Il cristianesimo e la formazione della civiltà occidentale 8817111392, 9788817111393

Dawson individua nella presenza della Chiesa, nella sua componente culturale ma soprattutto in quanto presenza di luoghi

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Il cristianesimo e la formazione della civiltà occidentale
 8817111392, 9788817111393

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BIBLIOTECA UNIVERSALE RIZZOLI

collana diretta da don Luigi Giussani Dio si è fatto uomo. L ’imprevedibile è diventato un avvenimento reale: Dio si è fatto compagno agli uomini, così che la vita possa non essere vana. Nell’incontro con questo fatto storico la ragione, la volontà e l’affettività umane sono provocate a realizzarsi, a compiersi secondo tutta l’ampiezza del loro desiderio di giustizia, di bontà e di felicità. Lo spirito cristiano è l’umanità di persone stupite e commosse da questo avvenimento. Questi testi ne sono una documentazione particolare, specie dove le parole scavano nei fatti è nei cuori con tutta l’energia della grande arte. Si tratta di romanzi, saggi e testi di poesia non facilmente reperibili e che hanno comunque lasciato segno in chi li ha accostati. Perché in essi si mostra, con varia genialità e secondo diverse prospettive storiche e psicologiche, uno spirito cristiano impegnato a scoprire e a verificare la ragionevolezza della fede dentro le circostanze della vita. Uriumanità, cioè, che realizza la sua passione per l’esistenza e la sua adesione al dramma della vita con un realismo e una profondità altrimenti impossibili.

Christopher Dawson

Il cristianesimo e la formazione della civiltà occidentale introduzione d i SERENELLA CARMO FELICIANI

Biblioteca Universale Rizzoli

INTRODUZIONE

Proprietà letteraria riservata © 1997 R.C.S. Libri & Grandi Opere S.p.A., Milano © 1997 RCS Libri S.p.A., Milano Edizione su licenza temporanea delle Edizioni S. Paolo s.rl, Cinisello B. (MI) ISBN 88-17-11139-2 Titolo originale dell’opera: RELIGION AND THE RISE OF WESTERN CULTURE

prima edizione: maggio 1995 quarta edizione: agosto 2002

Nato nel 1889 in Inghilterra, Christopher Dawson de­ dicò tutta la vita allo studio e aU’insegnamento univer­ sitario, dapprima in patria e poi negli Stati Uniti. Ritor­ nato nel paese d’origine, vi morì nel 1970. Convertitosi alla religione cattolica nel 1914, Dawson appartiene ad un gruppo di eccezionali personalità cul­ turali che lasciarono la Chiesa anglicana, testimoniando l’insoddisfazione per una religione accomodante e in­ nocua, per ritrovare nell’appartenenza alla Chiesa cat­ tolica la vitalità della tradizione cristiana. L’esigenza che a metà del secolo scorso aveva spinto un importante teologo anglicano, H. Newman (1801-1890), a compie­ re questo passo, suscitando grande scalpore, muoveva nel Novecento altri intellettuali verso la Chiesa romana. Li affascinava la pretesa di una fede capace di affronta­ re la realtà concreta in tutti i suoi aspetti, ponendosi co­ me risposta al bisogno più umano, quello dell’intelli­ genza. È in questi anni che lo scrittore G.K. Chesterton (1874-1936) brillantemente simboleggiava la capacità di comprensione che nasce dalla fede nella semplice sa­ gacia di padre Brown, il goffo pretino di campagna ca­ pace di risolvere i più strani enigmi della cronaca nera. Anche lo storico indaga per risolvere enigmi, inter­ rogando una realtà resa sfuggente dalla lontananza: e questa fu l’impresa della vita del professor Dawson. Leggere una sua opera ci fa incontrare, attraverso l’a­ cutezza della domanda e il rispetto dei fatti, la testimo­ nianza dell’intensità della sua esperienza di vita.

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La più penosa carenza che il sistema educativo attuale produce, la mancanza di una capacità critica che con­ senta di rendersi ragione delle cose e di giudicarle, si manifesta in modo particolare di fronte ai fatti della sto­ ria. Ed è la storia a subire, d’altra parte, la più pesante influenza della ideologizzazione. Christopher Dawson spiegava questa ipoteca ideolo­ gica riferendosi agli stati totalitari che, avendo ben com­ preso come la storia «influisca direttamente sul destino della società», hanno sempre tentato di «creare miti sto­ rici come base psicologica dell’unità sociale» (p. 17). L’i­ deologia è infatti «uno strumento col quale la forza poli­ tica cosciente tende a modellare la tradizione sociale in vista dei propri fini». Scrivendo queste riflessioni nel 1950, nel pieno dello scontro ideologico della guerra fredda, egli prevedeva però che per il futuro l’ideologia potesse essere «imposta alla collettività non tanto da una deliberata propaganda, quanto per mezzo di una ma­ nomissione burocratica dell’educazione, dell’informa­ zione e della pubblicità» (p. 18). Tale è probabilmente la nostra situazione, e l’accani­ mento ideologico contro il Medioevo ne è un esempio tipico. Malgrado fioriscano gli studi specialistici sul Me­ dioevo, permane il pregiudizio ostile ad esso nei luoghi comuni alimentati da film e romanzi, mentre nei nuovi programmi scolastici italiani lo studio della storia me­ dioevale è ridotto ai minimi termini. Si giungerà forse a una sorta di eutanasia del «pro­ blema Medioevo», dal momento che non si può formu­ lare un serio giudizio critico su argomenti di cui non si possieda adeguata informazione. La lettura di questo saggio del 1950, forse l’opera più lucida e brillante di Dawson, ci aiuta a comprendere l’importanza formativa e culturale dello studio di que­ sta epoca. 6

Egli stesso ci fornisce le motivazioni del suo interesse per il Medioevo. Assistendo alla tragedia delle due guerre mondiali, la generazione cui lo storico inglese apparteneva aveva ben compreso come la barbarie fos­ se «una spaventosa realtà latente» sotto l’apparenza del­ la civiltà: e la domanda che urgeva era capire su quali basi quella che allora si definiva «civiltà occidentale» po­ tesse rigenerarsi, quali forze potessero essere contrap­ poste alla «mancanza di speranza nella vita» per rico­ struire la società (p. 32). Per questo interessavano a Dawson quegli uomini che, nel crollo dell’Impero romano e nell’irrompere dei barbari, con paziente costruzione fecero nascere l’Europa. Pur in condizioni diverse, la domanda che Dawson si poneva è vitale anche per noi. Studiare la storia me­ dioevale vuol dire trovarsi davanti la vicenda, comples­ sa e contraddittoria come tutte le imprese umane, della formazione di quella civiltà che comunque costituisce la base della nostra stessa identità culturale. E il fattore su cui tale costruzione è incentrata è il Cristianesimo. Non c’è nessuna idealizzazione nel Medioevo rievocato da Dawson, nessuna nostalgia per le istituzioni medioe­ vali. Ciò che spesso ha affascinato, o fornito al contrario motivo di condanna, del Medioevo è infatti la falsa vi­ sione di un mondo immobile e obbediente, ancorato a modelli immutabili. La visione originale che Dawson ci offre è, invece, quella di un mondo caratterizzato da uno straordinario dinamismo: la capacità continua di generare forme nuove vi nasce dalla dialettica di due fattori storici fondamentali. Il primo di essi è la religio­ ne cristiana, una religione totalmente originale nello scenario della storia perché non tende a identificarsi con un «ordine sacro... che doveva essere conservato in­

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tatto e completo» (p. 27): «il suo ideale religioso è quel­ lo di adorare non una perfezione senza età e senza mu­ tamento, ma un valore spirituale che tende a incorpo­ rarsi nell’umanità per trasformare il mondo» (pp. 2021). Il secondo fattore sono le circostanze: la società barbarica nella sua vitalità e brutalità, il mondo feuda­ le, che tende a servirsi della Chiesa condizionandola, lo «spirito cortese» neopaganeggiante, la crisi economicosociale o, al contrario, la favorevole congiuntura che si verifica dopo il Mille. Il Cristianesimo sviluppa un’energia capace di cam­ biare il corso della storia (p. 156). Valorizzando quanto di positivo si ritrova nelle circostanze, esso trasforma le consuetudini alla luce di una visione completamente nuova, creando forme adeguate ai tempi, destinate a essere superate in circostanze mutate. Il dinamismo della civiltà occidentale è quindi defini­ to come una successione di «liberi movimenti»; dove la libertà nasce da un ideale che non si identifica in alcun ordine o organizzazione centralizzata, o in un potere politico (una peculiarità della civiltà occidentale è la netta distinzione tra autorità religiosa e autorità politi­ ca). Così i monasteri, i comuni, le università, gli ordini mendicanti nascono dall’esigenza di incarnare l’ideale cristiano nel mondo, liberandolo da forme che potreb­ bero condizionarlo. Ciò avviene attraverso «movimen­ ti» che sorgono da figure umane ben precise, quando l’iniziativa individuale si incarna in istituzioni organiz­ zate, capaci a loro volta di propagarsi «in forza di un processo spontaneo di libera trasmissione» (p. 25). Il dualismo tra l’«aldilà» e l’«aldiqua» che la maggior parte degli storici attuali riduce sbrigativamente a eva­ sione dal mondo, è visto da Dawson come una sfida cui il cristiano medioevale trova risposta: «l’aldilà è sempre immediatamente presente in tutti gli aspetti delle rela­ 8

zioni umane e la vita quotidiana di ognuno è intima­ mente legata a quella della Chiesa» (p. 289). E questo vale per fi laico sposato che vive nel mondo non meno che per il monaco o l’eremita. «Questi uomini di Dio credevano nell’uomo», ha scritto ne Vanno milk Geor­ ges Duby, uno dei pochi storici laici cui la passione per il Medioevo ha permesso di comprendere unitariamen­ te un’epoca che il pregiudizio ideologico continua a po­ stulare come scissa e alienata. Ecco dunque il giudizio di Dawson sul valore del Medioevo: «L’importanza di questi secoli non deve es­ sere giudicata in base all’ordine esterno da essi creato o che cercarono di creare, ma considerando la trasfor­ mazione interna che essi operarono nell’anima del­ l’uomo occidentale» (p. 293). La mitigazione di feroci costumanze barbariche da parte dei missionari, la va­ lorizzazione del lavoro contadino, l’attivazione di un’intelligenza critica e di un instancabile spirito di ri­ cerca scientifica nelle scuole e nelle università, l’istitu­ zione di governi costituzionali e rappresentativi nell’e­ sperienza comunale, la genesi di una capacità di av­ ventura in terre sconosciute e d’incontro con tradizio­ ni diverse come quella araba: tutto questo è il frutto di un lungo processo educativo, di cui la nostra stessa ci­ viltà è intessuta. L’«attività dell’intelligenza» così stimo­ lata era infatti destinata a prolungarsi nella nascita del­ la scienza e della tecnica moderne come nelle scoperte geografiche: «La civiltà occidentale ... fu il grande fer­ mento dell’evoluzione mondiale, perché la trasforma­ zione del mondo era parte integrante del suo ideale culturale» (p. 23). Merita specifica attenzione anche il metodo di Dawson. Confrontato con altri modelli storiografici di grande

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rilievo, il suo approccio sorprende innanzitutto per l’e­ nergia della domanda di significato che investe i fatti della storia. Senza tale domanda la storiografia si ridu­ ce a mera analiticità, fino a scadere nella banale curio­ sità per gli aspetti folcloristici della vita medioevale. A partire da un dato di fatto che colpisce, la «peculia­ re evoluzione dell’uomo occidentale» - dove l’uso del termine «evoluzione» non presenta l’usuale valenza ideologica ma piuttosto il dato innegabile della conti­ nua trasformazione e innovazione - la domanda di Dawson è: «Che cosa lo muove?» (p. 20). L’ipotesi enunciata chiaramente nello stesso titolo, il ruolo essenziale della religione cristiana nella formazio­ ne della civiltà occidentale, non resta aprioristica, ma trova innanzitutto una giustificazione metodologica. Lo storico non può isolare aspetti particolari dell’esperien­ za umana, privilegiare ad esempio le forme della vita materiale o al contrario gli elementi della vita spiritua­ le, ma deve considerarli, per coglierli concretamente, in una «realtà storica totale» (p. 16). Solo questo può impedire una visione unilaterale, e quindi falsa, del­ l’uomo medioevale. L’ipotesi iniziale non resta d’altronde aprioristica perché lo storico la verifica continuamente nei fatti, ri­ spettando la complessità di una realtà tutt’altro che uniforme. Sa pertanto applicarla alla ricca diversità di un mondo che va da Novgorod a Toledo, dall’Irlanda a Venezia, senza cedere alla tentazione di rifugiarsi in co­ modi schemi: si noti l’attenzione per i popoli nordici, per l’Est europeo, per il mondo bizantino, che consen­ te una visione veramente europea. Va infine segnalata la vasta competenza interdisci­ plinare che consente all’autore di offrire una ricca do­ cumentazione soprattutto letteraria della mentalità medioevale, nonché una notevole capacità evocativa 10

che ricostruisce con brevi cenni nella nostra imma­ ginazione l’atmosfera di mondi molto diversi dal no­ stro, aiutandoci a immedesimarci in lontane esperien­ ze umane. SERENELLA CARMO FELICLANI

IL CRISTIANESIMO E LA FORMAZIONE DELLA CIVILTÀ OCCIDENTALE

Capitolo I

IMPORTANZA DELL’EVOLUZIONE OCCIDENTALE Il Cristianesimo costituisce la civiltà alla quale noi tutti in qualche modo apparteniamo. Perciò ci è impossibile considerarla allo stesso modo delle civiltà antiche, che noi possiamo scorgere solo attraverso il medium opaco dell’archeologia: o allo stesso modo delle civiltà del mondo non-europeo che ci sforziamo di comprendere dal di fuori e da lontano. Questo implica una differen­ za nella qualità del nostro giudizio, differenza che può essere paragonata a quella che esiste tra la scienza del­ l’astronomo riguardo a un pianeta e la conoscenza del geografo rispetto alla terra su cui viviamo. Per lo stu­ dio della civiltà occidentale non solo disponiamo di una riserva di materiali molto più abbondante di qual­ siasi altra, ma di essa abbiamo anche una conoscenza più intima e più profonda. La civiltà occidentale è l’at­ mosfera nella quale respiriamo e la vita che viviamo. E il modo proprio di vita nostra e dei nostri antenati, e perciò la conosciamo non soltanto dai documenti e dai monumenti, ma anche attraverso la nostra esperienza personale. Immaginiamo per un momento uno studio della re­ ligione che ignorasse o lasciasse da parte l’esperienza accumulata dal passato cristiano; che utilizzasse esclusi­ vamente le testimonianze lontane e in parte incom­ prensibili, tratte dallo studio di tradizioni religiose estranee; che ricorresse alle nozioni astratte sulla natu­ ra della religione e le condizioni della conoscenza reli­ giosa. Tale studio sarebbe destinato ad essere non solo

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incompleto, ma anche inconsistente e senza verità. Questo ci mostra la via da seguire nel considerare il problema dei rapporti tra la religione e la civiltà. Si trat­ ta di una trama intricata e assai estesa di connessioni che uniscono la vita sociale alle credenze e ai valori spi­ rituali, credenze e valori che sono riconosciuti dalla so­ cietà come le norme supreme di vita e i modelli defini­ tivi del comportamento individuale e sociale; perché questi rapporti possono essere studiati in modo concre­ to solo nella loro realtà storica totale. Le grandi religio­ ni del mondo sono, per così dire, dei grossi fiumi di sa­ cre tradizioni che scorrono attraverso i secoli e il mute­ vole paesaggio storico che essi irrigano e fertilizzano; ma d’ordinario non possiamo risalirli fino alla sorgente, che si perde nelle regioni inesplorate d’un lontano pas­ sato. Difatti, raramente è dato ritrovare una civiltà in cui l’evoluzione religiosa possa essere tracciata da un capo all’altro nella piena luce della storia. Ma la storia della Cristianità è una straordinaria ec­ cezione a questa regola. Conosciamo il quadro storico nel quale in principio sorse; possediamo le lettere dei fondatori delle Chiese alle prime comunità cristiane d’Europa e possiamo tracciare dettagliatamente gli sta­ di successivi attraverso i quali la nuova religione pene­ trò in Occidente. In seguito, e specialmente durante gli ultimi sedici secoli, la quantità dei documenti disponi­ bili per lo studio è così considerevole che riesce impos­ sibile alla capacità di una sola intelligenza afferrarli nel­ la loro totalità. Per conseguenza lo studio della religio­ ne e della civiltà occidentale è difficile, ma difficile per un motivo contrario a quello che rende arduo lo studio delle religioni orientali antiche o preistoriche: ne sap­ piamo troppo piuttosto che troppo poco, e inoltre il va­ sto campo di studio deve essere diviso tra una quantità di scienze differenti, ciascuna delle quali è suddivisa in 16

rami specializzati che a lóro volta diventano un campo di studi autonomo. Ma mentre questo processo di specializzazione è riu­ scito ad accrescere la nostra conoscenza in quasi tutti gli aspetti della storia, ha avuto un influsso deleterio sullo studio che ci occupa, poiché ha portato a separare e a dividere elementi che dobbiamo riunire. Da una parte lo storico scientifico ha concentrato le sue ricerche sulla critica delle fonti e dei documenti; dall’altra lo studioso del Cristianesimo si è consacrato alla storia dei dogmi e delle istituzioni ecclesiastiche. Il risultato è che abbiamo numerosi generi di studi ben differenti e assai progre­ diti: storia politica, storia costituzionale, storia econo­ mica da una parte; storia ecclesiastica, storia dei dogmi, storia della liturgia dall’altra. Però il soggetto vitale d’una reciprocità d’influsso tra la religione e la civiltà, e del potere fecondante di quest’influsso sulla vita della so­ cietà occidentale, è stato lasciato da parte e quasi di­ menticato, perché per sua natura non trova posto nello schema organizzato dalle discipline specializzate. Esso venne così abbandonato all’amatore e al letterato. Frattanto fuori del mondo accademico si sono affer­ mate nuove forze sociali che si servono della storia o d’una versione particolare della storia per fini sociali, come un mezzo per trasformare la vita e le azioni degli uomini. E l’apparizione di queste nuove ideologie poli­ tiche della storia ha mostrato che il progresso della spe­ cializzazione scientifica non ha in alcun modo diminui­ to nell’uomo il bisogno di una fede storica, d’una inter­ pretazione della civiltà contemporanea in termini di evoluzione sociale e di fini spirituali, siano questi fini definiti in formule religiose o laiche. Questo conflitto di ideologie: la dottrina marxista del materialismo storico e il tentativo dei nuovi stati totalitari di creare miti sto­ rici come base psicologica dell’unità sociale, ci hanno

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fatto comprendere che la storia non consiste in una la­ boriosa accumulazione di fatti, ma che essa influisce di­ rettamente sul destino della società. Oggigiorno, in molti paesi d’Europa, il voto - si trat­ ti di un’elezione o di un plebiscito - ha cessato di essere un puro atto politico: è diventato un’affermazione di fe­ de di fronte a una determinata filosofia sociale o a una teoria storica; una scelta tra due o tre forme di civiltà che si escludono reciprocamente. Non dico che ciò sia una buona cosa; al contrario, questo significa che la sto­ ria e la filosofia sociale sono state sfigurate e degradate dalla propaganda politica e dal sentimento di partito. Nondimeno un fatto quasi analogo accadde in passato nell’ambito del mondo religioso, e tuttavia quei tempi di controversie religiose furono anche tempi di un po­ tente sviluppo spirituale. Questa trasposizione dei problemi fondamentali del­ la storia e della civiltà dai santuari dello studio alla piaz­ za non è il risultato d’una trahison des clercs, ma è la con­ seguenza inevitabile di un risveglio dell’opinione pub­ blica in quello che concerne l’importanza e la portata di questi problemi. È di vitale importanza che il divario tra gli interessi popolari, intinti di politica in queste questioni, e lo studio filosofico e scientifico dei medesi­ mi non sia troppo grande. La crescente specializzazione dei più elevati studi moderni costituisce un reale peri­ colo, poiché potrebbe arrivare un giorno in cui lo spe­ cialista di tali problemi fosse ridotto ad assolvere il com­ pito di consigliere tecnico del politico e del giornalista, senza che vi sia chi possa criticare imparzialmente l’i­ deologia ufficiale, la quale verrebbe imposta alla collet­ tività non tanto da una deliberata propaganda, quanto per mezzo di una manomissione burocratica dell’edu­ cazione, dell’informazione e della pubblicità. Sarebbe una strana fatalità se la grande evoluzione, 18

con cui l’uomo occidentale ha soggiogato la natura ai suoi propri intenti, dovesse finire per fargli perdere l’indipendenza spirituale. Ciò potrebbe capitare se un crescente controllo tecnico dello stato sulla vita e sul pensiero dei suoi membri arrivasse a coincidere coll’ab­ bassamento qualitativo dei valori della nostra civiltà. Un’ideologia, nel senso moderno della parola, è assai differente dalla fede, benché sia fatta per soddisfare al­ le stesse funzioni sociali. Essa è un’opera umana, uno strumento col quale la forza politica cosciente tende a modellare la tradizione sociale in vista dei propri fini. La fede invece volge i suoi sguardi al di là dell’uomo e delle sue opere e lo introduce in un ordine di realtà as­ sai più alto e più universale del mondo finito e tempo­ rale al quale appartengono lo stato e l’ordine economi­ co. In tal modo la fede introduce nella vita umana un elemento di libertà spirituale che può avere un influsso creativo e trasformatore sulla cultura sociale e il destino storico dell’uomo, come pure sulla sua intima esperien­ za personale. Perciò se studiamo una civiltà nel suo in­ sieme, troviamo che esiste una stretta relazione tra la sua fede religiosa e il suo grado di perfezione sociale. Persino una religione che è esplicitamente soprannatu­ rale e sembra rigettare tutti i valori e gli aspetti ideali della società umana, può esercitare un influsso dinami­ co sulla civiltà e somministrare le sue forze operanti nei movimenti del divenire sociale. «La religione è la chiave della storia» ha detto Lord Acton, e oggi, mentre constatiamo l’influsso considere­ vole dell’inconscio sul comportamento umano e il pote­ re che possiede la religione di trattenre o liberare le for­ ze incoscienti, le parole di Lord Acton assumono un si­ gnificato più vasto di quello che egli non supponesse. È vero che questo fattore religioso non sembra rap­ presentare una parte importante nella storia della ci­

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viltà moderna. I grandi cambiamenti che hanno tra­ sformato le condizioni della vita umana in tutti i conti­ nenti e che hanno fatto percorrere molto cammino verso la creazione di una società universale, pare a pri­ ma vista che siano il risultato di cause puramente lai­ che ed economiche; tuttavia nessuna di queste cause sembra adeguata a spiegare l’importanza dell’evolu­ zione europea. Come potè accadere che un piccolo gruppo di popo­ li dell’Europa occidentale abbia acquistato, in un tempo relativamente breve, il potere di trasformare il mondo e di emanciparsi dalla dipendenza millenaria che man­ teneva l’uomo sottomesso alle forze della natura? In passato questo miracoloso passo in avanti veniva spie­ gato come manifestazione di una legge universale di progresso, la quale ha sempre governato l’universo e, attraverso tappe inevitabili, ha condotto l’umanità dalla condizione di scimmia a quella di uomo perfetto. Oggi tali teorie non sono più di moda, perché siamo arrivati a vedere quanto esse dipendano da un irrazio­ nale ottimismo, il quale, a sua volta, faceva parte del fenomeno ch’esse tentavano di spiegare. Adesso invece siamo portati a domandarci: Quali furono nella civiltà europea i fattori che possono spiegare la peculiare evoluzione dell’uomo occidentale? O, per usare l’e­ spressiva frase americana: «Che cos’è che lo muove»? Quando arriveremo a questo punto, troveremo che il fattore religioso ha un’importanza primordiale in que­ sto problema. Ecco quanto scrissi vari anni fa: «Perché tra le civiltà mondiali solo l’Europa è continuamente agitata e tra­ sformata da un’energia d’inquietudine spirituale che non vuole accontentarsi della legge immutabile delle tradizioni sociali che regge le civiltà orientali? Perché il suo ideale religioso è quello di adorare non una perfe­ 20

zione senza età e senza mutamento, ma un valore spiri­ tuale che tende ad incorporarsi all’umanità per trasfor­ mare il mondo. Nell’Occidente la forza spirituale non è stata immobilizzata in un ordine sociale sacro, quale il Confucianesimo in Cina e il sistema delle caste in India; essa ha conseguito libertà sociale ed autonomia e, per conseguenza, la sua attività non è stata confinata nella sfera religiosa, ma ha avuto effetti di grande portata su ogni aspetto della vita sociale e spirituale. «Questi aspetti secondari, dal punto di vista cristiano, non costituiscono necessariamente un valore religioso o morale, ma non resta men vero il fatto che essi sono la conseguenza di una forza spirituale e ne dipendono tanto che senza di essa o non sarebbero esistiti o sareb­ bero stati del tutto differenti. «Questo è vero per la cultura umanistica, nonostante lo spirito secolare e il naturalismo che sembrano esser­ ne le caratteristiche. Più si studiano le origini deU’Umanesimo e più si è indotti a riconoscere l’esistenza di un elemento che non è solamente spirituale, ma nettamen­ te cristiano. «Si potrà obiettare che questo è solo uno e neanche il più importante aspetto del movimento umanistico. Ma anche in quello ch’esso ha di meno religioso e di pura­ mente naturalistico, il Rinascimento fu strettamente le­ gato ai suoi antecedenti cristiani. L’Umanesimo fu, è vero, un ritorno alla natura, una riscoperta dell’uomo e del mondo naturale, ma l’autore della scoperta, il prin­ cipio operante della scoperta, non fu l’uomo naturale: fu l’uomo cristiano, il tipo umano prodotto da dieci se­ coli di disciplina spirituale e di cultura intensiva di vita interiore. I grandi uomini del Rinascimento furono di elevata spiritualità, anche quando erano più profonda­ mente immersi nell’ordine temporale. Dalle risorse ac­ cumulate nel loro passato cristiano essi attinsero la for­ 21

za necessaria per conquistare il mondo materiale e creare il nuovo ordine spirituale»1. Quello che ho detto riguardo alle origini dell’Uma­ nesimo mi sembra ugualmente vero per il secolo dei lu­ mi e il secolo xix, quando la civiltà occidentale conqui­ stò e trasformò il mondo. E assai facile presentare la storia di questa espansione europea come un processo d’aggressione e di sfruttamento economico. L’aggressione e lo sfruttamento non sono cose nuove nella storia del mondo, e se bastassero a spiegare la pre­ ponderanza europea, questa avrebbe potuto essere rea­ lizzata centinaia e migliaia di anni prima da uno qual­ siasi degli imperi mondiali che occuparono successiva­ mente la scena della storia. Il particolare sviluppo della civiltà europea nei tempi moderni è dovuto a un nuovo elemento che non si era manifestato nell’antico tipo d’imperialismo. Assieme alla naturale aggressività e alla passione del potere e della ricchezza, che sono così evidenti nella storia europea, vi furono nuove forze spirituali che con­ dussero l’uomo occidentale verso un nuovo destino. L’attività dell’intelligenza occidentale che si è manife­ stata sia nelle invenzioni tecniche e scientifiche come nelle scoperte geografiche, non fu l’effètto di un’eredi­ tarietà propria di un tipo biologico particolare. Fu il ri­ sultato d’un lungo processo educativo che cambiò gra­ dualmente l’orientazione del pensiero umano e allargò le possibilità dell’azione sociale. Di questo processo, il fattore vitale non fu il potere aggressivo dei conquistatori e dei capitalisti, ma le capacità accresciute dell’in­ telligenza umana e lo sviluppo di nuovi tipi di geni e di abilità creative. 1 Cfr. Chr. Dawson, Christianity and thè New Age, Sheed & Ward, London 1931, pp. 94-96.

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Le altre grandi civiltà mondiali realizzarono la loro propria sintesi tra religione e vita e poi conservarono senza cambiamenti questo ordinamento sacro per seco­ li e millenni. La civiltà occidentale invece fu il grande fermento dell’evoluzione mondiale, perché la trasfor­ mazione del mondo era parte integrante del suo ideale culturale. Vari secoli prima del perfezionamento della scienza moderna e della tecnica, l’uomo occidentale aveva concepito l’idea d’una magna instauratio delle scienze che doveva aprire nuove vie alla conoscenza umana e cambiare il destino dell’umanità. E questo non era l’audace visione di un genio solita­ rio. Oggi possiamo vedere che Francis Bacon era assai più vicino al Medioevo di quanto Macaulay e la sua ge­ nerazione non credessero, e per certi aspetti il suo pen­ siero è più vicino a quello del suo omonimo Roger Ba­ con che non a quello di Galileo. Fu Roger Bacon, infatti, colui che per primo concepì l’idea di una sintesi totale delle conoscenze scientifiche e filosofiche, le quali avrebbero allargato i limiti della vi­ ta umana e dato alla civiltà cristiana il potere di unifica­ re il mondo. Con Roger Bacon eccoci ritornati in pieno nella cor­ rente della cultura medioevale, cultura che era domi­ nata dalla fede religiosa e incarnata nelle istituzioni re­ ligiose tanto quanto qualsiasi delle grandi culture reli­ giose del mondo orientale. Essa fu la matrice nella qua­ le si formò il tipo occidentale e la sorgente delle forze nuove che agitarono e trasformarono il mondo. L’anti­ ca scuola degli storici razionalisti «illuministi» aveva ri­ gettato i mille anni di storia medioevale come un’età d’oscurità intellettuale e di ristagno sociale, un’epoca in cui si andava errando nel deserto che separava il mon­ do antico della cultura e la terra promessa dell’illumini­ smo moderno e della libertà. Ma, grazie al lavoro disin­

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teressato degli storici degli ultimi centocinquant’anni, siamo arrivati a capire che quegli oscuri secoli furono in realtà pieni di un’intensa attività sociale e spirituale, e sovente in preda a violenti conflitti e a sconvolgimenti rivoluzionari. Da Cassiodoro e Beda a Erasmo e Coper­ nico la tradizione intellettuale non è stata mai interrot­ ta, così che possiamo seguire la continuità della cultura, senza neppure una lacuna, dalla caduta dell’impero d’Occidente sino all’età del Rinascimento. È cosa facile vedere come si formò la nozione di Età oscura. Dal punto di vista economico, l’inizio del Me­ dioevo fu indubbiamente un’epoca di regresso e di ri­ stagno; si ebbero dei lunghi periodi durante i quali l’at­ tività commerciale fu sospesa e la vita cittadina quasi scomparsa. Dal punto di vista politico vi furono tempi in cui lo stato si ridusse quasi al punto di scomparire, e la tradizione classica, che assicurava i diritti del cittadi­ no e la forza della legge, sembrò quasi estinguersi. Per­ sino dal punto di vista intellettuale le conquiste scienti­ fiche dell’antichità furono dimenticate per secoli e il li­ vello della cultura letteraria fu spesso assai rudimenta­ le. Tuttavia la civiltà occidentale conservò sempre un’e­ nergia spirituale indipendente dal potere politico o dalla prosperità economica. Persino nei più oscuri pe­ riodi del Medioevo questo principio dinamico continuò ad operare. Difatti ciò che distingue la cultura occiden­ tale dalle altre civiltà mondiali è il suo carattere missiona­ rio: il suo trasmettersi da un popolo ad un altro in un continuo concatenamento di movimenti spirituali. Il Cristianesimo penetrò dapprima nell’Europa occiden­ tale come un movimento missionario che ebbe origine nelle città ellenistiche del Levante e, per secoli, furono proprio gli uomini venuti dall’Oriente - come Paolo, Ireneo, Atanasio, Cassiano, Teodoro di Tarso, i papi greci e siriaci dell’vin secolo - quelli che ebbero una 24

parte preponderante nel gettare le basi della Cristianità occidentale. Nell’epoca che seguì la caduta dell’impero romano questo processo di trasmissione continuò gra­ zie ai cristiani delle province occidentali che evangeliz­ zarono i popoli barbari, come san Patrizio in Irlanda, san Amando in Belgio e soprattutto san Gregorio Ma­ gno, la cui opera segna una nuova era in Inghilterra. Fino a questo momento la diffusione della civiltà cri­ stiana in Occidente seguì il corso normale di espansio­ ne da Est a Ovest: dagli antichi centri della più alta cul­ tura si portò verso i popoli e i paesi più giovani e meno civilizzati. Ma dal vi secolo questo processo s’invertì in seguito a un nuovo movimento di attività missionaria, che questa volta andava da Ovest a Est, proveniva cioè dai nuovi popoli cristiani d’Irlanda e d’Inghilterra e si diffondeva verso il continente: movimento che non si li­ mitò alla conversione dei pagani olandesi e tedeschi, ma che finì per riformare anche la Chiesa franca e far rivivere la cultura classica. Questo fatto segna un nuovo punto di partenza nella storia della civiltà, perché im­ plica una dualità tra la preponderanza culturale e il po­ tere politico, dualità che distingue la civiltà occidentale dal mondo bizantino in cui il centro politico continuò ad essere centro culturale, come era stato quasi sempre nelle antiche società orientali. Questa indipendenza tra guida culturale e potere politico fu uno dei principali fattori che produsse la li­ bertà e l’attività dinamica della civiltà occidentale. La storia dell’Europa è la storia d’un susseguirsi di rinasci­ te, di rinnovamenti spirituali e intellettuali che ebbero luogo indipendentemente gli uni dagli altri, il più so­ vente grazie agli influssi religiosi, e che si propagarono in forza d’un processo spontaneo di libera trasmissione. All’inizio del Medioevo l’organo principale di questa trasmissione furono gli ordini monastici, la cui forza de-

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terminante fu la ricerca della perfezione individuale e della salvezza. Fu questo motivo che condusse Columba in Scozia, Colombano in Borgogna e Bonifacio in Ger­ mania. In ciascuno di questi casi l’iniziativa spirituale d’un individuo s’incarnò in un’istituzione organizzata, che a sua volta divenne un centro di trasmissione, come il movimento da Iona a Lindisfarne e la creazione d’un nuovo centro di cultura cristiana in Northumbria, la riforma del monacheSimo in Gallia, che derivò dalla fondazione di san Colombano a Luxeuil, e la fondazio­ ne anglosassone dell’abbazia di Fulda, che ebbe un in­ flusso capitale sulla civiltà cristiana in Germania. Un simile processo troviamo in azione nei periodi posteriori del Medioevo, per esempio nell’influsso dei monaci riformatori di Borgogna e di Lorena sulla rifor­ ma della Chiesa nei secoli x e xi; e ancora nell’attività degli Italiani in Normandia, ove tutta una serie di mo­ naci missionari venuti dall’Italia settentrionale - Gu­ glielmo di Volpiano, Giovanni di Fécamp, Lanfranco di Bec e Anseimo di Canterbury - sollevarono la Norman­ dia da una condizione semibarbarica e la misero alla te­ sta del progresso intellettuale nell’Europa nordocci­ dentale. Ma negli ultimi secoli del Medioevo, il movimento vi­ tale di cultura non rimase più confinato nella vita mo­ nastica. Esso si fece sentire in tutti i domini dell’attività sociale e intellettuale, dal campo economico del comu­ ne e della corporazione sino alle speculazioni astratte della scienza e della metafisica. Ovunque troviamo la stessa trasmissione rapida e spontanea d’influssi che si estende da un capo all’altro dell’Europa occidentale; ovunque constatiamo la cooperazione di uomini e mo­ vimenti di nazionalità e origini differenti, i quali tendo­ no a creare un tipo di civiltà comune ma grandemente vario nei suoi aspetti, che si diffonde attraverso la Cri­ 26

stianità occidentale. Del resto questo stato di cose non cessò col Medioevo, perché il Rinascimento stesso fu un esempio tipico di questa libera trasmissione e creazione che, passando da un paese all’altro, unì uomini, diffe­ renti per razza e linguaggio, in un comune ideale di cultura e in una stessa solidarietà di pensiero. Si potrà obiettare che tutto questo non è in alcun mo­ do peculiare alla civiltà occidentale, ma che è della stes­ sa natura di tutti i processi di sviluppo culturale e di mutamento, ovunque e sempre. Però, sebbene ogni ci­ viltà produca elementi di trasformazione e molte di es­ se abbiano conosciuto movimenti religiosi e intellettua­ li che hanno avuto origine e sono stati trasmessi grazie alla libera attività degli individui, non ve n’è stata nes­ suna in cui il flusso di trasformazione abbia pervaso l’intera vita della cultura così che le due finissero per identificarsi. Le antiche civiltà orientali erano tutte costruite sulla concezione di un ordine sacro che regolava ogni aspet­ to della vita umana e che doveva essere conservato e trasmesso intatto e completo di generazione in genera­ zione sotto pena di veder perire la società. La civiltà ci­ nese è la più tipica e la più prospera di tutte le civiltà, e quantunque la Cina sia stata notevolmente debitrice al­ l’intrusione di movimenti spirituali indipendenti, spe­ cialmente a quello del monacheSimo buddista, essa con­ siderò sempre tali movimenti come stranieri all’ordine sacro della vita cinese, sia che li abbia condannati inte­ ramente come nemici mortali della tradizione di Con­ fucio, sia che li abbia tollerati a metà, come oggetto di lusso spirituale che poteva essere aggiunto, simile a un ornamento esotico, al corpo della tradizione indigena. Soltanto nell’Europa occidentale l’intera trama della civiltà va cercata in una continua successione e avvicen­ damento di liberi movimenti spirituali; così che ogni se­

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colo della storia occidentale mostra un cambiamento nell’equilibrio degli elementi culturali e l’apparizione di qualche nuova forza spirituale che crea nuove idee e istituzioni e produce un ulteriore movimento di tra­ sformazione sociale. In tutta la storia dell’Occidente vediamo un solo ten­ tativo di creare un ordine sacro unitario, che tutto in­ clude, paragonabile a quello dell’impero bizantino o a quelli del mondo orientale. Questo fu l’impero carolin­ gio, il quale era concepito come la società di tutto il po­ polo cristiano sotto il controllo di una monarchia teo­ cratica e cercava di regolamentare ogni cosa, dai detta­ gli della vita e del pensiero sino ai metodi di canto reli­ gioso e alle regole degli ordini monastici, per mezzo di decreti legislativi e ispezioni governative. Ma fu un epi­ sodio breve e infruttuoso che sta in violento contrasto col cammino generale dell’evoluzione occidentale, e anche così il suo perfezionamento culturale fu dovuto in gran parte al contributo di elementi indipendenti, provenienti da paesi fuori dell’impero, come Alcuino venuto dall’Inghilterra, Giovanni Scoto dall’Irlanda e Teodulfo dalla Spagna. A parte questo caso eccezionale, non si ebbe mai un’organizzazione unificata della civiltà occidentale, salvo in ciò che concerne la Chiesa cristiana, la quale provvide a dare un principio effettivo di unità sociale. E anche nel Medioevo l’unità religiosa imposta dalla Chiesa non costituì mai una vera teocrazia di tipo orientale, poiché implicava un dualismo tra i poteri spi­ rituale e temporale, dualità che causò una tensione in­ terna nella società occidentale e fu una sorgente fertile di critiche e di trasformazioni. Tuttavia, attraverso tutta la storia dell’Europa occidentale fino al secolo scorso, l’assenza di un’organizzazione centralizzata e d’un prin­ cipio unico e uniforme di cultura non nocque alla con­ 28

tinuità spirituale della tradizione occidentale. Dietro la forma sempre mutevole della civiltà occidentale esiste­ va una fede viva che dava all’Europa un sentimento chiaro di comunità spirituale, nonostante tutti i conflit­ ti, le divisioni e gli scismi sociali che hanno contrasse­ gnato la sua storia. Sovente riesce difficile rintracciare la connessione esistente tra questo spirito di fede e i nuovi movimenti di trasformazione che sembrano spes­ so rappresentare una negazione radicale di ogni base spirituale. Nondimeno, quando si studiano questi mo­ vimenti più da vicino, si scopre per lo più che tale lega­ me esiste realmente. Difatti in nessun’altra parte il dinamismo proprio della religione occidentale si manifestò così fortemente come nell’influsso indiretto e incosciente che ebbe sul movimento sociale e intellettuale, che fu apertamente laico. E facile trovarne esempi nella storia dei movi­ menti rivoluzionari e riformisti moderni; ma il più im­ portante e il più interessante di tutti gli esempi s’incon­ tra nella storia del movimento scientifico moderno, che è stato di un’importanza senza limiti per la storia del mondo moderno. Ma non è mio proposito occuparmi ora di questo soggetto; solo un uomo come Pierre Duhem, che fu a un tempo scienziato, storico e filosofo, era capace d’in­ traprendere una siffatta fatica: purtroppo però non vis­ se abbastanza per poter condurre a termine il compito che si era prefisso. Ciò che voglio fare è studiare le pri­ me fasi dell’evoluzione occidentale e vedere fino a che punto la formazione del complesso culturale dell’Occi­ dente europeo dipese dai fattori religiosi. A questo punto della storia europea i rapporti tra re­ ligione e cultura vanno considerati nella loro forma più semplice. Nessuno storico può negare che l’apparizione del Cristianesimo presso i popoli dellOccidente abbia

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avuto un effetto profondo sulla loro civiltà; tuttavia questa grande rivoluzione spirituale lasciò immutate le condizioni materiali della vita occidentale. Un’immensa differenza esiste tra la società semibarbarica della Gallia merovingia e della Britannia anglosassone e la matura cultura religiosa dell’impero cristiano, tra l’intelligenza di uomini come sant’Agostino e Boezio e quella di capi guerrieri come Clodoveo o Chilperico, che controllaro­ no i destini dellOccidente. Il sorgere della nuova civiltà occidentale europea è dominato da un accentuato dua­ lismo tra due culture, due tradizioni sociali e due mon­ di spirituali: da una parte la società guerriera del regno barbarico con il suo culto dell’eroismo e dell’aggressio­ ne; dall’altra la società pacifica della Chiesa cristiana con il suo ideale d’ascetismo e di rinunzia e la sua alta cultura teologica. E l’importanza di questa dualità non si fa sentire soltanto neH’£tò oscura dal 500 al Mille del­ l’era cristiana; essa rimane caratteristica in un certo modo della cultura medioevale nel suo insieme, e i suoi effetti si possono ancora rintracciare più tardi nella sto­ ria dell’Europa occidentale. Infatti ritengo che questa dev’essere considerata come la principale sorgente di quell’elemento dinamico che è di un così decisivo signi­ ficato per la civiltà occidentale. Ma è importante comprendere che questo dualismo non fu solamente un semplice conflitto e un’opposizio­ ne deliberata. In un tempo assai prossimo all’inizio di questo periodo esso si evolvette verso un più alto livello di cultura e divenne come un centro interiore di pola­ rità e di tensione. Così già nel primo secolo della for­ mazione della Cristianità in Northumbria, la tradizione della cultura latina dei Padri della Chiesa trovò il suo più degno rappresentante, per il barbaro Nord, nella persona del Venerabile Beda, e non è meno significati­ vo che l’ultima opera dell’ultimo filosofo romano, il De 30

Consolatione Philosophiae di Boezio, sia stata tradotta in volgare da un re guerriero2 nell’intervallo delle due eroiche lotte contro i Danesi, per la preservazione della Cristianità occidentale. Questa forza creatrice di assimilazione culturale, che trova cosciente espressione nella tradizione letteraria, fu anche operante nel profondo della coscienza indivi­ duale e nella crescita di nuove istituzioni sociali. Ne ab­ biamo la prova nelle vite dei santi, nelle leggi dei re, nelle lettere dei missionari e degli eruditi e nei canti dei poeti. Senza dubbio tutte queste testimonianze gettano una luce intermittente e incerta sulle realtà vitali dell’e­ voluzione sociale; ma anche così la nostra conoscenza circa le origini della civiltà occidentale è assai più au­ tentica e circostanziata di ciò che possediamo sulle altre grandi civiltà del mondo antico od orientale. Ma vi sono ancora altri aspetti circa i quali ci trovia­ mo in migliori condizioni dei nostri predecessori per capire come nacque e si formò questa nostra civiltà oc­ cidentale. Gli storici e i filosofi, il cui animo era domi­ nato dall’Illuminismo liberale del secolo xvm, sentiva­ no poco interesse e nessuna simpatia spirituale per un’epoca in cui le tenebre della barbarie sembravano fossero rese solamente più cupe dalla superstizione re­ ligiosa e dall’ascetismo monastico; mentre nel secolo xix le tendenze nazionaliste, che in nessun settore furo­ no così forti come nel campo della storia, reagirono orientandosi verso una cieca idealizzazione della barba­ rie teutonica o slava, ed ebbero per effetto che l’unità culturale dell’Occidente fosse ignorata o deprezzata. 2 L’autore allude al re Alfredo il Grande d’Inghilterra (871-901) che sosten­ ne una lotta eroica contro gli invasori danesi e riuscì a ricacciarli. Nell’opera di ricostruzione del suo paese egli accordò un’attenzione particolare alla cultura e personalmente curò la traduzione in lingua inglese della Historia ecclesiastica di Beda, della Historia adversus paganos di Orosio, del De Consolatione Philosophiae di Boezio e della Regala pastoralis di san Gregorio Magno [N.d.T.].

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La nostra generazione si è trovata nella necessità di comprendere come sono fragili e inconsistenti le bar­ riere che separano la civiltà dalle forze di distruzione. Si è imparato che la barbarie non è un mito pittoresco o un ricordo semidimenticato d’un lontano passato stori­ co, bensì una spaventosa realtà latente che può erom­ pere con forza distruggitrice ogniqualvolta l’autorità morale di una civiltà diviene inoperante. Per noi, dunque, la storia dell’Età oscura e dei primi inizi della nuova civiltà in Occidente, quattordici secoli fa, ha preso e dovrebbe prendere un nuovo significato. Possiamo comprendere meglio di Gibbon la lotta dispe­ rata del basso impero per mantenere il suo alto ideale di cultura urbana e di ordine civilizzato, nonostante il peso della sua schiacciante burocrazia, contro la pres­ sione costante della guerra e dell’invasione, e siamo in grado di renderci conto - in modo più intimo degli sto­ rici del secolo scorso - di che genere siano stati i senti­ menti dei provinciali romani quando le dighe finirono per rompersi e il flusso della barbarie dilagò sempre più largamente sul paese. Soprattutto ci troviamo in una migliore posizione per apprezzare la funzione vitale della religione, sia co­ me principio di continuità e di conservazione, che come sorgente di nuova vita spirituale. In quell’epoca la reli­ gione era la sola forza che non rimanesse influenzata dal crollo della civiltà causato dalla mancanza di fede nelle istituzioni sociali e tradizioni culturali e dalla man­ canza di speranza nella vita stessa. Ovunque esista una religione genuina, essa deve sempre possedere questa qualità, poiché è proprio dell’essenza della religione mettere l’uomo in relazione con le realtà trascendenti ed esterne. Perciò è naturale che l’Età oscura della storia - l’ora del fallimento e dell’impotenza umana - debba essere anche l’ora in cui la potenza ultraterrena si è ma­ 32

nifestata. Inevitabilmente questi periodi della morte e della nascita delle civiltà sono i più remoti dalla luce della storia; ma quando, come nel caso delle origini del­ la nostra civiltà, siamo in grado in qualche modo di far­ ci strada in questa oscurità, riesce possibile vedere qual­ cosa del processo creativo che opera nelle profondità della coscienza sociale, e, benché incompleta, questa co­ noscenza può essere ed è di grande valore per chi stu­ dia la religione e la civiltà.

Capitolo II

LE ORIGINI RELIGIOSE DELLA CIVILTÀ OCCIDENTALE: LA CHIESA E I BARBARI Gli inizi della civiltà occidentale vanno cercati nella nuova comunità spirituale sorta dalle rovine dell’impe­ ro romano e dalla conversione dei barbari nordici alla fede cristiana. La Chiesa cristiana ereditò le tradizioni dell’impero; essa si presentò ai barbari come deposita­ ria d’una civiltà molto più elevata, dotata del prestigio della legge romana e dell’autorità del nome romano. Il crollo dell’organizzazione politica romana lasciò un grande vuoto che nessun re o generale barbaro po­ teva colmare, e questo vuoto fu colmato dalla Chiesa, educatrice e legislatrice dei nuovi popoli. I Padri latini - Ambrogio, Agostino, Leone e Gregorio - furono, in un senso reale, i padri della civiltà occidentale, poiché i differenti popoli dell’Occidente acquistarono una ci­ viltà comune solo in quanto vennero incorporati nella comunità spirituale della Cristianità. E soprattutto questo fatto che distingue tutta l’evolu­ zione occidentale dalle altre civiltà mondiali. Le antiche civiltà orientali, come quelle della Cina e dell’India, fu­ rono prodotti autoctoni che risultavano da un processo continuo di sviluppo, in cui la religione e la civiltà cre­ scevano insieme da uno stesso ceppo sociale e in uno stesso ambiente naturale. In Occidente non fu così. L’Europa primitiva, che era al di là dei paesi mediterra­ nei, non aveva nessun centro comune, né alcuna tradi­ zione unificata di cultura spirituale. I popoli del Nord non possedevano né letteratura scritta, né città, né ar­ chitettura di pietra. Erano in una parola «barbari»; e fu

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solo per mezzo del Cristianesimo e grazie agli elementi di una più alta cultura trasmessa ad essi dalla Chiesa, che l’Europa occidentale potè acquistare unità e forma. Questo aspetto missionario della civiltà occidentale, di cui ho già parlato in precedenza, è più antico del Cristia­ nesimo, poiché risale a un remoto passato, anteriore agli inizi della storia documentata. Ne ebbero sentore gli stes­ si Romani in mezzo alla loro incessante conquista dell’im­ pero, e quando il più grande dei poeti latini volle creare un poema epico nazionale scelse per suo eroe non il tipico eroe guerriero, ma una specie di Padre pellegrino, il pio e paziente Enea, al quale spettò la missione provvidenziale di creare una nuova città e di portare gli dèi nel Lazio: «... genus unde Latinum Albanique patres atque alta moenia Romae».

Il mito virgiliano divenne una realtà cristiana. Quando san Paolo, obbedendo ad un avvertimento ricevuto in sogno, s’imbarcò a Troade nell’anno 49 dell’era cristiana e arrivò a Filippi in Macedonia, rivoluzionò il corso della storia, assai più della grande battaglia che in quello stes­ so luogo, quasi un secolo prima, aveva deciso dei destini dell’impero romano. Egli portò in Europa il germe di una nuova vita che era destinata a creare un mondo nuovo. Questo si verificò, è vero, al di sotto della superfi­ cie della storia e non fu avvertito dai maestri della cultu­ ra del tempo - come Gallione, fratello di Seneca - i quali vedevano queste cose succedere sotto i propri occhi. Ma è impossibile leggere il racconto contemporaneo di que­ sti viaggi e le lettere scritte da san Paolo alle prime comu­ nità cristiane di Europa e di Asia, senza comprendere che un nuovo elemento era stato introdotto nella civiltà statica del mondo romano e che questo elemento conte­ neva infinite possibilità di trasformazione. 36

Lo comprese la folla di Salonicco quando protestò gridando: questi uomini stanno mettendo sossopra il mondo e proclamano un altro re che non è Cesare: Ge­ sù! È proprio questo che essi stavano facendo! Tale fatto, rivoluzionario e creatore a un tempo, se­ gnò l’inizio di una nuova era nella storia del mondo e, soprattutto, nella storia dell’Occidente. Fino ad allora l’Europa era stata divisa in mondo romano e mondo barbarico. Adesso il mondo romano veniva esso stesso diviso tra i fedeli di Cesare e i fedeli di Cristo. Col passar dei secoli quest’ultima divisione fu cancellata dalla con­ versione dell’impero al Cristianesimo, di modo che «ro­ mano» e «cristiano» divennero quasi termini sinonimi. Ma ciò fu quando la potenza dell’impero in Occidente era già crollata e Roma non era più la capitale di Cesare, ma la Sede Apostolica. Per san Leone e i suoi contempo­ ranei l’impero romano era stato uno strumento, nelle mani della Provvidenza, per unire le nazioni tra loro, af­ finché ricevessero il vangelo di Cristo. San Pietro e san Paolo avevano preso il posto di Romolo e Remo come fondatori della seconda Roma, la Urbs sacerdotale et regalis, che era divenuta ormai il centro del mondo cristiano: «En omne sub regnum Remi mortale concessit genus idem loquuntur dissoni ritus, idipsum sentiunt. Hoc destinatum, quo magis jus Christiani nominis, quodcumque terram jacet, uno inligaret vinculo!»1. 1 Prudenzio, Peristepharum, II, 425: «Tutto il genere umano è stato sottomes­ so al regno di Remo, e diversi riti lo dicono e constatano la stessa cosa. Questo fu decretato affinché la legge di Cristo unisse più facilmente con un solo vinco­ lo tutte le parti della terra». Cfr. anche Leone Magno, Sermo 82.

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Così la conversione dell’impero romano, cioè il proces­ so con cui lo stato di Augusto e di Nerone divenne lo stato di Costantino e di Teodosio, ha una relazione vita­ le col sorgere della nuova civiltà. Questo fatto non è sta­ to mai adeguatamente riconosciuto dagli storici, a mo­ tivo di quel curioso divorzio tra la storia antica e la sto­ ria moderna, che ha fatto sì che lo studio del periodo transitorio del in e iv secolo della nostra era venisse quasi completamente trascurato nell’educazione scola­ stica, la quale, sotto quest’aspetto, si trovò ancora in­ fluenzata dalle preferenze e dai pregiudizi degli uma­ nisti italiani. Questi pregiudizi, a loro volta, riflettevano la disunione culturale del periodo in questione. L’alta cultura del mondo antico continuò a chiudere gli occhi di fronte all’esistenza della nuova fede, anche dopo che il Cristianesimo era diventato la religione uf­ ficiale dell’impero. Questo ostinato spirito conservatore fu più violento in Occidente, ove veniva rafforzato dal­ le tradizioni del patriottismo romano e dal risentimen­ to dell’aristocrazia senatoriale contro la nuova capitale sul Bosforo e i suoi eunuchi, diventati consoli, e i sena­ tori greci. Per quei difensori d’una causa perduta, qua­ li Quinto Aurelio Simmaco, Claudiano e Rutilio Namaziano, il Cristianesimo era uno straniero sospetto che scalzava la morale resistenza dello stato, nel momento in cui i barbari l’attaccavano dall’esterno. Per reagire contro queste opinioni scrissero, nel v secolo, sant’Agostino e Orosio; ma solo dopo la caduta di Roma fu fi­ nalmente superato il dualismo tra l’antica cultura e la nuova religione. Nell’Est invece le condizioni furono assai diverse, e per secoli l’impero d’Oriente doveva rimanere il centro dello sviluppo del pensiero e della cultura cristiana. La nuova religione si era sviluppata nei bassifondi se­ miorientali delle grandi città ellenistiche, portando una 38

nuova ragione di vita e una nuova speranza a classi e in­ dividui spiritualmente lontani dalla cultura materiali­ stica e senz’anima dello stato romano. A poco a poco es­ sa permeò l’intera società, finché nel iv secolo divenne la religione ufficiale dell’impero e ispirò il nuovo tipo di civiltà bizantina che ebbe il suo centro nella nuova Ro­ ma, fondata dal primo imperatore cristiano a Costanti­ nopoli. Questa civiltà fu d’origine greco-asiatica. Non dobbiamo dimenticare che, all’epoca della caduta del­ l’impero romano in Occidente, i principali centri della civiltà cristiana e la maggioranza della popolazione cri­ stiana erano ancora non-europei. La lingua madre del­ la Chiesa era il greco, e lo sviluppo della sua teologia lo si dovette principalmente a concili greco-asiatici e a teo­ logi greco-asiatici, in un tempo in cui il paganesimo nel­ l’Occidente latino era ancor forte e le classi dirigenti e, ancor più, la popolazione rurale erano ancora in larga misura non-cristiane per cultura e tradizione. È interessante domandarsi quale risultato avremmo avuto se l’evoluzione occidentale avesse seguito il mo­ dello orientale, se una specie di civiltà latino-bizantina si fosse formata nei secoli v e vi, con capitale a Roma o a Milano oppure a Treviri, cosa questa che si sarebbe probabilmente verificata se non fossero intervenute forze esterne. Sta però il fatto che il sistema imperiale dell’Occidente venne travolto dalla pressione delle in­ vasioni barbariche, prima che la nuova religione avesse avuto il tempo di permeare la cultura e la vita sociale delle province occidentali. Solo in Africa esistevano condizioni paragonabili a quelle delle province orientali; ma l’Africa era destina­ ta, per un tempo molto lungo, a non far parte della Cri­ stianità occidentale. Ci furono alcune città dell’Europa occidentale, come Roma e Lione, che ebbero una parte importante nel

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primo movimento di espansione cristiana, ma anche a Roma la resistenza pagana fu più ostinata e più lunga che nell’Est. Nelle zone prevalentemente rurali dell’Eu­ ropa centrale e occidentale, gli elementi sociali che avrebbero potuto contribuire maggiormente alla diffu­ sione rapida del Cristianesimo erano inesistenti, e que­ ste regioni rimasero pagane di cultura, se non di nome, fino agli ultimi giorni dell’impero d’Occidente e anche dopo. Così, a differenza della cristiana Bisanzio, Roma cri­ stiana rappresenta solo un breve interludio tra il mon­ do pagano e il mondo barbarico; trascorsero soltanto diciott’anni tra la chiusura dei santuari pagani, ordina­ ta da Teodosio, e il primo sacco della città eterna, per­ petrato dai barbari. La grande epoca dei Padri occi­ dentali da Ambrogio ad Agostino si trovò rinserrata nello spazio di una sola generazione, e Agostino morì con i Vandali alle porte della città. Tra le condizioni di vita delle numerose province, co­ me tra quelle dei diversi strati sociali, esistevano com’è naturale differenze considerevoli. Un aristocratico co­ me Sidonio Apollinare, che viveva sotto il dominio rela­ tivamente tollerante dei re visigoti, poteva continuare la sua esistenza di proprietario ricco e colto, mentre certi suoi contemporanei della stessa condizione sociale in altre regioni meno fortunate venivano sterminati o ridotti alla mendicità. Ma generalmente parlando si può dire che, lungo tutti i confini settentrionali delfinipero, da York a Belgrado, la struttura della vita civile era crollata, le città e le ville erano state distrutte e la so­ cietà era ricaduta in uno stato di paganesimo barbaro. Nelle regioni meridionali, invece, lungo le coste del Mediterraneo, non si notava alcuna soluzione di conti­ nuità nella cultura, e i conquistatori barbari costituiva­ no un contingente straniero di poco peso, come una 40

specie di pianta parassita che cresceva a ridosso della popolazione di lingua latina, la quale li sorpassava im­ mensamente di numero e continuava a vivere la sua propria vita, con le leggi e le istituzioni proprie. Tuttavia lo sviluppo della Cristianità occidentale non si effettuò sempre su questo modello. Nei paesi mediterranei, i conquistatori erano Ariani di religione e ta­ lora, come in Africa, sottoposero la Chiesa a una violen­ ta persecuzione; mentre nel Nord i conquistatori, ben­ ché fossero assai più barbari quanto a cultura e pagani di religione, si mostrarono molto più accessibili all’azio­ ne missionaria della Chiesa, che era vista come la rap­ presentante di una civiltà elevata. Di conseguenza, i regni barbarici meridionali furono di breve durata ed ebbero un mediocre influsso sul fu­ turo della civiltà occidentale, e questo solo in senso ne­ gativo, in quanto prepararono la via alla conquista ara­ ba dell’Affica e della Spagna nell’vin secolo. Il battesi­ mo di Clodoveo nel 496 e quello di Etelberto del Kent nel 597 segnarono, al contrario, il reale inizio di un’era nuova nell’Europa occidentale. La nuova evoluzione, così, si verificò proprio in quei paesi dell’Occidente ove le distruzioni materiali delle invasioni barbariche erano state maggiori. La caduta dell’impero non aveva intaccato le risorse spirituali della Chiesa, anzi, sotto certi aspetti, esse si erano rafforzate, poiché adesso la Chiesa poteva unire alle proprie tradizioni spirituali quelle sociali della ci­ viltà romana e così svolgere una duplice funzione, in una società che aveva bisogno d’una direzione e sociale e religiosa. I nuovi regni barbarici s’erano impadroniti delle leve di comando militari e politiche dell’impero portavano la spada, riscuotevano le imposte, ammini­ stravano la giustizia (o ciò che ne aveva preso il posto) ma tutto il resto apparteneva alla Chiesa: autorità mo­ 41

rale, istruzione e cultura, prestigio del nome romano e cura del popolo. La vera qualità di cittadino non si ba­ sava sulla sottomissione allo stato barbarico, ma sulla appartenenza alla Chiesa cristiana, ed era al vescovo e non al re che si guardava come alla guida della società cristiana. Frattanto si andava attuando un incessante processo di assimilazione, che tendeva a creare una nuova unità sociale. A misura che i barbari si convertivano al Cri­ stianesimo, acquistavano anche gli elementi di una cul­ tura più elevata, mentre, d’altra parte, la società cristia­ na andava gradualmente perdendo contatto con le tra­ dizioni della cultura romana e si lasciava realmente in­ fluenzare dallo spirito barbarico. Un notevole esempio di questo duplice processo lo troviamo nella descrizione che san Gregorio di Tours ci dà delle condizioni della vita nel regno franco durante la seconda metà del vi secolo. Egli era di lignaggio ari­ stocratico gallico, discendente di funzionari romani e membro di una dinastia di vescovi; ma la società in cui vive e che ci descrive è già profondamente barbarica, e i suoi scritti mostrano poche tracce di cultura classica, co­ me del resto egli stesso ammette nella prefazione della sua Storia e in quella delle sue opere agiografiche. Pure, egli fu un vero romano nel suo saldo realismo, nella sua lealtà al passato e nello spiccato senso di responsabilità sociale che seppe mantenere in mezzo a una società ugualmente immemore dell’ordine romano e dello spi­ rito cristiano. Egli rappresenta ancora l’ideale romano­ cristiano del vescovo defensor civitatis, custode supremo e campione della tradizione civica nella sua nuova forma cristiana, tradizione che, nell’epoca delle invasioni, era stata così nobilmente mantenuta da san Germano d’Auxerre, sant’Avito di Vienne, sant’Aniano d’Orléans e san Sidonio Apollinare (431/2-487). 42

Ai tempi di Gregorio di Tours la barbarie, che aveva distrutto l’impero, aveva anche invaso la Chiesa. I re merovingi erano rimasti barbari pur divenendo cristia­ ni; anzi, a misura che si distaccavano dal quadro dei clan dell’antica regalità germanica, sembrava divenisse­ ro più feroci, più falsi e più corrotti. Ed era da questi selvaggi che la Chiesa doveva sempre più dipendere! Col crollo dell’organizzazione romana, infatti, il re in­ tervenne con sempre maggior influsso nella nomina dei vescovi e nel governo della Chiesa. D’altra parte il declino della cultura, nelle sue forme esteriori, fu ac­ compagnato da un abbassamento del tenore morale di vita, che influì anche sui vescovi e sui monasteri. Il mondo che Gregorio di Tours ci descrive è pieno di violenze e di corruzione, in cui chi governa dà l’e­ sempio dell’ingiustizia e del disprezzo della legge; neanche la lealtà e l’onore militare, virtù tanto care ai barbari, erano più osservati. In un mondo siffatto la religione poteva mantenere il suo potere solo per mez­ zo del timore che il suo prestigio soprannaturale sape­ va ispirare e con la violenza spirituale ch’essa oppone­ va alla violenza fisica della barbarie. Il timore della col­ lera divina e della vendetta dei santi era la sola forza capace d’intimidire quegli scellerati senza legge, così frequenti tra la classe dirigente dello stato semibarbaro dei Franchi. NelPetò oscura i santi non erano soltanto modelli di perfezione morale che la Chiesa invocava nelle sue pre­ ghiere; erano anche potenze soprannaturali che abita­ vano i santuari e continuavano a vegliare sul benessere del loro paese e del loro popolo. Tali erano san Giulia­ no di Brioude, san Cesario d’Arles, san Germano d’Auxerre; tale, soprattutto, san Martino, il cui santua­ rio a Tours era una sorgente di grazie e di guarigioni miracolose. Verso questo luogo benedetto accorrevano

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malati da tutte le parti della Gallia; era un asilo ove tut­ ti gli oppressi - lo schiavo fuggitivo, il criminale evaso e persino coloro che erano esposti alla vendetta del re potevano trovare rifugio e protezione soprannaturale. Non c’è pericolo di esagerare l’importanza del culto dei santi, durante il periodo che seguì la caduta del­ l’impero d’Occidente, perché la sua influenza si fece sentire ugualmente ai due estremi della scala sociale; tra gli esponenti della cultura, come Gregorio di Tours e san Gregorio Magno, e tra la gente del popolo, spe­ cialmente tra i contadini che, come «pagani», fino ad al­ lora non erano stati influenzati dalla nuova religione della città. In molti casi il culto locale pagano cessò solo per la sua deliberata sostituzione col culto di un santo locale, come racconta Gregorio di Tours: il vescovo di Javols fece cessare le feste pagane annuali presso il lago Helanus (oggi lago di Saint-Andéol presso Mende) co­ struendovi una chiesa dedicata a sant’Ilario di Poitiers, ove gli abitanti della campagna avrebbero potuto por­ tare le offerte che prima venivano gettate nelle acque sacre del lago. Così i primi secoli del Medioevo videro nascere una nuova mitologia cristiana - le leggende dei santi - alla quale lo stesso Gregorio di Tours contribuì notevol­ mente con le sue opere agiografiche: i due libri sui mi­ racoli di san Martino, la vita dei Padri, il libro dei mira­ coli di san Giuliano di Brioude, i libri della gloria dei martiri e della gloria dei confessori2. Questa letteratura e il culto, al quale essa corrisponde, ci mostrano l’altro lato dell’oscuro quadro della società contemporanea 2 Gli scritti indicati fanno parte di quel gruppo che lo stesso Gregorio di Tours denomina Libri septern miraculorum, e sono: un libro In gloria Martyrum, uno che tratta De virtutibns S. Juliani, uno In gloria Confessorum e quattro De virtutibus S. Martini. A questi si aggiunge il De vita Patrum. Cfr. Migne, PL, LXXI, pp. 705-1096 [NAT.].

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che egli ci presenta nella sua Hìstoria Francorum. Da una parte vediamo un mondo di violenza e d’ingiustizia, che sta sprofondando sotto il peso delle proprie colpe; dall’altra scorgiamo il mondo della divina potenza e del mistero, in cui le dure necessità dell’esperienza quoti­ diana non dominano più la vita dell’uomo, un mondo dove niente è impossibile, e ogni umana sofferenza e calamità possono trovare rimedio. E difficile per l’uomo moderno penetrare in questo mondo d’immaginazione popolare cristiana che trova espressione nelle primitive leggende medioevali dei santi, perché esso è più distante da noi del misticismo del tardo Medioevo e della religione metafisica dei Pa­ dri della Chiesa. Tuttavia si tratta di un’espressione di spirito genuinamente cristiano, anche se il Cristianesi­ mo è quello di una società che si dibatte contro l’inva­ dente influsso d’un ambiente barbarico. In questo mondo crepuscolare, era inevitabile che l’asceta e il santo cristiano dovessero assumere alcuni tratti propri dei maghi pagani e dei semidei, che il loro prestigio dovesse dipendere dal loro potere taumatur­ gico e che gli uomini facessero ricorso ad essi nello stes­ so modo con cui prima andavano al santuario dell’ora­ colo pagano. Ma fu solo in questo mondo di mitologia cristiana, in questo culto dei santi, delle loro reliquie e dei loro miracoli, che potè effettuarsi la vitale fusione della fe­ de e dell’etica cristiana con la tradizione barbarica dei nuovi popoli d’Occidente. Per popolazioni prive di tradizioni filosofiche e di letteratura scritta, era evi­ dentemente impossibile assimilare direttamente la sot­ tile e profonda metafìsica teologica di sant’Agostino e dei grandi maestri del mondo bizantino. I barbari po­ tevano comprendere e accettare lo spirito della nuova religione solo a condizione ch’esso venisse loro manife­ 45

stato visibilmente nelle vite e negli atti di uomini che sembravano dotati di qualità soprannaturali. La con­ versione dell’uomo occidentale non si realizzò tanto per mezzo delFinsegnamento di una nuova dottrina, quanto attraverso la manifestazione di una nuova po­ tenza che pervase di timore e soggiogò i barbari del­ l’Occidente, così come aveva sottomesso i paesi civiliz­ zati del Mediterraneo. E come i martiri erano stati gli eroi e i testimoni della conquista dell’impero, così gli eremiti e i monaci furono i confessori e gli apostoli della fede in mezzo ai barbari. Qui, la relazione tra religione e cultura non è quella di assimilazione e di permeazione, ma piuttosto quella di contraddizione e di contrasto. Le vite dei santi e de­ gli asceti colpirono vivamente l’immaginazione dei bar­ bari, perché erano la manifestazione di un modo di vi­ ta e di una scala di valori assolutamente opposti a tutto ciò che essi avevano fino allora conosciuto e accettato. Il contrasto però non era tanto l’alta cultura del mondo cristiano di Roma e la barbarie pagana, bensì tra due mondi spirituali o, se si vuole, tra due piani di realtà. Dietro il contrasto morale tra la vita del santo e la bar­ barie della società, vi era il dualismo escatologico del mondo presente e del mondo futuro, che costituiva la preoccupazione dominante della concezione cristiana della vita medioevale. La Chiesa occidentale non si rivolse ai barbari con una missione civilizzatrice o con qualche cosciente spe­ ranza di progresso sociale, ma con il tremendo messag­ gio del divino giudizio e della divina salvezza. L’uma­ nità era nata sotto una maledizione, soggiogata dalle te­ nebrose potenze del male universale e stava sprofon­ dando sempre più sotto il peso delle proprie colpe. So­ lo per mezzo della Croce e con la grazia del Redentore crocifisso era possibile agli uomini staccarsi dalla massa 46

dannata di un’umanità riprovata e sfuggire al naufragio di un mondo dannato. Questa severa dottrina fu presentata, con una forza particolare, alla civiltà decadente del mondo post-romano, in cui la guerra e la fame, la schiavitù e la tortu­ ra erano realtà quotidiane e inevitabili, e in cui i deboli potevano difficilmente sopravvivere, mentre i forti mo­ rivano giovani in battaglia. Senza dubbio per noi è facile considerare questo qua­ dro sotto un altro punto di vista. Difatti, il moderno na­ zionalismo ha avuto la tendenza a idealizzare le condi­ zioni di civiltà originarie dei barbari occidentali e a ve­ dere i Germani, i Celti, gli Slavi e gli altri come popoli giovani pieni di forze creative che hanno portato un nuovo soffio di vita a una civiltà esausta e decadente. Ma sebbene questo modo di vedere abbia trovato la sua definitiva giustificazione nel corso della storia, tuttavia, per gli uomini di quel tempo, che realmente avevano a che fare coi barbari, esso era assolutamente impossibile. Per il mondo cristiano dell’Età oscura, le forze della bar­ barie erano inevitabilmente considerate sotto l’aspetto negativo, come una potenza guerriera, cieca e distruggitrice, che portava rovina alle città e schiavitù ai popo­ li. Questo è il sentimento che esprime assai sovente la li­ turgia cristiana, quando prega Dio di venire in aiuto al popolo cristiano e di soggiogare i barbari che confidano solo nella propria ferocia. E i principi barbari, che era­ no nominalmente cristiani, non si mostravano molto migliori degli altri, come si può vedere nelle censure che santa Gilda rivolge ai tiranni della Bretagna, o nel­ la lettera di san Patrizio a Corotico, oppure nella de­ scrizione che della società merovingica ci ha lasciato Gregorio di Tours. Dalle lettere e dalle omelie di san Gregorio Magno possiamo rilevare che la coscienza cristiana non era af­ 47

fatto indifferente all’ingiustizia sociale e alle sofferenze fisiche del tempo: prigionieri «legati pel collo come ca­ ni e condotti in schiavitù», abitanti della campagna mutilati, città spopolate e affamate. Ma l’uomo era im­ potente a mitigare questi mali. «Che cosa vi è - do­ manda san Gregorio - che ci possa piacere in questo mondo? Ovunque vediamo dolori e lamenti. Le città e le fortezze sono distrutte, i campi lasciati incolti e il paese desolato. Non vi sono contadini per coltivare i campi, pochi abitanti rimangono nelle città e questi scarsi resti di umanità sono ancora soggetti a incessan­ ti sofferenze... Alcuni vengono condotti in schiavitù, altri sono mutilati e un numero ancor maggiore è sgozzato sotto i nostri occhi. Che cosa vi è dunque che ci possa piacere in questo mondo? Se ancora amiamo un mondo siffatto, è chiaro che amiamo non il piacere ma la miseria.»3 Queste cose (san Colombano lo scrisse alcuni anni più tardi in una lettera a papa Bonifacio) erano consi­ derate come segni della fine dei tempi. Il mondo stava cadendo visibilmente a pezzi e il Pastore dei Pastori era sul punto di venire per l’ultima volta. Perciò era natu­ rale che i cristiani volgessero lo sguardo verso l’altro mondo, verso la Città Eterna, della quale erano già cit­ tadini di adozione e che allargava costantemente i suoi confini verso questo mondo visibile, transitorio e lan­ guente. Benché la religione di quell’epoca fosse intensamen­ te ultraterrena, il suo carattere ultraterreno aveva tut­ tavia un significato assai differente da quello che noi siamo arrivati ad associare a questa parola, nella sua forma pietistica moderna. Si tratta di un senso colletti­ vo più che individualista, oggettivo più che soggettivo, 48

3 San Gregorio Magno, Omelie su Ezechiele, II; Lettera VI, 22.

realista più che idealista. Quantunque il mondo futuro fosse situato fuori della storia e al di là del tempo, nondimento esso costituiva il limite fisso, verso il quale la storia e il tempo portavano questo vacillante universo. L’oceano dell’eternità circondava da ogni lato l’isola dell’umana esistenza che stava sprofondando. In passa­ to, quando le acque del mare si ritiravano, gli uomini, pieni di confidenza, avevano fatto avanzare i confini della civiltà sempre più in là, al riparo delle dighe che avevano costruito. Ma adesso le acque avanzavano, le dighe erano rotte e ben presto la terra sarebbe scom­ parsa. Solo la Chiesa rimaneva come un’arca di salvez­ za, ed era più vantaggioso spendere il proprio tempo e il proprio denaro per costruire un’arca piuttosto che sprecarli in vani tentativi per riparar le rotte dighe o ri­ cuperare i campi e le saline devastate. Se così tetro è il quadro dell’atteggiamento ultrater­ reno della Cristianità agli inizi del Medioevo, non lo era meno la realtà. San Gregorio Magno incarna le più alte tradizioni superstiti della società romana e sta molto al di sopra del comune livello della cultura longobarda e merovingica. Egli aveva messo a servizio della Chiesa la forte e pratica intelligenza e la scienza politica dell’anti­ ca Roma, e, nello stesso tempo, era un grande maestro cristiano, alla stregua di sant’Ambrogio e di san Leone. Eppure, quando riporta nei suoi Dialoghi le vite e i fatti dei santi uomini che erano stati suoi immediati prede­ cessori, ci fa entrare in un mondo prodigioso di so­ prannaturali meraviglie che eguaglia e sorpassa tutto ciò che si può trovare nelle leggende dei martiri e nelle vite dei Padri del deserto. Per quell’epoca i santi e gli asceti erano viventi e visi­ bili testimoni del mondo futuro, e non erano i soli. Ben più importante era l’esperienza collettiva di una comu­

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nione con il mondo eterno, che la Chiesa già possedeva nei Santi Misteri. Ho già mostrato come le civiltà religiose del mondo antico trovavano il loro centro nell’ordine rituale delle preghiere e dei sacrifici, intorno ai quali gravitava l’in­ tera vita della comunità4. Nelle civiltà religiose del mondo bizantino e medioevale la liturgia cristiana oc­ cupava una posizione simile. I secoli che seguirono la caduta dell’impero d’Occidente, nonostante l’impoveri­ mento della cultura materiale, furono una grande epo­ ca creativa dal punto di vista liturgico, ed è sorpren­ dente constatare che questo è vero sia dell’Occidente semibarbaro, sia dello stabile e relativamente prospero mondo bizantino. Tutto ciò che queste epoche posse­ dettero di poesia, musica e arte, trovò la sua espressio­ ne nella liturgia, e un’espressione tale che nessuna epo­ ca posteriore ha potuto sorpassare. Difatti niente è più sorprendente del contrasto tra la poesia profana e quella liturgica di questo periodo. A Bisanzio abbiamo, da una parte, l’eco morente della tradizione classica ellenistica che s’incarna negli ultimi poeti delYAntologia palatina; dall’altra troviamo il più grande dei poeti liturgici, Romano il Melode, che dotò la nuova anima della civiltà cristiana di una musica e di un ritmo nuovi. Nell’Occidente il contrasto è ancor più impressionan­ te, perché lo si vede non solamente tra due scuole di­ stinte di poesia, ma addirittura nell’opera di uno stesso scrittore. Venanzio Fortunato (c. 530-601) dà l’impres­ sione del rappresentante tipico di una cultura decaden­ te, del parassita letterato che guadagna la sua vita com­ ponendo laboriosi complimenti e panegirici per adula­ 4 Cfr. Chr. Dawson, Religione e cristianesimo nella storia della civiltà, Parte pri­ ma, Religione e civiltà, pp. 15-189, Edizioni Paoline, Roma 1984.

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re i suoi patroni barbari. Ma nel momento in cui il suo animo entra in contatto con lo spirito liturgico, la sua stanca retorica miracolosamente si trasforma nella vigo­ rosa musica del Vexilla Regis e del Pange lingua gloriosi. Non si insisterà mai troppo sull’importanza di questa trasformazione dello stile letterario e del sentimento estetico, perché niente ci fa vedere più chiaramente la natura dei cambiamenti spirituali che stavano produ­ cendo un nuovo tipo di cultura. L’inizio di questi cam­ biamenti risale a parecchio tempo prima della caduta dell’impero, poiché le origini stanno nel Nuovo Testa­ mento e ai primi inizi del Cristianesimo presso i Genti­ li. Ma solo nel v secolo il suo influsso fu sentito piena­ mente nelle alte sfere della cultura romana, ed è signi­ ficativo il fatto che il più romano di tutti i Padri, sant’Ambrogio di Milano, abbia fatto il primo e più de­ cisivo passo verso la creazione di una nuova poesia li­ turgica. Nelle Confessioni di sant’Agostino possediamo la descrizione assai viva dell’impressione ch’essa poteva produrre sui contemporanei. Il santo descrive la sua meraviglia e la sua gioia davanti al nuovo mondo spiri­ tuale che gli veniva aperto da sant’Ambrogio, a Milano, all’alba della sua conversione. «In quei giorni, tutto pieno di straordinaria dolcezza, non mi saziavo di considerare la profondità del tuo consiglio nei riguardi della salvezza dell’umano genere. Quanto piansi negl’inni e nei cantici soavemente echeg­ giami della tua Chiesa, tocco di commozione profonda! Quelle voci, riversandosi nelle orecchie, stillavano la ve­ rità nel mio cuore; e ne avvampava sentimento di pietà e le lacrime scorrevano, facendomi un gran bene. «Non era molto tempo che la Chiesa milanese aveva adottato questo genere di consolazione e di incitamen­ to, grandemente favorito dai fratelli, che univano insie­ me nel canto le voci e i cuori. Da un anno o poco più,

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Giustina, madre del re Valentiniano, ancor fanciullo, perseguitava il tuo Ambrogio per causa dell’eresia onde la avevano sedotta gli ariani. Il pio popolo faceva la guardia nella chiesa, pronto a morire col proprio ve­ scovo, col servo tuo. La madre mia, tua serva, prima nella preoccupazione e nelle veglie, passava ivi la vita in orazione. Io, benché freddo ancora e non riscaldato dal tuo spirito, ero tuttavia commosso nel vedere la città turbata e sbigottita. «In quel tempo fu introdotto il costume orientale di cantare inni e salmi, affinché il popolo non si strugges­ se nella tristezza e nel tedio, costume che dura tuttavia, imitato da molti, anzi da quasi tutti i tuoi greggi, anche nelle altre parti della terra.»5 La nuova poesia liturgica dell’Occidente differisce da quella dell’Oriente per la sua sobrietà e semplicità, che tuttavia non sono senza una loro propria bellezza. Essa fu creata da un uomo educato nella tradizione classica, il quale ebbe cura di non trasgredire le regole dell’anti­ ca prosodia. Ma siccome egli subordinò la sua arte alle nuove esigenze della liturgia e scrisse per la Chiesa e per il popolo, creò qualcosa di completamente nuovo che sopravvive da mille e settecento anni negli innari della Cristianità occidentale e nella liturgia della Chiesa d’Occidente. In questo egli riuscì meglio di Prudenzio, superiore come poeta ma troppo individualista per pie­ gare il proprio genio alle necessità dei fedeli. Sant’Ago­ stino, grande discepolo di sant’Ambrogio, andò più in là (nel suo salmo ritmico contro i Donatisti) e abban­ donò completamente la tradizione della poesia classica, trasformando la sua composizione in un diretto appel­ lo all’uditorio popolare: «... volens etiam causarti Donati52

5 Sant’Agostino, Confessioni, 1. IX, c. 6-7.

stanivi ad ipsius Immillimi vulgi et omnino imperitorum atque idiotamm notitiam pervenire»6. Questo curioso lavoro ha una stretta rassomiglianza con la nuova poesia religiosa che era sorta in Siria e aveva trovato il suo più grande rappresentante in sant’Efrem, «l’arpa dello Spirito Santo». Il salmo di sant’Agostino è composto di strofe regolari di dodici versi con sedici sillabe ciascuno. Ogni strofa comincia con una lettera dell’alfabeto seguendo l’ordine norma­ le e si chiude con un ritornello che si ripete, e ciascun verso della strofa termina con la stessa vocale. Tutte queste particolarità sono caratteristiche della nuova poesia religiosa siriaca, così che si risente l’origine orientale del nuovo stile. Tuttavia, nonostante il grande influsso di sant’Agostino, il tentativo di questo nuovo stile di versi ritmici non ebbe imitatori immediati. Del resto, il nuovo genere poetico non era destinato ad uso liturgico, ma per propaganda popolare, e così i poeti li­ turgici continuarono a seguire la tradizione di sant’Am­ brogio. Solo più tardi e nei più remoti paesi occidenta­ li, presso le nuove Chiese celtiche, si diffuse l’uso della poesia ritmica e soprattutto rimata, che ebbe il suo pie­ no sviluppo sia a servizio della liturgia come per la pre­ ghiera privata. Frattanto, attraverso tutto l’Occidente, la liturgia di­ venta sempre più il centro della cultura cristiana. Per quanto Prudenzio e Paolino da Nola non si possano pa­ ragonare a sant’Ambrogio come poeti liturgici, essi stanno a dimostrare la crescente importanza della litur­ gia nella vita intellettuale e spirituale del tempo. Persi­ no Sidonio Apollinare, che a prima vista sembra un ti­ pico rappresentante della vecchia cultura profana, con6 «... anche con lo scopo di far conoscere la questione Donatista persino alla popolazione più umile, agli ignoranti e illetterati».

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sacrò i suoi talenti poetici alla composizione di canti li­ turgici e all’improvvisazione di preghiere, come ci rife­ risce Gregorio di Tours (Historia Francorum, II, 22). Nonostante tutte le perdite e per quanto oscuri si prospettassero i destini della società occidentale, l’ordi­ ne sacro della liturgia rimase intatto, e, per mezzo suo, tutto il mondo cristiano, romano, bizantino o barbaro trovò un legame di unità interiore. La liturgia inoltre non fu solo il vincolo dell’unità crisitana, ma anche il mezzo per cui 1’animo dei gentili e quello dei barbari potè sincronizzarsi con le nuove con­ cezioni di vita e la nuova interpretazione della storia. Difatti la liturgia traduceva, in una forma tangibile e quasi drammatica, ciò che era successo e ciò che doveva capitare al genere umano, cioè la Storia Sacra della creazione, della redenzione, dell’economia provviden­ ziale che presiedeva al corso della storia: il grande tema che è così maestosamente sviluppato nelle profezie e preghiere della liturgia pasquale. La liturgia cristiana aveva, nella cultura della Cri­ stianità antica, la stessa importanza fondamentale che ebbero le liturgie antiche nelle civiltà arcaiche, ma il suo contenuto spirituale era del tutto differente. Come abbiamo visto7, l’ordine rituale arcaico era stato conce­ pito sul modello cosmico, e, di conseguenza, i suoi mi­ steri erano i misteri della natura stessa, rappresentati e manifestati per mezzo dell’azione drammatica del mito sacro. Tali erano, per esempio, i misteri di Eieusi e i misteri, assai più antichi e venerabili, delle religioni sumerica ed egiziana, come il mito di Tammuz e Ninanna o di Iside e Osiride, i quali tutti si accentrano nel mistero della vita della terra e nel ciclo dell’anno agricolo. Il mistero cristiano, invece, era essenzialmen­ 54

7 Cfr. Chr. Dawson, op. cit., Parte prima, capitolo VII.

te quello della vita eterna. Esso non si preoccupava della vita della natura o della cultura come parte del­ l’ordine naturale, ma si basava sulla redenzione e la rigenerazione dell’umanità, per mezzo dell’incarnazione del Verbo Divino. Ma poiché l’Incarnazione e l’intero processo della Redenzione erano situati in un quadro storico, il mi­ stero cristiano era ugualmente un mistero storico: la rivelazione della volontà divina che si manifesta sulla terra e nel tempo, come il compimento di tutte le ere. Così, invece che sul mito della natura, che, come ab­ biami detto, era la chiave dell’ordine rituale della ci­ viltà arcaica, il mistero cristiano è basato sulla storia sa­ cra, e la liturgia si sviluppa secondo un ciclo storico, in cui si svolge progressivamente l’intera storia della creazione dell’uomo e della sua redenzione. Nello stes­ so tempo un elemento di continuità storica e sociale veniva fornito dalla commemorazione delle feste dei santi, per cui ogni generazione, ogni popolo e persino ogni città avevano il loro rappresentante liturgico e il loro patrono. E pressoché impossibile all’uomo moderno com­ prendere il senso di realismo e d’oggettività con cui i cristiani di quei tempi consideravano questa partecipa­ zione liturgica ai misteri di salvezza. La commemora­ zione e la mistica rappresentazione della Storia Sacra costituivano, nello stesso tempo, l’iniziazione e la rina­ scita della creatura alla vita eterna. Su questo piano l’ordine antico era già stato cancellato e il mondo del­ l’eternità aveva invaso e penetrato il mondo del tempo, così che la creazione veniva ricondotta alle sue sorgenti spirituali e l’umanità si trovava unita con le falangi an­ geliche, in una comune azione spirituale. L’aspetto teo­ logico e metafisico di una tale concezione della liturgia fu elaborato soprattutto durante questo periodo, nella

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Chiesa bizantina, da scrittori come lo pseudo-Dionigi Aeropagita e san Massimo il Confessore. Ma non esiste­ va una reale divergenza tra Oriente e Occidente in que­ sta materia, poiché nel v i e v i i secolo tutte le differenti tradizioni liturgiche partecipavano allo stesso spirito li­ turgico e alla theoria, che era eredità comune della Cri­ stianità orientale e occidentale. Così in Occidente, dopo la caduta dell’impero, la Chiesa possedette, nella liturgia, una ricca tradizione di cultura cristiana, come i riti del culto, le forme di pen­ siero e i principi di vita. E, nonostante la decadenza del­ la cultura, questa tradizione continuò a svilupparsi spontaneamente e a portar frutto, sotto diverse forme, in conformità alla complessa evoluzione dei differenti riti occidentali. Si ebbero quindi le ricche e colorate li­ turgie della Spagna visigotica e della Gallia merovingica: ci fu la tradizione dell’Italia settentrionale, rappre­ sentata dal rito ambrosiano e, infine, si ebbe l’antica e conservatrice tradizione romana che, dal tempo di san Gregorio Magno, esercitava un influsso normativo assai vasto su tutte le Chiese d’Occidente. La preservazione e lo sviluppo di questa tradizione liturgica fu una delle preoccupazioni principali della Chiesa durante l’Età oscura che seguì la conquista dei barbari, poiché proprio in questa maniera la vitalità e la continuità della vita interiore cristiana - il germe del nuovo ordine - dovevano essere preservate. Questo ri­ chiedeva una concentrazione di energia intellettuale e religiosa che non poteva trovarsi nella civiltà morente della città antica e nella tradizione delle scuole, rappre­ sentate da uomini di lettere quali Venanzio Fortunato ed Ennodio. Il problema fu risolto dal sorgere di una nuova isti­ tuzione che divenne custode della tradizione liturgica e organo sociale di una nuova civiltà cristiana. Quando 56

l’oscurità si fece sempre più fitta sopra l’Europa occi­ dentale, non le città ma i monasteri conservarono le tra­ dizioni della cultura latina e i modelli della vita cristia­ na; cosicché i monaci devono essere considerati come gli apostoli e i fondatori della civiltà medioevale.

Capitolo III

I MONACI D’OCCIDENTE E LA FORMAZIONE DELLA TRADIZIONE OCCIDENTALE Qualsiasi studio sulle origini della cultura medioevale deve inevitabilmente riservare un posto importante al­ la storia del monacheSimo occidentale, poiché il mona­ stero fu la più tipica istituzione culturale di tutto il pe­ riodo che si estende dalla decadenza della civiltà classi­ ca al sorgere delle università europee nel secolo xn, di un’epoca cioè che abbraccia un po’ più di settecento an­ ni. E il monacheSimo è ancora più importante nel sog­ getto che ho preso in special modo a trattare, cioè i rap­ porti tra religione e civiltà, perché fu attraverso il mo­ nacheSimo che la religione esercitò un influsso diretto e formativo su tutto lo sviluppo culturale di questi secoli.

Senza dubbio, come ho già detto1, vi sono state altre civiltà, per esempio quelle del Tibet, della Birmania e di Ceylon, in cui un monacheSimo non-cristiano svolse una parte in qualche modo simile. Ma queste furono ci­ viltà secondarie e marginali, le quali ebbero poco in­ flusso sul corso della storia mondiale. La situazione del­ la Cina regge maggiormente il paragone con ciò che trattiamo, poiché qui abbiamo l’esempio di una grande civiltà mondiale, la quale fu influenzata dall’apparizio­ ne del monacheSimo buddista proprio nello stesso pe­ riodo in cui la civiltà occidentale e bizantina venivano modellate dal monacheSimo cristiano. Ma in Cina l’an­ tica tradizione della dottrina confuciana rimase intatta e i monaci buddisti non presero mai il posto dei lettera1 Cfr. Chr. Dawson, op.cit., Parte prima.

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ti, discepoli di Confucio. In Occidente invece le istitu­ zioni scolastiche dell’impero romano furono spazzate via dalle invasioni barbariche o languirono e disparve­ ro col decadere della cultura urbana del mondo latino. Si deve solo alla Chiesa e in particolare ai monaci se la tradizione della cultura classica e le opere degli autori classici, «i classici latini», poterono essere conservati. Già nel secolo vi abbiamo in Cassiodoro (496-575) un ragguardevole esempio del modo con cui l’antica tradi­ zione del sapere trovò rifugio nel monastero e del come le scuole monastiche, le biblioteche e gli scriptoria diven­ nero gli organi principali di una più alta cultura intel­ lettuale nell’Europa occidentale.

Tuttavia questo fu il compito primario del monache­ Simo; in realtà niente poteva essere più lontano dallo spirito originario dell’istituzione. Il monacheSimo era nato nel deserto africano come protesta contro tutta la tradizione della cultura classica del mondo greco-roma­ no. Esso fu l’emblema di una rinunzia assoluta a tutto ciò che il mondo antico aveva così altamente apprezza­ to: non solo ai piaceri, alle ricchezze, agli onori, ma an­ che alla vita di famiglia, alla dignità di cittadino e alla società. I suoi fondatori e modelli furono i terribili asce­ ti della Nitria e della Tebaide, i quali trascorsero la loro vita in preghiera e digiuni incessanti e in una lotta qua­ si fisica con le potenze delle tenebre. Dopo la pace della Chiesa, quando la suprema prova del martirio non fu più richiesta, gli asceti vennero a prendere, agli occhi del mondo cristiano, il posto che i martiri avevano prima occupato, come testimoni viven­ ti della fede e della realtà del mondo soprannaturale. Essi erano gli uomini che «avevano provato le potenze del mondo futuro» e, come vediamo nella Storia Lausiaca e in altri documenti del monacheSimo primitivo, ve­ nivano considerati quali sentinelle e custodi che veglia60

vano sulle mura della Città cristiana e respingevano gli attacchi dei suoi nemici spirituali. La fama e l’influsso del nuovo movimento raggiunsero il loro apogeo nel momento preciso in cui Roma, la città terrestre, stava cadendo vittima dei barbari. Fu nel corso di quella ge­ nerazione che esponenti dell’alta società romana come Paola e Melania, o maestri del pensiero cristiano in Oc­ cidente come Girolamo, Rufino e Cassiano andarono in pellegrinaggio nei deserti d’Egitto e di Siria e iniziaro­ no una propaganda letteraria in favore del nuovo mo­ vimento, che conobbe un enorme successo nell’Occi­ dente latino e nell’Oriente bizantino. Gli scritti di Giovanni Cassiano, Institutiones coenobiorum e Collationes Patrum, sono particolarmente impor­

tanti, perché riassumono tutto lo spirito e la pratica del monacheSimo egiziano in una forma accettabile alla cultura latina occidentale e divennero, in seguito, nor­ ma classica di spiritualità monastica per le successive generazioni del monacheSimo occidentale, da san Benetto e san Cesario di Arles fino ai Fratelli della vita co­ mune11e ai primi Gesuiti.

Nello stesso tempo, uomini come san Martino, san Onorato e Cassiano stesso introducevano la vita mona­ stica nelle province occidentali. Il movimento si pro­ pagò con una rapidità sorprendente, poiché raggiunse contemporaneamente la Spagna, la Britannia e la Gallia, e si estese quindi all’Irlanda fin dall’inizio della sua conversione al Cristianesimo, per opera di san Patrizio.

Nei suoi tratti essenziali il monacheSimo occidentale non si distingueva da quello dell’Oriente, e i suoi mo­ nasteri più importanti, situati sulla Riviera, a Lerino e a 2 Confraternita sorta nel 1381 a Deventer (Olanda) per opera di Fiorenzo Radewijns di Leerdam, discepolo di Gerardo Groote, benemerita anche nel campo dell’educazione e dell’istruzione [N.d.T].

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Marsiglia e nelle isole del Mar Ligure, furono centri di influssi orientali. Ma fin dall’inizio possiamo scorgere indizi di un altro influsso che era destinato a socializza­ re l’ideale della vita monastica e a trasformarlo in una grande istituzione culturale. Il monacheSimo orientale aveva più d’un aspetto che ripugnava all’etica discipli­ nata e pratica della tradizione romana. Sant’Agostino nel De Opere Monachorum è esplicito nel condannare l’i­ pocrisia dei falsi asceti irsuti e dei monaci vaganti, che vivevano nella oziosità e sfruttavano la superstizione popolare. Eppure sant’Agostino, ch’era egli stesso mo­ naco e vescovo a un tempo, fu uno dei creatori della tradizione monastica occidentale. Difatti fu lui, più di qualsiasi altro, che contribuì a unire la vita del monaco a quella del prete, ciò che divenne in definitiva uno dei segni distintivi del monacheSimo occidentale3. La concezione agostiniana del monacheSimo, com’è descritta nei suoi sermoni (per es. 355 e 356), s’ispira di preferenza all’ideale di vita in comune praticata dalla Chiesa primitiva, piuttosto che all’intenso ascetismo dei monaci del deserto. E lo stesso è vero in gran parte per l’ideale di san Basilio, che divenne il modello classico del monacheSimo bizantino in Europa e in Asia Minore. Per san Basilio la natura socievole dell’uomo e la dottri­ na cristiana della vita comune del Corpo Mistico prova­ no che la vita in comunità è necessaria per raggiungere la perfezione e che perciò, anche se in via di principio, è superiore all’ascetismo solitario dell’eremita. La comunità monastica era una società cristiana au­ tosufficiente in tutte le sue attività, in quanto esisteva * Fr. Hertling ha scritto: «L’unione dell’ideale monastico con l’attività sacer­ dotale è una deliberata creazione personale di sant'Agostino, creazione che ri­ mane ancora viva e feconda» (Zeitschrift fur Christliche Theologie, 1930, p. 359). Ma dobbiamo ricordare che l’idea d’un monastero episcopale risale a sant’Eusebio di Vercelli, verso il 360.

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solo per scopi spirituali ed era governata fin nei più pic­ coli particolari da una regola di vita che sostituiva il co­ stume sociale e la legge laica. Era così una società libe­ ra, indipendente dal controllo esterno e basata sull’as­ sociazione volontaria. In Oriente questa indipendenza era meno completa a motivo della legislazione monasti­ ca di Giustiniano, che finì per aver valore di autorità ca­ nonica. E fu in parte per questa ragione che, nonostan­ te l’autorità di san Basilio, l’individualismo estremo de­ gli asceti solitari del deserto continuò a godere un così alto prestigio, e che i grandi centri della tradizione ascetica in Egitto e nella Mesopotamia nord-occidenta­ le (specialmente nella regione di Tur Abdin) divennero le guide della resistenza alla Chiesa imperiale, compro­ mettendo per conseguenza la loro appartenenza all’or­ todossia. In Occidente, invece, lo stato era troppo debole e troppo barbaro per tentare di esercitare la sua autorità sui monasteri. Qui i grandi legislatori del monacheSimo erano san Benedetto e san Gregorio Magno, non Giu­ stiniano. La regola di san Benedetto sta a indicare l’as­ similazione definitiva dell’istituzione monastica da par­ te dello spirito romano e della tradizione della Chiesa occidentale. La sua concezione della vita monastica è essenzialmente sociale e cooperativa, ideata come una disciplina della vita comune: «La scuola del servizio di Dio», come la chiama san Benedetto. Essa differisce dal­ le antiche regole per il suo carattere fortemente prati­ co, la sua regolamentazione dei dettagli della vita e del lavoro in comune e la sua preoccupazione dell’econo­ mia monastica. La regola vuole che «il monastero sia organizzato in modo che tutte le cose necessarie, come mulino ad acqua, orti e officine, debbano trovarsi nel recinto del monastero». Difatti l’abbazia benedettina era un organismo economico che bastava a se stesso, co-

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m e la «villa» di u n g ra n d e p ro p rie ta rio rom ano, con la differenza che gli stessi m onaci e ra n o operai, così che l’antico e classico contrasto tra lavoro servile e libero ozio n o n ebbe più luogo. T uttavia il p rim o dovere del m onaco e ra sem pre la celebrazione della p re g h ie ra li­ turgica e della salm odia, m in u tam en te regolata d a san B enedetto. Essa costituisce il servizio divino, col quale nien te deve in te rfe rire e che è il vero fine e la giustificazione della vita m onastica. Così in u n tem po senza sicurezza, in u n p erio d o di disordine e d i barbarie, la regola b enedettin a incarnò u n ideale di ordine spirituale e di attività m orale ben disciplinata che fece del m onastero u n ’oasi di pace in u n m o ndo straziato dalla guerra. È vero che le forze della barbarie furono sovente tro p p o forti p e r questo pacifico baluardo: la stessa M ontecassino fu d istru tta dai L ongobardi verso il 581 e i m onaci dovettero cer­ car rifugio a Roma. M a simili catastrofi n o n indeboliro­ no lo spirito della regola: al contrario, m isero i B ene­ d ettini in p iù stretto contatto con R om a e con san G re­ gorio, p e r mezzo del quale san B enedetto e la sua rego­ la acquistarono u n a risonanza m ondiale, e i suoi m ona­ ci in trap resero la loro nuova missione apostolica nel lontano O ccidente. A R om a la tradizione b en ed ettin a si com binò con la tradizione agostiniana del monacheSi­ m o ecclesiastico e con le tradizioni liturgiche dei m o n a­ steri rom ani, i quali e ra n o incaricati della recita dell’uf­ ficio, delle cerim onie liturgiche e della musica nelle g ran d i basiliche. Fu d u n q u e al tem p o di san G regorio, e so p rattu tto grazie alla sua influenza personale, che furo n o gettate le basi p e r u n a sintesi tra i vari elem enti del monacheSi­ m o occidentale secondo lo spirito della regola b en ed et­ tina, sotto la guida e l’a u to rità del papato. San G regorio e ra stato egli stesso m onaco, e fece p iù di tu tti i suoi

l’Opus Dei,

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predecessori p e r p ro m u o v ere e p ro teg g ere la causa del monacheSimo, persino contro l’au to rità dell’episcopa­ to, q u ando le circostanze lo ren d ev an o necessario. I n ­ nanzi tu tto egli si ren d ev a chiaram ente conto che l’isti­ tuzione m onastica e ra diventata u n organo essenziale p e r la Chiesa e la principale speranza p e r il fu tu ro d el­ la civiltà cristiana. È q u an to m ai significativo rilevare com e san G regorio, al quale n o n m ancava certo il senso della responsabilità sociale, dissuadesse deliberatam en­ te i suoi amici dal p re n d e re p arte agli affari pubblici, p o rta n d o com e motivo la prossim a fine del m ondo, e li consigliasse di cercare di p referen za la pace del chio­ stro, ove l’uom o diventa già partecipe dell’eternità, p erché così n o n si sarebbero trovati esposti alle ansietà e alle am bizioni tem porali, inseparabili dal servizio d el­ lo stato4. M a m en tre sulle rive del M editerraneo i monaci ab­ bandonavano la civiltà decad en te del m ondo antico, nel N o rd il monacheSimo diveniva p ro p ag ato re d ’u n a n u o ­ va cultura cristiana e u n m odello di vita cristiana p e r i popoli nuovi dell’O ccidente. Q uesto aspetto del monacheSimo occidentale si m a­ nifestò d ap p rim a tra i Celti. N on sappiam o quasi n ien ­ te circa le origini del monacheSimo in G ran B retagna; conosciamo soltanto la fondazione, fatta d a san Niniano, del m onastero di «C andida Casa» nel Galloway nel 397, che divenne u n cen tro di influsso cristiano, d a p ­ p rim a tra i Pitti e p iù tard i in Irlan d a. M a nei secoli iv e v il famoso Pelagio e ra u n m onaco venuto dalla Britan n ia e il suo principale discepolo, Celestio, era, a q u an to p are, d ’origine irlandese. Di più: Fausto di Riez, il p iù g ran d e e il p iù eru d ito dei prim i abati di Lerino, e ra u n b ritan n o , e senza dubbio è d a L erin o che pro-

4 Cfr. specialmente san Gregorio Magno, epist. VII, 26.

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v e n n e la tr a d iz io n e d o m in a n te d e l m o n a c h e S im o e d e l­ l a l i t u r g i a c e ltic a . C on la decadenza della vita civica in B ritan n ia e la scom parsa degli antichi cen tri rom ani, i m onaci p rese­ ro la direzione della C hiesa, m en tre in Irla n d a l’ele­ m en to m onastico ebbe fin dall’inizio il pred o m in io , e questo fu il tra tto caratteristico della nuova cu ltu ra cri­ stiana irlandese. San Patrizio n o n era u n m onaco, m a e ra fo rtem ente influenzato dal m onacheSim o ed ebbe contatti diretti con il g ra n d e centro del m onacheSim o gallico a Lerino. Egli stesso, divenuto vecchio, racconta nella sua com e desiderasse rito rn a re in Gallia «per visitare i suoi fratelli e p o te r vedere la faccia dei santi d el Signore». N o n vi è alcun dubbio che il m o n a­ cheSimo irlandese dati dal tem po in cui viveva san Pa­ trizio, poiché egli p a rla di «innum erevoli figli di Scoti e di figlie dei capi, che e ra n o diventati m onaci e vergini di Cristo». In Irla n d a n o n esisteva né la tradizione ro m a n a del­ la vita u rb a n a né quella d ’u n episcopato urb an o ; e ra d u n q u e natu rale che la C hiesa irlandese avesse le sue basi norm ali nei m onasteri, i quali diven n ero ra p id a ­ m en te assai nu m ero si e m olto popolati. U n a tradizione m edioevale vuole che san Patrizio abbia do m an d ato ai suoi fedeli la decim a p a rte della p opolazione delle te rre p e r i m onasteri. Q u a n tu n q u e si tra tti solo d ’u n a leg­ genda, è fuori dubbio che il monacheSim o irlandese, fin dagli inizi, fu u n g ran d e m ovim ento di m assa guidato dai figli e dalle figlie delle fam iglie d irigenti che aveva­ no fondato m onasteri, e furono im itati d a quelli del lo­ ro clan e dai loro vassalli. B enché la com unità m onastica, società tu tta d ed ita ad o p ere di pace, abbia ra p p re se n ta to il polo opposto, q u an to a pensiero ed azione, della com unità del clan che e ra u n a società di g u e rrie ri - tuttavia esisteva tra lo­

Confessione

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ro u n certo parallelism o. D a u n lato vediam o il capo del clan e la sua com pagnia di g u e rrie ri che h a n n o giurato d i seguirlo fino alla m orte; dall’altro ci sono l’abate e la sua com unità di m onaci che gli h a n n o prom esso obbe­ dienza p e r l’eternità. Da u n a p arte, etica di onore e di fedeltà con il culto dell’eroe; dall’altra, etica d i sacrificio e di santità con il culto d el santo e d el m artire. E anco­ ra: d a u n lato la trasm issione orale di poesia eroica, dal­ l’altro la tradizione lettera ria delle Sacre Scritture e d el­ le leggende dei santi. Q uesta somiglianza tra l’ideale p agano e l’ideale m o­ nastico h a fatto sì che gli u om ini passassero dall’u n o al­ l’altro p e r mezzo d ’u n a trasform azione p ro fo n d a delle loro credenze e d ei loro valori, senza tuttavia p e rd e re il contatto vitale con le loro vecchie tradizioni sociali, le quali si trovavano, in certa m aniera, trasferite su u n pian o più elevato, m a n o n d istru tte o p e rd u te . Così le fedeltà familiari e regionali si co n cen traro n o nel m o n a­ stero ereditario d el clan o d el reg n o , e l’abate divenne il capo di u n clan spirituale, la cui d ignità abbaziale si tra ­ sm etteva abitualm ente a u n congiunto del fondatore dell’abbazia5. T utto ciò aiuta a c o m p re n d e re l’attrazione che le isti­ tuzioni m onastiche esercitavano sulla società barbarica e so p rattu tto sui suoi d irigenti, e p erch é u n così g ran n u m ero d i uom ini e d o n n e di sangue reale si consacra­ ro n o alla vita del chiostro e p resero u n a p a rte attiva al­ la conversione del loro popolo. U om ini com e sant IIltyd, san Cadoc e san D avide nel paese d i Galles, san C olum ba, sant’E nda, san F inniano di C lonard in Irla n ­ da, i santi W ilfrido e B en ed etto Biscop, W illibrordo e

5 Cfr. P. Levison, England and thè Continent in thè Eighth Century (1946), pp. 2729, per la conoscenza di simili condizioni in Northumbria, specialmente riguar­ do alla consuetudine delle regine che diventavano badesse dopo la morte dei lo­ ro consorti.

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Bonifacio (W infrid in lingua germ anica), A ldelm o e Be­ ri.3 m In g h ilterra, svolsero u n ru o lo decisivo nella crea­ zione d ’u n a nuova civiltà cristiana, che ebbe inizio dapp rim a in queste isole e p en etrò , poco p e r volta, in tutta 1 E u ro p a occidentale, grazie alle sue fondazioni m ona­ stiche e allo zelo dei suoi apostoli e dei suoi educatori. In questo nuovo am biente il monacheSimo ebbe la ten d en za ad attribuirsi u n posto di p rim o piano come p ro m o to re della nuova civiltà, il che era contrario allo spirito prim itivo di esso. I m onaci si trovaro n o nella n e ­ cessità d ’istruire i loro catecum eni n o n solo nella d o ttri­ n a cristiana m a anche nel latino, che era la lingua sacra delle Scritture e della liturgia. Si videro obbligati ad in ­ segnare la lettura, la scrittura e tu tte le a rti e scienze n e ­ cessarie al prestigio della C hiesa e alla conservazione ella liturgia, com e la calligrafia, la p ittu ra, la musica e so p rattu tto la cronologia e la conoscenza del calenda­ rio, che, p e r la cu ltu ra liturgica dell’Alto M edioevo, aveva^ ° u n im portanza analoga a quella già avuta n ell’a n ­ tichità presso le civiltà rituali arcaiche. Si form ò u n a civiltà cristiana che aveva p e r suo cen­ tro i m onasteri e che p en etrò nella Chiesa e nella vita p o p o lare sotto l’influsso della religione e dell’educazio­ ne. N on si trattava p iù di conquistatori b arb ari sotto­ messi alla religione e alla civiltà del popolo conquistato, com ’e ra avvenuto p e r i Franchi e p e r i Goti; si trattava invece di u n a creazione nuova, p ro d o tta dall’innesto delle tradizioni cristiane e latine sul ceppo barbarico del paese, che le assimilò com pletam ente. L a nuova cul­ tu ra , così o ttenuta, trovò la sua espressione intellettuae nelle nuove lettera tu re in lingua volgare, che fecero la loro p rim a com parsa in Irla n d a e in In g h ilterra. La vecchia tradizione orale di fatti eroici si perfezionò in fo rm a e in espressione, come nei canti di Beow ulf e di W idsith, m en tre la nuova poesia cristiana fece uso delle 68

vecchie im m agini eroiche, come vediam o p e r esem pio nei poem i e La forza del nuovo m ovim ento m onastico occidenta­ le era dovuta n o n soltanto al suo ascendente sui re e i nobili del re g n o barbarico, m a anche all’attrazione esercitata sul popolo, ciò che fece p e n e tra re il Cristia­ nesim o nel cuore della società ru rale. U n m onastero e ra u n a istituzione in d ip e n d e n te dalle organizzazioni u rb a n e dell’im p ero e capace di div en tare il centro spi­ ritu ale ed econom ico d ’u n a popolazione p u ra m e n te cam pagnola. Con la sua santificazione del lavoro e d el­ la povertà, il m onacheSim o sconvolse a d u n tem po il si­ stem a dei valori sociali che avevano governato la società schiavistica dell’im p ero e il sistema espresso nell’etica aristocratica e g u e rrie ra dei conquistatori barbari, così che il contadino, rim asto p e r sì lu n g o tem p o la base d i­ sprezzata di tu tto l’edificio sociale, vide il suo m odo d ’e ­ sistenza riconosciuto e messo in o n o re dalla p iù g ran d e au to rità spirituale d el tem po. San G regorio stesso, la cui p erso n a rap p resen tav a le tradizioni dell’aristocrazia senatoriale e dei g ran d i p ro p rie ta ri ro m an i, ci d à nei u n q u a d ro p ien o di sim patia p e r la vita r u ­ suoi rale d el monacheSim o italiano con tem p o ran eo , come q u an d o descrive l’abate Equizio che viaggiava attrav er­ so tu tto il paese in seg n an d o e p red ican d o e che, essen­ d o chiam ato a re n d e r conto della sua m issione, si p re ­ sentò davanti agli inviati del p ap a in abito d a contadi­ no, con scarpe dai grossi chiodi e reg g en d o la falce con la quale aveva fin a quel m o m en to tagliato il fieno6. Q uesti m onaci italiani eran o sovente essi stessi di o ri­ gine contadina, com e san t’O n o rato , che fondò il g ra n ­ d e m onastero di Fondi con i suoi duecen to monaci, benché egli fosse di um ile nascita. N ell’E u ro p a d el

Dream of thè Rood Andreas.

Dialoghi

6 San Gregorio Magno, Dialoghi, I, IV.

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N ord, le condizioni sociali eran o differenti: com e ho già detto, ì capi del monacheSim o celtico e sassone fu ro n o presi dalla classe d irig en te della società barbarica; m a n o n p e r questo resero m eno o n o re alla sem plicità della vita e al valore del lavoro m anuale. Per lo spirito mod ern o , il tratto p iù caratteristico del m onacheSimo cel­ tico e il suo rigoroso ascetismo che lo avvicina all’ideale di vita degli anacoreti egiziani p iù che allo spirito b en e­ dettino. Tuttavia l’agricoltura e ra ben lung i dall’essere trascurata. A questo rigu ard o , niente resp ira m aggior sem plicità e b u o n senso, q u an to queste rig h e di san M olua sulla base m ateriale della vita m onastica: «Caris­ simi fratelli, diceva egli, coltivate la te rra e lavorate te­ nacem ente, affinché possiate avere a sufficienza n u tri­ m ento, bevanda e vestiti. Q u an d o i servi di Dio h an n o il necessario, allora c’è anche la stabilità, e q u an d o c’è stabilita nel servizio vi è p u re la vita religiosa. E lo sco­ po della vita religiosa è la vita eterna»7. Fu la fatica disciplinata e incessante dei m onaci che arresto la m arcia della b arbarie nell’E u ro p a occidenta­ l i ; C j rCSe di nuovo alla coltura te rre che eran o state ab bandonate e spopolate al tem po delle invasioni. In u n passo assai conosciuto sulla m issione di san B ene­ detto, N ew m an scrive che il santo «trovò il m o ndo so­ ciale e m ateriale in rovina, e la sua m issione fu di ri­ m etterlo in sesto, n o n con m etodi scientifici, m a con mezzi naturali, n o n accanendovisi con la pretesa di far­ lo en tro u n tem po determ in ato o facendo uso d ’u n ri­ m edio straordinario o p e r m ezzo di g ran d i gesta; m a in m odo cosi calmo, paziente, graduale, che ben sovente si ignoro questo lavoro fino al m om ento in cui lo si trovò im ito. Si trattò di u n a restaurazione più che di u n ’o pe­

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ra caritatevole, di u n a correzione o d ’u n a conversione. Il nuovo edificio, ch’esso aiutò a far nascere, fu più u n a crescita che u n a costruzione. U om ini silenziosi si vede­ vano nella cam pagna o si scorgevano nella foresta, sca­ vando, sterran d o e co stru en d o , e altri uom ini silenzio­ si, che n o n si vedevano, stavano seduti nel fred d o del chiostro, affaticando i loro occhi e co n cen tran d o la loro m en te p e r copiare e ricopiare penosam ente i m an o ­ scritti eh’essi avevano salvato. N essuno di loro p ro testa­ va, nessuno si lam entava, nessuno attirava l’attenzione su ciò che si faceva; m a poco p e r volta i boschi paludosi divenivano erem itaggio, casa religiosa, masseria, abba­ zia, villaggio, sem inario, scuola e infine città»8. T utto ciò è vero p e r il m onacheSimo b enedettino; m a n o n lo è m eno p e r quello celtico. Anzi, se si tiene conto d i certi aspetti, p e r q u est’ultim o fu ancor p iù vero, poi­ ché fu ro n o i m onaci irlandesi che contribuirono m ag­ giorm ente a creare la tradizione dell’erudizione m o n a­ stica e dell’attività pedagogica, d u ra n te l’oscuro p erio ­ do che seguì la decadenza dell’im p ero bizantino, d o p o la m o rte di G iustiniano (565). Le cause di questo nuovo m ovim ento, in quel lo n tan o paese d ’O ccidente, sono com plesse, m a la più im p o rtan te, com e h o già detto, fu sicuram ente il carattere esotico della nuova civiltà cri­ stiana d ’Irlan d a. Il latino e ra la lingua sacra della litu r­ gia e delle Scritture, che ogni m onaco doveva conosce­ re e che poteva esser conosciuta solo p e r m ezzo dei libri e con lo studio ap p ro fo n d ito dei testi e della gram m ati­ ca. O ra, in Irlan d a, questo nuovo sapere doveva e n tra ­ re p e r forza in concorrenza con u n sistema assai antico e m olto com plicato di cu ltu ra e d ’istruzione locale. Tale sistem a era stato trasm esso d a secoli, p e r il tram ite del­ la corporazione sacra dei veggenti e dei b ard i i

(filici),

81.H. Newman, Historiccd Studies, II.

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quali occupavano u n posto assai im p o rtan te nella so­ cietà irlandese. I ra p p re se n ta n ti della nuov a civiltà non potevano trionfare dei loro rivali che affrontandoli sul loro stesso te rre n o , cioè in q u an to eru d iti e d eten to ri della parola sacra. E ra d u n q u e n atu rale e inevitabile che il monacheSimo irlandese acquistasse m olte caratte­ ristiche della vecchia erudizione locale e che i m onaste­ ri diventassero n o n solo d im ore di p re g h ie ra e d ’asceti­ smo, ma anche scuole e centri di sapere. Così, tra p ia n ta ta in Irla n d a e nel paese di Galles, la cu ltu ra latina del m onacheSimo celtico died e b en p re ­ sto origine a u n a nuova tradizione letteraria. È difficile stabilire u n a distinzione tra gli elem enti continentali e quelli insulari in questa nuova cultura, p erch é esiste u n a affinità sicura tra le eccentricità dei reto ri galli del p erio do decadente, com e Virgilio M arone ) di Tolosa, e la prolissità straord in aria della latinità che era così altam ente am m irata nei m onasteri d ’In g h ilter­ ra e d ’Irlanda. A prim a vista le p retese eru d ite di questi monaci, m aestri di scuola, contrastano in m odo assai sfavorevo­ le con la «lucidità e la discrezione» di san B enedetto, e p ersino con l’onesto basso latino di G regorio di Tours. Ma questa esuberanza è indice d ’u n a cu ltu ra giovane, p iù che di pedantism o di decadenza, e h a anche p ro ­ d o tto opere p ien e di forza e im m aginazione, come il notevole poem a attribuito a san Colum ba. Si h a n n o buone ragioni p e r s u p p o rre che questo sia il più antico m on u m en to della cu ltu ra scozzese, ed è sor­ p re n d e n te che no n sia m aggiorm ente conosciuto. N o­ nostante il suo latino barbaro, e u n ’o p e ra di genio che intro d uce u n tono nuovo nella lettera tu ra eu ropea. Il p o eta s ispira a u n a visione apocalittica della fine p ro s­ sima di tutte le cose, idea che, com e ho d etto nel capi­ tolo p recedente, è u n a caratteristica di questo tem po. I

(grammaticus

Altus prosator,

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passi che trattan o d irettam en te questo tem a fanno uso di tu tte le nuove risorse del ritm o, dell’assonanza, del­ l’allitterazione e della ripetizione, e intensificano, con u n a forza straordinaria, il sentim ento d ’im m inenza e di inesorabilità. «Regis regum rectissimi prope est dies domini dies irae et vindictae, tenebrarum et nebulae, diesque mirabilium tonitruorum fortium, dies quoque angustiae maeroris ac tristitiae, in quo cessabit mulierum amor ac desiderium, hominum contendo mundi huius et cupido.»9

Q uesto poem a ci aiuta a co m p ren d ere lo spirito austero e intransigente del monacheSimo celtico. Le guide di questo m ovim ento, com e san Colom bano e san Colum ­ b a stesso, concepivano la loro m issione nello spirito dei profeti dell’Antico Testam ento, i quali eran o posti al di so p ra delle nazioni e dei reg n i «per strap p are e distrug­ gere, p e r costruire e piantare». Il principio dell’autorità spirituale del C ristianesim o celtico risiedeva nelle attri­ buzioni divine dei santi, p iù che nella giurisdizione d ’u ­ n a gerarchia ecclesiastica. U n g ran santo o p erato re di m iracoli, come san Colum ba, attirava discepoli e creava u n centro di forza spirituale che s’irradiava in fondazio­ ni m onastiche, fedeli al loro santo p atro n o anche dopo la sua m orte. Così si form ava la del santo, che assai sovente teneva il posto della diocesi te r­ ritoriale del m ondo latino e bizantino. In Irlan d a, l’abate e n o n il vescovo era la vera sor-

familia o paroechia

9 Irish Liber Hymnorum, Bernard and Atkinson (a cura di), 1891, voi. I, 66. «È vicino il giorno del Signore, re dei re giustissimo, giorno di collera e di vendet­ ta, di tenebrose nuvole e di spaventosi rombi di tuoni, giorno anche d’angustia, di dolore e di tristezza, in cui cesseranno l’amore e il desiderio delle donne, la cupidigia degli uomini e la contesa di questo mondo.»

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g en te dell’autorità; anzi sovente il vescovo n o n e ra che il semplice m em bro d ’u n a com unità dalla quale d ip e n ­ deva. Possedeva il p o tere di conferire gli o rd in i sacri, m a n o n aveva alcuna giurisdizione territoriale, n é a u to ­ rità gerarchica. Q ueste g ran d i famiglie m onastiche, con le loro centinaia di m onaci e di clienti, i lo ro fabbricati dissem inati su vaste estensioni e la loro com pleta indip en d en za d a ogni au to rità esterna, rassom igliavano p iù agli o rd in i religiosi del ta rd o M edioevo che ai prim i ti­ pi di m onasteri b en ed ettin i e, com e vediam o nei piace­ voli possedevano già u n g ra n ­ d e sentim ento di lealtà verso il p ro p rio o rd in e e di fe­ deltà alla regola im posta d al loro fondatore.

Versiculi Familie Benchuir,

«Benchuir bona regula Recta atque divina, Stricta, sancta, sedula Summa, justa et mira. Navis nunquam turbata Quamvis fluctibus tonsa, Nuptiis quoque parata Regi domino sponsa. Certe civitas firma, Fortis atque munita, Gloriosa ac digna, Supra montem posita»10.

L a trasform azione nella base sociale della civiltà cristia­ n a si m anifesta in tanti m odi diversi, di cui alcuni e ran o destinati a fissare p e r sem pre la vita e l’organizzazione

10 The Antiphonary of Bangor, F.E. Warren (a cura di), II, 28. «La regola di Bangor è buona, retta, divina, severa, santa, prudente, eccelsa, giusta e mirabi­ le. Nave non mai abitata, quantunque scossa dai flutti: ornata come sposa per le nozze col Re, suo Signore... È veramente una città sicura, forte e ben difesa, glo­ riosa e bella, posta sulla collina.»

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di tu tta la Chiesa d ’O ccidente. Il p iù ragguardevole esem pio lo abbiam o nel cam biam ento del sistema di di­ sciplina m orale, che sostituì, con la pratica della p en i­ tenza privata, l’antica tradizione canonica della p en i­ tenza pubblica, che era stata caratteristica della Chiesa latina. L’antico principio si fondava sull’idea che i pec­ cati commessi pubblicam ente esigevano u n a riparazio­ n e offerta alla Chiesa in pubblico. La penitenza im pli­ cava u n a sospensione tem p o ra n ea della qualità di m em bro della com unità cristiana, seguita d a u n a ricon­ ciliazione pubblica del p en iten te con la Chiesa, nella p erso n a del vescovo. N elle Chiese celtiche invece la pratica della p en iten ­ za seguiva l’uso m onastico, secondo il quale ogni infra­ zione alla regola o alla legge m orale veniva espiata con u n a penitenza ap p ro p riata, fissata dall’abate o dal con­ fessore. Così si costituirono quei codici penali complica­ ti, conosciuti sotto il nom e d i «Penitenziali», in cui è in­ dicata m inuziosam ente la p en iten za esatta, corrispon­ d e n te a tutti i peccati possibili. Q uesti Penitenziali h a n ­ n o u n ’analogia strettissim a con i codici legali barbarici, i quali fissano il prezzo esatto delle am m en d e e delle punizioni, p e r le diverse classi d ’individui e i differenti delitti o colpe; p ro p rio com e il vecchio sistema di disci­ p lin a canonica offre u n a g ra n d e rassom iglianza con le tradizioni classiche del m o n d o rom ano. N on è d u nque so rp ren d en te che i Penitenziali celtici siano stati libera­ m en te accettati d a società che avevano seguito la legge barbarica, sia nella B ritan n ia anglosassone come nel continente. I famosi Penitenziali attribuiti a Teodoro di C an terb u ry e ad E gberto d i York, fanno fede dell’ad o ­ zione del sistema celtico e del suo ad attam ento alla si­ tuazione generale della Chiesa occidentale n ei paesi del N o rd recentem ente convertiti. M a il p iù g ran d e servizio reso dai m onaci irlandesi

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alla C ristianità occidentale fu il nuovo m ovim ento d ’a­ postolato che tanto contribuì a d iffondere il Cristianesi­ m o e a rim ettere in on o re la vita m onastica attraverso l’E u ropa nei secoli v i i e vili. L a forza d ’im pulso in questo m ovim ento fu all’inizio u n ideale ascetico d i pellegrinaggio, che popolò di m onaci e di erem iti le isole dei m ari nordici, fino alle Faerper e all’Islanda. Q uelli che si diressero verso Est, in G ran B retagna e sul continente, u n iro n o a questo m otivo mistico u n o spirito in tra p re n ­ d en te d ’attività m issionaria. Così il m onastero d i san C olum ba a J o n a divenne il centro dell’evangelizzazione della Scozia e della B ritannia del n o rd , e il viaggio di san C olom bano sul continente segnò il p u n to d i p a r­ tenza d ’u n m ovim ento di riform a m onastica che si este­ se d a A nnegray e L uxeuil in B orgogna al lago di Co­ stanza, p e r finire a Bobbio, presso Piacenza, in Italia. San C olom bano fu forse la p ersonalità p iù dinam ica della Chiesa celtica, e p e r mezzo suo e dei suoi discepo­ li il monacheSimo irlandese com inciò a influire forte­ m en te sulla civiltà continentale. Egli trasfuse u n a n u o ­ va vita al m onacheSim o decad en te dell’ultim o p eriodo m erovingio, e quasi tutti i g ran d i fo n d ato ri di m onaste­ ri e i m issionari del secolo v i i , a d eccezione di san t’Am ando, fu ro n o suoi discepoli o ered i della sua tradizio­ n e e della sua regola. Tali fu ro n o san Gallo (t 640), san W andrille (t 668), san A udoeno [O uen] (610-684), san Filiberto (608-684), santa Fara o B u rgondofara (f 657), san A udom aro [O m er] (c. 670), san B ertino (f 709), san Valéry (f 622), san R om arico (f 653), e u o m in i e d o n n e i cui nom i sono scritti sulle carte d ’E uropa, com e lo so­ no i nom i dei p rincipi tedeschi dell’O ttocento e quelli dei com m issari russi del nostro tem po.

Christo,

peregrinarteli prò

Il monacheSimo che ne derivò non fu tuttavia di tipo puramente celtico. La regola di san Colombano era 76

troppo severa per diventare il modello normale della vita religiosa nell’Europa continentale. Poco per volta essa venne temperata dall’influsso della regola bene­ dettina, in modo che la pratica di queste due regole riu­ nite divenne caratteristica del monacheSimo gallo-ir­ landese nel secolo vii. In questo modo la regola bene­ dettina cominciò ad essere conosciuta e seguita ovun­ que in Gallia, perché permetteva una via media ideale tra l’ascetismo sovrumano del monacheSimo celtico e la molteplicità caotica di regole e di pratiche indipenden­ ti, molto in onore nella Gallia merovingia. Fu nella B ritannia anglosassone, d u ra n te questo stes­ so p eriodo, che 1’in co n tro delle d u e tradizioni m onasti­ che esercitò il più p ro fo n d o e il p iù durevole influsso sulla civiltà occidentale. Q ui, com e in Irlan d a, u n a n u o ­ va tradizione cristiana fu in tro d o tta in u n paese b arb a­ rico, grazie all’o p era di m onaci m issionari e d i scuole m onastiche. M a nella B ritannia anglosassone, co n trariam en te a ciò che accadde in Irla n d a , la tradizione cristiana non fu il p ro d o tto diretto della società locale, e n ep p u re, co­ m e in Gallia, il risultato di sparsi influssi celtici e bene­ dettini che si m escolarono alle tradizioni già esistenti di u n ’antica società cristiana. L a conversione degli Anglosassoni fu dovuta alla d ire tta iniziativa di san G regorio M agno, che inviò sant’Agostino e i suoi com pagni, dal centro della C ristianità latina e del m onacheSimo b ene­ dettino, al reg n o J u to del K ent (596-597), m en tre, d ’al­ tra p arte, la N o rth u m b ria veniva convertita principal­ m ente p e r o p era dei m onaci irlandesi di Jo n a, che fon­ d aro n o il m onastero dell’isola di Lindisfarne nel 634. Così i d u e m ovim enti m onastici si trovarono di fronte nella loro form a p iù p u ra e l’antagonism o divenne in e­ vitabile. L’u rto avvenne in N o rth u m b ria, ove la tradizione ro-

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m an a aveva trovato ad eren ti entusiasti tra u n g ru p p o di giovani diretto da san W ilfrido (634-709) e d a san B enedetto Biscop (628-690), m e n tre la tradizione celti­ ca e ra sostenuta dall’abbazia di L indisfarne e dalla cor­ te di N orthum bria. San W ilfrido era u n uo m o di e n e r­ gia straordinaria e di volontà im periosa, la cui lunga vi­ ta fu u n seguito continuo di conflitti e di esili. E benché sia riuscito in ciò ch’era il suo scopo principale, cioè in ­ d u rre i N o rth u m b ri ad accettare la disciplina e l’au to ­ rità di Roma e ad ab b an d o n are la causa di J o n a e le co­ stum anze celtiche, n o n ebbe successo nell’altro suo te n ­ tativo di riorganizzare le diocesi di N o rth u m b ria su ba­ si strettam ente canoniche. Q uesto potè essere attuato solo nel 668, p e r o p e ra della m issione ro m a n a di C an­ terb u ry guidata da T eodoro di Tarso, u n p rofugo dai territo ri orientali dell’im pero bizantino di recente occu­ pati dai M usulm ani. D u ran te il suo lungo episcopato (669-690) T eodoro riorganizzò in teram en te la Chiesa anglosassone, stabilendo il sistema canonico occidenta­ le di diocesi territoriali, di sinodi annuali e d i giurisdi­ zione episcopale, senza inco n trare seria opposizione da p a rte dei vescovi e dei m onasteri di tradizione celtica. Egli fu u n uom o di cu ltu ra elevata, e, assistito da A driano, u n abate italiano di origine africana, fece di C an terbury u n centro di erudizione che rivaleggiò con le g ran d i scuole m onastiche d ’Irlanda. Possediam o u n a testim onianza contem p o ran ea del prestigio di questa nuova scuola, nella lettera scritta d a sant’A ldelm o (egli stesso educato nelle d u e tradizioni, celtica e ben ed etti­ na) a Eafrido, u n m onaco che era ap p e n a rito rn ato dall’Irla n d a ove aveva studiato p e r sei a n n i11. Verso lo stesso tem po fu creato in N o rth u m b ria u n

/cn‘‘ lo ,si Può (orse identificare con Eadfrido, abate di Lindisfarne (098-721), al quale si attribuiscono gli Evangeliarii di Lindisfarne.

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altro cen tro di cu ltu ra assai elevata, che si rivelò ancor p iù im p o rtan te della scuola di C anterbury. Sorse p e r iniziativa di W ilfrido e di B enedetto Biscop, che stabili­ ro n o i loro m onasteri a R ipon, a H ex h am , a W earm o u th e a Jarrow , p erch é fossero a u n tem po colonie di c u ltu ra latina tra i b a rb a ri nordici e roccheforti dell’o r­ d in e ro m a n o contro il particolarism o celtico. B en ed etto Biscop, in particolare, si consacrò allo svi­ lu p p o dell’arte e della scienza religiosa. Aveva fatto il suo noviziato a L erino, l’antica capitale del monacheSi­ m o occidentale, e dai suoi rip e tu ti viaggi a Rom a e in Gallia p o rtò in In g h ilte rra u n a g ra n q u an tità di m an o ­ scritti, p ittu re, reliquie e p aram en ti, assieme a m u rato ­ ri, vetrai e cantori p e r l’abbellim ento e il servizio della Chiesa. Infine, nel 678, rito rn ò d a R om a accom pagna­ to d al capo cantore d i S. Pietro e dall’abate di u n o dei m onasteri basiliani di Rom a, il quale fu legato papale n el Concilio di H eathfield nel 680 e poi trascorse d u e o tre an n i a istruire i m onaci di N o rth u m b ria nella m usi­ ca d el canto ferm o e n ell’o rd in e an n u ale della liturgia ro m a n a 12. L a creazione di questo focolare d ’intensa cu ltu ra lati­ n a m onastica fu della p iù g ran d e im portanza, perché rim ase in d iretto contatto con L indisfarne, il centro principale della cu ltu ra m onastica celtica in B ritannia, e così le d u e tradizioni p o tero n o influenzarsi e stim o­ larsi a vicenda. Q uesto fece sì che la cu ltu ra anglosasso­ ne, e fors’anche la cu ltu ra m onastica occidentale delraggiungessero il loro apogeo agli inizi del secolo vili, in N o rth u m b ria. L’im m ensa erudizione let-

YEtà oscura,

12 II capitolo che Beda consacra a questa missione dell’abate Giovanni mo­ stra l’immensa importanza che il canto liturgico aveva nella cultura monastica. Anche in questo la Cristianità medioevale si modella sulle antiche culture ri­ tuali e sulla dottrina della musica sacra che si trovano esposte nel Libro dei Ri­ ti cinese e nelle Leggi di Platone.

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teraria e patristica di B eda il Venerabile sta a testi­ m oniare la vitalità dell’elem ento latino, m en tre l’arte delle croci in p ietra dell’Anglia rivela influssi siriani o m editerraneo-orientali. D ’altra p a rte la calligrafia degli Evangeliarii di L indisfarne e l’evoluzione della scrittura insulare p resentano u n a m escolanza d ’influssi celtici e latini; m en tre la le tte ra tu ra in lingua vernacola, che fe­ ce la sua prim a com parsa e raggiunse la sua m aggior perfezione in questo periodo, dim ostra che la nuova cu ltu ra letteraria era capace di assim ilare e conservare le tradizioni epiche dell’antica poesia eroica dei barb ari Teutoni. Q uesta ricca e svariata cu ltu ra di N o rth u m b ria ebbe u n a fine p rem atu ra, com e la parallela cultu ra m onasti­ ca dell’Irla n d a cristiana prim itiva, a causa delle invasio­ ni dei Vikinghi nel IX secolo. M a prim a di sparire era riuscita a im piantare sul continente il germ e d i u n a g ran d e rinascita di vita religiosa e di cu ltu ra cristiana Ciò avvenne so p rattu tto p e r m erito di d u e m onaci anglosassoni: san Bonifacio di C rediton, l’apostolo d el­ la G erm ania (675-753), e A lcuino di York, il consigliere di C arlo M agno (730-804), i p a d ri spirituali della cu ltu ­ ra carolingia. Q u an d o Bonifacio intrap rese la sua m is­ sione, la religione e la cu ltu ra nel regno franco si trova­ vano in un o stato di decadenza, e la m area vittoriosa dell’invasione islamica si riversava im petuosa sui paesi cristiani del N ord Africa e dell’O ccidente m ed iterra­ neo. Nel 720 i Saraceni eran o p en etrati fino a N arbona, e negli anni seguenti antichi centri di cu ltu ra m onastica nella Gallia m eridionale, come L erino, venivano d a lo­ ro saccheggiati. Persino Luxeuil, la culla della tradizio­ ne di san C olom bano in B orgogna, fu vittim a delle raz­ zie arabe. D ’altra p a rte C arlo M artello, colui che a rre ­ stò l’avanzata araba a Poitiers nel 732, no n era p e r la Chiesa u n pericolo m en o grave, a m otivo del sistem ati­ si)

co sfruttam ento e dell’espropriazione in massa d a lui praticata a d a n n o dei vescovadi e dei m onasteri p e r provvedere di ren d ite e di feudi i suoi guerrieri. L a creazione di u n nuovo b alu ard o di civiltà cristiana sul lato n o rd della Cristianità, d o v u ta a san Bonifacio e ai suoi com pagni anglosassoni, ebbe u n ’im portanza m orale che sorpassò di g ra n lu n g a i suoi risultati m ate­ riali. A p rim a vista, po treb b e sem b rare che la conver­ sione di poche trib ù d i b arb ari g erm an i dell’Assia, della Sassonia e della Frisia dovesse costituire u n a ben m agra conquista in confronto alle p e rd ite subite dalla Cristia­ nità negli antichi te rrito ri civilizzati dell’Africa e della Spagna, le cui Chiese avevano svolto fino ad allora u n ’attività di p rim o p ian o nello sviluppo della vita e del pensiero cristiano in O ccidente. M a, nonostante le a p ­ parenze, l’o p era d i san Bonifacio si rivelò assai più im ­ p o rta n te di qualsiasi altro fattore n el p o rre le basi della C ristianità m edioevale. L a sua m issione in G erm ania n o n fu u n ’avventura spirituale isolata, come l’o p era dei suoi predecessori irlandesi. Essa fece p arte d ’u n vasto p ro g ram m a di ricostruzione e di riform a, concertato con tu tta la m etodicità e abilità della tradizione ro m a­ na. Q uesto p ro g ram m a com prendeva u n a triplice al­ leanza tra i m issionari anglosassoni, il p ap ato e i succes­ sori di Carlo M artello, sovrani del reg n o franco, dai quali dovevano in definitiva uscire l’im pero di C ar­ lo M agno e la cu ltu ra carolingia. Le relazioni dirette e personali di san Bonifacio con Rom a, in q uanto legato apostolico p e r la G erm ania, gli perm isero di vincere le ten d en ze centrifughe della tradizione celtica, ch’era a n ­ cor forte sul continente, e d ’im p ed ire all’episcopato gallico locale qualsiasi in terferen za nel suo lavoro. C o n tem p o ran eam en te all’o p e ra di diffusione della cu ltu ra cristiana in G erm ania, egli si assicurò il concor­ so dei figli di Carlo M artello, Pipino e C arlom anno, e se

defacto

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n e servì p e r a ttu a re il suo vasto p ro g ra m m a di riform a ecclesiastica della Chiesa franca, in u n a serie di concili che si ten n ero tra il 740 e il 747. Q u est’alleanza tra il p artito di riform a e la nuova m o­ n arch ia fu sigillata dalla solenne consacrazione religio­ sa d i Pipino a re dei Franchi, fatta dallo stesso Bonifacio a Soissons nel 752, cerim onia che fu rip e tu ta dal p a p a Stefano II e san Dionigi nel 754, quasi p e r accentuare l’im p o rtanza dell’atto, che sta difatti a indicare l’inizio di u n ’e ra nuova nella storia occidentale. N iente di tu tto questo sarebbe stato possibile senza l’aiu to dei m onaci e d ei m issionari anglosassoni. T u tta l’o p e ra di san Bonifacio si basa effettivam ente sulle sue fondazioni m onastiche (soprattutto Fulda, 744) che fu­ ro n o i centri di cu ltu ra cristiana e d i attività m issionaria n ei territo ri convertiti di recente. In queste colonie anglosassoni il nuovo tipo di civiltà cristiana, sviluppatosi in N o rth u m b ria nel v ii secolo, v en n e adattato e trasm esso ai popoli germ anici del co n ­ tin en te, e in questi cen tri venne p u re form ata la nuova g enerazione che fornì il personale p e r la rieducazione e la direzione della C hiesa franca. L e nuove fondazioni si susseguirono ra p id a m e n te d u ra n te i successivi cin­ q u a n ta o cent’anni: S. Gallo in Svizzera (c. 750), H ersfeld, fondata n el 769 da san Lullo, successore di san Bonifacio, B en ed ik tb eu ern e T egernsee in Baviera (740 e 757), K rem sm unster in A ustria (777), L orsch in Assia (764), Korvey (N uova Corbie) in Sassonia (822); tutti questi m onasteri furono, com e Fulda, cen tri di attività m issionaria, di cu ltu ra intellettuale e di progresso m a­ teriale n o n solo p e r la G erm ania, m a an ch e p e r le re ­ gioni lim itrofe del N o rd e dell’Est. Possiamo farci u n ’id ea della vasta p ro p o rzio n e di queste fondazioni m onastiche esam inando il piano b e n n o to di u n ’abbazia, fatto a S. Gallo verso l’anno 820.

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N on si tra tta p iù della semplice com unità religiosa, p re ­ vista dall’antica regola m onastica, m a di u n vasto com ­ plesso di edifici: chiese, officine, magazzini, uffici, scuo­ le, ospizi, destinati ad alloggiare u n ’in tera popolazione di d ip en d en ti, di operai e di servi, alla stregua delle città-tem pio dell’antichità. Il m onastero infatti aveva preso il posto della m o rib o n d a città ed era destinato a rim an e re il cen tro della civiltà m edioevale fino al sorge­ re d el nuovo tipo di città com unale, nei secoli xi e xii. I n queste condizioni, n o n ci deve so rp ren d ere che l’in te ra cu ltu ra carolingia abbia avuto u n carattere m o­ nastico. Fu infatti d u ra n te il p erio d o carolingio che la regola b en ed ettin a v en n e definitivam ente stabilita co­ m e n o rm a universale di vita religiosa in Occidente. I g ran d i m onasteri fu ro n o i centri culturali dell’im pero carolingio, e fu in virtù d el loro appoggio che Carlo e suo figlio, Ludovico il Pio, p o tero n o realizzare i loro ambiziosi p rogetti d i riform a ecclesiastica e liturgica, che contribuirono in così larga m isura a creare quell’u ­ nificazione di spirito e di form a p ro p ria della Cristia­ nità occidentale. B enché la stru ttu ra politica dell’im pe­ ro sia d u rata m eno d i cent’anni, la sua o p era di unifica­ zione culturale e religiosa rim ase la base p erm an en te di tu tti gli sviluppi m edioevali posteriori. Nel caso della li­ turgia possiam o vedere chiaram ente fino a che p u n to l’età carolingia riuscì a d eterm in are le orm e della cultu­ ra m edioevale, p erch é la riform a liturgica im posta da Carlo M agno indusse ad ad o ttare u n rito com une a tu t­ ta l’E u ro p a occidentale. Il rito rom ano, com ’era cono­ sciuto nel M edioevo, e ra in realtà il rito ufficialmente autorizzato dall’im pero carolingio, e rap p resen ta la fu­ sione di elem enti ro m a n i e gallicani, frutto della revi­ sione dei libri liturgici fatta d a Alcuino e dai suoi colla­ boratori. In questo, come in m olti altri casi, la cultura m ona-

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stica d ell’im pero carolingio seguì l’esem pio lasciato d al­ la fiorente m a effim era cu ltu ra cristiana d i N o rth u m bria tra il 650 e il 750, della quale Bonifacio e Alcuino fu ro n o gli e re d i e i continuatori. Sul continente la rinascita culturale trovò in C arlo M agno un p ro te tto re , che era abbastanza perspicace p e r co m p re n d e re le sue possibilità e che possedeva il p o tere necessario p e r realizzarle. N on solo egli chiam ò alla sua corte gli uom ini p iù e ru d iti del suo tem po, fa­ cendoli venire d a ogni p a rte dell’E u ro p a occidentale, dall’Italia e dalla Spagna, dalla B ritannia e dall’Irlan d a; m a seppe anche a ttu a re u n p ro g ram m a sistematico p e r la riform a dell’istruzione ecclesiastica. Pochi sovrani h a n n o avuto u n a p iù chiara coscienza dell’im p o rtan za dell’istruzione e u n a m aggiore cu ra p e r la diffusione della letteratu ra, di quella che si rivela nella legislazio­ ne e nella co rrisp o n d en za di C arlo M agno. Nella scuo­ la di palazzo, d ire tta da Alcuino, l’ultim o g ra n d e ra p ­ p resen tan te della cu ltu ra di N o rth u m b ria, e nell’am ­ bien te di corte a lui più vicino, C arlo M agno stabilì u n cen tro di studi superiori, ove p e r la p rim a volta nel M e­ dioevo gli e ru d iti e i nobili, i laici e gli ecclesiastici s’in ­ contravano su u n te rre n o com une d ’um anesim o lette­ rario e di discussione razionale. In tu tto questo vi era lo scopo deliberato di creare o restau rare u n a cu ltu ra latina e cristiana, la quale avreb­ be dovuto essere il possesso spirituale com une del n u o ­ vo im pero cristiano d ’O ccidente. Senza dubbio il nuovo sap ere era elem entare e privo di originalità. Le sue principali realizzazioni fu ro n o d ’o rd in e educativo p iù che letterario e filosofico, e consistettero in m anuali co­ m e il d i R abano M auro (776856), in dizionari e com m entari com e il e la nella riform a della scrittura, nella riform a della liturgia (di cui Alcuino fu il principale

De Institutione Clericorum Glossa ordinaria-,

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Liber Glossarum

p rom otore) e so p rattu tto nella raccolta e trascrizione di m anoscritti. Ma in confronto alla decadenza culturale della Gallia nel v ii secolo, lo stesso tradizionalism o ra p ­ presentava u n a forza di progresso, p erch é assicurava la sopravvivenza dell’ered ità classica della cu ltu ra occi­ dentale. Il m aestro di Alcuino, A elberto di York, diceva che sarebbe stato vergognoso lasciar sparire in questa generazione la scienza che e ra stata scoperta dagli u o ­ m ini dotti dell’antichità, e queste parole m ostrano il senso di responsabilità verso il passato che è indice di g en u in o um anism o e n o n di cieco attaccam ento alla tradizione. Lo spirito dell’um anism o cristiano trova espressione nella lettera di Alcuino a Carlo M agno13: «Se i tuoi p ro g etti si realizzano, scrive egli, può darsi che u n a nuova A tene sorga in paese franco, e u n ’Atene p iù bella dell’antica, p erch é la no stra Atene, nobilitata dall’insegnam ento di Cristo, sorpasserà la sapienza dell’“Accademia”. L’antica A tene aveva solo l’insegna­ m en to di Platone p e r istruirsi, e tuttavia fu fiorente an ­ che se solo nelle sette a rti liberali. L a nostra Atene inve­ ce sarà arricchita dai sette doni dello Spirito Santo e sorpasserà tu tta la grandezza della sapienza terrestre». Può sem brarci com m ovente, se n o n assurdo, che u n m onaco m aestro d i scuola com e Alcuino e u n barbaro illetterato come C arlo M agno potessero sognare di co­ stru ire u n a nuova A tene in u n m o ndo che possedeva solo i ru d im en ti della civiltà ed era sul p u n to di essere som m erso d a u n a nuova m area di barbarie. Tuttavia il loro ideale di u n a cu ltu ra cristiana, destinata a restau ­ ra re e a p reserv are l’ere d ità della civiltà antica e della lettera tu ra classica, n o n fu m ai perso di vista e finì p e r trovare la sua attuazione progressiva nello sviluppo della civiltà occidentale.

13Alcuino, Ep. 170.

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P resa in questo senso, la realizzazione dell’età caro­ lingia fu u n a vera rinascita e il p u n to di p arten za della c u ltu ra occidentale, intesa quale u n ità cosciente. Gli al­ lievi di Alcuino: R abano M auro, E ginardo, A ngilberto di S. Riquier, A dalardo di C orbie e Am alario di Metz, trasm isero a lo ro volta la tradizione ai p ro p ri scolari, a Servato L upo e a W alafrido S trabone, discepoli di R a­ b an o M auro a Fulda, e a Eirico d ’A uxerre, allievo di Servato L upo a Ferrières. In questo m odo la rinascita carolingia fu continuata dalle g ran d i abbazie carolingie, ciascuna delle quali conservò la tradizione creata dalla scuola d i palazzo di C arlo M agno e l’insegnam ento im partito da Alcuino u n p o ’ p iù tard i a Tours. E d o p o la caduta dell’im p ero i g ra n d i m onasteri, specialm ente quelli della G erm ania m eridionale, S. Gallo, R eichenau e T egernsee, furono le u n iche isole di vita intellettuale rim aste in mezzo alla m area di barbarie che m inacciava d i som m ergere n u o ­ vam ente la C ristianità occidentale. E benché il m ona­ cheSimo a p rim a vista sem bri poco adatto a resistere al­ la spietata m ania di distruzione in u n ’epoca di violenza e d i g u erra, dim ostrò di p o ssedere u n a strao rd in aria forza di recupero. Su cento m onasteri, novantanove potevano essere b ru ciati e i m onaci uccisi o scacciati, e p u r tuttavia l’in ­ te ra tradizione poteva ancora essere ricostruita dall’u ­ nico sopravvissuto, e i luoghi devastati potevan o essere rip o p o lati d a nuovi contingenti di m onaci, i quali avrebbero di nuovo riallacciato le in te rro tte tradizioni, seg u en do la stessa regola, celebrando la stessa liturgia, leggendo gli stessi libri e avendo gli stessi pensieri dei loro predecessori. In questo m odo, m onacheSim o e cu ltu ra m onastica rito rn a ro n o in In g h ilte rra e in N o rm an d ia ai tem pi di san D unstano, rip a rte n d o dalle abbazie d i F leury (Saint-

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Benoìt-sur-Loire) e di G an d , più d ’u n secolo d o p o la di­ struzione com pleta dei m onasteri, con il risultato che cent’a n n i più tard i i m onasteri n o rm a n n i e inglesi si tro ­ varono di nuovo tra le istituzioni che eran o alla testa della cu ltu ra occidentale. Ma c’era anche u n lim ite a questa capacità di recu p e­ ro. Il monacheSimo irlandese e scozzese n o n potè m ai risollevarsi co m pletam ente dagli effetti dell’invasione vikinga, e la ro ttu ra della tradizione m onastica anglosassone n o n fu m en o grave. Per q u an to il m onacheSimo potesse resistere ai disastri esterni e ai pericoli, p e r la sua esistenza esso d ip en d ev a in definitiva dalla società cristiana e dalle sue istituzioni tem porali. Perciò, se si vogliono c o m p ren d ere le relazioni tra religione e civiltà nell’E u ro p a occidentale, è necessario studiare anche l’evoluzione del g ran d e stru m en to esterno della società cristiana: l’istituzione della regalità quale entità supe­ riore politica e religiosa, e le sue relazioni con la Chiesa e con la Cristianità.

Capitolo IV

I BARBARI E LA REGALITÀ CRISTIANA

L a storia dell’evoluzione delle istituzioni m onarchiche e dell’id ea della regalità d u ra n te dal 400 al Mille, ci offre u n o dei p iù istruttivi esem pi di quel com ­ plesso procedim ento attraverso il quale i differenti ele­ m enti sociali e religiosi si vanno intrecciando p e r for­ m are u n a civiltà. Il com pleto sviluppo della m onarchia cristiana, che nel M edioevo e ra conform e a u n tipo ben caratterizzato, diffuso in tu tta l’E u ro p a, ra p p re se n ta in­ fatti la fusione definitiva d i u n a serie di tradizioni che avevano la loro origine in tem pi rem o ti ed eran o in possesso di situazioni culturali radicalm ente differenti. Q u an d o le trib ù b arb arich e irru p p e ro nell’im pero ro m a n o nel v secolo, arriv aro n o in u n m o n d o ove era in corso u n processo di cam biam enti sociali e religiosi. La classica tradizione m e d ite rra n e a di cittadinanza e di m agistratura civica, con le sue funzioni pubbliche ac­ cessibili a tutti, e ra già stata eclissata dalla concezione orientale della m o n arch ia divina, e l’im p erato re ro m a­ no e ra stato trasform ato in u n Basileus bizantino, ritira­ to nei recessi del sacro palazzo custodito dagli eunuchi. Però questa tradizione di teocrazia o rientale n o n e ra af­ fatto in arm onia con lo spirito della nuova religione, che e ra p u re di origine orientale, m a che conservava ancora la m em oria dei secoli di persecuzione e di resi­ stenza passiva al p o tere im periale. C om e abbiam o già visto, la tradizione cristiana era essenzialm ente dualistica, p erch é am m etteva u n a fon­ dam entale opposizione tra la Chiesa e il m ondo: il re-

l'Età oscura,

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gno di Dio e il reg n o di Cesare. E benché questa o p p o ­ sizione si fosse indebolita in O riente a m otivo della g ra ­ duale incorporazione della Chiesa ortodossa nell’o rd i­ ne m onarchico dell’im pero bizantino, in O ccidente e ra stata rinforzata dall’in terp retazio n e agostiniana della fi­ losofia della storia. L a di sant’Agostino, u n o dei libri che m aggiorm ente contribuirono a form are lo spirito della C ristianità occidentale, fa v edere tu tta la storia come u n a lotta tra d u e principi spirituali e d in a ­ mici che si m anifestano attraverso i secoli in u n inces­ sante conflitto tra le due società: la Città di Dio e Babi­ lonia città della confusione, società che rim angono e te r­ nam ente divise benché in questo m ondo si confondano e si co m penetrino vicendevolm ente in tu tte le form e di società u m a n a 1. Tuttavia, nonostante questo fondam entale dualism o religioso, i cristiani del m ondo latino, ad eccezione di Salviano, m ostraro n o u n a g ra n d e lealtà verso l’im pero rom ano, lealtà che si protrasse fino ai tem pi di san G re­ gorio M agno e oltre. Ma e ra lealtà a u n a tradizione e ad u n a civiltà - all’idea della e della - piuttosto che alla p erso n a e all’au torità dell’im p erato ­ re, che era diventato evanescente e rem oto. In pratica, i vescovi e i nobili rom ani, Sidonio A pollinare, Cassiod o ro e sant’Isidoro, n o n tro v aro n o difficoltà ad accetta­ re l’au to rità dei re barbari, com e «poteri o rd i­ nati d a Dio», pressappoco allo stesso m odo con cui i cri­ stiani orientali, p e r esem pio san Giovanni D am asceno, accettarono la sovranità dei califfi e i vescovi della Siria orientale riconobbero l’au to rità dei re di Persia. La con­ cezione cristiana del m ondo favorì effettivam ente u n atteggiam ento realistico in ciò che concerneva la politica, grazie al suo dualism o spirituale che considerava tu tte

Città di Dio

pax romana

de facto

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1De Civitate Dei, I, c. 35, Edizioni Paoline, Roma 1979.

romanafides

le condizioni e istituzioni tem p o rali passeggere e p ro v ­ visorie. Il popolo cristiano e ra il secondo Israele che d i­ m orava in esilio e in cattività, e i cristiani potevano ac­ cettare l’oppressione e l’a u to rità arb itraria d ei barbari, com e i profeti ebrei avevano accettato il governo dei gentili che eran o gli stru m en ti inconsci della volontà d i­ vina della storia. Per i b arb ari invece la reg alità aveva u n significato b e n differente. Essa e ra la sola istituzione sociale im ­ p o rta n te e aveva u n influsso psicologico su tutto ciò che vi era di più intim o nella loro tradizione culturale e m orale. Il re b a rb aro n o n e ra u n despota come il m o n arca orientale, e n e p p u re u n m agistrato com e l’im p erato re rom ano; e ra u n capo d i g u e rra che gode­ va del prestigio e del di u n a stirpe divina e di u n a tradizione eroica. I popoli b arb ari, infatti, avevano della regalità u n sentim ento n o n inferiore a quello d e ­ gli Achei om erici, e, sebbene n o n avessero mai avuto u n O m ero, possedevano lo stesso tipo d i tradizioni epico-eroiche che conservarono p e r secoli e che servi­ ro n o ad u n ire la tardiva c u ltu ra m edioevale con l’ep o ­ ca delle invasioni barbariche, esattam ente com e il p o e­ m a epico greco u n ì il m o n d o classico con i tem pi della g u e rra di Troia e la ro v in a della civiltà m icenea. Parim en ti il ra p p o rto tra la regalità barbarica e la m o n ar­ chia sacra del Basileus rom ano-bizantino è parallelo a quello tra i re g u e rrie ri achei e il faraone egiziano o il g ra n re degli H ittiti. M a m e n tre i particolari di q u e­ st’ultim o ra p p o rto si p e rd o n o nelle nebbie del m ito e della leggenda, n oi siam o in grad o d i seguire la storia

nana2

2 Parola delle lingue melanesiane, usata a significare che una persona o cosa è fornita comechessia, temporaneamente o permanentemente, di una speciale forza o «virtù» manifestantesi in effetti insoliti e straordinari (R. Pettazzoni in Enckl. hai, XXII, 75). È una nozione che si trova presso la maggior parte dei popoli primitivi [AT.d.T].

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della regalità m edioevale particolareggiatam ente su tu tti e d u e i ram i della sua genealogia. I nuovi re g n i barbarici avevano u n a duplice origine. D a u n lato eran o ered i di u n a tradizione che li faceva discendere d a u n a qualche stirpe eroica-regale di origi­ n e divina com e gli Amali, i Baiti, gli A sdingi o i M ero­ vingi; dall’altro eran o alleati e delegati dell’im p ero ro ­ m ano ed ereditavano le tradizioni politiche e am m ini­ strative di u n o stato altam ente organizzato. Q uesto d u ­ plice carattere a p p a re in m odo evidente nel caso di Teodorico, re degli O strogoti. Teodorico e ra u n Amalo, e re d e delle tradizioni eroiche della razza di E orm anrico ed egli stesso eroe del poem a epico m edioevale di D ietrich di B erna. N ello stesso tem po egli e ra u n uom o di educazione rom ana, u n p ro te tto re dell’arte e della lettera tu ra ro m an e e u n sovrano che continuò la trad i­ zione ro m a n a di leggi e di governo. Procopio, che non e ra amico dei Goti, scrisse di lui che «la sua m aniera di governare i sudditi e ra deg n a di u n g ra n d e im peratore; p erch é egli m an ten n e la giustizia, em anò bu o n e leggi, protesse il suo paese dalle invasioni barbariche e diede prova di u n a strao rd in aria p ru d e n z a e valore»3. I capi b arb ari di questo tipo riconobbero abbastanza chiara­ m en te che la loro originaria tradizione di regalità g u er­ rie ra era insufficiente. Com e dichiarò Ataulfo, re dei Visigoti, la barb arie gotica si rifiutava di sottom ettersi al re g n o della legge, m a senza leggi lo stato n on poteva esistere. Perciò egli aveva abbandonato il suo cieco odio p e r tutto ciò che e ra ro m an o e aveva d eterm in ato di m ettere la p otenza gotica al servizio della civiltà p e r l’o­ n o re e l’esaltazione d el nom e di R om a4. Risulta p e rò assai so rp re n d e n te constatare che p ro ­

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3 Procopius, De Bello Gothico, 1 ,1. 4 Orosio, VII, 48,1.

prio i popoli come i Goti, che accettarono in p iù larga m isura l’alta civiltà ro m an a, non riuscirono a sopravvi­ vere. I regni degli O strogoti e dei Vandali in Italia e in Africa furo n o distrutti d a G iustiniano; quello dei Visi­ goti in Spagna, m algrado la sua storia assai p iù lunga, fu abbattuto d a M usa-Ibn-N usair e dal suo generale Tariq nel 711-713. È d u n q u e nel N o rd E u ro p a - nel re ­ gno m erovingio tra il R eno e la Senna, n ei regni anglosassoni della G ran B retag n a e nei reg n i scandinavi del lontano m ondo baltico - che noi dobbiam o cercare le origini delle tradizioni d i regalità barbarica ereditate dai reg n i dell’O ccidente e finalm ente in corporate nel­ l’azione della C ristianità m edioevale. In questi paesi possiam o meglio discernere i prim itivi lineam enti delle istituzioni che stanno alla base delle form e storiche del­ la regalità. In In g h ilterra, soprattutto, la più antica let­ te ra tu ra anglosassone h a conservato la tradizione eroi­ ca dei re g u errieri del p erio d o delle m igrazioni, e a u n a d ata m olto p iù tardiva la poesia e le saghe dell’antica Scandinavia trasm isero questa stessa tradizione al m o n ­ do della cu ltu ra m edioevale. E ntram be queste tradizio­ ni m anifestano u n ’im pressionante concordanza nelle loro versioni in d ip en d en ti della tradizione nordica. La letteratu ra scandinava, che deriva dalla società aristo­ cratica - m a senza re - dell’Islanda m edioevale, è al­ tre ttan to interessata all’ideale eroico della regalità q u an to i poem i epici anglosassoni, che sono p resum i­ bilm ente o p era di poeti cortigiani alle dipendenze di qualche p ro tetto re regale o principesco5. In confronto ai nuovi reg n i barbarici, che si eran o form ati su u n fondo d i civiltà rom ana, l’antica regalità

5 È vero, tuttavia, che fin dall’inizio i poeti e gli autori di saghe islandesi en­ trarono al servizio dei re di Norvegia e Danimarca, così che la letteratura islan­ dese restò influenzata direttamente anche dai protettori regali e dalla tradizio­ ne della poesia di corte.

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b arb arica del N o rd e ra p iuttosto u n ’istituzione sociale e religiosa che politica. All’inizio il re n o n e ra u n g overnatore e u n legislato­ re, m a il capo e il ra p p re se n ta n te simbolico del suo p o ­ polo. Ci riesce assai difficile p e n e tra re nello spirito della vecchia form a germ anica di governo, com e è ra p p re ­ sentata dalle p iù antiche leggi del K ent, p erch é queste leggi sono in realtà u n a revisione cristiana e u n a form a p iù m o d ern a di u n a legislazione preesistente e d i u n a tradizione che ci è com pletam ente sconosciuta. Si h a l’im pressione di trovarsi di fronte a u n a società com ­ plessa, gerarchizzata e com e stratificata, che e ra tuttavia assai differente dall’o rd in e sociale feudale e dalla ge­ rarch ia di classi che noi conosciam o. Com e ha b e n dim ostrato il professor Jolliffe nella sua o p era, 6, questo tipo arcaico di regalità di trib ù derivava la sua stabilità n o n dal p o te re e dall’a u to rità del capo, m a dal suo p ro ­ p rio equilibrio e d a u n a rete com plicata di p aren tele e d i ran g hi, che univa il popolo in u n a com unità la cui s tru ttu ra era consacrata dalla religione e dalla tradizio­ n e sacra. E il re e ra il n a tu ra le centro nel quale conver­ gevano tu tte le tradizioni e le costum anze. E ra la p erso ­ nificazione della vita della nazione e della vita del p a e ­ se. R appresentava il suo popolo presso gli dèi com e g ra n sacerdote che presiedeva ai sacrifici, e ra p p re se n ­ tava gli dèi presso il popolo in virtù della sua discen­ d en za divina e del prestigio sacro d el suo sangue e d el­ la sua carica. N on è necessario d ire che il popolo, o la «gente» di cui parliam o, n o n è u n a nazione nel senso m o d ern o

Constitutional History of Medieval England

6 J.E.A. Jolliffe, Constitutional History of Medieval England (1937), pp. 14-17. Cfr. anche l’altra sua opera anteriore, Pre-feudal England: TheJutes (1933).

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della parola. I re e i reg n i del N o rd pagano eran o n u ­ m erosi come nel m o n d o om erico o nell’antico paese di Canaan. I versi runici d el in Svezia p arlan o di «venti re di q u attro nom i, figli di q u attro fratelli, che p e r q u attro inverni d im o raro n o nell’isola di Seeland»; e persino in tem pi storici, all’inizio del secolo xi, la p ro ­ vincia norvegese deU’U p lan d era suddivisa in cinque reg n i differenti. La form azione dei reg n i p iù vasti, so­ p rattu tto di quello dei Franchi, fu u n a conseguenza del periodo delle invasioni barbariche e dell’assoggetta­ m ento di popoli stranieri; m a nella m isura in cui questi nuovi regni aum entavano in estensione, p erd ev an o il loro vincolo «nazionale» col popolo e il loro legam e con la tradizione prim itiva della regalità razziale. Q uesti elem enti sopravvissero p iù perfettam ente nel N o rd scandinavo, che e ra an d ato m eno soggetto a influssi stranieri. In Svezia, in m o d o speciale, la m onarchia conservò il suo carattere religioso arcaico fino al x i i se­ colo, e l’istituzione della regalità rim ase inseparabil­ m ente connessa al g ra n d e santuario del dio Yngvi Frey nella vecchia U ppsala, di cui il re era a u n tem po il g ran sacerdote e la copia u m a n a del dio. Dalla tradizione svedese possiam o ricavare, p e r l’interm ediario di docu­ m enti norvegesi e islandesi, le m igliori prove concer­ n en ti il re-sacerdote, che aveva com e com pito p rin cip a­ le di offrire sacrifici a n o m e del p opolo p e r o tten ere u n b u o n raccolto e la vittoria nelle battaglie; egli stesso cor­ reva il pericolo di v en ir sacrificato, se le sue offerte n o n riuscivano accette agli dèi. Le circostanze storiche vollero che l’In g h ilterra a n ­ glosassone fosse posta a m ezza strad a tra le d u e form e di regalità. I suoi reg n i e ra n o stati fondati da capi g u e rrie ­ ri vittoriosi, i quali tutti, in definitiva, rivendicarono u n a discendenza divina, b en ch é pochi fossero d iretti ra p ­ p resen tan ti di u n a dinastia continentale conosciuta, se si

Rok Storie

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eccettua la casa reale di M erd a, che discendeva d a Offa d ’Angel, u n o degli eroi della vecchia tradizione epica e capo degli Angli continentali. M a con trariam en te agli altri stati barbarici che si e ra n o stabiliti sul suolo ro m a­ no, i reg n i anglosassoni n o n avevano ad o ttato le trad i­ zioni ro m an e di u n a au to rità politica centralizzata. Essi rim asero socialm ente e spiritualm ente a p p a re n ta ti ai reg n i barbarici del N ord. Persino in u n p erio d o assai tardivo la loro le tte ra tu ra m ostra q u an to le tradizioni fossero p ro fo n d am en te radicate nel m ondo nordico, co­ m e a d esem pio nei paesi dei Dani, dei Geti e dei Frisoni. La g ran d e nave fu n e ra ria di u n re dell’A nglia orientale dell’inizio del v i i secolo, che fu scoperta a S utton H oo sul fium e D eben nel Suffolk nel 1939, ci fornisce inci­ den talm ente u n a notevole luce circa questo m o n d o e i suoi g ran d i re g u errieri, «saccheggiatori di città» e «con­ tin u atori di eroi», com e leggiam o in e L a venuta del C ristianesim o in questo m ondo, deg n o degli eroi di O m ero, p ro d u sse inevitabilm ente u n a ri­ voluzione sociale oltre che religiosa. Il re R aedw ald ten tò di conciliare i d u e m ondi, il vecchio e il nuovo, m an ten en d o i sacrifìci nello stesso tem pio che egli ave­ va consacrato al culto cristiano; m a siffatto com prom es­ so e ra raro. Dal tem po di sant’Agostino, apostolo dell’In g h ilter­ ra, le famiglie reali fu ro n o il principale oggetto dell’at­ tività m issionaria e le corti d ivennero i cen tri nei quali si elaborò la conversione degli anglosassoni. Per q u an to rid o tto potesse essere il suo p o tere, il re e ra la chiave di volta dell’edificio sociale, e la sua conversione al Cristia­ nesim o e ra il simbolo e la garanzia della conversione del suo popolo. Così, q u a n tu n q u e la regalità venisse a p e rd e re le sue antiche prerogative e m olte delle sue 7

Beowulf Widsith.

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7 Cfr. La nave funeraria del re Scyld in Beowulf, w. 34-35.

tradizionali relazioni m agiche con i bu o n i raccolti e la vittoria in g u erra, p erch é in co rp o rata nella p iù vasta u n ità cristiana, n o n d im en o essa g u adagnò u n nuovo prestigio p e r mezzo della sua stretta relazione con la Chiesa, dalla quale conseguì g rad u alm en te u n a nuova fo rm a di sacralità. Il culto di sant’O svaldo m artire, se­ condo re cristiano d i N o rth u m b ria, e quello d i m olte al­ tre figure m in o ri delle case reg n an ti, com e sant’Osvino e san ta Ilda, san Sigeberto dell’A nglia orientale, san Sebbi dell’Essex, santa E telburda, santa Sexburga e santa Edit, p ro cu rò alla regalità anglosassone il sostitu­ to cristiano degli an ten ati divini, cari alla tradizione pagana. M algrado ciò, si p u ò d u b itare se questi guad ag n i p o ­ tero n o com pensare la p e rd ita dell’ideale eroico della regalità pagana. I santi d i stirpe regia dell’In g h ilterra anglosassone fu ro n o p e r lo p iù uom ini che rim asero sconfitti nella loro lotta co n tro i pagani, com e sant’O ­ svaldo e sant’Edvino, o p p u re u om ini che rin u n ziaro n o alla corona p e r farsi m onaci, com e san Sebbi, di cui fu d etto che avrebbe d o vuto essere piuttosto vescovo che re. E ra difficile fare accettare a g u e rrie ri b arb ari l’idea che il loro capo si dovesse ad attare alla concezione cri­ stiana della rin u n zia e del p erd o n o , dato che egli era stato sem pre la personificazione vivente dell’orgoglio della loro razza. Q uesto vediam o nella storia di san Beda, ove si legge che Sigeberto dell’Essex fu ucciso «per­ ché aveva l’abitu d in e di risp arm iare i suoi nem ici e p e r­ d o n a r loro i to rti che gli avevano fatto, a p p e n a essi ne facevano dom anda». D’altro n d e persino lo stesso B eda e ra consapevole del pericolo che poteva d erivare dall’indebolim ento dei legam i d i lealtà p ersonale e delle virtù m ilitari che ac­ com pagnava il sorgere della nuova civiltà cristiana, co­ m e m anifesta alla fine della sua storia e nella lettera d i­

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re tta all’arcivescovo E gberto di York, ove critica l’abuso delle dotazioni fatte ai m onasteri com e u n a minaccia p e r la sicurezza m ilitare della N orthum bria. U n simile indebolim ento della regalità e dell’o rd in e sociale si verificò in tu tti i regni barbarici dell’O cciden­ te com e risultato della transizione dalla civiltà p ag an a a quella cristiana. U n esem pio so rp re n d e n te lo vediam o nel reg n o visigotico di Spagna, che p e r m olti aspetti era il p iù p ro g red ito e il p iù p o ten te d i tutti questi regni. A p a rtire dal tem po in cui i Visigoti cessarono di essere arian i e accettarono il cattolicesim o come religione di stato (nel 589), le relazioni tra stato e Chiesa divennero così strette da form are praticam ente u n solo organi­ smo, governato dal re e dai g ra n d i concili ten u ti a Tole­ do, i quali eran o a u n tem po assem blee legislative e sin o d i ecclesiastici. M a n onostante la Chiesa fosse così strettam en te u ni­ ta alla m onarchia e facesse uso di tu tte le sue risorse p e r sostenere il p o tere legale e anatem atizzasse sedizioni e ribellioni, essa fu im potente a im p ed ire ciò che u n con­ tem p o ran eo chiam ava la «detestabile consuetudine spagnola di uccidere i loro re». L a storia della Spagna visigotica, dopo l’estinzione dell’antica dinastia regale, è u n a lunga serie di ribellioni, assassinii e rivoluzioni di palazzo. Può darsi che le nuove sanzioni religiose n on fossero abbastanza forti p e r com pensare la p e rd ita del­ l’istintiva fedeltà p ag an a verso l’antica dinastia regaledivina dei Baiti, che si e ra estinta nel 531. I n ogni caso, benché l’alleanza della Chiesa e della m onarchia avesse d ato origine a u n a fusione di religione e di politica, ti­ picam ente spagnola, e a u n am m irevole codice di legi­ slazione civile ed ecclesiastica, questa alleanza n on potè d o m in are l’indisciplina e la disunione sociale che riuscì fatale alla vita della Spagna cristiana.

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Q uesti stessi elem enti di debolezza esistevano senza dubbio anche n el re g n o franco, che, secondo la ben n o ­ ta espressione d i Fustel de C oulanges, e ra «un regim e dispotico tem p erato dall’assassinio». In realtà la storia della dinastia m erovingia p resen ta u n q u ad ro di illega­ lità, di delitti e d i assoluta incapacità assai p iù oscuro di qualsiasi altro reg n o barbarico. M algrado ciò, i Franchi restaro n o fedeli p e r secoli alla famiglia d i Clodoveo, se n o n p ro p rio ai suoi ra p p re se n ta n ti individuali, anche solo in virtù del sacro prestigio ered itario e del sangue reale; e questo spirito conservatore perm ise allo stato franco d i m an ten ere la sua continuità d u ra n te il p erio ­ d o di form azione, in cui conquistatori e conquistati si fusero in u n a nuo v a u n ità sociale. Il processo di assimi­ lazione fu favorito d a d u e im p o rtan ti fattori. In prim o luogo n o n vi fu b a rrie ra religiosa tra i Franchi e i loro sudditi gallo-rom ani, p erch é i Franchi n o n eran o ariani com e i Goti, i Vandali e i L ongobardi, m a eran o diven­ tati cattolici d u ra n te il re g n o di Clodoveo (496); in se­ condo luogo essi n o n eran o , come i Goti, isolati in m ez­ zo a u n a popolazione stran iera, m a rim anevano ancora in contatto con gli altri popoli germ anici, di m odo che nel Vi secolo p o te ro n o esten d ere il loro dom inio verso O rien te, in T u rin g ia e in Baviera, com e p u re verso il Sud, in B orgogna e in A quitania. Il risultato d i tu tto questo fu che il reg n o dei Franchi d ivenne il centro verso il quale tendevano tu tte le forze vive della civiltà occidentale: luogo di incontro di ele­ m en ti latini e germ anici, e di influssi m ed iterran ei e atlantici. In «Francia», così infatti p u ò essere chiam ata d a questo m om ento, m onaci irlandesi e anglosassoni s’incontravano con quelli p ro v en ien ti dall’Italia e dalla Spagna, e com m ercianti siriani vi trovavano m ercanti frisoni, i quali com m erciavano con l’In g h ilte rra e i p ae­ si baltici. La m o n arch ia franca fu la sola istituzione che

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provvide a u n principio di organizzazione p e r questo sviluppo di relazioni, m a fu incapace d i assum ere la p a rte di guida della cultura, fintanto che il suo caratte­ re e il suo m ondo spirituale n o n vennero com pietam en te e radicalm ente trasform ati. Per conseguenza la rivoluzione in te rn a che sostituì la famiglia di Carlo M artello e di Pipino alla vecchia casa reale significò as­ sai p iù che u n semplice m utam en to di dinastia. Essa sta a indicare la nascita di u n nuovo ideale di regalità e di u n a nuova concezione della n a tu ra dello stato franco. La tradizione di fedeltà verso i M erovingi, p e r quanto fosse decadente e im potente, e ra ancora tro p p o forte p e r essere messa da p a rte con m etodi p u ram en te poli­ tici, e fu solo dopo che ebbe o tten u to l’approvazione di p a p a Zaccaria che Pipino si avventurò a p re n d e re il p o ­ sto dell’antica dinastia e accettò la corona regale dalle m ani di san Bonifacio, p e r m ezzo di un solenne atto di consacrazione religiosa com piuto a Soissons nel 751. E ra la p rim a volta che presso i Franchi si com piva la cerim onia religiosa con cui il re veniva incoronato e consacrato dalla Chiesa, e l’im portanza d el nuovo rito si trovò avvalorata dal fatto che tre anni d o p o esso fu ri­ p e tu to da p arte dello stesso p a p a qu an d o andò a trova­ re Pipino p e r chiedere il suo aiuto contro i Longobardi. A p a rtire da questo m om ento la consacrazione del re doveva costituire u n tratto caratteristico della regalità occidentale. Fino ad arrivare a cred ere che il crism a o l’olio consacrato conferisse u n nuovo carattere alla p e r­ sona del sovrano8. Si è discusso m olto tra gli storici ri­ g u a rd o alle origini della cerim onia. Essa era già in uso nel v i i secolo presso i Visigoti di Spagna, ove, come ho

8 Cfr. le parole del rito germanico nel x secolo: «La grazia di Dio t’ha oggi cambiato in un altro uomo e t’ha fatto, per merito di questa unzione, partecipe della sua divinità».

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già detto, la regalità d ip en d ev a in m odo particolare dall’appoggio della Chiesa, ed è probabile che fosse praticata an co r p rim a presso i Celti, dai quali fu senza dubbio trasm essa agli Anglosassoni. M a è incontestabile che la sua p rim a origine dev’essere cercata nell’Antico Testam ento, ove esprim e in m odo concreto il principio teocratico e la d ip en d en za del p o tere secolare d a quel­ lo spirituale del profeta, com e vediam o nel caso di Sa­ m uele che consacra Davide al posto di Saul, e nella sto­ ria ancor p iù d ram m atica della missione di Eliseo, in ­ viato a consacrare re J e h u affinché distrugga la schiatta di Acab. In en tram b i casi il profeta, quale rap p resen ­ tan te di Dio, interviene p e r cam biare il corso della Sto­ ria trasferendo la regalità a u n a nuova dinastia, e ci rie­ sce difficile im m aginare che il p ap a, san Bonifacio e i consiglieri del re Pipino n o n avessero in m ente questi p reced en ti q u an d o istituirono il nuovo rito. Così fin dall’inizio la nuova m onarchia si associò con la Chiesa e venne considerata com e m andataria, divi­ n am ente designata dalla Cristianità. Senza dubbio C ar­ lo M artello e suo figlio Pipino, erano soldati ru d i e spietati che n o n «portavano invano la spa­ da», e il prim o in particolare si servì dei beni della Chie­ sa e delle te rre dei m onasteri p e r d o tare di feudi e di «benefici» i suoi g u errieri. Ma questa secolarizzazione delle p ro p rietà ecclesiastiche ven n e effettuata p ro p rio nel m om ento in cui san B eda criticava l’eccessiva molti­ plicazione di fondazioni m onastiche quale fonte di d e­ bolezza m ilitare p e r la N o rth u m b ria, ed è possibile che la spietata p o ta tu ra di C arlo M artello n o n sia stata com ­ pletam ente di d an n o alla Chiesa franca. In ogni caso è certo che, nel suo insieme, la casa ca­ rolingia si m ostrò tradizionalm ente favorevole al p arti­ to della riform a ecclesiastica. San Bonifacio, il p iù nobi­ le rap p resen tan te di questo p artito , am m ise che senza

«le petit poingeur»,

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l’appoggio di C arlo M artello la sua o p e ra m issionaria sarebbe stata impossibile. M a fu sotto i figli di Carlo, Pi­ pin o e C arlom anno, che i C arolingi p restaro n o il più valido aiuto al m ovim ento di riform a e died ero il loro appoggio a san Bonifacio n o n solo nella sua attività mis­ sionaria, m a anche in quella serie di concili che accom­ p ag n aro n o la inaug u razio n e form ale della m onarchia carolingia nel 751. In tu tta questa o p e ra l’agente p rincipale fu lo stesso apostolo della G erm ania che, n o n o stan te il suo distac­ co dal m ondo, possedeva u n a spiccata attitu d in e p e r edificare e organizzare. Egli trovò u n incom parabile alleato in C arlom anno, il p iù religioso d i tu tti i C aro­ lingi, il quale p rese l’iniziativa di convocare il p rim o concilio della Chiesa franca, dopo u n intervallo di o t­ ta n i’anni, m etten d o in tal m odo term in e all’anarchia ecclesiastica che aveva caratterizzato la fine dell’epoca m erovingia. Ciò nonostante il p ro g ra m m a d i riform a di san Boni­ facio n o n fu in tera m e n te attuato. Egli aveva sperato di p o te r far uso della sua facoltà di legato della Santa Sede p e r ristabilire l’in tero o rd in e gerarchico dei vescovi m e­ tropolitani e in seguito anche degli arcivescovi, che d o ­ vevano essere investiti dal p a p a col pallio quale distinti­ vo della loro a u to rità delegata. M a la resistenza dell’e ­ piscopato p ro fo n d am en te m ondanizzato e la tradizio­ nale au to rità del p o te re secolare resero impossibile u n a riform a così radicale. Il p ro te tto re di san Bonifacio, C arlom anno, che regnava in G erm ania e nella Francia nord-occidentale, abdicò nel 747 e si fece m onaco, d a p ­ p rim a nel m onastero del m onte Soratte e poi in quello d i M ontecassino. Pipino, che da questo m om en to u n ì sotto il suo scettro tu tto il reg n o dei Franchi e che si p rep arav a alla conquista dell’A quitania, n o n e ra uom o d a accettare u n a qualsiasi dim inuzione della sua auto102

rità, benché fosse disposto a far uso in m odo illum inato del suo po tere e a p ro seg u ire l’o p e ra di riform a. Perciò, invece di m ettere la C hiesa sotto l’im m ediata giurisdi­ zione di Roma, i rifo rm ato ri fu ro n o obbligati a cercare u n a soluzione di com prom esso, che consistette nello stabilire u n a stretta associazione tra la m onarchia fran ­ ca e il Papato. San Bonifacio accettò questa soluzione, p resiedendo alla cerim onia che consacrò la nuova m onarchia, m a cessò dal p re n d e re u lterio rm en te p arte agli affari della Chiesa franca. Si ritirò n el m onastero che aveva fo n d a­ to a Fulda p e r essere il centro dell’attività m issionaria nella G erm ania centrale, e poco dopo rito rn ò in Frisia, che e ra stato il p u n to d i p arten za della sua o p era mis­ sionaria, p e r offrire la sua vita (754) a coronam ento del suo apostolato. U no dei suoi ultim i atti fu di scrivere a san Fulrado, abate di Saint-Denis, intim o consigliere del re Pipino, p e r raccom andargli i suoi m issionari e i suoi m onaci, «quasi tutti stranieri; alcuni di essi, preti, situati in vari luoghi p e r vegliare ai bisogni della Chiesa e del popolo; altri, monaci, che, ritirati nei loro chiostri, istruiscono i fanciulli; e altri ancora o rm ai vecchi, che h an n o vissuto e faticato a lungo con m e. Sono inquieto p e r tutti costo­ ro e vorrei che dopo la m ia m orte potessero essere gui­ dati dai vostri consigli e d o tten ere la protezione regale; che n o n venissero dispersi come pecore senza pastore e che i popoli, i quali abitano nelle m arche pagane, n o n abbiano a p e rd e re la legge di Cristo»9. Difatti il suo discepolo san Lullo, che gli succedette com e arcivescovo di M agonza, n o n fu più in contatto con gli uom ini che controllavano i destini del reg n o franco. Alcuni an n i p iù tard i egli si lam entava con u n

9 S. Bonifatii et Lulli, Ep. 93, M.G.H. Dummler (a cura di).

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arcivescovo inglese (Etelberto d i York) che «la Chiesa è g io rn alm ente oppressa e m olestata, p erch é i nuovi p rin c ip i seguono nuove vie e fan n o nuove leggi secon­ d o i loro desideri. E così san Bonifacio e i m issionari anglosassoni, nonostan te l’in ­ flusso esercitato sulla riform a politica dei Carolingi, n o n ebbero p iù alcuna p a rte nelle decisioni vitali che trasfo rm arono il carattere della m onarchia franca. Q ueste decisioni fu ro n o dovute all’iniziativa del Pa­ p ato e ai consiglieri franchi di Pipino e del suo succes­ sore C arlo M agno, tra i quali em ergono san Fulrado di Saint-Denis, san C rodegango di Metz, e Vilcario di Sens. Gli appelli dei p a p i Stefano I I e Paolo I al re Pipi­ n o e quello di A driano I a C arlo M agno crearo n o u n nuo v o legam e tra il Papato e la m o narchia franca ed eb­ b ero p e r conseguenza la distruzione del regn o longo­ b ard o , l’abolizione della sovranità bizantina su R om a e R avenna e il riconoscim ento del re dei Franchi quale p a tro n o e p ro te tto re della Santa Sede. C om e contrac­ cam bio il p a p a accettò il controllo della m onarchia ca­ rolingia sulla p ro p rie tà e le p erso n e della Chiesa, e così v en n e a p erta la via alla form azione del nuovo im p ero d ’O ccidente, che diede u n a form a costituzionale e u n a consacrazione ritu ale alle nuove relazioni tra il Papato e il reg n o franco. Il nuovo im p ero e ra d u n q u e u n ’istituzione essenzial­ m en te teocratica. Esso esprim eva a u n tem po la nuova concezione di «Cristianità» quale su p rem a u n ità sociale e il carattere sacro del sovrano quale capo divinam ente designato del popolo cristiano. L e form ule tradizionali che esprim ono la n a tu ra sacra o divina d el p o tere im ­ p eriale e

(Quia moderni principes novos mores novasque leges secundum sua desideria condunt)»10.

sacrum imperium, sacra majestas, divus Augustus

10Ibidem, Ep. 125.

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altre simili, che eran o state conservate nell’im pero bi­ zantino - p resero u n nuovo significato in O ccidente, perch é, come possiam o rilevare dalla corrispondenza di Alcuino11, l’idea di u n a missione divina della m onar­ chia franca fu an terio re all’elevazione di C arlo al titolo im periale, e psicologicam ente fu piuttosto la causa anzi che la sua conseguenza. I n realtà la fusione del tem po­ rale e dello spirituale nel sistem a di governo carolingio fu assai più com pleta di quello che n o n fosse stata p res­ so i reg n i cristiano-barbarici, e p ersino n elfim p ero bi­ zantino. La legislazione d i C arlo M agno, che fu di così g ra n ­ de im portanza p e r lo sviluppo della civiltà occidenta­ le, è l’espressione su p rem a di questa concezione teo­ cratica dell’autorità. Essa è la legislazione della vita co rren te di u n a potenza com posta dalla Chiesa e dallo stato, e abbraccia ogni aspetto della vita com une del popolo cristiano, dall’econom ia e dal b u o n o rd in e alla liturgia e alle form e p iù alte dell’istruzione e della p re ­ dicazione. L’am m inistrazione dello stato carolingio fu ugual­ m ente unitaria, dacché il vescovo, n o n m eno del conte, era designato e controllato dall’im p erato re e agiva con­ giuntam ente col conte com e rap p resen tan te dell’auto­ rità im periale. Così p u re i delegati im pe­ riali che in trap ren d ev an o periodicam ente i giri di ispe­ zione attraverso le province, eran o sem pre com posti di laici ed ecclesiastici in n u m ero uguale: generalm ente u n conte e u n vescovo o p p u re u n abate. E poiché l’e­ n o rm e espansione dello stato carolingio, in seguito alla conquista della Sassonia, dell’U ngheria, della m arca di Spagna e all’annessione dell’Italia, della Baviera e della

missi dominici,

11 Cfr. specialmente Ep. 174, in cui Alcuino parla delle tre potenze del mon­ do: il Papato romano, l'impero romano e il regno franco.

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Frisia, aveva fatto sì che la religione fosse il solo vero le­ gam e tra i differenti popoli e le diverse lingu e dell’im ­ p ero , C arlo e il suo successore, Ludovico il Pio, gover­ n a ro n o i loro te rrito ri n o n com e principi dei Franchi, m a com e sovrani e guide d i tu tta la Cristianità. N o n v’è dubbio che Carlo, com e suo p a d re e suo n o n n o , fu u n g ran d e g u e rrie ro al cospetto di Dio, e che la creazione d el nuovo im p ero la dovette p iù alla sua sp ad a che alla sua p rerogativa religiosa. Ciò non o stan ­ te, in u n a m isura assai m aggiore di quello che n o n aves­ sero fatto i suoi predecessori, egli si ispirò agli ideali dei do tti che aveva ra d u n a to a corte e tra i quali scelse i suoi consiglieri, i suoi m inistri e i suoi funzionari. H o già parlato n el p reced en te capitolo di questo aspetto dell’o p e ra d i C arlo M agno: i suoi incoraggia­ m en ti prodigati all’inseg n am en to e alla letteratu ra, la sua vasta concezione di u n a rifo rm a ecclesiastica e litu r­ gica, che tanto contribuì a in crem en tare l’u n ità cu ltu ra­ le dell’E u ro p a occidentale. Ma a prescin d ere d a questi risultati d ’o rd in e culturale, la legislazione carolingia in se stessa sta a indicare il sorgere di u n a nuova coscienza sociale nella C ristianità occidentale. Fino a d allora la legislazione dei regni occidentali era stata fatta sotto form a di u n a specie di app en d ice cri­ stiana aggiunta ai vecchi codici barbarici. Adesso p e r la p rim a volta avvenne la ro ttu ra com pleta col passato, e la C ristianità prom ulgò le sue p ro p rie leggi, che ab­ bracciavano ogni cam po dell’attività sociale, sia nella Chiesa come nello stato, sottom ettendo tu tto all’unica n o rm a della m orale cristiana. T utto ciò n o n e ra stato ispirato da nessun p reced en te, n é germ anico n é ro m a­ no. Gli im perato ri carolingi em anavano leggi p e r tutto il popolo cristiano nello stesso spirito con cui i re e i giu­ dici dell’Antico T estam ento avevano fatto conoscere la legge di Dio al popolo d ’Israele. N ella lettera che il m o­

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naco Cataulfo indirizzò a C arlo, all’inizio del suo reg n o , lo scrittore p arla del re com e del ra p p re se n ta n te te rre ­ no d i Dio e consiglia C arlo d i ad o ttare il libro della Legge divina com e suo m an u ale d i governo, secondo il p recetto del : «Nell’assidersi poi sul suo tro n o regale, si trascriverà in u n libro u n a copia di q u e­ sta legge secondo quella che sta presso i sacerdoti leviti­ ci; se la te rrà presso di sé e vi leggerà d e n tro tu tti i gior­ ni della sua vita, p e r a p p re n d e re a tem ere il Signore suo Dio, con l’osservare tu tti i p u n ti d i questa legge ed eseguire in pratica questi statuti, p erch é il suo cuore n o n si levi in alterigia verso i suoi fratelli ed egli n o n devii a d estra o a sinistra dal prescritto»

Deuteronomio

17, 18-20).

(Deuteronomio

Così anche Alcuino scrive rip e tu tam en te di C arlo co­ m e d i u n secondo Davide, il capo prescelto del popolo di Dio, il quale n o n solo custodisce le fro n tiere della Cristianità contro i b arb ari pagani, m a guida e p ro teg ­ ge altresì la stessa Chiesa e difende la fede cattolica con­ tro le eresie e gli e rro ri teologici. Sarebbe u n e rro re p re n d e re queste espressioni p e r semplici adulazioni cortigiane o p p u re com e u n a pro v a della com pleta su­ bordinazione della Chiesa agli interessi e alla su p rem a­ zia dello stato. Ciò che esse m anifestano è piuttosto u n segno della concezione u n itaria della com unità cristia­ na, nella quale la distinzione tra Chiesa e stato, così ov­ via p e r i giuristi e i politici m o d ern i, e ra allora confusa e irrilevante. Lo si vede m olto chiaram en te nel passo con cui G iona di O rléans, che scrive sotto il reg n o di Ludovico il Pio, incom incia il suo tra ttato sulle funzioni regali, : «Ogni fedele deve sapere che la Chiesa universale è il corpo d i Cristo, il quale ne è la testa, e in Essa vi sono d u e personalità che si distin­ g u ono in m odo em inente: il sacerdote e il re:

De Institutione Regia

In eaduae prìncipaliter existunt eximiae personae, sacerdotali videlicet et

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regalisi2. M a è so p rattu tto nel rito stesso dell’incorona­ zione che la nuova regalità carolingio-cristiana ra g ­ giunse la sua espressione classica, la quale venne tra ­ smessa dalla liturgia carolingia d a u n a p arte al reg n o franco occidentale e al re g n o anglosassone, dall’altra ai reg n i franchi orientali e all’im p ero medioevale. N on è necessario che spenda altre parole su tale a r­ gom ento, perché noi inglesi conserviam o ancora q u e­ sto rito, senza sostanziali cam biam enti, nella nostra ce­ rim o n ia dell’incoronazione, e l’evoluzione dell’incoro­ nazione inglese ci rip o rta indietro, quasi senza alcuna im p o rtante in terru zio n e, fino alla sua epoca carolingia. Q uesto è u n o dei più notevoli esem pi storici in ciò che concerne la continuità dello sviluppo occidentale, p o i­ ché qui non si tratta di u n influsso inconscio o di u n ve­ stigio di u n ’antica tradizione che sopravvive nelle con­ suetudini popolari, bensì di u n atto pubblico e solenne che m antiene tu tto ra u n posto centrale nell’o rd in e p o ­ litico di u n g ran d e stato m oderno. E tu tta la com plicata p o m p a rituale e il simbolismo che rie n tra n o in questa cerim onia h an n o la loro origine nell’antica concezione del re quale sacra figura rappresentativa, capo della so­ cietà cristiana, interm ediario tra Dio e il suo popolo, le­ gato a d esso con vincoli reciproci di lealtà e fedeltà, p oi­ ché il crism a regale e la grazia conferita dall’unzione si m anifestavano e si giustificavano solo in q uan to il re e ra il servitore di Dio, il custode della giustizia e il p ro te tto ­ re dei diritti del suo popolo. Perché se il popolo è ob­ bligato a obbedire al re, lo stesso re n o n è m eno ten u to a osservare il suo giu ram en to che lo re n d e a u n tem po sovrano e m inistro di Dio. Così il rito dell’incoronazio­ n e com porta im plicitam ente u n a specie di costituziona­ lismo teocratico, che ven n e grad u alm en te sviluppato 12

12 Migne, PL, 106.

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nel corso della evoluzione dello stato m edioevale. Difat­ ti il sacerdote e il re e ra n o en tram b i m em bri e m inistri della m edesim a società cristiana; en tram b i eran o consa­ crati d a Dio in vista della loro m issione, che p e r il p ri­ m o era di insegnare e d i offrire il Santo Sacrificio, p e r l’altro di governare e di giudicare. T ra queste d u e au to rità, d u ra n te tutto il M edioevo vi fu u n a continua tensione che d eg en erò spesso in con­ flitti. M a tan to il sacerdote q u an to il re e ra n o conside­ ra ti quali funzionari della stessa società e nessuno m et­ teva in dubbio il loro carattere sacro, anche se vi eran o notevoli differenze di op in io n e rig u a rd o alle loro m u ­ tu e relazioni e alla d eterm in azio n e delle rispettive fu n ­ zioni e prerogative. Già fin dal perio d o carolingio la p o ­ sizione che e ra stata rag g iu n ta p e r mezzo degli eccezio­ nali successi di C arlo M agno venne rap id am en te m ina­ ta e disgregata dalla debolezza d ei suoi successori; co­ sicché il senso di u n ità della società cristiana, che era stato la fonte della strao rd in aria au to rità di Carlo Ma­ gno, divenne anche la causa della form ale sentenza e della deposizione di Ludovico il Pio nell’834 d a p arte d ei vescovi quali su p rem i rap p re se n ta n ti dell’autorità divina. Infatti, d u ra n te la m aggior p arte del Medioevo, il diritto divino dell’u n to re e ra controbilanciato dal suo carattere condizionale e revocabile, che n o n fu u n a semplice concessione fatta alla teologia, m a anzi venne rafforzato dalla stessa effettiva au to rità della Chiesa. Q ui ancora si m anifestò in m an iera d o m inante l’influs­ so dell’Antico T estam ento con la sua tradizione teocra­ tica, d i m odo che la m o n arch ia m edioevale e so p rattu t­ to l’im pero m edioevale possedevano u n carattere teo­ cratico in u n senso differente d a quello che si può ve­ d e re nell’im pero bizantino o nelle m onarchie assolute dell’E u ro p a d o p o il R inascim ento e la Riforma. T utta­ via anche in questi tem p i a noi p iù prossim i n o n è diffi-

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cile trovare esem pi di questa antica concezione della n a tu ra lim itata ed essenzialm ente d ip e n d e n te dal d irit­ to divino. D uran te questi p erio d i tanto nell’E u ro p a cat­ tolica quanto in quella p ro te stan te ci fu u n a vasta cor­ re n te d ’opinione che riconobbe il diritto divino dei re, senza p erò am m ettere che questo potesse im plicare il principio dell’obbedienza passiva, così che vi è u n a con­ nessione storica tra l’idea m o d ern a della m on archia co­ stituzionale e la tradizione m edioevale della regalità.

Capitolo V

IL R IT O R N O DELL’ETÀ OSCURA E LA C O N V ER SIO N E DEL NORD L’im p ero carolingio e ra stato u n tentativo di realizzare u n vasto p ro g ram m a d i ricostruzione sociale e cu ltu ra­ le con scarse forze m ateriali e nessun equipaggiam en­ to tecnico. L a cosa p iù notevole n o n è il fallim ento m a­ teriale e politico di questo esperim ento, m a il fatto che l’ideale di u n ità e la tradizione della cu ltu ra cristiana, che l’avevano ispirato, abbiano p o tu to sopravvivere co­ sì a lungo in mezzo alle condizioni tan to avverse del secolo IX. Difatti fin dal m om ento in cui il suo fon d ato re m orì l’im p ero si trovò avvolto com e d a u n a crescente m area di difficoltà e di disastri, contro cui gli im p erato ri e i ve­ scovi sostennero u n a lotta eroica m a inefficace. L a scom parsa della p ersonalità do m in an te d i C arlo M agno perm ise che divenisse esplicita la contraddizione fondam entale e latente tra la tradizione b arb ara franca della m onarchia p atrim oniale e l’ideale specificatam ente ca­ rolingio di u n a u n itarietà cristiana d i Chiesa-stato; con­ traddizione che si fece sentire in tu tta la sua forza. M a ciò che so p rattu tto rese an co r p iù grave la crisi fu il fatto che, d u ra n te u n secolo e mezzo, la Cristianità oc­ cidentale si trovò esposta a u n a nuo v a tem pesta di in ­ vasioni barbariche assai p iù distruttive di quelle del se­ colo v. L’im p ero carolingio n o n solo e ra m olto p iù d e­ bole e p iù piccolo di quello rom ano, m a era anche più vulnerabile e ap erto d a ogni lato agli attacchi sim ulta­ nei dei pirati scandinavi del N o rd , dei razziatori sarace­ ni nel M ed iterran eo occidentale e delle nuove o rd e

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provenienti dalle steppe orientali, i M agiari, le cui scor­ rerie si estendevano dal basso D anubio all’in tera E u ro ­ p a centrale e all’Italia. Così, d u ra n te il secolo x, la C ri­ stianità occidentale si trovò circondata d a u n ’in o n d a­ zione di barbarie, m e n tre la suprem azia della cu ltu ra occidentale era passata alla Spagna islamica, la quale era allora all’apogeo della sua prosperità, sotto il calif­ fato in d ip en d en te di Cordova. L a minaccia che pesava sulla civiltà era resa più g ra­ ve dal fatto che i m onasteri, fino ad allora centri della cu ltu ra occidentale, eran o stati particolarm ente esposti agli attacchi dei barbari. M olto p rim a che l’im pero ca­ rolingio si fosse trovato seriam ente minacciato, i g ran d i centri m onastici di cu ltu ra della N o rth u m b ria e dei Celti eran o stati distrutti: Lindisfarne nel 793, Jarro w nel 794 e J o n a nell’802 e 806. A p a rtire d a questo m o­ m en to i santuari e i m onasteri dell’Irla n d a fiirono d e­ vastati ogni anno, fino a che nell’830 si stabilì nell’Irlan d a orientale u n p o ten te reg n o scandinavo che d i­ ven n e la com oda base p e r ulterio ri scorrerie contro la B ritannia occidentale e le coste atlantiche francesi e spagnole. Così l’o n d ata di distruzione seguì la stessa via p e r la quale eran o venuti i m issionari irlandesi e anglosassoni, i quali avevano tan to contribuito a form are la cu ltu ra carolingia; e allo stesso m odo che le fondazioni dei m onasteri eran o state il tra tto caratteristico di q u e­ sto prim o m ovim ento, o ra la loro distruzione fu l’aspet­ to n o n m eno caratteristico di questa nuova eruzione di barbarie. La civiltà m onastica dell’Irlan d a e della N o rth ­ um bria, distru tta da questi spietati assalti, no n potè più risorgere. Il contraccolpo fu risentito persino nell’im ­ p e ro carolingio, ove provocò u n regresso di tu tto il m o­ vim ento m onastico con dannose e durevoli ripercussio­ ni sulla religione e sulla cultura. Ma il pericolo principale che gravava sulla civiltà oc­

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cidentale non proveniva d a queste in term itten ti scorre­ rie, bensì dalla m inaccia gravissima d i u n ’invasione o r­ ganizzata, che p a rten d o dalla D anim arca passava p e r la Frisia e il Sud-Est dell’In g h ilterra. Q uesto pericolo era stato ritard ato , d u ra n te u n secolo e mezzo, dall’azione coordinata della diplom azia carolingia e dell’attività m issionaria. Difatti fu d u ra n te il reg n o del successore di C arlo M agno, Ludovico il Pio, che il Cristianesim o p e­ n etrò p e r la p rim a volta in Scandinavia ad o p era di sant’A nsgario, il prim o arcivescovo della nuova sede di A m burgo fondata nell’831. M a fu solam ente dopo L u­ dovico il Pio, e so p rattu tto in seguito allo scoppio della g u e rra civile tra i suoi figli, che gli attacchi contro i re ­ gni carolingi divennero inquietanti. N ell’845 il re d an e­ se risalì il W eser e distrusse A m burgo, l’avam posto set­ tentrionale della civiltà cristiana. Nello stesso an n o Pa­ rigi venne saccheggiata e C arlo il Calvo dovette pagare u n oneroso riscatto ai Danesi, m e n tre nello stesso tem ­ po, dalla p arte del M editerraneo, R om a e ra assalita dai Saraceni, i quali d ep red av an o le tom be degli Apostoli, il centro più venerato dell’O ccidente cristiano. Ma questi disastri n o n fu ro n o che il p relu d io dell’at­ tacco principale contro l’O ccidente, che cominciò verso Γ850 e continuò senza in terru zio n e d u ra n te cin­ q u a n ta n n i. Nel corso di questi an n i n o n si trattò sola­ m en te di scorrerie isolate di pirati, m a di u n ’invasione abilm ente p ro g ettata d a eserciti ottim am ente organiz­ zati p e r la conquista e l’insediam ento in paesi stranieri. Di an n o in an n o questi b arb ari stabiliranno i loro q u ar­ tieri invernali in posizioni strategiche sulle coste dell’A­ tlantico e del canale della Manica, d a dove lanceranno le loro spedizioni an nu ali sulla Frisia, l’In g h ilterra orientale o la Francia occidentale. Dall’855 all’862 si stabilirono sulla L oira e sul basso corso della Senna. N ell’865 cominciò il principale attacco contro l’Inghil-

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terra, che p o rtò alla ra p id a conquista della N orthum b ria e della M ercia, e dall’871 all’878 ci fu la lu n g a lotta col Wessex, in cui la resistenza ostinata ed eroica d i re A lfredo rip o rtò finalm ente vittoria. M a nell’879 u n ’ir­ ruzione an cora p iù terribile si riversò su tu tti i territo ri carolingi occidentali, dall’Elba alla G aronna. Il giorno della C andelora dell’880 l’in tero esercito del reg n o nord-germ anico, guidato da B ru n o d uca d i Sassonia, da d u e vescovi e dodici conti, fu d istru tto dai Danesi in u n a battaglia in m ezzo alla neve e ai ghiacci presso Ebersdorf, sulle lan d e d eserte di L uneberg. I d ue gio­ vani re di G erm ania e della Francia occidentale ebbero bensì qualche m om entaneo successo a Saucourt e a T h im éon, m a entram bi m o riro n o quasi subito d opo, e C arlo il Grosso, che tem p o ra n eam en te riu n ì tutti i re ­ gni carolingi sotto il suo scettro, si dim ostrò com pietam en te incapace di far fro n te alla situazione. Il g ran d e esercito nordico che e ra venuto dall’In g h ilte rra si sta­ bilì p ro p rio nel cuo re d ell’im p ero carolingio, e p ro ce­ d ette a u n a devastazione m etodica dei te rrito ri tra il R eno e la Senna, b ru cian d o C olonia, Treviri e Metz e saccheggiando il palazzo im periale e la tom b a di C arlo M agno ad A quisgrana. N ell’882 l’esercito invasore e ra a C ondé sulla Schelda, nell’883 si trovava ad Amiens, m en tre tra Γ885-886 concentrava i suoi sforzi su Parigi cinta d ’assedio, ove le forze della C ristianità tentavano u n ’ultim a d isperata resistenza. E a proposito di questi terribili a n n i che il cronista di san Vedasto scrive: «Gli uom ini del N o rd n o n cessano di uccidere e di p o rta re in schiavitù il popolo cristiano, di d istru g g ere le chiese e di b ru ciare le città. O vunque n o n si vedono che cadaveri di ecclesiastici e d i laici, di nobili e di gente del popolo, di d o n n e e d i fanciulli. N on vi è strada, n o n luogo ove il te rre n o n o n sia co-

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p e rto di questo spettacolo di distruzione del popolo cri­ stiano»1. Q uesti anni fu ro n o testim oni del crollo definitivo dell’im pero carolingio. L’insuccesso dell’ultim o tentati­ vo fatto p e r riu n ire le forze dell’O ccidente in to rn o al­ l’ultim o rap p resen tan te superstite della casa carolingia, fu seguito da u n a nuova ridistribuzione del p o tere in ­ to rn o ai capi locali della resistenza nazionale: Eude, conte di Parigi, in Francia, A rnolfo in G erm ania, Ro­ dolfo in Borgogna e G uido d i Spoleto in Italia. Q uesti nuovi re derivavano la p ro p ria autorità dalla suprem azia m ilitare e dalla capacità di p ro teg g ere il paese dalle incursioni dei barbari. Bisogna riconoscere che i loro sforzi n o n fu ro n o del tu tto infruttuosi, perché la vittoria di E ude a M ontfaucon nell’888 e il successo ancor p iù im p o rtan te di Arnolfo nell’891, q u an d o p re ­ se d ’assalto il cam po del p o ten te esercito vikingo a Lovanio, segnarono u n m u tam en to delle sorti. Allora i V ikinghi diressero d i nuovo i loro sforzi contro re Al­ fredo, e fu questa la g ran d e invasione dell’892-896 che ci è così largam ente descritta nella cronaca anglosasso­ ne. Da questa invasione il Wessex em erge, alla fine, d e­ vastato m a n o n vinto. Molte sofferenze eran o ancora ri­ servate all’O ccidente, e la p iù terribile delle invasioni, quella dei M agiari, doveva anco ra venire. M a il peggio della tem pesta e ra passato e la sopravvivenza della C ri­ stianità assicurata. H o esposto con u n a certa abbondanza di particolari gli avvenim enti di questi an n i perch é furo n o d ’u n a im ­ p o rtan za decisiva p e r la storia dell’O ccidente. Mai u n a g u e rra aveva m inacciato così d irettam en te l’esistenza della Cristianità occidentale nel suo insieme; la resisten­ za cristiana di questo p erio d o h a in verità p iù diritto al

1Annales Vedasti, ann. 884.

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n o m e di crociata che n o n le stesse crociate2. L’o rd in e a p ­ p e n a iniziato della C ristianità occidentale fu sottoposto a u n a terribile prova, la quale spazzò via ciò che vi era di debole e superfluo e lasciò sussistere solo gli elem enti p iù saldi e resistenti, che e ra n o assuefatti al pericolo e al­ la violenza. Così questi a n n i v idero la com pleta d istru ­ zione della cu ltu ra m onastica della N o rth u m b ria e dell’A nglia orientale che aveva p ro d o tto fru tti così ricchi nel secolo preced en te; segnaro n o p u re la fine della g ra n d e epoca della c u ltu ra cristiana celtica, che soprav­ visse solo in u n a form a debole e im poverita; fu ro n o infi­ n e testim oni della cad u ta dello stesso im p ero carolingio e segnarono l’arresto della rinascita intellettuale q u an ­ d o stava p e r rag g iu n g ere il suo p erio d o creativo, m en ­ tre eran o ancora in vita G iovanni Scoto e Servato Lupo. In questo perio d o si dileguò so p rattu tto quella spe­ ran za di u n pacifico sviluppo della cultura, che aveva ispirato i capi della Chiesa e il m ovim ento m issionario, e si riafferm ò il carattere g u e rrie ro della società occi­ dentale, ereditato dal suo passato barbarico. D’o ra in poi la pratica della g u e rra p rivata e della vendetta del sangue, dovuta a u n ideale di forza e violenza, diviene nella società cristiana così freq u en te com e e ra presso i suoi vicini pagani. Il reg n o della legge, che C arlo M a­ g no e gli uom ini d i stato ecclesiastici avevano tentato d ’im p o rre, fu dim enticato e la relazione personale di fedeltà tra il signore e il vassallo divenne la sola base d ell’organizzazione sociale. C om ’è ovvio, queste tra ­ sform azioni dim in u iro n o la distanza tra i cristiani e i b arb ari, m a ebbero p e r lo m eno il vantaggio di p e rm e t­ te re a questi ultim i di assimilarsi p iù facilm ente alla so­ cietà cristiana. Ed è in tal m odo che i V ikinghi, conqui­

2 L’intero esercito che cadde a Ebersdorf nell’880 fu canonizzato collettiva­ mente dalla Chiesa germanica sotto il nome di «Martiri di Ebersdorf».

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statori di territo ri cristiani in In g h ilterra, N o rm an d ia e Irlan d a, d ivennero sovente cristiani dal m om ento del loro insediam ento nel paese conquistato, form an d o co­ sì u n a zona in term ed ia tra la C ristianità e il m ondo p a­ gano. Per m ezzo di essa l’influsso cristiano p en etrò g ra­ d u alm ente fino ai paesi d ’origine dei conquistatori e p re p a rò la via alla conversione della Scandinavia. L’In g h ilterra e l’Irla n d a nel secolo x fu ro n o i centri principali di questo processo di reciproca p enetrazione culturale e religiosa, e fu in In g h ilte rra che il p rim o dei nuovi reg n i nazionali si costituì quale cen tro organizza­ to di resistenza co n tro gl’invasori pagani. N essun paese cristiano aveva sofferto p iù d u ram en te dell’In g h ilterra i disastri d el secolo ix, e in nessun altro luogo i centri d ell’antica cu ltu ra m onastica e ra n o stati così radical­ m en te distrutti. Re A lfredo, co n trariam en te ai suoi con­ tem p o ran ei del co n tin en te, E ude d i Francia, Arnolfo di G erm ania e Bosone di Provenza, n o n si lim itò a orga­ nizzare u n a fo rtu n ata resistenza. Solo tra i sovrani del suo tem po, egli com prese quale im p o rtan za vitale aves­ se la riconquista spirituale, e consacrò altrettan ta e n e r­ gia p e r far rivivere la tradizione della cu ltu ra cristiana, q u an ta n e dispiegò p e r d ife n d ere l’esistenza nazionale. È impossibile concepire il m inim o dubbio circa il sen­ tim ento d ’u rgenza che re A lfredo n u triv a rig u ard o a questo problem a, dacché egli stesso sintetizzò l’in tera situazione nella sua trad u zio n e d el libro di san G rego­ rio M agno, trad u zio n e che è u n o dei più notevoli d o cu m en ti rig u a rd a n ti la cu ltu ra m edioevale e il p iù antico m o n u m en to della p ro sa inglese. Egli d e­ scrive con com m oventi p aro le com e si e ra p e rd u ta la tradizione dell’età d ’oro della civiltà cristiana, sì che n o n era rim asto altro che il nom e di Cristianità. «Ci com piangevam o del solo nom e, di essere cioè cristiani, m a b en poco della virtù...»

Cura Pastoralis,

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«Quando io ripenso a tutto questo, ricordo anche ciò che vidi prima che tutto fosse devastato e bruciato. Le chiese si ergevano dappertutto in Inghilterra, piene di tesori e di libri e di una gran folla di servitori di Dio; ma questi traevano poco profitto dai libri, perché non potevano capirli, non essendo scritti nella nostra lingua. E come se quei libri ci dicessero che i nostri mag­ giori, i quali si trovavano in quei luoghi prima di noi, amavano la scienza e grazie ad essa avevano acquistato un tesoro che la­ sciarono a noi. Qui possiamo vedere le loro tracce, ma non pos­ siamo seguirle; a motivo di questo abbiamo perduto a un tempo la ricchezza e la scienza, non avendo la volontà di piegare la no­ stra intelligenza nella ricerca del sapere.»

A lfredo trovò il rim edio a questo stato di cose col d are im pulso allo sviluppo della cu ltu ra nazionale. «Perciò mi è sembrato bene tradurre nella lingua che tutti co­ nosciamo i libri maggiormente necessari alla conoscenza di tut­ ti gli uomini. Cercheremo di fare in modo (come meglio potre­ mo, se avremo pace) che tutta la gioventù d’Inghilterra di con­ dizione libera e tutti coloro che hanno l’opportunità di dedicarvisi siano obbligati ad istruirsi, non potendo applicarsi a nessun’altra attività profittevole fino a quando non sappiano leggere la scrittura inglese. Inoltre si faccia imparare la lingua latina a coloro che desiderano apprenderla ed elevarsi ad una condizione più alta.»3

Fu con questo intento che re Alfredo, aiutato dall’arci­ vescovo san Plegm undo, d a Asser il Gallese, d a san Grim aldo il Fiam m ingo e d a G iovanni m onaco di Corvey in Sassonia, diede inizio alla sua biblioteca d i traduzio­ ni, a cui si dedicò d u ra n te gli ultim i dodici anni di go­ verno, in mezzo alle «diverse e m olteplici molestie del regno». E tutti i suoi successi di re g u erriero (come quelli dei suoi antenati, com e quelli di Arnolfo e di Eu-

3 Prefazione alla traduzione della Cura Pastorali.

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de) sono forse m eno eroici della determ inazione con cui, verso gli ultim i suoi anni, si dedicò allo studio p e r restitu ire al suo popolo la tradizione p e rd u ta della cul­ tu ra cristiana. È interessante co n fro n tare l’o p e ra di A lfredo con quella di C arlo M agno. Egli ten tò di fare p e r l’In g h il­ te rra ciò che Carlo aveva voluto fare a vantaggio d el­ l’in te ra C ristianità occidentale. Però egli si trovò a d o ­ v er lavorare in condizioni d i gran lu n g a p iù sfavorevo­ li, con insufficienti risorse e in ad eg u ati aiuti intellettua­ li. Ciò n onostante il suo m odesto p ro g etto p e r la diffu­ sione di u n a cu ltu ra cristiana in lingua volgare fu forse p iù adatto alle reali necessità del tem po che n o n l’u n i­ versalismo teocratico dell’im pero carolingio. L’im pero n o n fu abbastanza forte p e r resistere agli effetti d i disgregam ento, p ro d o tti dagli attacchi b arb a­ rici, m a la sua tradizione si dim ostrò abbastanza vigoro­ sa p e r im p ed ire che i nuovi reg n i si organizzassero su basi culturali di tradizioni nazionali autonom e. N ell’Oc­ cidente la caduta d ell’im p ero fu seguita dal dissolvi­ m en to dell’au to rità dello stato stesso. N on p iù lo stato nazionale, m a i centri locali d i forza m ilitare, la contea e il principato feudale d iv en n ero le realtà politiche vitali. I nuovi reg n i di B orgogna, d ’Italia, di Provenza e di L o ren a possedevano solo u n ’a p p aren te e incerta esi­ stenza, e q u a n tu n q u e il reg n o di Francia, o Francia oc­ cidentale, conservasse qualcosa del suo antico prestigio, l’effettiva posizione d el re, nel secolo x, e ra quella di u n p resid en te o n o rario d i u n com itato di m agnati feudali, i quali eran o in d ip en d en ti e governavano il loro p rinci­ p ato come se fossero re. Nelle regioni dell’Est lo sviluppo politico seguì u n corso differente. La G erm an ia cristiana e ra in così larga m isura u n a creazione carolingia, e la Chiesa tedesca era così strettam en te associata con l’im p ero nell’o p era di

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governo e nella diffusione della civiltà cristiana verso le regioni dell’Elba e del D anubio, che la tradizione caro­ lingia potè sopravvivere alla caduta dell’im pero e d e ­ term in are l’in tero carattere dello sviluppo susseguente. La tendenza centrifuga che si m anifestò col sorgere dei cinque ducati: Sassonia, Baviera, Turingia, F ranconia e Svevia, venne fren ata dalla lealtà dell’episcopato al principio m onarchico, che fu riafferm ato solennem en­ te com e articolo di fede cristiana nel g ra n d e sinodo di H ohenaltheim nel 916. L’alleanza tra la Chiesa e il re divenne la p ietra an g o ­ lare d el nuovo o rd in e politico stabilito d a O ttone il G ran d e (936-973). Tale o rd in e fu consacrato dall’inco­ ronazione di O ttone a R om a nel 962 e dalla re sta u ra ­ zione dell’im pero di O ccidente. Il nuovo im pero era com pletam ente carolingio, e p e r le tradizioni e p e r gli ideali. O ttone I an d ò persino p iù in là di C arlo M agno nell’appoggiarsi in tera m e n te sulla Chiesa p e r la pratica am m inistrazione dell’im pero, e fece sì che i vescovi ri­ cevessero le cariche della corte carolingia e divenissero i principali stru m en ti di governo. Q uesta trasform azio­ ne dell’episcopato in u n a potenza territoriale e politica fu com une, in u n a certa m isura, a tutti i paesi che ave­ vano fatto p a rte dell’im pero di C arlo M agno: Francia, Italia, G erm ania e L orena, m en tre rim ase sconosciuta alla società anglosassone e ai reg n i barbarici recen te­ m en te formati: Scandinavia, Polonia e U ngheria. M a in nessun altro luogo questo stato di cose an d ò ta n t’oltre ed ebbe conseguenze politiche e religiose più gravi co­ m e nei paesi dell’im pero, G erm ania e L oren a, ove era destinato a d eterm in a re le relazioni tra la Chiesa e lo stato p e r circa seicento anni. La stessa R iform a n o n p o ­ se term ine alle conseguenze di questa situazione a n o r­ male, e l’episcopato germ anico rim ase inestricabilm en­ te mescolato con l’o rd in e politico fino al giorno in cui i 120

principati ecclesiastici v en n ero definitivam ente liquida­ ti d a N apoleone. Se l’im pero germ anico avesse posseduto il carattere di universalità del suo p ro to tip o carolingio e fosse di­ ventato l’espressione politica della la situazione avrebbe p o tu to essere m eno irrim ediabile. Ma poiché, n o nostante le sue p retese teoriche, i suoi confini n o n s’identificarono m ai con quelli della Cristia­ n ità occidentale, ed ebbe in vista scopi e interessi nazio­ nali, vi fu contraddizione flagrante tra il suo com pito spirituale e le funzioni politiche d el nuovo tipo di con­ te-vescovo, che e ra la figura d o m in an te nell’am m inistrazione im periale. L e intelligenze p iù em inenti della Chiesa carolingia, com e R abano M auro, eran o state sem pre consce del pericolo. A nche nel secolo x san R adbodo di U trecht rim ase fedele alla tradizione di san W illibrordo e di san Bonifacio e rifiutò di accettare ca­ riche secolari come incom patibili con le funzioni spiri­ tuali dell’episcopato. Ma dal tem po di O tto n e I questo atteggiam ento n on fu p iù di m oda. Il g ran d e capo della Chiesa tedesca san B runo, fratello dell’im p erato re, accum ulò ogni genere di dignità ecclesiastiche e secolari. E ra arcivescovo di Colonia, abate di L orsch e Corvey, arcicancelliere del­ l’im pero, duca di L o ren a e, finalm ente, reg g en te del­ l’im pero d u ra n te l’assenza di O tto n e in Italia4. Ma fu anche u n g ra n d e p ro te tto re dell’istruzione, co­ noscitore del greco e gu id a di u n nuovo m ovim ento di rinascita culturale che accom pagnò la restaurazione dell’im pero. In realtà il nuovo im pero arrivò quasi a realizzare gli ideali carolingi dell’universalism o cristia­ n o q u an d o l’influenza di questi uom ini di stato ecclesia-

respublica christiana,

4 È significativo constatare che solo nel 1870 il suo culto venne confermato dalla Santa Sede.

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stici conobbe il suo apogeo, cioè d u ra n te la m inorità di O ttone I I I e sotto il suo breve regno. Senza dubbio q u e ­ sto fatto era in p a rte dovuto alla responsabilità del gio­ vane im p erato re che, m ezzo bizantino di sangue, era vi­ vam ente sensibile sia alla tradizione ro m a n a che alla r e ­ ligione bizantina; m a n o n m eno im p o rtan te fu l’in ­ fluenza form ativa di un notevole g ru p p o di ecclesiastici che fu ro n o suoi m aestri e consiglieri: san B ernw ard di H ildesheim , sant’E riberto di C olonia, san N otkero di Liegi e so p rattu tto G erberto d ’Aurillac, il fu tu ro p a p a Silvestro II, la m ente p iù universale della sua epoca. Così la fine del secolo x fu testim one del breve e spa­ smodico tentativo di trasform are il reg n o nazionale g e r­ m anico degli im p erato ri sassoni nell’im p ero universale e internazionale della R om a cristiana. O tto n e III si p ro ­ p o n e com e scopo la rinascita del prestigio in tern a zio n a­ le di Rom a, la liberazione della città dal controllo delle fazioni aristocratiche locali e la creazione di u n a p iù stretta u n io n e col Papato. La sua residenza a R om a fu il «palazzo-m onastero» suU’Aventino, presso san t’Alessio. A dottò com e p ro g ra m m a di governo «la restaurazione della repubblica e la rinnovazione dell’im p ero rom ano:

restitutio reipublicae et renovatio imperii romanorum».

B enché il suo breve reg n o sia term in ato nel fallim en­ to e nella delusione, n o n d im en o esercitò sullo sviluppo fu tu ro della C ristianità occidentale u n influsso m aggio­ re di quello che ebbero molti re g n i p iù fam osi e m ate­ rialm ente p iù fortunati. In prim o luogo, con la n om ina dei p rim i papi originari dell’E u ro p a settentrionale (G regorio V e Silvestro II), p rean n u n cio il carattere in ­ ternazionale del Papato che doveva contrassegnare la g ra n d e epoca della Chiesa m edioevale. In secondo lu o ­ go, con l’ab b andono della politica sassone d i espansio­ ne tedesca, che aveva identificato la conversione dei p a ­ gani con la loro sottom issione all’im pero germ anico e 122

alla Chiesa tedesca, favorì la form azione dei nuovi regni cristiani dell’E uropa orientale. Tuttavia l’epoca che vide la conversione dell’U ng h e­ ria, della Polonia e della Russia fu anche il tem po del trionfo del paganesim o nordico. A ncora p e r l’ultim a volta le flotte vikinghe fu ro n o lanciate contro l’Occi­ d en te, e così ricom inciò u n a nuova e ra di invasioni b a r­ bariche. Le cause del nuovo m ovim ento sono rese oscure dal­ le com plicate lotte p e r il p o tere, che m ettevano l’u n contro l’altro i tre re g n i nordici. M a è probabile che il consolidam ento della p o tenza germ anica sotto O ttone I sia stato sentito com e u n a m inaccia all’indip en d en za nordica, e che la sconfitta d i O tto n e II in Italia sia stata, tan to p e r i D ani come p e r i W endi all’est dell’Elba, il se­ gnale di rin u n cia al C ristianesim o e di invasione dei paesi della Cristianità. Q uesta volta però fu l’In g h ilterra e n o n il continente la vittim a principale del nuovo attacco vikingo. Il re ­ staurato reg n o cristiano della casa di Alfredo, che ave­ va rag g iu n to il suo apogeo sotto il re E dgardo (959975), conobbe tem pi terribili e, sotto la pressione del­ l’invasore, finì p e r crollare nel sangue e nella rovina. Per venticinque an n i l’In g h ilterra fu saccheggiata d a u n a estrem ità all’altra e vuotata di im m ense somme di d en aro , i cui residui si trovano ancora nelle tom be o sono am m assati in nascondigli. N e fanno testim onian­ za le iscrizioni ru n ich e sparse d a u n capo all’altro della Scandinavia. Finalm ente nel 1016 C anuto, figlio del capo della reazione p agana, fu riconosciuto com e re d ’Inghilterra, e divenne il fo n d ato re dell’im p ero anglo-scandinavo. M a la vittoria di C anuto n o n fu vittoria del paganesi­ m o. A p pena arrivato al p o tere rinviò l’esercito vikingo e governò l’In g h ilte rra «in base alle leggi di re Edgar-

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do», cioè in conform ità alle tradizioni della regalità cri­ stiana. Egli d ivenne u n g ra n d e b enefattore della C hie­ sa, elevando tom be e a d o rn a n d o le sepolture dei santi, com e fece p e r sant’Alfege che suo p a d re aveva ucciso. C om e In a e Etelwulf, fece il pellegrinaggio a R om a p e r visitare le tom be degli Apostoli e assistere, insiem e ai p rin cip i della C ristianità, all’incoronazione d ell’im p e­ ra to re , nel 1027. Inviò vescovi inglesi e m onaci in D a­ n im arca e in N orvegia e p e r u n certo tem p o sem brò che C anterbury dovesse sostituire A m burgo com e capi­ tale ecclesiastica del N ord. Così l’incorporazione della Scandinavia alla Cristia­ n ità occidentale n o n fu, com e nell’E u ro p a centrale, il risultato della p otenza e del prestigio dell’im pero, m a effetto della conquista dell’In g h ilte rra cristiana d a p a r­ te dei b arb ari che, assiem e alle altre spoglie dell’inva­ sione, p o rta ro n o nei loro paesi nordici il Cristianesim o. L a conversione d ei popoli scandinavi n o n significò la vittoria d ’u n a civiltà stran iera e la p e rd ita dell’in d ip en ­ d en za nazionale, com e e ra avvenuto p e r i Sassoni del co n tin ente o p e r gli Slavi della G erm ania orientale. Il N o rd pagano en trò nella società della C ristianità occi­ d en tale p ro p rio nel m om ento in cui la sua vitalità so­ ciale raggiungeva l’apogeo e la sua cu ltu ra e ra p iù fe­ conda. Q uesto fatto fu dovuto all’o p era dei loro p iù g ra n d i sovrani, di re quali san V ladim ir in Russia, Ca­ n u to il G ran d e in D anim arca e O laf Trygvason e O laf il S anto in N orvegia. In realtà, fu solo in virtù d el p resti­ gio della nuova religione universale che la m onarchia nazionale p o tè acquistare l’a u to rità necessaria p e r su­ p e ra re lo spirito conservatore della vecchia civiltà con­ tad in a e le idee d ’in d ip en d en za degli antichi ream i-clan e d ei loro «fylker» o «genti». In tal m odo la vittoria del C ristianesim o coincise col conseguim ento dell’u n ità nazionale e fu il p u n to culmi-

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n an te del processo d ’espansione e di scambio culturale che aveva accom pagnato il m ovim ento vikingo. L a civiltà m ista e varia degli stati vikinghi divenuti cristiani, che si trovavano al di là dei m ari, agì a sua vol­ ta sulla cu ltu ra scandinava della m ad rep atria e finì p e r avere ragione del particolarism o locale tan to in religio­ ne quan to in politica. E, p e r u n m om ento, sem brò che l’in te ra area di cultura nordica, dalle isole britanniche al Baltico, potesse tro v are la sua u n ità in u n im pero nordico cristiano sotto la sovranità del re danese. Go­ v ern an d o dalla sua corte di W inchester, circondato da ecclesiastici inglesi, d a m ercen ari scandinavi e da poeti islandesi, C anuto fece p e r la p rim a volta e n tra re in con­ tatto i paesi del n o rd con la vita internazionale della Cristianità occidentale. Il N o rd n o n aveva m ai conosciuto p e r l’innanzi u n re così ricco e potente. E l’islandese T oraren poteva scri­ vere di lui: «Canuto regna nel paese come Cristo, pastore della Grecia, regna nei cieli!».

Tuttavia questo im pero del N o rd , come il contem pora­ neo im pero slavo di Boleslao il G rande in Polonia (9921025), era u n a potenza fragile e transitoria, e la figura di C anuto n o n fece u n ’im pressione di lu n g a d u rata sul­ l’anim o dei nordici. N o n C anuto, m a il suo sconfitto ri­ vale e la sua vittim a, il santo re O laf di Norvegia, diven­ n e il tipo e il rap p resen tan te del nuovo ideale della re ­ galità cristiana dei paesi nordici. N onostante le sue leg­ gi cristiane e la sua p ro d ig a generosità verso la Chiesa, C anuto n o n fece appello a ciò che vi era di più elevato nelle tradizioni nordiche. Fu fo rtu n ato come guerriero e come uom o di stato, m a n o n fu m ai u n eroe: dovette le sue vittorie alla sua en o rm e potenza e a u n o spregiu-

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dicato uso delle risorse finanziarie. O laf I I H aroldson (o O laf il Santo) invece fu u n autentico ra p p re se n ta n te dell’eroica tradizione nordica, com e il suo predecessore O laf I Trygvason (995-1000). Egli com pletò l’o p era di q u est’ultim o cristianizzando la N orvegia, spezzando col ferro e col fuoco l’ostinata resistenza dei capi pag an i e degli abitanti delle cam pagne e, come l’altro Olaf, m orì in u n a eroica battaglia lottan d o senza speran za contro forze superiori. Ma la battaglia di Stiklestad (1030) differisce da q u el­ la di Svoldr (1000), dove aveva trovato la m o rte O laf I Trygvason, nel senso che adesso si trattava di u n a g u e r­ ra civile contro sudditi sleali del re, i quali eran o stati com prati dall’o ro inglese di C anuto. Si aveva così u n a realizzazione storica del m otivo d o m in an te dell’antica poesia epica: la trag ed ia d ell’eroism o leale sconfitto p e r m ezzo del tra d im en to e d ell’oro, com e la descriveva l’a­ mico di Olaf, il p o eta Sighvat: «Ecco venire i nemici del principe portando le loro borse aperte, moltissimo essi offrono in denaro per la testa del nostro re. Tutti sanno che colui che vende il proprio buon signore per l’oro finirà nel nero inferno e di tal fine egli è degno»5.

Nel caso di Olaf, questa antica tradizione dell’eroism o nordico si univa a u n nuovo spirito di fede religiosa. C om e i partigiani di O laf eran o rim asti fedeli al loro si­ gnore, così O laf restò fedele al Signore del Cielo. In tal m odo, la nuova religione divenne l’oggetto di u n a fe-

5 Dal poema Heimskringla, E. Monsen (a cura di). Cambridge 1932, p. 403. 126

d eità assai più elevata d i quella che il culto degli antichi d èi n o n avesse saputo m ai evocare. L’an n o dopo la battaglia di Stiklestad il corpo di sant’O laf fu p o rtato a N idaros (oggi T rondjem , p o rto norvegese sull’oceano), e il re sconfitto divenne il p a ­ tro n o e il p ro te tto re d el N o rd cristiano. L a fama delle sue virtù e dei suoi m iracoli si diffuse in tu tti i paesi n o r­ dici con u n a rap id ità so rp re n d e n te . Persino i suoi n e ­ mici d ’u n tem po riconobbero il suo p o tere e l’accettaro­ n o come p a tro n o e custode della m onarchia norvegese, com e si p u ò vedere nella bella poesia intitolata che T oraren, p o eta della corte di C anuto, scrisse ap p en a alcuni an n i dopo. A nche se questa p o e­ sia è dedicata al re Sveno, l’u su rp a to re danese, n o n d i­ m en o il suo vero eroe è il d efu n to re che, dal suo san­ tu ario di N idaros, re g n a an co ra sul paese.

Canto del

mare calmo,

«Qui egli giace intatto e puro il re molto lodato. Qui le campane posson suonar forte da se stesse sopra il santuario affinché ogni giorno il popol senta i risonanti bronzi sopra il suo re. Appena Haroldson ottenne il suo posto nel regno celeste subito divenne un potente apostolo di pace. Una folla d’uomini là dove il santo re giace s’inginocchia per aver aiuto;

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ciechi e muti vengono a trovare il re e ritornano a casa dai loro mali guariti. Prega dunque Olaf l’uomo di Dio, che'egli ti conceda il suo santo spirito. Con Dio stesso egli cerca successo e pace per tutti gli uomini»6.

D anim arca, h a descritto questo cam biam ento in u n b ra ­ n o assai notevole. D opo aver p arlato delle loro antiche piraterie, continua:

La canonizzazione popolare d i sant’O laf nel 1031 è im ­ p o rtan te, n o n solo p erch é è u n o dei p rim i e più spon ?nT c eSempi del m odo con cui i nuovi popoli daTano n a consacrazione alla loro nazionalità con l’adozione di u n santo d i sangue reale a loro p a tro n o nazionale m a ancor piu p erch é questo ultim o fatto sta a dim ostracon qS e ! i e ^ r i r „ e

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delle leggi preseli non, d”



d

S ed i ί rànn'Jf * N?™ *ia c o n s id e r a t i^ ered i e rap p resen tan ti di sant’Olaf, quasi allo stesso s a d r i g u S S i n d l ’epoca P3^3113· > ^ d i Svezia eran o stati n g u a rd a u successori e rap p resen tan ti del dio Frev. ente accettazione del Cristianesim o in N orvegia e D anim arca trasform ò grad u alm en te lo spirito dellacultu ra scandinava A dam o di B rem a, che è u n testim onio n tem p o ran eo b en inform ato sulle vicende del N o rd grazie alla sua amicizia con il re Sweyn E strithson di 6 Cfr. Heimskringla, op. cit., p. 469.

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«Ma dopo l’accettazione del Cristianesimo essi si sono imbevuti di principi migliori e adesso hanno imparato ad amare la pace e la verità, a esser contenti nella loro povertà, e persino a distri­ buire ciò che hanno accumulato, e non come prima a raccoglie­ re ciò ch’era sparso... Di tutti gli uomini, sono i più temperanti sia nel cibo sia nei vestiti, amando soprattutto l’economia e la modestia. E inoltre è così grande la loro venerazione per i sa­ cerdoti e le chiese, che difficilmente si trova un cristiano il qua­ le non faccia un’offerta ogniqualvolta ascolta la Messa... In mol­ ti luoghi della Norvegia e della Svezia i custodi dei greggi sono uomini di nobile condizione, che alla maniera dei patriarchi vi­ vono del lavoro delle loro mani. Ma quelli che abitano in Nor­ vegia sono i più cristiani, se si eccettuano coloro che dimorano lontano, presso i mari artici»7.

Egli p arla allo stesso m o d o delle abitudini degli Islan­ desi che sono obbligati a vivere p o v eram en te a motivo del loro clim a rigido: «Benedetto sia il popolo, dico io, della cui povertà nessuno ha invidia, e ancor più benedetto perché adesso tutti hanno ab­ bracciato il Cristianesimo. Vi sono molte cose degne di nota nel­ la loro condotta abituale, soprattutto nella pratica della carità, da cui deriva che presso di loro tutto è comune non solo per la gente del paese, ma anche per gli stranieri. Essi si comportano verso il loro vescovo come se fosse un re, perché tutto il popolo testimonia rispetto ai suoi desideri, e tutto ciò ch’egli ordina da parte di Dio, secondo le Scritture e le consuetudini delle altre nazioni, essi lo considerano come legge»8.

7 Adamo di Brema, Descriptio insularum aquilonij, 30 e 31. 8 Ibidem, 35.

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Per quanto A dam o di B rem a abbia p o tu to idealizzare il Cristianesim o scandinavo, n o n si pu ò d u b itare che si sia iatta sentire u n a reazione contro la violenza e la cru ­ deltà dell epoca vikinga, e che sotto il governo d i re ” 8 ® ' com e O laf K yrre, «il re della Pace» (10661093), il quale fu anche soprannom inato «l’agricoltore», i nuovi ideali della regalità cristiana siano stati uniu 1611!16· accettati- Le prim e frasi delle benché nella loro form a attuale risalgano a u n p e ­ riodo m olto p iù recente, riflettono tuttavia lo spirito di quest epoca:

Olaf,

Leggi di S.

«Questo è l’inizio della nostra legge: che noi dobbiamo inchi­ narci verso l’Oriente e pregare Cristo benedetto per la pace e le buone annate, affinché il nostro paese possa esser ben popolato e noi possiamo esser fedeli al nostro re; possa Egli essere nostro amico e noi di Lui; e Dio sia l’amico di noi tutti».

La nuova civiltà cristiana che si diffuse nel N o rd nei se­ coli x i e xii, derivò in g ra n p a rte dall’In g h ilterra, d o n ­ de erano venuti la m aggior p a rte dei p rim i vescovi m is­ sionari e le p rim e com unità m onastiche. D ’altra p arte, 1 annessione delle contee del C aithness e delle isole oc­ ad e n ta li, effettuata dal re M agno successore di O laf K yrre, mise la N orvegia in contatto im m ediato con la Scozia e la cultura gaelica. Se n o n ci fosse stata la con­ quista n o rm a n n a dell’In g h ilte rra e dell’Irlan d a, le isole britanniche, la Scandinavia e l’Islanda sarebbero p o tu ­ te arrivare ad avere in com une u n a stessa cultura e a form are u n a p a rte distinta della C ristianità occidentale. Ma neanche la conquista n o rm a n n a spezzò in tera m e n ­ te ì legam i tra questi paesi. Per certi lati essa li rafforzò, com e possiamo vedere nella carriera di T urgot che, p e r salvarsi dai N orm anni, si rifugiò in N orvegia, ove di­ venne il precetto re di O laf Kyrre; in seguito potè anco-

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ra diventare p rio re di D u rh am in In g h ilterra, arcive­ scovo di Saint-Andrews in Scozia, guida e biografo di Santa M argherita di Scozia. C on la d ecadenza della c u ltu ra anglosassone, il m o n ­ d o scandinavo rim ase il principale rap p resen tan te del­ la cu ltu ra locale nell’E u ro p a settentrionale. Fu so p rat­ tu tto in Islanda che i letterati dei secoli ix e XII rip rese­ ro le tradizioni di re A lfredo e fo n d aro n o la g ran d e scuola di storiografia e archeologia nazionale, alla q u a­ le noi siamo in g ran p a rte debitori della conoscenza del passato. Si h a la ten d en za di co n sid erare la civiltà m edioevale com e intollerante di ogni cosa che fosse al d i fuori della tradizione della C ristianità latina. M a n o n dobbiam o di­ m enticare che le n o rd ich e sono u n a creazione della C ristianità m edioevale allo stesso m odo delle e che i p re ti e le scuole della cristiana Islan­ d a ci h a n n o conservato la ricca tradizione della m itolo­ gia, della poesia e della saga nordica.

saghe

sons de geste,

chan-

Capitolo VI LA TRA D IZIO N E BIZA N TIN A E LA C O N V ER SIO N E DELL’EUROPA ORIENTALE La conversione dei popoli scandinavi fu p e r l’O cciden­ te u n avvenim ento d ’im portanza eccezionale, poiché p ro p rio questi popoli, al tem po dei Vikinghi, avevano costituito il p iù serio pericolo p e r l’esistenza della C ri­ stianità occidentale. M a n o n fu u n avvenim ento isolato: d u ra n te questo stesso p erio d o i popoli d ell’E uropa orientale en traro n o a far p arte della società dei popoli cristiani e form arono u n a seconda C ristianità europea, che si estese dal Baltico al M ar N ero e dall’Elba al D on e all’alto Volga. L a form azione di questa seconda Cristianità aveva avuto uno stretto ra p p o rto con la conversione della Scandinavia in q u an to la sua espansione seguì le vie com m erciali dei Vikinghi verso l’O riente, e trovò u no dei suoi più im p o rtan ti cen tri di diffusione nei nuovi stati russi, organizzati e controllati d a avventurieri scan­ dinavi. Più a ovest, sul D anubio, l’Elba e la M orava, l’e­ spansione orientale della C ristianità risale a u n periodo an teriore, e h a la sua origine negli sforzi d i Carlo M a­ gno e dei suoi successori p e r esten d ere i confini del lo­ ro im pero e della C ristianità nell’E u ro p a centrale. Q uesti sforzi eran o stati in p a rte coronati da succes­ so, e solam ente nei secoli x e xi la cu ltu ra cristiana potè radicarsi definitivam ente nell’E u ro p a orientale, in Boe­ mia, U ngheria e Polonia, com e p u re in Scandinavia e in Russia. A prim a vista questo sem bra u n fatto so rp ren d en te, poiché l’im pero bizantino m an ten n e il suo predom inio

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cu lturale e religioso d u ra n te tutto questo p erio d o , e la sua capitale, C ostantinopoli, si trovava in u n a posizione m eravigliosa p e r servire da cen tro a u n m ovim ento d ’e­ spansione m issionaria al di là del D anubio e d el M ar INero. Già nel secolo iv i Cori della Russia m erid io n ale era­ n o stati convertiti e il lo ro vescovo aveva p reso p a rte al concilio di Nicea (325), m en tre nei Balcani san Niceta di Rem esiana stava co n tin u an d o il suo fru ttu o so ap o ­ stolato tra i pagani situati lungo il D anubio. Ma, d o p o la ,d \ Gnf tm ian o > l’im p ero d ’O rien te subì u n a p ro to n d a trasform azione. Esso si isolò d all’E u ro p a e di­ ven n e u n o stato orientale sem p re p iù assorbito nella o tta P er la vita, d a p p rim a contro l’im p ero p ersian o e, d o p o il 640, contro il Califfato islamico che aveva con­ quistato la Siria e l’Egitto. Le province illiriche, che e ra ­ n o state la spina dorsale dell’im p ero dai tem pi an terio ­ ri a Diocleziano fino all’epoca di G iustiniano (dal n i al Vi secolo), fu ro n o devastate dai b arbari e occupate da trib ù slave. Q u an d o poi nel secolo vili l’im p ero riacqui­ sto la sua potenza, questa rip resa fu d ovuta agli im p e­ c i 01'1 ìsaurici, d ’o rigine asiatica, i quali s’appoggiavano p m sull Asia M inore che sulle province euro p ee. N on fa m eraviglia che, in tali condizioni, l’influsso culturale e religioso bizantino si sia esteso in direzione orientale, verso l’A rm enia e la G eorgia, piuttosto che in direzione n o rd verso l’E u ro p a orientale. L a sola eccezione rilevante a questa ten d en za la si la1strana c a m e r a di G iustiniano I I (685-695 e 765-711) che rassom iglia a Ivan il T erribile p er la sua spietata crudeltà, la sua instabilità m entale e le sue b ru ­ sche esplosioni di energia dem oniaca. G iustiniano II trascorse dieci an n i d ’esilio in C rim ea, ove sposò la sorella del K hagan dei Kazari e, p e r recu ­ p e ra re il trono, si alleò con i B ulgari, ricom p en san d o il

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loro sovrano col m antello di p o rp o ra e il titolo di Cesa­ re. Tuttavia d u ra n te il suo reg n o e sotto i g ran d i im pe­ rato ri isaurici che gli succedettero n on ci fu alcuna atti­ vità m issionaria nell’E u ro p a orientale che possa p a ra ­ gonarsi a quella svolta dai m onaci celti e anglosassoni in O ccidente d u ra n te la stessa epoca. Senza dubbio questo fatto era dovuto p rincipalm en­ te all’abisso p ro fo n d o che separava la civiltà bizantina a carattere u rb an o d a quella sem iprim itiva dei popoli b arb ari che dai lontani deserti si riversavano, a ondate successive, sull’im pero. In O ccidente n o n esisteva siffat­ ta distanza, poiché i reg n i cristiano-barbarici, che eran o sorti sulle rovine dell’im pero d ’O ccidente, avevano creato u n a transizione n atu rale tra la civiltà latina del M editerraneo occidentale e la tradizione pagana della b arbarie nordica. M a la storia d ell’E uropa orientale è sem pre stata d eterm in ata dalla sua situazione geografi­ ca, cioè dalla m ancanza di confini naturali a Est. L a g ran d e steppa, eu ro p ea e asiatica insieme, si estende illim itata dal D anubio ai m onti Aitai, verso n o rd , m en tre verso sud, attraverso le oasi, raggiunge la G ran d e M uraglia cinese e le foreste della M anciuria. Q uesta fu la g ran d e via delle nazioni che apriva il cuo­ re dell’E u ro p a orientale alle o rd e g u erriere dell’Asia centrale, e n o n fu chiusa se n o n q u an d o M unnich e il maresciallo K eith ebbero preso d ’assalto le linee di Perek o p , nel 1737. L’insiem e di questa vasta area form a u n a u n ità molto p iù stretta d i quella d ell’O ccidente, p e r il fatto che i p o ­ poli delle steppe sono stati in contatto gli u n i con gli al­ tri d a tem pi im m em orabili. Perciò ogni cam biam ento nelle loro relazioni poteva m ettere in m oto tu tta quest’im m ensa zona, dai confini della Cina a quelli degli im peri bizantino e carolingio. Le g randi civiltà dell’estrem o O riente e del lontano

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O ccidente avevano sem pre igno rato a vicenda la loro reciproca esistenza, p erch é prive di mezzi di com unica­ zione e di cooperazione. I b arb ari delle steppe invece fu ro n o in ogni tem p o consci dell’esistenza dei due m ondi, e si d im ostrarono capaci di organizzare vaste operazioni m ilitari che diressero im parzialm ente sia contro 1 Est che contro l’Ovest. Per conseguenza le rela­ zioni dell im pero bizantino coi suoi vicini b arb ari non e ra n o quelle che ci si p o tre b b e aspettare d a u n a civiltà unificata che doveva tra tta re con tribù b a rb a re prive di unita. E ran o relazioni da im p ero a im p ero . Perché, q u an tu n q u e 1 popoli delle steppe p e r m olti aspetti fos­ sero piu b arb ari dei G erm ani e degli Slavi pagani, n o n ­ dim eno, dal p u n to di vista m ilitare o m ilitare-politico, eran o p erfettam en te organizzati e facevano p arte di u n tu tto vastissimo che si estendeva ben al di là della p o r­ tata politica bizantina. Q uesto tipo d ’im p ero b arbaro-eurasian o così orga­ nizzato esisteva già nel v secolo, q u an d o gli U nni, cac­ ciati dal cu o re dell’Asia centrale, v en n ero spinti verso ovest e si stabilirono in U ngheria. Da q u i diressero le loro invasioni tan to sui paesi orientali q u a n to su quelli occidentali. Ma Attila e gli U nni no n fu ro n o che i p rim i d i u n a lu n g a serie di conquistatori no m ad i riversatisi sul D anubio, quali i K otrigur, gli Avari, i B ulgari e i M a­ giari, senza p a rla re dei Kazari, dei Peceneghi e dei Cum ani, ì quali tu tti occuparono successivam ente le step­ p e dal Volga al D anubio. ^ Il carattere effim ero di questi im peri nom adi aveva p e r effetto di re n d e re p iù spietato il loro spirito d istru t­ tore, poiché dal m om ento in cui u n o d i questi popoli diventava abbastanza civilizzato p e r ricevere i germ i della civiltà cristiana, veniva sostituito da u n a nuova o r­ da, sbucata dalle lo n tan e steppe, e bisognava incom in­ ciare daccapo. E così fu, fino al m om ento in cui l’ultim a

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delle g ran d i trib ù conquistatrici, i M ongoli, unificò l’in ­ tero m ondo eurasiano d an d o g li la form a d i u no stato im periale organizzato. Ciò avvenne n el secolo x in , e al­ lora la situazione potè considerarsi stabilizzata; m a q u e ­ sto im pero nom ade, il p iù g ra n d e d i tutti, ebbe il suo cen tro nell’Asia orientale, m olto al d i là della p o rta ta della civiltà bizantina e della sua influenza religiosa. Così l’im pero bizantino nella sua storia m illenaria eb­ b e sem pre d a lottare, lu n g o i suoi confini settentrionali dell’E uropa, contro u n a serie di im p eri b arbarici d ’o ri­ gine asiatica, i quali costituirono u n a p erm an en te m i­ naccia p e r le province balcaniche e p e r la stessa capitale. Q uesta estensione dell’Asia verso ovest sin nel cuore dell’E u ro p a separò la C ristianità orientale dai popoli indigeni dell’Est e N ord-E st eu ro p eo , cioè dai popoli agricoli slavi che vivevano al n o rd delle steppe e dalle an co r p iù rem o te trib ù finniche, le quali abitavano la vasta zona co perta di foreste che si dispiega dal Baltico agli U rali e oltre, fino in Siberia. U n a siffatta separazio­ n e n o n esisteva p e r l’E u ro p a occidentale e l’E u ro p a nordica, poiché i G erm ani eran o ven u ti in contatto im ­ m ediato con gli Slavi del N o rd p e r mezzo dell’Elba e con gli Slavi del Sud attraverso il D anubio, m en tre i p o ­ poli scandinavi, d a tem p o im m em orabile, avevano se­ guito le vie che collegano la catena di laghi e di fium i a sud-est del Baltico p e r p o rta rsi sul Volga e sul Dnieper. Perciò n o n riesce so rp re n d e n te che la p rim a sfida lanciata contro i popoli della step p a sia ven u ta dall’O c­ cidente, piuttosto che dall’im p ero bizantino. F urono C arlo M agno e suo figlio Pipino, re d ’Italia, che d i­ strussero il cen tro d el re g n o àvaro in U ng h eria e ria­ p riro n o le regioni del D anubio all’attività m issionaria cristiana. Il nuovo spirito che anim ò quest’espansione della C ristianità occidentale trova espressione nell’inno d i trionfo, com posto d a qualche anonim o poeta caro-

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lingio, all epoca della definitiva sottom issione deeli Avari nel 796. 5 «Omnes gentes qui feristi, tu Christe, Dei suboles, Terras, fontes, rivos, montes et formasti hominem, Avarosque convertisti ultimis temporibus. Mitis Deus Petrum sanctum, principem apostolum, In auxilium Pippini magni regis filium Ut viam ejus comitaret et Francorum aciem. Nos fideles christiani Deo agamus gratiam, Qui regnum regis confirmavit super regnum Uniae, Et victoriam donavit de paganis gentibus.»1

Q uesti rozzi e forti tetra m e tri h an n o poco in com une con le elaborate elegie dei dotti cortigiani del tem po; m a sono anche m aggiorm ente estranei allo spirito del­ la cu ltu ra bizantina. Il loro ideale è piuttosto quello del­ le crociate e delle Siamo abbastanza b ene inform ati in ciò che rig u ard a aspetto ecclesiastico di questa espansione cristiana nel reg n o degli Avari grazie alle lettere di Alcuino e grazie al concilio ten u to da Paolino d ’Aquileia nel cam po del re Pipino d u ra n te questa stessa cam pagna2. La caduta dell’im p ero àvaro, che da secoli costituiva u n a minaccia p e r la vita dell’E u ro p a orientale, p ro d u s­ se u n a en o rm e im pressione sui popoli slavi, e la m em o­ ria di questo fatto sopravvive ancora nelle cronache

chansons de geste {Gesta Dei per Francos).

creatomidfnonoM 116 le terre, «Tu< ° Cristo, figlio di eDio, che haii n creato tutti 1 popoli, rh che. hai formato i fiumi, le montagne l’unmn S i A n n T l '6111151 haÌ convnertito S1*Àvari- Dio ha inviato san pfetro, il principe laa ran s t r arhlu d a e S f coll rT ™ PlP‘no’ « 1ί ο ^ ε 1Noi &ranfedeli^cristiani h é laccompa^n. pPer esercito dei Franchi. rendiamo grazie vittoria sui p ag an i ° regn° d d FC SUl regn° di Ungheria e ^ ha dató 1* P p .n 2^ 1761(tMeG.à1.)A1CUÌn0’ 107' 110· 113 6 CondllaA™ Carolini, I, n. 20,

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russe dell’Alto M edioevo. Così n o n solo furo n o ap erti all’influenza carolingia i paesi del D anubio e i Balcani occidentali, m a venne d ato agli Slavi del N o rd u n m o­ m en to di respiro, d u ra n te il quale p o tero n o rivendica­ re la loro in d ip en d en za politica. In questo m odo si form ò, nel IX secolo, lo stato della G ran d e M oravia, che fu il prim o reg n o slavo a d iv en tare cristiano e a ra p p re ­ sen tare u n a p a rte nella sua storia europea. Per l’im pero bizantino lo sviluppo di questi avveni­ m en ti fu m en o favorevole, p erch é la caduta degli Avari distrusse l’equilibrio di forze che la diplom azia bizanti­ n a aveva sem pre ten tato di m an ten ere lungo le sue fro n tiere settentrionali e, p e r lo spazio di quasi u n seco­ lo, lasciò i B ulgari senza u n a p o tenza rivale che d i­ straesse la loro attenzione d ai confini bizantini. Il risul­ tato fu che i B ulgari, sotto i loro K hagan, K rum e O m u rtag , si stabilirono saldam ente nei Balcani, d a Bel­ g rad o e O crida alla D obrugia e inflissero u n a terribile sconfitta ai Bizantini nell’811, sterm in an d o l’im perato­ re N iceforo e il suo esercito. N ei d u e secoli seguenti la B ulgaria costituì la più se­ ria m inaccia p e r Bisanzio, m a la sistem azione nei paesi civilizzati dei Balcani orientali produsse u n profondo cam biam ento nella sua organizzazione politica e nella sua cultura. I B ulgari cessarono di essere u n ’o rd a di n om adi turco-finnici v enuti dalle steppe, com e gli Ava­ ri e gli U nni, e d iv en n ero u n popolo di lingua slava e di cu ltu ra cristiano-bizantina. Difatti nella B ulgaria del ix e x secolo fu ro n o messe le basi della lettera tu ra e cultu­ ra slava, che doveva in seguito venir trasm essa ai Russi e ai Serbi, divenendo così la fonte principale delle tra ­ dizioni culturali della C hiesa ortodossa in tu tta 1 E u ro ­ p a orientale esclusa la Grecia. Tuttavia questa trasform azione n o n avvenne in m o­ d o pacifico e arm onioso, p erch é i mezzi politici dell’im-

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perialism o bizantino eran o in contraddizione con i suoi scopi culturali e religiosi e ostacolavano il sorgere di sta­ ti cristiani in d ip en d en ti lungo le fro n tiere dell’im pero. La politica bizantina aveva avuto sem pre p e r principio i fom entare disordini e contrasti tra i b arb ari sui loro p ro p ri confini, spingendo altri barbari p iù lontani ad attaccarli alle spalle, lanciando, p e r esem pio, gli Avari contro gli U nni e i Turchi contro gli Avari. Il fatto che i u lg a n eran o diventati cristiani non im pedì a Bisanzio ì u sare la stessa tattica contro di loro, chiam ando dalle steppe nuove o rd e barbariche. Il risultato fu che la dif­ fusione del Cristianesim o, nell’E uropa orientale, si trovo coinvolta in u n a com plicata rete di intrighi politi­ ci. L a p au ra deH’im perialism o bizantino indusse i B ul­ gari a volgere lo sguardo verso l’O ccidente, m en tre la minaccia dell’im perialism o carolingio germ anico co­ strinse i M oravi a volgersi verso Bisanzio. In mezzo a questo intricato q u ad ro politico deve es­ sere considerata l’attività religiosa di p a p a Nicolò I, del p atriarca Fozio e degli apostoli degli Slavi, i santi Ciril­ lo e M etodio. San Cirillo, conosciuto originariam ente com e Costantino il filosofo, era u n m onaco colto di Tessalonica, che d ap p rim a fu inviato dall’im p erato re e dal patriarca Fozio presso i Kazari nella Russia m eridionale p e r una m issione che probabilm ente fu a u n tem po 6 reliSiosa· Al suo rito rn o a Costantinopoli, nell 862-863, egli incontrò gli inviati che Ratislav, p rin cipe di M oravia, aveva m andato p e r stabilire relazioni d amicizia con 1 im pero d ’O riente, in m odo da co n tro ­ bilanciare la com binata pressione dell’im p ero carolin­ gio e della Chiesa germ anica. O ra, nello stesso m o m en­ to in cui C ostantino e suo fratello M etodio incom incia­ vano il loro apostolato in M oravia, in risposta alla d o ­ m an d a di Ratislav, il K hagan Boris di B ulgaria faceva simili proposte a Rom a p e r preservare la sua indipen-

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den za di fronte ai Bizantini. Possediam o ancora la lu n ­ ga e dettagliata risposta di p a p a Nicolò I al questionario che i B ulgari avevano p resen tato su ogni g en ere di p ro ­ blem i m orali, rituali e sociali. È u n o scritto ch e va collo­ cato accanto alla lettera che san G regorio diresse a sant’Agostino di C anterbury, quale docum ento di p ri­ m aria im portanza rig u a rd o all’atteggiam ento adottato dal Papato nelle sue relazioni coi barbari. C om e la lettera di san G regorio, esso è u n m o n u ­ m en to di abilità politica e di sapienza pastorale. Da qu e­ sto docum ento risulta com e la conversione dei barbari com portasse inevitabili cam biam enti nelle loro abitudi­ n i sociali, e q u an to fosse necessario saper distinguere tra le condizioni essenziali del m odo di vivere cristiano e gli aspetti accidentali della civiltà bizantina o latina, che i m issionari eran o p ro p en si a considerare come p a rte necessaria del C ristianesim o3. Se le vedute d i Nicolò I e dei suoi successori, Adriano II e G iovanni V ili, fossero prevalse, nei paesi balcanici e d anubiani avrebbe p o tu to form arsi u n a nuova p ro ­ vincia slava cristiana, che sarebbe stata in d ip en d en te dalle Chiese di stato degli im p eri bizantino e carolingio. M a il declino del Papato, d o p o l’assassinio d i Giovanni V ili, e la politica spregiudicata ed egoista dei du e im ­ p e ri resero impossibile questa realizzazione. L’o p era di Cirillo e M etodio venne rovinata dai ve­ scovi carolingi, m e n tre l’azione dei Bizantini, che fece­ ro appello ai M agiari p ag an i contro i Bulgari, distrusse la nascente civiltà cristiana della M oravia e d ei paesi d a ­ nubiani. Difatti sia l’insediam ento dei M agiari in U n-

5 Questo documento ci mostra, per esempio, come la questione dell’uso dei pantaloni sembra che preoccupasse i missionari bizantini del ix secolo, per lo meno quanto i missionari inglesi e americani del secolo scorso. Ma mentre que­ sti apostoli moderni incoraggiarono l’uso dei pantaloni come un elemento del­ la civiltà cristiana, i Bizantini li proibivano quale usanza pagana e barbara.

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g h eria sia 1 occupazione delle loro antiche sedi, a ovest del Don, da p a rte dei T urchi Peceneghi4, ristabilirono la b a rrie ra dei popoli delle steppe tra l’im p ero bizanti­ no e 1 E u ro p a centrale e orientale. M a questa volta il nuovo attacco barbarico andò più in là di quelli p rece­ d enti. I M agiari n o n solo distrussero il re g n o m oravo, m a anche la M arca A ustriaca dell’im p ero carolingio e spinsero le loro scorrerie fino n el cuore dell’E u ro p a oc­ cidentale. Ciò n onostante, l’o p e ra dei m issionari n o n fu del tu t­ to inutile, poiché q u a n d o Svatopluk e il p artito m oravo filo-germ anico cacciarono i discepoli di Cirillo e M eto­ di0 ’ dieci an n i all’incirca p rim a della v en u ta dei M agia­ ri, questi discepoli trovarono asilo in B ulgaria, ove l’i­ deale cirilliano di u n a C ristianità slava locale coincise con gli scopi di Boris e dei suoi successori, che m irava­ no a creare u n a Chiesa b u lg ara autonom a. Fu in B ulgaria che san C lem ente a O crida e san N au m a Preslav con tin u aro n o il lavoro d i Cirillo e M e­ todici, e c rearo n o u n a scrittura, u n a le tte ra tu ra e u n a li­ tu rg ia slava e cristiana. Sotto il g ra n d e zar Sim eone (893-927), che eresse u n p atriarcato bulg aro in d ip en ­ d en te, la nuova c u ltu ra locale raggiunse u n a rap id a m aturità, paragonabile a quella della N o rth u m b ria a n ­ glosassone di d u e secoli prim a. Q uesto fatto p erò era d u n a p o rta ta assai m aggiore, poiché la lingua della nuova cultura cristiana, il paleoslavo, doveva diventare la lingua sacra e liturgica dell’E u ro p a orientale e so­ p ra ttu tto della Russia. M a questo rap id o sviluppo d i cu ltu ra cristiana in B ulgaria ebbe u n a vita ancora p iù breve d i quella della

4 Conosciuti a Bisanzio con nome di «Patzinakitai». È strano vedere rii scrit­ tori bizantini qualificare di «Turchi» i Magiari, che erano ugro-finnici, mentre i Peceneghi, che erano realmente un popolo turco, sono chiamati «Sciti».

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cristiana N orthum bria. L’am bizioso tentativo di Simeo­ n e il G rande di fo n d are u n im p ero e u n patriarcato b u lg aro lo p o rtò a u n inevitabile conflitto con Bisanzio, e i Bizantini, seguendo la loro politica tradizionale, lan­ ciarono sulla B ulgaria i M agiari, i Peceneghi e i Russi. L a seconda m età del x secolo e la p rim a d el secolo se­ g u en te videro la fine dell’in d ip en d en za b u lg ara e 1 ellenizzazione della sua Chiesa. L a conquista della B ulgaria, che riu n ì le antiche province balcaniche all’im p ero , fu senza dubbio u n trionfo esterno p e r l’im perialism o bizantino; ma, come l’annessione del reg n o cristiano in d ip en d en te d ’A rm e­ nia, avvenuta nello stesso p erio d o , questa conquista fu u n disastro p e r la causa della C ristianità orientale. E)ifatti la distruzione dell’in d ip en d en za nazionale e l’i­ dentificazione della Chiesa ortodossa con il dom inio bizantino p rodussero tra i popoli soggetti u n atteggia­ m en to di rivolta spirituale, che li p o rtò n o n solo a o p ­ p o rsi alla civiltà stran iera che li dom inava, m a anche a staccarsi dalla concezione cristiana della vita p e r vol­ gersi verso idee dualistiche orientali di radicale rifiuto d ei valori terren i. Già nei secoli v ili e ix si eran o verificate simili condi­ zioni lungo i confini orientali dell’im pero, dan d o origi­ n e alla setta m ilitante dei Pauliciani, in A rm enia e in Asia M inore. N el secolo x, u n p re te di n o m e Bogomil o Teofilo fo n d ò in E u ro p a u n a eresia consimile, m a in d ip en d en ­ te, che e ra destinata a fare del n o m e bulgaro il sinoni­ m o di eretico, attraverso tu tto l’O ccidente medioevale. C om e i loro predecessori, i Bogomili insegnavano che tu tta la creazione m ateriale era essenzialm ente cattiva e che la salvezza la si doveva tro v are nel totale rigetto di ogni o p era della carne, com presi il m atrim onio, la g u e rra e ogni attività esterna. Su quest’ultim o pu n to es-

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si differivano dai Pauliciani, che costituivano u n a setta p articolarm ente g u e rrie ra e attiva5. I Bogomili al co n trario eran o pacifisti, quietisti e av­ versi all’attività politica. Evitavano i conflitti ap e rti e si tenevano nascosti; fu ro n o così in g rad o di esercitare u n a p ro p a g a n d a clandestina tra la popolazione cam p a­ gnola dei Balcani. Le loro idee s’infiltrarono an ch e nel­ la lettera tu ra slavo-ortodossa, grazie alla loro influenza sulla le tte ra tu ra locale bulgara, che fu fonte di n u m e ro ­ se apocalissi e di leggende apocrife, che divennero ta n ­ to popolari in Russia d u ra n te il M edioevo e p ersin o nei tem pi m oderni. L’esistenza di questo m o n d o ereticale clandestino è di g ra n d e im portanza p e r la storia della cu ltu ra m edioevale, tan to in O riente q u an to in Occi­ d en te, anche se la com pleta distruzione della le tte ra tu ­ ra eretica ci h a privati dei co rrisp o n d en ti docum enti letterari. N onostante questa p erd ita, n o n si p u ò affatto d u b itare che l’intero m ovim ento, non solo nei Balcani m a anche nel resto d ell’E uropa, abbia avuto la sua o ri­ gine e il suo centro di diffusione in B ulgaria, nei secoli x e xi. O ra, la caduta dello stato bulg aro aveva ap erto la via al form arsi di u n a nuova potenza al di là del D anubio. All Est, 1 im pero dei K azari esercitava sem p re il suo d o ­ m inio sui paesi tra il m a r N ero e il Volga, e doveva la sua im portanza al controllo delle vie com m erciali tra il Vicino O riente e 1 E uropa. Q ueste vie, che andavano dal basso Volga al D on inferiore, e dal Baltico verso oriente, m direzione del Volga su p erio re e m edio, e ra ­ n o state da tem po im m em orabile il tram ite di co m u n i­ cazione tra il N ord e il Sud. Perché la Russia n o n è sol­ tan to a p erta all’Asia attraverso la via delle steppe, m a è

5 Le divergenze tra queste due sette possono paragonarsi a quelle che divi­ devano ì Quaccheri dagli Anabattisti nel secolo xvii, oppure a quelle che diffe­ renziavano ì Fratelli Moravi dai Taboriti o dagli Hussiti nel secolo xv.

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anche a p erta al N o rd , al Sud e all’Est p e r mezzo dei suoi fiumi. Se le steppe sono state le g ran d i strade della g u erra, i suoi fium i sono stati le g ran d i vie del com ­ m ercio e della cultura. È vero che nel M edioevo a m a­ lapena si poteva d istinguere il m ercan te dal g u erriero , e questo era specialm ente vero p e r i V ikinghi, i quali, tanto in O rien te q u an to in O ccidente, si dedicavano in egual m isura alla p ira te ria e al com m ercio, alla coloniz­ zazione e alla conquista. Sem bra che i m ercanti e gli av­ v en tu rieri p rovenienti dalla Scandinavia siano stati atti­ vi in O riente, assai p rim a che cominciasse l’espansione dei Vikinghi in O ccidente, e gli storici arabi ci han n o tram an d ato u n vivido q u ad ro d el m odo di vita di q u e­ sti avventurieri p redoni. «I Rus - scrive Ibn Rusta - fanno scorrerie contro i Saqlaba [gli Slavi] arrivando su battelli in modo da poter sbarcare, e li fanno prigionieri e li portano a Khazar e a Bulkar [sul Volga] e fanno commercio con essi [vendendoli] laggiù... Quando nasce un figlio a uno qualsiasi di loro, [il padre] porta una spada sguainata al neonato bambino e la me .te nelle sue mani e gli dice: “Io non ti lascerò ricchezze in eredità e tu non avrai altro che ciò che saprai guadagnarti con questa tua spada”. Essi non hanno proprietà terriera, né villaggi, né terre coltiva­ te, la loro unica occupazione è il commercio dello zibellino, del vaio e di altre pellicce, in queste essi trafficano e prendono in pa­ gamento oro e argento e lo nascondono nella loro cintura.»6

Q uesta descrizione, che d ata dall’inizio del x secolo, si riferisce certam ente ai «Rus» del N o rd , i quali, p a rte n ­ do dal Baltico, attraverso il lago Ilm en o il lago Ladoga raggiungevano il corso dell’alto Volga p e r spingersi fi­ no al g ran d e em porio m usulm ano di Bolghar, la capi-

6 C.A. Mac Cartney, The Magyars in thè Ninth Century, 1930, pp. 213 s.

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tale dei B ulgari settentrionali, presso Kazan. Ma essi eran o attivi anche sulle vie m eridionali verso il M ar d ’Azov, tanto che fin dall’860 si ha notizia della p rim a scorreria russa su C ostantinopoli. L a com unità d ’origi­ n e dei Russi e dei V ikinghi occidentali ci è m ostrata dal­ l’interessante racconto riferito dagli annali di san Bertin, ove si dice che, nell’838, gli inviati russi a C ostanti­ nopoli ten taro n o di far rito rn o al loro paese attraverso 1 O ccidente, in com pagnia dell’am basciata bizantina m an d ata a Ludovico il Pio, e che essi am m isero di esse­ re svedesi di nascita. Infatti, la storia della fondazione dello stato di Kiev e dei suoi attacchi co n tro i K azari e l’im p ero bizantino of­ fre u n parallelo so rp re n d e n te con la storia della fo n d a­ zione degli stati vikinghi occidentali, a D ublino, a York e in N o rth u m b ria e dei loro attacchi contro il Wessex e 1 im p ero carolingio. E no n è im possibile che la d im in u ­ zione degli attacchi vikinghi in O ccidente nel x secolo fosse dovuta in p a rte al fatto che la loro attività era sta­ ta deviata verso u n nuovo cam po di avventura, a p p u n ­ to nel Sud-Est. Lo stanziam ento dei «Rus» a Kiev nella seconda m età del ix secolo e l’uso del D niep r com e via principale di com m ercio tra il Baltico e il M ar N ero, eb­ be luogo in u n tem po in cui la pressione dei popoli d el­ le steppe sulla Russia m eridionale si e ra allentata e i M agiari si stavano m uovendo in direzione ovest, verso l’U ngheria. Da Kiev i principi-m ercanti vikinghi p o tero n o orga­ nizzare e sfruttare le popolazioni slave dell’U craina, e resp in g ere i K azari dal M ar N ero. Sotto i loro sovrani, O leg (Helgi), Ig o r e Svjatoslav, le incursioni e le con­ quiste dei «Rus» eguagliarono e persino sorpassarono quelle dei V ikinghi in O ccidente nel ix secolo. E ran o d irette non solo co n tro l’im pero bizantino, m a anche co n tro i B ulgari del N o rd e del Sud, contro i Kazari e i

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M usulm ani dell’A zerbaigian, e alm eno in d u e occasio­ ni, nel 913-914 e nel 943-944, v en n ero organizzate spe­ dizioni assai im p o n en ti attraverso il M ar Caspio7. Se questi tentativi fossero stati coronati d a m aggior successo, è possibile che il corso della storia russa si sa­ rebbe volto verso O rien te e che la Russia sarebbe e n tra ­ ta a far p arte del m ondo islamico. F o rtu n atam en te p e r l’E u ro p a e p e r l’im p ero bizantino la c a rrie ra trionfale di Svjatoslav, il p iù g ran d e dei sovrani di Kiev, term inò in u n disastro (963-972). N el corso di pochi an n i egli aveva d istru tto l’im p ero kazaro e sottom esso i B ulgari del Volga e del D anubio. Aveva deciso p ersin o di trasfe­ rire la capitale d a Kiev a Perejaslavec (piccola Preslav) in B ulgaria, riu n e n d o così Russia e B ulgaria in u n n u o ­ vo im pero che avrebbe controllato tu tte le vie com m er­ ciali in tern e, dal D anubio al Volga. D opo q u attro anni di g u e rra fu sconfitto grazie all’energica resistenza del nuovo im p erato re G iovanni Zimisce, e l’an n o seguente, m e n tre rito rn av a a Kiev, fu ucciso d a u n pecenego presso le cateratte del D niepr: questa serie di rap id e e d i tratti n o n navigabili eran o il p u n to debole della via com m erciale di Kiev attraverso le steppe. Fu Vladimir, figlio di Svjatoslav, che, nel 988, prese la storica decisione dalla quale dipese il fu tu ro della Rus­ sia: la conversione al C ristianesim o. Secondo la tra d i­ zione egli si d eterm in ò a questo passo solo d o p o aver assunto inform azioni presso i M usulm ani, gli Ebrei, i L atini e i Greci, e il fattore decisivo fu lo splendore del­ la liturgia bizantina, che gl’inviati russi videro in Santa Sofia; m a senza dubbio il desiderio di u n io n e coi Bizan­ tini e il prestigio dell’im p ero vi ebbero u n peso consi­ derevole.

7 Cfr. N.K. Chadwick, The Beginnings of Russian History; G. Vernadsky, Kiernn Russia, pp. 33-35; A.M. Amman, Storia della Chiesa Russa, Utet, Torino 1948.

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D opo la conversione di V ladim ir vi fu u n a rap id a dif­ fusione della cu ltu ra bizantina in Russia. Q ui, com e in N o rth u m b ria neU’viii secolo e in B ulgaria nel ix, ve­ diam o q uanto rap id am en te la conversione d ’u n popolo p agano p u ò essere seguita d a u n im provviso fiorire di cu ltura cristiana che h a tu tte le ap p aren ze della m atu ­ rità. Già sotto il governo di Jaroslav il Saggio, figlio di san V ladim ir (1036-1054), Kiev divenne u n a delle p iù g ran d i citta dell E u ro p a orientale, com e la descrive A dam o di Brem a: «La rivale di C ostantinopoli e la p iù celebre gloria della E ra u n a città d i chiese e di m onasteri, e la cattedrale di Santa Sofia, con i suoi m o­ saici e affreschi bizantini che d atano dal tem p o di J a ro ­ slav, rim ane, insiem e con S. M arco di Venezia, quale prova dell’alto livello rag g iu n to d a questa cu ltu ra cri­ stiana orientale all inizio del suo sviluppo m edioevale. L influsso di questa nuova cultura slavo-bizantina si estese lontano nel N ord-E st, fino a Rjazan, Rostov e Vladimir, e verso N o rd fino al golfo di Finlandia e al la­ go Ilm en, ove N ovgorod la G ran d e conservava la sua im portanza quale p o rta di passaggio verso il Baltico, com e Kiev era la p o rta che dava accesso al M ar N ero e al Sud. Nei secoli xi e x i i queste vie orientali verso Bisanzio eran o ancora assai freq u en tate dai viaggiatori scandina­ vi. N ovgorod o H olm grad, com e la chiam avano, faceva quasi p arte del m ondo scandinavo, e le corti dei p rinci­ pi russi costituivano il n atu rale rifugio dei principi del N o rd in esilio. Cola furono accolti O laf Xrygvason e sant Olaf, H arold H a d ra d a e la famiglia del suo rivale, 1 altro H arold, l’ultim o re sassone d ’In g h ilterra. La tradizione islandese rico rd a che in Russia, «nella chiesa di S. Giovanni, sulla collina al di sop ra del Dniepr>>, T horw ald C odranson, il prim o che introdusse il Cristianesim o in Islanda, trovo riposo d o p o il suo lun-

Grecia».

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go viaggio8; molti altri nordici sconosciuti, com e quello la cui p ietra tom bale ru n ic a fu trovata nell’isola Berezan alla foce del D niepr, seguirono la stessa via in q u a­ lità di m ercenari, d i com m ercianti e di pellegrini. Così la conversione della Russia a p rì alla civiltà cristia­ n a u n a nuova strad a p e r p e n e tra re nel N o rd ancora pagano, e l’in tero co n tin en te sem brava do v er esser sul p u n to di diventare u n cristiano. Difatti l’E u ro p a orientale si trovava allora nel p u n to di con­ fluenza di d u e co rren ti in d ip en d en ti di cu ltu ra cristia­ na. M entre le influenze bizantine, attraverso il M ar N e­ ro e lungo il corso dei fium i russi, si diffondevano ver­ so N ord, la C ristianità occidentale si estendeva a Est, nell’E u ro p a centrale, e nuovi stati cristiani si form ava­ n o nelle valli dell’Elba, della Vistola e del D anubio. Lo stesso p eriodo che vide la rinascita dell’im pero bizanti­ n o e l’espansione della sua Chiesa ortodossa, vide p u re rinascere la tradizione im perialistica carolingia nel nuovo im pero germ anico di O tto n e I e dei suoi succes­ sori, che fu a p p u n to contrassegnato d a u n a rinnovata espansione della C ristianità occidentale verso O riente. Com e ai tem pi di C arlo M agno, fu l’im pero d ’Occid en te e non Bisanzio che liberò la C ristianità dalle d e ­ vastazioni della p o ten za p ag an a dei M agiari, che, come gli Avari, si eran o stanziati nel cu o re dell’E uropa. Così nelle m arche orientali rifiorì di nuovo la vita. Abbazie e vescovadi ven n ero ristabiliti e coloni della G erm ania occidentale rip o p o laro n o i te rrito ri abbandonati del­ l’A ustria orientale. L’atteggiam ento degli im peratori e dei prelati dell’im p ero occidentale, sia verso gli Slavi del D anubio sia verso quelli d ell’Elba, fu nondim eno ugu ale a quello ad o ttato dall’im p ero bizantino riguar-

orbis terrarum

8 Cristne Saga, IX, 1, in Origines Islandicae, I, 403-404.

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d o agli Slavi dei Balcani. Per essi era cosa pacifica che la diffusione del Cristianesim o dovesse a n d a re di pari passo con l’espansione dell’im pero e che la conversione degli Slavi dovesse im plicare la loro soggezione ai ve­ scovi, ai conti e ai m argravi tedeschi. P relati ambiziosi c? m f di Passau ten taro n o di esten d ere la loro giurisdizione sopra i te rrito ri conquistati, e n o n esitaro­ no a puntellare le loro p retese con u n a falsificazione in g ran d e stile di docum enti e privilegi9. Q uesto spietato sfruttam ento degli Slavi conquistati e convertiti dall’im perialism o germ anico provocò nel1 E u ropa del N o rd u n a reazione analoga a quella susci­ tata dall’im perialism o bizantino in B ulgaria. Ma q ui es­ sa si m anifestò no n in u n a resistenza clandestina d i m o­ vim enti eretici com e i Bogomili, bensì in u n ap erto ri­ to rn o al paganesim o. L a disfatta, che O tto n e II subì da p a rte dei Saraceni in Italia nel 982, fu seguita da u n ’in­ surrezione generale degli Slavi pagani che dilagò sulle m arche orientali e fece retro ced ere il confine della Cri­ stianità dall’O d e r all’Elba. F o rtunatam ente questo disastro esteriore, a cui sog­ giacque l’espansione della C ristianità occidentale, fu se­ guito da u n a trasform azione radicale della politica, che modificò l’in tera storia dell’E u ro p a centrale e orientale. Q uesto m utam en to fu innanzitutto dovuto al fatto che la direzione nella conversione dei nuovi popoli passò dall’im pero e dal clero im periale ai sovrani di questi stessi popoli. Ciò fu reso possibile dalla visione assai più elevata che O ttone III ebbe d ell’im pero, d a lui concepi­ to come u n a società di popoli cristiani; la qual cosa lo p o rtò a favorire la form azione di nuovi reg n i cristiani e

9 Vedi, per esempio, il tentativo fatto da Pilgrim, vescovo di Passau, nel 973, per far valere le sue pretese sulla mitica provincia ecclesiastica di Lorch con set­ te sedi episcopali sufiraganee.

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la creazione di nuove Chiese, che d ip en d ev an o direttam en te d a R om a e n o n dalla g erarch ia tedesca. O tto n e III e ra inoltre legato d a stretta amicizia al ra p p re se n ta n te p iù notevole della nuova C ristianità sla­ va, san t’A dalberto o Vojtech, il p rim o vescovo cèco di Praga. Q uesti aveva trovato rifugio nel m onastero di S. Alessio sull’Aventino, q u an d o ven n e cacciato dalla Boe­ m ia dalla reazione p ag an a del 983, e poi continuò il suo apostolato in U n g h eria, in Polonia e in Prussia, ove, nel 997, coronò la sua vita col m artirio. S ant’A dalberto esercitò u n en o rm e influsso sullo svi­ lu p p o del C ristianesim o nell’E u ro p a orientale. La sua fondazione m onastica a Brzevnov presso Praga, ove stabilì u n a colonia di b en ed ettin i venuti d a Rom a, d i­ v en n e il cen tro principale dell’espansione m onastica nelle regioni vicine. Q uesto m onastero fu la casa m a­ d re di M eseritz, la p rim a fondazione b en ed ettin a in Polonia (che venne e re tta dallo stesso sant’A dalberto), e delle g randi abbazie u n g h eresi di P annonhalm a e di Pecsvarad, che fu ro n o fondate dal suo discepolo sant’A strik o Anastasio. S ant’A dalberto, d o p o la sua m orte, fu an co ra più p o ­ ten te di q uanto fosse stato in vita. Boleslao, il re g u e r­ rie ro di Polonia, o tten n e il suo co rp o dai Prussiani p a ­ gani e lo custodì preziosam ente nella chiesa di G nesen. L o stesso im p era to re O ttone III, amico di sant’Adalb erto , si affrettò ad attrav ersare l’E u ro p a p e r a n d a re a v en erarlo nel suo santuario, e fu in o n o re del m artire che egli stabilì la nuo v a gerarchia, provvedim ento che sottrasse la Polonia alla sovranità della Chiesa g erm an i­ ca e n e fece u n m em bro in d ip en d en te della Cristianità. Nello stesso m odo O ttone I I I e p a p a Silvestro II crearo n o il nuovo reg n o cristiano e la nuo v a gerarchia religiosa d ’U ngheria. A nche qui a p p a re evidente l’in ­ flusso d i sant’A dalberto, p erch é e ra stato lu i a battezza­ ci

re santo Stefano, e fu il suo discepolo sant’Astrik che d i­ v en n e il prim o capo della nuova gerarchia. E fu ancora dalla nuova R om a d i O ttone I I I e di Silvestro II che santo Stefano ricevette la corona consacrata, simbolo sacro della regalità ungh erese, che segna la trasform a­ zione dello stato dei p re d o n i M agiari nel «Regno A po­ stolico» p e r antonom asia, fu tu ro b alu ard o orientale della Cristianità. Il piccolo trattato, conosciuto sotto il no m e di «Istru­ zioni di santo Stefano»10 destinate a suo figlio sant’Em erico (1007-1031), ci m anifesta gli ideali del fondato­ re, e, p rescindendo dalla questione rig u a rd an te la sua d ata, è certam ente conform e allo spirito d i O ttone III e dei suoi consiglieri ecclesiastici, specialm ente nel bran o so rp re n d e n te del capitolo V I, che attribuisce la g ra n ­ dezza dell’im pero ro m a n o all’assenza di pregiudizi n a­ zionali, e in cui si consiglia il p rincipe di far b u o n a ac­ coglienza ai forestieri e agli stranieri che intro d u co n o nel re g n o lingue diverse e consuetudini nuove, «perché debole e fragile è il reg n o che possiede u n a sola lingua ed u n ’unica costum anza» Si tra tta qui di u n m odo di sentire che ci a p p a re singolarm ente illum inato, se lo si confronta col nazionalism o e la xenofobia dell’E uro­ p a m o d erna, e che e ra anche in a p e rto contrasto con le tradizioni e lo spirito di clan d ’u n a società barbarica co­ m e quella dei prim i M agiari. In realtà la conversione dell’U ngheria, più ancora che quella della Polonia, ap rì la strada alla civiltà cri­ stiana nell’E u ro p a orientale, poiché il m edio D anubio è stato sem pre il passaggio principale tra l’Est e l’Ovest. Difatti questa circostanza favorevole p e r u n a nuova at­

{narri unius linguae, uniusque moris regnum imbecille etfragile).

10 Libellus de instilutimie morum ac decretimi S. Stephani, ed. Scriptores Regum Hungaricarum, Budapest 1938, voi. II, 611-627.

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tività m issionaria fu subito messa a profitto d a u n am i­ co intim o di O ttone III, san B ru n o di Q u e rfu rt (c. 9701009), discepolo di san R om ualdo e biografo di sant’Adalberto.

Egli cercò di fare dell’Ungheria il punto di partenza per una missione nell’Oriente presso i nomadi della steppa russa e i consanguinei dei Magiari ancora paga­ ni, situati sul Volga, missione che lo portò a stringere relazioni amichevoli con il nuovo stato cristiano di san Vladimir a Kiev. Così, all’inizio del secolo xi, si veniva formando nel­ l’Europa orientale una nuova società di popoli cristiani che andava dalla Scandinavia alla Crimea e dal Danu­ bio al Volga superiore. Questa nuova Cristianità era tuttavia come un’isola circondata da un mare di paga­ nesimo e di barbarie, costituito dai Turchi nomadi del­ le steppe e dalle tribù finniche delle sterminate foreste nordiche. Anche sul Baltico e nella Germania orientale, in Lituania e in Prussia, e a ovest fino nel Mecklenburg, rimanevano forti nuclei di resistenza pagana, i quali do­ vevano esser conquistati solo secoli più tardi, poiché at­ tingevano la loro forza dalla resistenza nazionale dei popoli baltici contro l’espansione colonizzatrice e lo sfruttamento germanico. Dove però questo fattore era assente, come in Ungheria e in Russia, i progressi del­ l’evangelizzazione erano relativamente rapidi. I popoli di questa nuova società cristiana erano geo­ graficamente e culturalmente in vicendevole contatto e le loro famiglie regnanti erano strettamente imparenta­ te. La divisione tra le province latine e bizantine della Cristianità non era ancora cosi acutamente determina­ ta da distruggere il sentimento di comunità religiosa e culturale. Le tracce dell’opera di Cirillo e Metodio si potevano ancora scorgere in Occidente, per esempio in Croazia e forse in Boemia, ove l’abbazia di Sarzarva nel

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secolo x i conservava an cora il rito orientale, m e n tre in Russia, finché p e rd u ra ro n o le relazioni tradizionali con la Scandinavia, gli stretti legam i personali dei p rin cip i russi col N o rd tendevano a m a n te n e re la Russia in u n a posizione in term ed ia tra l’O rien te e l’O ccidente. Persino nel secolo x ii , H elm old, p re te tedesco, che aveva u n a g ra n conoscenza dell’E u ro p a orientale, n o n fa distinzione chiara e n e tta tra le d u e Cristianità. «Tut­ ti questi popoli, ad eccezione dei Prussiani —scrive egli - p re te n d o n o di essere cristiani. Ma io n o n ho m ai sco­ p e rto chi fu ro n o i m aestri dai quali h a n n o ricevuto la loro fede, salvo che nelle loro pratiche sem brano segui­ re i Greci piuttosto che i L atini, poiché è facile viaggia­ re p e r m are dalla Russia alla G recia.»11 Tuttavia il corso della storia accentuò g rad u alm en te la divergenza tra lo sviluppo russo e quello dei popoli slavi d ’O ccidente e degli Scandinavi. L’arrivo di u n a nuova o rd a d i nom adi, quella dei C um ani, recise nel x ii secolo la g ra n d e a rte ria com m erciale tra il Baltico e il M ar N ero e, infine, n el x m secolo, l’ultim a e la più form idabile irru zio n e dei popoli delle step p e creò u n estesissimo im p ero eurasiatico, che strap p ò violente­ m en te la Russia dal resto dell’E u ro p a e praticam ente pose term ine alle sue relazioni con gli altri popoli d el­ l’E u ropa orientale. Così la conquista m ongola p rodusse u n a in terru zio ­ ne catastrofica nello sviluppo della C ristianità orientale, che divide l’Alto M edioevo dal perio d o m edioevale più tardivo. D u ran te il p rim o periodo, nei secoli xi e x ii , i popoli cristiani dell’E u ro p a orientale occupavano u n a posizione in term ed ia tra l’O ccidente latino e l’O rien te bizantino, e b enché fossero divisi dalle loro sim patie re ­ ligiose e culturali, questa divisione n o n aveva carattere

11 Helmoldi Chronica Slavomm, XXI, II (M.G.H.).

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esclusivo. U n sovrano occidentale, come Bela III di U ngheria, poteva volgersi verso Bisanzio, m en tre u n russo, come Izjaslav I di Kiev, poteva avere relazioni con Roma. Le relazioni poi tra le famiglie reg n an ti e ra ­ n o altrettanto strette q u an to lo fu ro n o in seguito nei se­ coli x v iii e xix. D u ran te questo p rim o p erio d o nello stato russo di Kiev la civiltà cristiana dell’E u ro p a orientale era arriva­ ta a u n alto grad o di sviluppo a motivo della g ran d e p ro sp erità delle città russe e della loro autonom ia eco­ nom ica e politica, m e n tre la civiltà della Polonia e del­ l’U ng h eria era relativam ente in ritardo. Alla fine del M edioevo tu tto questo cambiò. L’U n ­ gheria, la Boem ia e la Polonia ven n ero strettam ente in­ tegrate nella vita com une della Cristianità occidentale e svilupparono le loro fiorenti cu ltu re nazionali. E m en­ tre i principi russi eran o diventati i vassalli e i collettori di tasse dei K han m ongoli, U n g h eria e Polonia entrava­ no a far p arte del concerto politico d ei reg n i occidenta­ li e sviluppavano form e p ro g red ite di parlam entarism o aristocratico e di libertà costituzionali. In o ltre, l’unione della Polonia con lo stato lituano ebbe p e r risultato u n ’im m ensa espansione della civiltà latino-cristiana e della cu ltu ra polacca, la quale, a eccezione di Novgoro d , arrivò ad abbracciare tu tti i principati russi occi­ dentali che n o n eran o sotto il giogo m ongolo, com pre­ sa la stessa Kiev. Persino N ovgorod, questa g ran d e e antica città-stato che aveva conservato la sua indip en d en za d u ra n te tu t­ to il M edioevo, nel secolo x m si vide d u ram en te m inac­ ciata dall’espansione guerresca degli o rd in i cavallere­ schi germ anici lungo il Baltico. Q uesto conflitto, che prese il carattere di u n a g u e rra religiosa, fu causa delle crescenti tendenze anti-latine e anti-occidentali della tradizione nazionale russa.

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M a lo stesso fatto avvenne nel S ud e al cen tro del m o n d o bizantino. A nche qui lo spirito g u e rrie ro del m ovim ento crociato, alleato con l’im perialism o econo­ m ico delle libere città m a rin a re italiane, suscitò nel m o n d o bizantino u n forte sentim ento di resistenza reli­ giosa e patriottica. La fondazione dell’im p e ro latino di C ostantinopoli, che p e r u n m om ento sem brò segnare l’apogeo dell’avanzata vittoriosa della C ristianità occi­ den tale, fu invece u n colpo fatale p e r la causa dell’u n ità cristiana e p e r quella dell’arm o n ia cultu rale nell’E u ro ­ p a orientale. F urono i sultani ottom ani, n o n i L atini e n e p p u re i Russi o i popoli ortodossi dei Balcani, coloro che e n tra ro n o in possesso dell’ered ità di G iustiniano e degli im peratori di Bisanzio.

Capitolo VII

LA RIFORM A DELLA CH IESA N E L SECOLO XI E IL PAPATO M EDIOEVALE L a cad u ta dell’im p ero carolingio e il disgregam ento dell’au to rità dello stato, sotto l’azione com binata delle invasioni barbariche e dell’an arch ia feudale, provoca­ ro n o u n a crisi analoga nella vita della Chiesa. N on si trattava solo della rovina dei m onasteri e delle chiese, saccheggiati dai V ikinghi, dai Saraceni e dai M agiari, e della m orte di vescovi e abati uccisi in battaglia contro i pagani. Vi e ra qualcosa di assai p iù pericoloso: il d i­ sgregam ento in tern o d ovuto allo sfru ttam en to e alla se­ colarizzazione della Chiesa d a p a rte dei capi della so­ cietà feudale. Abbazie e vescovadi fu ro n o trattati alla stessa streg u a dei feu d i laici. V ennero occupati con la forza, com prati, v en d u ti o dati quale ricom pensa p e r fo rtu n ate im prese m ilitari. L a disperazione d ei ra p p re se n ta n ti della tradizione carolingia la si p u ò scorgere nell’oscuro q u ad ro sullo stato della Chiesa, quale fu tracciato dai prelati della provincia di Reims, a Troslé, nel 909. «Le città sono spopolate, i monasteri distrutti e bruciati, il paese è ridotto a un deserto. Come i primi uomini vivevano senza leg­ ge né ritegno in balìa delle loro passioni, così adesso ciascuno fa ciò che gli piace, disprezzando le leggi divine e umane e i decreti della Chiesa. Il potente opprime il debole, il paese non conosce che la violenza contro il povero e il saccheggio dei beni della Chiesa. Gli uomini si divorano a vicenda come i pesci nel mare. In quanto ai monasteri, alcuni sono stati distrutti dai pagani, al­ tri spogliati delle loro proprietà e ridotti a niente. In quelli che

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ancor sussistono, non si osserva più nessuna regola. Essi non hanno più superiori legittimi, a motivo dell’abuso che li sottopo­ ne al dominio secolare. Nei monasteri si vedono abati laici con le loro mogli e i loro figli, con i loro soldati e i loro cani.»

E il concilio n o n risparm ia gli stessi vescovi: «Il gregge di Dio si danna sotto la nostra custodia. Per la nostra negligenza, la nostra ignoranza e quella dei nostri fratelli, acca­ de che vi sia nella Chiesa un’innumerevole moltitudine dei due sessi e di ogni condizione, i quali arrivano fino alla vecchiaia senza istruzione, sì da ignorare persino le parole del Credo e del P a ter» 1.

Q u an d o i dirigenti di u n a società qualsiasi co m p ren d o ­ no la gravità della situazione e confessano la p ro p ria re ­ sponsabilità in m ateria com e fecero costoro, la situazio­ ne n o n è m ai disperata. Difatti p ro p rio nel m om ento in cui i vescovi della provincia belgica12 stavano com po­ n en d o questa gerem iade, nelle province vicine veniva­ no p rese le p rim e m isure di riform a. A ncora u n a volta, come nel v e vi secolo, il Cristianesim o m ostrava la sua in d ip endenza dalle condizioni esteriori e dava prova della sua capacità col creare nuovi organi di rig en era­ zione spirituale. Dal bel mezzo della stessa società feu­ dale sorse u n nuovo m ovim ento, destinato a far fronte ai recenti pericoli creati dalla secolarizzazione feudale della Chiesa. Q uesto m ovim ento fu d a p p rim a p u ra m e n te m ona­ stico e ascetico. Esso p rese la form a di u n a fuga dal m o n d o e dalla vita pubblica, verso il deserto e il chio­

1 Mansi, Concilia, voi. XVIII. 2 Reims era la metropoli della provincia ecclesiastica della seconda Belgica, circoscrizione ricalcata su quella civile romana (Belgica 2a), che risaliva al tempo di Diocleziano [iV.c/.XJ.

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stro; ripetizione, m a in circostanze differenti, del prim o g ran d e m ovim ento m onastico occidentale che ho d e­ scritto nei capitoli precedenti. M entre la gerarchia ecclesiastica e la Chiesa territo ­ riale in gen ere facevano talm ente p a rte della società co n tem p o ran ea d a trovarsi quasi alla m ercè delle p re ­ d o m in an ti forze sociali, l’istituzione m onastica ra p p re ­ sentava il principio d ’u n o rd in e cristiano autonom o, che fu com e u n germ e di n uo v a vita p e r la Chiesa inte­ ra. È vero che gli antichi m onasteri carolingi eran o sta­ ti sfruttati e secolarizzati alla stessa guisa dei vescovadi, m a ogni m onastero era u n organism o in d ip en d en te, così che ogni singola fondazione offriva l’occasione di u n nuovo p u n to d i p arten za e di u n rito rn o all osser­ vanza della regola b en ed ettin a, che rim aneva la no rm a consacrata di vita m onastica. Di qui derivò che nei nuovi m onasteri fondati da principi feudali o d a nobili convertiti, come Cluny in B orgogna (910), B rogne e Gorze in L o ren a e Cam aldoli in Toscana (1009), v en n ero gettate le basi del nuovo m ovim ento di riform a spirituale che doveva trasform a­ re la Chiesa m edioevale. Senza dubbio, il m onaco doveva innanzitutto occu­ parsi della salvezza della p ro p ria anim a p iù che preoc­ cuparsi di u n qualche p ro g ram m a di riform a ecclesia­ stica. M a come abbiam o visto3, il monacheSimo occi­ dentale aveva sem pre avuto u n ’acuta consapevolezza della sua responsabilità sociale e delle sue incom benze m issionarie. Se da u n a p a rte il monacheSimo si basava sulla tradizione dei Padri del deserto, no n d im en o s ispirava assai di p iù agli ideali di sant’A gostino e di san G regorio M agno. L e idee agostiniane sulla teologia, la filosofia e la

3 Cfr. sopra, capitoli II e III.

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storia sono improntate a una profonda consapevolez­ za del fardello di male ereditario sotto il cui peso deve lottare e penare la stirpe umana; però il santo conce­ pisce la grazia divina come una fonte incessantemente rinnovata di energia soprannaturale che ha la virtù di trasformare la natura umana e di cambiare il corso della storia. Questa concezione era entrata a far parte del patrimonio spirituale della Chiesa occidentale e, soprattutto, del monacheSimo occidentale; perciò la Cristianità non aveva che da attingere alla propria tradizione per ricuperare la sua irradiante energia di­ namica. E così, benché gli sforzi dei riform atori del x secolo fossero principalm ente consacrati alla causa della rifor­ m a m onastica, in essi eran o impliciti risultati di b en più am p ia portata. Q uesti uom ini n o n eran o soltanto asceti concentrati in se stessi, m a anche profeti di giustizia che difendevano il debole e l’oppresso, e sapevano parlare coraggiosam ente contro il m ale nelle alte sfere. Lo ve­ diam o soprattutto negli scritti di san O don e, secondo abate di Cluny (927-942), il quale fu u n o dei prim i g ran d i cam pioni del m ovim ento riform atore. L a sua o p e ra principale, le è basata sulla concezio­ n e agostiniana delle d u e città, o p iù p ro p riam en te del­ le d u e stirpi: quella dei figli di Abele e quella dei figli di C aino, la cui lotta dovrà d u ra re sino alla fine dei tem pi. M a m en tre san t’A gostino concepisce questa opposizio­ n e principalm ente com e u n conflitto tra la Chiesa cri­ stiana e il m ondo pagano, san O done si preoccupa so­ p ra ttu tto delle forze del male che p ro sp eran o della Chiesa. è

Collationes,

no

nell’inter­

Non vi niente che possa essere più oscuro del qua­ dro che san Odone ci dà delle condizioni della Chiesa, della decadenza del monacheSimo e dell’immoralità e materialismo del clero. Però egli è ben lungi dal limita160

re la sua critica, com e forse ci si potrebbe aspettare, agli abusi strettam ente ecclesiastici. I tratti p iù im pres­ sionanti del suo insegnam ento sono costituiti dalla co­ raggiosa e quasi rivoluzionaria den u n zia dell’ingiusti­ zia sociale. Il g ra n m ale dell’epoca, secondo lui, è l’o p ­ pressione del povero, ed egli den u n zia i misfatti delle classi dirigenti del suo tem po con lo spirito e le parole dei profeti d ’Israele: «Sciagurati voi, opulenti di Sion... notabili del popolo, che incedete facendo pom posa com parsa nella casa d ’Israele!» 6, 1-2). I nobili p re d o n i che spogliano i poveri, tu tti i loro complici, i p relati m o n d an i che n o n p ro teg g o n o il loro popolo contro l’ingiustizia, sono la vera razza di Caino, i p e r­ secutori di Dio.

(Amos

«Come dunque questi ladroni possono essere cristiani, e che co­ sa meritano coloro che sgozzano i loro fratelli per i quali hanno l’ordine di dare la propria vita? Basta che si studino i libri dell’antichità per vedere che i più potenti sono sempre stati i peggiori. La nobiltà mondana è do­ vuta non alla natura, ma all’orgoglio e all’ambizione. Se noi giu­ dichiamo in base alla realtà, dovremmo onorare non i ricchi per i bei vestiti che indossano, ma i poveri che sono gli artefici di questi indumenti: narri su doribu s p a u p eru m p r a e p a ra tu r u n de p o ten tiores sa g in a n tu r .»4

Ma san O done co m p ren d e b en e che questo reg n o d el­ l’ingiustizia h a le sue p ro fo n d e radici nella n a tu ra u m a­ n a e n o n p u ò essere abolito col solo sussidio di mezzi esterni, col «braccio della carne». Dal tem po di Abele, il p rim o dei giusti, fino all’ultim o degli eletti, la sofferen­ za e la sconfitta sono sem pre state e saranno la porzio­ ne dei figli di Dio. L’unico rim edio lo si trova in quella

4 Collationes, III, 26-30: «Poiché è col sudore dei poveri che sono preparati i banchetti dei ricchi».

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forza spirituale p e r m ezzo della quale l’um iltà divina vince l’orgoglio del M aligno. Perciò il rifo rm ato re spiri­ tuale n o n p u ò aspettarsi di avere la m aggioranza dalla sua p arte. Egli deve p rep ararsi a soffrire d a solo come Ezechiele e G erem ia, deve p re n d e re com e suo esem pio san t’Agostino assediato dai V andali in Ip p o n a o san G regorio M agno che predicava a Rom a coi L ongobardi alle p o rte della città. Perché gli uom ini che veram ente soccorrono il m ondo sono i poveri di spirito, sono colo­ ro la cui fronte p o rta il segno della Croce, sono coloro che ricusano d ’essere dom inati dal trionfo deli ingiustizia e rip o n g o n o la loro in te ra fiducia nella salvezza che viene da Dio. Per i m oderni questa conclusione p u ò sem brare assai poco realistica. Tuttavia essa fu u n indiscutibile fattore d i forza spirituale p e r il m ovim ento di riform a, che la Chiesa carolingia aveva invano cercato d i o tten ere dai concili e dai re. Per q u an to buo n e fossero state le in ten ­ zioni di questi ultim i, assai ra ra m e n te essi ebbero la ca­ pacità di attuarle. La riform a m onastica, invece, era u n m ovim ento au ­ to n o m o che attingeva la sua forza dalle p ro p rie risorse spirituali interiori. La decentralizzazione e il particola­ rism o della società feudale eran o più di aiuto che di im ­ p edim ento. Infatti queste condizioni resero possibile al singolo fondatore di creare la sua nuova com u n ità reli­ giosa, senza l’interferen za del re o del vescovo. L’esem ­ pio tipico l’abbiam o in Cluny, che fu fo n d ata dal conte G uglielm o di A uvergne nel 910 com e p ro p rie tà degli apostoli Pietro e Paolo, in im m ediata d ip en d en za dalla Santa Sede e con l’esclusione form ale di qualsiasi in tru ­ sione, fosse del re, del vescovo o del conte. T ale privile­ gio divenne il m odello e l’ideale p e r gli altri m onasteri riform ati. Così, fin dall’inizio, venne sigillata u n a specie d i alleanza tra il Papato e i riform atori m onastici, che 162

e ra già stata conferm ata dalle relazioni di san O done col principe rom ano Alberico e il p a p a Leone v i i , nella p rim a m età del secolo x. In o ltre l’organizzazione, disarticolata e senza form a definitiva, del regim e feudale ren d ev a possibile alle co­ m u n ità riform ate di esten d ere il loro influsso p e r mez­ zo del p atro n ato e delle «raccomandazioni» ( )5 allo stesso m odo d i u n g ran d e stato feudale, di m odo che u n rifo rm ato re com e sant’A bbone di Fleury poteva persino dire, scherzando, che egli era più p o ­ ten te del re di Francia, p erch é la sua abbazia possedeva dip en d en ze in paesi sui quali il re n o n aveva nessuna au to rità6. B enché l’influenza di C luny si estendesse dall’Italia m eridionale all’In g h ilterra orientale, essa n o n costituì affatto u n unico cen tro di riform a. U n simile m ovim en­ to stava sorgendo, verso la stessa epoca, nei Paesi Bassi, ove san G erardo di B rogne (m orto nel 959) divenne il riform atore d ei principali m onasteri delle Fiandre: S. Pietro e S. Bavone a G and, S. O m er, S. B ertin e S. Ghislain. A lquanto più ta rd i u n g ru p p o di ecclesiastici p ro ­ venienti d a Metz fo n d aro n o u n centro di eguale im p o r­ tanza a Gorze in L o ren a sotto la direzione di san Gio­ vanni di Vandières. In Italia la tradizione dei m onaci del deserto e degli anacoreti orientali fu fatta rivivere p e r o p era di asceti com e san Nilo, m onaco bizantino che fondò il grande m onastero basiliano di G ro ttaferrata a sud di Roma,

dationes

recomman

6 La recommandatio è l’atto con cui il monastero si metteva volontariamente sotto la protezione d’un’abbazia potente. Il motivo era quasi sempre quello di trovare un protettore. Alla libertà, che comportava molti pericoli in un’epoca così agitata come quella dell’Alto Medioevo, numerosi monasteri preferivano la vita e la sicurezza. Cff. Ph. Schmitz, Histoire de l’Ordre de Saint-Benoit, I, p. 318 [N.d.T\. 6 Cff. Migne, Vita Abbonis, CXXXIX, 41.

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san R om ualdo, fo n d ato re di Cam aldoli, e san G iovanni G ualberto, fo n d ato re di Vallombrosa. Q uesti diversi m ovim enti sovente s’incrociavano e si m escolavano a vicenda. Così la riform a dei m onaci an ­ glosassoni all’epoca di san D unstan era connessa d a u n a p a rte col m ovim ento fiam m ingo p e r m ezzo di san Pie­ tro di G and, e dall’altra con quello di C luny attraverso il g ra n d e m onastero di Fleury, che era diventato a sua volta u n centro secondario di riform a. N ello stesso m o­ do, san Guglielm o di Volpiano (962-1031), abate di S. B enigno a Dijon, intro d u sse la riform a cluniacense in N o rm andia, m e n tre Riccardo, abate di S. Vannes a Ver­ d u n , mise la co rre n te di riform a lorenese, che e ra indip e n d e n te , in contatto con quella di Cluny. A sua volta, il discepolo di Riccardo, san Poppo (978-1048), abate di Stavelot, amico e consigliere degli im p erato ri Enrico II e C o rrad o II, divenne il rifo rm ato re dei m onasteri del­ la G erm ania occidentale. Così p e r tu tta l’E u ro p a occidentale nuovi centri di rifo rm a m onastica venivano sorgendo com e isole di p a­ ce e di o rd in e spirituale in m ezzo al m are agitato dell’a­ n arch ia feudale. Il monacheSim o aveva cessato di esse­ re lo spettatore im p o ten te del disordine m orale della C ristianità ed e ra diventato u n a p otenza in d ip e n d e n te nella società occidentale. In uom ini com e san O done, san R om ualdo e san G u­ glielm o di Volpiano, gli sfrenati nobili feudali che n o n facevano alcun caso n é della m oralità n é della legge, ri­ conoscevano la presen za di u n n o n so che di sup erio re alla forza b ru ta , di u n a p otenza so p ran n atu rale e divina c h ’essi n o n osavano m isconoscere. San Pier D am iani ri­ co rd a che R anieri, m archese di Toscana, e ra solito dire che nessun im p era to re poteva incutergli ta n ta p a u ra q u a n to il semplice sgu ard o di san R om ualdo, e d o p o la

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sua m o rte questo santo fu ancora considerato come il p ro tetto re dei poveri e il vendicatore degli oppressi7. Com e si è visto in precedenza8, il santo n o n era solo u n uom o giusto che era m orto: egli era soprattutto u n a potenza vivente che s’interessava attivam ente e parteci­ pava agli affari um ani, p o ten te nel p ro teg g ere i p ro p ri devoti e terribile nella sua collera. O gni g ran d e abbazia o chiesa, m eta di pellegrinaggi, e ra la casa di u n a siffat­ ta potenza, ove il santo teneva la sua corte e riceveva le suppliche dei suoi clienti. I diritti legali di im m unità e di asilo, di cui godevano questi santi luoghi, n o n erano che u n riconoscim ento esterno, accordato dalla società a u n a tale autorità. Sim ilmente il santo era il signore e il possessore delle te rre e dei servi a p p a rte n e n ti all’abbazia, e l’abate non era che il suo servitore e am m inistratore. Q uindi non ci si stupisce nel constatare che uom ini liberi rinunziassero volontariam ente alla p ro p ria libertà p e r diventare «uom ini del santo», p erch é questi com ’e ra n o chiam ati, venivano a possedere u n a posizione sociale più elevata di quella dei semplici servi e u n p ro te tto re p iù p o ten te d ’u n uom o libero o r­ dinario. All’inizio del secolo xi il m ovim ento di riform a m o­ nastica e ra arrivato al suo p u n to culm inante e cominciò a influire su ogni aspetto della cu ltu ra occidentale. I g ran d i abati che eran o i m aggiori esponenti del movi­ m ento, come san O dilone d i Cluny (994-1019), sant’Abb o n e di Fleury (988-1004), san Poppo di Stavelot (9771048) e san Guglielm o di Volpiano (990-1031), erano anche le figure d o m in an ti dell’epoca ed esercitarono

sainteurs,

homines sanctorum o

7 Per esempio san Pier Damiani cita la storia di una contadina che domandò l’aiuto di san Romualdo contro un nobile che le aveva rubato la vacca e che fu esaudita (Vita S. Ramualdi, c. 104). 8 Cfr. cap. II, là dove si parla dei santi dell’£tò oscura.

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u n ’en o rm e influenza sui governanti loro contem po­ ranei. L’im pulso p e r la form azione e il m ovim ento dei m o­ nasteri no n e ra stato m ai così attivo com e, p e r esem pio in N o rm andia, ove le fondazioni di quest’epoca, quali Fécam p, Bec e S. E vroult, d ivennero i cen tri di u n a g ra n d e rinascita della cu ltu ra cristiana. C on tu tto ciò i rifo rm ato ri n o n avevano an cora nes­ suna idea rig u a rd o a u n qualche cam biam ento im p o r­ tan te nelle relazioni tra il p o te re spirituale e quello tem ­ porale. E ran o sem pre fedeli alla concezione carolingia tradizionale del diritto divino dei re e al dovere d el p rin cip e d ’intervenire negli affari religiosi ed ecclesia­ stici. Per ciò che aveva attinenza con le condizioni della Chiesa fuori del m onastero, cercavano di p referen za l’appoggio del p o tere regale piuttosto che ric o rrere ai vescovi o al Papato. Lo vediam o chiaram en te negli scritti dei principali canonisti del tem po, com e sant’Abb o n e di Fleury e il vescovo B u rch ard d i W orms. L’o p e ­ ra del prim o è indirizzata espressam ente al re di F ran­ cia, U go C apeto, e al suo successore R oberto il Pio, il cui p o tere egli considera com e u n sacro incarico m iniste­ riale p e r il governo e la riform a della Chiesa. Invece il vescovo di W orms, con il suo im p o rtan te ra p ­ p resen ta la tradizione dei vescovi dell’im pero e accetta l’au to rità dell’im p erato re nel governo della Chiesa, senza avvertire la flagrante contraddizione tra questo stato di cose e i principi tradizionali del diritto canoni­ co su cui si basa la sua o p e ra 9. Per q uanto questo atteggiam ento possa essere con­ trad d ittorio, co rrisponde alle condizioni effettive della situazione. Difatti il m ovim ento p e r la restaurazione

Decretum,

9 Per l’atteggiamento di Burchard si veda specialmente Hauck, Kirchengeschichte Deutschlands, III, p. 442.

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della disciplina ecclesiastica e dell’o rd in am en to canoni­ co d u ra n te la p rim a p a rte d el secolo xi d ipendeva inte­ ram en te dalla sim patia e dalla cooperazione del po tere regale. E fu l’im p erato re, p iù che il papa, colui che p re ­ se l’iniziativa della riform a, e fu anche sotto gli auspici di im p erato ri com e Enrico I I e di re francesi com e Ro­ b erto il Pio, che fu ro n o te n u ti i p rim i concili e sinodi di riform a in G erm ania, Italia e Francia (p er esem pio a Pavia n el 1022 e a B ourges nel 1031). Si deve p erò os­ servare che l’esercizio della suprem azia regale in m ate­ ria di religione n o n e ra affatto concepito come u n atto ostile verso Roma. Anzi le relazioni tra l’im pero e il Pa­ pato n o n eran o m ai state così am ichevoli e intim e come al tem p o di O tto n e I II e Silvestro II nel 999, e di E nri­ co II e B enedetto V i l i (1012-1024). Tuttavia, fintanto che il Papato si trovò sotto il con­ trollo della nobiltà ro m a n a, i suoi interessi rim asero cir­ coscritti all’am bito delle contese tra le fazioni locali; lu n ­ gi dal p re n d e re la direzione del m ovim ento riform ista, necessitava esso stesso d ’u n a radicale riform a. D urante tutto il secolo x lo spirito co rro tto e p u ra m e n te secolare dei p artiti rivali che sfruttavano il Papato era in fla­ g ran te contrasto con gli ideali d el m ovim ento riform i­ sta, e la reazione dell’episcopato nordico trovò la sua espressione p iù violenta nei sinodi di Saint-Basle e di Chelles nel 991 e nel 995. Il fatto che l’esponente di questa opposizione an ti-rom ana, G erberto, sia divenu­ to p a p a col nom e di Silvestro II, q u attro anni più tardi, p ro cu rò u n ’in asp ettata soluzione del conflitto; m a dopo u n a generazione i peggiori scandali del x secolo furono fatti rivivere d a G iovanni X IX e B enedetto IX. Final­ m ente la deposizione di B enedetto IX e l’elezione di d u e candidati rivali p rovocarono l’intervento decisivo dell’im p erato re Enrico III, il quale, n el sinodo di Sutri

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del 1046, depose i tre p ap i e im pose com e suo candida­ to personale il vescovo tedesco Suigero di Bam berga. Enrico I II era u n uom o austero e religioso, amico di santi e di riform atori, pro fo n d am en te com penetrato delle sue responsabilità teoriche verso la Chiesa. Per­ ciò non so rp ren d e che il suo drastico intervento in Ro­ m a abbia incontrato l’approvazione generale del p a rti­ to riform atore, se si prescinde d a u n a o d u e eccezioni, com e quella di W azone, vescovo di Liegi. Persino san Pier Damiani, il capo dei riform atori italiani, accetta il suo controllo sul Papato com e u n a m anifestazione del­ la divina Provvidenza, e parag o n a la sua azione rifor­ m atrice a quella di Cristo che scaccia i cam biavalute dal T em pio10! L’intervento di Enrico III ebbe u n influsso di g ran d e p o rta ta sul corso del m ovim ento di riform a. A p rim a vi­ sta potrebbe sem brare che esso avrebbe posto il Papato sotto la totale d ip en d en za del p o tere im periale: e infat­ ti i tre papi da lui nom inati in ra p id a successione, Cle­ m en te II nel 1046, D am aso II e san L eone IX nel 1048, fu ro n o prelati d i G erm ania e di L orena, sudditi leali dell’im pero, i quali, n o n avendo alcun legam e con l’Ita ­ lia, si videro obbligati a far assegnam ento sull’appoggio m ateriale dell’im peratore. N ondim eno, p e r il semplice fatto che il Papato fu sottratto al controllo dei nobili ro ­ m ani e delle loro fazioni e messo in stretto contatto con il N o rd e il C entro E uropa, il suo influsso intern azio n a­ le venne im m ediatam ente accresciuto. A ncor più im p o rtan te fu l’elezione di L eone IX, p erch é creò u n ’alleanza tra il Papato e il m ovim ento di riform a religiosa che aveva il suo centro in L o ren a e in Borgogna. C om e vescovo di Toul, L eone e ra stato p e r ventidue an n i u n a delle figure p iù im p o rtan ti d el­

10 Liber gratissimts ad fin.

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la Chiesa lorenese, in u n tem p o in cui vi esercitavano la loro attività riform atrice abati com e san R iccardo di V erdun, san Poppo di Stavelot e san O dilone di Cluny, e vescovi com e W azone d i Liegi, i quali tu tti m oriro n o all’incirca nel tem p o in cui egli divenne papa. E gli uom ini che egli p o rtò con sé a Rom a, quali suoi scelti collaboratori, provenivano tu tti dallo stesso am biente: U m berto abate di M oyenm outier, U go il Bianco abate di R em irem ont, e Federico arcidiacono di Liegi, fra­ tello del duca G offredo d i L o ren a, il quale p iù tard i divenne abate di M ontecassino e p oi p ap a col nom e di Stefano IX. L’introduzione di questi elem enti stranieri nella C u­ ria ebbe u n effetto rivoluzionario sul Papato, che diven­ ne il centro gerarchico e la guida p e r il m ovim ento di riform a. Q uesto rin n o v am en to della Chiesa n o n fu più solo l’intento di alcuni g ru p p i dispersi di asceti e di idealisti, m a divenne la lin ea di condotta ufficiale della Chiesa rom ana. D u ran te il suo breve pontificato, che fu ap p en a di cinque anni, san L eone si consacrò all’o p era della rifor­ m a con energia sovrum ana. A ttraversò rip etu tam en te le Alpi p e r p resied ere ad alcuni concili di riform a tanto in G erm ania e in Francia q u an to in Italia, e stabilì la sua au to rità personale d ire tta sulle Chiese della Cristianità occidentale. Nello stesso tem p o p rese p arte attiva negli affari politici della Cristianità. C ’e ra d a risolvere il diffi­ cile problem a dei N o rm an n i, che si stavano a p p u n to in ­ stallando nell’Italia m eridionale con u n a spietatezza e violenza n o n inferiori a quelle dei D anesi in In g h ilter­ ra. Egli ten tò di affro n tare questo pericolo p e r mezzo di u n ’azione m ilitare d ire tta, sostenuto dai d u e im peri, germ anico e bizantino. M a la sua b e n concertata strate­ gia politica subì u n disastro m ilitare. Sconfitto, fu cattu­ rato dai N orm anni, m e n tre il suo p ro g etto di u nione

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tra la C ristianità occidentale e l’im pero bizantino incon­ trò l’intransigente opposizione ecclesiastica del p a tria r­ ca bizantino M ichele C erulario. L eone IX n o n potè so­ pravvivere a questi disastri. D ue anni dopo , nel 1056, anche l’im peratore Enrico III m orì p rem atu ram en te, lasciando la corona al figlio di cinque an n i sotto la re g ­ genza della vedova im peratrice. Q uesto avvenim ento riuscì fatale a tutto l’antico o rd i­ n e di cose e pose fine alla cooperazione tra im pero e Papato, sulla quale si era fino ad allora appoggiata l’a ­ zione dei riform atori. D uran te la m inorità di Enrico IV il p artito riform atore rivendicò l’in d ip en d en za del Pa­ p ato, n o n tenne in nessun conto il concordato di Sutri e com inciò a eleggere i suoi candidati al soglio pontificio, liberandosi dalla tutela im periale. I capi della riform a si allearono al p artito italiano anti-im periale, ra p p re se n ­ tato d al duca G offredo di L o ren a e Toscana, il cui fra­ tello, Federico di L orena, divenne p a p a nel 1057 col nom e di Stefano IX. Infine negoziarono u n ’alleanza tra il Papato e i N orm an n i dell’Italia m eridionale, che fu u n vero rovesciam ento di alleanze, gravido d ’incalcola­ bili conseguenze, p erch é fu u n ’a p e rta sfida n o n solo p e r l’im pero germ anico m a anche p e r l’im p ero bizanti­ no, e contribuì p iù d ’ogni altra cosa a re n d e re irre p a ra ­ bile la ro ttu ra con la Chiesa orientale. A nim a e ispiratore di tu tti questi eventi p a re sia stato U m berto di M oyenm outier, cardinale-vescovo di Silva C andida, che fu la personalità dom inante sia in seno al m ovim ento di riform a sia nei negoziati di C ostantino­ poli e coi N orm anni, d u ra n te questi anni critici (10491061). Le idee che ispirarono la sua attività sono espo­ ste nel suo tra ttato (circa 1058), che è ad u n tem po la prim a, la più abile e la p iù radicale esposizione del p ro g ra m m a riform atore. Per U m berto la sim onia n o n e ra soltanto u n a colpa: e ra la p iù gran-

Contro i Simoniaci

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de eresia, p erch é negava il carattere spirituale della Chiesa e subordinava i d o n i dello Spirito Santo al d a ­ n a ro e alle potenze del m ondo. M a siccome lo Spirito Santo n o n si p u ò né co m p rare né v en d ere, egli conclu­ deva che i simoniaci n o n partecipavano in alcun m odo ai suoi doni. Perciò i sacram enti ch ’essi am m inistravano eran o invalidi e senza effetto, e le loro chiese eran o le chiese deU’Anticristo. Per ovviare a questi mali egli re ­ clam ò u n rito rn o agli antichi p rin cip i canonici delle li­ b e re elezioni, e invocò l’em ancipazione della Chiesa dall’au to rità secolare e dalla co n su etu d in e dell’investi­ tu ra laica. E poiché il p o tere spirituale è tanto superio­ re a quello del re quan to il Cielo è superiore alla terra, la Chiesa doveva g u id are e g o v ern are lo stato com e l’a­ n im a governa il corpo. Solo così e ra possibile assicurare il re g n o della giustizia, la pace e l’u n io n e del popolo cri­ stiano. A p p are chiaro com e questi p u n ti di vista fossero in ­ conciliabili n o n solo con la pratica c o rren te della feuda­ lità n el secolo XI, m a anche con tu tta la tradizione im ­ periale della Chiesa di stato, che aveva confuso inestri­ cabilm ente le cariche spirituali e tem p o rali e aveva sem­ p re considerato gli im p era to ri e i re quali capi divina­ m en te designati della società cristiana. Si trattava di u n rito rn o al dualism o senza com prom essi e alla posizione antisecolare della Chiesa prim itiva. L e conseguenze rivoluzionarie di queste teorie n o n ap p arv ero ch iaram ente alla p rim a generazione dei riform atori co n tem p o ran ei di U m berto, com e Leone IX e il g ran d e capo della rifo rm a m onastica in Italia, san Pier D am iani, i quali rim asero fedeli all’ideale d i unione tra i d u e p o teri quale era stata tem p o ran eam en te realiz­ zata al tem po d i Enrico III. M a d o p o la m orte d el cardi­ nale U m berto e di p a p a Nicolò II nel 1061, la direzione del m ovim ento passò nelle m an i di uom ini più giovani, i

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quali eran o p re p a ra ti ad applicare le teorie di U m berto fino alle ultim e conseguenze, a qualsiasi costo. Prim o fra essi era l’arcidiacono della Chiesa rom ana, il toscano II d eb ran d o , il quale fin dal 1059 aveva occupato in Rom a u n a posizione im p o rtan te e nel 1073 venne eletto p ap a col nom e di G regorio V II. Q u an tu n q u e l’im p o rtan za della sua influenza sulla storia della C ristianità m edioevale sia stata sem pre pie­ n am en te riconosciuta, la sua personalità e la sua o p era sono state oggetto dei più disparati apprezzam enti. Da u n lato egli fu considerato come l’autore principale e l’ispiratore di tutto il m ovim ento riform istico, dall’altro com e u n politico ecclesiastico pieno d ’am bizione sul ti­ p o di Bonifacio V ili. M a adesso g eneralm en te si rico­ nosce che questi d u e p u n ti di vista sono ugualm en te e r­ ronei. Egli no n si rivelò u n pen sato re originale, perch é n o n Ildebrando, m a U m berto d i M oyenm outier con­ cepì la teoria e fu l’ideologo del m ovim ento di riform a. D ’altra p arte egli n o n fu u n semplice politico che aves­ se di m ira unicam ente il p o tere ecclesiastico, m a si di­ m ostrò u n uom o anim ato d a intense convinzioni spiri­ tuali e pro fo n d am en te com preso della sua missione profetica. Le sue idee sulla Chiesa e sul m ondo eran o caratte­ rizzate dallo stesso dualism o agostiniano che abbiam o visto in san O d o n e di Cluny, cosa del resto che e ra p a­ trim onio com une della Chiesa d el suo tem po. M a a g u a rd a re più d a vicino, nei suoi scritti si n o tan o m eno tracce d ’u n a d ire tta influenza agostiniana di quello che è dato di trovare nell’o p e ra del cardinale U m berto. La vera fonte d ’ispirazione p e r G regorio V II si trova nella Bibbia e principalm ente nei Profeti. La d o ttrin a p rim i­ tiva del giudizio divino, cara alla Scrittura, la legge di­ vina della giustizia e la m issione profetica form ano il te­ m a rico rren te del suo pensiero e del suo insegnam ento.

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Il sentim ento p ro fo n d o dell’urgenza della sua missione e la terribile situazione in cui si dibatteva il m ondo cri­ stiano, trovano la loro p iù im pressionante espressione nell’appello che p rim a di m orire indirizzò al popolo cristiano dal suo esilio di Salerno. «Anche a me, benché indegno e peccatore, è pervenuta quella parola del profeta: “Va’ sulla montagna e grida forte: nessuna pietà”, e ch’io voglia o no, deponendo ogni timore e ogni affe­ zione, grido, grido e grido di nuovo. La religione cristiana, la vera fede rivelata ai nostri padri dal Figlio di Dio, è caduta così in basso da esser oggetto di scherno, non solo per il Maligno, ma anche per i Giudei, i Saraceni e i pagani. Costoro hanno leg­ gi che non sono loro di nessun vantaggio per la salvezza e tutta­ via le osservano. Ma noi, accecati dall’amore del mondo, abbia­ mo abbandonato la vera legge. Ogni giorno vediamo uomini che a migliaia vanno alla morte per i loro signori e per i loro simili, ma coloro che temono Dio, e sono pochi, pensano solo alla propria anima e dimenticano i loro fratelli. Dal giorno in cui la Chiesa mi ha messo sul trono apostolico, il mio solo desiderio e lo scopo di tutti i miei sforzi è stato sem­ pre quello che la Santa Chiesa, la Sposa di Dio, nostra signora e madre, dovesse riacquistare il suo onore ed essere libera, casta e cattolica.»11

La politica n on h a niente a che ved ere con questo idea­ le di riform a: m a la semplicità intransigente con cui fu form ulato n e fece u n a forza rivoluzionaria p e r u n m on­ do in cui la Chiesa era diventata p arte in teg ran te del­ l’o rd in e sociale e in cui i ra p p o rti politici ed ecclesiasti­ ci si trovavano inestricabilm ente mescolati. In n an zitu tto , l’antico ideale bizantino e carolingio della m onarchia di d iritto divino era u n ostacolo a ogni

11 Monumenta Gregoriana, Ep. coll. 46, pp. 572-574.

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radicale p ro g ram m a di riform a, p erch é consacrava lo e circondava con l’au reo la di u n a tradizione sacra i diritti acquisiti. Perciò la determ in azio n e inflessibile di G regorio V II, di liberare la C hiesa dalla sua di­ p en d e n z a feudale verso il p o te re secolare, significava l’ab b andono dell’antica tradizione bizantina e carolin­ gia del diritto divino dei re e dell’obbedienza passiva dei loro sudditi cristiani. M a dacché i riform atori, n o n m en o dei conservatori, continuavano ad accettare il carattere u n itario della so­ cietà cristiana, era logico che il rifiuto della teocrazia im periale dovesse im plicare l’afferm azione della su p re ­ m azia del p o tere spirituale nella vita sociale della C ri­ stianità, cosicché fu inevitabile che il p a p a p ren d esse il p o sto fin qui occupato dall’im p era to re, quale g u id a e giudice suprem o del popolo cristiano. Q uesto cam biam ento, p e r q u an to rivoluzionario, era in arm o n ia con le m utate condizioni della nuova epoca. L’im p ero n o n era p iù in grad o di assum ersi, anche solo form alm ente, i com piti universali che l’im p e ro di C arlo M agno si e ra addossato. C o nsiderando l’E u ro p a occi­ d en tale nel suo insiem e, si poteva constatare che i n u o ­ vi stati feudali avevano orm ai p reso la direzione della civiltà, e di fro n te a d essi l’im p ero germ anico e ra di­ v entato sopravvivenza arcaica. Tuttavia il sentim ento d ell’u n ità cristiana e ra p iù forte che m ai e reclam ava qualche nuova istituzione che ne fosse l’espressione. Il P apato riform ato provvide effettivam ente a u n a tale espressione in u n m odo assai p iù efficace di quello che potesse fare qualsiasi altra istituzione politica, poiché si trovava al di sopra di ogni rivalità nazionale e te rrito ­ riale e possedeva nella gerarchia e nel d iritto canonico gli strum enti necessari p e r attuarla. Per di p iù esso pos­ sedeva m aggior flessibilità che n o n l’im pero . Difatti il Papato, oltre ad avere u n ’au to rità universale, poteva

status quo

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creare a seconda d ei bisogni form e speciali di rap p o rti non solo con le chiese e i m onasteri delle divine regio­ ni, m a anche con le potenze territoriali. Così vediam o G regorio V II incoraggiare i sovrani dei p iù rem oti pae­ si cristiani, quali la Spagna, la D anim arca, l’U ng h eria e la Croazia, a d accettare la protezione della Santa Sede e a diventare vassalli di S. Pietro. E benché questo fatto n o n implicasse u n ’au to rità politica diretta, nondim eno serviva a m ettere in evidenza la nuova posizione del Pa­ p ato quale centro di u n a società internazionale. L a nuova form ulazione dell’idea teocratica fu assi­ m ilata senza g ran difficoltà dalla società feudale del­ l’O ccidente, ove le lim itazioni del p o tere regale erano u n fatto di o rd in a ria esperienza. Ma la cosa procedette in m odo assai diverso nell’im p ero , ove la tradizione ca­ rolingia era fortem ente radicata e la Chiesa e i vescovi eran o il sostegno principale del sistema im periale. Q ui ci si trovò in presenza d ’u n a contesa che fu a u n tem ­ p o conflitto di ideologie e d i forze sociali. Per la prim a volta nella storia d ellO ccid en te si fece il tentativo p e r g u ad ag n are l’opinione pubblica all’u n o o all’altro dei d u e partiti, e si condusse u n a g u e rra a base di trattati e di libelli, in cui v en n ero discussi in m odo copiosissi­ m o i problem i p iù fondam entali, concernenti i ra p p o r­ ti tra Chiesa e stato e il d iritto di resistenza a u n a auto­ rità ingiusta. Q uesto fatto segna u n nuovo p u n to di p artenza nella storia della civiltà occidentale, p erché sta a indicare che gli uom ini incom inciarono a discutere in to rn o ai p rin ­ cipi che costituivano la base della società cristiana e ad appellarsi a questi stessi principi p e r cam biare l’ordine vigente. Q u an d o G regorio V II scriveva: «Il Signore d i­ ce: Io sono la Verità e la Vita; Egli n o n h a detto: Io so­ n o la consuetudine, m a sono la Verità invocava u n a nuova specie di d i­

consuetudo, sed Veritas)»,

(non dixit ego sum 175

ritto divino, che doveva avverarsi in definitiva p iù forte d el d iritto divino dei re. All’inizio la controversia p rese le m osse d a p re su p p o ­ sti e d a p rincipi teologici com uni ai d u e partiti. E n ­ tram b e le p arti accettavano la teologia agostiniana della grazia e della giustizia, la d o ttrin a gelasiana dell’accor­ d o tra i d u e poteri, tem p o rale e spirituale, e la concen­ trazione carolingia della C ristianità com e u n ità teocra­ tica. S oprattutto di sant’Agostino, con la sua m eravigliosa visione d ei D ue A m ori e delle D ue Città, la cui opposizione e conflitto spiegano il corso della storia, costituiva lo sfondo su cui si m uoveva tu tta la controversia e a cui ciascuna delle d u e p a rti esplicita­ m en te e con insistenza faceva appello a sostegno della p ro p ria interp retazio n e della lotta. Dai riform atori la pretesa dell’im p era to re di d o m in a­ re la Chiesa è considerata com e u n a nuova m inaccia al­ la libertà della città di Dio d a p a rte dei figli di Babilonia e della generazione di C aino. Ai partigiani dell’im p ero , invece, i riform atori a p ­ p aio n o com e nem ici della pace, i quali distruggono l’u ­ n ità del corpo unico se p aran d o il sacerdozio dalla reg a­ lità e m ettendo le arm i della g u e rra tem porale nelle m ani della Chiesa. Così la questione del d iritto alla resistenza divenne u n o dei p u n ti principali della controversia. Gli a d e re n ­ ti all’im pero - com e il m onaco di H ersfeld che scrisse l’o p e ra an onim a - con­ d an n av an o il diritto alla resistenza basandosi sul pacifi­ sm o cristiano.

La Città di Dio

De unìtate Ecclesiae conservando

«Dice il Signore: Io vi lascio la mia pace, vi dò la mia pace. Per­ ciò ogniqualvolta i figli della Chiesa sono costretti a fare guer­ ra, essi fanno ciò non secondo l’insegnamento di Cristo e la tradizione della Chiesa, ma per necessità e a motivo di una cer­

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ta influenza deleteria di Babilonia, la città terrena, attraverso la quale i figli di Gerusalemme viaggiano durante la loro vita terrestre»12. «Quale mistero d’iniquità viene adesso perpetrato da coloro che si danno il nome di monaci e che, confondendo la Chiesa e lo stato nella loro perversa dottrina si oppongono e si mettono contro il potere regale e contro la Sante Sedei»13

Così che: «da diciassette anni e più, ovunque nell’impero romano vi sono guerre e sedizioni, incendi di chiese e di monasteri; insorge ve­ scovo contro vescovo, clero contro clero, popolo contro popolo, e padre contro figlio e fratello contro fratello»14.

M a agli occhi d ei rifo rm ato ri questo conservatorism o passivo era incom patibile con la libertà della Chiesa e con la restaurazione di u n v ero o rd in e della società cri­ stiana. Dacché la Chiesa e ra u n a, il p rin cip e cristiano e lo stesso im p erato re esercitavano la p ro p ria funzione nel q u ad ro della Chiesa, soggetti alla legge della Chiesa e sotto l’au to rità dei suoi d irig en ti spirituali. L’autorità tem porale e ra perciò, in u n certo senso, l’au to rità della Chiesa negli affari tem porali, che veniva esercitata p e r mezzo di m inistri tem porali. E se questi m inistri o p era­ vano male e ra com pito della Chiesa e del popolo cri­ stiano richiam arli all’o rd in e e, se necessario, destituirli in favore di candidati p iù adatti. Presentato nella sua form a estrem a, com e fece M anegoldo di L autenbach nella questo principio im plica la sostituzione d ’u n a teo ria quasi d e­ m ocratica di co n tratto sociale alla concezione tradizio-

Lettera a Gebardo,

12 De unitati Ecclesiae conservando, I, ad fin. 13 Op. cit., II, c. 42. 14 Op. cit., I, c. 7.

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naie del diritto divino dei re e, nello stesso tem po, d i­ v en ta u n a giustificazione violenta dell’uso della forza contro gli scismatici e gli eretici, secondo le parole del profeta: «M aledetto colui che fa il lavoro di Dio con n e­ gligenza e m aledetto colui che preserva la spada dal sangue». C he questo n o n sia stato solo soggetto di teoria astratta, lo dim ostra la storia della rivolta sassone come ci è riferita da L am berto di H ersfeld e da B ru n o di M agdeburgo, che sottolineano am bedue il carattere condizionale del giu ram en to di fedeltà dei Sassoni ver­ so l’im peratore e il loro d iritto e dovere di d ifen d ere le p ro p rie libertà nazionali e quelle della Chiesa. Ma nonostante quest’atm osfera prevalentem ente teo­ logica, c’erano già alcuni scrittori p re p a ra ti a difendere la causa dell’im pero sul suo p ro p rio te rre n o basandosi sulle sue prerogative tem porali. Il più ragguardevole di questi scrittori è Benzo vescovo di Alba, eru d ito e u m a­ nista, che anticipa D ante nel suo entusiasm o p e r la tra ­ dizione rom ana e p e r la restaurazione dell’au to rità u n i­ versale dell’im pero. Per lui, Enrico IV è il successore le­ gittim o dei g ran d i im p erato ri del passato e degli eroi di Rom a antica, il quale è stato inviato dal Cielo p e r resti­ tu ire all’Italia la gloria dell’im pero, e p e r mezzo dell’I ­ talia al m ondo intero. Q uesto im pero restau rato dovrà essere in d ip en d en te sia dalla Chiesa com e dal feudale­ simo. Dovrà essere u n a m onarchia assoluta basata sul­ l’antico ordine rom ano, sulla legge universale e su u n rinnovato sistema d ’im posta generale. E così, m algrado il suo carattere utopistico, il pensiero di Benzo d ’Alba sem bra p re an n u n ziare la vicina rinascita di u n a conce­ zione politica dello stato. Tuttavia, se nel secolo x i esisteva un o stato politico, questo lo si trovava n o n nelle tradizioni arcaiche del Sa­ cro Im pero, m a nella nuova m onarchia n o rm a n n a, che

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era p e r l’a p p u n to il principale oggetto dell’odio e della d en u n zia di Benzo. E così, ancora, n o n l’im pero m a il Papato riform ato rap p resen tav a il vero ered e della tra­ dizione ro m a n a di universalità e d i o rd in e internazio­ nale. Difatti la Chiesa n o n era soltanto u n a società assai p iù universale e com prensiva dello stato m edioevale, m a esercitava anche m olte funzioni che noi consideria­ m o com e essenzialm ente politiche. C om e faceva rileva­ re F.W. M aitland, è impossibile form ulare u n a qualsiasi definizione dello stato accettabile p e r questa epoca, sen­ za che vi sia inclusa la C hiesa m edioevale. Essa era u n a potenza sovrana che im poneva le p o p rie leggi e n e esi­ geva rigorosam ente l’applicazione nei p ro p ri tribunali p e r mezzo dei suoi giudici e d ei suoi legisti. Possedeva inoltre u n sistem a perfezionato di giurisdizione d ’ap ­ pello, u n a burocrazia organizzata e u n o rd in e efficiente di au to rità centralizzata, che veniva esercitata d a fu n ­ zionari p e rm a n e n ti e controllata p e r mezzo delle visite e dei ragguagli dei legati, i quali rap p resen tav an o u n a p arte così em inente nella vita internazionale della Cri­ stianità. T utto ciò fu la conseguenza d iretta del m ovim ento riform ista, p erch é l’em ancipazione del Papato dalla sua obbedienza all’im pero e la separazione dell’autorità spirituale del vescovo d ai suoi obblighi secolari, come m em bro della gerarchia feudale, resero necessaria u n a rifo rm a com pleta dell’am m inistrazione e giurisdizione ecclesiastica, sì d a form are u n a u n ità ben organizzata. M a la creazione di questa p o ten te m acchina di go­ vern o ecclesiastico n o n fu lo scopo prim itivo della rifor­ m a, che, com e abbiam o visto, era stata ispirata da u o ­ m ini d i ideali elevati e spirituali quali san Pier Damiani. Gli stessi riform atori e ra n o b e n consapevoli che l’a u ­ m ento del p o tere e dei beni ecclesiastici costituiva u n pericolo di secolarizzazione che sarebbe derivato dal­

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l’in te rn o stesso della Chiesa, pericolo che appariva al­ tre tta n to m ortale, sebbene più insidioso, q u an to i mali estern i ch’essi com battevano. È vero che vi eran o certi sostenitori della riform a, i quali condividevano in p arte la sim patia di Benzo d ’Alba p e r la tradizione antica di R om a e consideravano la vittoria del Papato come u n trionfo della civiltà e dell’o rd in e latino sulle forze della b arb arie germ anica e feudale. Così la bella ode che Al­ fano, arcivescovo di Salerno, indirizzò a Ild eb ran d o q u an d o era ancora arcidiacono, fa appello al Papato af­ finché spezzi con le arm i spirituali la forza bru tale della b arb arie che com batte il p o tere rom ano, e p arag o n a lo stesso Ild eb ran d o agli eroi del passato: a M ario, a Cesa­ re e agli Scipioni. «His et archiapostoli fervido gladio Petri frange robur et impetus illius, vetus et iugum usque sentiat ultimum. Quanta vis anathematis! quidquid et Marius prius, quodque Julius egerant maxima nece militum, voce tu modica facis. Roma quid Scipionibus caeterisque Quiritibus debuit magis quam tibi, cuius est studiis suae nacta jura potentiae?»15

15 Migne, P.L. 147,1262 («Spezza la forza del loro impeto con la spada di Pie­ tro, capo degli apostoli, e che possano sentire l’antico giogo sino alla fine. // Com’è grande la potenza del tuo anatema! Tutto ciò che Mario e Giulio hanno compiuto con enorme strage di soldati, tu lo fai con debole voce. // Che cosa do­ veva Roma agli Scipioni e ai suoi cittadini di più di ciò che deve a te, per i cui sforzi essa ha conseguito i diritti alla sua potenza?»).

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M a n o n vi è alcun sintom o di tu tto ciò nel pensiero e nelle espressioni d i Ild eb ran d o . Egli, invece, era assai p iù ispirato dall’ideale scritturistico del profeta, inviato ad an n u n ziare la giustizia e il giudizio, e costituito sulle nazioni e sopra i reg n i «per svellere e p e r dem olire, p e r edificare e p e r piantare». Sarà lo stesso spirito che ani­ m erà san B ern ard o nel secolo seguente, come p u re tanti altri esponenti del Cristianesim o. Q uesto tono profetico im p reg n ò tu tta l’attività del m ovim ento rifor­ m ista d u ra n te i secoli XI e x n e lo dotò di u n a energia spirituale e di u n prestigio m orale incom parabili, che gli perm isero di anim are e trasform are la civiltà m e­ dioevale in questo p erio d o decisivo del suo sviluppo.

Capitolo V ili IL M ONDO FEUDALE: LA CAVALLERIA E LO SPIR IT O «CORTESE» Il m ovim ento di riform a del secolo xi, di cui si è parla­ to nel capitolo p reced en te, n o n si e ra lim itato alla vita m onastica, m a aveva esteso la sua influenza a u n più vasto m ovim ento di evoluzione spirituale che tra­ sform ò l’ord in am en to della Chiesa d ’O ccidente e lo spirito della civiltà occidentale. In questo m odo si form ò la nuova u n ità della C ristianità medioevale. Q uesta unità n o n e ra p iù trib u taria della sua esistenza all’im pero, com e nella società carolingia o in quella bi­ zantina, m a aveva u n carattere sovra-politico e in ter­ nazionale e possedeva nel Papato riform ato il suo p ro ­ prio centro d ’au to rità in d ip en d en te. E vero che la tra­ dizione carolingia sopravviveva, senza tro p p i cambia­ m enti essenziali, nel Sacro R om ano Im p e ro sotto i so­ vrani sassoni e salici, m a n o n abbracciava p iù l’insieme della civiltà occidentale. I centri più vitali e attivi della nuova vita si trovavano altrove, sparsi nella società feudale n o n ancora organiz­ zata del regno franco occidentale, ove la tradizione ca­ rolingia era quasi estinta e lo stesso p o tere regale era caduto al livello p iù basso. In questi luoghi, la vera u n ità della vita politica non era p iù il regno, m a i nuovi stati feudali, sorti sulle ro ­ vine dello stato carolingio p e r o p era di vassalli ribelli e di fo rtu n ati avventurieri m ilitari o anche, come nel ca­ so dei N orm anni, in seguito alla sistemazione sul terri­ torio di barbari invasori, venuti dal lontano N ord. Que-

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sti stati feudali eran o stati creati dalla g u e rra e p e r la g u erra. L a loro stru ttu ra e il loro ideale eran o m ilitari, e la so­ la forza che potesse ten ere assiem e la società era il lega­ m e prim itivo di fedeltà, che univa il soldato al suo capo, com ’e ra avvenuto all’epoca delle invasioni barbariche. Così il sorgere del feudalesim o sem bra stia a indicare u n rito rn o alla barbarie, in cui le istituzioni fo n d am en ­ tali della società civilizzata e ra n o quasi praticam ente scom parse e il m ondo veniva governato dalla «antica b u o n a legge, dal m etodo prim itivo, e cioè: p re n d a colui che ne h a il p o tere e chi p u ò conservi ciò che h a preso». M a q u an tu n q u e il feudalesim o fosse u n rito rn o alla b arb arie, esso p ortava con sé il suo rim edio. La stessa ferocia e b arbarie di questi p rim i signori feudali faceva di loro degli avversari tem ibili con cui e ra pericoloso venire a contesa. E ra facile beffarsi dell’a u to rità del d e­ bole e lontano m onarca carolingio, m a e ra u n tu tt’altro affare p re te n d e re di rivoltarsi contro u o m in i com e Fol­ co N e rra d ’Angiò, o Baldovino di F iandra, o Guglielm o il B astardo di N orm andia. Q uesti individui eran o p a ­ d ro n i d u ri e crudeli, m a buoni «giustizieri», capaci di p ro te g g ere le loro te rre dalla g u e rra e dal saccheggio e b e n decisi a esigere dai loro turbolenti vassalli u n rigo­ roso rispetto p e r la p ro p ria autorità. E difatti, ap p e n a le signorie feudali si fu ro n o salda­ m en te stabilite, la popolazione com inciò ad au m en tare, le strad e si ap riro n o di nuovo al com m ercio e le città e i m ercati ripresero vita. C iascuno di questi stati feudali, so p rattu tto la N orm andia, le F iandre, la contea d ’An­ giò, quella di Blois, lo C ham pagne e la B orgogna, di­ v en n e il focolare d ’u n a intensa attività sociale. La m ol­ teplicità di questi stati e il loro carattere ristretto favori­ ro n o il progresso della civiltà occidentale assai p iù e m eglio che n o n la massa difficile a governarsi e le pre-

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tese universali dell’im pero carolingio tedesco. U no sta­ to delle dim ensioni della N o rm an d ia o delle Fiandre era abbastanza g ran d e p e r costituire u n organism o so­ ciale autosufficiente, e nel m edesim o tem po n o n tro p ­ po vasto p e r essere governato e difeso da u n a sola testa. Così i piccoli stati di Francia e dei Paesi Bassi, nei secoli xi e xii, svolsero a favore della civiltà d u ra n te l’Alto Me­ dioevo u n a p arte analoga a quella delle città-stato della Grecia antica o a quella dei prin cip ati italiani del Rina­ scimento. Il risveglio della vita religiosa, intellettuale e artistica si ricollegava n o n tan to all’im pero o alle m onarchie, q uanto a questi stati feudali. Persino il feroce Folco N e rra d ’Angiò, che a p rim a vista a p p a re u n barbaro sanguinario, era u n g ran d e fon d ato re di m onasteri e u n rico stru tto re di chiese, m e n tre il suo contem pora­ neo Guglielm o III il G ran d e, di Poitiers (993-1030), amico di Fulberto di C hartres, era u n principe colto e nobile che p ren d ev a piacere a leggere e a copiare da sé i m anoscritti p e r la sua biblioteca. È so p rattu tto signifi­ cativo il fatto che il m ovim ento di riform a m onastica ab­ bia trovato i suoi prim i p ro te tto ri n o n tra i g randi im ­ p erato ri sassoni, m a in mezzo ai principi feudali del x secolo. Difatti Cluny fu fondata da Guglielm o di Auvergne, duca d ’A quitania; la riform a di G erard o di B rogne dovette la sua diffusione nei Paesi Bassi ad A rnoldo (Arnoul) il Vecchio, il cui predecessore Baldovino II s’era arricchito col saccheggio delle te rre ecclesiastiche e si e ra distinto persino, in quei tem pi di anarchia, con l’as­ sassinio di Folco arcivescovo di Reims. Più tardi, all’ini­ zio del secolo xi, Riccardo I I di N o rm an d ia chiam ò da D igione san Guglielm o di Volpiano e fece di Fécam p il p iù g ran d e cen tro della riform a m onastica nel nordovest della Francia. L’anarchia del «sistema» feudale venne com pensata

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così dalla vitalità e dalla forza di ric u p e ro di questo nuovo tipo di società. A p a rtire dall’inizio del secolo xi la società feudale occidentale dim ostrò u n a strao rd in a­ ria capacità di espansione, che p o rtò la cavalleria fran ­ cese e le sue istituzioni d a u n ’estrem ità all’altra dell’E u ­ ro p a: dalle isole britan n ich e fino al Portogallo e alla Si­ cilia e p iù oltre ancora, fino in Siria e ai confini del d e ­ serto arabico. Si tra tta di u n ’espansione paragonabile a quella degli u om ini del N o rd nel p e rio d o p reced en te, q u an d o sta­ bilirono i loro dom inii d a D ublino a Kiev. I n realtà tra i d u e m ovim enti c’è, in certo m odo, u n nesso di conti­ nu ità, poiché a p p u n to i cristiani nordici d i N o rm an d ia p resero ovunque l’iniziativa del nuovo m ovim ento. M a m e n tre i V ikinghi si lasciarono ra p id a m e n te assim ilare dai paesi che occuparono, ad o ttan d o la religione e le istituzioni dei popoli conquistati, la nuova società feu­ dale si dim ostrò abbastanza forte p e r p reserv are la sua id en tità spirituale e d esercitare persino u n ’influenza creatrice nel dom inio culturale. Ciò si deve al fatto che la società feudale della Francia settentrionale aveva ef­ fettuato in seno alla civiltà m edioevale u n a nuova fusio­ ne, u n a sintesi degli elem enti cristiani con quelli b a rb a ­ rici. Fino a questo m om ento tali elem enti eran o coesi­ stiti nella civiltà occidentale gli uni a fianco degli altri senza form are u n ’u n ità organica. Essi costituivano d u e m o n d i separati: d a u n a p a rte la società di pace costitui­ ta dalla Chiesa che aveva i suoi centri nella vita del chio­ stro e nella cu ltu ra m onastica; dall’altra la società g u e r­ rie ra dei b arb ari occidentali che rim anevano pagani di cuore, nonostante l’accettazione estern a e parziale del Cristianesim o. Per u n m om ento sem brò che l’im p ero carolingio rappresentasse il trionfo dell’elem ento cristiano e l’u n i­ ficazione della civiltà occidentale su basi cristiane. M a

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divenne subito evidente che la m aestosa teocrazia del­ l’im p ero cristiano n o n e ra altro che u n pretenzioso tra ­ vestim ento. Difatti, sebbene gli im p erato ri p iù p ro fo n ­ d am en te com presi degli ideali carolingi (come Ludovi­ co il Pio, Carlo il Calvo e Carlo il Semplice) potessero enu n ciare n ei loro capitolari i princìpi cristiani di go­ verno e i piani dettagliati di riform a m orale e liturgica, in realtà eran o incapaci di d ifen d ere i loro paesi contro i pag an i e di o tten ere l’obbedienza dai loro sudditi. L’im p ero della legge e l’au to rità politica dello stato era­ no scomparsi. Solo sussisteva, quale principio di coesio­ ne sociale, il legam e p erso n ale e d iretto della lealtà e dell’assistenza reciproca tra il g u erriero e il suo capo, e quello del servizio e della protezione tra il servo e il suo signore. C’è u n ’evidente somiglianza tra la società feu­ dale e le relazioni tradizionali del capo d i g u e rra b arb a­ ro con il suo Così p u re en tram b e le so­ cietà s’ispirano allo stesso codice prim itivo d ’on o re e lealtà, di disprezzo della m o rte e di spirito d i v endetta implacabile. N iente poteva essere p iù alieno dalla m orale cristia­ na; p erò, benché il nobile feudale fosse il discendente diretto dei g u errieri barb ari, egli e ra nello stesso tem po u n cavaliere cristiano e, com e tale, si sentiva legato d a u n a reale lealtà alla società p iù vasta della C ristianità e d a u n ’indubbia fedeltà alla Chiesa.

comitatus o hyrd1.

Q uesto dualism o p ro p rio della società feudale trova u n a so rp re n d e n te esem plificazione in u n famoso inci­ d en te della storia inglese. L’undici agosto del 991, u n a flotta di V ikinghi sbarcò presso M aldon, nell’estuario di Blackwater, e in co n trò gli uom ini dell’Essex, guidati dal

1 Hyrd o hird (anglosassone): scorta, seguito del capo, corte del principe [N.d.T.].

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loro scabino2 B yrhtnoth, che fu vinto e ucciso d o p o u n ’eroica resistenza. L’avvenim ento è ricordato in d u e d o cum enti quasi contem poranei: o p era com posta in latino da u n m onaco di Ramsey, e il scritto in anglosassone, che è stato talvolta con­ siderato com e il più g ra n d e poem a guerresco in lingua inglese e che com unque è l’espressione classica della m orale eroica aristocratica, quale la si vede in nel e nella più antica poesia scandi­ nava. La m orte dell’eroe e i discorsi dei g u e rrie ri che lo seguono, risoluti a m o rire insiem e al loro signore, a p ­ p arten g o n o talm ente a questa tradizione, da arrivare a rip ro d u rre esattam ente la stessa situazione, le identiche reazioni em otive e le m edesim e form ule poetiche che si trovano nell’antica poesia eroica del N o rd pagano. N el­ la invece il m onaco cronista rap p resen ta B yrhtnoth com e u n cam pione cristiano del suo paese che lotta contro i pagani; le sue m ani sono fortificate dalla pietà e dalle o p ere buone. Le d u e descrizioni sono entram be sostanzialm ente esatte, poiché B yrhtnoth n o n era solo u n g ran g u e rrie ­ ro, m a anche u n devoto cristiano, com e suo nipote A ethelwine, «l’amico di Dio»; e p e r secoli sarà ricordato con venerazione dai m onaci di Ely com e u n o dei loro p iù g randi benefattori. Q ui vediam o allo stato p u ro e senza m escolanza o confusione i d u e elem enti costitutivi della nuova cultu­ ra m edioevale. Ma nei te rrito ri che avevano fatto p arte d ell’im pero carolingio, soprattutto nella Francia setten­ trionale, che era il centro della nuova società, era già as­ sai avanzato u n processo di fusione che stava p ro d u ­ cendo nuove istituzioni, idee nuove e u n a rinnovata tradizione letteraria. Il sorgere della cu ltu ra feudale

Vita Oswaldi,

Maldon,

Fight at Finnesburg

Lay of

Beowulf,

Vita Oswaldi

2 Nel testo ealdorman: dignitario civile inferiore al grado di sindaco [JV.d.T].

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ra p p re se n ta qui la trasposizione dello spirito, p ro p rio dell’antica tradizione g u e rrie ra del N o rd , su u n piano specificam ente cristiano, cosicché il dualism o della cul­ tu ra , che e ra stato u n tra tto caratteristico dell’E uropa occidentale d u ra n te q u attro o cinque secoli, si trovò al­ fine superato. Q u esta attività creatrice della nuo v a cu ltu ra feudale tro v a a p p ro p ria ta espressione lettera ria nella nuova poesia epica feudale: la che fa la sua ap p arizio n e nella Francia setten trio n ale in questo p e ­ riodo. Q uesto è forse il solo esem pio - certam ente il p iù insigne - di u n a g e n u in a poesia eroica che sorge in tem p i storici e m ette in scena p ersonaggi ed eventi storici. È vero che le perv en u teci d atan o p rin ­ cipalm ente dal secolo x ii, m e n tre il tem a d a loro tra t­ tato risale alla tradizione e alle leg g en d e dell’epoca ca­ rolingia; m a esse esp rim o n o la concezione poetica d el­ la società feudale che em erse dalle rovine d ell’im pero carolingio e riflettono le condizioni sociali d i quell’età allo stesso m odo in cui la poesia eroica del N o rd riflet­ te le tradizioni sociali del tem p o delle invasioni b arb a­ riche. Il m o n d o che esse p resen tan o è u n m o n d o arcaico, che p e r molti lati è p iù simile al m o n d o post-carolingio che n o n a quello del secolo x n a cui ap p arten g o n o le poesie superstiti. In tu tte queste com posizioni il legam e di p aren tela è messo in evidenza così com e e ra di fatto nei clan della vecchia società. Q u an d o G ano è ricono­ sciuto trad ito re, tre n ta d ei suoi p a re n ti sono presi come ostaggi o g aran ti p e r il g iuram ento; e q u an d o il loro cam pione è sconfitto nel to rn eo , che costituiva il giudi­ zio di Dio, tu tti e tre n ta v engono impiccati. Esempio, questo, del principio d i solidarietà fam iliare, che sor­ passa tu tto ciò che è d ato di p o te r trovare nelle colle­ zioni di leggi barbariche. N ello stesso m odo vi troviam o

chanson de geste,

chansons

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in pieno vigore l’antica legge barbarica della faida e il d iritto della p aren tela a farsi p ag are col sangue il san­ gue versato d a u n o dei loro. Persino u n a così tardiva come quella di ci d à u n q u ad ro realistico delle conseguenze che poteva avere anche so­ lo u n atto involontario d i omicidio: m essaggeri a caval­ lo che corro n o da u n ’estrem ità all’altra della Francia p e r eccitare zìi, cugini e vassalli a vendicare il loro p a­ re n te e signore, e sforzi infru ttu o si dell’involontario uc­ cisore che si offre a p ag are in risarcim ento u n en o rm e guidrigildo3. In l’interesse si accentra sul tragico conflitto tra il legam e di p a re n te la e il dove­ re d i fedeltà feudale: il vassallo B ern ier uccide il suo si­ g n o re Raoul p e r vendicare la p ro p ria m ad re. Ci si p u ò d o m an d are dove, in tu tto questo, si trovi il nuovo spiri­ to cristiano, p erch é le sono b arb are co­ m e la stessa società feudale e, p e r certi rispetti, ancor più b arbare dello spirito di corte dell’antica epopea germ anica. Ma m en tre l’antica poesia eroica si m an te­ neva nei limiti della p ro p ria tradizione e n o n conosceva altra lealtà all’infuori dei legam i del sangue e della fe­ deltà personale, la nuova le tte ra tu ra riconosceva im pli­ citam ente l’esistenza d ’u n a legge più alta e di u n a lealtà spirituale più estesa. Il motivo d o m inante delle alm eno di quelle del ciclo p iù antico e famoso - n o n è la ven­ d etta personale o la faida fam iliare, m a la g u e rra dei cristiani contro gli infedeli: Le g u e rre carolinge contro i Saraceni di S pagna occupa­ no nella tradizione epica-feudale lo stesso posto cen­ trale che la g u e rra di T roia nella tradizione epica della G recia antica. Più che d a u n a opposizione nazionale

Garino di Lorena

chanson

Raoul di Cambrai

chansons de geste

chansons de geste -

Gesta Dei per Francos.

3 Nel testo wergeld, quantità di beni che l’offensore doveva dare all’offeso per riscattarsi dalla vendetta di lui o dei suoi parenti [AT.d.Z].

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tra Francesi e Tedeschi o N o rm an n i e Inglesi, di qui nacque il nuovo patriottism o dell’E u ro p a feudale. Q uesto sentim ento patriottico h a u n carattere p iù reli­ gioso che politico, p erch é n o n rig u a rd a nessuno stato esistente, m a si riferisce alla vasta società della Cristia­ n ità n el suo insiem e e, p e r conseguenza, in tro d u ce u n nuovo elem ento spirituale nell’etica b a rb a ra della cul­ tu ra g u erriera. Le im p rese m ilitari dei cam pioni n o n costituiscono u n fine a sé, m a sono com piute p e r il b e­ n e della C ristianità Il ca­ valiere che m u o re com battendo p e r la fede n o n è sol­ tan to u n eroe, m a u n m artire, com e l’arcivescovo Turp in o spiega a O rlan d o e ai suoi com pagni, a Roncisvalle.

et la loi Deu essaucier et monter.

«Signori baroni, Carlo ci ha lasciati qui; pel nostro re noi dobbiamo ben morire; la Cristianità aiutate a sostenere! Battaglia avrete, siatene ben certi, perché ai vostri occhi vedete i Saraceni. Confessate le vostre colpe, domandate a Dio pietà, vi assolverò per guarire le vostre anime. Se voi morrete, sarete santi martiri, posti sarete nel più alto paradiso.»4

Canzone di Guglielmo d’Orange,

Così p u re , nella Viviano, q u an d o è vinto nella battaglia d i A rcham ps, si p en te di aver p reg ato la Santa V ergine p erch é gli salvasse la vita, m e n tre n o n l’aveva fatto Dio stesso che soffrì p e r noi la m o rte sulla santa Croce al fine di salvarci dai nostri

4 «Seignurs baruns, Carles nus laissat ci. / Pur nostre rei devum nos ben murir. / Chrestientet aidez a sustenir. / Bataille avrez, vos en estes tuz fiz, / Kar a vos oilz veez les Sarrazins. / Clamez vos culpes, si preiez Deu mercit. / Asoldrai vos pur voz anmes guarir. / Se vos murez, esterez seinz martire. / Seiges avrez el greignor pareis» (Chanson de Roland, w. 1127-1135).

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m ortali nemici, e p re g a p erch é gli sia concesso di con­ servar la sua fede, senza p au ra, sino alla m o rte5. In questa m aniera i ra p p o rti feudali, cioè il legam e che univa il cavaliere al suo signore, ricevevano u n sen­ so m orale dall’introduzione di motivi religiosi. U no dei p iù g randi vescovi riform atori dell’inizio del secolo xi, Fulberto di C hartres, nella sua lettera a G uglielm o il G ran d e di Poitiers, spiega com e il vincolo feudale costi­ tuisca u n complesso di d iritti e doveri m orali reciproci che m ettono capo al e poiché questo vincolo è p e r principio u n libero contratto p e r­ sonale, d ip en d e inevitabilm ente dalle sanzioni m orali p iù di quello che n o n lo sarebbe u n ord in ario legam e politico. E così l’antica usanza barbarica della fedeltà personale verso il capo di g u e rra fu rinforzata d a p iù elevate considerazioni religiose, di m odo che il cavalie­ re finì p e r diventare u n a perso n a consacrata, obbligata n o n solo a esser fedele al suo signore m a anche ad esse­ re il difensore della Chiesa, della vedova e dell’orfano, com e si esprim ono i Pontificali m edioevali nella ceri­ m onia In tal m odo il cavaliere venne distaccato dal suo q u a­ d ro barbarico e pagano e integrato nella stru ttu ra so­ ciale della civiltà cristiana, così d a esser considerato co­ m e u n o dei tre organi indispensabili del corpo sociale, insiem e al p rete e al contadino, ciascuno dei quali, giu­ sta l’espressione di G eraldo di C am brai, reclam a i servi­ zi d ell’altro, com e i m em bri di u n o stesso corpo. E q u a n tu n q u e questo ideale abbia avuto sul com p o rta­

Sacramentum fìdelitatis,

ad benedicendum novum militem.

5 «Quand l’out dit, le bers se repentid. / Mult pensai ore que fols e que brixs / Que mun cors quidai de la mort garir, / Quand Dampnedeu me'ismes nel fist, / Que pur nus mort en saìnte croiz soffri, / Pur nus raindre de noz mortele enemis. / Respit de mort, Sire, ner dei jo rover / Car a Tei meisme nel voilsis pardoner. / Tramettez mei, Sire, Williame al curb nes, / V Loowis qui France ad a garder / Par lui veintrum la bataille champel» (Chan$un de Williame, w. 816-826).

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m ento effettivo del g u erriero feudale u n risultato assai scarso, p rocurò tuttavia u n archetipo spirituale che in definitiva doveva avere u n ’influenza trasform atrice sul m odo co rren te di p en sare e di giudicare della società medioevale. Il p erio d o che vide sorgere l’istituzione della cavalleria fu anche testim onio d ’u n tentativo organizzato p e r li­ m itare o sopprim ere i m ali in eren ti alle g u e rre private e all’arbitrio feudale: l’istituzione della pace di Dio e della treg u a di Dio. Sem bra che questa iniziativa sia d o ­ vuta ai vescovi della Francia centrom eridionale, i quali p e r prim i nel 987, nel concilio di C h arro u x , lanciarono l’anatem a contro i saccheggiatori di chiese e contro co­ loro che rubavano il bestiam e ai contadini. Fin dall’ini­ zio l’abbazia di Cluny fu associata a questo m ovim ento e il suo g ran d e abate san O dilone, insiem e al riform ato­ re lorenese Riccardo di S. Vannes, aiutarono a estende­ re questa salutare iniziativa nella Francia settentrionale e orientale. O vunque i vescovi p ro p u g n a ro n o la fo n d a­ zione di tali associazioni p e r la pace. I loro m em bri giu­ ra ro n o di p ro teg g ere la vita e i beni dei non-com battenti, specialm ente del clero e dei contadini. Rodolfo G laber h a descritto l’entusiasm o con cui il popolo accorreva in folla a queste assemblee gridando: «Pace, Pace!»; e i nobili versi che Fulberto di C hartres com pose su tale soggetto m ostrano quale spirito ani­ masse questo m ovim ento: «O folla di poveri, ringraziate l’Onnipotente che, forte nel rin­ novare non meno che nel creare, ha fatto ritornare nel retto cammino un’età che era abbandonata al male. Egli t’ha aiutata nella tua penosa fatica, o tu ch’eri oppressa, concedendoti il rinnovo della pace e della quiete. Adesso i nobili, che per lun­ go tempo avevano rigettato i freni della legge, si sono messi

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coraggiosamente a rendere giustizia. Il pensiero del patibolo fa trattenere la mano del ladro e il viaggiatore senz’armi canta a gran voce in presenza del bandito. Le vigne abbandonate vengono di nuovo potate e le terre incolte sono arate. La lan­ cia è trasformata in falce e la spada in aratro; la pace arricchi­ sce l’umile e impoverisce il superbo. Sia benedetto, o Padre celeste, e accorda salvezza a tutti coloro che amano la quiete della pace. Ma quelli che si compiacciono della guerra colpi­ scili con la potenza della tua destra e abbandona all’inferno i figli del Maligno»6.

Q uesta poesia si ricollega senza dubbio agli sforzi del re R oberto il Pio (996-1031) p e r l’estensione del m ovi­ m ento di pace. Egli n o n solo lo sostenne nel suo reg n o , m a fece anche dei seri tentativi p e r esten d erlo all’in tera C ristianità, d ’accordo con l’im p era to re Enrico II, egli p u re fervente sostenitore della c o rre n te religiosa di riform a. M a il tentativo di so p p rim ere i m ali della g u erra p ri­ vata p e r mezzo di u n ’azione diretta, da p a rte dei vesco­ vi e dei fedeli, è più significativo com e sintom o della n a ­ scita di u n o stato d ’anim o che n o n quale m eto d o effica­ ce di riform a sociale. L’elem ento g u e rrie ro della società feudale e ra tro p p o p o te n te p e r p o te r essere soppresso col sistem a di leghe pacifiste ten u te assiem e da u n g iu­ ram en to; a m eno che queste leghe n o n si trasform asse­ ro in u n m ovim ento rivoluzionario m ilitante, com e fu a p p u n to il caso della g ra n d e lega dei «Capuchonnés» o C appucciati in A lvernia nel secolo xn. Assai p iù fo rtu n ato fu il tentativo della Chiesa di tro ­ vare u n nuovo sbocco alle incontenibili energie g u e r­ rie re della società feudale, dirigendole contro i nem ici estern i della C ristianità. Difatti la proclam azione della C rociata p e r la conquista di G erusalem m e, fatta d a U r­

6Analecta hymnologica, L, p. 288 Raby, Christian Latin Poetry, pp. 261-262.

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bano II al concilio di C lerm o n t nel 1095, produsse un a o n d ata straordinaria d i entusiasm o religioso, che non e ra m eno sincero p e r il fatto che trovava rispondenza anche negli istinti naturali, ancora prim itivi, del g u er­ rie ro feudale. Secondo Foucher d i C hartres, il p ap a associò il suo appello con le idee del m ovim ento della pace e della tre g u a di Dio, ed esortò i p e rtu rb a to ri della pace e co­ loro che vivevano della spada a guadagnarsi il p erd o n o delle colpe col farsi soldati di Cristo e versare il proprio sangue in servizio della Cristianità. Per la prim a volta la società feudale aveva trovato u n o scopo che si elevava al d i sopra del particolarism o locale e univa la C ristianità occidentale in u n ’im presa com une sotto la direzione della Chiesa. Per molti aspet­ ti questo fu u n m ovim ento eccezionale, che si accorda­ va d a u n a parte con la spontaneità dello slancio p o p o ­ lare e dall’altra con le m ire politiche di num erose spe­ dizioni militari organizzate. A u n osservatore estraneo all’O ccidente come A nna C om nena, che ce l’h a descrit­ ta con tan ta efficacia m a dal p u n to di vista di colta p rin ­ cipessa bizantina, la crociata sem brò simile a u n a nuova o n d ata d ’invasione barbarica. «Tutto l’Occidente, scrive essa, e tutte le tribù barbariche, che abitano tra le più remote spiagge dell’Atlantico e le colonne d’Èrcole, erano emigrati in Asia, attraversando l’Europa, e viag­ giavano con tutta la loro famiglia... I soldati franchi erano accompagnati da una folla senz’armi, più numerosa delle stelle e dei granelli di sabbia, con donne e bambini, portando palme e croci sulle loro spalle. E lo spettaco­ lo che presentavano era come quello di numerosi fiumi che scorrevano da ogni lato e s’avanzavano tutti con le loro schiere verso di noi, attraverso la Dacia.»7

7 Anna Comnena, Alexiad, XV.

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M a n essuna o n d ata incom posta di esaltazione p o p o lare basta a spiegare il successo della p rim a Crociata. In qualsiasi epoca sarebbe stata u n ’im p resa eccezionale far m arciare p e r te rra dalla Francia all’Asia M inore fino a d A ntiochia e G erusalem m e u n esercito, sconfiggere le soverchianti forze tu rc h e ed egiziane e fo n d are u n a ca­ te n a di stati cristiani lungo le coste della Siria e nel r e ­ tro te rra , fino a Edessa sull’E uffate. Q uesto fatto segna u n a svolta decisiva nella storia dell’O ccidente: m ette term in e ai lu n g h i secoli di debolezza, d ’isolam ento e d ’inferiorità culturale e p o n e i nuovi popoli della C ri­ stianità occidentale in contatto con gli antichi cen tri o rien tali della civiltà m ed iterran ea. Il successo fu reso possibile solo dall’irresistibile forza unificatrice della passione religiosa. E se questa fu la r e ­ ligione delle p iù che quella della rifo r­ m a m onastica, resta p e rò il fatto che il m ovim ento cro­ ciato aiutò a stabilire tra i p artecip an ti u n legam e d i sim patia e d ’interessi com uni. N o n bisogna dim entica­ re che fu il g ran d e p a p a cluniacense, U rb an o II, quello che lanciò la p rim a C rociata in u n m om ento critico d el­ la storica lotta tra Papato e im pero, q u a n d o l’im p era to ­ re e i re di Francia e d ’In g h ilte rra eran o tutti colpiti d a scom unica e perciò la C ristianità n o n poteva volgersi a loro p e r avere u n a guida. N ella generazione seguente, q u an d o fu ban d ita la se­ co n d a Crociata, fu an co ra u n a delle p iù g ran d i figure del m o ndo religioso e della riform a m onastica, san B er­ n a rd o , che ebbe p a rte d o m in an te nella predicazione di essa. Egli fu p u re il p iù autorevole avvocato e sostenito­ re d el nuovo o rd in e m ilitare dei T em plari, nel quale gli ideali religiosi della cavalleria cristiana tro v aro n o la lo­ ro p iù com pleta espressione. I g ran d i o rd in i m ilitari, com e le crociate stesse, servi­ ro n o p e r così dire d a p o n te tra la società laica e il m o n ­

chansons de geste,

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d o ecclesiastico. M entre il feudalesim o aveva avuto la ten d en za a secolarizzare la Chiesa, con l’assim ilare i be­ nefici dei vescovi e degli abati ai feudi dei baroni, le cro­ ciate e gli o rd in i m ilitari, al contrario, intro d u ssero i p rin cip i religiosi dei voti e dell’obbedienza volontaria nell’istituzione della cavalleria. Il crociato, p e r mezzo del suo voto, si distaccava d a tu tte le obbligazioni feu­ dali e territoriali e diveniva soldato della Chiesa e della C ristianità. E p e r evitare il pericolo dell’anarchia, che poteva risultare d a questa em ancipazione dagli obbli­ ghi feudali, l’istituzione degli o rd in i m ilitari provvide a creare u n nuovo principio d ’au to rità e di organizzazio­ n e basata su concezioni strettam en te religiose, simili a quelle degli o rd in i monastici. Il nuovo stato sociale, creato d a queste istituzioni, era di n a tu ra sua p retta m e n te internazionale, e ap p arten e­ va alla C ristianità in tera e n o n all’im pero o ad u n re ­ gno. Per conseguenza il sorgere e il d ecadere dei g ran ­ di o rd in i m ilitari, specie dei Tem plari, stanno a indica­ re il progresso e il declino delle ten d en ze u n itarie nella C ristianità medioevale. Fintanto che d u ra ro n o le crociate, l’u n ità cristiana trovò espressione in u n ’attività m ilitare dinam ica, che soddisfaceva agli istinti aggressivi dell’uom o occidenta­ le, m en tre li sublim ava rivestendoli d ’idealism o religio­ so. Le crociate ra p p re se n ta ro n o così tu tto ciò che vi era di p iù elevato e di p iù basso nella società medioevale: l’aggressività cup id a di u n B oem ondo o di u n Carlo d ’Angiò e l’abnegazione eroica di u n G offredo di B u­ glione e di u n san Luigi. Tale am bivalenza fu u g u alm en te caratteristica della stessa istituzione cavalleresca, che sopravvisse p e r m ol­ to tem p o al m ovim ento crociato e lasciò u n ’im p ro n ta d u ra tu ra sulla società e sulla civiltà eu ro p ea. O gni g ran d e civiltà m ondiale h a dovuto affrontare il proble­

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m a della conciliazione tra u n a m orale aggressiva e g u e rrie ra e gli ideali m orali di u n a religione universale. M a in nessuna di esse questa tensione si è rivelata così vitale ed intensa com e nella C ristianità m edioevale, e in n essu n ’altra p arte i risultati sono stati così im p o rtan ti p e r la storia della civiltà. N on si tra ttav a più, come al tem p o delle invasioni b arbariche, di u n a tensione tra d u e società e d u e elem enti sociali, tra la m orale g u er­ rie ra dei conquistatori p agani e la civiltà cristiana di u n p opolo conquistato, assai più civilizzato. Al contrario, nella società feudale la tensione e ra in seno alla stessa società e persino in seno a u n a stessa classe sociale. Ve­ diam o p e r esem pio nella di O rderico Vitale com e lo stesso «strato» di popolazione, e persino u n a stessa famiglia, p roducessero asceti e gu errieri, ca­ pi della riform a m onastica e b aro n i saccheggiatori. Il fattore decisivo quindi sem bra sia stato il carattere in d i­ viduale e n o n la posizione sociale. In tal m odo il conflitto tra i d u e ideali e le d u e con­ cezioni di vita diventava u n processo psicologico in ter­ no. Esso si m anifestava talora con la conversione del ca­ valiere che si faceva m onaco, o p p u re , ciò che accadeva p iù sovente, con u n a form ula di com prom esso tra i d u e ideali, m anifestato dal voto di farsi crociato, di diventa­ re m em bro di u n o rd in e m ilitare, o a n co ra dal ten tati­ vo di trasform are la cavalleria nel braccio secolare della C hiesa e del p o tere spirituale. L a g rad u ale trasform a­ zione dell’etica eroica, sotto l’influsso della Chiesa, tro ­ va la sua espressione letteraria nelle che p resen tan o lo spirito autentico della società feuda­ le. I n com pleto contrasto con questo g en ere letterario sono la poesia rom antica dei trovatori e l’epica cortese, che sem brano a p p a rte n e re a u n m o n d o del tu tto diffe­ ren te.

Storia Ecclesiastica

chansons de geste,

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L’epoca delle crociate, in effetti, vide anche svilupparsi u n nuovo ideale laico di cavalleria che sem bra la d iretta antitesi dell’ideale cristiano di san B ern ard o e dell’au ­ stera disciplina degli O rd in i m ilitari, p u r essendo ug u alm en te rem oto dall’eroism o barbarico del feudale­ simo nordico. Q uesto nuovo ideale è u n a creazione del Sud. Ebbe origine dal contatto tra la società feudale d el­ la Linguadoca e la civiltà p iù avanzata del M editerraneo occidentale, cen tro della cu ltu ra islamica d ’O ccidente. Esso si m anifestò in u n a nuova concezione di vita e in u n a nuova letteratura: la lirica poetica dei trovatori, che ebbe u n a strao rd in aria influenza n o n solo sulla lettera­ tu ra m a anche sul m odo di vivere dell’O ccidente. I tra tti distintivi di questa nuova co rre n te eran o il culto della cortesia e il culto dell’am ore. Essa aveva so­ p ra ttu tto attinenza con u n raffinam ento di vita, con u n nuovo m odo di com p o rtam en to sociale che, a sua volta, aveva p e r cen tro l’ideale dell’am o re rom antico. Tutto ciò era poi rinforzato d a u n elaborato codice di m anie­ re galanti, che ap p are barocco e artificioso anche se­ condo i canoni m o d ern i, e che doveva essere in aspro e strid en te contrasto con la b ru talità e la violenza che ca­ ratterizzavano la società feudale. T utto concorre perciò a far designare questo nuovo m ovim ento com e u n p ro d o tto esotico. N o n si trova ch ’esso abbia alcuna base nella cu ltu ra occidentale del­ l’Alto M edioevo: non è n é cristiano n é latino né germ a­ nico. Fa bruscam ente la sua com parsa nella Francia su­ doccidentale verso il tem po della p rim a Crociata, senza alcuna p rep arazio n e o m anifestazione an terio re. N o n ­ d im eno questa co rren te dovette p u r avere u n a preisto­ ria, com e lo prova la sua espressione letteraria altret­ tan to esotica e originale q u an to l’ideale sociale che in­ carna. Difatti le p iù antiche liriche conosciute dei prim i trovatori posseggono tu tte le caratteristiche d i uno stile

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e di u n a tradizione letteraria che aveva già raggiunto la m atu rità8. H o già sostenuto altrove9 che le origini del nuovo sti­ le si devono trovare nella ricca e brillante società della S pagna m usulm ana, con la quale i du ch i d ’A quitania avevano avuto contatto, in seguito all’annessione del d u cato m ezzo-spagnolo di G uascogna d o p o il 1030 e al­ la loro partecipazione alla crociata contro i M ori di Sa­ ragozza, che p o rtò alla conquista di B arbastro nel 1064. E impossibile qui discutere gli argom enti p rò e con­ tro l’influenza della cu ltu ra islamica occidentale sulla lettera tu ra provenzale e il nuovo ideale «cortese». Posso solo alludere agli aspetti p iù generali del processo di cu ltu ra p e r contatto, che ebbe luogo d u ra n te questo periodo. E incontestabile che, n onostante l’intolleranza reciproca delle due culture, i giovani popoli dell’Occi­ d en te erano talora ap erti agli influssi della cultura più elevata e raffinata d ’u n a civiltà p iù antica, come possia­ m o vedere nel caso della trasm issione della filosofia e della scienza araba d u ra n te il secolo x n grazie all’attiva scuola dei tra d u tto ri d i Toledo e di altrove. E se questo avvenne nella società ecclesiastica, che p u r si m ostrava estrem am ente diffidente verso qualsiasi infiltrazione di d o ttrin e straniere, è assai verosim ile che la società laica fosse m olto più disposta a lasciarsi influenzare d a u n a cu ltu ra più sviluppata in cose che n o n riguard av an o d i­ retta m e n te la religione e la politica. La civiltà m ed iterran ea del Sud, che aveva raggiunto il suo più alto sviluppo al tem po del califfato dei Fati­ miti e del califfato di C ordova nei secoli xi e x n , p ro ­ dusse inevitabilm ente u n a p ro fo n d a im pressione sugli

8 Cfr. Guglielmo IX di Aquitania, nn.VI, VII e X dell’edizione Jeanroy nei Classiques Francois du Moyen-Age (1927). 9 Cfr. «The Origins of thè Romantic Tradition» in Mediaeval Essays, pp. 211 238 (1953).

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uom ini del N o rd che conoscevano solam ente la vita aspra e senza com odità delle fortezze feudali. E all’ep o ­ ca delle crociate, q u an d o il M editerraneo venne di n u o ­ vo a p erto alle navi occidentali e le repubbliche m arina­ re italiane si arricchirono nel com m ercio con i paesi islamici, n on ci fu più in terru zio n e di relazione tra i due m ondi. N ella di fra’ Salim bene vi è u n passo assai in ­ teressante, in cui l’a u to re descrive il p rim o ed unico sguardo d a lui dato a questo gen ere di vita in u n a ricca casa all’orientale nella città com m erciale d i Pisa.

Cronaca

«Essendo dunque io secolui in Pisa, e andando insieme con le nostre sporte a questua di pane, c’imbattemmo in un cortile, nel quale entrammo tutt’e due: ed eravi una vite frondosa, tutta di­ stesa al disopra, il cui verde era dilettosissimo a vedere, e sotto all’ombra era una soavità a riposare. Ivi erano leopardi e molte fiere d’oltremare che lungamente guardammo, perché ogni co­ sa bella e nuova si guarda volentieri. Eranvi anche fanciulli e fanciulle di età idonea, a cui la ricchezza delle vesti e l’avvenen­ za del volto aggiungevano ornamento e amabilità. Ed avevano in mano, sì gli uni che le altre, violini, viole, cetre e diversi altri strumenti musicali, da cui traevano dolcissimi suoni e li accom­ pagnavano con una mimica appropriata. Ivi nessuno si moveva, nessuno parlava: tutti ascoltavano in silenzio. Ed il canto era sì nuovo e delizioso e per le parole e per la varietà delle voci e il modo di cantare che innondava il cuore di giocondità. Nulla dissero a noi, nulla dicemmo a loro. E la musica tanto vocale che strumentale non cessò mai per tutto il tempo che ci fermammo là; e ci stemmo gran tempo e non sapevamo dipartircene. Non so (sallo Iddio) donde venisse tale apparato di tanta letizia; per­ ché né prima ne avevamo veduto mai uno simile; né dopo mi fu più dato vederlo.»10

10 Fra’ Salimbene, La Cronaca, III [abbiamo riportato la traduzione che del passo dà G. Pochettino, nella sua edizione della Cronaca di Salimbene, Soc. Editr. Toscana, San Casciano Val di Pesa (s.d.), p. 14, nota 2].

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Si p u ò obiettare che questa scena capitò nell’Italia cri­ stiana e n o n nella S pagna m usulm ana. M a ciò sta a ch iarire il m io p u n to di vista sulla pen etrazio n e delle form e della cultura islam ica nella C ristianità occidenta­ le. N ell’epoca in cui viveva Salim bene, u n fatto dello stesso g en ere m a in p ro p o rzio n i assai m aggiori lo ve­ diam o alla corte dell’im p e ra to re Federico, in Sicilia e in Puglia; e, u n secolo p rim a , gli ultim i re n o rm a n n i di Si­ cilia eran o and ati an ch e più oltre, fino ad ad o ttare le fo rm e esteriori della vita di corte dal m ondo islamico e a mostrarsi· generosi p ro te tto ri dei dotti e dei letterati m usulm ani. Esistono inoltre testim onianze fram m en ta­ rie ch e provano com e nel secolo xi questa civiltà m eri­ dionale andasse già esercitando il suo fascino sui suoi conquistatori. Ib n Bassam, storico portoghese e m u su l­ m a n o 11, ci h a conservato u n vidido q u a d ro di u n o dei capi della crociata d ’A quitania del 1064, il quale, sed u ­ to su u n divano e vestito all’orientale, sta ascoltando estasiato u n a dam a m oresca che gli canta u n a m elodia araba. Fu attraverso la m usica e la poesia e l’allettante visio­ n e d i u n nuovo m odo di vita, che l’influsso della p iù p ro g re d ita civiltà m e d ite rra n e a del S ud p e n e trò nella società feudale. Lo spirito cortese e la poesia provenza­ le n o n furono che i trasm ettitori di questa influenza esotica. Essi restaro n o n o n soltanto estranei alle vecchie tradizioni della cavalleria feudale, m a fu ro n o a d d irittu ­ ra ostili ai suoi ideali spirituali. P aragonato con lo spirito u ltra m o n d a n o e con l’asce­ tism o che dom inava il pensiero cristiano e che ispirava l’ideale crociato di san B ern ard o , questo nuovo spirito si rivelava n ettam en te m o n d an o ed edonistico. A m ore e

11 Egli cita dei passi di un’opera scomparsa di Ibn Hayyan, il grande storico spagnolo che fu contemporaneo agli avvenimenti descritti.

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onore, ricchezza e libertà, bellezza e gioia eran o i veri scopi della vita, in confronto dei quali le gioie del Cielo e le p en e dell’In fern o ap parivano pallide ed evane­ scenti. Così lo spirito cortese fu u n a specie d i anti-crociata, u n m ovim ento propagandistico p e r lo sviluppo d ’u n a nuova civiltà laica e aristocratica, che percorreva la via delle crociate m a in direzione opposta: dal Mediterran eo verso il N o rd della Francia e verso l’Italia e, p iù tardi, in direzione della G erm ania, dell’In g h ilterra e d el paese di Galles. Ci è possibile seguire n ei suoi particolari il cam m ino di questa diffusione alm eno in u n o dei suoi p iù im por­ tanti percorsi. L’ered e di A quitania, n ip o tin a del prim o poeta trovatore (G uglielm o IX d ’A quitania), Eleonora di Poitou, divenne successivamente regina d i Francia e regina d ’In g h ilterra, e sue figlie furono M aria di C ham pagne, Alice di Blois e M atilde di Sassonia; sotto la loro protezione tu tte queste cinque corti divennero a loro volta centri d ’irradiazione p e r lo spirito e la lette­ ra tu ra cortese nell’E u ro p a settentrionale. Q uesto sviluppo è u n notevole esem pio d i u n movi­ m ento p u ram en te culturale, nel senso più stretto della parola, che n o n è locale, e n o n è stato ispirato da scopi religiosi, m a ap p artien e esclusivam ente alla zona in ter­ m edia della m anifestazione artistica cosciente e del com portam ento sociale ragionato. B enché tali movi­ m enti siano irregolari nei confronti dell’evoluzione del­ le g randi civiltà m ondiali, n o n d im en o essi non sono senza im portanza, com e si p u ò vedere in certi aspetti della civiltà ellenistica e rinascim entale. Ma il caso dello spirito cortese dell’E u ro p a m edioevale è particolar­ m ente strano, p erch é coincide col m ovim ento creativo della religione m edioevale e lo contrasta. N e risultò, in seno alla civiltà occidentale, u n conflitto e u n a tensione

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tra d u e concezioni divergenti di cavalleria e d u e m odi contrastanti di vita sociale. Q uesto conflitto si com plicò p e r il fatto che aggravò il vecchio contrasto tra l’ideale dell’eroe barbarico e quel­ lo del cavaliere cristiano, di cui ho già parlato. Così, q u an d o la cultura cortese raggiunse il N o rd , nella se­ co n d a m età del xii secolo, questi conflitti trovarono espressione nella nuova le tte ra tu ra rom antica che ebbe origine nella corte angioina e nelle corti della Francia settentrionale, nelle F ian d re e nelle regioni g erm an i­ che sud-occidentali. L a leggende di re A rtù, che era sta­ ta creata com e u n a specie di m ito nazionale della d in a­ stia anglo-norm anna-angioina, lasciò cam po libero al­ l’im m aginazione della nuova scuola poetica e divenne il cen tro di u n vasto sviluppo di ep opee e d i poesie epiche cortesi. Fin dall’inizio di questa co rren te vediam o u n poeta com e C hrétien de Troyes accettare gli ideali esotici del­ la nuova poesia cortese p e r deferenza verso la sua p ro ­ tettrice, M aria di C ham pagne. «Materia e stile, dice egli, sono dati e forniti dalla contessa. Il poeta cerca semplicemente di realizzare ciò che la interessa e ciò ch’ella desidera.»

In fin e nel g ran d e ciclo di prosa di Lancillotto e della ri­ cerca del G raal, nel secolo xm , la tensione tra l’ideale cortese e la tradizione cristiana diventa n ettam en te consapevole ed esplicita, e costituisce il tem a centrale dell’in tero ciclo, com e a p p a re dal contrasto d ram m ati­ co tra Lancillotto e G alaad, C am elot e Corbenic. Da u n a p a rte si h a la cavalleria m ondana, p re se n ta ta con il suo culto della cortesia e i suoi ideali di am o re ro m an ti­ co opposti alla legge m orale, dall’altra la cavalleria reli­ giosa e cristiana, sim boleggiata dalla ricerca e dalla vi­

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sione del Santo Graal. Ma qui si nota già u n tentativo di sintesi e di conciliazione. G alaad è il figlio di Lancillot­ to, e quest’ultim o si unisce, benché senza successo, nel­ la religiosa ricerca. Le lo ro divergenze ideali trovano u n piano di accordo nel m edesim o codice di cortesia e nell’istituzione, a loro com une, dell’«em inente ordine della cavalleria». È facile trovare altri esem pi di questo sforzo p e r a r­ m onizzare le d u e ideologie. U go di Berzé, il troviero p entito che fece la sua ritrattazione in poteva nello stesso tem po difen d ere gli ideali della poesia cortese.

La Bible au Seigneur de Berzé,

«Riso e canto, tornei, avventure e corti d’amore, tale era la con­ suetudine. Tuttavia queste cose una volta non ci facevano per­ dere il paradiso, perché chi è sdegnato, triste e melanconico può perdere il paradiso, e colui che è pieno di gioia e giocondità può guadagnarlo, fin tanto che si guarda dal peccato.»12

N ondim eno la lotta tra i d u e ideali divenne tragica q u an d o la brillante società che aveva fatto sorgere lo spirito cortese crollò, nel sangue e nella rovina, davanti ai crociati venuti dal N o rd , condotti dall’abate di Citeau x e d a Sim one di M ontfort. Il conflitto tra le due form e di vita si riflette n el contrasto tra i caratteri così differenti dei capi: d a u n a p arte il debole e irresoluto conte R aim ondo di Tolosa e il dissoluto re Pietro d ’Aragona, tutti e d u e poeti e g ran d i m ecenati; dall’altra quel «Fianco di ferro» del secolo x m 13, ch’era il devoto e d u ­ ro Sim one di M onfort. L a società cortese del Sud m o­ strò la sua reale fragilità q u an d o fu messa di fronte alla

12La Bible au Seigneur de Berzé, 127. 13 «Fianchi di ferro» o «Ironsides», nome dato ai soldati di Cromwell, che si distinguevano per la loro austerità e valore militare [N.d.T.].

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d u ra prova della g u e rra , e n o n seppe tro v are né u n ità d ’intenti, né guida degna. Ci fu forse u n ’eccezione: il giovane R aim ondo R uggero di Béziers, che fu la p rim a vittim a della crociata e la cui sorte è com m em orata nel nobile lam ento di u n troviero anonim o. «L’hanno ucciso! Non c’è mai stato un tale delitto e una follia co­ sì spiacente a Dio, come l’atto di questi cani rinnegati della raz­ za di Pilato, che l’hanno ucciso. Quanto a lui, egli era come Ge­ sù che morì per redimerci. Non è egli passato per lo stesso pon­ te, per salvare il suo popolo? Ricco di lignaggio, ricco di fierezza, ricco di valore, ricco di consiglio, ricco di bravura; non ci fu mai uomo da potersi para­ gonare a te. In te abbiamo perduto la fonte della gioia.»14

E caratteristico di questo dualism o di ideali cavallere­ schi che il poeta, q u an d o è messo di fro n te a u n a situa­ zione realm ente tragica, abban d o n i lo stile artificioso e la m orale edonistica della tradizione provenzale p e r ri­ to rn a re alle im m agini e agli ideali della cavalleria cri­ stiana. Allora egli scrive p iù d a crociato ch e d a troviero. In realtà, dall’inizio del secolo x m , gli elem enti esoti­ ci e cristiani della tradizione cavalleresca si vanno m e­ scolando, gli u n i con gli altri, in u n a confusione in estri­ cabile. Alcune delle p iù n ette espressioni dell’edonism o p ag an o di spirito cortese si possono tro v are nella lette­ ra tu ra del N ord, p e r esem pio n el delizioso piccolo ca­ polavoro che sem bra a p p a rte n e re alla Picardie o all’H ainault, b enché riveli chiaram ente i segni dell’influsso orientale. D ’altro lato, scopriam o in Italia u n ’assimilazione veram en te p ro fo n d a e feconda d eg l’ideali dello spirito cortese d a p arte della vita spiri­ tuale cristiana del M edioevo.

Aucassin et Nicolette,

14Jeanroy, Poesìe lirique des Tìroubadours, II, p. 213.

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Q uesto si vede so p rattu tto in san Francesco, il quale è m aggiorm ente d ebitore alla cu ltu ra natia in volgare dei trovieri che n o n a quella latina delle scuole e dei vecchi o rd in i monastici. D ifatd la vita d i san Francesco m o stra u n a trasposizione cosciente, m a in teram en te spontanea e p e r nien te letteraria, dell’ideale della cor­ tesia sul piano p iù elevato della vita cristiana, liberan­ dolo così dalle restrizioni convenzionali e aristocratiche e dotandolo d ’u n significato trascen d en te universale. «Egli [san Francesco] camminava sulle pietre con riguardo, per amore di Colui che è chiamato pietra. Raccoglieva dalle strade i piccoli vermi affinché non venissero schiacciati dai piedi dei passanti. D’inverno faceva dare del miele alle api perché non morissero di fame. Chiamava fratelli tutti gli animali. La vista del sole, della luna e delle stelle lo riempiva di mirabile gioia e spesso esortava tutto il creato all’amore di Dio.»15

Più innanzi p arlerò dell’influenza di san Francesco sul­ la religione m edioevale. Q ui voglio solam ente sottoli­ n eare l’im portanza decisiva della sua vita nella «deseco­ larizzazione» e nella spiritualizzazione dell’ideale di vita cortese. Egli è infatti il vero creato re d i questa unione vitale delle d u e tradizioni, u n io n e che h a influito così fortem ente sullo sviluppo sia della spiritualità sia della le tte ra tu ra volgare nel M edioevo. M a n o n bisogna sopravvalutare l’im p o rtan za di que­ sta trasform azione spirituale, p erché la tradizione cor­ tese n o n si liberò m ai com pletam ente dal suo edonism o pagano, finché rim ase nell’am biente sociale che le era p ro p rio . Q uesto elem ento secolare sopravvisse a u n tem p o e al declino della cu ltu ra provenzale e al sorgere della spiritualità francescana. Esso era ancora l’elem en-

15 Leggenda Aurea, trad. di Cecilia Lisi, Firenze 1952, p. 681.

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to d o m inante della tardiva cavalleria, che Froissart d e­ scrisse tanto b ene e in m odo così simpatico. Ma q u ando si considerano gli o rro ri della peste n e ra e della g u erra dei C ent’anni, tutto questo ap p arato assum e l’aspetto di u n a brillante vernice destinata a nascondere la cor­ ru zio n e d ’u n a società agonizzante. L a secolarizzazione della cavalleria venne accentuata dalla p erd ita dell’ideale crociato e dalla ricchezza e dal lusso sem pre crescenti nella vita di corte in O ccidente, com e si può vedere p e r esem pio nella corte di B orgogna alla fine del M edioevo. La figura del cavaliere m edioe­ vale va trasform andosi quasi insensibilm ente in quella del cortigiano rinascim entale. M a anche così gli alti ideali spirituali della cavalleria n o n furono m ai com ple­ tam en te screditati o p erd u ti. Nel tard o M edioevo questi ideali furono trasm essi p e r mezzo di Joinville scrit­ ta d a e d a C haucer a Sir Philip Sidney. E possibile che gli elem enti di dualism o e di tensione, in e re n ti fin dall’inizio alla tradizione cavalleresca e cor­ tese, possano averle conferito u n p o tere di adattam ento e d i sopravvivenza che istituzioni più perfettam en te in ­ teg rate nella C ristianità m edioevale n o n possedevano. C o m unque sia, è certo che l’ideale della cavalleria cri­ stiana ha sem pre conservato la sua attrattiva sull’anim o occidentale e il suo influsso sulle n orm e m orali occiden­ tali, nonostante le critiche di m oralisti com e Ascham e l’iro n ia tragica delle p iù gl andi intelligenze del Rinasci­ m en to come C ervantes e Shakespeare.

Louis

delYHistoire de SaintalYHistoire du bon chevalier Bayard, le Loyal Serviteur,

Capitolo IX

LA C IT T À M EDIOEVALE: CO M U N E E GILDA1

Lo sviluppo della società feudale e delle istituzioni a es­ sa riferentisi, specie la cavalleria, ra p p re se n ta solo u n aspetto della rinascita culturale dell’O ccidente nel M e­ dioevo. N on m eno im p o rtan te fu il risorgere della città, che trasform ò la vita econom ica e sociale dell’E uropa occidentale. D u ran te e specialm ente nell’età carolingia e post-carolingia, l’E u ro p a occidentale era diventata u n a società quasi com pletam ente ru rale. La vita u rb a n a svolgeva u n ’attività forse p iù lim itata che n o n in qualsiasi altra società, arrivata a u n uguale sta­ dio di civiltà. M a dal secolo x n in poi il m o n d o m edie­ vale si trasform ò di nuovo in u n m o ndo di città, in cui la vita u rb an a e lo spirito civico n o n eran o inferiori a quelli dell’antichità greca e rom ana. M a la città m edioevale n o n era u n a ripetizione di ciò che si era visto in passato. E ra u n a creazione nuova, dis­ simile tanto dalle città antiche q uanto d a quelle m oder­ ne e diversa anche, benché in m inor grado, d ai tipi di città che si trovavano in O rien te in quella stessa epoca. Q uesto nuovo tipo d i città eu ro p ea ebbe u n influsso considerevole sullo sviluppo religioso dell’E u ro p a occi­ dentale, d u ra n te questi secoli di form azione. Ernst Troeltsch, segu en d o in ciò M ax Weber, arrivò a soste-

l’Età oscura

1Gilda è uno dei numerosi termini con cui nel Medioevo si indica il fenome­ no dei vincoli associativi fra gruppi professionali (corporazioni di mestiere, arti, scuole, maestranze ecc.). Il termine gìlda è più frequente nei paesi del Nord e Nord-Est d’Europa, ove nella vita e nelle funzioni delle corporazioni si manife­ stano alcuni caratteri differenziali che contribuiscono a dare a questo termine un significato particolare [N.d.T].

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n e re che solo la città m edioevale p ro cu rò le condizioni favorevoli alla cristianizzazione p ro fo n d a della vita so­ ciale, il che n o n si era verificato né nella civiltà u rb an a dell’antichità, basata sulla schiavitù, né nella società feudale agraria, costituita in così larga m isura dai forti a spese dei deboli. «Soltanto quando la città, sorta dalla scomposizione e dal soprawanzo della signoria fondiaria, ebbe unificato la sua vario­ pinta popolazione proveniente da tutte le condizioni possibili, fu pronto il terreno sul quale i grandi vantaggi della società me­ dioevale poterono purificarsi dalle grossolanità e violenze del feudalismo. La condizione di vita della città in quanto associa­ zione essenzialmente di lavoro produttivo, è la pace, la libertà, l’interessamento personale di tutti i cittadini alla vita pubblica, il lavoro indisturbato, la proprietà fondata sul lavoro e sull’opera personale. Sotto tutti questi aspetti la città rispondeva larga­ mente alle esigenze dell’etica cristiana. In quanto pacifica e non militare comunità di lavoro che abbisogna dell’elemento milita­ re solo per difesa, ed essendo ancora immune dai tratti distinti­ vi del capitalismo e della grande città, essa è il modello della so­ cietà crisdana, come la troviamo in san Tommaso. Sotto l’aspet­ to della storia politica ed economica la civiltà cittadina, iniziata­ si nel secolo xi, appare anche preparazione e fondazione del mondo moderno; ma per la storia dell’etica e della vita religio­ sa essa, con le sue gilde o corporazioni consacrate dalla religio­ ne, con le sue provvidenze di politica sociale a favore del bene spirituale e terreno, con le sue scuole parrocchiali cristiane e i suoi istituti di beneficenza, con la sua pace e il suo spirito collet­ tivo, costituisce anzitutto il punto culminante dello svolgimento dello spirito medioevale.»2

È cosa facile m etter in luce gli aspetti m eno brillanti di questo periodo di trasform azione: intensità di conflitti

2 E. Troeltsch, Le dottrine sociali delle chiese e dei gruppi cristiani, trad. di G. Sati­ na, Firenze 1941, pp. 326-327.

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sociali e ferocia di lotte m ortali, che riem p io n o le cro­ nache delle città italiane e fiam m inghe. Ciò n o nostante nella storia dello sviluppo della città m edioevale ci sono p arecchi fattori che co rro b o ran o il giudizio favorevole d el Troeltsch. Prim a di tu tto la città, com e il m onastero, e ra u n ’oa­ si di sicurezza e di pace in u n m o n d o pieno d i pericoli e desolato da g u erre. Serviva in o ltre d a luogo di rifugio p e r i n o n com battenti che potevano riu n irsi sotto la p rotezione della Chiesa. L e p rim e città dell’epoca caro­ lingia dovettero la loro esistenza alla Chiesa. E rano le residenze dei vescovi e il centro am m inistrativo della diocesi e com prendevano p u re num ero si m onasteri, ol­ tre il C apitolo e la scuola episcopale. All’in fu o ri degli ecclesiastici e loro d ip en d en ti, e della gu arn ig io n e di cavalieri e di u om ini d ’arm e incaricati dal vescovo o dal conte d i difendere le m u ra, n on esisteva u n a classe in ­ d ip en d en te di popolazione cittadina. La città carolingia n o n e ra u n cen tro econom ico, se si eccettua il m ercato, che provvedeva le cose indispensabili alla vita degli abi­ tanti. E ra in realtà u n a specie d i città-tem pio, come quelle che esistevano, nell’età preistorica, in M esopotam ia o, p iù tardi, in Asia M inore. L’elem ento distintivo della vita cittadina nel M edioe­ vo p iù avanzato, la classe d ei m ercanti, fece la sua com ­ p arsa solo nei secoli x e xi, e anche allora la sua im p o r­ tanza restò lim itata a certe regioni particolarm ente fa­ vorite, so p rattu tto alle coste del M ed iterran eo occiden­ tale, alla p ian u ra lom barda, alle valli della Schelda, del­ la M osa e del R eno, e, n ell’E u ro p a orientale, alle d u e g ran d i vie com m erciali che univano il Baltico al M ar Caspio e al M ar N ero passando p e r il Volga, il D niepr e il Don. N ell’E uropa occidentale questo nuovo organism o u r ­ b an o e ra generalm ente basato sul principio di associa­

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zione volontaria sotto la protezione religiosa, principio p articolarm ente adatto ai bisogni delle nuove classi, le quali non avevano u n posto nella b e n stabilita gerarchia territo riale dello stato feudale. Q ueste associazioni ave­ vano u n doppio carattere. Da u n a p a rte traevano la lo­ ro origine dal cam eratism o dei lunghi viaggi, in cui gli uom ini dovevano unirsi in com pagnia p e r proteggersi a vicenda, com e facevano le comitive dei pellegrini e dei m ercanti; dall’altra, trovavano u n m odello nell’as­ sociazione religiosa spontanea: la confraternita, gilda, che si form ava con scopi caritativi o sociali, sot­ to la protezione d ’u n santo popolare. Lo sviluppo della vita u rb a n a m edioevale nell’E u ro ­ p a nord-occidentale fu o riginariam ente debitore alle associazioni di questo genere. Fin dal secolo x siffatte u n io n i di m ercanti si trovavano in F iandra, stabilite die­ tro il rip aro delle m u ra di u n a fortezza feudale o di u na città ecclesiastica; e, a m isura che aum entav a il movi­ m en to com m erciale, si diffondevano attraverso l’E u ro ­ p a nord-occidentale e centrale. G rad atam en te l’associa­ zione com m erciale, libera e spontanea, com inciò ad oc­ cuparsi in m aniera n o n ufficiale di tutti i bisogni delle nuove com unità urbane. In questo m odo essa arrivò a creare spontaneam ente gli organi di u n nuovo governo m unicipale, che fu com pletam ente diverso da ciò che si e ra visto nella città-stato dell’antichità e nello stato feu­ dale. Difatti, a motivo della sua stessa origine, esso co­ stituiva l’organo funzionale ristretto di u n a singola clas­ se senza privilegi. Il g ru p p o di m ercanti, che si e ra così autocostituito, si riuniva sotto la direzione d ’u n capo eletto p e r discutere in to rn o ai com uni interessi e racco­ glieva le som m e offerte volontariam ente in vista delle necessità com uni. A m isura che queste società cresceva­ no in ricchezza e aum entavano di n u m ero , m iravano a trasform arsi in organizzazioni autosufficienti, che pote-

o

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charìté

vano svolgere la loro esistenza in m odo in d ip en d en te dagli organi regolari dello stato feudale. Q u an d o poi i m ercanti ebbero sviluppata la loro potenza e arriv aro ­ n o ad acquistare u n a m aggior abitudine all’azione in com une, aspirarono ad esercitare le funzioni politiche, giudiziarie e m ilitari che p rim a eran o state esercitate esclusivam ente dal vescovo, dal conte o dai ra p p re se n ­ tanti dello stato feudale. Così si form ò il che fu u n a delle p iù g randi creazioni sociali del M edioevo. Il com une e ra u n ’asso­ ciazione in cui tu tti gli abitanti di u n a città, e n o n solo i m ercanti, si legavano col vincolo del g iuram ento a m an ten ere la pace com une, a difen d ere le libertà co­ m unali e a obbedire ai m agistrati del com une. Q uanto all’origine esso n o n differisce g ran che dalle leghe giu­ rate p e r la pace di cui si è parlato nel capitolo p rece­ d en te, q u an tu n q u e avesse u n o scopo assai p iù am pio e u n carattere di m aggior stabilità. I suoi m em bri si qua­ lificano come «gli uom ini della pace», «fratelli giurati», soci di u n a com une «amicizia», obbligati singolarm ente ad aiutare il fratello nel com une bisogno. Benché il com une avesse u n aspetto n ettam en te rivo­ luzionario, in quan to e ra u n ’afferm azione d ’in d ip en ­ d en za popolare di fro n te all’au to rità episcopale, era b e n lungi dall’essere anticlericale nel senso volgare del­ la parola. Al contrario: sia in Italia che nella Francia set­ tentrionale e in G erm ania il m ovim ento com unale era strettam ente legato a quello della riform a ecclesiastica, e sovente fu ap p u n to sotto la guida di predicatori p o ­ polari, d ’ispirazione gregoriana, che le città insorsero arm ate contro i loro vescovi. L’esem pio p iù notevole l’abbiam o nell’insurrezione della «Pataria» m ilanese, che ebbe u n a p a rte così im ­ p o rta n te nel m ovim ento di rifórm a nel 1065, sotto la gu id a di Erlem baldo, il p rim o dei nuovi tribuni, che go­

comune,

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v ern ò la città «come u n p a p a e com e u n re, con la spa­ d a e con l’oro, p e r m ezzo di leghe g iu ra te e di accordi», stan d o a ciò che scrive u n cronista a lui ostile. Fu p ro ­ p rio qui, in L om bardia, che il m ovim ento com unale rag g iu nse il suo m assim o sviluppo, tan to che nel 1176 l’esercito della Lega L o m b ard a si sentì così forte da af­ fro n tare lo stesso im p era to re Federico B arbarossa e d a sconfiggerlo a L egnano, in u n a reg o lare battaglia. Q ui il m ovim ento com unale e ra ispirato dallo stesso intenso entusiasm o religioso che aveva caratterizzato le crociate. Gli uom ini di M ilano uscirono a com battere p e r le loro libertà cittadine e p e r i diritti della Santa Chiesa stretti in to rn o al il g ra n d e carro tira ­ to d a buoi su cui fu celebrata la M essa della battaglia e d e ra issato il gonfalone di sant’A m brogio, palladio della città. In realtà l’alleanza della Lega L o m b ard a e del Papa­ to co n tro l’im pero sta a indicare l’apparizio n e di u n a nuo v a forza nella società m edioevale, e d a questo m o­ m en to le città v e rra n n o a d avere u n a p a rte d o m in an te nella vita pubblica dell’O ccidente. Bisogna riconoscere che in Italia le condizioni eran o diverse d a quelle d ell’E u ro p a settentrionale, di cui h o parlato fin qui. Nel m o n d o m ed iterran eo le tradizioni cittadine di Rom a e di Bisanzio sopravvivevano in u n a m isura assai m aggiore che no n nel N o rd , e n o n vi fu m ai quella ten d en za alla discrim inazione di classe e al­ lo sviluppo della città quale organism o d i classi econo­ m icam ente distinte, che troviam o nell’E u ro p a setten­ trionale. In Italia i cittadini che avevano u n a p a rte direttiva nella città ap p arten ev an o alla piccola nobiltà del conta­ do, e il conflitto di classe p reced ette e si confuse con le contese e le rivalità dei nobili, che corrispondevano alle g u e rre private della feudalità nordica. Il fatto che in

Carroccio,

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Italia la Chiesa fosse essenzialm ente u n ’istituzione u r­ bana che p erp etu av a la tradizione e, d ’ordinario, con­ servava anche i confini della rom ana, ren d ev a il legam e tra la città e la cam pagna più stretto che n on nell’E u ro p a del N o rd e rafforzava il sentim ento di u n ità civica e di patriottism o3. In conseguenza di ciò l’Italia d u ra n te l’alto M edioe­ vo divenne u n paese di città-stato che, p e r la ricchezza e la varietà della sua vita cittadina, p u ò esser p arag o n a­ to solo alla G recia antica. Dalle g ran d i repubbliche m a­ rin a re come Venezia, Pisa e G enova, che eran o p iù ric­ che e p otenti di tanti reg n i medioevali, fino alle piccole città d i collina dell’U m b ria e delle M arche, che esten­ devano il loro dom inio su ap p e n a qualche miglio q ua­ d rato di territorio, troviam o tu tti i tipi di vita com una­ le, che si rassom igliavano soltanto nell’intensità del loro patriottism o locale. In tu tti questi centri, la coesistenza dei nobili e dei plebei in u n a com une form a di governo ing en erò u n a vita sociale del tu tto differente da quella che esisteva nel N o rd E uropa. Senza dubbio il p reg iu ­ dizio di classe era assai forte, com e lo era stato nella G recia antica, p erò il conflitto n o n e ra tra borghesia e nobiltà del contado, m a tra le diverse classi che avevano p arte alla vita com une della città. D apprim a il com une fu governato d a consoli che era­ no scelti nell’assem blea p len aria o dei cittadini. Ma q u an d o la p o tenza politica delle città si sviluppò, i consoli caddero sotto la dip en d en za del consiglio dei notabili, ch’eran o nobili. D ’altra p arte l’aum ento del com m ercio e dell’in d u stria accrebbe l’im portanza dei

civitas

arengo

9 II simbolo di questa unione intima tra la Chiesa e la città lo si può vedere nel battistero comunale, che è un tratto caratteristico delle città italiane specialmente in Toscana. In Dante vediamo come il patriottismo civico e la devozione religiosa del poeta erano concentrati in questo sacro luogo, considerato come il cuore di Firenze (Paradiso, XXV, vv. 1-11).

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m ercanti e degli artigiani, i quali reclam aro n o a loro volta una p a rte di governo nella città. N el secolo x m il popolo, organizzato in corporazioni e u n ito in associa­ zioni più vaste, com e la di S. A m brogio a Mila­ no, la società di S. Faustino a Brescia o la società di S. Bassiano a Lodi, ten tò d i strap p are il p o te re ai nobili. Finalm ente, so p rattu tto in Toscana, i nobili divennero u n a classe c o n d an n ata all’ostracism o, che veniva o esclusa dalle cariche o a d d irittu ra espulsa dalla città. Così gli esiliati politici e tutti coloro che e ra n o stati p ri­ vati dei diritti civici divennero u n elem ento im p o rtan te nella vita politica delle città italiane. Q uesta gelosia verso ogni classe o individuo che si a r­ rogasse u n a posizione speciale fu caratteristica della vi­ ta com unale italiana e condusse all’elaborazione d ’u n a serie di espedienti costituzionali aventi p e r scopo la sor­ veglianza e il controllo sui pubblici ufficiali. T utto ciò fu l’inevitabile conseguenza della d ire tta partecipazione di ogni cittadino al governo. C om e già nell’antica Grecia, u n tale sistem a im plicava la rotazione degli uffici e il breve periodo di esercizio dei m edesim i, com e p u re l’applicazione del sistema, oltrem odo dem ocratico, d el­ l’elezione p e r sorteggio invece di quella col voto. L’evoluzione politica delle g ran d i città m arin a re se­ guì u n corso differente, p e r il fatto che anch e i nobili e ra n o im pegnati nel com m ercio. Persino i Dogi di Ve­ nezia, i quali si potevano eq u ip arare ai re e contraeva­ no m atrim onio con principesse bizantine e tedesche, partecipavano, com e qualsiasi altro veneziano, alle spe­ culazioni com m erciali. Q ueste città eran o alla testa della rinascita econom ica dei paesi m ed iterran ei e possedevano u n a visione co­ sm opolita, affatto sconosciuta n el resto d ell’E u ro p a oc­ cidentale. Venezia, soprattutto, e ra rim asta im m une dalla conquista e dal dom inio barbarico d u ra n te

Credenza

YEtà

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oscura, e nel secolo xi rim aneva ancora largam ente bi­ zantina nella cu ltu ra e nella vita sociale. Lo sviluppo delle città occidentali, d ’altra parte, e ra ostacolato dal p red o m in io delle p o ten ze islamiche nel M editerraneo occidentale, m en tre p e r la loro stessa p ro sp erità econo­ mica G enova e Pisa d ip en d ev an o m aggiorm ente dal com m ercio con la S pagna e col N o rd Africa, che non con il m o ndo bizantino. All’inizio del secolo x ii Donizo di Canossa descrive Pisa com e u n a città sem i-orientale. «Qui pergit Pisas videt illic monstra marina, Haec urbs Paganis, Turchis, Libycis, quoque Parthis Sordida, Chaldaei sua lustrant littora tetri.»

Ciò nonostante, queste città eran o all’avan g u ard ia del­ l’opposizione cristiana co n tro l’Islam , e i loro abitanti eran o anim ati d a u n a rd e n te spirito crociato che trovò espressione nei versi latini d ei poeti pisani d ell’xi e xii secolo. Dal p u n to d i vista letterario queste poesie sono di m olto inferiori alla p ro d u zio n e epica ispirata dalle crociate: le che troviam o presso il feu­ dalesim o nordico; m a d ’altra p arte h a n n o il vantaggio d ’essere vicinissime agli avvenim enti che riferiscono e di riflettere il carattere essenzialm ente civico che distin­ gueva il m ovim ento crociato in Italia. Già u n a genera­ zione avanti la p rim a C rociata, le città italiane avevano abbattuto le b a rrie re che avevano separato così a lungo l’E u ro p a occidentale dal m o n d o m ed iterran eo civilizza­ to. L a fondazione d el g ra n d e d u om o di Pisa nel 1063, costruito col b ottino p reso ai Saraceni in seguito alla conquista di Palerm o, è u n ’espressione di quella fo rtu ­ n ata fusione di fierezza civica, di in tra p re n d e n z a com ­ m erciale e di idealism o crociato che caratterizzava le re ­ pubbliche m arinare. Q u an d o il M ed iterran eo fu ria p erto al com m ercio e

chansons de geste

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alla navigazione, gli effetti furono sentiti n o n solo dalle città m arinare italiane, m a anche da quelle della Pro­ venza e della C atalogna, so p rattu tto da M arsiglia e d a Barcellona, che ebbero u n a p a rte notevole in questa nuova espansione com m erciale. Allorché B eniam ino di T udela visitò M ontpellier nel 1160, la trovò affollata da m ercanti cristiani e m aom et­ tani provenienti d a ogni parte: d a Algarve, dalla L om ­ b ard ia, dall’Im p e ro , dall’Egitto, dalla Palestina, dalla Grecia, dalla Francia, dalla Spagna e dall’Ing h ilterra; e aggiunge che vi s’incontrava gente di ogni lingua, so­ p ra ttu tto a m otivo del traffico com m erciale dei G eno­ vesi e dei Pisani. In questo m odo le influenze m ed ite rra n e e p e n e tra ­ vano e si diffondevano nell’in tern o del paese; d a Vene­ zia s’internavano nella L om bardia e, attraverso i passi delle Alpi, arrivavano in G erm ania; da Pisa passavano nella Toscana; da Genova, attraverso il M oncenisio, e dalla Riviera, su p e r la valle del R odano, arrivavano in B orgogna e C ham pagne. Q ui i m ercanti provenienti dalle coste del M editerran eo s’incontravano con quelli venuti da altri g ran d i centri d ’attività econom ica del­ l’O ccidente, p e r esem pio dalle Fiandre; e così le g randi fiere dello C ham pagne, d u ra n te il secolo x n , si trasfor­ m aro n o in u n centro di com m ercio internazionale e in u n luogo di operazioni finanziarie tra uom ini delle p iù diverse nazionalità. A m isura che questa co rren te com m erciale venne ad au m en tare e a estendersi, il ten o re di vita econom ico dell’E uropa occidentale si venne anche g rad atam en te trasform ando. Sorsero nuove industrie, fu ro n o fondate nuove città e antiche città episcopali rip resero vita e conseguirono istituzioni com unali. Dalla città la nuova vita raggiunse il contado e in alcuni luoghi prom osse p ersino la form azione di com uni ru rali costituiti d a

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g ru p p i di villaggi, com e n el caso b e n noto del com une di Laonnais, ove diciassette villaggi o tten n ero u n privi­ legio d i libertà com unali d a Luigi V II nel 1177. Ma a n ­ che p rescin d en d o d a questi casi eccezionali, la rinascita della vita u rb an a ap p o rtò ai contadini u n certo au m en­ to d i libertà, sia d irettam en te, col p ro m u o v ere l’immigrazione verso la città che andava crescendo, sia indi­ rettam en te, favorendo lo scambio del lavoro contro p a ­ gam ento in d an aro , au m en tan d o così le possibilità di affrancam ento. In questa atm osfera di rinascita econom ica, d i espan­ sione com m erciale e di accresciute circostanze favore­ voli p e r la libertà personale, si verificò la straordinaria fio ritu ra della cu ltu ra religiosa m edioevale; fioritura che trova la sua espressione artistica nel nuovo stile go­ tico di arch itettu ra e scultura, che ebbe origine nella Francia settentrionale nel secolo xii e si diffuse da u n estrem o all’altro dell’E u ro p a d u ra n te i successivi centocin q u an t’anni. Viollet le D ue an d ò certam en te tro p p o oltre q u ando definì il gotico l’a rch itettu ra dei com uni, cioè quale a r­ te laica anim ata dal nuovo spirito di libertà popolare; poiché anche i m onaci, so p rattu tto i Cistercensi, contri­ b u iro n o assai al suo p rim o sviluppo. Tuttavia esiste u n a stretta relazione tra i d u e m ovim enti. Difatti la nuova arte sorse nelle regioni settentrionali della Francia, ove a p p u n to il m ovim ento com unale e ra p articolarm ente avanzato, e le g ran d i cattedrali, che fu ro n o le realizza­ zioni p iù alte del nuovo stile, d iv en n ero i cen tri della vita u rb a n a della nuova città, com e eran o state le cittàtem pio dell’antico O riente. In o ltre il nuovo stile, diffondendosi, assunse aspetti vari a seconda dello sviluppo della vita cittadina, finché, verso il term in e del M edioevo, arrivò a m odificare l’a­

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spetto di ogni città nell’E u ro p a settentrionale e occi­ d en tale e a ispirare la nuova a rch itettu ra u rb an a dei Paesi Bassi e delle città anseatiche del Baltico. La nuova città creò u n popolo nuovo e u n ’arte n u o ­ va; e benché fossero entram bi condizionati da forze econom iche e, dal p u n to di vista m ateriale, dipendesse­ ro dalla rinascita com m erciale e dall’attività industriale, e ra n o ispirati da nuove energie spirituali che p reced e­ vano di m olto la rinascita econom ica. Sappiam o che le vie seguite dai pellegrinaggi sono più antiche delle vie com m erciali. Saint-Gilles e ra u n centro di pellegrinaggi p rim a che vi fosse sviluppata la fam osa fiera e p rim a an ­ co ra che M arsiglia e M ontpellier divenissero centri di m ercanti. Fu il pellegrinaggio a S. M ichele del m onte G argano che attirò i N orm an n i nell’Italia m eridionale, p rim a che i m ercanti italiani attraversassero le Alpi, e fu anco ra il pellegrinaggio a G erusalem m e, e n o n il com ­ m ercio di Pisa e G enova col Levante, quello che ispirò il m ovim ento crociato. Finalm ente, fu so p rattu tto l’associazione religiosa o «carità», libera u n io n e d ’individui sotto la protezione d ’u n santo, avente p e r scopo la m u tu a assistenza spiri­ tuale e m ateriale, il germ e di questa g ran d e fioritura di vita com m erciale m anifestatosi nelle gilde di m ercanti e d i artigiani, le quali costituirono i tratti p iù caratteristi­ ci della società u rb a n a m edioevale. La vita della gilda m edioevale era u n m icrocosm o di quella del com une, e la sua intensa solidarietà faceva sì che la partecipazione alla m edesim a fosse, p e r l’individuo, assai p iù im p o r­ tan te che no n essere m em bro della stessa città; poiché soltanto p er m ezzo della gilda l’uom o o rd in a rio eserci­ tava e m anifestava la sua effettiva cittadinanza. La costi­ tuzione delle gilde o corporazioni artigiane era essen­ zialm ente la stessa attraverso tu tta l’E uropa; e nel corso dei secoli x m e x iv arrivò a ra p p re se n ta re la p arte p rin ­

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cipale nella vita di ogni città m edioevale, dalle grandi città com e Firenze, Pisa e G and, fino alle piccole borga­ te di qualche centinaio di abitanti. C’era, nondim eno, u n a g ran d e differenza tra ia posi­ zione delle gilde o corporazioni nella vita delle città li­ b ere d ’Italia, F ian d ra e G erm ania, e le funzioni p iù m o­ deste ch’esse svolgevano in paesi che, com e l’In g h ilter­ ra e la Francia alla fine d el M edioevo, possedevano u n forte governo regale. L a posizione delle corporazioni in Italia e ra eccezio­ nale, in q uanto i nobili, o p e r lo m eno la piccola nobiltà, fin dall’inizio ebbero u n a p arte im p o rtan te nella vita com unale della città. Le loro corporazioni, com e quelle dei banchieri, dei m ercanti, dei giuristi, godevano n e­ cessariam ente u n prestigio sociale m olto m aggiore di quelle artigiane e dei bottegai. Perciò l’Italia fu il paese ove le corporazioni riuscirono p rim a a dom in are e poi praticam ente ad assorbire il governo del com une, con­ centrando l’au to rità di quest’ultim o nelle m ani dei loro rap p resen tan ti: i Priori delle Arti M aggiori e M inori. Tuttavia lo sviluppo p iù notevole delle gilde artigia­ ne, com e forza politica, lo troviam o nell’E u ro p a setten­ trionale: nelle città delle Fiandre. In queste regioni, d u ­ ra n te il secolo xiv, si videro gli o p erai m eno privilegia­ ti, specialm ente i tessitori che costituivano la m aggio­ ran za della popolazione, insorgere contro l’aristocrazia dei m ercanti e in stau rare u n a specie di d ittatu ra m e­ dioevale del proletariato. Sotto il governo delle gilde dei pannaioli le tre g ran d i città delle Fiandre: Gand. B ruges e Y pres raggiunsero l’apogeo del loro sviluppo e p e r u n certo tem po rap p re se n ta ro n o u n a p arte im ­ p o rta n te nella politica eu ro p ea. M a questo fu u n suc­ cesso eccezionale, dovuto alla posizione p re p o n d e ra n te che le città industriali fiam m inghe avevano sul m ercato internazionale. N ei casi p iù norm ali le gilde artigiane

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e ra n o soggette al controllo delle a u to rità cittadine e for­ m avano u n a gerarchia di corporazioni p e r mezzo delle quali la vita sociale ed econom ica della città veniva re ­ golata nei più m inuti dettagli. In questo m odo la città m edioevale riuscì a conciliare gli interessi del consum a­ to re con la libertà corporativa e la responsabilità del p ro d u tto re . C om e scrisse H e n ri Pirenne: «L’econom ia u rb a n a m edioevale è d eg n a dell’a rc h ite ttu ra gotica che le è contem poranea. Essa ha creato di sana pianta, e si p o treb b e anche d ire u n a legislazione sociale assai più com pleta di quella di qualsiasi altra epoca, com presa la nostra»4. A p p u n to questa integrazione di organizzazione cor­ porativa, di attività econom ica e di libertà civica fece della città m edioevale, com e fa rilevare Troeltsch, la più p erfetta realizzazione degli ideali sociali del Medioevo, quali ci vengono p resen tati nella loro fo rm a più elevata dagli scritti di san Tom m aso e dei suoi contem poranei. L a filosofia politica m edioevale e ra do m in ata dall’idea­ le di unità. Il g en ere u m ano form ava u n a g ran d e so­ cietà, e soprattutto l’u m an ità rig en erata, quella porzio­ n e c h ’era in co rp o rata nella Chiesa, e ra u n ita in virtù della sua com unione con Cristo suo capo, in forza della sua sottom issione alla legge divina e p e r mezzo della p ro p ria consacrazione a u n solo fine trascendente. Q uesta u nità era costituita da u n com plesso organism o gerarchico simile a u n corpo con tutti i suoi m em bri, ciascuno dei quali aveva u n a funzione vitale da com pie­ re n el p ro p rio posto e con la sua d ete rm in a ta occupa­ zione a beneficio della com unità. Q uesta concezione della società im plica il principio della subordinazione gerarchica a ogni grad in o della scala sociale, m a co n trariam en te alla d o ttrin a di A risto­

ex nihilo,

4 H. Pirenne, Les villes du Moyen-Àge, p. 182.

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tele, n o n esige u n a subordinazione totale, e tanto m eno la schiavitù. Difatti ogni singolo m em bro del tu tto è u n fine a sé, e il suo particolare non è sem plicem ente u n com pito sociale obbligatorio, ma u n a delle form e con cui si serve Id d io e p e r mezzo del­ la quale si partecipa alla vita com une dell’in tero corpo. In pratica il posto dell’individuo nella gerarchia sociale p u ò essere anche determ in ato dall’ered ità o dalla com­ petizione sociale, m a in linea di principio la teoria favo­ risce la concezione vocazionale e l’autonom ia in tern a di ogni singolo organo. N ell’ord in e feudale, com e abbiam o visto, vi era già la ten d en za a riconoscere la n a tu ra organica della società e la reciprocità dei diritti e dei doveri nella gerarchia sociale, m a il suo sistema poggiava in ultim a analisi sul­ la base del servaggio, sulla forza e sul privilegio acqui­ stati e conservati p e r mezzo della spada. Per questo lo stato feudale n o n potè m ai liberarsi in teram en te dalle condizioni di anarchia e di disunione in cui era nato. La città m edioevale invece e ra essenzialm ente u n ’unità, u n ’u n ità visibile e tangibile, n ettam en te definita dal cerchio delle sue m u ra e delle sue to rri, il cui centro era la cattedrale, l’incarnazione visibile della fede e degli in ­ tenti spirituali della com unità. N ell’in tern o della città, l’organizzazione corporativa a utonom a delle diverse at­ tività econom iche si sviluppava nel q u ad ro della vita am m inistrativa è sociale della com unità p e r mezzo del­ le gilde o delle corporazioni. T utto ciò corrisponde p e r­ fettam ente alla d o ttrin a della difFerenziazione organica e della m u tu a in terd ip en d en za dei m em bri della so­ cietà cristiana. Così la città m edioevale si p resen ta come u n a com u­ nità com posta di altre com unità, in cui gli stessi princi­ p i di diritto corporativo e di libertà, garantiti d a diplo­ mi, eran o applicati u g ualm ente all’insiem e e a ciascuna

officium o ministerìum

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p a rte del tutto. Poiché l’idea m edioevale di libertà, che trova la sua p iù alta espressione nella vita delle città li­ bere, non consisteva nel diritto dell’individuo a seguire la p ro p ria volontà, m a com portava il privilegio di p a r­ tecipare a u n a form a altam ente organizzata di vita cor­ porativa che possedeva la p ro p ria costituzione e il d i­ ritto di governarsi d a sé. In m olti casi questa costituzio­ n e e ra gerarchica e autoritaria, m a com e ogni co rp o ra­ zione aveva i p ro p ri diritti nella vita u rb an a, così ogni individuo aveva U suo posto e i suoi d iritti nella vita della gilda. Q uesti d iritti n o n e ra n o p u ra m e n te econom ici o p o ­ litici, perché u n o dei tra tti più caratteristici della vita corporativa m edioevale era la m an iera con cui essa com binava le attività p rofane e quelle religiose nello stesso complesso sociale. L a cappella della gilda, le fon­ dazioni di p re g h ie re e di messe p e r i m em b ri d efunti e la rap p resentazione di spettacoli e di m isteri nelle g ra n ­ di feste: tu tte queste cose eran o di com petenza della gilda allo stesso titolo del banchetto com une, della re ­ golam entazione del lavoro e delle paghe, dell’assistenza d a p restare ai soci della gilda nelle m alattie o disgrazie e d el diritto di p artecip are al governo della città. La vi­ ta com unale della città m edioevale trovava la sua p iù com pleta espressione nella vita della C hiesa e nel p ro ­ lu n g am ento della liturgia, che perm eava an ch e le m a­ nifestazioni della vita com une, p e r m ezzo dell’arte e delle fastose p arate. La pov ertà m ateriale del singolo individuo veniva com pensata dallo sviluppo dell’atti­ vità com unale e dalle m anifestazioni artistiche e sim bo­ liche, in u n m odo assai p iù grandioso di quello che n o n abbiano saputo fare le società m aterialm en te p iù ricche dell’E u ro p a m oderna. In questo la città m edioevale era u n (cioè u n a p ien a com unione e partecipazione di beni so-

commonwealth

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ciati) in m odo più com pleto di qualsiasi altra società che sia m ai esistita, ad eccezione della greca, alla quale tuttavia era superiore, in q u an to n o n era u n a società com posta d ’u n a classe agiata e oziosa che viveva a spese del lavoro servile. Erasm o, che vide Strasburgo, uno degli ultim i esem pi di costituzione m edioevale a base com pletam ente corporativa che sopravviveva ancora nell’epoca del Rinascim ento, ebbe la n etta percezione di tu tto ciò q u an d o scriveva:

polis

«Videbam monarchiam absque tyrannide, aristocratiam sinefactionibus, democratiam sine tumultu, opes absque luxu... Utinam in huiusmodi rempublicam, divine Plato, tibi contigisset incidere/»5. Bisogna riconoscere che il com pleto sviluppo del si­ stem a delle gilde nel governo di u n a città libera fu u n fatto eccezionale che, com e p e r la dem ocrazia greca, p o tè effettuarsi solo in condizioni particolarm ente favo­ revoli e d u ran te u n breve p erio d o di tem po. Così fu p er le città fiam m inghe nel secolo xiv, p e r Siena sotto il go­ v ern o dei Riform atori (1371-1385) e p e r Firenze sotto M ichele di L andò e i C iom pi (1378-1382). I n Francia e nell’In g h ilterra il form arsi della m onarchia nazionale privò le città della loro in d ip en d en za politica e, in defi­ nitiva, anche della loro autonom ia. N ondim eno anche qui esse p o rta ro n o u n co ntributo indispensabile alla vi­ ta dello stato m edioevale. Col p re n d e r posto nella ge­ rarch ia feudale a fianco dei b aroni e del clero, esse in ­ trodussero u n nuovo principio rappresentativo nella vita politica. D apprim a in Italia e in Spagna, più tardi in In g h ilterra e in Francia e infine nel resto dell’E uro­ p a occidentale, dalla Svezia al Portogallo, le «buone città» divennero u n o dei p iù g ran d i o rd in i del regno: le «università» o i T anto che fu loro ingiunto di in-

brazos.

5 «Vedevo la monarchia esente da tirannide, l’aristocrazia senza fazioni, la democrazia senza tumulto, la ricchezza senza lusso... Volesse il Cielo, o divino Platone, che ti fosse stato concesso di incontrare una simile repubblicai»

225

viare i rap p resen tan ti o i p ro cu rato ri p e r consigliare e aiu tare il re e o tten ere «il com m un consenso del re ­ gno». L a concezione m edioevale di società com e com unità com posta di altre com unità trova la sua p iù com pleta espressione nel sistem a di ra p p resen tan ze dei diversi o rd in i. Il reg n o nel suo insiem e è u n a il co­ m u n e del ream e, ed è com posto di n u m ero se e distinte in cui ogni o rd in e o organo della società è concepito com e u n a u n ità corporativa. Q uesta idea era così p ro fo n d am en te radicata nel pensiero m edioevale, che senza dubbio si e ra già dovu­ ta afferm are nella società feudale prim a che avesse o ri­ gine il nuovo sistema. Difatti, i prim i o rd in i del reg n o fu ro n o il clero e i nobili, i signori spirituali e quelli tem ­ porali, e le città conseguirono u n posto nel consiglio so­ lo in u n perio d o posteriore, in qualità di «terzo stato». Ma l’avvento delle città, che p e r mezzo d ei ra p p re se n ­ tan ti o dei p ro c u ra to ri d a esse eletti p o te ro n o p re n d e r p a rte alla vita politica, fece sì che il p rincip io ra p p re ­ sentativo divenisse u n a p a rte essenziale d el sistema d e ­ gli ordini. Q uesto principio diede effettivam ente alle assem blee m edioevali degli «stati» il loro nuovo caratte­ re e la loro im portanza costituzionale. D a questo p u n to di vista, lo stato m edievale cessa di essere u n a gerarchia feudale basata sul principio della p ro p rie tà te rrie ra e diventa u n a vera com un ità politica, in cui i nobili e i «comuni» cooperano in vista di scopi sociali generali. L’istituzione d ’u n governo costituziona­ le rap presentativo, che è diventata la fo rm a caratteristi­ ca della civiltà occidentale m oderna, h a la sua origine in questa evoluzione m edioevale. Ma già nel M edioevo questa istituzione aveva raggiunto, in alcune circostan­ ze particolari, u n a com pleta benché p re m a tu ra espres­ sione, com e nel caso delle d i A ragona e di Catalo-

universitas,

universitates,

Cortes

226

gna, ove gli o rd in i o «stati» possedevano il controllo com pleto della legislazione, com e p u re il d iritto di vigi­ lare sulla conservazione dei loro privilegi p e r mezzo d ’u n a com m issione p e rm a n e n te degli ordini, conosciu­ ta sotto il nom e di Così le idee m edioevali sulla n a tu ra organica della so­ cietà, sui diritti e sui doveri corporativi e sulla recipro­ ca cooperazìone delle diverse funzioni sociali specializ­ zate nella vita della com unità, n o n solo stanno alla base dello sviluppo delle istituzioni corporative della città m edioevale, m a sono anche il fon d am en to dell’organiz­ zazione rappresentativa costituzionale del reg n o m e­ dioevale nel suo ultim o p erio d o . E a ciascuno stadio di tale sviluppo queste idee trovano u n a co rrispondente espressione nel p en siero e negli o rd in am en ti della Chiesa. L a gerarchia feudale della società m edioevale, ai suoi inizi, corrisponde all’integrazione delle com unità m o­ nastiche nei g ran d i o rd in i gerarchizzati com e Cluny e C iteaux. Lo sviluppo dei com uni e delle città libere è as­ sociato al sorgere delle università e di nuovi tipi di o r­ dini religiosi: i Frati. Q uesti nuovi o rd in i, cui fu ag­ g iunto l’appellativo di «m endicanti», n o n sono più ba­ sati su fondazioni e su p ro p rie tà te rrie re , m a sono o r­ ganizzati in vista d ’u n a particolare m issione sociale. In ­ fine l’u lterio re sviluppo del sistem a degli ordini o «stati» trova il suo riscontro nel m ovim ento conciliare, che sviluppò il principio di rap p resen tan za su un a base an co r p iù larga di quella dello stato m edioevale, e tentò di creare degli organi di rap p re se n ta n z a costituzionale p e r l’intero corpo della C ristianità. E videntem ente questi n o n sono d u e m ovim enti indip en d en ti. L a vita della città m edioevale era unica, e le sue istituzioni religiose e secolari rap p resen tav an o sola­ m en te funzioni diverse dello stesso organism o, come

Diputación General.

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fanno rilevare con insistenza i p ensatori m edioevali d a Giovanni di Salisbury a Nicolò di Cusa. Vi è p erò u n contrasto so rp ren d en te tra questa ten d en za u n itaria e universalista del pensiero e della cu ltu ra m edioevale e l’accentuato dualism o tra la Chiesa e il M ondo, così ca­ ratteristico dell’antico atteggiam ento cristiano verso la cu ltu ra secolare, che, com e abbiam o visto, dom inava an co ra il p ensiero cristiano d u ra n te Il cam biam ento di questa m entalità n o n fu dovuto solam ente alle m utate relazioni della Chiesa verso u n a società che si professava cristiana e considerava la sua fede religiosa com e inseparabile dal suo civismo. Esso fu anche causato dal m utam en to rivoluzionario del pensiero, provocato dalla filosofia m edioevale che ave­ va assimilato l’etica aristotelica e i suoi p rincip i sociolo­ gici, e li aveva integrati nella stru ttu ra del pensiero cri­ stiano. La legge natu rale, la legge m orale m anifestata dalla ragione, veniva così conferm ata e sviluppata dalla legge spirituale rivelata dalla fede. Q uesto fatto n a tu ­ ralm ente n o n sopprim e la distinzione cristiana fondam entale tra la n a tu ra e la grazia, la ragione e la fede, il M ondo e la Chiesa, m a m ette in risalto l’accordo e l’a r­ m onia tra i d u e ord in i p iù che n o n la loro opposizione e il loro conflitto. L a legge divina, che è legge di grazia, n o n abolisce la legge um ana, la quale è fondata sulla ragione naturale. Essa è u n a legge di libertà che affranca dalle restrizioni e dalle servitù dell’o rd in e tem porale e a p re am pie p ro ­ spettive spirituali alla civiltà cristiana. L a concezione della incorporazione progressiva di tu tte le differenti condizioni d ’esistenza e di tutti i valori u m an i in u n o r­ d in e divino, offre u n ideale teologico a p p ro p ria to p e r il complesso sviluppo corporativo della società m edioeva­ le. I n questa società ogni funzione religiosa e sociale trova la sua espressione organica autonom a, dalla gilda

l’Età oscura.

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o corporazione dei m ercanti che provvede ai bisogni m ateriali della città sino alla com unità m onastica che esiste solo p e r la p re g h ie ra e la contem plazione: ciascu­ n a con le sue leggi p ro p rie e i suoi o rd in am en ti p arti­ colari e tutte ugu alm en te p artecip i della vita com une e della stessa fede, in u n com plesso spirituale che abbrac­ cia ogni cosa. N o n furo n o solam ente i filosofi ad avere il sentim en­ to della connessione che unisce la n a tu ra alla grazia, e della capacità di ogni istituzione sociale a essere infor­ m ata d a u n p iù alto scopo spirituale. C he cosa ci p o ­ treb b e essere di p iù conform e al tom ism o dei term ini con cui il cronista d i Y arm outh p arla d el suo m ercante della gilda? «Se, dice egli, il vincolo di amore e di amicizia è cosa lodevole tra semplici uomini ragionevoli, come non lo sarà assai di più il vincolo fortissimo della fede e della religione che esiste fra i cri­ stiani, e soprattutto tra quei cristiani che formano una “frater­ nità” e sono per di più vincolati e obbligati da un solenne giura­ mento?»6

In ogni aspetto della civiltà m edioevale troviam o la concezione d ’u n a g erarch ia d i b en i e d i valori e d ’u n a co rrisp o n d en te gerarchia di o rd in i o «stati» e di voca­ zioni, che lega insiem e l’in tero com plesso delle relazio­ ni u m an e in m odo d a fo rm are u n ’o rd in a ta stru ttu ra spirituale che va dalla te rra al Cielo. N onostante la p e r­ fezione e la sim m etria della sintesi tom ista, n o n dobbia­ m o ig n o rare il fatto che questa s tru ttu ra riposa su u n equilibrio estrem am ente delicato di forze contrastanti e d i tradizioni diverse. Per m a n te n e re questo equilibrio si richiede u n a stretta adesione a u n o rd in e m orale e a

6 Gross, The Gild Merchant, II, p. 278.

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esigenze metafisiche che, in ultim a analisi, h an n o p e r base u n atto di fede. Vi è u n a differenza fondam entale tra la d o ttrin a di san Paolo sulla s tru ttu ra del C orpo mistico, in cui ogni p arte effettua la sua p ro p ria perfezione spirituale e gio­ va nello stesso tem po ai fini dell’intero corpo, e l’idea aristotelica della società considerata com e u n organi­ smo n atu rale bastante a se stesso. Nella concezione ari­ stotelica le diverse classi esistono unicam ente nell’inte­ resse dell’insiem e, e colui che governa e fa le leggi m o­ della la massa in erte del corpo sociale in m odo tale che le classi inferiori, che si dedicano ai m estieri m anuali e ai lavori grossolani, vengano ad avere u n carattere p u ­ ram en te strum entale. Ma, com e aveva m ostrato san Tommaso, è perfettam en te possibile accordare il m ate­ rialism o organico della d o ttrin a politica aristotelica con il misticismo organico del pensiero cristiano circa la so­ cietà; a condizione p e rò che lo stato stesso sia ricono­ sciuto come u n organo della com unità spirituale e n o n com e il fine suprem o della vita um ana. Ciò significa che la teo ria sociale e la pratica sociale devono considerare la p a rte in ra p p o rto al tu tto e n o n come fine ultim o. E questo vuol anche d ire che le associazioni corpo­ rative m inori: città, gilde, università e o rd in i o «stati», n o n sono sem plicem ente strum enti o organi dello sta­ to, m a posseggono u n a p iù p ro fo n d a relazione e re ­ sponsabilità con l’am pia società spirituale di cui p u re fanno parte. Nello stesso m odo che la gilda deve fe­ deltà al re e alla città, deve fedeltà anche alla Cristia­ nità n el suo insiem e e al reg n o o al principato al quale la città appartiene. Q uesto principio e ra generalm ente am m esso nella so­ cietà m edioevale al suo apogeo, e ap p u n to ciò dava alla civiltà m edioevale il suo carattere particolare. Ma era

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difficile conciliare la concezione di u n a serie progressi­ va di com unità, ciascuna col p ro p rio principio di auto­ rità quasi politica, con la teo ria aristotelica d i u n a sin­ gola com unità che e ra autarchica e au to n o m a e posse­ deva la sovranità esclusiva sopra i suoi m em bri. Era possibile m an ten ere l’universalism o del pensiero m e­ dioevale solo se gli attrib u ti dello stato aristotelico veni­ vano trasferiti a u n insiem e p iù vasto. O ra, se questo in ­ siem e e ra la Chiesa, com e sostenevano Egidio R om ano e Alvarez Pelayo, n e risultava la teo ria della m onarchia o teocrazia papale, che m inacciava l’in d ip en d en za del p o tere tem porale anche nella sfera che gli è p ro p ria. Se invece e ra l’im pero, com e credeva D ante, allora l’im pe­ ro e n o n la Chiesa e ra l’organo divinam ente designato p e r m ezzo del quale la civiltà u m a n a doveva rag g iu n ­ gere il suo fine suprem o. D ante definisce questo fine in term in i aristotelici, o piuttosto averroisti, com e l’attu a­ zione incessante dell’intelletto potenziale, cioè come l’effettuazione di tu tte le potenzialità dell’intelligenza um ana. E, p e r D ante, l’im p era to re è il principio form a­ le dell’u n ità u m an a e m uove le volontà e le azioni degli u om ini con u n ’unica legge, nello stesso m odo che Dio, «Colui che tu tto muove», im prim e alle sfere celesti u n a legge unica di m ovim ento uniform e. T u tta questa filosofia è p iù conform e al pensiero di A verroè o di Avicenna che all’insegnam ento di san Tom m aso: ma, nello stesso tem po, è u g u alm en te lonta­ n a dal vero spirito della d o ttrin a politica di Aristotele, la quale p ren d ev a in esam e la n a tu ra di u n a città-stato greca, com e esisteva al tem p o dello Stagirita, p iù che il q u a d ro ideale di u n o stato universale. Solo q u an d o a r­ riviam o a M arsilio d a Padova, poco m eno di u n a gene­ razione dopo, troviam o u n a teoria dello stato in cui la tradizione cristiana del M edioevo è in teram en te dom i­ n ata e trasform ata dallo spirito del naturalism o aristo­

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telico, sì da n o n lasciare alcun posto p e r la concezione m edioevale di u n a società universale cristiana. È vero che Marsilio am m etteva ancora la n a tu ra organica del­ la società, m a era nel senso p u ra m e n te aristotelico, che n o n h a più alcun legam e con la d o ttrin a di san Paolo e la tradizione teologica. Il sacerdozio n o n è più il principio dell’unità spiri­ tuale, l’anim a dell’organism o sociale; esso è diventato u n o dei tanti organi della com unità. La è soggetta alla classe dirigente, e sprov­ vista di ogni au to rità trascendente. Il principio di unità si trova nella volontà del legislatore u m ano, che d a solo possiede il p o tere coercitivo legale. O ra il legislatore u m an o , secondo il pensiero di Marsilio, n o n è altro che la stessa com unità, la o la quale è la fonte sup rem a delle leggi7 e in cui risiede il p o te re costituente, appoggio del cioè della classe dirigente, che ne è l’organo e lo strum ento. Lo stesso principio vale p e r la Chiesa che è la Ma poiché M arsilio am m ette che il suo stato è cristiano, le d u e com unità form ano u n a sola entità, e perciò tra Chiesa e stato n o n vi p u ò essere nessuna di­ visione di potere. In tutto questo M arsilio ra p p re se n ta senza dubbio u n solo aspetto dello sviluppo civico m edioevale: l’ele­ m en to laico delle città-stato italiane im perso n ato dai giuristi e dai funzionari in lotta contro i religiosi e gli ecclesiastici. Il suo ad attam en to della d o ttrin a politica di Aristotele m ostra q u an to fosse facile p e r u n cittadino di u n a città-repubblica italiana rito rn a re alla tradizione della greca con il suo m onism o politico-sociale e la sua autarchia.

pars sacerdotalis pars principans,

delium.

communitas universitas civium, principatus, communitasfi-

polis

7 «Nos autera dicamus, secundum veritatem et consilium Aristotelis, causam legis effectivam, primam et propriam esse civium universitatem» (Defensor Pacis,

232

L a filosofia politica m edioevale, dall’epoca carolingia al secolo x n , in realtà n o n si occupava affatto della teo­ ria dello stato, m a preferiva studiare i ra p p o rti tra l’au ­ to rità spirituale e quella tem porale, cioè i ra p p o rti del­ le d u e gerarchie che coesistevano nell’unico corpo del­ la Cristianità. Lo stato nel senso classico e m o d ern o del­ la parola, con la sua politica intensa, la sua forte consa­ pevolezza civica e i suoi sistemi costituzionali complicati e artificiosi, com pare p e r la p rim a volta nelle città-stato italiane. N on è u n caso fortuito che i pensatori, i quali fecero rivivere le d o ttrin e classiche e aristoteliche dello stato e le applicarono alla società del loro tem po, siano stati quasi tutti italiani, com e san Tom m aso d ’Aquino, Egidio Colonna, Marsilio d a Padova e B artolo di Sasso­ ferrato. Q uando questi scrittori p arlano di e di tengono sem pre p resen te la città-stato che h a n ­ n o conosciuto, anche se allargano le loro definizioni fi­ no ad includere u n ità politiche più vaste, com e il regno o l’im pero medioevale. In Marsilio d a Padova scorgiamo nuove co rren ti di pensiero religioso e sociale che n o n corrisp o n d o n o più al tipo della cultura m edioevale, m a fanno presagire u n m o n d o nuovo. Senza dubbio la sua concezione della quale principio su p rem o dell’autorità sociale, è fondata sulle realtà politiche della città-stato italiana, in cui teoricam ente era sem pre possibile in ter­ p o rre appello al o all’assem blea generale (convocata dalla gran cam pana del com une) contro il podestà o il consiglio, com e vediam o nelle innum erevo­ li rivoluzioni e cam biam enti di governo delle città lom ­ b a rd e e toscane. Ma q u an d o Marsilio arriva ad applica­ re lo stesso principio alla Chiesa e ab b an d o n a radical­ m en te il principio dell’au to rità gerarchica in favore del­ la (il giudizio dell’assem blea genera­ le dei fedeli, di cui i m em b ri del clero sono i m inistri e

civitas

publica,

res-

universitas civium,

parlamento

communitasfidelium

233

gli im piegati), sem bra p iù vicino alla Zurigo del secolo xvi o alla N uova In g h ilte rra del secolo x v i i che all’età e al paese di D ante e di santa C aterina da Siena, a cui ap ­ parteneva.

Capitolo X

LA C IT T À MEDIOEVALE: SCUOLE E U NIVERSITÀ

L a form azione della città m edioevale fu accom pagnata d a cam biam enti di u n a p o rta ta incalcolabile p e r la vita intellettuale della società occidentale e p e r la tradizione della cu ltu ra m edioevale. E poiché le tradizioni erano principalm ente religiose, questi cam biam enti ne p ro ­ dussero altri co rrisp o n d en ti nella religione occidentale e n ei ra p p o rti esistenti tra la religione e la civiltà. Com e abbiam o visto, l ’Alto M edioevo (cioè l’età ca­ rolingia e i secoli che la p reced ettero e la seguirono), fu contrassegnato dall’influenza p re p o n d e ra n te dei m o­ nasteri, non solo nella disciplina spirituale della vita re ­ ligiosa, m a anche nello sviluppo intellettuale della cul­ tu ra cristiana. Q uesto p erio d o fu definito l’età b en ed et­ tin a della cu ltu ra occidentale, poiché a com inciare dal­ la form azione della nuova cu ltu ra cristiana in N orthum b ria, nel vii secolo, fino alla rinascita della vita u rb a­ n a e al sorgere dei com uni del secolo x n , la continuità della cu ltu ra più elevata fu conservata all’E uropa occi­ d en tale dalle abbazie b en ed ettin e, che furo n o i grandi cen tri del sapere e della pro d u zio n e letteraria. Senza dubbio anche le città episcopali fu ro n o centri di sapere e spettava al vescovo, p iù che al m onastero, la responsabilità d iretta di ciò che riguardava la form ula­ zione dei p ro g ram m i d ’istruzione cristiana, com ’erano stati stabiliti nei capitolari degl’im p erato ri carolingi. In o ltre l’influenza personale del sovrano sovente faceva sì che la corte e la scuola di palazzo divenissero centri di attività intellettuale e d i guida culturale.

235

M a d ’ordinario, anche in questi casi, le effettive re a ­ lizzazioni e ra n o dovute ai m onaci, i quali occupavano u n a posizione em inente sia nelle città episcopali, sia nelle corti dei sovrani anglosassoni, carolingi e te d e ­ schi. Riesce difficile sep arare le tradizioni della scuola di York dal V enerabile B eda e d a B enedetto Biscop, o p ­ p u re la tradizione della scuola d i palazzo carolingia da quella di Tours, di C orbie e di Fulda. Persino nel secolo XI, q u an d o la rinascita econom ica dell’E u ro p a occiden­ tale e ra già iniziata, M ontecassino, sotto la direzione dell’abate D esiderio (1058-1087), fu il c en tro più p ro ­ g red ito di c u ltu ra in Italia. E se ci volgiam o al n o rd d el­ le Alpi, troviam o che l’abbazia di Bec in N orm andia, sotto gli abati L anfranco e sant’A nseim o (c. 1045-1093), n o n solo possedeva u n a delle p iù fam ose e influenti scuole pubbliche del tem po, m a coi p rim i scritti dello stesso sant’Anselmo raggiungeva u n tale livello intellet­ tuale, quale l’E u ro p a occidentale n o n aveva conosciuto d a p iù di sei secoli, cioè dal tem po di sant’Agostino. Tuttavia nel secolo xi i m onasteri di Bec e di M ontecassino erano eccezioni, e la funzione di g u id a in fatto d ’istruzione e di sapere e ra passata alle scuole catted ra­ li della Francia settentrionale e della L oren a, com e Reims, C hartres, L aon, T ou rn ai e Liegi. Q uesto svilup­ p o d i scuole e ra incom inciato u n secolo p rim a a Liegi sotto il vescovo N otkero e a Reims sotto G erb erto d ’Aurillac, il quale fu o «m aestro»1 della scuola dal 970 al 982. L a tradizione fu co n tin u ata d a san Fulb erto a C hartres e d a A dalberone a L aon, e nel corso del secolo x i si estese a T ournai, Parigi, T ours, A ngers e Le M ans. M a forse l’esem pio p iù notevole di scuola cat­ ted rale nel secolo xi è quello di Liegi, ove le scuole m o­

scholasticus

1 «Scolaticci» o anche «magischola, magister scholarum» designava l’insegnante di discipline superiori, e, presso le cattedrali, aveva funzioni direttive e d’ispe­ zione [N.d.T].

236

nastiche della diocesi d ied ero origine a u n a specie di università ru d im en tale che attirava gli studiosi d a ogni p a rte d ’Europa: n o n solo dalla Francia e dalla G erm a­ n ia m a anche dall’In g h ilte rra anglosassone e (nel caso di Cosm a d a Praga) p ersino dalla lo n tan a Boemia. La lotta tra im pero e Papato e la fedeltà di Liegi alla causa di Enrico IV distrussero la p rem in e n za di questa «se­ co n d a Atene» p ro p rio nel m om en to in cui si stava affer­ m an d o la rinascita intellettuale. G uiberto di N ogent, che scriveva all’inizio del secolo x n , racconta nella sua autobiografia com e, p rim a del suo tem po e persino d u ra n te la sua giovinezza, vi era u n a tale scarsezza di m aestri di scuola, che si potevano tro v are ap p en a nelle città p iù im portanti. La loro istru­ zione poi e ra scarsa e «a stento uguagliava quella dei chierici vagabondi» ) dei «tempi m o­ derni» (cioè del secolo x n ) in cui, com e egli scrive altro­ ve, lo studio delle lettere e ra così fiorente e il n um ero delle scuole così g ra n d e d a essere accessibili persino ai p iù poveri. Verso questo tem po, nell’ultim o decennio del secolo xi e nei prim i v en t’an n i d el secolo seguente, vi era già u n a notevole rinascita della cu ltu ra e dell’attività lette­ raria, che n o n si identificava con nessuna scuola catte­ d rale particolare m a che e ra com une alle province del­ la Francia occidentale: M aine, Angiò, T u re n n a e N o r­ m andia, e aveva i suoi p ro te tto ri nella corte anglo-nor­ m a n n a di Enrico I e in quella di sua sorella Adele di Blois. L a figura do m in an te di questo m ovim ento e ra IId eb erto d e L avardin, d ire tto re della scuola e vescovo di Le M ans e in seguito arcivescovo di T ours (1056-1133), il m igliore latinista, forse, d i tu tti i p o eti latini del Me­ dioevo. In stretto ra p p o rto con lui fu ro n o M arbod di A ngers (1035-1123), cancelliere e capo della scuola di A ngers e poi vescovo di R ennes; B audry di M eung-sur-

(clericuli vagantes

237

L oire (1064-1130), il quale studiò ad A ngers e divenne abate di B ourgeuil (1089) e arcivescovo di Dol nel 1107. E ancora collegati con Ildeberto de L avardin, m a m eno strettam ente, R eginaldo di Faye - a sud-ovest di Tours - (c. 1040-1109), che divenne insegnante nell’abbazia di S. Agostino a C an terb u ry a p a rtire dal 1097, e Raoul de la T ourte (c. 1063-1110), il m aestro della scuola m ona­ stica di Fleury. Q uesti uom ini n o n e ra n o filosofi o teologi, m a poeti e um anisti, che andavano orgogliosi della loro cono­ scenza dei classici e si com piacevano vivam ente della com pagnia di studiosi e d i dam e istruite, coi quali scam­ biavano lettere e copie di versi latini. Così, p rim a che le scuole di Parigi diventassero famose e che la nuova let­ te ra tu ra volgare si sviluppasse nelle corti feudali, esiste­ va già una cu ltu ra ecclesiastica cortese, che faceva p r e ­ sagire il futu ro sviluppo dell’um anesim o occidentale e m etteva in ono re u n nuovo ideale di istruzione lettera­ ria e di relazioni sociali. N o n è esagerato afferm are che questo tipo di u m an e­ simo ecclesiastico rap p re se n ta la tradizione centrale d el­ la p iù elevata cu ltu ra in O ccidente. Esso, d a u n a parte, si riallaccia alla rinascita culturale del perio d o carolingio, rap p resentata, nella stessa regione, da A lcuino a Tours, d a Teodulfo a O rléans e d a L upo Servato a Ferrières; dall’altra p rean n u n zia il prim o um anesim o italiano del secolo xiv, che avrà inizio col Petrarca. D u ran te tutto il secolo XII questo tipo di um anesim o fu eccezionalm ente fiorente nel reg n o anglo-norm anno e anglo-angioino, ed ebbe u n centro im portante nella corte ecclesiastica dell’arcivescovo Teobaldo (1139-1164) e in quella di san Tommaso Becket (1164-1170) a C anterbury, come p u re nella corte del re. In In g h ilterra lo spirito dell’um anesim o m edioevale ven n e p erfettam ente personificato da G iovanni di Sali-

238

sbury, il grande eru d ito inglese che, d o p o aver studiato a Parigi e a C hartres, d ivenne segretario dell’arcivesco­ vo Teobaldo e più tard i com pagno d ’esilio di san Tom ­ m aso; dopo la m o rte di q u est’ultim o ven n e finalm ente eletto vescovo di C h artres n el 1176. N essun altro scrittore m edioevale ci offre u n q u ad ro così com pleto della vita intellettuale del suo tem po, co­ m e quello che ci p resen ta G iovanni nelle sue opere. Egli n o n fu soltanto um anista e cultore di classici, come Ild eb erto o M arbod, m a fu p u re am piam ente iniziato ai nuovi studi dialettici e filosofici delle scuole, ra p p re se n ­ tate dai loro m aestri quali A belardo, G ilberto de la P o rrée, Guglielm o de C onches e R iccardo l’Évèque. Fu in o ltre u no dei pionieri della rinascita aristotelica e fo r­ se il p rim o a riconoscere l’im p o rtan za della «Nuova L o­ gica» e specialm ente dei «Topici», che trasform arono la vecchia arte scolastica della d isp u ta in u n a teoria della scienza e in u n a scienza del p en siero 2. N ello stesso tem po G iovanni di Salisbury e ra p ien a­ m en te consapevole dei pericoli che minacciavano la nuo v a cultura universitaria: n o n solo scorgeva la te n ­ d en za a u n o sterile intellettualism o m a notava già le m ire filistee in fatto d ’istru ­ zione, considerata quale p rep araz io n e utilitaria p e r u n a fo rtu n ata carriera professionale. A questo rig u ard o G iovanni è fedele alla tradizio n e d i C h artres che all’ini­ zio del secolo x n , sotto la direzione dei d ue fratelli B er­ n a rd o e T h ierry e del loro discepolo Guglielmo de Conches, aveva em ulato Parigi com e centro filosofico e l’aveva sorpassata come scuola d ’istruzione classica e um anistica. C hartres fu l’ultim a e la p iù g ran d e tra le scuole cattedrali p re-u n iv ersitan e. G razie a Giovanni di Salisbury e ai d u e trattati sull’istruzione di T h ierry e di

et sterilis),

2 Cfr. Metalogicon III. V: De utilitate Tbpicorum.

(dialectica exsanguis

239

’Heptateuchon

Dragmaticon,

G uglielm o de Conches, 1 e il siam o meglio inform ati sui m etodi di studio e gl’intenti della scuola di C hartres che n o n su quelli delle g ran d i università m edioevali del secolo seguente.

M a q u an d o G iovanni di Salisbury scriveva, il m ovim en­ to universitario era già m olto avanzato. Parigi e Bolo­ g na erano affollate da u n a m oltitudine di stu d en ti p ro ­ venienti da ogni p a rte della Cristianità, e la vita scapi­ gliata dei turbolenti e squattrinati giovani e ra orm ai di­ ventata u n argom ento favorito p e r i poeti e gli scrittori satirici. Q uesta nuova generazione non sopportava più la paziente istruzione e la stretta disciplina delle vecchie scuole cattedrali di cui C hartres era il tipo. Ci si trovava di fro n te a u n pro letariato intellettuale di stu d en ti sen­ za risorse e pieni d ’am bizione, che disprezzava il passa­ to, n o n soffriva restrizioni e seguiva l’insegnam ento di m o d a e la d o ttrin a del m om ento. Già all’inizio del secolo xii la fam a di A belardo aveva fatto di Parigi il più p o polare centro di istruzione di tu t­ ta la Francia, e verso la m età del secolo il crescente n u ­ m ero di scuole e l’em ulazione tra i m aestri rivali ne ave­ va fatto la capitale intellettuale della Cristianità. D u ran ­ te il secolo xii le scuole di Parigi com pletarono p ro ­ gressivam ente la loro organizzazione corporativa che culm inò con la form azione della g ran d e o corporazione di «maestri», di coloro cioè che avevano ricevuto dal C ancelliere l’autorizzazione a insegnare ( Q uesta divenne il m odello e il tipo della m aggior p arte delle università che in seguito furo n o fondate nell’E u ro p a settentrionale. Ma p e r q uanto quella di Parigi fosse superiore alle altre università m e­ dioevali p e r la sua attività di pensiero e p e r la sua au to ­ rità, quale organo intellettuale della C ristianità, essa era eguagliata e forse anche su p erata sia p e r anzianità che

universitas

centia docendi).

240

li

p e r prestigio sociale dalla g ran d e università italiana che rap p resen tav a u n a tradizione e u n tipo diverso di orga­ nizzazione. L’U niversità di B ologna occupava in Italia u n a posi­ zione simile a quella che l’U niversità di Parigi aveva in Francia. Com e questa era diventata la g ran d e scuola in­ ternazionale di teologia e filosofia p e r l’in tera Cristia­ nità occidentale, così Bologna, fin dai suoi inizi, fu il m aggior centro internazionale p e r lo studio del diritto. Ma m en tre l’U niversità di Parigi, d u ra n te tu tto il Me­ dioevo, fu essenzialm ente u n ’istituzione ecclesiastica, quella di Bologna fu piuttosto u n ’università laica, ove ricevevano la loro istruzione i giuristi e i funzionari che ebbero u n a p arte così im p o rtan te nel governo delle città italiane. Senza dubbio lo sviluppo dello studio di diritto cano­ nico, dovuto all’o p e ra di G raziano verso il 1140, contri­ b uì a fare di Bologna u n centro ugu alm en te im p o rtan ­ te p e r la p rep arazio n e degli am m inistratori e dei giuri­ sti della Chiesa m edioevale; m a Bologna cominciò a di­ ventar famosa com e scuola di diritto ro m an o ai tem pi di Irn e rio (c. 1090-1130), e allora n o n i canonisti, m a i «maestri» di d iritto civile stabilirono i m etodi di studio e ne d eterm in aro n o i corsi. Già nella p rim a m età del secolo x ii il d o tto re di diritto civile godeva u n prestigio strao rd in ario , com e si p u ò ve­ d ere nella p arte svolta dai q u attro d o tto ri di Bologna in occasione della dieta d i Roncaglia n el 11583. Gli studen­ ti di Bologna, inoltre, godevano d i u n a posizione assai più vantaggiosa nei confronti dei loro colleghi ecclesia­ stici di Parigi e di O xford, sia p e r la loro età p iù m atura, sia p e r la loro condizione sociale p iù elevata. Assai p e r

s Rashdall così scrive a questo proposito: «Forse in tutta la storia della istru­ zione nessun maestro occupò mai un posto così elevato nell’estimazione pubbli­ ca come i primi dottori di Bologna».

241

tem p o essi com inciarono ad avere in m ano gli affari che li rig u ard av an o e a controllare l’an d am en to dei loro stu­ di, cosicché B ologna e le università italiane, che seguiro­ n o la sua tradizione, fu ro n o prin cip alm en te corporazio­ ni di studenti, che finirono p e r este n d ere la loro au to ­ rità sopra gli stessi professori; e questi v e n n e ro a tro v ar­ si p iù in condizione d ’im piegati che di m aestri. Q uesto strano sistema, così diverso dall’ord in e g e ra r­ chico ecclesiastico delle università del N o rd , è strettam en te collegato con lo sviluppo delle istituzioni com u­ nali in Italia. Le università erano, in realtà, com uni di stu d en ti, basati, com e il com une cittadino, sul vincolo m o rale e legale del giu ram en to com unale. Q uesta rela­ zione è stata m irabilm ente descritta dal Rashdall nella sua o p era classica sulle università m edioevali: «Il concetto di cittadinanza, egli dice, prevalente nelle repubbli­ che italiane, era molto più vicino a quello dell’antica Grecia che non a quello degli stati moderni. La cittadinanza che per noi è un semplice fatto di domicilio, nell’antica Atene e nella Bologna medioevale era un possesso ereditario d’inestimabile valore... Un esilio prolungato era perciò una grave punizione, a cui un’associazione di giovani, appartenenti a una onorata classe sociale e molti dei quali erano abbastanza maturi per prendere parte alla vita politica della loro città, si sottometteva con ripu­ gnanza. Le università di studenti rappresentano, da parte di sif­ fatta gioventù, un tentativo per costituire, a proprio vantaggio, una cittadinanza artificiale al posto di quella naturale, a cui ave­ vano temporaneamente rinunciato in vista della loro istruzione e della loro carriera. La grande importanza che uno rappresentava per la prosperità commerciale della città può spiegare, in definitiva, la buona volontà delle municipalità nel riconoscere le università di studenti, anche se la concessione non era ottenuta senza lotte.»4

studium

4 H. Rashdall, Medieval Universities, Powicke and Emden, voi. I, p. 164.

242

Difficilmente si esagera q u an d o si p arla d elfinfluenza avuta d a Bologna sulla rinascita della giu risp ru d en za e dello studio del d iritto ro m an o nell’E u ro p a occidenta­ le. Essa fu il g ran d e centro cui convenivano gli studen­ ti d i diritto d a ogni p arte d ’E u ro p a e d o n d e partivano, a diffondere i principi della nuova d o ttrin a, m aestri co­ m e V acano p e r l’In g h ilte rra e Azzone e Piacentino p e r la Francia. Q uesto influsso p erò si fece sentire nel m o­ d o p iù forte nella vita delle città-stato italiane. Q uasi ogni città d i qualche im portanza cercò di attirare p ro ­ fessori da Bologna e di avere u n a p ro p ria scuola di d i­ ritto. Le num erose università fondate in Italia nel M e­ dioevo, se si eccettua quella eretta d a Federico II a N a­ poli, che fu u n a creazione statale, eran o tu tte basate sul m odello bolognese e costituite d a libere corporazioni di studenti, dediti so p rattu tto allo studio del diritto. T utto ciò p uò sem brare estraneo alla storia delle re ­ lazioni tra la religione e la civiltà occidentale, m a la ri­ nascita m edioevale del diritto ro m an o fu strettam ente legata allo sviluppo del nuovo diritto canonico che, in così larga m isura, contribuì all’integrazione e all’orga­ nizzazione della C ristianità m edioevale. Lo sviluppo d el nuovo diritto canonico coincise con la riform a del Papato, e fu u n a condizione essenziale p e r la centralizzazione dell’au to rità e della giurisdizio­ n e nelle m ani del Sommo Pontefice e della C uria ro m a­ na. Lo studio scientifico di questo d iritto avvenne solo q u an d o verso il 1140 G raziano, u n m onaco di Bolo­ g n a5, pubblicò il suo g ran d e trattato , il nel quale tu tto il m ateriale giuridico esistente fu classificato e o rd in ato secondo lo spirito della nuova g iu risp ru d en ­ za. D ’allora in poi, Bologna divenne il g ra n d e centro

Decretum,

5 Secondo la tradizione è toscano; se ne disputano l’appartenenza Ficulle o Carraria, presso Orvieto, e Chiusi nel senese. A Bologna dimorò nel monastero dei SS. Nabore e Felice [N.d.T\.

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ove s’insegnavano il d iritto canonico e il diritto civile. A lessandro III, u n o d ei più g ra n d i p ap i del M edioevo, fu d a p p rim a allievo e poi com m entatore dell’o p e ra del suo m aestro G raziano, e Innocenzo I II fu scolaro di U guccione di Pisa, che aveva insegnato a B ologna v er­ so la fine del xn secolo. D u ran te il periodo centrale del M edioevo, dal 1150 al 1350, furono i canonisti delFU niversità d i Bologna e n o n i teologi dell’U niversità di Parigi quelli che stettero p iù strettam ente u n iti al Papato ed esercitarono u n m aggior influsso sul governo e l’organizzazione della Chiesa. Q uesto fatto e ra d ep lo rato da uom ini conservato ri come san B e rn a rd o e G erh o h di R eichersberg6, e d a idealisti com e R oger Bacon e D ante. Ciò n o n d im en o l’effettiva organizzazione della Chiesa m edioevale fu o p e ra dei canonisti. Il fatto che tu tto questo lavoro fu com piuto d a uom ini istruiti nella stessa scuola e nelle m edesim e tradizioni, dai cultori di d iritto civile che, p ro p rio d u ra n te quel periodo, stavano organizzando e razionalizzando lo stato m edioevale, costituì u n avveni­ m en to della più g ra n d e im portanza p e r la storia delle istituzioni occidentali. E fu nella vita delle città italiane che questo processo di reciproco influsso si realizzò in m an iera p iù com pleta. Difatti i governanti e i funziona­ ri della città-stato e gli am m inistratori della Chiesa p ro ­ venivano dalle stesse classi sociali, e ra n o istruiti nelle m edesim e università e avevano in com une u n identico sfondo intellettuale. Di qui derivò queirincessante avvi­ cendarsi di critica reciproca che stimolò la form azione di u n a opinione pubblica istruita quale n o n esisteva a n ­ cora nell’E uropa settentrionale. N ell’E u ro p a settentrionale l’influsso di Bologna e la

6 Cfr. Valentino Gambi, Gerhoh von Reichersberg e i Papi del suo tempo con ap­ pendice sulle sue opere, Tesi di laurea, Roma, 1942. Contiene tutta la bibliografia sul tema fino all’anno 1942 [N.d.T],

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rinascita degli studi giuridici si fecero sentire assai p re ­ sto nelle sfere p iù elevate dell’am biente ecclesiastico e del governo regale. B ologna in verità n o n e ra 1 unico centro di studi del diritto. Prescindendo dalle univer­ sità italiane, com e Padova che ne e ra u n a filiazione di­ retta, Bologna divenne m odello d i m olte altre fonda­ zioni, posteriori, com e p e r esem pio L erida in Spagna; m en tre, in Francia, O rléans e Toulouse avevano im p o r­ tan ti scuole di diritto. Però se Parigi godeva d ’u n prestigio im pareggiabile quale centro di studi cristiani di filosofia e teologia, Bo­ logna e ra la m aestra di diritto p e r l’Eu­ ro p a, tanto che O norio I II , in u n a bolla del 1220, p ote­ va scrivere che d a essa «escono i capi che governano il popolo cristiano». Così, p e r interi secoli, Parigi e Bolo­ g na furono i d u e poli in to rn o ai quali si m uoveva il m ondo degli studi medioevali. M entre i g ran d i filosofi italiani, come san B onaventura, san Tommaso d ’Aquino, M atteo d ’A cquasparta e Egidio R om ano si recavano a Parigi, ecclesiastici dell’E u ro p a settentrionale che si riprom ettevano u n a b rillante carriera nella Chiesa stu­ diavano a Bologna, ove costituivano u n a corporazione in d ip en d en te, la E il titolo accademico di Bologna, specialm ente il doppio dotto­ ra to in diritto canonico e in diritto civile, e ra general­ m ente considerato com e il più alto onore accademico d el m ondo. N onostante il contrasto di spirito e di istituzioni, Pa­ rigi e Bologna co n trib u iro n o in egual m isura sia a tra ­ sform are l’istruzione occidentale che a form are le classi professionali degli intellettuali che, in seguito, doveva­ n o essere gli esponenti della cu ltu ra occidentale. In passato l’u n ità spirituale della C ristianità era stata realizzata d a u n ideale com une di fede, di disciplina m orale e ascetica che proveniva dalla tradizione del

(Bononia docta)

Universitas Ultramontanorum.

245

m onacheSim o occidentale. Ma solo col sorgere delle università la cu ltu ra occidentale acquistò quella nuova disciplina intellettuale e scientifica dalla quale doveva­ n o d ip e n d e re le sue fu tu re conquiste. E vero che d u ra n te in teri secoli questo aspetto della cu ltu ra m edioevale fu ignorato e deriso. Gli um anisti disprezzarono gli scolastici p e r il loro cattivo latino, e gli scienziati e i filosofi rim p ro v eraro n o loro di aver svilito e sn atu rato la d o ttrin a di A ristotele7. Solo recen tem en ­ te u om ini com e A.N. W hitehead h a n n o riconosciuto che difficilm ente la scienza m o d e rn a avrebbe p o tu to co­ stituirsi, se l’intelligenza dell’uom o occidentale n o n fos­ se stata p re p a ra ta d a secoli di disciplina intellettuale ad accettare la razionalità dell’universo e ad am m ettere la capacità dell’intelligenza u m an a d ’investigare l’o rd in e della n atu ra. E videntem ente il fatto che le classi intellettuali del­ l’E u ro p a furono sottoposte p e r secoli a u n rigoroso e accurato esercizio nell’arte del p en sare secondo le n o r­ m e della logica, finì p e r lasciare u n ’im p ro n ta nella cul­ tu ra euro p ea, come fu a p p u n to riconosciuto u n secolo fa d a Sir William H am ilton e d a J . S tu art Mill. M a io cred o che possiam o a n d a re più oltre e v ed ere nella di­ sciplina scolastica m edioevale u n o dei principali fattori che h an n o differenziato la civiltà e u ro p e a dalle g randi civiltà religiose d e llO rie n te , con le quali la civiltà del­ l’Alto M edioevo e quella dell’im p ero bizantino avevano u n a così g ran d e affinità. Senza dubbio la tradizione ro ­ m ana, che sopravviveva nella civiltà occidentale, p u ò aver favorito l’attività sociale e contribuito a creare quel senso politico costruttivo che distingueva la Chiesa occi­ d en tale fin dal tem po di san L eone M agno e di san G re­

3.

7 Cfr. il passo famoso di Francis Bacon in The Advancement of Leaming, I, III,

246

gorio; m a questa tradizione ro m a n a rispettosa della di­ sciplina, della legge e dell’au to rità e ra essenzialm ente u n a forza conservatrice. N on da essa l’E u ro p a attinse l’intelligenza critica e l’instancabile spirito di ricerca scientifica che h a n n o fatto della civiltà occidentale l’e re ­ d e e la continuatrice dei Greci. Si è soliti attribuire la com parsa di questo nuovo ele­ m en to al Rinascim ento e al risveglio degli studi greci nel secolo xv, m a la vera epoca decisiva deve essere ri­ p o rta ta a tre secoli p rim a, all’età delle università e dei com uni. Già a Parigi, ai tem pi di A belardo e di Giovan­ ni di Salisbury, la passione p e r la dialettica e il gusto p e r la speculazione filosofica avevano com inciato a trasfor­ m are l’atm osfera intellettuale della Cristianità. E da quel tem p o in p oi gli alti studi fu ro n o dom inati dalla tecnica dell’argom entazione logica ( ) e dalla di­ sp u ta pubblica, che h a così decisam ente d eterm inato la della filosofia m edioevale persino nei suoi m ag­ giori rap p resen tan ti. R oberto de S orbonne diceva che «non si p u ò avere p erfetta conoscenza se n o n delle cose che sono state m asticate dai d en ti della discussione», e la ten d en za a so tto p o rre ogni questione, dalla p iù ovvia alla p iù astrusa, a questo processo di «masticazione» n o n solo acuì la pro n tezza d ’intelletto e la precisione di pensiero, m a sviluppò so p rattu tto quello spirito di criti­ ca e di dubbio m etodico al quale la cu ltu ra occidentale e la scienza m o d ern a sono così g ran d em en te debitrici. In d u b b iam en te questa passione p e r la d isputa e p e r l’analisi secondo l’arte della logica p o rtò anche a fare u n im m enso spreco di energie intellettuali su questioni futili. All’inizio del p erio d o scolastico G iovanni di Sali­ sbury aveva già fatto rilevare che, negli ultim i cin­ q u a n ta n n i, eran o state consum ate p iù energie nelle controversie sugli universali, di q u an te i Rom ani n on n e avessero im piegato p e r la conquista del loro im pero.

quaestio

forma

247

E alla fine del M edioevo la sottigliezza perversa degli occamisti e dei term inisti8 an d ò ta n t’oltre, d a giustifica­ re la violenza della reazione um anistica. Tuttavia tra qu este due epoche vi fu u n p erio d o di g ra n d e e fecon­ d o lavoro intellettuale che n o n si limitò allo studio d el­ la logica e della metafìsica, m a abbracciò ogni cam po del sapere, com prese le scienze naturali. Fin qui mi sono occupato soprattutto delle d u e g randi università di Parigi e di Bologna, i principali centri di stu d io p er la teologia e il diritto e i m odelli di tutto il m ovim ento universitario. M a vi era anche u na terza tradizione, rap p resen tata dalle scuole di Salerno, di M ontpellier, di Toledo e dalla corte di Palerm o, le q u a­ li ebbero u n a grandissim a im portanza intellettuale, a n ­ che se esercitarono poca influenza sulle università m e­ dioevali. Esse furono il tram ite attraverso il quale la scienza greca e araba p e n e trò nel m ondo occidentale, e p e r mezzo del quale la cu ltu ra m edioevale dei secoli x ii e x iii venne a conoscere A ristotele n o n solo come logi­ co m a anche com e metafisico, fisico e biologo. Abbiamo visto com e, d u ra n te il M editer­ ra n e o occidentale era stato separato dall’E u ro p a cristia­ n a e d era divenuto il centro di u n a brillante cu ltu ra im ­ p o rta ta dall’O riente islamico. Fu p ro p rio qui, più che negli stati crociati della Siria e dell’im pero latino di Co­ stantinopoli, che l’O riente e l’O ccidente vennero a con­ tatto e si ebbe quel processo vitale di vicendevole scam­ bio e adattam ento delle d u e culture. Q uesto scambio e ad attam en to cominciò nell’Italia m eridionale, ove, n el­ la seconda m età del secolo xi, u n m onaco africano di M ontecassino, C ostantino, iniziò u n lavoro di traduzio­

l’Età oscura,

8 Terminismo è la forma che il nominalismo ha preso nella dottrina di Ockham. È detto così per l’importanza della parola «terminus» nell’analisi che Ockham fa delle operazioni logiche [JV.ci.21.

248

ne, e ove la scuola di Salerno divenne il p u n to d ’incon­ tro d ’influssi greci, arabi ed ebraici p e r lo m eno in ciò che rig u ard av a lo studio della m edicina. L e traduzioni p iù im p o rtan ti si fecero in Spagna, so p rattu tto a Tole­ do, ove l’arcivescovo R aim ondo de Sauvetat (11261151) istituì u n a scuola d i tra d u tto ri, la quale continuò la sua attività p e r quasi d u e secoli (xn, x m ). Toledo, d u ­ ra n te questo tem po, divenne uguale a Parigi e Bologna quale fattore d i cu ltu ra n el M edioevo. Gli eru d iti d i To­ ledo n o n solo trad u ssero in latino dall’arab o tu tte le o p e re di A ristotele, m a c u raro n o anche la traduzione delle principali o p ere d ei g ran d i filosofi e d o tti m usul­ m ani ed ebrei: Al Kindi, Al Farabi, Al B attani, Avicenna, Ibn Gebirol e Al Ghazali. Infine la S pagna ebbe dei pen sato ri originali com e D om enico Gonzales arcidiaco­ no d i Segovia, che p e r p rim o ten tò u n a sintesi della fi­ losofia di Avicenna (sintesi, a sua volta, delle tradizioni aristoteliche e neo-platoniche) con la tradizione agosti­ n ian a del Cristianesim o latino. Il tratto più notevole di questo m ovim ento fu il suo carattere cosmopolita. Ebrei, Arabi e G reci collaboravano con Spagnoli, Italiani e Inglesi. Già all’inizio del se­ colo x ii l’eru d ito inglese A delardo di B ath, che aveva studiato nelle scuole cattedrali della Francia settentrio­ nale, viaggiò attraverso la Spagna, l’Italia m eridionale e il Vicino O rien te e trad u sse le o p ere di Euclide, quelle dei m atem atici del ix secolo e quelle degli astronom i dell’Asia centrale come Al Khwarizm i e A bu M a’shar di Balkh. Per A delardo e i suoi successori (gli italiani Pla­ tone di Tivoli e G erard o di C rem o n a e gl’inglesi R ober­ to d i Chester, D aniele d i M orley e A lfredo di Sereshel) questo fu com e la scoperta di u n nuovo m ondo. Fecero allora appello ai loro com patrioti p erch é abbandonas­ sero i loro studi elem entari e le sterili discussioni e si d e­ dicassero allo studio degli A rabi e degli antichi Greci

249

che, soli, possedevano la gen u in a tradizione del sapere scientifico e filosofico. Si sarebbe p o rtati a su p p o rre che le origini m usul­ m an e e pagane della nuova scienza dovessero im pedire che fosse accettata dalla C ristianità occidentale; m a no­ n o stan te l’opposizione di uom ini conservatori e le diffi­ d en ze dei guardiani dell’ortodossia il nuovo insegna­ m en to si fece strada nelle università che stavano sor­ g en d o con u n a rap id ità so rp ren d en te, tan to che, verso la m età del secolo x m , le op ere di A ristotele eran o stu­ diate, com m entate e discusse a Parigi, O xford, Toulouse e Colonia. A Parigi lo sforzo principale delle num ero se e dei com m entari alle «Sentenze» di Pietro L om bardo fu d ire tto alla interpretazione della teologia con i principi metafisici di A ristotele e alla integrazione di essi col p en siero cristiano. A O xford, p e r o p e ra di Roberto G rossatesta e della scuola francescana, furo n o invece p iù studiati gli aspetti scientifici e m atem atici del nuovo sapere, che d iedero alla scuola di O xford u n suo carat­ tere originale. Infine la tradizione aristotelica fu presentata, nella sua form a più p u ra e intransigente, d alfinseg n am en to d el m usulm ano spagnolo A verroè (Ibn R ushd, 11261198), le cui o p ere fu ro n o tra d o tte d o p o il 1217 d a Mi­ chele Scoto (c. 1232), l’astrologo di corte di Federico II. Esse trovarono discepoli entusiasti in Sigeri di Brabante e nei suoi seguaci d ell’U niversità di Parigi dal 1270 al 1280, e furono studiate anche a B ologna e a Padova nel secolo xiv. Il risultato del g ra n d e influsso della nuova scienza e delle nuove idee fu di fornire alle università e alla clas­ se internazionale degli studiosi e dei m aestri che le fre­ q u entavano gli elem enti con cui costruire u n a nuova sintesi. I dialettici n o n si trovarono più costretti a ma-

summae

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sticare e rim asticare i vecchi luoghi com uni della scola­ stica; ebbero finalm ente qualcosa di solido d a m ettere sotto i denti. Per conseguenza, d u ra n te cen t’anni, si eb­ be u n o sviluppo degli studi filosofici di tale portata, quale il m ondo n o n aveva visto dalla g ran d e epoca del­ l’antica Grecia. L’effetto p ro d o tto sulla cu ltu ra generale lo si p u ò vedere in u n a sola creazione: nella d i D ante, il p iù g ra n d e m o n u m en to letterario del M edioevo. In questo poem a, ogni aspetto della vita e ogni lato dell’esperienza personale e storica è illum ina­ to d a u n a visione metafisica dell’universo, considerato quale u n ità intelligibile. O ltre la vi so­ no le o p e re di san Tom m aso, di sant’A lberto e di cento altri au to ri di m inore im portanza. T utti costoro si d edi­ carono a innalzare u n g ra n d e m o n u m en to di pensiero, in cui tu tti gli aspetti della conoscenza sono coordinati e subordinati alla scienza divina ( ), che costituisce 10 scopo finale trascen d en te di ogni intelligenza creata. Il g ra n d e interesse d i questa sintesi n o n sta nella sua perfezione logica, p erch é questa la si po treb b e già tro ­ vare in form a ru d im en tale nel «curriculum » tradiziona­ le delle p rim e scuole m edioevali, m a nel m odo con cui 11 p en siero della C ristianità occidentale riconquistò il m o n d o p e rd u to della scienza ellenica, riuscendo ad a n ­ n ettersi il m o ndo stran iero del pensiero m usulm ano senza p e rd e re n ien te della sua continuità spirituale e dei suoi valori specificatam ente religiosi. È vero che più ta rd i tu tto questo fu rim esso in questione dai critici del­ la scolastica, com e L u tero e i suoi contem poranei, i qua­ li afferm arono che la filosofia m edioevale aveva abban­ d o n ato la verità evangelica p e r seguire Aristotele e le vane lusinghe della sapienza u m ana; m a p e r p o te r so­ sten ere queste idee essi furo n o costretti a spingere oltre la loro co n d an n a e a rig ettare l’in te ra tradizione del

Divina Com­

media

Divina Commedia

theologia

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Cattolicesimo occidentale, risalendo a ritroso fino all’e­ poca dei Padri. Se consideriam o p e rò lo sviluppo della C ristianità m edioevale nel suo insiem e, a p p a re evidente che la sin­ tesi intellettuale del secolo x m n o n fu u n a co n trad d i­ zione, bensì il coronam ento e la realizzazione di lu nghi secoli di sforzi in in terro tti p e r effettuare u n ’integrazio­ n e della d o ttrin a religiosa della Chiesa cristiana con la tradizione intellettuale della cu ltu ra antica. Tale in ten ­ to aveva già trovato u n ’espressione rudim en tale nei com pilatori di enciclopedie del v i e vii secolo, com e Cassiodoro, Boezio e Isidoro di Siviglia, m a non fu pie­ n am en te raggiunto se n o n nel secolo x m , q u an d o ven­ n e ricuperata l’in tera ered ità della filosofia e della scienza greche e allorché furono creati i d u e nuovi o r­ gani intellettuali della Cristianità: le corporazioni u n i­ versitarie e gli O rdini M endicanti. L a coordinazione di queste d u e istituzioni, grazie a u n a politica intenzionale del Papato n el x m secolo, segnò u n passo finale e decisivo nell’organizzazione della C ri­ stianità. Ma quest’o p era n o n potè esser effettuata senza u n a d u ra lotta. I papi e i concili te n ta ro n o di m igliora­ re l’istruzione del clero p e r mezzo di disposizioni cano­ niche che contem plavano l’istituzione di m aestri re tri­ buiti presso ogni sede vescovile e arcivescovile. O ra, n o ­ nostante la rinascita degli studi e il progresso delle scuole nel secolo x n , questi tentativi fu ro n o g eneral­ m en te ignorati e trascurati. È anche possibile che la cre­ scente popolarità delle nuove università, specialm ente quella di Bologna, sia stata deleteria p e r l’istruzione del clero, se la si confronta con quella del vecchio tipo di scuole cattedrali, p e r il fatto della prevalenza degli stu­ di giuridici a scapito di quelli teologici. È p e r questo che, q uando san D om enico fondò il suo O rd in e di frati

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predicatori p e r com battere la diffusione d ell’eresia nel­ la Francia m eridionale, O n o rio III e il suo consigliere, il cardinale Ugolino, rite n n e ro o p p o rtu n o creare u n a nuova istituzione che effettuasse il p ro g ram m a fissato dai concili e fornisse i professori di teologia che il clero secolare non e ra stato capace di p rep arare. Fu p ro p rio nelle nuove università, e so p rattu tto in quella di Parigi, che il nuovo O rd in e trovò il suo più fe­ condo cam po di azione. L’ortodossia cristiana n o n era infatti m inacciata solo dagli Albigesi della Linguadoca, m a anche d a nuove form e di eresia. A Parigi stessa l’in ­ troduzione della filosofia arab a e della scienza aristote­ lica fu accom pagnata dalla diffusione di teorie p an tei­ stiche, la cui condanna, n el 1210 e nel 1215, fu seguita dall’interdizione della fisica e della metafisica aristoteli­ ca. M a questa proibizione n o n poteva esser m an ten u ta indefinitam ente. Persino Guglielm o d ’A uvergne, il più g ran d e rap p resen tan te della vecchia tradizione filosofi­ ca della p rim a m età del secolo x m , vescovo di Parigi dal 1228 al 1247, riconobbe il valore della scienza aristote­ lica e delle filosofie arab a ed ebraica, che si basavano sulla prim a. Il problem a consisteva nell’escogitare u n a sintesi filosofica che unisse la verità scientifica, co n ten u ­ ta negli insegnam enti dei filosofi, con la verità religiosa, rap p resen tata dalla tradizione della Chiesa e dalle d o t­ trin e dei teologi. L a soluzione di questo problem a fu la m issione intel­ lettuale del nuovo O rd in e. Fin dal 1217 i prim i D om e­ nicani furono inviati a Parigi e a Bologna. Nel 1221 es­ si eran o a O xford e nel 1229 fu loro affidata la facoltà di teologia della nuova U niversità di Toulouse, fondata grazie al com une interessam ento del Papato e del re di Francia. L’esem pio dei D om enicani fu subito seguito dai Francescani, n o n o stan te la diversità fondam entale

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dei loro scopi. E così, a p a rtire dalla m età del x m seco­ lo, tu tti i principali teologi e filosofi, a eccezione di d ue 0 tre , a p p a rte n n e ro all’u n o o all’altro d ei d u e g randi O rd in i m endicanti: A lessandro d e H ales e B onaventu­ ra, A lberto M agno e Tom m aso d ’A quino, R oger Bacon e T h o m as di York, R oberto K ilw ardby e Giovanni Peckham , M atteo d ’A cquasparta e D uns Scoto. M a la posizione d o m in an te dei Frati m endicanti nel­ la vita intellettuale dell’università m edioevale non potè esser conseguita senza lotte, e fu ro n o necessarie tu tta l’au to rità e l’insistenza della Santa Sede p e r su p erare la resistenza dell’U niversità di Parigi. Fu u n a contesa vio­ len ta tra la p iù fiera e p iù in d ip e n d e n te corporazione della C ristianità e le forze coalizzate dei nuovi O rdini religiosi, sostenuti dal Papato. San Tom m aso e san Bo­ n av en tu ra furono en tram b i coinvolti nella controversia che m inacciò l’esistenza stessa dell’università. Q uesta infatti, nel m om ento più culm inante della lotta, si ap p i­ gliò alla disperata m isura di m etter term in e alla p ro p ria esistenza con un atto solenne di dissoluzione. L a passione sollevata dalla controversia si rivela non solo negli scritti dei protagonisti, p e r esem pio nella dia­ triba di Guglielm o de Saint-A m our co n tro i Frati m en ­ dicanti, dal titolo e nell’opuscolo di san Tom m aso m a la si riscontra anche nelle poesie in lin­ gua volgare di R u teb eu f e G iovanni d e M eung, e n ­ tram bi sostenitori accaniti dell’università. N el vediam o com e u n a contesa, che ebbe origine da interessi contrastanti di d u e ram i del clero (i regolari e 1 secolari), abbia p o tu to assum ere u n carattere secolare e «anticlericale» che fa presagire la fu tu ra secolarizza­ zione della civiltà occidentale. N o n dim eno dall’altra p a rte n o n vi è traccia di cattiva intenzione che m irasse a d im in u ire il prestigio e l’auto-

rum, res cultus Dei, la Rose

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Libellus de periculis novissimorum tempoContro impugnato-

Roman de

Qua­

rità dell’università com e tale. Al contrario, la bolla 1255 in difesa dei Frati m endicanti m ostra m olto chiaram en te che era sem pre stata cura del Papato riconoscere la posizione unica e suprem a dell’U niversità di Parigi nella vita in ­ tellettuale della Cristianità. «La scienza delle scuole di Parigi, dichiara la bolla, è nella Chiesa com e l’albero della Vita nel Paradiso terrestre, o com e u n a lam pada risp len d en te nel tem pio dell’anim a... È a Parigi che il g en ere um ano, sfigurato dal peccato originale e acceca­ to dall’ignoranza, riacquista la sua facoltà di visione e la sua beltà, grazie alla conoscenza della vera luce diffusa dalla scienza divina.» N o n sem bra si possa m ettere in dubbio che la crea­ zione delle università e l’istituzione dei nuovi O rdini religiosi abbia fatto u g ualm ente p a rte di u n piano p a­ pale di g ran d e p ortata, co ncernente l’organizzazione intellettuale della civiltà cristiana. Q ui si avrebbe u n o dei p iù strao rd in ari esem pi di pianificazione della cul­ tu ra su vasta scala, che la storia abbia m ai visto. Q uesto ideale di u n ’organizzazione universale della scienza u m an a e della vita u m an a alla luce d i u n princi­ pio spirituale n on era p ro p rio solo del governo in ter­ nazionale della Chiesa; esso era anche lo spirito dom i­ n a n te della cu ltu ra del secolo xiii. Lo si p u ò vedere, sotto u n a form a rozza e ingenua, nelle o p e re di autori enciclopedici com e Vincenzo di Beauvais e Bartolom eo Anglico. La stessa preoccupazione ispirò l’im m ensa at­ tività di Roger Bacon abbracciarne tu tte le scienze esi­ stenti e possibili, d i cui p e rò n o n ci rim an g o n o che dei fram m enti: e Il poem a di D ante è l’espressione letteraria quasi perfetta della m edesim a concezione, che trovò la sua ra p p re ­ sentazione visibile nelle g ran d i cattedrali francesi. M a so p rattu tto siffatto m odo di concepire ven n e espresso

si lignum vitae di A lessandro IV nel

Opus majus, Opus minus Opus tertium.

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n el m odo p iù elevato nei sistemi filosofici del secolo x iii, in queste g randi «cattedrali di idee», com e le h a chiam ate il Gilson, nelle quali tu tti gli a p p o rti della scienza aristotelica e arab a sono stati organicam ente in­ co rp o rati alla tradizione cristiana, sì d a form are u n ’u ­ n ità intelligibile. M a benché questa conquista intellettuale abbia se­ gn ato il p u n to culm inante dello sviluppo del M edioevo, essa n o n divenne la base di u n a cu ltu ra religiosa u n ita­ ria, com e ci si sarebbe p o tu to aspettare. Anzi, con essa s’in au g u rò u n perio d o di critica intellettuale e di m u ta­ m en to culturale che è della m assim a im p o rtan za p e r la storia della civiltà occidentale, periodo che p e rò si d i­ m ostrò fatale p e r quella sintesi della religione e della cu ltu ra che e ra stata effettuata nei secoli precedenti. A p rim a vista tutto ciò so rp ren d e, p erch é la civiltà oc­ cidentale n o n an d ò soggetta a nessuna di quelle cata­ strofi esterne quali la conquista m ongola che som m erse i p iù fiorenti centri di civiltà m usulm ana dell’Asia cen­ trale. E n o n ci fu nessun rallentam ento nell’attività in ­ tellettuale; anzi il m ovim ento universitario continuò ad au m en tare. Si è p o rta ti piuttosto a p en sare che questo m ovim ento verso l’integrazione e l’unità, che aveva d o ­ m inato la C ristianità occidentale a p a rtire dal secolo xi, avesse p e rd u to il suo slancio e no n trovasse p iù le gui­ d e capaci di farlo p ro seg u ire verso nuove realizzazioni. Il secolo x iv fu u n tem po d i divisioni e di lotte, fu l’e ­ p oca del G ran d e Scisma che vide, invece delle crociate, l’invasione dell’E u ro p a d a p a rte dei T urchi e la deva­ stazione della Francia d a p a rte dell’In g h ilte rra 9. E n el­ lo stesso tem po le risorse intellettuali della società occi­ den tale, che eran o state così fortem ente accresciute dal­

9 Cfr. l’opera importante del Denifle, La désolation des églises, monastères et hópitaux de Prance pendant la guerre de Cents Ans, 2 voli., 1899.

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la diffusione del m ovim ento universitario, n o n si consa­ craro n o p iù all’unificazione del pensiero cristiano, b en ­ sì a u n ’o p era negativa e d i critica che rovinava l’op era dei secoli an terio ri e m inava le basi su cui i g ran d i p e n ­ satori dell’epoca p reced en te avevano costruito la loro sintesi. È come se le forze spirituali, che p e r tre secoli avevano costantem ente o p erato p e r creare l’unità, si fossero im provvisam ente tram u tate, d iventando princi­ pio d i divisione e d i dissoluzione, così d a p red o m in are in ogni aspetto della vita um ana.

Capitolo XI LA CRISI R ELIG IO SA DELLA C IV ILTÀ MEDIOEVALE: IL SECOLO X III D u ran te tutto il p erio d o di cui h o p arlato nei tre ultim i capitoli, la vita spirituale della civiltà occidentale fu d o ­ m inata d a u n m ovim ento di riform a religiosa, che a r­ rivò alla sua m atu rità nella seconda m età del secolo XII. L’em ancipazione della C hiesa dall’au to rità im periale e feudale e la rivendicazione del p rim ato del p o tere spi­ ritu ale in g en eraro n o u n a nuova vitalità spirituale e crearo n o la nuova società internazionale della Cristia­ n ità medioevale. Pochi storici del M edioevo (se ce ne furono) riconob­ b e ro l’im portanza del m ovim ento riform ista, p e r l’in­ flusso persistente e dinam ico esercitato sulla civiltà m e­ dioevale. Coloro che ap p rezzan o la civiltà m edioevale si sono lasciati im pressionare dalla sua u n ità religiosa e dalla sua arm onia; quelli invece che la criticano hanno sem pre insistito con forza sul suo tradizionalism o e la sua cieca obbedienza all’au to rità ecclesiastica. N essuna delle d u e p a rti h a p restato sufficiente atten ­ zione all’elem ento di contrasto che h a caratterizzato i secoli p iù fecondi del M edioevo. In fatti la g ran d e con­ troversia, che ebbe inizio col m ovim ento di riform a del secolo x i, n on fu sem plicem ente u n a lotta tem poranea, politico-ecclesiastica, term in ata nel 1122 col concordato di W orms; essa fu anche retaggio delle generazioni suc­ cessive e si p ro p ag ò d a u n paese all’altro lungo tutto il corso della storia m edioevale. E i secoli così pieni di vi­ talità della civiltà m edioevale sono debitori della loro u n ità n o n all’assenza di lotte m a al fatto che il partito

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riform ista, elem ento di dinam ism o nel m ond o m edioe­ vale, venne a trovarsi p e r u n certo tem po alla testa del­ la cultura, grazie alla sua alleanza con l’auto rità eccle­ siastica. Q uan d o verso la fine del secolo x m questa al­ leanza si disciolse, l’u n ità spirituale e le forze vitali del­ la civiltà m edioevale com inciarono a scom parire. D u rante i secoli xi e XII, la co rren te riform ista fu principio d i u nità e no n di divisione. Essa riu n ì gli ele­ m en ti più operosi della società cristiana in u n p ro ­ g ram m a com une di attività e atto rn o a u n centro di u n ità com une; abbatté le b a rrie re dei privilegi feudali e d el particolarism o territoriale, offrendo ai valori spiri­ tuali nuove occasioni p e r m anifestarsi e favorendo la li­ b e ra scelta alle vocazioni individuali; fece uscire il m o­ naco dal suo chiostro, il vescovo dalla sua diocesi e il ca­ valiere dal suo feudo ren d en d o li u gualm ente consape­ voli del posto che occupavano nella collettività cristiana e del dovere che avevano di p artecip are alla causa d ’in ­ teresse com une. Q uesto allargarsi dell’orizzonte lo si scorge d a p p ri­ m a in quei nuovi m ovim enti m onastici che p reced ette­ ro la co rren te riform ista generale e la favorirono effi­ cacem ente. Il perio d o fu contrassegnato dalla creazio­ n e di u n nuovo tipo m onastico, che doveva poi diven­ ta re caratteristico p e r la C ristianità occidentale. Per p o te r effettuare l’o p e ra di riform a m onastica si era sentito il bisogno di sacrificare la tradizionale au to n o ­ m ia dei singoli m onasteri e di riu n ire u n certo n u m ero d i com unità riform ate sotto la direzione e la giurisdi­ zione di u n a casa m adre. L’esem pio p iù fam oso di q u e­ sta innovazione fu quello di Cluny, che organizzò tu tta u n a gerarchia di com unità m onastiche sotto il control­ lo assoluto dell’abate di Cluny. Al tem p o di sant’Ugo (1049-1109) si ebbero più di ottocento m onasteri affi­ liati a Cluny, in Francia, Italia, G erm ania e Spagna, co260

sicché questa nuova organizzazione diventò u n a grande p o tenza internazionale nella vita della Cristianità. L’i­ d e a organizzativa che stava alla base della riform a clu­ niacense trovò u n u lterio re sviluppo in nuovi movi­ m en ti m onastici che sorsero all’inizio del secolo x i i principalm ente presso i Cistercensi, fondati d a santo Stefano H ard in g al principio del secolo, e che costitui­ ro n o il prim o religioso nel vero senso della p a­ rola. Q uesta istituzione fu la p rim a che ebbe p e r base il principio del controllo corporativo, che venne esercita­ to d a u n annuale capitolo generale di tu tto l’O rd in e e d a u n sistema d ’ispezioni e di visite reciproche. Così l’abbazia non e ra più fine a se stessa, m a veniva a far p a rte di u n insiem e p iù vasto, che, a sua volta, era uno degli organism i sociali della C ristianità universale.

Ordine

Q uesta ten d en za verso la socializzazione dell’ideale m onastico fu, a u n tem p o , causa ed effetto d el movi­ m en to d i riform a. Il P apato riform ato, com e abbiam o visto, e ra in g ran p a rte u n a creazione m onastica, e trovò i suoi p iù abili e disinteressati ausiliari negli o rd i­ n i m onastici riform ati. San Pier D am iani, U m berto di M oyenm outier, sant’U go di Cluny, L anfranco, sant’Anselmo, Riccardo abate di S. V ittore a M arsiglia e moltis­ simi altri erano m onaci che avevano lasciato il chiostro p e r dedicarsi alla riform a della Chiesa. U rbano II, il quale fece trionfare il p ro g ram m a di riform a e fu il p ro ­ m o to re della p rim a Crociata, era stato an terio rm en te p rio re di Cluny. N el secolo x i i questa tradizione di rifo rm a m onastica trovò il suo m assimo rap p resen tan te in san B ern ard o che fu, a u n tem po, la personificazione degli ideali ascetici del monacheSimo cistercense e la p iù grande figura della vita pubblica del suo tem po. N onostante il suo p ro fo n d o attaccam ento alle regole m onastiche di contem plazione e di penitenza, egli fu

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u n g ra n d e uom o d ’azione, del tipo di G regorio V II. La sua influenza si fece sentire in tu tti quei luog h i ove e ra ­ n o in gioco gli interessi della C ristianità, p o n e n d o te r­ m ine allo scisma pap ale del 1130-1138, ristabilendo la pace tra i principi cristiani e p ro m u o v e n d o la seconda Crociata. S o p rattu tto egli fu il cam pione d ell’ideale g re­ goriano di u n a riform a spirituale in transigen te, e colui che seppe ad attare i p rincìpi dei rifo rm ato ri del secolo x i alle m utate condizioni di u n a nuova epoca. La vittoria della Chiesa, infatti, aveva creato nuovi problem i e nuove tentazioni. Essendosi l’au to rità spiri­ tuale del Papato in carn ata in u n sistem a concreto d i go­ v ern o internazionale, si sentì fo rzatam ente costretta a far uso di mezzi tem porali, e so p rattu tto a istituire u n sistem a fiscale e finanziario. E poiché n o n esisteva an ­ cora u n sistema di tassazione ecclesiastica, il Papato m e­ dioevale, com e qualsiasi altro stato del suo tem po, fu in ­ d o tto a giovarsi dei suoi diritti di giurisdizione quale fonte di entrata. Sistem a questo che pro v o ch erà inevi­ tabilm ente degli abusi e in d u rrà talora la C u ria e i lega­ ti papali a sfruttare i querelan ti e le chiese locali. Fu p ro p rio a m otivo di questi abusi che san B er­ n a rd o rivolse le sue veem enti critiche all’am m in istra­ zione papale nel suo g ra n d e tra tta to dedicato al suo discepolo, il p a p a cistercense E ugenio III. Egli lam enta che l’a u m en to delle contestazioni giudiziarie abbia trasform ato la C u ria in u n trib u n ale secolare.

De Consideratione,

«Il Palazzo risuona della discussione di leggi, ma sono le leggi di Giustiniano, non quelle del Signore. E qual è l’oggetto di tutto il laborioso maneggio di leggi e di canoni, se non la soddisfazio­ ne dell’ambizione? E non è forse l’Italia intera un’aperta voragine d’insaziabile

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avarizia e rapacità per il bottino che si raccoglie con questi pro­ cessi? Ed è così che la Chiesa è diventata come una spelonca di la­ dri, ripiena delle spoglie dei viandanti.»1

Per ovviare ai m ali della C u ria e alla ten d en za verso u n im perialism o ecclesiastico che faceva del pontefice il successore di C ostantino piuttosto che di san Pietro, san B ern ard o traccia la m issione del vero p a p a come lo vuole l’ideale della riform a; profeta e apostolo al di so­ p ra delle nazioni p e r svellere e p e r dem olire, p e r edifi­ care e p e r piantare. «Questa missione richiede piuttosto il faticoso lavoro del conta­ dino e non il fasto proprio del sovrano. Perché, se devi compie­ re il lavoro del profeta, abbisognerai della zappa e non dello scettro.»2

In tu tte queste critiche san B ern ard o era b e n lungi dal voler vedere dim inuiti i d iritti all’au to rità universale, che com petevano al Papato riform ato. Essi infatti n on sono m ai stati proclam ati con u n a rd o re m aggiore di quello che riscontriam o nelle forti espressioni che chiu­ d o n o questo trattato. L a sua co n d an n a era d iretta inte­ ram en te contro le ten d enze secolarizzanti, che accom­ pagnavano l’aum ento del p o tere e della centralizzazio­ n e ecclesiastica. Si stava creando, tra au to rità spirituale e p o tere tem porale, la stessa confusione che si era vista nella vecchia Chiesa im periale dello stato carolingio, ed è ap p u n to contro questo che protestavano i riform atori.

1 San Bernardo, De Considemtione. Le parole di san Bernardo, riportate qui sopra, si trovano sparse in vari capitoli del Libro I, c. IV, c. X in fine, L. Ili, c. I. Cfr. la versione italiana di O. Malfranci, Morcelliana, Brescia 1932, pp. 11, 33, 89 [NAT.]. 2 San Bernardo, op. cit., L. II, c. VI. Cfr. versione italiana cit., p. 49.

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La vittoria del Papato e l’indebolim ento del p o tere d ell’im peratore e dei principi sul clero n o n avevano cam biato il carattere della Chiesa m edioevale, nei suoi aspetti feudali e territoriali. I g ran d i p rin c ip i ecclesia­ stici, che s’eran o p rim a serviti del controllo im periale e regale sulla Chiesa p e r au m e n ta re la loro p oten za poli­ tica e le loro ricchezze, si servono adesso della libertà della Chiesa e dei suoi d iritti a u n a giurisdizione indip e n d e n te p e r rafforzare ancora d i più la p ro p ria posi­ zione. A questo proposito un o storico am ericano h a scritto: «Non fu certamente lo stato, ma neppure la Chiesa, che potè dirsi definitiva vincitrice in questa controversia. I veri vincitori della guerra furono i principi vescovi e gli abati guerrieri di Germania - col loro modo di vivere mondano, le loro dure fi­ sionomie, i loro interessi politici - , signori di terre che erano in realtà enormi feudi ecclesiastici, e con essi la feudalità germa­ nica»3.

L a perplessità e la disperazione dei riform atori di fronte a questa tragica confusione di p o teri sono chiaram ente espresse da G erhoh di R eichersberg (1093-1169), u n o dei p iù grandi ra p p re se n ta n ti del p artito spiritualista nella Chiesa di G erm ania d u ra n te il secolo x n . Egli ri­ m ase fedele alla causa del Papato sulla questione delle investiture, e, d u ra n te la g ran d e lotta tra l’im p erato re Federico I e A lessandro III, sopportò persecuzione ed esilio p e r i suoi p rincìpi. M a nello stesso tem p o censurò le idee estrem iste del partito papale, il quale sosteneva il p o tere diretto del Papato sopra l’im pero. N ella sua o p e­ ra che intitolò scritta in esilio d u e an ni prim a della m orte, egli al pari di san B ern ard o

La quarta vigilia della notte,

3J.W. Thompson, Feudal Germany, p. 164.

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si m ostra addolorato p e r i pericoli che m inacciano la Chiesa a motivo dell’avarizia e d ell’am bizione dei suoi dirigenti. Vede l’approssim arsi della fine dei tem pi non nelle avversità esterne e nelle persecuzioni della Chiesa, m a nella sua corruzione in te rn a che proviene dall’«ava­ rizia, degna d ei giudei e dei pagani, che do m in a persino nello stesso reg n o di Cristo» e fa di Rom a u n a seconda Babilonia. Nella sua disperazione egli si rip ro m ette la p ro n ta venuta di Cristo com e la sola speranza della Chiesa e prega: «Vieni dunque, o Signore Gesù, vieni alla tua barca, la santa Chiesa che soffre duramente in questa quarta vigilia della notte; vieni, o Signore, e regna in mezzo ai Tuoi nemici e falsi preti, che vendono e rubano nella Tua casa, e tra i principi che tiran­ neggiano nel nome di Cristo. Vieni, o Salvatore Gesù, vieni ad apportare la salvezza sulla terra e in seno alla Chiesa, e a far re­ gnare la pace tra il regno e il sacerdozio»4.

Il sentim ento d ’u n a crisi im m inente, di u n bisogno pressan te di riform a m orale e di rinnovazione spiritua­ le si fa sentire attraverso tu tto il pensiero religioso del secolo xii. Q uest’epoca, che a noi sem bra l’età d ’oro del Cattolicesimo m edioevale, l’età di sant’Anseimo e di san B ern ard o , l’età delle crociate e delle cattedrali, dei nu o ­ vi O rd in i religiosi e delle nuove scuole, ap p are invece ai con tem p o ran ei com e u n ’epoca resa cu p a dalla minac­ cia d elfim m in en te giudizio. Il loro atteggiam ento è riassunto assai b ene nei prim i

4 De Quarta Vigjlia Noctis, 21 (M.G.H. Lib. de Lite, tom. III). «Vigilia» è il no­ me che in latino si dà alle quattro parti in cui veniva divisa la notte. La quarta vigilia corrisponde aU’ultima parte della notte. Il titolo dell’opera allude all’epi­ sodio evangelico della barca dei discepoli, sbattuta dalle onde della tempesta e del soccorso portato loro da Gesù «alla quarta vigilia della notte», come narra san Matteo, 14,25 [N.d.T.].

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versi del g rande p o em a d o de M orlaix.

De Contemptu mundi di B ern ar­

«Hora novissima, tempora pessima sunt, vigilemus, Ecce minaciter imminet arbiter ille supremus.»5

Tale preoccupazione, ispirata a idee apocalittiche, è caratteristica della m entalità del secolo x i i . Si m anifesta in u n a rozza form a p o p o lare nel d ram m a dell’A nticri­ sto, scritto in lingua tedesca (c. 1150), com e p u re nella d otta storia m ondiale d i O ttone d i Frisinga, n el simbolismo teologico di R u p ert di D eutz ( f i 135), d i G erh o h von R eichersberg, di O norio d i A u tu n (Augustodunensis - c. 1120) e di Anseimo di H avelberg ( t 1158). Q uesta idea trova espressione so p rattu tto n el­ le visioni e profezie di Ild e g a rd a di B ingen (1098— 1179), u n a delle intelligenze più originali d el secolo x n e la p rim a delle g ra n d i profetesse del M edioevo, che fu ­ ro n o : le due sante M atilde, sant’A ngela, santa B rigida e santa C aterina d a Siena. C on l’abate calabrese Gioac­ chino d a Fiore ( t 1202) questa preoccupazione di te n ­ d en za apocalittica rag g iu n g e il suo coronam ento. Q u e­ sti annunziava l’avvento di u n a nuova era, l’età dello Spirito e del Vangelo E terno, in cui la C hiesa verrebbe rinnovata, nella libertà dello spirito, sotto la g u id a di u n nuovo ord in e di contem plativi spirituali. Q ueste tendenze n o n eran o affatto u n indice di deca­ denza religiosa e culturale. Anzi, stavano a indicare co­ m e gli anim i fossero p ro fo n d am en te mossi d al risveglio religioso e dalla consapevolezza dell’im m inenza d i u n ’età nuova. N on eran o esclusive di u n a m inoranza istruita, o dei capi del m ovim ento riform ista nel clero e

Chronica,

5 «È la nostra ultima ora, i tempi sono pessimi, siamo vigilanti; ecco che mi­ naccioso sta per arrivare il giudice supremo.»

266

negli O rdini m onastici; si diffondevano già nella nuova società che veniva form andosi nelle città m edioevali. Fin dal 1058 a M ilano e nelle città della L o m bardia il movi­ m ento di riform a si e ra identificato con la rivolta delle fazioni popolari contro i vescovi e la classe dirigente dei nobili. Mezzo secolo p iù tard i, nei Paesi Bassi, lo scritto­ re an tigregoriano Sigeberto di G em bloux si lam enterà della p ro p ag an d a rivoluzionaria contro l’o rd in e stabili­ to nella Chiesa e nello stato che si faceva nelle botteghe artigiane e negli opifici e che ren d ev a la gente com une giudice del clero, n eg an d o la validità dei sacram enti am m inistrati dai p reti concubinari e dai simoniaci6. Q u esta inesorabile co n d an n a d a p a rte dei riform ato­ ri della m o n danità e della corruzione esistente nella Chiesa e, ancor più, la negazione della validità degli o r­ d in i e dei sacram enti am m inistrati dal clero n o n rifor­ m ato, sostenuta dai ra p p re se n ta n ti più estrem i del m o­ vim ento riform ista com e U m b erto di M oyenm outier, fa ric o rd are il rigorism o in tran sig en te che aveva caratte­ rizzato le vecchie eresie occidentali, quali il Novazianism o e il Donatism o. Q u in d i n o n reca so rp resa che il m ovim ento rifo rm ato re abbia coinciso con la ricom par­ sa di attività eretiche e settarie in O ccidente, e che ci sia stata anche u n a certa confusione tra le d u e correnti. Si h a il caso del p rete di Schere, p e r esem pio, che fu b ru ­ ciato a C am brai nel 1077 com e eresiarca e agitatore p o ­ p o lare, benché fosse considerato d a G regorio V II come difensore ortodosso della causa della riform a. Lo stesso si p u ò dire d el m ovim ento «patarino» nell’Italia setten­ trionale, il quale iniziò in stretta alleanza col Papato riform atore, m a p oi finì p e r contam inarsi talm ente di

6 Cfr. specialmente la sua lettera all’arcidiacono Enrico, in Martène et Durand, Thesaurus novus, I, p. 230.

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d o ttrin e eterodosse, che il term in e di «patarino» diven­ n e più tardi in Italia il sinonim o di eretico. U n altro esem pio di questo slittam ento dall’ortodos­ sia all’eresia lo abbiam o nel caso d i A rnaldo d a Brescia. Discepolo di A belardo e avversario di san B ernardo, e ra u n a delle principali figure della società italiana nel­ la p rim a m età del secolo x n . D apprim a si trovò im pli­ cato in u n conflitto tra il com une e il vescovo di Brescia, conflitto che era com inciato, com e a M ilano nel secolo precedente, con u n ’alleanza del com une e dei riform a­ to ri contro il vescovo fautore del partito im periale, m a che continuò anche dopo l’elezione d ’u n vescovo se­ guace della riform a e sostenuto d a Rom a. Secondo il pensiero di A rnaldo, le vere cause del conflitto erano il p o tere tem porale del vescovo e la ricchezza della Chie­ sa, e l’effettiva soluzione doveva consistere in u n rito r­ n o alla povertà della Chiesa prim itiva. In questo egli n o n andò m olto p iù in là di tan ti rifor­ m atori ortodossi, com e lo stesso p a p a Pasquale II che, nel 1111, aveva ten tato di d are u n a soluzione alla lotta con l’im pero p e r mezzo di u n a com pleta rinunzia al­ l’au to rità tem porale e ai privilegi della Chiesa. Ma Ar­ naldo andò m olto p iù oltre qu an d o pretese che i preti, che possedevano beni tem porali ed esercitavano au to ­ rità tem porale, n o n potevano salvarsi, e che perciò tu t­ to quello ch’era tem porale doveva essere abbandonato al principe e ai laici e la Chiesa doveva rito rn a re a u no stato di povertà evangelica. G iovanni di Salisbury, che ci offre un racconto p arti­ colarm ente im parziale della carriera di A rnaldo, dice che il suo insegnam ento e ra in accordo con gli ideali cristiani, m a del tu tto inconciliabile con la vita7, e fin tan to che egli rim ase in esilio, in Francia e a Zurigo,

7 Hist. Pont., p. 64.

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sem bra sia stato considerato com e u n individuo privo di senso pratico e u n idealista ostinato. M a q u an d o ri­ to rn ò in Italia e a Rom a, verso il 1147, si trovò di n u o ­ vo in u n ’atm osfera rivoluzionaria, assai propizia p e r la diffusione delle sue idee. N el 1143 il com une di Rom a si era sollevato contro il p ap a ed aveva proclam ato la r e ­ staurazione della repubblica. E ra u n a m anifestazione dello stesso m ovim ento com unale che aveva condotto le città lom barde all’insurrezione contro il controllo epi­ scopale. Ma a R om a il vescovo e ra il capo spirituale del­ la C ristianità e la città e ra l’ered e e la personificazione della tradizione im periale classica; perciò questa in su r­ rezione com unale doveva im m ancabilm ente provocare u n conflitto internazionale. La p retesa all’in d ip e n d e n ­ za civica urtava contro gli interessi del Papato che in R om a aveva il suo centro vitale, m en tre il titolo v en era­ bile d i «Senato e Popolo Rom ano», ad o ttato dal com u­ ne, e ra u n ’a p erta sfida all’im pero germ anico. Le teorie di A rnaldo d a Brescia, che avevano u n ’o ri­ gine p u ra m e n te religiosa, offrivano alla rivoluzione co­ m u n ale u n ’efficace giustificazione ideologica della ri­ volta contro il Papato; p e r sette an n i il rifo rm ato re si gettò anim a e corpo nella lotta, facendosi difensore del­ la causa repubblicana. Il suo tentativo d i negoziare u n ’alleanza tra il com une e l’im p erato re, a spese del Pa­ pato, ebbe u n com pleto insuccesso. La resistenza ro m a­ n a crollò davanti alle forze arm ate di Federico B arba­ rossa, e l’im peratore tedesco consegnò A rnaldo al p ap a inglese A driano IV. Il bollente agitatore fu giustiziato com e eretico, nello stesso m om ento in cui Federico era incoronato im peratore. L a carriera di A rnaldo è tipica n o n solo a motivo del­ la relazione tra le nuove forze sociali e l’idealism o reli­ gioso di u n rifo rm ato re estrem ista, m a anche p e r il ten ­ tativo fatto dall italiana di d a r vita a u n ’u-

’intellighenzia

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nione tra il patriottism o civico delle città italiane e le an ­ tiche tradizioni della R om a classica. L a stessa tendenza doveva trovare espressione più tard i nel m ovim ento ghibellino italiano, tan to in D ante e in Cola di Rienzo q u an to nel Petrarca; in tutti costoro si constata la stessa sproporzione tra gli scopi spirituali e i mezzi politici. L a contraddizione tra l’idealizzazione rom antica della «sacra città di Rom a, p a d ro n a del m on­ do, creatrice e m ad re degli im peratori», e il fallim ento com pleto del partito repubblicano di fro n te alle realtà politiche, trova la sua espressione dram m atica e comica a u n tem po nell’abboccam ento (descritto d a O ttone di Frisinga) della deputazione del Senato con l’im peratore Federico nel 1155, in cui ciascuna delle d u e parti si con­ siderava com e la sola vera ered e della tradizione della Rom a antica8. Ciò nonostante, il patriottism o civico dei com uni italiani era u n a forza reale, com e Federico ebbe a sp erim entare qu an d o a L egnano le cariche della sua cavalleria an d aro n o a infrangersi contro il «carroccio» di sant’Am brogio, difeso dalle tru p p e della Lega Lom ­ barda. Nello stesso m odo, nonostante il carattere irrealizza­ bile del p ro g ram m a di A rnaldo d a Brescia, l’idealismo rivoluzionario dei riform atori religiosi e ra u n a forza reale che rappresentava u n a seria m inaccia p e r l’ordine tradizionale della Chiesa. D urante la seconda m età del secolo xii la Chiesa, nell’Italia settentrionale e nel sud della Francia, si vide m inacciata d a u n rapid o diffon­ dersi di m oti ereticali e settari che, p a rte n d o dal duali­ smo orientale dei C atari, rap p resen tan ti occidentali dei Bogomili9, e passando p e r gli A rnaldisti, gli Speronisti e i Lom bardi, arrivava fino ai e agli

Poveri di Lione

8 Gesta Friderici, ib., II, capp. 29 e 30. 9 Cfr. capitolo VI.

270

Umi-

Itati. In origine, tu tte queste sette eran o m ovim enti o r­ todossi d i laici, sorti col fine di p ro m u o v ere u n a radica­ le rifo rm a religiosa; m a v en n ero in u rto con le autorità locali, e poi, g rad atam en te o parzialm ente, finirono p e r cadere nello scisma e nell’eresia. Q uesti m ovim enti fu ro n o p artico larm en te attivi tra le nuove classi cittadine, com e sta a p ro v are il fatto che il nom e di (Tessitori) v en n e a p re n d e re u n si­ gnificato settario. Tali ten d en ze tro v aro n o adito anche tra gli elem enti anticlericali della nobiltà e della classe d irig en te dei com uni. L’eresia d i U go Speroni, p e r esem pio, resa n o ta solo recen tem en te, grazie alla sco­ p e rta del trattato di Vacarlo10, p io n iere degli studi giu­ ridici in In g h ilterra, e ra il risultato di teorie personali di u n distinto uo m o di legge e console d i Piacenza. In L inguadoca alcuni dei principali nobili d el paese, fami­ glie com e quella di Esclam onde d e Foix vedova di Jo u rd ain de l’Isle J o u rd a in , eran o catari praticanti. In linea generale i p ap i d im o straro n o d i c o m p ren d e­ re l’im portanza di questa sfida all’autorità, assai meglio d i quello che gli H o h en stau fen n o n abbiano fatto nei confronti dello spirito rivoluzionario dei com uni. Essi sep p ero riconoscere quasi fin dall’inizio che il movi­ m ento settario constava d i d u e elem enti dissimili, che richiedevano d u e differenti m etodi di trattam ento. D a u n a p arte vi e ra l’eresia catara o albigese, che n on e ra u n m ovim ento riform ista e n e p p u re u n a form a ete­ rodossa di Cristianesim o: si trattav a piuttosto della ri­ nascita di u n ’antica religione orientale, altrettan to lon­ tan a dal Cristianesim o q u an to e p iù dello stesso Islami­ smo. Per conseguenza il Papato im piegò gli stessi m eto­ di che aveva usato co n tro i m usulm ani: la crociata e l’appello ai principi cristiani p erch é facessero uso della

Textores

10 Pubblicato da P. Hanno da Milano nel 1945, col titolo L’eresia di Ugo Speroni. 271

lo ro potenza in difesa della fede, e appoggiò tali m isure con u n a cam pagna d i intensa azione m issionaria p e r ri­ convertire le regioni contam inate e con la creazione di u n codice di legislazione repressiva che diede origine all’Inquisizione. Q uesti provvedim enti stanno ad indicare l’abb an d o ­ n o radicale della teoria tradizionale, espressa dal d etto di san B ernardo: Tale p resa di posizione fu dovuta, in g ran p arte, all’influsso del rinnovato studio del diritto rom ano. Difatti In n o ­ cenzo III, che nel 1199 eq u ip arò l’eresia al delitto di tra d im en to - cosa che del resto si accordava con la p ras­ si dello stato m edioevale sia in O rien te che in O cciden­ te - , n o n fece altro che uniform arsi al p reced en te d el­ l’antica legislazione civile del «Codice Teodosiano»11. Su questo p u n to Papato e im pero e ra n o d ’accordo: discor­ d avano solo sulla questione del diritto al controllo del p ro cedim ento di repressione. L’organizzazione dell’I n ­ quisizione, da p arte di G regorio IX, nel 1231, fu d e te r­ m in ata dalla rip u g n an za del Papato a lasciare a Federi­ co I I m ano libera nell’applicazione della sua drastica le­ gislazione contro l’eresia. C erto, riesce difficile sep arare questo nuovo atteggia­ m en to della Chiesa di fronte all’eresia, dalla ten d en za dei p ap i del secolo x m ad assum ere u n a responsabilità d ire tta nel controllo di tu tta la società cristiana. Tale ten d en za, dovuta senza dubbio alla g ra n d e lotta con gli im p erato ri H o henstaufen e all’influsso del diritto r o ­ m ano, era, in ultim a analisi, la logica conclusione di quella m edesim a concezione u n ita ria teocratica della

Fides snadenda est non imponendo.

111 Manichei, in particolare, erano sempre stati perseguitati con estrema se­ verità. Secondo il codice di Giustiniano essi incorrevano nella pena di morte, e questa legge risaliva a un tempo anteriore alla conversione dell’impero, preci­ samente a Diocleziano, che ordinò che i capi dei Manichei fossero bruciati e i lo­ ro discepoli decapitati.

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Cristianità, che aveva dato origine al Sacro Rom ano Im pero. Ma in diretto contrasto con lo sviluppo di que­ ste m isure repressive esterne e legali troviam o u n altro m etodo ispirato direttam en te agli ideali spirituali del m ovim ento riform ista, che cercò d i soddisfare alle ri­ vendicazioni d ei m ovim enti dissidenti laici m ettendosi sul loro stesso terren o . Il Papato riconobbe che gli sco­ pi essenziali di questi m ovim enti (soprattutto l’aspira­ zione a u n a vita di povertà e di perfezione evangelica al di fuori della vita claustrale) eran o fondam entalm ente ortodossi e perciò, fin dall’inizio, fece distinzione tra i g ru p p i che rigettavano il sacerdozio e i sacram enti del­ la Chiesa e quelli che desideravano seguire il loro idea­ le rispettando l’ordine gerarchico. Così i Valdesi, prim a della ro ttu ra definitiva con la Chiesa avvenuta nel 1184, avevano avuto nel 1179 l’approvazione, anche se condi­ zionata, del g ran d e p ap a canonista A lessandro III. Ver­ so la stessa epoca gli (un m ovim ento laicale si­ mile a quello d ei Valdesi, diffuso tra gli artigiani e il p o ­ polo di M ilano e nei com uni lom bardi) n o n si separaro­ no m ai com pletam ente dalla Chiesa, m a si divisero in d u e ram i, u no dei quali ricevette l’approvazione p a p a ­ le e continuò a p ro sp erare d u ra n te tu tto il secolo x m e anche nel periodo susseguente.

Umiliati

È in relazione con questi vari m ovim enti, che si deve considerare la fondazione dei Frati m inori. Q uanto alla sua origine, il m ovim ento francescano h a u n a conside­ revole somiglianza con quello valdese. Esso p erò n e dif­ ferisce principalm ente p e r il fatto che il suo fondatore, nella storia del Cristianesim o, fu u n o d ei p iù g randi ge­ ni religiosi, u n uom o della p iù geniale originalità, che esercitò u n a p ro fo n d a influenza sullo spirito della Cri­ stianità e della civiltà occidentale. Esso si distingue an­ cora dagli altri m ovim enti co n tem p o ran ei perché san

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Francesco, fin dall’inizio, si accinse interam en te a soste­ n e re la causa dell’u nità cattolica. È p e r questo che il Pa­ p ato trovò nel nuovo O rd in e u n ausiliare ideale p e r l’e­ vangelizzazione delle nuove classi e delle nuove società ch e si eran o form ate nelle città, al di fuori dei q u ad ri tradizionali della Chiesa feudale. E assai significativo il fatto che l’uom o, il quale si ad o ­ p e rò p iù d ’ogni altro p e r o tten ere il riconoscim ento del nuovo o rd in e e legarlo strettam en te al Papato, sia stato p ro p rio il cardinale U golino di Ostia, il fu tu ro p a p a G regorio IX, l’organizzatore dell’Inquisizione e l’inizia­ to re del g ran d e conflitto con Federico II. E p p u re q u e ­ sto irriducibile ra p p re se n ta n te della teocrazia m ilitante e ra u n devoto am m irato re e u n am ico personale del santo che, nella pratica del suo ideale di vita evangelica basato sull’osservanza letterale della p aro la del Vange­ lo, an d ò assai p iù in là di qualsiasi valdese o p atarino. Sarebbe tuttavia u n e rro re p arlare, com e h o fatto, della prim itiva com unità francescana com e di u n reli­ gioso. N on vi poteva essere niente di p iù estraneo al p en siero di san Francesco dell’intenzione d i fondare u n o rd in e m onastico del tipo tradizionale; ce lo dim ostra il passo d el suo testam ento in cui, d o p o la professione di fede e la p rotesta di attaccam ento alla gerarch ia eccle­ siastica, egli rito rn a an co ra u n a volta sull’origine e sullo scopo del suo m odo di vita.

ordine

«Dipoi che il Signore m’ebbe data la cura dei fratelli, niuno mi mostrava ciò che dovessi fare; ma l’Altissimo rivelommi che si doveva vivere secondo la forma del Santo Vangelo; ed io in pa­ role e semplicemente la feci scrivere, ed il nostro Santo Padre me l’approvò. Quelli che venivano a pigliare questa vita, dava­ no ai poveri ciò che avevano, e stavansi contenti a una tonica rappezzata dentro e fuori, a un cingolo ed ai panni di gamba senza più. Noi chierici dicevamo l’ufficio, i laici dicevano i Pa­

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ternostri. E ci trattenevamo volentieri nelle chiese povere e ab­ bandonate, ed eravamo idioti e servi di tutti. Io lavoravo con le mie proprie mani, e voglio ancora lavora­ re, e che lavorino tutti i frati in qualche onesta opera. Chi non sa, impari, né si faccia per la cupidigia di tirare il prezzo della fa­ tica, ma per dar buon esempio e fuggir l’ozio. Che se non ci è dato il prezzo dell’opera, noi ricorriamo alla mensa del Signore, domandando l’elemosina di porta in porta. Ed Egli medesimo mi rivelò questa maniera di fare il saluto: il Signore ti dia pace.»12

Ciò a cui san Francesco m irava n o n e ra u n nuovo o rd i­ n e religioso e n e p p u re u n a form a qualsiasi di organiz­ zazione ecclesiastica: egli voleva seguire Gesù Cristo e praticare u n a vita che liberasse dalle superfluità della tradizione, dell’organizzazione, della p ro p rie tà e dell’e­ rudizione e che riavesse u n contatto im m ediato e p e r­ sonale con la divina sorgente della vita eterna, come era stata rivelata nel Vangelo. M a come conciliare u n siffat­ to ideale con la vasta e com plessa organizzazione del p o tere ecclesiastico, rap p resen tato d a u n uom o della te m p ra di G regorio IX? Com e si potevano arm onizzare queste sublimi aspirazioni con l’antico patrim onio di cu ltu ra intellettuale e di tradizione sociale, di cui la C ri­ stianità m edioevale era erede? E ra impossibile. Difatti, la regola prim itiva n o n fu applicata. I Frati m inori d i­ ven n ero u n ord in e religioso, differente sì, quanto a for­ m a e a spirito, dagli o rd in i già istituiti, m a ugualm ente integrato nella organizzazione ecclesiastica; i frati laici e illetterati della tradizione prim itiva si trasform arono in u n o dei p iù g randi o rd in i dediti agli studi, che p re d o ­ m in aro n o nelle università e furono rinom ati com e filo­ sofi e uom ini di scienza. N onostante questa trasform azione, lo spirito di san

12 Opuscolo S. P. Francisci, 76-82, trad. Guasti.

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Francesco divenne u n a forza creatrice nella vita del suo tem po, e la le tte ra tu ra e l’a rte dovettero alla sua ispirazione p iù che no n a qualsiasi letterato e d o tto della stessa epoca. M algrado il cam biam ento nel carat­ tere dell’«Ordine», ci fu ro n o sem pre dei seguaci che rim asero fedeli allo spirito del loro fon d ato re e alla prim itiva osservanza, uom ini com e frate L eone e frate Egidio, i quali erano vissuti col santo fin dall’inizio ed e ra n o testim oni di ciò che avevano visto coi loro p ro ­ p ri occhi. A questo g ru p p o e ai lo ro successori in To­ scana e nella M arca d ’A ncona siamo debitori della m aggior p arte di quella im p o n en te massa di tradizioni (sia storiche che leggendarie) in cui ci sono stati con­ servati l’im m agine di san Francesco e lo spirito della fratern ità prim itiva. D ’altra parte, essendo i Francesca­ ni diventati u n O rd in e religioso e venend o inscritti n ell’organizzazione ecclesiastica ufficiale, anche p e r questa via p o tero n o esercitare il loro influsso sulla reli­ gione e la civiltà m edioevale. Sotto questo aspetto l’organizzazione dell’o rd in e è stata in gran p a rte ricalcata sul m odello d ell’altro g ra n ­ d e O rd in e m endicante: quello dei D om enicani, fo n d a­ to nello stesso perio d o e adottato dal Papato, quale nuovo e p otente o rgano della Chiesa m ilitante. M a q u an to a carattere e a scopi, n o n vi p u ò essere nien te di p iù diverso dei due fondatori. San D om enico, d edican­ d o la sua vita a com battere il m ovim ento eretico in A ra­ g o n a e in Linguadoca, sentì il bisogno di u n a nuova o r­ ganizzazione, p iù flessibile e m eglio p re p a ra ta degli a n ­ tichi o rd in i religiosi: u n ’organizzazione che potesse consacrare tu tte le sue energie alla lotta contro l’eresia p e r mezzo della predicazione, con u n ’intensa p re p a ra ­ zione intellettuale di m aestri qualificati. I n ciò gli scopi di san D om enico eran o simili a quelli che, tre secoli più tard i, si p ro p o rrà il fo n d ato re dei G esuiti e, com e que-

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st’ultim o, egli fu so p rattu tto u n organizzatore e u n tra ­ scinatore di uom ini che intese creare u n o strum ento p erfetto p e r servire la Chiesa. Tale e ra p u re l’intento del cardinale U golino rig u a rd o ai Francescani, ed è possibile che egli accarezzasse l’idea di u n a fusione dei d u e m ovim enti, q u an d o p ro cu rò 1’incontro dei d u e fo n d ato ri a R om a n el 121813. N atu ralm en te nessu n p ro g etto di questo genere era possibile conciliare con le p iù p ro fo n d e convinzioni di san Francesco; tuttavia l’influsso dell’au to rità e la forza delle circostanze finirono p e r p ro d u rre u n a certa assi­ m ilazione tra i d u e o rd in i. I D om enicani accettarono il principio francescano della p o vertà corporativa14 e fu­ ro n o conosciuti com e Frati anziché com e C anonici15. In com penso i Francescani ad o ttaro n o l’ideale dom enica­ n o di u n o rd in e che si dedica agli studi, e così condivi­ sero coi D om enicani l’attività intellettuale e insiem e ad essi p artecip aro n o alla vita delle università medioevali. Ciò nonostante, ciascun o rd in e conservò la sua p ro ­ p ria fisionom ia spirituale. I D om enicani rim asero co­ stantem ente dediti al lo ro ideale prim itivo, che era l’in ­ segnam ento (O rd in e dei Predicatori) e i Francescani delle d u e osservanze restaro n o fedeli alla loro missione originaria, quali p red icato ri po p o lari delle verità cri­ stiane elem entari ed essenziali. P u r tuttavia i d u e O rd i­ n i gareggiarono a vicenda nella loro attività universita­ ria e nella vita delle città m edioevali, com e si p u ò vede­ re p e r esem pio nel m ovim ento organizzato nel 1230

13 Cfr. Thoma De Celano, Vita Secunda, Roma 1880, c. 86-87, pp. 212-217; Speculum perfectimis (trad. di F. Tirinnanzi), Firenze 1935, c. 43, pp. 76-77. 14La povertà corporativa è la caratteristica degli ordini mendicanti. Essa com­ pleta la povertà individuale e comporta la incapacità di possedere anche come corpo sociale [N.d.T.]. 15 San Domenico era egli stesso un canonico regolare, e la regola domenica­ na era basata su quella di sant’Agostino e dei Premonstratensi, chiamati «i cano­ nici bianchi».

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con lo scopo di p o r term in e alla lotta delle fazioni nelle città italiane, m ovim ento che fu conosciuto col nom e di G ran d e Alleluia. I Francescani, usando poesia e canti nella loro p re d i­ cazione al popolo, esercitarono u n grandissim o influsso sulla letteratu ra popolare. Q uesta pratica e ra stata ini­ ziata dallo stesso san Francesco col suo g ra n d e e p iù tard i, alla fine d el secolo x m , essa trovò la sua più insigne espressione nelle di Fra’ Iacop o n e da Todi, il poeta del m ovim ento degli «Spirituali». I D om enicani però, nel secolo xiv, furono gli ispiratori della grande co rren te del misticismo tedesco, che ebbe i suoi centri nei p rio rati e nei m onasteri fem m inili del­ la R enania e della Svizzera e che produsse tu tta u n ’elet­ ta schiera di scrittori mistici e di autori di libri spiritua­ li: E ckhart, Tauler, Suso, M argherita e C ristina E bner e le religiose di U n terlin d en , di Tòss e di Engeltal. I d u e O rd in i collaborarono anche nell’attività missio­ naria, che com incia con la missione di san Francesco in Egitto presso il sultano E1 Kamil, nel 1219, e culm ina con l’erezione dell’arcivescovado cattolico a Pechino (o Cambaluc) nel 1305. Tuttavia il contributo francescano in questo cam po fu assai più cospicuo, sia p e r l’origina­ lità personale dei suoi rap p resen tan ti (come san F ran­ cesco stesso e R aim ondo Lullo), sia p e r la p o rta ta delle sue im prese. I lunghi viaggi dei Frati, la cui im p o rtan ­ za n o n è inferiore a quella dei viaggi di C ristoforo Co­ lom bo e di Vasco d a G am a, stanno a indicare il risveglio della coscienza e u ro p e a e, p e r le conoscenze geografi­ che, segnano il term ine delLEtò Mi p are che in tu tta la storia della civiltà m edioevale esistano pochi docum enti così im p o rtan ti com e le rela­ zioni dei viaggi di G iovanni da Pian del C arp in e (Peru­ gia) nel 1246-1247 e d i Guglielm o di R ubrouck nel 1253-1254 attraverso tu tta l’Asia centrale fino alla corte

Frate Sole

Cantico di

Laudi

oscura.

278

del G ran K han nella M ongolia in te rn a 16. In esse noi as­ sistiamo all’incontro di d u e m ondi che n o n si conosco­ no e che, venendosi a tro v are di fro n te p e r la p rim a vol­ ta, sono incapaci di co m p ren d ere l’u n o il linguaggio dell’altro, ra p p re se n ta n d o essi i poli opposti dell’espe­ rienza um ana. L a C ristianità occidentale n o n avrebbe p o tu to trova­ re u n ra p p re se n ta n te m igliore di G iovanni d a Pian del C arpine, di questo com pagno di san Francesco, che viaggiò alla m an iera apostolica, con «fame, fred d o e n u ­ dità», attraverso desolate co n trad e del m ondo, ove, com ’egli lasciò scritto, le sole tracce di vita eran o le ossa dei m orti e le rovine di città d istrutte. Egli si recò in quelle lontanissim e regioni p e r p o rta re al successore di Gengis K han le lettere del p apa, che lo pregava di far cessare il m assacro dei popoli indifesi dell’E u ro p a cen­ trale. L a risposta scritta in persiano e in tu rco e m unita del sigillo m ongolo, che G iovanni d a Pian del C arpine rip o rtò , fu scoperta oltre sessant’an n i fa nell’archivio vaticano d a M. Pelliot, e d è v eram en te u n docum ento assai curioso17. Q uesto è u n esem pio del m odo con cui il Papato si serviva dei Frati m inori, com e agenti p ersonali ed em is­ sari, p e r gli affari della C ristianità. A p a rtire dal pontifi­ cato d i G regorio IX in poi le relazioni tra il Papato e i Frati m endicanti si fecero sem pre p iù strette, fino al giorno in cui i d u e g ran d i o rd in i arriv aro n o a form are un disciplinato sotto il controllo d iretto del Papato. U na organizzazione internazionale di questo genere, n on vincolata d a obblighi territo riali locali e d a

corps d’élite

16 Cfr. Chr. Dawson, The Mongol Mission, London 1955, pp. 5-72 e 89-220. Il testo in A. van den Wyngaert, Sinica Franciscana, voi. I: Ìlinera et Relationes Fratrum Minorum saec. xm et xiv, Quaracchi 1929. 17 M. Pelliot, Les Mongols et la Papauté, in Revue de l'Orient Chrétien, 1922-1923; cfr. anche Chr. Dawson, The Mongol Mission, cit., pp. 85-86.

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interessi privati, e ra sem pre stata sentita com e u n biso­ g n o p e r il Papato riform ato. Perciò, si p u ò d ire che la creazione degli o rd in i m endicanti, insiem e alla fo n d a­ zione delle università, segna l’apogeo del m ovim ento verso l’u n ità internazionale ed extra-politica che costi­ tuiva l’ideale della C ristianità m edioevale. M a sfortunatam ente era tro p p o tardi: il g ran d e p e ­ rio d o riform ista e ra passato e i papi, che m aggiorm en­ te favorirono e m eglio si servirono dei Frati m endican­ ti, eran o uom ini n o n del tipo di G regorio V II o di san B ern ard o , m a abili giuristi e uom ini di stato com e G re­ gorio IX, Innocenzo IV e M artino IV, i quali si trovava­ n o im pegnati nel g ra n d e conflitto politico con gli H ohenstaufen e nell’im barazzante e funesta alleanza con gli Angiò. Di qui derivò che la vocazione profetica ed evangeli­ ca dei prim i Frati v en n e subordinata alle esigenze della politica ecclesiastica. Q uesto fatto produsse nel movi­ m en to di riform a u n a frattu ra, dalla quale la Cristianità m edioevale n o n si p o tè più riavere. Il Papato uscì b e n ­ sì vittorioso dalla lotta con gli H ohenstaufen, m a a spe­ se di u n a seria dim inuzione del suo prestigio m orale. N el secolo seguente, la Santa Sede n o n ebbe p iù quella suprem azia universale che e ra stata esercitata d a In n o ­ cenzo III; so p rattu tto essa p e rd e tte la direzione del m ovim ento di riform a. I riform atori del ta rd o M edioe­ vo furono in prevalenza o di spirito antipapale, come i «Francescani spirituali» e Wycliff, o sostenitori del p o te­ re secolare, com e G uglielm o d ’O ckham e Marsilio di Padova. Q uesta tragica crisi dello spirito m edioevale si riflette nella p iù g rande o p e ra letteraria del tem po: la di D ante. In nessuna o p e ra è d ato di trovare u n a p iù perfetta espressione della forza e dello splen­ d o re di quello che la cu ltu ra m edioevale h a saputo

Commedia

280

Divina

creare. Nella sua visione onnicom prensiva e nel suo giudizio essa spazia dal Cielo all’In fern o e abbraccia tu tta l’erudizione, la sapienza, la sofferenza e l’aggressi­ vità dell’uom o m edioevale. Ma questo capolavoro è, nello stesso tem po, il p iù terribile atto d ’accusa contro la Chiesa m edioevale. L a grandiosa sfilata apocalittica degli ultim i canti del Purgatorio, p iù che la concezione ortodossa della teocrazia papale, che era l’ideale di Egi­ dio R om ano e dello stesso san Tommaso, esprim e la cri­ tica rivoluzionaria degli «Spirituali Francescani» e dei G ioachim iti18. La crisi del m ovim ento riform ista e il declino della forza unificatrice della cu ltu ra m edioevale trovano espressione in d u e g ran d i catastrofi esterne contem po­ ran ee a D ante: la fine degli stati latini d ’O riente, fonda­ ti dai crociati, e la soppressione del g ran d e O rd in e m i­ litare dei Tem plari. Il p rim o dei d u e avvenim enti fu il risultato inevitabile della secolarizzazione e d el discre­ dito gettato sull’ideale crociato, rid o tto orm ai ad arm a politica contro stati cristiani com e l’im pero e il regno d ’A ragona. La distruzione dei T em plari poi, p e rp e tra ta d a Filippo IV il Bello, faceva p arte d ’u n pian o di lotta contro il prestigio e l’in d ip en d en za del Papato (che si prestò a p ro ced ere contro la m em oria d i Bonifacio V ili e a riabilitare il re d i Francia) e rap p resen tò u n av­ venim ento di g ran lu n g a p iù grave, poiché segnò la

18 La stessa critica rivoluzionaria la si trova, due generazioni più tardi, ma espressa in un modo assai diverso, nel poeta inglese William Langland. Nono­ stante la sua amara ostilità verso i Frati, il suo poema è tutto impregnato delle idee e degli ideali degli «Spirituali Francescani».[Gli «Spirituali Francescani» erano una minoranza estremista del grande Ordine, la quale voleva la «stretta osservanza» della regola e, in particolare, della povertà, secondo l’esempio di san Francesco. Le tendenze separatiste, che miravano a formare una famiglia indipendente dall’ordine, le idee contro la scienza, specie profana e il fanatico fervore per le idee gioachimite (che risalivano a Gioachino da Fiore [c. 11301202] e al suo «Vangelo eterno» (e alla «Chiesa Spirituale») indussero i papi a procedert contro di loro (N.d.T.)].

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com pleta vittoria del p o tere tem porale della nuova m o­ n arch ia sui fattori internazionali della società m edioe­ vale. L’im po n en te stru ttu ra della C ristianità m edioeva­ le, che era stata e re tta dall’idealism o del partito rifor­ m ato re, la potenza organizzatrice del Papato e la d ed i­ zione degli o rd in i religiosi si rivelarono incapaci di resi­ stere all’attacco risoluto di pochi funzionari senza scrupoli com e G uglielm o de N og aret e P ierre Flotte, servitori della nuova m onarchia, i quali sepp ero sfrut­ tare in u n m odo spietatam ente totalitario le nuove tec­ niche del potere. C he u n siffatto crollo si sia p o tu to p ro ­ d u rre , sta a d im ostrare che la civiltà m edioevale subiva il travaglio di u n cam biam ento rivoluzionario. Difatti la seconda m età del secolo x m , che d a m olti p u n ti di vista sem bra rap p resen ti il culm ine della civiltà m edioevale, in realtà è u n perio d o di crisi e segna u n a svolta nella storia. Per tre secoli lo sviluppo dell’O ccidente eu ro p eo aveva seguito u n a direttiva centripeta, che lo portava verso l’u n io n e della C ristianità e la creazione di u n a sin­ tesi intellettuale e spirituale; dalla seconda m età del se­ colo x m questo m ovim ento s’invertì e d ebbe inizio u n o sprigionam ento di forze centrifughe che con tin u aro n o a o p e ra re d u ra n te tu tto il resto del M edioevo, fino a culm inare nella divisione religiosa e nelle trasform azio­ ni sociali del secolo xvi. Tale evoluzione, tuttavia, n o n fu in te ra m e n te d e te r­ m in ata dalle forze in te rn e della civiltà occidentale, p oi­ ché, nello stesso tem po, nell’Asia occidentale si stava ef­ fettu an d o u n a serie di cam biam enti che finirono p e r p ro d u rre u n o spostam ento generale dell’asse della ci­ viltà m ondiale. In q u est’epoca la reg io n e situata tra il M ed iterraneo e l’altopiano iranico, che p e r qu attro mil­ len n i era stata centro m ondiale di civiltà, p erd ette la sua posizione di guida culturale e divenne stazionaria e d ecadente. Fino a questo m om ento l’E u ro p a aveva 282

g u ard ato verso G erusalem m e, Bisanzio e «Babilonia» (cioè II Cairo) come ai cen tri più im p o rtan ti del m ondo, e l’uom o occidentale si e ra considerato allievo e im ita­ to re di civiltà p iù antiche, p iù ricche e m aggiorm ente p ro g red ite; adesso invece, p e r la p rim a volta, l’E uropa si vede costretta a inoltrarsi p e r vie n on anco ra battute e a proporsi nuove m ete; m a nello stesso tem po essa p re n d e coscienza delle p ro p rie forze, critica le tradizio­ ni com unem ente accettate e si sente m a tu ra p e r affron­ tare nuovi rischi.

Capitolo XII LA R E L IG IO N E MEDIOEVALE E LA CULTURA POPOLARE L’età di D ante e di Filippo il Bello, che vide il trasferi­ m en to del Papato ad Avignone e l’insuccesso dell’im pe­ ra to re Enrico V II nel disperato tentativo di riafferm are i diritti del Sacro R om ano Im p ero , segna il term ine del­ l’evoluzione m edioevale. L’ultim o p erio d o del M edioe­ vo a p re u n nuovo capitolo nella storia dell’O ccidente. Q uesta è l’epoca in cui l’uom o occidentale, con passo incerto ed esitante, si accinge alla g ran d e avventura della scoperta di u n m o ndo nuovo: n o n solo la scoper­ ta d i nuovi oceani e continenti, m a la scoperta della n a­ tu ra e dello stesso uom o, quale coronam ento e capola­ voro del creato. Però, nell’allargare così le sue conoscenze, l’uom o oc­ cidentale n o n abbandonò deliberatam ente gli ideali spirituali e la fede religiosa, che eran o stati le forze d o ­ m inanti della civiltà m edioevale. Q u an d o egli cominciò il nuovo viaggio, il suo anim o e ra ancora dom inato d a­ gli ideali del M edioevo e stava cercando nuove vie p er la loro realizzazione. L o si p uò vedere in diversi settori della vita. L’espan­ sione esterna della civiltà m edioevale p e r mezzo delle esplorazioni e delle scoperte, p e r esem pio, è direttam en te collegata con i p rim i movim enti, aventi carattere di crociata, dovuti al p rincipe Enrico il N avigatore, che concepì il suo p ro g ram m a di esplorazione in accordo coi suoi ideali religiosi. Nello stesso m odo, com e già dissi in precedenza, le o rig ini della scienza m o d ern a, nell’ultim o periodo del

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M edioevo, risalgono no n agli averroisti di Padova, ma ai discepoli d i R oger Bacon e a G uglielm o d ’O ckham , i quali consideravano la fede religiosa com e la sorgente su p rem a del vero sapere. Nello studio della civiltà m e­ dioevale è necessario rico rd are che le form e più elevate della cultura e del pensiero politico, su cui l’attenzione degli storici ten d e sem pre a concentrarsi, ra p p re se n ta ­ n o u n a ben piccola p a rte del q u a d ro totale. L’attività creatrice della religione o p e ra n el m odo più intenso p ro p rio là ove essa è m eno d o cu m en tata e d è più diffi­ cile osservarla, cioè nell’anim o delle masse e nelle tra d i­ zioni del popolo. E così che, nei secoli xiv e xv, q u an d o i d o tti erano intenti a far rivivere il sapere e gli uom ini di stato stavano trasform ando l’o rd in e della Cristianità in u n nuovo sistema politico, l’anim o del popolo rim a­ neva ancora im m erso nell’atm osfera religiosa del passa­ to m edioevale. Possediam o u n docum ento prezioso e quasi unico di qu esta cultura popolare nel prim o g ra n d e poem a in lin g u a inglese, il d i W illiam Langland. B enché L angland fosse u n uom o istruito e anche colto, n o n rap p re se n ta la tradizione e la cu ltu ra di corte, né quella delle scuole. La sua è la voce che viene dal basso popolo, del quale p arla il linguaggio, di cui usa le im ­ m agini e di cui condivide gli ideali. Il suo poem a sem ­ b ra stia a dim ostrare come i p rincipi fondam entali del­ la religione m edioevale, nella fase del suo m aggior splendore, siano stati assimilati e in co rp o rati dalla cul­ tu ra in volgare del basso popolo in m odo p iù perfetto di q u anto n o n lo siano stati dalla cu ltu ra p iù elevata e p iù letteraria, della della Chiesa e dello stato. In n an zitu tto L angland ra p p re se n ta il m ovim ento spirituale di riform a, che e ra stato p e r tan to tem po il m otivo ispiratore della religione m edioevale e che, in

Piers Plowman

élite

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seguito, dagli o rd in i m onastici e dai Frati m endicanti era passato al laicato. I n secondo luogo l’ideale di riform a n o n è p iù con­ cepito in term ini di organizzazione e di governo eccle­ siastico, m a come u n nuovo m odo d i vita, alla m aniera di san Francesco, e vi è la stessa insistenza sull’ideale francescano di p overtà e d i com passione p e r il povero anche se, agli occhi di L an g lan d , i Frati n o n sono più i veri rap p resen tan ti di questi ideali. «E sotto l’abito d’un povero e l’aspetto d’un pellegrino, Molte volte si è incontrato Dio, tra la povera gente... E sotto il saio d’un frate lo si vide una volta, Ma molto tempo fa, ai tempi di san Francesco.»1

E L an g lan d n o n è m en o francescano nel m odo con cui cerca di p o rta re la vita di C risto e i p iù alti m isteri della fede in diretto contatto col m o n d o della vita quotidia­ na. Anzi, in questo senso egli va p iù in là dello stesso san Francesco, poiché il suo realism o n o n è p iù sublim ato dall’idealism o rom antico della tradizione «cortese», m a esprim e con cru d a e am ara im m ediatezza le tristi realtà della vita ordinaria. L an g lan d ra p p re se n ta u n a tra d i­ zione più antica di quella dei trovadori. N on ap p artie­ ne alla società «cortese» e al m o n d o in n am o rato di ro ­ m anticism o orientale e di canzoni provenzali, m a a u n m o n d o p iù vecchio che conserva ancora le tradizioni di cu ltu ra locale; p e r questo resta attaccato alle antiche n o rm e di allitterazione del verso eroico anglosassone. Egli sem bra a u n tem po p iù arcaico e p iù m o d ern o dei suoi g ran d i contem poranei, p e r esem pio di Chaucer. Il suo severo ascetismo m orale n o n h a nien te in com une con lo spirito del e del ma

Roman de la Rose

1 B, XV, 202-3, 225-6.

Decamerone,

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p rean n u n zia piuttosto B unyan2 o ricorda il Poem a Mo­ rale e le om elie anglosassoni. E tuttavia l’o p era di L angland riuscì a in co rp o rare tu tti gli elem enti vitali della tradizione religiosa m e­ dioevale che eran o stati trasm essi alla cu ltu ra popolare dalla predicazione in volgare dei Frati, e li seppe am al­ gam are in u n a così viva u nità di religione e cultura, co­ m e le classi p iù e ru d ite e più colte n o n e ra n o state ca­ paci di creare. Il dualism o fondam entale del pensiero cristiano si e ra espresso, d u ra n te l’Alto M edioevo, nell’ideale m o­ nastico dell’aldilà, e in u n conflitto senza soluzione fra tradizioni p agane della società g u e rrie ra barbarica e ideali cristiani di pace e di am ore fraterno. Abbiamo visto il g ra n d e sforzo com piuto dal movi­ m en to di riform a p e r subo rd in are il M ondo alla C hie­ sa, rivendicando il prim ato del p o tere spirituale, at­ tu an d o la riform a canonica e servendosi delle crociate. Tale eroico sforzo si arrestò verso la fine del secolo x m , cosicché al term in e del M edioevo si vide riap p arire l’antico dualism o sociale sotto u n a nuova form a, nel conflitto tra la Chiesa e il nuovo stato sovrano che d o ­ veva definitivam ente d istruggere l’u n ità della Cristia­ nità occidentale. Q uesto conflitto n o n fu in alcun m odo risolto dalla Riform a, perché continuò a farsi sentire p iù violento che mai, tan to in seno alla C ristianità, divi­ sa nelle nuove confessioni, quanto nei nuovi stati nazio­ nali sovrani. M a nella visione di L angland possiam o scorgere anche se solo p e r u n istante e alla luce d ell’ispirazione

2 John Bunyan (1628-1688), puritano e infaticabile predicatore. È autore di vari scritti, ma rimane celebre per la sua grande e potente opera allegorica: The Pilgrim’s Progress, in cui, travestendo la sua intima esperienza e le sue indagini sociologiche, traccia al pellegrino (al cristiano) la via della salvezza. L’opera è tradotta in quasi tutte le lingue europee [JV.d.X].

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poetica e profetica - com e questo dualism o avrebbe p o ­ tu to esser superato e dom inato. L a sua visione della vi­ ta e la sua gerarchia dei valori n o n sono m eno u ltrater­ re n i di quelli dei p iù autentici asceti della prim itiva tra ­ dizione medioevale. M a n o n si tra tta p iù di fuggire nel d eserto o di ritirarsi nel chiostro. Per L an g lan d l’aldilà è sem pre im m ediatam ente p resen te in tu tti gli aspetti delle relazioni um an e, e la vita q u o tid ian a di ognuno è intimamente legata a quella della Chiesa. O gni condizione di vita in seno alla C ristianità è u n a vita cristiana nel senso p iù pieno, u n p ro lu n g am en to e u n a im itazione della vita d i Cristo sulla terra. E l’ordine so p ran n atu rale della grazia è basato e radicato nell’o r­ d in e n atu rale e nella vita com une d ell’um anità. «Bella [la grazia] come la rosa - che è rossa e profumata Spunta da una radice rugosa - e l’incolto roseto di macchia Germoglia e prospera - e il profumiere la ricerca. Così l’Ottimo dal Bene - e dal Meglio germoglia.»3 «La gente sposata e fedele - è in questo mondo il Bene, Perché deve lavorare e guadagnare con fatica - e il mondo sostenere, Perché da essa provengono coloro - che son chiamati confessori, Re e cavalieri - imperatori e villani Vergini e martiri: - tutti provengono dall’uomo.»4

N ell’o p era di L angland n o n vi è posto p e r alcun duali­ sm o sociale o conflitto politico tra Chiesa e stato. Egli resta fedele alla concezione fondam entale del M edioe­ vo di u n a sola società, i cui m em bri sono differenziati unicam ente dalla condizione sociale e dall’autorità, m a

3 A, X, 119-123. 4 B, IX, 107-111.

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che sono tutti ugualmente figli di uno stesso Padre e servitori di un medesimo padrone. «Perché siamo tutti creature di Cristo - e ricchi dei suoi tesori. E fratelli di uno stesso sangue - sia i mendicanti che i conti. Perché sul Calvario dal sangue di Cristo - è scaturita la crisdanità. E là diventammo fratelli di sangue - riscattati da un solo corpo, Come quasim odo g e n iti - e ciascuno è un gentiluomo. Né mendicante, né servo vi è fra di noi - a meno che tale lo renda il peccato.»5

Il p o em a di L angland è l’ultim a e, p e r certi aspetti, la p iù intransigente espressione della concezione m edioe­ vale che unisce religione e cultura. L’a u to re h a saputo co m p ren d ere, assai m eglio dei poeti e p iù p ro fo n d a­ m en te dei filosofi, che la religione n o n e ra soltanto u n m o d o particolare di vita, m a il senso di ogni vita e che l’am o re divino, che è «la guida degli eletti del Signore nel Cielo», è anche la legge della vita sulla terra. «Perché [questo amore] il Cielo non lo potè contenere, tanto ne era strapieno Che si riversò a riempire la terra. E quando Egli ebbe preso di questo gregge la carne e il sangue Non ci fu mai foglia di tiglio di lui più leggera, Non punta di ago più tenue e più penetrante, Cosicché nessuna armatura e nessun alto bastione lo potè arrestare.»6 «Perciò queste parole sono scritte nel Vangelo:8

8 B, XI, 192-197. 6 B, I, 151-156.

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Domandate e riceverete, perché Io dò ogni cosa, E questa è la chiave dell’amore che dischiude la mia grazia Per conforto degli afflitti oppressi dal peccato.»7

Q uesta visione della Cristianità, come o p e ra dell’am o­ re, è im personata nella g ran d e e centrale fig u ra di che ra p p re se n ta tre aspetti dell’um anità. D ap­ p rim a egli a p p a re come uom o, il figlio della n atu ra, il contadino che sostenta il m o n d o con la sua fatica. Poi egli è il Figlio dell’uo m o e il Figlio di Dio che salva il m o n d o con il suo sangue,

Plowman

Piers

«Colui che viene con una croce davanti al basso popolo Simile in tutti i suoi tratti a Nostro Signore Gesù».

In fin e egli raffigura la Chiesa, la nuova u m an ità spiri­ tuale, consacrata e illum inata dallo Spirito Santo, che h a p e r missione di p roseguire il lavoro di u n ità e di sal­ vezza. Il simbolismo del poem a induce inevitabilm ente L angland a ra p p re se n ta re la vita u m an a in arm onia con il m odello della te rra e a sim boleggiarla sotto form a di u n lavoro di a ra tu ra e di messe spirituali. In questo egli si ravvicina alle im m agini d el Vangelo e alle parole di san Paolo: «Siamo collaboratori di Dio. Voi siete la coltivazione d i Dio, voi siete l’edificio di Dio» o, p e r u sa­ re le parole della V ulgata, che gli sono così familiari:

agricoltura estis.

Dei

I n questa im m agine L an g lan d trova u n a risposta al­ le questioni che dividevano gli anim i n el m ondo m e­ dioevale e che distruggevano l’u n ità della Cristianità. Dalla radice della n a tu ra sbocciano il fiore inatteso e so rp ren d en te della grazia e i fru tti dello Spirito, che so-

7 E, I, 198-201.

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n o la vita eterna. Il Cristianesim o è o p e ra d ’am ore, alla quale ogni uom o è chiam ato in conform ità ai suoi doni personali e alla sua vocazione sociale, e la Chiesa è la co­ m u n ità dell’am ore, la casa dell’u n ità ove si raccoglie la m esse dell’um anità. «Ed Egli chiamò questa Casa Unità, che è la Santa Chiesa.»8

L an g land scriveva in u n tem po di p ro fo n d a desolazio­ ne, nel m om ento più violento della g u e rra dei C ent’a n ­ ni, alla vigilia del G rande Scisma d ’O ccidente, q u an d o le g ran d i speranze del m ovim ento riform ista sem brava­ n o o rm ai abbandonate, e allorché si poteva dire, com ’e­ gli scriveva: «Adesso sembra vero, agli occhi del mondo Che la parola di Dio non è efficace, né sul dotto, né sull’ignorante, Ma [che succeda] in tal modo come Marco ammonisce nel suo Vangelo: Se il cieco conduce il cieco, entrambi cadranno nella fossa»9.

E tuttavia il poem a di L angland è, p e r se stesso, u n a p ro v a che n o n tutto e ra p e rd u to , che la fatica di sette­ cento anni n o n era stata vana. Se i b arb ari dell’Occi­ d e n te avevano im parato a concepire siffatti pensieri e a p a rla re u n tale linguaggio, ciò dim ostra che u n a nuova civiltà cristiana era stata generata, e che essa n o n e ra il risultato d ’u n ideale estraneo im posto dall’esterno, bensì l’eredità com une dell’uom o occidentale. C he cosa abbiam o fatto di questa eredità? Per lo m eno l’abbiam o ricevuta. Essa è diventata p a r­

8 B, XIX, 325. 9 B, X, 274-276.

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te della nostra carne e del nostro sangue e del p atrim o­ nio della nostra lingua. L’im portanza di questi secoli, di cui h o tracciato la storia, non deve esser giudicata in base all’o rd in e ester­ no d a essi creato o che cercarono di creare, m a consi­ d e ra n d o la trasform azione in te rn a ch’essi o p eraro n o nell’anim a dell’uom o occidentale, che n o n p o trà mai essere interam ente an n u llata se n o n dalla negazione to­ tale e dalla distruzione dell’uom o occidentale stesso. Se vi è qualche verità in ciò che h o detto, essa sta ap ­ p u n to in questa constatazione: i m om enti di fusione vi­ tale tra u n a religione vissuta e u n a civiltà o p eran te co­ stituiscono gli eventi creatori della storia, a confronto dei quali tu tto ciò che è realizzazione esterna, tanto nel­ l’o rd in e politico q uanto in quello econom ico, è transito­ rio e insignificante.

SOMMARIO

I n tro d u zio n e d i

Serenella Carmo Feliciani

5

C A PITO L O I

Importanza dell’evoluzione occidentale

15

C A PITO L O II

Le origini religiose della civiltà occidentale: la Chiesa e i barbari

35

C A PITO L O III

I monaci d’Occidente e la formazione della tradizione occidentale

59

C A PITO L O IV

I barbari e la regalità cristiana c a p it o l o

89

v

II ritorno dell’Età oscura e la conversione del Nord

111

c a pit o l o v i La tradizione bizantina e la conversione dell’Europa orientale

133

v ii La riforma della Chiesa nel secolo XI e il Papato medioevale

157

c a p it o l o

CA PITO LO V ili

Il m ondo feudale: la cavalleria e lo spirito «cortese»

183

C A PITO LO IX

La città medioevale: com une e gilda

209

CAPITOLO X La città medioevale: scuole e università

235

CAPITOLO XI La crisi religiosa della civiltà medioevale: il secolo XIII

259

CAPITOLO XII La religione medioevale e la cultura popolare

285

BUR Periodico settimanale: 29 agosto 2002 Direttore responsabile: Evaldo Violo Registr. Trib. di Milano n. 68 del l°-3-74 Spedizione in abbonamento postale TR edit. Aut. N. 51804 del 30-7-46 della Direzione PP.TT. di Milano Finito di stampare nell’agosto 2002 presso SELECTA - via Quintiliano, 2/4 - Milano Printed in Italy

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