La formazione pedagogica. Modelli e percorsi 9788820768140, 9788820768157

Il volume ricostruisce criticamente il complesso percorso storico-teorico compiuto dalla pedagogia per l'acquisizio

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La formazione pedagogica. Modelli e percorsi
 9788820768140, 9788820768157

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INDICE
SAGGIO INTRODUTTIVO di Elisa Frauenfelder
1. LA PEDAGOGIA TRA VOCAZIONE POLITICO-SOCIALE E TENSIONE SCIENTIFICA
2. ITINERARI PEDAGOGICI E MODELLI FORMATIVI
3. EMERGENZE FORMATIVE E RISPOSTE PEDAGOGICHE IN AMBITO EUROPEO
UN PONTE APERTO VERSO IL FUTURO: IL PREMIO INTERNAZIONALE ELISA FRAUENFELDER
BIBLIOGRAFIA RAGIONATA
Quarta di copertina

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Fabrizio Manuel Sirignano

LA FORMAZIONE PEDAGOGICA Modelli e percorsi

con un saggio introduttivo di

Elisa Frauenfelder

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DOMINI

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Strumenti per la formazione dei formatori 22 Collana diretta da Vincenzo Sarracino e Fabrizio Manuel Sirignano

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Fabrizio Manuel Sirignano

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LA FORMAZIONE PEDAGOGICA Modelli e percorsi con un saggio introduttivo di Elisa Frauenfelder

Liguori Editore

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Comitato scientifico e Referee: Massimo Baldacci (Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”), Gaetano Bonetta (Università degli Studi “G. D’Annunzio” Chieti Pescara), Andreas Brunold (Università di Augusta), Enricomaria Corbi (Università degli Studi Suor Orsola Benincasa - Napoli), Michele Corsi (Università degli Studi di Macerata), Maria D’Ambrosio (Università degli Studi Suor Orsola Benincasa - Napoli), Javies Calvo de Mora (Università degli Studi di Granada), Ornella De Sanctis (Università degli Studi Suor Orsola Benincasa - Napoli), Loretta Fabbri (Università degli Studi di Siena), Donatella Fantozzi (Università degli Studi di Pisa), Elisa Frauenfelder (†) (Università degli Studi Suor Orsola Benincasa - Napoli), José Gómez Galán (Universidad Metropolitana-SUAGM, Puerto Rico), Virginia Guichot Reina (Università di Siviglia), Emiliano Macinai (Università degli Studi di Firenze), Carlo Orefice (Università degli Studi di Firenze), Rosabel Roig Vila (Universidad de Alicante), Maurizio Sibilio (Università degli Studi di Salerno), Simonetta Ulivieri (Università degli Studi di Firenze).

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I volumi pubblicati in questa collana sono preventivamente sottoposti a una doppia procedura di “peer rewiew”

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INDICE

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IX Saggio introduttivo Orientare i giovani nell’orizzonte incerto della complessità di Elisa Frauenfelder

1 Capitolo primo La pedagogia tra vocazione politico- sociale e tensione scientifica 1.1 I nuovi orizzonti della rivoluzione scientifica 1; 1.2 Lo sviluppo della dimensione sociale e politica 6; 1.3 Verso la costituzione di uno statuto epistemologico 12; 1.4 La formazione, categoria reggente della pedagogia 18.

25 Capitolo secondo Itinerari pedagogici e modelli formativi 2.1 Dalla paideia al post-Romanticismo 25; 2.2 Apprendere e formare oggi 29; 2.3 La pedagogia della formazione 32; 2.4 Alla ricerca di un orizzonte di senso 39; 2.5 La pedagogia di fronte alla sfida della complessità 50.

57 Capitolo terzo Emergenze formative e risposte pedagogiche in ambito europeo 3.1 Educazione permanente e nuove ipotesi formative. Dalla società della conoscenza alla neo-Bildung 57; 3.2 La crisi della democrazia come crisi dell’educazione. Pedagogia politica ed educazione alla cittadinanza 69; 3.3 Il valore della differenza 75; 3.4 L’Europa della conoscenza 85.

121 Un ponte aperto verso il futuro: il Premio internazionale Elisa Frauenfelder 129

Bibliografia ragionata

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SAGGIO INTRODUTTIVO di Elisa Frauenfelder

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Orientare i giovani nell’orizzonte incerto della complessità 1 La prospettiva epistemologica del secondo dopoguerra che – rappresentando una vera e propria “rivoluzione copernicana” – ha visto il soggetto divenire sempre più protagonista assoluto delle proprie esperienze, solo responsabile di un’autonoma linea interpretativa del reale, è oggi messa in crisi da un chiaro fallimento progettuale, testimone dell’avanzare di generazioni destrutturate e inconsapevoli, a cui sembra mancare proprio il filtro interpretativo con cui decodificare la realtà. Nell’ipotesi di una progettualità soggettiva elaborata in un contesto esperienziale “selvaggio”, l’individuo, nella gran parte dei casi, finisce, infatti, per naufragare in un oceano di informazioni disorganizzate e contraddittorie, in una miriade di relazioni stocastiche e occasionali approdando solo, a volte, e per caso, a lidi sicuri. Questo fenomeno appare e si evidenzia in maniera molto più forte nell’adolescenza. Questa sconfitta, subita dopo aver ritenuto possibile che bastassero progetti formativi individualizzati e centrati sul soggetto per formare il pensiero in modo critico, sta generando un ripensamento della relazione formativa nella direzione di una rivalutazione del ruolo guida del formatore come elemento mediatore in grado di mostrare al soggetto che apprende possibili percorsi interpretativi e possibili strategie di decodifica della realtà: non più, quindi, un soggetto che apprende in un ambiente indistintamente stimolante, ma un individuo che acquista capacità di orientamento attraverso stimolazio1 Viene riportata in questa sede – a distanza di quasi vent’anni – la lectio magistralis tenuta dalla prof.ssa Elisa Frauenfelder in occasione della inaugurazione del Corso di Perfezionamento in Consulenza pedagogica in ambito scolastico ed extrascolastico per adolescenti in situazioni di disagio e marginalità sociale nell’A.A. 2004-2005. Emerge la straordinaria lucidità e attualità della riflessione frauenfelderiana nell’esaminare le problematiche della società complessa, che pongono la formazione, se pedagogicamente declinata, come categoria in grado di fornire strumenti di orientamento ai giovani di oggi, privi di un orizzonte di senso.

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LA FORMAZIONE PEDAGOGICA

ni coerentemente direzionate e costituite da una rete di relazioni finalizzate. Di qui la necessità di una precoce e costante formazione all’orientamento, formazione che sappia coniugare le caratteristiche proprie del soggetto con quelle relative alle situazioni esterne con cui il soggetto adolescente interagisce.. Il problema si focalizza, quindi, sulle modalità processuali della formazione e, in buona sostanza, sulla relazione mediativa tra formatore – formando, che si iscrive in una più ampia dimensione relazionale e contestuale. In questa sede si propone la lettura di una formazione all’orientamento in età adolescenziale in una prospettiva pedagogica in cui l’attenzione viene primariamente centrata sulla relazione biodinamica tra il soggetto e il suo ambiente. Questa relazione, in cui sono presenti sia vincoli genetici che contestuali, rappresenta una fondamentale condizione al processo formativo ed è su di essa che è necessario riflettere, per determinare quale è la sua natura, quali sono gli elementi in gioco e come è possibile intervenirvi in funzione educativa. L’indagine pedagogica su questo tipo di relazione – che è da intendersi come intrinsecamente formativa – si compone necessariamente di una pluralità di elementi concettuali da cui, nella prospettiva di una precoce formazione all’orientamento in età adolescenziale, emerge il binomio interpretativo mediazione – metacognizione. La funzione mediativa assume, infatti, un’importanza essenziale nella costruzione delle strutture cognitive. Tale costruzione può essere considerata il prodotto integrato di due modalità di interazione tra l’organismo ed il suo ambiente: la diretta esposizione a fonti di stimolazione cognitiva e l’apprendimento mediato2. L’indagine su questa relazione induce a ipotizzare che nello sviluppo cognitivo quanto più frequentemente e precocemente l’individuo sarà stato esposto ad esperienze di apprendimento mediato, tanto maggiore sarà la sua capacità di trarre vantaggio da una esposizione diretta alle fonti di stimolo. In mancanza del processo mediativo, infatti, la struttura cognitiva potrebbe non sviluppare in modo adeguato funzioni di selezione, controllo, filtraggio e monitoraggio delle informazioni che provengono dal mondo esterno. La mediazione – fenomeno tipicamente umano, anche se in alcune specie animali ne sono presenti alcuni rudimenti – delinea, quindi, una modalità di interazione tra il sé e la realtà esterna, un modo di comportarsi e di organizzare gli apprendimenti e le conoscenze. Fungendo da filtro tra la realtà ed il soggetto, la mediazione – che non viene trasmessa solo verbalmente, ma attraverso ogni forma di comunicazione – modifica la qualità, la quantità e la frequenza degli stimoli secondo precise intenzioni. 2 Cfr. FEUERSTEIN R. (1980), Instrumental Enrichment. An intervention program for cognitive modifiability, University Park Press, Baltimora.

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SAGGIO INTRODUTTIVO xi

La differenza tra un’interazione mediata ed un approccio diretto agli stimoli, dunque, consiste nel fatto che durante il processo di mediazione avvengono continue trasformazioni tra il mediatore formatore il soggetto adolescente e gli stimoli, in modo che il soggetto riceve orientamenti, modalità di osservazione, modalità per trovare relazioni o per produrle. Attraverso “esperienze mediate” diventa possibile entrare in possesso di chiavi interpretative del mondo che possono aiutare l’adolescente ad orientarsi in modo critico nella complessità variegata che lo circonda, utilizzando criteri di osservazione e di decodificazione utili a trovare o a produrre relazioni tra dati informazionali ed esperienze e ad organizzare e strutturare conoscenze in modo significativo. La mediazione può, pertanto, essere considerata il catalizzatore della capacità di auto-orientarsi che rappresenta una esigenza educativa irrinunciabile per le società contemporanee; giocando un ruolo fondamentale nella spinta evolutiva e negli importanti cambiamenti che avvengono e sono avvenuti nel funzionamento mentale umano essa rappresenta, inoltre, il fattore determinante dell’autoplasticità. La mancanza di mediazioni, quindi, può privare l’individuo della sua capacità di modificarsi o ne può ridurre la possibilità. In questo senso, la mediazione rappresenta una possibile ma rilevante condizione per qualsiasi esperienza di crescita e cambiamento e costituisce, un nodo essenziale per una riflessione pedagogica che consideri, con Dewey, la promozione della continua capacità di crescere un obiettivo irrinunciabile dell’educazione3. L’altro elemento utile alla formazione di una tempestiva capacità orientativa la metacognizione, è da intendersi come funzione cognitiva complessa, che consente sia il controllo ed il continuo monitoraggio delle relazioni apprenditive tra il soggetto ed il suo ambiente, sia l’identificazione e la gestione di quelle strutture di conoscenza che costituiscono le condizioni di possibilità di tale relazione. Acquisire competenze metacognitive significa, dunque, sapersi orientare in modo autonomo nella enorme massa informazionale che ci circonda, selezionare e costruire conoscenze, operare scelte apprenditive, riflettere criticamente sui propri processi di pensiero. Nondimeno, la capacità di metacognire nasce sulla base della capacità di cognire e, di conseguenza, è necessario riflettere sulle procedure essenziali alla cognizione in funzione apprenditiva, procedure che sono notevolmente correlabili ai meccanismi cerebrali in costante interazione con i processi mentali. Da un punto di vista genetico il soggetto ha un potenziale biologico qualitativamente differenziato e quantitativamente accrescibile; da un punto di vista epigenetico, è inserito in un processo biodinamico di modellizza3

Cfr. DEWEY J. (1916), Democrazia e educazione, La Nuova Italia, Firenze, 1992.

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xii

LA FORMAZIONE PEDAGOGICA

zione delle connessioni neuronali. Sul piano cognitivo, quindi, il soggetto è corredato di un’organizzazione plurifunzionale circuitale, dinamica, modulare e specifica nei compiti e si esprime sul piano relazionale come fenomeno complesso, iscritto in un circuito in evoluzione, che ridefinisce continuamente le modalità di relazione con il suo ambiente. Di conseguenza, le eventuali strategie formative dovrebbero essere progettate in modo da poter interagire con la costante disponibilità del sistema nervoso ad acquisire e sintetizzare informazioni; con la specializzazione e la modulazione funzionale delle cellule neuronali; con la pluridirezionalità della comunicazione neuronale e l’attivazione parallela di più elementi nei centri di connessione circuitali; con l’integrazione funzionale regolata dai feedback dei sistemi nervoso endocrino e immunitario inscindibili nella interpretazione del sistema uomo inclusa la dimensione del mentale. Ciò creerebbe le condizioni per incidere – attraverso ripetute e specifiche stimolazioni interattive mediate – sulla formazione di modalità preferenziali di apprendimento utili come modalità adattive o gestionali nell’ambito in cui il soggetto si trova ad operare; sulla sincronicità delle sequenze cognitive, e sul conseguente rimodellamento metacognitivo4 delle conoscenze possedute riviste alla luce delle informazioni acquisite. Queste modalità strategiche proprie dei processi metacognitivi implicano, però, anche la messa in gioco dei processi regolativi del fenomeno dell’attività cosciente; e qui il biologico denuncia i suoi limiti. Da un punto di vista bioneuro-fisiologico, infatti, si può dire che non vi sia un centro della coscienza o una uniforme distribuzione di consapevolezza in ogni cellula neuronale. La profondità dell’esperienza cosciente, infatti, tende a variare in funzione del numero delle connessioni neurali che aumentano progressivamente nel continuum esperienziale e che, durante l’epigenesi, regolano e gestiscono la complessificazione della corteccia cerebrale. Se la coscienza emerge in relazione alla complessità delle interazioni neuronali, e se queste interazioni sono in costante cambiamento, la consapevolezza è uno stato suscettibile di variare al variare dei pattern di interazione neurali, cioè al variare dei processi esperienziali. Una fondamentale proprietà della coscienza, dunque, è che essa è continuamente variabile e può manifestarsi in misura maggiore o minore a seconda delle circostanze: differenti gruppi di cellule neurali non differenziate specificamente in base al compito gestiscono temporaneamente l’attività consapevole, organizzandosi interattivamente tra loro e con l’ambiente esterno. L’attività cosciente è dunque spazialmente multipla, ma anche temporalmente 4 Cfr. il concetto di ridescrizione rappresentazionale introdotto dalla Karmiloff – Smith in KARMILOFF-SMITH (1995), Oltre la mente modulare, Il Mulino, Bologna.

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SAGGIO INTRODUTTIVO xiii

unitaria: i gruppi non specializzati di cellule neurali la gestiscono modificando continuamente la misura e la configurazione delle connessioni che le uniscono, venendo così a costituire una base idonea alla realizzazione di una molteplicità di stati potenziali di consapevolezza, mutualmente escludentisi. L’attività cosciente sembra dunque indicare un nuovo ordine di complessità, un più elevato grado di organizzazione gerarchica che attiva specifici processi mentali; tra questi emerge prioritario l’orientamento. Swartz e Perkins5 identificano quattro livelli di funzionamento mentale, progressivamente riconducibili a un piano sempre più diffusamente metacognitivo e, quindi, orientativo: • un livello di uso tacito dei processi mentali • un livello di uso consapevole • un livello di uso strategico • un livello di uso riflessivo. Si giunge, così, alla individuazione di quei processi mentali, che dovrebbero essere attivati e sollecitati da specifiche circostanze funzionali per determinare, in una prospettiva di formazione all’orientamento, peculiari esperienze di ordine metacognitivo. Sul piano pedagogico, ne deriva la necessità di riflettere sulle modalità con cui determinati contesti culturali e determinate agenzie formative possano facilitare, inibire o limitare il prodursi di esperienze metacognitive, necessità che si accompagna al bisogno di costruire relazioni formative adeguate alla sollecitazione delle esperienze in questione attraverso interventi di mediazione anche nella prospettiva del lifelong learning. Flavell suggerisce quattro modalità di sollecitazione di esperienze metacognitive che sembrano particolarmente utili alla formazione all'orientamento: a) la cognizione consapevole (che si produce nel momento in cui il soggetto viene indotto a riflettere sulla propria attività cognitiva); b) le situazioni nuove o rischiose (che si determinano attraverso il confronto con elementi di novità o la ricerca del minor rischio possibile di errore o di fallimento...); c) la percezione dell’errore (che si produce nel momento in cui si avverte di aver commesso un passo falso o un errore procedurale); d) l’attività altamente attentiva (che si ha nel momento in cui ci si trova a confrontarsi con compiti cognitivi che richiedono massima attenzione e concentrazione). Queste quattro modalità sollecitano il prodursi di esperienze cognitive di meta-livello, suscettibili di una successiva, progressiva organizzazione in un 5 Cfr. SWARTZ R.J., PERKINS D.N. (1990), Teaching Thinking: Issues and Approaches, Midwest Pubblications, Pacific Grow, CA.

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xiv

LA FORMAZIONE PEDAGOGICA

corpus di conoscenze funzionali a comprendere e a gestire le attività cognitive individuali6. In questo orizzonte di modalità formative si colloca il processo di orientamento ed il suo eventuale risultato. È pertanto importante riuscire a costruire per gli adolescenti contesti formativi in cui diventi possibile indurre esperienze di cognizione consapevole, introdurre situazioni cognitive nuove e/o rischiose in termini di errori e fallimenti, promuovere la percezione ed il riconoscimento dell’errore, sollecitare l’attentività. Si tratta, evidentemente, di funzioni sociogeneticamente determinate e che, pertanto, legittimano i contesti socioculturali a promuovere e porre in atto azioni di formazione all’orientamento. Ad una progettazione formativa giocata sulle situazioni esperienziali libere, allo scopo di rendere espliciti i passaggi e le dinamiche relative alla costruzione della metaconoscenza, si potrebbero affiancare, e talvolta contrapporre, quindi, strategie formative che focalizzino l’uso di specifiche funzioni cognitive all’interno di determinati contesti, presupponendo progetti pedagogici fortemente strutturati in chiave socioculturale. Se, in una prospettiva pedagogica, la cultura non deve essere definita come un repertorio statico di norme e comportamenti ma, piuttosto, come un processo attraverso cui conoscenze, valori, credenze sono trasmessi da una generazione ad un'altra, il concetto di “deprivazione culturale” introdotto da Feuerstein appare particolarmente funzionale al discorso. Esso indica infatti “l’esito di un fallimento da parte di un gruppo di trasmettere o mediare la propria cultura alle nuove generazioni”7, fallimento che si traduce in mancanza di strutture cognitive organizzate e capaci di mettere in atto procedure di regolazione ed autoregolazione in rapporto alla massa informazionale proveniente dal mondo esterno. Due sono le riflessioni che appaiono più cogenti per quanto riguarda il processo di orientamento nella società odierna: 1. va formulata l’ipotesi di una costante fonte di mediazione che accompagni quanto prima possibile il soggetto nella sua evoluzione cognitiva e della possibilità di poter fare continuamente riferimento a diverse e differenti strutture e funzioni mediative lungo l’intero percorso formativo individuale; 2. va riconosciuto che il presupposto dell’orientamento è la forte strutturazione dei processi metacognitivi sulla base dell’identificazione in chiave bio-neuro-fisiologica, dei meccanismi cerebrali in essi attivati. 6 Cfr. FLAVELL J.H. (1981), Cognitive Monitoring, in Dickson W.P. (a cura di) Children’s Oral Communication Skills, Academic Press, N.Y. 7 Cfr. FEUERSTEIN R. (1980), Instrumental Enrichment. An intervention program for cognitive modifiability, Baltimore, University Park Press, p. 13.

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SAGGIO INTRODUTTIVO xv

In conclusione, in una società come la nostra, la formazione all’orientamento –necessariamente fondata su processi metacognitivi – non può avvenire attraverso una autoformazione libera e spontanea ma attraverso il supporto di una mediazione adulta. Mai come in questo momento il processo di formazione richiede una figura di adulto mediatore. La nostra società è troppo complessa per consentire che l’individuo, specialmente nei suoi periodi più fragili, possa da solo gestire il processo esperienziale in cui è implicato. È importante quindi creare strutture a rete che aiutino l’individuo ad orientarsi attraverso il riferimento a funzioni e strutture di mediazione che facilitino l’attivazione di processi cognitivi di meta-livello. Occorre divenire consapevoli della necessità di tutelare – attraverso una costante mediazione – la crescita nel soggetto adolescente della capacità di scegliere tra le tante informazioni offerte, quelle veramente significative. La strutturazione della competenza di scelta, diventa in realtà, il vero obiettivo di un processo di formazione all’orientamento.

Riferimenti bibliografici ANDREOLI V. (1979), L’encefalo plastico, in “Le Scienze”, 135. ARDILA A., OSTROSKY-SOLIS F. a cura di, (1989), Brain Organization of Language and Cognitive Processes, Plenum Press, New York. BLOOM F.E., LAZERSON A. (1985), Brain, Mind and Behaviour, W.H. Freeman and Company, New York. BONCINELLI E. (1999), Il cervello, la mente e l’anima, Mondadori, Milano. BOTTACCIOLI F. (1995), Psiconeuroimmunologia, RED Edizioni, Como. CHANGEUX J.P. (1983), L’uomo neuronale, Feltrinelli, Milano. CHANGEUX J.P. (1989), L’ordine della differenza, in “Sfera” 7, Agosto-Settembre, Edizioni Sigma Tau, Roma. CHURCHLAND P.S. (1994), Can Neurobiology Teach us Anything about Consciousness?, Presidential Address to the American Philosophical Association, Pacific Division, in “Proceedings and Addresses of the APA”. CORNOLDI C. (1995), Metacognizione e apprendimento, Il Mulino, Bologna. CRICK F., KOCH C. (1990), Towards a neurobiological theory of consciousness, in “Seminars in the Neurosciences”, 2: 263-275. CRICK F., KOCH C. (1992), The Problem of Consciousness, in “Scientific American”, 267: 153-159. CRICK F., KOCH C.(1998), Consciousness and Neuroscience, in “Cerebral Cortex”, 8: 97-107. DEWEY J. (1910), Come pensiamo. Una riformulazione del rapporto tra il pensiero riflessivo e l’educazione, La Nuova Italia, Firenze.

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LA FORMAZIONE PEDAGOGICA

DEWEY J. (1916, 1992), Democrazia e educazione, La Nuova Italia, Firenze. FEUERSTEIN R. (1980), Instrumental Enrichment. An intervention program for cognitive modifiability, University Park Press, Baltimore. FISCHBACH G.D. (1992), Mente e cervello, in “Le Scienze”, 291, Novembre. FLAVELL J.H. (1981), Cognitive Monitoring, in Dickson W.P. (a cura di) Children’s Oral Communication Skills, Academic Press, N.Y. FRAUENFELDER E. (1994), Pedagogia e biologia. Una possibile alleanza, Liguori, Napoli. FRAUENFELDER E., SANTOIANNI F. (1997), Nuove frontiere della ricerca pedagogica tra bioscienze e cibernetica, E.S.I., Napoli. FRAUENFELDER E., SANTOIANNI F., (2002), a cura di, Le scienze bioeducative, Liguori, Napoli. FRAUENFELDER E., SANTOIANNI F., STRIANO M.(2004), Introduzione alle scienze bioeducative, Laterza, Roma-Bari. KANDEL E.R., HAWKINS R.D. (1992), Apprendimento e individualità: le basi biologiche, in “Le Scienze”, 291, Novembre. KARMILOFF-SMITH A (1995), Oltre la mente modulare, Il Mulino, Bologna. LIEBERMAN D.A. (1990), Learning, Wadsworth, Belmont, California. MAFFEI L. (1998), Il mondo del cervello, Edizioni Laterza, Roma-Bari. OLIVERIO A. (1994), Ricordi individuali, memorie collettive, Einaudi, Torino. OLIVERIO A. (1995), Biologia e filosofia della mente, Laterza, Roma-Bari. OLIVERIO A. (1999), Esplorare la mente, Raffaello Cortina, Milano. ROSE S. (1973), Il cervello e la coscienza, EST Mondadori, Milano. ROSE S. (1994), La fabbrica della memoria. Dalle molecole alla mente, Garzanti, Milano. SANTOIANNI F. (1998), Sistemi biodinamici e scelte formative, Liguori, Napoli. SIRIGNANO F.M. (2003), La pedagogia della formazione, Liguori, Napoli. SCHATZ C.J. (1998), Lo sviluppo del cervello, “Le Scienze”, 101, Aprile. SWARTZ R.J., PERKINS D.N. (1990), Teaching Thinking: Issues and Approaches, Midwest Pubblications, Pacific Grow, CA. TEMPLE C. (1993), Il nostro cervello, Laterza, Roma-Bari. TOATES F. (1986), Biological Foundation of Behaviour, Milton Keynes, Open University. PARISI D. (1989a), Intervista sulle reti neurali, Il Mulino, Bologna. PARISI D. (1989b), La mente come cervello, in “Sistemi Intelligenti” 2, Il Mulino, Bologna. PARISI D. (1990), Connessionismo: origine e sviluppo al centro dello studio dell’intelligenza, in “Sistemi Intelligenti”, 3, Il Mulino, Bologna. PARISI D. (1991), Connessionismo oggi, in D.E.Rumelhart; J.L.McClelland, PDP Microstruttura dei processi cognitivi, Il Mulino, Bologna.

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LA PEDAGOGIA TRA VOCAZIONE POLITICO-SOCIALE E TENSIONE SCIENTIFICA 1.1  I nuovi orizzonti della rivoluzione scientifica Nel 1600 si concretizzano in gran parte le idee dell’Umanesimo determinando, con l’avvento della nuova scienza e della nuova filosofia una svolta epocale nella storia del pensiero. La sistemazione tradizionale di un sapere di tipo enciclopedico, che procede per accumulazione, appare d’un tratto inadeguata a ricomporre in un quadro unitario le nuove conoscenze che richiedono l’individuazione di un metodo di analisi e di studio della realtà. Nel campo della conoscenza umana avviene, per dirla con Kuhn1: una rivoluzione scientifica, rappresentata dal lento ed inesorabile declino del paradigma aristotelico-tolemaico, utilizzato per quindici secoli come canone per l’interpretazione e la classificazione del sapere, e nell’assunzione di un diverso paradigma, cioè di una costruzione teorica complessiva fondata su basi diverse. Poiché secondo Kuhn “l’esistenza stessa del paradigma stabilisce il problema da risolvere”2, l’assunzione di un nuovo paradigma comporta un cambiamento nel modo di osservare il mondo. Il mutamento del quadro concettuale di riferimento fa sorgere nuove domande e sposta in avanti l’asse della conoscenza umana3 aprendo l’accesso a ricerche inimmaginabili col vecchio paradigma, come è avvenuto con la rivoluzione copernicana dove “la radicale riclassificazione dei corpi celesti sottostante alla rivoluzione copernicana, se pure risolse alcuni problemi locali dell’astro1

T. S. Kuhn, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Biblioteca Einaudi, Torino 1999, pp. 43-55. p. 29. 2 Idem, p. 47. 3 Cfr. L. Russo, Stelle, atomi e velieri. Percorsi di storia della scienza, Mondadori, Milano 2015.

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LA FORMAZIONE PEDAGOGICA

nomia tolemaica, d’altra parte sollevò una miriade di problemi nemmeno formulabili entro il quadro concettuale sottostante al sistema tolemaico: perché i corpi pesanti continuano a cadere in direzione della superficie della terra che ruota, che si sposta cioè nella sua orbita intorno al sole? Che cosa muove i pianeti, e come in assenza della sfere sono trattenuti nelle loro orbite? L’astronomia copernicana minava credenze stabilite e dogmi rassicuranti, ma poneva più domande di quelle cui rispondeva. Però le domande eccedenti erano interessanti. Erano delle sfide intellettuali. Non mancò perciò chi vi si impegnò. E alla fine qualcuno vi riuscì, da Galileo a Newton, da Gauss a Poincarè”4. Elemento peculiare e rivoluzionario del cambiamento in atto nel corso del secolo è la frammentazione e specializzazione dei saperi; scompare la figura dell’intellettuale che è insieme scienziato, filosofo e letterato, nel giro di pochi decenni si differenziano le competenze e gli interessi mentre si accentua rapidamente il rigore specialistico che farà dire, a Galileo già vecchio, di non riuscire a comprendere fino in fondo il trattato di geometria che un suo discepolo, Bonaventura Cavalieri, ha pubblicato nel 1635 a Bologna5. Mentre in campo scientifico Galileo, applicando gli strumenti matematici alla lettura della realtà imprime una svolta radicale allo sviluppo della fisica aprendo la strada alla grandiosa sistemazione della meccanica newtoniana6, in campo filosofico è tutto un fermento di idee nuove con Bacone prima, Cartesio e Locke poi, che superano, ciascuno con accentuazioni diverse, la speculazione filosofica aristotelica mediante l’uso di un metodo razionale del pensiero7 che per Bacone è fondato sull’induzione e sull’esperienza, per Cartesio sulla forza logica e matematica della ragione, per Locke sulla rivalutazione della conoscenza sensibile i cui prodotti, le sensazioni, sono poi elaborati dalla riflessione.

4 G. Giorello, M. Mondadori, Oltre il metodo. Mutamento e conoscenza scientifica, in , 1, 1979, p. 97. 5 R. Cesarini, L. De Federicis, Il materiale e l’immaginario, vol. 5, Loesher, Torino 1984, p. 306. 6 Cfr. V. Silvestrini, B. Bartoli, La grande avventura della fisica. Da Galileo al bosone di Higgs, Carocci, Roma 2015. 7 L. Blattner, Storia della pedagogia, Armando, Roma 1968, p. 62.

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Il labirinto pedagogico. Tra mito e scienza “Innumerevoli filosofi, divulgatori e giornalisti del nostro tempo hanno collocato tutta la modernità sotto il segno di una pericolosa e inaccettabile esaltazione della tecnica e hanno visto in Francesco Bacone il padre spirituale di quel «tecnicismo neutro» che sarebbe alla fonte dei processi di alienazione e di mercificazione tipici della modernità. E vero esattamente il contrario. Nell’intera tanto vasta letteratura sulla tecnica e sul suo carattere ambiguo esistono ben poche pagine che possano essere paragonate a quelle scritte dal Lord Cancelliere nella interpretazione (che risale al 1609) del mito di Daedalus si- ve mechanìcus. La figura di Dedalo è quella di un uomo ingegnosissimo ma esecrabile. Il suo nome è soprattutto celebrato per le «illecite invenzioni»: la macchina che permise a Pasife di accoppiarsi con un toro e di generare il Minotauro divoratore di giovani; il Labirinto escogitato per nascondere il Minotauro e per «proteggere il male con il male». Dal mito di Dedalo si ricavano conclusioni di carattere generale: le arti meccaniche generano aiuti per la vita e, insieme, «strumenti di vizio e di morte». Il sapere tecnico, agli occhi di Bacone, ha questo di caratteristico: mentre si pone come possibile produttore del male e del negativo, offre, insieme e congiuntamente a quel negativo, la possibilità di una diagnosi del male e di un rimedio al male. Dedalo costruì anche «rimedi per i delitti». Fu autore dell’ingegnoso espediente del filo capace di sciogliere i meandri del Labirinto: «Colui il quale ideò i meandri del Labirinto, ha mostrato anche la necessità del filo. Le arti meccaniche sono infatti di uso ambiguo e possono nel contempo produrre il male e offrire un rimedio al male» (Bacone, 1975: 482-83). Per gli esponenti della rivoluzione scientifica, la restaurazione del potere umano sulla natura, l’avanzamento del sapere hanno valore solo se realizzati in un più ampio contesto che concerne la religione, la morale, la politica. La «teocrazia universale» di Tommaso Campanella, la «carità» di Francesco Bacone, il «cristianesimo universale» di Leibniz, la «pace universale» di Comenio non sono separabili dai loro interessi e dai loro entusiasmi per la nuova scienza. Costituiscono altrettanti ambiti entro i quali il sapere scientifico e tecnico deve operare per funzionare come strumento di riscatto e di liberazione. Per Bacone e per Boyle, come per Galilei, Cartesio, Keplero, Leibniz e Newton la volontà umana e il desiderio di dominio non costituiscono il principio più alto. La natura è, contemporaneamente, oggetto di dominio e di reverenza. Essa va «torturata» e piegata a servizio dell’uomo, ma essa è anche «il libro di Dio» che va letto in spirito di umiltà”. P. Rossi, La nascita della scienza moderna in Europa, Laterza, Roma-Bari 2009, pp. 52-54.

La filosofia di Cartesio ha in sé una carica dirompente perché contribuisce a distruggere la visione rassicurante della realtà così come è percepita dai sensi, in sintonia con l’azione condotta da Copernico in campo astronomico che ha sostituito alla realtà di un universo percepibile con l’esperienza quotidiana (il sole qui nasce e lì tramonta) una realtà diversa, ottenuta attraverso il pensiero matematico e contrastante con quanto appare alla vista. Infatti egli opera in campo filosofico un ribaltamento di prospettiva sostituendo

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alla verità dell’essere la verità prodotta dal pensiero che è capace di operare secondo un procedimento rigorosamente logico. Ne discende che il mondo percepibile dai sensi è ingannevole, mentre assume valore di realtà un mondo solo pensato: “la prima [regola] era di non accogliere mai nulla per vero che non conoscessi esser tale con evidenza: di evitare, cioè, accuratamente la precipitazione e la prevenzione; e di non comprendere nei miei giudizi nulla più di quello che si presentava così chiaramente e distintamente alla mia intelligenza da escludere ogni possibilità di dubbio. La seconda era di dividere ogni problema preso a studiare in tante parti minori, quante fosse possibile e necessario per meglio risolverlo. La terza, di condurre con ordine i miei pensieri, cominciando dagli oggetti più semplici e più facili a conoscere, per salire a poco a poco, come per gradi, sino alla conoscenza dei più complessi; e supponendo un ordine anche tra quelli di cui gli uni non precedono naturalmente gli altri. In fine, di far dovunque enumerazioni così complete e revisioni così generali da esser sicuro di non aver omesso nulla”.8 Galileo, muovendosi su un terreno diverso, compie un’operazione analoga a quella di Cartesio perché anche egli sostituisce, nello studio della fisica, alla realtà sensibile come essa “appare”, una realtà ottenuta applicando allo studio dei fenomeni il razionalismo matematico supportato da esperimenti talvolta solo pensati. Per Amsterdamski9 il formarsi di un nuovo ideale di scienza è stato reso possibile da una riforma della filosofia naturale, con l’abbandono dell’ontologia aristotelica e quindi della visione di un mondo finito, ordinato, gerarchicamente differenziato, sostituita dall’idea di un mondo aperto, infinito, regolato da leggi universali. È un universo in cui cielo e terra hanno lo stesso status ontologico e in cui non c’è più spazio per concetti come perfezione, armonia, senso, predestinazione. Da un mondo di cose la scienza si trasferisce in un mondo di corpi astratti che si muovono in un astratto spazio geometrico, guidato da leggi universali. Il mondo delle qualità sensibili è sostituito da un mondo di grandezze, forme e rapporti, un mondo che si lascia misurare. La conoscenza immediata, ritenuta per secoli criterio di verità, ora è ritenuta ingannevole. Alla concezione aristotelica secondo la quale la spiegazione scientifica consiste nel ridurre ciò che è ignoto a ciò che è noto, si sostituisce la convinzione che la scienza abbia come scopo di spiegare ciò che è noto mediante l’ignoto: “Ogni volta che la spiegazione 8

R. Cartesio, Discorso sul metodo, a cura di A. Carlini, Laterza, Bari 1963, pp. 54-56. S. Amsterdamski, Tra la storia e il metodo. Discussione sulla razionalità della scienza, tr. it., Edizioni Theoria, Roma-Napoli 1986, pp. 70-71. 9

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LA PEDAGOGIA TRA VOCAZIONE POLITICO-SOCIALE E TENSIONE SCIENTIFICA 5

scientifica evidenzierà una scoperta, si tratterà di una spiegazione di ciò che è noto per mezzo di ciò che è ignoto”10. La pedagogia, ancora priva di un proprio autonomo statuto epistemologico, acquisisce, per il suo legame con la filosofia, un orientamento antropologico-sociale che caratterizza la riflessione teorica in campo educativo di un ampio schieramento di autori, da Comenio a Fenelon, a Locke. Le novità che in ogni campo agitano il Seicento determinano, per la pedagogia11, l’inizio del declino del paradigma metafisico-religioso non più adeguato ad inquadrare correttamente le coordinate di pensiero che caratterizzano l’età nuova, in cui predomina l’aspetto sociale e politico di un sapere orientato all’azione e all’impegno civile12: “[…] col Settecento, tra Illuminismo e Rivoluzione, questo paradigma del sapere pedagogico esplode. Da Rousseau a d’Holbach, a Basedow, da Condorcet a Pestalozzi la pedagogia si costituisce intorno al proprio destino sociale, fa emergere al proprio centro la funzione politica e si viene a definire come un momento centrale (se non proprio il momento) della riforma della società. Il nesso che corre tra pedagogia e società si fa sempre più esplicito e sempre più decisivo e intorno ad esso viene ad organizzarsi il discorso pedagogico nella sua globalità. Rousseau e Kant sono in questo senso emblematici: le loro pedagogie guardano ad una rigenerazione-rifondazione della società, il loro telos è eminentemente politico. Dal Settecento si avvia una fase di affermazione e di sviluppo di questo paradigma che attraverso la stagione romantica, quella positivistica e poi quella pragmatistica si delinea come la crescita di una egemonia, come il modello dominante nella fase più matura della modernità. Dall’Ottocento a Novecento vengono a delinearsi i modelli più organici di questo tipo di sapere pedagogico. Hegel e Marx, Comte e Dewey […] vengono a scandire e articolare la crescita del paradigma socio-politico della pedagogia”13. La pedagogia assume in tale clima finalità sociali e politiche, volta alla realizzazione di un individuo pienamente inserito nel contesto del suo tempo. La tradizione metafisico-retorica ha dominato incontrastata il sapere pedagogico per un arco di tempo lunghissimo, forte di una doppia struttura, teorico-normativa ed insieme pragmatico-deontologica, perfettamente rispondente alle esigenze di una società gerarchizzata, con rapporti di forze tra le classi sociali cristallizzati ed immutabili. L’irrompere sulla scena con

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K. Popper, J. Eccles, L’io e il suo cervello, Armando, Roma 1981, p. 191. F. Cambi, Il congegno del discorso pedagogico, Clueb, Bologna 1986, p. 41. Ibidem. Ibidem.

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LA FORMAZIONE PEDAGOGICA

l’Umanesimo prima e col Rinascimento poi di un nuovo tipo di intellettuale14 immerso nei problemi del proprio tempo, interessato a discutere questioni giuridiche e politiche concrete, finisce per sconvolgere un quadro culturale rigidamente organizzato; cambiano i punti di riferimento, mentre si afferma un nuovo paradigma del sapere, di tipo socio-politico, un nuovo modo di organizzare le conoscenze, un diverso schema interpretativo della realtà. La pedagogia, in quanto disciplina che codifica e trasmette i comportamenti richiesti dal modello socio-culturale di riferimento, è investita in pieno dall’onda di cambiamento e si spinge a teorizzare un nuovo ideale educativo centrato sulla formazione di un uomo capace di partecipare attivamente e coscientemente alla vita sociale e politica.15 La nuova pedagogia, strettamente legata alla svolta immanentistica della riflessione filosofica, costruisce la propria identità attraverso le idee espresse da Tommaso Moro, Campanella16 e Bacone, teorizzando modelli e percorsi educativi adeguati a trasmettere i valori della modernità. In particolare Bacone, nel suo Discorso in aiuto del potere intellettivo scritto intorno al 1600 sotto forma di lettera al direttore della scuola di Eton17, esprime la sua concezione dell’educazione intesa come sviluppo delle facoltà mentali, lamentando la insufficiente attenzione posta dai pedagogisti a questo aspetto. L’esigenza per la pedagogia di puntare con decisione alla formazione civile è talmente sentita da essere posta con forza sia da ambienti della Riforma calvinista che da ambienti della Controriforma cattolica che organizzano istituzioni18 con finalità sociali e politiche.

1.2  Lo sviluppo della dimensione sociale e politica Nel 1700 il processo di cambiamento nella visione del mondo e nel modo di intendere la conoscenza si consolida favorendo la nascita di un diffuso atteggiamento mentale laico. Mentre nel Seicento era stata dominante l’identificazione della scienza con il metodo matematico e con i suoi procedimenti, nel Settecento, soprattutto per influenza della filosofia di Locke, si tende a valorizzare il sapere empirico. Il nesso ragione -esperienza rappresenta una

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Cfr. E. Frauenfelder, Il pensiero pedagogico di Leon Battista Alberti, ESI, Napoli 1995. Idem, pp. 41-42. 16 Cfr. E. Frauenfelder, Il fascino dell’utopia pedagogica, Liguori, Napoli 2005. 17 W. Boyd, Storia dell’educazione occidentale, Armando, Roma 1968, p. 265. 18 Cfr. F.M. Sirignano, Gesuiti e giansenisti. Modelli e metodi educativi a confronto, Liguori, Napoli 2004. 15

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LA PEDAGOGIA TRA VOCAZIONE POLITICO-SOCIALE E TENSIONE SCIENTIFICA 7

caratteristica peculiare del pensiero illuministico19. Da Locke, interpretato e mediato dai filosofi francesi, deriva l’accettazione di una relativa pluralità di modalità e strategie cognitive, la costruzione di modelli applicativi secondo linee empirico-induttive, la riabilitazione dell’osservazione sensibile. Di questa apertura metodologica si avvantaggiano le discipline che indagano lo sviluppo delle facoltà umane e quindi l’evoluzione dell’individuo: la medicina, l’etnologia, la pedagogia: un testo che illustra la pedagogia del secolo può essere considerato il memoriale in due volumi in cui Jean Itard descrive la sua esperienza di educazione di un giovane che viveva allo stato animale nei boschi di Lacaune nell’Aveyron20: l’attenzione alla dimensione sociale dell’educazione è presente con forza in tutta la pedagogia del secolo. Il paradigma socio-politico inizia ad affermarsi in questo periodo, diventando il modello educativo dominante dei due secoli successivi. Da Rousseau a Kant la funzione politica è centrale nel discorso pedagogico, che viene costruendosi intorno alle riforme della società. Hegel poi che, per l’organicità e la potenza del suo pensiero eserciterà una profonda influenza su tutta la riflessione successiva, pone al centro del discorso pedagogico l’aspetto sociale dell’educazione mentre Marx declina il paradigma evidenziandone l’aspetto politico. L’educazione impartita ai giovani è sempre, per Marx, una educazione di classe che trasmette idee funzionali all’interesse di una determinata classe sociale; da qui il ruolo strategico che il problema pedagogico riveste in un progetto di cambiamento sociale. L’alternativa pedagogica: scuola, educazione e istruzione per Gramsci “Non è completamente esatto che l’istruzione non sia anche educazione: l’aver insistito troppo in questa distinzione è stato grave errore della pedagogia idealistica e se ne vedono già gli effetti nella scuola riorganizzata da questa pedagogia. Perché l’istruzione non fosse anche educazione bisognerebbe che il discente fosse una mera passività, un «meccanico recipiente» di nozioni astratte, ciò che è assurdo e del resto viene «astrattamente» negato dai sostenitori della pura educatività appunto contro la mera istruzione meccanicistica. Il «certo» diventa «vero» nella coscienza del fanciullo. Ma la coscienza del fanciullo non è alcunché di «individuale» (e tanto meno di individuato), è il riflesso della frazione di società civile cui il fanciullo partecipa, dei rapporti sociali quali si annodano nella famiglia, nel vicinato, nel villaggio, ecc. La coscienza individuale della stragrande maggioranza dei fanciulli riflette rapporti civili e culturali 19

Cfr. P. Rossi [a cura di], Gli illuministi francesi, Loesher, Torino 1968. A. Canevaro, J. Gaudreau, L’ educazione degli handicappati. Dai primi tentativi alla pedagogia moderna, Carocci, Roma 2002; J. Canevaro, Il ragazzo selvaggio. Handicap, identità, educazione, EDB, Bologna 2017. 20

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LA FORMAZIONE PEDAGOGICA

diversi e antagonistici con quelli che sono rappresentati dai programmi scolastici: il «certo» di una cultura progredita, diventa «vero» nei quadri di una cultura fossilizzata e anacronistica, non c’è unità tra scuola e vita, e perciò non c’è unità tra istruzione e educazione. Perciò si può dire che nella scuola il nesso istruzione-educazione può solo essere rappresentato dal lavoro vivente del maestro, in quanto il maestro è consapevole dei contrasti tra il tipo di società e di cultura che egli rappresenta e il tipo di società e di cultura rappresentato dagli allievi ed è consapevole del suo compito che consiste nell’accelerare e nel disciplinare la formazione del fanciullo conforme al tipo superiore in lotta col tipo inferiore. Se il corpo magistrale è deficiente e il nesso istruzione-educazione viene sciolto per risolvere la questione dell’insegnamento secondo schemi cartacei in cui l’educatività è esaltata, l’opera del maestro risulterà ancor più deficiente: si avrà una scuola retorica, senza serietà, perché mancherà la corposità materiale del certo, e il vero sarà vero di parole, appunto retorica. La degenerazione si vede ancor meglio nella scuola media, per i corsi di letteratura e filosofia. Prima gli allievi, per lo meno, si formavano un certo «bagaglio» o «corredo» (secondo i gusti) di nozioni concrete: ora che il maestro deve essere specialmente un filosofo e un esteta, l’allievo trascura le nozioni concrete e si «riempie la testa» di formule e parole che per lui non hanno senso, il più delle volte, e che vengono subito dimenticate. La lotta contro la vecchia scuola era giusta, ma la riforma non era cosa così semplice come pareva, non si trattava di schemi programmatici, ma di uomini, e non degli uomini che immediatamente sono maestri, ma di tutto il complesso sociale di cui gli uomini sono espressione. In realtà un mediocre insegnante può riuscire a ottenere che gli allievi diventino più istruiti, non riuscirà ad ottenere che siano più colti; egli svolgerà con scrupolo e coscienza burocratica la parte meccanica della scuola e l’allievo, se è un cervello attivo, ordinerà per conto suo, e con l’aiuto del suo ambiente sociale, il «bagaglio» accumulato. Coi nuovi programmi, che coincidono con un abbassamento generale del livello del corpo insegnante, non vi sarà «bagaglio» del tutto da ordinare. I nuovi programmi avrebbero dovuto abolire completamente gli esami; dare un esame, ora, deve essere terribilmente più «giuoco d’azzardo» d’una volta. Una data è sempre una data, qualsiasi professore esamini, e una «definizione» è sempre una definizione; ma un giudizio, un’analisi estetica o filosofica? […] Il principio umanistico nella vecchia scuola L’efficacia educativa della vecchia scuola media italiana, quale l’aveva organizzata la vecchia legge Casati, non era da ricercare (o da negare) nella volontà espressa di essere o no scuola educativa, ma nel fatto che il suo organamento e i suoi programmi erano l’espressione di un modo tradizionale di vita intellettuale e morale, di un clima culturale diffuso in tutta la società italiana per antichissima tradizione. Che un tale clima e un tal modo di vivere siano entrati in agonia e che la scuola si sia staccata dalla vita, ha determinato la crisi della scuola. Criticare i programmi e l’organamento disciplinare della scuola, vuol dire meno che niente, se non si tiene conto di tali condizioni. Così si ritorna alla partecipazione realmente attiva dell’allievo alla scuola, che può esistere solo se la scuola è legata alla vita. I nuovi programmi, quanto più affermano e teorizzano l’attività del discente e la sua collaborazione operosa col lavoro del docente, tanto più sono disposti come se il discente fosse una mera passività.

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Nella vecchia scuola lo studio grammaticale delle lingue latina e greca, unito allo studio delle letterature e storie politiche rispettive, era un principio educativo in quanto l’ideale umanistico, che si impersona in Atene e Roma, era diffuso in tutta la società, era un elemento essenziale della vita e della cultura nazionale. Anche la meccanicità dello studio grammaticale era avvivata dalla prospettiva culturale. Le singole nozioni non venivano apprese per uno scopo immediato pratico-professionale: esso appariva disinteressato, perché l’interesse era lo sviluppo interiore della personalità, la formazione del carattere attraverso l’assorbimento e l’assimilazione di tutto il passato culturale della moderna civiltà europea. Non si imparava il latino e il greco per parlarli, per fare i camerieri, gli interpreti, i corrispondenti commerciali. Si imparava per conoscere direttamente la civiltà dei due popoli, presupposto necessario della civiltà moderna, cioè per essere se stessi e conoscere se stessi consapevolmente”. M.A. Manacorda [a cura di], Antonio Gramsci. L’alternativa Pedagogica, Editori Riuniti, Roma 2012, pp. 169-171.

Nel deserto morale della dittatura fascista, in Italia emerge con Antonio Gramsci una vera e propria pedagogia dell’impegno, volta all’emancipazione delle classi popolari attraverso la diffusione della cultura e all’acquisizione della consapevolezza dei propri diritti civili e politici. Gramsci individua il nesso pedagogia-politica come chiave di volta per la comprensione della complessità dei problemi della società italiana e detta dal carcere in cui fu a lungo segregato le linee educative per una società più giusta e attenta ai bisogni di acculturazione delle masse21. Negli Stati Uniti, Dewey, erede delle idee espresse dalle grandi correnti filosofiche dell’Ottocento, elabora un modello di filosofia sociale dell’educazione che orienterà per lungo tempo le scelte della pedagogia nel corso del Novecento, diventando un elemento fondante del pensiero contemporaneo22. Dewey nel delineare i tratti della società ideale23, disegna una società aperta, che offra a tutti uguali possibilità di realizzare le proprie potenzialità, priva di barriere di classe, di razza e di territorio nazionale, mobile, ricca di canali distributori dei cambiamenti. Una società siffatta, autenticamente democratica, può realizzarsi solo provvedendo a rendere accessibili a tutti a condizioni eque le necessarie opportunità di crescita intellettuale e quindi un’educazione adeguata24. Essa è una società educante, che ha per 21

A. Gramsci, op. cit., pp. 3-6. Cfr. A. Granese, Introduzione a Dewey, Laterza, Roma-Bari 2001. 23 J. Dewey, Democrazia ed educazione, tr. it., La Nuova Italia, Firenze 1984. 24 “La devozione della democrazia all’educazione è un fatto ben noto. La spiegazione superficiale è che un governo che dipende dal suffragio popolare non può prosperare se coloro che eleggono e seguono i loro governanti non sono educati. Poichè una società demo22

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vocazione l’educazione, perché si regge su una partecipazione convinta ad esperienze condivise e continuamente comunicate, che produce una grande varietà di stimoli a cui un individuo deve rispondere, e la liberazione di capacità personali altrimenti soffocate. Dewey esamina anche le tre filosofie dell’educazione che, elaborate in epoche diverse, hanno dato particolare rilievo al significato sociale dell’educazione, mettendone in rilievo, accanto agli elementi innovativi che ciascuna di esse ha prodotto nella storia del pensiero pedagogico, gli aspetti per cui esse non sono attuali. In particolare, egli ritiene che la filosofia elaborata da Platone sia centrata su un ideale formalmente assai simile a quello da lui esposto ma che sia compromesso nel suo funzionamento, in quanto considera unità sociale la classe piuttosto che l’individuo. Quanto all’individualismo illuministico, esso implicava l’idea di una società vasta come l’umanità del cui progresso l’individuo doveva essere l’organo, ma non era in grado di indicare una istituzione nella quale tale ideale potesse concretamente realizzarsi. Le filosofie idealistiche classiche del 900 hanno individuato nello stato nazionale l’istituzione nella quale realizzare il processo educativo, limitando così la concezione dello scopo sociale ai soli membri della medesima unità politica, e reintroducendo così l’idea della subordinazione dell’individuo all’istituzione. Il paradigma socio-politico viene declinato dai singoli autori con accenti diversi in relazione alla sensibilità e alla collocazione politica di ciascuno, ma presenta dei caratteri peculiari che ne definiscono la tipologia. A fondamento del paradigma è posta la concezione di una pedagogia strettamente legata ad una filosofia politica che indica i fini da perseguire e traccia il percorso da compiere25.

cratica ripudia il principio dell’autorità esterna, deve trovarle un surrogato nelle disposizioni e nell’interesse volontari; e questi possono essere creati solamente dall’educazione. Ma vi è una spiegazione più profonda. Una democrazia è qualcosa di più di una forma di governo. È prima di tutto un tipo di vita associata, di esperienza continuamente comunicata. L’estensione nello spazio del numero di individui che partecipano a un interesse in tal guisa che ognuno deve riferire la sua azione a quella degli altri e considerare l’azione degli altri per dare un motivo e una direzione alla sua equivale all’abbattimento di quelle barriere di classe, di razza e di territorio nazionale che impedivano agli uomini di cogliere il pieno significato della loro attività. […] Una società mobile, ricca di canali distributori dei cambiamenti dovunque essi si verifichino, deve provvedere a che i suoi membri siano educati all’iniziativa personale e all’adattabilità. Altrimenti essi sarebbero sopraffatti dai cambiamenti nei quali si trovassero coinvolti e di cui non capissero il significato e la connessione.”(Idem, pp. 110-112). 25 Cfr. A. Broccoli, Ideologia ed educazione, La Nuova Italia, Firenze 1974.

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LA PEDAGOGIA TRA VOCAZIONE POLITICO-SOCIALE E TENSIONE SCIENTIFICA 11

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La scuola secondo Gentile “Non c’è scuola senza disciplina. La quale si potrebbe definire, a primo aspetto, la condizione della scuola, o l’antecedente prossimo necessario dell’insegnamento scolastico. E dico di quello scolastico, perché un qualsiasi insegnamento è pur possibile senza la disciplina intesa in questo senso empirico di condizione della scuola: nel senso cioè di governo positivo e reale dell’insegnante, o riconoscimento pratico della sua autorità. Ché a tutti noi certamente accade di imparare da persone che incontriamo la prima volta, alle quali non siamo legati da nessun vincolo di soggezione, e da persone sulle quali noi stessi esercitiamo un’autorità: dai nostri sottoposti, fin dai nostri figliuoli, e da tutti i bambini a noi familiari, i quali ci scoprono di continuo con loro atti, parole, o semplici sguardi qualche cosa di nuovo, d’osservabile e d’istruttivo, che viene ad accrescere il patrimonio del nostro sapere, e che, tutti insieme, non c’è ragione di non considerare come una sorta, anch’essa, d’insegnamento. Ma è un insegnare che non sa d’insegnare, e un apprendere che non sa d’apprendere. Non è scuola. La scuola, invece, pubblica o privata, dei maestri o dei genitori, – poiché anche i genitori insegnano sapendo d’insegnare, – presuppone questo riconoscimento pratico dell’autorità del docente, che è la disciplina. G. Gentile, Sommario di pedagogia come scienza filosofica, vol. II – Didattica (1932), Le Lettere, Firenze 2003, p. 27.

Le pedagogie di Hegel, Kant e Marx, ma anche di Dewey e degli italiani Gentile e Gramsci hanno a fondamento finalità sociali ed opzioni politiche e sono “socialmente valutative e […] non vogliono affatto sfuggire all’assunzione e alla universalizzazione (teorica e pratica) di un punto di vista”.26 A partire dal Seicento il declino del paradigma metafisico-religioso è accompagnato dal sorgere di paradigmi diversi che coesistono, intrecciandosi, contrapponendosi l’un l’altro, talvolta completandosi; le vicende sociali e culturali poi determinano, per periodi più o meno lunghi, il predominio dell’uno o dell’altro. Così, al paradigma socio-politico comincia ad affiancarsi già dal Seicento quello scientifico che poi prevarrà nel corso dell’Ottocento col Positivismo. A partire invece dalla seconda metà del Settecento gli se ne affianca in un confronto dialettico uno di tipo antropologico-filosofico, alimentato dalle idee espresse dall’Illuminismo tedesco e da un certo romanticismo. È una concezione pedagogica centrata sulla Bildung, intesa come formazione dell’uomo integrale, fatto di sentimento e ragione. È un paradigma tutto costruito intorno all’uomo e alle sue esigenze spirituali, alle quali va piegata la modernità che, invece, presenta caratteri disumanizzanti ed alienanti.

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F. Cambi, Il congegno del discorso pedagogico, op. cit., p. 45.

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LA FORMAZIONE PEDAGOGICA

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1.3  Verso la costituzione di uno statuto epistemologico Con l’affermazione del Positivismo in Europa nel corso dell’Ottocento, cui si è già accennato, acquista sempre maggiore rilievo in pedagogia il paradigma scientifico che già ha mosso i primi passi nel corso del Seicento con Comenio che, pur intriso di religiosità, valorizza l’osservazione e la ricerca di leggi regolatrici della natura umana su cui fondare l’apprendimento. La filosofia di Cartesio poi spinge decisamente la pedagogia nella direzione di un approccio di tipo razionale al problema educativo anche se in essa è ancora presente un’ontologia tradizionale, espressa dall’innatismo delle idee fondamentali. Alla fine del secolo è l’empirismo di Locke a indirizzare la pedagogia verso l’acquisizione di una metodologia di tipo scientifico, determinando l’avvio del suo conflittuale rapporto con le scienze sperimentali. Locke avvia un profondo rinnovamento della pedagogia attraverso l’adozione di un’ontologia moderna che critica radicalmente la dottrina delle idee innate e l’ontologia cartesiana (Saggio sull’intelligenza umana, 1690) eliminando così l’influenza della predestinazione che ha caratterizzato per secoli la riflessione filosofica. I Pensieri sull’educazione pubblicati da Locke nel 1693 sono, secondo Gusford27, uno dei testi fondamentali del pensiero moderno. L’empirismo di Locke, liberando l’uomo dalla predestinazione, favorisce lo sviluppo di una cultura diversa e la creazione di una società rinnovata, più dinamica, in cui l’intelligenza e l’iniziativa del singolo possono giocare un ruolo decisivo sugli sviluppi della sua condizione sociale ed economica. La posizione di Locke è quella del protestantesimo liberale28che riconosce l’esistenza di una libertà umana del cui buon uso l’uomo è responsabile; tale posizione riprende quella di Pelagio, teologo inglese, che nel V secolo d.C. disputò con Sant’Agostino sostenendo che il peccato originale ha determinato la condanna di Adamo ma non dell’intera specie umana, per cui l’uomo è titolare di una libertà la cui esistenza salva il senso dell’azione morale. La posizione di Pelagio è stata condannata dalla Chiesa ma, a distanza di secoli, ha trovato sostenitori e Locke è uno di essi, seguito da Rousseau che rifiuta il peccato originale. Mentre secondo Sant’Agostino, che si ispira a Platone, il fanciullo non può apprendere se non quello che già sa e l’educazione è la rivelazione di un sapere innato, Locke rifiuta l’idea di pre-formazione e di predestinazione; per lui l’educazione dell’uomo avviene sulla terra, a partire da un grado zero della coscienza psicologica e morale:

27 28

Cfr.G. Gusford, Le scienze umane nel secolo dei lumi, La Nuova Italia, Firenze 1980. Idem, p. 85.

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“Se è vero ciò che ho detto in principio di questo discorso, come non dubito che sia, che le differenze rilevabili nel contegno e nella capacità degli uomini sono, più che ad ogni altra causa, imputabili all’educazione ricevuta, ho ragione di concludere che si deve porre grandissima cura nel formare la mente dei bambini, dandole sin dal principio quell’impronta che dovrà poi avere influenza su tutta la loro vita.”

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J. Locke, Pensieri sull’educazione, tr. it., La Nuova Italia, Firenze 1992, pp. 44-45.

Le idee di Locke diventano patrimonio anche di settori della cultura cattolica apparentemente lontanissimi dalle sue posizioni; i gesuiti, ad esempio, vengono accusati dai giansenisti di semi-pelagianesimo, per la loro fiducia nell’istruzione intesa come strumento di libertà perchè consente all’uomo di operare scelte consapevoli. Nel secolo successivo Rousseau delineerà poi con chiarezza le coordinate della pedagogia scientifica, fissandone l’oggetto formale (il bambino e la sua evoluzione)29 e lo statuto di scienza antropologico-sociale30. Visalberghi31, nell’affrontare il discorso sulla scientificità della pedagogia indica le caratteristiche peculiari di una disciplina scientifica, che sono: una natura empirico-sperimentale e una salda struttura di tipo ipotetico-deduttivo, ma aggiunge che si può parlare di scienza anche quando almeno una delle due caratteristiche è presente, come nel caso della matematica e della logica in cui manca l’aspetto sperimentale o della demografia dove è assente la struttura ipotetico-deduttiva.32 Nel caso delle scienze dell’educazione,

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“[…] Ho preso quindi la decisione di crearmi un allievo immaginario, di suppormi l’età, la salute, le cognizioni e il talento conveniente per accudire alla sua educazione e condurla dal momento della sua nascita a quello in cui, divenuto uomo fatto, non avrà più bisogno di altra guida che se stesso”(J. J. Rousseau, Emilio, tr. it., Laterza, Roma-Bari 2017, p. 69). 30 F. Cambi, Il congegno del discorso pedagogico, op. cit., p. 56. 31 A. Visalberghi, Pedagogia e scienze dell’educazione, Mondadori, Milano 1978; Oscar saggi Mondadori 1990. 32 “Quando diciamo che le scienze sottentrano alla filosofia o che le scienze dell’educazione sottentrano alla pedagogia, usiamo il termine scienza in un significato per cui non potremmo dire che la filosofia stessa, o la pedagogia, sono esse medesime scienze, nel senso di conoscenza di pari attendibilità. Questo significato della parola scienza, intesa come una forma di conoscenza particolarmente garantita, ma non esclusiva, è del resto quello più corrente. Ma chiarirlo non è facile. Qui, per brevità, indicheremo i due elementi caratteristici in base ai quali riconosciamo di solito carattere scientifico ad un complesso di conoscenze. Il primo elemento è metodologico: la scienza si basa su esperienze replicabili che autorizzano a fare sensate generalizzazioni e perciò previsioni. Il secondo elemento è logico-strutturale: una scienza è costituita da un insieme ordinato e coerente di concetti ben definiti, connessi in proposizioni (o ipotesi, o leggi, o relazioni) fondamentali da cui altre sono deducibili secondo regole anch’esse ben definite.”(A. Visalberghi, op. cit., p. 16).

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LA FORMAZIONE PEDAGOGICA

alcune di esse presentano una carente strutturazione teorica ma la presenza di un approccio metodologico di tipo empirico-sperimentale autorizza ad attribuire loro il carattere di scienza. Inoltre Visalberghi riconosce a Rousseau il merito di avere per primo indicato come oggetto della pedagogia lo studio dell’allievo e lo vede come “primo e principale portatore dell’istanza di una psicologia scientifica che illumini l’opera dell’educatore”33, quindi come uno dei precursori della pedagogia scientifica insieme a Pestalozzi, che invece fissa l’attenzione sulla necessità per il docente di possedere strumenti metodologici adeguati ad ottimizzare l’intervento educativo, precorrendo i tempi (dato che nel secolo successivo gli sperimentalisti studieranno scientificamente il problema dei metodi d’insegnamento) e mette in luce l’influenza della condizione sociale di partenza del soggetto sui risultati dell’apprendimento, anticipando una riflessione che sarà adeguatamente sviluppata nel pensiero di Dewey. Le fonti scientifiche dell’educazione “[…] Possiamo con un certo diritto chiamare la pratica educativa una specie di ingegneria sociale, dandole tale nome mettiamo in risalto subito che come arte essa è molto più arretrata delle branche della ingegneria fisica, quali il rilievo topografico, la costruzione dei ponti e delle ferrovie. La ragione è ovvia. Tenuto il debito conto che il tirocinio è meno sistematico per le persone che si occupano dell’arte dell’educazione, rimane il fatto rilevante che le scienze, cui attingere per fornire il contenuto scientifico all’opera di colui che esercita l’educazione, sono esse stesse meno mature di quelle che forniscono il contenuto intellettuale dell’ingegneria. Le scienze umane che sono le fonti del contenuto scientifico della educazione – la biologia, la psicologia, e la sociologia – per esempio, sono relativamente arretrate a confronto della matematica e della meccanica. […] Non è solo la pratica che ha sofferto a cagione dell’isolamento degli studiosi delle discipline sociali e psicologiche dagli avvenimenti che si verificano nelle scuole. L’indifferenza verso quest’ultime, il disprezzo intellettuale mal celato per esse, ha rafforzato indubbiamente nelle scuole la diffusione del convenzionalismo e della abitudinarietà delle opinioni contingenti […]. A questo punto, è particolarmente significativo il fatto che i sistemi educativi siano una fonte dei problemi della scienza dell’educazione piuttosto che del suo contenuto vero e proprio. Un adeguato riconoscimento che la fonte del contenuto realmente scientifico si trova in altre scienze costringerebbe al tentativo di impossessarsi di ciò che esse possono offrire.” J. Dewey, Le fonti di una scienza dell’educazione, tr. it., La Nuova Italia, Firenze 1951, pp. 27-28.

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A. Visalberghi, op. cit., p. 18.

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Ma è col Positivismo che nasce una vera e propria pedagogia scientifica legata alla fisiologia, alla teoria dell’evoluzione, alla sociologia, in grado di avviare processi di analisi sperimentale dei modelli educativi proposti. In questo periodo storico si compie un processo di rinnovamento soprattutto metodologico, applicando alla pedagogia il metodo galileiano fondato sulla sequenza: individuazione delle grandezze significative di un fenomeno-osservazione-formulazione di un’ipotesi o modello interpretativo del fenomenovalidazione del modello. L’applicazione del metodo è una spinta al rinnovamento, perché attiva procedure di analisi dei dati sperimentali producendo così nuova conoscenza. Si inizia a parlare di misurazioni nel campo della valutazione scolastica, innescando processi che innalzano il livello di competenza degli operatori pedagogici. Il paradigma scientifico, pur con i suoi limiti, ha alimentato, attraverso una folta schiera di autori, un vasto movimento di idee ed ha consentito di costruire una metodica di indagine dei fenomeni educativi che è ormai acquisita. Rispetto ai contenuti, il sapere pedagogico si è articolato in più discipline, scienze dell’educazione, che concorrono, da angolazioni diverse, allo studio e alla soluzione dei problemi educativi scaturiti dalle esigenze formative di una società in rapida evoluzione, fortemente caratterizzata sul versante delle innovazioni tecnologiche che richiedono, per essere consapevolmente gestite, un ampliamento di conoscenze in ambiti nuovi mentre inducono cambiamenti profondi nella condizione dell’uomo che vanno analizzati con strumenti idonei a comprenderne la portata per poterli dominare e indirizzare correttamente. Alla pedagogia come sapere depositario dei problemi inerenti l’educare si sono affiancati saperi specializzati che autonomamente, con tecniche e strumenti d’indagine propri, analizzano aspetti e settori diversi dei fenomeni che innervano l’attuale società complessa. Le diverse discipline che concorrono a formare le scienze dell’educazione si sono poi ramificate suddividendosi a loro volta in settori specifici per indagare adeguatamente i problemi che ogni acquisizione nuova fatalmente pone, spostando in avanti l’orizzonte della conoscenza. Alla pedagogia, nello scenario rinnovato delle scienze dell’educazione, è assegnato il ruolo fondamentale, come filosofia dell’educazione, di riflessione filosofica “che come epistemologia (= rigorizzazione logico-scientifica e filosofia del discorso) e come axiologia ( = scelta dei valori-guida per l’elaborazione pedagogica ed educativa) si dispone quale frontiera imprescindibile di ogni esercizio o comprensione del discorso pedagogico nella sua interezza”34. 34

F. Cambi, Storia della pedagogia, Laterza, Roma-Bari 1995, p. 498.

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LA FORMAZIONE PEDAGOGICA

L’articolazione della pedagogia in scienze dell’educazione è avvenuta con difficoltà, superando resistenze dei settori più tradizionali della disciplina stessa che hanno esposto timori e critiche, anche fondate35, sui rischi di dissolvere la complessità del sapere pedagogico privilegiando procedure empiriche e trascurando il lavoro critico-ermeneutico che è a fondamento della conoscenza in pedagogia. Il nuovo assetto delle scienze dell’educazione che ha assegnato alla pedagogia, attraverso la filosofia dell’educazione, un ruolo centrale, è stato “l’evento epocale della pedagogia contemporanea, che ne ha mutato l’identità e la portata, che ne ha caratterizzato la crescita e l’autocomprensione come sapere e come prassi”.36 La nuova pedagogia ha assunto connotazioni più legate alla sfera dell’esperienza37, della concretezza, si è aperta al contributo di altre scienze riorganizzandosi dal punto di vista teoretico. Nell’ambito del dibattito pedagogico italiano contemporaneo la valenza educativa dell’esperienza ha trovato conferme nelle ricerche sul rapporto pedagogia-biologia avviate pioneristicamente a partire dagli anni ’60 da Elisa Frauenfelder. La grande Maestra della pedagogia italiana contemporanea si sofferma sul rapporto tra sviluppo naturale e comunicazione simbolico-culturale e 35

“[…]Così come si sono andate costituendo, le scienze dell’educazione hanno portato nella direzione di una proliferazione selvaggia di discipline, che, se da un lato potevano portare a un arricchimento e a un approccio più comprensivo, per il modo in cui sono state concepite, hanno portato solo frantumazione, confusione e crisi di identità. L’interdisciplinarità (brutta parola ormai troppo logora e usurata, per cui sarebbe meglio dire lo scambio critico con altre discipline), di cui la pedagogia ha particolarmente bisogno, non può continuare ad essere intesa come un ritagliare dagli altri saperi uno spazio angusto; lo spazio di ciò che è direttamente e visibilmente, ma a volte anche superficialmente e niente affatto radicalmente, pedagogizzabile. Dunque il problema non è quello di ritornare in qualche modo ad un sapere panpedagogico, chiuso agli altri saperi, ché, anzi, proprio alle scienze dell’educazione può essere fatto l’addebito di aver pedagogizzato il sapere, i saperi, cioè di volere un rapporto con le altre discipline pilotato, garantito a priori e, come tale, spesso angusto e inautentico, mentre la riflessione generale e integrale sulla formazione, se è seria, dovrebbe cercare il rapporto aperto e critico con gli altri saperi, essere in continua tensione dialettica con le altre discipline di cui ricerca i significati pedagogici, mettere a confronto criticamente assunti teorici, approcci metodologici e ricadute pratiche e non limitarsi a quest’ultimo aspetto, cioè non accontentarsi di essere la dimensione applicativa di teorie altrove formulate e mai messe in questione. È questo il modo inautentico e fuorviante di pedagogizzare il sapere, ed è anche questo che rende la pedagogia marginale e afflitta da cronica crisi d’identità e di inferiorità […].” (R. Fadda, Sentieri della formazione, Armando, Roma 2002, p. 15). 36 F. Cambi, Storia della pedagogia, op. cit., p. 499. 37 Cfr. E. Frauenfelder, La prospettiva educativa tra biologia e cultura, Liguori, Napoli 1987; Pedagogia e biologia, una possibile , Liguori, Napoli 1996; Le scienze bioeducative, a cura di, con F. Santoianni, Liguori, Napoli 2002; Introduzione alle scienze bioeducative, con F. Santoianni e M. Striano, Laterza, Roma-Bari 2004.

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sul peso che tale dialettica assume nella stabilizzazione delle modalità di rapportarsi del cervello con il mondo. Frauenfelder ritiene che l’esperienza sia lo strumento di raccordo tra condizionamento biologico e flessibilità apprenditiva: è l’esperienza che consente al soggetto di mettere in atto le potenzialità neuronali geneticamente possedute. Tali studi sono in sintonia con la prassi pedagogica di tipo scientifico interessata ad elaborare teorie di supporto alla ricerca sperimentale, che ha in Dewey un esponente di assoluto rilievo38. Da un’analisi del cammino secolare del paradigma scientifico emerge con forza la scientificità difficile della pedagogia. La difficoltà è essenzialmente legata alla complessità del discorso pedagogico e alla molteplicità dei suoi aspetti che ne rendono impossibile l’incasellamento in modelli interpretativi globali come quelli tipici delle scienze sperimentali. La scientificità difficile esige, per essere risolta, un approccio epistemico al sapere pedagogico, teso a fissarne le strutture trascendentali.39 38

Il problema del fondamento scientifico della pedagogia viene affrontato lucidamente da Dewey: “[…] La scienza dell’educazione non può essere costruita semplicemente col prendere a prestito le tecniche di sperimentazione e di misura che troviamo nella scienza fisica. Questo sarebbe possibile soltanto se si fosse riusciti in qualche modo a esprimere i fenomeni mentali e psicologici in termini di unità di spazio, tempo, moto e massa. […]. Le fonti della scienza dell’educazione sono costituite da porzioni qualsiasi di conoscenza accertata che entrano nel cuore, nella mente e nelle mani degli educatori e che, entrandovi, rendono l’esplicazione della funzione dell’educazione più illuminata, più umana, più schiettamente educativa di quanto fosse prima, ma non v’è modo di scoprire che cosa sia più fuorché mediante la continuazione dell’atto educativo stesso. La scoperta non è mai effettuata; è sempre in corso. Può contribuire ad un immediato sollievo o ad una momentanea efficienza la ricerca di una risposta alle domande che sono al di fuori dell’educazione, in mezzo a materiale che già abbia un prestigio scientifico. Ma una tale ricerca corrisponde ad una abdicazione, ad una resa. In ultima analisi, essa non fa che diminuire le probabilità che l’educazione, nella sua effettiva azione, riesca a fornire i materiali per una scienza migliorata. Essa arresta lo sviluppo, impedisce il pensare che rappresenta la fonte originaria di ogni progresso. L’educazione è per sua natura un circolo o una spirale senza fine. È un’attività che include in sé la scienza. Nel suo processo essa pone sempre nuovi problemi che richiedono ulteriori studi, che a lor volta reagiscono sul processo educativo per modificarlo ancor di più, e in tal modo richiedono maggior pensiero, più vasta scienza e così via, in perpetua successione.”(J. Dewey, Le fonti di una scienza dell’educazione, op. cit., p. 15; pp. 57-58). 39 “L’avvicinamento della pedagogia al modello scientifico del sapere è avvenuto attraverso un itinerario complesso e niente affatto omogeneo e lineare. All’interno di questo percorso ci sono state infatti fasi di arresto, deviazioni e contestazioni, come pure un allineamento più o meno critico ai criteri di scientificità vigenti nel sapere più esplicitamente connotato in senso sperimentale e logico-matematico, a seconda delle tappe di crescita della conoscenza scientifica. […] La sua crescita scientifica è stata pertanto contraddistinta da un andamento schizoide, che tende a realizzare una adesione ai principi della scienza tout court, invocando un adeguamento a forme più illustri e fondate di sapere (le scienze naturali), ma anche fa agire

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LA FORMAZIONE PEDAGOGICA

Ma, nonostante le difficoltà d’uso e i limiti mostrati, il paradigma scientifico ha consentito alla pedagogia, oltre ad un affrancamento dai vincoli metafisici e socio-culturali, l’acquisizione di una metodologia di analisi improntata ad un principio di rigore sperimentale e la consapevolezza della sua capacità di risolvere i problemi, una volta storicizzati e collocati in ambito tecnico.

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1.4  La formazione, categoria reggente della pedagogia Nel corso degli ultimi trent’anni ha avuto inizio, sotto l’influenza delle filosofie analitiche ed in risposta ad una crisi d’identità della pedagogia, sempre in bilico tra filosofia e scienza, una riflessione teorica sulla struttura del discorso pedagogico e sui suoi elementi costitutivi. È andato così sviluppandosi un paradigma epistemologico-metateorico che coinvolge vari gruppi di ricerca di diversi paesi e che sembra rispondere, attraverso una rilettura e sistemazione organica del sapere pedagogico, all’esigenza di offrire un ancoraggio stabile ad una conoscenza disciplinare così frammentata e insicura come la pedagogia attuale. Il paradigma è ancora in fieri perché la riflessione teorica in campo pedagogico presenta, come in tutte le scienze umane, caratteri di maggiore difficoltà rispetto alle scienze fisiche e naturali per la complessità e problematicità del proprio oggetto. Alcuni gruppi di studio hanno teorizzato per la pedagogia, anche se con accenti diversi, lo statuto di scienza empirica dell’educazione, che presenta i caratteri dell’interdisciplinarietà – perché legata alle altre scienze umane-, della sperimentazione e del controllo metodologico. Tale ricerca sembra muoversi nella direzione indicata da Piaget che ha auspicato anche per la pedagogia un’evoluzione in linea con i progressi della psicologia dell’età evolutiva e della sociologia legati all’uso del metodo sperimentale.40 un ricorrente sospetto verso la riduzione del sapere pedagogico a solo sapere scientifico […]. L’adesione è avvenuta sia per ragioni intrinseche sia per sollecitazioni estrinseche. È stata la presa di coscienza di una subalternità, di una genericità, di una “cattiva” praticità del sapere pedagogico, connessa alla sua povertà logico-epistemologica, che ha spinto la pedagogia a saldarsi agli statuti più solidi del sapere scientifico, ai suoi principi epistemologici […]”(F. Cambi, Il congegno del discorso pedagogico, op. cit., p. 52). 40 “[…] si è affermata, come una tendenza fondamentale e irreversibile, la elaborazione di una pedagogia scientifica che si salda ai risultati/scoperte delle varie scienze delle quali è tributaria e ne assimila, sempre più intimamente, i principi metodologici. La pedagogia in breve diventa scientifica, si organizza come ricerca assumendo un habitus sperimentale rivolto a fissare una dimensione nomologica che permette la spiegazione e anche la previsione dei fenomeni educativi. L’ideale di una pedagogia sperimentale viene, come abbiamo già ricordato, da lontano, almeno dalla fine del secolo scorso, ma ha subìto negli ultimi dieci-venti anni, pur tra tante tempeste, un’accelerazione eccezionale e un’affermazione (pur contrastata) pressochè

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Contributi all’elaborazione di una scienza empirica dell’educazione sono stati portati da Brezinka, Visalberghi, De Bartolomeis, Laporta che, unitamente ad altri hanno indagato gli aspetti logici, quelli metodologici, i contenuti e i requisiti che devono caratterizzare una disciplina così definita. In particolare Laporta41 ha messo in rilievo la necessità per la pedagogia di evidenziare i propri nessi con le scienze del comportamento laddove queste si occupano di educazione, stabilendo la propria area di competenza, e la propria specifica visuale del fenomeno, senza lasciarsi attrarre dalla tentazione di una sua lettura in chiave ideologica42. Brezinka invece, dopo aver ricordato che vanno accettate come conoscenza scientifica solo le asserzioni controllabili, quindi confutabili o validabili da osservazioni condotte su dati empirici, chiarisce che il motivo per cui è difficile per la pedagogia accreditarsi come scienza risiede nel suo carattere di disciplina valutativa. La pedagogia tradizionale infatti comprende anche “giudizi di valore, asserzioni su fatti, richieste concernenti il dover essere”43, ha in sé incorporata una ideologia, una visione del mondo, e come tale non possiede i requisiti di sapere scientifico ma svolge nella società una funzione che non può essere svolta da una scienza empirica dell’educazione. Propone allora di sostituire alla forma tradizionale di pedagogia una tripartizione della disciplina in: una scienza empirica dell’educazione, una filosofia dell’educazione ed una pedagogia pratica, ciascuna con un proprio metodo d’indagine (scientifico, filosofico, pratico) e con un peculiare campo d’azione. universale. Buona parte della pedagogia è oggi risolta in ricerca educativa (o pedagogica), in indagini sperimentali, metodologicamente accorte, su problemi specifici, dalla soluzione dei quali, e attraverso il loro raccordo, si tende a fissare un orizzonte scientifico di tutta la problematica educativa, una scienza dell’educazione che investa – sperimentalmente – l’apprendimento e i suoi fattori costitutivi (dalla motivazione al feedback), la socializzazione infantile e giovanile, l’organizzazione scolastica, la didattica delle varie materie, etc.”(Idem, p. 75). 41 Cfr. R. Laporta, La difficile scommessa, La Nuova Italia, Firenze 1975; L’assoluto pedagogico. Saggio sulla libertà in educazione, La Nuova Italia, Firenze 1996. 42 “Empirica dunque si definisce la nuova scienza – come d’altronde appare da tutto quanto si va dicendo – nel senso che dal terreno teoretico e da quello teorico (di teorie elaborate con metodologie scientifiche non empiriche) intende assumere un insieme di topoi da riconsiderare con procedure nuove per essi, e ispirate a modelli che – come che si voglia poi giudicarli – sono quelli originariamente elaborati con successo nell’ambito delle discipline classificabili come empiriche per le metodologie utilizzate. Il successo che ci si attende dovrebbe consistere nel trovare o porre un ordine, una coerenza accettabile da tutti (indipendentemente da ogni assunzione ideologica su un qualsiasi senso del mondo) nella realtà in cui operiamo quando diciamo di educare: coerenza intesa come un ulteriore fattore di efficacia.” (R. Laporta, L’assoluto pedagogico, op. cit., p. 93). 43 W. Brezinka, Metateoria dell’educazione, Armando, Roma 1980, p. 25.

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LA FORMAZIONE PEDAGOGICA

La scienza empirica dell’educazione che emerge allo stato attuale dai contributi citati è fondata metodologicamente sulla ricerca sperimentale e tende all’elaborazione di teorie dell’educazione44 che guidano una progettazione educativa fondata su teorie dell’apprendimento e sullo studio degli aspetti motivazionali del comportamento. Suo elemento peculiare è il costante controllo dei suoi metodi, delle sue procedure, degli strumenti adoperati, e dei suoi scopi, sottoposti a continue analisi, critiche, revisioni, in sintonia con il procedere di ogni disciplina connotata come scientifica. È attiva anche una corrente di studio su una filosofia dell’educazione capace di attuare una riflessione approfondita sulla struttura del sapere pedagogico, sui suoi fini, sulla sua fenomenologia. Una tale filosofia si connota come pensiero critico, è esercizio di una critica radicale sull’oggetto della pedagogia, sulla sua strutturazione logica, sul suo linguaggio, sui modelli che adotta, tesa sia a ricercare il senso della pedagogia che a fissarne le regole interne. Nell’ultimo ventennio diversi gruppi di ricerca hanno fornito un contributo importante alla riflessione sul senso del sapere pedagogico, indagato a partire da una molteplicità di angoli visuali e di approcci metodologici. 44

Riflette a tal proposito Enza Colicchi Lapresa: “La proposta – quale viene avanzata da R. Laporta – relativa all’istituzione di una teoria dell’educazione che assume l’indagine di quelle tematiche – concernenti il significato dell’educazione, le finalità, le possibilità ed i limiti dell’intervento e del rapporto educativi – fin qui di pertinenza prevalentemente filosofica e/o ideologica, e miri a sottoporre al controllo di una forma di conoscenza empirica taluni termini centrali del processo dell’educazione intenzionale, fa appello ad argomenti disparati e adduce giustificazioni di varia natura. Essa, in linea generale, riconosce all’educazione uno dei fattori primari di ogni possibile cambiamento della società e delle sue forme di sopravvivenza e, da qui, passa ad affermare la assoluta necessità di (R. Laporta, La via filosofica alla pedagogia, in Bollettino della Società Filosofica Italiana, 90-91, 1975, p. 33). Accanto a questa proposizione generale vengono avanzate argomentazioni diverse: si sottolinea l’inadeguatezza, da parte della riflessione filosofica sistematica, a rendere conto dell’effettiva realtà dell’educazione, nella specificità e particolarità dei suoi aspetti e realizzazioni; si denuncia la gestione dei valori educativi da parte di forze di natura ideologica e assorbente; si lamenta l’indebita assunzione ed invasione di campo della ricerca educativa ad opera delle altre scienze umane; si adducono, infine, le ragioni di un (R. Laporta, Educazione e scienza empirica, RAI-DSE, Roma 1980, p. 42). In ogni caso, però, il progetto di una teoria empirica dell’educazione si basa e si istituisce su di un atteggiamento favorevole e fiducioso nei confronti della scienza […]. Accade, allora, che la proposta di una costruzione di una teoria empirica dell’educazione – qualunque possa essere la sua articolazione ed elaborazione – inevitabilmente rimandi e riferisca a considerazioni e giudizi che investono insieme la scienza e la filosofia in quanto attività conoscitive in qualche modo ‘istituzionalizzate’. Ed accade, pure, che tali considerazioni e giudizi tendano a radicalizzare – secondo schemi stereotipati ed assoluti – le due attività e ad interpretarne il rapporto in senso irriducibilmente antinomico, di opposizione ed esclusione reciproca.” (E. Colicchi Lapresa, Linee di una teoria dell’educazione, Herder Editore, Roma 1984, pp. 31-35).

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Da una così ampia base di riflessione sulla pedagogia, a cui hanno dato il loro apporto tutte le attuali correnti della filosofia contemporanea, dal pragmatismo alla filosofia analitica, a quella dialettica, strutturalistica, all’ermeneutica, ciascuna delle quali ne ha illuminato un aspetto, emerge il quadro di un sapere “articolato e dismorfico, sempre in tensione tra uso ideologico, rigorizzazione formale e metodologia, instaurazione di modelli per pensare /volere il futuro: è scienza si, ma critica e progettuale. Critica nel senso di attentamente autocritica, capace di leggersi oltre ogni reductio scientistica. Progettuale nel senso di proiettata verso il futuro e la sua ideazione/prefigurazione/scelta, attraverso la costruzione di modelli (di uomo, di cultura, di società)”45. La filosofia dell’educazione è inoltre impegnata sul versante axiologico della pedagogia, quindi nel definire rigorosamente l’universo dei valori che la connotano e che contribuiscono a stabilizzarne il senso. Il secolare percorso della pedagogia converge verso alcuni valori-guida che riguardano il soggetto e la sua formazione sia come individuo che come essere sociale. Essi sono: la libertà, l’eguaglianza, l’emancipazione, la differenza, la comunicazione e la responsabilità. Sono i valori che indicano il percorso, hanno in sé anche una carica di utopia, categoria sempre connaturata alle scelte valoriali, perché funzionale alla progettazione di percorsi concreti tesi a realizzarle, alla tensione etica verso un fine. La riflessione filosofica ha individuato con Habermas, all’interno di un tale panorama di valori, il ruologuida che l’emancipazione assolve nelle scienze umane che per loro natura tendono ad emancipare l’uomo, offrendogli gli strumenti per riconoscere e quindi superare i condizionamenti posti da se stesso, talvolta inconsciamente, e dal sistema sociale, al dispiegamento delle proprie potenzialità. La pedagogia, tra le scienze umane, è quella con maggiore valenza emancipativa. Infatti, se l’emancipazione è il valore-guida per le scienze umane, esso è il vero principio regolatore per la pedagogia che pone al centro della sua prassi il rapporto educativo teso alla formazione e quindi all’emancipazione del soggetto. Il rapporto educativo è intersoggettivo ed è centrato sul dialogo, canale insostituibile di comunicazione e di scambio razionale ed emotivo tra due individui, collettore di razionalità, di emozioni, di conoscenze, in una parola del processo di formazione, esito finale dell’emancipazione dell’individuo fatto persona.

45

F. Cambi, Manuale di filosofia dell’educazione, Laterza, Roma-Bari 2000, p. 36.

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LA FORMAZIONE PEDAGOGICA

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La centralità della categoria “formazione” oggi “[…] La formazione, prima di tutto. È un concetto decisivo per la pedagogia e lo è stato nella sua storia. Di formazione (umana dell’uomo) parlava la paideia greca che legava tale processo all’assimilazione della cultura (fosse poi incardinata sulla filosofia o sulla retorica), l’humanitas dei latini e le humaniora degli umanisti, come pure la paideia Christi medievale e poi la Bildung tedesca. Formazione umana è un processo di oggettivazione di sé nella cultura, è un universalizzarsi uscendo da sé, ma è anche un riportare a sé tutta questa produzione dell’uomo, per riviverla, appropriandosene, per operare su di essa una sintesi vitale che diviene la forma del soggetto. Tra cultura e cura sui si scandisce questo processo che non è mai e affatto lineare, evolutivo, quanto animato da tensioni e rotture, inversioni e catastrofi, strutturazioni e decostruzioni, operante con una logica poietica (e estetica), piuttosto che esplicativa e tecnica: potremmo dirla connessa alla circolarità e non-conlusività dell’interpretazione […]. Oggi però tale categoria si trova sottoposta a una serie di slittamenti semantici, a una serie di torsioni di significato che inquietano la riflessione pedagogica e reclamano una messa-a-punto della categoria. Ed è ciò che sta avvenendo, e- potremmo dire- di necessità. Infatti, la categoria della formazione ha avuto e sta avendo un forte rilancio oggi, ma per vie ormai lontane (anzi contrarie) dalla pedagogia. È stato il farsi più flessibile, più mobile al proprio interno, più inquieto e incerto, più fondato sull’innovazione del mercato del lavoro che ha posto al centro tale problema, ma in direzione economico-sociologica […]. Formazione qui vale come formazione professionale nuova, aperta e plastica, anche più colta, ma pensata da e per il mercato del lavoro. […] Se un risultato positivo è stato ri-pensamento della professionalità e dell’educazione professionale […] un risultato invece, meno convincente, anzi più equivoco, è stata l’espropriazione fatta alla pedagogia di tale categoria, che è stata de-pedagogizzata, ma così anche ridotta, anche dei suoi significati più alti e più nobili, e anche semanticamente più densi, culturalmente più incisivi, per farla vivere in una accezione meramente tecnica […]”. F. Cambi, Manuale di filosofia dell’educazione, op. cit., pp. 158-159

La filosofia dell’educazione, forte della sua attitudine meta-riflessiva, funziona da “dispositivo cognitivo di controllo” sui saperi della pedagogia, fissandone lo stemma epistemico e ponendolo nella “complessità del suo discorso, complessità che […] anche fissa gli ambiti in cui questo processo di interpretazione e di rigorizzazione del sapere pedagogico si articola”46. Inoltre “La sua specificità è di pensare la pedagogia alla luce del suo (la formazione)”.47 Quindi la formazione è una categoria reggente della pedagogia, anzi è il suo volano di senso. 46 47

Idem, p. 6. Idem, p. 8.

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LA PEDAGOGIA TRA VOCAZIONE POLITICO-SOCIALE E TENSIONE SCIENTIFICA 23

Non si può pensare la pedagogia senza pensare anche la formazione che le è strettamente connessa e che ne ha accompagnato la storia, assumendo di volta in volta connotazioni modellate sui contesti culturali relativi alle varie epoche, dalla paideia greca alla Bildung tedesca ed oltre. Cambi ricorda come i teorici della Bildung abbiano chiarito il carattere processuale della formazione legandola all’io-individuo e rimarcandone la crescente centralità nella “società degli individui che ha contrassegnato, sempre più nettamente, la Modernità”.48 Oggi il concetto di formazione è diventato centrale nel contesto di una società ad elevata densità di conoscenza come quella a tecnologia avanzata in cui viviamo. Così la pedagogia si trova davanti a nuovi problemi legati sia allo snaturamento del concetto di formazione nelle accezioni, culturalmente riduttive, del mercato del lavoro, sia all’apertura di ulteriori temi di riflessione sul processo di formazione aperti dalla sua estensione ad un ambito più scientifico e pragmatico, che possono aiutare a coglierne più compiutamente la costitutiva pluralità.

48

Idem, p. 158.

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ITINERARI PEDAGOGICI E MODELLI FORMATIVI 2.1  Dalla paideia al post-Romanticismo Oggi la formazione appare il concetto più importante; esso comprende in sé educazione, che ha valenza conformativa, e istruzione, che copre solo parte delle attività educative. Formazione è un termine antico; esso affonda le radici nello sviluppo della civiltà greca che elaborò il concetto di paideia, intesa come processo di formazione dell’uomo ideale capace di realizzare la propria umanità secondo valori universali. L’idea di un uomo che si realizza tendendo ad un modello di umanità intrisa di valori universali è un aspetto peculiare della civiltà greca che diventerà patrimonio della civiltà occidentale1. Nel corso della civiltà greca si sono avvicendate diverse forme di paideia, ispirate ciascuna al modello ideale di uomo espresso dalla società e cultura dell’epoca. In Omero troviamo una prima paideia, aristocratico-guerriera, tesa

1 “Se la nozione di paideia va ricercata già nelle fasi più remote della cultura greca, toccando la cultura dei medici come poi quella dei tragici e infine quella dei filosofi, è però nell’età dei Sofisti e di Socrate che essa si afferma in modo organico e dispiegato e segna il passaggio – esplicito – dall’educazione alla pedagogia, da una dimensione pragmatica a una teoretica dell’educare, che si delinea secondo i caratteri universali e necessari della filosofia. Nasce la pedagogia come sapere autonomo, sistematico, rigoroso; nasce il pensiero dell’educazione come episteme, e non più solo come ethos e come praxis. La svolta sarà determinante per la cultura occidentale, in quanto rielabora a un livello più alto e complesso i problemi dell’educazione e li affronta oltre ogni localismo e determinismo culturale e ambientale, in un processo di universalità razionale; e metterà in circolazione quella nozione di paideia che ha sostenuto per millenni la riflessione educativa, rielaborandosi come paideia cristiana, come paideia umanistica e poi come Bildung.” (F. Cambi, Storia della pedagogia, op. cit., p. 59).

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LA FORMAZIONE PEDAGOGICA

alla formazione degli aristoi o guerrieri2. Con i sofisti si delinea un’idea di paideia capace di realizzare una formazione politica mediante il controllo e il possesso dello strumento linguistico. Nella civiltà ellenistica invece emerge con forza il nesso uomo-cultura come elemento fondante di una paideia che è formazione di un uomo completo, profondamente etico, intriso di filosofia, cultore delle humanae litterae; una paideia che tende ad un ideale di uomo de-storicizzato, de-politicizzato, alla ricerca di un equilibrio spirituale interiore, che trova la propria universalizzazione nella cultura. Caratteristica che accomuna le diverse forme di paideia elaborate nel mondo greco è l’idea forte della formazione come processo aperto, mai concluso verso un modello ideale, a cui l’uomo deve tendere con un atteggiamento attivo, che richiede una grande disciplina interiore sorretta dall’intelligenza e dalla volontà, infatti “[…] La paideia è formazione di un uomo secondo un’idea che tende a de-storicizzarlo, ad universalizzarlo, a renderlo sintesi vissuta e punto di convergenza di tutto un universo (articolato) di cultura. E i Greci trasmettono alla civiltà occidentale questa idea di uomo modellato su un ideale, che si fa sintesi viva e autonoma del mondo, che coglie il proprio senso e valore in un processo di universalizzazione; idea che costituisce uno degli aspetti più originali, più costanti e determinanti di tale civiltà e radica in essa, già a livello antropologico, la nozione di libertà. La paideia fu, quindi, nozione squisitamente greca e, di qui, occidentale, idea antropologica e culturale insieme, che si pone al punto di intersezione tra due “domini”, caratterizzandosi in senso dinamico e deontologico (quindi etico), da un lato, e in senso “oggettivo”, istituzionale, dall’altro. La paideia si caratterizza così come processo ideale di un rapporto tra individuo, cultura e mondo (naturale e sociale), ma anche è processo di educazione che si compie nello spazio e nel tempo, nella società, nelle sue istituzioni […]”3. La riflessione dei greci sul concetto di paideia ci ha consegnato inoltre, nel modello dominante, quello socratico, l’idea della formazione come processo culturale, quindi condotto dall’uomo attraverso l’esercizio del pensiero che riflette su se stesso, e su se stesso nel mondo, per giungere alla formulazione di concetti universali e all’adesione convinta ad un modello etico generale. Il binomio formazione-cultura può sintetizzare il senso profondo della paideia classica, che ha pensato l’educazione dell’uomo come formazione, come processo sempre aperto di costruzione di un uomo universalizzato, tracciando il solco in cui la pedagogia occidentale si è incamminata. Così, 2

F. Cambi, I grandi modelli della formazione, in F. Cambi, E. Frauenfelder [a cura di], La formazione. Studi di pedagogia critica, Unicopli, Milano 2000, p. 39. 3 Idem, p. 38.

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ITINERARI PEDAGOGICI E MODELLI FORMATIVI 27

per secoli la formazione ha conservato il significato di processo di crescita di un soggetto immerso nella cultura del suo tempo, da cui raccoglie gli stimoli per il suo sviluppo interiore, per la costruzione piena di sé nel mondo; il Cristianesimo e il Rinascimento hanno solo modificato, arricchendoli di contenuti nuovi, i modelli di riferimento del processo formativo elaborato nel mondo classico, lasciandone inalterata la struttura. Il Seicento, secolo di rottura di tanti equilibri, determina una crisi profonda della paideia rinascimentale intesa come processo formativo dei giovani delle classi privilegiate secondo le norme di un estetismo classicheggiante. Nel nuovo clima culturale alimentato dal mito della scienza e dell’empirismo in campo filosofico, a cui corrisponde una società più moderna, più aperta ai traffici e al commercio, non è più attuale un modello pedagogico aristocratico, di stampo classico, basato su una cultura umanistica e priva di concretezza. Locke nei Pensieri sull’educazione afferma l’assoluta inutilità dell’insegnamento come è praticato all’epoca in Europa. Nel Settecento la crisi del modello umanistico si approfondisce perché il sistema dei valori che si afferma nell’età dei Lumi non può accettare un ideale pedagogico contemplativo né l’egoismo di classe che lo anima; la nuova società richiede la formazione di cittadini capaci di contribuire al progresso. È avvertita la necessità di integrare il settore pedagogico nella vita sociale; di provvedere ad un programma di istruzione pubblica generalizzata, di formazione civile, tesa a cementare la coesione della società e delle istituzioni sociali. In Francia e nei paesi cattolici la nazionalizzazione dell’insegnamento è legata alla sua secolarizzazione e il dibattito pedagogico si colloca nella crisi aperta dalla espulsione dei gesuiti donde una passione e un’urgenza che non esistono allo stesso titolo nei paesi protestanti.4 Kant espone la sua pedagogia in una serie di lezioni tenute a Konigsberg nel 1776 in cui spiega che l’educazione del cittadino di una nazione deve essere allo stesso tempo educazione dell’uomo come membro della universale comunità umana. È la posizione di un nuovo umanesimo, attento alla formazione dell’uomo, condivisa da Herder. Poi Schiller, alla fine del secolo, sostiene una posizione che anticipa l’idealismo ed apre ad un nuovo modello di paideia, la Bildung, affermando che ogni individuo porta in sé un puro ideale di uomo coincidente con lo Stato che è la forma in cui tende a riunificarsi la varietà dei soggetti5. 4

G. Gusford, op. cit., p. 98. F. Schiller, Lettere sull’educazione estetica dell’uomo, lettera quarta, tr. it., Sansone, Firenze 1927, pp. 14-15. 5

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LA FORMAZIONE PEDAGOGICA

La Bildung è un modello di formazione a matrice neoumanistica che si afferma nell’Ottocento in Germania ed affonda le sue radici nella reazione romantica alla visione illuministica dell’uomo immerso nel sociale, intriso di scienza e di tecnica, pragmatico. La matrice filosofica della Bildung è di stampo idealistico ed è Hegel che ne compie l’elaborazione più completa. Cambi6 disegna il percorso di crescita, di arricchimento, di sviluppo del modello formativo della Bildung maturato in Germania attraverso il contributo di pensatori di diversa estrazione e formazione, da Marx a Dilthey, ad esponenti dello storicismo come Simmel, passando per Herbart, Schopenhauer, Schleierrmacher, Nietzsche. Ne segue poi gli sviluppi nel Novecento in Italia, dove affiora limpidamente nel pensiero pedagogico di Banfi che vede la formazione come un processo spirituale attuato nella cultura, e nel pensiero di Gramsci che vede nella cultura lo strumento per realizzare la formazione dell’individuo-persona e nella scuola il luogo in cui tale processo può concretarsi: 7 “[…] La Bildung è stato un modello per pensare la formazione, questa categoria reggente del pedagogico, ma anche sfuggente, complessa e sottoposta spesso a forti amputazioni, a rischiosi rattrappimenti e che solo una riflessione filosofica – e questa è la prima lezione che ci viene dai pedagogisti della Bildung – permette di ben possedere e ben controllare. È stato un modello articolato che ha operato in profondità nella pedagogia contemporanea, secondo linee diverse, ma sempre ben riconoscibili. Si è trattato di un modello contro, prima di tutto: contro le pedagogie tecniche, parziali, separate dall’antropologia e risolte in chiave sociologica o politica o scientifica […]. La Bildung ha dato alla pedagogia un modello per pensare la formazione centrandola sul soggetto e sull’oggetto contemporaneamente e sulla loro relazione dinamica aperta. Ha mantenuto nella pedagogia contemporanea una voce forte capace di rilanciare l’intenzionalità pedagogica al suo livello più alto, anche – forse – più esclusivo […], certamente ancora oggi più pregnante. In certo qual modo la Bildung ha riattivato – rinnovandola – la categoria della paideia, propria del mondo classico e valida ancora nelle società tradizionali, ma ormai obsoleta, tramontata in quelle moderne, che hanno altre direttive […]”8. La formazione va intesa come un processo, e come tale dura quanto la vita del soggetto: è un “processo di oggettivazione di sé nella cultura, è un

6

F. Cambi, I grandi modelli della formazione, in F. Cambi, E. Frauenfelder [a cura di], op. cit., pp. 65-71. 7 Cfr. M. A. Manacorda, Il principio educativo in Gramsci, Armando, Roma 2015. 8 F. Cambi, I grandi modelli della formazione, in F. Cambi, E. Frauenfelder [a cura di], op. cit., pp. 70-71.

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ITINERARI PEDAGOGICI E MODELLI FORMATIVI 29

universalizzarsi uscendo da sé, ma è anche un riportare a sé tutta la produzione dell’uomo per riviverla, appropriandosene, per operare su di essa una sintesi vitale che diviene la forma del soggetto.”9

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2.2  Apprendere e formare oggi Oggi assistiamo a processi di parcellizzazione sociale e culturale nei quali viene coinvolto il soggetto che, ricoprendo contemporaneamente una pluralità di ruoli, perde la sua centralità ed unità. In tale contesto nascono posizioni filosofiche che tendono a relegare la Bildung nel passato, elaborando nuove categorie per pensare il presente. Particolarmente interessante è in tale ottica la posizione di Luhmann che, in seguito ad un’analisi comparata della società attuale e di quelle del passato, ritiene che oggi la categoria della formazione vada sostituita da quella della capacità di apprendere 10. Luhmann distingue le società in società stratificate e società funzionalmente differenziate, in relazione alle loro modalità di differenziazione interna. Le società del passato sono del primo tipo, presentano una scarsa differenziazione interna e mancano di un sistema differenziato per l’educazione che è pensata unicamente per superare problemi di comunicazione degli strati sociali superiori ed è indistinguibile dalla società stessa11. A partire dalla fine del XVIII secolo la società inizia a differenziarsi in sotto-insiemi con funzioni specifiche: per la politica, l’economia, la religione, la scienza, l’educazione. Nasce allora il concetto di educazione alla società, quindi alla totalità delle relazioni sociali dell’uomo. La differenziazione funzionale della società determina il fenomeno dell’inclusione che consente l’accesso di ciascun soggetto sociale (tramite l’appartenenza ai ruoli complementari) ad ogni sistema funzionale12. Allo stesso modo determina per ciascuna funzione l’interazione, non solo con il proprio ambito funzionale, ma anche con ambiti contigui detti ambiti di coincidenza della funzione stessa. Ad esempio, a partire dal XIX secolo, si riconosce come ambito funzionale dell’educazione quello scolastico, e come suoi ambiti di coincidenza la famiglia, l’azienda, l’università. 9

F. Cambi, Manuale di filosofia dell’educazione, op. cit., p. 158. N. Luhmann, K.E. Schorr, Il sistema educativo. Problemi di riflessività, tr. it., Armando, Roma 1988, pp. 31-98. 11 N. Luhmann, Introduzione alla teoria della società, tr. it., Pensa Multimedia, Lecce 2014. 12 Ad ogni sistema funzionale corrisponde un ruolo funzionale ed un certo numero di ruoli complementari. Ad esempio, nell’ambito del sistema sanitario, il medico ricopre un ruolo funzionale mentre i singoli cittadini ricoprono, come pazienti, un ruolo complementare. 10

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LA FORMAZIONE PEDAGOGICA

Ogni sistema funzionale che viene a crearsi per differenziazione all’interno della società comporta la necessità di ripensare le relazioni esistenti tra la propria funzione e l’ambiente sociale circostante; da qui la necessità di creare strutture simboliche tese a risolvere i problemi posti, dette formule di contingenza, che vengono scelte a partire dalla riflessione sulla funzione. Il sistema educativo ha, nel corso degli ultimi duecento anni, riformulato più volte la sua formula di contingenza che, nell’ordine, è stata: perfezione umana, formazione, capacità di apprendere. La sequenza: perfezione-formazione-capacità di apprendere non indica che una formulazione esclude l’altra, ma che una prevale sulle altre. L’idea della formazione riformula il concetto di perfezione con l’aiuto della filosofia trascendentale: accentuando l’acquisizione del metodo, essa è un’anticipazione dell’idea di apprendere per un apprendimento ulteriore. Oggi, con la crisi della filosofia del soggetto e della razionalità illuministica, il riferimento alla formazione come rapporto dell’individuo con l’universo appare svuotato di senso. Questo svuotarsi di senso consente di continuare ad usare il termine estendendo e generalizzando il concetto di formazione intesa come sinonimo di educazione in tutti i campi in cui manca un orientamento verso un valore. Si assiste ad un proliferare di espressioni contenenti il termine formazione: “ricerca formativa, pianificazione della formazione, deficit formativo, valore formativo e sistema formativo convergono in una semantica della confusione […] la formazione va a sciogliersi in quell’indeterminatezza che avrebbe dovuto determinare la sua funzione”13. La formula di contingenza che sostituisce quella della formazione ha un carattere di universalità (include tutti e ogni insegnamento) e di specificità; si può apprendere solo attraverso l’insegnamento che comporta da un lato una pianificazione del lavoro, con una scelta degli argomenti tesa a favorire l’apprendimento del saper apprendere piuttosto che di contenuti, e dall’altro costringe ad esercitare l’apprendimento con intensità adeguata allo scopo. Con l’apprendimento dell’apprendere, il processo educativo conclude se stesso poiché pone l’apprendimento su un piano di stabilità. Il concetto del saper apprendere si inserisce in un ordine sociale funzionalmente differenziato, quindi complesso, ed è una competenza permanentemente a disposizione, è la disponibilità permanente di andare incontro a conoscenze nuove modificando i modelli noti di decodifica e interpretazione della realtà. L’educazione è possibile dove è presupposta la capacità di apprendere che non è solo la finalità del sistema educativo, ma ne è anche la premessa di funzionamento14. 13 14

N. Luhmann, K. E. Schorr, op. cit., p. 92. Cfr. N. Luhmann, Che cos’è la comunicazione, tr. it., Mimesis, Milano 2016.

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ITINERARI PEDAGOGICI E MODELLI FORMATIVI 31

Habermas contesta la posizione di Luhmann polemizzando con la sua teoria sistemica della società che, appropriandosi di concetti fondamentali e problematiche della filosofia del soggetto, tenta di superarne la capacità di risolvere i problemi. Per Habermas, Luhmann sostituisce al rapporto internoesterno tra il soggetto conoscente e il mondo, il rapporto sistema-ambiente. Tale trasposizione determina lo slittamento del problema di riferimento che, dalla conoscenza del mondo e di sé, diventa quello del mantenimento ed ampliamento della stabilità del sistema. Ma, trasferendo al sistema il ruolo che era del soggetto, si perde la possibilità di autoconoscenza nella forma dell’ autocoscienza; al concetto di coscienza viene sostituito quello di senso, mentre al soggetto capace di autocoscienza subentra il sistema capace di elaborare il senso. L’impossibilità del sistema di autoriferirsi si rispecchia nel carattere a-centrico di una società completamente adattata alla differenziazione funzionale nella quale “non si può più stabilire alcun punto fermo dal quale il tutto possa essere correttamente osservato”15. Inoltre, se gli individui vengono subordinati come parti ad un soggetto di grado superiore che è la società intesa come un tutto, si determina un azzeramento degli spazi di movimento e dei gradi di libertà dell’individuo; infatti i processi di formazione dell’opinione e della volontà mostrano lo stretto intreccio esistente tra socializzazione e individuazione, identità di singoli e di gruppi. Luhmann prova a raffigurare queste connessioni interne mediante il modello di inclusione delle parti nel tutto, considerando inoltre l’essere umano come parte non della società ma del suo ambiente. Con tale posizione egli si distacca dalla tradizione umanistica che ha attribuito all’uomo un ruolo essenziale all’interno della società e assume una posizione di “antiumanesimo metodico”.16 Nella concezione di Luhmann coscienza individuale e società sono sistemi autarchici che possono vicendevolmente fungere da ambiente l’un l’altro solo attraverso relazioni esterne, ipotesi aggiuntiva che è necessario introdurre per spiegare le connessioni esistenti tra individuo e società, tra storia individuale e forma di vita collettiva, da cui dipende la riproduzione culturale, l’integrazione sociale e la socializzazione. Data la supposta indipendenza reciproca tra sistema psichico e sistema sociale, Luhmann deve spiegare la socializzazione come una prestazione propria del sistema psichico, come autosocializzazione mentre l’individualità è per lui solo una modalità di autodescrizione.

15 16

N. Luhmann, Soziale systeme, Frankfurt a. M. 1984, p. 630. J. Habermas, Il discorso filosofico della modernità, tr. it., Laterza, Bari 1987, p. 375.

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LA FORMAZIONE PEDAGOGICA

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Infine Habermas mette in evidenza che, riguardo agli aspetti del sociale e dello psichico, Luhmann “scompone la vita del genere e quella dei suoi esemplari, per ripartirla in due sistemi “esteriori” l’uno all’altro, benchè il nesso “interno” di entrambi gli aspetti sia costitutivo per forme di vita linguisticamente costituite”17 e conclude la sua disamina della posizione di Luhmann inserendola all’interno di una tradizione che riflette il modello selettivo del razionalismo occidentale teso a raggiungere un’autocomprensione obbiettivistica dell’uomo e del suo mondo, a comprendere l’uomo a partire dagli oggetti, utilizzando modelli e linguaggi mutuati dalle scienze fisiche, inadatti a rappresentare le forme socioculturali della vita.

2.3  La pedagogia della formazione Attualmente il concetto di formazione è sottoposto a forzature di significato, utilizzato per rappresentare cose tra loro molto diverse, e talvolta legate a bisogni del mondo del lavoro, e lontane dal controllo della pedagogia.18 17

Idem, p. 381. «  […] Non si può intanto non rilevare il fatto che, a fronte della crescita della domanda diffusa di educazione nella società a tutti i livelli, a fronte anche della apparente crescita di potere istituzionale delle discipline pedagogiche, assistiamo alla marginalizzazione, quando non al declino e all’oblio, proprio dell’ambito del sapere istituzionalmente deputato a farsi carico del problema della formazione dell’uomo, in grado di comprendere questa realtà in modo globale, critico, integrale, di riflettere sui significati più radicali di ciò che attiene alla fenomenologia della formazione umana. […] Il primo passo è quello di riappropriarsi della categoria della formazione, assumendola come categoria-cardine della pedagogia e di disporsi in una posizione di massima apertura, cioè di un proposito di pensamento tendenzialmente globale, radicale, esaustivo, di ampia curvatura, del suo oggetto, del suo metodo, delle sue categorie e sub-categorie, del congegno del suo discorso. Ma per far ciò occorre anche rendersi conto che una categoria così radicale come quella della formazione si trova necessariamente disseminata, trattata, tematizzata, maneggiata, spesso dispersa o sottesa, talvolta occultata in registri non pedagogici, in una molteplicità di ambiti di sapere, sia disciplinarmente codificati, sia frutto e risultato di teorizzazioni sempre più tese a fornire sintesi che infrangono i confini tra discipline per dar conto di problemi che sembrano non più sopportare le specializzazioni disciplinari e sempre più invocano nuove alleanze, riorientamenti radicali nel modo di pensare e di conoscere e frequenti ritorni alla filosofia. È il caso delle teorie sistemiche, che tendono a dar conto di problemi relativi alla realtà nel suo insieme, dal cosmo all’universo biologico, dalla società all’individuo, o delle cosiddette scienze cognitive, che abbracciano anch’esse una pluralità di livelli della realtà, o ancora delle cosiddette teorie della complessità, scaturite prevalentemente da un’impostazione sistemica del problema cosmogenico e morfogenico insieme. La pedagogia dovrebbe essere in grado di stabilire rapporti con questi campi del sapere e rendere espliciti, disoccultare i concetti di forma-formazione in essi presenti, sia pure in modo implicito e soggiacente; non può continuare ad essere assente e a ritagliarsi un suo piccolo e angusto spazio […].” (R. Fadda, op. cit., pp. 12-13). 18

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ITINERARI PEDAGOGICI E MODELLI FORMATIVI 33

Ad esempio, formazione significa sempre più spesso formazione professionale, formazione di un soggetto in possesso delle caratteristiche e delle competenze richieste da un mercato del lavoro in continua evoluzione e che cerca delle professionalità multiformi e flessibili19. Le scienze umane, ciascuna nel proprio ambito di competenza, sono impegnate a mettere a punto il concetto di formazione e a progettare modalità specifiche di intervento. Per la sociologia e la psicologia sociale la formazione ha il significato di socializzazione, vista come elemento fondamentale per il mantenimento di una data organizzazione sociale20. Formare in tale accezione significa trasmettere attraverso le generazioni le competenze necessarie al mantenimento delle diverse funzioni costitutive dell’organizzazione sociale, le norme che regolano le interazioni sociali, e i valori che sostengono il patto sociale. I canali istituzionali di trasmissione della socializzazione sono la scuola e la famiglia, la cui azione è oggi affiancata da quella dei media e dai social, dalla partecipazione e dalle frequenti occasioni di contatto dei giovani con la realtà esterna, anche se ormai risulta drammaticamente prevalente la realtà virtuale. Queste due discipline quindi approcciano la formazione dal punto di vista dell’azione esercitata sull’individuo dal gruppo sociale in termini di trasmissione di norme e valori e di addestramento alle competenze richieste dai diversi ruoli sociali. Da parte sua, l’individuo riesce a creare un legame stabile con la società in cui è immerso mediante due strumenti fondamentali: l’acquisizione del linguaggio e l’identificazione con i valori fondanti.21 In aggiunta alla socializzazione primaria, il gruppo sociale mette in atto una socializzazione secondaria nei confronti degli individui adulti, quindi già socializzati, come processo di formazione continua teso a stabilizzare e ad estendere l’interiorizzazione dei valori sociali già acquisiti.22 Il meccanismo che presiede a tale stabilizzazione della realtà sociale interiorizzata dal soggetto consiste nella conferma quotidiana ottenuta dagli altri attraverso la conversazione che mantiene viva la realtà circostante, modificandone 19 “[…] La produzione dell’uomo delle competenze (che accumula competenze) implica il passaggio da uno che, grazie alla sua storia personale, possiede certe capacità, a un uomo senza qualità, superficie vuota che deve fare continuamente tabula rasa della sua singolarità per diventare un processore di informazioni, ovvero una quantità di energia amorfa, che può e deve conformarsi agli esoscheletri disposti dalla macroeconomia.” (M. Benasayag, Oltre le passioni tristi. Dalla solitudine contemporanea alla creazione condivisa, tr. it., Feltrinelli, Milano 2016, p. 36. 20 C. Josso, Cheminer vers soi, L’Age d’Homme, Lausanne 1991, p. 33. 21 P. Berger, T. Luckmann, La construccion social de la realidad, Amorrortu, Buenos Aires 1968, pp. 180-182. 22 Idem, p. 201.

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LA FORMAZIONE PEDAGOGICA

alcuni aspetti, abbandonandone altri. Rafforzandone altri ancora, in un’azione di adeguamento continuo ai cambiamenti in atto nell’ambiente sociale.23 Per l’antropologia la formazione ha il significato di inculturazione. L’inculturazione è qualcosa di più della socializzazione, perché è trasmissione, attraverso le generazioni, non solo dei saperi e dei vari saper-fare, ma anche e soprattutto del sentimento di appartenenza e del sentimento di identità, che si costruiscono tramandando la conoscenza della storia mitica del gruppo sociale. La cultura riunisce in sé un doppio capitale: da una parte un capitale tecnico e cognitivo che può essere trasmesso in linea di massima ad ogni società e, d’altra parte, un capitale specifico, che costitusce i tratti della identità di una singola comunità che viene alimentata col riferimento ai suoi antenati, ai suoi morti, alle sue tradizioni.24 Non esistono gruppi umani capaci di vivere senza un ancoraggio forte alle loro origini, necessario perché alimenta il senso di filiazione, rassicurante perché trasmette una visione del mondo e nello stesso tempo fornisce un senso alla vita umana, e un orientamento nelle scelte. Ogni cultura attraverso i suoi tabù, i suoi imperativi, il suo sistema di educazione, i suoi modelli di comportamento, influisce profondamente sullo sviluppo della personalità dell’individuo favorendo, inibendo, rigettando questa o quell’attitudine, questo o quell’aspetto dell’affinità.25 Tratto peculiare dell’inculturazione è l’accettazione, attraverso le generazioni, sia delle regole che fissano i rapporti sociali sia delle responsabilità attribuite ai ruoli sociali. La trasmissione culturale quindi è relativa non solo a conoscenze utili al mantenimento di un dato tipo di società, ma anche a tipologie di comportamenti individuali aderenti al sistema dei valori di riferimento del gruppo sociale. La psicologia, invece, ha per oggetto lo studio della psiche umana che, non essendo direttamente accessibile, viene approcciata attraverso la mediazione di strumenti diversi come tests, relazioni analitico-terapeutiche, messa in opera di simulazioni sperimentali26. L’articolazione della disciplina in più correnti che studiano la psiche e la sua maturazione secondo angoli visuali diversi rende difficile definire unitariamente il suo concetto di formazione. Si possono però individuare quattro tematiche intorno alle quali attualmente si accentrano i percorsi di riflessione all’interno della disciplina. La prima tematica inerisce lo studio dell’apprendimento di condotte; la seconda è relativa allo studio delle 23 24 25 26

Idem, p. 209. Cfr. E. Morin, La rumeur d’Orléans, Seuil, Paris 1973. Idem. G. P. Quaglino, Fare formazione, Il Mulino, Bologna 2002.

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ITINERARI PEDAGOGICI E MODELLI FORMATIVI 35

funzioni psichiche come immaginazione, intuizione, sentimento, volontà; la terza invece è centrata sullo studio di istanze psichiche come istinti, desideri, complessi, condotto spesso a partire dalla cura della patologia; la quarta infine è legata alla comprensione della capacità adattativa e creatrice e privilegia lo studio globale della persona che sta attualizzando una sua intenzionalità. Christine Josso ha individuato, all’interno del composito panorama della psicologia, il contributo di quattro autori, non tutti egualmente noti, alla formulazione del concetto di formazione secondo gli approcci sopra indicati. Per Piaget l’organismo, inteso come essere psico-somatico, vive con l’ambiente circostante una continua interazione dialettica che procede attraverso fasi di assimilazione di dati esperienziali nei propri schemi di azione già stabilizzati, e fasi successive di accomodamento di questi schemi alle nuove esperienze.27 Un tale meccanismo di costruzione delle modalità di azione sull’ambiente costituisce il contenuto strutturale della formazione. Quindi la formazione per Piaget può essere definita come il processo continuo di auto-regolazione di un organismo in costante interazione con l’ambiente. L’energia che alimenta questo processo dinamico di costruzione degli schemi di azione è l’interesse visto come prolungamento del bisogno.28 L’interesse poi, diversificandosi, costituisce un sistema di valori che definiscono gli scopi dell’azione. Nell’interazione con l’ambiente il soggetto svolge una doppia funzione: da una parte effettua le operazioni di assimilazione e di accomodamento già descritte, dall’altra si orienta in funzione dell’interesse. Piaget, pur affermando che le radici della conoscenza sono di ordine biologico e che la conoscenza si costruisce su una potenzialità neuropsicologica, riconosce un ruolo importante al soggetto che, interagendo con l’ambiente, acquista una crescente capacità di rapportarsi agli altri, fino ad impadronirsi di condotte socializzate, realizzando la socializzazione. Delpierre considera la formazione come un processo dinamico di emancipazione progressiva dell’uomo dai suoi automatismi e conformismi. Egli parte dallo studio degli effetti prodotti da emozioni forti come la paura sui comportamenti sia individuali che collettivi, per giungere alla conclusione che la presa di coscienza delle limitazioni prodotte sui nostri comportamenti da un’emozione come la paura può aiutarci a superarle, in un percorso di maturazione psico-somatica. Per lui quindi la formazione consiste in un percorso in cui l’essere cerca di superare i propri limiti partendo da un livello istintivo – affettivo e giungendo al livello della coscienza.29 27 Cfr. J. Piaget, Biologie et connaissance, Paris, Gallimard 1967 ; La psychologie de l’intelligence, Colin, Paris 1967. 28 Cfr. J. Piaget, Six études de psychologie, Gonthier, Genève 1964. 29 Cfr. G. Delpierre, La peur et l’etre, Privat, Toulose 1974.

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LA FORMAZIONE PEDAGOGICA

Jung considera la formazione della psiche come il risultato della tensione dialettica conscio – inconscio. La psicologia del livello cosciente è articolata intorno al gioco combinatorio di due atteggiamenti fondamentali (estroversione-introversione) e di due coppie bipolari di funzioni: razionali (pensiero e sentimento), irrazionali (intuizione e sensazione), che conduce alla costituzione di”tipi “psicologici in base ai quali è possibile distinguere e classificare i diversi comportamenti umani e i vari modi di orientamento nella realtà. La psicologia dell’inconscio si appoggia invece sugli archetipi e sui complessi individuali come indicatori di una dinamica interna non controllata dalla volontà. La formazione è considerata come un processo di individuazione, cioè del perseguimento di un’autonomia individuale, ostacolata dagli stereotipi culturali in cui il soggetto è originariamente immerso e con cui è in parte identificato. In questo senso l’individuazione è un processo di differenziazione dal collettivo, che non conduce all’individualismo perché implica un processo di integrazione dei valori universali custoditi dalla cultura, la cui concreta modalità di attuazione appartiene al singolo. È importante mettere in rilievo come per Jung l’apporto che “l’inconscio” fornisce all’attività cosciente della psiche sia fondamentale nel processo di formazione, per la sua funzione di riequilibrio delle polarità funzionali, e quindi di autoregolazione30. Per Rogers la maturazione psicologica è veicolata dalla tensione verso l’autorealizzazione, verso una attualizzazione delle proprie potenzialità, sotto la spinta di un’energia direzionale presente nell’organismo umano, rivolta alla crescita, all’ampliamento, non solo alla conservazione. La presa di coscienza del funzionamento del proprio organismo consente all’essere umano di autoregolarsi, rifiutando il controllo di forze esterne. Talvolta però si produce una spaccatura tra il sé e l’esperienza vissuta che altera la capacità dell’individuo di autoregolarsi, producendo un fenomeno di dissociazione, che consiste nel mettere in atto un comportamento cosciente riguardo a modelli sociali rigidi, incorporati staticamente, e un comportamento non cosciente riguardo alla propria tendenza a realizzarsi. La dissociazione individuale, che è alla base delle nevrosi e delle psicosi, è un prodotto della nostra società occidentale, ed è presente nella maggior parte di noi. Rogers ritiene che sia importante, al fine del raggiungimento di un equilibrio interiore che consente l’autorealizzazione, ascoltare i propri orientamenti interiori non coscienti, che sono prodotti dal nostro organismo, considerato nella sua interezza e complessità. In tale contesto la formazione è intesa come la capacità di apprendere dalle esperienze vissute, superando la dissociazione tra sé e l’esterno, di saper rivisitare le proprie scelte alla ricerca di un ordine e un senso, di riorganizzare 30

G. Jung, Psycologie de l’incoscient, Georg, Genève 1983.

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ITINERARI PEDAGOGICI E MODELLI FORMATIVI 37

la propria visione della realtà se necessario. La maturità psicologica designa una persona capace di vivere pienamente i suoi sentimenti, di utilizzare ogni capacità per percepire al meglio la propria situazione esistenziale, interna ed esterna. Una persona in grado di far funzionare il suo organismo senza limitazioni e condizionamenti, per poter scegliere, in ogni situazione di tempo e di luogo, tra una moltitudine di possibilità, il comportamento più soddisfacente31. Infine, per la pedagogia è importante mettere in moto un processo di riflessione sul significato globale di formazione, sulla sua identità sul suo pluralismo di modelli, sulla sua struttura di categoria capace di decifrare la realtà mutevole dell’oggi, inglobandola all’interno del proprio stemma interpretativo, chiamato a classificare e decodificare i segnali della complessità, meta-paradigma del tempo attuale. Quello odierno è infatti il tempo della complessità, che appare come elemento peculiare della società, caratterizzata dalla interconnessione di molteplici fenomeni sociali e culturali, dalla pervasività di strumenti di comunicazione di massa, dal predominio della tecnica, da una grande frammentazione sociale e ideologica. La famiglia, ritenuta un tempo granitica istituzione portante di ogni assetto sociale, sta assumendo una pluralità di forme che recepiscono i cambiamenti avviati anche da una nuova stagione di diritti civili; possiamo quindi parlare più correttamente di famiglie: famiglia allargata, costituita da genitori divorziati e figli di più unioni, famiglie di fatto, famiglie formate da due persone dello stesso stesso, famiglie guidate da donne sole, in assenza o latitanza dei padri. La trasformazione impetuosa delle famiglie richiederebbe nel corpo sociale la presenza di istituzioni capaci di sostenerne le difficoltà e di offrire un valido aiuto all’educazione dei giovani; invece la carenza di tali supporti determina emarginazione e sofferenze dei singoli che finiscono per innescare fenomeni di devianza giovanile, di disadattamento, i cui effetti ricadono su tutta la società32. Anche il livello individuale è profondamente segnato dal mutato assetto sociale; è in atto un movimento che coinvolge corsi di vita modificando struttura, caratteristiche e durata dei segmenti intermedi, le cui connotazioni perdono rilievo, dissolvendosi in un magma indistinto. Chi si interessa di educazione non può sottrarsi al compito di osservare con attenzione i cambiamenti in atto; nelle società moderne siamo di fronte

31 Cfr. C. Rogers, Liberté pour apprendre, Dunod, Paris 1976 ; Le développement de la personne, Dunod, Paris 1980. 32 Cfr. S. Ulivieri [a cura di], L’educazione e i marginali. Storie, teorie, luoghi e tipologie dell’emarginazione, La Nuova Italia, Firenze 1997.

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LA FORMAZIONE PEDAGOGICA

ad uno slittamento (shift) che Peter Alheit33 definisce drammatico delle fasi della vita. Mentre la durata della vita media va crescendo sempre più, si sono allungate notevolmente la fase giovanile e quella della old age (età della pensione). Inoltre, rispetto alla lunghezza del corso della vita, è diminuita la durata del ruolo di genitore ed è aumentata quella di figlio. Per la prima volta nella storia, gli uomini trascorrono più tempo come figli di genitori viventi che come genitori di figli sotto i venti anni34. Da tali considerazioni emerge con chiarezza il cambiamento relativo allo stato di adulto; allo slittamento delle fasi della vita si aggiunge una modifica strutturale nelle biografie lavorative. È sempre più rara la successione: fase di apprendimento, fase di attività lavorativa, fase di riposo; i periodi di formazione talvolta si innestano sui periodi di occupazione, e questi sono frammentari, interrotti da periodi di ulteriore formazione e seguiti da cambi di attività. È un processo in cui sembra perdere importanza il potere centralizzante dell’etica protestante del lavoro teorizzata da Max Weber35 che è stato uno dei più influenti modelli di orientamento nella modernità capitalistica mentre affiorano nuovi orientamenti post-materialisti36. È possibile che nella nostra vita i periodi dedicati alla formazione prevalgano su quelli dedicati all’attività professionale. Da qui scaturisce con grande evidenza la necessità di ripensare la formazione adeguandone obiettivi e modalità attuative alle esigenze molteplici di una realtà la cui caratteristica dominante sembra essere la fluidità. Tutto è in movimento, tutto cambia continuamente con rapidità straordinaria, corsi di vita, esigenze dei singoli, modalità soggettive, qualificazioni richieste da un mercato del lavoro sempre più globalizzato, in cui la com33 Fondatore a Ginevra – con Pierre Dominicé, Matthias Finger e Christine Josso – del Groupe de Recherche sur les Adultes et leurs processus d’Apprentissage (GRAPA), si occupa dei processi di apprendimento degli adulti. Peter Alheit ha dato un importante contributo al Gruppo di ricerca ginevrino per quanto riguarda la elaborazione del metodo delle storie di vita. Alheit infatti individua nelle storie di vita il primo terreno di apprendimento dell’adulto. Egli vede ogni percorso di vita come una palestra della mente in cui l’individuo esercita abilità e competenze ed acquisisce continuamente nuove conoscenze. Aver coscienza di ciò, per Alheit, significa ripensare la funzione educativa che deve essere mirata a favorire nel soggetto adulto la piena esplicazione delle proprioe potenzialità; in realtà si tratta di comprendere la capacità individuale di auto-dirigersi, il potenziale creativo insito in ciascuno. Analizzando una storia di vita dal suo interno, si comprende come essa sia diretta e orientata dalle autonome scelte del soggetto. 34 P. Alheit, Biographical learning. Theoretical outline, challenges and contradictions of a news approach in adult education, in P. Alheit et al., The Biographical Approach in European Adult Education, Verband Wiener Volksbildung, Wien 1995, p. 58. 35 Cfr. M. Weber, Die protestantische ethick und der geist des kapitalismus (1905); tr.it: L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, BUR, Milano 1996. 36 Ibidem.

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ITINERARI PEDAGOGICI E MODELLI FORMATIVI 39

petizione spinge gli operatori all’innovazione continua, ad un efficientismo esasperato teso a tagliare i costi, e con essi il numero di occupati. In un mondo così articolato il singolo rischia di essere schiacciato, di perdere la propria individualità di smarrire le coordinate di senso dell’esistenza, se è privo degli strumenti di interpretazione della realtà che solo una formazione correttamente impostata può avergli fornito.

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2.4  Alla ricerca di un orizzonte di senso Con tutta la sua pregnanza quindi affiora il problema di stabilire le coordinate di senso della formazione nel mondo odierno; mai forse nella storia dell’umanità, la formazione ha rivestito un ruolo così decisivo non solo per il singolo ma per la sopravvivenza della società stessa. Una società complessa nell’era della complessità, in un mondo in cui il sapere ha perso la sua struttura organica e definita configurandosi secondo un modello reticolare, quindi privo di un centro irradiatore, di riferimenti certi37. In tale realtà il soggetto è in evidente difficoltà e fatica ad orientarsi, se è sprovvisto di un bagaglio formativo che gli fornisca le coordinate necessarie a governare razionalmente gli eventi ed a vivere senza angoscia l’incertezza e la provvisorietà caratteristiche peculiari della complessità. Nel campo della conoscenza la complessità si accompagna alla crisi dell’onniscienza, della pretesa di attingere un sapere globalizzante e perfettamente definito, e quindi alla tendenza ad approfondire, a problematizzare; la ragione comincia a confrontarsi con l’irrazionalità, a tener conto della pluralità dei punti di vista, ad accettare anche la singolarità, la particolarità. Non sono in discussione ruolo e valore della scienza che è sempre capace di fornire una chiave di lettura della realtà, e di offrire un modello rappresentativo che però viene ora accettato in senso probabilistico e in via non definitiva, con la categoria della possibilità che viene a sostituire la categoria della certezza. A questo proposito entrano in gioco le riflessioni di Morin38: “non c’è una ricetta semplice della complessità […] la scienza è un’arte perché è una strategia della conoscenza”.39 Da cui l’esigenza di “pensare senza mai chiudere i concetti”40. Infatti bisognerebbe “aspirare a totalità integratrici anche sapendo problematicamente che la totalità è verità e non verità allo stesso tempo. Da 37

U. Beck, I rischi della libertà, tr. it., Il Mulino, Bologna 1994, pp. 52-55. G. Cives, Complessità ed educazione democratica, in F. Cambi, G. Cives, R. Fornaca, Complessità, pedagogia critica, educazione democratica, La Nuova Italia, Firenze 1995, p. 31. 39 E. Morin, Le vie della complessità, in G. Bocchi, M. Ceruti [a cura di], op. cit., p. 59. 40 Ibidem. 38

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LA FORMAZIONE PEDAGOGICA

cui l’esigenza di imparare a convivere con la complessità, a provvedere all’insegna del pensiero della complessità a la nostra mente.”41 A tal proposito “Morin non ha mancato di aggiungere […] che tale tipo di impostazione corrisponde particolarmente a quella democratica che si pone come salvaguardia della complessità”.42

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Il paradosso di una libertà che rende schiavi “Il desiderio ipermoderno sembra vivere nel mito dell’espansione di sé, dell’accrescimento, del proprio potenzia mento, ma, in realtà, esso genera solo una processione infinita di oggetti che non danno alcuna soddisfazione. Nessun oggetto può infatti riempire quel “vaso forato” di cui è fatto l’uomo. La potenza salvifica, medicinale, analgesica, dell’oggetto è la seconda grande menzogna del nostro tempo. Come se ciò che porta la salvezza fosse il nuovo oggetto, l’oggetto più nuovo. Eppure il vaso resta forato. Il desiderio insaziabile mentre consuma i suoi oggetti consuma anche chi li consuma. Non c’è qui alcuna liberazione, ma solo coazione, servaggio, dipendenza patologica. Il desiderio insaziabile genera solo schiavitù. Non libertà di massa, come promette il discorso del capitalista, ma solo assoggettamento anonimo. Il paradosso che comanda la libertà ipermoderna è che essa non è libera. Il Nuovo diventa un imperativo superegoico rivelandosi come l’altra faccia dello Stesso. Quello che si ripete infinitamente è, infatti, la stessa insoddisfazione. L’inferno ipermoderno consiste nella riduzione della libertà al puro arbitrio del capriccio. E la festa continua, senza rispetto per la Legge della parola, della notte dei Proci. Il desiderio si trasfigura in un godimento compulsivo. Il disagio della Civiltà non assume più il volto del sacrificio e della rinuncia pulsionale, ma quello stralunato delle bulimiche, dei tossici, degli alcolisti, dei panicati, dei giovani apatici e spensierati. La pulsione si è staccata dal desiderio e non obbedisce in alcun modo alla Legge della parola: è solo pura volontà di volere tutto. Eppure il desiderio non ha solo questo volto tirannico e insoddisfatto del desiderio insaziabile. Esso è anche ciò che resiste all’impero del godimento mortale. Cosa può salvare la vita da questa nuova forma di schiavitù? È il desiderio come vocazione, apertura, forza che trascende l’immediatezza del consumo. È desiderio che non crede al potere salvifico dell’oggetto e al suo carattere seriale. È desiderio che non insegue ciecamente il miraggio del Nuovo, ma che estrae il Nuovo dalla fedeltà allo Stesso perché sa rendere le stesse cose Nuove. Questa forza – la potenza del desiderio – non è in antitesi alla responsabilità ma è una forma radicale e illimitata della responsabilità. Nell’Odissea Ulisse, il padre di Telemaco, lo rivela nel gesto del tiro con l’arco. Ci vuole forza orientata dalla memoria, forza sapiente, forza di raggiungere la propria parte perduta. L’arco si piega, non rigetta le mani di chi lo sa riconoscere, di chi, a sua volta, si piega alla sua forza.” M. Recalcati, Il complesso di Telemaco. Genitori e figli dopo il tramonto del padre, Feltrinelli, Milano 2014, pp. 46-57

41 42

G. Cives, op. cit., p. 31. Ibidem.

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ITINERARI PEDAGOGICI E MODELLI FORMATIVI 41

Discende da ciò la consapevolezza che la complessità comporta l’adozione di un atteggiamento mentale duttile, aperto alle varie dimensioni del reale, capace di cogliere razionalmente la realtà senza trascurarne però gli elementi di incertezza e di variabilità43. Visalberghi fa notare come il principio di semplificazione che ha consentito alla scienza moderna di raggiungere risultati di grande portata innescando applicazioni tecnologiche che hanno contribuito a cambiare la nostra vita, ora non è più sufficiente ad affrontare i nuovi problemi posti all’uomo dal livello dei saperi acquisiti, che richiedono l’impiego di conoscenze multidisciplinari e di “una sorta di ponderazione congiunta di mezzi e di fini, di strumenti e di valori.”44 Ne discende l’esigenza di una scienza capace di ideare per i problemi strategie risolutive atte a valutare l’incidenza di un’azione su una molteplicità di aspetti, e a proiettare l’effetto anche sul tempo futuro. Per Cives l’uomo può vincere la sfida della complessità attraverso il disincanto, capacità di interpretare la realtà senza gli annebbiamenti prodotti dall’ideologia e dalle illusioni della sicurezza e dell’onniscienza. Il disincanto può consentirgli di relazionarsi al mondo esterno con disponibilità al confronto e apertura verso la conoscenza, senza pregiudizi ma anche senza aspettative fideistiche in certezze rassicuranti. È compito dell’educazione affinare gli strumenti idonei a formare un uomo in possesso delle qualità necessarie a vivere in modo consapevole una siffatta realtà e solo un’educazione democratica può rispondere alle esigenze poste dalla complessità, che richiede non una formazione vista come addestramento, ma la capacità di adeguarsi a molteplici esigenze, di affrontare con serenità situazioni nuove, trovando nel proprio bagaglio cognitivo la soluzione più adatta allo specifico problema. Non è cosa semplice riuscire a realizzare un’educazione autenticamente democratica, perché non sono sufficienti le competenze, ma è richiesto un impegno, una tensione ideale, la consapevolezza di partecipare ad una impresa storicamente importante. Dewey, precorrendo i tempi, scriveva già nel 1917 che “una società mobile, ricca di canali distributori dei cambiamenti […] deve provvedere a che i suoi membri siano educati all’iniziativa personale e all’adattabilità. Altrimenti essi sarebbero sopraffatti dai cambiamenti nei quali si trovassero coinvolti e di cui non capissero il significato e la connessione. Ne conseguirebbe una confusione nella quale un piccolo numero di persone si impadronirebbe dei risultati delle attività altrui cieche e dirette dall’esterno”45 43 44 45

E. Morin, Il gioco della verità e dell’errore, tr. it., Erickson, Trento 2009, pp. 77-87. G. Cives, op. cit., p. 33. J. Dewey, op. cit.,1984, p. 111.

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LA FORMAZIONE PEDAGOGICA

L’educazione democratica è caratterizzata dalla centralità dell’alunno che va aiutato a costruirsi armonicamente come persona nella sua interezza, fatta di sentimenti e intelletto, educato ai valori della solidarietà e dell’eguaglianza e ai rapporti interpersonali, nel rispetto degli altri ma anche nella capacità di affermare le proprie idee. Un progetto educativo con tali caratteristiche può essere realizzato solo in una scuola aperta alla società, capace quindi di cogliere i fermenti sociali e di valorizzare ogni contributo esterno; la didattica, in tale contesto, deve essere quella che valorizza l’indagine, la ricerca, puntando a stimolare l’interesse dell’allievo, in un’attività di progressiva e graduale rigorizzazione della metodologia, tesa a fornire gradatamente gli strumenti anche formali di lettura della realtà. In una prospettiva di educazione democratica così presentata compito dello Stato è quello di garantire la libertà di ricerca e di insegnamento “nella scuola”, diversa dalla libertà “della scuola”, cioè quella di aprire da parte delle istituzioni scuole ispirate ai loro orientamenti ideologici.46 Il concetto di complessità è stato ritenuto47come uno strumento metodologico atto a decifrare ogni realtà sociale che, per il sovrapporsi di una molteplicità di fenomeni interconnessi, non si presta mai ad una lettura razionale, né è inquadrabile in schemi semplificatori. La società attuale poi, presenta caratteri di maggiore complessità rispetto al passato per gli effetti innescati dal progresso scientifico e dal conseguente progresso tecnologico a cui si accompagna un sistema di informazione di massa che ha drasticamente ridotto le dimensioni spazio-temporali del pianeta, portando in tempo reale le immagini di ogni avvenimento negli angoli più remoti della terra, e alimentando l’illusione per tutti di appartenere ad un villaggio globale. Scienza, tecnica, informazione, sono strumenti capaci di indurre cambiamenti sull’assetto della società, e sui modelli educativi, e pongono il problema del controllo e della gestione di tali risorse per indirizzarle verso un uso che impedisca processi di emarginazione e di esclusione dei più deboli. In particolare ci si sofferma sulla gestione, nella nostra società, dei modelli educativi e scolastici osservando che, se attualmente prevale un orientamento che riconosce il ruolo centrale spettante alla scuola e all’educazione, è però avvertibile la presenza nel corpo sociale di fenomeni disgregativi che investono anche la scuola, mettendone in discussione le modalità di approccio al mondo giovanile, l’efficacia dell’insegnamento, la capacità di rispondere alle esigenze sociali48. 46

Cfr. N. Bobbio, Prefazione a G. Pecora, Uomini della democrazia, ESI, Napoli 1986, pp. 5-8. R. Fornaca, Società e cultura complesse, educazione nuova e pedagogia, in F. Cambi, G. Cives, R. Fornaca, op. cit., pp. 51-98. 48 Cfr. S. Tramma, Pedagogia e contemporaneità. Educare al tempo della crisi, Carocci, Roma 2015. 47

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ITINERARI PEDAGOGICI E MODELLI FORMATIVI 43

Attualmente è palese come la nostra società sia caratterizzata da una forte differenziazione sociale tra i gruppi economicamente e culturalmente più deboli – che si affidano alla scuola – e le classi sociali emergenti che cercano di volgere a proprio vantaggio il cambiamento con una strategia tesa da un lato a scegliere istituzioni educative di eccellenza che offrano garanzie culturali, dall’altro a integrare tali percorsi formativi con attività nel tempo libero mirate a fornire ai loro figli strumenti idonei ad un inserimento adeguato in un mondo in cui la competizione il modus operandi dominante.

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Per una scuola che non serva a bensì a “Gli consegniamo una scuola con l’idea che la scuola serva per trovare un lavoro, che ci sia un’utilità pratica, immediata, funzionale. Gli consegniamo un’idea di scuola come un luogo in cui si forniscono i pezzi e le istruzioni per costruirsi una professione, una fonte di guadagno. Gli chiediamo tutti i giorni che cosa vorrà fare da grande, come se la sua età non fosse sufficiente di per sé. Come se i quindici anni non fossero già la vita ma una premessa funzionale alla vera vita, un gettone da non perdere per poter salire un giorno sulla giostra del guadagno. Gli insegniamo l’idea di una scuola dove imparare ad essere competitivi perché fuori il mondo o è competizione o non è. E poi li buttiamo nel mondo armati di quei fucili di plastica, soldatini che assaltano con pistole ad acqua un mondo troppo più grande di loro, in cui si è di colpo grandi, senza essere mai stati piccini per davvero […]. Alla ragazza di quindici anni che un giorno di qualche anno fa mi ha puntato contro il cannone di quell’affermazione [La scuola non serve a niente, N.d.A.], alla fine ho detto che aveva ragione: la scuola non serve a niente. Solo che con quella frase volevo dire tutto il contrario. [La scuola è, N.d.A.] una comunità di persone che cercano gli occhi di un maestro, e il cui stare insieme è il senso del loro andare a scuola. Non saprei spiegare la scuola in una maniera diversa da questa […]. Una piccola comunità di ragazzi che prima non si conoscevano, e che nella scuola si raccolgono intorno a un insegnante per la semplice ragione che lui conosce il mondo, e di quella conoscenza si prende cura”. A.Bajani, La scuola non serve a niente, Laterza, Roma-Bari 2014, pp. 48-50.

Si è pertanto determinata una divaricazione sociale, in cui si allarga la forbice tra i soggetti socialmente più deboli e quelli appartenenti ai ceti forti. La divaricazione è agevolata dalla disgregazione di un tessuto sociale solidaristico e del prevalere della competizione che spinge al pragmatismo e all’individualismo. È un processo che sta logorando la coesione della società civile e la sua identità educativa e culturale; prenderne atto è il punto di partenza di ogni discorso pedagogico. La nuova era tecnologica e dei social richiede conoscenze e competenze sempre più specialistiche, l’uso di linguaggi formali, la capacità

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LA FORMAZIONE PEDAGOGICA

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di adeguarsi rapidamente alle novità della tecnica49; a fronte di tali esigenze c’è una società che fatica a fornire le qualificazioni e le competenze richieste, rischiando di aggravare i fenomeni di emarginazione. Alcuni propongono, per superare questo “gap” che va allargandosi tra i pochi in grado di gestire le nuove tecnologie e i molti che ne restano esclusi, di puntare decisamente su modelli formativi tesi a fornire strumenti logici di base che possano favorire l’acquisizione di linguaggi anche formali. Una posizione siffatta è dannosa per la sua unilateralità e per la pretesa di rappresentare la complessità dell’uomo schiacciandolo sulle sue funzioni razionali di tipo logico-scientifico, e trascurando la ricchezza della sua componente esistenziale rappresentata da cultura, relazioni interpersonali, modalità di aggregazione sociale, valori. I limiti dell’appiattimento sulla logica formale. La “[…] Paragonando le strategie di commercializzazione dei media digitali con quelle degli apparecchi a raggi X nei negozi di scarpe, è interessante notare che il mercato più ampio per computer e formazione è considerato quello dei bambini. I bambini, come si dice sempre, sono curiosi e amano lavorare con il computer. Certo, i bambini sono aperti a qualunque novità. Ciò non dipende dal fatto che nutrano un interesse particolare per il computer, né tantomeno che questo possa giovare loro (ai bambini non interessa proprio niente!), bensì è da ricondurre alla novità in sé del computer, con tutte le sue possibilità e le sue applicazioni. Inoltre proietta immagini colorate, produce suoni e musica e permette di accedere in pochi secondi a molti contenuti in rete – soprattutto a contenuti proibiti a bambini e adolescenti. I ragazzi lo sanno, ed è per questo che vogliono stare davanti al computer. L’utilizzo del computer nei primi anni della scuola materna può provocare disturbi dell’attenzione e successivamente dislessia. In età scolare si registra un incremento dell’isolamento sociale […]. Oggi il copia e incolla è una funzione così diffusa che neppure ci ricordiamo come si faceva in passato a scrivere una lettera o un libro senza tale possibilità. Proprio per questo milioni di persone che producono ed elaborano testi usano il computer: ci semplifica il lavoro! In tal senso il computer ha realizzato, in ambito mentale, ciò che in passato era stato ottenuto ricorrendo alla forza degli animali, poi ai mulini ad acqua e a vento, in seguito alle macchine a vapore e più tardi ai motori a scoppio ed elettrici: ci hanno liberato dalla fatica fisica. Inizialmente questo non ha avuto conseguenze su di noi, perché chi segue i buoi che tirano l’aratro continua a muoversi nel contempo tiene e dirige l’aratro e compie uno sforzo fisico. La differenza rispetto all’aratura con la zappa sta sostanzialmente nella velocità. Arare con i buoi è faticoso, ma permette di coprire nello stesso tempo una superfìcie di gran lunga maggiore. Con un grosso trattore si può arare un’area ancora più vasta, ma con un notevole vantaggio: ci si limita a stare seduti senza faticare. Ma stando sempre seduti sul trattore i muscoli si atrofizzano, provocando dolori alla schiena. 49

Cfr. G. Riva, I social network, Il Mulino, Bologna 2016.

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ITINERARI PEDAGOGICI E MODELLI FORMATIVI 45

Come abbiamo già visto, accade lo stesso con il lavoro mentale: chi lascia che siano altri a navigare non allena le proprie conoscenze spaziali, spesso non sa dove si trova e quindi presenta sintomi che normalmente si manifestano in età molto avanzata: perde il senso dell’orientamento. Si potrebbe controbattere che, nel caso della navigazione, si tratta di un ambito molto specifico. Il computer, al contrario, starebbe al lavoro mentale come i buoi stanno all’aratura: possiamo svolgere una mole di lavoro maggiore in un dato intervallo di tempo, ma in ogni caso con un certo sforzo. Se fosse davvero così, l’utilizzo del computer per il lavoro mentale non sarebbe dannoso, proprio come l’utilizzo di un bue per arare. Una serie di indizi, tuttavia, lascia presupporre che le cose non stiano così […]. L’utilizzo di media digitali nel campo dell’istruzione ha effetti collaterali che esulano dall’abuso diretto e spesso non vengono presi in considerazione: su Internet si mente e si inganna più che nel mondo reale e spesso ci si comporta anche peggio. Chi si affaccia al mondo virtuale con un clic del mouse non ha la stessa capacità di riflessione di chi comprende il mondo reale. E chi discute delle nozioni apprese con interlocutori reali, le memorizza meglio di chi chatta sull’argomento attraverso schermo e tastiera. […] L’utilizzo di Internet provoca un peggioramento delle capacità mnemoniche e, nonostante numerose affermazioni contraddittorie circa le capacità dei «nativi digitali», anche una riduzione della capacità di cercare informazioni e a lungo termine sono fenomeni purtroppo sempre più frequenti di dipendenza. I media digitali negli asili e nelle scuole elementari rappresentano dunque in realtà una specie di istigazione alla dipendenza […]. M. SPITZER., Demenza digitale. Come la nuova tecnologia ci rende stupidi, tr. it., Corbaccio, Milano 2013, pp. 20-22, 54-65, 96-102, 179-193.

Una impostazione formativa tutta centrata sulla razionalità scientifica e lontana dalla “razionalità vissuta”50 finirebbe per allargare il distacco esistente tra scuola e società, accrescendo la disaffezione per la scuola, per la cultura, rendendo non praticabile l’impostazione di una educazione democratica. Diventerebbe così concreto il rischio di creare, più o meno consapevolmente, nella società “isole tecnicamente avanzate in un mare di irrazionalità ed emarginazione”51; l’antidoto a tale prospettiva resta l’elaborazione di modelli educativi capaci di soddisfare l’esigenza di inserimento del soggetto nell’universo tecnologico senza trascurarne la dimensione esistenziale, storica, sociale. È necessario elaborare una pedagogia nuova per una educazione nuova, capace di instaurare un reale processo di cambiamento e di maturazione all’interno del corpo sociale, riaggregandone le componenti intorno ad un percorso di crescita collettiva condiviso52. 50

R. Fornaca, op. cit., p. 60. Ibidem. 52 Cfr. F.M. Sirignano, Pedagogia della decrescita. L’educazione sfida la globalizzazione, Franco Angeli, Milano 2012. 51

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LA FORMAZIONE PEDAGOGICA

Nell’ambito di un progetto pedagogico-politico di ampio respiro la scuola assume il ruolo di motore per l’edificazione di una società effettivamente democratica53; il fondamento della democrazia può essere dato solo da una educazione democratica, che insegna alle giovani generazioni la fattiva collaborazione, il dibattito, il confronto e l’interscambio dialettico delle idee senza la sopraffazione reciproca54. L’assenza di un progetto di educazione politica fa percepire la democrazia come una scatola vuota e contribuisce a determinare il disimpegno, l’apatia e il preoccupante disinteresse nei confronti della res-publica55.

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Il dei nativi digitali “[…] Il termine (nativi digitali, NdA) è stato coniato dal pedagogo e giornalista americano Marc Prensky, che lo utilizzò più di dieci anni fa in due saggi accanto al concetto di immigrati digitali e si riferisce alla generazione nata dopo il 1980, ovvero quando i computer e Internet erano entrati ormai a far parte della vita quotidiana […]. Nel 2010 questa generazione aveva raggiunto i venti o trent’anni e per questo è chiamata anche «generazione del millennio» o generazione Y, ovvero quella successiva alla generazione X, i nati tra il 1965 e il 1980. Altri ancora parlano di net generation, ma tutti concordano sul fatto che esista una netta cesura tra le generazioni precedenti e quest’ultima, e che tale diversità condiziona la vita di tutti. Qualcuno sostiene che le istituzioni scolastiche dovrebbero essere modificate per non diventare del tutto obsolete e superflue. «Le università stanno perdendo importanza per l’istruzione superiore, perché Internet diventa sempre di più l’infrastruttura dominante del sapere. […] La trasformazione dell’università rappresenta dunque una necessità urgente» sottolineavano Don Tapscott e Anthony Williams nel loro studio sulle università del ventunesimo secolo (Innovating the 21st century university: it’s time). E interessante notare come queste richieste si accompagnino quasi sempre all’appello per un’università più orientata all’economia di mercato e più strutturata sull’apprendimento condiviso (in luogo dell’«insegnamento frontale», a quanto pare oggi dominante). Cosa c’è di vero in queste affermazioni? […] 53

Cfr. P. Bertolini, Educazione e politica, Raffaello Cortina, Milano 2003, pp. 140-149; M. Santerini, La scuola della cittadinanza, Laterza, Roma-Bari 2010, pp. 20-24; F.M. Sirignano, Per una pedagogia della politica, Editori Riuniti, Roma 2015. 54 Massimo Baldacci evidenzia che “l’altra faccia della formazione dell’uomo concreto consiste nella formazione del cittadino, ossia dell’uomo come membro attivo della comunità politica e, in quanto tale, titolare di diritti e doveri definiti dalle leggi deliberate da tale comunità (per esempio la città, lo Stato, l’Europa). Tale formazione va commisurata ad almeno tre questioni: la capacità di (e la disponibilità alla) partecipazione attiva ai processi politicodeliberativi della comunità; la consapevolezza del valore dei doveri civici per la qualità della vita sociale e la propensione all’impegno verso i problemi della comunità; la volontà e la capacità di esercitare attivamente i propri diritti politici, civili e sociali.” (M. Baldacci, Trattato di pedagogia generale, Carocci, Roma 2012, pp. 309-310). 55 F.M. Sirignano, Per una pedagogia della politica, Editori Riuniti, Roma 2007, pp. 99-101.

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ITINERARI PEDAGOGICI E MODELLI FORMATIVI 47

Il tipico nativo digitale è sempre online; è perennemente in contatto con amici e parenti attraverso e-mail, sms o social network, ascolta musica per diverse ore al giorno e continua a fare tutto questo anche la sera davanti alla televisione o a un videogioco. La sveglia è stata sostituita dal cellulare; prima di alzarsi controlla i messaggi ricevuti, di sera invia il suo ultimo sms intorno alle 23.00 e viene cullato nel sonno dalla musica dell’iPod o del cellulare. Che conseguenze ha questo stile di vita nel lungo periodo? La rivoluzione digitale, come viene spesso denominata, è un bene o un male? Sulla base degli studi neuroscientifìci, e in particolare delle ricerche sulla neuroplasticità e l’evoluzione del cervello […] si può affermare con certezza che lo stile di vita di un nativo digitale non può non avere conseguenze […]. La tanto decantata competenza digitale delle giovani generazioni non ha alcun fondamento. Questo riguarda in particolare il loro approccio apparentemente più disinvolto con le informazioni. Chi si informa su un argomento, svolge quello che da circa un secolo e mezzo viene definito «circolo ermeneutico». Chi vuole comprendere, riconosce il tutto attraverso le parti e le parti attraverso il tutto; approfondisce l’indizio di una fonte attendibile e, se non approda a nulla, torna alla fonte attendibile, perché questa contiene sempre numerosi indizi. Anche l’acquisizione di un nuovo contenuto avviene con un analogo processo circolare (o, secondo alcuni studiosi di ermeneutica, a spirale verso l’alto). I nativi digitali non compiono il circolo ermeneutico della comprensione: cliccano qua e là acriticamente, senza tornare mai a una fonte attendibile; cercano in maniera orizzontale (vale a dire superficiale), anziché verticale (non vanno in profondità). Appropriarsi di un vero sapere non avviene per mezzo di una navigazione in superficie, bensì con un confronto attivo, un movimento mentale «avanti e indietro», una continua rielaborazione, messa in dubbio, analisi e sintesi dei contenuti. È qualcosa di molto diverso dal trasferimento di byte da un dispositivo di immagazzinamento a un altro […] Anche il tema sull’apprendimento condiviso attraverso il computer sì rivela come una pura illusione […].L’apprendimento con un contatto diretto è migliore rispetto a quello con un contatto mediato tramite lo schermo e la tastiera. Va inoltre tenuto presente che all’inizio l’approccio con i media digitali è sempre molto solitario: il singolo siede davanti a una scatola, la fissa e batte su una tastiera. Non è uno scenario adatto per due o tre persone, bensì per una sola. Questo è ancora più vero per i nuovi media digitali come iPod, smartphone e tablet. Affermare che questo hardware sia congeniale all’apprendimento condiviso non mi sembra realistico, né nel medio né nel lungo periodo […] I nati dopo la metà degli anni Novanta o successivamente non sono in grado di concepire il mondo senza computer e senza Internet, senza cellulari e iPod, console e televisioni digitali. Gli individui di questa generazione sono cresciuti in un ambiente diverso: la loro evoluzione mentale è stata determinata da cambiamenti neuroplastici. Tuttavia, chi crede che si tratti una generazione di «bambini prodigio digitali» si sbaglia. Gli stessi esperti di tecnologia informatica nutrono opinioni contrastanti e solo metà di loro è incline a un certo ottimismo. In qualità dì neurobiologo e alla luce dei dati raccolti in questo libro, devo sottolineare come i media digitali possano provocare nei giovani un peggioramento nella

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LA FORMAZIONE PEDAGOGICA

loro formazione, che il loro utilizzo non favorisce lo sviluppo di impulsi sensomotori e che l’ambiente sociale, come viene ripetuto spesso, subisce modificazioni e limitazioni notevoli. L’immagine del nativo digitale che ha bevuto e assorbito Internet e i computer con il latte materno si rivela a ben vedere un mito. La profondità del lavoro mentale necessaria per l’apprendimento è stata sostituita dalla superficialità digitale. In questo contesto i libri di testo elettronici rappresentano un ulteriore esempio di come non dobbiamo assolutamente lasciare la formazione delle prossime generazioni nelle mani del mercato”.

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M. SPITZER., Demenza digitale. Come la nuova tecnologia ci rende stupidi, tr. it., Corbaccio, Milano 2013, pp. 20-22, 54-65, 96-102, 179-193.

L’educazione invece consente, attraverso la comunicazione, di trasmettere l’esperienza tra i soggetti affinchè questa diventi patrimonio condiviso e, per tali ragioni, non può essere neutrale. Nella prospettiva deweyana la condivisione dell’esperienza produce cambiamenti in entrambi le parti interessate allo scambio, generando una crescita ed un arricchimento della conoscenza56. Lo scambio avviene ad un primo livello tra anziani e giovani; gli anziani educano i giovani ai valori del gruppo e dell’ambiente sociale in cui sono immersi. A livelli più avanzati, diventa necessario un insegnamento formale, che si ottiene attraverso la scuola. Elementi fondanti di un progetto educativo nuovo, teso a realizzare una educazione democratica, fortemente ancorato ai valori sociali, storici, culturali della società ma anche aperto alle applicazioni della scienza e della tecnica, sono, accanto ad una impostazione storica nello studio delle dinamiche sociali esaminate nella complessità delle interconnessioni esistenti tra gli elementi in gioco, l’uso di una didattica laboratoriale, interattiva, centrata sull’alunno, aperta alle nuove tecnologie, e una formazione scientifica che abitui i giovani al vaglio razionale delle ipotesi, alla comprensione di linguaggi diversi, alla formalizzazione matematica, al rigore logico proprio della scienza. La complessità è diventata quindi il principio educativo di riferimento e alla pedagogia spetta un ruolo decisivo per “[…] costruire/valorizzare tale principio educativo; essa deve evidenziare il ruolo formativo (e in senso sociale e in senso soggettivo-personale), deve fissare le nuove competenze cognitive e le formae mentis richieste, e deve pure contrassegnare il nuovo tipo di socializzazione che viene ad attivarsi, sempre in relazione al paradigma della complessità, assunto come modello e come regola. Proprio la pedagogia dovrà farci entrare in quel parallelismo/simbiosi che oggi corre tra formazione 56

Cfr. L. Bellatalla, John Dewey e la cultura italiana del Novecento, Edizioni ETS, Pisa 1999.

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ITINERARI PEDAGOGICI E MODELLI FORMATIVI 49

e complessità: giustificarlo, mostrarlo, interpretarlo. Ed è ciò che, in parte, sta facendo, soprattutto colà dove si nutre di ricca coscienza epistemologica e si accorpa a un’idea del formativo visto come processo articolato in cui i percorsi dell’inculturazione e dell’apprendimento si ri-qualificano proprio in termini di forma mentis e di orientamento axiologico (individuale e sociale)”57. Nella riflessione contemporanea sulla società della complessità un contributo importante sul concetto di libertà viene fornito – come precursore dei tempi – da Karl Polanyi, il quale già trent’anni fa osserva che la moderna società tecnologica stava profondamente incidendo sulla condizione dell’uomo, fino a sottrargli il bene della libertà. Infatti l’uomo è entrato nella società della macchina come individuo ma si è in breve sentito come “un semplice aggregato di materia che poteva essere fatto scomparire nella massa”58, perché ha dovuto conformarsi ad un tipo ideale di uomo medio intercambiabile, mentre l’aggressione dei media ha prodotto un desolante conformismo mentale che rappresenta una restrizione di libertà. Polanyi inoltre mette in risalto la relazione esistente tra complessità sociale e perdita di libertà dell’uomo, legata alla dipendenza dalle tecnologie. Infatti la società moderna è organizzata in modo che la vita dell’uomo non è nelle sue mani, ma è strettamente dipendente dal funzionamento di macchine “il cui venir meno equivale a sicura distruzione oppure, peggio ancora, a un tipo d’incertezza che combina totale impotenza ed estrema angoscia”:59 non possiamo oggi non constatare come gli individui siano drammaticamente sempre più schiavi degli smartphone e di internet, tanto da non riuscire a farne a meno senza provare un senso di vuoto e di angoscia. Polanyi evidenzia come una società tecnicamente complessa, mentre fornisce all’uomo i mezzi che gli consentono di dominare le forze della natura liberandolo dalla fatica fisica e da una serie di timori secolari, d’altro canto induce in lui un tipo nuovo di paura legato alla consapevolezza che la civiltà in cui vive può essere distrutta da chi schiaccia i bottoni. Egli ritiene che, per impedire la scomparsa della libertà sia necessario un intervento educativo teso a incoraggiare l’indipendenza del pensiero, e interventi legislativi che sanciscano il diritto all’obiezione di coscienza e tutelino i diritti delle minoranze60. 57

F. Cambi, La complessità come paradigma formativo, in M. Callari Galli, F. Cambi, M. Ceruti, Formare alla complessità. Prospettive dell’educazione nelle società globali, Carocci, Roma 2003, p. 137. 58 K. Polanyi La libertà in una società complessa, tr. it., Bollati Boringhieri, Torino 1987, p. 182. 59 Idem, p. 176. 60 K. Polanyi, Per un nuovo Occidente. Scritti 1919-1958, tr. it., Il Saggiatore, Milano 2013.

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LA FORMAZIONE PEDAGOGICA

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2.5  La pedagogia di fronte alla sfida della complessità Il modello della complessità oggi si è affermato come paradigma epistemico generale dell’identità della conoscenza contemporanea61, ossia dei saperi legati alle scienze della natura e insieme di quelli legati alle scienze umane, che appaiono complessi e richiedono un approccio sistemico capace di cogliere le interconnessioni reciproche; ciò comporta nella ricerca epistemica la sostituzione di modelli dei saperi tesi alla ricerca di relazioni invarianti di stampo positivistico, con un modello interpretativo attento alla specificità e non linearità di ogni sapere, svincolato da un criterio unitario e dalla ricerca di leggi universali. La pedagogia in cerca di identità attraverso la ricerca epistemologica, trova oggi nel paradigma della complessità la possibilità di condurre ad unità le sue antinomie, affermando una propria autonomia dai saperi forti che storicamente hanno teso a riassorbirla.62 Prigogine63 approccia il tema della complessità dal punto di vista delle scienze fisiche ricordando come la rappresentazione di una realtà di tipo deterministico, fondata su fenomeni reversibili, fornita dalla fisica classica sia stata messa in discussione dallo studio di situazioni di non-equilibrio in cui la materia assume proprietà del tutto diverse. Riprende, a titolo esemplificativo, il fenomeno dell’instabilità di Bénard in cui, scaldando un liquido nella parte inferiore, si producono strutture coerenti come celle di convenzione a partire da una situazione di caos; sembra che, in quella situazione particolare, le proprietà della materia cambino, e singole particelle di liquido sentano in qualche modo la presenza di particelle lontane, aggregandosi ad esse. Dove ci aspetteremmo caos e disordine, troviamo delle strutture ordinate. Prigogine scrive: “Mi piace dire, in certo qual modo, che nello stato di equilibrio la materia è cieca e che essa comincia a vedere nello stato di non-equilibrio”.64 Tale evento porta a concludere che il non-equilibrio può avere un ruolo costruttivo producendo strutture complesse impensabili in una situazione ordinata quale è quella descritta dalle leggi fisiche che regolano fenomeni reversibili. È il concetto di reversibilità dei fenomeni introdotto dalla fisica classica che impedisce di afferrare la complessità del reale. Reversibilità significa a-temporalità; significa che ogni fenomeno può essere ripercorso a ritroso senza che nulla cambi nel modo di descriverlo. Il concetto di 61

F. Cambi, Complessità ed epistemologia pedagogica. Modelli interpretativi, in F. Cambi, G. Cives, R. Fornaca [a cura di], op. cit., p. 132. 62 Idem, pp. 136-142. 63 I. Prigogine, L’esplorazione della complessità, in G. Bocchi, M. Ceruti [a cura di], La sfida della complessità, Feltrinelli, Milano 1988, pp. 179-193. 64 Idem, p. 180.

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ITINERARI PEDAGOGICI E MODELLI FORMATIVI 51

reversibilità si accompagna alla difficoltà di stabilire il prima e il dopo del tempo. Il problema di stabilire la successione del prima e del dopo è stato affrontato senza risultati nel corso dei secoli da filosofi e fisici, da Aristotele fino ad Heidegger, da Einstein a Bergson. Ma l’irreversibilità dei fenomeni naturali e la scoperta in essi di attrattori intorno ai quali la materia si organizza in strutture ordinate proprio in conseguenza dell’irreversibilità, consente di concepire una storia naturale del tempo. Inoltre, la fisica contemporanea è giunta alla conclusione che la maggior parte dei sistemi dinamici sono instabili e l’instabilità è associata a proprietà nuove, all’introduzione di concetti nuovi tra cui quello di tempo interno di un sistema che è una proprietà globale del sistema ed è distinto dal tempo astronomico. Prigogine scrive: “Il mondo che ci circonda non è per niente simbolizzato dal moto dei pianeti, stabile e ripetitivo. Il suo simbolo sono piuttosto le instabilità dei sistemi che possono passare da una struttura all’altra proprio per il fatto che sono instabili.”65 L’esplorazione della complessità “[…] Altrove ho trattato a lungo sull’esempio dell’instabilità di Bénard, in cui si scalda un liquido dal disotto, e ho potuto mostrare le magnifiche correnti e le grandi celle di convenzione che si producono in seguito al non equilibrio. Il non equilibrio trasforma completamente le proprietà della materia: a causa del non equilibrio le particelle diventano “sensibili” ad altre molecole che si trovano a distanze macroscopiche. Mi piace dire, in certo qual modo, che nello stato di equilibrio la materia è “cieca” e che essa comincia a “vedere” nello stato di non equilibrio. E dato che le equazioni sono non lineari, lontano dall’equilibrio si manifesta una grande varietà di comportamenti che non trovano analogie nel caso della fisica dell’equilibrio. A grandi linee possiamo dire che negli ultimi decenni si sono avute grandi sorprese in quel campo della fisica che definirei macroscopico, oltre alle grandi sorprese provenienti dal campo microscopico (subatomico) o cosmologico (l’universo). […] Penso che il risultato più inaspettato provenga dal ruolo costruttivo del non equilibrio. Lontano dall’equilibrio, si creano stati coerenti e strutture complesse che non potrebbero esistere in un mondo reversibile. Questo dipende da una proprietà fondamentale dei fenomeni dissipativi che i sistemi meccanici non posseggono: la stabilità asintotica. Stabilità asintotica può essere un termine scientifico un po’ pesante, ma significa semplicemente che nei sistemi dissipativi esiste la possibilità di dimenticare le perturbazioni. […]. Non appena si è in presenza di fenomeni irreversibili si possono dimenticare le condizioni iniziali.” I. Prigogine, op. cit., p. 180.

65

Idem, p. 190.

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LA FORMAZIONE PEDAGOGICA

Per la fisica classica la materia è simmetrica rispetto al passato e al futuro che si equivalgono; ma il secondo principio della termodinamica, asserendo che l’entropia cioè il disordine dell’universo aumenta, introduce per la materia una freccia del tempo, rompendo la simmetria rispetto al tempo perché distingue tra passato e futuro. Con la rottura della simmetria, la fisica perde il suo carattere di immobilità e di eternità e tende ad assumere una connotazione di tipo biologico, mettendo fine alla secolare divisione tra scienze dure e scienze umane. Prigogine si chiede a questo punto se, in considerazione di ciò non si possa concepire un progetto teso a stabilire un legame più stretto tra cultura delle scienze fisiche e cultura delle scienze umane; egli ritiene che l’esistenza di una freccia del tempo sia un elemento di coesione, perchè tutti apparteniamo ad un universo in evoluzione, caratterizzato dalla rottura di simmetria, un universo “la cui immagine comincia ad avere una complessità paragonabile a quella che viviamo dentro di noi. Mi chiedo se questa convergenza fra il mondo attorno a noi e il mondo dentro di noi non sia uno degli avvenimenti più significativi del nostro secolo”.66 Morin67 ricorda che per lungo tempo è stata dominante l’idea che le scienze umane, invischiate nella complessità dei fenomeni oggetto del loro studio, andassero fatalmente collocate ad un gradino inferiore rispetto alle scienze naturali, regolate da principi generali e da leggi deterministiche. La crisi della spiegazione semplice che ha segnato le scienze fisiche e biologiche ha poi rimesso in gioco gli aspetti considerati non-scientifici tipici delle scienze umane come l’incertezza, il disordine, la pluralità, inserendoli a pieno titolo nella problematica di fondo della conoscenza scientifica. Di conseguenza oggi la complessità sembra essere il termine più adeguato a descrivere la realtà, ma è un termine di cui si abusa, e su cui si tende a fare confusione. Essendo impossibile definire la complessità, Morin cerca di cogliere il concetto analizzando gli aspetti qualificanti. Parte da “caso e disordine” che sono presenti nell’universo svolgendo un ruolo attivo e nella sua evoluzione, ma sulla cui nozione permane in noi l’incertezza in quanto resta sempre il dubbio che il caso ci appaia tale solo per nostra ignoranza. Lo sviluppo delle discipline ecologiche in biologia ha inoltre evidenziato l’importanza delle nozioni di singolare e locale in quanto individui singolari vivono in un habitat localizzato. La complessità può essere poi approcciata attraverso la complicazione legata al groviglio di interazioni che legano i fenomeni biologici e sociali, ma anche attraverso una insondabile relazione esistente tra ordine, disordine e organizzazione sintetizzata dal principio 66 67

Idem, p. 193. E. Morin, Le vie della complessità, in G. Bocchi, M. Ceruti [a cura di], op. cit., pp. 49-60.

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ITINERARI PEDAGOGICI E MODELLI FORMATIVI 53

dell’order from noise68 che indica come da una turbolenza disordinata possono nascere fenomeni organizzati, esemplificato da Prigogine nel caso dei vortici, strutture coerenti nate da perturbazioni disordinate. Si può giungere alla complessità anche attraverso il concetto di organizzazione, il collante che consente a elementi singoli di diventare sistema. Il sistema creato dall’organizzazione è una struttura insieme unitaria e molteplice, quindi complessa; è cosa diversa dalla somma delle parti, ciascuna delle quali perde autonomia ma guadagna vantaggi legati all’appartenenza ad un tutto di cui assorbe retroattivamente le qualità emergenti, proprietà esistenti solo al livello di sistema. Esempio di qualità emergente in un sistema sociale sono la cultura, il linguaggio, l’educazione, proprietà del tutto e non del singolo che, retroagendo sulle parti, contribuiscono a sviluppare negli individui capacità mentali e intellettive. Ulteriore e straordinario elemento della complessità è il principio ologrammatico per il quale ogni elemento contiene in sè il tutto. Ad esempio, ogni cellula di un vivente contiene in sè l’informazione genetica dell’intero organismo; quindi, se la parte è nel tutto, anche il tutto è nella parte. Al principio ologrammatico può essere connesso inoltre il principio dell’organizzazione ricorsiva, tipico di un sistema i cui prodotti sono necessari per produrlo, quindi di un sistema che si autoproduce come il sistema dei viventi che si autoconserva attraverso il ciclo della riproduzione sessuale. Diventa evidente, attraverso l’esistenza del principio ologrammatico e di quello dell’organizzazione ricorsiva, che la complessità non è solo legata a fenomeni empirici (il caso, il disordine, la complicazione delle interazioni tra elementi diversi) ma è anche connessa a problemi di ordine concettuale inerenti alla impossibilità di stabilire una demarcazione netta tra il tutto e la parte, tra causa ed effetto. Di conseguenza, si può affermare che la complessità può essere attinta rinunciando ai concetti chiusi e chiari, al principio cartesiano che la verità sia rappresentata dalle idee chiare e distinte; alla separazione netta tra scienza e non scienza, tra soggetto e oggetto, tra organismo e ambiente69. 68

Idem, p. 51. “Quanto alla complessità va fissata come struttura portante, come supporto e come modello; va compresa, va salvaguardata, va potenziata: va pensata. Come? Ci ricordava Morin che non si può pensare in modo semplice, lineare la complessità. Va invece svolta come con-plexus, come insieme di nessi, come intreccio, come rete o rete di reti. Va costruita in forma dialettica: plurale, dinamica, aperta. Va studiata nelle sue logiche: diverse, plurali, dismorfiche. E usata nel suo polimorfismo in relazione a eventi, a classi di eventi, a processi di interpretazione. Va collegata ai fenomeni e pensata sui fenomeni. […] Anche la complessità ha funzioni epistemologiche (a livello metateorico e teorico: come autocompensione del 69

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LA FORMAZIONE PEDAGOGICA

Infine, elemento costitutivo della complessità è la perturbazione indotta dalla presenza dell’osservatore, ormai comunemente riconosciuta sia al livello delle scienze umane e sociali che al livello delle scienze fisiche e naturali. Morin sostiene a questo punto che “la complessità è all’origine stessa delle teorie scientifiche, anche delle teorie più semplificatrici”70 ricordando che, se pure con accenti diversi, studiosi del calibro di Popper, Holton, Kuhn, Feyerabend hanno mostrato l’esistenza, in ogni teoria scientifica, di un nucleo non scientifico. La complessità possiede una connotazione negativa legata all’introduzione dell’incertezza all’interno di un percorso di conoscenza avviato verso la certezza assoluta; possiede anche una connotazione positiva derivante dalla spinta che essa può imprimere verso lo sviluppo di un pensiero multidimensionale, capace di formalizzare e quantificare ma anche attento alle molteplici dimensioni del reale: “la sfida della complessità ci fa rinunciare per sempre al mito della chiarificazione totale dell’universo, ma ci incoraggia a continuare l’avventura della conoscenza, che è un dialogo con l’universo […]. Abbiamo creduto che la ragione dovesse eliminare tutto ciò che fosse irrazionalizzabile – e quindi l’aleatorio, il disordine, la contraddizione – per rinchiudere le strutture del reale dentro una struttura di idee coerenti, teoria o ideologia che fosse. Ma la realtà oltrepassa le nostre strutture mentali da ogni parte. “Ci sono più cose in cielo e in terra che in tutta la nostra filosofia”, notava Shakespeare. E il fine della nostra conoscenza non è quello di chiudere, ma quello di aprire il dialogo con l’universo. Il che significa: non soltanto strappare all’universo ciò che può venire determinato in maniera chiara, con precisione ed esattezza, come erano le leggi di natura, ma entrare anche in quel gioco fra chiarezza e oscurità che è appunto la complessità […]. Così il metodo della complessità ci richiede di pensare senza mai chiudere i concetti, di spezzare le sfere chiuse, di ristabilire le articolazioni tra ciò che è disgiunto, di sforzarci di comprendere la multidimensionalità, di pensare con la singolarità, con la località, con la temporalità, di non dimenticare mai le totalità integratrici […]. L’imperativo della complessità consiste anche nel pensare in forma organizzazionale, consiste nel capire come l’organizzazione non si risolva in pochi principi d’ordine, in poche leggi e come essa abbia invece bisogno “congegno” della pedagogia, come criterio per elaborare teorie dell’educazione), ma anche axioogiche e prassiche (relative al “politeismo sui valori” e alle dinamiche articolate/dialettiche della mediazione educativa), ed è su tutti questi piani che va illuminata e potenziata”. (F. Cambi, L’autocomprensione del sapere pedagogico: tra metateoria e costruzione di senso, in M. Borrelli [a cura di], op. cit., pp. 69-70). 70 E. Morin, op. cit., p. 55.

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ITINERARI PEDAGOGICI E MODELLI FORMATIVI 55

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di un pensiero complesso estremamente elaborato. Un pensiero organizzazionale che non comprenda la relazione auto-eco-organizzatrice – cioè la relazione profonda e intima tra sistema e ambiente – che non comprenda la relazione ologrammatica fra le parti e il tutto, che non comprenda il principio di ricorsività … ebbene, un pensiero di tal genere è condannato ai luoghi comuni, alla banalità, e quindi all’errore. La regressione delle ambizioni astratte e illimitate del pensiero, la distruzione di quel falso infinito che pretendeva di attribuire poteri illimitati alla ragione ci aprono oggi un nuovo infinito, l’infinito di una conoscenza mai compiuta.”71

71

Idem, pp. 58-60.

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EMERGENZE FORMATIVE E RISPOSTE PEDAGOGICHE IN AMBITO EUROPEO 3.1  Educazione permanente e nuove ipotesi formative. Dalla società della conoscenza alla neo-Bildung L’aumento esponenziale delle nuove tecnologie nella cosiddetta società complessa ha determinato una dematerializzazione del lavoro e la contestuale richiesta di competenze professionali sempre nuove, più legate alle capacità del soggetto di acquisire e rimodulare la conoscenza. Viene richiesta, di conseguenza, una nuova tipologia di lavoratori: i knowledge workers 1, la cui forza è determinata dall’apprendimento perché, come evidenziano Stiglitz e Greenwald, l’apprendimento è “la determinante più importante dell’innalzamento degli standard di vita: in parte, se non in ampia misura, è anche quasi di sicuro endogeno”2. Dalla società fondata sul lavoro siamo passati alla “società che apprende”3 in cui “il sapere diviene il nuovo capitale a fondamento dell’economia, dello sviluppo sociale e della realizzazione degli individui, e la condizione per la partecipazione e la cittadinanza attiva, aprendo così inedite prospettive per l’istruzione e la formazione lungo l’intero corso della vita degli individui”4. Le figure lavorative nell’ultimo decennio hanno subìto una trasformazione straordinaria con la tendenza alla scomparsa dell’operaio-massa e l’aumento crescente di lavoratori ad alta qualificazione. La trasformazione è radicale ed investe tutto il mondo occidentale, compreso il nostro Paese dove 1

A. Alberici, L’educazione degli adulti, Carocci, Roma 2002, p. 13. J. E. Stiglitz, B. C. Greenwald, Creare una società dell’apprendimento. Un nuovo approccio alla crescita, allo sviluppo e al progresso sociale, tr. it., Einaudi, Torino 2018, p. 19. 3 Ibidem. 4 Ibidem. 2

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LA FORMAZIONE PEDAGOGICA

le modifiche in atto stanno cambiando il volto delle imprese, della Pubblica Amministrazione, e stanno creando forti contraccolpi nel sistema educativo che fatica ad adeguarsi alle esigenze culturali emergenti dalla società. Secondo studiosi ed operatori del settore la trasformazione che sta avvenendo è talmente radicale che i sindacati dei lavoratori, tradizionalmente rappresentativi delle istanze delle varie categorie, oggi si trovano a non rappresentare una parte consistente delle nuove figure professionali in possesso di caratteristiche e qualifiche non inquadrabili all’interno della corrente ripartizione in: dirigenti, quadri, impiegati, operai. “Il nuovo sistema di produzione centrato sulla conoscenza sta portando sulla scena un nuovo soggetto – il lavoratore della conoscenza – […] che, come nel caso dell’operaio-massa dell’inizio del ‘900, introduce un radicale mutamento nella struttura del lavoro e pone problemi di management delle imprese del tutto nuovi”5. Una ricerca condotta trent’anni fa sui trend quantitativi e qualitativi che interessano i “quadri” nei principali paesi industrializzati evidenziava una crescita straordinaria, sia in numero di addetti che in qualità delle competenze possedute, di persone che già allora svolgevano lavori ad alta qualificazione in tutti i campi dell’attività dell’impresa, e che tendevano ad influenzare il modello generale di comportamento richiesto a tutti i lavoratori. L’impiego massiccio della conoscenza in tutti i processi produttivi non solo ha modificato il rapporto tra numero dei lavoratori qualificati e numero dei lavoratori a bassa qualificazione, ma ha determinato una radicale trasformazione dell’intera struttura dei sistemi di lavoro. All’interno delle aziende esiste una categoria culturalmente trainante rappresentata dai “professionisti d’azienda o professionisti che operano nelle organizzazioni”6 che hanno al loro interno grande varietà di denominazioni, di contenuti concreti di lavoro, di livelli di inquadramento, ma presentano alcuni tratti comuni che ne caratterizzano l’elemento di novità rispetto a figure tradizionali. La soppressione del pensiero critico: scuola e università come impresa “Il pensiero critico, inteso quale capacità di esercitare un giudizio cercando quali alternative esistono anche in situazioni dove non sembrano essercene, e di scegliere tra di esse guardando a quelle che vanno in direzione dei fini ultimi piuttosto che alla massimizzazione dell’utile, è sempre stato considerato un nemico da parte del

5 F. Butera, E. Donati, R. Cesaria, I lavoratori della conoscenza, Franco Angeli, Milano 2000, p. 19. 6 Cfr. F. Butera, Dalle occupazioni industriali alle nuove professioni: tendenze, paradigmi e metodi per l’analisi e la progettazione di aree professionali emergenti, Franco Angeli, Milano 1987.

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EMERGENZE FORMATIVE E RISPOSTE PEDAGOGICHE IN AMBITO EUROPEO 59

neoliberismo. E quindi comprensibile che nel suo attacco totalitario a tutti i settori della società esso non abbia risparmiato il luogo dove il pensiero critico si dovrebbe formare: la scuola, primaria e secondaria, e l’università. A partire dagli anni Ottanta, quando si delinea la crisi del capitalismo che i politici e il «partito di Davos» cercheranno di contrastare con la finanziarizzazione dell’intera economia, rivelatasi disastrosa a metà del primo decennio Duemila, l’attacco alla scuola e all’università allo scopo di espellerne il pensiero critico è stato condotto dai governi e dalle istituzioni della Ue a colpi di riforme, aventi come principio ispiratore la trasformazione di esse in organizzazioni del tutto simili a un’impresa. Per legittimare una simile trasformazione sono stati utilizzati lo spauracchio della perdita di competitività nei confronti dei paesi emergenti; la necessità di difendere e migliorare la posizione del proprio paese negli scambi internazionali; e non da ultimo l’urgenza di combattere la disoccupazione. L’intero sistema, scuola e università, doveva essere ristrutturato come un’impresa che crea e accumula «capitale umano». In altre parole un sistema la cui finalità non consiste affatto nel formare cittadini o ricercatori o studiosi, ma è piuttosto quella di formare individui che sin dagli inizi della loro formazione a livello scolastico e – nel caso – dell’istruzione universitaria si concepiscano come «imprenditori di se stessi». In altre parole, che si pongano come supremo principio da seguire la produzione in se stessi di «competenze» utili ad accrescere il Pil. Il che aiuta a comprendere, ad esempio, come mai la riforma attuata dal ministro dell’Istruzione Letizia Moratti nel 2003 proponesse quali criteri ispiratori, piuttosto che una versione ammodernata dell’antica idea che la scuola debba anzitutto formare cittadini consapevoli, la miserevole triade «Inglese – Internet – Impresa». È evidente che a livello della scuola primaria sussiste qualche difficoltà per instillare direttamente il principio della scuola come impresa, e dello scolaro o studente come imprenditore di se stesso, nella mente degli allievi. Nondimeno è essenziale che insegnanti, personale amministrativo e dirigenti lo applichino a ogni aspetto di un istituto. Dai primi anni di secondaria il principio può essere inculcato anche agli studenti. A tal fine un incentivo fornito dalle riforme susseguitesi in molti paesi nel primo decennio Duemila (in Italia dopo la riforma Moratti del 2003 abbiamo avuto nel 2008 la riforma Gelmini e adesso – 2015 – è arrivata la riforma Giannini) è consistito nel drastico taglio dei docenti, del personale tecnico e amministrativo, dei fondi per la gestione ordinaria. In Italia l’ammontare contabile dei tagli ha superato solo in questo periodo il 10 per cento, pari a oltre 10 miliardi di euro, e a 90000 docenti e 30000 tecnici e amministrativi in meno. Mediante un tale incentivo ciascun componente del personale scolastico ha avuto a che fare con classi più numerose, bilanci sempre più carenti, orari più lunghi e un ossessivo aumento delle incombenze burocratiche: un buon metodo per ottenere che calcoli e preoccupazioni di ordine economico prevalgano sull’impegno didattico. L’idea che l’intero sistema della formazione scolastica e dell’istruzione superiore debba funzionare come una fabbrica, come pretende l’ideologia pan-economica neoliberale, è stata sviluppata e messa a punto da diversi attori in diverse fasi. In una prima fase l’attore predominante è stata l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, alla quale un autore francese ha giustamente assegnato il titolo di «capocantiere della demolizione sociale»11. Negli anni Novanta

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LA FORMAZIONE PEDAGOGICA

l’Ocse, che era formata allora da una trentina di paesi, cominciò a elaborare studi e rapporti intesi a promuovere la comparabilità della qualità ed efficienza dei sistemi scolastici. Lo studio di maggior peso fu quello che condusse al varo del Programma per la valutazione internazionale degli studenti (acronimo universale Pisa, da Programme for International Student Assessment), tuttora in vigore. Esso consiste in un test da somministrare ogni tre anni a un campione internazionale formato da alcune centinaia di migliaia di studenti quindicenni. Il test verte su tre «settori di competenza»: capacità di lettura, matematica e scienze, ciascuna quantificabile con un punteggio da uno a mille. Il suo impiego può venire esteso a ogni paese, anche I risultati del Pisa 2000 fecero grande scalpore, soprattutto in paesi che si ritenevano da sempre colti, letterati, con una scuola di qualità eccelsa, mentre si ritrovavano collocati, in base al punteggio dei loro studenti (i quindicenni), oltre il ventesimo posto. Fra di essi rientrava la Germania, classificata ventunesima in matematica e scienze e ventiduesima in lettura. L’Italia era ventisettesima in matematica, ventiquattresima in scienze e ventunesima in lettura. Motivo del generale scalpore era dovuto alla preoccupazione che se la scuola usciva così male dal Pisa, potevano essere compromessi a lungo o per sempre la competitività del proprio paese, la sua posizione nel mondo, le prospettive di crescita e altri problemi del genere. Bisognava quindi che i governi si impegnassero a fondo al fine di accrescere le «competenze» quanto a lettura, matematica e scienze degli studenti di ogni ordine e grado. Da questo punto di vista si può dire che per mezzo del Pisa l’Ocse abbia contribuito massicciamente alla soppressione dello spirito critico nella scuola, in nome di una concezione grottescamente limitata a concetti economici di che cosa siano la conoscenza e i processi attraverso i quali la scuola e l’università dovrebbero contribuire alla sua formazione nella mente dei giovani non Ocse, che se ne voglia assumere gli oneri organizzativi a titolo di partner. Il test Pisa fu condotto la prima volta nel 2000, con la partecipazione di 28 paesi Ocse, 15 paesi partner e 265000 studenti. L’edizione 2012 ha visto salire la partecipazione a 34 paesi Ocse, 31 partner e oltre mezzo milione di studenti. A quella che è stata chiamata da uno studioso di sistemi educativi la «catastrofe Pisa» si sono aggiunti negli stessi anni, a peggiorarne le conseguenze in specie a danno dell’università, altri due eventi. Nel giugno 1999 i ministri europei dell’Istruzione superiore, convenuti a Bologna, rilasciavano una dichiarazione i cui propositi principali erano i seguenti: “Adozione di un sistema di titoli di semplice leggibilità e comparabilità […] al fine di favorire l’employabilìty [in inglese nel testo: si intende la dotazione personale di competenze utili per trovare occupazione] dei cittadini europei e la competitività del sistema europeo dell’istruzione superiore. Adozione di un sistema fondato essenzialmente su due cicli principali [di cui il primo di durata almeno triennale] […] Consolidamento di un sistema di crediti didattici [….] acquisibili anche in contesti diversi, compresi quelli di formazione continua e permanente […] Promozione della cooperazione europea nella valutazione della qualità al fine di definire criteri e metodologie comparabili” Ai propositi seguirono presto i fatti. In Italia la riforma Berlinguer provvide a sdoppiare l’insegnamento universitario in un ciclo di tre anni (che si conclude con la laurea) seguito, se uno vuole, da un ciclo di altri due anni che porta alla laurea

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EMERGENZE FORMATIVE E RISPOSTE PEDAGOGICHE IN AMBITO EUROPEO 61

specialistica o magistrale. Inoltre introdusse il sistema dei crediti. Lo sdoppiamento degli insegnamenti in due cicli fece sì che molti corsi, ben assestati da decenni su un quadriennio, furono ridotti a tre anni: un taglio pari a un quarto della didattica (come togliere una ruota a un’automobile per farla correre più in fretta), ulteriormente peggiorato nei suoi effetti dal nuovo sistema dei crediti. Com’è noto, un credito è una unità di misura pari a 25 ore che definisce il carico di lavoro richiesto allo studente da un dato corso. Un corso da otto crediti richiede quindi – secondo gli inventori del sistema – 200 ore di impegno, di cui 50-60 in aula e il resto speso nello studio di testi. Come qualcuno abbia potuto pensare di misurare in modo uguale per tutti le ore di studio necessarie per assimilare i contenuti di un dato testo da portare all’esame, è materia che sfugge alla comprensione umana. Il medesimo testo può infatti richiedere cento ore di applicazione allo studente X e la metà o il doppio allo studente Y, che ha un modo di studiare diverso. Gli infiniti equivoci che derivarono dalla difficoltà di applicare sul serio i crediti portarono in quegli anni molti consigli di facoltà a stabilire che tot crediti equivalevano per tutti a tot pagine di un libro, quale che fosse il tasso orario di apprendimento dello studente X o Y. Donde episodi ameni, tipo lo studente che chiede al docente (è successo a una collega): «Secondo le norme della facoltà, dovrei studiare 250 pagine. Ma il testo da lei indicato ne ha 255. Mi dice quali sono le cinque pagine da eliminare?» L’ultima mazzata alla possibilità di coltivare il pensiero critico nell’università venne inferta dal Consiglio europeo nella sessione straordinaria tenutasi a Lisbona nel marzo 2000. Ecco alcuni passi (da inquadrare) delle relative Conclusioni della presidenza (i numeri sono quelli del documento originale): […] L’Unione si è ora prefissata un nuovo obiettivo strategico per il nuovo decennio: diventare l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo […] Il raggiungimento di questo obiettivo richiede una strategia globale volta a predisporre il passaggio verso un’economia e una società basate sulla conoscenza. […] I sistemi europei di istruzione e formazione devono essere adeguati alle esigenze della società dei saperi […] Dovranno offrire possibilità di apprendimento e formazione adeguate ai gruppi obiettivo nelle diverse fasi della vita: giovani, adulti disoccupati e persone occupate soggette al rischio che le loro competenze siano rese obsolete dai rapidi cambiamenti […] Il Consiglio europeo invita pertanto gli Stati membri […] ad avviare le iniziative necessarie per conseguire gli obiettivi seguenti: […] un quadro europeo dovrebbe definire le nuove competenze di base da fornire lungo tutto l’arco della vita: competenze in materia di teorie dell’informazione, lingue straniere, cultura tecnologica, imprenditorialità e competenze sociali. Le Conclusioni del Consiglio europeo di Lisbona 2000 hanno avuto un forte impatto sui sistemi di formazione e istruzione, dalle scuole medie all’università. Un docente lo ha riassunto in poche parole: «La politica della formazione è diventata da allora un elemento stabile della politica dell’occupazione e dell’economia. Essa serve in prima linea alla crescita economica, alla competitività e alla mobilità».. In un lungo saggio il cui titolo anticipa i contenuti in quattro parole (La formazione crìtica: perduta per sempre?), ecco come un accademico riassume le rovinose

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LA FORMAZIONE PEDAGOGICA

conseguenze della sussunzione del processo di formazione centrato sull’economia su quella che fu la unìversitas studiorum (fra parentesi quadre, i miei pochi commenti) La presente ristrutturazione neoliberale delle università richiede anche un clima rassegnato e non creativo tra gli studenti. Le conseguenze sono: 1) una ostilità strutturale verso la scienza; 2) la perdita di capacità critica teoretica; 3) la trivializzazione dell’epistemologia […] Un regime di verità neoliberale [il concetto viene da Foucault. La fonte è indicata nella nota che fornisce gli estremi di questo saggio] diventa egemonico come astrazione sociale della realtà e si impone non soltanto dal punto di vista organizzativo, ma anche da quello epistemico, come assolutamente alternativo. Esso favorisce le tendenze interne alla scissione e le modalità di consultazione non discorsive, che in sostanza non sono pili discutibili […] L’indebolimento e la consunzione del sapere critico vengono massicciamente pretesi dal nuovo corso neoliberale e stanno accelerando. A braccetto con la rifeudalizzazione dell’istituzione università avanza un cambio di mentalità nemico della critica, ben poco interessato a un’autoriflessione ricca di conseguenze del sapere e della scienza […] La formazione critica punta a superare i processi di separazione e di scissione a favore della cooperazione e della partecipazione. Essa promuove la capacità di giudizio, di immaginazione e di resistenza. A chi obiettasse a questo punto che può anche essere vero che la soppressione del pensiero critico ha impoverito il sistema di formazione e istruzione, però far crescere il Pil è pur sempre un’esigenza primaria e non si vede come un maggior tasso di pensiero critico potrebbe contribuire a tal fine, darei due risposte. La prima: buttare via subito o regalare a qualcuno questo libro, poiché la sua obiezione mostra come la concezione del mondo del lettore o lettrice in questione lo o la rende inaccessibile agli argomenti in esso esposti. La seconda; si consideri la frase evidenziata sopra in corsivo, che per comodità di lettura riproduco qui. Dal campo dell’ancora inverosimile la critica è un procedimento per esplorare le possibilità di salvezza tramite la facoltà di distinguere.” L. Gallino, Il denaro, il debito e la doppia crisi, Einaudi, Torino 2015, pp. 121-128.

I tratti comuni sono essenzialmente riconducibili al fatto che i loro specifici ruoli non ne fissano in modo rigido né le competenze, né i compiti, né l’organizzazione del lavoro. Al contrario, l’attività individuale varia in funzione di “ciò che c’è da fare e delle competenze che ognuno è in grado di mettere in campo nel tempo. Il ruolo non è quindi la gabbia in cui è costretto il lavoro delle persone ma è una sorta di copione che evolve mano a mano che evolvono le capacità e le competenze individuali e, soprattutto, mano a mano che si modificano le esigenze produttive”7. 7

F. Butera, E. Donati, R. Cesaria, op. cit., p. 23.

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EMERGENZE FORMATIVE E RISPOSTE PEDAGOGICHE IN AMBITO EUROPEO 63

I curriculum di studio e la formazione continua rappresentano una componente fondamentale nella vita dei professionisti d’azienda, come risulta dallo stretto rapporto che si è instaurato tra imprese ed Università, anche in ambito europeo. Siamo quindi in presenza di una vera e ineludibile emergenza formativa sia dei giovani che devono acquisire strumenti mentali adeguati ad affrontare le nuove esigenze del mercato del lavoro, sia degli adulti che rischiano di essere espulsi dal mondo lavorativo se privi delle competenze necessarie ad affrontare la sfida del nuovo che avanza8. Sullo scenario futuro disegnato dall’avanzare nel corpo sociale dei knowledge workers si confrontano dialetticamente due posizioni, una sostenuta tra gli altri da J. Rifkin9che vede in prospettiva una concentrazione di conoscenze specialistiche, di potere economico e sociale in un gruppo ristretto ed elitario di lavoratori ad alta professionalità, a cui farà riscontro una moltitudine di lavoratori precari, a continuo rischio di espulsione dal contesto produttivo, con bassa qualificazione e scarso livello di istruzione. L’altra, invece, considera la diffusione in campo lavorativo delle nuove tecnologie come elemento trainante di una possibile ampia diffusione del sapere che deve passare però attraverso politiche di profonda riforma e di qualificazione dei sistemi formativi. Il Consiglio Europeo ha più volte sottolineato la necessità di una strategia comune tesa a sviluppare progetti di istruzione e formazione permanente aventi tra gli obiettivi prioritari quelli di ampliare i sistemi di istruzione e formazione, di fornire a tutti la possibilità di accesso alla formazione, di promuovere il diritto ad una cittadinanza attiva. In relazione al diritto di cittadinanza attiva viene affiancato al concetto di lifelong learning che sottolinea la formazione, quello di lifewide learning che estende la formazione ad una molteplicità di ambiti e di aspetti della vita e ai diversi tipi possibili di apprendimento, da quello scolastico a quello lavorativo a quello esperienziale. Il concetto di lifelong learning è strettamente legato a quello dello sviluppo di una società di cui l’educazione, l’istruzione e la formazione siano elementi fondanti. Una società in cui gli individui entrino quotidianamente in contatto con i prodotti di una conoscenza in continua evoluzione la cui gestione richiede competenze e abilità sottoposte a rapidissima obsolescenza. In tale contesto la capacità di apprendere rappresenta per i singoli la condizione in8

J. E. Stiglitz, B. C. Greenwald, Creare una società dell’apprendimento. Un nuovo approccio alla crescita, allo sviluppo e al progresso sociale, op. cit., pp. 253-254. 9 J. Rifkin, La terza rivoluzione industriale, tr. it., Oscar Mondadori, Milano 2012, pp. 262-267.

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LA FORMAZIONE PEDAGOGICA

dispensabile per autodeterminarsi, per conservare margini di autonomia e di libertà individuale. L’espressione learning society “rinvia alle teorie dei sistemi sociali e alla concezione del sistema come organizzazione che apprende”10ed evoca la presenza di un sistema sociale il cui motore utilizza come carburante la conoscenza, ed in cui è quindi vitale l’apprendimento, ad ogni livello e a ogni età. È “una concezione di sistema in cui la dimensione strutturale si interseca sempre più con la valorizzazione delle cosiddette il cui cuore sono le risorse umane”11. Le teorie sull’organizzazione dei sistemi focalizzano l’attenzione non solo sulle risorse umane intese come competenze, ma anche sul valore sociale rappresentato dalla conoscenza diffusa che va quindi potenziata e mantenuta ad un alto livello, anche al fine ridurre le disuguaglianze. 12. Inoltre, la traslazione del modello dell’organizzazione che apprende al contesto della formazione nella società della conoscenza, consente di evidenziare l’interdipendenza strutturale tra sviluppo del corpo sociale e quantità e qualità delle conoscenze in esso incorporate. Come sottolineano Stiglitz e Greenwald, “l’apprendimento tocca qualunque aspetto di un’economia moderna dinamica e ancor più di un mercato emergente che lotta per diventare un paese industriale avanzato. Dove esistono fallimenti del mercato riguardo all’apprendimento, i fallimenti riguardano l’intero sistema economico”13. Nell’ambito della società complessa e globalizzata, la conoscenza ha acquisito un ruolo via via sempre più centrale per quanto concerne gli aspetti sociali, economici, politici e culturali dei vigenti ordinamenti statuali, configurandosi come una risorsa/valore fondamentale per i loro processi d’innovazione. Terminata l’età delle certezze e dell’onniscienza, si configura decisamente il paradigma della complessità, incentrato sull’imprevedibilità dei processi intrigati da una molteplicità di fattori e di variabili, che continuamente agiscono e retroagiscono tra loro, sfuggendo ai tentativi di letture schematiche e semplicistiche. Il definitivo tramonto delle società statiche e dei corrispettivi paradigmi teologico-metafisici della conoscenza, l’avvento della società industriale prima e di quella post-industriale poi presuppone ed alimenta una conoscenza dinamica, in continua trasformazione, capace di rispondere alla molteplicità 10

p. 7.

A. Alberici, Imparare sempre nella società della conoscenza, Bruno Mondadori, Milano 2002,

11

Ibidem. J. E. Stiglitz, B. C. Greenwald, Creare una società dell’apprendimento. Un nuovo approccio alla crescita, allo sviluppo e al progresso sociale, op. cit., p. 256-257. 13 Idem, pp. 26-27. 12

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delle esigenze, dei bisogni e delle sfide di natura sociale, economica, politica e culturale, che si diversificano e moltiplicano in modo sempre più esponenziale e globale. Ne segue l’esigenza di formare un soggetto-persona che sia capace di rispondere alla molteplicità delle sfide poste dalla società postmoderna e del disincanto14, affrontando con un’adeguata consapevolezza critica le situazioni nuove che deve fronteggiare, facendo ricorso al proprio bagaglio cognitivo, che allo stesso tempo deve essere fermo e mobile. Fermo in quanto ancorato su conoscenze specifiche e settoriali, mobile nella capacità di collegarne e rivederne contenuti e strutture epistemiche che le caratterizzano, in un’ottica di formazione continua e permanente: “In virtù dei numerosi cambiamenti avvenuti a livello politico, economico e sociale in questi ultimi venti anni, è possibile rintracciare, nelle politiche europee in materia di istruzione e formazione […] la volontà di pervenire all’adozione di una strategia globale finalizzata a facilitare la transizione verso un’economia e una società fondata sulla conoscenza. Oggi l’istruzione e la formazione lungo il corso della vita rappresentano quindi due concetti ritenuti fondamentali al fine di garantire il pieno accesso alla vita economica, sociale e politica di tutti i cittadini europei. L’unione europea li ha posti al centro della propria agenda politica e la Commissione europea ha teso a creare una forte cooperazione in tali ambiti tra gli stati membri, con l’obiettivo di garantire l’equità, la giustizia e la partecipazione sociale di tutti i cittadini, per offrire reali opportunità di crescita e di sviluppo personale, professionale e sociale”15.

Una crescita personale, professionale e sociale tesa a garantire lo sviluppo integrale e globale dei singoli cittadini nel loro essere consapevolmente soggetti-persone dotate di un’autonoma libertà di scelta e di continua ed aperta ricerca di senso. Se a cavallo tra Otto e Novecento la formazione permanente si caratterizza come istruzione degli adulti tesa ad un capillare processo di alfabetizzazione, oggi nella società complessa e della conoscenza, pur dovendo affrontare la sfida dell’analfabetismo funzionale, essa si caratterizza sia come lifelong learning, vale a dire come educazione ed apprendimento che si svolge lungo tutto l’arco della vita, sia come lifewide learning, ossia come apprendimento che si dispiega in una molteplicità di luoghi e di contesti formali, non formali ed informali.

14 15

Cfr. F. Cambi, Abitare il disincanto. Una pedagogia per il postmoderno, Utet, Torino 2006. A. Alberici, L’educazione degli adulti, Carocci, Roma 2002, p. 72.

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LA FORMAZIONE PEDAGOGICA

Come è stato evidenziato16, i contributi di Lindeman17 e Yeaxlee18 offrono la possibilità di individuare i concetti basilari del lifelong learning: 1) l’identificazione tra vita, educazione ed apprendimento; 2) la molteplicità dei contesti formativi propri della nostra società complessa (media, cinema, teatri, associazioni, partiti, case, musica, quotidiani, gruppi di amici); 3) la centralità dei soggetti in formazione. Per quanto concerne l’identificazione tra vita, educazione ed apprendimento, se è vero, sulla sua base, che l’educazione non ha fine, è anche vero che essa si sviluppa a partire da una base di conoscenze, abilità e competenze acquisite precedentemente soprattutto in ambito formale, ossia presso le scuole e l’università. Ne segue che la qualità dell’educazione primaria, secondaria e superiore riveste un’incidenza ed un ruolo fondamentali per l’apprendimento successivo19. Relativamente alla molteplicità dei luoghi e dei contesti in cui si sviluppano i processi apprenditivi permanenti, questa richiede uno sforzo di coordinamento che vada nella direzione della costruzione di un Sistema Formativo Integrato aperto e plurale ma non frammentato e disarticolato in una molteplicità d’iniziative disconnesse e disarticolate se non in palese contraddizione tra loro20. Il lavoro come forma di realizzazione dell’uomo “[…] Attraverso il lavoro si dà forma umana al mondo, si realizza impresa, la vita si umanizza. Il lavoro – come aveva ben compreso Marx – è una espressione profonda del programma della Civiltà. È il punto dove la forza della pulsione produce la forma del mondo. È solo l’estraneazione alienata del lavoro che genera caduta del senso, ma il lavoro in quanto tale, in quanto manifestazione umana della prassi, è una forma di realizzazione dell’uomo. Non è caduta del senso, ma ciò che dà senso alla vita come mostrano il moltiplicarsi dei suicidi nel tempo della crisi economica che stiamo attraversando. L’inferno è essere spogliati del proprio lavoro, della possibilità di rendere umana la vita differenziandola da quella animale. Per questo la parola “lavoro” è al centro del discorso del soggetto in questo tempo di grande precarietà. I pazienti non parlano solo delle loro schiavitù, dei loro sintomi, ma anche del lavoro come possibilità di riscatto. Nel lavoro non c’è, infatti, solo sfruttamento, brutalità del Capitale, asservimento della vita, come un cattivò uso ideologico del marxismo 16 L. Dozza, Vivere e crescere nella comunicazione, in «Pedagogia più didattica. Teorie e pratiche educative», n. 3. 2012, pp. 5-8. 17 Cfr. E. Lindeman, The meaning of Adult Education, New Republic, New York 1925. 18 Cfr. B. Yeaxlee, Lifelong education, Cassell, London 1929. 19 Ivi, p. 155. 20 E. Corbi, V. Sarracino, Scuola e politiche educative in Italia dall’Unità a oggi, Liguori, Napoli, 2003, pp. 109-126.

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ha voluto farci credere. Il lavoro in sé – come ha dimostrato lo stesso Marx – non coincide affatto con l’alienazione. La domanda giovanile mai come in questi tempi è stata innanzitutto domanda di lavoro. Lo sguardo di Telemaco, aperto sul mare, non è uno sguardo che si aspetta un lavoro come possibilità di dare senso alla propria presenza nel mondo? […] Coloro che decidono per il suicidio sono uomini che hanno perduto la loro immagine, che hanno incontrato uno specchio in frantumi, che non possono più riconoscersi in nulla. Sono stati spogliati della loro stessa immagine perché hanno perduto la possibilità del lavoro come possibilità che assegna dignità e valore alla vita umanizzandola, realizzandola socialmente. Non di solo pane vive l’uomo, recita la celebre massima evangelica. Gli psicoanalisti non sono certo i soli a verificarne quotidianamente la verità: la vita umana non si realizza solo attraverso l’appagamento dei bisogni primari, naturali, istintuali. La vita si umanizza solo attraverso l’acquisizione di una dignità simbolica che la rende unica e insostituibile. La vita si umanizza attraverso il suo essere riconosciuta, dalla propria famiglia e dal corpo sociale di appartenenza, come vita umana. Di fronte alla tragica raffica di suicidi causati dalla perdita del lavoro, da fallimenti professionali o dall’angoscia di non riuscire a sopportare l’aumento continuo dei debiti e l’onda sismica della crisi economica che stiamo vivendo, torna alla mente tutta la potenza della massima evangelica. Non perché il pane non abbia importanza. E chi potrebbe negarlo soprattutto in tempo di crisi, dove la stessa sopravvivenza degli individui e delle loro famiglie è messa a repentaglio? Eppure il dramma del suicidio è propriamente umano – e solo umano – perché in gioco non c’è solo il pane. La mancanza del pane può generare indignazione, lotta contrasto, rivendicazione legittima di giustizia sociale disperazione, frustrazione, scoramento. Ma non è la mancanza del pane in sé che può condurre una vita alla decisione di uscire dal mondo. Marx aveva ragione a rifiutarsi di considerare il lavoro un mero mezzo di sostentamento. Egli pensava che l’uomo trovasse in esso non solo il mezzo per guadagnare il pane necessario, ma anche e soprattutto la possibilità di dare senso alla propria vita, di renderla diversa da quella dell’animale, di renderla umana. È il lavoro che dà una forma al mondo, che trasforma la materia, che realizza impresa, costruzione progetto, che sa generare futuro. È ciò che portava Marx a conferire al lavoro umano una dignità fondamentale e insostituibile. Per questa ragione il lavoro non è innanzitutto fonte di alienazione, ma possibilità di realizzazione della vita. Non è ciò che deruba la vita ma ciò che la costituisce in quanto umana. M. RECALCATI, Il complesso di Telemaco. Genitori e figli dopo il tramonto del padre, Feltrinelli, Milano 2014, pp. 46-57

Infine, la centralità dei soggetti nei processi di apprendimento deve condurre ad “un’apertura all’esperienza e a tutti i saperi”21, per la costruzione di percorsi incentrati sul confronto e sul dialogo generativo e non sulla mera ripetizione ed acquisizione memonica di saperi formali disancorati dal vissuto e dalle esperienze più significative del soggetto-persona in formazione. 21

L. Dozza, op. cit., p. 6.

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LA FORMAZIONE PEDAGOGICA

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Dunque, il lifelong learning come un processo ancorato, aperto e globale teso alla valorizzazione del soggetto nella sua globalità. Ma “le scelte primariamente orientate all’orientamento, educazione e formazione della persona nella sua integralità, seppure riconosciute come importanti per la coesione sociale e la cittadinanza, restano sullo sfondo rispetto a quelle di politica economica”22. Per contrastare le sempre più pervasive ed egemoni derive de-pedagogizzanti della formazione ridotta e risolta alla sola sua dimensione professionale, tecnica ed economica, occorre fare leva sul concetto di lifedeep learning, ossia alla profondità del soggetto-persona, colta nella sua costitutiva complessità valoriale, etica, sociale e simbolica: “L’apprendimento non essere di tutta la vita (lifelong), ancorato allo spazio vitale e costruito nei differenti contesti della vita (lifewide) se al contempo non si radica anche nella profondità della persona (lifedeep). Lo sviluppo di un’identità personale e professionale è un processo di apprendimento sia cognitivo che emozionale di co-costruzione e insieme autocostruzione personale. Lo sviluppo dell’autonomia del singolo e della sua forza di iniziativa si costruisce nel tempo attraverso l’interdipendenza dinamica di due fattori che si condizionano a vicenda: la profondità di storia, radici e progetti della persona e la conoscenza/comprensione dell’ambiente, del mondo, degli altri con cui condivide la vita quotidiana, scambia lingue e culture nella continua ricerca di «conciliazione» delle fasi della vita e dei contesti di vita con la propria vita interiore” 23.

Proprio per cercare di realizzare tale conciliazione, strettamente intrecciata ai temi ed alle problematiche del lifelong learning, la gestione e la formazione delle human resource deve essere teorizzata, progettata e realizzata a partire da paradigmi che riconoscano la centralità del soggetto-persona, evitandone i riduzionismi tecnicistici ed economicistici. Non è un caso che attualmente la ricerca pedagogica maggiormente sensibile ai pericoli insiti alle derive insite nella razionalità strumentale si orienti verso prospettive critiche e qualitative, che ne intrecciano gli aspetti professionali con quelli volti alla promozione ed alla valorizzazione dell’educazione alla cittadinanza attiva, al benessere e ad una neo-Bildung sì dal carattere utopico, ma non come fuga dal reale, bensì come immersione in esso nel tentativo di esplicitarne le possibilità trasformative insite nell’esistente. Così come in sede di riflessione progettuale e di pratiche formative si presta attenzione alla dimensione della riflessività propria del circolo teoria-prassi24. 22

Ivi, p. 7. Ibidem. 24 B. Rossi, Il lavoro felice. Formazione e benessere organizzativo, La Scuola, Brescia 2012, pp. 99-105. 23

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All’interno di queste coordinate generali di riferimento, si assiste all’approfondimento del concetto di diversità, per proporre un’ipotesi di lavoro incentrata sull’approccio proprio alle comunità di pratica, il cui obiettivo risiede nel mettere in condizione i soggetti di sviluppare e promuovere azioni di autoriflessione rispetto al tema dell’armonizzazione delle diversità proprie degli habitat sociali ed urbani di riferimento. Coerentemente a tale impostazione, si pone decisamente l’esigenza di indagare in modo sempre più specifico e sistematico i contesti organizzativi e lavorativi, interpretandoli come luoghi dentro i quali i vari soggetti hanno l’opportunità di formarsi e trasformarsi attraverso processi di apprendimento collaborativi e riflessivi, che fanno leva sulla portata e sulla valenza implicitamente trasformativa insita nell’esperienza. Inoltre, per fronteggiare in modo costruttivo e risolutivo le patologie che minano alla base il benessere nei contesti lavorativi, tra cui il burn-out e il mobbing, si propone una pedagogia del benessere organizzativo, incentrata sul rapporto tra lavoro, emozioni, identità, relazioni. Alla complessità del soggetto-persona fa riferimento anche la pedagogia dei sentimenti, il cui ideale educativo, incentrato sull’homo sentiens, mira alla cura dell’intelligenza del cuore, da contrapporre all’assolutizzazione della dimensione economica ed utilitaristica oggi predominanti in ambito socioculturale. Nel complesso, dall’incrocio di alcune prospettive critiche che caratterizzano l’attuale fase del dibattito pedagogico, sembra emergere un modello formativo incentrato sulla razionalità critica e riflessiva, che, anche in ambito lavorativo e professionale, mira a potenziare nei soggetti le loro capacità di analisi, dialogo, empatia, confronto ed osservazione, per farne direttamente dei protagonisti attivi e propositivi di un processo di continua tensione trasformativa e non meramente adattiva.

3.2  La crisi della democrazia come crisi dell’educazione. Pedagogia politica ed educazione alla cittadinanza Tra le emergenze educative che la scuola italiana deve affrontare per fronteggiare la marea montante di antipolitica e qualunquismo, uno spazio di indubbio rilievo spetta all’educazione alla democrazia; non risulta infatti esser presente una ampia e condivisa riflessione pubblica sugli obiettivi ed i contenuti di una formazione etico-civile. Zagrebelsky evidenzia come la fine del secondo conflitto mondiale, unitamente alla sconfitta dei regimi totalitari che lo avevano scatenato, abbia

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LA FORMAZIONE PEDAGOGICA

comportato, quasi ad inizio di una nuova epoca, un desiderio diffuso di democrazia, intesa come argine protettivo contro un ritorno all’assolutismo, e come speranza di un assetto politico nuovo, aperto al contributo e alla partecipazione responsabile di tutte le classi sociali. In Italia, però, negli oltre sessant’anni trascorsi, “un’autentica pedagogia democratica è mancata;”25 nel “momento della massima diffusione della democrazia […] sembra essere venuta meno l’esigenza di insegnarne lo spirito”26. In realtà, lo spirito della democrazia è strettamente collegato all’esercizio di una cittadinanza attiva e responsabile, che dovrebbe essere obiettivo primario e irrinunciabile nella scuola di un Paese a vocazione democratica. Il problema di attuare nelle istituzioni scolastiche progetti organici di educazione alla cittadinanza è fortemente sentito a livello internazionale. Ne sono testimonianza le indagini promosse in vari Paesi per analizzare le competenze di alunni di quattordici anni sui principi ispiratori di una democrazia e sulla articolazione delle istituzioni che ne consentono l’attuazione27. Inoltre, una educazione alla cittadinanza democratica (E.C.D.) è obiettivo comune di tutti i Paesi europei che, nei loro programmi scolastici, hanno dato un particolare rilievo alla conoscenza delle istituzioni democratiche e dei meccanismi che ne regolano il funzionamento. Per quanto attiene l’Italia, una lettura attenta della Carta costituzionale può essere strumento prezioso per guidare i giovani a comprendere lo spirito della nostra democrazia, fortemente connotato dai valori della Resistenza al nazifascismo28, che per la liberazione ha pagato un altissimo tributo di sangue. 25

G. Zagrebelsky, Imparare democrazia, Einaudi, Torino 2007, p. 7. Ivi, p. 8. 27 M. Santerini, La scuola della cittadinanza, Laterza, Roma-Bari 2010, p. 25. 28 S. Hessel, ex partigiano di 93 anni, in un saggio pubblicato in Francia nel 2010 con il titolo Indignez-vous!, che in poche settimane è diventato un best seller, pone all’attenzione delle giovani generazioni l’importanza di non dimenticare i valori della Resistenza: “di quei princìpi e di quei valori, oggi abbiamo più che mai bisogno. Spetta a noi, tutti insieme, vigilare perché la nostra società sia una società di cui andare fieri. Non questa società dei sans-papiers, delle espulsioni, del sospetto nei confronti degli immigrati, non questa società che rimette in discussione le pensioni e le conquiste dello Stato sociale, non questa società in cui i media sono monopolio dei ricchi: tutte cose che, se davvero fossimo stati gli eredi del Consiglio Nazionale della Resistenza, ci saremmo rifiutati di avallare […]. Hanno il coraggio di raccontarci che lo Stato non è più in grado di sostenere i costi di queste misure per i cittadini. Ma com’è possibile che oggi manchi il denaro necessario a salvaguardare e garantire nel tempo tali conquiste, quando dalla Liberazione, periodo che ha visto l’Europa in ginocchio, la produzione di ricchezza è considerevolmente aumentata? […]. Il motore della Resistenza era l’indignazione. Noi […] ci appelliamo alle nuove generazioni perché mantengano in vita e tramandino l’eredità e gli ideali della Resistenza. Diciamo loro: ora tocca a voi, indignatevi!” (S. Hessel, Indignatevi!, tr. it., Add Editore, Torino 2011, pp. 6-10. 26

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Ai lavori dell’Assemblea Costituente parteciparono esponenti rappresentativi delle diverse anime dell’antifascismo, portatori di posizioni anche molto distanti tra loro su temi sensibili, ma tutti consapevoli dell’alto compito a cui erano chiamati. La Carta, frutto del loro impegno, è una sintesi mirabile di quelle posizioni, scaturita da un confronto anche aspro, ma sinceramente orientato verso il raggiungimento di un obiettivo comune.

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L’eloquenza antipedagogica dei populismi “Demos in greco significava popolo. La democrazia è – etimologicamente – il potere del popolo. La demagogia è il potere dei capipopolo […]. In latino il popolo si chiamava vulgus. Dunque volgare aveva in origine l’accezione di , anche nel senso di . Il senso che oggi diamo alla parola – quello di – comincia a diffondersi solo dal Cinquecento. Ecco perché Dante chiamava volgare la lingua parlata dal popolo: quella che nel De vulgari eloquentia considerava ormai abbastanza nobile da potersi sostituire al latino. Oggi, l’eloquenza di molti politici può essere definita volgare proprio dall’uso distorto che fa della parola e del concetto di popolo. Un uso dal quale discende quasi sempre una retorica dell’abbassamento. Nel momento in cui si mitizza il popolo sovrano, lo si tratta in realtà come un popolo bue. Qualcuno a cui rivolgersi con frasi ed espressioni terra terra, cercando di risvegliarne bisogni e istinti primari. O tutt’al più come un popolo bambino: un capricciosissimo moccioso da viziare in ogni modo pur di portarlo dalla propria parte. Questa eloquenza è volgare perché da questa idea di popolo discende una lingua che è al tempo stesso paternalista e antipedagogica […] Se prima si mirava a impressionare l’uditorio facendo pesare la propria superiorità culturale, ora si prediligono forme espressive elementari che hanno la funzione di simulare schiettezza, sincerità, onestà. Dal , si è passati al ”. G. Antonelli, Volgare eloquenza. Come le parole hanno paralizzato la politica, Laterza, Roma-Bari 2017, pp. 16-23.

Un’analisi del testo compiuta in classe dal docente può muoversi lungo più direttrici, ad esempio portando l’attenzione degli alunni a concentrarsi sulla riuscita ricomposizione di orientamenti diversi in vista di un fine condiviso, indicazione di un metodo di lavoro che va sempre perseguito; oppure mettendo a confronto tra loro e con il nostro, i sistemi elettorali e le forme di organizzazione democratica di diversi Paesi, per discuterne vantaggi e limiti in un’ottica democratica. Un lavoro come quello suggerito richiede da parte del docente una preparazione adeguata e una forte determinazione a condurre i giovani verso l’acquisizione di una coscienza democratica.

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LA FORMAZIONE PEDAGOGICA

La necessità di formare dei docenti capaci di trasmettere ai giovani una forte passione civile e una salda preparazione sui principi e sulle regole della democrazia, è stata recepita dal Consiglio d’Europa che, a più riprese negli anni, ha affrontato il problema proponendo per gli insegnanti specifici progetti di formazione sia sul piano della conoscenza sia sul piano delle metodologie. La metodologia adottata è ancora più importante dei contenuti perché, se orientata all’acquisizione di un pensiero logico, consente di formare dei cittadini capaci di decifrare i multiformi segnali della società complessa, di discernere, di prendere posizione in maniera consapevole. Martha Nussbaum propone, al fine di favorire la strutturazione di una mente aperta e problematica, di introdurre già nella scuola dell’infanzia concetti propri del pensare filosofico; in tal modo i bambini vengono abituati fin da piccoli a porsi domande e ad esercitare la mente su diversi aspetti di un problema. Lippman, con la sua collana di testi Phylosophy for Children dimostra in modo accattivante come sia possibile coltivare in modo intelligente la naturale inclinazione del bambino a porsi domande, portandolo a strutturare un pensiero filosofico. Il successo dell’opera di Lippman dimostra che “l’aspirazione a rendere socratiche le scuole primarie e secondarie non è utopia, né richiede dati eccezionali” e che questi sono i “saperi e le capacità di cui abbiamo disperatamente bisogno per mantenere vitale, rispettosa e responsabile la democrazia stessa”. L’insegnamento della filosofia inoltre, per gli studenti della scuola secondaria di secondo grado, se ben impostato dal docente, può essere veicolo prezioso per l’acquisizione di conoscenze che introducono alla comprensione del funzionamento di un sistema democratico, sistema in cui i poteri sono divisi tra i soggetti istituzionali (i cui rappresentati sono eletti), che li gestiscono secondo procedure concordate e vincolanti, in assoluta trasparenza, rispettando il mandato ricevuto dagli elettori, che ha una durata limitata nel tempo. Conoscere il funzionamento di un sistema democratico è condizione necessaria ma non sufficiente per un’educazione alla cittadinanza. Occorre soprattutto introdurre nelle singole discipline gli argomenti in modo problematico, stimolando i giovani a formulare ipotesi, a sviluppare percorsi di soluzione, a studiare una situazione nei suoi diversi aspetti, acquisendo in tal modo il gusto per l’indagine e, quasi inconsapevolmente, strumenti logici e linguistici nuovi, oggi più che mai necessari per decodificare e leggere con spirito critico le lacunose e frammentarie notizie (spesso fake news) veicolate attraverso internet e i social.

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È un percorso molto impegnativo per il docente, che va preparato con cura e la cui attuazione richiede grande professionalità e una mole di lavoro difficilmente quantificabile prima, durante e dopo l’intervento in aula. È però un percorso entusiasmante per gli allievi, che si sentono protagonisti e non spettatori della lezione e, se divisi in piccoli gruppi e guidati con mano ferma dal docente, tendono a dare il massimo. Certamente, in un’aula in cui si lavora con una metodologia come quella indicata, non c’è il silenzio e la quiete dei cimiteri, i giovani sono in movimento tra i banchi e c’è, per dirla con Dewey, “quel trambusto che viene dall’attività”. Ma quale soddisfazione per il docente che viene chiamato a controllare, a dare un giudizio sul lavoro svolto, a spiegare, a stimolare i più pigri! La metodologia proposta è stata in realtà applicata con successo in Italia molto tempo fa per alcuni decenni in diversi Istituti tecnici industriali nell’insegnamento di Fisica e laboratorio, disciplina che godeva di ben cinque ore settimanali di lezione. La spinta ad applicare una metodologia così innovativa è scaturita da un progetto nato negli USA nel 1956 e sviluppato nell’estate del 1957 ad opera del Physical Science Study Committee (PSSC), Comitato che ha mobilitato fisici teorici, ricercatori, insegnanti di fisica, per diffondere nel Paese la conoscenza della scienza fisica attraverso la metodologia della ricerca. Il corso di Fisica del PSSC è un’opera collettiva, alla cui realizzazione parteciparono trecento esperti, tra cui docenti universitari, insegnanti, scrittori, pedagogisti, artisti, progettisti di apparecchiature di laboratorio. Tra di essi c’erano fisici come i premi Nobel Edward Purcell e Hans A. Bethe. Obiettivo del corso era quello di condurre lo studente ad acquisire la mentalità dello studioso di professione, imparando a porsi domande, a raccogliere e analizzare i dati del laboratorio, per tendere poi a raggiungere conclusioni verificabili. Il progetto, per iniziativa dell’OCSE, fu adottato anche in Europa. In Italia dal 1961 furono istituite dal Ministero della Pubblica Istruzione in varie scuole, potenziando l’orario di Fisica, venti classi pilota, il cui numero negli anni successivi crebbe rapidamente raggiungendo nei soli licei le cento unità. Nel contempo, una Commissione nazionale, presieduta da Giampietro Puppi dell’Università di Bologna, provvide ad adattare le apparecchiature per gli esperimenti e organizzò corsi di aggiornamento per gli insegnanti. Le difficoltà operative e le resistenze di alcuni al cambiamento portarono il Ministero a chiudere la sperimentazione dopo il 1965. In molti Istituti tecnici industriali però, il PSSC era diventato patrimonio dei docenti che, quindi, hanno continuato negli anni ad applicarne lo spirito

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LA FORMAZIONE PEDAGOGICA

con passione e competenza, utilizzando il laboratorio – in cui i giovani erano divisi in piccoli gruppi – come luogo di ricerca, di discussione, di progettazione di un esperimento e poi di analisi dei dati raccolti. La fase di analisi dei dati, condotta in aula dal docente con modalità dialogante, consentiva poi di trasmettere agli allievi una serie di competenze specifiche, anche di qualche difficoltà concettuale, che difficilmente sarebbero state pienamente recepite nel contesto di una lezione tradizionale di tipo frontale. Per gli studenti ha rappresentato un grande arricchimento in termini di educazione alla democrazia, al rispetto delle regole, oltre che di acquisizione di contenuti e di un metodo di lavoro universalmente valido, a dimostrazione della sostanziale differenza tra il metodo scientifico e lo scientismo, oggi imperante, che invece rappresenta solo una mera esaltazione sic et simpliciter dei saperi ritenuti funzionali alle logiche del profitto. Le varie riforme della scuola, ridisegnando le discipline e gli orari, hanno de facto interrotto quel percorso virtuoso che resta comunque un modello possibile anche in altri ambiti disciplinari. A tal proposito Nussbaum registra con preoccupazione la tendenza, in diversi Paesi, a modificare radicalmente i piani per l’istruzione ridimensionando gli studi umanistici in favore di saperi tecnico-scientifici, ritenuti più idonei a favorire la crescita economica. A sostegno di tale tendenza, Nussbaum elenca in successione una serie di segnali provenienti da più parti: in India, il Paese da cui Rabindranath Tagore, grande innovatore nel campo dell’istruzione, ha esportato con successo nel mondo, dall’Europa agli Stati Uniti il suo modello educativo basato sul ragionamento socratico e aperto alla cultura musicale e artistica, oggi prevale una concezione dell’educazione centrata sul profitto. È una concezione molto lontana da quella in base alla quale Tagore aveva formato tanti futuri cittadini della grande democrazia indiana. A Chicago, nella scuola in cui Dewey condusse i suoi esperimenti di riforma democratica dell’istruzione, nel novembre 2005 gli insegnanti, riuniti per discutere sul tema dell’istruzione per la cittadinanza democratica, mentre da un lato dichiaravano la propria soddisfazione per il gradimento mostrato dagli allievi nei confronti di un lavoro aperto alla ricerca, alla critica, al fantasticare, dall’altro lamentavano le pressioni esercitate dai genitori per cambiare le linee guida dell’Istituto in favore di un insegnamento più produttivo in vista di un futuro successo economico dei figli. Un insegnamento di tipo tecnicistico, basato sul possesso di nozioni da spendere nell’immediato, è cosa ben diversa da una vera formazione scientifica che, se tale, si muove nella direzione di uno stimolo alla capacità di pensiero critico, di analisi logica dei problemi, di organizzazione mentale.

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Nussbaum espone una serie di motivi per cui una pedagogia socratica, basata sul ragionamento, è da considerarsi fondamentale per lo sviluppo di una società democratica. La capacità di pensiero logico, infatti, favorisce una cultura del dissenso individuale utile a spezzare in un gruppo la tendenza (sempre presente) ad omologarsi al pensiero unico, incoraggiando la presa di posizione attiva di ciascuno, nell’ottica di promuovere una cultura della responsabilità. La capacità di pensiero indipendente, inoltre, favorisce la creatività e l’innovazione portando benefici anche in campo economico. Per abituare i giovani ad un ragionamento correttamente strutturato dal punto di vista logico, Nussbaum propone di istituire in tutti i corsi di studio universitario almeno due semestri di filosofia per studiare la logica formale, il cui possesso può rappresentare un utile strumento nella stesura di testi su tematiche di vario tipo, e nel potenziamento della capacità di argomentare correttamente. L’impegno etico della scuola deve essere quindi l’educazione dei giovani alla democrazia, intesa come educazione alla ricerca ed alla lettura critica dei processi che si dispiegano nell’attuale società complessa, ma nello stesso tempo deve essere una educazione alla libertà, come sostiene Gherardo Colombo: “occorre in primo luogo entrare in relazione effettiva con l’altro, essere disposti all’ascolto […], non imporre le proprie esigenze, ma rispondere alle sue. Significa cercare e trovare la strada perché chi impara diventi consapevole della libertà di scegliere e la apprezzi.” Tutto ciò al fine di formare dei cittadini che siano in grado di orientarsi in un contesto privo di un orizzonte di senso ed essere al tempo stesso protagonisti della trasformazione delle strutture e delle forme di partecipazione politica, oggi indispensabile per garantire la sopravvivenza della democrazia stessa.

3.3 Il valore della differenza La pedagogia oggi deve confrontarsi con i problemi posti dalla complessità che non sono riconducibili unicamente ad un crescente e diffuso bisogno di istruzione/formazione ma sono anche legati all’emergere della differenza come elemento caratterizzante la società attuale in contrapposizione al principio dell’identità che per molti secoli è stato a fondamento della cultura occidentale, agendovi come criterio regolatore capace di annientare e sconfiggere ogni tentativo di dare spazio all’alterità, ad un pensiero diverso. Cambi sottolinea come la valorizzazione della differenza sia entrata a far parte della cultura occidentale partendo dall’Illuminismo, momento di rottura di tanti equilibri, passando poi attraverso il Romanticismo con

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LA FORMAZIONE PEDAGOGICA

la sua esaltazione della libertà individuale rispetto alla norma, e via via la filosofia di Hegel che assegna un ruolo positivo alla contraddizione e poi Marx con la dialettica come negazione, e ancora il pensiero negativo da Kierkegaard a Schopenhauer, a Nietzsche che metterà in crisi le certezze della cultura occidentale, dal logos alla morale. Nel corso del Novecento sarà poi Heidegger “il grande decostruttore della metafisica e il teorico radicale della Differenza”. Nell’ambito delle scienze umane l’antropologia culturale e la psicanalisi aprono la via alla cultura della differenza con gli studi rispettivamente di Lévi Strauss e di Freud. Oggi la differenza, nelle sue varie espressioni, innerva il nostro mondo ponendo problemi, facendo esplodere contraddizioni, provocando lacerazioni, chiedendo risposte non sempre indolori. La differenza di genere posta con forza dalle donne, ha determinto una tumultuosa riorganizzazione della società nelle sue strutture portanti, la famiglia in primo luogo. Allo stesso tempo, ha comportato una riflessione critica su un modello culturale e familiare centrato sul predominio maschile, innescando una rivoluzione nei comportamenti, nel modo di pensare l’educazione, nella scelta dei valori di riferimento. La presenza di etnie e culture diverse ha portato alla nostra attenzione quesiti nuovi, inerenti alla differenza di lingua, tradizioni, religione, costumi. Per Cambi la categoria-chiave per rappresentare il presente è il disincanto, già introdotta da Max Weber in relazione alla secolarizzazione, e riproposta oggi con la connotazione ulteriore di “congedo dal senso”. Il disincanto è la modalità con cui il soggetto si inoltra in un mondo desacralizzato, da “vivere come avventura e come possibilità”, che gli consente una totale libertà di organizzare la sua esistenza, privandolo però di ogni certezza e di ogni sostegno. Il tumultuoso emergere delle istanze poste dall’universo femminile sta determinando nell’assetto dell’attuale società occidentale profonde modificazioni strutturali legate alla diffusa scolarizzazione delle donne e dal loro imponente ingresso nel mondo del lavoro dove esse scalano, superando resistenze e difficoltà, anche posizioni storicamente maschili. In questi anni è diventato inarrestabile il lungo processo di liberazione femminile iniziato con la diffusione delle idee della filosofia illuminista che esaltavano la ragione e il progresso, e postularono uguali diritti tra gli individui. Così, nel 1791, Olympe de Gonges rivendicava l’estensione alle donne della Dichiarazione dei diritti dell’uomo mentre un anno dopo Mary Wollstonecraft, sulla base delle idee illuministe e della Rivoluzione francese, scriveva The Vindication of the Right of Women.

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EMERGENZE FORMATIVE E RISPOSTE PEDAGOGICHE IN AMBITO EUROPEO 77

La rivendicazione femminile dell’estensione anche alle donne dei diritti naturali dell’uomo era resa necessaria dal fatto che, nonostante il Preambolo della Costituzione francese del 1791 recitasse: “non vi è più, per alcuna parte della Nazione, né per alcun individuo, alcun privilegio o eccezione al diritto comune di tutti i francesi”, tutti gli status personali su cui si reggeva l’ancien régime (che crearono situazioni giuridiche differenti in base alla nascita, al censo, alla professione, alla fede religiosa ecc…) erano stati cancellati ad eccezione dello status fondato sul sesso. Ciò coerentemente con le idee dei giuristi prerivoluzionari, riprese da Rousseau, che distinguevano tra disuguaglianze artificiali, che andavano cancellate, e disuguaglianze naturali come quelle fondate sul sesso, da preservare. Quindi, “la Rivoluzione francese fu, per le donne – ad onta della loro partecipazione massiccia e qualificata – una delle tante occasioni mancate di cui è piena la storia del movimento paritario. Ma […] introducendo in modo così nuovo e radicale il principio dell’eguaglianza di fronte alla legge, pose le basi teoriche e normative per le successive rivendicazioni femminili”. Il primo Codice civile dell’Italia unita (1865) sanciva l’inferiorità giuridica delle donne, “escluse dai diritti politici, e anche dalle funzioni civili come quelle di patrocinatore, di tutore, testimone negli atti civili, nei testamenti, negli atti tra vivi per mano di un notaio”. Solo nel 1946 le donne ebbero in Italia diritto di voto ed elessero all’Assemblea Costituente una percentuale femminile pari a quella del Parlamento attuale; il testo della Costituzione del 1948 è molto avanzato rispetto alla società di allora e porta il segno del contributo delle donne elette che vi si impegnarono a fondo; esso disegna i contorni di una società democratica, chiarendo puntigliosamente all’art.3 l’eguaglianza di tutti (senza esclusione di razza, di religione, di sesso) di fronte alla legge, mentre altri articoli ribadiscono l’eguaglianza dei diritti nella famiglia, nei rapporti lavorativi, nell’accesso ai pubblici uffici e alle cariche elettive, tanto che Nilde Iotti dirà: “la Costituzione è il più grande atto di questo secolo fatto in favore delle donne”. Ma la strada per la parità, dal 1948 ad oggi, è stata tutta in salita per le donne che hanno dovuto lottare per l’applicazione piena delle norme costituzionali contro una classe politica e una magistratura di merito che tendevano a svuotare di contenuto le norme più innovative, fornendone interpretazioni riduttive e abroganti. Solo con una legge di iniziativa parlamentare (9 febbraio 1963, n.66) le donne hanno visto riconosciuto il loro diritto ad accedere alla magistratura, fino a quel momento loro preclusa; è stata necessaria la promulgazione di una legge ordinaria e una lunga lotta per rendere operante l’art.51 della Costituzione.

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LA FORMAZIONE PEDAGOGICA

È poi l’ondata contestatrice del’68, con la critica sistematica dell’assetto sociale e culturale, a scardinare una struttura familiare arcaica, centrata sulla figura dell’uomo, immutata per millenni, appena scalfita dai principi democratici della nuova Costituzione, a far presa sulle donne che cominciano ad aggregarsi, a creare gruppi di studio sull’identità femminile e di analisi dei propri vissuti quotidiani, attività che aiutano il movimento a prendere coscienza dei condizionamenti sociali, delle violenze subìte da istituzioni pensate per il predominio maschile, ad elaborare iniziative di lotta per modificare l’esistente. Le donne iniziano a portare le proprie istanze riformatrici all’interno dei partiti politici “costretti a misurarsi, se non altro per calcolo elettoralistico, con un fenomeno numericamente sempre più massiccio”. Si avvia così in campo legislativo un’attività riformatrice che nel corso degli anni’70 contribuisce a cambiare la struttura familiare e il ruolo della donna nella società attraverso l’istituzione del divorzio (1970), il nuovo diritto di famiglia (1975), la legge sulla parità (1977) e l’aborto (1978). Con queste misure legislative si completa dal punto di vista giuridico il processo di emancipazione femminile nel nostro Paese, assegnando alle donne uno strumento da utilizzare come grimaldello per scardinare le strutture portanti della società in vista di “una trasformazione radicale delle istituzioni, dei valori, dei rapporti dominanti […] in base ai nuovi valori recati dalle donne”. E questa trasformazione ha il carattere della radicalità perchè, come afferma Rossanda, la cultura del femminismo è negatrice della cultura maschile; non tende ad integrarla ma a sostituirla. Intanto le donne hanno iniziato una riflessione approfondita sul proprio universo, sui propri valori, tendendo puntigliosamente ad evidenziare il valore della differenza di genere, e stabilendo un legame dialettico con la modernizzazione che, se da un lato ha favorito la loro emancipazione, dall’altro ha ricevuto da tale processo un ulteriore impulso rinnovatore. Ma la pedagogia italiana resta per molto tempo indifferente ad una riflessione sul problema della differenza di genere, considerandolo superato. Cambi rileva a tale proposito come Lamberto Borghi, esponente di punta della pedagogia laica, nel testo Educazione ed emarginazione da lui curato e pubblicato nel 1977, in pieno movimento femminista, si limiti a trattare in maniera tradizionale il ruolo femminile indicando nella donna-madre il “centro motore della struttura emarginante della famiglia” chiusa com’è “nella privatezza della sua esistenza col marito e coi figli” e che fa “di tale stato una norma di comportamento”, e come tale atteggiamento sia stato comune a pedagogisti di orientamento laico-progressista, cattolico e marxista, nella convinzione che il problema della differenza di genere, pur presente nella

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EMERGENZE FORMATIVE E RISPOSTE PEDAGOGICHE IN AMBITO EUROPEO 79

loro coscienza di intellettuali, non sia di competenza della pedagogia, data la sua struttura di sapere “rivolto a delineare quadri razionali, quindi universali, quindi posti oltre le differenze del genere, investendo direttamente l’uomocome-essere-universale”. Solo a partire dagli anni Ottanta nella pedagogia italiana trova spazio il tema dell’educazione al femminile che viene affrontata sia come ricerca storica sul passato per individuare le radici e le modalità, manifeste o nascoste, dell’esclusione, sia come elaborazione teorica di un modello di società alternativa a quella attuale, in cui siano presenti i valori tipici del mondo femminile che cerca un equilibrio tra mente e affetti. Alla rilettura critica del rapporto tra donne e società hanno contribuito, insieme ad altri, i lavori di Luce Irigaray, psicoanalista belga che ha smascherato la struttura esclusivamente maschile della nostra società in cui non trova spazio il femminile, che semplicemente è non-pensato, e in cui nessuna differenza ha diritto di cittadinanza. Le donne hanno ormai acquisito la consapevolezza che è necessario recuperare la differenza perché, essa apporta ricchezza di significati, ampliamento dei concetti, offre la possibilità di accettare il diverso, di pensare oltre, aprendo nuovi spazi alla progettazione di una realtà diversa, più aderente alle esigenze intellettive e affettive delle donne, incoraggiando l’utopia che è capacità di allargare gli orizzonti mentali, senza limitazioni. Attualmente sono presenti, all’interno del dibattito pedagogico sul femminile due posizioni. Una tende a completare il processo di emancipazione della donna, ridisegnando un modello di società in cui l’affermazione dei diritti e dei valori femminili possa coesistere con un mondo maschile capace di adeguarsi alle esigenze e alle richieste di pari dignità delle donne. L’altra, più radicale, è centrata sulla valorizzazione della differenza di genere e rifiuta l’emancipazionismo perché esso implica “l’omologazione al maschile considerato come valore universale e quindi normativo anche per le donne” non comprendendo che l’istruzione nella attuale società è costruita su codici maschili e quindi mortifica la specificità intellettuale delle donne. Ritiene inoltre che la categoria della differenza debba guidare il progetto di introdurre all’interno della società il dualismo dei generi e l’affermazione di una cultura al femminile, innovatrice perché più attenta a conciliare mente e affetti, logos e pathos, tesa ad una socializzazione fondata sulla comunità piuttosto che sul dominio e sull’aggressività. La seconda posizione è oggi prevalente nel dibattito pedagogico, in cui ha portato il contributo di una riflessione approfondita sulle forme, talora molto sottili, di discriminazione e di emarginazione messe in atto nei confronti delle donne da un costume sociale tanto radicato da essere scar-

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LA FORMAZIONE PEDAGOGICA

samente avvertito come una forma di violenza. Dallo studio accurato dei comportamenti comunemente tenuti dentro e fuori la famiglia, Simonetta Ulivieri sottolinea come appare chiaro che “in ogni sistema sociale le bambine e i bambini ricevono un’educazione diversa, secondo ben precise forme di addestramento al ruolo attribuito al proprio sesso di appartenenza”e sono sottoposti ad un condizionamento precoce capace di orientare il comportamento futuro, operato da una serie di messaggi che li raggiungono da ogni parte, sia dalle agenzie educative che dal sistema dei media, tutti tesi, più o meno consapevolmente, ad inserirli nei rispettivi ruoli. Un ordine sociale fondato sul riconoscimento e sulla valorizzazione della differenza di genere comporta un cambiamento di rotta nell’universo formativo dove, accanto al logos, entra a pieno titolo il pathos, accogliendo il contributo offerto dalla psicoanalisi che, con Freud, ha evidenziato il ruolo centrale della componente emotiva nel pensiero e quindi nel percorso formativo, che è “soprattutto itinerario di affetti, poiché è la loro dinamica che lascia il sigillo nell’io, ne nutre il vissuto, ne codifica il tracciato interiore”. La formazione così intesa è connotata come conflitto tra forze interiori contrastanti, alimentato da frustrazioni, sensi di colpa, desideri, speranze. In tale modello il percorso di costruzione del soggetto è attivato dalla dialettica interna delle emozioni ed ha quindi una componente di drammaticità e di sofferenza; è un percorso che privilegia, rispetto all’istruzione, il piano dell’educazione vista come opportunità per la crescita integrale dell’individuo. Ciò significa che la formazione va considerata in una accezione più ampia che comprende, insieme all’intelletto, anche le qualità più squisitamente umane del soggetto di cui coglie la dialettica emozionale interna. Ecco quindi svilupparsi una pedagogia degli affetti che si muove verso un “modello paidetico capace di conferire importanza, se non centralità, all’affettività nella prospettiva dell’ideale dell’uomo integrale”, e una riflessione sul ruolo che la scuola può svolgere nel senso di una formazione integrale, optando verso una didattica tesa a suscitare l’emozione per la conoscenza, nella consapevolezza che “l’appreso fa il suo ingresso nell’archivio della memoria insieme alle emozioni vissute durante l’apprendimento” e che “le emozioni che hanno accompagnato e colorato gli apprendimenti pregressi influiscono su quelli attuali e futuri disponendo affettivamente il soggetto nei loro confronti: in maniera favorevole o repulsiva, […] entusiastica o apatica”. La differenza culturale, insieme alla differenza di genere, contribuisce ad accrescere la complessità del nostro tempo, sollevando problemi, ponendo istanze, aprendo alla nostra riflessione spazi neppure immaginabili nel passato.

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EMERGENZE FORMATIVE E RISPOSTE PEDAGOGICHE IN AMBITO EUROPEO 81

La crescente presenza di immigrati stranieri sul nostro territorio ha contribuito a determinare in ambito pedagogico l’apertura di un discorso teso a promuovere una cultura del rispetto delle differenze etniche e religiose, capace di favorire un clima di interscambio dialettico e di reciproca comprensione. Ciò nella consapevolezza che il raggiungimento dell’obiettivo di una coesistenza fondata sul rispetto reciproco tra soggetti aventi origini culturali, linguistiche, etniche differenti, è elemento fondamentale per l’edificazione di una società multiculturale coesa e pacifica, in cui siano riconosciuti e tutelati i diritti di tutti. Solo un progetto pedagogico di ampio respiro può trasformare una società multiculturale, costituita da persone di etnie, lingue e culture diverse che vivono fianco a fianco senza comunicare, singolarmente chiuse intorno ad un proprio centro, in una società interculturale in cui vari gruppi etnici si aprono ad uno scambio, ad una comunicazione che può arricchire tutti. Un tale progetto deve tendere a sviluppare nei giovani un pensiero aperto al nuovo, antidogmatico, capace di decentrarsi. Il primo passo verso la promozione del rispetto della diversità culturale consiste nella lotta al pregiudizio che è il meccanismo su cui si fondano l’esclusione, l’intolleranza, il razzismo e che si basa su processi di semplificazione e di categorizzazione della realtà. Il pregiudizio può essere sradicato solo promuovendo l’abitudine ad approfondire i problemi, ad affrontare situazioni articolate e complesse individuando le connessioni esistenti tra i diversi aspetti della realtà, quindi l’abitudine ad esercitare la mente, a porsi domande, ad afferrare l’essenza di un problema, in sintesi l’abitudine ad un pensiero sistemico. Un pensiero sistemico è attrezzato ad abbracciare la complessità, a rifiutare il conformismo, ad accettare tutte le differenze, ad apprendere secondo modalità e codici diversi, a costruire modelli interpretativi nuovi per decodificare una realtà in rapida trasformazione. Esso è in grado di predisporre le condizioni per vivere serenamente in un contesto interculturale, aprendosi agli altri senza tentare di omologarli a sé e senza perdere la propria autonomia intellettuale. È necessario comunque acquisire coscienza del fatto che una educazione interculturale pone certamente dei problemi al nostro sistema di istruzione pubblica, perché richiede di rivedere ampiamente l’impostazione di un modello culturale centrato sulla esaltazione della nostra civiltà e del nostra storia. “Riconoscere la natura di questo potenziale conflitto è importante per ambedue le parti: l’educazione interculturale deve venire a patti con lo Stato moderno; questo, dal canto suo, deve venire a patti con la diversità che lo caratterizza”. Vale a dire, bisogna prendere coscienza del problema per poterlo poi avviare a soluzione.

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LA FORMAZIONE PEDAGOGICA

L’esigenza di modificare il proprio modello educativo in funzione del riconoscimento dei diritti delle minoranze è stata avvertita già ad inizio del secolo XX negli Stati Uniti, dove ha prodotto un dibattito molto acceso, sostenuto da pedagogisti di alto livello, in cui si è inserito Dewey con la proposta di adottare un modello di educazione pubblica capace di conciliare un’identità nazionale unitaria con il pluralismo di culture, lingue, religioni del Paese. In Democrazia ed educazione (1917) è esemplificata la sua proposta, in cui alla scuola pubblica è affidato il compito di educare alla democrazia attraverso un insegnamento metodologicamente innovativo rispettoso delle differenze culturali e sociali, considerate come fattore di arricchimento della società. Le idee di Dewey, ancora oggi attuali, hanno fatto breccia negli ambienti americani di stampo progressista, ma non sono diventate patrimonio di tutti per cui la realtà educativa degli Stati Uniti ha conosciuto fino al 1954 la segregazione scolastica negli Stati del Sud e solo da pochi anni, dopo essere passata attraverso una didattica di tipo compensativo, sotto la pressione del movimento afro-americano, è approdata all’impostazione di un modello multiculturale che è ancora oggetto di dibattito pedagogico e socio-politico. Nella situazione attuale la riflessione pedagogica è chiamata a svolgere un ruolo fondamentale e a raccogliere una duplice sfida: riuscire da un lato ad elaborare strategie didattiche utili a promuovere nei giovani la capacità di accogliere e rispettare le differenze, elaborando d’altro canto le metodologie più efficaci per l’educazione e la formazione degli adulti stranieri immigrati, soggetti deboli, che vanno riconosciuti come persone con un proprio vissuto, una propria individualità, in possesso di capacità, competenze, qualità umane che noi talvolta non vediamo. Il discorso interculturale non ha l’obiettivo di cancellare, attraverso l’integrazione sociale, la diversità intesa come espressione di inferiorità; ha invece quello di promuovere una riflessione sull’alterità, utile a favorire l’integrazione e la convivenza, riconoscendo l’altro innanzitutto come appartenente al genere umano, poi come soggetto portatore di cultura e quindi degno di attenzione e di rispetto. È necessario riuscire a “cogliere i nessi formazione-società, formazionecultura, formazione-civiltà che ci costringono a revocare in dubbi le certezze del nostro etnocentrismo e della nostra cultura antropologica ed intellettuale, indicando modelli e compiti ulteriori e diversi, fissando traguardi innovativi, anzi radicalmente innovativi”. Un serio discorso di educazione interculturale può partire solo dalla scuola, istituzionalmente deputata non solo all’istruzione, ma anche alla trasmissione di modelli di comportamento e alla formazione complessiva del cittadino.

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EMERGENZE FORMATIVE E RISPOSTE PEDAGOGICHE IN AMBITO EUROPEO 83

In un’ottica interculturale alla scuola è assegnato il compito di favorire nei giovani un atteggiamento mentale aperto al cambiamento, pronto ad accogliere nuovi schemi culturali, scevro da preclusioni pregiudiziali. Demetrio parla di una educazione alla transività o mobilità emotiva, cioè alla capacità di passare da una forma mentis ad un’altra. Solo una mente aperta può essere infatti disponibile ad accettare la diversità culturale, a rispettare e comprendere l’altro. Un progetto formativo interculturale passa attraverso una trasformazione radicale dell’istituzione scolastica “da luogo di trasmissione e di assimilazione culturale a spazio di confronto e di elaborazione inter-trans-culturale”. La scuola della prima infanzia è il luogo da cui si può partire per avviare la sperimentazione di un’educazione in chiave interculturale, a prescindere dalla presenza fisica di bambini stranieri, promuovendo “la logica e la pratica della cooperazione e del confronto con le molteplici diversità”. Da molto tempo la normativa scolastica del nostro Paese ha maturato un corretto approccio interculturale che emerge pienamente fin dagli Orientamenti per la scuola dell’infanzia del 1991 in cui, nel campo Il sé e l’altro il processo di formazione del soggetto appare fondato sul principio di alterità, sulla relazione con l’altro. In tal modo l’interculturalità entra nella prassi educativa non come problema aggiunto ma come elemento qualificante della formazione del soggetto che avviene essenzialmente all’interno dei rapporti interpersonali. Nella concretezza dell’agire quotidiano, poi, l’effettiva integrazione dell’alunno straniero all’interno di una classe si rivela talvolta un compito arduo per l’insegnante che non sempre possiede strumenti culturali adeguati. È compito di una pedagogia interculturalizzata – intesa quindi non come branca specialistica bensì come ridefinizione stessa della pedagogia che si apre all’alterità – insistere sulla necessità istituzionale di un progetto globale di formazione degli insegnanti finalizzato a diffondere nella società un atteggiamento positivo nei confronti dell’altro, visto come persona, portatore di una cultura e di valori che vanno conosciuti, rispettati e discussi se non sembrano accettabili. Il riconoscimento dell’alterità è il primo passo per instaurare una relazione, capace di generare cambiamenti nella struttura psichica e mentale dei soggetti cui è rivolta, e quindi di produrre un intervento educativo efficace. Infatti l’efficacia di un intervento educativo è legata alla sua capacità di attivare un cambiamento in ambito cognitivo, o affettivo, o psichico, o relazionale che consente di evidenziare il compimento di un percorso previsto. Come sottolinea Matilde Callari Galli: “in questa prospettiva una formazione che voglia assumere all’interno dei suoi apparati teorici e delle sue pratiche me-

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LA FORMAZIONE PEDAGOGICA

todologiche le nuove interdipendenze che caratterizzano l’attuale commercio tra le culture, che non voglia ignorare le frammentazioni e le fratture violente che si inseguono senza sosta nell’attuale organizzazione spazio temporale, dovrebbe con decisione abbandonare i suoi tradizionali percorsi, porre al centro della sua riflessione i nuovi meticciati, le nuove contaminazioni culturali, scegliere come luogo privilegiato di attenzione le aree di confine, le aree incerte del nomadismo contemporaneo, rifiutando la centralità che la modernità affidava ad un’unica cultura, ad un unico dominio. E forse trovare nei luoghi labili, fra i popoli della diaspora, dell’esilio, delle migrazioni i suoi nuovi pensieri, le sue nuove parole”. La riflessione pedagogica in ambito interculturale deve quindi riuscire ad identificare approcci in grado di generare un mutamento non traumatico nel sistema relazionale dell’immigrato che gli consenta di compiere un percorso di integrazione senza disperdere i propri valori di riferimento. Sarebbe opportuno adottare strategie didattiche in grado di determinare l’accettazione e l’accoglienza della diversità e nello stesso tempo di individuare modalità atte a favorire i processi di apprendimento dei bambini stranieri. Per centrare quest’ultimo obiettivo è necessario pensare ad un approccio didattico fondato sulla valorizzazione dei diversi stili cognitivi e relazionali, teso ad incoraggiare ogni forma di comunicazione favorendo così la costruzione di un pensiero aperto al nuovo, pronto a recepire le ragioni degli altri perché consapevole di diverse rappresentazioni della realtà. Non è cosa banale riuscire ad operare concretamente nel senso della edificazione di una società interculturale perché il concetto della valorizzazione delle differenze è fondamentalmente estraneo alla nostra cultura che storicamente ha sempre proceduto eliminando o assimilando le differenze come hanno messo in luce numerosi studi antropologici. Nella prassi educativa, anche se gli insegnanti impostano il loro lavoro nel rispetto della dignità culturale dei bambini immigrati, persiste la tendenza a trascurare le loro conoscenze pregresse e a valutarli con i nostri parametri; le difficoltà linguistiche restano in primo piano, ostacolo al raggiungimento degli obiettivi di apprendimento, ostacolo ad una completa comprensione reciproca, alla espressione piena dei loro bisogni, delle loro conoscenze e capacità. È importante prendere coscienza del fatto che non è sufficiente riconoscere formalmente nella scuola le diversità culturali se poi tali diversità sono considerate nella sostanza inadeguate rispetto alle esigenze scolastiche secondo un atteggiamento etnocentrico che finisce per scivolare inconsapevolmente verso un forzato assimilazionismo o addirittura verso il razzismo.

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EMERGENZE FORMATIVE E RISPOSTE PEDAGOGICHE IN AMBITO EUROPEO 85

3.4 L’Europa della conoscenza

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Vengono di seguito riportate le Raccomandazioni del Consiglio Europeo relative alle competenze chiave per l’apprendimento permanente ed un estratto del Dossier Europa 2030 (Obiettivi 4, 5, 8, 16) che contribuiscono a comprendere gli orientamenti dell’Italia e dell’Europa in merito agli obiettivi dell’educazione e della formazione permanente, offrendo alla riflessione pedagogica contemporanea spunti di sicuro interesse politico per affrontare con decisione le sfide poste dalla globalizzazione ad una società in continuo mutamento.

Raccomandazioni del Consiglio Europeo relative alle competenze chiave per l’apprendimento permanente (22 maggio 2018): […] Gli Stati membri dovrebbero: 1. sostenere il diritto a un’istruzione, a una formazione e a un apprendimento permanente di qualità e inclusivi e assicurare a tutti le opportunità di sviluppare le competenze chiave avvalendosi pienamente del quadro di riferimento europeo «Competenze chiave per l’apprendimento permanente» esposto nell’allegato, nonché: 1.1. sostenere e rafforzare lo sviluppo delle competenze chiave per tutti, a partire dalla giovane età e durante tutto l’arco della vita, nel quadro delle strategie nazionali di apprendimento permanente; 1.2. fornire sostegno a tutti i discenti, compresi quelli in condizioni svantaggiate o con bisogni specifici, affinché esprimano appieno le proprie potenzialità; 2. sostenere lo sviluppo delle competenze chiave prestando particolare attenzione a quanto segue: 2.1. innalzare il livello di padronanza delle competenze di base (alfabetiche, matematiche e digitali) e sostenere lo sviluppo della capacità di imparare a imparare quale presupposto costantemente migliore per apprendere e partecipare alla società in una prospettiva di apprendimento permanente; 2.2. aumentare il livello di competenze personali e sociali nonché la capacità di imparare a imparare, al fine di migliorare la capacità di gestire la propria vita in modo attento alla salute e orientato al futuro; 2.3. promuovere l’acquisizione di competenze in scienza, tecnologia, ingegneria e matematica (STEM), tenendo conto dei collegamenti

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LA FORMAZIONE PEDAGOGICA

con le arti, la creatività e l’innovazione, e motivare di più i giovani, soprattutto ragazze e giovani donne, a intraprendere carriere STEM; 2.4. innalzare e migliorare il livello delle competenze digitali in tutte le fasi dell’istruzione e della formazione per tutti i segmenti della popolazione; 2.5. incoraggiare la competenza imprenditoriale, la creatività e lo spirito di iniziativa in particolare tra i giovani, ad esempio favorendo le occasioni in cui i giovani possano fare almeno un’esperienza imprenditoriale pratica durante l’istruzione scolastica; 2.6. aumentare il livello delle competenze linguistiche sia nelle lingue ufficiali che nelle altre lingue, e fornire sostegno ai discenti nell’apprendimento di lingue diverse che siano utili nella vita lavorativa e personale e in grado di contribuire alla comunicazione e alla mobilità transfrontaliere; 2.7. promuovere lo sviluppo di competenze in materia di cittadinanza al fine di rafforzare la consapevolezza dei valori comuni enunciati nell’articolo 2 del trattato sull’Unione europea e nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. 2.8. aumentare la consapevolezza di tutti i discenti e del personale didattico riguardo all’importanza di acquisire le competenze chiave e alla loro relazione con la società; 3. facilitare l’acquisizione delle competenze chiave grazie all’utilizzo delle buone pratiche a sostegno di tale processo, come esposto nell’allegato, in particolare: 3.1. promuovendo molteplici approcci e contesti di apprendimento, anche con l’uso opportuno delle tecnologie digitali, nell’istruzione, nella formazione e nell’apprendimento; 3.2. fornendo sostegno al personale didattico e agli altri portatori di interesse che supportano i processi di apprendimento, comprese le famiglie, affinché rafforzino le competenze chiave dei discenti nel quadro dell’approccio per l’apprendimento permanente nei contesti educativi, formativi e di apprendimento; 3.3. sostenendo e sviluppando ulteriormente la valutazione e la convalida delle competenze chiave acquisite in diversi contesti, in linea con le norme e le procedure degli Stati membri; 3.4. rafforzando la collaborazione tra contesti educativi, formativi e di apprendimento a tutti i livelli e in ambiti diversi, al fine di migliorare la continuità dello sviluppo delle competenze per i discenti e lo sviluppo di approcci di apprendimento innovativi;

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EMERGENZE FORMATIVE E RISPOSTE PEDAGOGICHE IN AMBITO EUROPEO 87

3.5. potenziando strumenti, risorse e orientamento nell’istruzione, nella formazione, nell’occupazione e in contesti di apprendimento di altro tipo, al fine di fornire sostegno alla gestione dei percorsi individuali di apprendimento permanente; 4. incorporare nell’istruzione, nella formazione e nell’apprendimento le ambizioni degli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite (SDG), in particolare dell’SDG 4.7, anche promuovendo l’acquisizione di conoscenze sulla limitazione della natura multidimensionale dei cambiamenti climatici e sull’utilizzo sostenibile delle risorse naturali; 5. presentare relazioni, attraverso i meccanismi e gli strumenti esistenti del quadro strategico per la cooperazione europea nel settore dell’istruzione e della formazione (ET 2020) e gli eventuali quadri successivi, sulle esperienze e sui progressi conseguiti nel promuovere le competenze chiave in tutti i settori dell’istruzione e della formazione, compreso l’apprendimento non formale e, nella misura del possibile, l’apprendimento informale. ACCOGLIE CON FAVORE L’AZIONE DELLA COMMISSIONE, NEL RISPETTO DELLE COMPETENZE DEGLI STATI MEMBRI: 6. a sostegno dell’attuazione della raccomandazione e dell’utilizzo del quadro di riferimento europeo, mediante la facilitazione dell’apprendimento reciproco tra gli Stati membri e lo sviluppo, in cooperazione con gli Stati membri, di materiali e strumenti di riferimento, quali: 6.1. se del caso, quadri di riferimento di competenze specifiche che facilitino lo sviluppo e la valutazione delle competenze (1); 6.2. materiali di orientamento basati su dati empirici per le nuove forme di apprendimento e gli approcci di sostegno; 6.3. strumenti a sostegno del personale didattico e di altri portatori di interesse, quali i corsi di formazione online, gli strumenti di autovalutazione (2), le reti, tra cui eTwinning e la Piattaforma elettronica per l’apprendimento degli adulti in Europa (EPALE); 6.4. approcci di valutazione e sostegno alla convalida delle competenze chiave acquisite proseguendo le attività svolte in precedenza nel contesto del quadro ET 2020 (3) e dell’eventuale quadro successivo; 7. a sostegno delle iniziative volte a sviluppare e promuovere ulteriormente l’istruzione per lo sviluppo sostenibile in relazione all’obiettivo 4 di sviluppo sostenibile dell’ONU, mirante a un’istruzione inclusiva, di qualità ed equa, con opportunità di apprendimento permanente aperte a tutti; 8. di rendicontazione sulle esperienze e le buone prassi al fine di migliorare le competenze chiave dei discenti come parte di un approccio

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LA FORMAZIONE PEDAGOGICA

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per l’apprendimento permanente nei contesti educativi, formativi e di apprendimento nell’Unione attraverso i quadri e gli strumenti esistenti. (1) Sulla base delle esperienze acquisite e delle competenze sviluppate in sede di definizione del Quadro comune europeo di riferimento per la conoscenza delle lingue, del quadro di riferimento delle competenze digitali e del quadro di riferimento delle competenze imprenditoriali. (2) Quali il Digital Competence Framework (quadro di riferimento delle competenze digitali). (3) Assessment of Key Competences in initial education and training: Policy Guidance, SWD (2012) 371 final. […] COMPETENZE CHIAVE PER L’APPRENDIMENTO PERMANENTE QUADRO DI RIFERIMENTO EUROPEO

Contesto e obiettivi Ogni persona ha diritto a un’istruzione, a una formazione e a un apprendimento permanente di qualità e inclusivi, al fine di mantenere e acquisire competenze che consentono di partecipare pienamente alla società e di gestire con successo le transizioni nel mercato del lavoro. Ogni persona ha diritto a un’assistenza tempestiva e su misura per migliorare le prospettive di occupazione o di attività autonoma. Ciò include il diritto a ricevere un sostegno per la ricerca di un impiego, la formazione e la riqualificazione. Questi principi sono definiti nel pilastro europeo dei diritti sociali. In un mondo in rapido cambiamento ed estremamente interconnesso ogni persona avrà la necessità di possedere un ampio spettro di abilità e competenze e dovrà svilupparle ininterrottamente nel corso della vita. Le competenze chiave, come definite nel presente quadro di riferimento, intendono porre le basi per creare società più uguali e più democratiche. Soddisfano la necessità di una crescita inclusiva e sostenibile, di coesione sociale e di ulteriore sviluppo della cultura democratica. I principali scopi del quadro di riferimento sono: a) individuare e definire le competenze chiave necessarie per l’occupabilità, la realizzazione personale e la salute, la cittadinanza attiva e responsabile e l’inclusione sociale; b) fornire uno strumento di riferimento europeo al servizio dei decisori politici, dei fornitori di istruzione e formazione, del personale didattico, degli specialisti dell’orientamento, dei datori di lavoro, dei servizi pubblici per l’impiego e dei discenti stessi;

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EMERGENZE FORMATIVE E RISPOSTE PEDAGOGICHE IN AMBITO EUROPEO 89

c) prestare sostegno agli sforzi compiuti a livello europeo, nazionale, regionale e locale, volti a promuovere lo sviluppo delle competenze in una prospettiva di apprendimento permanente.

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Competenze chiave Ai fini della presente raccomandazione le competenze sono definite come una combinazione di conoscenze, abilità e atteggiamenti, in cui: d) la conoscenza si compone di fatti e cifre, concetti, idee e teorie che sono già stabiliti e che forniscono le basi per comprendere un certo settore o argomento; e) per abilità si intende sapere ed essere capaci di eseguire processi ed applicare le conoscenze esistenti al fine di ottenere risultati; f ) gli atteggiamenti descrivono la disposizione e la mentalità per agire o reagire a idee, persone o situazioni. Le competenze chiave sono quelle di cui tutti hanno bisogno per la realizzazione e lo sviluppo personali, l’occupabilità, l’inclusione sociale, uno stile di vita sostenibile, una vita fruttuosa in società pacifiche, una gestione della vita attenta alla salute e la cittadinanza attiva. Esse si sviluppano in una prospettiva di apprendimento permanente, dalla prima infanzia a tutta la vita adulta, mediante l’apprendimento formale, non formale e informale in tutti i contesti, compresi la famiglia, la scuola, il luogo di lavoro, il vicinato e altre comunità. Le competenze chiave sono considerate tutte di pari importanza; ognuna di esse contribuisce a una vita fruttuosa nella società. Le competenze possono essere applicate in molti contesti differenti e in combinazioni diverse. Esse si sovrappongono e sono interconnesse; gli aspetti essenziali per un determinato ambito favoriscono le competenze in un altro. Elementi quali il pensiero critico, la risoluzione di problemi, il lavoro di squadra, le abilità comunicative e negoziali, le abilità analitiche, la creatività e le abilità interculturali sottendono a tutte le competenze chiave. II quadro di riferimento delinea otto tipi di competenze chiave: — competenza alfabetica funzionale, — competenza multilinguistica, — competenza matematica e competenza in scienze, tecnologie e ingegneria, — competenza digitale, — competenza personale, sociale e capacità di imparare a imparare, — competenza in materia di cittadinanza, — competenza imprenditoriale, — competenza in materia di consapevolezza ed espressione culturali.

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LA FORMAZIONE PEDAGOGICA

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1. Competenza alfabetica funzionale La competenza alfabetica funzionale indica la capacità di individuare, comprendere, esprimere, creare e interpretare concetti, sentimenti, fatti e opinioni, in forma sia orale sia scritta, utilizzando materiali visivi, sonori e digitali attingendo a varie discipline e contesti. Essa implica l’abilità di comunicare e relazionarsi efficacemente con gli altri in modo opportuno e creativo. Il suo sviluppo costituisce la base per l’apprendimento successivo e l’ulteriore interazione linguistica. A seconda del contesto, la competenza alfabetica funzionale può essere sviluppata nella lingua madre, nella lingua dell’istruzione scolastica e/o nella lingua ufficiale di un paese o di una regione. Conoscenze, abilità e atteggiamenti essenziali legati a tale competenza. Tale competenza comprende la conoscenza della lettura e della scrittura e una buona comprensione delle informazioni scritte e quindi presuppone la conoscenza del vocabolario, della grammatica funzionale e delle funzioni del linguaggio. Ciò comporta la conoscenza dei principali tipi di interazione verbale, di una serie di testi letterari e non letterari, delle caratteristiche principali di diversi stili e registri della lingua. Le persone dovrebbero possedere l’abilità di comunicare in forma orale e scritta in tutta una serie di situazioni e di sorvegliare e adattare la propria comunicazione in funzione della situazione. Questa competenza comprende anche la capacità di distinguere e utilizzare fonti di diverso tipo, di cercare, raccogliere ed elaborare informazioni, di usare ausili, di formulare ed esprimere argomentazioni in modo convincente e appropriato al contesto, sia oralmente sia per iscritto. Essa comprende il pensiero critico e la capacità di valutare informazioni e di servirsene. Un atteggiamento positivo nei confronti di tale competenza comporta la disponibilità al dialogo critico e costruttivo, l’apprezzamento delle qualità estetiche e l’interesse a interagire con gli altri. Implica la consapevolezza dell’impatto della lingua sugli altri e la necessità di capire e usare la lingua in modo positivo e socialmente responsabile.

2. Competenza multilinguistica Tale competenza definisce la capacità di utilizzare diverse lingue in modo appropriato ed efficace allo scopo di comunicare. In linea di massima essa condivide le abilità principali con la competenza alfabetica: si basa sulla capacità di comprendere, esprimere e interpretare concetti, pensieri, sentimenti, fatti e opinioni in forma sia orale sia scritta (comprensione orale, espressione orale, comprensione scritta ed espressione scritta) in una gamma appropriata di

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EMERGENZE FORMATIVE E RISPOSTE PEDAGOGICHE IN AMBITO EUROPEO 91

contesti sociali e culturali a seconda dei desideri o delle esigenze individuali. Le competenze linguistiche comprendono una dimensione storica e competenze interculturali. Tale competenza si basa sulla capacità di mediare tra diverse lingue e mezzi di comunicazione, come indicato nel quadro comune europeo di riferimento. Secondo le circostanze, essa può comprendere il mantenimento e l’ulteriore sviluppo delle competenze relative alla lingua madre, nonché l’acquisizione della lingua ufficiale o delle lingue ufficiali di un paese.

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Conoscenze, abilità e atteggiamenti essenziali legati a tale competenza Questa competenza richiede la conoscenza del vocabolario e della grammatica funzionale di lingue diverse e la consapevolezza dei principali tipi di interazione verbale e di registri linguistici. È importante la conoscenza delle convenzioni sociali, dell’aspetto culturale e della variabilità dei linguaggi. Le abilità essenziali per questa competenza consistono nella capacità di comprendere messaggi orali, di iniziare, sostenere e concludere conversazioni e di leggere, comprendere e redigere testi, a livelli diversi di padronanza in diverse lingue, a seconda delle esigenze individuali. Le persone dovrebbero saper usare gli strumenti in modo opportuno e imparare le lingue in modo formale, non formale e informale tutta la vita. Un atteggiamento positivo comporta l’apprezzamento della diversità culturale nonché l’interesse e la curiosità per lingue diverse e per la comunicazione interculturale. Essa presuppone anche rispetto per il profilo linguistico individuale di ogni persona, compresi sia il rispetto per la lingua materna di chi appartiene a minoranze e/o proviene da un contesto migratorio che la valorizzazione della lingua ufficiale o delle lingue ufficiali di un paese come quadro comune di interazione.

3. Competenza matematica e competenza in scienze, tecnologie e ingegneria A. La competenza matematica è la capacità di sviluppare e applicare il pensiero e la comprensione matematici per risolvere una serie di problemi in situazioni quotidiane. Partendo da una solida padronanza della competenza aritmeticomatematica, l’accento è posto sugli aspetti del processo e dell’attività oltre che sulla conoscenza. La competenza matematica comporta, a differenti livelli, la capacità di usare modelli matematici di pensiero e di presentazione (formule, modelli, costrutti, grafici, diagrammi) e la disponibilità a farlo. B. La competenza in scienze si riferisce alla capacità di spiegare il mondo che ci circonda usando l’insieme delle conoscenze e delle metodologie, comprese l’osservazione e la sperimentazione, per identificare le problematiche

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LA FORMAZIONE PEDAGOGICA

e trarre conclusioni che siano basate su fatti empirici, e alla disponibilità a farlo. Le competenze in tecnologie e ingegneria sono applicazioni di tali conoscenze e metodologie per dare risposta ai desideri o ai bisogni avvertiti dagli esseri umani. La competenza in scienze, tecnologie e ingegneria implica la comprensione dei cambiamenti determinati dall’attività umana e della responsabilità individuale del cittadino.

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Conoscenze, abilità e atteggiamenti essenziali legati a tale competenza A. La conoscenza necessaria in campo matematico comprende una solida conoscenza dei numeri, delle misure e delle strutture, delle operazioni fondamentali e delle presentazioni matematiche di base, la comprensione dei termini e dei concetti matematici e la consapevolezza dei quesiti cui la matematica può fornire una risposta. (1) Mentre il Consiglio d’Europa utilizza il termine «plurilinguismo» per fare riferimento alle molteplici competenze linguistiche delle persone, i documenti ufficiali dell’Unione europea utilizzano il termine «multilinguismo» per descrivere sia le competenze individuali che le situazioni sociali. Ciò è dovuto, in parte, alla difficoltà di distinguere tra «plurilingue» e «multilingue» nelle lingue diverse dall’inglese e dal francese. (2) È compresa anche l’acquisizione delle lingue classiche come il greco antico e il latino. Le lingue classiche sono all’origine di molte lingue moderne e possono pertanto facilitare l’apprendimento delle lingue in generale.

Le persone dovrebbero saper applicare i principi e i processi matematici di base nel contesto quotidiano nella sfera domestica e lavorativa (ad esempio in ambito finanziario) nonché seguire e vagliare concatenazioni di argomenti. Le persone dovrebbero essere in grado di svolgere un ragionamento matematico, di comprendere le prove matematiche e di comunicare in linguaggio matematico, oltre a saper usare i sussidi appropriati, tra i quali i dati statistici e i grafici, nonché di comprendere gli aspetti matematici della digitalizzazione. Un atteggiamento positivo in relazione alla matematica si basa sul rispetto della verità e sulla disponibilità a cercare le cause e a valutarne la validità. B. Per quanto concerne scienze, tecnologie e ingegneria, la conoscenza essenziale comprende i principi di base del mondo naturale, i concetti, le teorie, i principi e i metodi scientifici fondamentali, le tecnologie e i prodotti e processi tecnologici, nonché la comprensione dell’impatto delle scienze, delle tecnologie e dell’ingegneria, così come dell’attività umana in genere, sull’ambiente naturale. Queste competenze dovrebbero consentire alle persone di comprendere meglio i progressi, i limiti e i rischi delle

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EMERGENZE FORMATIVE E RISPOSTE PEDAGOGICHE IN AMBITO EUROPEO 93

teorie, applicazioni e tecnologie scientifiche nella società in senso lato (in relazione alla presa di decisione, ai valori, alle questioni morali, alla cultura ecc.). Tra le abilità rientra la comprensione della scienza in quanto processo di investigazione mediante metodologie specifiche, tra cui osservazioni ed esperimenti controllati, la capacità di utilizzare il pensiero logico e razionale per verificare un’ipotesi, nonché la disponibilità a rinunciare alle proprie convinzioni se esse sono smentite da nuovi risultati empirici. Le abilità comprendono inoltre la capacità di utilizzare e maneggiare strumenti e macchinari tecnologici nonché dati scientifici per raggiungere un obiettivo o per formulare una decisione o conclusione sulla base di dati probanti. Le persone dovrebbero essere anche in grado di riconoscere gli aspetti essenziali dell’indagine scientifica ed essere capaci di comunicare le conclusioni e i ragionamenti afferenti. Questa competenza comprende un atteggiamento di valutazione critica e curiosità, l’interesse per le questioni etiche e l’attenzione sia alla sicurezza sia alla sostenibilità ambientale, in particolare per quanto concerne il progresso scientifico e tecnologico in relazione all’individuo, alla famiglia, alla comunità e alle questioni di dimensione globale.

4. Competenza digitale La competenza digitale presuppone l’interesse per le tecnologie digitali e il loro utilizzo con dimestichezza e spirito critico e responsabile per apprendere, lavorare e partecipare alla società. Essa comprende l’alfabetizzazione informatica e digitale, la comunicazione e la collaborazione, l’alfabetizzazione mediatica, la creazione di contenuti digitali (inclusa la programmazione), la sicurezza (compreso l’essere a proprio agio nel mondo digitale e possedere competenze relative alla cibersicurezza), le questioni legate alla proprietà intellettuale, la risoluzione di problemi e il pensiero critico.

Conoscenze, abilità e atteggiamenti essenziali legati a tale competenza Le persone dovrebbero comprendere in che modo le tecnologie digitali possono essere di aiuto alla comunicazione, alla creatività e all’innovazione, pur nella consapevolezza di quanto ne consegue in termini di opportunità, limiti, effetti e rischi. Dovrebbero comprendere i principi generali, i meccanismi e la logica che sottendono alle tecnologie digitali in evoluzione, oltre a conoscere il funzionamento e l’utilizzo di base di diversi dispositivi, software e reti. Le persone dovrebbero assumere un approccio critico nei confronti

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LA FORMAZIONE PEDAGOGICA

della validità, dell’affidabilità e dell’impatto delle informazioni e dei dati resi disponibili con strumenti digitali ed essere consapevoli dei principi etici e legali chiamati in causa con l’utilizzo delle tecnologie digitali. Le persone dovrebbero essere in grado di utilizzare le tecnologie digitali come ausilio per la cittadinanza attiva e l’inclusione sociale, la collaborazione con gli altri e la creatività nel raggiungimento di obiettivi personali, sociali o commerciali. Le abilità comprendono la capacità di utilizzare, accedere a, filtrare, valutare, creare, programmare e condividere contenuti digitali. Le persone dovrebbero essere in grado di gestire e proteggere informazioni, contenuti, dati e identità digitali, oltre a riconoscere software, dispositivi, intelligenza artificiale o robot e interagire efficacemente con essi. Interagire con tecnologie e contenuti digitali presuppone un atteggiamento riflessivo e critico, ma anche improntato alla curiosità, aperto e interessato al futuro della loro evoluzione. Impone anche un approccio etico, sicuro e responsabile all’utilizzo di tali strumenti.

5. Competenza personale, sociale e capacità di imparare a imparare La competenza personale, sociale e la capacità di imparare a imparare consiste nella capacità di riflettere su sé stessi, di gestire efficacemente il tempo e le informazioni, di lavorare con gli altri in maniera costruttiva, di mantenersi resilienti e di gestire il proprio apprendimento e la propria carriera. Comprende la capacità di far fronte all’incertezza e alla complessità, di imparare a imparare, di favorire il proprio benessere fisico ed emotivo, di mantenere la salute fisica e mentale, nonché di essere in grado di condurre una vita attenta alla salute e orientata al futuro, di empatizzare e di gestire il conflitto in un contesto favorevole e inclusivo.

Conoscenze, abilità e atteggiamenti essenziali legati a tale competenza Per il successo delle relazioni interpersonali e della partecipazione alla società è essenziale comprendere i codici di comportamento e le norme di comunicazione generalmente accettati in ambienti e società diversi. La competenza personale, sociale e la capacità di imparare a imparare richiede inoltre la conoscenza degli elementi che compongono una mente, un corpo e uno stile di vita salutari. Presuppone la conoscenza delle proprie strategie di apprendimento preferite, delle proprie necessità di sviluppo delle competenze e di diversi modi per sviluppare le competenze e per cercare le occasioni di istruzione, formazione e carriera, o per individuare le forme di orientamento e sostegno disponibili.

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EMERGENZE FORMATIVE E RISPOSTE PEDAGOGICHE IN AMBITO EUROPEO 95

Vi rientrano la capacità di individuare le proprie capacità, di concentrarsi, di gestire la complessità, di riflettere criticamente e di prendere decisioni. Ne fa parte la capacità di imparare e di lavorare sia in modalità collaborativa sia in maniera autonoma, di organizzare il proprio apprendimento e di perseverare, di saperlo valutare e condividere, di cercare sostegno quando opportuno e di gestire in modo efficace la propria carriera e le proprie interazioni sociali. Le persone dovrebbero essere resilienti e capaci di gestire l’incertezza e lo stress. Dovrebbero saper comunicare costruttivamente in ambienti diversi, collaborare nel lavoro in gruppo e negoziare. Ciò comprende: manifestare tolleranza, esprimere e comprendere punti di vista diversi, oltre alla capacità di creare fiducia e provare empatia. Tale competenza si basa su un atteggiamento positivo verso il proprio benessere personale, sociale e fisico e verso l’apprendimento per tutta la vita. Si basa su un atteggiamento improntato a collaborazione, assertività e integrità, che comprende il rispetto della diversità degli altri e delle loro esigenze, e la disponibilità sia a superare i pregiudizi, sia a raggiungere compromessi. Le persone dovrebbero essere in grado di individuare e fissare obiettivi, di automotivarsi e di sviluppare resilienza e fiducia per perseguire e conseguire l’obiettivo di apprendere lungo tutto il corso della loro vita. Un atteggiamento improntato ad affrontare i problemi per risolverli è utile sia per il processo di apprendimento sia per la capacità di gestire gli ostacoli e i cambiamenti. Comprende il desiderio di applicare quanto si è appreso in precedenza e le proprie esperienze di vita nonché la curiosità di cercare nuove opportunità di apprendimento e sviluppo nei diversi contesti della vita.

6. Competenza in materia di cittadinanza La competenza in materia di cittadinanza si riferisce alla capacità di agire da cittadini responsabili e di partecipare pienamente alla vita civica e sociale, in base alla comprensione delle strutture e dei concetti sociali, economici, giuridici e politici oltre che dell’evoluzione a livello globale e della sostenibilità.

Conoscenze, abilità e atteggiamenti essenziali legati a tale competenza La competenza in materia di cittadinanza si fonda sulla conoscenza dei concetti e dei fenomeni di base riguardanti gli individui, i gruppi, le organizzazioni lavorative, la società, l’economia e la cultura. Essa presuppone la comprensione dei valori comuni dell’Europa, espressi nell’articolo 2 del trattato sull’Unione europea e nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Comprende la conoscenza delle vicende contemporanee nonché

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LA FORMAZIONE PEDAGOGICA

l’interpretazione critica dei principali eventi della storia nazionale, europea e mondiale. Abbraccia inoltre la conoscenza degli obiettivi, dei valori e delle politiche dei movimenti sociali e politici oltre che dei sistemi sostenibili, in particolare dei cambiamenti climatici e demografici a livello globale e delle relative cause. È essenziale la conoscenza dell’integrazione europea, unitamente alla consapevolezza della diversità e delle identità culturali in Europa e nel mondo. Vi rientra la comprensione delle dimensioni multiculturali e socioeconomiche delle società europee e del modo in cui l’identità culturale nazionale contribuisce all’identità europea. Per la competenza in materia di cittadinanza è indispensabile la capacità di impegnarsi efficacemente con gli altri per conseguire un interesse comune o pubblico, come lo sviluppo sostenibile della società. Ciò presuppone la capacità di pensiero critico e abilità integrate di risoluzione dei problemi, nonché la capacità di sviluppare argomenti e di partecipare in modo costruttivo alle attività della comunità, oltre che al processo decisionale a tutti i livelli, da quello locale e nazionale al livello europeo e internazionale. Presuppone anche la capacità di accedere ai mezzi di comunicazione sia tradizionali sia nuovi, di interpretarli criticamente e di interagire con essi, nonché di comprendere il ruolo e le funzioni dei media nelle società democratiche. Il rispetto dei diritti umani, base della democrazia, è il presupposto di un atteggiamento responsabile e costruttivo. La partecipazione costruttiva presuppone la disponibilità a partecipare a un processo decisionale democratico a tutti i livelli e alle attività civiche. Comprende il sostegno della diversità sociale e culturale, della parità di genere e della coesione sociale, di stili di vita sostenibili, della promozione di una cultura di pace e non violenza, nonché della disponibilità a rispettare la privacy degli altri e a essere responsabili in campo ambientale. L’interesse per gli sviluppi politici e socioeconomici, per le discipline umanistiche e per la comunicazione interculturale è indispensabile per la disponibilità sia a superare i pregiudizi sia a raggiungere compromessi ove necessario e a garantire giustizia ed equità sociali.

7. Competenza imprenditoriale La competenza imprenditoriale si riferisce alla capacità di agire sulla base di idee e opportunità e di trasformarle in valori per gli altri. Si fonda sulla creatività, sul pensiero critico e sulla risoluzione di problemi, sull’iniziativa e sulla perseveranza, nonché sulla capacità di lavorare in modalità collaborativa al fine di programmare e gestire progetti che hanno un valore culturale, sociale o finanziario.

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EMERGENZE FORMATIVE E RISPOSTE PEDAGOGICHE IN AMBITO EUROPEO 97

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Conoscenze, abilità e atteggiamenti essenziali legati a tale competenza La competenza imprenditoriale presuppone la consapevolezza che esistono opportunità e contesti diversi nei quali è possibile trasformare le idee in azioni nell’ambito di attività personali, sociali e professionali, e la comprensione di come tali opportunità si presentano. Le persone dovrebbero conoscere e capire gli approcci di programmazione e gestione dei progetti, in relazione sia ai processi sia alle risorse. Dovrebbero comprendere l’economia, nonché le opportunità e le sfide sociali ed economiche cui vanno incontro i datori di lavoro, le organizzazioni o la società. Dovrebbero inoltre conoscere i principi etici e le sfide dello sviluppo sostenibile ed essere consapevoli delle proprie forze e debolezze. Le capacità imprenditoriali si fondano sulla creatività, che comprende immaginazione, pensiero strategico e risoluzione dei problemi, nonché riflessione critica e costruttiva in un contesto di innovazione e di processi creativi in evoluzione. Comprendono la capacità di lavorare sia individualmente sia in modalità collaborativa in gruppo, di mobilitare risorse (umane e materiali) e di mantenere il ritmo dell’attività. Vi rientra la capacità di assumere decisioni finanziarie relative a costi e valori. È essenziale la capacità di comunicare e negoziare efficacemente con gli altri e di saper gestire l’incertezza, l’ambiguità e il rischio in quanto fattori rientranti nell’assunzione di decisioni informate. Un atteggiamento imprenditoriale è caratterizzato da spirito d’iniziativa e autoconsapevolezza, proattività, lungimiranza, coraggio e perseveranza nel raggiungimento degli obiettivi. Comprende il desiderio di motivare gli altri e la capacità di valorizzare le loro idee, di provare empatia e di prendersi cura delle persone e del mondo, e di saper accettare la responsabilità applicando approcci etici in ogni momento.

8. Competenza in materia di consapevolezza ed espressione culturali La competenza in materia di consapevolezza ed espressione culturali implica la comprensione e il rispetto di come le idee e i significati vengono espressi creativamente e comunicati in diverse culture e tramite tutta una serie di arti e altre forme culturali. Presuppone l’impegno di capire, sviluppare ed esprimere le proprie idee e il senso della propria funzione o del proprio ruolo nella società in una serie di modi e contesti.

Conoscenze, abilità e atteggiamenti essenziali legati a tale competenza Questa competenza richiede la conoscenza delle culture e delle espressioni locali, nazionali, regionali, europee e mondiali, comprese le loro lingue, il

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LA FORMAZIONE PEDAGOGICA

loro patrimonio espressivo e le loro tradizioni, e dei prodotti culturali, oltre alla comprensione di come tali espressioni possono influenzarsi a vicenda e avere effetti sulle idee dei singoli individui. Essa include la comprensione dei diversi modi della comunicazione di idee tra l’autore, il partecipante e il pubblico nei testi scritti, stampati e digitali, nel teatro, nel cinema, nella danza, nei giochi, nell’arte e nel design, nella musica, nei riti, nell’architettura oltre che nelle forme ibride. Presuppone la consapevolezza dell’identità personale e del patrimonio culturale all’interno di un mondo caratterizzato da diversità culturale e la comprensione del fatto che le arti e le altre forme culturali possono essere strumenti per interpretare e plasmare il mondo. Le relative abilità comprendono la capacità di esprimere e interpretare idee figurative e astratte, esperienze ed emozioni con empatia, e la capacità di farlo in diverse arti e in altre forme culturali. Comprendono anche la capacità di riconoscere e realizzare le opportunità di valorizzazione personale, sociale o commerciale mediante le arti e altre forme culturali e la capacità di impegnarsi in processi creativi, sia individualmente sia collettivamente. È importante avere un atteggiamento aperto e rispettoso nei confronti delle diverse manifestazioni dell›espressione culturale, unitamente a un approccio etico e responsabile alla titolarità intellettuale e culturale. Un atteggiamento positivo comprende anche curiosità nei confronti del mondo, apertura per immaginare nuove possibilità e disponibilità a partecipare a esperienze culturali.

Sostegno allo sviluppo delle competenze chiave Le competenze chiave sono una combinazione dinamica di conoscenze, abilità e atteggiamenti che il discente deve sviluppare lungo tutto il corso della sua vita a partire dalla giovane età. Istruzione, formazione e apprendimento permanente di qualità e inclusivi offrono a ogni persona occasioni per sviluppare le competenze chiave, pertanto gli approcci basati sulle competenze possono essere utilizzati in tutti i contesti educativi, formativi e di apprendimento nel corso della vita. Per fornire sostegno a istruzione, formazione e apprendimento orientati alle competenze in un contesto di apprendimento permanente sono state individuate tre problematiche: l’utilizzo di molteplici approcci e contesti di apprendimento; il sostegno agli educatori e ad altro personale didattico; la valutazione e la convalida dello sviluppo delle competenze. Per agire su tutte le problematiche sono stati individuati alcuni esempi di buone pratiche. a) Molteplici approcci e contesti di apprendimento a) Per arricchire l’apprendimento si può ricorrere all’apprendimento interdisciplinare, a partenariati che coinvolgano attori dell’istruzione,

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EMERGENZE FORMATIVE E RISPOSTE PEDAGOGICHE IN AMBITO EUROPEO 99

della formazione e dell’apprendimento a diversi livelli oltre che del mercato del lavoro, nonché a concetti quali gli approcci scolastici globali e integrati, che pongono l’accento sull’insegnamento e sull’apprendimento collaborativo, sulla partecipazione attiva e sull’assunzione di decisioni dei discenti. L’apprendimento interdisciplinare consente inoltre di rafforzare il collegamento tra le diverse materie dei programmi scolastici, nonché di stabilire un solido nesso tra ciò che viene insegnato e i cambiamenti e le esigenze della società. Per un efficace sviluppo delle competenze può essere decisiva la collaborazione intersettoriale tra istituti di istruzione e formazione e attori esterni appartenenti agli ambienti economici, artistici, sportivi e giovanili e agli istituti di istruzione superiore o di ricerca. b) L’acquisizione delle abilità di base e lo sviluppo di competenze più ampie possono essere promossi integrando sistematicamente l’apprendimento accademico con l’educazione sociale ed emotiva, le arti e le attività fisiche salutari che promuovono stili di vita attenti alla salute, orientati al futuro e fisicamente attivi. Rafforzare fin dalla giovane età le competenze personali, sociali e di apprendimento può costituire il fondamento per lo sviluppo delle abilità di base. c) Metodologie di apprendimento quali l’apprendimento basato sull’indagine e sui progetti, misto, basato sulle arti e sui giochi, possono accrescere la motivazione e l’impegno ad apprendere. Analogamente, metodi di apprendimento sperimentali, l’apprendimento basato sul lavoro e su metodi scientifici in scienza, tecnologia, ingegneria e matematica (STEM) possono promuovere lo sviluppo di varie competenze. d) I discenti, il personale didattico e i fornitori di istruzione o formazione potrebbero essere incoraggiati a utilizzare le tecnologie digitali per migliorare l’apprendimento e per sostenere lo sviluppo delle competenze digitali, ad esempio mediante la partecipazione a iniziative dell’Unione quali la «Settimana UE della programmazione». L’utilizzo di strumenti di autovalutazione, quali lo strumento SELFIE, potrebbe migliorare le capacità digitali dei fornitori di istruzione, formazione e apprendimento. e) Opportunità specifiche di fare esperienze imprenditoriali, tirocini in impresa o visite di imprenditori presso istituti di istruzione e formazione, comprese esperienze imprenditoriali pratiche, quali sfide di creatività, start up, iniziative comunitarie realizzate da studenti, simulazioni imprenditoriali o l’apprendimento imprenditoriale basato su progetti, potrebbero essere particolarmente utili ai giovani, nonché agli adulti e ai docenti. Ai giovani potrebbe essere data l’opportunità di fare almeno un’esperienza imprenditoriale durante l’istruzione scolastica. Partenariati

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LA FORMAZIONE PEDAGOGICA

e piattaforme che associno scuole, comunità e imprese a livello locale, in particolare in zone rurali, possono svolgere un ruolo decisivo nel diffondere l’educazione imprenditoriale. Fornire a docenti e direttori scolastici l’opportuna formazione e il sostegno adeguato potrebbe rivelarsi di importanza cruciale nel creare progresso continuo e leadership. f ) La competenza multilinguistica può essere sviluppata grazie alla stretta cooperazione con contesti educativi, formativi e di apprendimento all’estero, alla mobilità del personale didattico e dei discenti e all’uso di eTwinning, EPALE e/o portali online simili. g) Tutti i discenti, compresi quelli in condizioni svantaggiate o con bisogni specifici, potrebbero ricevere sostegno adeguato in contesti inclusivi, in modo da realizzare il proprio potenziale educativo. Tale sostegno potrebbe assumere la forma di supporto linguistico, accademico, socio-emotivo, coaching inter pares, attività extracurricolari, orientamento professionale o assistenza materiale. h) La collaborazione tra contesti educativi, formativi e di apprendimento a tutti i livelli può rivelarsi decisiva per migliorare la continuità dello sviluppo della competenza dei discenti durante l’intero corso della vita e per lo sviluppo di approcci innovativi. i) La cooperazione tra partner educativi, formativi e di altro tipo nelle comunità locali, e con i datori di lavoro, in associazione con l’apprendimento formale, non formale e informale, può favorire lo sviluppo delle competenze e agevolare la transizione dall’istruzione al lavoro nonché dal lavoro all’istruzione. b) Sostegno al personale didattico a) Integrare gli approcci di istruzione, formazione e apprendimento orientati alle competenze nell’istruzione iniziale e nella formazione professionale continua può aiutare il personale didattico a far evolvere l’insegnamento e l’apprendimento nei rispettivi contesti e ad elaborare le competenze necessarie per applicare tali approcci. b) Si potrebbe dare supporto al personale didattico nell’elaborare approcci orientati alle competenze nei rispettivi contesti mediante scambi di personale, apprendimento tra pari e consulenza tra pari, consentendo flessibilità e autonomia nell’organizzare l’apprendimento, mediante le reti, la collaborazione e le comunità di pratica. c) Il personale didattico potrebbe ricevere sostegno per elaborare pratiche innovative, partecipare a ricerche e applicare opportunamente le nuove tecnologie, comprese le tecnologie digitali, per gli approcci basati sulle competenze nell’insegnamento e nell’apprendimento.

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EMERGENZE FORMATIVE E RISPOSTE PEDAGOGICHE IN AMBITO EUROPEO 101

d) Si potrebbero fornire al personale didattico orientamento e accesso a centri di esperti; strumenti e materiali adeguati possono migliorare la qualità dell’insegnamento nonché i metodi e la pratica dell’apprendimento. c) Valutazione e convalida dello sviluppo delle competenze a) Le descrizioni delle competenze chiave potrebbero trasformarsi in quadri di riferimento dei risultati dell’apprendimento, che potrebbero essere integrati dagli opportuni strumenti di valutazione diagnostica, formativa e sommativa e convalida ai livelli opportuni (!). b) Le tecnologie digitali, in particolare, potrebbero contribuire a individuare le molteplici dimensioni del progresso del discente, compreso l’apprendimento della competenza imprenditoriale. c) Si potrebbero elaborare approcci diversi per la valutazione delle competenze chiave in contesti di apprendimento non formali e informali, comprese le pertinenti attività svolte da datori di lavoro, specialisti dell’orientamento e parti sociali. Tali metodi dovrebbero essere messi a disposizione di tutti, in particolare delle persone con bassi livelli di competenze, in modo da agevolare il loro progresso verso l’apprendimento ulteriore. d) La convalida dei risultati dell’apprendimento ottenuti con l’apprendimento non formale e informale potrebbe essere ampliata e potenziata, in conformità della raccomandazione del Consiglio sulla convalida dell’apprendimento non formale e informale precedente, fino a comprendere processi di convalida diversi. Anche l’utilizzo di strumenti quali Europass e Youthpass, che servono per la documentazione e l’autovalutazione, può contribuire al processo di convalida. (1) Ad esempio, il quadro comune europeo di riferimento per la conoscenza delle lingue, il quadro di riferimento delle competenze digitali, il quadro di riferimento delle competenze imprenditoriali e le descrizioni delle competenze in ambito PISA forniscono materiale di sostegno per la valutazione delle competenze.

Gli obiettivi per lo sviluppo sostenibile in Europa: l’Agenda 2030 e il Rapporto “Finanziare il futuro”: OBIETTIVO 4: Fornire un’educazione di qualità, equa ed inclusiva, e opportunità di apprendimento per tutti Un’istruzione di qualità è la base per migliorare la vita delle persone e raggiungere lo sviluppo sostenibile. Risultati importanti sono stati ottenuti sulla

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LA FORMAZIONE PEDAGOGICA

scena globale per quanto riguarda l’incremento dell’accesso all’istruzione a tutti i livelli e l’incremento dei livelli di iscrizione nelle scuole, soprattutto per donne e ragazze, risultando migliorato in maniera significativa il livello base di alfabetizzazione: risulta tuttavia ancora da realizzare l’obiettivo dell’istruzione universale. Si evidenzia che, se a livello mondiale l’uguaglianza tra bambine e bambini può dirsi raggiunta nell’istruzione primaria, pochi sono i paesi con analogo risultato per tutti i livelli educativi.

Fatti e cifre

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L’iscrizione nelle scuole primarie nei Paesi in via di sviluppo ha raggiunto il 91%, ma 57 milioni di bambini ne sono ancora esclusi. • Più della metà dei bambini non iscritti a scuola vive in Africa subsahariana. • Si calcola che il 50% dei bambini che possiedono un’età per ricevere l’istruzione primaria ma che non frequentano la scuola vive in zone colpite da conflitti. Nel mondo, l’Agenda stima 103 milioni di giovani privi di capacità di base in lettura e scrittura, con un 60% di donne penalizzate dal fenomeno. Per quanto riguarda la situazione in Europa, il rapporto Eurostat utilizza diversi indicatori relativamente all’obiettivo considerato. In ordine all’abbandono precoce scolastico, si registra un dato pari all’11.0% nella popolazione 18 – 24 anni, con un considerevole miglioramento rispetto al 2006, (quando la media era di 4.3 punti percentuali più alta). Il Rapporto evidenzia che il Paese di nascita influenza il tasso di abbandono scolastico, e che le persone che studiano in Paesi diversi da quello di origine trovano in media maggiori difficoltà a completare la propria educazione. Merita sottolineare che la maggiore differenza nei tassi di abbandono tra popolazione nata nel Paese Ue e popolazione originaria di altro Stato si registra nell’Europa del sud (e segnatamente in Italia, Spagna e Grecia) nonché in Austria, con un gap tra nativi e non nativi di più di 18 punti percentuali.

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EMERGENZE FORMATIVE E RISPOSTE PEDAGOGICHE IN AMBITO EUROPEO 103

Figure 4.1: Early leaversfrom education and training by group of country of birth, by country, 2015

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(% of population aged 18-24)

Reporting • EU-28 countries except • Non EU-28 countrres country reporting country nor reporting country

(‘) Some data have low reliabilìty; (2) Values for ‘EU-28 countriesexcept reporting country’ and ‘reporting country’are the same. Source:Eurostat (online data code: edat_lfse_02)

In ordine all’indicatore dei giovani con scarse capacità nella lettura, nella matematica e nella scienza, si registra un sesto(16.5%) degli alunni in Europa con abilità scarse nelle scienze. Le abilità nella lettura sono anche minori, con 17.8% di alunni, con scarsi risultati tra i quindicenni 15-year-old e 22.0% con bassi risultati nella matematica, dove i miglioramenti sono i più lenti rispetto ai trend (i livelli europei sono, su tale profilo, marcatamente più bassi rispetto a quelli USA, mentre si attestano analoghi quanto alle capacità di lettura). In generale, la percentuale di alunni con scarsi risultati scolastici nell’area UE eccede quella di Giappone e Corea, rispettivamente entro il 12% e il 10%. Figure 4.2: Low achievers in reading, maths and science, by country, 2012 (share of 15-year-old pupils who are below proficiency level 2 on the PISA scales for reading, maths and science)

Reading • Maths • Science

(‘) Data are estimate!, Source: OECD, Pisa 2012 Results

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104

LA FORMAZIONE PEDAGOGICA

L’indicatore relativo all’educazione ‘terziaria’, concernente la formazione universitaria, mostra 4 su 10 (38.7%) persone, con età tra 30 e 34 anni, aver completato con successo tale livello di istruzione nell’aria UE. La percentuale mostra un raddoppio dal 2002, quando il dato si attestava sui 23.6 punti percentuali. Il dato dell’Italia si attesta inferiore, quanto al compimento dell’educazione terziaria, rispetto alla media UE. Figure 4.3: Tertiary educational attainment, by country, 2015 (% of the population aged 30-34) H

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60

0 The indicator is ciefined as the percentage of the population aged 30-34 who have successfully completed tertiary studies (for example, university, hlghertechnical institutlon). Source: Eurostat (online data code: tsdsc480)

In ordine all’indicatore dell’educazione in tutto l’arco della vita (lifelong Learning) l’area UE mostra un 11.7% di donne e 9.7% di uomini che partecipano in tale forma di istruzione. Le donne, su tale profilo, mostrano un ruolo trainante, con aumenti percentuali pari a 4 punti (dal 2002) a fronte dei 3 punti di miglioramento per gli uomini. Si registrano, comunque, forti differenze territoriali tra gli stati membri; l’Italia, come mostrato nella figura 4.4 del Rapporto, mostra un dato inferiore alla media UE, sia per la partecipazione maschile sia per la, maggiore, partecipazione femminile, mentre i livelli maggiori si presentano nei paesi dell’area nord europea.

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EMERGENZE FORMATIVE E RISPOSTE PEDAGOGICHE IN AMBITO EUROPEO 105

Figure 4.4: Participation in lifelong learning by sex, by country, 2015

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(% of population aged 25-64) 0

N Men

Women

0 Lifelong learning refers to persons aged 25-64 who stateci that they recelved education or training in thefourweeks preceding the survey (numeratori. The denominator consisti of the total population of the same age group, excluding those whodid not answer to the question ‘participation in education and training’, Source: Eurostat (online data code: tsdsc440)

Traguardi 4.1 Garantire entro il 2030 ad ogni ragazza e ragazzo libertà, equità e qualità nel completamento dell’educazione primaria e secondaria che porti a risultati di apprendimento adeguati e concreti. 4.2 Garantire entro il 2030 che ogni ragazza e ragazzo abbiano uno sviluppo infantile di qualità, ed un accesso a cure ed istruzione pre-scolastiche così da essere pronti alla scuola primaria. 4.3 Garantire entro il 2030 ad ogni donna e uomo un accesso equo ad un’istruzione tecnica, professionale e terziaria – anche universitaria – che sia economicamente vantaggiosa e di qualità. 4.4 Aumentare considerevolmente entro il 2030 il numero di giovani e adulti con competenze specifiche – anche tecniche e professionali – per l’occupazione, posti di lavoro dignitosi e per l’imprenditoria. 4.5 Eliminare entro il 2030 le disparità di genere nell’istruzione e garantire un accesso equo a tutti i livelli di istruzione e formazione professionale delle categorie protette, tra cui le persone con disabilità, le popolazioni indigene ed i bambini in situazioni di vulnerabilità. 4.6 Garantire entro il 2030 che tutti i giovani e gran parte degli adulti, sia uomini che donne, abbiano un livello di alfabetizzazione ed una capacità di calcolo.

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LA FORMAZIONE PEDAGOGICA

4.7 Garantire entro il 2030 che tutti i discenti acquisiscano la conoscenza e le competenze necessarie a promuovere lo sviluppo sostenibile, anche tramite un educazione volta ad uno sviluppo e uno stile di vita sostenibile, ai diritti umani, alla parità di genere, alla promozione di una cultura pacifica e non violenta, alla cittadinanza globale e alla valorizzazione delle diversità culturali e del contributo della cultura allo sviluppo sostenibile. 4.8 4.a Costruire e potenziare le strutture dell’istruzione che siano sensibili ai bisogni dell’infanzia, alle disabilità e alla parità di genere e predisporre ambienti dedicati all’apprendimento che siano sicuri, non violenti e inclusivi per tutti. 4.b Espandere considerevolmente entro il 2020 a livello globale il numero di borse di studio disponibili per i paesi in via di sviluppo, specialmente nei paesi meno sviluppati, nei piccoli stati insulari e negli stati africani, per garantire l’accesso all’istruzione superiore – compresa la formazione professionale, le tecnologie dell’informazione e della comunicazione e i programmi tecnici, ingegneristici e scientifici – sia nei paesi sviluppati che in quelli in via di sviluppo. 4.9 4.c Aumentare considerevolmente entro il 2030 la presenza di insegnanti qualificati, anche grazie alla cooperazione internazionale, per la loro attività di formazione negli stati in via di sviluppo, specialmente nei paesi meno sviluppati e nei piccoli stati insulari in via di sviluppo. OBIETTIVO 5: Raggiungere l’uguaglianza di genere ed emancipare tutte le donne e le ragazze Mentre il mondo ha fatto progressi nella parità di genere e nell’emancipazione delle donne attraverso gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio (tra cui la parità di accesso all’istruzione primaria per ragazzi e ragazze), donne e ragazze continuano a subire discriminazioni e violenze in ogni parte del mondo. La parità di genere non è solo un diritto umano fondamentale, ma la condizione necessaria per un mondo prospero, sostenibile e in pace. Garantire alle donne e alle ragazze parità di accesso all’istruzione, alle cure mediche, a un lavoro dignitoso, così come la rappresentanza nei processi decisionali, politici ed economici, promuoverà economie sostenibili, di cui potranno beneficiare le società e l’umanità intera.

Fatti e cifre •

Circa i due terzi dei Paesi in regioni in via di sviluppo hanno raggiunto la parità di genere nell’istruzione primaria.

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EMERGENZE FORMATIVE E RISPOSTE PEDAGOGICHE IN AMBITO EUROPEO 107

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Nel 1990, in Asia meridionale, solo 74 bambine erano iscritte alla scuola primaria per 100 bambini. Nel 2012, i tassi d’iscrizione erano gli stessi per le ragazze e per i ragazzi. • Nell’Africa subsahariana, in Oceania e in Asia occidentale, le ragazze ancora incontrano ostacoli nell’accesso alla scuola primaria e secondaria. • In Nordafrica, le donne detengono meno di un quinto dei posti di lavoro retribuiti in settori non agricoli. La proporzione di donne che occupano posti di lavoro retribuiti al di fuori del settore primario è aumentato dal 35 % del 1990 al 41% del 2015. • In 46 paesi, le donne detengono oltre il 30% di seggi nei parlamenti nazionali in almeno una Camera. Il Rapporto Eurostat focalizza diversi indicatori in materia di uguaglianza di genere. Nel richiamare la rilevanza degli obiettivi fissati dall’Agenda al riguardo, il Rapporto ricorda come, in particolare, l’indicatore del ‘gender pay gap’ sia utilizzato anche per monitorare la Strategia europea per lo Sviluppo sostenibile. In ordine al primo indicatore il ‘gender pay gap’, volto ad indicare la differenza di compenso salariale tra uomini e donne, si stima nell’area Ue una percentuale pari a 16.1, con una riduzione di 1.6 punti percenutali rispetto al 2006 nell’Europa a 27. La – seppur lieve – riduzione indica un graduale recupero delle donne in termini di allineamento dei loro compensi salariali rispetto a quelli degli uomini. Il Rapporto evidenzia che i gap più piccoli si registrano in alcuni dei Paesi dell’Europa del sud, in particolare in Italia, con un 6.5% di gap, tra i valori più contenuti, e Malta (4.5%) e Slovenia (2.9%). Figure 5.1: Gender pay gap in unadjusted form, by country, 2014 (%) 30

(‘) Data are provisionai; (2) Data are estimateci; (-) 2012 data instead of 2014; D 2010 data instead of 2014; (5) 2013 data instead of 2014. Source: Eurostat (online data code: tsdsc340)

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LA FORMAZIONE PEDAGOGICA

In ordine alla rappresentanza, la presenza di donne arriva al 29% dei seggi nei parlamenti nazionali degli Stati europei, delineando un positivo ma lento progresso, comparato con l’anno 2003, quando le donne occupavano solo il 20% dei seggi. Si registrano, comunque, grandi variabilità tra gli Stati membri, variando il dato da circa la metà dei seggi femminili che si attesta in Svezia, al 10 % che si ha invece in Ungheria, in base al Rapporto. Complessivamente, 12 Stati membri la rappresentanza femminile è del 30% o maggiore. L’Italia si attesta, come visibile nella figura 5.2, lievemente sopra la media UE. I tassi più bassi si registrano in alcuni Paesi dell’Europa orientale e del sud, particolarmente nella citata Ungheria, a Malta e in Romania, con meno del 15 % dei seggi parlamentari in capo a donne. Tra i paesi E F TA, l’Islanda e la Norvegia hanno tassi di presenza femminile in Parlamento comparabili alle migliori performance dell’area UE. Il Rapporto segnala dati alti di presenza femminile anche nei Paesi candidati, Serbia e Repubblica di Macedonia. Figure 5.2: Proportion ofseatsheld by women in national parliaments (single/lower house), by country, 2016 (‘)

(1) The data refer to the 3rd quarter of 2016. Source: European Commission (6)

Si segnala, inoltre, come i dati dell’ONU nel recente Report UN Women (2016), Progress of the World’s Women 2015-2016: Transforming Economies, Realizing Rights, forniscano un’ampia analisi degli indicatori in materia anche con riferimento al panorama internazionale, focalizzando sul concetto di equità ed uguaglianza ‘sostanziale’ che caratterizza l’obiettivo in termini di parità di genere.

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EMERGENZE FORMATIVE E RISPOSTE PEDAGOGICHE IN AMBITO EUROPEO 109

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Traguardi 5.1 Porre fine, ovunque, a ogni forma di discriminazione nei confronti di donne e ragazze. 5.2 Eliminare ogni forma di violenza nei confronti di donne e bambine, sia nella sfera privata che in quella pubblica, compreso il traffico di donne e lo sfruttamento sessuale e di ogni altro tipo. 5.3 Eliminare ogni pratica abusiva come il matrimonio combinato, il fenomeno delle spose bambine e le mutilazioni genitali femminili. 5.4 Riconoscere e valorizzare la cura e il lavoro domestico non retribuito, fornendo un servizio pubblico, infrastrutture e politiche di protezione sociale e la promozione di responsabilità condivise all’interno delle famiglie, conformemente agli standard nazionali. 5.5 Garantire piena ed effettiva partecipazione femminile e pari opportunità di leadership ad ogni livello decisionale in ambito politico, economico e della vita pubblica. 5.6 Garantire accesso universale alla salute sessuale e riproduttiva e ai diritti in ambito riproduttivo, come concordato nel Programma d’Azione della Conferenza internazionale su popolazione e sviluppo e dalla Piattaforma d’Azione di Pechino e dai documenti prodotti nelle successive conferenze. 5.a Avviare riforme per dare alle donne uguali diritti di accesso alle risorse economiche così come alla titolarità e al controllo della terra e altre forme di proprietà, ai servizi finanziari, eredità e risorse naturali, in conformità con le leggi nazionali. 5.b Rafforzare l’utilizzo di tecnologie abilitanti, in particolare le tecnologie dell’informazione e della comunicazione, per promuovere l’emancipazione della donna. 5.c Adottare e intensificare una politica sana ed una legislazione applicabile per la promozione della parità di genere e l’emancipazione di tutte le donne e bambine, a tutti i livelli. OBIETTIVO 8: Incentivare una crescita duratura, inclusiva e sostenibile, un’occupazione piena e produttiva ed un lavoro dignitoso per tutti In molti Paesi, avere un lavoro non garantisce la possibilità di sottrarsi alla povertà. (Si consideri che circa la metà della popolazione mondiale vive ancora con l’equivalente di due dollari al giorno.) L’obiettivo in parola richiede di riconsiderare e riorganizzare le nostre politiche economiche e sociali tese all’eliminazione della povertà. L’Agenda 2030 sottolinea come una

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LA FORMAZIONE PEDAGOGICA

prolungata mancanza di opportunità di lavoro dignitose, oltreché investimenti insufficienti in materia, determinino un’erosione del contratto sociale alla base delle società democratiche, secondo cui tutti dobbiamo contribuire al progresso. La creazione di posti di lavoro di qualità e di opportunità di lavoro restano le maggiori sfide per quasi tutte le economie, che interessa un arco di lungo periodo: essa è condizione per una crescita economica e sostenibile, in cui gli stimoli alle economie contemperino anche gli aspetti ambientali.

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La disoccupazione globale è salita da 170 milioni nel 2007 a quasi 202 milioni nel 2012; di questi, circa 75 milioni sono giovani donne e uomini. Secondo il World Employment and Social Outlook – Trends 2016, pubblicato nel gennaio 2016 dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO), nel mondo c’è sempre meno lavoro e la disoccupazione è destinata ad aumentare nei prossimi due anni, soprattutto nei Paesi emergenti. Il rallentamento dell’economia ha generato un nuovo aumento della disoccupazione nel mondo: nel 2015 colpiva 197 milioni di persone, quasi 1 milione in più rispetto all’anno precedente e 27 milioni in più rispetto al periodo pre-crisi. Secondo le ultime proiezioni di crescita, il numero di disoccupati nel mondo sarebbe dovuto aumentare di quasi 2,3 milioni nel 2016 e ulteriori 1,1 milioni di disoccupati si aggiungeranno nel 2017. Il rapporto segnala un miglioramento delle condizioni del mercato del lavoro nei paesi industrializzati – specie negli Stati Uniti, in Germania e in Italia – dove il tasso di disoccupazione è diminuito dal 12,7% nel 2014 al 12,1% nel 2015. Nei paesi industrializzati, il tasso di disoccupazione è sceso dal 7,1% nel 2014 al 6,7% nel 2015. In molti casi, tuttavia, tali miglioramenti non sono stati sufficienti a eliminare il divario occupazionale indotto dalla crisi finanziaria mondiale. Inoltre, le prospettive occupazionali si sono ormai deteriorate anche nei paesi emergenti e in via di sviluppo, in particolare in Brasile, Cina e nei paesi produttori di petrolio. La diminuzione del prezzo dell’energia e il deprezzamento dell’euro rispetto al dollaro hanno favorito una ripresa dell’occupazione più rapida del previsto nei paesi del sud Europa come Spagna, Portogallo e Italia, nonostante i tassi di disoccupazione nella regione rimangano tuttora superiori ai livelli pre-crisi ad eccezione di Regno Unito e Germania. In Europa inoltre – osserva l’Ilo – quasi la metà dei disoccupati sono a rischio povertà. In molti paesi europei, la ripresa dell’occupazione è

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EMERGENZE FORMATIVE E RISPOSTE PEDAGOGICHE IN AMBITO EUROPEO 111



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andata a scapito della qualità, con la creazione di nuovi posti di lavoro concentrata in buona parte in forme di occupazione non standard (lavoro occasionale e a tempo parziale. La quota dei contratti di lavoro a tempo pieno, che rappresentava oltre l’80% dell’occupazione totale nel 2007, è scesa di oltre 3 punti percentuali nel 2015. Al contrario, la quota di rapporti di lavoro a tempo parziale sul totale dell’occupazione è salita a più del 22% nel 2015 e il lavoro a tempo parziale è spesso non volontario. Quasi 2,2 miliardi di persone vivono al di sotto della soglia di 2 dollari al giorno; l’ eliminazione della povertà è possibile solo attraverso posti di lavoro stabili e ben pagati. A livello globale si stimano necessari 470 milioni di impieghi per coloro che entreranno nel mercato del lavoro tra il 2016 e il 2030.

Relativamente al presente obiettivo, il Rapporto Eurostat utilizza 3 diversi indicatori: 1. il primo concerne il tasso di crescita pro capite del PIL; 2. il secondo riguarda il tasso di occupazione e disoccupazione e 3. il terzo concerne il tasso di NEET, giovani tra i 18 e i 24 anni né occupati né impegnati in percorsi di istruzione/formazione. Rispetto al primo indicatore, dal 2000 il PIL reale pro capite nell’UE è cresciuto in media dell’1% annuo, registrando un continuo aumento tra il 2000 e il 2007, quando il trend positivo è stato interrotto dalla crisi economica. Nel 2009, il PIL reale pro capite ha registrato un calo del 4,6%; dopo un periodo di fluttuazione, è cresciuto moderatamente nel 2014 e dell’1,9%, nel 2015. Tra le economie del G8, il PIL dell’UE per il tasso di crescita pro capite nel periodo 2000-2015 è paragonabile a quello osservato negli Stati Uniti, Canada e Giappone, ma notevolmente inferiore al tasso di crescita della Russia (4,6%). Dal 2000 il tasso di crescita medio annuo del PIL reale pro capite è stato positivo in tutti gli Stati membri, ad eccezione della Grecia e dell’Italia, dove è diminuito in media dello 0,2% e 0,5% per anno, rispettivamente. La crescita è stata più rapida nei paesi dell’Europa centrale e orientale dell’UE (che presentano livelli relativamente bassi di PIL nominale pro capite), grazie all’aumento degli investimenti e all’adozione di nuove tecnologie, che hanno guidato la produttività. Bassi tassi di crescita positivi medi annui del PIL reale pro capite (1% o meno) si registrano in paesi con già alti livelli nominali di PIL pro capite e in alcuni paesi Ue del Mediterraneo, come la Spagna, il Portogallo e Cipro.

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LA FORMAZIONE PEDAGOGICA

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Figure 8.1: Real GDP per capita growth rate, by country, 2000-2015 (average annual growth rate in %) 6

(1) 2015 data are provisionai; f ) Break ir tirne serie; in 2012; (3) Ali data are estimate;; (*) 2015 data are esfimates; I1] Charge 2000-2013; (®) 2000 and 2013 data are estimates; ft Change 2000-2014; 2014 data are estimates. Source: Eurostat (online data code: tsdeclQO, naid=_lQ_gdp and naida_10_pe>

Relativamente al secondo indicatore, nel 2015 il tasso di occupazione della popolazione europea di età compresa tra 20 e 64 anni è stato pari al 70,1% (con un aumento di 3,2 punti percentuali dal 2001). La tendenza al rialzo dell’occupazione ha subito uno stallo nel 2009 a causa degli effetti della crisi economica sul mercato del lavoro; tuttavia, il tasso di occupazione ha iniziato a recuperare nel 2014 ed è quasi tornato al livello pre-crisi del 2008. Tra gli Stati membri dell’UE vi sono grandi disparità nei livelli di occupazione, con variazioni di oltre 25 punti percentuali (cfr. figura 8.2). I più alti tassi di occupazione si registrano nei paesi dell’Europa settentrionale e occidentale, specie in Svezia, Germania, Regno Unito, Danimarca, Estonia e Paesi Bassi. Sono 16 gli Stati membri in cui si registrano tassi di occupazione al di sotto della media UE: essi comprendono tutti i paesi del Mediterraneo e dell’Europa orientale, con l’eccezione della Repubblica Ceca e dei Paesi Baltici. I paesi della regione mediterranea registrano i più bassi tassi di occupazione dell’UE, in particolare la Grecia (54,9%), l’Italia (60,5%) e la Croazia (60,5%)

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Figure 8.2: Employment rate, age group 20-64, by country, 2015

Source: Eurostat (online data code: (2020_10)

Quanto al tasso di disoccupazione di lunga durata, nel 2015 la quota di europei di età compresa tra 15 e 74 anni che sono stati disoccupati per un anno o per un periodo più lungo, ha raggiunto il 4,5%, con un incremento di 1,5 punti percentuali dal 2007. Il dato relativo al tasso di disoccupazione di lunga durata registra grandi variazioni tra gli Stati membri: si passa dall’1,5% della Svezia al 18,2% della Grecia (cfr. figura 8.3). L’Italia si attesta al 6,9%. Simile ad altri indicatori relativi alla disoccupazione, il tasso di disoccupazione a lungo termine è generalmente più alto nei paesi dell’Europa meridionale; rientrano in questo gruppo anche alcuni paesi dell’Europa orientale (Bulgaria e Slovacchia), insieme con l’Irlanda e Lettonia. Al contrario, i più bassi tassi di disoccupazione a lungo termine si registrano nei paesi dell’Europa settentrionale e occidentale; tra di essi Svezia e Regno Unito hanno registrato i risultati migliori risultati, con tassi di disoccupazione di lunga durata tre volte inferiori rispetto al totale UE.

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LA FORMAZIONE PEDAGOGICA

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Figure 8.3: Long-term unemployment rate, by country, 2015

Source: Eurostat (online data code: (2020_10)

Rispetto al terzo e ultimo indicatore, concernente le stime sui NEET (giovani tra 18 e 24 anni né occupati, né impegnati in percorsi di istruzione/formazione), nel 2015 nei paesi dell’UE il relativo tasso si è attestato al 15,8%. Tale dato rappresenta una diminuzione di 1 punto percentuale dal 2002. Il tasso di NEET aveva registrato il minimo nel 2008 con il 14,0%; il picco si è invece avuto nel 2012, quando i NEET hanno raggiunto il 17,2%. Il tasso NEET per le donne è leggermente superiore a quello relativo agli uomini (16,3% contro il 15,4%, rispettivamente); tra gli uomini, la ragione principale alla base dell’ingresso tra i NEET è la disoccupazione, mentre per le donne è l’inattività economica. Tra gli Stati membri, il tasso NEET presenta ampie variazioni: si passa dal 6,2% dei Paesi Bassi al 26,9% dell’Italia. Il tasso NEET tende a essere particolarmente elevato nei paesi dell’Europa meridionale: in tutti i paesi UE della regione mediterranea, con l’eccezione di Malta e della Slovenia, il tasso NEET è superiore al 15%. Fanno parte di tale gruppo anche gli Stati membri che hanno aderito all’UE nel 2007 (Bulgaria e Romania), nonché Irlanda e Slovacchia. Nella maggior parte di questi paesi, la disoccupazione è il principale fattore che contribuisce ai tassi elevati NEET. In Bulgaria, Romania e Italia, invece, è l’inattività economica il fattore principale di tali tendenze. I più bassi livelli di NEET si registrano negli Stati membri dell’Europa settentrionale e centrale, con tassi – in taluni paesi – al di sotto del 10% (dato paragonabile ai paesi EFTA).

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EMERGENZE FORMATIVE E RISPOSTE PEDAGOGICHE IN AMBITO EUROPEO 115

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Figure 8.4: Young people neither in employment nor in education or training, by country, 2015 (% of population aged 18-24) 35

Source: Eurostat (orline data code: edat_lfse_20)

Traguardi 8.1 Sostenere la crescita economica pro capite in conformità alle condizioni nazionali, e in particolare una crescita annua almeno del 7% del prodotto interno lordo nei paesi in via di sviluppo. 8.2 Raggiungere standard più alti di produttività economica attraverso la diversificazione, il progresso tecnologico e l’innovazione, anche con particolare attenzione all’alto valore aggiunto e ai settori ad elevata intensità di lavoro. 8.3 Promuovere politiche orientate allo sviluppo, che supportino le attività produttive, la creazione di posti di lavoro dignitosi, l’imprenditoria, la creatività e l’innovazione, e che incoraggino la formalizzazione e la crescita delle piccole-medie imprese, anche attraverso l’accesso a servizi finanziari. 8.4 Migliorare progressivamente, entro il 2030, l’efficienza globale nel consumo e nella produzione di risorse e tentare di scollegare la crescita economica dalla degradazione ambientale, conformemente al Quadro decennale di programmi relativi alla produzione e al consumo sostenibile, con i paesi più sviluppati in prima linea. 8.5 Garantire entro il 2030 un’occupazione piena e produttiva e un lavoro dignitoso per donne e uomini, compresi i giovani e le persone con disabilità, e un’equa remunerazione per lavori di equo valore. 8.6 Ridurre entro il 2030 la quota di giovani disoccupati e al di fuori di ogni ciclo di studio o formazione.

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LA FORMAZIONE PEDAGOGICA

8.7 Prendere provvedimenti immediati ed effettivi per sradicare il lavoro forzato, porre fine alla schiavitù moderna e alla tratta di esseri umani e garantire la proibizione ed eliminazione delle peggiori forme di lavoro minorile, compreso il reclutamento e l’impiego dei bambini soldato, nonché porre fine entro il 2025 al lavoro minorile in ogni sua forma. 8.8 Proteggere il diritto al lavoro e promuovere un ambiente lavorativo sano e sicuro per tutti i lavoratori, inclusi gli immigrati, in particolare le donne, e i precari. 8.9 Concepire e implementare entro il 2030 politiche per favorire un turismo sostenibile che crei lavoro e promuova la cultura e i prodotti locali. 8.10 Rafforzare la capacità degli istituti finanziari interni per incoraggiare e aumentare l’utilizzo di servizi bancari, assicurativi e finanziari per tutti. 8.a Aumentare il supporto dell’aiuto per il commercio per i paesi in via di sviluppo, in particolare i meno sviluppati, anche tramite il Quadro Integrato Rafforzato per l’assistenza tecnica legata agli scambi dei paesi meno sviluppati. 8.11 8.b Sviluppare e rendere operativa entro il 2020 una strategia globale per l’occupazione giovanile e implementare il Patto Globale per l’Occupazione dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro. OBIETTIVO 16: Pace, Giustizia e Istituzioni Forti L’obiettivo numero 16 degli Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile è dedicato alla promozione di società pacifiche ed inclusive ai fini dello sviluppo sostenibile, e si propone inoltre di fornire l’accesso universale alla giustizia, e a costruire istituzioni responsabili ed efficaci a tutti i livelli.

Fatti e cifre •



Tra le istituzioni più affette da corruzione, vi sono, rileva l’Agenda, la magistratura e la polizia. In particolare, corruzione, concussione, furto ed evasione fiscale costano ai Paesi in via di sviluppo circa 1,26 mila miliardi di dollari l’anno; questa somma di denaro potrebbe essere usata per sollevare coloro che vivono con meno di 1,25 dollari al giorni al di sopra di tale soglia per almeno sei anni. La percentuale di bambini che lasciano la scuola primaria nei Paesi colpiti da conflitti ha raggiunto il 50% nel 2011, comprendendo 28,5 milioni di bambini; ciò dimostra l’impatto che le società instabili hanno su uno dei principali obiettivi inseriti nell’agenda del 2015: l’istruzione.

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EMERGENZE FORMATIVE E RISPOSTE PEDAGOGICHE IN AMBITO EUROPEO 117



Lo stato di diritto e lo sviluppo sono caratterizzati da una significativa interrelazione e si rafforzano a vicenda, rendendo tale compresenza necessaria per lo sviluppo sostenibile a livello nazionale ed internazionale.

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Relativamente all’obiettivo in esame, il Rapporto Eurostat utilizza 2 indicatori: 1. il primo misura i reati di omicidio intenzionale, fornendo una panoramica sul livello generale di sicurezza osservato all’interno del rispettivo paese; 2. il secondo indicatore misura il livello di fiducia della società nelle istituzioni, suddivise nelle tre principali articolazioni (sistema giuridico, politico e di polizia). Tale indicatore viene utilizzato per fornire informazioni in ordine a livelli di stabilità, funzionalità, buon governo ed efficienza del paese di riferimento. Rispetto al primo indicatore, il Rapporto Eurostat rileva che nell’UE nel 2014 sono stati registrati 4.698 reati di omicidio volontario. Il numero dei reati è in costante diminuzione di oltre il 100 reati l’anno dal 2008, eccetto che nel 2010 quando il numero è rimasto pressoché invariato rispetto all’anno precedente. Tra gli Stati membri, il più alto tasso di reati di omicidio si registra nei paesi baltici. La Lituania presenta il più alto tasso (5.4 per 100.000 abitanti), quasi il doppio rispetto a quello di Estonia e Lettonia, e 8 volte superiore a quello del paese con il tasso inferiore. Negli altri Stati membri i reati di omicidio variano dall’1.6 per 100.000 abitanti della Finlandia, allo 0.7 per 100.000 abitanti della Repubblica Ceca. In tale classifica l’Italia risulta essere il sesto paese per minor numero di omicidi, con un indice pari a 0.78 Figure 16.1: Intentional homicide offences, by country, 2014 (Per 100000 inhabitants)

0 No aggregateci data for UK; data shown separately for Engfand and Wales, Northern Ireland and Scotland, due to differences in the respective legal system;; p) 2013 data; (5) No data available; (“) 2012 data; f ) 2011 data; p) Ttiìs designation is without prejudice to positions ori status, and is in line with UNSCR1244 and the ICJ Opinion on the Kosovo Dedarationof Independence. Source: Eurostat (online data code: crim_hom_soff )

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LA FORMAZIONE PEDAGOGICA

Relativamente al secondo indicatore, dal Rapporto Eurostat emerge che in Europa è la polizia l’istituzione che riscuote il maggior successo in termini di fiducia da parte dei cittadini dell’Unione. Su una scala da 0 a 10, le forze di polizia ottengono un punteggio pari a 5,9; il punteggio intermedio spetta al sistema legale (valutato 4,6 punti su 10) e il peggiore al sistema politico, con il più basso tasso di fiducia (3,5 punti su 10). In quasi tutti i singoli Stati membri la polizia si conferma l’istituzione più amata, mentre è in genere il sistema politico a ricevere i punteggi più bassi in termini di fiducia. Malta rappresenta un’eccezione, con il peggior livello di fiducia nel sistema legale. Gli Stati membri mostrano significative differenze nei livelli di fiducia nelle istituzioni. I cittadini dei paesi del nord Europa in genere tendono ad essere altamente fiduciosi nei confronti delle proprie istituzioni. Le forze di polizia e il sistema legale raggiungono i più alti punteggi in Finlandia, Austria, Paesi Bassi e nei paesi scandinavi (sopra 6 punti su 10 in entrambi i casi). Al contrario, livelli di fiducia particolarmente bassi nel sistema giuridico si osservano nei paesi dell’Europameridionale, specie in Slovenia con 2,7 punti su 10. Quasi tutti gli Stati membri classificano il sistema politico come l’istituzione meno amata: questo fenomeno è particolarmente evidente in Europa meridionale. Il sistema politico in Portogallo riceve il punteggio più basso (1,7 punti su 10); anche in questo caso, Malta rappresenta un’eccezione, con uno dei più elevati livelli di fiducia nel sistema politico. Quanto all’Italia, i dati rilevati sono i seguenti: 5.8 punti su 10 per la polizia, 3.6 per il sistema legale e 2.1 per il sistema politico. Figure 16.2: Trust iri institutìons by type of institution, by country, 2013 (Rating 0-10)

• Trust in the polke • Trust in the legai system • Trust in the politicai system 0 Nodatafor ‘trust in the polite’, bouree: Eurostat (online data code: ilc_pw03)

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EMERGENZE FORMATIVE E RISPOSTE PEDAGOGICHE IN AMBITO EUROPEO 119

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Traguardi 16.1 Ridurre ovunque e in maniera significativa tutte le forme di violenza e il tasso di mortalità ad esse correlato. 16.2 Porre fine all’abuso, allo sfruttamento, al traffico di bambini e a tutte le forme di violenza e tortura nei loro confronti. 16.3 Promuovere lo stato di diritto a livello nazionale e internazionale e garantire un pari accesso alla giustizia per tutti. 16.4 Entro il 2030, ridurre in maniera significativa il finanziamento illecito e il traffico di armi, potenziare il recupero e la restituzione dei beni rubati e combattere tutte le forme di crimine organizzato. 16.5 Ridurre sensibilmente la corruzione e gli abusi di potere in tutte le loro forme. 16.6 Sviluppare a tutti i livelli istituzioni efficaci, responsabili e trasparenti. 16.7 Garantire un processo decisionale responsabile, aperto a tutti, partecipativo e rappresentativo a tutti i livelli. 16.8 Allargare e rafforzare la partecipazione dei paesi in via di sviluppo nelle istituzioni di governance globale. 16.9 Entro il 2030, fornire identità giuridica per tutti, inclusa la registrazione delle nascite. 16.10 Garantire un pubblico accesso all’informazione e proteggere le libertà fondamentali, in conformità con la legislazione nazionale e con gli accordi internazionali. 16.a Consolidare le istituzioni nazionali più importanti, anche attraverso la cooperazione internazionale, per sviluppare ad ogni livello, in particolare nei paesi in via di sviluppo, capacità per prevenire la violenza e per combattere il terrorismo e il crimine. 16.b Promuovere e applicare leggi non discriminatorie e politiche di sviluppo sostenibile.

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UN PONTE APERTO VERSO IL FUTURO: IL PREMIO INTERNAZIONALE ELISA FRAUENFELDER Un premio per valorizzare il merito e i giovani talenti L’Autore del volume coglie l’opportunità di questa pubblicazione per ricordare la propria Maestra di scienza e di vita, Elisa Frauenfelder, con cui ha avuto l’onore di lavorare per vent’anni e il privilegio di averla avuta come guida scientifica fino al 31 Dicembre 2017, giorno della sua scomparsa1. Lucio d’Alessandro, Rettore dell’Università Suor Orsola Benincasa, ricorda così Elisa Frauenfelder, tra i grandi Maestri della pedagogia italiana: “Un’energetica ventata di saggio sapere, di moderna femminilità, di concreta ed ottimistica progettualità racchiuse in una esemplare studiosa, una pedagogista militante capace di attivare qualunque gruppo di lavoro e di rivoluzionare in senso positivo le più delicate situazioni individuali e collettive”: napoletana, classe 1931, la prof.ssa Frauenfelder non aveva mai smesso di dedicarsi alla passione di una vita: l’insegnamento. Il 21 dicembre era ancora nel suo studio al Suor Orsola, dove era arrivata esattamente 20 anni prima, dopo gli anni da direttore del Dipartimento di Scienze Relazionali dell’Università di Napoli “Federico II”. Laurea ‘federiciana” in filosofia, ma poi una vita dedicata alla pedagogia, come testimonia il volume curato per Liguori da Paolo Orefice e Vincenzo Sarracino: Cinquant’anni di pedagogia a Napoli (1954-2005). Studi in onore di Elisa Frauenfelder. Cinquant’anni divenuti nel frattempo oltre sessanta e celebrati nel 2016 con l’onorificenza (una delle tante) di Cavaliere dell’Ordine al Merito 1 Fabrizio Manuel Sirignano, laureatosi nel 1999 con la prof.ssa Elisa Frauenfelder, ha conseguito poi il dottorato di ricerca in Pedagogia della formazione nel 2003 (tutor: prof. ssa Elisa Frauenfelder), divenendo prima ricercatore universitario, poi professore associato ed infine professore ordinario.

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LA FORMAZIONE PEDAGOGICA

della Repubblica Italiana. E anche nell’anno accademico in corso era come sempre al suo posto a guidare la cattedra di Pedagogia generale e sociale nel corso di Laurea magistrale in Scienze della Formazione primaria che lei stessa aveva fondato al suo arrivo al Suor Orsola. Le ultime lezioni il 14 e il 15 dicembre 2017. Prima ai futuri insegnanti di sostegno e poi al Master di I livello in Organizzazione e gestione delle Istituzioni scolastiche in contesti multiculturali. L’ennesimo esempio del suo insegnamento pedagogico continuamente rivolto al futuro e alle nuove esigenze didattiche a cui la scuola del terzo millennio deve far fronte. Subito dopo la scomparsa centinaia i messaggi di studenti ed autorevoli studiosi hanno inondato la pagina Facebook dell’Università Suor Orsola Benincasa e le caselle di posta elettronica dell’Ateneo napoletano. Il Preside della Facoltà di Scienze della Formazione del Suor Orsola, Enricomaria Corbi, suo allievo, evidenzia come “i suoi studi originali e raffinati abbiano innovato il campo educativo contemporaneo con la sua ricerca sul rapporto tra pedagogia e biologia”, sottolineando come “la sua eccezionale intelligenza fosse coniugata sempre ad una profonda compassione verso le umane debolezze”. Le parole di uno dei suoi più giovani allievi, Fabrizio Manuel Sirignano, oggi professore ordinario di Pedagogia generale e sociale al Suor Orsola, ne riassumono i due tratti dominanti: “l’incoraggiamento continuo alla libertà della ricerca e la straordinaria umanità che l’hanno resa maestra di vita prima ancora che grande maestra di scienza”. A poco più di un mese dalla sua scomparsa, l’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa di Napoli intendendo avviare fin da subito  iniziative che non siano meramente commemorative ma che abbiano la finalità di porre ai giovani studiosi l’altissima eredità della Professoressa come exemplum straordinario di rigore scientifico, innovazione pedagogica e passione per la ricerca, ha istituito il Premio internazionale Elisa Frauenfelder. Aderiscono al partenariato internazionale promosso dall’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa prestigiose Università estere, Centri di ricerca e Società scientifiche: Democritus University of Thrace (Grecia), Temple University, S.H.R.O., College of Science and Technology, Philadelphia (USA), Universidad de Alicante (Spagna), Universidade do Algarve (Portogallo), Universidad Catòlica “Santa Teresa de Jesùs” de Ávila (Spagna), Universidade de Évora (Portogallo), Université de Genève (Svizzera)Universidad de Malaga (Spagna), Universidad Metropolitana SUAGM – Puerto Rico (USA), Universidad Pablo de Olavide de Sevilla (Spagna), Centro Italiano per la Ricerca Storico-Educativa (CIRSE), Istituto Italiano per gli Studi Filosofici , Opera Nazionale Montessori, Società Italiana di Pedagogia (SIPED).

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UN PONTE APERTO VERSO IL FUTURO: IL PREMIO INTERNAZIONALE ELISA FRAUENFELDER 123

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Articolazione del Premio Il premio è articolato in quattro sezioni.1. La prima sezione, denominata “Scienze pedagogiche” è riservata agli Autori di un lavoro editoriale sui temi della pedagogia, della storia della pedagogia e delle istituzioni educative e della didattica. 2. La seconda sezione, denominata “Cultura e innovazione” è riservata agli Autori di un lavoro editoriale sui temi dell’innovazione e della trasformazione culturale 3. La terza sezione, denominata “Maestri d’Italia”, è riservata agli insegnanti, di ruolo e fuori ruolo, delle scuole primarie e d’infanzia che si sono particolarmente distinti nel corso della loro carriera e per l’impegno profuso per la Scuola, le giovani generazioni ed il Paese. 4. La quarta sezione, denominata “Donne nelle Istituzioni, nella cultura, nella ricerca e nell’arte” è riservata alle donne che hanno dato, nel loro campo, un contributo significativo al Paese.

Profilo scientifico di Elisa Frauenfelder Elisa Frauenfelder, laureatasi in Filosofia presso l’Università degli Studi di Napoli “Federico II”, inizia a collaborare prima come assistente volontario e poi come assistente ordinario con la prof.ssa Cecilia Motzo Dentice di Accadia – gentiliana di formazione e punto di riferimento per la filosofia dell’educazione italiana degli anni Cinquanta –, la quale la avvia allo studio della storia del pensiero pedagogico. Questo interesse di natura storicofilosofica, che si lega anche alla questione dell’educazione al femminile, caratterizza i primi due decenni del lungo percorso di ricerca della Frauenfelder, che dà alle stampe alcuni studi pregiatissimi sull’opera di Albertina Necker de Sassure, di Leon Battista Alberti e dei fratelli Socino. Scritto minore, quest’ultimo, a cui, tuttavia, la Frauenfelder era così particolarmente legata al punto da citarlo, in ogni conversazione che aveva con i numerosi giovani ricercatori che le facevano visita da tutto il Paese, quale esempio di attività di ricerca derivante dallo studio meticoloso e intransigente delle fonti di archivio. È in questo senso che è possibile affermare che la Fraunfelder – divenuta poi Libero Docente di Storia della pedagogia, Professore Ordinario di Pedagogia generale e sociale, Direttore del Dipartimento di Scienze Relazionali dell’Ateneo federiciano – non ha mai abbandonato la ricerca storico-teorica anche quando i suoi interessi pedagogici si sono diretti in una direzione ben diversa. Infatti, lo studio della storia del pensiero pedagogico, quale tassello del più grande quadro della storia della cultura di un’epoca o di un popolo, è

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LA FORMAZIONE PEDAGOGICA

da considerarsi imprescindibile per ogni sua riflessione sui processi formativi, sulle pratiche educative e sui metodi istruttivi. Ricordava, infatti, alle tre generazioni di pedagogisti napoletani che aveva formato con impegno quotidiano che era stato un tale studio a non consentirle mai di cadere nei tranelli del riduzionismo scientista e nelle cangianti mode intellettuali. Una testimonianza forte di un tale ancoraggio può essere ottenuta dalla lettura delle opere che Elisa Frauenfelder dedica, tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta, ai processi di apprendimento e di insegnamento, facendo sua una metodologia di indagine di tipo interdisciplinare, quasi del tutto assente a quell’epoca nella pedagogia italiana, a cui si era formata, immediatamente dopo la laurea, presso la Scuola Estiva di Psicopedagogia per studenti stranieri diretta da Jean Piaget all’Università di Ginevra. Si interessa, dunque, con originalità, rigore scientifico e instancabile acribia alla decifrazione della relazione ineludibile tra i fattori genetici e i fattori ambientali che presiedono lo sviluppo del pensiero e dell’agire umano. Sono quelli, infatti, gli anni in cui fonda in Italia l’ambito di ricerca delle scienze bio-educative interconnettendo, prima, pedagogia e biologia e poi, nell’ultimo decennio del secolo scorso, pedagogia, scienze cognitive e neuroscienze. Lo studio dei processi di apprendimento ha come conseguenza diretta la necessità di introdurre profonde innovazioni pedagogico-didattiche nei percorsi di formazione di base e nei percorsi di formazione universitaria. Ed è in tal senso che già a partire dagli anni Settanta la Frauenfelder trasforma la sua cattedra di Pedagogia in un luogo di sperimentazione viva fondato, da un lato, sulla collaborazione tra i suoi assistenti e gli studenti dei suoi affollatissimi corsi e, da un altro lato, sulla sinergia reticolare tra la ricerca scientifica di stampo accademico e le realtà educative del territorio, scolastiche ed extra-scolastiche. In particolare, la formazione dei docenti di ogni ordine e grado alle questioni del sostegno dei processi di apprendimento, in specie degli alunni con bisogni educativi speciali, e della gestione della relazione educativa è stata, infatti, la finalità che ha illuminato tutto il lavoro ‘maturo’ della Frauenfelder, soprattutto il lavoro svolto da Professore Straordinario presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa di Napoli. Incalcolabile, infatti, è il numero di maestri della scuola dell’infanzia e della scuola primaria così come il numero di professori della scuola secondaria di I e II grado che hanno avuto la fortuna di incontrarla, di seguire le sue lezioni e di poter lavorare sotto la sua instancabile guida a percorsi di trasformazione delle strategie di insegnamento.

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UN PONTE APERTO VERSO IL FUTURO: IL PREMIO INTERNAZIONALE ELISA FRAUENFELDER 125

L’organigramma del Premio e il Comitato scientifico Presidente del Comitato scientifico internazionale: Lucio d’Alessandro, Rettore dell’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa Direzione scientifica: Enricomaria Corbi, Ordinario di Pedagogia generale e sociale Margherita Musello, Ordinario di Didattica generale e pedagogia speciale Fabrizio Manuel Sirignano, Ordinario di Pedagogia generale e sociale

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Coordinamento scientifico: Fabrizio Manuel Sirignano, Ordinario di Pedagogia generale e sociale Segreteria scientifica: Pascal Perillo, Ricercatore di Pedagogia generale e sociale Comitato scientifico internazionale: Massimo Baldacci, Professore ordinario di Pedagogia generale e sociale, Università degli Studi di Urbino Carlo Bo Carlos Padín Bibiloni, Rettore dell’Universidad Metropolitana UMET de Puerto Rico (USA) Gaetano Bonetta, Professore ordinario di Pedagogia generale e sociale, Università degli Studi di Catania Franco Cambi, Professore ordinario f.r. di Pedagogia generale e sociale, Università degli Studi di Firenze Marília Castro Cid, Direttore del Centro di Ricerca Educazione e Psicologia de la Universidade de Évora (Portogallo) Mariagrazia Contini, Professore ordinario f.r. di Pedagogia generale e sociale, Università degli Studi di Bologna Enricomaria Corbi, Professore ordinario di Pedagogia generale e sociale, Università degli Studi Suor Orsola Benincasa Sofia Corradi, Professore ordinario f.r. di Pedagogia generale e sociale, Università degli Studi Roma Tre Michele Corsi, Professore ordinario di Pedagogia generale e sociale, Università degli Studi di Macerata Antonia Criscenti, Professore ordinario di Storia della pedagogia, Università degli Studi di Catania Antonia Cunti, Professore ordinario di Pedagogia generale e sociale, Università degli Studi di Napoli Parthenope

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LA FORMAZIONE PEDAGOGICA

Vasco d’Agnese, Professore associato di Pedagogia generale e sociale, Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli Patrizia de Mennato, Professore ordinario di Pedagogia generale e sociale, Università degli Studi di Firenze Francesco De Sanctis, Professore emerito di Filosofia del diritto, Università degli Studi Suor Orsola Benincasa ed Accademico dei Lincei Ornella De Sanctis, Professore ordinario f.r. di Pedagogia generale e sociale, Università degli Studi Suor Orsola Benincasa Arturo De Vivo, Professore ordinario di Letteratura latina e Pro-Rettore dell’Università degli Studi di Napoli Federico II Maria Dimasi, Direttore del Dipartimento di Lingua, filologia e cultura dei Paesi del Mar Nero, Democritus University of Thrace Loretta Fabbri, Professore ordinario di Didattica generale e pedagogia speciale, Università degli Studi di Siena Ana Costa Freitas, Rettore de la Universidade de Évora (Portogallo) Rita Fadda, Professore ordinario di Pedagogia generale e sociale, Università degli Studi di Cagliari Paolo Federighi, Professore ordinario di Pedagogia generale e sociale, Università degli Studi di Firenze Yves Flückiger, Rettore dell’Università di Ginevra (Svizzera) Franco Frabboni, Professore emerito di Pedagogia generale e sociale, Università degli Studi di Bologna Antonio Gargano, Comitato scientifico Istituto Italiano per gli Studi Filosofici Mario Gennari, Professore ordinario di Pedagogia generale e sociale, Università degli Studi di Genova Antonio Genovese, Professore ordinario f.r. di Pedagogia generale e sociale, Università degli Studi di Bologna Carla Francesca Ghizzoni, Professore ordinario di Storia della pedagogia, Università Cattolica del Sacro Cuore e Vice Presidente del Centro Italiano per la Ricerca Storico-Educativa José Gómez Galán, Direttore di CICIDE, Università Metropolitana-SUAGM de Puerto Rico (USA) e Università Cattolica de Avila (Spagna) Antonio Giordano, Professore ordinario di Anatomia patologica e Direttore dello Sbarro Institute for Cancer Research and Molecolar Medicine and Center for Biotechnology College of Science and Technology, Temple University, Philadelphia (USA) Vicente Guzmàn, Rettore dell’Universidad Pablo de Olavide de Sevilla (Spagna) Rita Hofstetter, Professore ordinario di Storia sociale dell’educazione, Università di Ginevra (Svizzera)

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UN PONTE APERTO VERSO IL FUTURO: IL PREMIO INTERNAZIONALE ELISA FRAUENFELDER 127

Maria Luisa Iavarone, Professore straordinario di Pedagogia generale e sociale, Università degli Studi di Napoli Parthenope Mª del Rosario Sáez Yuguero, Rettore dell’Università Cattolica di Avila (Spagna) Cosimo Laneve, Professore ordinario f.r. di Didattica generale e pedagogia speciale, Università degli Studi di Bari Juan José Leiva Olivencia, Direttore del Gruppo internazionale di ricerca de Interculturalidad, Comunidad y Escuela dell’Universidad de Malaga (Spagna) Isabella Loiodice, Professore ordinario di Pedagogia generale e sociale, Università degli Studi di Foggia e Vice Presidente Vicario della Società Italiana di Pedagogia Nellie Pagán Maldonado, Professore della Facoltà di Educazione dell’Università Metropolitana-SUAGM (Porto Rico-USA) Massimiliano Marotta, Presidente dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici Vicent Martines, Professore ordinario di Filologia catalana e Direttore dell’Instituto Superior de Investigación Cooperativa IVITRA dell’Universitat d’Alacant (Spagna) Juan Francisco Mesa Sanz, Professore ordinario di Filologia classica e Preside della Facultat de Filosofia y Lletres dell’Universitat d’Alacant (Spagna) Margherita Musello, Professore ordinario di Didattica generale e pedagogia speciale, Università degli Studi Suor Orsola Benincasa José Ángel Narváez, Rettore dell’Universidad de Malaga (Spagna) Saul Neves de Jesus, Pro-rettore dell’Universidade do Algarve (Portogallo) Adriana Nogueira, Direttore della Biblioteca dell’Universidade do Algarve (Portogallo) Paolo Orefice, Professore emerito di Pedagogia generale e sociale, Università degli Studi di Firenze Luigi Pati, Professore ordinario di Pedagogia generale e sociale, Università Cattolica del Sacro Cuore Tiziana Pironi, Professore ordinario di Storia della pedagogia, Università degli Studi di Bologna e Presidente del Centro Italiano per la Ricerca Storico-Educativa Franca Pinto, Professore emerito di Pedagogia generale e sociale, Università degli Studi di Foggia Simonetta Polenghi, Professore ordinario di Storia della pedagogia, Università Cattolica del Sacro Cuore e Presidente della Società Italiana di Pedagogia Francesca Pulvirenti, Professore ordinario f.r. di Pedagogia generale e sociale, Università degli Studi di Catania Bruno Rossi, Professore ordinario f.r. di Pedagogia generale e sociale, Università degli Studi di Siena Mariano Reyes Tejedor, Direttore Generale della Formación y Innovación Docente dell’Universidad Pablo de Olavide de Sevilla (Spagna)

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LA FORMAZIONE PEDAGOGICA

Omar Ponce Rivera, Professore della Facoltà di Educazione dell’Università Metropolitana-SUAGM (Porto Rico-USA) Diego Vergara Rodriguez, Professore della Facoltà di Scienze e Arti, Università Cattolica di Avila (Spagna) Flavia Santoianni, Professore ordinario di Pedagogia sperimentale, Università degli Studi di Napoli Federico II Javier Velázquez Saornil, Professore della Facoltà di Scienze e Arti, Università Cattolica di Avila (Spagna) Vincenzo Sarracino, Professore straordinario t.d. di Pedagogia generale e sociale, Università degli Studi Suor Orsola Benincasa Benedetto Scoppola, Professore ordinario di Fisica matematica, Università degli Studi di Roma Tor Vergata e Presidente dell’Opera Nazionale Montessori Maurizio Sibilio, Professore ordinario di Didattica generale e pedagogia speciale, Università degli Studi di Salerno Carolina Silva Sousa, Professora Coordenadora da Área Científica de Ciências da Educação da Escola Superior de Educação da Universidade do Algarve (Portogallo) Fabrizio Manuel Sirignano, Professore ordinario di Pedagogia generale e sociale, Università degli Studi Suor Orsola Benincasa Giuseppe Spadafora, Professore ordinario di Pedagogia generale e sociale, Università degli Studi della Calabria Maura Striano, Professore ordinario di Pedagogia generale e sociale, Università degli Studi di Napoli Federico II Maria Rosaria Strollo, Professore ordinario di Pedagogia generale e sociale, Università degli Studi di Napoli Federico II Paola Trabalzini, Componente Direttivo Opera Nazionale Montessori Simonetta Ulivieri, Professore ordinario di Pedagogia generale e sociale, Università degli Studi di Firenze Rosabel Roig Vila, Direttore dell’Instituto de Ciencias de la Educación dell’Universitat d’Alacant (Spagna) Massimo Zeuli, Dirigente medico, Istituto Nazionale Tumori Regina Elena, Roma Sergio Zeuli, Magistrato amministrativo presso il Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa, Roma

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BIBLIOGRAFIA RAGIONATA

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La presente bibliografia va oltre gli Autori indicati nel volume e vuole rappresentare un ausilio per quei lettori e studiosi che volessero approfondire le varie tematiche. 1.

L’itinerario storico-teorico della pedagogia ed il percorso compiuto per la strutturazione di un autonomo statuto epistemologico.

Nell’ambito di questa sezione bibliografica vengono indicati i punti di riferimento che possono consentire una lettura critica del lungo percorso compiuto dalla pedagogia verso l’elaborazione di uno statuto epistemologico autonomo; la pedagogia viene, quindi, rapportata ai contesti storico-politici, agli orizzonti filosofici e ai modelli educativi affermatisi nel corso della storia. AA.VV., Studi di epistemologia pedagogica, Unicopli, Milano 1984. ABBAGNANO N., Storia della filosofia, Utet, Milano 1996. AMSTERDAMSKI S., Tra la storia e il metodo. Discussione sulla razionalità della scienza, tr. it., Edizioni Theoria, Roma-Napoli 1986. BALDACCI M., Trattato di pedagogia generale, Carocci, Roma 2012 BANFI A., La problematicità dell’educazione e il pensiero pedagogico, La Nuova Italia, Firenze 1961. BECCHI E. [a cura di], Storia dell’educazione, La Nuova Italia, Firenze 1987. BELLATALLA L., John Dewey e la cultura italiana del Novecento, Edizioni ETS, Pisa 1999 BENCIVENGA E., La filosofia come strumento di liberazione, Raffaello Cortina, Milano 2010. BERTIN G. M., Pedagogia italiana del Novecento. Autori e prospettive, Mursia, Milano 1989. BERTOLINI P., La responsabilità educativa, Il Segnalibro, Torino 1996. BERTOLINI P., Educazione e politica, Raffaello Cortina, Milano 2003 BLATTNER F., Storia della pedagogia, Armando, Roma 1968. BOYD W., Storia dell’educazione occidentale, Armando, Roma 1968. BORGHI L., Educare alla libertà, La Nuova Italia, Firenze 1992.

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BIBLIOGRAFIA RAGIONATA

BREZINKA W., Metateoria dell’educazione, Armando, Roma 1980. BREZINKA W., Educazione in una società disorientata. Contribuiti alla pratica pedagogica, Armando, Roma 1991. BROCCOLI A., Ideologia ed educazione, La Nuova Italia, Firenze 1974. BROCCOLI A., Marxismo ed educazione, La Nuova Italia, Firenze 1978. BRUNER J., La ricerca del significato, Bollati Boringhieri, Torino 1992. BRUNER J., La cultura dell’educazione, Feltrinelli, Milano 1997. CAMBI F., Il congegno del discorso pedagogico, Clueb, Bologna 1986. CAMBI F., Storia della pedagogia, Laterza, Roma-Bari 1995. CAMBI F. Manuale di filosofia dell’educazione, Laterza, Roma-Bari 2000. CAMBI F., FRAUENFELDER E. [a cura di], La formazione. Studi di pedagogia critica, Unicopli, Milano 1994. CARTESIO R., Discorso sul metodo, a cura di A. Carlini, Laterza, Bari 1963. CESARINI R., DE FEDERICIS L., Il materiale e l’immaginario, vol. 5, Loesher, Torino 1984. CIVES G., L’educazione in Italia. Figure e problemi, Liguori, Napoli 1984. COLICCHI LAPRESA E., Linee per una teoria dell’educazione, Herder Editore, Roma 1984. COLOMBO G., Democrazia, Bollati Boringhieri, Torino 2011 CORBI E., SARRACINO V., Scuola e politiche educative in Italia dall’Unità a oggi, Liguori, Napoli, 2003. DE BARTOLOMEIS F., La pedagogia come scienza, Feltrinelli, Milano 1969. DEWEY J., Le fonti di una scienza dell’educazione, tr. it., La Nuova Italia, Firenze 1951. DEWEY J., Democrazia ed educazione, tr. it., La Nuova Italia, Firenze 1984. DEWEY J., Scuola e società, tr. it., La Nuova Italia, Firenze 1998. FLORES D’ARCAIS G. [a cura di], La dimensione storica. Materiali per la formazione del pedagogista, Unicopli, Milano 1992. FORNACA R., Pedagogia italiana del Novecento, Armando, Roma 1978. FORNACA R., La pedagogia italiana contemporanea, Vallecchi, Firenze 1986. FORNACA R., Storia della pedagogia, La Nuova Italia, Firenze 1991. FORNACA R., Introduzione alla pedagogia. Genesi, componenti, ruoli, Carocci, Roma 2001. FORNACA R., DI POL R. S., Dalla certezza alla complessità. La pedagogia scientifica del’ 900, Principato, Milano 1993. FRABBONI F., PINTO MINERVA F., Manuale di pedagogia generale, Laterza, RomaBari 2002. FRAUENFELDER E., Pedagogia e biologia. Una possibile alleanza, Liguori, Napoli 1994. FRAUENFELDER E., SANTOIANNI F. [a cura di], Le scienze bioeducative, Liguori, Napoli 2002.

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BIBLIOGRAFIA RAGIONATA 131

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BIBLIOGRAFIA RAGIONATA 133

2.

Il rapporto pedagogia – scienze umane e l’emergere della formazione come categoria reggente del discorso pedagogico.

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Il percorso bibliografico consente di riflettere sui rapporti della pedagogia con le altre discipline e sull’emergere della formazione quale fondamento della pedagogia stessa; con tutta la sua pregnanza affiora il problema di stabilire le coordinate di senso della formazione nel mondo odierno per dare risposte in termini di lifelong learning ed educazione degli adulti, vere e proprie emergenze della società complessa. ALBERICI A., Imparare sempre nella società della conoscenza, Bruno Mondadori, Torino 2002. ALBERICI A., L’educazione degli adulti, Carocci, Roma 2002. ALHEIT P. et al., The biographical Approach in European Adult Education, Verband Wiener Volkshochschulen, Wien 1995. BALDINI E., Nuovi alfabeti, linguaggi e percorsi per ripensare la formazione, Franco Angeli, Milano 1996. BERGER P., LUCKMANN T., La construccion social dela realidad, Amorrortu, Buenos Aires 1968. BOCCA G., Pedagogia della formazione, Guerini Studio, Milano 2000. BRUSCAGLINI M., La gestione dei processi nella formazione degli adulti, Franco Angeli, Milano 2002. BUTERA F., DONATI E., CESARIA R., I lavoratori della conoscenza, Franco Angeli, Milano 2000. CALAPRICE S., Alla ricerca d’identità. Per una pedagogia del disagio, La Scuola, Brescia 2004. CAVANAUGH J. C., Adult Development and Aging, Wadsworth, Belmont 1990. CONSIGLIO DELL’UNIONE EUROPA, Raccomandazione del Consiglio relativa alle competenze chiave per l’apprendimento permanente, Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea, 2018/C 189/01. CORBI E., La formazione a distanza di terza generazione. Nuove frontiere per l’educazione degli adulti, Liguori, Napoli 2002. CORBI E., REYES TEJEDOR M., MUSELLO M., SIRIGNANO F.M., MAC FADDEN I. [EdS], Nuevos escenarios y perspectivas pedagógicas en el Mediterráneo. Innovación, nuevas tecnologías y emergencias educativas, Afoe, Sevilla 2016. DELORS J., L’educations ou l’utopie nècessarie, in L’education, un trèsor est cachè dedans, Rapport a l’Unesco dè la Commission sur l’education, pour le XXI siècle, Paris, Edition Olide Jacob, Unesco 1996. DELPIERRE G., La peur et l’etre, Privat, Toulouse 1974. DOZZA L., Vivere e crescere nella comunicazione, in «Pedagogia più didattica. Teorie e pratiche educative», n. 3. 2012.

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BIBLIOGRAFIA RAGIONATA

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BIBLIOGRAFIA RAGIONATA 135

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3.

Complessità, emergenze educative e nuovi modelli formativi: teorie, modelli ed esperienze di ricerca

Il percorso bibliografico è strutturato per riflettere sui temi legati al modello della complessità, che oggi si afferma come paradigma epistemico generale di tutti i saperi, presentando i nuovi modelli e le emergenze del nostro tempo, tra cui l’educazione

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BIBLIOGRAFIA RAGIONATA

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alla politica. Vengono inoltre offerti spunti di riflessione sull’emergere del tema della differenza e sulle risposte che la pedagogia è chiamata a dare. ALHEIT P., BERGAMINI S., Storie di vita. Metodologia di ricerca per le scienze sociali, Guerini Studio, Milano 1996. ANDERSON B. S., ZINSSER J. P., Le donne in Europa, tr. it., 4 voll., Laterza, Roma-Bari 1992-93. ANTONELLI G., Volgare eloquenza. Come le parole hanno paralizzato la politica, Laterza, Roma-Bari 2017. BAJANI A., La scuola non serve a niente, Laterza, Roma-Bari 2014. BAUMAN Z., Stranieri alle porte, tr. it., Laterza, Roma-Bari 2016. BECK U., I rischi della libertà, tr. it., Il Mulino, Bologna 1994. BENASAYAG M., Oltre le passioni tristi, tr. it., Feltrinelli, Milano 2015. BESEGHI E., TELMON V. [a cura di], Educazione al femminile: dalla parità alla differenza, La Nuova Italia, Firenze 1992. BEVILACQUA P., Il grande saccheggio. L’età del capitalismo distruttivo, Laterza, RomaBari 2011. BOCCHI G., CERUTI M. [a cura di], La sfida della complessità, Feltrinelli, Milano 1985. BORGHI L. [a cura di], Educazione ed emarginazione, La Nuova Italia, Firenze 1977. CALLARI GALLI M., CERUTI M., PREVANI T., Pensare la diversità. Per un’educazione alla complessità umana, Meltemi, Roma 1998. CALLARI GALLI M., CAMBI F., CERUTI M., Formare alla complessità. Prospettive dell’educazione, Carocci, Roma 2003. CAMBI F., La sfida della differenza, Clueb, Bologna 1986. CAMBI F., Mente e affetti nell’educazione contemporanea, Armando, Roma 1996. CAMBI F., Intercultura: fondamenti pedagogici, Carocci, Roma 2001. CAMBI F.,ULIVIERI S. [a cura di], I silenzi dell’educazione, La Nuova Italia, Firenze 1994. CAMBI F., CIVES G., FORNACA R., Complessità, pedagogia critica, educazione democratica, La Nuova Italia, Firenze 1995. CANEVARO A., Il ragazzo selvaggio. Handicap, identità, educazione, EDB, Bologna 2017. CANEVARO A.,GOUSSOT A., La difficile storia degli handicappati, Carocci, Roma 2000. CANEVARO A., GAUDREAU J., L’ educazione degli handicappati. Dai primi tentativi alla pedagogia moderna, Carocci, Roma 2002. CERUTI M., Identità, complessità, cittadinanze. Idee per una nuova ecologia della cittadinanza europea, in , n.1, 1999. CHAMOISEAU P., Fratelli migranti. Contro la barbarie, tr. it., Add Editore, Torino 2018.

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Strumenti per la formazione dei formatori Collana diretta da Vincenzo Sarracino e Fabrizio Manuel Sirignano

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M. R. Strollo, Formazione e contesto. Itinerari teorici e percorsi antologici Orizzonti multimediali della formazione, a cura di O. De Sanctis V. D’Agnese, Trame della formazione. Itinerari antologici F. M. Sirignano, La pedagogia della formazione. Teoria e storia M. Striano, La “razionalità riflessiva” nell’agire educativo L’orientamento. Questioni pedagogiche, a cura di E. Frauenfelder e V. Sarracino E. Corbi, La formazione a distanza di terza generazione. Nuove frontiere per l’educazione degli adulti A. Cosentino, Costruttivismo e formazione. Proposte per lo sviluppo della professionalità docente M. R. Strollo, L’istruzione a Napoli nel “decennio francese”: il contributo di Matteo Angelo Galdi M. D’Ambrosio, Attori, scene, autobiografie. Per un approccio “narrativo” ai media e alla formazione Lineamenti di pedagogia sociale, a cura di V. Sarracino e M. R. Fiengo A. Anceschi, La formazione degli insegnanti di musica. Il tirocinio tra prassi didattica e riflessione teorica M. R. Fiengo, Ambientare la formazione. Un “design” pedagogico per l’autonomia, introduzione di E. Frauenfelder F. Batini, M. D’Ambrosio, Riscrivere la dispersione. Scrittura e orientamento narrativo per la prevenzione A. Cioffi, Educare ai beni culturali L’orientamento nei processi formativi (a cura di), O. De Sanctis, M. D’Ambrosio Etica pubblica e scuola. Riflessioni pedagogiche, a cura di E. Corbi e F. M. Sirignano P. Perillo, Pensarsi educatori C. Orefice, Metafore del corpo. Teoria e pratiche di formazione nelle Scienze del movimento e dello sport C. Benelli, Coltivare percorsi formativi. La sfida dell’emancipazione in carcere F. M. Sirignano, La formazione pedagogica. Modelli e percorsi

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ISSN 1972-0750

L A F O R M A Z I O N E D E I F O R M AT O R I

I

l volume ricostruisce criticamente il complesso percorso storico-teorico compiuto dalla pedagogia per l´acquisizione di un autonomo statuto epistemologico a carattere scientifico, in cui la formazione emerge come categoria reggente, in grado di fornire agli individui gli strumenti per raccogliere le sfide dalla società complessa e multiculturale. L´Autore focalizza la riflessione, inoltre, sui modelli formativi della contemporaneità, sulla crisi della democrazia e sulle nuove emergenze educative del nostro tempo.

Fabrizio Manuel Sirignano, Professore Ordinario di Pedagogia generale e sociale presso l’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa, è Delegato del Rettore per il Lifelong Learning e Presidente del Corso di laurea in Scienze della formazione primaria. È Direttore scientifico del Centro internazionale di ricerca Francesco Saverio Nitti per il Mediterraneo e del Clinical Education and Narrative Medicine Research Group presso la Temple University di Philadelphia. Insegna nella Democritus University of Thrace, è stato Visiting Professor nelle Università di Alicante e Sevilla ed è Coordinatore scientifico del Premio internazionale Elisa Frauenfelder. Tra le sue pubblicazioni: Pedagogia della decrescita. L’educazione sfida la globalizzazione (Milano 2012), Aprendizaje, ciudadanía y participación. Perspectivas desde el sur de Europa, a cura di, in coll. (Sevilla 2013); Escenarios y perspectivas pedagógicas en el Mediterráneo. Innovación, nuevas tecnologías y emergencias educativas, a cura di, in coll. (Sevilla 2016); Il Grande Esule di Acquafredda. Francesco Saverio Nitti tra pedagogia, politica e impegno civile (Milano 2017); Innovaciones e investigaciones universitarias hispano-italianas, a cura di, in coll. (Sevilla 2018). In copertina: Università degli Studi Suor Orsola Benincasa, Napoli, Giardino del Claustro.

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