La cura del mondo. Paura e responsabilità nell'età globale [80 ed.] 9788833920139

Se il mondo è un insieme plurale di esseri singolari - come scandisce una nota formula filosofica -, un'etica all&#

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La cura del mondo. Paura e responsabilità nell'età globale [80 ed.]
 9788833920139

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Elena Pulcini

La cura del mondo Paura e responsabilità nell'età globale

Bollati Boringhieri

Prima edizione settembre 2009

© 2009 Bollati Boringhieri editore s.r.l., Torino, corso Vittorio Emanuele II, 86 I diritti di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento tota­ le o parziale con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati Stampato in Italia dalla Litografia EST di Settimo Torinese (To) ISBN

978-88-339-2013-9

Schema grafico della copertina di Pierluigi Cerri www .

bollatiboringhieri.it

Indice

Introduzione

7

L'ambivalenza della globalizzazione

Unificazione globale e frammentazione locale, 7 20 Ossessione dell'Io e ossessione del Noi, I I 30 Assenza di pathos ed eccesso di pathos, 15 40 Pe r un soggetto relazionale, 17 I

25

o

Ringraziamenti

La cura del mondo

Parte prima Jr

I

Patologie dell'età globale: individualismo illimitato, comunitarismo endogamico

L'individualismo illimitato

o

I. Prometeo e Narciso, 31 20 Tra illimitatezza e insicurezza: l'Io spettatore, consumatore, creatore, 42

6o

2o

Il comunitarismo endogamico 1 Il bisogno di comunità nella modernità, 6o 2 Il bisogno di comwùtà nell'età globale, 75 30 Lotte per il riconoscimento: identità e differenza, 89 40 Comunità immunitaxie, 97 o

o

Parte seconda rr5

I

o

Pa tologie del sentire: metamorfosi della paura in età globale

Modernità e paura 1. Un a passione auspicabile, 115 pro duttiva 128 ,

2o

PaUia reciproca,

I I9

3 Paura o

6 IJr

Indice 2.

La società del rischio. Dalla paura all'angoscia? 1. Difronte ai rischi globali, 131 angoscia, paura globale, 146

r53

2.

La paura dell'altro, 14 3

3· Paura,

3· Spettatori e vittime: tra diniego e proiezione

1. Rischi globali e assenza di paura, 15 3 2. Diniego e autoinganno, 162 e vittime, 170 4· Proiezione della paura e inefficacia del capro espiatorio, 174

3· Spettatori

Parte terza r8 7

1.

220

2.

263

293

Responsabilità e cura del mondo

Attori: reimparare ad avere paura r. U manità vulnerabile, 187 2. Un'«angoscia amante»: paura e imma­ ginazione, 195 3· Dalla paura dell'altro alla contaminazione: v er so il riconos cimento solidale, 206

Dalla paura alla cura 1. Responsabilità per, 220 2. La «responsabilità per» e il soggetto vul­ nerabile, 232 3· Vulnerabilità globale, 243 4· Re sponsabilità come cura, 251

3· Un mondo in comune x.

Creare

un

mondo, 263

Indice dei nomi

2. Mondi plurali, 277

Introduzione L'ambivalenza della globalizzazione

Amor mundi -

I.

Unificazione globale

perché è cosi difficile amare il mondo? Hannah Arendt, Diari, marzo 1955

e frammentazione locale

Sono ormai molteplici le definizioni e le metafore usate per descri­ vere quel processo inedito e sfugge nt e che chiamiamo «globaliunione». Ciò che vorrei qui proporre, attingendo al lessico di Marcel Mauss, è di considerare la globalizzazione come un «fatto sociale totale»: allu­ dendo cosl non solo al fatto che essa investe l'intero tessuto socWe .e tutte le sfere dell'esistenza (economica, culturale, politica, simbolica), ma anche al fatto che la sua peculiare caratteristica è quella di creare una interdipendenza degli eventi la quale rende obsoleto ogni punto di vista settoriale e parziale.1 Ciò non vuol dire, però, che la globalizza­ zione sia un fenomeno unitario e uniforme. Al contrario, essa appare connotata da una costitutiva ambivalenza, vale a dire dalla coesistenza di dimensioni opposte e complementari che creano uno scenario solo apparentemente paradossale . Ritengo dd tutto condivisibile, in que­ sto senso, la nota tesi della «glocalizzazione», proposta da Robertson,2 in quanto pone efficacemente l'accento sulla compresenza di processi «globali» di unificazione, omogeneizzazione, omologazione da u n lato, e di processi «locali» di framme nta zione, divisione, differenzia­ zione dall'altro. Gran parte della riflessione sociologic->, la prospettiva teorica della cura sostiene non solo l'universalità del bisogno di cura che ci rende tutti reciprocamente bisognosi del­ l'attenzione dell'altro, ma la necessità di pensarla anche come pratica : come pratica concreta e capillare che agisca quotidianamente nei vari contesti di vita . Purché, come ben sottolinea Joan Tronto, 25 questa nozione venga sottratta alla sua tradizionale e restrittiva identifica­ zione con la sfera privata e con una morale solo femminile, per essere appunto riconosciuta come principio (e bisogno) universale. 24 Cfr. Caro! Gilligan, In a Di/ ferent Voice. Psychologica! Theory and Women 's Devel opment, Harvard University Press, Cambridge (Mass.) - London 1 982 (trad. it. Con voce di donna. Etica e formazione della personalità, Feltrinelli, Milano 1 987 ) . 25 Cfr . Joan C . Tronto, Mora! Boundaries. A Politica! Argument /or a n Ethic o/ Care,' Rout­ ledge, London-New York 1 995 (trad. it. Confini morali. Un argomento politico per l 'etica de!/4 cura, Diabasis, Reggio Emilia 2006).

L 'ambivalenza della globalizzazione

2]

Ma l'integrazione della nozione di cura non è l'ultimo atto per pen­ sare, in tutta la sua complessità, la nozione di responsabilità (intesa come responsabilità per) . Se infatti, come abbiamo visto soprattutto attraverso Jonas, responsabilità significa soprattutto farsi carico del futuro , ciò vuol dire che non possiamo fare a meno di un'immagine del futuro . Non si tratta qui di riproporre l'idea obsoleta di un'im­ magine del mondo, bensl di mobilitare l'immaginazione: non solo per pre­ figurare, come vuole Anders, gli scenari negativi della catastrofe, ma anche per pensare in positivo, come propone Jean-Luc Nancy, una for­ ma del mondo;26 cosl da poter scegliere, qui e ora, di fronte alla plu­ ralità delle opzioni possibili, quelle che ci consentono non solo di scon­ giurare la perdita del mondo, ma di porre le condizioni necessarie per una « vita riuscita » e dotata di senso . Se il riconoscimento della vul­ nerabilità è il presupposto indispensabile per orientare il soggetto alla cura del mondo, questa tuttavia non si esaurisce nella difesa della sopravvivenza, ma richiede anche di porre un interrogativo qualitativo: relativo cioè a quale mondo vogliamo costruire in quanto soggetti responsabili . Cura del mondo vuol dire allora in primo luogo, come ci suggerisce Anders, conservazione della vita e garanzia della sopravvi­ venza . Ma vuoi dire anche, come vedremo, creare un mondo; cioè, per usare i termini di N ancy, trasformare quella che è solo una « totalità di mercato » in una « totalità di senso » . Qui, ancora una volta, la globalizzazione pone l e premesse ogget­ tive per consentire questa trasformazione, in quanto essa stessa ci rivela di fatto una verità antologica fin qui misconosciuta: in virtù della quale il senso del mondo sta nell'interconnessione di tutti in un'unica umanità, nella co-esistenza, nel « cum ». Si tratta allora, per il soggetto, di cogliere la chance insita nell'età globale per interrom­ pere la deriva patologica dell'individualismo illimi tato e recuperare la dimensione dell'essere-in-comune; si tratta di favorire, attraverso l'im­ pegno capillare in una prassi, quello che Hannah Arendt definisce un « nuovo inizio », che riattivi un processo virtuoso e inauguri una nuo­ va forma del mondo . La cura del mondo richiede insomma di oppor­ re alla creazione insensata dell'homo creator una creazione dotata di senso , che sappia riconoscere nell'essere-in-comune il tratto peculia­ re dell 'umano . 26

Cfr. Nancy, La creazione del mondo o la mondializzal.ione cit.

Introduzione

dovrebbe essere ormai chiaro, meg lio , non della comunità come struttura organica e totalizzante che cancella la molteplicità e le differenze. Pensarsi come un 'unica umanità significa riproporre oggi, come suggerisce Furio Cerutti, un pensiero della totalità che ci resti­ tuisca uno sguardo olistico sul mondo;27 senza tuttavia negare, vorrei aggiungere, « il fatto » della molteplicità che caratterizza l' essere-con. Il senso del mondo risiede in altri termini non solo nella co-esistenza, ma nella pluralità della co-esistenza . Ed è propr io il concetto di mon­ do, che assumo nell ' accezione sia di Nancy che di Arendt, quello che ci consente di pensare insieme totalità e pluralità . Il mondo è infatti co­ esistenza nella distanza ; è , come dice Arendt, l' « infra » che accomu­ na gli uomini nell' azione28 rompendo l'atomismo dell' homo faber (soprat­ tutto nella sua configurazione di homo creator) , ma anche conservando la distanza necessaria ad impedire la caduta nell'endogamia comuni­ taria . Il mondo, dice Nancy, è un insieme plurale di esseri singolarU9 In quanto tale, ci consente di superare la dicotomia patologica tra Questo non vuoi dire però, come

reinstaurare un pensiero della comunità; o

individualismo e comunitarismo . Resta tuttavia , a questo punto, ancora

un problema, che non è auto­ maticamente risolto da un ' antologia della pluralità e che ci riporta al tema della contaminazione. Bisogna oggi ripensare la pluralità . Biso­ gna ripensarla a partire dall 'irruzione dell' altro come diverso e dalla sfida insita nella sua presenza contaminante che esige il confronto con la differenza; un confronto che, come ho già detto, è denso di pathos e presuppone la capacità di esporsi al rischio dell' incontro con l'altro, di sopportare l'inquietudine del riconoscimento, di accettare l'alterazio­ ne della propria identità . La cura del mondo presuppone la valorizzazione dei fondamenti

dunque un soggetto che attraverso « in negativo » della vulnerabilità e re­ della contaminazione, si configuri come un soggetto re/azionale all'atomi­ sia alternativa come così sponsabile e solidale -, ponendosi smo dell'individualismo prometeico e narcisistico, sia alla fusionalità indifferenziata del comunitarismo endogamico . �

2 7 Cfr. Furio Cerutti, Global Challenges /or Leviathan. A Politica! Phi losophy o/ Nuc lear Weapons and Global Warming, Lexington Books, Lanham 2007 . 2 8 Cfr. Arendt, Vita activa cit . , p. 39· 29 Cfr. Jean-Luc Nancy, Étre singulierpluriel, Galilée, Paris 1 996 (trad . i t. Essere singolare plu­ rale, Einaudi, Torino 20o r l .

Ringraziamenti

Desidero ringraziare in primo luogo amiche e amici, colleghe e col­ leghi con cui condivido da anni interessi e progetti di lavoro nell'am­ bito del Dipartimento di Filosofia di Firenze, che hanno avuto la pazienza di leggere e commentare il libro per intero : Elena Acuti, Renata Badii, Chiara Bottici, Furio Cerutti, Debora Spini per i pun­ tuali commenti; e soprattutto Dimitri D 'Andrea per la condivisione di una illimitata curiosità teorica e per la costante e generosa disponi­ bilità alla discussione . A Giacomo Marramao, per me da anni prezioso interlocutore, sono grata anche per aver seguito con « cura » l' iter editoriale del libro . A Enrico Donaggio devo le sue incisive osservazioni, e la riconferma di una rinnovata e reciproca percezione di affinità elettive. Marco Soli­ nas ha seguito da vicino soprattutto la fase finale della stesura del testo, con utili suggerimenti e con affettuosa sollecitudine. Come sempre, un libro è anche il frutto degli stimoli ricevuti in momenti formali e informali di discussione e di confronto, con colle­ ghe/i ed amiche/i, tra cui in primo luogo Alain Caillé, Jacques Godbout, Marcel Hénaff, Christian Lazzeri e gli amici del MAuss con cui intrat­ tengo un dialogo costante . Ma mi preme ricordare anche Laura Baz­ zicalupo, Luisa Boccia, Liana Borghi, Françoise Collin, Pietro Costa, Ida Dominjanni, Roberto Esposito, Mariapaola Fimiani, Simona Forti, Roberto Gatti, Volker Gerhardt , Marco Geuna, Raffaella Lamberti, Virginio Marzocchi, Michele Pereira, Alberto Pirni, Alessandro Piz­ zorno, Pier Paolo Portinaro, Giulia Sissa, Joan Tronto, Gabriella Tur­ naturi, Eleni Varikas.

Ringraziamenti

Un ringraziamento particolare va alle amiche e colleghe del gruppo

Travelling Concepts (nell 'ambito del network europeo Athena) , con cui ho condiviso per anni intensi e fruttuosi momenti di discussione e di lavoro : Silvia C aporale, Anabela Couto, Dasa Duhacek, Biljana Kasic , Linda Lund , Melita Richter , Eva Skaerbaek . Un ambito permanente di confronto resta per me il Seminario di Teoria Critica, anche , e forse soprattutto , per i mome nti di maggiore dissonanza

e

disaccordo .

Infine , un grazie di cuore a mio marito Dario Squilloni per la pa­ ziente e capillare lettura del libro e per i preziosi consigli sul piano del­ l'interpretazione psicoanalitica, oltre che per avere sopportato assen­ ze, malumori e ansie . A mia figlia Bharti, a cui questo libro è dedicato, sono grata per la luminosità del suo sorriso .

La cura del mondo

A Bharti con la speranza che possa vivere in un mondo migliore

Parte prima Patologie dell 'età globale : individualismo illimitato, comunitarismo endogamico

I.

L' individualismo illimitato

1.

Prometeo e Narciso

Penso sia legittimo affermare che la nozione di individuo rappre­ senti la conquista per eccellenza della modernità . Dotato di diritti, interessi e passioni che assumono una inedita legittimità, l'individuo diventa il perno attorno a cui deve ruotare ogni prospettiva normati­ va, sia essa etica o politica : il destinatario di quella promesse de bonheur su cui la modernità fonda e legittima se stessa. Tuttavia, proprio l'in­ dividuo sembra essere esposto, in età globale, a un processo degenera­ tivo o patologico, che ne infida, insieme a ogni presunta sovranità, l'o­ riginario potenziale emancipativo , e che ci autorizza a parlare delle promesse tradite della modernità . Basta gettare uno sguardo anche superficiale alle analisi della so­ ciologia contemporanea, per accorgersi che l'immagine moderna del­ l' homo oeconomicus, vale a dire di un soggetto sovrano , consapevole e razionale, capace da un lato di perseguire i propri interessi e dall'al­ tro di controllare le proprie passioni ai fini di una convivenza pacifi­ ca e della realizzazione dell'interesse comune, è ormai niente più che un mito residuale dell'ideologia liberale . Si configura oggi, per richia­ marne qui alcuni tratti su cui tornerò più avanti, una soggettività dai contorni fluidi e incerti, ancorata all'immediatezza del presente e ai piaceri dell'effimero, vittima inconsapevole di un dilagante conformi­ smo e caratterizzata da un rapporto parassitario con il mondo, ridot­ to a immensa fabbrica di merci; una soggettività che è preda di paure e insicurezze e tendente all'entropia, e allo stesso tempo animata da una vocazione all'espansione illimitata dei propri desideri e delle pro-

J2

Parte prima

prie pretese che la rende cieca ai desideri e alle esigenze dell' altr o d a sé.1 Una soggettività dunque che testimonia, in modo inequivocabile e inquietante, la crisi del modello liberale e illuministico dell' homo oeco. nomicus, calcolatore e prudente, possessore del proprio futuro e cap ace, in nome di una coesistenza sostenibile, di autolimitazione e di neg o. ziazione con l' altro . I connotati dell' h omo oeconomicus, dotato hobbesianamente della capacità di proiettarsi responsabilmente nel futuro , coniugando i pro­ pri interessi con l'interesse collettivo, disposto a patteggiare la rinuncia ai propri desideri in nome della sicurezza e di una convivenza pacifi­ ca, e pronto ad affidare alle istituzioni, soprattutto politiche , la pro­ tezione della propria vita, sembrano attualmente sgretolarsi. O meglio essi sembrano « liquefarsi »2 nell'immagine fluida e indefinita dell'in­ dividuo globale, i cui contorni identitari sono esposti a un inarresta­ bile processo di erosione e di caotica ricomposizione, di fronte, come vedremo, alle sfide inedite delL'età globale . Tuttavia è bene precisare subito che la crisi, o meglio l' inadegua­ tezza del modello liberale primomoderno, non è un fatto nuovo , né è immediatamente collegabile alle trasformazioni indotte dalla globa­ lizzazione. Questa crisi è infatti già pienamente tematizzata nelle riflessioni sociologiche della seconda metà del xx secolo, tese a sotto­ lineare l'emergere di una « sindrome postmoderna »,3 nella quale mol­ te delle caratteristiche dell ' Io globale sono già ampiamente dispie­ gate, e testimoniano il vacillare di quel granitico presupposto moderno che è la sovranità dell'individuo . L ' Io postmoderno viene descritto4 come un individuo mosso da un impulso illi mitato all 'autorealizzazio­ ne, entropicamente chiuso nel circuito autoreferenziale dei propri desideri che esclude ogni alterità, indifferente alla sfera pubblica e al bene comune e incapace di progettualità. Edonista e narcisista, esso appare caratterizzato da un «processo di personalizzazione »5 che lo 1 Cfr. Z ygmunt Bauman, In Search o/Po !itics, Polity Press, Cambridge 1 999 (trad . i t. La soli­ tudine del cittadino globale, Feltrinelli, Milano 2000) . 2 Cfr. id. , Liquid Modernity, Polity Press, Cambridge 2000 (trad . it. Modernità liquida, Later­

za, Roma-Bari 2002). 3 L'espressione è di Alessandro Ferrara, Modernità e autenticità. Saggio sul pensiero sociale ed etico di ]. ]. Rousseau, Armando, Roma 1 989, p. ! 7 · 4 D a Sennett a Lasch, da Beli a Riesman, d a Bellah a Lipovetsky . 5 Gilles Lipovetsky, L ' Ère d u vide. Essais s u r /'individualisme contemporain, Gallimard, Paris 1993 (r' ed. 1983; trad. it. L 'era del vuoto. Saggi sull'individualismo contemporaneo, Luni, Mila­ no 1 995, p. 7) . Ma l'autore ritorna più volte su questo concetto.

r.

L 'individualismo illimitato

33

libera da ogni vincolo, indebolendone allo stesso tempo l'identità: pri­ vata della dimensione vitale del confronto, sia pure conflittuale, con l' altro, e svuotata da un'inquietante perdita di futuro. Si è parlato, a questo proposito, di una vera e propria « mutazione antropologica »6 che genera il passaggio dall'individualismo « limitato » della prima modernità all'individualismo « illimitato » postmoderno .7 In realtà, come avevo già cercato di mostrare nelle mie precedenti riflessioni sulle forme dell'individualismo moderno - da cui vorrei ora brevemente ripartire -, lo scenario è ancora più complesso . 8 La ten­ denza all'illimitato infatti caratterizza l 'individuo moderno fin dalla sua comparsa sulla scena, quando « la perdita dell 'ordine » , per dirla con Blumenberg,9 gli conferisce un'inedita libertà e un legittimo desi­ derio di autoaffermazione, esponendolo allo stesso tempo al disordi­ ne di un mondo esterno non più retto da regole precostituite, aperto e privo di certezze, e al caos di un mondo interno di desideri e aspet­ tative divenuti legittimi. Basti richiamare rapidamente i presupposti antropologici dei due grandi modelli sociali e politici della modernità : in prima istanza, il Prometeo hobbesiano, raffigurazione mitica di un individuo ansiosa­ mente preoccupato di un futuro ignoto e perennemente incerto, 10 e animato da una pulsione acquisitiva che si traduce nella ricerca infi­ nita e mai soddisfatta di un potere che gli assicuri la conservazione della vita Y In seconda istanza, l'individuo acquisitivo descritto da Adam Smith, che è teso al possesso e all' accumulazione della ricchez­ za e che sancisce il passaggio alla fase espansiva della modernità capi­ talistica e dell'individualismo possessivo . L'individuo smithiano, ani­ mato da quell'impulso basilare della natura umana che è il desiderio di 6 7

Lipovetsky, L 'era de/ vuoto cit . , p. 55· Ibid. , p . 2 0 . In realtà Lipovetsky parla di individualismo « totale », ma preferisco il tenni­

ne « illimitato >> che mi consente appunto di sottolineare un aspetto, come vedremo, più incisivo per le trasformazioni dell'età globale . 8 Per una trattazione più ampia dei temi proposti in questo paragrafo, cfr. Elena Pulcini, L 'individuo senza passioni. Individualismo moderno e perdita de/ legame sociale, Bollati Boringhieri, Torino 2 oo r . 9 Hans Blumenberg, Die Legitimitiit der Neuzeit, Suhrkamp, Frankfurt a . M . 1 966 (trad . it. La legittimità dell 'età moderna, Marietti, Genova 1 9 9 2 , p. 1 43 ) . 0 1 Sulla figura di Prometeo, cfr. Thomas Hobbes, Leviathan ( 1 65 1 ; trad. it. Leviatano, La Nuova Italia , Firenze 1 987, p. 1 0 3 ) . 1 1 « C osicché pongo in primo luogo, come u n a inclinazione generale di tutta l'umanità, u n desiderio perpetuo e senza tregua d i u n potere dopo l 'altro [desire ofpower after power] ch e cessa solo nella morte» (ibid. , p . 94) . Sull ' , XIII, I , 1999, pp . 5 - 1 3 . 5 Aspetti, questi, indubbiamente presenti in Ferdinand Tonnies, G emeinschaft und Gese/1schaft. Grundbegriffe der reinen Soziologie , Fues, Leipzig r 887 (trad. it . Comunità e società, Edi­ zioni di Comunità, Milano 1979) , ma spesso eccessivamente ricondotti a una sorta di romanti­ ca nostalgia naturalistica tutta a favore della Gemeinschaft. Al contrario, come sottolinea anche Honneth, Comunità ci t., l'obiettivo di Tonnies era in realtà quello di proporre un possibile equi­ librio fra le duc; forme di integrazione sociale e di esplorare le possibilità della creazione di comu­ nità adeguate alla società industriale (come le corporazioni e i sindacati) . 6 Gemeinschaft e Gesellschaft sono entrambe forme del sozial: cf r . Honneth, Comunità cit .

z.

Il comunitarismo endogamico

6;

classica, da Durkheim a Weber a Simmel, i quali analizzano indub­ biamente il passaggio definitivo dalla Gemeinschaft alla Gesellschaft, ma allo stesso tempo insistono sulla persistenza del bisogno di comu­ nità , che si deposita in forme nuove di cooperazione sociale e di soli­ darietà; testimoniando cosl della necessità di pensare la società non come_ pura somma di individui atomizzati, legati unicamente dalla dinamica impersonale dello scambio economico o da relazioni giuridi­ che, ma da un senso di appartenenza a comuni scopi e valori . l In que­ sto senso, alla distinzione Gemeinschaft/Gesellschaft corrisponde in Durkheim quella tra la solidarietà « meccanica » delle società premoder­ ne, la quale unisce i soggetti nella dimensione indifferenziata di una « coscienza collettiva » che trascende le coscienze individuali e si fon­ da su una sorta di reciproca identificazione emotiva, e la solidarietà «organ!ca » fondata, nelle società moderne, sulla divisione del lavoro e su rapporti contrattuali . 8 Ma se Durkheim sembra confinare la soli­ darietà meccanica a una fase storica, affidando alla di'lisione del la,­ voro in quanto organizzata secondo princìpi di equità il potenziale comunitario delle società moderne, Max Weber emancipa il concetto di co munità da una sua declinazione puramente storica, assumendolo come ; e nel quale dare vita a una relazio­ ne con l ' altro che non sia puramente strumentale, ma aperta appunto all' affettività , alla reciprocità, alla gratuità. Essa diviene cosl il segno rammemorativo di « ciò che manca » affinché la società sia in grado di scongiurare le proprie derive degenerative . È tuttavia necessario , di fronte al complesso panorama dell'arcipe­ lago comunitario , introdurre subito delle distinzioni . Non sembra in­ fatti possibile ricondurre a questa diagnosi quelle che per esempio Bauman definisce « comunità estetiche », vale a dire quelle aggrega­ zioni transitorie e fle ssibili , superficiali e soprattutto non vincolanti che si dissolvono con la stessa rapidità e casualità con cui sono nate : come l 'audience relativa agli idoli della società dello spettacolo e sti­ molata dalle pratiche seduttive massmediali ;56 o come il popolo dei Weight Watchers, legati da un' effimera idolatria del corpo e della bel­ lezza; 57 o ancora comunità fondate sulla convergenza occasionale su un evento-comunità , come l' immagine di un nemico pubblico sapiente­ mente costruita dalle élite politiche . Si tratta infatti, in questi casi, di formazioni che catalizzano il bisogno di comunità senza creare vinco­ li o appartenenze durature , che evocano l' esperienza della comunità senza che questa si cos tituisca realmente, configurandosi come « co­ munità-gruccia » , a cui di volta in volta gli individui « appendono » , per così dire , il bisogno di trovare collettivamente conferma a desideri che sono - e restano - prettamente individuali. Questo non vuol dire a mio avviso che si debbano liquidare a prio­ ri tutte le forme transitorie e fluttuanti di aggregazione sociale , che testimoniano comunque oggi, come ci ricorda Michel Maffesoli58 in una prospettiva diagnostica opposta a quella di Bauman, di un desi­ derio di appartenenza e di condivisione che assume forme nuove: for­ me cioè « neotribali », meno vincolanti e durature e purtuttavia sinto55 Si potrebbe parlare di una fuga dai , per valorizzarne il significa­ to più ampio di essere-in-comune Y Ma se vogliamo individuare oggi una epifania della comunità che si configuri, senza ambiguità , come risposta alle patologie prod o t t e dall'individualismo, dobbiamo prendere soprattutto i n considerazio­ ne quell ' ampia e complessa costellazione di fenomeni che propongo di definire comunità solidali: che operano silenziosamente e s corrono come un fiume carsico nelle maglie di una società spesso ignara e indif­ ferente, moltiplicando gli spazi di mutuo soccorso, affrontando emer­ genze, opponendosi a progetti insensati e distruttivi, curando ciò che è vittima dell'oblio delle istituzioni . Alludo a comunità di individui che scelgono liberamente di do na re il proprio tempo , il proprio lavoro , la propria professionalità in circostanze estreme come guerre , epide­ mie, disas tri ambientali (si pensi a Emergency o ai Médecins s a ns frontières, a Greenpeace e alle molteplici forme di volontariato) ; a quell'insieme di iniziative che possiamo riassumere nel concetto di « economia solidale » (/air trade, finanza etica, bilanci di giustizia, turi­ smo responsabile) che provano a introdurre uno sguardo etico in un settore tradizionalmente preoccupato della sola massimizzazione del profitto, configurando, tra l ' altro , una diversa idea di consumatore , attento al bene comune e all'equilibrio ambientale; 66 e ancora ad a s so­ ciazioni di resistenza e di denuncia che si aggregano non solo intorno alla rivendicazione di diritti, ma anche intorno a valori alternativi e dirompenti rispetto allo stato di cose esistente (si pensi al fenomeno Cindy Sheehan negli Stati Uniti di Bush) . Ma alludo anche a forma­ zioni più invisibili o meno immediatamente riconoscibili, che agisco­ no in modo capillare nelle maglie della vita quotidiana per difendere uno spazio verde o un centro sociale, per impedire devastazioni archi­ tettoniche nel proprio quartiere o per rivendicare uno spazio cultura­ le o ludico contro la voracità tentacolare delle esigenze commerciali Y Ora, in tutti questi casi, al di là delle pur macroscopiche differenze , l'elemento comune sembra essere, all'origine, la risposta individuale alle -

65

Cfr. Fabio Berti, Per una sociologia delkl comunità, Angeli, Milano 2 00 5 . Cfr. Furio Semerari, Individualismo e comunità. Moderno, postmodemo.e oltre, Adriatica, Bari 2005, cap. 3 · 67 Cfr. Robert D . Putnam e Lewis M. Feldstein, in collaborazione con Don C ohen, Better Together. Restoring the American çommunity, Simon & Schuster, New York 2003 , sui vari eseÌnpi in questo senso; cfr. anche Erika Lombardi e Grazia Naletto (a cura di), Comunità partecipa te. Guida alle buone pratiche locali, rnanifestolibri, Roma 2oo6. 66

2.

Il comunitarismo endogamico

83

carenze e alle derive degenerative della società globale. Siamo cioè di fronte a individui che avvertono in prima istanza il bisogno di disiden­ tificarsi dai modelli di identità drammaticamente impoveriti prodotti dalla logica individualistica, attraverso l'apertura, concreta e conte­ stuale, di modalità altre dell'agire e della relazione sociale. Essi danno vita in tal modo a una sorta di movimento controcorrente, che, depositandosi in strutture ed esperienze collettive, promette di restituire un senso all'agire, ampliando allo stesso tempo i confini della propria iden'i:ità , arricchita da istanze solidali, donative, partecipative. 2.2.

Come annunciavo sopra, però, è possibile individuare perlomeno un 'altra fonte della tensione comunitaria, la quale riguarda in questo caso non tanto gli individui, ma i gruppi; non tanto la necessità di ritrovare senso, identità e appartenenza attraverso il rifiuto della logi­ ca strumentale e acquisitiva, quanto quello di difendere e/o di affer­ mare la. propria identità collettiva_ dentro una società sempre più incline a dinamiche di esclusione. Ora, è bene precisare subito che l'emergere del problema dell'esclusione non è immediatamente legato alle trasfor­ mazioni globali . Esso si può ricQndun;:e, seguendo la diagnosi conv4I­ cente di Alain Touraine, a quella crisi della modernità che, a partire dalla seconda metà del Novecento, vede la frammentazione dell'idea stessa di « società » e di sistema. sociale e la sua dissoluzione ne_lla dimensione anarchica del mercato; che « sostituisce un modello di fun­ zionamento con una str � tegia di mutamento », marginalizzando colo­ ro che restano fuori dal flusso, in fondo alla corsa, esclusi dunque dal movimento incessante e coattivo delle innovazioni, gestito unicamente «dai padroni della produzione, del consumo e della comunicazione ».68 L'esclusione si configura in altri termini come il fenomeno che · caratterizza il passaggio dalla società industriale fondata sul lavoro, pervasa da conflitti sociali centrali (conflitti di classe) , alla società­ mercato, Jlessibile e selvaggia, « flusso incessante di mutamenti »/') che produce una serie di figure marginali non più definibili, weberiana­ mente , in senso socio-professionale . Il povero, l'immigrato, il disoc68

nità ,

Alain Touraine, Critique de la modemité, Fayard, Paris 1992 (trad. it. Critica della moder­ Milano 2 0 0 5 , pp. 2 1 5- 1 6) . Ibid. , p. 2 1 5 .

NET, 69

·

Parte prima

'Cupato, ma anche le minoranze culturali, etniche, religiose, sessuali sono il prodotto di questo processo di marginalizzazione; sono soggetti non­ soggetti, frammenti irrelati, potremmo aggiungere , di una « molti­ tudine » che va a ingrossare sempre più le « sacche di es �lusione » di « società divise da se stesse ». 70 Resi orfani delle tradizionali identità sociali, politiche e finanche ideologiche, gli esclusi perdono cosl il ruo­ lo di attori sociali per diventare vittime di una incertezza identitaria che si acuisce tanto più quanto più si estende il processo di globalizzazio­ ne . La società globale infatti radicalizza la dissociazione tra la logica puramente strumentale e anarchica del mercato e la ricerca dell ' iden­ tità su basi non più sociali, ma biologiche, etniche e culturali, esten­ dendola alla polarizzazione tra paesi ricchi e poveri, tra maggioranze e minoranze, tra primo e terzo mondo . Che proprio qui, come ancora sostiene Touraine, si annidi il rischio dell'ossessione identitaria e del comunitarismo ghettizzante quale po­ larità speculare del fondamentalismo del mercato , è, come vedremo , innegabile. Ma questo non vuoi dire - vorrei subito precisare - che l a risposta identitaria all'esclusione sia di per s é patologica, n é che la ten­ sione comunitaria che da essa scaturisce sia tout court identificabile con un fenomeno degenerativo . È vero infatti, come ribadisce Manuel Castells attraverso una diagnosi evidentemente permeata dalla rifles sio­ ne di Touraine, che il nostro mondo è caratterizzato dalla divaricazione tra due forze in contrasto tra loro, vale a dire tra « globalizzazione e identità ». Esse costituiscono le due polarità di quella fase postindu­ striale della modernità e del capitalismo che Castells definisce , sotto­ lineandone il carattere radicalmente innovativo, the Age of Informa ­ tion . Qui la centralità dell' informazione, della conoscenza e dello sviluppo tecnologico si traduce nella nascita di una struttura reticola­ re - la network soci�ty che investe, dall 'economia alla cultura alla politica fino alla percezione dello spazio e del tempo, tutti i piani del sociale; disgregando la struttura verticale del capitalismo industriale e statalista, mutando profondamente le forme del dominio anonima­ mente esercitato dalle « reti di impresa » del capitale globale , e soprat­ tutto, facendo dell' « esclusione » l'inedito effetto di una struttura di dominio organizzata in maniera orizzontale, decentralizzata e retico­ lare. Ciò spiega l ' emergere, appunto, dell'altra e opposta polarit à , vale -

70

Touraine, Critica della modernità cit . , p. 2 r 7 .

2.

Il comunitarismo endogamico

a dire del configurarsi del fenomeno identitaria come risposta all' esclu­ sione : cioè all ' isolamento, al misconoscimento, alla perdita del senso di sé da parte di coloro che restano fuori dallo « spazio dei flussi », che vengono relegati ai margini del tessuto funzionale della rete. 71 In altri termini, alla formazione di reti globali e strumentali di ric­ chezza, tecnologia e potere, che escludono ampi segmenti di società, soggetti e paesi, corrisponde un processo di costruzione (o ri-costru­ zione) identitaria « tramite il quale un soggetto sociale riconosce se stesso e costruisce significato principalmente sulla base di un dato attributo culturale o di un insieme di attributi, escludendo un riferi­ mento più ampio ad altre strutture sociali » . 72 L' identità si impone dunque oggi come il « principio organizzativo » della network society proprio in quanto questa opera costanti e selettive disconnessioni tra la rete e gli individui o i gruppi, generando così un diffuso desiderio di inclusione e un potente bisogno di senso : « Quando la rete "disat­ tiva" il Sé, l ' I o , individuale o collettivo , costruisce il proprio senso di sé senza riferimenti globali o strumentali : il processo di disconnessio­ ne diviene reciproco, in seguito al rifiuto da parte degli esclusi di una logica unilaterale di dominazione strutturale ed esclusione sociale » . 73 Questo vuol dire che il processo di costruzione dell'identità deve esse­ re riconosciuto come una legittima risposta da parte di chi è vittima di dinamiche di esclusione; e che ciò vale anche laddove questo proces­ so assume una connotazione fortemente comunitaria. È questo il caso delle « identità di resistenza » , le quali , anche a causa della crisi delle « identità legittimanti » peculiari della società civile statalista (come per esempio sindacati e partiti) /4 e della rottura dello « storico con71 (ibid. , p. 8 ) . 8 3 Cfr . Manne! C astells, Internet Galaxy. Re/lections o n the Internet, Business, and Society, Oxford University Press, Oxford zoo r (trad. it. Galassia Internet, Feltrinelli, Milano 200 1 ) . 84 C fr. id. , I l potere delle identità cit . , pp. 7 2 - 7 3 . 85 C f r. Clifford Geertz, Mondo globale, mondi locali. Cultura e politica alla fine del VeTIIesimo secolo, i l Mulino, Bologna I 999, p. 2 6 .

88

Parte prima

ta a prestare seriamente attenzione, muniti di uno sguardo concreto e capilhue , ai processi di frammentazione culturale, per scoprirne con­ testualmente le origini e il senso, per illuminarne le diverse ragioni e passioni, proprio al fine di scongiurare la « prospettiva terrificante » di « Un mondo diviso in frammenti, in conflitto tra loro , inconciliabili l' uno rispetto all'altro , in lotta per la sopravvivenza » . 86 Dobbiamo rinunciare a ogni visione fondata su criteri di omoge­ neità, compattezza, consenso ormai del tutto illusori , per far posto all'eterogeneità e alla pluralità : « Dobbiamo aprire il vocabolario del­ la descrizione e dell'analisi culturale , affinché vi trovino posto con­ cetti quali divergenza, varietà, disaccordo » Y Il che vuoi dire, in pri­ ma istanza, riconoscere l'obsolescenza del concetto di S tato-nazione a fronte sia delle fratture (etniche , linguistiche , religiose) che attra­ versano i singoli paesi, occidentali e non (per esempio Canada, ex Ju­ goslavia e Sri Lanka) ,88 sia a causa dell'impossibilità di ricondurre ad esso la miriade di «entità costituite » emerse dal processo di decolo­ nizzazione e attraversate a loro volta dall'intreccio di fonti moltepli­ ci di costituzione dell 'identità. La decolonizzazione e la caduta del Muro di Berlino, il crollo dell 'Unione Sovietica e la fine della guerra fredda hanno prodotto una proliferaz.ione di entità politiche autono-: me, un « mondo in frammenti » appunto , che a sua volta « promuove identità circosaitr� , profondamente specifiche, vissute intensamen � te»,89 coagulate intorno a potenti esigenze di autoaffermazione e t ni­ ca, religiosa, razziale, linguistica e spesso sorrette da forti spinte emo­ tive. Cogliere il pericolo di deriva conflittuale che innegabilment e si annida in questi nuovi processi di aggregazione collettiva non vuoi dire trattarli alla stregua di « spregevole follia » o di « semplici relitti di una natura selvaggia » .90 Si tratta al contrario di affrontarli critica­ mente , attraverso una «politica dell'identità » che ci permetta di indi­ viduarne in primo luogo il senso nel contesto storico dell 'età globale . Geertz non esita a d affermare che l' identità è oggi ciò che si forma intorno a «lealtà primordiali », precisando allo stesso tempo che que­ ste non alludono a spinte ancestrali verso l'irrazionale , ma a un « attac86 Geertz, Mondo globale, mondi locali cit . , p. 9 · 87 Ibid. , p. 5 3 · 88 Ibid. , pp. 4 0 sgg. 89 Ibid. , p. 1 1 4 . 90 Ibid. , pp. 52-53 .

z

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Il comunitarismo endogamico

camento derivante dal senso di " datità" dell ' esistenza sociale )>91 che i sogget ti provano in quanto parlano la stessa lingua, professano la stes­ sa religione , vivono nello stesso territorio . Si tratta dunque di forme di appartenenza la cui forza scaturisce - aggiunge Geertz evocando cosl, sia pure indirettamente, un aspetto essenziale del concetto di co ­ munità - dall 'importanza che viene attribuita al «legame in quanto tale». Ciò ci consente di cogliere le ragioni profonde della ricerca identi­ taria nel desiderio di appartenenza; il quale si esprime però attraver­ so la pluralità e l ' eterogeneità delle sue manifestazioni , dando origine, potremmo dire, a una moltiplicazione delle differenze.92

3.

Lotte per il riconoscimento: identità e differenza

Veniamo cosl a un concetto centrale - q.uello di differenza - per ripensare il nesso tra identità e comunita in età globale; un concetto che Geertz stesso evoca costantemente in senso, potremmo dire, sia descrittivo sia normativo, per porre l 'accento sui processi di fram­ mentazione e per auspicare una teoria che sia in grado di riconoscerli e tematizzarli . B isogna prendere atto del fatto - egli afferma - che nel mondo contemporaneo l 'identità cuft urale si configura come un « CalTh­ po di diffe�nze » , siano esse sessuali, etniche, religio se ; e che «le unità e le identità che si costituiscono, quali che siano , vedranno la luce e saranno n�oziate a partire dalla differenza ».93 Ora, il tema della differenza si era già imposto con forza in Occi­ dente a partire dagli anni sessanta e settanta, in corri s pondenz a del­ l ' emerg ere di una serie di movimenti - m ov im ento femminista, omo­ s essu al e , lotta di liberazione anticoloniale - accomunati dalla denuncia dei limiti di un'idea di uguaglianza che ha finito per produrre effetti di assimilazione e di neutralizzazione e per negare di fatto diversità e specificità ; le. quali vengono perciò rivendicate come costitutive di un ' id e ntit à .di/ferente, appunto , e non assimilabile ai modelli egemo91

Geertz, Mondo globale, m ondi locali cit . , p. 86. « Situazioni come quella dell'Ucraina dove la lingua unisce e la religione divide, dell'Al­ geria, dove la religione unisce e la cultura divide, della Cina, dove la razza unisce e la religione divide, o della Svizzera , dove la storia unisce e la lingua divide, possono essere trattate con mag­ gior precisione entro un simile modello concettuale » (ibid. , p. 87). 9 Ibid. , pp. 69 e 2 5 . C fr. anche ibid. , pp. 7 2 -7 5 , per la critica del liberalismo. 92

Parte prima

ni. Cosl, per fare solo un esempio significativo, il movimento delle do nne , che con il concetto di « differenza sessuale » ha contribuito più di ogni altro alla stessa elaborazione teorica dell 'idea di differenza , tende a smascherare attraverso di essa le pretese di neutralità di un concetto di uguaglianza costruito di fatto attorno alla gerarchia tra i sessi e al dominio del modello maschile e patriarcale, sanciti dalla tra­ dizione liberale . 94 La rivendicazione della differenza (in questo c a s o sessuale) diviene una leva potente per l a costruzione d i un ' identità (femminile) libera dai rapporti di potere che si celano invisibilmente' dietro un presunto e illusorio principio di uguaglianza. Ma se il movimento femminista costituisce indubbiamente u n ' e ­ sperienza-pilota nell 'imporre all 'attenzione della riflessione contem­ poranea il tema della differenza , quest 'ultimo vedrà un ulteriore momento di consolidamento e di sviluppo verso la fine degli anni ottanta, in corrispondenza di una vera e propria esplosione , prodotta dalla fine del mondo bipolare e dai processi di globalizzazione , delle differenze culturali. Lotte a sfondo etnico e religioso , revival dei nazio­ nalismi, difesa da parte di gruppi immigrati della propria cultura d ' o­ rigine, fedeltà alla propria lingua e tradizione, sono l' espressione ine­ quivocabile e sempre più pervasiva - da parte di minoranze escluse, di gruppi emarginati o di soggetti minacciati dallo stato di insicurezza del disordine globale - di un bisogno di affermare la propria identità col­ lettiva attraverso la rivendicazione di u na differenza ; la quale trova inoltre la propria visibilità e mostra la propria forza nel dar vita a po tenti vincoli comunitari, cui viene affidata la possibilità di restitui­ re identità e sicurezza. La differenza diventa, potremmo dire, il s e g n o distintivo dell'appartenenza comunitaria e la posta in gioco nella « lot­ ta per il ricono scimento » della propria identità. Su questa articolazione concettuale si configura quella « poli t ica del­ la differenza » che , a partire da un saggio decisivo di Charles Taylor dei primi anni novanta/5 prova a riflettere , attraverso il concetto d i riconoscimento, sulle nuove forme di esclusione e di discriminazione prodotte da una società multiculturale; denunciando allo s te s s o t em -

94 Basti citare Carole Pateman, The Sexual Contraci, Polity Press, Cambridge 1 9 88 (trad . i t . Il contratto sessuale, Editori Riuniti, Roma 1997). 9 5 Cfr. Charles Taylor, Multiculturalism and « the Politics o/ Recognition ». An Essay , Prince· ton University Press, Princeton 1 992 (trad. it. Multiculturalismo. La politica del riconoscimento , Anabasi, Milano 1993).

2 . Il comunitarismo

endogamico

9I

po le insufficienze , la presunta neutralità e l'indifferenza universali­

stica del modello liberale . Taylor parte da una serie di premesse che diventano, nella trattazione più sistematica che ne fornisce Axel Hon­ neth ,96 fondamenti di un vero e proprio paradigma: la prima è che non c'è identità senza riconoscimento, in quanto l'identità .dipende essen.. zialmente dalla relazione dialogica con l ' altro; la seconda è che, a par­ tire dalla modernità, il riconoscimento, della cui necessità l'individuo diventa consapevole , è sempre oggetto di conquista e di lotta; la ter­ za è che il mancato riconoscimento (o misconoscimento) produce ef­ fetti di umiliazione e di esclusione che danneggiano l'identità e la vita di coloro che ne sono oggetto . La domanda di riconoscimento va in al­ tri termini presa sul serio in quanto da essa emerge prepotentemente una verità in generale rimossa o per lo meno sottovalutata dal pensie­ ro liber ale : il fatto cioè che l ' integrità di una persona o di un gruppo esige, per usare i termini di Honneth, non solo la capacità di « auto­ determinazione » , ma anche la possibilità di una « autorealizzazione». E questa presuppone a sua volta l' approvazione solidale, da parte del­ Paltro (« l ' alt ro generalizzato » di Mead) , della propria specifica iden­ tità, stile di vita, universo valoriale, in assenza della quale si produce « quella particolare mutilazione dell'essere umano » che deriva dallo « spregio.» (o miscono scimento ) . 97 Il presupposto comune su cui si fonda, in altri termini, la teoria gel riconosc imento , al di là delle diverse versioni che ne verranno propo­ ste anche dopo Honneth, 98 è che gli individui e i gruppi non lottano solo per la difesa dei loro interessi e per un'equa distribuzione delle risorse, come di fatto ribadisce il modello liberale nella sua riedizione rawlsiana , ma anche per affermare la propria identità, il proprio Sé, i nèividuale o collettivo; attraverso , appunto, quell' approvazione soli-

96 C fr . Axel Honneth , Kampf um Anerkennung. Zur moralischen Grammatik sozia/er Kon­ flik te, Suhrkamp, Frankfurt a . M . 1 99 2 (trad. i t. Lotta per il riconoscimento. Proposte per un 'eti­ ca del conflitto, il Saggiatore, Milano 2 0 0 2 ) , e id . , Anerk ennung und Missachtung. Ein forma/es Konzept der Sittlichkeit (trad . i t . Riconoscimento e disprezzo. Sui fondamenti di un 'etica post-tnl­ dizionale, Rubbettino, Soveria Mannelli 1 99 3 ) . 97 Ibid. , p . 1 9 . 9 8 Cfr. Avishai Margalit, The Decent Society, Harvard University Press, Cambridge (Mass.) 1 996 (trad . it . La società decente, a cura di Andrea Villani, Guerini, Milano 1998); Christian Laz­ zeri e Alain C aillé, La Reconnaissance aujourd'hui. Enjeux du concept, in « Revue du Mauss », 2 3 , 2004, pp . 88- r 1 5 ; Franco Cre s p i , Identità e riconoscimento ne/14 socio/ogia contemportmN, Later­ za, Roma-Bari 2004, e Pau! Ric�ur, Parcours de 14 reconnaissance. Trois études, Stock, Paris 2004 (trad . it. Percorsi del riconoscimento. Tre studi, a cura di Fabio Polidori, Cortina, Milano 2005).

Parte prima

dale. .@ parte dell 'altro - nella quale Honneth indica la form a pr o ­ priamente sociale del riconoscimento - che è condizione indispensa­ bile della stima di sé. Il conflitto assume dunque la forma del c\'mflit­ to identitaria, della legittima reazione al dispre-zzo e all'ofksa, della_ _ lott.!._Per il riconoscimento. Il che non vuoi dire, sia detto solo per inciso , negare l' importanza del momento materiale e utilitaristico nella formazione del conflitto, o disconoscere la legittimità dell'approccio distributivo dei teorici del­ la giustizia, quanto piuttosto rilevarne la parzialità e l ' insufficienza, insistendo - come peraltro alcuni autori , tra cui lo stesso Honneth , non mancano di fare, superando la spesso sterile controversia tra _libe­ rali e comunitaristi - sulla necessità di integrare l 'ottica della « redi­ stribuzion e » con quella del «riconoscimento », l ' aspetto economico con quello culturale, la dimensione della giustizia con quella dell 'i­ dentità.99 Tanto più necessaria appare, a mio avviso , questa integra­ zione, in quanto il conflitto per il riconoscimento non è un prodotto inedito dell'età globale né una deriva impazzita della postmodernità, ma fa parte a pieno titolo del percorso stesso della modernità; come ci conferma la significativa e stringente distinzione che Ales sandro Pizzorno propone tra il « conflitto di interessi » (o distributivo) e il « conflitto di riconoscimento » , rintracciandone l' origine addirit tura in Machiavelli. 100 Mentre nel primo, egli dice, « le parti appaiono mosse da obiettivi determinati comportanti benefici per i loro membri » , nel secondo , dello « Straniero »; 108 fenomeno che nel mondo globale assume proporzioni esplosive, in virtù del superamento dell ' opposizione den ­ tro/fuori, dovuto, appunto, a quell'indebolimento dei confini che ne è una delle peculiari caratteristiche. L'altro cioè non è più relega bile al di là dei confini .delimitati e rassicuranti di una zona difes a e protetta da ogni contaminazione esterna , e rompe il circuito immunitario su cui tradizionalmente (e segnatamente nell ' ambito dello Stato nazio­ nale) viene costruita l'identità. Vedremo come proprio in questa trasformazione sia possibile co­ gliere una delle inedite potenzialità emancipative dell ' età globale . 109 Per ora basti rilevare che il « farsi interno » dell'altro si traduce, da par­ te delle culture minoritarie, in un bisogno di autoaffermazione e di 105

Bonomi parla di «sincretismo antagonista »: « Il conflitto n� n è più unico e dirompente, ma si è dissolto in mille rivoli di resistenza» (Il trionfo della moltitudine cit . , p. 7 7 ) . 106 È bene precisare che la prospettiva globale è per lo più - assente nei teorici del riconosci­ mento, e solo parzialmente implicita nello stesso Taylor. 107 Sottolinea la distinzione tra l'accezione descrittiva e quella normativa del concetto di multiculturalismo Carlo Galli (a cura di) , Multiculturalismo. Ideologie e sfide, il Mulino, Bologna zoo6; cfr. anche Maria Laura Lanzillo, Il multiculturalismo, Laterza, Roma-Bari 2 0 0 5 ; e Anna Elisabetta Galeotti, Multiculturalismo. Filosofi4 politica e conflitto identitaria, Liguori, Napoli r 999 . 108 Cfr. Georg Simmel, Soziologie. Untersuchungen uber die Formen der Vergesellschaftung, Duncker & Humblot, Leipzig 1 908 (trad. it. Sociologia, Edizioni di Comunità, Milano 1 989, in particolare il saggio Excursus sullo straniero, pp. 580-84). 109 Cfr. infra, parte terza, cap. r, § 3 ·

2 . Il comunitarismo

legittimità refrattario a ogni pretesa

endogamico

95

di assimilazione da parte della

cultura egemone . C o sicché , potremmo dire , il tema della differenza si impone 't anto più quanto più diviene obsoleta l'idea di altro, inteso come ciò che si può proiettare all 'esterno , in un alt�aue .che beJn.ato e distante , separato da u n limite e perciò depotenziato di ogni potere di pressione . 1 10 La differenza diventa in altri termini una sfida inaggi­ rabile, che fa saltare i meccanismi tradizionali di risoluzione del pro­ blema dell ' altro (e spulsione/omologazione), e che si installa nello spa­ zio sociale globale come una dimensione endemica, che non può né essere espulsa all ' esterno né essere assimilata dall 'identità di volta in volta egemone . Le differenze culturali sembrano rispecchiare perfettamente questa diagnosi . 1 1 1 Esse diventano la posta in gioco ineludibile di minoranze o gruppi svantaggiati che , pur costituendo un insieme molto frasta­ gliato e riconducibile a matrici diverse, sono tuttavia accomunati da questa paradossale condizione di intemità ed estraneità, che li trasfor­ ma potenzialmente in soggetti decisi a contrastare sia le logiche di ' esclusione sia le logiche di un'integrazione omogeneizzante, e a lotta­ re per il riconoscimento della loro identità . La legittimità di questo fenomeno viene oggi rivendicata in ambito comunitarista e femmini­ sta, per cui basti citare il « liberalismo ospitale » di Taylor, già evoca­ to, o le « politiche della differenza » di Iris Young tese alla valorizza­ zione antidiscriminatoria delle identità di gruppo nell'ambito di una critica del paradigma distributivo . 1 1 2 Ma non mancano adesioni nep­ pure in autori dell ' area liberale, come Will Kynùicka o Ji.irgen Haber­ mas , 1 13 preoccupati di mostrare come l' idea di una « cittadinanza mul11°

al.,

Cfr. Alberto Melucci, Multiculturalismo, in i,d., in collaborazione con Enzo Colombo e Parole chiave. Per un nuovo lessico delle scienze sociali, Carocci, Roma 2ooo, pp. 1 49-56.

111

Sui processi d i costruzione delle differenze culturali oggi, cfr. Miche! Wieviorka, La Dif­ La differenza culturale. Una prospettiva sociologica , Later­ za, Roma-Bari 2 00 2 ) . 1 12 Cfr. Taylor, Multiculturalismo cit . , e Iris Marion Young, Justice and the Politics o/ Diffe­ rence, Pri nceton University Press, Princeton x 99o (trad. it. Le politiche della differenza, Feltri­ nelli, Milano 1 996). 113 Cfr. Jiirgen Habermas, Kampf um Anerkennung im demokrotischen Rechtssfllat, Suhrkamp, Frankfurt a . M. 1 99 6 (trad. i t. Lotta di riconoscimento nello Stato democratico di diritto , in id. e Charles Taylor, Multiculturalismo. Lotte per il riconoscimento, Feltrinelli, Milano 2008, pp. 63-nol; Taylor, Multiculturalismo ci t . , e Will Kymlicka, Multiculturol Citizenship. A Libero/ Theory o/ Minority Rights, C larendon Press-Oxford University Press, Oxford-New York 1995 (trad. it. La cittadinanza multiculturale, il Mulino , Bologna 1 999).

/érence, Balland, Paris 200 x (trad . i t .

Parte prima

ticulturale » o del riconoscimento delle identità collettive non siano in contraddizione con i prindpi fondamentali del liberalismo , soprattut­ to laddove, come ribadisce Habermas, del liberalismo si valorizzi quel­ l' elemento costitutivo che è il processo democratico e intersoggettivq della deliberazione . 1 1 4 Questa legittimazione non avviene, come vedremo) senza riserve . Al contrario , emerge in molte voci del dibattito contemporaneo la consa­ pevolezza dei pericoli degenerativi intrinseci al multiculturalismo e all 'e­ splosione delle differenze; pericoli nei quali si coagula peraltro s olo un aspetto, sia pure rilevante, di quelle che propongo di definire «p a tolo­ gie della comunità », proprio per distinguerle dalle configurazioni legit­ time, se non anche auspicabili, del bisogno di comunità . Abbiamo vist o infatti come in entrambe le sue forme questo bisogno risponda alla necessità di colmare una mancanza, o meglio, alla necessità di correg­ gere a sua volta le patologie dell'individualismo e/o di reagire a dinami­ che di esclusione. Sia che scaturisca infatti da un desiderio di apparte­ ne nza da parte di individui decisi a opporsi ai processi di atomizzazione e di perdita del senso, sia che derivi da un desiderio di inclusione da par­ te di gruppi decisi a resistere alle logiche di umiliazione e di marginaliz­ zazione, il bisogno di comunità è ben altro che un residuo arcaico e irrazionale, in quanto tende, nel primo caso, a colmare il deficit di s oli­ darietà indotto dalla crisi del legame sociale , e nel secondo caso, a riparare il danno provocato da esperienze di misconoscimento . Su questa base, possiamo ora tentare di capire come e perché e s s o assuma oggi, e forse prevalentemente, come d conferma ogni giorno lo scenario violentemente conflittuale della società globale, forme degene­ rative tali da mettere in crisi" l'intero ventaglio delle proposte norma ti­ ve attualmente disponibili, siano esse di matrice liberale o comunitaria .

1 14 « Lo sviluppo democratico del sistema dei diritti include il perseguimento non soltanto di obiettivi politici generali, ma anche di quei fini collettivi che si articolano nelle lotte di rico­ noscimento » (Habermas, Lotta di riconoscimento nello Stato democratico di diritto ci t. p . 8 2 ) .

2.



Il comunitarismo endogamico

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Comunità immunitarie

In entrambe le sue forme il bisogno di comunità slitta costante­ mente verso configurazioni patologiche e distruttive, generate a mio avviso dal fatto che il bisogno identitaria, che ne è a fondamento, si esprime in forme essenzialmente reattive e autodifensive; dando origine così a forme di chiusura autoreferenziale e immunitaria, 1 1 5 di rein­ venzione e di esclusione dell' altro da sé che generano violenza e radi­ calizzano il conflitto . 1 1 6 Ciò appare particolarmente evidente nella seconda forma, laddove cioè la comunità risponde a processi di esclusione . Anche se restiamo, per il momento, al dibattito tra Habermas e Taylor e al problema del multiculturalismo, vediamo emergere il lato oscuro e problematico della pretesa di riconoscimento e dei conflitti identitari. La sfida del multiculturalismo , dice Habermas , sarà tanto più dolorosa quanto più le tendenze all ' autoaffermazione assumono un ca­ rattere fondamentalistico e reattivo, vuoi perché l ' esperienza dell'impotenza spinge la minoranza a forme di lotta regressive, vuoi perché questa minoranza deve prima risvegliare la coscienza delle masse mobilitandole nell' articolazione e nella costru­ zione di una nuova identità . 1 1 7

Taylor a sua volta , pur convinto assertore del valore delle differen­ ze, non manca di denunciare l ' implausibilità di un 'attribuzione di valore a tutte le culture (e dunque a tutte le differenze) , senza prima averle fatte oggetto di un concreto e contestuale vaglio critico. 118 Ciò che qui viene implicitamente affermato è che non ogni domanda di riconoscimento è degna di essere accolta, non ogni differenza è apprez­ zabile e degna di essere difesa. Queste due riserve, apparentemente ovvie , sono in realtà dense di implicazioni, tali da scuotere ogni ire­ nica fiducia nel multiculturalismo inteso come dimensione normati1 1 5 Propongo qui, in un' accezione più ampia e generica, il concetto di immunità che traggo dalla riflessione di Roberto E sposito, soprattutto nel suo Communitas. Origine e destino della comunità, Einaudi, Torino 1 99 8 . 116 Sul tema , c f r . anche Aldo Bonomi, L a comunità maledetttJ . Viaggio nella coscienza di luo­ go, Edizioni di Comunità, Torino 2 0 0 2 . 1 1 7 Habermas, Lotta di riconoscimento nello Stato democratico di diritto cit., p. 75· 118 Cfr. Charles Taylor, L a politica del riconoscimento, i n Multiculturalismo cit. , pp. 94·95 ·

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va119 e da ins o spett irei, come accennavo sopra, verso una troppo faci­ le equazione tra riconoscimento e morale . Mi sembra all ora particolarme nt e efficace, in questo senso, l a pro­ posta di Alain Caillé e Christian Lazzeri, quando invitano a doman­ darsi : « ric ono scimento di che cosa »?120 Poiché l ' es p lici t a formulazio­ ne di questa domanda, tesa essenzialmente a cercare di volta in v o l ta di c apire che cosa gli uomini desiderano vedere riconosciuto , c i auto­ rizza anche a differenziare le ri spo ste . E ciò non riguarda solo il f e n o­ m eno del multiculturali s mo , ma anche altri momenti collet t iv i della « lotta per il rico nos cime nto » che appaio no par ti co lar m e nt e esposti a derive degenerative. Alludo a quell'insieme di fe nome ni che occupano ormai da almeno un decennio la scena mondiale, sovvertendone ogni ordine e s fida n d one ogni po ssibile ricompo sizione ; fenomeni accomunati, pur nelle pr ofo n­ de diversità, dall ' e splosione violenta e regressiva dell ' autoa ff ermaz io­ ne identitaria e dell' appartenenza comunitaria . Nuovi naz ionali s mi , fondamentalismi religios i , lotte a sfondo etnico proliferano a livello pla-? netario, configurandosi sempre più come risposta sia al crollo delle cer­ tezze dovuto alla fine del mondo bipolare e al nuovo disordine mon­ diale, sia al duplice processo di omogeneizz azione/e sclu s io ne pr o d o tto dalla globalizzazione economica e culturale . Il che non vuoi d ire, in pri­ mo luogo , né che si tratti di eventi inediti, esclusivamente creati dall ' età globale, né di residui arcaici che resistono irrazionalmente alla forza dirompente di una modernizzazione espansiva ; bensì del riattualizzarsi in forme nuove di fenomeni storicamente ben no t i , nei quali però il bisogno di identità e di senso prodotto dall'insicurezza e dall a omo lo­ gazione globali diventa bisogno di identificazioni forti, nonc hé a loro volta esclusive, e di legami as soluti. In secondo luo go , è be ne ribadirlo , questo non significa che sia legittimo interpretare indiscriminatamente questa costellazione di fenomeni come derive patologiche tout court, e tantomeno che abbia senso liquidarli come la po lar ità tutta « negati va » di WlO « scontro di civiltà ». Bisognerebbe al contrario introdurr e , di vol­ ta i n volta, WlO sguardo obiettivamente valutativo che operi le oppor­ tune distinzioni, evitando per esempio di porre sullo stesso pi a no il fo n ­ damentalismo islamico di matrice terroris tic a e il diritto al velo delle do nne musulmane, il nazionalismo della Catalogna e quello ceceno, le 119

12°

Per una critica del multiculturalismo, cfr. Lanzillo , t/ multicultura!ismo cit . Cfr. Lazzeri e Caillé, La Reconnaissance au;ourd'hui cit.

z.

Il comunitarismo endogamico

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rivendicazioni del Quebec e lo scontro serbo-croato , la questione cur­ da e il conflitto sciiti-sunniti interno all' Iraq. Ma poiché non è questo il contesto per avviare una tale operazione capillarmente selettiva, e poiché quello che qui mi interessa è tenere fer­ ma la connessione tra questi fenomeni e la rinascita della comunità, si potrebbe provare a proporre un'ipotesi generale fondata sulla rilevanza di alcuni aspetti condivisi. Fondamentalismo, scontri etnici, neonazio­ nalismo diventano in altri termini manifestazioni di una deriva patolo­ gica della comunità laddove presentano, come già accennavo sopra, un c.l!_r�t_tere essenzialmente r.eatti.vo : quando assumono una connotazione ostile e violenta verso l ' esterno, cioè verso un « altro » (ri)costruito come nemico e simbolo del male, ed e ndogamica all'interno, cioè fondata sulla costruzione di un « N o i » autoritario, chiuso ed esclusivo. Una prima, macroscopica manifestazione di questo fenomeno è rap­ presentata dalla inq� ietante rivitalizzazione dell'identità etnica che oggi assume, come suggeriscono l ' antropologia e la sociologia, una connotazione eminentemente simbolica, configurandosi sempre più come costrutto culturale, come « realtà immaginata », capace di forni­ re al gruppo i linguaggi e i simboli di un' autoaffermazione rivendica­ ti va produttrice di conflitti. 1 2 1

È

infatti laddove tali gruppi [etnici] entrano in conflitto o in concorrenza - dice Fabietti - che l ' etnia e l'etnicità emergono nel loro aspetto operativo e significante contemporaneamente. Poco importa, allora, che i gruppi etnici siano il prodotto di una « invenzione » es terna o interna, che i criteri chiamati a legittimare la loro esi­ stenza siano fondati sull ' « oblio della memoria » storica e culturale, oppure su un'i­ dea falsa di autenticit à . 1 22

Vari autori sembrano condividere la tesi che le ragioni di questo revival etnico, il quale si esprime sia nell'esplosione di nuove identità sia nell ' intensificazione di vecchi conflitti, stianò nella situazione di incertezza creata dalla globalizzazione, la quale è da intendersi, è bene aggiungere, nella duplice accezione di incertezza materiale e identita­ ria . Un primo caso, per esempio , è quello che rientra nel quadro di un «attacco alle minoranze » , analizzato tra gli altri da Arjun Appadurai 121 C f r . Melucci , Multicu lturalismo c i t . , p . 1 5 4 , e id . , Challenging Codes. Collectiwe Actian in the lnformation Age, Cambridge University Press, Cambridge 1 996. 122 U go Fabie t t i , L ' iden ti tà etnica . Storia e critica di un concetto equivoco, Carocci, Roma 1998, p. 1 3 4 . Cfr. a �che Jean-Loup Amselle ed Elikia M' Bokolo (a cura di), Au c�r de /'ethnie. EJhnie, tribalisme et Etat en Afrique, La Découverte, Paris 1 985 (trad. it. L 'invettZione dell'etnìa, Meltemi, Roma 2oo8) .

IOO

Parte prima

come espressione paradigmatica dell 'incrudirsi, a partire soprattutto dagli anni novanta, della violenza a livello planetario . 1 2 3 S econdo q ue­ sto autore, la crisi dello Stato-nazione intesa come crisi della sua capa­ cità omogeneizzante e di integrazione delle differenze, si traduce , da parte delle maggioranze, in un atteggiamento etnocida e predatorio che tende all'eliminazione delle «piccole differenze » , viste come minaccia alla propria egemonia. Le minoranze diventano in altri termini la sco­ moda testimonianza del fallimento o della debolezza del modello s ta­ tuale, l' elemento di disturbo che separa le forze maggioritarie èl.al s al­ to verso un ethnos nazionale puro; sul quale viene proiettata l ' idea di una garanzia di forza, di identità e di maggiore solidità in un mondo di flussi economici incontrollati, di sovranità indebolite , di speranze di benessere deluse. L' « ansia da incompletezza » che connota il narcisismo etnonazionalista delle maggioranze trasforma le minoranze in capri espiatori su cui riversare i timori scaturenti dall ' incertezza globale . Che questo sfoci nella guerra civile come il conflitto serbo-croato, o nell'aggressione cruenta (verso i curdi in Iraq o i musulmani in Nige­ ria), nelle rivolte etnico-religiose (i sikh dell' India , i tamil dello Sri Lanka) o nel genocidio e nella pulizia etnica (Kossovo, Ruanda, Bosnia­ Erzegovina) , l'elemento rilevante è evidentemente la ferocia e il radi­ calizzarsi della violenza che diventa veicolo di una « adesione totale » , capace di esorcizzare paura e incertezza, agendo, come è stato suggeri­ to, come > (Touraine, Critica della modernità dt. , pp. 15·16). lbtd. , p. z q ; cfr . m generale zbzd. , cap . 5 , pp. z u sgg . 16 1 lbid. , p. 2 2 0 . 162 Ibid . , p . 2 1 6 .


> di Borgna : « C iò che contraddice il "davanti-a-che" del­ l'angoscia è il fatto che il terrificante (il minaccioso) non è in alcun luogo: ci è cosl vicino che ci opprime, e ci taglia il respiro , e nondimeno non è in nessun luogo [ . . . ] Ogni situazione emotiva, rivela "come ci si sente " , e nell ' a ngoscia ci si sente alla presenza del nulla e "spaesati " ; ma sen­ tir si sp a es ati significa contestualmente " non-sentirsi-a-casa-propria " , cioè nella vertigine dell 'e­ straneità e della nientificazione » (ibid. , p. 2 3 ) . 67

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Parte seconda

A mio avviso, tuttavia, anche il concetto di angoscia si rivela , in que­ sta prospettiva, inadeguato per almeno due ragioni fondamentali. La prima ragione consiste nel fatto che sebbene scaturiscano da pericoli indeterminati, spesso invisibili e non calcolabili, inafferrabili e collo­ cabili nel futuro , le nuove paure dell'età globale hanno comunque un oggetto : sia che si tratti, abbiamo visto , dei rischi globali , sia che si trat­ ti dell'altro nelle sue forme diffuse e sfuggenti . L'inquietudine di fron­ te al nucleare o al degrado ambientale, ai nuovi virus o alle manipola­ zioni del corpo, come pure l' ansia di fronte all'assedio di uno straniero dagli infiniti volti, sono evidentemente sentimenti che non provengo­ no da una matrice interna, sia essa pulsionale o esistenziale-antologi­ ca, ma da eventi esterni, prodotti dall' agire stesso degli uomini e dalla forma delle loro relazioni sociali. La seconda ragione sta nel fatto che queste nuove paure sembrano essere del tutto prive di quelle implica­ zioni positive che l' angoscia stessa invece contiene , malgrado quegli effetti di oppressione, di spaesamento e di annichilimento che, come viene da più parti ribadito, essa indubbiamente produce; e che spesso confluiscono in una sorta di paralisi dell'azione . L ' angoscia , in altri ter­ mini, svolge anch'essa, come la paura hobbesiana, una funzione pro­ duttiva, sebbene di natura diversa . In Heidegger l'angoscia sottrae l ' e ­ sistenza alla sua banalità, alla sua quotidianità, apre all ' E s s erci la possibilità dell'esistenza autentica in quanto gli rivela la sua possibilità più propria, cioè il suo « essere-per-la morte »; essa produce così l ' auto­ comprensione dell' Esserci nel suo stesso fondamento , apre alla com­ p+ensione ultima, decisiva che l'esistenza umana può avere di se stes sa . 69 L'angoscia, in altri termini, apre quello « spazio di verità » che viene riconfermato anche in ambito psicoanalitico laddove, come nella rifles­ sione lacaniana, essa pertiene appunto al perturbante ; configurandosi come la dimensione rivelatoria della nostra condizione di soggetti scis­ si e inconciliati la quale, insieme allo spaesamento , produce l ' emer­ genza del reale diventando appunto fattore di verità . 70 6 9 Cfr. Heidegger, Essere e tempo cit . , pp . 235-36. 7° Cfr. Giorgio Rimandi (a cura di), Lo straniero che è in noi. Sulle tracce dell' Unheimliche,

CUEC, Cagliari 2006, pp. 54-5 5 , e Marisa Fiumanò, Un sentimento che non inganna. Sguardo e angoscia in psicoanalisi , Cortina, Milano 1 99 1 . Cfr. anche S�ren Kierkegaard , Il concetto del­ l'angoscia (1 844): « Poiché il concetto dell'angoscia non si tro va quasi mai trattato nella psicolo­ gia, io devo richiamare l'attenzione sul fatto ch'esso è completamente diverso da quello del timo­ re e da simili concetti che si riferiscono a quakosa di determinato, mentre invece l ' angoscia è la realtà della libertà come possibilità per la possibilità» (cit. in Borgna, Angoscia cit . , p. 2 1 ) .

2 . La società del rischio. Dalla paura all'angoscia?

Le paure dell'età globale non sembrano dunque definibili né attra­ rso la paura hobbesiana, in quanto e ss e derivano da oggetti e peri­ ve coli indeterminati, né attraverso l ' angoscia freudiana e heideggeriana, in quanto esse scaturiscono comunque da un oggetto esterno. In que­ sto se n so, la definizione di « paura liqui d a » proposta da Zygmunt Bau­ man sembra descrivere e fficacemente le trasformazioni attuali di que­ sta passione : una paura indistinta e diffusa, generata dal sentimento di insicurezza e dalla percezione della p er d it a di controllo sugli even­ ti, che caratterizza in modo pervasivo l ' età globale, prodotta da peri­ coli reali e allo s t e s s o tempo priva di una causa chiara e immediata­ mente riconoscibile . 7 1 M a ciò che m i preme sottolineare è c he , proprio in quanto genera­ ta da un pericolo che è insieme e paradossalmente, reale e indetermi­ nato, concreto e fantasmatico, la paura se m bra aver perso quella fun­ zione produttiva che pertiene sia alla sua configurazione moderna e hobbesiana (con i suoi effetti m obilitanti e razionali) sia all'angoscia (con i suoi effetti di verità) . 72 Tanto che appare del tutto pertinente la definizione , di recente suggerita, di una paura improduttiva, priva cioè di effetti positivi, implosiva e paralizzante: davanti alla disperata situazione del terzo mondo [ . . . ] - dice Carlo Galli- , alla questione ambientale [ . . . ] alle possibilità della tecnica [ . . . ] riappare, in effetti, la paura, e con questa l ' a ngosciosa percezione che proprio i ritrovati che dovevano vincerla l'abbiano infinitamente potenziata (ed è questa la « fine delle ideologie») . Ma non la paura che ha aperto la modernit à , a suo modo orgogliosa e capace di tradursi in agi­ re razionale, sì invece una paura improduttiva e disperata, un panico davanti a una civiltà al tempo stesso onnipotente e impotente, che non concede più spazi decenti per abitare. 73

Questi due aspetti - l ' a mbiguità tra determinato e indeterminato e l'improduttività - sono peraltro intimamente connessi tra loro e dan ­ no origine a un' epifania inedita e più complessa di questa passione, che potremmo definire, in assenza di un lessico co n s olida t o , paura glo­ bale: nella quale , c o m e ora vedremo , l ' i n tr ec c io tra paura e angoscia 71

Cfr . Zygmunt Bauman , Liquid Fear, Polity Press, Cambridge 2006 (trad. it. Paura liqui­

da, Laterza, Roma-Bari zoo8) .

72 Il che presuppone, come vedremo nella parte terza, il riconoscimento di una funzione posi­ tiva della paura, che nell' analisi di Bauman sembra essere del tutto assente. 73 Carlo Galli, Modernità della paura. ]onas e la responsabilità, in > (Re né Girard, ]e vois Satan tomber comme l'éclair, Grasset , Paris 1999; trad . it. Vedo Satana cadere come la folgore, a cura di Giuseppe Fornari, Adelphi, Milano 200 1 , pp. 204-05 ) 7 4 Ibid . , p p . 2 o6-o7 . 75 Cfr. Franz Neumann, Anxiety and Politics (1 954), in Tbe Demacratic and the Authoritariim State Essays in Politica/ and Lega! Theory , The Free Press, Glencoe 1 957 (trad. it. AngoscÙI e poli­ tica, in Lo Stato democratico e lo Stato totalitario , il Mulino, Bologna 1973, pp. I 1 3-47). 76 Nella scelta del nemico assunto come colpevole, ci deve essere sempre, dice Neumann, un nocciolo di verità che rende questa scelta particolarmente pericolosa: così, nel caso degli ebrei il nocciolo di verità è dato dal loro essere « simboli concreti del cosiddetto capitalismo parassi­ lario grazie alle loro posizioni nel commercio e nella finanza» (ibid. , p. r n ) . 7 7 Su questo, cfr . supra , parte seconda , cap. 2 , § 3 -

Parte seconda

di aggressività; consentendo cosl, alla massa minacciata di disgrega­ zione, di ritrovare Ì a propria interna coesione . Su questa dinamica sociale, si innesta, nel caso del nazismo e della persecuzione degli ebrei, la manipolazione politica e ideologica che fa presa sull ' angoscia della massa per spingerla all'identificazione « cesaristica » e regressiva78 cotu.m leader, libidicamente investito del compito di risolvere l ' an­ goscia attraverso l'espulsione del male e dei suoi presunti portatori. 79 Riconoscendo l'origine del meccanismo vittimario nella trasformazio­ ne persecutoria dell'angoscia, Neumann ci consente di vederne quelle radici emotive che Girarci considera evidentemente meno essenziali per la sua diagnosi, per così dire, antologica, della violenza. Allo stesso tempo però, mentre Neumann insiste particolarmente sugli esiti tota­ litari della dinamica del capro espiatorio , 80 Girarci ne sottolinea la per­ sistenza in « tutti i fenomeni di transfert collettivo non ritualizzato che osserviamo o crediamo di osservare attorno a noi » Y S ebbene deritualizzato, anzi proprio per questo più violento , il meccanismo vit­ timario continua ad agire nelle stesse, moderne società democratiche, in tutti i fenomeni striscianti e mascherati di esclusione e discrimina­ zione, o nelle cicliche esplosioni di reciproca aggressione e disprezzo che traggono alimento dai conflitti identitari : Non facciamo ormai molta fatica a vedere che i capri espiatori pull u lano ovunque i gruppi umani cerchino di chiudersi intorno a una loro identità comune, locale, 2 nazionale, ideologica, razziale, religiosa e via dicendo . 8

Torniamo qui, evidentemente, al tema dei co nflitti identitari che proliferano, abbiamo visto , dentro e fuori dell' Occidente, riattualiz8

7 Neumann insiste sul carattere regressivo, per la m assa stessa che lo met t e in atto, di que­ sto meccanismo di identificazione, in quanto esso comporta alienazione e rinuncia al proprio lo: « Poiché l'identificazione delle masse con il leader signific a l ' alienazione di ciascun singolo membro, l'identificazione costituisce sempre una regre ssio ne » (Angoscia e politica ci t . , p. I 2 4) . 79 «L'identificazione cesaristica assume un ruolo nella storia quando si verifichino le seguen­ ti condizioni: che le masse si trovino in una situazione di pericolo oggettivo, che siano incapaci di capire il processo storico e che l ' angoscia attivata dal pericolo venga trasformata, attraverso la manipolazione operata da altri, in angoscia nevrotica per sec u toria (aggressiva) » (ibid. , p . I 26) . 80 È interessante vedere come anche Neurnarm alluda , di fatto, al carattere inco nsapev le della dinamica persecutoria: «odi, risentimenti, paure derivati da grandi sconvolgimenti vengono concen­ trati su determinate persone che sono denunciate come cospiratori diabolici. Niente s are bbe per loro più sbagliato che caratterizzare dei nemici come capri espiatori [. . . ] giacché essi appaiono come nemi·

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ci veri da essere eliminati, e non come sostituti che bisogna solo mandare in esilio >> (ibid. , pp. 8 1 Girard, Vedo Satana cadere come la folgore cit . , p. 208. 82 Ibid. , p. 209.

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26-z 7l.

3 . Spettatori e vittime: tra diniego e proiezione

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zando la strategia del capro espiatorio; la quale si fa tanto più aggres­ siva quanto più cresce, in una società globale, la percezione della minaccia . Erodendo confini territoriali e culturali , la globalizzazione produce, in primo luogo nelle società occidentali, una inquietante pros­ simità dell' altro , sempre più identificabile con la figura simmeliana dello « straniero interno » , che sfida l' ordine e la coesione di una data comu­ nità attraverso una presenza pullulante e liminare che viene avvertita, come ci suggerisce Mary Douglas, come potenzialmente contaminante. All' assedio di una moltitudine ibrida e inarginabile che penetra negli spazi protetti delle proprie cittadelle identitarie, risponde la paura ancestrale di una « contaminazione » che mette appunto in pericolo quel bisogno di « purezza » s u cui, dice Douglas, ogni cultura e civiltà co­ struisce le proprie ras sicuranti separazioni e classificazioni. 83 L'altro (lo straniero , il diverso, il migrante, il clandestino) diventa il bersaglio su cui spostare le proprie paure, su cui proiettare un'an. goscia pgs�utoria che lo trasforma nel responsabile dei pericoli che minacci._apo una società sempre più privata delle tradizionali istaQZe di contro@_; 84 consentendo così quel processo di blaming, di attril;mzio-. ne di colpa, che è indispensabile per la coesione sociale e che, però, la logica anarchica e_ �nonima della globalizzazione sembra_p_rogr�ssiva­ mente erodere . 85 Ma poiché non è più possibile affidarsi a pratiche di espulsione rituale o a strategie di confinamento dell' altro in un altro ­ ve s p a ziale e territoriale nettamente diviso da un confine certo che tracci la separazione tra un dentro e un fuori, il me�canismo di esclu­ sione si interi orizza e agisce su di un piano eminentemente simbolico. La dinamica dell' esclusione, come è stato sottolineato, viene spostata nella coscienza : « La difesa e l ' esclusione, non più possibili verso l'e­ sterno , saranno spostate nelle coscienze , nell'imm�ginario, nelle mito-logie sociali e nell ' ovvio da esse sorretto »,86 assicurando l'immunità __

SJ Cfr. Mary Douglas, Purity and Danger. An Analysis of Concepts of Pollution and Taboo, Rout ledge & Kegan Pau!, London r 966 (trad. i t. Purezza e pericolo. Un 'analisi dei concetti di con­ taminazione e tabù, il Mulino , Bologna 1 998) . 84 Mary Dougl as sottolinea a questo proposito co me il rischio stesso diventi una risorsa sul pill­ no mora le e politico, e parla di un « uso forense del pericolo » : « Di solito i disastri che sporcano l'aria e la terra e che avvelenano l ' acqua vengono sfruttati politicamente: qualcuno, che è giiì impo pola re , è destinato ad esserne incolpa to>> (Rischio e co lpa cit . , p. 1 9 ) . Zygmunt Bauman par­ la a q ues t o proposito della creazione di « bersagli sostitutivi» su cui proiettare le proprie paure: cfr. Liquid Fear, Po lit y Press, C ambridge 2 006 (trad. it. Paura liquida, Laterza, Roma-Bari 2oo8). g 5 Cfr. Douglas, R ischio e colpa cit . g6 Roberto Escoba r , Metamorfosi della paura, il Mulino, Bologna I 997. p. x56.

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Parte seconda

attraverso processi di deumanizzazione che trasformino lo s traniero interno (il metoikos) in un «essere del di dentro » , in modo p e rò che resti un « essere del di fuo ri » Y

Thtto q:uesto può avvenire nelle forme subdole e sotterranee della vioknza_psicologica e. della discriminazione quo tidi�D.a� verso coloro che, avendo varcato i confini territoriali di u no Stato.e .infranto il tabù d�U_a _distanza e della separazione, rappresentano una sfida cos t an t e a p:rjy_iJ.�Lc:()nsolidati e alla «purezza » dell'identità. Oppure può attuar­ si attraverso la ciclica mobilitazione collettiva contro i deboli e gli emarginati, per tentare di far fronte a ll insicur e zz a spostando la paura su problemi di incolumità per sonale ; problemi che la politica non esita a sfruttare per autolegit tim arsi come istanza di difesa dell'ordine pub­ blico . 88 Ma può anche tradursi, come si è già visto, in un vero e pro­ prio « attacco alle minoranze », nel quale è forse legittimo riconos c ere , come suggerisce Arjun Appaduraì, la forma peculiare del dilagare del­ la violenza a livello globale . Quando all'insicurezza globale si aggiun­ ge la fantasia delira nt e della purezza nazionale che Appadurai defi­ nisce «ansia da incompletezza » , le mag gior anz e minacciate nella lo.J;:_o .egemonia all'intemo di o�ni si ng ol o Stato tendono a trasformarsi in «identità predatrici» , il cui scopo diventa quello di difençlere la_ purez­ za de.U ' ethnos attraverso l'eliminazione dell'elemento di disturbo rap­ presentato .dalle « piccole differenze ». Le minoranze infatti « sono uno scaJ!dalo per qualunque immagine avallata dallo S tato di purezza nazionale-ed equità statale . Sono quindi capri espiatori nel senso più clasSico »-che, piÒspecific a ment e nell'e tà gl o b �le , « d_i ventano il luogo prjyilegiato su cui mo lti Stati p o s s o no trasferire i loro timori (veri o presunti) di esse�e minÒri t ari e marginali in un mondo di pochi mega­ S tati, di flussi economici incontrollati e di sovranità messe a repenta­ glio ». 89 D all I raq alla ex Jugoslavia , dall'Indonesia alla Cecenia, dalla Palestina �l Ruanda, fino al caso emblematico dello scontro tra indù e musulm.ani all'interno di una moderna democrazia come l ' I ndia, il __



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8 7 88

Escobar, Metamorfosi della paura ci t . , p. 2 0 2 . Cfr. Bauman, La solitudine del cittadino gleba/e cit . , pp . 55 sgg . , e id . , Paura liquida cit . , pp. 1 84 sgg. 89 Continua Arjun Appadurai: «Le minoranze, in breve, sono metafore del tradimento del progetto nazionale classico, ed è questo tradimento - che ha in realtà le sue radici nell 'incapa­ cità da parte dello Stato nazionale di mantenere la sua promessa di essere garante della sovranità nazionale - che sta alla base dell'impulso mondiale a espellere o eliminare le minoranze » (Sicu · ri da morire. La violenza all'epoca della glcbalizzazione, Meltemi, Roma 2 0 05 , p . 2 9) .

3 . Spettatori e vittime: tra diniego e proiezione

rBr

roeç_canismo vittimario sembra riaffermarsi con un'inedita violenza che _no n a çaso, a testimonianza dell ' os sessione della purezza che ne è all'o­ !igi ne, sembra accanirsi particolarmente verso il corpo: che, come Appa­ durarsottolinea facendo propria la prospettiva di Douglas, diventa og­ getto di inaudite violazioni e atrocità (corpi massacrati, decapitati, torturati, stuprati) , tese a punire le minoranze del fat!g_che esse�ov­ vertono i confini tra " noi " e "loro " , qui e altrove, dentro e fuori,..puro e imp\}ro , fidato. e infido, necessario ma sgradito ».9 0 Tuttavia, proprio questo carat tere ossessivo, punitivo e purificato­ re, denuncia il pericolo di una deriva inarginabile della violenza.91 La s t rat�g i a del capro e spiatorio , ben lungi dalprodurre un arres to della violç_gza , ne pro; oca la proliferazione, attraverso una sorta di perver­ . so gioco al rialzo che sembra riportare la brutalità di pratiche arcaiche, come quella del s acrificio , e della più cruda materialità dentrcùo �a­ zio �!J!tratto e impersonale della globalizzazione .92 Ma non solo. La spi­ rale della violenza trova oggi un ulteriore alimento, a mio avviso, in un fattore inedito che scompiglia la logica , finora essenzialmente uni­ direzionale , del rapporto persecutori-vittime . Accade infatti , ..a. difje­ renza per esempio del c a s o emblematico del nazismo, che !'.altro pro­ vi a rove sciare la sua posizione di vittima, facendosi a _w volta persecutore, e dando origine a una dinamica .di ostilità e di-�essio­ ne che diventa potenzialmente illimitata in virtù della sua r.eciprocità e spe cularit à . B asti pensare al terrorismo islamico e alla proiezione che esso m�tte a sua volta in atto sull 'Occidente come immagine- dell'altro e del male , contro la quale si coagula, a ttraverso l' alimentazione di pass ioni risentite, 9 3 la c o struzione di un noi compatto ed endogamico; a riprova del fatto , è bene aggiungere, che il c apro espiatorio, come avverte Girard, non si incarna solo e necessariamente nei deboli e negli oppressi, m a anche nei ricchi e potenti. 94

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91

1007.

Appadurai, Sicuri da morire cit . , p. 3 0 . Cfr. Adriana Cavarero, Orrorismo, ovvero della violenza su ll'inerme , Feltrinelli, Milano

91 A n cora Appadurai, Sicuri da morire ci t . , cap . 2, so t t o li nea il nesso tra la logica astratta del­ la globalizzazione e la brutalità della violenza fisica . 9 3 C fr. René G ira rd, Il risentimento. Lo scacco del desiderio nell'uomo contemporaneo, Corti· na, Milano 1 999; per una interessante trattazione del tema, cfr. Stefano Tomelleri, La società rkl risentimento, M e l temi, Roma 2 00 4 . 94

Cfr. Girard , Delle cose nascoste fin dalla fondazione del mondo dt.

Parte seconda

È così che, stretto nella morsa tra deumanizzazione da un lato e de­ monizzazione dall'altro/5 il mondo diventa teatro, t r a mi t e la recipro­ ca invenzione di un nemico, di un'escalation di violenza che molto ha

a che fare con la metamorfosi persecutoria dell 'insicurezza e dell ' an­ goscia e ben poco con un presunto clash o/ civilisations.96 S p o s t a to nel­ l' interiorità, il meccanismo vittimario continua sotterraneamente ad agire, diventando tuttavia in ultima istanza inefficace, in quanto falli­ sce il suo scopo originario di risoluzione della paura e di c ont e ni to r e della violenza. La costruzione del nemico-vittima, orfana di processi di ritualizzazione e privata di un « altrove » che consenta un'esclusione spaziale e territoriale dell'altro , genera forme tanto aggressive quanto regressive di coesione identitaria, alimentate da una reciproca proie­ zione persecutoria . Lungi dal restituire coesione e sicurezza a una data comunità, la dinamica del capro espiatorio dà origine a processi endo­ gamici e reciprocamente esclusivi di costruzione del Noi, i l cui primo ed evidente effetto è la formazione di quelle che ho definito com1JJ1iià immt,!_nitllrie; 97 siano esse i « ghetti volontari » e le « comunità della pau­ ra » che esplodono ciclicamente in un Occidente sp a v en t a t o dall ' asse­ dio dell'altro e tutt' altro che libero da fenomeni regressivi, siano esse le comunità etnico-religiose arroccate intorno all 'ossessione d ell ' iden­ ticità e dell'omogeneità e disposte a riattivare form e atroci di esclu­ sione dell' altro, o siano infine le comunità globali che si fronteggiano attorno alla polarizzazione guerra/terrorismo . La metamodosi della paura in età globale sembra dunque confer­ mare, sul piano emotivo, la scissione patologica tra un individualismo illimitato e un comunitarismo endogamico ; la quale trova origine non solo nella messa in atto di meccanismi di difesa che sfociano nella pala-

95 Sulle forme contemporanee di deumanizzazione, cfr. l 'incisiva riflessione d i E nrico Do­ naggio, Che male c 'è. Indifferenza e atrocità tra Auschwitz e i nostri giorni, L ' A ncora del Mediter­ raneo, Napoli 2005 . 96 Semmai, come è stato suggerito, ha a che fare con un clash of emotions: c f r Domi nique Molsi, The Clash of Emotions, in « Paradoxe >> , gennaio-marzo 2 0 0 7 , pp. 4 7 -5 2 . C o n t ro la tesi dello « scontro di civiltà», cfr. i testi citati ibid. , n. 1 6 , e quanto sostiene Amartya S e n : « La politica dello scontro globale viene spesso interpretata come corollario delle divisioni re l igio s e e culturali del mondo. C 'è la convinzione che la popolazione del piane t a possa es sere divisa in ca tegorie Una visione a senso unico è un ot timo sistema per riuscire a non comprendere pra · ticamente nessuno al mondo. Al contrario la violenza è alimentata dal senso di pr iori t à che vie· ne data a una pretesa di identità » (Libertà e agione in « Corriere della Sera » , 2 dicembre 2oo6) . 97 Cfr. supra, p ar te prima, cap. 2, S 4 · .

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l'unico passaporto,

3 . Spettatori e vittime: tra diniego e proiezione

rizzazione tra assenza di pathos ed eccesso di pathos, ma, è bene riba­ dirlo, nella loro sostanziale inefficacia . Da un la to , il diniego della pau­ ra , abbiamo visto, sping e gli individui verso forme di apatia e di nar­ ci s ist i ca entropia , che impediscono loro di riconoscere i rischi inediti dell 'età globale ; producendo di conseguenza l incapacità di percepire la loro inedita condizione di spettat ori e p ot enziali vittime a un tem­ po , e alimentandone l ' illusione immunitaria . Il che vuoi dire che in nome di una entropica autoconservazione si finisce per consegnare l'intera umanità al per i colo di au t odi stru zione Dall' altro, la conver­ sione persecutoria della paura genera forme perverse ed endogarniche di alleanza e di s olidariet à , ch e sfociano nella riattivazione di comu­ nit à distruttive animate da « lealtà pr imo rdia li » ; dando origine alla deriva esplosiva dei c onfli tt i identitari e a una escalation illimitata del­ la violenza a livello planetario . Tra l'ossessione dell'Io e l'ossessione del Noi, quali polarità speculati di una stessa strategia immunitaria , si corre il rischio di non cogliere 14 « chance », 98 che l ' età globale pot re bbe essere oggettivamente in gra­ do di offrire, in virtù di quelle stesse trasformazioni che essa produce e di quelle stesse sfide che essa contiene . Da un lato infa t t i , come vedremo , i rischi che incombono sull ' u­ manità consentono per la prima volta di pensare quest'ultima come un nu ovo soggetto, come un insieme di individui legati dalla loro comu­ ne vulnerabilità e dalla loro debolezza; e per questo capaci di prendere in cura il mondo inteso come pianeta , la cui « perdita » coinciderebbe c on la scomparsa stessa di qu e ll ' uni c a dimora del vivente che ci è dato di conoscere . Dali ' altro , la moltiplicazione delle differenze e lo slitta­ mento dell ' idea di « altro » in quella di « differenza », intesa come ciò che non si può assimilare né espellere in un altrove, apre per la prima volta la possib i li t à di ripensare il l e g a me sociale come coesistenza so­ lidale di una plu ra lità di individui , gen er i culture, etnie, religioni, capaci di formare , arendtianamente, un « mondo », in quanto capaci di riconosce re non solo la necessità , ma la po te n ziale vitalità della reci­ '

.

,

proca

contaminazione.

Queste oggettive possibilità costituiscono però soltanto una chance: che in quanto tale rimanda ai sogg ett i l' onere d i saperla cogliere. Per 9ij L' espressione trae ispirazione da Georges Bataille che, come ho già ricordato sopra, pro­ pone l ' idea di chance i n tesa come « apertura al possibile>>: cfr. Sur Nietzsche, in CEuvres compfè. tes, VI, Gallimard, Paris 1 9 7 6 (trad. it. Su Nietzsche, C appelli, Bologna 198o) .

Parte seconda

richiamare un felice suggerimento di André Gorz, si potrebbe allora dire che approfittare della chance significa in primo luogo « impara­ re a discernere le possibilità non realizzate che sonnecchiano nelle pieghe del presente »;99 o in una parola scommettere sulla capacità di costruire scenari alternativi, realizzando possibilità non ancora attua­ lizzate , ma pur sempre latenti.

99 André Gorz, Misères du présent, richesse du possible, Gaillée, Paris 1997 (trad. i t. Miserie del presente, ricche'fZO del possibile, manifestolibri, Roma 1997, p. 9 ) .

Parte terza

Responsabilità e cura del mondo

C ' è quel famoso detto di Marx: « I filosofi hanno solo interpretato il mondo, ora si tratta di cambiarlo». Ma questo non basta più, oggi non basta cambiare il mon­ do, oggi bisogna conservarlo. Gunther Anders,

Opinioni di un eretico

Prendersi per mano da un capo all'altro del mondo Arundhati Roy,

Guerra è pace

I.

Attori: reimparare ad avere paura

: r.

Umanità vulnerabile

scommes s a si gioca in altri termini sulla possibilità , per i sog­ getti, di spezzare la forbice che li vincola al ruolo di spettatori/vitti­ me o , pericolo tanto più grande quanto più investe non solo la dimensione soggettiva, ma la sfera sociale e i destini del mondo : Questa necessità diventa pressante soprattutto quando il « dislivello » diventa un rischio politico; quando minaccia di ritardare o addirittura di impedire un cambia­ mento del mondo .60

È in questo caso che c'è bisogno di un intervento intenzionale del soggetto, se non di una vera e propria forza tura , 61 che ristabilisca il contatto con la sfera affettiva e immaginativa . Dall'ampliamento e dalla dilatazione volontaria della nostra psiche, possiamo dunque legittimamente aspettarci, insieme con il superamen­ to della scissione, della vulnerabi­ li t à , ma anche nel ricondurre l'idea di respo nsabilità (responsabilità per) all ' i mm agine di un soggetto mancante , alt er ato , costitutivamente in !f.ltJ�I'l!!_� c_Q_n_l ' altro; affrancandol a così, pur nel riproporre con forza la figura di un s ogg e tt o morale, da quella connotazione doveristica e al tru,i s tic a di cui la riflessione postmoderna ha denunciato , a ragione, l' obsolescenza . La nozione di vulnerab ilit à si configura infatti, imme­ diatamente, in prospettiva relazionale: non allu de, cioè, solo alla fra­ gilità del soggetto, ma alla sua dip en denza dall'altro , che da sempre lo costituisce e lo inaugura come s o gg et to nel momento in cui ne fonda la responsabilità . Noi siamo responsabili in quanto siamo da sempre vincolati, l eg at i , dipendenti da altri . E tuttavia il problema non è ancora risolt o . Il pro ble ma si pone infatti, ancora una volta, laddove misuriamo questa proposta etica con la realtà antropologica e psichica dell'Io glo­ bale . Se è vero c he l ' immag i ne di s ogge tto delineata attraverso la let­ __

tura di Lévinas ci consente di superare l' obsolescenza del dovere e l'i mpl ausib ili tà dell ' altruismo puro, è vero anche che è necessario i nt err oga r s i ancora una volta sulle riw.rse.. moti11az ionali che consento­ no di p e ns are un soggetto relazionale . In questo senso ritengo stimo­ lanti le riflessioni d i Ju dith B utler , la quale fonda il suo recente ripen­ samento cri t ic o dell'etica a partire da Lévinas e dalla visione della

244

Parte terza

vulnerabilità come dipendenza dall ' altro. 91 Pensare la responsabilità - di­ ce Butler - richiede paradossalmente di decretare la morte del sog­ getto sovrano, solipsistico e padrone di sé. 92 Si tratta di « un lutto necessario », che prelude in primo luogo alla possibilità di cogliere una diversa epifania del soggetto, di svelarne la struttura relazionale, la costitutiva dipendenza dall'altro inteso , in senso levinasiano appunto, come colui che ci precede e che ci convoca, provocando un decentra­ mento e un disorientamento dell ' Io; e che, in secondo luogo , diventa il presupposto per poter riconoscere nella struttura relazionale e nel disorientamento da essa prodotto, una preziosa riso rsa etica . Se è vero infatti che l'essere in relazione, l'essere esposti all'alterità ci rende opachi a noi stessi, incapaci di rendere conto pienamente di ciò che siamo, espropriandoci della nostra identità, è vero anche che proprio in questo «fallimento » risiede l'origine del legame etico con gli altri: Questo fallimento, questa impossibilità di narrare pienamente, può indicare il no­ stro modo di essere, sin dall'inizio, eticamente implicati nella vita degli altri . 9 3

Nel limite contro il quale si infrange la corazza dell ' Io, risiede in altri termini la chance di un'etica non più fondata sulla « violenza » di un soggetto autocentrato, coerente e trasparente a se stesso, ma sulla non-violenza di un Io aperto alla sfida ininiterrotta che proviene dal legame con l'altro.94 La relazione dunque non si configura come rap­ porto simmetrico tra due soggetti pre-costituiti, liberi e agenti, ma come « intrusione » originaria da parte dell' altro , un' intrusione che inaugura il soggetto nel momento stesso in cui lo viola, in cui ne pro­ voca il decentramento, la ferita: 91 Cfr. Judith Butler, Giving an Account o/ Onese/f, Routledge, New York-London 2004 (trad. it. Critica della violenza etica, Feltrinelli, Milano zoo6) . 92 «Ma questa morte, se di morte si tratta, è s ol o la morte di un certo tipo di soggetto, con il quale non è mai stato possibile inaugurare alcunché: è la morte della fantasia di un'impossibi­ le padronanza, di un controllo assoluto, la morte di ciò che in realtà no n si è m ai posseduto. In altre parole, è un lutto necessario >> (ibid. , p. 9 1 ) . 9 3 Ibid. , p. 90; sul «fallimento» del soggetto, cfr. ibid. , p . 6o. 9 4 « Se per violenza si intende l'atto per cui un soggetto tenta faticosamente di riassumere una padronanza e un'unità di sé, allora non-violenza sarà lasciare aperta la sfida ininterrotta che i vincoli che abbiamo nei confronti degli altri inducono e impongono alla nostra autorità egoi­ ca» (ibid. , p. r 36);