sala 50, f. 161,

    20

    aprile 1467.

    L'assetto del potere

    riprova di un esasperarsi delle divisioni e dei contrasti: ai famuli, ad esempio, si vietò di indossare vesti o copricapi ricchi o appariscenti, essendo l'ostentazione del lusso un privilegio riservato ai figli dei maestri. È questa plebe artigiana divisa, esasperata, succuba degli imprenditori ma violentemente attaccata ad una immagine tradizionale di indipendenza, che fu protagonista della ribellione del I 5 06-7. La repressione ne disperse le residue capacità di resistenza e promosse un ulteriore incremento dell'autorità imprenditoriale: quei> che avevano dato il via alla rivolta, furono i maggiori beneficiari della sua sconfitta. Anche in questo campo la riforma del '28 si pose come perfezionamento e sanzione di un processo di concentrazione del potere avviato molto tempo prima. I Dodici Riformatori intervennero con diversi provvedimenti nella vita delle arti. In quella della seta abolirono per la prima volta totalmente la possibilità di lavoro autonomo dei tessitori, accogliendo una vecchia rivendicazione dei seateri; la misura fu poi attenuata nel r534, quando si ritornò nella sostanza alla regolamentazione del 1432, ma il fatto è ugualmente significativo. Uno dei problemi che più stavano a cuore ai seateri era la repressione dei furti e delle frodi che costituivano forse la princip.ale forma di autodifesa di tessitori, :filatori e incannatrici. Le pene contro i respons.abili dei furti erano state costantemente aggravate, specialmente dopo il r507: nel r516 Ottaviano Fregoso aveva firmato una convenzione con la Repubblica di Lucca per l'estradizione dei lavoratori accusati di furto e fuggiti dalla patria, che si rivelò assai efficace; nel I 5 2 7 l'arte d·ei s.eateri aveva ottenuto un proprio carcer mulierum specialmente destinato alle incannatrici. I Riformatori vollero spingersi sino a stabilire la pena di morte per gli autori di furti superiori alle quindici lire. 1,'intervento del nuovo regime non si arrestava però ali' arte della seta, né riguardava soltanto questioni normative. Nel 1530, ad esempio, in una situazione che vedeva i salari bloccati ai livelli di un secolo avanti, il Senato autorizzò una riduzione di un terzo sulle retribuzioni di calafati, maestri d'ascia e rispettivi famuli. 1

    Capitolo secondo

    Ma il provvedimento più importante e significativo di questi anni fu la riforma, nel I 5 3 I, dell'arte della lana. L'arte della lana s'era distinta sino ad allora per la relativa autonomia conservata dai corpi di mestiere. Con la riforma del '3 I tutte le comp·etenze dei consoli delle diverse arti, dei tessitori, dei tintori, dei battilana, venivano accentrate, sull'esempio dell'arte serica, in un unico magistrato. Alla suprema carica di Reggenti dell'arte erano posti >1 : interesse imp·renditoriale e necessità di un controllo politico dei ceti artigiani si associavano qui in una stessa logica di potere. Ma tutto l'apparato legislativo creato in materia di arti negli anni della riforma si ispirava alla stessa formula. M. CAPRINI, Ricerche sull'organizzazione corporativa nel settore laniero a Genova nel XVI secolo, tesi di laurea, Università di Genova, a.a.· 1967.68. 1

    CAPITOLO

    III.

    La prima crisi del nuovo regime

    1. Il binomio Andrea Doria-Sinibaldo Fieschi

    Le leggi del '2 8 definivano il quadro istituzionale dello Stato sorto dall'unione e insieme, sia pure tra debolezze, incoerenze e infelici escogitazioni, come quella degli alberghi, ne fissavano alcune direttrici di sviluppo tendenti da un lato a promuovere la progressiva fusione delle famiglie nobili, vecchie e nuove, in un solo corpo sociale, e dall'altro a garantire ai magistrati supremi della Repubblica una salda autorità sull'intero organismo statale. Si può dire che emergeva già dalle leggi di riforma un indirizzo di tipo oligarchico o, se si vuole, un'ipotesi semplifìcatrice, volta a sostituire alle vecchie aggregazioni di tipo verticale, alle vecchie fazioni, una stratificazione di grandi nobili, effettivi detentori del potere, e di nobili minori, costituenti il retroterra sociale e politico dei primi operante in virtù di già collaudati meccanismi clientelari e destinato ad allargarsi con la pratica delle ascrizioni annuali. Era un'ipotesi tutt'altro che irrealistica, ma la sua attuazione si sarebbe verificata, e in condizioni in gran parte mutate, solo in un periodo successivo. Nel '28 e pe'r qualche decennio ancora, era necessario trovare una soddisfacente mediazione tra le anticipazioni costituzionali e la realtà fondamentalmente conservatrice della classe dirigente genovese. Questa mediazione fu in sostanza affidata a una prassi non scritta o alle norme transitorie e di attuazione della costituzione, che erano di competenza dei r2 Riformatori, i continuatori di quel Magistrato di Balia che nel '2 7 aveva avviato il processo dell'unione.

    Capitolo terzo

    Un esempio di questa tradizionalistica realtà genovese è dato dal permanere della distinzione tra Vecchi e Nuovi: ad essi il compromesso politico del '28 garantì una partecipazione paritetica al governo emblematicamente espressa dall'alternarsi .di esponenti dei due gruppi al dogato. Ma altre, meno evidenti, ma non meno reali tensioni attraversavano gli stessi gruppi dei Vecchi e dei Nuovi e attendevano dai Riforma·t ori analoghe soluzioni. All'interno dei Vecchi, per esempio, le quattro famiglie dei Doria, dei Fieschi, degli Spinola e dei Grimaldi esigevano un ruolo distinto e preminente 1 sugli altri, talora chiamati > • Analogamente, all'interno dei Nuovi, i e tutore universalmente riconosciuto dell'indipendenza di Genova, sedeva in Senato subito dopo il decano ed era priore a vita del magistrato dei Supremi Sindicatori; Sinibaldo Fieschi sedeva anch'egli in Senato, seppure in posizione meno elevata, e partecipava anch'egli con mandato perpetuo al magistrato dei Supremi. La morte di Sinibaldo, avvenuta appena quattro anni dopo la riforma, non permise di verificare fino in fondo l'efficienza di questa formula binomiale di garanzia, lasciando che l'egemonia doriana si evolvesse, senza alternative e senza correttivi, in un potere quasi principesco. La morte di Sinibaldo non significò del resto soltanto la scomparsa di un personaggio di grande rilievo, capace di equilibrare il prestigio di Andrea Daria, ma preannunciò lo sfaldamento del suo vecchio stato appenninico e in generale la progressiva emarginazione del gioco politico genovese delle forze espresse dalla montagna feudale. Al posto di queste, sarebbero cresciute di peso quelle della finanza, per ora rappresentate da Adamo Centurione, destinato a diventare il braccio destro di Andrea Daria e a succedere a Sinibaldo Fieschi come secondo uomo della Repubblica. Quel che si racconta del matrimonio di Ginetta, figlia di Adamo, promessa sposa a Gian Luigi Fieschi, figlio di Sinibaldo, e poi concessa a Giannettino Daria, l'erede designato di Andrea, può valere emble-

    Capitolo terzo

    maticamente a rappresentare questo cambio della guardia che si andava attuando, la convergenza di banchieri e assentisti di galee in un nuovo gruppo di controllo, certo più omogeneo dell'antico per aspirazioni e interessi, ma tale da alterare sensibilmente gli equilibri stabiliti nel '2 8.

    2. La congiura di Gian Luigi Fieschi

    Dall'alterazione degli equilibri all'interno del gruppo di controllo della Repubblica si giunse, quindici anni dopo la morte di Sinibaldo Fieschi alla drammatica resa dei conti, nella quale Gian Luigi bruciò le residue speranze della sua famiglia di sottrarsi all'emarginazione politica cui la destinava l'egemonia doriana e di riguadagnare l'antico e peculiare ruolo. Il tentativo di colpo di mano attuato da Gian Luigi Fieschi nel gennaio del '4 7 aveva ovvi riflessi internazionali, ma più dell'occasio·nale intreccio di complicità esterne vale a qualificarlo quello che semb,r a sia stato in concreto il suo obiettivo immediato: l'eliminazione di Andrea e Giannettino Doria e di Adamo Centurione, ossia la decapitazione pura e semplice del partito avversario. La rozza elementarietà di tale programma è forse la migliore conferma del grado di estraneità cui era ormai giunta la famiglia Fieschi rispetto al sofisticato gioco di potere che si conduceva in Genova in nome dell'unione. Come tutte le congiure ordite contro il nuovo assetto p,olitico, anche quella di Gian Luigi Fieschi si pre·sentò come coalizione di malcontenti, e il suo parziale s,uccesso iniziale contribuì a rivelare i molti nodi che la riforma del '28 e i successivi compromessi non avevano risolto, o addirittura avevano contribuito a ingarbugliare: le rivalità di Vecchi e Nuovi, le impazienze e le frus.trazioni degli esclusi dalla classe di governo, i risentimenti della plebe, le preoccupazioni dei piccoli nobili di fronte al prepotere dei grandi. In questo senso Gian Luigi Fieschi non aveva mancato di preparare con cura la sua azione. Il grosso delle forze gli era naturalmente fornito dai feudi appenninici, base territoriale importante soprattutto in caso di insuccesso quale eventuale area di rifugio. Ma in

    La prima crisi del nuovo regime

    41

    città Gian Luigi cercò adesioni nel compatto nucleo degli artigiani tessili, vittime ormai da mezzo secolo di ripetuti giri di vite contro l'autonomia dei corpi di mestiere e contro il loro potere contrattuale, e negli strati plebei meno aggre,gati dei poveri, dei sottoccupati, della gente di « malaffare » tra i quali del resto il partito dei Fieschi o, come si diceva, dei aveva antiche ramificazioni. Inserendosi infine nella rivalità tra Vecchi e Nuovi (che aveva avuto recentemente una clamorosa manifestazione nell'elezione a sorpresa del doge De Fornaci, un Nuovo preferito al rappresentante dei Vecchi, cui sarebbe spettato il dogato in base alla regola non stritta dell'alternanza), Gian Luigi si era schierato dalla parte dei Nuovi, meno legati, se non sempre apertamente ostili, ali'> doriano. Il colpo di mano fu attuato nella notte tra il 2 e il 3 gennaio, in un periodo di interregno, quando cioè, scaduto il mandato del De Fornari, non era ancora stato eletto il successore. Giocando sulla sorpresa, i rivoltosi riuscirono a impadronirsi delle porte della città e della darsena delle galee, dove però Gian Luigi trovò la morte in un banale incidente. Nello stesso tempo, Giannettino Doria era catturato e ucciso e Andrea fuggiva a Masone, feudo di Adamo Centurione. La morte di Gian Luigi sconvolse naturalmente i piani dei congiurati, ma non fino al punto di far loro abbandonare l'impresa. Girolamo, fratello di Gian Luigi, riuscl anzi ad impadronirsi della città, anche se la popolazione nop. rispose affatto ai suoi inviti all'insurrezione. La situazione si bloccò dunque in una p·osizione di stallo che permise al gruppo avversario, attestato nel Palazzo pubblico e guidato da Adamo Centurione, dal Cardinale Daria e dall'ambasciatore di Spagna, di trattare una tregua: infine Girolamo Fieschi, dietro promessa di perdono, accettò di abbandonare la città e di ritirarsi nei suoi feudi.

    Il mito di Gian Luigi La tregua non poteva giovare che al gruppo dei Doria e dei Centurione. Con rapidità insolita fu eletto un nuovo doge, Benedetto Gentile, e si provvide a riorganizzare il presidio della città, dove

    42

    Capitolo terzo

    il popolo, che pure non si era mosso la notte del 2 gennaio, manifestava, anche tumultuando, l'ostilità al governo. Morto Gian Luigi, nacque nella plebe di Genova il mito di Gian Luigi, nacque l'attesa del suo ritorno liberatore. Il suo cadavere era finito in mare e finché non fu ripescato corse voce che Gian Luigi fosse riuscito a mettersi in salvo. Ma neppure il ritrovamento della salma, che il Senato pensava dovesse spegnere sul nascere le speranze e le inquietudini della plebe, valse a soffocare la leggenda ch'egli fosse sempre vivo e pronto a vendicare i torti fatti al popolo genovese: una singolare trasfigurazione post mortem di un campione della vecchia nobiltà in eroe e vindice della plebe urbana. Andrea Daria rientrò a Genova a restaurazione compiuta. Ma il suo ritorno non ebbe i caratteri di quella moderazione tante volte ostentata in passato: a \ll1 Senato riluttante impose la revoca del perdono concesso ai ribelli e ordinò l'esecuzione di una severa repressione; da Carlo V pretese concrete e minacciose manifestazioni di sdegno. Non si trattava tanto di sopprimere un pugno di avversari o di vendicare la morte di Giannettino, quanto di lanciare un monito a tutti i possibili oppositori e insieme di eliminare una realtà culturale e territoriale, quale lo stato dei Fieschi, che aveva sino ad allora condizionato la vita di Genova. I castelli dei Fieschi non furono quel ridotto inespugnabile che i congiurati avevano sperato d'allestire, e le forze armate della Repubblica ne ebbero presto ragione. Segui lo smembramento del vecchio stato appenninico e la liquidazione della potenza dei Fieschi, completata poco più tardi quando, in occasione dell'ancor più infelice congiura di Giulio Cybo, scoperta mentre ancora era allo stadio di vago progetto, anche i beni di Scipione Fieschi, che vi era coinvolto, furono confiscati. La Repubblica recuperò Montoggio, Varesle, Roccatagliata, Neirone; il duca di Parma Borgotaro e Calestano; il governatore di Milano, Pontremoli, Torciglia, Carrega, Grondona, S. Stefano d'Aveto ed altre terre. Gran parte dei feudi imperiali andarono poi a.d Andrea e Antonio Daria in risarcimento dei danni subiti dalle rispettive galee durante l'assalto alla darsena e il successivo saccheggio da parte di bande di , ma soprattutto a

    sanzione dell'accresciuto ruolo della loro famiglia nell'ormai indispensabile riorganizzazione dello stato genovese. Una cosa non riusci ad Andrea Doria: cancellare dalla mente dei genovesi il ricordo di Gian Luigi Fieschi e della sua audacia. Gian Luigi, sconfitto dalla mala sorte e non dalla forza dei suoi . . ' . . . avversari, contmuo a rappresentare per quanti non s1 riconoscevano nel sistema politico genovese la possibilità di un'alternativa. Intorno alla sua figura nacque una sorta di culto - e non solo in ambienti plebei - che a distanza di decenni sfidava ancora lo Stato e irrideva la condanna che si era voluta apporre alla sua memoria. intendo qui (e in seguito) i gruppi più agiati ed influenti del ceto non ascritto, scostandomi dall'accezione allora corrente, almeno tra i nobili vecchi, secondo la quale > designava una fazione dei nobili nuovi.

    La prima crisi del nuovo regime

    45

    chiuso ed esclusivista di quello dei Vecchi lo destinava ad una posizione di minoranza. Il sistema del sorteggio nella formazione dei Consigli e delle magistrature tendeva a trasformarsi in uno strumento di progressiva emarginazione politica dei Vecchi. Al contrario i meccanismi elettorali consentivano l'adozione· di quella norma dell'uguale distribuzione delle cariche tra i due gruppi, che se rispondeva alla tradizione politica genovese e ad una logica di compromesso, restava estranea al dettato costituzionale ed agiva come fattore di sperequazione a danno dei Nuovi tanto più palese quanto più il loro gruppo si rafforzava numericame,n te. Quella norma divenne dunque molto presto oggetto di contestazione da parte dei Nuo·vi. Giulio Pallavicini credeva di poter datare con precisione l'inizio del contrasto: il problema sarebbe emerso ufficialmente il I 5 giugno 1533, in occasione del consueto rinnovo semestrale di due degli otto senatori. Se è cosl, occorse un decennio per giungere ad una clamoro·sa rottura di quella norma: l'elezione del doge G.B. 1 De Fornari • La violazio,n e del principio dell'alternanza dei due gruppi al dogato, indipe,n dentemente dalle modeste conseguenze che ebbe la presenza di un doge Nuovo in luogo di uno Vecchio, era un sintomo allarmante del deterioramento dello spirito pubblico. Secondo Oberto Foglietta, i Vecchi reagirono all'elezione del De Fornari minacciando > - è facile immaginare chi potesse essere - e dichiarando